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ARCHIVIO GENERALE DEL DOSSIER “LA RIFORMA ELETTORALE”

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ARTICOLI DAL 19 AL 26 NOVEMBRE 2007

 

Aosta, il referendum fa flop ( da "Stampa, La" del 19-11-2007)

I "piccoli" del centrosinistra impegnati a evitare il referendum ( da "Gazzetta del Sud" del 19-11-2007)

Il rischio delle mani libere ( da "Sole 24 Ore, Il" del 19-11-2007)

ROMA Ora che anche Bossi ha riconosciuto l'errore di Berlusconi , il plenipo ( da "Messaggero, Il (Abruzzo)" del 19-11-2007) + 1 altra fonte

L'Unione è già finita, il Prof quasi ( da "Panorama" del 19-11-2007)

Legge elettorale caos totale ( da "Opinione, L'" del 19-11-2007)

(continua dalla prima pagina) Roberto ( da "Gazzettino, Il" del 19-11-2007)

"RAI..fondazione" o "Ri..affondazione"? ( da "AprileOnline.info" del 19-11-2007)

Berlusconi pronto a incontrare Veltroni: <Riforma elettorale e poi il voto> ( da "Sole 24 Ore Online, Il" del 19-11-2007)

Berlusconi: Prodi faccia proporzionale, poi si voti ( da "Reuters Italia" del 19-11-2007)

BERLUSCONI: DIALOGO, SOLO RIFORMA ELETTORALE E POI VOTO ( da "Wall Street Italia" del 19-11-2007)

Riforme/ Palazzo Chigi: positive le disponibilità al dialogo ( da "Affari Italiani (Online)" del 19-11-2007)
Argomenti: Esempi esteri

Nel 2008 si rinnova il Consiglio con la riforma varata ad agosto ( da "Stampa, La" del 20-11-2007)

Politici ancora in trincea Caveri: "Esco rafforzato" ( da "Stampa, La" del 20-11-2007)

L'ultima metamorfosi - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 20-11-2007)

Riforma elettorale, la resa di Berlusconi Alla fine si rassegna al dialogo: Proporzionale puro, ma subito dopo alle urne ( da "Unita, L'" del 20-11-2007)

Sulle riforme ora è possibile il dialogo con tutta la Cdl ( da "Unita, L'" del 20-11-2007)

La retromarcia del Cavaliere ( da "Unita, L'" del 20-11-2007)

Fini va nei guai L'alleato a destra sarà Storace ( da "Giornale.it, Il" del 20-11-2007)

Il pd e lo spettro della bicamerale "non si può far cadere il governo" - goffredo de marchis ( da "Repubblica, La" del 20-11-2007)

E i "piccoli" temono di essere tagliati fuori ( da "Messaggero Veneto, Il" del 20-11-2007)

Veltroni, aperture ma senza condizioni ( da "Piccolo di Trieste, Il" del 20-11-2007)
Argomenti: Esempi esteri

Veltroni: dialogo, ma su tutto ( da "Manifesto, Il" del 20-11-2007)

Grande gelo da An, Udc e Lega ( da "Secolo XIX, Il" del 20-11-2007)

Bossi: serve armistizio tra alleati ( da "Giornale di Brescia" del 20-11-2007)

I commenti ( da "Libertà" del 20-11-2007)

Verso il 'Veltronellum'. Ipotesi fusione di due sistemi elettorali Spagnoli e Tedeschi ( da "Voce d'Italia, La" del 20-11-2007)
Argomenti: Esempi esteri

Udeur-Pdci: no a corsie preferenziali con il Pd ( da "Corriere Adriatico" del 20-11-2007)

MAGGIORITARIO E PROPOSTA VASSALLO A CONFRONTO ( da "Lavoce.info" del 20-11-2007)

L.ELETTORALE: COM. REFERENDUM BOCCIA TEDESCO, 'RITORNO A 1* REPUBBLICA' ( da "Asca" del 20-11-2007)

Veltroni smentisce l'asse con il Cavaliere: discuterò con tutti Il leader ripete che nel 2008 non si voterà, convince Mastella, apre al dialogo con Fini ( da "Unita, L'" del 21-11-2007)

La variabile Dini ( da "Unita, L'" del 21-11-2007)

Il ritorno della Nuova Dc Obiettivo il partito-pivot ( da "Sole 24 Ore, Il" del 21-11-2007)
Argomenti: Esempi esteri

Amato: prima le regole sui fondi ai gruppi ( da "Sole 24 Ore, Il" del 21-11-2007)

Troppi luoghi comuni sull'attuale legge elettorale ( da "Manifesto, Il" del 21-11-2007)

L'inciucio è roba da pazzi ( da "Manifesto, Il" del 21-11-2007)

Veltroni teme una beffacome fu la bicamerale ( da "Secolo XIX, Il" del 21-11-2007)

L'asse Pd-Pdl piace. Non a Prodi Rifondazione esulta. Intesa Veltroni-Mastella. Il Prof: Si parli con tutti ( da "Nazione, La (Nazionale)" del 21-11-2007) + 2 altre fonti

Legge elettorale, proposte a confronto ( da "Denaro, Il" del 21-11-2007)

Maroni: Lega arbitro del dialogo sulla legge elettorale ( da "Padania, La" del 21-11-2007)

"Sì a riforme, no a grande coalizione" ( da "Stampaweb, La" del 21-11-2007)

Riforma elettorale, Segni 'Un salto indietro di 20 anni' ( da "Voce d'Italia, La" del 21-11-2007)

Berlusconi, diktat a Veltroni: "Legge elettorale, poi il voto" ( da "Giornale.it, Il" del 21-11-2007)

Riforme: Veltroni incontra Fini e Berlusconi. Prodi: non servono grandi coalizioni ( da "Sole 24 Ore Online, Il" del 21-11-2007)

Il Cavaliere: ''Il Parlamento sfiduciato non può fare le riforme" ( da "ADN Kronos" del 21-11-2007)

Per il Colle l'esempio della Germania serve a non demonizzare le larghe intese ( da "Stampa, La" del 22-11-2007)

"Progetti referendari al limite dell'eversivo" ( da "Stampa, La" del 22-11-2007)

Il Cavaliere insiste: Intesa e poi subito al voto ( da "Giornale di Brescia" del 22-11-2007)

Veltroni vede prima Fini Berlusconi per ultimo Telefonata con l'ex premier per fissare la data Non ci sono assi privilegiati ( da "Unita, L'" del 22-11-2007)

Berlusconi: punto a un sistema con due partiti - francesco bei ( da "Repubblica, La" del 22-11-2007)

E dal Quirinale arriva l'input: corsia privilegiata al modello tedesco ( da "Italia Oggi" del 22-11-2007)
Argomenti: Aspetti Legali

Walter e Silvio, primo colloquio segreto ( da "Corriere della Sera" del 22-11-2007)

Proposta Veltroni: le mie risposte ai critici ( da "Corriere della Sera" del 22-11-2007)

Berlusconi: "Vogliamo due soli grandi partiti" ( da "Tempo, Il" del 22-11-2007)

LEGGE ELETTORALE, VELTRONI SENTE BERLUSCONI ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 22-11-2007)

Romano Prodi contro le riforme ( da "Opinione, L'" del 22-11-2007)

Via alla grande trattativa: primo round Veltroni-Fini ( da "Gazzettino, Il" del 22-11-2007)

Berlusconi: basta alleanze, avanti con due grandi partiti ( da "Gazzettino, Il" del 22-11-2007)

Trambusto nei poli sulla legge elettorale: è l'effetto Berlusconi ( da "Sole 24 Ore Online, Il" del 22-11-2007)

Riforme tra ricordi distorti della bicamerale e la novità dei giorni nostri ( da "Riformista, Il" del 23-11-2007)

Veltroni: Non tratterò sulla fine del governo ( da "Arena, L'" del 23-11-2007) + 1 altra fonte

Veltroni: <Non tratterò sulla fine del governo> ( da "Giornale di Vicenza.it, Il" del 23-11-2007) + 1 altra fonte

Le prede della volpe silvio ( da "Espresso, L' (abbonati)" del 23-11-2007)

SARDEGNA: DAI CONSIGLIERI ARRIVA NUOVA PROPOSTA DI LEGGE ELETTORALE ( da "Asca" del 23-11-2007)

Prodi, Fini, cosa rossa: ecco chi teme l'asse Berlusconi-Veltroni ( da "Panorama.it" del 23-11-2007)

Veltroni: non si parla di grande coalizioneLa riforma elettorale ( da "Sicilia, La" del 23-11-2007)

"Walter deve capire che il Pd non è roba sua" ( da "Stampa, La" del 24-11-2007)

Diplomatique conversazione con l'ambasciatore tedesco in italia michael steiner ( da "Riformista, Il" del 24-11-2007)


Berlusconi la sirena e gli ingenui del Pd
( da "Manifesto, Il" del 24-11-2007)

RIFORME, IL DIRE E IL FARE ( da "Stampa, La" del 25-11-2007)

La maggioranza deve essere ampia, ma cercare l'unanimità è sbagliato ( da "Stampa, La" del 25-11-2007)

<Le riforme si fanno in Parlamento> ( da "Corriere della Sera" del 25-11-2007)

Aria da bicamerale sulle riforme ( da "Giornale di Brescia" del 25-11-2007)

"non ci sarà inciucio tra veltroni e il cavaliere riforma entro gennaio" - umberto rosso ( da "Repubblica, La" del 25-11-2007)

La sciagura del proporzionale Meglio andare al referendum ( da "Adige, L'" del 25-11-2007)

L.ELETTORALE/ BERTINOTTI: ESCLUDO INCIUCIO VELTRONI-BERLUSCONI(REP) ( da "Virgilio Notizie" del 25-11-2007)

Il pasticcio tv lega le mani a Berlusconi ( da "Sicilia, La" del 25-11-2007)

Riforme e sospetti ( da "EUROPA.it" del 25-11-2007)

Il destino di Prodi tra welfare e Walter Pierfrancesco Frerè ( da "Provincia di Sondrio, La" del 25-11-2007)

"portiamo l'italia fuori dal tunnel" - ettore boffano ( da "Repubblica, La" del 26-11-2007)

Bipolarismo, An pianta il primo picchetto Leader e alleanze prima del voto. Oggi l'incontro tra Fini e il segretario del Pd ( da "Unita, L'" del 26-11-2007)

Riforme al bivio, per ora il dialogo c'è ( da "Unita, L'" del 26-11-2007)

Romano prepara la maratona ( da "Panorama" del 26-11-2007)

Riforma a due piazze ( da "Panorama" del 26-11-2007)

Big bang della libertà ( da "Panorama" del 26-11-2007)

L. ELETTORALE/ BINDI: IL VELTRONELLUM SA DI PRIMA REPUBBLICA ( da "Virgilio Notizie" del 26-11-2007)

Ha un bel dire Franceschini che nel Partito democratico la democrazia c'è davvero ( da "Stampa, La" del 26-11-2007)

Veltroni inizia i colloqui per le riforme: faccia a faccia con Fini ( da "Rai News 24" del 26-11-2007)

Bluff, contro-bluff e veleni ( da "Opinione, L'" del 26-11-2007)

VELTRONI-TREMONTI, PROVE DI DIALOGO ( da "Mattino, Il (Circondario Sud2)" del 26-11-2007)

Fini-Veltroni: legge elettorale insieme a riforma di istituzioni ( da "Reuters Italia" del 26-11-2007)

Fini-Veltroni: legge elettorale insieme a riforma di istituzioni ( da "Websim" del 26-11-2007)


Articoli

Aosta, il referendum fa flop (sezione: Riforma elettorale)

( da "Stampa, La" del 19-11-2007)

 

CONSULTAZIONE PROPOSITIVA. SU LEGGE ELETTORALE E OSPEDALE Aosta, il referendum fa flop Alle urne solo il 27,6%. Ha avuto successo la campagna del "Non voto" [FIRMA]ENRICO MARTINET AOSTA Non passano i 5 referendum propositivi. Gli elettori valdostani, i primi in Italia a poter essere legislatori votando proposte di legge, non sono andati alle urne nella misura minima prevista: 45 per cento. Ha votato solo il 27,6 per cento degli aventi diritto. Quattro referendum erano per la riforma della legge sulle elezioni al Consiglio regionale (il voto sarà nella primavera 2008) e uno per avere un ospedale nuovo. Il fronte referendario era composto dal centrosinistra allargato a due movimenti transfughi dell'Union valdôtaine, Renouveau e Vallée d'Aoste Vive: l'alleanza che aveva vinto le elezioni politiche di aprile. Ma il successo non si è ripetuto. Gli elettori hanno seguito le indicazioni della maggioranza regionale formata da tre movimenti locali: Union valdôtaine, Fédération autonomiste e Stella alpina che proponevano il "Non voto", motivato da un giudizio di "non senso" dei referendum. Il "Non voto" è stato sostenuto con forza anche dai rappresentanti delle istituzioni, i presidenti di Regione e Consiglio e gli assessori. Nell'agosto scorso il Consiglio regionale, anche per arginare gli effetti del referendum, aveva varato leggi di riforma elettorale. La parte più innovativa delle proposte referendarie prevedeva l'elezione diretta dell'intero governo regionale. La più bassa percentuale di voto è stata per il referendum sull'ospedale, la più alta per la preferenza unica.


I "piccoli" del centrosinistra impegnati a evitare il referendum (sezione: Riforma elettorale)

( da "Gazzetta del Sud" del 19-11-2007)

 

Franceschini rassicura gli alleati: sul sistema elettorale il Pd non giocherà da solo I "piccoli" del centrosinistra impegnati a evitare il referendum Fabrizio Nicotra ROMA Silvio Berlusconi socchiude la porta al dialogo sulle riforme. Il Cavaliere, in difficoltà con gli alleati, vuole recuperare un ruolo da protagonista e prova a far capire a tutti, nella CdL e nell'Unione, che chiunque voglia trattare deve farlo con lui. L'apertura (molto cauta, a dire il vero) viene accolta con tiepida prudenza dal governo e dal centrosinistra. I big del Partito democratico e diversi ministri, prima di fidarsi, vogliono vedere se Berlusconi fa sul serio. Il confronto tra i poli e dentro le stesse coalizioni continua e il vicesegretario del Pd Dario Franceschini vuole rassicurare i "piccoli" del centrosinistra: sulla legge elettorale non giochiamo da soli. La scena ieri è stata occupata dal presidente di Forza Italia che, a sorpresa, lancia il nuovo partito. E, sulle riforme, assicura: "Se l'altra parte avanzerà proposte o dirà si alle nostre, saremo lieti di trovare per il nostro Paese una direzione di svolta che arricchisca la democrazia, lo sviluppo e la libertà". La mossa serve a uscire dalla morsa degli alleati, che hanno messo sotto accusa la leadership del centrodestra. Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini e la Lega sono pronti a sedersi al tavolo con il centrosinistra e anche ieri sono tornati a sollecitare Forza Italia, con accenti piuttosto ruvidi. Il leader di An, in un'intervista a "Repubblica", avverte: la strada più rapida per andare alle elezioni è quella di un accordo tra i poli su legge elettorale e riforme della Costituzione. E Casini chiede a Berlusconi di attivare l'uomo del dialogo, e cioè Gianni Letta. Nella CdL al momento i rapporti sono molto tesi e dunque governo e maggioranza, che da settimane offrono il confronto agli avversari, aspettano di vedere cosa succede. Franceschini, intervistato dal "Messaggero", ribadisce che l'Unione è pronta a coinvolgere tutta l'opposizione, ma nello stesso tempo avverte il Cavaliere: non ci si ferma per il no di uno solo, e se Berlusconi continua a dire no, "allora toccherà procedere anche senza di lui". Ora il leader di FI socchiude la porta e questa prima, timida disponibilità viene letta a sinistra con grande cautela. In molti, tra i parlamentari dell'Unione, ricordano che non è il caso di fidarsi dell'ex premier. Però Walter Veltroni ha sempre detto che vuole dialogare con tutti e Romano Prodi non si stanca di ripetere che serve una larga convergenza. Vedremo se le parole di Berlusconi saranno confermate dai fatti, si ragiona in ambienti del Pd vicini al presidente del Consiglio, e comunque le aperture sono sempre le benvenute. In ogni caso, Berlusconi viene visto come un interlocutore alla stregua degli altri leader della CdL. Il tempo dirà se il Cavaliere vuole realmente rientrare nei giochi con il dialogo, e in particolare toccherà a Veltroni sondare il terreno. Casini si dice certo che il segretario del Pd sta già "parlando" con Gianni Letta. Intanto, qualche giorno fa, il sindaco di Roma ha fatto capire che è alle viste un incontro con Fini. Veltroni deve comunque fronteggiare anche il dissenso degli alleati più piccoli. Pdci, Verdi, socialisti, Di Pietro e Mastella si battono contro l'ipotesi di riforma elettorale messa il campo dal segretario del neonato partito (un misto tra il sistema spagnolo e quello tedesco). Franceschini li rassicura, ma nell'Unione si registra intanto una nuova tensione. È quella tra l'Italia dei valori e Lamberto Dini. Antonio Di Pietro e i suoi hanno attaccato l'ex premier per lo smarcamento dal centrosinistra, accusandolo di essere un "estorsore politico". La replica dei diniani è immediata e durissima: "Estorsione politica? Certamente Di Pietro parla di una cosa che conosce meglio di noi". Intanto, Mastella ribadisce: "Il referendum va evitato perché porta alla creazione di due partiti unici, uno di qua, l'altro di là. La riforma elettorale è la conclusione di un'operazione programmatica che deve vedere protagoniste le forze politiche. Eliminando questa fase di asprezza che c'è assai spesso sia all'interno delle coalizioni che tra le stesse coalizioni. L'Italia è un paese bipolare, non bipartitico". (lunedì 19 novembre 2007).


Il rischio delle mani libere (sezione: Riforma elettorale)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 19-11-2007)

 

Il Sole-24 Ore sezione: POLITICA E SOCIETA data: 2007-11-18 - pag: 10 autore: Lettera Il rischio delle "mani libere" di Giovanni Guzzetta* C aro direttore la fotografia della situazione italiana, tracciata da Stefano Folli sul Sole-24 Ore di ieri, non potrebbe essere più precisa. L'approvazione della legge finanziaria al Senato apre uno scenario complesso, nel quale si ripropone l'opportunità di un intervento sulle regole di funzionamento della democrazia, a cominciare dalla legge elettorale. Ogni opportunità contiene in sé dei rischi. Ma condivido, anche dal mio particolare punto di osservazione, che sarebbe grave non correre questi rischi. Purché sia chiara la direzione di marcia. Ed è questo, in realtà, il groppo di ambiguità che il dibattito di questi giorni non è riuscito a sciogliere e ha, in un certo senso, aggravato. Ci sono due modi di uscire dal-la crisi. Ma bisogna scegliere se si vuol diventare carne o pesce. Un modo è quello di tornare indietro,sacrificando tutto all'illusione che i processi politici, a cominciare dallo sviluppo dei soggetti a vocazione maggioritaria, possano da soli risolvere i problemi di sistema. In questa prospettiva si muove chi propone una legge elettorale che dia una spintarella ai partiti più grandi e riduca un po' il peso dei piccoli. La speranza è che ne seguano effetti virtuosi a catena. è lo schema della Dc degasperiana. Un partito grande che disciplina gli alleati e relega all'opposizione i partiti avversari. Questo schema, per mille ragioni, oggi non funzionerebbe. I soggetti a vocazione maggioritaria di oggi non hanno la solidità che aveva la Dc di De Gasperi. Il contesto politico è completamente diverso e gli aspiranti al gioco del governo sono molti di più.Così come gli schemi di gioco e le strategie delle alleanze post-elettorali. C'è chi ritiene che il bipolarismo sia ormai radicato. Certamente non è radicata la fedeltà di schieramento di molti partiti. L'esito paradossale di una strategia del genere sarebbe invece quello di indebolire i soggetti a vocazione maggioritaria. Perché da un partito del 30% non rifarne due del 15, ma con maggiore potere di interdizione e potenziale di coalizione? Aumenterebbe il peso dei partiti "centristi", veri e propri croupier del tavolo di governo. Aumenterebbe per i partiti delle estreme, che finalmente potrebbero abbandonare l'ambiguità di fare i partiti di lotta e di governo e tornare ad essere partiti di lotta e basta. Perciò non mi sorprende che Bertinotti e Casini, per ragioni diverse, coltivino questa strategia. Questo schema ha un rischio certo. Buttare a mare l'idea che ha costituito il cuore delle conquiste degli ultimi anni, sin dal referendum del 1993. L'idea che le maggioranze di governo le scelgono i cittadini e non sono rimesse alle manovre parlamentari, alle mani libere dei partiti. Per questo non convince la legge elettorale proposta da Veltroni. Non assicura la formazione di maggioranze, ma tutt'al più può dare una spintarella ai partiti maggiori.Il fatto che debba passare per le forche caudine di un negoziato- tritacarne rende probabile l'esito "né carne né pesce". E si aprirebbe la strada ai nostalgici delle "mani libere". L'altra strada è quella di migliorare il bipolarismo. Ed in questo senso mi pare si muova Folli. Ma perché ciò accada bisogna andare avanti e non mettere in discussione le conquiste ottenute. Ciò vuol dire, sul piano della legge elettorale, un sistema che premi significativamente la vocazione maggioritaria, assicurando quanto più è possibile il conseguimento di una maggioranza alle elezioni. A mio avviso il sistema che risulta dal referendum andrebbe molto bene. Ma si può pensare anche ad altro. Si dice: la legge elettorale non basta.Personalmente ritengo che potrebbe bastare se i famosi "soggetti a vocazione maggioritaria" avranno il coraggio di rischiare. Comunque, nulla impedisce ulteriori riforme.E ce n'è una sulla quale dovrebbero essere tutti d'accordo. Qualunque legge elettorale sarà sempre minacciata dallo sconcio di gruppi parlamentari che nascono e muoiono indipendentemente dai risultati delle elezioni. Bastano poche righe per affermare il principio inderogabile che i gruppi parlamentari debbano corrispondere alle singole liste che effettivamente si sono presentate alle elezioni, senza deroghe ed eccezioni. Si faccia subito una semplice riforma che eviti il trionfo del trasformismo, lo spacchettamento dei partiti dopo le elezioni. Una riforma dei regolamenti parlamentari senza trucchi potrebbe farsi domani. E renderebbe anche più credibile il dibattito sulla legge elettorale. Perché non si comincia da lì? Il resto sarebbe molto più facile. Certo, non si può escludere che anche in quel caso qualcuno evochi il "parlamentarismo coatto" ed invochi il diritto costituzionale allo spacchettamento. Ma almeno non potrà appellarsi strumentalmente alla Germania. Perché " persino" lì si fa così. * Presidente del Comitato promotore dei referendum elettorali IL MIO NO AL VASSALLUM Svanirebbe la conquista seguita al referendum '93: le maggioranze le scelgono i cittadini, non escono da manovre parlamentari.


ROMA Ora che anche Bossi ha riconosciuto l'errore di Berlusconi , il plenipo (sezione: Riforma elettorale)

( da "Messaggero, Il (Abruzzo)" del 19-11-2007)
Pubblicato anche in:
(Messaggero, Il)

 

Di CLAUDIA TERRACINA ROMA Ora che anche Bossi ha riconosciuto "l'errore di Berlusconi", il plenipotenziario leghista al tavolo delle trattative sulla legge elettorale, Roberto Maroni, è convinto che "confrontarsi è un dovere e che lo farà anche Berlusconi. Perchè gli conviene e per onorare il patto che ha stretto con la Lega a Gemonio, quando fu stabilito il percorso per evitare il referendum". Adesso però, onorevole Maroni, Berlusconi chiede solo e sempre il voto anticipato, anche se pare che Gianni Letta sia incaricato di trattare riservatamente con la maggioranza". "Una trattativa segreta, o comunque parallela sulla legge elettorale sarebbe un fatto gravissimo. Non siamo a Bisanzio. Non abbiamo bisogno di ambasciatori, nè di tavole appartate, o crostate. Dobbiamo piuttosto sederci tutti insieme a un tavolo istituzionale per confrontarci alla luce del sole". Tutti chi? La Cdl, dichiarata sepolta da Fini e Casini, o il nuovo partito del popolo delle libertà, annunciato da Berlusconi? "Tutto il centrodestra. Berlusconi sta pensando a un nuovo partito? Auguri, ma non è una cosa che riguarda noi leghisti. E' una vecchia fissazione di Silvio quella dei nuovi contenitori a cui cambia continuamente nomi. Ma così dimostra di non saper fare politica". Bossi vuol davvero trattare sulla legge elettorale, anche se ha firmato l'appello per il voto di Forza Italia? "Ovviamente. Del resto, questo era il percorso deciso insieme a Berlusconi. Siamo tutti con lui per tentare di mandare a casa Prodi, ma se questo non succede, e non è successo, si apre la fase due con il confronto per riformare l'attuale sistema elettorale. Questo è il patto e penso che Berlusconi lo onorerà senz'altro". Come riuscirete a convincerlo? "Ora insiste perchè aspetta di vedere se, per caso, il governo non cada sulle pensioni o quando la Finanziaria tornerà al Senato. Ma, alla fine, prenderà atto della realtà e cioè che in democrazia i governi cadono solo se in Parlamento viene meno la maggioranza che li sostiene. Cosa che non si è realizzata e che, secondo noi, non si realizzerà neppure nelle prossime settimane". Non crede però che l'opposizione, divisa come è, si troverà a trattare su posizioni più deboli? "Credo che sia folle dividersi ora e non condivido gli attacchi di Fini e Casini a Berlusconi, scatenati dalla sindrome del delfino e da problemi personalistici. Comunque, sono affari che non riguardano la Lega, che ha un patto trasparente con Berlusconi". Ma a voi leghisti piace il modello di legge elettorale proposto da Veltroni? "Noi chiediamo di sapere se quella proposta è condivisa da tutto il centrosinistra, cosa che, per ora, non sembra proprio. Certo, potrebbe anche darsi che il tutto sia un espediente per allungare la vita al governo, ma se c'è la volontà di trattare sul serio, abbiamo il dovere di andare a vedere le carte". Sempre che non prevalga l'ipotesi di un governo istituzionale.. "Inutile che circolino strane idee, che piacciono all'Udc e magari anche ad An. Noi non ci stiamo. La cosa più saggia è studiare un nuovo modello elettorale, basato sul ritorno del proporzionale, la scelta preventiva del premier e il premio di maggioranza. Credo che questa sia l'unica strada per la Cdl, anche se ora la vedo impantanata in liti che non porteranno nulla di buono. La Lega, comunque, va avanti. Se il governo arriva al 2009 sarebbe una pazzia illudersi di fare una continua guerriglia parlamentare, invece di usare il tempo in modo costruttivo per ottenere anche la riforma costituzionale, a partire dal Senato federale".


L'Unione è già finita, il Prof quasi (sezione: Riforma elettorale)

( da "Panorama" del 19-11-2007)

 

L'Unione è già finita, il Prof quasi CARLO PUCA governo Dopo il voto sulla Finanziaria, il futuro di Prodi sembra segnato. Dini è in uscita dalla maggioranza, Mastella tratta con Berlusconi. E adesso si gioca tutto sul tavolo della riforma elettorale. "Prodi l'ho fregato io, rispondendo sì al dialogo sulle riforme. Altro che Finanziaria: nel centrosinistra, il vero terremoto lo ha prodotto l'apertura sulla legge elettorale. E il terremoto, notoriamente, fa più crepe di qualche spallata". È un vispo Pier Ferdinando Casini quello che in piena votazione per la Finanziaria conversa amabilmente con i suoi "grandi amici", abituali per lui ma non per la grande stampa. Gente dell'associazionismo cattolico, appartenente al Movimento per la vita di Carlo Casini o al Movimento cristiano lavoratori di Carlo Costalli, e altri portatori di voti e valori (cattolici, s'intende). Sono tutti compagni di ventura in allarme per le voci sull'unione di fatto tra Savino Pezzotta, l'uomo del Family day, con il centrosinistra. "Aspetterei a vedere l'approdo di Savino, certo è che una netta smentita non è mai arrivata" è stato il commento di Casini agli amici, con i quali si è intrattenuto anche su altri temi. Anzi, sul tema dei temi, il più difficile da scandagliare: il futuro. Anche il leader dell'Udc ritiene che Romano Prodi sia politicamente finito, spallate o meno. Un Prodi bis, con metà ministri e Lamberto Dini dentro? Un governo utile ad approvare la legge elettorale? Può darsi che si facciano, può darsi di no. In ogni caso, se nuovo governo ci sarà, sarà a tempo. Ma quel che è più chiaro è il seguente postulato: "A decidere l'eventuale nuova legge elettorale per conto del centrosinistra sarà il premier ombra, Walter Veltroni" ha spiegato Casini ai suoi interlocutori. Resta da capire se il sindaco di Roma vorrà "finalmente buttare a mare la zavorra", la sinistra radicale dei Diliberto, dei Pecoraro e dei Mussi, "quella che si è ribellata quando ho aperto a Veltroni". Casini salva soltanto Bertinotti: "Ha tutto l'interesse a dialogare con noi. E noi a dialogare con lui sul sistema tedesco, non sul modello spagnolo mascherato di Veltroni. Se la proposta rimane questa, noi non ci stiamo. Nel frattempo, mal che vada, capitalizziamo le divisioni nell'Unione". E poi non è detto che non si vada al voto subito, già a marzo, come continua a sostenere Silvio Berlusconi. Ed ecco perché il leader centrista ha avvertito gli amici che sognano il grande centro sganciato dai poli: "La politica si fa sull'esistente. Se la legge elettorale rimane il porcellum, alle elezioni noi andremo con il centrodestra. Dialogo con la maggioranza sì, ma nessuna frattura insanabile con la Casa delle libertà". Anche perché sono tanti gli ostacoli sulla strada impervia del centrosinistra: i mal di pancia di tante parti dell'Unione, a cominciare da quelli di Dini; il modello spagnolo, che ha appunto diviso i piccoli partiti dai grandi; il referendum sulla legge elettorale, che si celebrerà a maggio o giugno. Su Dini la sensazione è che sia l'apripista di ben altri sommovimenti. Se ne è accorto per primo il quotidiano Europa di Stefano Menichini, la voce più vicina a quella del vicepremier Francesco Rutelli. Sommovimenti che di fatto sanciscono la fine dell'Unione, almeno nella versione prodiana. Succede quando metti assieme cani e gatti. Prendiamo il welfare. Già mercoledì sera il senatore ex di Rifondazione Franco Turigliatto denunciava il "colpo mortale alla stabilizzazione dei precari stabilito con il protocollo sul welfare", che pure a Dini non è mai piaciuto, ma per ragioni opposte. Essere comunista o essere liberale, questo è da sempre il problema di Prodi. Ma fin qui parliamo di singole personalità (o quasi). Il problema diventa ancor più sentito se la faccenda investe interi partiti, che già prima della Finanziaria si scannavano sull'ipotesi di legge elettorale proposta da Veltroni. Willer Bordon, a capo della neonata Unione democratica, dice apertamente che "è meglio staccare la spina che il Veltronellum". Cesare Salvi ribadisce che in Russia "c'è una soglia di sbarramento del 7 per cento, ma almeno è chiara e non mascherata come quella di Walter". Massimo D'Alema organizza con la sua fondazione, la Italianieuropei, convegni bipartisan dai quali emerge un modello diverso da quello veltroniano. Insomma, ognuno va per la sua strada. Soprattutto Mastella. Lui, il Clemente nazionale, finora ha criticato l'operato della maggioranza ma si è ben guardato dal far aprire la crisi alla sua Udeur. Ma con la legge elettorale cambia tutto. A suo tempo diede a Prodi una scadenza precisa: "Caro Romano" spiegò "piuttosto che far passare il referendum elettorale, faccio tornare il Paese alle urne". Oggi che il pallino ce l'ha in mano Veltroni, la posizione non è cambiata. Anzi, è diventata ancora più critica. Il leader dell'Udeur sospetta quello che sospettano (quasi) tutti, Casini compreso, che anche per questo non alza i toni contro il Cav di lotta e di postgoverno. Qual è il sospetto? Semplice: che il sindaco di Roma abbia fatto la sua proposta sapendo che non passerà; quindi potrà cavalcare "da vittima del sistema dei partiti" (Mastella) il referendum; ottenuta la nuova legge elettorale per via referendaria, a quel punto vorrebbe anche le elezioni politiche. Dato questo calendario, si celebrerebbero più o meno nell'autunno 2008, dopo aver assicurato al 30 per cento dell'attuale Parlamento il raggiungimento dell'agognato vitalizio, il vero punto critico per la fine della legislatura. E così Mastella ha riaperto un canale con Berlusconi (e viceversa). Cosa si siano detti i due la settimana scorsa trapela soltanto come ragionamento. In pratica, "Clemente" ha fatto notare "all'amico Silvio" che stante il referendum la più interessata a tornare alle urne è proprio l'Udeur. Ma che il passaggio al centrodestra è prematuro. Però, dal punto di vista di Forza Italia, si giustificherebbe con un atto politico forte: un patto di desistenza che non vincolerebbe il Campanile al programma della Cdl. Sarebbe il Mastella delle semilibertà. Fatto sta che con il "Porcellum" e il Clemente desistente, in caso di voto Berlusconi potrebbe vincere al Senato anche in almeno tre regioni finite al centrosinistra nel 2006. E garantirsi così a Palazzo Madama una maggioranza più sicura di quella che ha snervato Prodi, al netto dei senatori a vita. Il Cavaliere ha blandito Mastella, nonostante gli alleati, che in caso di accordo con l'Udeur non sarebbero propriamente contenti. Così come sono già scontenti per il fiorire di partiti satellite di Forza Italia, dalla Dca di Gianfranco Rotondi al Pdl di Michela Vittoria Brambilla. Ma per rimediare alle "intemperanze degli alleati", così le definisce in privato Berlusconi, "c'è sempre tempo e modo". Il leader di Forza Italia ha già in mente una sua "exit strategy" per le prossime settimane. Prima la raccolta di 5 milioni di firme per chiedere di andare al voto il prima possibile; poi, in caso di necessità, lo scavalco di Casini e Fini sul dialogo con Veltroni; infine, sempre in caso di necessità, la cavalcata verso il referendum. Non a caso dal quartier generale del comitato referendario giunge notizia di una cordiale telefonata del Cavaliere al coordinatore Mario Segni. Telefonata arrivata dopo che Segni aveva bocciato Veltroni attraverso il quotidiano La Stampa: "Walter ha sempre detto di ispirarsi a Kennedy", ha accusato Segni "ma si sta comportando come un voltagabbana, si sta rimangiando 15 anni di battaglie fatte con noi per il maggioritario e per il sindaco d'Italia". E ancora: "Ha ragione Berlusconi, questa è una proposta che riporta indietro l'Italia di 20 anni". Letta l'intervista, il Cav ha pensato che un ringraziamento bisognava farlo, in attesa degli eventi e di un via libera di Umberto Bossi, il capo leghista che mentre i due Roberto, Calderoli e Maroni, aprivano alla possibilità di dia logare con l'Unione, se n'è stato calmo e zitto. Del Senatur resta l'ultima dichiarazione sul punto, quella del 23 ottobre: "Siamo alla fine di un governo. Andiamo alle elezioni. Non c'è più tempo per fare una riforma elettorale". Gianfranco Fini ritiene invece che Berlusconi prima o poi approderà al referendum, se ci si arriverà. "È troppo sveglio per non cavalcarlo", ha spiegato ai suoi collaboratori il leader di Alleanza nazionale. Che pure non ha ancora perdonato al Cavaliere di aver sponsorizzato la nascita della Destra di Francesco Storace. Certo, i veleni restano. Ma anche per Fini non è più tempo di fare le facce troppo feroci, meglio aspettare il dopo-elezioni per riaprire le grandi ferite. Esattamente come all'epoca tribolata della convivenza con Marco Follini.


Legge elettorale caos totale (sezione: Riforma elettorale)

( da "Opinione, L'" del 19-11-2007)

 

Oggi è Lun, 19 Nov 2007 Edizione 251 del 19-11-2007 Al convegno voluto dalla fondazione "Italianieuropei" mille tesi a confronto Legge elettorale caos totale di Barbara Alessandrini Prove generali di dialogo sulla riforma della legge elettorale. Non, però, almeno al momento e presumibilmente fino al giorno della caduta del governo Prodi, per il leader della Cdl Silvio Berlusconi. Che ieri pomeriggio, al convegno organizzato dalla Fondazione Italiani-europei dal titolo "Legge elettorale: una sfida per la politica" ha fatto il convitato di pietra. Tenendo il punto sulla sua posizione di chiusura alla modifica della legge che regolamenta il voto, di cui ufficialmente Berlusconi ritiene giusto cambiare solo "la parte che riguarda l'attribuzione del premio di maggioranza da regionale a nazionale". Anche se, al di là dei tecnicismi che inducono il Cavaliere a ricordare al centrosinistra il buon funzionamento dell'attuale legge alla Camera e ad rimarcare che " noi al Senato abbiamo vinto con 250mila voti in più e i signori della sinistra riescono ad avere la maggioranza al Senato soltanto appoggiandosi ai voti dei senatori a vita", il punto è ben altro. Non concedere alla coalizione di maggioranza alcun margine di trattativa fino a quando non avrà la testa di Romano Prodi. Questa la sostanza del comportamento con cui Berlusconi ha replicato sia al leader del Pd Valter Veltroni sia al ministro degli Esteri Massimo D'Alema sia a Palazzo Chigi impegnati ad invitare il Cavaliere al dialogo sulle riforme. Anche il vicepresidente del gruppo dell'Ulivo al Senato Nicola La Torre ha rinnovato l'invito al Cavaliere. " Si puo' essere o meno d'accordo con l'azione del governo, e su questo e' chiaro il nostro giudizio e' diverso da quello di Berlusconi e della Cdl, ma che in Italia la riforma della legge elettorale non sia più rinviabile è un fatto incontrovertibile, sul quale Forza Italia farebbe bene a riflettere. Ora si apre una nuova fase politica, una fase in cui il muro contro muro non e' produttivo. Dobbiamo dialogare per varare una riforma della legge elettorale che sia il piu'possibile condivisa". Ora, al di là dei calcoli politici, Berlusconi, mantenendo la sua linea dura che gli impone di non gettarsi in questa arena del confronto, rischia anche di avvalorare di fronte ai suoi elettori quell'immagine di leader restio ai teatrini della politica. Dato che la discussione sulla legge elettorale ancora di nitido ha ben poco. Ad ognuno i suoi tatticismi. Le posizioni emerse dalla convention di ieri pomeriggio sono a dir poco articolate e l'impressione è che sebbene Veltroni abbia indicato nella sua ricetta chiari principi di massima (stabilità al governo; proporzionale che eviti la frammentazione senza il premio di maggioranza ma con un vero bipolarismo programmatico e possibilità per i cittadini di scegliere gli eletti o con liste ridotte o con collegi uninominali), ancora molta chiarezza debba essere fatta in materia di riforma elettorale. Lo stesso professor Giovanni Sartori, un guru in materia,ha bocciato la proposta Ceccanti- Vassallo elaborata per ricercare una convergenza tra maggioranza e opposizione sulla riforma elettorale. Sartori ha infatti puntato il dito contro il cosiddetto modello ispano-tedesco considerato "troppo furbo" poiché' fonde due voti diversi: quello espresso con la proporzionale e quello maggioritario. "Dichiaro di essere contro, senza se e senza ma -ha spiegato il politologo - al premio di maggioranza. E' nefasto e lo sconsiglio. Con il sistema parlamentare italiano, che prevede 20-25 partiti, la coalizione che vince prende tutto e mette insieme cani e gatti, porci e cani. Questo non va bene" . Stesse corde per quella che il Professore ha definito " la miscela ibero-tedesca" che " mi lascia perplesso plesso in quanto mi sembra che questo sistema sia più' spagnolo che tedesco e si perde in meandri che pochi riescono a capire. Credo sia stato escogitato per ragioni di furbizia, per aggirare la soglia di sbarramento che molti partiti non vogliono". Di parere opposto il costituzionalista Stefano Ceccanti, autore della proposta e convinto che " non c'è maggioranza per arrivare ad una riforma elettorale sul modello tedesco, che comunque nel contesto italiano porterebbe ad un sistema peggiore di quello che potrebbe scaturire dal referendum. "Italiaieuropei". Oltretutto " il tedesco puro -spiega Ceccanti- ci porterebbe probabilmente alla grande coalizione A torto o a ragione (io credo a ragione) anche settori significativi del Pd e della maggioranza ritengono che un sistema cosi' fotografico come quello tedesco potrebbe avere come conseguenza più probabile, nel nostro contesto, una spinta verso la grande coalizione, con un nuovo blocco al centro della democrazia senza alternative". Di fatto un richiamo ufficiale al ministro dell'Interno Giuliano Amato che la scorsa estate ne parlò. E proprio a parere di Amato non basta cambiare la legge elettorale se regolamenti parlamentari e "norme di contorno" rimangono gli stessi. Tanto che secondo il ministro prima che sulla legge elettorale e' necessario intervenire prima su questi due aspetti al fine di consentire al modello elettorale di contenere la frammentazione parlamentare. Mentre ora i partiti si riuniscono nelle coalizioni e si presentano agli elettori ma una volta giunti in Parlamento ognuno va per conto proprio. Infine, "ora che siamo diventati grandi più grandi -ha continuato ritengo sarebbe bene evitare il viagra del premio di maggioranza". Convinto che "la vocazione del Pd è quella di concorrere ad una nuova legge elettorale che abbia il maggior consenso possibile e veda la convergenza con le forze dell'opposizione" Francesco Rutelli, il cui cuore batterebbe per il sistema francese, ha però proposto di adottare il sistema tedesco "ma senza snaturarlo". Disponibilità al confronto è stata espressa dal capogruppo di An Ignazio La Russa copnvinto che "per arrivare presto alle elezioni la strada migliore passa attraverso una nuova legge elettorale". Ma con due paletti: " il no alla frammentazione", e il fatto che per noi il bipolarismo è una bandiera". Aspetto non secondario "senza un reale premio di maggioranza il bipolarismo e' una scommessa: siamo pronti ad ascoltare proposte, ma finora nessuna convincente e' arrivata". E Maroni? "La Lega - ha detto il capogruppo alla Camera del Carroccio ? è contro il Referendum a tutti i costi, ribadisce l'intenzione di dialogare se il percorso è serio e non un modo per tirare a campare ed è favorevole al sistema proporzionale, all'indicazione del candidato premier prima delle elezioni come criteri per il nuovo testo di legge". Ma nessun appoggio per prolungare l'agonia dell'esecutivo. Allora, tutti d'accordo?.


(continua dalla prima pagina) Roberto (sezione: Riforma elettorale)

( da "Gazzettino, Il" del 19-11-2007)

 

(continua dalla prima pagina)Roberto Maroni ha il mandato di un irritato Umberto Bossi a trattare con la sinistra per modificare la legge elettorale e evitare il referendum.Quando scoprirà le carte?"È una posizione che teniamo da tempo quella di capire se la maggioranza sia disponibile a un'iniziativa seria sul piano delle riforme; così come annunciato".In quel caso..."Da un anno abbiamo aperto discussioni col ministro Chiti, ed esponenti della maggioranza. Che hanno preso un impegno di fare una proposta sul federalismo fiscale, sul Senato Federale e sulla legge elettorale".Tre cose che possono cambiare il volto di un paese...."Soprattutto la legge elettorale è un tema di grande attualità. Perché se non si fa nulla fra otto mesi ci sarà ci sarà un referendum".Disponibili a..."A certe condizioni. La prima: che non si confonda l'azione di governo col Parlamento. Le riforme le fa il Parlamento e questo non significa, ne può significare per noi, un sostegno al Governo".Governo che..."Soprattutto su sicurezza, immigrazione e tasse è quanto più distante ci sia dalla nostra posizione. Ma quando abbiamo chiarito che non c'è alcun sostegno al governo...".In quel momento?"Se Prodi va avanti fino al 2009: non vedo perché in Parlamento non si possa discutere di riforme...".Lei che dice?"Dopo il voto dell'altro ieri credo che quella che il governo resti sia una possibilità molto concreta. Purtroppo...".E tutte 'ste firme che Forza Italia raccoglie contro il governo quanto valgono?"Le due cose sono distinte: per noi l'obiettivo è far cadere il governo; ma se Prodi sta su fino al 2009 possiamo passare il tempo tutti giorni a chiederne le dimissioni. Oppure...".Oppure?"Cercare di fare qualcosa di buono in Parlamento. Se il Professore resta al governo - senza aiutarlo - preferisco, francamente, se esiste una maggioranza, fare la riforma federale".Bossi è apparso molto scorato nei confronti de Berlusconi che prevedeva "spallate" a Prodi ogni due giorni. È anche un sentimento diffuso nella Lega?"Molto, come quel sentimento che dice: finora siamo stati buoni e tranquilli dietro Berlusconi. Abbiamo assecondato la sua strategia, perché siamo stati leali. Però adesso dovremo capire che posizione tenere visti i futuri appuntamenti".Capire quanto rimane su il governo e che altro?"Che ha mente Berlusconi... Come diceva Mao "c'è grande confusione e quindi la situazione è eccellente". Si riaprono tutti i giochi".Cosa pensa Berlusconi?"Di far cadere il governo. È un sentimento diffuso ma non basta".Perché?"Perché come si è visto - e questa è la novità vera di questi giorni - quelli che Berlusconi pensava che avrebbero dovuto ribellarsi per far cadere Prodi in realtà avevano in mente un'altra cosa".Del tipo?"Dini, Manzione...hanno in mente non di far cadere Prodi e di andare a votare bensì di farlo cadere. E far nascere un governo, ma istituzionale".Magari con loro alla guida?"Esattamente. È per questo che non l'hanno fatto cadere adesso. Se Prodi cade ora si fa a votare. Se cade a febbraio non c'è più tempo per andare a votare e allora si dà vita ad un governo dei lobbisti".Vi piacerebbe?"Per noi sarebbe peggio del governo Prodi!. Non ci stiamo a fare il gioco di chi vuole mandare al governo gente che nessuno ha votato, nessuno ha eletto. Il governo dei lobbisti, il governo tecnico sono la negazione della democrazia".Federalismo fiscale, senato federale e legge elettorale: mica direte solo si o no?"Non partiamo da zero: ci sono già numerose proposte sulla legge elettorale; e per il Senato Federale siamo già alla discussione in aula dopo averla discussa in commissione alla Camera. Siamo già avanti. Per il federalismo fiscale c'è la proposta approvata dal governo in agosto: è già in commissione. Ci sono proposte del governo e nostre: bisogna capire se esistano condizioni per discutere, approvandole".Strade più concrete?"Sì, anche c'è molta ideologia diffusa e molto personalismo. elementi che nuocciono all'approccio concreto che ha la Lega: non siamo ideologici. Vogliamo affrontare e risolvere i problemi con molto pragmatismo: ciò che serve al Nord va bene. Se non serve non va bene. A prescindere da chi offre sostegno".Stop al muro contro muro?"Noi siamo l'ancoraggio al pragmatismo, speriamo che finisca tutto quello che radicalizza i problemi".Lei con chi parla dell'Unione?"Ce ne sono tanti di uomini che possono guidare queste trasformazioni. Si tratta di capire se ci siano confluenze politiche di là dei singoli".Concretamente?"Spesso col presidente della Camera Bertinotti che pure appartiene ad un partito ideologico. Ma essendo lui del Nord si rende conto che il Federalismo serve. È persona assai ragionevole come ce ne sono tante nell'Unione".Lo scenario dentro la Cdl?"Mi pare semplice: se, come credo il Governo non cade sulla Finanziaria allora è evidente che resterà fino al 2009. Questi 18 mesi davanti dovrebbero tutti, primo Berlusconi, a dire: mettiamoci d'accordo per il Senato federale e la Legge elettorale".Fiducioso?"Dubito perché i pasdaran di tutti i partiti si impegnerebbero solo a impedire le riforme, non a far cader il governo. E ci sono le questioni interne ai partiti...".Casini. Fini- Come stanno le cose nella Cdl?"Anche qui ci sono difficoltà, però non è un problema nostro. Prima o poi, se non cade Prodi, si chiarirà la strategia. Ma credo quella del confronto la più utile".Il 16 la Lega manifesta."Per la sicurezza che è emergenza vera al Nord: denunceremo l'incapacità del governo. Un recente sondaggio di Mannheimer dice che il 51\% di italiani è favorevole alle ronde: controllo e presidio del territorio l'abbiamo inventato noi. Poi il federalismo".Se cadesse il governo?"Subito alle elezioni e non vedo negativamente la legge elettorale vigente."Torniamo all'Unione."Sentirò Veltroni che mi aveva già chiesto incontro, ma abbiamo atteso in vista finanziaria. Ci vedremo la settimana".Casini e Fini?"Ci sentiamo tutti i giorni. Ma lei sa che a noi non interessa la leadership della Cdl...".Adriano Favaro.


"RAI..fondazione" o "Ri..affondazione"? (sezione: Riforma elettorale)

( da "AprileOnline.info" del 19-11-2007)

 

Gianni Rossi, 19 novembre 2007 Politica Siamo ormai all'emergenza istituzionale e aziendale per Viale Mazzini. Il rischio è che, continuando con le battaglie legali o lasciando questo tema, fondamentale per le sorti della democrazia e per la formazione dell'opinione pubblica, subito dopo una nuova tornata elettorale, se vincesse il centro-destra, Berlusconi resterà così il proprietario dell'interruttore unico mediatico. Intervista a Giuseppe Giulietti, parlamentare Ulivo e portavoce Articolo 21 Dopo la sentenza del TAR del Lazio sulla RAI, che ha dato ragione in parte al consigliere Angelo Maria Petroni, espressione di Forza Italia, c'è ora il rischio che la "questione RAI" venga gestita con metodi e rimedi che già nel recente passato hanno procurato la crisi cui assistiamo. La "questione RAI", invece è un'emergenza politica di grande rilevanza, come la riforma elettorale e il conflitto di interessi. L'eventualità di non prendere una soluzione immediata, legandola invece alla nuova stagione di riforme, che da sinistra e da destra si invoca, è concreta. I danni immediati sarebbero incalcolabili, sia per il sistema democratico, sia per il futuro industriale del Servizio pubblico. Per queste ragioni Articolo 21 lancia un appello alle forze del centro-sinistra, ma anche a quei settori del centro-destra che in questi ultimi giorni sembrano aver intrapreso una via di marcamento dalle sorti iconoclastiche del "padre-padrone" dell'opposizione. Silvio Berlusconi: aprire un dialogo concreto sulla riforma della "governance" RAI, così come proposta dalla legge del ministro Gentiloni, arrivando ad una sua rapida approvazione; opporsi a qualsiasi escamotage che utilizzi l'attuale fonte di nomina, così come prevista dalla scellerata legge Gasparri; mettere in grado il vertice di Viale Mazzini di proseguire nell'attuazione del Pian o industriale e del Piano editoriale, senza che la Commissione di Vigilanza si erga a vero e proprio "contro-CDA" del Servizio pubblico. Come proposta di lavoro, mi sembra piuttosto impegnativa... Bisogna finirla di fare finta che si possa scorporare la questione della RAI dal più generale tema della legge elettorale e dell'assetto dei media. In che senso? Milioni e milioni di italiani,tra le altre ragioni per le quali ci hanno dato il voto, vi era anche la necessità di superare la legge elettorale "porcata", ma anche di cancellare quelle altre autentiche "leggi porcate", rappresentate dal conflitto di interessi e dalla legge Gasparri, che ha sancito il controllo integrale da parte dei governi e dei partiti sulla RAI. Se, per disgrazia, si dovesse tornare al voto tra qualche mese anche con una nuova legge elettorale, e la destra berlusconiana dovesse tornare a vincere, senza colpo ferire e senza dover abrogare alcunché, riassumerà il controllo integrale del sistema radio-televisivo. Noi torneremo a fare i cortei ( sempre meno credibili) , l'Europa si indignerà e Berlusconi se la riderà! Non ci sarà nemmeno bisogno di un altro editto bulgaro, nemmeno dalla sua villa Certosa in Sardegna! Basterà che il "portatore sano di conflitto di interessi", Berlusconi, applichi le norme attuali, che sono le stesse approvate durante il suo passato governo, e le medesime che hanno suscitato scandalo in tutto mondo liberale. Se non si cambia questo sistema, Berlusconi resterà così il proprietario dell'interruttore unico mediatico. Uno scenario a tinte fosche, dunque. Ma cosa proponi di fare? E' quindi necessario che questo tema generale del sistema dei media, e non solo la RAI, entri finalmente nelle priorità del governo e della maggioranza. Che sia considerato un argomento di prima grandezza e che sia connesso alle modalità dell'esercizio del voto, come avviene in qualsiasi altro paese civile occidentale. E' assolutamente necessaria una riunione della maggioranza ai più altri livelli su questi argomenti, per costruire il più largo e convinto schieramento a favore della riforma Gentiloni. E una maggioranza più solida e compatta potrà dialogare positivamente anche con l'opposizione. Attualmente vedo in giro troppi trasversalismi deteriori. Troppi interessi particolari che tendono a prevalere su quelli generali. Dopo la sentenza del TAR allora cosa dovrebbe cambiare per la RAI? Intanto, mi auguro che un giorno qualcuno voglia spiegarci le ragioni per le quali si è deciso di procedere in quel modo e nei confronti del solo consigliere Petroni e, scartando invece la strada di procedere contro i 5 consiglieri che, nominando Meocci a Direttore generale, avevano provocato un gravissimo danno patrimoniale. C'è qualcosa in questa vicenda che non mi ha mai convinto, che resta misteriosa... Penso che in questo momento la priorità non possa essere data alla battaglia in tribunale, ma alla necessità di assicurare subito una nuova fonte di nomina all'interesse del Servizio pubblico. Per quanto ci riguarda, come Articolo 21 daremo un nostro appoggio, a cominciare dalla proposta di legge Gentiloni, ma solo e soltanto ad una legge che in modo chiaro ed inequivocabile metterà fine all'attuale metodo, metterà alla porta qualsiasi governo e ridurrà drasticamente l'interferenza dei singoli partiti nella gestione del CDA e dell'azienda RAI. Ci sembra inoltre che non sia più tollerabile per la stessa azienda e la sua sopravvivenza che esistano due Consigli di amministrazione, con la stessa uguale fonte di nomina: uno a Viale Mazzini e un'altra, la Commissione di vigilanza, a via San Macuto. E' del tutto evidente che uno dei due organismi, in questa condizione, è assolutamente superfluo e vada abrogato. Dal momento che questo CDA, comunque, è arrivato alla sua scadenza naturale, e che non è neppure ipotizzabile che si possa utilizzare la Gasparri a parti invertite, è del tutto evidente che le decisioni e i provvedimenti conseguenti debbono essere assunti nei prossimi giorni. Senza dimenticarsi che la televisione pubblica è dei cittadini che pagano il canone e che pretenderebbero di vedere dei cambiamenti attraverso l'audio e il video, nel segno della qualità, dello stile, della fantasia e dell'innovazione alta verso la produzione. In queste condizioni, invece, mi sembra difficile che un'azienda così complessa possa approvare Piano industriale e Piano editoriale e dare segnali forti di cambiamento ai propri abbonati. Giovanni Minoli ha parlato nei giorni scorsi di una necessità di una "RAIfondazione"... Ho la sensazione che siamo alla vigilia di una "Riaffondazione" del Servizio pubblico, a tutto vantaggio dei soliti noti, anzi del notissimo e solitissimo padre-padrone dell'opposizione.


Berlusconi pronto a incontrare Veltroni: <Riforma elettorale e poi il voto> (sezione: Riforma elettorale)

( da "Sole 24 Ore Online, Il" del 19-11-2007)

 

Berlusconi pronto a incontrare Veltroni: "Riforma elettorale e poi il voto". commenti - | | 19 novembre 2007 ANALISI No di Fini a Berlusconi: An non confluirà nel Partito del Popolo ANALISI L'idea ambiziosa del Cavaliere di Stefano Folli Berlusconi fonda nuovo partito Riforma elettorale, la proposta Veltroni Sondaggio/ Il nuovo partito di Berlusconi Processo Mediaset: per Berlusconi prescritta l'accusa di falso in bilancio Nel corso della conferenza stampa a Roma di presentazione del suo nuovo partito, Silvio Berlusconi si dice pronto ad incontrare il leader del Pd, Walter Veltroni. E fa sapere che la riforma elettorale si può fare con questo governo. Ma la sua apertura al dialogo riguarda solo ed esclusivamente la riforma della legge elettorale. Subito dopo, ha detto Berlusconi, si deve andare al voto. "Solo se c'è l'assicurazione che dopo l'approvazione di questa nuova legge elettorale si va al voto", c'è la sua disponibilità. Per quanto riguarda invece la riforma istituzionale per Berlusconi se ne dovrà occupare il nuovo parlamento. Il nuovo partito guidato da Silvio Berlusconi si chiamerà "Popolo delle libertà o Partito delle libertà". Lo ha detto il leader di Forza Italia nel corso della conferenza stampa a Roma, al Tempio di Adriano. Il nome, ha aggiunto Berlusconi, "sarà scelto da un assemblea di cittadini". Il simbolo, però, sembra già pronto: un contrassegno tondo di sfondo verde con in basso a destra i colori della bandiera italiana e la scritta in blu, in grande e in stampatello, "Il popolo della libertà". Berlusconi ha detto che il nuovo partito "sarà il corrispondente dell'European people party, perché noi siamo parte della famiglia della libertà in Europa". "Non possiamo deludere e disperdere la forza di 10 milioni di cittadini", ha proseguito Berlusconi, riferendosi alle firme raccolte da Forza Italia in tutta la penisola nelle giornate di venerdì, sabato e domenica per chiedere il ritorno alle urne. "È nostra intenzione che il nuovo partito nasca non come una fusione a freddo, come il Pd, ma dal basso, dalla gente - ha commentato Berlusconi - Per questo, nel prossimo week-end ci saranno ancora gli stessi gazebo per raccogliere le adesioni al nuovo partito".


Berlusconi: Prodi faccia proporzionale, poi si voti (sezione: Riforma elettorale)

( da "Reuters Italia" del 19-11-2007)

 

7.25 Versione per stampa ROMA (Reuters) - Silvio Berlusconi, annunciando oggi la nascita del suo nuovo partito, ha proposto che il governo Prodi faccia in tempi rapidi una nuova riforma elettorale in senso proporzionale con soglie di sbarramento e che poi si vada al voto. Dopo l'annuncio di ieri, quella di oggi è apparsa come il compimento di una vera e propria virata nella politica del leader di Forza Italia che, come chiedevano i suoi alleati, non insiste più sulla caduta del governo Prodi ma anzi chiede all'attuale governo ("non è nelle possibilità delle opposizioni di far cadere un governo") di approvare in tempi brevi una riforma elettorale alla tedesca. "Non difendiamo più l'attuale legge elettorale [...]. Alla fine mi sono dovuto rendere conto che il bipolarismo non è qualcosa che può funzionare per il governo del nostro Paese. Da qui la scelta di un sistema proporzionale puro con uno sbarramento che possa evitare il frazionamento", ha detto Berlusconi. Secca anche la bocciatura di un governo istituzionale, proposta avanzata da Lamberto Dini nei giorni scorsi, per fare le riforme istituzionali, riforma elettorale inclusa: "Con questo governo si può fare benissimo", ed ha anche detto di "non avere mai parlato di far cadere il governo perché non è nelle possibilità delle opposizioni di far cadere il governo". Per il nuovo partito partecipare a questo processo di riforma elettorale avrà come unica condizione "l'assicurazione che una volta approvata la legge elettorale si vada subito al voto". Berlusconi è stato molto duro con i suoi attuali alleati, ed ha avuto parole di ringraziamento solo per il leader della Lega Umberto Bossi, con il quale ha detto di avere parlato oggi. Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini non li ha mai citati direttamente ("non si risponde alle piccole polemiche del momento", ha risposto a chi gli chiedeva un commento alle critiche ricevute dai due alleati). Circa il nuovo partito, che si dovrebbe chiamare Il popolo delle libertà -- come mostrava il simbolo mostrato alle spalle di Berlusconi nel corso della conferenza stampa --, ha detto che sarà formato nei prossimi tempi e che "avrà regole strette di democrazia: sono il primo a mettere a disposizione la mia responsabilità", lasciando intendere quindi di pensare che passeranno almeno alcuni mesi prima delle prossime elezioni. Il nome ed il simbolo del partito saranno decisi democraticamente: "Non c'è altra via per assumere la rappresentanza che passare da assemblee ed elezioni interne e le porte saranno aperte a tutti".


BERLUSCONI: DIALOGO, SOLO RIFORMA ELETTORALE E POI VOTO (sezione: Riforma elettorale)

( da "Wall Street Italia" del 19-11-2007)

 

Berlusconi: dialogo, solo riforma elettorale e poi voto di ANSA Disposto a incontrare Veltroni, punta a proporzionale puro -->(ANSA) - ROMA, 19 NOV - Berlusconi fa sapere che la sua apertura al dialogo riguarda solo la riforma della legge elettorale, subito dopo si deve andare al voto. Per quanto riguarda la riforma istituzionale per Berlusconi se ne dovra' occupare il nuovo parlamento. In questo senso, ha detto di essere disponibile 'nell'immediato ad un incontro a questo fine' con Veltroni su una proposta di riforma elettorale ed ha parlato di 'proporzionale puro con sbarramento'. Con una precisazione: Il bipolarismo 'oggi in Italia, con queste forze politiche, con queste individualita', non e' piu' possibile'. Anche se, ha ammesso, le riforme 'si possono fare benissimo anche con questo governo'. L'ex premier si e' poi soffermato sulla nuova formazione: si chiamera' 'Popolo della liberta'' o 'Partito della liberta'', lo decidera' un'assemblea, e sara' il corrispondente dell'European people party. Qualunque sia il nome, il nuovo partito non nascera' 'come una fusione a freddo, come il Pd, ma dal basso, dalla gente. Per questo, nel prossimo week-end ci saranno ancora gli stessi gazebo per raccogliere le adesioni'. Berlusconi comincera' un tour in tutta Italia. Agli alleati lancia un appello a confluire poiche' 'il programma e' chiaro, quello dei nostri 5 anni di governo'.(ANSA).


Riforme/ Palazzo Chigi: positive le disponibilità al dialogo (sezione: Riforma elettorale)

( da "Affari Italiani (Online)" del 19-11-2007)

Argomenti: Esempi esteri

Lunedí 19.11.2007 19:12 --> "Sulle riforme si è già lavorato in Parlamento. Il dialogo, ad esempio sulle riforme istituzionali alla Camera, c'è stato e va rilanciato. Ci sono già forze di opposizione che hanno dato il loro assenso al dialogo. Se, per ultime, arrivano ulteriori disponibilità a dialogare, le accogliamo in modo favorevole". Lo affermano fonti di Palazzo Chigi sulla posizione del partito di Silvio Berlusconi. I giornalisti sottolineano che Berlusconi sarebbe disponibile a dialogare sulla legge elettorale a patto di andare subito dopo al voto... "Il dialogo - commentano le stesse fonti di palazzo Chigi - non può avere dei però...". Alla domanda se il Governo sia favorevole ad un sistema elettorale di tipo tedesco, le fonti di palazzo Chigi replicano: "Il Governo non parla di sistemi elettorali". D'ALEMA: SEMPRE STATO FAVOREVOLE AL SISTEMA TEDESCO. Alla richiesta di un commento sulla nascita a destra del Partito del popolo della libertà, il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, ha risposto che si tratta di una "una situazione complessa che va studiata prima di fare dichiarazioni troppo affrettate". Poi, però, a chi gli chiede se tutto questo non lasci intravedere la fine del maggioritario, D'Alema ricorda "di non essere mai stato contrario ad una riforma del sistema elettorale basata sull'impianto tedesco". Il ministro degli Esteri dice di averne parlato ancora di recente in un convegno, dove "Fabrizio Cicchitto (vicecoordinatore di Forza Italia, ndr) ha detto che non se ne parlava nemmeno. Dopo pochi minuti - ha scandito Massimo D'Alema - è stato smentito da Berlusconi. Ma questo è un problema loro". -->.


Nel 2008 si rinnova il Consiglio con la riforma varata ad agosto (sezione: Riforma elettorale)

( da "Stampa, La" del 20-11-2007)

 

Sfiducia costruttiva e "quote rosa" al 20% La novità prevede anche il doppio turno Nel 2008 si rinnova il Consiglio con la riforma varata ad agosto Tutto come è oggi: i referendum sulla riforma elettorale non hanno raggiunto il quorum, quindi nella primavera del 2008 i cittadini andranno a votare per il rinnovo del Consiglio regionale secondo il sistema che è stato riformato ad agosto con un'ampia maggioranza, 30 "Sì" su 35 consiglieri. Secondo le leggi in vigore il sistema resta proporzionale, così come il numero degli amministratori pubblici che siederanno nell'assemblea di piazza Deffeyes: 35. Ciò che cambia rispetto al 2003 è che è previsto un doppio turno di votazione qualora nessuna lista raggiunga i 18 seggi, oppure superi il 50 per cento dei voti validi. Se la maggioranza non viene raggiunta, ma viene superata la soglia del 50% allora scatta il premio dei 21 seggi. Premio che scende a 18 per chi vince al secondo turno. L'altra novità è rappresentata dalla possibilità delle coalizioni. Le preferenze, invece, restano invariate: ogni elettore può esprimere tre preferenze (la proposta referendaria ne indicava soltanto una). Al contrario di quanto indicato dai referendum il governo regionale viene eletto dal Consiglio fra i 35 consiglieri. La riforma di agosto ha poi introdotto la sfiducia costruttiva, la possibilità cioè di cambiare l'intero governo senza interrompere la legislatura e andare al voto anticipato. Per farlo però ci vuole un governo alternativo che abbia i voti e che presenti al Consiglio l'intera giunta con un programma dettagliato. La proposta referendaria divideva governo da Consiglio che condividevano però l'identico destino in caso di presidente sfiduciato. Si doveva cioè tornare alle urne. L'ultima novità della riforma in vigore è quella delle "quote rosa": ogni lista ha un limite minimo del 20 per cento. Il referendum chiedeva fosse il 33.\.


Politici ancora in trincea Caveri: "Esco rafforzato" (sezione: Riforma elettorale)

( da "Stampa, La" del 20-11-2007)

 

REFERENDUM.NON SI PLACA LO SCONTRO Nuovo ospedale Politici ancora in trincea Caveri: "Esco rafforzato" Il presidente annuncia "La legge va migliorata ma non lo faremo in questa legislatura" Ipotesi bocciata dagli elettori [FIRMA]ENRICO MARTINET AOSTA E adesso? Scivoleranno ancora veleni a inquinare politica e società? I referendum naufragano, gli elettori non rispondono. I cittadini non vogliono fare i legislatori. Ma c'è chi avverte "non è stato compreso il valore del referendum propositivo". Le barricate, le accuse di attacco alla democrazia, il "Non voto", gli ammiccamenti perfino ad una possibile rivoluzione pacifica, a un capovolgimento del sistema, tutto spazzato? Pare di no. Elio Riccarand, uno degli sconfitti, "padre" della legge sui referendum varati dal Consiglio, e sulle proposte referendarie: "Ci speravamo e invece niente rivoluzione". Lo dice sorridendo. Aggiunge: "Forse era troppo chiederla, non c'è una domanda di cambiamento così profonda. Occasione sprecata, deviata dal ''non voto'' che ha condizionato la vicenda impedendo un confronto democratico". Paolo Louvin, leader di Vallée d'Aoste Vive, ricorda l'aprile di vittoria alle politiche: "Rispetto ad allora c'è di mezzo la segretezza del voto. Ora non c'è stata, battaglia impari. Il controllo, sempre il controllo, non se ne esce. Contro chi gioca a carte truccate non c'è niente da fare. Finché tutto è basato su piccoli o grandi privilegi il cambiamento è difficile, lento". No, non c'è pace. Ancora trincee. Il fronte dei vincitori sostiene che la democrazia non è mai stata in pericolo, quello degli sconfitti insiste nel dire il contrario. E così i cittadini non sono riusciti a comprendere i contenuti delle leggi referendarie per poterle bocciare o approvare. E' sembrato uno scontro quasi ideologico, una sorta di rivincita di quell'aprile. Il presidente della Regione Luciano Caveri è sceso in campo più di una volta, ha scritto e parlato del perché non si doveva votare. Convinto e, visti i risultati, convincente. Ora dice: "Provo una grande soddisfazione e vivo lo stupore per i trionfalismi di chi è stato sconfitto dalle urne. Dopo le politiche ho detto con chiarezza ''hanno vinto gli altri''. Invece adesso la sconfitta ha paternità incerte, il bimbo referendario è in cerca di un padre che non si trova". Annuncio di "guerra" per il Consiglio regionale di domani: "All'assemblea farò il punto politico, parlerò del fenomeno di causa-effetto. Tra i referendari c'era chi intendeva questo voto come la cacciata del governo Caveri. Se guardiamo i risultati, posso dire non soltanto che questa strategia è stata sconfitta, ma che il mio governo esce rafforzato dal referendum. Sono più forte di prima". Aggiunge: "Fossi Raimondo Donzel, segretario del Pd appena formato... Beh, mi guarderei per bene allo specchio". E non evita la battuta caustica: "I referendari hanno chiuso la campagna offrendo una castagnata, in realtà la castagnata gliel'hanno data gli elettori". Se questo è l'annuncio politico, in Consiglio ci sarà battaglia. Riccarand dice "noi non molliamo" e ricorda come "il giochino del non voto sia stato meschino, sleale". Spiega: "Ho sentito dichiarazioni dei leader del Leone che parlano di Union valdôtaine ritornata al centro. Come? Non partecipando? Troppo comodo. Posso ricordare che se non ci fossero state le proposte referendarie nulla, ma proprio nulla del sistema elettorale sarebbe cambiato? Invece c'è stata la riforma che qualcosa ha migliorato. Sono state introdotte le quote rosa e si faranno le coalizioni. Questi sono risultati, sono strumenti di democrazia, piccoli passi, ma ci sono. E adesso dobbiamo stare attenti che i referendum propositivi non vengano cancellati. Certo non accadrà in questa legislatura, ma sarà al centro della prossima. Lo sappiamo, l'ha detto con chiarezza il presidente Caveri". Il presidente: "La legge c'è e ce la teniamo. E' da rendere più razionale, ma non in questa legislatura. La logica è la tutela della democrazia rappresentativa. Fatto così il referendum non ha alcun significato, sarebbe stato molto più logico proporre agli elettori la soluzione A, quella referendaria, e quella B, cioè le riforme del Consiglio. Il meccanismo del referendum propositivo è sbilenco, una legge di iniziativa popolare che diventa legge senza passare per il Consiglio non si è mai vista al mondo".La proposta referendaria sul nuovo ospedale è quella che ha avuto meno consensi. Lo scarto è minimo per la percentuale dei votanti, ma è significativo il 36,44% di "No". Segno che costruire un nuovo ospedale è stato giudicato sbagliato. La Regione ha già approvato l'ipotesi dell'ampliamento ad Est. La Cgil insiste: "Non è possibile. Non vedremo mai quell'ampliamento. E' un progetto folle". Il segretario Claudio Viale aggiunge: "Non pensavo che il referendum fosse ammesso, tuttavia, voti o non voti, la proposta di legge è servita per aprire un dialogo che mai c'è stato".


L'ultima metamorfosi - (segue dalla prima pagina) (sezione: Riforma elettorale)

( da "Repubblica, La" del 20-11-2007)

 

Commenti L'ULTIMA METAMORFOSI Il fondatore di Forza Italia scioglie il partito in un giorno solo, senza congressi, dibattiti e altre democratiche perdite di tempo e ne fa uno nuovo (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Chiusa la conta sulla cifra tonda, Berlusconi ha smesso i panni dell'agitatore di piazza e si è messo in fila per trattare con Walter Veltroni. Anzi, da buon italiano, arrivando per ultimo ha sorpassato chi in fila era già da tempo, Fini e Casini. E' lui da oggi il primo interlocutore del leader democratico per la riforma della legge elettorale. L'ennesima trasformazione di Berlusconi non ha nulla di strabiliante. Se non forse la rapidità nel cambiare marchio, strategia, opinioni, per giunta indossando lo stesso completo da trent'anni. Il "padre del bipolarismo italiano", come lo celebrava Ferrara, da oggi è per il proporzionale. Il fondatore di Forza Italia scioglie il partito in un giorno solo, senza congressi, dibattiti, lacrimucce e altre democratiche perdite di tempo, e ne inaugura uno nuovo, "il Partito della Libertà, anzi il Popolo della Libertà", o come si chiamerà. Il nome della cosa in effetti conta meno della proprietà, che rimane la stessa. E' questione di marketing. L'uomo che aveva promesso di distruggere la sinistra, sfascia la destra e fa rottamare in fretta il suo contenitore, la Casa della Libertà, in vista di una nuova stagione, improntata al "dialogo, al rispetto reciproco, al senso di responsabilità". Spallate al governo? "Mai parlato di spallate". Una mossa abile. Del genere che, praticato da altri, viene bollato come "politica politicante". Oppure storicamente irriso ("contrordine, compagni"). Berlusconi, fallita la spallata, temeva che Fini e Casini potessero accordarsi con Veltroni alle sue spalle. E magari non soltanto quei due, ma anche Bossi, in cambio di un qualche regalo federalista. Si è rassicurato con una telefonata al leader leghista, ed è partito per la svolta. Per sedersi al tavolo della trattativa aveva bisogno della prova di forza, i gazebo, le firme, la piazza. Il cambio repentino di strategia dal braccio di ferro al dialogo rientra in una logica aziendale. Il gruppo ha troppi interessi al sole per permettersi il lusso di sfidare le vituperate manovre dei politicanti e finire tagliato fuori da alleanze trasversali. Non si sa mai. Si comincia con la legge elettorale ma si può finire a discutere la riforma televisiva. Sono vent'anni che il gruppo Berlusconi riesce alla fine a mettersi d'accordo con qualsiasi maggioranza al potere, purché non si tocchino le faccende essenziali (televisioni, pubblicità). Dall'attuale governo, da questo punto di vista, non sembrano arrivare minacce. In più, Berlusconi può offrire a Veltroni una serie di offerte speciali. Comanda il partito più consistente, senza il quale è complicato varare una riforma elettorale. E condivide con Veltroni il vantaggio di poter giocare su due tavoli, quello delle riforme e quello del referendum. Se vincessero i quesiti referendari il premio di maggioranza andrebbe tutto o al Partito Democratico o all'ex Forza Italia. E' vero che pretende in cambio molto e forse troppo. Per esempio la data delle elezioni anticipate, meglio se in pochi mesi. Ma è un'altra strategia aziendale. Chiedere cento per ottenere la metà, ovvero le elezioni nella primavera 2009. Tutto torna, insomma. E torna Berlusconi, come sempre. Ma stavolta forse la mossa non è del tutto azzeccata. Agli occhi del famoso popolo della destra, il grande leader conferma d'aver smarrito l'iniziativa originale, il colpo spiazzante, il carisma magico. E' costretto a inseguire l'uomo del momento, Veltroni, scimmiotta la nascita del Partito Democratico, si accoda alle riforme proposte dal rivale. Non è più al centro della scena. Per sua fortuna, le telecamere che la riprendono sono ancora le sue.


Riforma elettorale, la resa di Berlusconi Alla fine si rassegna al dialogo: Proporzionale puro, ma subito dopo alle urne (sezione: Riforma elettorale)

( da "Unita, L'" del 20-11-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Riforma elettorale, la resa di Berlusconi Alla fine si rassegna al dialogo: "Proporzionale puro, ma subito dopo alle urne" di Natalia Lombardo / Roma LA STRAMBATA In quarant'otto ore Silvio Berlusconi azzera FI e pure la Cdl nel partito del "Popolo delle libertà" copiando il Pd e liberandosi di Fini e Casini. E si dice pronto a dialogare con Veltroni ma solo sul "proporzionale puro" con sbarramento al 7%, un soglia così alta che sbaraglia i piccoli partiti (per la Lega un salvagente territoriale). Fatta la legge "tornare a votare subito", è la nuova strategia di Berlusconi che ora tradisce il "porcellum": non difendiamo più la vigente legge elettorale. Siamo per un proporzionale puro - applauso - con uno sbarramento che eviti il frazionamento dei partiti". Niente esecutivi istituzionali, la legge elettorale "con questo governo si può fare benissimo". Meglio ancora dialogare con Veltroni: "Ho intenzione di rendermi disponibile nell'immediato ad un incontro a questo fine". Dialogo sì, ma con uno sbarramento: no alle riforme costituzionali, il governo durerebbe almeno fino al 2009. Dopo l'annuncio suggellato dal bacio alla rossa Brambilla, ieri Silvio Berlusconi ha formalizzato la nascita del nuovo partito nello stesso posto in cui Walter Veltroni ha celebrato le primarie: il tempio di Adriano a piazza di Pietra, sede della Confcommercio. "Ci copia", ha commentato il segretario del Pd domenica, e in effetti così appare: l'ex premier ha trasformato in primarie per sé gli "8 milioni di firme, 10 con quelle raccolte dai Circoli" di Michela Brambilla e di Dell'Utri (rivali accorpati d'ufficio). Il nome non è deciso ma basta aggiungere una "elle" al Pd: si chiamerà o "il popolo delle libertà o il partito delle libertà", lascia in sospeso il cavaliere. Ma la sigla è uguale: Pdl. Addio bipolarismo, stavolta con la benedizione di Giuliano Ferrara. Addio CdL, Avanti tutta col Pdl. Con chi? "Con tutti, a partire dagli alleati" (che hanno detto di no), Regole "strette della democrazia", decisioni a maggioranza, organi eletti e primarie per i vertici. Ci sono volute ben due telefonate per placare l'ira di Umberto Bossi (che lo accusava pure di "svendersi per salvare le proprie tv"). "La Lega ha la sua autonomia e avrà con noi lo stesso rapporto di prima", assicura Berlusconi. Ma ha dovuto promettere al Senatur di cambiare legge elettorale per evitare il referendum. Eppure la prospettiva dei "due grandi partiti, uno di qua e uno di là", indicata dall'ex premier (e da Prodi), si avvicina all'esito del referendum. Il Pdl nasce nella famiglia dell'"European people party" (fa più scena di Ppe); "nasce dal basso e non è un fusione fredda tra vertici come il Pd", azzarda. Infatti è nato solo da lui... Silvio, che fa balenare il passo indietro: "Sono il primo a rimettere a disposizione il mio ruolo". Non senza aver fatto il "giro d'Italia" per promuovere il Pdl. Niente battute, tono (solo quello) da statista e da condottiero ("ci sono appuntamenti della storia che non si possono mancare"), Berlusconi torna alla "scesa in campo" del '94 per fare fuori la Cdl dei "veti, i giochetti, i compromessi della politica italiana". Non ha più convocato vertici "per le troppe divisioni", ammette. Fini e Casini, anche loro "parrucconi"? "I mestieranti della politica che vivono nel Palazzo. Io invece capisco la gente". Sulla quale si tuffa in un comizio volante ma preparato. Arriva a piedi a Palazzo Grazioli, "i sondaggi sono ottimisti", dice "senza rimpianti". Secondo Bonaiuti a convincere Berlusconi alla "strambata" sono stati i fischi lanciati a Fabrizio Cicchitto dalla platea di An riunita ad Assisi (proprio i berluscones Gasparri e La Russa) domenica. Quando Fini ha fatto un ultimatum: "O si cambia oppure ognuno per sé"; Casini lo aveva già bacchettato ma ieri coglie con favore "l'uscita dallo stallo". Stufo, Silvio come sempre ha fatto "tana" tagliando fuori i due prima che potessero dire A. Scelta "plebiscitaria" accusa Fini "Non rispondo a piccole polemiche occasionali", chiude Berlusconi. E Bonaiuti scherza e sintetizza: "tiè"... Sullo sfondo compare il logo con la scritta "Il popolo delle Libertà" e non il "partito" registrato dalla Brambilla. Sparito il logo di Forza Italia; Francesco Giro guarda il maxischermo in piazza sconsolato: "vede? il simbolo non c'è più..." Come l'avete presa? "Insomma, mica tanto bene... ma nasce una cosa bellissima". Lo stato maggiore forzista è colpito, colto di sorpresa, Bondi, Vito, Verdini sono arretrati in terza fila, Cicchitto osa la prima con Schifani. Oggi alle 16 a Montecitorio Berlusconi farà digerire il rospo ai suoi parlamentari. Partito nuovo facce nuove. In prima le donne, Mara Carfagna, la giovane Lorenzin, la Brambilla che arriva in un vortice rosso al seguito di Silvio. Già si comporta da numero due. Il nuovo partito vedrà la mutazione di FI in un Ogm con tante particelle: la Dc di Rotondi, i Circoli, i pensionati di Fatuzzo, la Dc di Pizza, la liaison con Storace e chi più ne ha più ne metta. "Certo ci saranno dei problemi", ammette Cicchitto, "voi ne sapete qualcosa eh? - dice a l'Unità - verremo a scuola da voi... magari da Bettini".


Sulle riforme ora è possibile il dialogo con tutta la Cdl (sezione: Riforma elettorale)

( da "Unita, L'" del 20-11-2007)

 

Stai consultando l'edizione del NICOLA LATORREIl vicepresidente dei senatori dell'Ulivo: "Nel Pd devono essere garantite prerogative importanti per gli iscritti" "Sulle riforme ora è possibile il dialogo con tutta la Cdl" di Ninni Andriolo / Roma Senatore Latorre ha sentito Berlusconi? "Ho visto la diretta tv, naturalmente. Non c'è che dire, Berlusconi è uno che perde, ma sa anche perdere". Anche lei pensa che il Cavaliere sia riuscito a ribaltare il tavolo? "I contenuti della conferenza stampa di ieri, così come la lettera di Fini e le dichiarazioni di Bossi e Casini, hanno confermato che l'approvazione della Finanziaria segna un cambio di fase nella vita di questa legislatura. La crisi politico-strategica della Cdl, in realtà, è frutto della sconfitta elettorale del 2006, confermata dal referendum costituzionale. Il sì del Senato alla legge di Bilancio si è incaricato solo di farla esplodere". Esplosione che mette in forse l'attuale leadership della Cdl? "In ballo non c'è solo la leadership, liquidare così la crisi del centrodestra sarebbe un errore. Nella Cdl si pongono questioni strategiche che non possono essere eluse". La rottura è avvenuta dopo il flop della spallata, ma anche Berlusconi adesso apre al dialogo con la maggioranza... "La novità è che, superata la Finanziaria, il centrodestra assume come centrale il tema delle riforme, considerato non più rinviabile già dal centrosinistra. I due schieramenti scendono sullo stesso terreno di confronto". Il Cavaliere guarda alla legge elettorale e non ad altre riforme... "Per noi è essenziale il dialogo con tutti i partiti dell'opposizione. Sicuramente c'è da affrontare come prioritario il problema della legge elettorale. Sul tappeto, però, ci sono alcune riforme urgenti che non possono essere rinviate. Nel centrodestra, tra l'altro, questa consapevolezza è presente. È la Lega che pone il tema del Senato Federale. È Fini che associa il sistema tedesco alla necessità di un premier forte. Le proposte per dare maggiore potere al capo del governo e per superare il bicameralismo perfetto sono parte integrante del pacchetto in discussione alla Camera. Possibile, quindi, un primo terreno di collaborazione tra maggioranza e opposizione. Occorre metter mano, anche, ai regolamenti parlamentari, poi. E a proposito di finanziamenti ai partiti, credo si debba vincolare la formazione dei gruppi agli stessi simboli sotto i quali deputati e senatori si presentano alle elezioni. Un modo, questo, per impedire la frammentazione che produce instabilità politica" Per Berlusconi dopo la legge elettorale ci sono solo le elezioni. Lei è d'accordo? "Nessun medico ha ordinato che dopo la riforma elettorale ci debba essere il voto. Se è legittimo che Berlusconi chieda elezioni, è altrettanto chiaro che noi lavoriamo per dare una prospettiva di legislatura al governo Prodi". Fine del bipolarismo, in ogni caso? "Il problema non è arretrare dal bipolarismo, ma eliminare i difetti di questo sistema: la frammentazione e la demonizzazione degli avversari politici. Questi limiti possono essere superati rinnovando il meccanismo elettorale, il quadro istituzionale e il sistema politico del Paese" Che idea si è fatto del Partito del popolo o delle libertà messo in campo all'improvviso da Berlusconi? "Capiremo meglio qual è il disegno, per il momento abbiamo di fronte soltanto un simbolo. C'è, tra l'altro, un margine di ambiguità evidente nelle parole del Cavaliere. Detto ciò, credo indispensabile che si proceda sulla strada di un'autoriforma del sistema politico. Verso grandi aggregazioni che semplifichino il campo, quindi. Il Pd è nato da questo presupposto. Devo rilevare, in ogni caso, che nessuno si scandalizza più di fronte alla parola partito. Perfino Berlusconi fa nascere un partito e abbandona il termine "movimento". Un fatto positivo visto che una democrazia non può vivere senza partiti". L'urgenza di cambiare i connotati di Forza Italia nasce dalla novità di un Pd che potrebbe erodere consensi alla Cdl? "Per la prima volta è Berlusconi a dover inseguire l'elemento di novità rappresentato dal Pd. Lo dico con il rispetto dovuto a chi si è posto il problema di rispondere in positivo a una sconfitta. La determinazione con la quale il governo Prodi e il centrosinistra hanno tenuto il campo in passaggi difficili, ultimo quello della Finanziaria, ha contribuito a rendere più esplicita la crisi del centrodestra. La nascita del Pd, poi, ha rafforzato la coalizione e ha prodotto contraddizioni nell'opposizione. E tutto questo ha fatto piazza pulita di considerazioni strumentali sul Pd che avrebbe indebolito Prodi e rafforzato il centrodestra. È accaduto l'esatto contrario. La nascita del Partito democratico ha rappresentato un fatto dirompente nel sistema politico italiano". Soltanto positivi, quindi, i primi passi del Pd? "Importanti e positivi, anche per i risultati politici già ottenuti. Un'impresa rilevante ha preso le mosse con il giusto tono. Il grande successo delle primarie, il risultato ottenuto da Veltroni, l'Assemblea costituente di Milano, hanno rappresentato un ottimo inizio. Adesso si tratta di portare avanti il lavoro necessario per strutturare il partito e valorizzarne l'ingrediente essenziale già richiamato da Veltroni". Quale, senatore? "La grande partecipazione democratica che si registra. La discussione sullo Statuto è aperta. Si tratta di compiere scelte capaci di valorizzare sia coloro i quali vorranno aderire al nuovo partito, sia coloro i quali vorranno votare per il suo simbolo. Gli iscritti dovranno avere il ruolo e la funzione che già assegnano loro i grandi partiti europei. Nel contempo, però, bisognerà trovare il modo per valorizzare coloro che, magari, non intendono espressamente iscriversi, pur non volendo rinunciare alle occasioni di partecipazione che riguardano le grandi scelte politiche" Nel Pd non deciderà solo chi milita a tempo pieno, quindi? "Non voglio anticipare la discussione che si deve sviluppare all'interno della Commissione per lo Statuto. Sono convinto, però, che non si possa rinunciare al ruolo e alla funzione prioritaria di chi aderisce a un partito, prevedendo prerogative importanti da definire. Dall'altro lato, però, sarebbe un errore circoscrivere il contributo decisivo alle scelte politiche fondamentali. Ed è per questo che bisognerà sancire una partecipazione attiva dei cosiddetti elettori. Da questo punto di vista non dovremo inventare particolari meccanismi. Basta guardare all'esperienza dei grandi partiti europei. Dei laburisti inglesi o dei socialisti danesi, ad esempio". La fase costituente si concluderà con un congresso fondativo del Pd o questo non sarà necessario dopo le primarie? "Che le primarie abbiano legittimato la leadership di Veltroni è fuori discussione. Che non si debbano rifare congressi che ripropongano riti tradizionali è logico, visto che fondiamo un partito nuovo. Dopodiché, credo non sarebbe giusto rinunciare - nei tempi che riterremo utili - a un passaggio congressuale che definisca in maniera compiuta non solo gli assetti ma anche le prospettive del Pd. Questo passaggio si renderà indispensabile".


La retromarcia del Cavaliere (sezione: Riforma elettorale)

( da "Unita, L'" del 20-11-2007)

 

Stai consultando l'edizione del La retromarcia del Cavaliere Gianfranco Pasquino Segue dalla Prima I candidati che vincono,e, ma anche quelli che hanno perso per poco, mantengono tutto l'interesse a fare funzionare l'organizzazione e a diffondere il marchio, anche soltanto per rimanere in politica. Per di più, a prescindere dagli errori di Berlusconi e dalle sue sbruffonate, gli elettori di Forza Italia esistono e, probabilmente, esistono anche elettori degli altri partiti di centro-destra che non sarebbero affatto disposti a vedere i loro partiti andarsene distanti da Forza Italia e da Berlusconi, come hanno dimostrato i risultati delle elezioni del 2006. Anche se sommerso dai fischi di Alleanza Nazionale, aveva ragione Cicchitto a ricordare, nient'affatto retoricamente, a quei militanti di An che, senza un rapporto con Forza Italia, non potrebbero andare da nessuna parte. Mentre Bossi e la Lega sanno benissimo che Berlusconi è il più sensibile ai loro interessi e alle loro richieste, Alleanza Nazionale e persino l'Udc sembrano avere dimenticato che nei loro gruppi dirigenti e ancor più nel loro elettorato esiste un nucleo duro di berlusconiani. Infine, anche senza essere truccati o esagerati, i sondaggi continuano a dare esistente una maggioranza complessivamente favorevole al centro-destra nel suo insieme. Naturalmente, tra i sondaggi e le elezioni anticipate che Berlusconi reclamava a gran voce ci starebbe, anzitutto, una campagna elettorale che, se condotta in ordine sparso, potrebbe non giovare né a Forza Italia né al centro-destra. In secondo luogo, sta anche l'eventuale riforma elettorale oppure il referendum. Le variabili politiche si incrociano con le variabili istituzionali. Questa lunga premessa consente di capire meglio perché Berlusconi abbia deciso di prendere atto che, come sostengono da qualche tempo i suoi ex-alleati, la Casa delle Libertà non esiste più. Non c'è dunque neppure più bisogno di un sistema elettorale che imponga la formazione di coalizioni non omogenee decisive per vincere, in difficoltà per governare. Se bisognerà contarsi, deve avere finalmente ragionato Berlusconi, allora il sistema elettorale tedesco, presumo considerato nella sua interezza, potrebbe costituire una buona soluzione. In questo modo, da un lato, Berlusconi va incontro all'Udc di Casini, che vuole fortemente proprio quel sistema elettorale, dall'altro, dà la sua disponibilità anche a Veltroni su una proposta chiara e, come stanno i rapporti di forza nel Parlamento, rapidamente praticabile. Costruire il bipolarismo non è necessariamente compito del sistema elettorale. Anzi, sono le modalità di competizione e di collaborazione fra i partiti che danno vita e linfa al bipolarismo. Magari non è il bipolarismo quello che desiderano l'Udc, l'Udeur e altri (nel centro-sinistra), ma il Partito del Popolo avrebbe, pensa Berlusconi, voti e seggi sufficienti a convincere qualche alleato riluttante, a entrare in trattative dopo il voto, se non addirittura a essere il perno di una nuova alleanza di governo. La vera novità, che potrebbe cambiare il volto di questa legislatura e, forse, addirittura del sistema politico italiano, è costituita dal riconoscimento da parte di Berlsuconi, tardivo, ma non fuori tempo massimo, che nello schieramento di centro-sinistra esistono persone con le quali il capo di Forza Italia potrebbe dialogare. La prova immediata è data dalla riforma elettorale che potrebbe essere la premessa di un ritorno alle urne, magari non altrettanto immediato se Veltroni e Violante insistessero, come forse dovrebbero, ad accompagnare quella riforma, in special modo se tedesca, con meccanismi di stabilizzazione del governo, ovvero con la sfiducia costruttiva (che regolamenta e rende difficili i tanto temuti "ribaltoni") che richiede una riforma costituzionale. Resta tutto da vedere. Per il momento, tuttavia, è lecito concluderne che la costruzione del Partito Democratico ha messo in moto un processo di cambiamento e di ristrutturazione anche nel centro-destra; che la disciplina e la presenza dei senatori del centro-sinistra hanno efficacemente segnalato che il governo può anche durare per parecchio tempo; che i tentativi di Berlusconi di sovvertire con la piazza o con la "persuasione" l'esito delle elezioni dell'aprile 2006 sono falliti. Si sta per aprire una nuova fase che, con l'obiettivo di riforme di alto profilo sistemico, potrebbe vedere rapporti imprevisti e impensati fra i maggiori partiti italiani. Senza precorrere i tempi e senza pregiudicare i modi, una Grande Coalizione che sappia fare le riforme istituzionali e economiche necessarie in tempi relativamente contenuti potrebbe non essere del tutto riprovevole. In fondo, sospendendo il giudizio, in Germania questa è la situazione attuale.


Fini va nei guai L'alleato a destra sarà Storace (sezione: Riforma elettorale)

( da "Giornale.it, Il" del 20-11-2007)

 

Di Redazione - martedì 20 novembre 2007, 07:00 Stampa Dimensioni Versione PDF Invia ad un amico Vota 1 2 3 4 5 Risultato La fine della Casa delle libertà mette in evidenza che i tre partiti alleati godevano di una rendita di posizione grazie a Berlusconi. La Lega, ormai residua dal suo grande momento, usufruiva della sua forza al nord per costringere Berlusconi a darle voti e seggi. Scegliendo di collaborare per la riforma della Costituzione e per il federalismo fiscale, la Lega ha rotto di fatto, sotto la direzione di Roberto Maroni, il suo vincolo con la Casa delle libertà. Il proporzionale alla tedesca riduce le possibilità elettorali della Lega anche al nord. Alleanza nazionale vedrà Fini in difficoltà: l'alleanza con Berlusconi gli dava la possibilità di essere padre padrone in An. Non essendo più il partner di Berlusconi, Fini perde i poteri assoluti che aveva in Alleanza nazionale. Egli ha scelto di abbandonare la linea di Giorgio Almirante, che considerava il postfascismo come un elemento della democrazia italiana. Ha invece scelto una linea di destra laica neogollista, in un paese in cui non c'è la tradizione nazionale della Francia e l'eredità di De Gaulle. Del resto non si vedono in Fini l'attivismo e le competenze di Sarkozy. Gasparri, La Russa e Alemanno avevano cercato di trovare legittimità nel rapporto con il mondo cattolico. Fini ha duramente condannato questi sforzi, che invece appartenevano alla tradizione di Almirante. È probabile che in An le correnti filocattoliche tradizionali riprendano forza. Fini dovrà fare i conti anche con la posizione di Almirante che è stata assunta da Francesco Storace e corrisponde ai temi fondamentali del postfascismo. E, non a caso, il primo segno che Berlusconi stava per rompere con Fini è venuto dalla partecipazione del leader di Forza Italia al congresso di fondazione della Destra. Ciò vuol dire che Storace sarà alleato di Berlusconi al posto di Fini. Il leader di An puntava sul referendum e sulla legge elettorale proposta dai referendari che comporta un'alleanza stretta con Berlusconi. Ma ora anche su questo punto Fini si trova senza strategia. Berlusconi lo ha aggirato a destra: una manovra tattica perfetta. La posizione di Casini è paradossale. Egli chiedeva la proporzionale alla tedesca e Berlusconi l'ha scelta. Ma un conto era imporla a Berlusconi inchiodato sul bipolarismo e un altro è l'essere imposta da Berlusconi. Casini, che ha usato persino la perfidia di Follini per umiliare Berlusconi, si trova ora, come si dice in gergo, in "braghe di tela". Cambieranno le cose anche in Forza Italia, l'accenno ai "parrucconi" è significativo. Berlusconi non ha certamente dimenticato le pressioni che alcuni senatori di Forza Italia gli avevano fatto per essere garantiti della loro elezione, minacciando altrimenti di disertare il voto in Senato. Egli certamente gradirà contornarsi di giovani, perché questa è la sua intenzione da più di tre anni quando disse che Forza Italia si era secolarizzata, cioè aveva perduto il sentimento della battaglia. Forza Brambilla. Pagina successiva >>.


Il pd e lo spettro della bicamerale "non si può far cadere il governo" - goffredo de marchis (sezione: Riforma elettorale)

( da "Repubblica, La" del 20-11-2007)

 

Il leader e il premier temono trappole dal Cavaliere. Ma D'Alema apprezza il sì al proporzionale Il Pd e lo spettro della bicamerale "Non si può far cadere il governo" Il Professore però esulta per la lite nella Cdl: "Godiamoci questo momento" GOFFREDO DE MARCHIS ROMA - "Lui sta all'opposizione, regola i conti dentro la Cdl e fa come gli pare. Noi invece non possiamo far cadere il governo". Su questa linea si è mosso ieri Walter Veltroni dopo la nascita del nuovo partito di Silvio Berlusconi. Una linea costruita anche attraverso una serie di telefonate con Romano Prodi. Al premier naturalmente non è piaciuto il riferimento del Cavaliere a una riforma elettorale approvata in Parlamento che dovrebbe portare automaticamente a nuove elezioni politiche. "Anzi, sembra quasi che la legge elettorale sia solo un corollario, l'obiettivo resta la caduta del mio esecutivo". Queste le note dolenti. Lo ha soddisfatto di più osservare l'implosione del Polo: "Godiamoci questo momento - ha detto il Professore ai suoi fedelissimi - . Perché la Finanziaria non è ancora stata votata in via definitiva, ma adesso il suo percorso è molto più scorrevole". E sul resto? "Wait and see", risponde Prodi facendo il verso all'ex premier. Ufficialmente, Palazzo Chigi guarda con favore alla disponibilità berlusconiana sulle riforme. Così fa il segretario del Partito democratico. Massimo D'Alema si spinge oltre. Ricorda di essere stato lui a immaginare per primo un proporzionale alla tedesca come chiave per uscire dalla crisi di sistema. Dunque, apprezza la svolta del Cavaliere. Goffredo Bettini ieri pomeriggio si è attaccato al telefono per cercare Gianni Letta. Obiettivo: capire meglio gli effetti della sortita berlusconiana e come il Partito del popolo influisce sui progressi della trattativa sotterranea tra Pd e Forza Italia. All'appello del Cavaliere per un incontro immediato Veltroni risponde con il silenzio, rilanciando la linea del dialogo a tutto campo. Teme anche i corsi e ricorsi storici. Con il pensiero fisso alla Bicamerale di D'Alema, una sede di confronto in cui Berlusconi andò fino in fondo prima di mollare tutto lasciando a terra il centrosinistra. "L'opposizione è divisa in tre-quattro pezzi - spiega il sindaco - . Voglio parlare con tutti. Certo, Berlusconi compreso". Ma su quali basi? Il Vassallum, la bozza di riforma sottoscritta dal sindaco di Roma, parte dal proporzionale ma punta a non distruggere il bipolarismo. Come dialogare allora con chi dice che quella stagione è finita? Assieme al testo, i costituzionalisti che lo hanno scritto hanno spedito un allegato a Veltroni in cui si diceva che gli interlocutori privilegiati potevano essere An e Lega bypassando, se necessario, Forza Italia. Ma Veltroni non vuole seguire questo binario, non vuole alimentare la disarticolazione della Cdl. E soprattutto Veltroni non può rimanere scoperto dentro il Partito democratico. Le parole di D'Alema di ieri, in questo senso, sono un monito chiaro: una parte importante del Partito democratico sposa il modello prospettato ieri dal Cavaliere. Prendere tempo, perciò. Per sé e per il governo. "Non basta la riforma elettorale - dice Veltroni -. Le modifiche costituzionali non solo sono necessarie, ma sarebbero anche più capite dall'opinione pubblica. La legge per il voto è roba di Palazzo, una cosa tutta interna ai partiti. La fine del bicameralismo, il taglio dei parlamentari invece è anche una risposta alla protesta sui costi della politica". Il Pd tende a vedere cosa succede nel campo del centrodestra. Ma nella cerchia più vicina a Veltroni si immagina anche un altro scenario: "Berlusconi vuole andare dritto al referendum e si sta già creando un partito pronto a raccogliere tutti, come prevede la legge modificata attraverso il quesito". Se fosse questo lo sbocco, il Pd ha già detto da che parte sta. "Se andiamo al referendum, i democratici sosterranno il sì", ha annunciato il vicesegretario Dario Franceschini.


E i "piccoli" temono di essere tagliati fuori (sezione: Riforma elettorale)

( da "Messaggero Veneto, Il" del 20-11-2007)

 

Attualità E i "piccoli" temono di essere tagliati fuori LE REAZIONI ROMA. Silvio Berlusconi si siede al tavolo della riforma elettorale. "Sono pronto a incontrare Veltroni", fa sapere spiegando che il modello al quale guarda è un proporzionale alla tedesca. Un fatto politico nuovo dopo i tanti no del Cavaliere, anche se in qualche modo anticipato da un intervento di apertura di Gianni Letta al "Corsera" sulle riforme e dalla presenza del vicecoordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto al convegno di "Italianieuropei" sulla modifica del sistema di voto. Proprio in quell'occasione il numero tre azzurro aveva sottolineato come, sulle riforme, "la maggioranza non può prescindere dal dialogo con il primo partito dell'opposizione". E, in effetti, l'uscita di Berlusconi non lascia indifferente l'Unione. Nei "piccoli" si materializza immediatamente lo spettro di un accordo che li tagli fuori; il Pd, invece, adotta la tecnica del "wait and see" ("aspettiamo che cada la polvere", osserva il ministro delle Riforme Vannino Chiti) per capire meglio le intenzioni dell'ex premier. Si dialoga con tutti - è il ragionamento - ma sull'intero pacchetto che comprende anche riforma costituzionale e dei regolamenti parlamentari. Berlusconi propone di modificare solo la legge elettorale e poi andare al voto? Palazzo Chigi replica che il dialogo "non può avere dei però". Lo dice esplicitamente Chiti: "Abbiamo già detto e ridetto - sottolinea - che esiste un pacchetto di riforme senza il quale la legge elettorale non ha senso. Tutti hanno capito che non si voterà nel 2008". Il prossimo anno, puntualizza anche Veltroni, va impiegato per le riforme, "per noi questa rimane la scadenza". I "cespugli" dell'Unione, però, avvertono, che una corsia preferenziale per il dialogo con Forza Italia può rappresentare la pietra tombale per il governo. "Un dialogo privilegiato con gli azzurri - osserva il capogruppo del Pdci alla Camera Pino Sgobio - sarebbe un modo per mandare a casa Prodi". Anche l'Udeur è preoccupato: "Qualcuno - ragiona Mauro Fabris - in un campo e nell'altro vuole eliminare gli alleati". Mentre Rifondazione, da tempo sul tedesco, plaude (così come, dall'altra parte l'Udc), i "piccoli" (che pure fanno sapere di aver avuto assicurazioni sul fatto che "non ci sono ancora proposte definite") continuano a chiedere un vertice per trovare una proposta condivisa nel centro-sinistra da proporre alla Cdl. Ma il Pd punta al dialogo in Parlamento e con tutti, "senza pregiudiziali o veti". Da questa prossima settimana - spiegano fonti della maggioranza - si accelera in commissione affari costituzionali al Senato ed entro una decina di giorni al massimo potrebbe essere depositato un testo base al quale sta lavorando il costituzionalista Antonio Agosta (chiamato proprio dalla commissione la scorsa settimana). Anche negli ulivisti serpeggia il malumore. "Berlusconi - è l'appello del ministro della Difesa Arturo Parisi - non ceda al proporzionale". E non butti a mare il bipolarismo. Ma la strada sembra ormai segnata. Lo stesso si potrebbe dire per il referendum dopo l'apertura di Berlusconi. Un parte del Pd teme che il Cavaliere punti alla fine a quello, ma molti altri sono più convinti che lo voglia cavalcare unicamente come arma contro l'Unione. "Berlusconi - è il ragionamento di un esponente del Pd - si siederà al tavolo e dialogherà anche perchè, vista la sfida che sta lanciando ad avversari e alleati, è chiaro che non vuole il referendum".


Veltroni, aperture ma senza condizioni (sezione: Riforma elettorale)

( da "Piccolo di Trieste, Il" del 20-11-2007)

Argomenti: Esempi esteri

La maggioranza fra ottimismo e cautela: "Per ora l'unica certezza è la fine della Casa delle libertà" Il ministro degli Esteri D'Alema: "Non sono mai stato contrario a un cambiamento basato sul sistema elettorale tedesco" Veltroni, aperture ma senza condizioni "Una discussione a tutto campo, anche se il governo non si tocca" ROMA Walter Veltroni e Palazzo Chigi danno il benvenuto all'apertura al confronto da parte di Silvio Berlusconi. A patto che, spiega in mattinata il leader del Pd, il dialogo sia a tutto campo, dalla legge elettorale alle riforme costituzionali; e che, concordano in serata fonti di Palazzo Chigi, non "abbia però", cioè non preveda l'equazione nuova legge elettorale-voto. E che non tocchi questo governo. Tra ottimismo e cautela, il Pd guarda alle mosse del Cavaliere e alle conseguenze che il terremoto nella Cdl può portare al tavolo del confronto sulle riforme. Ottimismo perchè, è la convinzione di Veltroni ma anche del premier Romano Prodi, il dialogo con il principale partito di opposizione è necessario per raggiungere le più ampie convergenze anche se bisogna andare con i piedi di piombo per mandare davvero in porto le riforme ed evitare fallimenti come quello della Bicamerale, quando proprio Berlusconi fece saltare all'ultimo l'accordo politico. Luci e ombre del nuovo scenario politico sono state, ieri mattina, al centro dell'esecutivo del Pd, nel quale Veltroni ha ribadito che il partito "dialogherà con tutte le forze che sono disponibili a collaborare" senza pregiudiziali nè preferenze. Ma una subordinata è fondamentale per il leader del Pd: si discute su tutto il pacchetto e non solo sulla riforma elettorale, per continuare a considerare il Vassallum "una soluzione possibile" e da tenere come base di discussione. "Benissimo il dialogo - è la rotta di Veltroni - benissimo il confronto, ma per quanto ci riguarda la prospettiva è che legge elettorale, riforme istituzionali e nuovi regolamenti parlamentari vadano insieme". E al Cavaliere, che condiziona il dialogo sulla legge elettorale al voto, il leader del Pd fa sapere già dalla mattinata che "l'unica scadenza è che il 2008 deve essere impegnato" per fare le riforme. Alla stessa pretesa del leader azzurro fonti di Palazzo Chigi rispondono a caldo, subito dopo la manifestazione di piazza di Pietra: "Il dialogo è dialogo, non può avere un però". Sotto la lente di ingrandimento del nuovo vertice del Pd non è finita ieri mattina solo l'eventuale strategia di Berlusconi sul terreno delle riforme. Anche la nuova creatura politica è stata analizzata da Veltroni e dai suoi ed il giudizio, in attesa di capirne caratteristiche e peso, non è certo stato lusinghiero. "Per ora Berlusconi annuncia la fine della stagione politica della Cdl - dice il segretario del Pd - nel merito valuteremo dopo, perchè, allo stato, più che la nascita di un nuovo partito sembra un cambiamento di denominazione". Certo, hanno sottolineato alcuni esponenti dell'esecutivo, al momento il Partito del popolo "non sembra meritarsi la patente di novità politica", anzi l'impressione è che il Cavaliere ricalchi l'idea di un Pd di destra, copiando l'idea dei gazebo e dei votanti e addirittura scegliendo per il battesimo lo stesso luogo, il tempo di Adriano, scelto da Veltroni per festeggiare la vittoria delle primarie e dare il via alla "nuova stagione". Alla richiesta di un commento sulla nascita a destra del Partito del popolo delle libertà, il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, ha risposto che si tratta di una "una situazione complessa che va studiata prima di fare dichiarazioni troppo affrettate". Poi, però, a chi gli chiedeva se tutto questo non lasci intravedere la fine del maggioritario, D'Alema ricordava "di non essere mai stato contrario ad una riforma del sistema elettorale basata sull'impianto tedesco". Il ministro degli Esteri ha detto di averne parlato ancora di recente in un convegno, dove "Fabrizio Cicchitto (vicecoordinatore di Forza Italia, ndr) ha detto che non se ne parlava nemmeno. Dopo pochi minuti - ha scandito Massimo D'Alema - è stato smentito da Berlusconi. Ma questo è un problema loro". "Pur da avversari, non abbiamo mai misconosciuto il ruolo di Berlusconi nell'evoluzione del sistema politico italiano nella direzione del bipolarismo e di una democrazia competitiva. Oggi registriamo con rammarico che da innovatore-riformatore Berlusconi si trasforma in restauratore di un sistema segnato da pratiche e dei vizi antichi: frammentazione, instabilità, trasformismo". Così Franco Monaco, deputato ulivista del Pd, commenta il giudizio del leader di Fi, secondo il quale il bipolarismo in Italia "oggi non è più possibile". "Indifferente alla configurazione del sistema politico - conclude Monaco - il Cavaliere ora si contenta di esserci e contare. Da un progetto maiuscolo a uno minuscolo di mero potere".


Veltroni: dialogo, ma su tutto (sezione: Riforma elettorale)

( da "Manifesto, Il" del 20-11-2007)

 

Il leader Pd non si fida. Bene la svolta di Berlusconi "ma discutiamo anche sulle riforme". Da Palazzo Chigi un no al voto anticipato Daniela Dalerci Roma La stagione politica della Cdl è finita, "ora la geografia del centrodestra cambierà". La prima reazione di Walter Veltroni alla svolta di Silvio arriva in mattinata, nell'esecutivo del Partito democratico. Ma è una fotografia. Non più di una presa d'atto, persino cauta. Il soggetto Berlusconi è mobile, e quanto ad accelerazioni ha dimostrato di non essere secondo a nessuno. Neanche a Veltroni. Aspettare, dunque, ancora qualche scossa di assestamento. "Aspettiamo che scenda la polvere", dice il ministro Vannino Chiti. Prima di azzardare un bilancio del dopo-terremoto, ovvero la nuova fase politica aperta ieri da Silvio Berlusconi nella sua ultima e favolosa interpretazione. Nei panni di "Pa-Peròn", dice Francesco Cossiga, in quelli dell'ennesimo leader nuovo di zecca, questa volta capo del (presunto) popolo delle libertà. Ma se si apre un dialogo, continua Veltroni appena riprende fiato, "per noi il quadro non è solo la legge elettorale. Per noi sul tavolo ci sono tutte le questioni, che vanno insieme". Quindi da qui all'eventuale voto anticipato non c'è solo una riforma elettorale, ma anche "la riforma istituzionale e la modifica del regolamento parlamentare". La road map del governo, secondo Veltroni, è questa, e occuperà tutto il 2008. Dialogo sì, senza "però" né condizioni. Lo manda a dire anche Palazzo Chigi in serata, quando l'effetto sorpresa è quasi svanito, ma resta il dubbio sulle reali intenzioni dell'ex leader della Cdl. Romano Prodi è in Germania, da dove fioccano le anticipazioni di una sua intervista alla 'Sueddeutsche Zeitung'. Rilasciata però il 15 novembre. Al quotidiano tedesco il premier ribadisce la ferma intenzione di governare fino a fine legislatura, "anche se i sondaggi sono veramente brutti. Poi una stoccatina al leader del Pd: "Io ho vinto le elezioni, e non Veltroni. Perciò governerò per cinque anni, a meno che il Parlamento non mi conceda più la fiducia".Poi spiega: "Veltroni ed io abbiamo sempre collaborato. Ho già annunciato di non ricandidarmi dopo la fine della presente legislatura. Fra Veltroni e me esiste, quindi, un programma temporale che rispetta sia la democrazia, sia il rapporto fra di noi". Fatto sta che la risposta a Berlusconi a nome del centrosinistra, ieri l'ha data Veltroni, e non Prodi. Il leader del primo partito della coalizione, e non quello del governo. E Veltroni è stato cautissimo, timoroso di non aprire una linea di credito nei confronti di Berlusconi, con il rischio di rimanere bruciato in caso di fallimento. Come ai tempi della Bicamerale successe a Massimo D'Alema. Veltroni tranquillizza gli alleati e ribadisce che non ci sarà un confronto privilegiato fra il Pd e il partito del popolo delle libertà, o come diavolo si chiamerà la nuova formazione azzurra. Gli alleati, però, non si fidano: "Un dialogo privilegiato con gli azzurri sarebbe un modo per mandare a casa Prodi", per il Pdci. E Mauro Fabris, dell'Udeur: "Qualcuno in un campo e nell'altro vuole eliminare gli alleati". Ma altri dubbi arrivano dall'interno del Pd. Il Cavaliere punta al referendum, fingendo di dialogare per poi fare saltare il banco? O sono a demolire l'Unione. "Berlusconi - ragiona un esponente del Pd - si siederà al tavolo e dialogherà anche perchè, vista la sfida che sta lanciando ad avversari e alleati, è chiaro che non vuole il referendum che, con il premio di maggioranza, lo costringerebbe a fare coalizione con patiti dei quali, a detta di lui stesso, si è rotto...". "L'offerta di trattare con il segretario del Pd Veltroni è seria. E io so quel che dico", chiosa Cossiga. Sarà. Intanto la proposta di una legge elettorale ispirata al sistema tedesco senza variazioni, ovvero proporzionale più soglia di sbarramento, spariglia le carte delle consultazioni avviate dal segretario del Pd. Rischia di piacere, almeno quanto o più della proposta Vassallo-Ceccanti, l'arzigogolato tedesco in salsa spagnola. Ieri Gennaro Migliore (Prc), lo ha detto esplicitamente. "Per noi il proporzionale alla tedesca è la soluzione migliore". Ora il percorso delle riforme dovrebbe spostarsi della scrivania di Veltroni alla commissione Affari Costituzionali al Senato, dove entro dieci giorni potrebbe arrivare un testo base al quale - vi starebbe il costituzionalista Antonio Agost, chiamato dalla commissione la scorsa settimana.


Grande gelo da An, Udc e Lega (sezione: Riforma elettorale)

( da "Secolo XIX, Il" del 20-11-2007)

 

Fini: "Non se ne parla". Maroni: "Non siamo interessati". Casini però rischia: Giovanardi se ne va Roma. Ognuno va per la sua strada. Spiazzati dall'annuncio fatto in tv, gli alleati di Silvio Berlusconi prendono le distanze da quella che il leader di An, Gianfranco Fini, non esita a bollare come "scorciatoia plebiscitaria e confusa". Una cosa è certa: la mossa del Cavaliere segna l'inizio della fine della Casa delle libertà e apre nuovi scenari, anche sulla riforma elettorale. Ma gli altri non accettano un salto nel buio: non vogliono salire su un treno in corsa e diretto verso una meta stabilita da Berlusconi. Più di tutti è Fini, che si sente tradito. Proprio lui, addirittura considerato il delfino nel caso di un matrimonio tra Fi e An, non accetta di incassare uno smacco come quello che gli ha inferto Berlusconi, liquidandolo addirittura come uno dei "parrucconi" della politica da mettere in disparte. Del nuovo partito, battezzato in piazza, Fini non ne vuole sapere: "No, non se ne parla proprio. An non si scioglierà", dice. La proposta del Cavaliere non convince neanche Lega e Udc, che però non hanno mai accettato l'idea di deporre le rispettive insegne per entrare in un partito unico del centrodestra concepito per fare concorrenza al neonato Pd di Walter Veltroni. E dunque, ora che il dado è tratto, anche loro dicono no: "La Lega non è interessata", afferma Roberto Maroni. "Ognuno ha la sua storia. L'Udc non c'era prima e non c'è ora", spiega il segretario centrista, Lorenzo Cesa. Del resto, Pier Ferdinando Casini si è sempre smarcato rispetto alle scelte strategiche di Berlusconi: è stato lui il più feroce critico della mitica spallata sulla Finanziaria. In fin dei conti, la svolta del Cavaliere, per quanto non condivisa, gli dà ragione ma di questo Casini può compiacersi fino a un certo punto. Già, perché il nuovo partito rimescola le carte della Cdl ma può diventare una scossa tellurica in grado di scuotere i singoli partiti del centrodestra. Il più insidiato è proprio Casini, che rischia di perdere pezzi: i berlusconiani, guidati da Carlo Giovanardi, sono pronti a fare le valigie e a traslocare nel Partito della libertà. Giovanardi non fa giri di parole e avverte: "Dobbiamo sciogliere l'Udc per concorrere alla nascita del nuovo partito". Anche il senatore Francesco D'Onofrio non snobba la mossa a sorpresa di Berlusconi anche se gli alleati non sono stati neanche invitati: "A gennaio, quando sarà chiara la sorte di Prodi, l'Udc dovrà cogliere la sfida basata su un nuovo equilibrio tra popolo e Parlamento". Dentro An, Fini sembra per ora avere il controllo dei suoi colonnelli, che ieri si sono riuniti per fare il punto della situazione e decidere la linea da adottare ora che ognuno ha le mani libere. In ballo, c'è l'opposizione da fare al governo ora che la spallata non è più all'ordine del giorno. Ma bisognerà anche studiare il da farsi sul versante della riforma elettorale, rispetto alla quale Berlusconi si è rimesso in gioco pronunciandosi a favore del sistema proporzionale tedesco e preparandosi però anche al referendum se la Corte Costituzionale darà il suo via libera a gennaio. Rispetto a Lega e Udc, An oggi ha una necessità più urgente di aggiustare la rotta dopo che il Cavaliere ha scelto il campo, su cui giocare la partita a modo suo. L'irritazione di Fini è comprensibile perché in un colpo soltanto rischia di perdere tutto il vantaggio, che finora aveva accumulato come più fedele e stimato alleato romano dell'ex premier, che lo metteva sullo stesso piano di Umberto Bossi. Ora invece si vede costretto a difendersi di fronte all'offensiva mediatica e politica del Cavaliere: "Non mi riconosco nella categoria dei parrucconi", taglia corto Fini. Il quale deve prendere atto che la Cdl è stata archiviata ed è arrivato il momento di andare oltre, ma con un'avvertenza: "Si rischia di fare l'interesse dell'altra parte. Berlusconi esagera quando se la prende con coloro che restano indispensabili per non far vincere Prodi", si sfoga con i suoi il capo di An. "Non rispondo alle piccole polemiche", lo liquida Berlusconi, invitandolo a tornare a Canossa. I colonnelli di An fanno quadrato: "Non ci possiamo sciogliere. An va avanti per la sua strada. Ma valuteremo le proposte sulle riforme", osservano un po' tutti. L'importante è ridare smalto al partito ora che a destra c'è aria di resa dei conti, con Francesco Storace e Alessandra Mussolini che applaudono al colpo di teatro. Anche Umberto Bossi non sale sul carro del nuovo partito ma Berlusconi telefona per due volte al Senatur per rassicurarlo: "Non è una cosa contro di voi. Troveremo un accordo". Forse Bossi è l'unico che si aspettava e non stigmatizza lo strappo. La Lega si è sempre tenuta distante da un progetto di partito unico e quindi è la meno spiazzata. Ma ora si apre la partita della riforma elettorale. E il Cavaliere sembra intenzionato a giocarla in proprio senza vincoli né concessioni agli ex alleati. Michele Lombardi 20/11/2007 ognuno ha la sua storia. Non c'eravamo prima, non ci siamo ora lorenzo cesaSegretario Udc 20/11/2007 " 20/11/2007.


Bossi: serve armistizio tra alleati (sezione: Riforma elettorale)

( da "Giornale di Brescia" del 20-11-2007)

 

Edizione: 20/11/2007 testata: Giornale di Brescia sezione:IN PRIMO PIANO LA LEGA D'ACCORDO SUL SISTEMA TEDESCO Bossi: serve armistizio tra alleati Umberto Bossi con Roberto Maroni e Roberto Castelli nella sede milanese della Lega MILANO - La Lega Nord non è disposta a confluire nel nuovo partito ma tra Bossi e Berlusconi l'"asse del Nord" sembra comunque essere saldo. No al nuovo partito, dicono "rassicurati" da Via Bellerio dove ieri si è svolto il federale del Carroccio, sì al proporzionale. "Ho parlato con Berlusconi - ha detto il Senatur - e devo dire che mostra una grande capacità politica, perché a mio parere sta cercando un armistizio per arrivare a fare la riforma elettorale". E anche il Senatur sembra essere d'accordo con Berlusconi: "Suggerisco agli alleati un armistizio per la riforma della legge elettorale. Ripartendo dal patto di Gemonio". Per quanto riguarda la proposta della Lega sulla legge elettorale: "Proporzionale, indicazione del premier e stabilità dei governi". Sembra per altro che sulla nuova legge elettorale che eviti il referendum ci sia un accordo tra Bossi e Berlusconi. A confermarlo è Roberto Maroni, che ha dichiarato: "Abbiamo fatto un accordo con Berlusconi sulla necessità di fare una nuova legge elettorale che eviti il referendum. Oggi Bossi ha parlato con Berlusconi e mi pare che l'accordo ci sia e siamo fiduciosi che qualsiasi cosa abbia in mente Berlusconi, non ci sia un cambiamento su questo punto". Positiva anche la valutazione di Roberto Castelli, capogruppo del Carroccio in Senato: "L'annuncio fatto da Berlusconi sulla formazione di una nuova compagine politica ha portato "a un riazzeramento delle posizioni, poi si vedrà. È una mossa importante e il Federale è stato convocato per valutare questo fatto".


I commenti (sezione: Riforma elettorale)

( da "Libertà" del 20-11-2007)

 

Quotidiano partner di Gruppo Espresso LIBERTA' di martedì 20 novembre 2007 > In Primo Piano i commenti I "piccoli" in fibrillazione: no a percorsi privilegiati ROMA - Silvio Berlusconi si siede al tavolo della riforma elettorale. "Sono pronto a incontrare Veltroni", fa sapere spiegando che il modello al quale guarda è un proporzionale alla tedesca. Un fatto politico nuovo dopo i tanti no del Cavaliere, anche se in qualche modo anticipato da un'intervento di apertura di Gianni Letta al "Corsera" sulle riforme e dalla presenza del vice coordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto al convegno di Italianieuropei sulla modifica del sistema di voto. Proprio in quell'occasione il numero tre azzurro aveva sottolineato come, sulle riforme, "la maggioranza non può prescindere dal dialogo con il primo partito dell'opposizione". E, in effetti, l'uscita di Berlusconi non lascia indifferente l'Unione. Nei piccoli si materializza immediatamente lo spettro di un accordo che li tagli fuori; il Pd, invece, adotta la tecnica del "wait and see" ("aspettiamo che cada la polvere", osserva il ministro delle Riforme Vannino Chiti) per capire meglio le intenzioni dell'ex-premier. Si dialoga con tutti - è il ragionamento - ma sull'intero pacchetto che comprende anche riforma costituzionale e dei regolamenti parlamentari. Berlusconi propone di modificare solo la legge elettorale e poi andare al voto? Palazzo Chigi replica che il dialogo "non può avere dei però". Lo dice esplicitamente Chiti: "Abbiamo già detto e ridetto - sottolinea - che esiste un pacchetto di riforme senza il quale la legge elettorale non ha senso. Tutti hanno capito che non si voterà nel 2008". Il prossimo anno, puntualizza anche Veltroni, va impiegato per le riforme, "per noi questa rimane la scadenza". I "cespugli" dell'Unione, però, avvertono, che una corsia preferenziale per il dialogo con Forza Italia può rappresentare la pietra tombale per il governo. "Un dialogo privilegiato con gli azzurri - osserva il capogruppo del Pdci alla Camera Pino Sgobio - sarebbe un modo per mandare a casa Prodi". Anche l'Udeur è preoccupato: "Qualcuno - ragiona Mauro Fabris - in un campo e nell'altro vuole eliminare gli alleati". Mentre Rifondazione, da tempo sul tedesco, plaude (così come, dall'altra parte l'Udc), i piccoli (che pure fanno sapere di aver avuto assicurazioni sul fatto che "non ci sono ancora proposte definite") continuano a chiedere un vertice per trovare una proposta condivisa nel centrosinistra da proporre alla Cdl. Ma il Pd punta al dialogo in Parlamento e con tutti. "Da questa prossima settimana - spiegano fonti della maggioranza - si accelera in commissione Affari Costituzionali al Senato e entro una decina di giorni al massimo potrebbe essere depositato un testo base al quale sta lavorando il costituzionalista Antonio Agosta" (chiamato proprio dalla Commissione la scorsa settimana). Anche negli ulivisti serpeggia il malumore. "Berlusconi - è l'appello del ministro della Difesa Arturo Parisi - non ceda al proporzionale". E non butti a mare il bipolarismo. Ma la strada sembra ormai segnata. Lo stesso si potrebbe dire per il referendum dopo l'apertura di Berlusconi. Un parte del Pd teme che il Cavaliere punti alla fine a quello, ma molti altri sono più convinti che lo voglia cavalcare unicamente come arma contro l'Unione. "Berlusconi - è il ragionamento di un esponente del Pd - si siederà al tavolo e dialogherà anche perchè, vista la sfida che sta lanciando ad avversari e alleati, è chiaro che non vuole il referendum che, con il premio di maggioranza, lo costringerebbe a fare coalizione con patiti dei quali, a detta di lui stesso, si è rotto...". Alessandra Chini [.


Verso il 'Veltronellum'. Ipotesi fusione di due sistemi elettorali Spagnoli e Tedeschi (sezione: Riforma elettorale)

( da "Voce d'Italia, La" del 20-11-2007)

Argomenti: Esempi esteri

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.64 del 20/11/2007 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Politica Votata la finanziaria, si torna a parlare di riforme Verso il "Veltronellum". Ipotesi fusione di due sistemi elettorali Spagnoli e Tedeschi Intanto le acque si agitano in seno Cdl Trapani, 20 Nov.- Votata al Senato la Finanziaria 2008 si ritorna a parlare di riforme elettorali. Lo spunto lo ha dato la proposta di riforma avanzata dal Leader del Pd Walter Veltroni: "Un sistema proporzionale, senza premio di maggioranza, che riduca la frammentazione e dia la possibilità ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti" questo secondo il leader del neonato Pd. L'ipotesi avanzata dal sindaco romano, prevederebbe una legge elettorale che sia vicina anche se non in tutti i punti, a quella in vigore in Germania: un proporzionale corretto, con sbarramento al 5 per cento e senza premio di maggioranza, il tutto riveduto e corretto con tracce del sistema elettorale spagnolo. Il quale, per il suo modus operandi, tende a produrre una drastica semplificazione del sistema dei partiti e un sensibile rafforzamento delle maggioranze parlamentari. E' di fatto il sistema elettorale proporzionale con i più rilevanti effetti maggioritari: tra i partiti con consenso uniforme sul territorio nazionale, vengono avvantaggiati i partiti maggiori mentre sono danneggiati i partiti più piccoli. Evidentemente le conclusioni devono essere balzate agli occhi dei "cespugli" dell'Unione che si sono detti pronti a controbattere. Ma mentre Veltroni getta il sasso nello stagno, le acque si agitano in seno alla Cdl. Mentre Forza Italia annuncia di aver raccolto quasi 2 milioni e mezzo di firme nella sua campagna per chiedere elezioni anticipate, il presidente di An Gianfranco Fini torna a criticare Silvio Berlusconi, dicendo che "bisogna votare solo dopo la riforma istituzionale e che chiedere le dimissioni del premier Romano Prodi lo rafforza".Sulla riforma elettorale, ha detto l'ex premier, "ci sono troppe posizioni nella maggioranza. Neppure la proposta di Veltroni è chiara... il governo cadrà e neanche le polemiche all'interno del centrodestra bloccheranno questo processo. Mai come ora ho tanto consenso nel Paese. Lascio a tutti gli altri, alleati compresi, i giochi di Palazzo, il teatrino della politica", così si pronuncia ancora il leader di Forza Italia. Non resta che aspettare la prossima settimana per vedere a che gioco si giocherà, mentre l'opione pubblica continua a sorbirsi il "reality show" quotidiano. Alessandro De Bartolomeo politica.milano@voceditalia.it.


Udeur-Pdci: no a corsie preferenziali con il Pd (sezione: Riforma elettorale)

( da "Corriere Adriatico" del 20-11-2007)

 

Ma i "cespugli" bocciano l'apertura Udeur-Pdci: no a corsie preferenziali con il Pd ROMA - Silvio Berlusconi si siede al tavolo della riforma elettorale. "Sono pronto a incontrare Veltroni", fa sapere spiegando che il modello al quale guarda è un proporzionale alla tedesca. Un fatto politico nuovo dopo i tanti no del Cavaliere, anche se in qualche modo anticipato da un'intervento di apertura di Gianni Letta al "Corsera" sulle riforme e dalla presenza del vice coordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto al convegno di Italianieuropei sulla modifica del sistema di voto. Proprio in quell'occasione il numero tre azzurro aveva sottolineato come, sulle riforme, "la maggioranza non può prescindere dal dialogo con il primo partito dell'opposizione". E, in effetti, l'uscita di Berlusconi non lascia indifferente l'Unione. Nei piccoli si materializza immediatamente lo spettro di un accordo che li tagli fuori; il Pd, invece, adotta la tecnica del 'wait and see' ("aspettiamo che cada la polvere", osserva il ministro delle Riforme Vannino Chiti - nella foto con Prodi) per capire meglio le intenzioni dell'ex-premier. Si dialoga con tutti - è il ragionamento - ma sull'intero pacchetto che comprende anche riforma costituzionale e dei regolamenti parlamentari. Berlusconi propone di modificare solo la legge elettorale e poi andare al voto? Palazzo Chigi replica che il dialogo "non può avere dei però". Lo dice esplicitamente Chiti: "Abbiamo già detto e ridetto - sottolinea - che esiste un pacchetto di riforme senza il quale la legge elettorale non ha senso. Tutti hanno capito che non si voterà nel 2008". Il prossimo anno, puntualizza anche Veltroni, va impiegato per le riforme, "per noi questa rimane la scadenza". I 'cespugli' dell'Unione, però, avvertono, che una corsia preferenziale per il dialogo con Forza Italia può rappresentare la pietra tombale per il governo. "Un dialogo privilegiato con gli azzurri - osserva il capogruppo del Pdci alla Camera Pino Sgobio - sarebbe un modo per mandare a casa Prodi". Anche l'Udeur è preoccupato: "Qualcuno - ragiona Mauro Fabris - in un campo e nell'altro vuole eliminare gli alleati". Mentre Rifondazione, da tempo sul tedesco, plaude (così come, dall'altra parte l'Udc), i piccoli (che pure fanno sapere di aver avuto assicurazioni sul fatto che "non ci sono ancora proposte definite") continuano a chiedere un vertice per trovare una proposta condivisa nel centrosinistra da proporre alla Cdl. Ma il Pd punta al dialogo in Parlamento e con tutti, "senza pregiudiziali o veti". Da questa prossima settimana - spiegano fonti della maggioranza - si accelera in commissione Affari Costituzionali al Senato e entro una decina di giorni al massimo potrebbe essere depositato un testo base al quale sta lavorando il costituzionalista Antonio Agosta (chiamato proprio dalla Commissione la scorsa settimana). Anche negli ulivisti serpeggia il malumore. "Berlusconi - è l'appello del ministro della Difesa Arturo Parisi - non ceda al proporzionale". E non butti a mare il bipolarismo. Ma la strada sembra ormai segnata. Lo stesso si potrebbe dire per il referendum dopo l'apertura di Berlusconi. ALESSANDRA CHINI ,.


MAGGIORITARIO E PROPOSTA VASSALLO A CONFRONTO (sezione: Riforma elettorale)

( da "Lavoce.info" del 20-11-2007)

 

Istituzioni e Federalismo MAGGIORITARIO E PROPOSTA VASSALLO A CONFRONTO di Tommaso Nannicini 20.11.2007 Il maggioritario a turno unico può garantire il bipolarismo, ma non la governabilità. Il doppio turno favorirebbe entrambe le cose, ma non ha nessuna chance di essere adottato. La proposta Vassallo si muove sul terreno delle scelte possibili: riduce la frammentazione, ma non troppo; favorisce la credibilità delle opzioni di governo, ma può creare scricchiolii nel bipolarismo. Mentre il vero effetto della legge elettorale sulla qualità e l'impegno della classe politica dipende dal grado di concorrenza che si crea in contesti diversi. Ora che si allontana lo spettro delle elezioni anticipate e si avvicina quello del referendum, il dibattito sulla riforma elettorale entra nel vivo. Tito Boeri e Vincenzo Galasso mettono sul piatto il dilemma che minaccia di dividere il fronte degli innovatori: sistema maggioritario o proposta Vassallo? Gli effetti delle due alternative dovrebbero essere valutati sia in un'ottica macro (sistema partitico e governabilità) sia in un'ottica micro (caratteristiche della classe politica). Gli effetti sul sistema politico La proposta Vassallo ha il merito di introdurre un obiettivo troppo spesso sottovalutato: evitare il formarsi di "coalizioni pre-elettorali artificiose, prive di coesione programmatica". È il problema che Giovanni Sartori pone da anni: la stabilità (dei governi) si rivela dannosa se non è accompagnata dall'effettività (del governare). Nella Seconda Repubblica, tutte le maggioranze governative si sono rivelate eterogenee e inconcludenti. Il sistema prevalentemente maggioritario (al 75 per cento) che abbiamo sperimentato dal 1994 al 2001 non ha ridotto la frammentazione partitica. Boeri e Galasso si chiedono se ciò non sia dipeso dal fatto che il maggioritario era "diluito" (dal 25 per cento della quota proporzionale). La frammentazione, tuttavia, era tale solo nella parte maggioritaria e non in quella proporzionale (con sbarramento). Nell'ultima legislatura del Mattarellum (2001-06), i deputati eletti nel proporzionale appartenevano a cinque partiti, mentre i deputati eletti nel maggioritario appartenevano a ben tredici. Le formazioni minori, grazie al loro potere di ricatto ("se non mi dai qualche collegio sicuro, mi presento ovunque e ti faccio perdere"), riuscivano a far eleggere i loro esponenti proprio nei collegi uninominali. È vero che, in un'ottica dinamica, si potrebbe pensare che, a forza di votare con il maggioritario a turno unico (al 100 per cento), i partiti minori potrebbero sparire a causa delle poche occasioni per contarsi. Ma in Italia, dove si vota con il proporzionale a molti livelli (regionale, comunale) e i regolamenti parlamentari permettono la formazione di piccoli gruppi non presenti sulla scheda elettorale, le occasioni di visibilità politica esisterebbero comunque. Solo il doppio turno ridurrebbe il potere di ricatto dei partiti minori, ma proprio per questo la probabilità che si faccia strada è quasi nulla. D'altro canto, è vero che il Mattarellum ha consentito una competizione bipolare e la scelta della maggioranza di governo da parte degli elettori. Mentre esiste il rischio paventato da Boeri e Galasso che la proposta Vassallo aumenti il potere d'interdizione dei partitini di centro, riducendo, però, il potere di ricatto dei partitini alle estreme. Quella proposta, tuttavia, è perfettamente compatibile con una competizione bipolare incentrata su due grandi partiti a vocazione maggioritaria, che collaborino con le formazioni minori senza snaturare il proprio programma di governo. Ma, affinché ciò si realizzi, dovrebbero verificarsi condizioni non così scontate nel contesto italiano, come un accordo esplicito tra le forze maggiori. In Spagna, ad esempio, il partito socialista ha già dichiarato ufficialmente che, se dovesse prendere anche un solo voto in meno del suo diretto antagonista , lo lascerebbe governare, anche qualora il partito popolare non raggiungesse il 50 per cento e fosse realizzabile una coalizione alternativa formata dal Psoe e dai partiti minori (comunisti, nazionalisti). Un'altra peculiarità italiana che, sposandosi con la riforma Vassallo, rischia di aumentare a dismisura il potere dei partitini di centro è l'invadenza della politica in molti settori economici e sociali. L'Italia è ancora piena di "partiti degli assessori" che si auto-riproducono grazie al potere discrezionale del ceto politico in molti campi. È chiaro che molti esponenti di questo ceto periferico verrebbero attratti, come gli orsi dal miele, dal nuovo potere d'interdizione delle piccole formazioni di centro. Diciamola così: in un'ottica macro, il maggioritario a turno unico può garantire il bipolarismo, ma non la governabilità. Il doppio turno favorirebbe tutte e due le cose, ma non ha nessuna chance di essere adottato. La proposta Vassallo si muove sul terreno delle scelte possibili: riduce la frammentazione, ma non troppo (per schivare il fuoco dei veti incrociati); favorisce la credibilità delle opzioni di governo, ma può creare scricchiolii nel bipolarismo (soprattutto se non si sposerà con un accordo tra i partiti maggiori e una riduzione dell'invadenza della politica nella società). Gli effetti sulla qualità del personale politico Quali sono invece gli effetti che possiamo attenderci dalla riforma Vassallo (o da un ritorno al maggioritario) in termini di selezione della classe politica? Un recente studio econometrico sui deputati eletti con il Mattarellum (1) mostra che gli eletti nella parte maggioritaria danno prova di un maggiore impegno parlamentare rispetto ai loro colleghi eletti con il proporzionale, secondo le misure disponibili di produttività parlamentare: assenteismo alle votazioni elettroniche, produzione legislativa. In termini di caratteristiche osservabili, inoltre, il maggioritario favorisce chi ha avuto esperienze amministrative a livello locale (56 per cento contro il 43 per cento nel proporzionale), mentre sfavorisce le donne (9 contro il 24 per cento) e chi ha avuto incarichi nazionali di partito (21 contro il 27 per cento). Il ritorno al maggioritario, quindi, favorirebbe l'accountability politica e il controllo degli elettori sugli eletti, ma potrebbe avere effetti collaterali sull'eguaglianza di genere. La proposta Vassallo, dal canto suo, sarebbe associata a una minore accountability rispetto al maggioritario, pur rappresentando un miglioramento rispetto all'attuale legge elettorale con (lunghe) liste bloccate. Anche se il ruolo delle liste bloccate nella proposta Vassallo restasse esiguo (al momento, sarebbero rilevanti solo per quei partiti che ottengono più del 50 per cento dei voti in una circoscrizione), gli incentivi individuali verrebbero ridotti dal fatto che gli sconfitti nei collegi uninominali che vengono ripescati perdono comunque il contatto con l'elettorato e, in prima battuta, hanno pochi stimoli a impegnarsi sapendo di essere eletti in ogni caso. Per esempio, i dati sul Senato eletto con il Mattarellum ci dicono che i "ripescati" mostravano un tasso di assenteismo parlamentare del 49 per cento contro il 35 per cento dei vincitori nei collegi uninominali. È probabile, tuttavia, che il vero effetto della legge elettorale sulla qualità e l'impegno della classe politica dipenda dal grado di concorrenza che si crea in contesti diversi. Anche con il maggioritario, se la distribuzione ideologica dei votanti tra aree del paese rendesse tutti i collegi "sicuri" in favore di una parte politica o dell'altra, gli incentivi a selezionare i candidati migliori o agire nell'interesse degli elettori sarebbero comunque tenui. Certo, con le liste bloccate decise dalle segreterie dei partiti gli incentivi sono pressoché nulli. Ma se la proposta Vassallo si conciliasse con le primarie per ogni singola candidatura, alcuni elementi di apertura potrebbero essere recuperati. L'importante è trovare modi efficaci per aumentare la contestabilità di tutte le cariche elettive. Solo così si potranno rimuovere i due effetti perversi della scarsa concorrenza politica: la "solitocrazia" (il basso tasso di ricambio della classe dirigente) e la "gerontocrazia" (la difficoltà delle giovani generazioni nel raggiungere posizioni di responsabilità). (1) Si veda Gagliarducci S., Nannicini T. e Naticchioni P. (2007), "Electoral Rules and Politicians' Behavior: A Micro Test", Cemfi Working Paper n.0716.


L.ELETTORALE: COM. REFERENDUM BOCCIA TEDESCO, 'RITORNO A 1* REPUBBLICA' (sezione: Riforma elettorale)

( da "Asca" del 20-11-2007)

 

(ASCA) - Roma, 20 apr - Bocciatura netta e senza appello, da parte del Comitato per il referendum, della proposta di riforma elettorale adottando il modello tedesco. ''Si tratterebbe - ha detto Giovanni Guzzetta, presidente del Comitato, in una conferenza stampa a Montecitorio - di un ritorno alla prima Repubblica, un ritorno al proporzionale. Una grande contraddizione con le scelte da parte dei cittadini che quando hanno potuto esprimersi hanno sempre scelto il maggioritario. E' evidente - ha aggiunto - che se le maggioranze non escono dalle elezioni poi si formano in parlamento e insieme al consociativismo delle colaizioni sopravvirebbero i ricatti. Resto convinto che senza incentivi non si realizza un vero bipolarismo. Mentre il nostro problema e' quello di liberaci della schiavitu' delle coalizioni''. Guzzetta boccia anche la motivazione espressa da Berlusconi per giustificare il suo repentino cambiamento: ''Non condivido l'affermazione di Berlusconi che nel nostro Paese il bipolarismo non e' possibile. L'Italia e' invece pronta a vivere uno schema politico bipolare. Gli italiani vogliono scegliere chi dovra' governare e non affidare questa scelta ad alchimie di palazzo''. Giudizio negativo anche per il mix tedesco-spagnolo, ovvero per la variante che con l'adozione di circoscrizioni piu' piccole favorirebbe la bipolarizzazione. ''Anche qui - e' il commento di Guzzetta - non si garantisce una maggioranza e non si garantisce che dopo le elezioni i soggetti politici rimangano tali, che non si scindano. E poi il sistema puo' funzionare con una serie di meccanismi che devono tutti coesistere. Ne dovesse mancare anche uno solo... E' difficile credere che passando al vaglio del parlamento non ci saranno modifiche''. min/mcc/sr.


Veltroni smentisce l'asse con il Cavaliere: discuterò con tutti Il leader ripete che nel 2008 non si voterà, convince Mastella, apre al dialogo con Fini (sezione: Riforma elettorale)

( da "Unita, L'" del 21-11-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Veltroni smentisce l'asse con il Cavaliere: discuterò con tutti Il leader ripete che nel 2008 non si voterà, convince Mastella, apre al dialogo con Fini di Bruno Miserendino/ Roma ASSI Non sarà affatto un blitz. Veltroni e Berlusconi si incontreranno presto, visto che i mediatori, ossia Bettini e Gianni Letta si sono già sentiti più volte nelle ultime ore, ma l'accordo di cui si parla e che vorrebbe Partito democratico e nuova creatura del Cavaliere pronti a fare sfracelli sulla legge elettorale a danno dei "piccoli", al momento non c'è. Anzi, non ci sarà. Eccolo il grande bubbone, scoppiato dopo la sortita del Cavaliere. I boatos danno per fatto il Grande Accordo. Caldarola, ad esempio, assicura che l'intesa è prossima. Invece i messaggi che arrivano dal Campidoglio ma anche da tutti quelli che in queste ore hanno sentito Veltroni, dicono che la partita è più complicata e che il segretario del Pd è pronto ad accelerare ma non vuol sentir parlare di assi privilegiati. "Il problema - dicono - è far capire a Berlusconi che per quanto lui si adoperi, nel 2008 non si voterà, e che Prodi non cadrà. A quel punto il Cavaliere, placata la furia anti-alleati, potrebbe essere tentato da un modello più bipolare del tedesco puro che adesso invoca". Si potrebbe aggiungere, rispondendo anche all'ultima proposta berlusconiana, ossia governo istituzionale per fare la legge elettorale se cade Prodi e Grosse Koalition se necessario, dopo le elezioni, che nel Pd non c'è alcuna tentazione di larghe intese con il Cavaliere né adesso né dopo. Veltroni, assicurano, vuole parlare con tutti e ha perfettamente presente i rischi di un accordo privilegiato con Berlusconi. Tanto per dire, ha sentito le parole di Fini a proposito della necessità di preservare il bipolarismo e ha commentato così: "Molto interessante la sua posizione". Del resto il leader di An ha indirettamente ricambiato: "Io voglio fare le riforme, Berlusconi no". Per intenderci An è disponibile (e subito) al confronto su tutte le riforme, compresi i ritocchi costituzionali indispensabili. Insomma se il dialogo prenderà corpo e realizzerà qualche risultato, si capirà quando davvero la Finanziaria sarà approvata definitivamente, e quando tramonteranno definitivamente gli improbabili scenari alternativi all'attuale maggioranza. Indicative ieri le parole di Mastella dopo l'incontro con Walter Veltroni. Teoricamente il ministro della Giustizia è tra i più preoccupati di ogni ipotesi di riforma elettorale, per non parlare del referendum. Invece ha preso atto che l'ipotesi del "Vassallum", ossia il mix iberico-tedesco sponsorizzato al momento da Veltroni, gli garantisce una rappresentanza come forza radicata regionalmente. Si è detto disponibile al confronto su questa e altre proposte, purché ci sia "lealtà" tra gli alleati. Lui, per quanto lo riguarda, assicura la sua al governo Prodi: il premier, dice "sta raccogliendo dal suo lavoro frutti positivi e ha dimostrato, sia pure tra molte difficoltà, di governare bene e di poter andare avanti". Esattamente il contrario, notano i maliziosi, di quel che ha detto Dini qualche giorno fa al Senato. Difficile, tanto per dirne una, che si faccia il gruppo Dini-Mastella-Bordon, se questa è l'analisi della situazione. Certo l'allarme dei cespugli c'è, e Diliberto e Angius gli hanno dato voce: "L'offerta del Cavaliere è una polpetta avvelenata, Veltroni non cada nella trappola". I Verdi consigliano "più cura per gli alleati", mentre Bertinotti ricorda che "la trattativa a due è una via sbagliata perché individua degli azionisti di maggioranza e invece serve il concerto di tutte le forze". Conclusione: servirà molto equilibrio. Ma da parte di tutti.


La variabile Dini (sezione: Riforma elettorale)

( da "Unita, L'" del 21-11-2007)

 

Stai consultando l'edizione del La variabile Dini Giuseppe Tamburrano Non è facile capire quali sono i fini della clamorosa iniziativa di Berlusconi né quali possono essere le conseguenze. La spiegazione più semplice è che sconfitto nello scontro con il governo Prodi rilancia; un'altra spiegazione è che vuole far cadere le alleanze che gli hanno tarpato le ali e combattere da solo certo di essere il più forte. Ma ci sono cose che non quadrano: e la più importante è che oggi è in testa nei sondaggi. Se il governo dura e lavora e Veltroni fa bene il suo mestiere gli umori dei cittadini possono cambiare; d'altronde l'elettorato del Partito del popolo può essere galvanizzato dalle otto milioni di firme (chi era quello che aveva otto milioni di baionette?), ma l'elettorato complessivo di centro-destra può essere scoraggiato dalla crisi dell'alleanza: e può riprendere fiducia quello del centro-sinistra. La verità è che il tempo è un fattore decisivo per l'ambizione di Berlusconi a tornare a Palazzo Chigi. Ma forse stiamo sottovalutando una variabile. Sottovalutiamo la talpa che scava sotto la poltrona di Prodi. Mi riferisco a Dini il quale ha in mano tre carte pericolose per il governo: a) fa parte della maggioranza; b) capeggia un gruppo di senatori ben individuati; c) critica duramente il governo e la sua politica. A questo punto, sulla carta, Prodi non ha più la maggioranza al Senato. Si paleserà con un voto impegnativo questo mutamento e di conseguenza avremo la crisi? Questa ipotesi è più realistica di quella agitata - a vuoto, s'è visto - da Berlusconi poiché non sono ombre o fantasmi i parlamentari che sono con Dini: hanno nome e cognome. Certo, il governo può anche andare in minoranza - come è successo su alcune norme della finanziaria - senza che ciò comporti l'obbligo di dimettersi. Ma Dini ha uno strumento decisivo nelle mani: il voto di sfiducia. Del governo ha detto: non è stato capace in questi diciotto mesi di trovare rimedi al degrado, al declino economico, all'insicurezza, alla sfiducia nelle istituzioni, all'ondata di populismo: è una situazione di scollamento. Sono espressioni forti, di chi ha preso le distanze dal governo. Se alla fine il governo cade, quali possono essere i percorsi politici istituzionali per uscire dalla crisi? Elezioni subito? Su questo punto l'opposizione non sembra più oggi compatta. Del resto il Capo dello Stato sa bene che è suo dovere cercare una maggioranza parlamentare se c'è. Ed ha sconsigliato ripetutamente di votare con la legge elettorale in vigore. L'uovo di Colombo è l'incarico a Veltroni, il leader più autorevole dell'attuale maggioranza. Il quale Veltroni, d'accordo in ciò con Napolitano, è deciso a cambiare la legge elettorale e alcune norme costituzionali: in otto mesi - ha detto - si può fare (anche meno se vi è la volontà politica). E se il problema principale è questo, chi meglio di Veltroni può affrontarlo ora che anche Berlusconi sembra disposto a trattare: con lui e non - è ovvio - con Prodi. Veltroni ha ottenuto una investitura plebiscitaria nelle primarie ed ha un alto gradimento degli elettori: sarebbe giusto che si accingesse al compito per il quale è stato investito. Che senso ha che il governo sia diretto da chi ha poco più del 20% dei sondaggi e non da chi ha 10, 15 punti in più? E che ha assai più chances di trovare un'intesa con l'opposizione che non Prodi? E che - sia detto tra di noi - può recuperare molti dei voti dell'Unione in libera uscita? Lo scoglio è la legge elettorale. Mi sembra che la proposta di Veltroni non incontri ampi consensi nel Pd. È possibile che il fattore decisivo per il varo della legge alla tedesca sia il consenso di Berlusconi? Certo, perché tutto è possibile in questo paese. E però vi è da essere sgomenti! Circa trenta anni di storia vengono sconfessati: torna quella tanto vituperata proporzionale che priva i cittadini del potere di investire direttamente il governo, che mette gli esecutivi allo sbando, nei giochi dei partiti, delle correnti, dei gruppi, provoca instabilità (un governo ogni anno). Con in più che nella prima Repubblica c'erano partiti strutturati, oggi ci sono ectoplasmi di partiti. E dove finiscono le esaltazioni per i grandi successi dei referendum, per la crisi delle oligarchie, per la "rivoluzione del bipolarismo", per la sovranità restituita al popolo che decide con il voto? Tutto ciò viene spazzato via in conseguenza di una furba operazione di cosmesi politica di Berlusconi? Si poteva sperare che i settori più responsabili - maggioranza e opposizione - del sistema politico si impegnassero a rinnovare l'assetto istituzionale con una legge elettorale funzionale ad un sano bipolarismo, con la riforma dei regolamenti parlamentari e con un ragionevole rinnovamento della Costituzione. Invece si torna indietro! E deve essere chiaro: il sistema elettorale tedesco che ora Berlusconi vuole purché puro e che tratterà con Veltroni è perfettamente proporzionale. Eppure c'è una riforma elettorale che calza al disgregato sistema politico italiano: il doppio turno alla francese con opportune modifiche. Veltroni si è dichiarato anche di recente favorevole. Era questa la proposta "ufficiale" dei Ds. Vi ha civettato Fini e lo ha sponsorizzato tempo fa lo stesso Berlusconi. Perché non ci riprovano?.


Il ritorno della Nuova Dc Obiettivo il partito-pivot (sezione: Riforma elettorale)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 21-11-2007)

Argomenti: Esempi esteri

Il Sole-24 Ore sezione: POLITICA E SOCIETA data: 2007-11-21 - pag: 14 autore: Il ritorno della Nuova Dc Obiettivo il partito-pivot C on la dichiarazione di Berlusconi sulla impossibilità del bipolarismo in Italia si chiude un ciclo, forse. Nel 1992 avevamo un sistema proporzionale quasi puro. Grazie a un referendum siamo passati nel 1993 ad un sistema prevalentemente maggioritario. Nel 2005 questo sistema è stato sostituito da un proporzionale con premio di maggioranza. Qualche giorno fa Veltroni ha proposto un sistema proporzionale con effetti maggioritari. Adesso Berlusconi parla di un sistema elettorale proporzionale puro, cioè con effetti proporzionali. Di maggioritario non resta più nulla. E così la transizione si chiude dove era cominciata. Dal proporzionale. Quale modello proporzionale abbia in testa Berlusconi in realtà non si sa. I sistemi elettorali sono materia ostica per tutti, anche per il Cavaliere. Nelle ultime ore lo abbiamo sentito parlare di sistema tedesco, poi di proporzionale puro. Non sono esattamente la stessa cosa. Nel tedesco ci sono i collegi uninominali che al Cavaliere non piacciono. Gli elettori hanno un doppio voto e anche questo al Cavaliere non piace. Per questo alla fine si orienterà probabilmente per un proporzionale puro con uno sbarramento qualsiasi. è questo il sistema che più gli conviene. Con questo sistema invece di dover dannarsi per mettere insieme una coalizione prima delle elezioni, lo farà dopo alle sue condizioni. Berlusconi non è un ingenuo. Sa benissimo che il futuro partito delle libertà non riuscirà mai a raggiungere da solo la maggioranza assoluta dei voti. Non esiste nessun partito in nessuna grande democrazia europea capace di una simile impresa. Quello che vuole è semplicemente avere le mani libere prima del voto e durante la campagna elettorale. E fare i conti dopo. Per questo il bipolarismo del maggioritario non gli serve più. Gli serve invece un proporzionale puro. Questo sistema conviene sia a Fi/Pdl che all'Udc, o meglio alla Nuova Dc, più che a qualunque altro partito. Certamente più che al Pd. Lo avevamo scritto prima dell'addio di Berlusconi al bipolarismo e lo ripetiamo oggi con l'ausilio di altre simulazioni. Proprio per dimostrare questa ipotesi abbiamo costruito tre simulazioni molto favorevoli al Pd. Il sistema elettorale che abbiamo utilizzato è quello del quoziente naturale (come in Germania) con una soglia di sbarramento del 5% (come in Germania), applicato a livello nazionale (come in Germania) ma senza collegi uninominali. In tutte e tre le simulazioni abbiamo attribuito al Pd circa il 35% dei voti. La stessa percentuale di voti con cui Blair ha vinto le ultime elezioni in Gran Bretagna. è anche la stessa percentuale di voti della Spd tedesca e del partito socialdemocratico svedese. In tutte e tre le simulazioni abbiamo volutamente sottostimato Fi/Pdl dandogli sempre il 24% dei voti. Le varianti tra i primi due scenari riguardano i partiti alla sinistra del Pd e la Nuova Dc. Nel terzo scenario abbiamo aggiunto la Lega sotto la soglia del 5% per dimostrare che solo in questo modo, con due partiti sotto soglia, il sistema tedesco favorirebbe le formazioni maggiori. Il risultato politico (non aritmetico) di queste simulazioni è uno solo. La Nuova Dc sarebbe l'ago della bilancia e il Pd avrebbe due sole alternative plausibili: una coalizione con il partito di Casini oppure la grande coalizione con Berlusconi. Se poi facessimo uno scenario in cui il Pd è meno forte e Fi più forte allora al Pd verrebbe a mancare anche la possibilità di fare maggioranza con la Nuova Dc. In questo caso proprio Fi/Pdl sarebbe il partito più avvantaggiato in quanto indispensabile per qualunque maggioranza politicamente plausibile, rimettendo Berlusconi al centro della scena politica. Ed è questo l'obiettivo delCavaliere.A meno che non coltivi un altro piano ancora più ambizioso e rischioso: andare al referendume subito dopo a nuove elezioni con un nuovo partito, solo contro tutti, alla caccia del premio che lo farebbe governare finalmente da solo. LA STRATEGIA L'ex premier punta ad avere mani libere prima delle elezioni per formare una coalizione alle sue condizioni.


Amato: prima le regole sui fondi ai gruppi (sezione: Riforma elettorale)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 21-11-2007)

 

Il Sole-24 Ore sezione: POLITICA E SOCIETA data: 2007-11-21 - pag: 14 autore: Il dibattito sulla legge elettorale. "Soldi solo a chi entra in Parlamento" Amato: prima le regole sui fondi ai gruppi Barbara Fiammeri ROMA Prima di varare la riforma elettorale bisogna rivedere le regole sul finanziamento ai partiti e ai gruppi parlamentari. Giuliano Amato ne è convinto: solo così si capirà chi sta bluffando e chi, invece, punta davvero a ridurre la frammentazione e a costruire un bipolarismo fondato su coalizioni omogenee. Il ministro dell'Interno la chiama scherzosamente"la prova d'amore ". "Deve essere chiaro che il denaro dei contribuenti deve essere destinato esclusivamente alle formazioni politiche che si sono presentate davanti agli elettori e hanno ricevuto il consenso sufficiente ad entrare in Parlamento", spiega l'ex premier intervenendo alseminario sulla legge elettorale organizzato da Astrid, l'associazione di Franco Bassanini presieduta dallo stesso Amato. Al centro del dibattito – cui hanno partecipato numerosi costituzionalisti e parlamentari, tra cui i presidenti delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, Violante e Bianco – il sistema elettorale tedesco e le possibili correzioni "spagnole" contenute nella proposta Vassallo-Ceccanti. Ed è proprio sulle possibili contaminazioni tra i due sistemi elettorali che si sta ora concentrando il dibattito. I tempi però sono ristrettissimi: la nuova legge elettorale deve entrare in vigore prima del referendum che si terrà ad aprile. Sia il modello tedesco che quello spagnolo consentirebbero di superare i quesiti referendari. La conferma arriva sempre da Astrid, che sta per dare alle stampe (Passigli editori) un volume dedicato al rapporto tra referendum e riforma, da cui emerge che tutti i modelli elettorali che non prevedano premi di maggioranza alle coalizioni sono in grado di far saltare la consultazione popolare. Di qui il forte appeal suscitato dal sistema elettorale in vigore in Germania: un proporzionale con sbarramento al 5% senza vincoli di coalizione. Ma anche ( soprattutto tra i cultori del bipolarismo) da quello spagnolo che, grazie a una forte restrizione delle circoscrizioni elettorali – più o meno paragonabili alle nostre province –, impone soglie di sbarramento molto alte favorendo così i due maggiori partiti. A tentare un mix tra i due sistemi è la proposta Vassallo-Ceccanti che piace a Walter Veltroni ma che viene criticata anche all'interno del Pd. "Il rischio di questo sistema è che si incentivi la formazione di liste localistiche – ha confermato Violante – le quali per assurdo potrebbero avere una rappresentanza in Parlamento che sarebbe invece preclusa a partiti di dimensioni nazionali rilevanti vicini all'8%". Una tesi che invece viene contestata dal costituzionalista Beniamino Caravita secondo cui per rispettare i partiti di medie dimensioni sarebbe sufficiente aumentare l'area territoriale delle circoscrizioni. "Dobbiamo procedere per trovare una soluzione realistica – ha chiosato Bassanini –: fino a pochi mesi fa eravamo in pochi a sostenere la necessità di cancellare il premio di maggioranza, il vero ostacolo alla costruzione di alleanze non effimere, finalizzate cioè solo a vincere le elezioni. Adesso se ne sono convinti tutti. Il passo successivo è affiancare qualunque ipotesi di legge elettorale alle indispensabili riforme costituzionali e regolamentari ". I GIURISTI DI ASTRID Sia il modello con lo sbarramento, sia quello spagnolo con collegi piccoli sono sufficienti a neutralizzare il referendum.


Troppi luoghi comuni sull'attuale legge elettorale (sezione: Riforma elettorale)

( da "Manifesto, Il" del 21-11-2007)

 

L'intervento Troppi luoghi comuni sull'attuale legge elettorale Paolo Hutter Discutere di riforme elettorali sembra noioso e capzioso, ma la disattenzione e la demagogia in questo campo producono disastri quindi dobbiamo occuparcene in tanti. Se non sarà proprio il tema della riforma elettorale a soffocare sul nascere la progettata federazione a sinistra del Partito democratico, sarebbe bello e utile che quella che è stata finora la sinistra dell'Unione socializzasse il più possibile il dibattito, senza il timore di contrastare i luoghi comuni poco fondati. La legge elettorale con cui abbiamo eletto la Camera dei deputati, ad esempio, è stata demonizzata e le si sono attribuiti tutti i mali. A un esame un pochino più obiettivo si potrebbe osservare che il cosiddetto Porcellum è in sintonia con le leggi elettorali dei comuni delle province e delle regioni, che è un sistema originale nel mondo, molto intelligente e equilibrato nel consentire bipolarismo rappresentatività e governabilità, e che tutti i mali di questi due anni sono venuti invece dal Senato. Questo vale se per mali intendiamo il governo sempre appeso a un filo e i condizionamenti centristi. C'è chi considera invece un male il fatto in sé che ci siano forze minori in Parlamento e vuole abrogarle con un referendum che porterebbe a una sorta di forzoso bipartitismo. Per i referendari la legge attuale è troppo proporzionale. Certo un po' proporzionale lo è, ma non è responsabile della frammentazione, né dei casi Dini Mastella Bordon. Con il Porcellum (ingiustamente vituperato persino dal suo creatore) sarebbero rappresentati in Parlamento solo i partiti che superano il 2 per cento e sarebbero dieci. La proliferazione di gruppi dipende dai regolamenti parlamentari, la proliferazione di liste civetta dipende dal lassismo in tema di raccolta firme per presentarsi, il verticismo nella decisione su chi andrà in Parlamento dipende dai difetti dei partiti, non dal sistema elettorale (anche se forse il ripristino della preferenza, peraltro presente nelle leggi comunale e regionale, sarebbe opportuno): il Porcellum è innocente. Tutti i sistemi con la coalizione di liste e il premio di maggioranza ripartito tra di loro hanno un comune difetto o merito, a seconda come lo si guarda: nell'attuale fase rendono decisivi l'apporto e la presenza delle forze minori, della sinistra. I referendari tentano di spazzare questo ingombro a cannonate, salvo poi trovarsi rientrare dalla finestra ciò che cacciano dalla porta. Se la lista più votata prende il premio per governare è chiaro che sarà una lista di coalizione. La proposta "spagnoleggiante" cerca di evitare questo rischio ma anche di evitare l'esito più probabile di un eventuale sistema tedesco e cioè la inevitabilità di una "grande coalizione" o anche "stretta coalizione" al centro. Cerca invece di premiare il partito più forte senza far fuori le forze minori, facendo in modo che un partito del che so 40 per cento possa anche prendere il 50 per cento dei seggi mentre uno del 5 per cento si dovrebbe accontentare del 3 per cento dei seggi. Mi lasciava già abbastanza sconcertato che Rifondazione fosse così innamorata del sistema tedesco. E' vero che la soglia del 5 per cento obbligherebbe le altre formazioni di sinistra a convergere o perire ma è anche vero che senza premio di coalizione è quasi impossibile che la federazione a sinistra del Pd possa mai più partecipare a un governo di centro sinistra. Pd al massimo 35 per cento sinistra al massimo 13 per cento. In un sistema alla tedesca la sinistra si troverebbe probabilmente a dover scegliere se partecipare a un governo Pd-Udc o lasciar campo libero a soluzioni peggiori. Ma se il sistema viene addirittura spagnoleggiato la sinistra si accontenterebbe addirittura di essere sottorappresentata in Parlamento pur di togliersi dall'impiccio del conflitto quotidiano nel governo? E pensa in questo modo di attirare più voti? E che ne sarebbe di tutto il sistema bipolare di coalizione degli enti locali? Per favore evitiamo queste ulteriori alterazioni della democrazia elettorale e queste avventure. Non accettiamo più le mistificazioni interessate o superficiali. Tutti i mali son venuti dal Senato, dal bicameralismo perfetto, dall'esclusione dei giovani dal voto per la seconda camera, dalla legge elettorale coi premi di maggioranza regionali. Infatti ora si sta finalmente per abolire il Senato come doppione. Se si considerano troppi i gruppetti parlamentari si conceda il gruppo solo a chi ha passato lo sbarramento, se si considera eccessivo il 2 per cento come sbarramento ( ma perché?) si metta il 3 e non si avran più di 6 massimo 7 partiti. Non si abbia questo sacrosanto timore di un referendum che o non passa il quorum o produrrà un risultato talmente assurdo da non reggere. Si discuta francamente del problema reale, che siamo una minoranza che vuole contare e incidere e che questo risultato nessuna legge elettorale ce lo può dare meglio di quella attuale.


L'inciucio è roba da pazzi (sezione: Riforma elettorale)

( da "Manifesto, Il" del 21-11-2007)

 

No di Alfonso Pecoraro Scanio al proporzionale tedesco: difendiamo il bipolarismo "L'inciucio è roba da pazzi" Bisogna accelerare sull'unità a sinistra. L'assemblea dell'8 siglerà un "new deal" tra sinistra e società. Siamo aperti al confronto, anche con Beppe Grillo Matteo Bartocci "Insistere sul sistema tedesco è una pazzia, come dimostrano le ultime svolte di Berlusconi serve solo a favorire un inguardabile inciucio tra il Pd e la destra. E' vero che alla sinistra piace farsi del male ma smettiamola con il tafazzismo". Per Alfonso Pecoraro Scanio la sinistra arcobaleno farebbe "un errore" ad accettare la fine del bipolarismo in cambio di qualche vantaggio elettorale di breve durata. Al contrario, il leader dei Verdi rilancia sull'"unità della sinistra e degli ecologisti", unica garanzia di innovazione e apertura per un "new deal" tra progressisti e società. L'apertura di Berlusconi al proporzionale, in sintonia con i centristi e con partiti della sinistra, apre alla fine del bipolarismo di coalizione. Che ne pensi? Abbandonare il bipolarismo è un errore. E' un sistema che consente agli elettori di decidere in modo trasparente chi deve governare. Ha consentito al centrosinistra di farlo per due volte e alla sinistra di vincere in Puglia con Vendola o a Taranto con Stefàno. Non possiamo archiviarlo con leggerezza, dopo c'è solo una politica che privilegia la compravendita di interessi. Ma qualche problema in queste coalizioni sterminate c'è. Non sono innamorato di alleanze coatte ma di un programma chiaro e trasparente, come si fa senza troppi clamori nella maggior parte dei comuni e delle regioni. Eppure a Roma condiziona di più Dini con i suoi tre senatori che i vostri 150 parlamentari. La sinistra ha garantito molti provvedimenti scritti nel programma. E' vero, noi agiamo in modo opposto a Dini, siamo una forza responsabile che non ha mai fatto ricatti. Con 150 parlamentari abbiamo il dovere di avere un comportamento corretto e di portare avanti contenuti positivi e non personali. Berlusconi intanto reagisce alla sconfitta. E passa dalla "spallata" allo scioglimento di Forza Italia come se nulla fosse. E' un uomo abile. Ma che si sciolga con un comizio e sui giornali un partito così votato, senza alcun dibattito o congresso, la dice lunga sulla sua concezione della democrazia. E' la conferma che non abbiamo risolto il conflitto di interessi. Forse oggi, che nuoce anche a loro, An e Udc si rendono conto dell'errore di aver taciuto su questa anomalia gigantesca. Non è che rischiate di finire schiacciati tra il referendum di Berlusconi/Veltroni e il tedesco di Bertinotti, D'Alema e Casini? Noi insistiamo per il bipolarismo e per le preferenze. La federazione della sinistra e degli ecologisti la faremo comunque, a prescindere dal sistema elettorale. Rifondazione ha ragione a chiedere libertà di movimento ma in Germania quel sistema è in crisi e in Italia sarebbe usato per una grande coalizione tra Pd e Berlusconi. Un inciucio inguardabile che non può essere favorito da chi vuole spostare a sinistra le scelte del paese. Qual è la vostra proposta sulla legge elettorale? Prima di paralizzarci su modelli stranieri valutiamo il modello delle comunali: un doppio turno di coalizione a livello nazionale. Ma non implica l'elezione diretta del premier, come del sindaco? No, l'elezione diretta del presidente del consiglio è stata bocciata dal referendum costituzionale. Con il doppio turno nazionale il Pd deciderà se allearsi o meno con la sinistra, sennò si deciderà al secondo turno. E' un sistema proporzionale che la gente conosce e che consente una maggioranza certa. Ma con il sistema francese la sinistra non governa da anni. Non è il sistema francese. Io non parlo di un doppio turno di collegio, parlo del sistema delle comunali: partiti coalizzati o meno che indicano un premier. Ne avete parlato con Veltroni? No, gli ho detto che il modello spagnolo che ha proposto è sbagliato: favorisce i partiti provinciali e personali. Soprattutto perché qui, a differenza che in Spagna, i presidenti di regione sono eletti direttamente, e nascerebbero mille comitati locali che renderebbero il panorama ancora più disarticolato. C'è il Pd e un partito unico a destra. La federazione della sinistra va bene o bisogna accelerare? Io contesto l'idea che una federazione sia meno innovativa di un partito unico. A me il politburo non interessa né vedo l'ora di venerare la salma di Lenin. Dobbiamo costruire un modello più moderno, che consenta la partecipazione anche a chi non è comunista, socialista o ambientalista. Abbiamo il dovere di essere creativi in tutto. L'8 e 9 dicembre avete convocato un'assemblea generale. E' una data fondativa? Secondo me è un vero punto di partenza. Vorrei un grande forum tipo Porto Alegre, che lanci una carta dei valori comune e primarie di programma sulle 10 grandi riforme arcobaleno. Dobbiamo dire come vogliamo cambiare la società: reddito di cittadinanza, unioni civili, bioedilizia. Dobbiamo costruire un "new deal" per la nuova sinistra, non un arroccamento di nostalgici. Il nostro obiettivo è fondere i diritti sociali, che sono un patrimonio di tutta la sinistra, con i nuovi diritti di libertà e dell'ambiente. Dobbiamo mettere la laicità al centro di ogni nostra azione, misurarci davvero su questioni come la sessualità o il software libero. Mi piacerebbe molto, per esempio, che si confrontassero con noi l'Arcigay, ma anche Beppe Grillo e i suoi "meet up", o i comitati per la difesa del paesaggio di Asor Rosa. Questa sinistra ecologista non sarà solo una federazione tra partiti ma deve essere uno spazio aperto a disposizione di tutti.


Veltroni teme una beffacome fu la bicamerale (sezione: Riforma elettorale)

( da "Secolo XIX, Il" del 21-11-2007)

 

Centrosinistra nRoma. Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, si limita a dire: "Berlusconi vuol far cadere il governo. La sua proposta, quindi, non può essere altro che una "polpetta avvelenata". Veltroni stia in guardia". In privato, gli stessi timori sono stati espressi da altri leader del centrosinistra: Berlusconi ha già fatto saltare in aria il "tavolo" della Bicamerale di D'Alema, e nulla impedisce che tenti lo stesso gioco nuovamente. In altre parole: potrebbe trattare sulla riforma elettorale, fino al giorno prima del referendum, e poi fermarsi e chiedere nuovamente il voto. Altro fumo negli occhi, soprattutto dei piccoli partiti della coalizione, la fine del bipolarismo. Ventiquattro ore dopo la fine della Cdl, la maggioranza scopre che si tratta di una vittoria piena di insidie. Gli emissari di Veltroni e Berlusconi (Bettini e Letta) sono già al lavoro per organizzare il "faccia a faccia". Ma il segretario del partito democratico deve prima sondare tutti gli alleati del governo Prodi. Ieri ha incontrato Clemente Mastella: "Sul tavolo c'è una proposta - ha detto il sindaco di Roma - ma nulla vieta di trovare altre soluzioni. Magari tornare alla "bozza" elaborata dal ministro delle Riforme, Vannino Chiti". "Un incontro positivo - ha detto il Guardasigilli, che sembra preferire la seconda ipotesi - Veltroni ha mostrato di tenere in considerazione le nostre richieste". Ma è a sinistra della coalizione che si avvertono scricchiolii sinistri. Da una parte c'è Rifondazione:: "Ora la riforma sul modello tedesco è a portata di mano" ha sostenuto il segretario, Giordano. Dall'altra, Verdi e Comunisti italiani che vedono con preoccupazione le mosse di Berlusconi. "Il bipolarismo è un valore che l'Italia ha dimostrato di apprezzare. Non possiamo permettere che sia Berlusconi, da solo, ad archiviare, dopo 12 anni, questa esperienza" ammonisce Alfonso Pecoraro Scanio, portavoce dei "Verdi". "Sarebbe la vittoria del trasformismo. Altrimenti Pd e Pl potrebbero anche accordarsi per riscrivere la Costituzione" rincara la dose anche Manuela Palermi, capogruppo del Pdci al Senato. Veltroni e Prodi hanno dovuto tranquillizzare tutti. Prima, da Palazzo Chigi è arrivata la conferma: "Le riforme si fanno ricercando l'accordo di tutti: non ci sono interlocutori privilegiati". A parlare, a nome del segretario del Pd, è Dario Franceschini: "Vogliamo capire se la tattica di Berlusconi è seria, oppure solo un tentativo di intimidire i suoli alleati. La riforma non la facciamo a colpi di maggioranza, e neppure "tirando a fregare" qualcuno". A.M.B. Diliberto: "È una polpetta avvelenata". Prodi: "Riforme solo ricercando l'accordo di tutti" 21/11/2007.


L'asse Pd-Pdl piace. Non a Prodi Rifondazione esulta. Intesa Veltroni-Mastella. Il Prof: Si parli con tutti (sezione: Riforma elettorale)

( da "Nazione, La (Nazionale)" del 21-11-2007)
Pubblicato anche in:
(Giorno, Il (Nazionale)) (Resto del Carlino, Il (Nazionale))

 

L'asse Pd-Pdl piace. Non a Prodi Rifondazione esulta. Intesa Veltroni-Mastella. Il Prof: "Si parli con tutti" ? ROMA ? NEGLI AMBIENTI veltroniani si dà per scontato che Prodi sia soddisfatto della piega presa dal dialogo sulle riforme. "Se il confronto decolla ? spiegano dalle parti del senatore Goffredo Bettini ? il governo si allunga la vita e nessuno di noi avrà interesse a riproporre la questione, oggettivamente destabilizzante, del rimpasto di governo". Eppure, qualche dubbio Romano Prodi deve averlo. Dubbi di merito e di metodo. Palazzo Chigi, infatti, ieri ha piantato due paletti: la riforma elettorale deve garantire "bipolarismo, governabilità e rappresentatività"; il dialogo dev'essere "polifonico" e non ridursi a un duetto tra Veltroni e Berlusconi. La prima precisazione si spiega col fatto che, come mostrano gli strali dei prodiani Monaco e Parisi, Prodi non è un fautore del proporzionale. La seconda risponde al timore che, pur di chiudere l'accordo col Cavaliere, Walter Veltroni possa decidere di sacrificare l'attuale governo. "Già il fatto che autorizzi i suoi a parlare di elezioni nel 2009 non ci rassicura...", confida un prodiano. MA IL SINDACO di Roma non se ne cura. Lo descrivono "cautamente ottimista" sul fatto che Silvio Berlusconi intenda affrontare il dialogo sulle riforme con animo costruttivo perché, spiegano, "ora che ha rotto con gli alleati, è più difficile che rovesci il tavolo per ripiegare su un referendum che, se passasse, lo obbligherebbe a presentarsi alle elezioni assieme a Fini e Casini". Nell'immediato, il leader del Pd intende rassicurare gli alleati. E ieri con il ministro Clemente Mastella c'è riuscito. Gli ha detto che non punta al referendum, gli ha spiegato che la sua proposta di legge elettorale avvantaggerebbe l'Udeur e, soprattutto, gli ha fatto capire di avere tutto l'interesse ad allearsi con una forza marcatamente cattolica come la sua. Veltroni, infatti, intende dar vita a un sistema bipartitico, ma, spiega Mastella, "quello che ha in mente è un bipartitismo imperfetto come accadeva nella Prima repubblica, dove attorno alla Dc, forza egemone, gravitavano alcuni satelliti". A MASTELLA va bene, anche perché potrebbe di volta in volta "gravitare" attorno al Pd o al Pdl di Berlusconi. Mentre, se davvero il proporzionale con sbarramento diventasse legge, i partitini della sinistra sarebbero obbligati ad accorparsi senza peraltro alcuna garanzia di poter orbitare attorno al Pd qualora questo vincesse le elezioni. La prospettiva va bene a Fausto Bertinotti, che infatti ieri apprezzava il fatto che, "dopo le aperture di Berlusconi, il sistema tedesco è alla portata dell'approvazione del Parlamento". Ed è stato sempre il presidente della Camera il protagonista di un siparietto sorprendente in Transatlantico. Dice, infatti, Bertinotti incontrando gli azzurri Fabrizio Cicchitto e Antonio Leone: "Fantastico", "eccezionale", un gran colpo di teatro", "l'alfa e l'omega della Seconda Repubblica", un politico che "decide le regole del gioco, mentre gli altri le seguono". Chi è il politico? Berlusconi. Ma, tornando alle riforme, a parte Sd, l'asse Pd-Pdl non va bene agli altri potenziali inquilini della Cosa Rossa. E infatti il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, dopo essersi visto respingere la proposta di inserire la falce e il martello nel simbolo del futuribile partito, ieri metteva in guardia Veltroni dal trattare con Berlusconi. "E' una trappola per far cadere Prodi", diceva. Mentre il verde Bonelli definiva quell'embrione di dialogo secondo il più classico degli schemi: "Un inciucio". E se si considera che il socialista Angius rilascia dichiarazioni di fuoco sulle mire egemoniche del Pd, si capisce perché Veltroni pare intenzionato ad evitare che al tema della legge elettorale venga dedicato un vertice di maggioranza. Prodi? Dissente. a. can. - -->.


Legge elettorale, proposte a confronto (sezione: Riforma elettorale)

( da "Denaro, Il" del 21-11-2007)

 

Commenti politica Legge elettorale, proposte a confronto di Tommaso Nannicini* Ora che si allontana lo spettro delle elezioni anticipate e si avvicina quello del referendum, il dibattito sulla riforma elettorale entra nel vivo. Il dilemma che minaccia di dividere il fronte degli innovatori è: sistema maggioritario o proposta Vassallo? Gli effetti delle due alternative dovrebbero essere valutati sia in un'ottica macro (sistema partitico e governabilità) sia in un'ottica micro (caratteristiche della classe politica). La proposta Vassallo ha il merito di introdurre un obiettivo troppo spesso sottovalutato: evitare il formarsi di "coalizioni pre-elettorali artificiose, prive di coesione programmatica". È il problema che Giovanni Sartori pone da anni: la stabilità (dei governi) si rivela dannosa se non è accompagnata dall'effettività (del governare). Nella Seconda Repubblica, tutte le maggioranze governative si sono rivelate eterogenee e inconcludenti. Il sistema prevalentemente maggioritario (al 75 per cento) che abbiamo sperimentato dal 1994 al 2001 non ha ridotto la frammentazione partitica. Boeri e Galasso si chiedono se ciò non sia dipeso dal fatto che il maggioritario era "diluito" (dal 25 per cento della quota proporzionale). La frammentazione, tuttavia, era tale solo nella parte maggioritaria e non in quella proporzionale (con sbarramento). Nell'ultima legislatura del Mattarellum (2001-06), i deputati eletti nel proporzionale appartenevano a cinque partiti, mentre i deputati eletti nel maggioritario appartenevano a ben tredici. Le formazioni minori, grazie al loro potere di ricatto ("se non mi dai qualche collegio sicuro, mi presento ovunque e ti faccio perdere"), riuscivano a far eleggere i loro esponenti proprio nei collegi uninominali. È vero che, in un'ottica dinamica, si potrebbe pensare che, a forza di votare con il maggioritario a turno unico (al 100 per cento), i partiti minori potrebbero sparire a causa delle poche occasioni per contarsi. Ma in Italia, dove si vota con il proporzionale a molti livelli (regionale, comunale) e i regolamenti parlamentari permettono la formazione di piccoli gruppi non presenti sulla scheda elettorale, le occasioni di visibilità politica esisterebbero comunque. Solo il doppio turno ridurrebbe il potere di ricatto dei partiti minori, ma proprio per questo la probabilità che si faccia strada è quasi nulla. D'altro canto, è vero che il Mattarellum ha consentito una competizione bipolare e la scelta della maggioranza di governo da parte degli elettori. Mentre esiste il rischio paventato da Boeri e Galasso che la proposta Vassallo aumenti il potere d'interdizione dei partitini di centro, riducendo, però, il potere di ricatto dei partitini alle estreme. Quella proposta, tuttavia, è perfettamente compatibile con una competizione bipolare incentrata su due grandi partiti a vocazione maggioritaria, che collaborino con le formazioni minori senza snaturare il proprio programma di governo. Ma, affinché ciò si realizzi, dovrebbero verificarsi condizioni non così scontate nel contesto italiano, come un accordo esplicito tra le forze maggiori. In Spagna, ad esempio, il partito socialista ha già dichiarato ufficialmente che, se dovesse prendere anche un solo voto in meno del suo diretto antagonista , lo lascerebbe governare, anche qualora il partito popolare non raggiungesse il 50 per cento e fosse realizzabile una coalizione alternativa formata dal Psoe e dai partiti minori (comunisti, nazionalisti). Un'altra peculiarità italiana che, sposandosi con la riforma Vassallo, rischia di aumentare a dismisura il potere dei partitini di centro è l'invadenza della politica in molti settori economici e sociali. L'Italia è ancora piena di "partiti degli assessori" che si auto-riproducono grazie al potere discrezionale del ceto politico in molti campi. È chiaro che molti esponenti di questo ceto periferico verrebbero attratti, come gli orsi dal miele, dal nuovo potere d'interdizione delle piccole formazioni di centro. Diciamola così: in un'ottica macro, il maggioritario a turno unico può garantire il bipolarismo, ma non la governabilità. Il doppio turno favorirebbe tutte e due le cose, ma non ha nessuna chance di essere adottato. La proposta Vassallo si muove sul terreno delle scelte possibili: riduce la frammentazione, ma non troppo (per schivare il fuoco dei veti incrociati); favorisce la credibilità delle opzioni di governo, ma può creare scricchiolii nel bipolarismo (soprattutto se non si sposerà con un accordo tra i partiti maggiori e una riduzione dell'invadenza della politica nella società). Quali sono invece gli effetti che possiamo attenderci dalla riforma Vassallo (o da un ritorno al maggioritario) in termini di selezione della classe politica? Un recente studio econometrico sui deputati eletti con il Mattarellum mostra che gli eletti nella parte maggioritaria danno prova di un maggiore impegno parlamentare rispetto ai loro colleghi eletti con il proporzionale, secondo le misure disponibili di produttività parlamentare: assenteismo alle votazioni elettroniche, produzione legislativa. In termini di caratteristiche osservabili, inoltre, il maggioritario favorisce chi ha avuto esperienze amministrative a livello locale (56 per cento contro il 43 per cento nel proporzionale), mentre sfavorisce le donne (9 contro il 24 per cento) e chi ha avuto incarichi nazionali di partito (21 contro il 27 per cento). Il ritorno al maggioritario, quindi, favorirebbe l'accountability politica e il controllo degli elettori sugli eletti, ma potrebbe avere effetti collaterali sull'eguaglianza di genere. La proposta Vassallo, dal canto suo, sarebbe associata a una minore accountability rispetto al maggioritario, pur rappresentando un miglioramento rispetto all'attuale legge elettorale con (lunghe) liste bloccate. Anche se il ruolo delle liste bloccate nella proposta Vassallo restasse esiguo (al momento, sarebbero rilevanti solo per quei partiti che ottengono più del 50 per cento dei voti in una circoscrizione), gli incentivi individuali verrebbero ridotti dal fatto che gli sconfitti nei collegi uninominali che vengono ripescati perdono comunque il contatto con l'elettorato e, in prima battuta, hanno pochi stimoli a impegnarsi sapendo di essere eletti in ogni caso. Per esempio, i dati sul Senato eletto con il Mattarellum ci dicono che i "ripescati" mostravano un tasso di assenteismo parlamentare del 49 per cento contro il 35 per cento dei vincitori nei collegi uninominali. È probabile, tuttavia, che il vero effetto della legge elettorale sulla qualità e l'impegno della classe politica dipenda dal grado di concorrenza che si crea in contesti diversi. Anche con il maggioritario, se la distribuzione ideologica dei votanti tra aree del paese rendesse tutti i collegi "sicuri" in favore di una parte politica o dell'altra, gli incentivi a selezionare i candidati migliori o agire nell'interesse degli elettori sarebbero comunque tenui. Certo, con le liste bloccate decise dalle segreterie dei partiti gli incentivi sono pressoché nulli. Ma se la proposta Vassallo si conciliasse con le primarie per ogni singola candidatura, alcuni elementi di apertura potrebbero essere recuperati. L'importante è trovare modi efficaci per aumentare la contestabilità di tutte le cariche elettive. Solo così si potranno rimuovere i due effetti perversi della scarsa concorrenza politica: la "solitocrazia" (il basso tasso di ricambio della classe dirigente) e la "gerontocrazia" (la difficoltà delle giovani generazioni nel raggiungere posizioni di responsabilità). (Il testo è tratto dal sito www.lavoce.info) *docente di Economia all'Università Carlos III di Madrid 21-11-2007.


Maroni: Lega arbitro del dialogo sulla legge elettorale (sezione: Riforma elettorale)

( da "Padania, La" del 21-11-2007)

 

Il capogruppo dei deputati leghisti a colloquio con il presidente di An: "Fini apprezza e considera molto utile l azione di Bossi sulla legge elettorale e il Patto di Gemonio" Maroni: Lega arbitro del dialogo sulla legge elettorale Fabrizio Carcano La Lega? "L'azione di Umberto Bossi è stata apprezzata anche da Fini ed è considerata molto utile. Ancora un volta l azione di Bossi riveste un ruolo determinante per farci ottenere un risultato importante, ovvero una legge elettorale che eviti il referendum". La partita sulla riforma della legge elettorale, bloccata da mesi, sembra essersi riaperta e la Lega Nord, come sempre, è pronta a recitare un ruolo da protagonista, come ha spiegato lunedì la segreteria politica, Umberto Bossi, impegnato nella veste di mediatore e di garante degli impegni assunti, e come ribadisce anche Roberto Maroni, presidente dei deputati che, all indomani dell annuncio di Silvio Berlusconi di voler accettare un confronto con la maggioranza di centrosinistra sulla riforma elettorale, osserva: "Bossi è favorevole alla trattativa tra Berlusconi e il Governo purché si rispettino i punti del nostro accordo raggiunto a Gemonio, ovvero un proporzionale con lo sbarramento simile a quello tedesco e l'indicazione del candidato premier che avviene prima". L iter della trattativa sulla riforma elettorale, quindi, riparte dall accordo stipulato nei primi giorni di settembre a Gemonio, a casa del Senatur, alla presenza dello stato maggiore leghista, di Berlusconi e di Gianfranco Fini che, proprio ieri, ha ricordato l importanza di questo patto. "Nei prossimi giorni solleciteremo Berlusconi a garantire il mantenimento degli impegni presi con il patto di Gemonio, anche se mi pare che Berlusconi abbia già dato garanzie da questo punto di vista. Ma - sottolinea Maroni - prima che lui incontri Prodi o Veltroni, se e quando li incontrerà, è utile che venga riconfermato quell'accordo di Gemonio. Anche per utiizzare l occasione per cercare di rimettere insieme i pezzi della Casa delle Libertà che sta andando o è andata un po' in frantumi in questi ultimi tempi. Non certo per responsabilità della Lega naturalmente". La Lega, anzi, in questo momento di tensione tra i vari partiti della coalizione, sembra avere un ruolo di mediatore e di pungolo nel proseguire sulla strada delle riforme. Un ruolo riconosciuto anche da Fini. "E così. L'azione di Umberto Bossi è stata apprezzata anche da Fini ed è considerata molto utile". Lunedì Berlusconi, parlando di legge elettorale, ha menzionato il proporzionale ma non gli altri due punti dell accordo di Gemonio, l indicazione del premier e quella preventiva delle alleanze. Cosa ne pensa? "Noi siamo tranquilli. E tranquillo Umberto Bossi, che ha sentito al telefono Berlusconi, ed è tranquilla la Lega. Questi punti sono scritti nel patto di Gemonio, li ha scritti Tremonti. E Berlusconi ha riconfermato tutto a Bossi nelle ultime telefonate. E in ogni caso non penso che Berlusconi abbia alcun interesse a lasciare fuori la Lega, perché in qualunque caso, con qualunque legge elettorale, e la Lega ne ha passate tante di leggi elettorali, non si può fermare la forza e il radicamento che la Lega ha nei territori del Nord. Berlusconi non può pensare di fare a meno della Lega perché senza di noi sa di perdere, ma non mi pare che sia nelle sue intenzioni. Abbiamo un accordo e non vedo quali siano i problemi per non mantenerlo e da parte di Berlusconi non vediamo nessun segnale in tal senso. Ripeto, noi siamo tranquilli". Non sono tranquilli però gli altri partiti della Cdl, soprattutto An, dopo l annuncio del varo del nuovo partito di Berlusconi. No? "Mah... la vera novità non mi sembra l annuncio di un nuovo partito a cui nessuno ha intenzione di aderire e che dunque sarà solo Forza Italia che cambia nome. La vera novità, quella più importante, è che dopo mesi in cui ha detto e ripetuto di non voler avviare nessuna trattativa con il centrosinistra ora Berlusconi dice mettiamoci ad un tavolo, discutiamo e facciamo una nuova legge elettorale . Questa è la novità vera. E da questo punto di vista il richiamo che Fini fa all'iniziativa di Bossi è importante". Una novità, l apertura berlusconiana al confronto, accolta con piacere dalla Lega. Giusto? "Sicuramente. Il fatto che Berlusconi abbia accettato un dialogo sulle riforme realizza quello che noi avevamo sempre auspicato, Ribadisco, Bossi è favorevole alla trattativa tra Berlusconi e il Governo, purché si rispettino i punti del nostro accordo raggiunto a Gemonio". Berlusconi intanto ha rilanciato: il Governo imploderà a breve, probabilmente sul Welfare. "E quello che auspichiamo anche noi. Il nostro obiettivo, ovviamente, resta quello di mandare a casa questo Governo. Ma la maggioranza sembra tenere quindi, probabilmente, non si andrà al voto fino al 2009 e allora che facciamo il prossimo anno? La guerriglia oppure le riforme di cui il Paese ha bisogno?". Al Senato, però, le divisioni non mancano e nemmeno gli scontenti, soprattutto nell area moderata... "Personalmente eviterei di mettere il nostro destino, quello della Lega e del Nord, ma anche quello della Cdl, nelle mani di senatori che, senza offesa per nessuno, alla fine rappresentano solo sé stessi. Perché i vari Bordon o Dini possono anche far cadere Prodi ma certamente non per andare a votare: se lo fanno cadere lo fanno per fare un nuovo Governo, dove magari siano dentro anche loro e dubito che un'operazione del genere possa interessarci. Comunque mandare a casa Prodi è l'obiettivo di tutti, ma se non ci si dovesse riuscire, visto che sono attaccati alle poltrone con l'attack, allora cosa si fa? Se il Governo purtroppo non cade, e noi siamo tutti impegnati a farlo cadere, ma se non cade e non si va a votare, e pertanto fino al 2009 non si voterà, allora cosa facciamo da qui al 2009? Facciamo la guerriglia tutti i giorni, sapendo che tanto il Governo non cade? O cerchiamo di fare cose utili, riforme importanti, come la legge elettorale e il Senato federale? Noi siamo per questa seconda ipotesi e mi pare che a poco a poco anche Berlusconi stia venendo su queste posizioni. Anche perché..." Anche perché? "E bene ricordare che l azione di Governo è una cosa distinta e separata dalla questione delle riforme. Sono due cose che non c entrano. L azione del Governo viene sostenuta dalla maggioranza, solo dalla maggioranza e punto. Il dialogo sulle riforme è un altra cosa e non vuol dire affatto sostenere il Governo. Adesso, se questo Governo non dovesse cadere, avremmo davanti 18 mesi di tempo, visto che non si voterebbe prima del 2009, e allora penso sia più utile cercare di ottenere il massimo possibile, ovvero il Senato Federale e la riforma della legge elettorale". A proposito: per la riforma elettorale i tempi sono davvero stretti. Dicembre si brucia per la Finanziaria e il referendum si terrebbe in primavera. Dunque in mezzo ci sarebbero meno di tre mesi. Basteranno? "Se non c è un accordo politico non bastano dieci anni. Se c è l accordo politico con la maggioranza e con Berlusconi si può fare la riforma in due settimane". [Data pubblicazione: 21/11/2007].


"Sì a riforme, no a grande coalizione" (sezione: Riforma elettorale)

( da "Stampaweb, La" del 21-11-2007)

 

(11:14) "Sì a riforme, no a grande coalizione" Romano Prodi + Pdl, Fini-Berlusconi: è guerra + La campagna acquisti a danno degli alleati MULTIMEDIA VIDEO Berlusconi lancia il Pdl e apre al dialogo AUDIO Berlusconi presenta il nuovo partito AUDIO Il nuovo corso della politica di Berlusconi Il premier: "Il Paese ha bisogno di riforme". E sul sistema elettorale non si sbilancia ROMA È durato quasi un'ora il colloquio tra il presidente del Consiglio, Romano Prodi e il segretario del Pd, Walter Veltroni a palazzo Chigi, presente anche il vice Dario Franceschini. Veltroni è arrivato intorno alle 8 e ha lasciato la sede del governo prima delle 9. Al centro dell'incontro le riforme, la legge elettorale e i contatti con l'opposizione che il leader del Pd sta tenendo. Una riunione "rapida" nella quale il segretario del Pd ha presentato il nuovo simbolo del partito. Prodi racconta così l'incontro di stamani con Walter Veltroni. "È venuto a presentarmi il simbolo del partito, è stata una riunione rapida. Un simbolo molto bello, dove c'è la scritta Pd sotto quella dell'Ulivo. Oggi lo presenterà in pubblico". Lunedì prossimo incontro tra Fini e Veltroni Veltroni, intanto continua il suo giro di consultazioni e lunedì 26 novembre alle ore 16 incontrerà il leader di An, Gianfranco Fini. Proprio dall'Ulivo arriva un monito. È quello del ministro della Famiglia Rosy Bindi, proprio in vista dei suoi incontri con Berlusconi e il resto dell'opposizione sulla riforma elettorale. "Deve trovare prima l'accordo sulla legge elettorale con tutti gli alleati di centro sinistra, e, solo dopo, trattare con tutto il centrodestra", affema il ministro sconfitto da Veltroni nella corsa alla segreteria del Pd. "Non facciamo come Berlusconi che cannibalizza il centro destra - dice Bindi - Se no lasceremmo il sospetto di uno, o forse due patti segreti, o una legge elettorale che cannibalizza i partiti minori o il referendum, che significherebbe poi andare a votare comunque". Pdl: "Se rimane in carica Prodi, dialogo solo su legge elettorale" Dall'opposizione arriva una precisazione: il Pdl è pronto al dialogo con il Pd di Walter Veltroni per realizzare una nuova legge elettorale ma ritiene "impensabili" altre riforme se il governo Prodi resterà in carica, come dichiara il portavoce di Silvio Berlusconi, Paolo Bonaiuti. "Questo nuovo partito, come è ovvio - dice Bonaiuti - accetta un dialogo sulla legge elettorale: essendo una nuova formazione ritiene giusto, inserendosi in una realtà nuova, di partecipare al dibattito sulla riforma elettorale. E riconosce a Veltroni l'idea di andare a discuterne". Ma "al di là" della riforma elettorale, "ogni dialogo sulle riforme - prosegue Bonaiuti- non è però possibile, perchè non è pensabile che un governo che in 18 mesi ha fallito tutto ed è precipitato ai piu bassi livelli di fiducia nella storia della repubblica italiana, d'improvviso si sveglia e dice: dopo esserci preso tutto, discutiamo di riforme, perdiamo tempo e così portiamo avanti la legislatura fino al 2011..".


Riforma elettorale, Segni 'Un salto indietro di 20 anni' (sezione: Riforma elettorale)

( da "Voce d'Italia, La" del 21-11-2007)

 

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.65 del 21/11/2007 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Politica Riforma elettorale, Segni: "Un salto indietro di 20 anni" Roma, 21 nov. - In un'intervista a La Stampa, Mario Segni (foto) interviene nel dibattito sulla riforma della legge elettorale. "La presa di posizione di Berlusconi e l'apertura al sistema proporzionale alla tedesca rischiano di riportare l'Italia indietro di vent'anni" dichiara il coordinatore del Comitato nazionale per i referendum. Sabato 24 novembre alle 10.30, presso lo spazio Etoile di Piazza in Lucina a Roma, avrà luogo l'incontro dei Comitati locali per il referendum. Si tratta di un appuntamento di particolare rilevanza, considerato lo scontro in atto su questo tema.


Berlusconi, diktat a Veltroni: "Legge elettorale, poi il voto" (sezione: Riforma elettorale)

( da "Giornale.it, Il" del 21-11-2007)

 

Di Redazione - mercoledì 21 novembre 2007, 18:10 Stampa Dimensioni Invia ad un amico Vota 1 2 3 4 5 Risultato Roma - "La nostra posizione è chiara e si può riassumere così: noi vogliamo contribuire a costruire un sistema elettorale che incentivi la formazione di grandi partiti, non di alleanze elettorali impotenti, impossibilitate a governare. Il nostro obiettivo è un sistema politico fondato su due grandi partiti, più forti e finalmente omogenei, in competizione per il governo di questo paese". è quanto ha dichiarato Silvio Berlusconi nell'intervista rilasciata a Il Giornale della Libertà che sarà nelle edicole, come supplemento de Il Giornale, venerdì 23 novembre, e nella quale si è parlato anche del problema della riforma elettorale che verrà affrontato nel corso dell'incontro che il Cavaliere avrà il 30 novembre con Walter Veltroni. No alle riforme Pare però, gli è stato chiesto, che Veltroni intenda affrontare anche il problema delle riforme costituzionali. Lei esclude questa possibilità? "Quando ci incontreremo - ha risposto Berlusconi - chiariremo i rispettivi punti di vista su tutto. Dico però fin d'ora che questo parlamento non ha più la fiducia dei cittadini e non può certo riformare la Costituzione. In questa situazione, dove il discredito del governo è al massimo grado, occorre riformare rapidamente la legge elettorale e tornare alle urne. Poi si potrà discutere, e noi abbiamo proposte nuove e soluzioni efficaci. Discuterne ora mi pare del tutto prematuro. Anche perché - ha aggiunto Berlusconi - un accordo sulla riforma elettorale presuppone anche un comune impegno ad andare subito al voto. Abbiamo un governo che non ha più la maggioranza in parlamento ed è ora che vada a casa. Cos'altro deve ancora accadere per poter tornare alle urne? Questo governo è già imploso da un pezzo". Solo le urne E se fallisse questo accordo, Lei come si porrà di fronte all'ipotesi che ormai è quasi realtà del referendum? "Penso che sia giusto - ha risposto Berlusconi - affrontare un problema alla volta. E poi sa cosa le dico? Un Partito della Libertà che, appena nato, può già contare, come confermano i sondaggi di queste ultime ore, sul 35-37% dei consensi del corpo elettorale, non deve avere paura di nulla. Sono convinto anche che, entro qualche mese, di adesioni ne potranno arrivare ancora di più. Il vento del cambiamento spirerà sempre più forte". Lei quindi esclude a priori l'ipotesi che si possa arrivare ad una grande coalizione? "Qualunque ipotesi prevede che prima ci siano elezioni. Come ho già detto, un problema alla volta". Pagina successiva >>.


Riforme: Veltroni incontra Fini e Berlusconi. Prodi: non servono grandi coalizioni (sezione: Riforma elettorale)

( da "Sole 24 Ore Online, Il" del 21-11-2007)

 

Sulle riforme lunedì incontro tra Fini e Veltroni. Prodi: non servono grandi coalizioni di Sara Bianchi commenti - | | 21 novembre 2007 SONDAGGIO Vi piacciono i loghi del Partito Democratico e quello della formazione proposta da Berlusconi? Lo scontro tra Berlusconi e il leader di An ANALISI Dal proporzionale al maggioritario e ritorno di Roberto D'Alimonte IL PUNTO Il sistema tedesco porta alle larghe intese dopo il voto di Stefano Folli La proposta Veltroni Grandi coalizioni? No, "al Paese servono riforme". Romano Prodi risponde così ai cronisti che gli domandano degli incontri in corso. "È un confronto continuo", spiega il Presidente del Consiglio, perchè "dobbiamo portare avanti l'approvazione dei provvedimenti che abbiamo varato". Il modello di riferimento rimane quello tedesco? Il premier non si sbilancia: "la discussione è in corso", si limita a osservare. Certo il confronto su legge elettorale e riforme istituzionali, resta serrato, anche se a distanza con l'opposizione, con tanto di colpi di teatro del rivale di sempre, Silvio Berlusconi. I faccia a faccia più attesi sono quelli che Walter Veltroni avrà con Fini - lunedì 26 novembre - e con Berlusconi - il 30 novembre -. Il Cavaliere intanto chiarisce alla maggioranza che "un accordo sulla riforma elettorale presuppone anche un comune impegno ad andare subito al voto". In un'intervista rilasciata a Il Giornale della Libertà l'ex premier ripete che "questo Parlamento non ha più la fiducia dei cittadini e non può certo riformare la Costituzione". In questa situazione, chiarisce "dove il discredito del Governo è al massimo grado, occorre riformare rapidamente la legge elettorale e tornare alle urne. Poi si potrà discutere". Ma il leader del Partito della Libertà è disponibile a un governo di larghe intese? "Qualunque ipotesi - risponde Berlusconi - prevede che prima ci siano elezioni". Il dibattito è aperto e intenso dentro il centrosinistra: oggi Veltroni ha incontrato sia Prodi che Enrico Letta. Ma nell'Unione c'è già chi grida all'inciucio: il Pdci chiede un vertice di maggioranza prima degli incontri con il centrodestra, la stessa richiesta arriva da Rosy Bindi, i verdi considerano una pazzia insistere sul sistema tedesco e il Prc ribadisce la priorità di un accordo nella coalizione. Di segno opposto le considerazioni dell'Udeur, con Clemente Mastella che avverte: "se avanza una terza ipotesi, evidentemente c'è un nostro interesse ad un'area di centro come tale". Sulla stessa scia Lamberto Dini, secondo il quale è giusto che siano i due maggiori partiti a dare la linea. Dall'opposizione dopo il richiamo al Cavaliere per il rispetto dei patti siglati dalla Cdl a Gemonio, la Lega torna a chiedere che, prima dell'incontro con Veltroni, Silvio Berlusconi riconfermi quell'accordo, ovvero "un proporzionale con lo sbarramento simile a quello tedesco e l'indicazione del candidato premier che avviene prima". Il Cavaliere medita di escludere il Carroccio dalle future alleanze del Pdl? Maroni ne dubita: "senza di noi sa di perdere, non mi pare sia nelle sue intenzioni". Su quale sia l'obiettivo primario dell'ex premier, in questa fase, molti si interrogano. E dal Pd Pierluigi Castagnetti riflette: "c'è chi sostiene che Berlusconi stia portando legna da ardere per fare fumo, arrivare in prossimità del referendum e semmai sperare che i partiti minori dell'Unione possano aprire a una crisi di governo e di legislatura. Può anche darsi che Berlusconi abbia questo retro pensiero, ma credo che non ci sia spazio per le furbate, ce ne accorgeremmo molto rapidamente".


Il Cavaliere: ''Il Parlamento sfiduciato non può fare le riforme" (sezione: Riforma elettorale)

( da "ADN Kronos" del 21-11-2007)

 

Silvio Berlusconi in un'intervista apre solo sulla legge elettorale: sì all'accordo ma se si va "subito al voto". Sull'ipotesi referendum: "Ppl non deve avere paura di nulla" ascolta la notizia commenta 0 vota 0 tutte le notizie di POLITICA Roma, 21 nov. - (Adnkronos/Ign) - Un Parlamento che non ha la fiducia dei cittadini non può fare le riforme. Silvio Berlusconi in una intervista a 'Il Giornale della libertà' che uscirà venerdì come supplemento de 'Il Giornale', ribadisce il suo no alle riforme e limita la disponibilità ad un accordo solo sulle legge elettorale. Sull'incontro con Veltroni, Berlusconi spiega: ''Quando ci incontreremo chiariremo i rispettivi punti di vista su tutto. Dico però fin d'ora che questo Parlamento non ha più la fiducia dei cittadini e non può certo riformare la Costituzione''. ''In questa situazione, dove il discredito del governo è al massimo grado, occorre riformare rapidamente la legge elettorale e tornare alle urne. Poi si potrà discutere, e noi abbiamo proposto nuove e soluzioni efficaci. Discuterne ora -avverte il Cavaliere- mi pare del tutto prematuro''. A proposito Berlusconi precisa che "un accordo sulla riforma elettorale presuppone anche un comune impegno ad andare subito al voto''. Poi rimarca: ''Abbiamo un governo che non ha più la maggioranza in Parlamento ed è ora che vada a casa. Cos'altro deve ancora accadere per poter tornare alle urne? Questo governo è già imploso da un pezzo''. ''La nostra posizione è chiara e si può riassumere così: noi -spiega il cavaliere- vogliamo contribuire a costruire un sistema elettorale che incentivi la formazione di grandi partiti, non di alleanze elettorali impotenti, impossibilitate a governare. Il nostro obbiettivo -insiste Berlusconi- è un sistema politico fondato su due grandi partiti, più forti e finalmente omogenei, in competizione per il governo di questo paese''. L'ex premier non arretra nemmeno davanti alla possibilità che si tenga il referendum sulla legge elettorale. ''Penso che sia giusto -afferma -affrontare un problema alla volta. E poi sa cosa le dico? Un Partito della libertà che, appena nato, può già contare, come confermano i sondaggi di queste ultime ore, sul 35-37% dei consensi del corpo elettorale, non deve avere paura di nulla''. Parlando poi proprio del nuovo 'Partito del popolo delle libertà', Berlusconi pensa "di aver fatto la cosa giusta nel momento giusto. Erano mesi, del resto, che tendevo l'orecchio all'ormai assordante protesta dei cittadini e mi chiedevo: possibile che nessuno voglia assumersi la responsabilità di affrontare un sistema di potere che, con pervicacia ed arroganza senza pari, sta, giorno dopo giorno, distruggendo questo Paese? Ho pazientato un po', ma poi, visto che continuava a non muoversi foglia, ho deciso di prendermi tutt'intera questa responsabilità. Prima che il nostro sistema faccia la fine del Titanic, è bene fermare le macchine e cambiare un bel po' di cose. Ed è ormai compito di chi guida, in questo Paese, il partito di maggioranza relativa farsi carico di questo problema''. Il cavaliere infine dice che ''Forza Italia si rigenererà con entusiasmo e rinnovata energia nel nuovo partito. Essa formerà gran parte della sua struttura portante. L'esperienza accumulata dai suoi quadri dirigenti -assicura- sarà indispensabile anche per strutturare la base del nuovo movimento''. Per intercettare i consensi anche dei cittadini insoddisfatti della politica, il cavaliere conta sul ''lavoro'' e sul ''grande impegno che hanno svolto i Circoli della Libertà''.


Per il Colle l'esempio della Germania serve a non demonizzare le larghe intese (sezione: Riforma elettorale)

( da "Stampa, La" del 22-11-2007)

 

ROMA Chi temeva l'inciucio tra i due "oni" della politica italiana (Veltroni e Berlusconi), dopo la giornata di ieri è un po' meno in ansia. Ammesso che il leader del Pd fosse attratto dalla mano tesa del Cavaliere sulla legge elettorale, a tirare il freno hanno provveduto Prodi e i cespugli dell'Unione. Il risultato è che l'incontro tra Silvio e Walter si terrà solo tra otto giorni, il 30 novembre, e avrà luogo dopo quello di Veltroni con Gianfranco Fini (lunedì 26). Il calendario tende a sottolineare come tutti gli interlocutori del Pd siano sullo stesso piano e, ha rimarcato il numero due Franceschini, "non esistano assi privilegiati" con il neonato Partito della libertà. L'unica concessione veltroniana a Berlusconi è stato un colpo di telefono per concordare il faccia-a-faccia. Il sindaco di Roma ha preso l'iniziativa, e nel galateo della politica ciò ha un'importanza. Tuttavia, al momento di alzare la cornetta, il raggio d'azione di Veltroni era già circoscritto da un altro colloquio avuto con il presidente del Consiglio. Prodi segue la vicenda riforme con molto sospetto. Teme ne vada di mezzo il governo, visto che i "nanetti" del centrosinistra sono scatenati: Pecoraro Scanio, Diliberto e lo stesso Di Pietro ancora ieri hanno gridato al complotto teso a farli fuori attraverso una riforma elettorale cucita su misura per i due grandi partiti. Prodi, se vuole tirare avanti, deve impedire che tra Berlusconi e Veltroni nasca o anche solo appaia un'unità d'azione. Nei dintorni di Palazzo Chigi qualcuno sostiene che sia stata sua l'idea di anteporre Fini a Berlusconi. In fondo, la linea del presidente di An è "per il bipolarismo, mai con la sinistra", diversamente dal Cavaliere che non esclude governissimi (sia pure dopo le elezioni). Su questo Prodi la pensa esattamente come Fini: "Il paese ha bisogno di riforme", ha puntualizzato il premier, non di grandi coalizioni. Peccato che il Presidente della Repubblica abbia dato giusto ieri l'impressione di non escludere nulla. Intervistato dal Die Zeit, Napolitano ha tessuto l'elogio del sistema politico tedesco ("lo ammiro molto"). In Germania c'è "un clima di comune accettazione di valori e di regole fondamentali, che ha presieduto e presiede alla lotta politica nella Repubblica federale". E ciò, segnala il Capo dello Stato, "tra l'altro consente di poter contare su risorse sufficienti e condizioni favorevoli per affrontare periodi - sia pure eccezionali e temporanei - di grande coalizione, di collaborazione politica generale". Segno quantomeno che l'ipotesi larghe intese interessa Napolitano, e lo spinge a non demonizzarla. E il Cavaliere? Dopo la visita al Cardinal Bertone, continua il giro delle sette chiese: ieri all'ambasciata Usa, oggi a quella d'Israele. Prende atto che Veltroni è interlocutore cortese ma inafferrabile. E comincia a mettere in conto che il dialogo sulla legge elettorale, in cui s'è lanciato, possa finire su un binario morto. Addirittura Mastella ora sostiene che la riforma elettorale dovrebbe seguire, e non precedere, quella della Costituzione. In quel caso, taglia corto Berlusconi, "non temiamo il referendum", potrebbe essere la valvola di sicurezza. Secondo Castagnetti (Pd) il Cavaliere finge di trattare solo per mettere discordia nel centrosinistra, in realtà mira proprio allo sbocco referendario. Quali che siano le vere intenzioni, l'uomo di Arcore intende porre a Veltroni un vincolo e un obiettivo. Il vincolo: riforma elettorale e poi subito alle urne ("Ormai potrebbe mettere su un disco", ironizza Prodi). L'obiettivo di Berlusconi: un sistema bipartitico. Cioè "fondato su due grandi partiti, più forti e finalmente omogenei", invece che su "alleanze elettorali impotenti, impossibilitate a governare". Con Fini che gli sbandiera davanti il Patto di Gemonio, sottoscritto con Bossi, nel quale il proporzionale si accompagnava all'indicazione del premier, al vincolo di maggioranza e a norme di sbarramento. \.


"Progetti referendari al limite dell'eversivo" (sezione: Riforma elettorale)

( da "Stampa, La" del 22-11-2007)

 

REGIONE. CAVERI DOPO IL VOTO DI DOMENICA "Progetti referendari al limite dell'eversivo" [FIRMA]ENRICO MARTINET AOSTA Prende la rincorsa sui numeri del voto referendario Luciano Caveri, poi, come annunciato, infila bordate. Il presidente parla di "sollievo per lo scampato ingorgo istituzionale" perché si dice sicuro che se i referendum fossero passati "ci sarebbero stati i ricorsi del governo alla Corte costituzionale". E parla del 18 novembre, giorno del voto, come tentativo di "presa del Palazzo". Prende immagini di sangue della Rivoluzione francese: "Già domenica sera è stata smontata la ghigliottina montata in piazza Chanoux. E qualcuno è stato visto riporre nelle casse l'orrido strumento". Sotto quella lama avrebbero dovuto cadere "Caveri, Césal, l'Uv, la Fédération e la Stella alpina". Ancora: "Tutti a casa, questo volevano i referendari, ma la maturità e il senso di responsabilità dei cittadini ha delegittimato loro". La chiusa è per la pace: "Auspico che questa campagna referendaria sia rapidamente archiviata, con i suoi toni grevi, le strumentalizzazioni e tutto quanto ha avvelenato il clima politico valdostano. Tra pochi mesi ci attende un altro importante appuntamento elettorale. In vista delle regionali propongo a tutti di tagliare come rami secchi chi predica odio, gioca con la reputazione delle persone, sfoga contro gli altri infelicità e frustrazioni. Una potatura necessaria e benefica perché ci sono regole elementari del bon ton e valori basati sulla buona educazione che non possono essere ignorati". Il presidente ricorda di essere stato definito "nano borioso". E dice degli sfottò: "Il ricorso a una fisiognomica di staliniana memoria in cui gli avversari sono dipinti come deformi, grassi, colmi di vizi. Quali sono i miei, me lo dicano?". E parla dei referendari come di "una casta di acrimoniosi venditori di fumo", che voleva "impadronirsi di queste istituzioni". Guerra e pace che va avanti nel confronto consiliare. Il presidente alza la voce e sottolinea con impeto le sue parole: "Con un colpo di spugna memorabile e senza appello i valdostani hanno cancellato questo pericolo incombente non sul Palazzo, come hanno cercato di far credere i referendari, bensì sulle regole democratiche che da 60 anni stanno a fondamento dell'autonomia e delle istituzioni valdostane". E ipotizza: "I valdostani non hanno permesso che l'istituto del referendum propositivo fosse svilito per progetti politici personali al limite dell'eversivo e fomentati dall'odio". La prima a rispondere è stata Secondina Squarzino dell'Arcobaleno, che è stata interrotta almeno tre volte dai banchi della giunta. "Presidente è questo il bon ton?", si è domandata. Poi la risposta: "Caveri ha trasformato il non voto in un voto contrario al referendum. Non è una lettura limpida. Quasi 29 mila valdostani sono andati a votare. Ricordo che sono stati cinquemila in più rispetto a coloro che hanno votato per il candidato Augusto Rollandin alle politiche". E ancora viene interrotta. Chiede l'intervento del presidente del Consiglio: "I minuti che mi fanno perdere li recupererò". Va avanti nell'analisi: "Nel calcolo degli elettori i quasi 29 mila rappresentano un terzo, ciò significa che non corrisponde ai cinque consiglieri che qui si sono espressi contro le riforme, sono molti di più". Il capogruppo dell'Arcobaleno contesta al presidente Caveri l'accenno allo sventato pericolo per l'ingorgo istituzionale derivato dall'anticostituzionalità delle leggi referendarie. "Si dimentica - dice - che per due volte i cosiddetti saggi hanno approvato le proposte referendarie. Il referendum è stato delegittimato, un fatto molto grave. E tutto per non volersi confrontare sui quesiti. Ma chi decide che il quesito banalizza il referendum? Se è il presidente allora non dà voce alla gente. E' stato leso il diritto individuale del voto, è stato vanificata la segretezza del voto". Squarzino parla di un "atteggiamento molto grave". Di "paura delle democrazia e del voto" da parte della giunta, della maggioranza. Spiega: "Voi avete detto, noi abbiamo legiferato, fatto la riforma, cittadini abbiate fiducia in noi. Questo è trasformare il voto in un rapporto di fedeltà a chi governa. E' antieducativo, un voto indicato da chi comanda": La sua conclusione è di amarezza: "Oggi sono triste non perché ho perso, ma perché questa era un'occasione per la Valle d'Aosta, come c'è scritto in questo Consiglio di éclairer le monde. Au contraire c'est un moment sombre. Il 18 novembre sarà ricordato come l'offuscamento della democrazia". Dario Frassy, capogruppo della Cdl lancia la proposta di "mettere mano alla legge sul referendum". Il come: "Decidere le materie che possono essere oggetto di referendum e abrogare il quorum, obbligando così al confronto sui quesiti".


Il Cavaliere insiste: Intesa e poi subito al voto (sezione: Riforma elettorale)

( da "Giornale di Brescia" del 22-11-2007)

 

Edizione: 22/11/2007 testata: Giornale di Brescia sezione:IN PRIMO PIANO Nel centrodestra si cerca di non aggravare le tensioni dopo la svolta impressa dal leader azzurro. Ma An ribadisce: no a qualunque inciucio Il Cavaliere insiste: "Intesa e poi subito al voto" Silvio Berlusconi alla presentaziobe del Pdl ROMA "Un accordo sulla riforma elettorale presuppone anche un comune impegno ad andare subito al voto". Silvio Berlusconi non cambia posizione sul "necessario connubio" dialogo-elezioni, come spiega in un'intervista a "Il Giornale della Libertà". Alla domanda se escluda di affrontare il tema delle riforme costituzionali come chiesto da Walter Veltroni, il Cavaliere risponde: "Quando ci incontreremo chiariremo i rispettivi punti di vista su tutto. Dico però fin d'ora che questo Parlamento non ha più la fiducia dei cittadini e non può certo riformare la Costituzione". "In questa situazione - aggiunge -, dove il discredito del Governo è al massimo grado, occorre riformare rapidamente la legge elettorale e tornare alle urne. Poi si potrà discutere, e noi abbiamo proposte nuove e soluzioni efficaci. Discuterne ora mi pare del tutto prematuro. Anche perchè un accordo sulla riforma elettorale presuppone anche un comune impegno ad andare subito al voto". Intanto, dopo giorni di durissimi botta e risposta a distanza fra il Cavaliere e Gianfranco Fini è "tregua armata". Entrambi hanno raccomandato di non surriscaldare ulteriormente una polemica già rovente. Il leader di An lo ha fatto invitando i colonnelli a "non buttare altra benzina sul fuoco". Berlusconi dicendo in privato di voler abbassare la tensione ed arrivando persino ad auspicare che lo strappo possa un giorno ricomporsi. Al momento, però, gli occhi dei due ex alleati sono puntati sulle riforme. E la strategia resta ben distinta, per molti versi divergente. Sarà Fini ad incontrare per primo Veltroni, lunedì prossimo. Una precedenza, quella accordata dal leader del Pd all'ex ministro degli Esteri, molto apprezzata a via della Scrofa. "È un segnale che ha mandato alla sua coalizione - è l'interpretazione di un esponente di An - e forse anche al Cavaliere, per dire che non è aria di inciucio". Quel che è certo è che Fini vuole vedere le carte di Veltroni: se punta a un sistema proporzionale che salva il bipolarismo, è pronto a sedersi al tavolo della trattativa, mettendo sul piatto la disponibilità a ragionare anche di riforme costituzionali (ipotesi sgradita dal Cavaliere). Altrimenti, An denuncerà in piazza la volontà di "inciucio" e punterà al referendum. Nel frattempo, Fini ha chiesto ai fedelissimi di far parlare i fatti. Così è in programma una serie di eventi,: il primo sabato prossimo, quando An tornerà in piazza San Babila a Milano (la stessa dove Berlusconi ha annunciato il nuovo soggetto politico) per urlare il suo "no" a qualsiasi inciucio o alleanza con la sinistra. Un tema sul quale An insisterà molto nelle prossime settimane, per dare un chiaro messaggio agli elettori di centrodestra. Nell'Udc, intanto - complice l'assenza del leader Pier Ferdinando Casini in viaggio negli Usa - dominano le polemiche. La prima è scoppiata per una intervista di Mario Baccini che vede per la "Cosa bianca" un bacino elettorale del 20% e considera Luca Cordero di Montezemolo un candidato con le "carte in regola" per diventare premier. Parole che non piacciono al collega Maurizio Ronconi, che chiede di evitare "fughe in avanti". La visita di Bruno Tabacci al premier Romano Prodi ha fatto il resto: il segretario Lorenzo Cesa si è affrettato a chiarire con una nota che l'incontro era "strettamente personale". Cosa che non è piaciuta al diretto interessato, che ha commentato aspro: "Meglio una linea personale che nessuna linea".


Veltroni vede prima Fini Berlusconi per ultimo Telefonata con l'ex premier per fissare la data Non ci sono assi privilegiati (sezione: Riforma elettorale)

( da "Unita, L'" del 22-11-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Veltroni vede prima Fini Berlusconi per ultimo Telefonata con l'ex premier per fissare la data "Non ci sono assi privilegiati" di Bruno Miserendino/ Roma INCONTRI Uno dei padri della proposta di riforma elettorale al centro dell'attenzione, ossia Stefano Ceccanti, la vede così: "Al momento la grande differenza tra Berlusconi e Veltroni è questa: il primo può rompere con gli alleati, anzi è uscito allo scoperto per liberarsene, il secondo non può e non vuole farlo". Quindi, gli interessi saranno pure convergenti, ma la partita è diversa. I due, Berlusconi e Veltroni, si vedranno venerdì 30 novembre alla Camera e ieri, tra una girandola di incontri, il caso Rai, e la presentazione del simbolo del Pd, si è capito un po' meglio che tipo di partita sarà. Lunga sicuramente, tattica anche. Soprattutto da parte di Veltroni che ha molti più paletti da rispettare. Dopo i contatti tra Bettini e Gianni Letta, ieri all'ora di pranzo il segretario del Pd ha chiamato Berlusconi per fissare l'appuntamento. Telefonata breve e molto cortese. Si è convenuto, rispetto ai tempi che inizialmente sembrava dettare il leader dell'opposizione, che è meglio avere un po' più di elementi sul tavolo della trattativa. Non a caso Veltroni, seguendo anche i desiderata di Prodi, vedrà prima Fini (lunedì prossimo) e non è escluso che senta nei prossimi giorni, prima dell'incontro col Cavaliere, anche Casini e Maroni. Al momento dunque non si registra alcun avvicinamento di posizioni. "Non ci sono assi privilegiati", continuano ad assicurare al Pd, ricordando le battute di Andreotti ("dalle assi si cade facilmente") e anche le esperienze della Bicamerale. Berlusconi e i suoi continuano a dire che la trattativa è solo sulla legge elettorale per andare subito dopo al voto, Veltroni, d'intesa con Prodi, chiede che il 2008 sia l'anno delle riforme: dunque non solo la legge elettorale ma anche il minipacchetto di norme costituzionali senza le quali anche la modifica elettorale rimarrebbe monca. Gli schemi della partita sono stati tracciati ieri a palazzo Chigi durante l'incontro con Romano Prodi, che ha ribadito i suoi paletti. Ovvero dialogo ma senza terremotare il governo, bipolarismo ma non bipartitismo. Alcuni dei paletti coincidono con quelli di Veltroni, altri un po' meno. Il problema è il rapporto con i "piccoli", che naturalmente sono preoccupati da qualunque tipo di riforma, oltre che dal referendum. Veltroni, anche se non lo dice, sospetta che sarà difficile avere l'unanimità nell'Unione su una bozza di riforma elettorale. Altra cosa però è un confronto leale e un percorso condiviso. Su questa strada Veltroni è convinto di trovare adesioni anche nei piccoli, a cominciare da Mastella. Il segretario del Pd concorda con Prodi anche nel valorizzare la disponibilità di An, il partito che più soffre l'esplosione berlusconiana. Fini è più che mai interessato all'intero pacchetto delle riforme e anche alla conservazione del bipolarismo, e quindi è automaticamente un interlocutore privilegiato. Per questo la scelta di sentire prima il segretario di An non è casuale. Non solo perché An può "digerire" un sistema elettorale simile a quello sponsorizzato da Veltroni, ossia il mix di spagnolo e tedesco, ma anche perché il Pd non vuole e non può dare l'impressione che "l'interesse convergente e oggettivo" con Berlusconi diventi un accordo sulla testa di tutti, della maggioranza e del governo. Qual è l'interesse oggettivo tra Pd e la nuova creatura berlusconiana? Ovviamente un sistema tipo spagnolo che è proporzionale ma con effetti maggioritari, che quindi favorisce i grossi partiti. Chi ha sentito in queste ore i consiglieri del Cavaliere in materia elettorale sa che Berlusconi prima o poi si convertirà a un modello simile a quello lanciato da Veltroni. Perché non vuole collegi uninominali (presenti nel modello tedesco) e perché degli alleati vuole con se' solo la Lega. An potrebbe inserirsi in questo quadro perché perderebbe qualcosa in termini di seggi (il sistema spagnolo penalizza i partiti medi e piccoli rispetto al loro peso proporzionale) ma guadagnerebbe la certezza di un sistema bipolare, in cui è più difficile la sua emarginazione. In realtà il sistema tedesco puro, che pure al momento ha fortissimi sponsor (parte del Pd, Berlusconi a parole, Udc, Rc e Lega) è un meccanismo elettorale che non favorisce il partito di Veltroni. Pare che, calcoli alla mano (che in realtà circolano da tempo) nel Pd ci si stia rendendo conto che il tedesco puro porterebbe solo a coalizioni di centrodestra o al massimo governissimi. Come ripete Ceccanti, "la partita entrerà nel vivo solo il 15 gennaio, quando la Corte deciderà sul referendum".


Berlusconi: punto a un sistema con due partiti - francesco bei (sezione: Riforma elettorale)

( da "Repubblica, La" del 22-11-2007)

 

Berlusconi: punto a un sistema con due partiti Ma l'ex premier avverte: "Intesa sulla legge elettorale solo se si torna al voto" Ancora un no alle riforme costituzionali Cuffaro: lui punta alla caduta di Prodi, anche col referendum FRANCESCO BEI ROMA - Silvio Berlusconi chiarisce l'obiettivo alla base della svolta annunciata la scorsa domenica: "Un sistema politico - dichiara in un'intervista al "Giornale della libertà" - fondato su due grandi partiti, più forti e finalmente omogenei, in competizione per il governo di questo paese". Snobbando i tentativi di rappacificazione che arrivano da An, il Cavaliere tira dunque dritto per la sua strada, verso un sistema elettorale che "incentivi la formazione di grandi partiti, non di alleanze elettorali impotenti". In vista del faccia a faccia con il leader del Pd, pone tuttavia un argine al dialogo, escludendo che possa riguardare anche le riforme costituzionali. Perché al primo punto dell'agenda berlusconiana restano le elezioni nel 2008. "Questo Parlamento non ha più la fiducia dei cittadini - ripete l'ex premier - e non può certo riformare la Costituzione. In questa situazione occorre riformare rapidamente la legge elettorale e tornare alle urne". Dunque alla base dell'eventuale accordo non può che esserci "un comune impegno ad andare subito al voto". Raccontano che Berlusconi abbia già formato una commissione di dieci esperti per studiare delle proposte di riforma proporzionale con cui presentarsi all'incontro di venerdì 30. Intanto si mostra spavaldo anche sulla prospettiva referendaria, se il dialogo con il Pd non dovesse approdare a nulla. "Un partito della libertà che può già contare sul 35-37% dei consensi non deve avere paura di nulla". Passeggiando davanti al Pantheon, il governatore Totò Cuffaro, che con Berlusconi mantiene assidui contatti, la spiega così: "Lui ha come primo obiettivo la caduta di Prodi. Se la ottiene con la riforma elettorale bene, altrimenti si andrà al referendum e, per evitarlo, Berlusconi è convinto che Mastella e Bertinotti faranno saltare comunque il governo". Il Cavaliere intanto lavora sul suo nuovo partito e a gennaio dovrebbe essere ufficializzata la nascita di una "equipe" di giovani, guidati da Angelino Alfano e Michela Brambilla. Non tutti in Forza Italia hanno accolto bene il Pdl. Tra i delusi ci sono Angelo Sanza e Ferdinando Adornato. Il primo ha incontrato ieri sera Berlusconi, il secondo lo vedrà questa mattina. E si annunciano altre defezioni importanti.


E dal Quirinale arriva l'input: corsia privilegiata al modello tedesco (sezione: Riforma elettorale)

( da "Italia Oggi" del 22-11-2007)

Argomenti: Aspetti Legali

ItaliaOggi     ItaliaOggi  - Primo Piano Numero 277, pag. 4 del 22/11/2007 Autore: Visualizza la pagina in PDF       Il Caso E dal Quirinale arriva l'input: corsia privilegiata al modello tedesco Il Quirinale mette i puntini sulle i: la riforma elettorale che convince di più è quella sul modello tedesco. "Ammiro molto lo spirito bipartisan del sistema tedesco", ha detto martedì il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervistato dal settimanale tedesco Die Zeit. Parole, quelle del capo dello stato, che arrivano proprio nel giorno in cui il leader del Pd, Walter Veltroni e quello del nuovo Ppl, Silvio Berlusconi, hanno fissato la data del loro incontro per discutere di una riforma della legge elettorale, la prossima settimana, cioé il 30 novembre. Questa indicazione di Napolitano non potrÁ non influire sull'andamento dell-incontro, specie dopo la rottura tra il Cavaliere e Gianfranco Fini, di An, da sempre sostenitore, nella Casa delle libertÁ, del modello elettorale francese. "Il sistema politico tedesco", ha detto il capo dello stato, é fatto da "regole condivise e rispetto reciproco tra maggioranza e opposizione". "Questo è per me molto importante. Il fatto che ci si confronti tra schieramenti che competono per la guida del paese ma che hanno rispetto reciproco chiunque sia al governo e chiunque all'opposizione. Ciò tra l'altro", ha aggiunto Napolitano, "consente di poter contare su risorse sufficienti e condizioni favorevoli per affrontare periodi – sia pure eccezionali e temporanei – di grande coalizione, di collaborazione politica generale". In attesa di incontrare Veltroni, intanto, il Cavaliere è tornato comunque a ribadire le proprie preferenze: "Vogliamo contribuire a costruire un sistema elettorale che incentivi la formazione di grandi partiti, non di alleanze elettorali impotenti, impossibilitate a governare. Il nostro obiettivo è un sistema politico fondato su due grandi partiti, più forti e finalmente omogenei, in competizione per il governo di questo paese". Quindi Berlusconi ha precisato le condizioni per un dialogo con la maggioranza: "Sì" a una nuova legge elettorale presupponendo necessariamente "un comune impegno ad andare subito al voto". "No" a qualsiasi tentativo di riforme istituzionali con questo governo: "Il Parlamento", ha spiegato Berlusconi in un'intervista al Giornale delle libertà che uscirÁ venerdì, "non ha più la fiducia dei cittadini e non può certo riformare la Costituzione". E di "larghe intese" se ne parlerà più in là: "Qualunque ipotesi prevede che prima ci siano elezioni". Per il momento il leader azzurro si gode il neonato Partito del popolo delle libertà: "Può già contare, come confermano i sondaggi di queste ultime ore, sul 35-37 per cento dei consensi del corpo elettorale. Non deve avere paura di nulla". Ma in tutta questa aria di "grosse koalition" che tira sul dibattito politico tra le due grandi coalizioni politiche, resta sempre l-alea di quello che vorrÁ fare "la cosa rossa". Il segretario del Prc, Franco Giordano, ha avvertito proprio il Pd: facciamo parte del governo in forza di un accordo sul programma, per cui, è il ragionamento del segretario di Rifondazione comunista, chiediamo di "rispettarlo o ricontrattarlo". Quindi "non possiamo subire l'agenda del Partito democratico". La sinistra "unita e plurale", ha aggiunto Giordano in un'intervista al mensile Pocket, "deve arrivare al tavolo di trattativa per inverare nuove priorità e gerarchie in un lasso di tempo definito che stabiliremo confrontandoci". Priorit' che sono i Pacs, o Dico, la revisione della legge 40 sulla fecondazione artificiale, la "legalizzazione" delle droghe leggere, "limite all'uso delle armi da parte della polizia". Giordano ha anche insistito per l'istituzione di una commissione di inchiesta sui fatti del G8 a Genova nel 2001, e ha auspicato "un confronto tra tifosi e istituzioni", giudicando "una sciocchezza l'accusa di terrorismo per gli arrestati dopo i fatti di Roma". Di “sciocchezze” ha parlato Giordano anche a proposito del ricorso al nucleare. Una serie di richieste che difficilmente gli ambienti moderati e centristi della maggioranza potranno avallare.


Walter e Silvio, primo colloquio segreto (sezione: Riforma elettorale)

( da "Corriere della Sera" del 22-11-2007)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2007-11-22 num: - pag: 5 categoria: REDAZIONALE Walter e Silvio, primo colloquio segreto Ieri il contatto. Veltroni rassicura Prodi e annuncia il vertice con Fini Il leader pd: col tedesco faremmo risorgere il centro. Ma i prodiani fanno filtrare la voce che il colloquio è andato male SEGUE DALLA PRIMA Al premier Veltroni, in mattinata, dice e ridice: "Questo dibattito sulla riforma non avrà conseguenze sul governo, le due cose procedono su binari separati, non preoccuparti ". Il presidente del Consiglio a dire il vero tranquillo non era quando il sindaco arriva a palazzo Chigi. Anche perché martedì il leader del Pd gli aveva detto che il giorno dopo avrebbe incontrato il Cavaliere. Il colloquio con Berlusconi si è svolto in gran segreto, nel primo pomeriggio, tra una girandola e l'altra degli incontri del sindaco di Roma, il quale, troppo impegnato in questa nuova impresa, non ha presieduto la giunta comunale "per un impegno personale". Del resto, come spiegava ieri ad alcuni compagni di partito il vicecapogruppo dell'Ulivo al Senato Nicola Latorre: "è inutile prendersi in giro, non si può fare la riforma elettorale senza passare dal confronto con il maggior partito dell'opposizione, a meno che non si voglia che Forza Italia conquisti il 45 per cento da sola". Né si può vedere Fini senza aver prima parlato con il Cavaliere. L'intento di Veltroni è chiaro. Il leader del Pd ritiene che il sistema tedesco non garantisca il simil bipartitismo che ha in testa. A Berlusconi lo ha spiegato con parole chiare, per fargli capire che la riforma Vassallo- Ceccanti, il cosiddetto Veltronellum, in fondo conviene a entrambi: con il sistema tedesco - è stato il ragionamento del sindaco di Roma - si ricostruisce quel centro che ormai non esiste più. E ognuno di noi dovrà fare i conti con le richieste di Mastella piuttosto che di Casini. Avremo almeno otto partiti. Con l'altro sistema, invece, si creeranno quattro o cinque partiti al massimo e le due forze maggiori decideranno le alleanze senza dove subire pressioni o ricatti dei piccoli o delle ale estreme. Per farla breve, è la riforma che crea quel "partito a vocazione maggioritaria" che Veltroni sogna e che converrebbe anche al Cavaliere. Al quale è stato spiegato che in questo modo Fini dovrebbe tornare all'ovile e Casini non avrebbe più parte in commedia. Per la verità Berlusconi non ha deciso che fare, medita ancora di poter dare la spallata al governo, ma da qui al 30, giorno fissato per il colloquio ufficiale con Veltroni, di tempo ce n'è. Senza contare il fatto che il suo fedele braccio destro Letta si è invece convinto del Veltronellum. Ma è chiaro che la strada lungo la quale si muove il sindaco è assai stretta e piena di ostacoli. Se Berlusconi dice di no il rischio è quello di andare a un referendum che costringerebbe il Pd ad alleanze coatte. Se Berlusconi accetta la proposta, seppur portando qualche modifica di cui si sta già discutendo, il rischio è di far fibrillare sul serio la maggioranza e il governo perché Rifondazione difficilmente potrebbe accettare un sistema che, di fatto, la rende marginale. Su questo potrebbe cadere anche il governo. Ed è per questa ragione che il leader del Pd si muove con i piedi di piombo e che in realtà non ha ancora stabilito la strategia da intraprendere. Le stesse identiche difficoltà in cui versa il Cavaliere, che oscilla ancora tra il muro contro muro e il confronto. Ma di certo questo primo abboccamento tra i due è un primo passo. Non a caso dai prodiani, preoccupati per il destino del governo e del loro leader, è filtrata la voce che il colloquio sia andato malissimo. Maria Teresa Meli Alleanze coatte Se Berlusconi dice no il rischio è il referendum, che costringerebbe il Pd ad alleanze coatte Il rischio Se il leader di FI accetta, il rischio è di far fibrillare la maggioranza: il Prc non vuole diventare marginale La squadra Alla conferenza stampa di presentazione del simbolo del Partito democratico c'era la squadra di Walter Veltroni al completo: nella foto a destra, in prima fila, da sinistra: Dario Franceschini, Enrico Letta, Rosy Bindi, Walter Veltroni, Ermete Realacci e dietro i componenti dell'esecutivo del Pd. Il commento di Realacci, responsabile Comunicazione: "Il Pd è un grande partito che guarda al futuro e vuole bene all'Italia. Il partito del patriottismo dolce. Noi saremo così" ( Marianella/Olycom).


Proposta Veltroni: le mie risposte ai critici (sezione: Riforma elettorale)

( da "Corriere della Sera" del 22-11-2007)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Opinioni - data: 2007-11-22 num: - pag: 42 autore: di SALVATORE VASSALLO categoria: REDAZIONALE LEGGE ELETTORALE Proposta Veltroni: le mie risposte ai critici L' iniziativa di Walter Veltroni ha rimesso in moto il dibattito sulla legge elettorale e, di conseguenza, ha fatto scoppiare contraddizioni latenti all'interno del centrodestra. Il fatto poi che il progetto proposto da Veltroni sia del tutto trasparente tanto nelle sue finalità di fondo (un nuovo bipolarismo, incardinato su due grandi partiti antagonisti) quanto in una sua possibile declinazione tecnica (collegi uninominali e compensazione proporzionale in piccole circoscrizioni), ha consentito l'avvio di una riflessione pubblica non generica, di merito, tra gli attori politici e gli esperti. Le reazioni emerse finora si possono distinguere in quattro tipi. C'è, in primo luogo, la netta contrarietà dei partiti piccoli o piccolissimi, i quali però, ci si può giurare, sarebbero ugualmente contrari a qualsiasi soluzione minimamente in grado di aggredire la frammentazione. C'è da giurare che resisteranno fino all'ultimo o comunque fino a quando dovessero incombere alternative allo status quo per loro peggiori rispetto a quella proposta dal Pd. Ci sono, in secondo luogo, le riserve di chi vorrebbe un sistema che attribuisca con assoluta certezza al partito o alla coalizione pre-elettorale vincente una robusta maggioranza assoluta di seggi parlamentari, come Giovanni Guzzetta, Mario Barbi sul Riformista, o Tito Boeri e Vincenzo Galasso su lavoce.info, diffidenti verso l'abbandono del premio di maggioranza e verso la contestuale rinuncia a battersi per l'uninominale maggioritario secco (a uno o due turni). è una posizione comprensibile, che però da un lato non spiega quale sistema elettorale possa soddisfare quelle attese senza ricadere nel vizio delle coalizioni pre-elettorali raccattatutto, troppo eterogenee per governare, dall'altro non dice quale maggioranza parlamentare potrebbe approvarlo. C'è poi chi considera ragionevole l'ispano-tedesco, ma pone dubbi. Alcuni considerano la soglia implicita contro la frammentazione troppo alta, altri troppo bassa. Un aspetto su cui solo stime non ancora disponibili potranno fornire una seria base empirica e su cui sarà comunque il gioco politico a dire la parola finale. La soglia infatti, nel sistema proposto, dipende dalle dimensioni delle circoscrizioni e, entro certi limiti, può essere modulata. Massimo D'Alema, che è entrato in maniera più puntuale nel merito, ha osservato che le circoscrizioni non possono essere disegnate artificialmente, mentre dovrebbero corrispondere a ripartizioni naturali del territorio. Giustissimo, purché l'argomento non venga usato ad arte per ampliare il perimetro delle circoscrizioni e abbassare la soglia. Le regioni piccole sono eccellenti circoscrizioni naturali. Ma non c'è niente di naturale, come D'Alema intende benissimo, nel mettere insieme ai fini dell'elezione dei parlamentari, Varese e Mantova, Sapri e Santa Maria Capua Vetere. D'Alema considera inoltre eccentrico che uno stesso collegio possa esprimere altri parlamentari oltre al candidato che ha preso più voti. Considera cioè eccentrico quanto è normale in tutti i sistemi proporzionali e in molti sistemi misti, tra cui la Mattarella-Senato. D'altro canto le alternative offerte dal sistema tedesco sono peggiori. Faccio un esempio. Nel collegio di Gallipoli c'è una candidata del Partito del popolo talmente popolare e tosta da perdere contro D'Alema ai punti, 38 a 40. Con il sistema proposto, per effetto della compensazione proporzionale, potrebbe essere ripescata proprio lei. Se si adottasse il metodo tedesco, lei rimarrebbe al palo, mentre verrebbe eletto un altro candidato del PdP rimasto per tutta la campagna elettorale in poltrona, al riparo di una lista circoscrizionale bloccata. Nel caso poi dei partiti più piccoli, i candidati di collegio, non avendo alcuna chance di arrivare primi, sarebbero puri portatori d'acqua per le liste bloccate. è vero che alcuni collegi diventerebbero abbastanza sicuri sia per il primo che per il secondo partito, ma in quel caso la contendibilità della carica può essere assicurata dalle primarie. D'altro canto, se la legge elettorale consentisse il voto disgiunto tra candidati dei collegi uninominali e liste di circoscrizione, ritorneremmo ai giochetti già noti della Mattarella-Camera, con liste civetta e cartelli elettorali arlecchino nei collegi uninominali. A quel punto tanto varrebbe tornare integralmente alla Mattarella, che almeno produce maggioranze parlamentari certe per le coalizioni pre-elettorali vincenti. Ci sono, infine, come nel noto adagio di Enzo Iannacci, quelli che... il sistema tedesco o si prende tutto d'un pezzo o niente; quelli che... il tedesco è più pulito; quelli che... il sistema tedesco è meglio "perché si porta dietro anche il cancellierato e la sfiducia costruttiva ". Ad argomenti del genere è difficile rispondere. Sarebbe come prendere sul serio la proposizione secondo cui l'uninominale all'inglese... si porta dietro la monarchia parlamentare e il potere del premier di sciogliere discrezionalmente la camera bassa. Per fortuna Silvio Berlusconi ha rotto queste ipocrisie. Ha detto che a lui il sistema tedesco serve per andare al più presto al voto, che serve ad archiviare il bipolarismo e che... si porta dietro la Grande Coalizione. Del resto è la sua stessa iniziativa a rendere quest'esito probabile. Per quanto gli possa andare bene, lo sfondamento a destra e al centro su cui scommette difficilmente basterà, con un sistema proporzionale puro, a farlo vincere davvero. E d'altro canto la sua iniziativa, almeno nel breve, svuota, insieme all'Udc, la pia illusione di alcuni democratici di rimanere al governo semplicemente sostituendo alla sinistra radicale un centro dilatato da Monti, Montezemolo e Pezzotta. \\ Ai piccoli partiti; ai diffidenti verso l'abbandono del premio di maggioranza; ai dubbiosi sull'ispano-tedesco e a quelli che... o tutto o niente.


Berlusconi: "Vogliamo due soli grandi partiti" (sezione: Riforma elettorale)

( da "Tempo, Il" del 22-11-2007)

 

È trascorso un giorno senza che Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini si siano scambiati accuse. Né insulti. E nemmeno offese personali. [...] Home prec succ Contenuti correlati Morte Sandri, l'agente accusato di omicidio volontario La folla ai funerali di Sandri: "Vogliamo giustizia" E' giusto che la Lazio intitoli Formello a Gabriele Sandri? Famiglie sempre più povere Fini non molla "Idee campate in aria" Traslocano 110 tigli e 26 platani per fare spazio alla "Nuvola" Soprattutto è trascorso un giorno durante il quale il leader di An non ha fatto battute salaci contro il Cavaliere. Anzi, a chi ha partecipato alla riunione dell'ufficio politico del partito convocata d'urgenza subito dopo ora di pranzo, l'ex vicepremier è apparso più sereno rispetto ai giorni scorsi. è presto per dire che è pace fatta. Ma il solo fatto che non ci siano stati attacchi incrociati rappresenta una novità nel centrodestra. Berlusconi va avanti per la sua strada. Si preoccupa di chiarire meglio il suo progetto che ha terremotato anche Forza Italia. Attorno a lui si fanno largo la Brambilla e i quarantenni (Guido Crosetto, Mara Carfagna, Gragorio Fontana, Angelino Alfano, Maurizio Lupi) da un lato e quelli della prima ora come Marcello dell'Utri, con il quale è tornato un certo feeling, e il mondo che proviene da Publitalia. Esclusi quelli della seconda ora, come Giulio Tremonti che sembra finito in soffitta (politica, s'intende). Il Cav tira dritto. E al Giornale delle Libertà, il settimanale della Brambilla, spiega: "La nostra posizione è chiara e si può riassumere così: noi vogliamo contribuire a costruire un sistema elettorale che incentivi la formazione di grandi partiti, non di alleanze elettorali impotenti, impossibilitate a governare. Il nostro obbiettivo è un sistema politico fondato su due grandi partiti, più forti e finalmente omogenei, in competizione per il governo di questo Paese". E torna a rispolverare il tema delle elezioni: "Dico fin d'ora che questo Parlamento non ha più la fiducia dei cittadini e non può certo riformare la Costituzione. In questa situazione, dove il discredito del governo è al massimo grado, occorre riformare rapidamente la legge elettorale e tornare alle urne. Poi - puntualizza - si potrà discutere, e noi abbiamo proposte nuove e soluzioni efficaci. Discuterne ora mi pare del tutto prematuro. Anche perché - aggiunge il leader del Ppl -, un accordo sulla riforma elettorale presuppone anche un comune impegno ad andare subito al voto. Abbiamo un governo che non ha più la maggioranza in Parlamento ed è ora che vada a casa. Cos'altro deve ancora accadere per poter tornare alle urne? Questo governo è già imploso da un pezzo". Berlusconi insiste e non sembra spaventato nemmeno dall'ipotesi referendum: "Penso che sia giusto affrontare un problema alla volta. Un Partito della Libertà che, appena nato, può già contare, come confermano i sondaggi di queste ultime ore (ieri ne è giunta anche uno Ipr, ndr), sul 35-37% dei consensi del corpo elettorale, non deve avere paura di nulla". Frena invece sulla grande coalizione: "Qualunque ipotesi prevede che prima ci siano elezioni. Come ho già detto, un problema alla volta". Una battuta anche per Forza Italia, che, a giudizio del Cavaliere, "si rigenererà con entusiasmo e rinnovata energia nel nuovo partito. Essa formerà gran parte della sua struttura portante. L'esperienza accumulata dai suoi quadri dirigenti sarà indispensabile anche per strutturare la base del nuovo movimento". Quindi racconta come è maturata la svolta: "Erano mesi che tendevo l'orecchio all'ormai assordante protesta dei cittadini e mi chiedevo: possibile che nessuno voglia assumersi la responsabilità di affrontare un sistema di potere che, con pervicacia ed arroganza senza pari, sta, giorno dopo giorno, distruggendo questo Paese? Ho pazientato un po', ma poi, visto che continuava a non muoversi foglia, ho deciso di prendermi tutt'intera questa responsabilità". "Prima che il nostro sistema faccia la fine del Titanic - sottolinea Berlusconi -, è bene fermare le macchine e cambiare un bel po' di cose. Ed è ormai compito di chi guida, in questo Paese, il partito di maggioranza relativa farsi carico di questo problema". Intanto Berlusconi oggi, assieme a Gianni Letta, vedrà a pranzo l'ambasciatore israeliano Ghideon Meir. Nei giorni scorsi vi erano state polemiche da parte della comunità ebraica romana per il fatto che il Cavaliere avesse partecipato alla convention della Destra con saluti romani e cori fascisti. Fabrizio dell'Orefice 22/11/2007.


LEGGE ELETTORALE, VELTRONI SENTE BERLUSCONI (sezione: Riforma elettorale)

( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 22-11-2007)

 

Legge elettorale, Veltroni sente Berlusconi MARIA PAOLA MILANESIO Roma. Sogna due grandi partiti il Cavaliere, "più forti, finalmente omogenei, in competizione per il governo del Paese". Anche per questo "il Partito della Libertà non ha paura del referendum". Dal bipolarismo al bipartitismo, insomma, con buona pace degli alleati. Da domenica, da quando ha deciso la grande rivoluzione, Silvio Berlusconi è irrefrenabile: passeggiate in città, comizi al gazebo, dichiarazioni alla stampa. E sempre per ribadire che è disposto a sedersi al tavolo con Walter Veltroni per discutere di riforma elettorale solo se "c'è un comune impegno per andare al voto subito". Di modifiche costituzionali, manco a parlarne. Si vedranno il 30 alla Camera il Cavaliere e il leader del Pd, che lunedì, invece, incontrerà il presidente di An Gianfranco Fini. E se Berlusconi porrà come condizione ineludibile la tappa del voto, Fini chiederà "un sistema che salvi il bipolarismo" e se così sarà si potrà discutere anche di riforme costituzionali. Ma tra gli scenari che il presidente di An sta valutando c'è anche quello che vede in campo il grande centro che potrebbe avere in Luca Cordero di Montezemolo, Pier Ferdinando Casini e Savino Pezzotta i suoi leader. E che potrebbe diventare un grande centrodestra se anche An ne facesse parte (come lasciano intendere alcuni segnali che provengono da parte Udc). "Quando vedrò Veltroni, chiariremo i rispettivi punti di vista. Ma dico fin d'ora che questo Parlamento non ha più la fiducia del cittadini e non può certo riformare la Costituzione. Noi vogliamo contribuire a costruire un sistema che incentivi la formazione di grandi partiti, non di alleanze elettorali impossibilitate a governare", ha detto Berlusconi al "Giornale della Libertà". La nascita del Pdl è definita "una iniziativa rivoluzionaria": "Mi chiedevo: possibile che nessuno voglia assumersi la responsabilità di affrontare un sistema di potere che sta distruggendo il Paese? Prima che il nostro sistema faccia la fine del Titanic, ho deciso di assumermi appieno la responsabilità. Il nostro obiettivo è far saltare i chiavistelli di un sistema politico che non funziona più". Allo scontro Fini-Berlusconi - ma ieri da entrambe le parti si è cercata la tregua, anche se il partito ha gradito la scelta di Veltroni di incontrare Fini per primo - la destra reagisce mostrando compattezza e puntando a iniziative sul campo. "La prima sabato a Piazza San Babila a Milano (dove Berlusconi ha annunciato la nascita del Ppl, ndr.), con lo slogan contro ogni inciucio e mai con la sinistra", dice Ignazio La Russa. Il primo dicembre An sarà in piazza a Napoli per una manifestazione che Fini ha trasformato negli Stati generali del Sud. I primi tre giorni di febbraio a Milano sarà di scena il Programma per l'Italia proposto a tutti coloro che non intendono stare con la sinistra. A ribadire la linea dell'Udc, invece, dopo le iniziative di Bruno Tabacci che ha incontrato Prodi ("Visita a titolo strettamente personale", stigmatizza Lorenzo Cesa) e di Carlo Giovanardi che punta al Pdl, è la segreteria politica: "È inaccettabile che chi è collocato formalmente all'interno del partito si muova per scardinarlo, trascinandolo in avventure estemporanee e contraddittorie. La costruzione della nuova Casa dei moderati deve avvenire nella chiarezza di ruoli e posizioni e parte dal rafforzamento del partito e dalla difesa della sua autonomia". Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi a sinistra il presidente di An Gianfranco Fini.


Romano Prodi contro le riforme (sezione: Riforma elettorale)

( da "Opinione, L'" del 22-11-2007)

 

Oggi è Gio, 22 Nov 2007 Edizione 255 del 22-11-2007 La tigre di carta Romano Prodi contro le riforme di Arturo Diaconale Romano Prodi si rallegra per l'implosione del centro destra. Ed ammonisce Walter Veltroni a non trasformare il tavolo della riforma elettorale nel terreno dove stipulare un accordo privilegiato con Silvio Berlusconi. Se mai il segretario del Pd lo facesse, lascia intende il Presidente del Consiglio, dovrebbe fare i conti con l'inevitabile rivolta di una parte consistente del proprio partito. Con tutte le conseguenze che ne derivano. Ma la minaccia di Prodi è un'arma spuntata. Per la semplice ragione che una intesa sulla riforma elettorale tra il Cavaliere ed il leader del Pd non sarebbe mai chiusa all'apporto di altre forze politiche. A partire da Rifondazione Comunista per passare alla Lega e finire nell'Udc ed in tutte quelle forze del centro destra e del centro sinistra convinte di avere uno spazio ed un ruolo nel futuro scenario politico. Certo, Berlusconi e Veltroni potrebbero accordarsi segretamente per andare alle larghe intese dopo una eventuale caduta del governo prima delle elezioni anticipate con la nuova legge e l'avvio della prossima legislatura. Ma a quel punto Prodi non si troverebbe più a Palazzo Chigi, i prodiani avrebbero molto meno peso e potere all'interno della sinistra e sarebbero fatalmente costretti a fare buon viso a cattivo gioco. La minaccia prodiana ha dunque un senso solo se non riguarda gli equilibri politici futuri ma investe prioritariamente ed esclusivamente proprio la tanto invocata riforma elettorale. Il "professore", in altri termini, per impedire di essere sostituito da un eventuale esecutivo tecnico o istituzionale nato dal possibile "inciucio" tra Berlusconi e Veltroni, deve impedire ad ogni costo che il dialogo sul modello tedesco vada avanti. In pratica, pur mostrandosi apparentemente favorevole, deve boicottare e far fallire qualsiasi trattativa riguardante la legge destinata a sostituire il tanto deprecato "porcellum". In condizioni normali il Presidente del Consiglio non avrebbe alcuna difficoltà a realizzare una operazione del genere. E' bastata una intervista di Arturo Parisi per bruciare l'operazione Coop-Bnl targata Massimo D'Alema. Figuriamoci se Prodi mancano uomini e mezzi per ottenere lo stesso effetto con Veltroni. Ma le condizioni politiche non sono affatto normali. Il governò è con un piedi nelle fossa. E se anche a gennaio Lamberto Dini non desse seguito al suo annuncio di staccare la spina, di fronte ad una mancata intesa sulla legge elettorale ed alla prospettiva di andare al referendum l'eutanasia della coalizione avverrebbe per mano dei partiti minori. E allora? La risposta è semplice. Prodi è una tigre di carta. E per dimostrarlo Veltroni non deve fa altro che dialogare sulla riforma elettorale senza acuti di sorta. A gridare ci penseranno i fatti.


Via alla grande trattativa: primo round Veltroni-Fini (sezione: Riforma elettorale)

( da "Gazzettino, Il" del 22-11-2007)

 

Prossimo faccia a faccia con il leader di An. Punto fermo: "Si parla di tutte le riforme, non solo di quella elettorale" RomaNOSTRA REDAZIONEPrima Fini, poi Berlusconi. Anche nel fissare il calendario degli incontri con l'opposizione Walter Veltroni fa di tutto per dissipare l'impressione di un asse tra il Pd e l'ex premier. Soprattutto, tiene il punto sui contenuti: checché ne dica il Cavaliere, "riforma elettorale e riforme istituzionali sono indissolubilmente legate" e bisogna parlare di entrambe.Dopo un incontro a Palazzo Chigi con Romano Prodi, per presentargli in anteprima il simbolo del Pd che sarà poi mostrato alla stampa nel pomeriggio, Veltroni fa conoscere il calendario dei primi appuntamenti con l'opposizione e fa - per quel che vale - assesta uno sgarbo al Cavaliere: vedrà prima, lunedì, Gianfranco Fini e solo dopo, venerdì 30, il leader del futuro Partito del popolo o della libertà, con il quale comunque ha già avuto ieri una prima telefonata, che ha sancito la volontà di sedersi al tavolo ma ha anche confermato la differenza di strategie e obiettivi.Veltroni osserva, perfino lui con un certo stupore, che molte cose sono cambiate in pochissimo tempo. "Sono passati 24 giorni dall'assemblea di Milano e in 24 giorni abbiamo creato il simbolo, la sede del partito e gli organismi dirigenti ma soprattutto da un punto di vista politico molte cose sono cambiate: la più grande è la fine della Cdl e la consapevolezza che è venuto il tempo delle riforme costituzionali". L'aggettivo è la parola chiave: "È tempo di riforme - prosegue Veltroni - c'è questa consapevolezza e noi ribadiamo che per noi legge elettorale e riforme costituzionali sono indissolubilmente legate e non si possono scindere". Con il segretario del Pd si schiera Clemente Mastella, un po' a sorpresa perché logica vorrebbe che il leader dell'Udeur puntasse su un rapido e soddisfacente accordo per la riforma elettorale: "Solo dopo il cambiamento istituzionale - sentenzia il Guardasigilli - arriverà anche la legge elettorale, che non può venire prima". Mastella ricorda che "di leggi elettorali, negli ultimi anni, ne abbiamo cambiate quattro o cinque: importante è cambiare soprattutto la filiera istituzionale perché - spiega - in Italia c'è un indecisionismo delle istituzioni mentre negli altri Paesi si arriva a decisioni certe, giuste o sbagliate che esse siano. Dunque, fino a quando non si cambierà tutto questo, ci sarà sempre una forma di irreparabilità e di disastro nel nostro Paese". In serata però lo scetticismo riprende quota. A questo sentimento, prevalente in tutti i piccoli partiti, dà voce il capogruppo del Campanile a Montecitorio, Mauro Fabris: "Il gioco - osserva - mi pare evidente. Veltroni prova ad ottenere quello ha sempre cercato di ottenere: un bipartitismo coatto. E alla luce anche dell'ultima mossa del Cavaliere che ha aperto al dialogo con il Pd sulle riforme, mi sembra chiaro che il sospetto dell'inciucio è diventato una certezza. Ma l'intesa in materia elettorale si cerca tra tutti e in tempi lunghi, non in un paio di incontri. Insomma, sono scettico che si arrivi a un'intesa entro gennaio". In altri termini: si fa melina finché la Consulta, al più tardi in febbraio, non deciderà sull'ammissibilità del referendum, che metterà i partiti minori in mano a quelli grandi.A sinistra sono in molti a diffidare delle trattative con Berlusconi. "Mi auguro - dice ad esempio Oliviero Diliberto, segretario del Pdci - che Veltroni non cada nel tranello e non indebolisca il governo attuale".A.B.


Berlusconi: basta alleanze, avanti con due grandi partiti (sezione: Riforma elettorale)

( da "Gazzettino, Il" del 22-11-2007)

 

"Un accordo sulla legge elettorale presuppone il comune impegno ad andare subito alle urne. Il governo è già imploso" RomaNOSTRA REDAZIONE"Un accordo sulla riforma elettorale presuppone anche un comune impegno ad andare subito al voto": Silvio Berlusconi, anche in vista dell'incontro fissato per fine mese con il segretario del Pd Veltroni, insiste sulla linea. Quella di limitarsi alla riforma del sistema elettorale, per poi tornare subito al voto. Il Cavaliere anticipa: "Quando ci incontreremo chiariremo i rispettivi punti di vista su tutto. Dico però fin d'ora che questo Parlamento non ha più la fiducia dei cittadini e non può certo riformare la Costituzione. In questa situazione, dove il discredito del governo è al massimo grado - insiste Berlusconi - occorre riformare rapidamente la legge elettorale e tornare alle urne. Poi si potrà discutere, e noi abbiamo proposte nuove e soluzioni efficaci. Discuterne ora mi pare del tutto prematuro. Abbiamo un governo che non ha più la maggioranza in Parlamento ed è ora che vada a casa. Cos'altro deve ancora accadere per poter tornare alle urne? Questo governo è già imploso da un pezzo".In una intervista al giornale dei Circoli della Libertà, Berlusconi non esclude a priori un governo di grande coalizione, ma lo subordina alla sua richiesta prioritaria: "Qualunque ipotesi prevede che prima ci siano elezioni. Un problema alla volta!". Il Cavaliere puntualizza: "La nostra posizione è chiara e si può riassumere così: noi vogliamo contribuire a costruire un sistema elettorale che incentivi la formazione di grandi partiti, non di alleanze elettorali impotenti, impossibilitate a governare. Il nostro obbiettivo è un sistema politico fondato su due grandi partiti, più forti e finalmente omogenei, in competizione per il governo di questo Paese".Berlusconi fa sapere di aver deciso la nascita del nuovo partito "prima che il sistema affondi come il Titanic". E spiega: "Il nostro obbiettivo è quello di far saltare i chiavistelli di un sistema politico che, così com'è oggi, non funziona più. In questo, la nostra iniziativa ha, in sè, qualcosa di rivoluzionario". Poi aggiunge: "Penso di aver fatto la cosa giusta nel momento giusto. Erano mesi, del resto, che tendevo l'orecchio all'ormai assordante protesta dei cittadini e mi chiedevo: possibile che nessuno voglia assumersi la responsabilità di affrontare un sistema di potere che, con pervicacia ed arroganza senza pari, sta, giorno dopo giorno, distruggendo questo Paese? Ho pazientato un po', ma poi, visto che continuava a non muoversi foglia, ho deciso di perdermi tutt'intera questa responsabilità. Prima che il nostro sistema faccia la fine del Titanic, è bene fermare le macchine e cambiare un bel po' di cose. Ed è ormai compito di chi guida, in questo Paese, il partito di maggioranza relativa farsi carico di questo problema". Del resto, il Cavaliere è sicuro che "Forza Italia si rigenererà con entusiasmo e rinnovata energia nel nuovo partito. Essa formerà gran parte della sua struttura portante. L'esperienza accumulata dai suoi quadri dirigenti, sarà indispensabile anche per strutturare la base del nuovo movimento". Tuttavia, qualche crepa c'è e proprio oggi Berlusconi incontra Ferdinando Adornato che, secondo diverse indiscrezioni, sarebbe intenzionato a non far parte del nuovo soggetto politico: sarebbe stato lo stesso ex premier a contattare Adornato, presumibilmente per verificare le indiscrezioni di stampa che indicavano il promotore della Fondazione Liberal come il primo dissidente del progetto berlusconiano.In ogni caso - nonostante l'irritazione evidente di An, il maldipancia dell'Udc e l'indifferenza della Lega - Berlusconi non ha dubbi sulla buona riuscita della sua ultima idea. E non arretra nemmeno davanti alla possibilità che, fallite le trattative, alla fine si tenga il referendum sulla legge elettorale: "Penso che sia giusto - rileva - affrontare un problema alla volta. E poi sa cosa le dico? Un Partito della libertà che, appena nato, può già contare, come confermano i sondaggi di queste ultime ore, sul 35-37 per cento dei consensi del corpo elettorale, non deve avere paura di nulla. Sono convinto anche che, entro qualche mese, di adesioni ne potranno arrivare ancora di più. Il vento del cambiamento spirerà sempre più forte".C.G.


Trambusto nei poli sulla legge elettorale: è l'effetto Berlusconi (sezione: Riforma elettorale)

( da "Sole 24 Ore Online, Il" del 22-11-2007)

 

Sulle riforme lunedì incontro tra Fini e Veltroni. Prodi: non servono grandi coalizioni di Sara Bianchi commenti - | | 21 novembre 2007 SONDAGGIO Vi piacciono i loghi del Partito Democratico e quello della formazione proposta da Berlusconi? Lo scontro tra Berlusconi e il leader di An ANALISI Dal proporzionale al maggioritario e ritorno di Roberto D'Alimonte IL PUNTO Il sistema tedesco porta alle larghe intese dopo il voto di Stefano Folli La proposta Veltroni Grandi coalizioni? No, "al Paese servono riforme". Romano Prodi risponde così ai cronisti che gli domandano degli incontri in corso. "È un confronto continuo", spiega il Presidente del Consiglio, perchè "dobbiamo portare avanti l'approvazione dei provvedimenti che abbiamo varato". Il modello di riferimento rimane quello tedesco? Il premier non si sbilancia: "la discussione è in corso", si limita a osservare. Certo il confronto su legge elettorale e riforme istituzionali, resta serrato, anche se a distanza con l'opposizione, con tanto di colpi di teatro del rivale di sempre, Silvio Berlusconi. I faccia a faccia più attesi sono quelli che Walter Veltroni avrà con Fini - lunedì 26 novembre - e con Berlusconi - il 30 novembre -. Il Cavaliere intanto chiarisce alla maggioranza che "un accordo sulla riforma elettorale presuppone anche un comune impegno ad andare subito al voto". In un'intervista rilasciata a Il Giornale della Libertà l'ex premier ripete che "questo Parlamento non ha più la fiducia dei cittadini e non può certo riformare la Costituzione". In questa situazione, chiarisce "dove il discredito del Governo è al massimo grado, occorre riformare rapidamente la legge elettorale e tornare alle urne. Poi si potrà discutere". Ma il leader del Partito della Libertà è disponibile a un governo di larghe intese? "Qualunque ipotesi - risponde Berlusconi - prevede che prima ci siano elezioni". Il dibattito è aperto e intenso dentro il centrosinistra: oggi Veltroni ha incontrato sia Prodi che Enrico Letta. Ma nell'Unione c'è già chi grida all'inciucio: il Pdci chiede un vertice di maggioranza prima degli incontri con il centrodestra, la stessa richiesta arriva da Rosy Bindi, i verdi considerano una pazzia insistere sul sistema tedesco e il Prc ribadisce la priorità di un accordo nella coalizione. Di segno opposto le considerazioni dell'Udeur, con Clemente Mastella che avverte: "se avanza una terza ipotesi, evidentemente c'è un nostro interesse ad un'area di centro come tale". Sulla stessa scia Lamberto Dini, secondo il quale è giusto che siano i due maggiori partiti a dare la linea. Dall'opposizione dopo il richiamo al Cavaliere per il rispetto dei patti siglati dalla Cdl a Gemonio, la Lega torna a chiedere che, prima dell'incontro con Veltroni, Silvio Berlusconi riconfermi quell'accordo, ovvero "un proporzionale con lo sbarramento simile a quello tedesco e l'indicazione del candidato premier che avviene prima". Il Cavaliere medita di escludere il Carroccio dalle future alleanze del Pdl? Maroni ne dubita: "senza di noi sa di perdere, non mi pare sia nelle sue intenzioni". Su quale sia l'obiettivo primario dell'ex premier, in questa fase, molti si interrogano. E dal Pd Pierluigi Castagnetti riflette: "c'è chi sostiene che Berlusconi stia portando legna da ardere per fare fumo, arrivare in prossimità del referendum e semmai sperare che i partiti minori dell'Unione possano aprire a una crisi di governo e di legislatura. Può anche darsi che Berlusconi abbia questo retro pensiero, ma credo che non ci sia spazio per le furbate, ce ne accorgeremmo molto rapidamente". Intanto il Presidente della Repubblica in un'intervista al settimanale tedesco Die Zeit dice di ammirare "molto il clima di comune accettazione di valori e regole fondamentali, che ha presieduto e presiede alla lotta politica nella repubblica federale". Atteso per la settimana prossima a Berlino, Giorgio Napolitano esprime dunque il suo interesse per il modello tedesco, definendo "molto importante" il fatto che "ci si confronti tra schieramenti che competono per la guida del paese ma che hanno rispetto reciproco, chiunque sia al governo e chiunque all'opposizione".


Riforme tra ricordi distorti della bicamerale e la novità dei giorni nostri (sezione: Riforma elettorale)

( da "Riformista, Il" del 23-11-2007)

 

Riforme tra ricordi distorti della bicamerale e la novità dei giorni nostri La maledizione del dialogo colpisce ancora È una specie di maledizione della politica italiana: ogni volta che qualcosa o qualcuno si muove, il sospetto si spande come una macchia. Sui timidi inizi di un dialogo tra Veltroni e Berlusconi per la riforma elettorale, e possibilmente anche per le riforme istituzionali, già si è abbattuta l'evocazione dell'inciucio, accompagnata da rivelazioni sui legami tra Rai e Mediaset e - quindi - dall'immediato ripescaggio della legge Gentiloni e di quella sul conflitto d'interessi. Leggi che si devono fare, per carità, ma che con strana puntualità sono tornate alla mente proprio ieri, in modo tale da creare l'idea che non si facciano per favorire il dialogo. (Domanda: perché non si sono fatte finora?). Viene così ricostruito uno scenario il più possibile simile a quello della Bicamerale: l'oggetto più odiato ed esecrato dall'opinione pubblica di sinistra, tanto che solo nominarla equivale a un anatema. Ora, in realtà la Bicamerale è stata un corretto e generoso tentativo di uscire dallo stallo della transizione. Il suo difetto è uno solo: di essere fallita. Ed è fallita (oltre che per alcuni errori di conduzione sui quali un giorno sarà forse utile tornare a riflettere) esattamente perché non ci fu l'inciucio, e quindi Berlusconi fece saltare il tavolo. È veramente assurdo che la Bicamerale, con i suoi responsabili, sia consegnata alla leggenda di un inciucio che invece non ci fu. Ma torniamo al presente. Veltroni è oggi ben più forte di quanto fosse D'Alema nel 1998, e d'altronde si guarda bene dal proporre una Bicamerale. Ha proposto semplicemente un dialogo per le riforme, com'è giusto e necessario. La novità è che Berlusconi ha risposto con una parziale apertura. Il rischio vero di questa situazione non è l'inciucio, ma è, ancora una volta, il fallimento. È infatti molto difficile trovare i termini di un accordo che sia accettabile per tutti o quasi tutti i soggetti politici. I discorsi di questi giorni nascondono una serie di equivoci. Si parla di ritorno al proporzionale; ma il sistema proposto da Veltroni è un proporzionale molto corretto da un forte effetto maggioritario; neanche il sistema tedesco, peraltro, è un proporzionale puro. La misura e la qualità di questa correzione, con tutta evidenza, saranno il punto cruciale del confronto. È dunque del tutto fuori di luogo, al momento, parlare di morte del bipolarismo e di ritorno alla Prima repubblica. In verità la prospettiva più probabile è che l'accordo non si faccia e si vada al referendum: dunque a un rafforzamento del maggioritario e del bipolarismo. Sarebbe un'altra occasione perduta; ma questa volta c'è la rete della consultazione popolare. Resta la singolarità di questo trascinarsi negli anni di tentativi di riforma elettorale, che o falliscono, o risultano insoddisfacenti. Così, oggi sembra che i difetti del bipolarismo italiano dipendano soltanto dalle leggi elettorali. Si dimentica che un sistema politico è fatto soprattutto dai suoi attori: i partiti. Ha perfettamente ragione Ernesto Galli della Loggia (sul Corriere di ieri): il bipolarismo italiano è fallito perché i partiti maggiori dei due poli, gravati in modo diverso da una identità ambigua, hanno in realtà rinunciato ad esercitare un ruolo guida nel rispettivo schieramento e quindi si sono preclusa la possibilità di diventare partiti grandi come ce ne sono in tutti i paesi europei, qualunque sia il loro sistema elettorale, preferendo la più facile via delle coalizioni-ammucchiata: via più facile per vincere le elezioni, ma non certo per governare. Bisogna aggiungere, però, che proprio per uscire da questa situazione è nato il Partito democratico. "Un partito a vocazione maggioritaria" significa precisamente questo: un partito con forte identità, che punta a competere e non solo a mediare. Che si propone di vincere, naturalmente, ma in modo tale da poter governare. Da questo nuovo attore - la cui nascita ha già cambiato la scena politica fino al punto da produrre lo scioglimento della Casa della libertà - viene la proposta di dialogo per le riforme. Con tutta la prudenza del caso, non si può non vedere la novità della situazione presente, rispetto a tutti i tentativi degli ultimi anni. 23/11/2007.


Veltroni: Non tratterò sulla fine del governo (sezione: Riforma elettorale)

( da "Arena, L'" del 23-11-2007)
Pubblicato anche in:
(Giornale di Vicenza, Il)

 

DIALOGO SULLE RIFORME. In vista degli incontri i leader degli opposti schieramenti fissano i paletti del confronto Veltroni: "Non tratterò sulla fine del governo" ROMA Sì al dialogo ma il governo non si tocca. Walter Veltroni, segretario del Pd, a pochi giorni dagli incontri con i leader dell'ex Casa delle libertà Fini, An, Casini, Udc e Berlusconi, Fi, torna ad assicura che il confronto non può e non deve coinvolgere Palazzo Chigi. Non ci deve essere alcun legame tra riforme elettorale e istituzionali e durata del governo. Veltroni si prepara a dialogare con l'opposizione con queste premesse, che dovrebbero fugare le preoccupazioni di Prodi e la diffidenza di parte del centrosinistra per il filo diretto che sta instaurando con Berlusconi. Veltroni ha precisato che non accetterà "data di scadenza per il governo Prodi", certo non fino a quando in Senato ci sarà una maggioranza. Lo ha spiegato in un'intervista al settimanale l'Espresso in edicola oggi, lo ha chiarito ieri a Madrid, nella visita al premier spagnolo Zapatero. "Non c'é nessuna grande coalizione, non si sta discutendo di questo", ha dichiarato, "Per me ciò che conta è il completamento del processo di riforme istituzionali dentro il quale pongo la riforma elettorale". Niente di reale quindi, nei presunti "assi" descritti in questi giorni dai media. Per il sistema elettorale, "mi pare ci sia una convinzione che si debba lavorare su un sistema liberale che sia proporzionale, senza premi di maggioranza ma bipolare, due cose che non sono impossibili". Con questi obiettivi Veltroni vedrà Fini lunedì, poi Casini, la Lega e venerdì 30 Berlusconi. Ma nell'Unione non mancano malumori. Clemente Mastella teme che dietro le offerte di dialogo "ci sia la voglia di arrivare al referendum". "Malissimo", afferma Arturo Parisi sull'eventualità di un ritorno al proporzionale, "O è bipolarismo o è grande coalizione". "Dopo le leggi ad personam siamo alle leggi ad partitum", si preoccupa Cesare Salvi, Sd che definisce "positiva l'apertura di Veltroni sul sistema tedesco, ma singolare e non condivisibile l'idea di correttivi per rafforzare i partiti maggiori". Alfonso Pecoraro Scanio, Verdi continua a sentire "puzza di inciucio centrista". E Fini in una conferenza stampa ha illustrato la posizione di An in vista dell'incontro con Veltroni. Il dialogo è indispensabile finché il governo avrà i numeri, anche se noi, ha sottolineato, "vogliamo che cada". Fini ha chiarito il rapporto con Berlusconi. An, è e resta un partito di destra che "non confluirà mai" nella "Cosa di centro" con l'Udc. La destra è pronta a confrontarsi con tutti i partiti "vecchi e nuovi" che vogliono costruire un'alternativa alle sinistre. Tutto ciò, ha spiegato Fini, partendo dal presupposto che è stato Berlusconi ad "archiviare la Cdl". Anche se non c'è più il centrodestra, quello che conta per Fini è che ci sia "il popolo di centrodestra" ed è a questo che An "intende parlare". Sulla riforma elettorale, per Fini non è importante se sarà proporzionale o maggioritaria, ma se indicherà le alleanze di governo. Lasciare i partiti con le mani libere, avverte il leader di An, significherebbe far arretrare l'Italia a una fase di democrazia bloccata. Casini, invece, pur ripetendo di non condividere la sortita del Cavaliere che ha annunciato la fondazione di un nuovo partito "salendo sul tetto di un'auto", apprezza che Berlusconi abbia "deciso di dialogare e abbia capito che questo bipolarismo è finito". Quanto a Fini, se in Fi c'è qualcuno che pensa di "liquidarlo con facilità", "si sbaglia di grosso" perché dichiara Casini, "Gianfranco è un leader vero e non basta certo Storace per sostituirlo". Cosa accadrà ora? Casini invita ad attendere che "si depositi la polvere della polemica". Poi incontrerà Fini e tenterà di trovare un accordo, anche se è cosciente che "ci sono chiare diversità di collocazione politica".


Veltroni: <Non tratterò sulla fine del governo> (sezione: Riforma elettorale)

( da "Giornale di Vicenza.it, Il" del 23-11-2007)
Pubblicato anche in:
(Arena.it, L')

 

DIALOGO SULLE RIFORME. In vista degli incontri i leader degli opposti schieramenti fissano i paletti del confronto Veltroni: "Non tratterò sulla fine del governo" Fini: "Nella nuova legge elettorale vanno indicate le alleanze e non faremo un partito con Casini" Mastella teme la voglia di arrivare al referendum. Parisi: "Malissimo il proporzionale" L'ala radicale lancia l'allarme inciucio. Pecoraro Scanio: "Sento puzza di centrismo"   ROMA Sì al dialogo ma il governo non si tocca. Walter Veltroni, segretario del Pd, a pochi giorni dagli incontri con i leader dell'ex Casa delle libertà Fini, An, Casini, Udc e Berlusconi, Fi, torna ad assicura che il confronto non può e non deve coinvolgere Palazzo Chigi. Non ci deve essere alcun legame tra riforme elettorale e istituzionali e durata del governo. Veltroni si prepara a dialogare con l'opposizione con queste premesse, che dovrebbero fugare le preoccupazioni di Prodi e la diffidenza di parte del centrosinistra per il filo diretto che sta instaurando con Berlusconi. Veltroni ha precisato che non accetterà "data di scadenza per il governo Prodi", certo non fino a quando in Senato ci sarà una maggioranza. Lo ha spiegato in un'intervista al settimanale l'Espresso in edicola oggi, lo ha chiarito ieri a Madrid, nella visita al premier spagnolo Zapatero. "Non c'é nessuna grande coalizione, non si sta discutendo di questo", ha dichiarato, "Per me ciò che conta è il completamento del processo di riforme istituzionali dentro il quale pongo la riforma elettorale". Niente di reale quindi, nei presunti "assi" descritti in questi giorni dai media. Per il sistema elettorale, "mi pare ci sia una convinzione che si debba lavorare su un sistema liberale che sia proporzionale, senza premi di maggioranza ma bipolare, due cose che non sono impossibili". Con questi obiettivi Veltroni vedrà Fini lunedì, poi Casini, la Lega e venerdì 30 Berlusconi. Ma nell'Unione non mancano malumori. Clemente Mastella teme che dietro le offerte di dialogo "ci sia la voglia di arrivare al referendum". "Malissimo", afferma Arturo Parisi sull'eventualità di un ritorno al proporzionale, "O è bipolarismo o è grande coalizione". "Dopo le leggi ad personam siamo alle leggi ad partitum", si preoccupa Cesare Salvi, Sd che definisce "positiva l'apertura di Veltroni sul sistema tedesco, ma singolare e non condivisibile l'idea di correttivi per rafforzare i partiti maggiori". Alfonso Pecoraro Scanio, Verdi continua a sentire "puzza di inciucio centrista". E Fini in una conferenza stampa ha illustrato la posizione di An in vista dell'incontro con Veltroni. Il dialogo è indispensabile finché il governo avrà i numeri, anche se noi, ha sottolineato, "vogliamo che cada". Fini ha chiarito il rapporto con Berlusconi. An, è e resta un partito di destra che "non confluirà mai" nella "Cosa di centro" con l'Udc. La destra è pronta a confrontarsi con tutti i partiti "vecchi e nuovi" che vogliono costruire un'alternativa alle sinistre. Tutto ciò, ha spiegato Fini, partendo dal presupposto che è stato Berlusconi ad "archiviare la Cdl". Anche se non c'è più il centrodestra, quello che conta per Fini è che ci sia "il popolo di centrodestra" ed è a questo che An "intende parlare". Sulla riforma elettorale, per Fini non è importante se sarà proporzionale o maggioritaria, ma se indicherà le alleanze di governo. Lasciare i partiti con le mani libere, avverte il leader di An, significherebbe far arretrare l'Italia a una fase di democrazia bloccata. Casini, invece, pur ripetendo di non condividere la sortita del Cavaliere che ha annunciato la fondazione di un nuovo partito "salendo sul tetto di un'auto", apprezza che Berlusconi abbia "deciso di dialogare e abbia capito che questo bipolarismo è finito". Quanto a Fini, se in Fi c'è qualcuno che pensa di "liquidarlo con facilità", "si sbaglia di grosso" perché dichiara Casini, "Gianfranco è un leader vero e non basta certo Storace per sostituirlo". Cosa accadrà ora? Casini invita ad attendere che "si depositi la polvere della polemica". Poi incontrerà Fini e tenterà di trovare un accordo, anche se è cosciente che "ci sono chiare diversità di collocazione politica".  .


Le prede della volpe silvio (sezione: Riforma elettorale)

( da "Espresso, L' (abbonati)" del 23-11-2007)

 

PRIMO PIANO Le prede della volpe silvio di edmondo berselli Liquidare gli alleati scomodi Fini e Casini. Chiudere la partita sulla legge elettorale. E lasciare le porte aperte a futuri governi di larghe intese. è la nuova strategia di Berlusconi. Per ribaltare il sistema politico. E sfrattare l'esecutivo di Prodi L'ingenuità maggiore sarebbe pensare a un colpo di testa, o di genio estemporaneo, da parte di Silvio Berlusconi. Quando domenica scorsa ha lanciato il tracciante che ha illuminato il cielo della politica italiana con l'apparizione scintillante del Partito del Popolo delle Libertà, tutto stava facendo fuorché un'improvvisazione. Ci stava pensando da mesi. Aveva cullato i circoli di Michela Vittoria Brambilla, fra le diffidenze e le sufficienze di alleati e compari, proprio come una cellula staminale di un'esperienza politica nuova. Si era confidato con i collaboratori storici, con Fedele Confalonieri, con Marcello Dell'Utri, con Gianni Letta. Poi aveva tentato il colpo grosso, la spallata contro il governo Prodi, l'estremo tentativo di arrivare al collasso del centrosinistra per reclamare le elezioni. Fallita quella, mentre sembrava all'angolo, sottoposto agli attacchi dei pretendenti al trono, ecco l'invenzione "maoista", come dice Giuliano Ferrara, un'accelerazione impressionante alla dinamica politica, l'ultimo gioco di prestigio del re mago Berlusconi. Tutti rimasti senza fiato, gli altri, nanetti e mezzi leader. L'attacco ai "parrucconi", l'oscuramento di fatto del nucleo dirigente di Forza Italia, in una specie di purga, o una rivoluzione culturale alla cinese. Stanno già spuntando le Guardie azzurre, i pasdaran del populismo berlusconiano. Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini liquidati per il momento come un fastidio o un intralcio. Con l'effetto di uno choc tremendo in primo luogo dentro il centrodestra, cioè l'ex Casa delle libertà, presa a pallate e demolita. Perché come si è visto, Berlusconi ha scelto di trattare con Walter Veltroni un accordo sul sistema proporzionale, ma soprattutto ha fatto capire con estrema chiarezza che d'ora in avanti la partita si gioca fra lui e Walter, fra il Partito del Popolo e il Partito democratico. E adesso che cosa succederà, quale sarà l'effetto dell'ondata d'urto berlusconiana? Non c'è dubbio alcuno che il colpo d'ariete del Cavaliere è di tipo 'sistemico', non l'esito di un capriccio. Nell'ambiente degli ulivisti, dei bipolaristi più religiosamente convinti, Arturo Parisi fa capire sconsolato che quello berlusconiano è un exploit reazionario, che conduce di nuovo alla "casella numero uno della politica italiana". Di nuovo nella rete del 'bipartitismo imperfetto', sindrome italiana certificata da Giorgio Galli a metà degli anni Sessanta. Eppure il primo risultato è l'esplosione del centrodestra, l'apertura di scenari inediti. Intanto, siccome l'imperfezione del bipartitismo non contempla più la presenza del Pci, Bruno Tabacci vede qualche opportunità: "Lo dicevo, lo dicevamo da un sacco di tempo che occorreva superare il bipolarismo irrigidito, quel modulo sclerotizzato nelle contraddizioni interne delle due alleanze elettorali. Adesso si tratta di vedere come vorrà collocarsi Berlusconi con il suo partito nuovo". Vale a dire? "Se Berlusconi disegna una formazione che privilegia l'antipolitica, il populismo di destra, tira dentro Storace e la Santanché, è evidente che si creano tensioni con la parte centrista dell'ex centrodestra, ossia con l'Udc. E quindi bisogna fare presto la Cosa bianca, dare vita a un'entità politica più ampia di quella attuale, che raccolga le esperienze di Pezzotta, e faccia da coagulo a quelle culture testimoniate da personalità come Montezemolo e Mario Monti, e che favorisca semmai l'approdo definitivo di Fini nell'area dei Popolari europei, se lui si decide". Anche perché, conferma Tabacci, il Blitzkrieg berlusconiano sul sistema proporzionale, avrà effetti su tutto l'arco politico: "Si formeranno quattro o cinque aree politico-culturali, e in questo panorama la politica torna a essere la politica; si libereranno anche quelle energie e quelle figure, come Gerardo Bianco, che si sentirebbero strette nel Pd". E soprattutto sarà il caso di non guardare con superiore ironia la mossa berlusconiana. Anche il massimo politologo italiano, Giovanni Sartori, scherza inevitabilmente sul "satrapo" che può fare ciò che vuole del proprio partito, anche vendere mezzo ceto dirigente agli emiri, ma considera gli effetti della sua iniziativa proporzionalista su tutto lo schieramento politico: "Se Walter Veltroni è furbo, la prende al volo, l'offerta berlusconiana. Perché anche il leader del Partito democratico ha bisogno delle mani libere, cioè di sottrarsi ai condizionamenti della sinistra radicale e di giocarsi liberamente le sue chance politiche". Nelle conversazioni informali, non c'è soltanto Fausto Bertinotti a illuminarsi di ammirazione per il talento creativo di Berlusconi (anche Rifondazione comunista simpatizza da sempre per il modello proporzionale tedesco). Anche a destra, nei circoli Fininvest, fra un Confalonieri e un Dell'Utri, si condivideva da tempo l'idea che occorresse un cambio di passo. Anche Gianni Letta si era espresso sulla necessità di trattare una riforma elettorale. E Berlusconi, a settantun anni compiuti, ha deciso che era venuto il tempo dell'ultima spallata. Non più contro il governo Prodi, ma contro un sistema politico ossificato, che esaltava i conflitti interni alle coalizioni. "Berlusconi ha bisogno di correre da solo", ripetevano i fan del Cavaliere. Detto fatto. Fuori Fini e Casini, con un avviso di sfratto che i due si trovano fra le mani così all'improvviso che restano attoniti, come paralizzati: "Tanto senza di me non vanno da nessuna parte". Un'occhiata dall'altra parte, verso il centrosinistra, "dove c'è tanta gente ragionevole, che la pensa praticamente come noi, ma è condizionata dalla sinistra comunista e radicale". Ed ecco la strategia, semplicissima: sistema proporzionale, duello con Veltroni, chi vince governa, se ci riesce, con l'aiuto dei vecchi alleati, o di chi comunque ci sta. Se vince Berlusconi, chiama all'appello i residui del centrodestra. Se la nuova alleanza non funziona, è pronto il cambio di rotta, con la soluzione della grande intesa con il Partito democratico. Come aveva detto, Enzo Biagi? "Se Berlusconi avesse le tette farebbe l'annunciatrice". Ecco, se le avesse effettivamente, e parlasse la lingua di Goethe, la prospettiva della Grosse Koalition sarebbe a un passo, e Silvio diventerebbe una controfigura di Angela Merkel. Già, ma Prodi? Prodi non è più un problema, sussurrano i fautori del Cavaliere. A destra si continua a dire, e lo dicono tutti, che prima se ne va, Prodi, tanto meglio è per il paese. A sinistra si ripete con un certo automatismo che sarà bene lavorare perché il governo del Professore completi la legislatura. Ma in realtà è solo questione di tempi: o funziona la congiura dei boiardi, con qualche senatore che si sfila dalla maggioranza al Senato (con Lamberto Dini nella parte di maggiore indiziato come capofila della cospirazione), oppure basta un po' di pazienza. Toccherà a Mastella staccare la spina al governo, non appena la Corte costituzionale darà, se lo darà, via libera al referendum Guzzetta-Segni. Prodi verrà lentamente soffocato dalle spire dell'accordo implicito Berlusconi-Veltroni, la sua figura di resistente a oltranza sull'altare del bipolarismo e della lotta antiberlusconiana si dissolverà nel quadro mobile della proporzionale. "Prodi si estinguerà, semplicemente", dicono i berluscones fondamentalisti: "Vengono meno le ragioni della sua esistenza politica". Naturalmente Prodi non è affatto d'accordo. Venderà cara la pelle. Chiederà a Veltroni di condizionare ogni accordo a riforme costituzionali che allunghino i tempi del trapasso di sistema. Dentro l'entourage prodiano si preparano alla battaglia, forti anche di un piccolo quanto significativo recupero di consenso dopo il varo della legge finanziaria al Senato: "Vogliamo dirlo o no che questi diciotto mesi di resistenza all'aggressione della destra si devono solo all'ostinazione, alla tenacia, alla testardaggine, alla pazienza di Romano?". Adesso il primo traguardo consiste nelle elezioni europee del 2009. Votare nel 2008 infatti sarebbe l'ammissione di un fallimento: "E semmai è fallita la coalizione, non certo il governo", dicono i prodiani. Ma il tempo di Prodi è al passato. Talmente al passato che perfino Berlusconi teme qualche sorpresa. "Perché se Romano.". Già, se Romano, nel senso di Prodi, decidesse di salire anche lui sul carro della proporzionale, ci sarebbe subito il terzo incomodo, nella Terza Repubblica. Già si muovono gli emissari della Cosa bianca. Incontri discreti si succedono. Perché se il futuro della politica italiana è nel confronto fra due simil-Democrazie cristiane, il Partito del popolo e il Pd, chi meglio di Romanone, il vecchio ragazzo democristianone, potrebbe mettersi in mezzo, con una terza forza bianca, a scomporre i giochi a complicare il quadro? Fantapolitica, mais oui. Ma noi siamo effettivamente dentro la fantapolitica. E questo forse non l'aveva previsto nemmeno Berlusconi. n Gianni Letta il gran tessitore Aspetta, nel suo ufficio di largo del Nazareno, nel cuore di Roma. Silente ma non assente, come diceva Carlo Azeglio Ciampi durante il settennato al Quirinale, una frase che Gianni Letta ama ripetere applicandola a sé. In tutto questo periodo ha fatto un'unica uscita pubblica, ma a lungo meditata e realizzata con tempismo stupefacente: l'intervista contenuta nel libro 'Chi è Stato?' curata da Luigi Tivelli, consigliere parlamentare, capo di gabinetto nel governo Berlusconi, oggi molto vicino a Lamberto Dini. Un intervento preparato con cura, fin dalla scorsa estate, per ricostruire un'immagine da grand commis, un personaggio istituzionale e non politico. Il testo, consegnato nel mese di settembre, è stato limato fino all'ultimo con meticolosità quasi maniacale, rivisto in ottobre, pubblicato al momento giusto: a metà novembre. Ci sono tutte le parole d'ordine del 'nuovo' Berlusconi: le regole da scrivere insieme, il paese disastrato, l'impossibilità di governare senza urgenti riforme. E la proposta, inusuale, di appellarsi direttamente al popolo: "Perché non pensare a un appello agli italiani da lanciare insieme per richiamarli alla realtà, ma anche per ricreare le condizioni della passione civile e di uno spirito unitario? Dall'una e dall'altra parte ci sono forze che saprebbero come affrontare quei problemi. Potrebbero farlo insieme, assumendosene congiuntamente la responsabilità". L'anticipo del dialogo Berlusconi-Veltroni. Un segnale al Pd che precede quello del Cavaliere sulla grande coalizione alla tedesca. Parole che qualcuno ha interpretato come un'autocandidatura di Letta alla guida di un governo di larghe intese. Di certo, il Dottore è attivissimo nel tenere i rapporti con Walter Veltroni. In prima fila alle manifestazioni organizzate da Goffredo Bettini, anche se Letta non ha bisogno di mediatori, il suo rapporto con il sindaco di Roma è antico e diretto, non conosce strappi. La stessa frequentazione che intrattiene con il presidente del Senato Franco Marini, abruzzese come lui, e con Lamberto Dini. Nelle settimane della tentata spallata al Senato è stato Letta a trattare con l'ex premier che era ben deciso a farsi desiderare da Berlusconi: telefonate burrascose o addirittura chiamate senza risposta. Dopo vent'anni al Fondo monetario internazionale Lambertow è un negoziatore senza paragoni. Sa quando bisogna alzare il prezzo e quando si chiude l'accordo. Il tempo è vicino: nei giorni che precedono il ritorno della Finanziaria in Senato Dini tenterà di mettere su il suo gruppo. Tre liberaldemocratici, la coppia Bordon-Manzione, l'argentino Luigi Pallaro, più un paio di senatori in arrivo dalla Margherita. Poi, quando la legge di bilancio tornerà a Palazzo Madama, potrebbe scattare la trappola per il governo Prodi: il ritiro dei voti di Dini e la crisi. Con la necessità di mettere in piedi un nuovo governo per fare la riforma elettorale. E per un ruolo di primo piano a palazzo Chigi c'è un unico nome da cui Berlusconi potrebbe sentirsi garantito: Gianni Letta. M. D.


SARDEGNA: DAI CONSIGLIERI ARRIVA NUOVA PROPOSTA DI LEGGE ELETTORALE (sezione: Riforma elettorale)

( da "Asca" del 23-11-2007)

 

(ASCA) - Cagliari, 23 nov - Ottanta consiglieri regionali eletti attraverso un collegio regionale e collegi provinciali nella proporzione 12 a 68 ; presidente eletto il capolista della coalizione che ha riportato la maggioranza assoluta; assegnazione dei seggi proporzionalmente ai voti ottenuti, ma con l'assegnazione di almeno 7 seggi del listino del collegio regionale alla lista che esprime il presidente; presenza paritaria nelle liste di uomini e donne. Questi i gangli della proposta di legge elettorale presentata questa mattina da alcuni consiglieri dei gruppi Misto (Peppino Balia e Pierangelo Masia) e di Sinistra Autonomista (Renato Cugini, Giuseppe Fadda, Paola Lanzi e Salvatore Serra). Una proposta di legge che sara' accompagna da una ulteriore proposta di legge costituzionale per fissare a 60 il numero massimo dei consiglieri regionali. ''Una proposta che volutamente non e' stata ancora depositata - ha detto Balia - perche', nata da un confronto di questo gruppo di consiglieri vuole essere aperta alla discussione ed al contributo di tutti i consiglieri''. Per questo una copia della bozza illustrata sara' inviata a ogni componente del Consiglio. ''Quella elettorale e' una riforma che non puo' riguardare solamente una parte -ha detto ancora Balia- ma serve la partecipazione di tutti''. Secondo Balia non e' un caso che consiglieri di varia provenienza abbiano assunto questa iniziativa che si rivolge a tutti. Siamo in ''zona Cesarini - ha aggiunto Balia - in quanto manca ormai solamente un anno e mezzo alla conclusione della legislatura''. Quanto alla proposta di legge costituzionale, oltre a fissare in 60 il numero dei componenti il Consiglio, si propone una modifica dello Statuto nel senso di lasciare a una legge regionale ordinaria la possibilita' di stabilire eventualmente elezioni non contestuali di Consiglio e Presidente della Regione. Come ha spiegato il professor Ballero, le due proposte non sono complementari, pertanto la legge elettorale non condiziona la proposta costituzionale. La necessita' che tutti i consiglieri prendano parte attiva a fare proposte e suggerimenti e' stata ribadita da Renato Cugini. Mentre Pierangelo Masia ha ricordato l'urgenza di andare subito dopo la finanziaria a una sessione dedicata alla modifica della legge elettorale. res-muz/cam/rob (Asca).


Prodi, Fini, cosa rossa: ecco chi teme l'asse Berlusconi-Veltroni (sezione: Riforma elettorale)

( da "Panorama.it" del 23-11-2007)

 

Italia - http://blog.panorama.it/italia - Prodi, Fini, cosa rossa: ecco chi teme l'asse Berlusconi-Veltroni Posted By Renzo Rosati On 23/11/2007 @ 12:57 In Apertura#1, NotiziaHome | No Comments Silvio Berlusconi è convinto che le intercettazioni sul [1] presunto cartello Rai-Mediaset siano state [2] messe in giro e montate ad arte per sabotare il nascituro Partito della Libertà, e soprattutto il dialogo privilegiato che ha deciso di instaurare con Walter Veltroni. Lo stesso sospetto, per la verità, serpeggia nello staff del sindaco di Roma, e gli indiziati sono soprattutto due: Romano Prodi e Carlo De Benedetti, l'editore di Repubblica. Evidentemente ciò che conta è il mandante (se mandante esiste) politico. E dunque Prodi. L'[3] asse Berlusconi-Veltroni, se mai si realizzerà, lo spiazza. Al tempo stesso l'idea di una riforma elettorale proporzionalista è avversata dai prodiani più fedeli al maggioritario, il metodo che tra l'altro ha consentito al Professore di arrivare per due volte alla guida del centrosinistra e soprattutto al governo. Il capofila degli arrabbiati è [4] Arturo Parisi, ministro della Difesa, grande sostenitore anche del referendum, da sempre diffidente su Veltroni. I referendari sono un altro fronte caldo: ma la consultazione popolare resta l'arma di riserva per Berlusconi e Veltroni se la trattativa sulla riforma elettorale fallisse. In fondo il referendum, trasferendo il premio di maggioranza dalle coalizioni ai partiti, realizzerebbe per altra via ciò che il Cavaliere e il segretario del Pd stanno faticosamente cercando di concordare sul terreno politico. Il più arrabbiato per il nuovo scenario è senza dubbio [5] Gianfranco Fini. Il leader di An è colpito doppiamente, come ex alleato della Cdl e come fautore del maggioritario. Con il "liberi tutti" rischia di perdere una fetta del partito, ma soprattutto teme che la base segua Berlusconi. Ecco perché non ne perdona una al Cavaliere, ricambiato. La [6] Lega al momento sta con Berlusconi, ma a condizione che chiuda l'accordo con Veltroni e eviti il refendum. Il modello elettorale che si prospetta, proporzionale con sbarramento, ma con micro collegi territoriali, garantirebbe al Carroccio la sopravvivenza e soprattutto un ruolo da protagonista. Stesso discorso per l'[7] Udc, con la differenza che i post-democristiani si stanno gettando a capofitto nella politica delle mani libere. La "Cosa bianca" vagheggiata da [8] Bruno Tabacci dovrebbe radunare una consistente pattuglia di moderati, dall'Udc appunto al nuovo [9] movimento di [10] Savino Pezzotta, all'apparato Cisl, ai seguaci di [11] Antonio Di Pietro e [12] Clemente Mastella. Ma soprattutto vorrebbe attrarre personalità come Luca di Montezemolo e Mario Monti, due vecchi pallini di Tabacci. Il presidente della Confindustria non smentisce, anzi ci scherza su ("Ho la labirintite, cadrò al centro" ha detto ieri), e per la verità da tempo fa capire di essere interessato alla politica. Ma come è sua abitudine vuole garanzie che il progetto sia davvero vincente, e soprattutto vuol sapere dove ha intenzione di andare la [13] Cosa bianca dopo le elezioni: alleata con Veltroni in una riedizione del centrosinistra? Con Berlusconi? Due cose Montezemolo non accetterebbe mai: finire all'opposizione o in un ruolo marginale (c'è il lontano precedente dell'elezione al Senato di Umberto Agnelli nella Dc di Giulio Andreotti, con il fratello dell'Avvocato che alla fine si dimise per la delusione); oppure trovarsi in una alleanza con l'estrema sinistra o l'estrema destra. Insomma, l'operazione è suggestiva ma difficile. Gli stessi problemi agitano la sinistra. Un accordo sul proporzionale andrebbe benissimo a Fausto Bertinotti: [14] Rifondazione diverrebbe il punto di riferimento della "[15] Cosa Rossa". Ma i partitini come Pdci e [16] Verdi non hanno alcuna intenzione di venire fagocitati da Rifondazione. Stesso discorso per la Sinistra democratica di Fabio Mussi e Cesare Salvi: hanno rotto con i Ds e poi con il Pd accusandoli di manie egemoniche, e ora dovrebbero mettersi al servizio di Bertinotti? Non se ne parla. Molti problemi li hanno i socialisti, i radicali, le altre forze intermedie dell'Unione. Tranne i radicali, che sono abituati a muoversi da soli, i socialisti si trovano per esempio privi di un tetto. Dovrebbero confluire anche loro nel Pd, dove si erano rifiutati di andare. Oppure dovrebbero chiedere aiuto a Prodi, contro le loro convinzioni. Ecco perché l'operazione Berlusconi-Veltroni non sarà una passeggiata. Anche se i due hanno appunto un'arma di riserva, il [17] referendum.


Veltroni: non si parla di grande coalizioneLa riforma elettorale (sezione: Riforma elettorale)

( da "Sicilia, La" del 23-11-2007)

 

Il sindaco di Roma: "Non c'è data di scadenza per Prodi". Sistema tedesco corretto, sinistra contro ANDREA GAGLIARDUCCI Roma. Il 2008 non sarà l'anno delle elezioni. Sarà invece l'anno delle riforme: costituzionale, elettorale e parlamentare. Mentre l'impegno del governo deve essere quello di tagliare le tasse a tutti i cittadini. Ora che il suo appello al dialogo è stato accolto praticamente da tutte le forze politiche in campo, Walter Veltroni guarda con fiducia alla stagione delle riforme. E, aggiunge, "per il governo non c'è nessuna data di scadenza". Così, dopo il rilancio di Berlusconi, che dice sì alla grande coalizione degli eventuali due partiti più forti che escono da un'elezione con sistema proporzionale e invoca le urne, il segretario del Pd mette in chiaro alcuni punti. Primo: "Non tratterò con Berlusconi nessuna legge elettorale che preveda una data di scadenza del governo Prodi. Non lo farò mai. Il governo deve poter lavorare sino al 2011". Secondo: "Non c'è nessuna grande coalizione, non si sta discutendo di questo". Anche perché, aggiungerà poi, "il mio obiettivo non è mettere pace nella Cdl". E consiglia poi al governo di cambiare linea sul tema delle tasse, perché il rischio di sconfitta elettorale sulle tasse, infatti, "succede perché non affermiamo il principio giusto - dice - pagare di meno e pagare tutti. Ci sono troppe tasse. Non è di destra dirlo. Lo stesso vale al governo". Veltroni punta sul completamento delle riforme, da fare in dialogo con l'opposizione. "Se non precipitiamo - dice il leader del Pd - nelle elezioni anticipate nella prima metà del 2008, siamo nella felice condizione di varare insieme le tre riforme che ci siamo già detti. Se Berlusconi non ci vuole stare, deve spiegarlo al Parlamento e al Paese". Né Veltroni punterebbe al referendum. "A me - dice - conviene lo scenario delle tre riforme. Serve per avere un vincitore certo e dopo per governare. Oggi il sistema scricchiola in modo spaventoso. Cercare soluzioni semplificate aumenta la crisi e avvicina il collasso". Per quanto riguarda il sistema di voto, Veltroni spiega che "il sistema tedesco va bene, ma nella sua ispirazione di fondo. Bisogna introdurre dei correttivi, che rafforzino in Parlamento i partiti più rappresentativi. In Germania quel sistema funziona perché i due partiti maggiori hanno già il 35 per cento di voti ciascuno". La proposta di Veltroni non piace alla sinistra, che teme di perdere rappresentatività a favore del Pd. "Dopo le leggi ad personam, ora le leggi ad partitum: è positiva l'apertura di Veltroni sul sistema tedesco, ma appare invece singolare e non condivisibile la sua idea di 'correttivi' a questo sistema per rafforzare i partiti maggiori", commenta Cesare Salvi (Sd). Berlusconi invece parla di bipartitismo. "Ha del fantastico il Berlusconi-pensiero - commenta Russo Spena - sul futuro assetto della politica in Italia: due partiti omogenei e in competizione tra loro, come due aziende che smerciano lo stesso prodotto, e alla fine vinca il migliore". L'importante è comunque riuscire a fare una riforma il più possibile condivisa. "Osservo - dichiara il presidente del Senato Marini - che c'è una disponibilità da parte dei partiti di avviare le riforme. Attenzione, non bisogna dire grazie a nessuno. Le riforme sono necessarie".


"Walter deve capire che il Pd non è roba sua" (sezione: Riforma elettorale)

( da "Stampa, La" del 24-11-2007)

 

REGOLE Intervista Beppe Fioroni VECCHIA GUARDIA An in piazza a Milano "Walter deve capire che il Pd non è roba sua" "Un partito deve definire come assicurare la partecipazione" AMEDEO LA MATTINA "Attenzione, Wilde diceva: "Nulla è più pericoloso che essere troppo moderni"" "No alla sinistra" Ma Fini non ci sarà ROMA "La partecipazione non è un'operazione di facciata che si esaurisce ogni quattro anni ai gazebo. Chi si oppone alla democrazia di un partito è come se si sentisse orfano dei colpi di Stato". Non cita mai Veltroni, non lo accusa direttamente di cesarismo emulativo di Berlusconi, di voler gestire in maniera solitaria il Pd. Giuseppe Fioroni se la prende con coloro che sono "più realisti del re", che l'hanno accusato di non essere moderno, di volere il congresso per far pesare le tessere delle correnti e legare le mani al leader. Ma il suo messaggio è diretto a Veltroni che vuole governare il Pd senza le liturgie del passato. La scintilla che ha fatto esplodere la prima vera polemica dentro il Pd è l'ordine del giorno sulle regole interne presentato alla commissione statuto da esponenti che fanno capo a Fassino, Bersani, D'Alema, Marini e Letta. "Moderni sì, ma attenzione al monito di Oscar Wilde: "Nulla è pericoloso quanto essere troppo moderno. Si rischia di diventare improvvisamente fuori moda". E aggiungo io: pure senza accorsene". E' finita la luna di miele con Veltroni? Teme il nuovo modo di esercitare la leadership del Pd? "Non c'è nulla di più nuovo e di più moderno della democrazia, quella partecipata che è cosa ben diversa da quella proclamata di Berlusconi. Un partito nuovo deve garantire regole con le quali definire la partecipazione dei cittadini. Deve essere chiaro dove, come, quando e cosa è chiamato a decidere il cittadino. Questo deve essere scritto nello Statuto. Il Pd non è di Veltroni: è nostro, di tutti noi. Il tourbillon che è successo sull'ordine del giorno è una tempesta in un bicchiere d'acqua, perché le cose proposte non possiamo che condividerle tutti". Ce l'ha pure con il vicesegretario Franceschini? "Franceschini condivide completamente le regole di democrazia partecipata, ma sono convinto che anche Veltroni le condivida. Ricordo che la democrazia proclamata l'abbiamo sempre contestata al centrodestra da anni: è quella che autorizza il cittadino a fare lo struzzo e delegare all'Uomo della Provvidenza la soluzione dei problemi". Per Veltroni non è il momento di parlare di congresso. Lei lo vuole nel 2008? "La convocazione e la data del congresso è un'altra questione che viene dopo. Prima, ripeto, bisogna stabilire chi, cosa, come e quando un cittadino viene chiamato a decidere. Se poi non ci piace dire che il cittadino viene chiamato dal congresso, possiamo inventarci un'altra terminologia, chiamiamolo mago Zurlì: allora io voglio sapere che alla festa di mago Zurlì si convocano i cittadini. Quali? Quelli con gli occhi azzurri, con i capelli biondi, quelli che hanno il bollino blu o grigio? Le domande sono sempre le stesse". Dica la verità: gli ex capi della Margherita e dei Ds si sentono messi fuori gioco da Veltroni? "Mettiamola così: io amo la democrazia, la possibilità di contribuire a decidere la linea politica del mio partito. Credo nella democrazia e nella collegialità senza nulla togliere all'autorevolezza del leader. Se una cosa ovvia e banale nella vita di un partito, cioè le regole della democrazia partecipata, viene considerata una spallata o un attentato, vuol dire che siamo messi male". Avete voluto le primarie e ora Veltroni risponde solo a quei milioni di cittadini che l'hanno votato. "Le primarie sono uno strumento importante, fondamentale per il partito nuovo. Proprio per questo non vanno banalizzate e allora vanno regolamentate proprio per impedire che da portentoso mezzo dei cittadini possano diventare il cavallo di Troia con cui le lobby subordinano la politica ai propri interessi. Un partito nuovo deve essere aperto 365 giorni all'anno, avere spazi virtuali e reali nel quale il cittadino parla, incontra si confronta, mette a disposizione impegno e risorse. Può un partito nuovo avere paura della partecipazione, della militanza, della gratuità dei volontari? Il Pd è il partito di un leader autorevole perché scelto da milioni di cittadini ma il leader deve creare consenso e collegialità". Che idea si è fatto sulla riforma elettorale? Come si sta muovendo Veltroni? "La legge elettorale è una delle vere emergenze del Paese. Serve a restituire ai cittadini il diritto di decidere chi deve essere eletto. Gli eletti non può sceglierli il capo partito. Per questo il referendum non solo non aiuta ma peggiora perché il cittadino non sceglie nè chi vuole eleggere nè il partito". Qual è il suo modello elettorale? "Basta modelli perché parafrasando un vecchio adagio sanitario va a finire che un modello al giorno toglie le riforme di torno e si finisce al referendum".. Alleanza Nazionale oggi scende in piazza San Babila a Milano (ma Fini non ci sarà). "Bipolarismo, mai con la sinistra, niente inciuci o ritorno al passato" sono i 4 punti con cui Ignazio La Russa (foto) ha sintetizzato il succo della manifestazione. "Ad esempio sulla legge elettorale - ha detto - An è pronta a discutere anche del proporzionale con sbarramento, ma con la possibilità per chi vota di scegliere candidato premier, coalizione e programma".


Diplomatique conversazione con l'ambasciatore tedesco in italia michael steiner (sezione: Riforma elettorale)

( da "Riformista, Il" del 24-11-2007)

Argomenti: Esempi esteri

Diplomatique conversazione con l'ambasciatore tedesco in italia michael steiner Da Roma a Berlino, il pacifismo ci fa bene "Ho visto che qui si parla molto di sistema tedesco. Ma a noi non interessa: sistema tedesco, francese o spagnolo, sono questioni interne. Per noi l'importante è che l'Italia abbia un sistema elettorale solido, che permetta una maggiore governabilità". A Berlino se ne sente il bisogno, l'Italia è tradizionalmente uno degli alleati più stretti che la Germania ha in Europa. Lo spiega Michael Steiner, ambasciatore tedesco a Roma, in una conversazione con il Riformista : la convergenza tra Roma e Berlino è "quasi totale" su tutti i dossier internazionali e diventa cruciale in un momento in cui si devono affrontare alcune questioni particolarmente spinose, per esempio Iran e Afghanistan. Da qualche tempo a questa parte l'Alleanza atlantica si trova in difficoltà a Kabul, inglesi e americani chiedono un maggiore impegno da parte degli altri paesi (Italia, Spagna e, appunto, Germania) e a ridosso della visita di Angela Merkel in Texas circolava la voce che Berlino volesse andare incontro agli Usa. "Non credo che ci sia qualcuno che davvero voglia ampliare l'impegno militare in modo sensibile", spiega invece l'ambasciatore. È una questione culturale, che accomuna Roma e Berlino, dice Steiner: "Dopo la Seconda guerra mondiale i paesi europei hanno avuto storie diverse. Dopo la guerra, in Germania e in Italia si è sviluppata una cultura che rende molto difficile convincere l'opinione pubblica della necessità di un intervento militare. Recentemente c'è stato un voto molto difficile al Bundestag: non è stato facile convincere i parlamentari della necessità di continuare il nostro impegno militare in Afghanistan". Ne sappiamo qualcosa anche noi in Italia. "Italiani e tedeschi", commenta Steiner, "hanno una mentalità comune, assai cauta sull'utilizzo della forza. Personalmente, credo che questo sia un fatto molto positivo per entrambi". Eppure, obiettiamo noi, si dice che la Nato sta rischiando il collasso sull'Afghanistan, proprio perché alcuni paesi come Stati Uniti e Gran Bretagna vorrebbero un impegno maggiore sul campo dagli alleati più cauti. "Ma l'Afghanistan non è un problema della Nato, è un problema della comunità internazionale", ribatte l'ambasciatore. "E come tale va affrontato. Servono progressi politici, e un maggiore impegno in questo senso, da solo le operazioni militari non servono a molto, l'obiettivo è il rafforzamento delle strutture e degli apparati di sicurezza afgani, creare i prerequisiti economici per una società in grado di funzionare". Poi, bisogna essere realisti: "Davanti a una missione così difficile, bisogna avere un po' di umiltà e prefiggersi degli obiettivi modesti" Parlando di atomica iraniana: "Italiani e tedeschi sono entrambi molto preoccupati dal dossier iraniano. E' evidente che a questo punto bisogna fare qualcosa, anche se può essere sgradevole". Quindi sanzioni più dure? Qui l'ambasciatore è prudente, ma lascia intendere che la sicurezza internazionale ha un prezzo, anche e soprattutto in termini economici, e che Roma e Berlino sono pronte a pagarlo: "Per fermare le ambizioni atomiche di Teheran servono al più presto misure quanto più efficaci possibili, anche se sarebbe più comodo fare altrimenti dobbiamo affrontare la questione in modo diretto. Il modo migliore per farlo è lavorare insieme, in sedi comuni come le Nazioni Unite e il Consiglio di sicurezza". C'è qualcosa da aspettarsi, domandiamo, dal vertice della prossima settimana? Dopo un lungo tira e molla, l'Alto rappresentante per la politica Estera Javier Solana incontra finalmente il mediatore iraniano Said Salili il 30 novembre. La Kanzlerin Angela Merkel ha discusso del dossier Iran con il presidente Bush, la Germania vuole proporre di aggiungere sanzioni europee a quelle dell'Onu? "Come le dicevo, è importante lavorare tutti insieme al Palazzo di Vetro", risponde Steiner, "Però l'Italia e la Germania sono molto unite nel volere rafforzare la politica estera comune della Ue. Noi vediamo molto di buon occhio l'idea di avere un ministro degli Esteri europeo". 24/11/2007.


Berlusconi la sirena e gli ingenui del Pd (sezione: Riforma elettorale)

( da "Manifesto, Il" del 24-11-2007)

 

Intervista Rodotà: il cavaliere come al solito coglie l'attimo e cerca aiuto Veltroni stia attento e ricordi la bicamerale, alla fine può farlo vincere Berlusconi la sirena e gli ingenui del Pd Il bipolarismo ha fallito, è tempo di rinsavire. Bene il sistema tedesco, il pericolo è il referendum Gabriele Polo L'ultimo Silvio Berlusconi? "Sa cogliere l'attimo, come sempre, e come sempre fa quando si trova in difficoltà, intuisce da dove può venirgli la salvezza. L'aiuto non lo cerca dalle sue parti ma, con apparente paradosso, nel campo avversario. Le risorse alle quali può attingere sono quelle della mitizzata società civile, ora ribattezzata senza esitazioni 'popolo'. Nella sostanza, invece, sono le risorse che possono essere fornite dallo stesso sistema politico". Stefano Rodotà sintetizza così lo spirito berlusconiano che sta alla base dell'ultima sortita del cavaliere, che non sottovaluta affatto. E non sa se è più giusto essere preoccupati o indignati. Professore, si sta riproponendo il copione della bicamerale? Non negli stessi termini, ma la memoria di quel tempo può aiutare a comprendere meglio, e a valutare in modo meno approssimativo, la mossa 'rivoluzionaria' di questi giorni. Undici anni fa, Berlusconi usciva sconfitto dalle elezioni, la sua leadership era pubblicamente messa in discussione, Gianfranco Fini si presentava come una possibile alternativa. Ma la costituzione di una Commissione bicamerale per le riforme istituzionali gli offrì un approdo sicuro, nel quale fulmineamente si rifugiò, negoziandone le condizioni di funzionamento, anzi imponendo egli stesso l'agenda dei lavori. Già questo gli ridiede una posizione di primo piano, la rappresentanza dell'opposizione. Stette al gioco fino a quando lo ritenne conveniente, poi fece saltare il tavolo, avendo in qualche modo logorato l'avversario, e riorganizzato le proprie truppe in modo tale da consentir loro di vincere la successiva prova elettorale. Ma il partito del popolo delle libertà non è una risposta in qualche modo obbligata dall'operazione partito democratico, che stava imponendosi mediaticamente? Oggi Berlusconi utilizza la risorsa dei gazebo e del partito nuovo, alla quale il centrosinistra ha affidato le sue speranze di futuro. Ma non si limita a riprodurre specularmene quel che ha fatto il partito democratico. Una volta libere le mani dagli impacci procurati dai suoi alleati, e liquidata così ogni concorrenza per la guida del centrodestra, la prima mossa politica di Berlusconi è proprio verso l'altra parte, alla quale propone un patto limitato, ma assai impegnativo, che riguarda la legge elettorale e le successive elezioni anticipate. Ha indicato un cammino e si è scelto i compagni di strada. Quindi la situazione è persino più pericolosa rispetto al '96? Certo sarebbe sbagliato trascurare i diversi, possibili esiti di questo processo, visto che alla chiamata di Berlusconi il partito democratico sembra pronto a rispondere. Questo perché c'è convergenza di interessi tra Veltroni e Berlusconi? Anche altre congetture potrebbero essere suggerite dallo sguardo lungo o dal malpensare. Come per esempio quella di un disegno berlusconiano di trascinare il partito democratico e il suo segretario in una trattativa logorante, per rimanere poi l'unico beneficiario di un suo eventuale, o pianificato, insuccesso. Ma la questione vera sta nel capire quali siano gli strumenti adatti per analizzare questa situazione nuova, per comprenderla meglio, e non solo per evitare al partito democratico di divenire vittima, questa volta consapevole, di un processo politico che non riuscirebbe a governare. In effetti non è semplicissimo per chi ha predicato la religione del bipolarismo argomentare ora la svolta proporzionale. Proprio muovendo da un'analisi della situazione, bisogna riconoscere che Berlusconi ha colto, e reso clamoroso, un dato di realtà sistematicamente ignorato e occultato in questi anni. Il Re bipolarismo è ormai nudo. E questo deriva dall'atteggiamento acritico dei suoi sostenitori che, così facendo, non si sono accorti di minarne la credibilità. Mai, finora, era stato fatto quello che intelligenza politica e onestà intellettuale avrebbero richiesto, vale a dire una analisi dei costi e dei benefici del bipolarismo all'italiana. Divenuto un bene in sé, da salvaguardare ad ogni costo, il totem del bipolarismo ha accecato i suoi stessi paladini, che non hanno voluto vedere che i suoi frutti erano pure la crescita esponenziale della frammentazione partitica, l'esasperarsi della conflittualità, la paralisi parlamentare, l'anomalia di coalizioni obbligate con l'aumento del potere di ricatto di ogni pur minimo gruppo (per non dire di persone). Dunque ben venga la fine del premio di maggioranza e la riscoperta del proporzionale? E' tempo di rinsavire. Bisogna abbandonare ogni impostazione strumentale o ideologica, e cogliere l'occasione di possibili riforme per avviare una buona manutenzione del sistema istituzionale. Se si avrà questa consapevolezza, aumenteranno forse le probabilità di disinnescare le trappole che non mancheranno lungo la via delle riforme. Ma vi è una insidia nella dichiarazione d'amore berlusconiana per il bipartitismo. Proprio perché la trattativa, o il dialogo, sulla legge elettorale sono stati subordinati alla condizione dell'immediato scioglimento delle camere una volta approvata la riforma, sembra improbabile che il partito democratico possa accettarla. E allora, se la riforma elettorale sarà legata unicamente al rapporto privilegiato tra partito democratico e Berlusconi-bis, diverrà inevitabile il referendum, dal quale verrebbe un sistema elettorale che, già pessimo in sé, lo sarebbe ancora di più alla luce della nuova situazione che si sta creando. Dunque può succedere che da sotto il tavolo delle riforme alla fine spunti la soluzione peggiore, cioè il referendum? Vedo questo rischio, il sistema risultante dalla vittoria del referendum farebbe diventare il partito di maggioranza relativa il partito pigliatutto, maggioritario in parlamento quale che sia la sua percentuale di voti. Tornerà così il bisogno di coalizioni, che per il centrosinistra diverranno ancor più necessarie poiché non si tratterà soltanto di evitare la vittoria di un partito che, in tutta l'esperienza di governo berlusconiana, ha dato in ogni materia pessima prova. Bisognerà soprattutto bloccare la spinta populista che Berlusconi, annunciando il nuovo partito, ha esplicitamente mostrato di voler rafforzare, con rischi evidenti per il sistema democratico. A questo punto, se la coalizione di centrosinistra sarà necessariamente estesa verso una composizione simile a quella dell'attuale Unione, è facile immaginare quali argomenti polemici userà Berlusconi. Al momento sembra difficile che Veltroni possa accettare un esito del genere. Una buona ragione in più per proseguire la strada della riforma elettorale nella direzione di una buona trasposizione del modello tedesco, che io sostengo da tempi non sospetti, e senza legarsi con troppi nodi a Berlusconi. Ma non credo che questo obiettivo possa essere perseguito dal partito democratico in splendida solitudine, immagino piuttosto che esiga una condivisione di linea con quelli che sono oggi i suoi alleati di governo.


RIFORME, IL DIRE E IL FARE (sezione: Riforma elettorale)

( da "Stampa, La" del 25-11-2007)

 

Enzo Bettiza RIFORME, IL DIRE E IL FARE Che il presidente Nicolas Sarkozy avrebbe vinto la sua battaglia d'autunno lo si sapeva fin dall'inizio. Quello che meno si prevedeva era il metodo adoperato per convincere i sindacalisti alla trattativa; ancor meno si calcolava l'ampiezza del consenso che ne ha sostenuto sia il metodo di negoziato sia la fermezza del polso. Il metodo è stato morbido nella forma e determinato nella sostanza. Lo scontro ora si prolunga con una minoranza studentesca, che ha alle spalle la leggenda del Maggio e ha dovuto subire, nell'indifferenza dei più, la serrata della Sorbona per decisione del rettore. Ma il braccio di ferro più difficile è stato quello col sindacato dei trasporti che si è, comunque, risolto senza una resa umiliante dei conduttori di métro. Sarkozy si è tenuto in disparte, lasciando al ministro del Lavoro, Xavier Bertrand, il compito di trattare con l'ex ferroviere Bernard Thibault, segretario della potente Cgt d'ispirazione comunista. Thibault, rendendosi conto dei limiti, molto ridotti, del consenso a favore degli scioperanti, ha accettato di negoziare uno degli elementi base del riformismo sarkoziano: l'abrogazione dei "regimi speciali", che concedono il pensionamento pieno all'età di 55 e perfino 50 anni. Veniamo qui, dopo il metodo, alla seconda eccezionale novità. Ovvero: la calma della maggioranza non scioperante della nazione, la quiete della banlieue di colore, un certo vuoto inconsueto delle piazze aduse alle esplosioni barricadiere, la neutralità dei socialisti ostili alla paralisi, il silenzio quasi assordante degli intellettuali usualmente giacobinizzanti e malcontenti. Si pensi al mito, direi alla mistica, di cui la barricata e la grancassa degli "intellos" godono in Francia dal 1789, che poi rivive nel 1848, riemerge nel 1936 col Fronte Popolare, riesplode nel 1968 per le strade di Parigi con Sartre malato che incita dal megafono gli adolescenti ribelli. Si pensi al timor sacro che l'insurrezione di popolo infondeva non solo nel tardo gollista Chirac, ma nello stesso De Gaulle, che dopo il caos sessantottino venne elettoralmente sconfitto e se ne andò. Il tiepido autunno 2007 non ha invece scalfito Sarkozy. Si è potuta anzi notare, palpare fisicamente, una certa implicita approvazione collettiva delle riforme proposte, per arginare la senilità assistita della Francia, dal "liberale colbertista" che regna dall'Eliseo: uno che crede nell'intervento moderatore dello Stato, che diffida del liberismo integrale, che però propone una sequela di terapie scomode. Riforma delle pensioni, riduzione dei privilegi corporativi, autonomia finanziaria delle università, servizio minimo garantito nel pubblico impiego, contratto unico di lavoro a cominciare dall'anno prossimo. Vale la pena commisurare l'evento, e colui che ha saputo cavalcarlo, sui giudizi della stampa di lingua inglese. Scrive maliziosamente il Wall Street Journal: "Vedremo, dai prossimi passi, se Sarkozy è più somigliante a Ronald Reagan o più simile a Jacques Chirac". Non da meno è l'Economist: "Sarkozy's Thatcher moment". Si evocano due conservatori storici, l'inquilino della Casa Bianca che negli Anni Ottanta interruppe lo sciopero degli aerotrasporti, la "dama di ferro" che nel 1984 osò affrontare e domare la quasi rivolta dell'intoccabile sindacato dei minatori. L'insegnamento che Sarkozy sembra aver tratto, da quelle esperienze così radicali di due grandi Paesi democratici, è che solo dopo lo scontro, consumato fino in fondo, Reagan e la Thatcher furono in grado di portare a casa riforme altrettanto radicali. L'Economist insinua al tempo stesso che Sarkozy, pur deciso a perseguire con coerenza il suo disegno, resta tuttavia un riformatore francese, un europeo pragmatico, più disponibile alla flessibilità di un rigido protestante anglosassone. Le sue carte vincenti sarebbero, insomma, la fermezza temperata dal dialogo coi sindacati e dalla mano tesa agli intellettuali e ai tecnici di sinistra. Si potrebbe dire che la riforma, non più la rivoluzione, è lo spettro che oggi s'aggira per l'Europa. Ed è una Francia meno giacobina, comunque più blairiana che thatcheriana, che stavolta si pone all'avanguardia del riformismo continentale. L'esecutivo francese, in queste giornate d'urto, ha ottenuto l'armistizio senza abbandonare la trincea; non ci sono state smagliature nella strategia; la compagine governativa, socialisti compresi, è rimasta unita sulle posizioni di partenza. Lo spettacolo che al confronto offre l'Italia è ben più deludente. Basterà osservare quel che sta succedendo all'iter parlamentare del fantomatico protocollo sul Welfare, votato da cinque milioni di lavoratori nel referendum sindacale, chiave di volta del supposto o sedicente riformismo all'italiana. Un autentico tripudio della commedia dell'arte, della sceneggiata allusiva, della mossa dell'emendamento che promette ma non mantiene. Il testo del protocollo, fino a ieri, c'era e non c'era. Prodi ha sospirato che bisognerà trovare una "sintesi" per renderlo più "commestibile" al voto, magari con la fiducia, atteso per martedì. Confindustria parla di "tradimento della concertazione", dopo le modifiche apportate al testo dalla commissione lavoro, mentre Dini minaccia voto contrario e Diliberto, mai contento, protesta, ricordando a Prodi che i massimalisti dispongono di cento parlamentari pronti a tutto. Non vado oltre per carità di chi legge. Frattanto le coalizioni cambiano nome. Da una parte mutano e non si coagulano, dall'altra vanno in frantumi dividendosi tra berlusconiani antemarcia e antiberlusconiani dell'ultima ora. Dal bipolarismo falso torniamo così a un bipartitismo peggiore di quello imperfetto, sostenuto da una proporzionale che taluni vorrebbero "tedesca", altri "spagnola", altri ancora "pura" senza aggettivi. Guai ad accennare al presidenzialismo, trionfante a Parigi, dove esso ha premiato non solo conservatori atipici ma anche leader socialisti come Mitterrand. La verità è che senza una fondamentale riforma elettorale, appoggiata da un ritocco costituzionale, l'Italia, anziché riformata, andrà alle elezioni più deformata che mai. Qui, prima del contratto sociale fra italiani, bisognerebbe riformare anzitutto le malformazioni istituzionali lasciateci in misura sopportabile dalla prima repubblica e inflitte ormai in quantità insopportabile dalla seconda. Il rischio che corre l'elettore italiano è di recarsi alle urne secondo regole non "tedesche", non "spagnole", tanto meno "francesi". Ma balcaniche senza virgolette.


La maggioranza deve essere ampia, ma cercare l'unanimità è sbagliato (sezione: Riforma elettorale)

( da "Stampa, La" del 25-11-2007)

Argomenti: Esempi esteri

LE RIFORME IL SISTEMA RADIO-TV Intervista I rischi al Senato "La maggioranza deve essere ampia, ma cercare l'unanimità è sbagliato" "L'azione del governo non c'entra nulla col dibattito sulle regole" "E nel Pd primarie anche per i segretari locali" ANTONELLA RAMPINO ROMA Ma quale partito personale di Veltroni... Fioroni sa benissimo che nella fase costituente di una nuova forza politica ci vuole collegialità, ma anche un leader forte". Ogni giorno ha la sua pena, e per Dario Franceschini, vicesegretario del Partito democratico, essa viene dalla lettura dei giornali. E dal dichiarazionometro della politica, che ieri aveva l'Afghanistan al centro. "Non è solo un fatto di buon gusto, ma davvero credo che non sia il momento di ripensare l'efficacia della missione, come vorrebbe la sinistra. L'Afghanistan non è come l'Iraq, dal quale ci siamo ritirati poiché era stata una scelta unilaterale: a Kabul ci siamo in un quadro multilaterale, e sotto l'egida dell'Onu". Si è riaperto il fronte a sinistra anche sul Welfare... "Registro l'eccesso di differenziazione. Ma alla fine il voto comune in Parlamento c'è sempre stato, sulla politica estera come su quella economica. E credo sarà così anche in futuro". Governo saldo? "La fragilità numerica in Senato mette sempre a rischio, ma il problema non è la tenuta sulle grandi scelte, è che vi si arriva attraverso uno spettacolo non edificante di ultimatum e minacce. Il male del centrosinistra si chiama frammentazione, non sinistra radicale". Infatti puntate a un nuovo sistema elettorale con sbarramento consistente. "I partiti piccoli si vedono a rischio, ma sanno che così non si può andare avanti. Dobbiamo puntare a un paese con quattro, cinque partiti che in uno schema bipolare si confrontano per il governo". D'Alema dice di veder bene una forza intermedia, cattolica e moderata, tra Forza Italia e il Pd. E' un tentativo di seduzione verso Casini e la nascente Cosa Bianca di Tabacci e Castagnetti, visto che Berlusconi potrebbe non voler trattarare sulla legge elettorale, poiché avete deciso di andare avanti sulla riforma del sistema radiotelevisivo? "Le parole di D'Alema mi hanno lasciato perplesso. Il Pd è il superamento della distinzione tra un partito socialdemocratico e un partito alleato di ispirazione cattolica, proprio perché ha assorbito queste due tradizioni. E' sbagliato pensare di riproporre questo schema. E poi la tradizione cattolicodemocratica in Italia c'è, e sta, anche molto robusta, nel Pd. Se poi volesse intendere che Casini è indispensabile per la legge elettorale, certo che lo è. Ma come lo sono An e Forza Italia. Vede, quando si tratta di regole che riguardano tutti, l'intesa deve assere ampia. Viceversa, cercare l'unanimità significherebbe riconoscere a chiunque potere di veto". Quindi avanti da gennaio con la Gentiloni, e pazienza per il dialogo con Berlusconi, se ci stanno Casini e Fini? "Noi lavoriamo per un'intesa larghissima, anche col partito più grande dell'opposizione. Ma in un paese normale cercare consenso sulle regole istituzionali non c'entra nulla con l'azione riformatrice del governo". Infatti Confalonieri consiglia al Cavaliere di recuperare Fini, proprio in vista del voto sulla Gentiloni... "Senta, non credo che Berlusconi possa condizionare il dialogo sulle istituzioni con il voto sul sistema televisivo, perché questo sarebbe come gridare all'Italia che esiste il conflitto d'interessi. Il dialogo è col presidente di Forza Italia o del Partito del Popolo, non col proprietario di Mediaset. E non penso che Berlusconi possa sottrarsi. Perché conviene anche a lui il rafforzamento dei poteri del premier, il cambiamento dei regolamenti parlamentari, la nuova legge per le politiche...Dovrebbe interessare anche a lui un sistema istituzionale che sia competitivo con quelli degli altri paesi". E per fare tutto questo basterà un anno, il 2008? "Subito dopo la Finanziaria si potrà avviare il percorso delle riforme istituzionali, che certo è piuttosto lungo. Ma a gennaio ci sarà il pronunciamento della Corte Costituzionale sul referendum, che potrebbe tenersi in primavera. Dunque dovremo essere pronti, per prevenire il referendum e fare la legge elettorale avremo un mese, un mese e mezzo al massimo". E nel frattempo dovrete costruire il P d. I leader chiedono a gran voce un congresso, e regole democratiche. "Manca un luogo di decisione collegiale", secondo Rosi Bindi. "Non c'è alternativa tra interessi del governo e del Pd. La fase costituente si è aperta, non chiusa, con la riunione dell'Assemblea il 27 ottobre. Ci sono cento persone che stanno discutendo lo statuto, e in febbraio quel testo verrà votato punto per punto da 2.800 persone elette dal popolo: non esiste un meccanismo più democratico e meno solitario di questo, mi pare. In quell'occasione si deciderà se ci sarà un tradizionale congresso, o se attiveremo nuovamente le primarie". Primarie anche per scegliere i gruppi dirigenti? "Vedremo, c'è la commissione statuto al lavoro. Ma tra dicembre e gennaio richiameremo al voto tutti i cittadini delle primarie per eleggere gli organi territoriali, a cominciare dai comuni. Il Partito democratico è di tutti. Ma ci hanno chiesto di fondarlo proprio per reagire ai vecchi mali, no? Un partito nato con le primarie non può tornare, facendo finta di niente, ai meccanismi tradizionali dei partiti del Novecento".


<Le riforme si fanno in Parlamento> (sezione: Riforma elettorale)

( da "Corriere della Sera" del 25-11-2007)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2007-11-25 num: - pag: 8 categoria: REDAZIONALE Da Praga Bertinotti fissa i paletti del dialogo sulle nuove regole "Le riforme si fanno in Parlamento" DAL NOSTRO INVIATO PRAGA - No, l'accordo, o l'inciucio, tra Veltroni e Berlusconi sulla legge elettorale non si farà. E neanche si arriverà al referendum. Dunque, sarà varato un nuovo sistema di voto in Parlamento, col concorso di tutte le forze politiche. Le principali caratteristiche dovranno essere due: nessun premio di maggioranza, sbarramento esplicito per chi raccolga meno del 5 per cento. Fausto Bertinotti approda alla periferia di Praga, al secondo congresso della Sinistra europea e, in privato, delinea idee chiare sui prossimi passaggi della politica italiana. Per cominciare: "L'asse Veltroni-Berlusconi non si può fare perché c'è qualcosa di cui loro non possono disporre, un soggetto terzo, il governo Prodi... L'unica strada per la riforma è quella parlamentare". E qui l'assunto pare più un avvertimento rivolto a Veltroni: al tavolo della trattativa dobbiamo sedere tutti, grandi partiti e meno grandi. "Veltroni e Berlusconi potrebbero fare la riforma elettorale contro ciascuna delle altre forze politiche, ma non possono farla contro tutte le altre forze politiche assieme ". Per evitare il referendum sulla legge elettorale l'accordo in Parlamento andrebbe trovato entro la metà di gennaio e, secondo Bertinotti, sono Veltroni e Berlusconi i più interessati a far saltare il referendum: "Il referendum premia il partito più forte. Quindi, a sinistra dovrebbe essere riesumata l'Unione: un listone con Rifondazione e Marco Rizzo e Ferrando, e "todos caballeros". Veltroni si presenterebbe alla prima consultazione dopo la nascita del Partito democratico senza il simbolo del Pd. Improponibile! A destra, stesso discorso: Berlusconi dovrebbe rinunciare al suo "Partito della gente" e fare una lista con Fini, Casini, Storace...". Ma Veltroni non potrebbe presentare il Pd da solo, sperando di vincere, se anche Berlusconi dovesse tentare lo stesso azzardo? "Nessuno dei leader del Pd credo glielo permetterebbe e lo stesso Veltroni non vuole perdere...". Dal palco, Bertinotti dà l'addio alla presidenza della Sinistra europea. Spiega l'importanza di trovarsi a Praga, dove "quasi 40 anni fa la sconfitta della Primavera annunciò il crollo dei regimi del-l'Est ". Dopo quel crollo, "c'è stata una rivoluzione capitalistica restauratrice, la globalizzazione". Bertinotti fa autocritica: "Non siamo stati capaci di produrre un vero movimento di lotta europeo. Il rischio è che la sinistra venga cancellata dall'Europa futura e la politica rischia di ridursi ad alternanza tra due schieramenti ". Allora? "C'è bisogno di un soggetto politico di sinistra che offra una prospettiva di società diversa, di Europa diversa. Un soggetto anticapitalista". Lo stesso disegno unitario che Bertinotti vorrebbe realizzato in Italia. Fausto Bertinotti Andrea Garibaldi.


Aria da bicamerale sulle riforme (sezione: Riforma elettorale)

( da "Giornale di Brescia" del 25-11-2007)

 

Edizione: 25/11/2007 testata: Giornale di Brescia sezione:INTERNO IL CONVEGNO DI SAINT VINCENT Alla Fondazione Donat Cattin confronto tra Formigoni e Vietti sui futuri scenari italiani Aria da bicamerale sulle riforme I "piccoli" temono gli esiti dell'incontro Berlusconi-Veltroni del 30 novembre Occhi puntati sul prossimo incontro tra Berlusconi e Veltroni (foto d'archivio) dal nostro inviato Tonino Zana SAINT VINCENT Si muovono i grandi blocchi popolari della politica italiana, il Partito democratico di Walter Veltroni e il Partito della libertà di Berlusconi. L'incontro del 30 novembre tra i due leaders è spiato con apprensione anche da Saint Vincent, dove sono riuniti gli amici di Donat Cattin, al palazzo dei Congressi, per il loro sesto convegno. La palla è in mano ai responsabili della formazioni politiche più votate, se vorranno giocarla. I partiti piccoli temono di essere schiacciati e i grossi partiti temono di non riuscire a stabilire un rapporto continuato nel tempo, con il pericolo di lasciarsi indietro degli alleati rumorosi, indispensabili fino a ieri. Due paure per una riforma. Due paure che sono i guanciali su cui dorme, agitatamente, il Governo Prodi. Tutti d'accordo, almeno a parole, sul sistema proporzionale, anche chi ha firmato per il referendum sulla riforma elettorale. La quale cosa appare almeno strana, per la ragione che il sistema proporzionale è antitesi di un referendum che premia il partito che ottiene più voti fino a regalargli la maggioranza assoluta: con circa il 30% si prende il 51%, firmato Veltroni o firmato Berlusconi. Roberto Formigoni arriva a Saint Vincent da ambasciatore-paciere, "sono qui per unire", spiega al portavoce dell'Udc Michele Vietti e contemporaneamente al Sottosegretario agli Esteri, Bobo Craxi dello Sdi, i quali si fidano delle parole di Formigoni come della coerenza con cui, un poco tutte le formazioni politiche, eccetto proprio gli amici di Donat Cattin, i compagni di Bertinotti e gli amici di Casini, in questi anni hanno giurato sul sistema bipolare e maggioritario. La questione centrale del convegno riguarda "L'antipolitica e la politica dei valori" e ieri mattina, centinaia di giovani delle scuole italiane e numerose pantere grigie della prima della seconda e ormai della terza repubblica sono salite a Saint Vincent per capire cosa bolle in pentola. Formigoni cerca di tranquillizzare l'alleato Udc e la riflessione dedicata a Vietti la faxa in fotocopia a un Fini molto lontano: "Berlusconi non ha fatto altro che dichiarare quanto tutti pensavano, che "il re ormai era nudo" e cioè il bipolarismo era morto, il ricatto dei piccoli partiti era insostenibile, a destra come a sinistra, che il proporzionale alla tedesca con sbarramento, potrebbe essere il 5%, va bene. Soprattutto Berlusconi non ha inteso mandare alla malora gli alleati. Ci sono stati degli eccessi, ma sarebbe un grave errore correre dietro agli eccessi dei leaders. Anzi, Berlusconi ha proposto il partito unitario che voleva Fini con il sistema proporzionale tanto auspicato da Casini...". Messa così come l'ha messa Formigoni, è sembrata la prefazione del futuro prossimo congresso del Partito del popolo della libertà. Comunque, si è respirata un'aria da antica Bicamerale, panico da inciucione. Con Massimo D'Alema presente a Saint Vincent dalle colonne evocate del Corriere della Sera. Un D'Alema dolcemente velenoso, com'è spesso, dice che Veltroni conosce bene Berlusconi e dunque sarebbe candidato a fare meglio, il 30 novembre di quanto non seppe fare lui nella presidenza della Bicamerale. Più velenoso di così?! D'Alema conciliante con la "Cosa bianca", la quale sarà importante ancora, ma non più "ago della bilancia". Formigoni ribadisce la necessità di una riforma elettorale, si al proporzionale alla tedesca, sotto il Governo Prodi e ricorso, subito dopo, alle elezioni anticipate. "Prodi - dice Formigoni - non ce la farà a superare la votazione sullo Welfare, a resistere alla pressione concentrica della Confindustria e dei sindacati, a ristabilire un rapporto con i senatori dissidenti, Dini e compagnia bella, a tenere buona l'estrema sinistra...". Vietti dà la notizia al Congresso della morte del soldato italiano e i maggiori applausi sono alla sua memoria. Vietti non si fida "del volto umano di Formigoni rispetto al profilo hard di Berlusconi", ricorda che l'Udc ha insistito dopo le elezioni affinché si cambiasse squadra, ma non il campo, di nuovo alternativi alla sinistra, ricorda la necessità di un Governo di tregua, senza Prodi, per fare la riforma elettorale e quanto altro sarà possibile. Insomma per Vietti , "Berlusconi e Veltroni si sono intestati le doti dell'Udc, il proporzionale e l'idea di una tregua politica e istituzionale". Bobo Craxi avverte che se il 30 novembre, Veltroni e Berlusconi dovessero individuare sbarramenti e sistemi elettorali contro le piccole formazioni, lui e Mastella usciranno immediatamente dal Governo. Infine, avanza il confronto pacato sul modo di intendere la democrazia, sulla forma plebiscitaria e su quella parlamentare. Craxi dice che il preteso popolarismo di Berlusconi non ha un'identità ideologica e culturale di riferimento e Formigoni gli spiega che Forza Italia prima e il Partito della libertà adesso fanno riferimento ai Popolari europei mentre il Partito democratico non ha ancora chiara la sua destinazione a Bruxelles. Numerosi gli interventi dei giovani invitati al convegno di Saint Vincent: sotto tiro la credibilità della politica, l'invito a una maggiore qualità della proposta. È del giovane spingere l'idea di futuro nella concretezza del quotidiano e a Saint Vincent ciò è apparso limpidamente. Questa mattina, molto atteso il confronto tra Veltroni, Tremonti e Pezzotta.


"non ci sarà inciucio tra veltroni e il cavaliere riforma entro gennaio" - umberto rosso (sezione: Riforma elettorale)

( da "Repubblica, La" del 25-11-2007)

 

Il modello tedesco Bertinotti: "Per la legge elettorale i tempi sono stretti, è in arrivo il giudizio della Consulta sul referendum" "Non ci sarà inciucio tra Veltroni e il Cavaliere riforma entro gennaio" Il referendum non conviene a nessuno. Ci sono punti condivisi: modello tedesco, sbarramento al 5%, niente premio di maggioranza UMBERTO ROSSO DAL NOSTRO INVIATO PRAGA - "L'inciucio? Tranquilli, non ci sarà. E spiego perché un asse fra Veltroni e Berlusconi non è nel novero delle cose possibili: nessuno dei due in realtà avrebbe da guadagnarci". Fausto Bertinotti tranquillizza gli scettici e rincuora partiti e partitini, Rifondazione compresa, che al tavolo della trattativa sulle riforme guardano con apprensione mista a speranza. E conferma perciò il disco verde al confronto, sistemando però un paio di paletti. Primo: "Naturalmente il capo del Pd e il capo dell'opposizione possono incontrarsi, parlare, ma la legge elettorale non è certo materia di trattativa privata: il confronto vero poi si fa in Parlamento, e al tavolo devono sedere tutti i partiti". Secondo, un avviso ai due naviganti: "In teoria potrebbero anche mettere a punto una riforma contro ciascuno degli altri partiti ma, attenzione, non contro tutti gli altri partiti. Non ne avrebbero i numeri". Ovvero, la tentazione di giocare una partita Pd-Pdl contro il resto del mondo sarebbe destinata a innescare una rivolta degli esclusi, che farebbe fallire l'operazione. Bertinotti sbarca a Praga ancora nelle vesti di presidente della Sinistra europea ma, quando finisce di parlare ai delegati del congresso, ha solo l'abito di presidente della Camera. Lascia (per incompatibilità di ruoli) i vertici della Se con un omaggio ai 40 anni della primavera che proprio qui sbocciò, quella di Dubcek, una sconfitta che "annunciò il crollo del regimi dell'est ma anche il primo duro colpo ai lavoratori". E anche con un appello-autocritica consegnato nelle mani dell'erede Lothar Bisky (eletta vicepresidente Graziella Mascia, del Prc): serve "un'inversione di tendenza" perché Se non è riuscita a interpretare lotte e movimenti che fanno irruzione sulla scena europea. Il nuovo modello? La Die Linke tedesca e la Cosa rossa italiana. Bertinotti, fuori dalla sala del Top Hotel immerso nella nebbia praghese, illustra lo scenario di casa nostra. "Non temo un asse fra Veltroni e Berlusconi, intanto perché un eventuale patto dovrebbe riguardare un terzo soggetto, distinto dai primi due, e che pertanto non è nella loro disponibilità". Si chiama governo, si chiama Prodi. Del quale Berlusconi chiede la testa per firmare un'intesa. Ma il Cavaliere, come si è visto finora, non ha la forza per sferrare la spallata e quindi per imporre diktat al tavolo della riforma, né - sembra di capire dalle parole di Bertinotti - riuscirà a farlo ballare sul welfare, Dini o non Dini. Tantomeno sarà Veltroni a mettere a rischio il governo. I sospetti, i dubbi che riafforano, specie a sinistra, sulle intenzioni "segrete" del leader del Pd? "Io - risponde il presidente della Camera - sono assolutamente convinto del suo sostegno al governo. Ragioniamo. Un inciucio a due, dei partiti più grandi, sulla riforma elettorale come dicevo scatenerebbe una reazione di tutti gli altri e verrebbe affossato. E che cosa resterebbe a quel punto a Veltroni, e anche a Berlusconi? Solo il referendum. Ed è esattamente quel che i due vogliono evitare, perché non serve loro: è proprio il contrario rispetto ai rispettivi progetti politici". E' il meccanismo che uscirebbe dal referendum, il superpremio di maggioranza al partito più forte, che secondo Bertinotti spegne ogni tentazione inciucista. Anche in questo caso la "lettura" del presidente della Camera contraddice, e rassicura, quanti temono invece che alla fine Silvio e Walter vogliano giocarsi proprio l'arma referendaria per regolare i conti con le ali. "Una strada impraticabile, e i due lo sanno bene. Per vincere, sulla base del meccanismo referendario, Veltroni non potrebbe presentarsi da solo, sotto il simbolo del Pd, ma sarebbe costretto a rimettere in pista tutti i partiti dell'Unione. A quel punto, todos caballeros. Tutti dentro. Il più possibile, fino - che so - a Marco Rizzo e a quel nostro amico ligure, Marco Ferrando. Risultato: alla prima consultazione elettorale dopo la nascita del Pd, il simbolo del Pd non ci sarebbe. E perché mai Walter Veltroni avrebbe allora varato la sua nuova creatura politica?". Visto allo specchio, lo stesso stallo di Berlusconi. "Anche lui dovrebbe tirare dentro tutti, Fini, Casini, Storace e Mussolini. Domanda, anche qui: ma allora perché Berlusconi avrebbe appena fondato il suo partito, come si chiama, della gente? Perché avrebbe mandato all'aria tutte le caselle, se deve ricominciare da capo?". Ma la vocazione maggioritaria, la voglia di autosufficienza del Pd? Veltroni non potrebbe affrontare da solo quelle elezioni? Risposta: "Per perdere? Non credo che Veltroni si candidi a una sconfitta, a 5 anni di opposizione. E non credo che nel Pd gli altri leader glielo permetterebbero". Morale della favola: non c'è altra strada che il confronto aperto per approvare la legge elettorale,e evitare il referendum. "La via è quella parlamentare. I tempi però sono stretti, diciamo entro la metà di gennaio, perché è in arrivo il pronunciamento della Corte sulla ammissibilità della consultazione. Sulla formula, mi pare ormai che siano stati raggiunti dei punti condivisi: modello tedesco, con sbarramento al cinque per cento e senza premio di maggioranza".


La sciagura del proporzionale Meglio andare al referendum (sezione: Riforma elettorale)

( da "Adige, L'" del 25-11-2007)

 

(segue dalla prima pagina) Ciò spingerà alla formazione di due grandi partiti nazionali, secondo uno schema molto simile a quello vigente nelle grandi democrazie europee. L'incentivo del premio di maggioranza spingerà a ridurre le differenze tra partiti limitrofi, pena l'irrilevanza elettorale di chi vuole giocare in proprio (in particolare al centro del sistema politico). Ecco perché, di fronte alla minaccia del referendum, i partiti si sono rimessi in moto. Si sono rimessi in moto per neutralizzare questo esito bipartitico. *** La democrazia italiana è diventata bipolare con grandi resistenze. Buona parte del ceto politico italiano non ha mai digerito l'evoluzione in senso competitivo della democrazia italiana. Erano stati i movimenti referendari del 1991 e del 1993 ad obbligare il Parlamento ad approvare ("sotto dettatura popolare", per usare l'espressione dell'allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro) la legge elettorale maggioritaria con cui furono quindi eletti i nostri parlamentari nel 1994, nel 1996 e nel 2001. Obtorto collo, il ceto politico italiano dovette accettare il collegio uninominale, in cui i seggi erano assegnati sulla base della maggioranza semplice dei voti ottenuti dai candidati, e la sua logica binaria. Nondimeno, in Parlamento, si cercò in tutti i modi di stemperare gli effetti maggioritario della nuova legge elettorale, preservando una quota di seggi da distribuire proporzionalmente ed escogitando un meccanismo assurdo per la preservazione dei piccoli partiti (noto come "scorporo"). Con ciò confermando una lunga tradizione "trasformista" della politica (e della società) italiana: se non si riesce a bloccare un'innovazione, allora si fa in modo che la sua attuazione sia così condizionata da neutralizzarne gli effetti. Nonostante tali incongruenze, la riforma elettorale ha consentito all'Italia di sperimentare (per la prima volta nella sua storia repubblicana) un'alternanza al governo tra coalizioni opposte nel periodo 1996-2006. In quel decennio, la competizione si è svolta tra coalizioni pre-elettorali, nel senso che i governi sono emersi dalla lotta elettorale e non già (come avvenuto nel passato) da negoziazioni post-elettorali. Le coalizioni hanno sostituito i partiti come attori principali della competizione elettorale. Di nuovo, lo spazio elettorale per terzi poli (in particolare di centro) è stato praticamente cancellato, interrompendo così una lunga tradizione (e predisposizione) politica che aveva trasformato il centro (anche se nessuno ha mai definito che cosa significasse sul piano programmatico) nel perno di ogni possibile governo nazionale. Naturalmente, questo notevole salto di qualità della democrazia italiana ha avuto anche i suoi contro-effetti. Ha prodotto un bipolarismo con (alta) frammentazione partitica. Dopo tutto, siccome le aggregazione pre-elettorali non hanno trovato ostacoli a disaggregarsi una volta in Parlamento, i partiti-partitini si sono comportati come "canne nel vento". Si sono piegati alla logica aggregativa nell'arena elettorale, e poi sono ritornati alla loro naturale predisposizione disaggregativa nell'arena parlamentare e governativa. E, infatti, il numero dei partiti presenti in parlamento è (stato) regolarmente superiore a quello delle liste che avevano preso parte alle elezioni ottenendo seggi. Sono stati oltre 20 (e fino a 25) i partiti che hanno avuto accesso alla Camera o al Senato nelle ultime quattro elezioni. Non può stupire, anche, che sia cresciuto sistematicamente il loro numero all'interno dei vari governi di coalizione: erano 5 nel 2006, sono divenuti 7 (di cui 5 con posizioni ministeriali) nel 2001 e sono quindi saliti a 12 (di cui 8 con posizioni ministeriali) nel 2006. Di conseguenza è cresciuto anche il numero dei membri della compagine governativa (ministri, vice-ministri, sottosegretari): erano 69 nel 1996, sono saliti a 79 nel 2001 e quindi a ben 103 nel 2006. La riforma elettorale introdotta dalla maggioranza di centro-destra nel dicembre 2005 non ha fatto che accentuare la formula del bipolarismo con frammentazione. Sicuramente, l'alta frammentazione interna alle due coalizioni può essere considerata l'espressione della persistenza della cultura proporzionalistica di buona parte della classe politica italiana. Tuttavia, essa è anche (e soprattutto) il risultato di motivi più materiali, quale la volontà di difendere interessi organizzativi e corporativi. Si tratta di rendite di posizione che forniscono vantaggi non trascurabili ai vari rappresentanti dei partiti-partitini, in termini di risorse di cui possono disporre (finanziamenti parlamentari, staff di supporto, benefici stipendiali) e di visibilità pubblica di cui possono beneficiare (presenza nei dibattiti televisivi, interviste giornalistiche, partecipazione ad eventi istituzionali). Come possiamo aspettarci che i nostri parlamentari taglino il ramo su cui sono seduti? *** È indubbio che la democrazia italiana abbia bisogno di una riforma elettorale che riduca la frammentazione partitica all'interno delle due coalizioni. Ma quale riforma è necessaria? E come arrivarci? Naturalmente, non sono mancati, in questi anni di transizione, coloro che hanno sostenuto che "si stava meglio quando si stava peggio", proponendo quindi di rinunciare al bipolarismo. Tuttavia, questo argomento ha avuto le gambe corte. Le democrazie non-competitive, governate dagli stessi partiti, producono inevitabilmente inefficienza e corruzione. E noi ne sappiamo qualcosa. È la paura di essere sostituiti dagli elettori con l'opposizione che obbliga i governi a ben operare. Se non vi sono plausibili argomenti per ritornare indietro, non ne sono mancati per non andare avanti. Così, come un fiume carsico, da destra e da sinistra, ha preso corpo una nuova corrente di pensiero, quella di trasformare l'Italia in una democrazia proporzionale alla "tedesca". Così, è stato sufficiente che il nuovo leader del Partito democratico avanzasse una proposta di riforma elettorale in senso proporzionale (seppure corretta da collegi piccoli come nel sistema spagnolo e da altri accorgimenti come in quello tedesco) per suscitare un entusiasmo trasversale nell'intero parlamento. Così, anche se quel leader vuole seguire la rotta che conduce da Berlino a Madrid, è anche troppo facile prevedere che, una volta presa tale direzione, sarà assai più facile andare da Berlino a Varsavia. Al di là delle intenzioni (buone, sicuramente, nel caso del leader del Partito democratico e dei suoi consiglieri), il ritorno al proporzionale, seppure corretto, porterebbe ad un sistema partitico gravitante intorno ad un perno centrista, perno che ritornerebbe a fare e a disfare i governi. E, quindi, alla radicalizzazione dei partiti alle estreme, visto la loro esclusione da possibili ruoli di responsabilità. Se gli elettori non potranno più scegliere i governi, che garanzia si avrà di non ritornare ai parlamenti trasformisti del passato? *** Per questo motivo, l'alternativa al bipolarismo frammentato è il bipolarismo semplificato che emergerebbe dal referendum elettorale. Certamente il sistema elettorale che risulterebbe dal referendum avrebbe non pochi difetti. Tuttavia, non poco si potrebbe fare per renderlo più congruente con una moderna democrazia dell'alternanza. Insomma, non è necessario approvare una legge elettorale giusto per approvarne una. È soprattutto non è opportuno farlo in queste condizioni, cioè con questo parlamento di partiti-partitini chiusi su sé stessi. Perché si può giungere ad un esito peggiore di quello favorito dall'attuale sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza: e cioè al proporzionale senza premio di maggioranza e senza seri vincoli contro la disaggregazione. Quando si discute di riforma elettorale, ciò che conta è il consenso del parlamento o il bene del Paese? Se è il bene del Paese, allora lascerei ad un altro parlamento, meno frammentato dell'attuale, il compito di approvare un nuovo sistema elettorale. SERGIO FABBRINI 25/11/2007.


L.ELETTORALE/ BERTINOTTI: ESCLUDO INCIUCIO VELTRONI-BERLUSCONI(REP) (sezione: Riforma elettorale)

( da "Virgilio Notizie" del 25-11-2007)

 

25-11-2007 09:22 Tempi stretti per evitare referendum: entro la metà di gennaio Milano, 25 nov. (Apcom) - Per il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, "Non ci sarà inciucio" sulla legge elettorale tra il leader del Pd Walter Veltroni e l'ex premier Silvio Berlusconi. L'accordo dovrà però essere concluso "entro metà gennaio" perché "è in arrivo il giudizio della Consulta sul referendum". Così in un colloquio con l'inviato di Repubblica a Praga, Umberto Rosso. "Un asse fra Veltroni e Berlusconi - spiega Bertinotti - non è nel novero delle cose possibili: nessuno dei due in realtà avrebbe da guadagnarci". Due i motivi secondo Bertinotti: "Naturalmente il capo del Pd e il capo dell'opposizione possono incontrarsi, parlare, ma la legge elettorale non è certo materia di trattativa privata: il confronto vero poi si fa in Parlamento, e al tavolo devono sedere tutti i partiti". In secondo luogo "In teoria potrebbero anche mettere a punto una riforma contro ciascuno degli altri partiti ma, attenzione, non contro tutti gli altri partiti. Non ne avrebbero i numeri". In pratica la tentazione di giocare una partita Pd-Pdl contro il resto del mondo sarebbe destinata a innescare una rivolta degli esclusi, che farebbe fallire l'operazione. "Non temo un asse fra Veltroni e Berlusconi, intanto perché un eventuale patto dovrebbe riguardare un terzo soggetto, distinto dai primi due, e che pertanto non è nella loro disponibilità" continua riferendosi al governo Prodi. "Un inciucio a due, dei partiti più grandi, sulla riforma elettorale come dicevo scatenerebbe una reazione di tutti gli altri e verrebbe affossato. E che cosa resterebbe a quel punto a Veltroni, e anche a Berlusconi? Solo il referendum. Ed è esattamente quel che i due vogliono evitare, perché non serve loro: è proprio il contrario rispetto ai rispettivi progetti politici". Il meccanismo che uscirebbe dalla consultazione, è il ragionamento di Bertinotti, è "Una strada impraticabile, e i due lo sanno bene. Per vincere, sulla base del meccanismo referendario, Veltroni non potrebbe presentarsi da solo, sotto il simbolo del Pd, ma sarebbe costretto a rimettere in pista tutti i partiti dell'Unione. A quel punto, todos caballeros. Tutti dentro. Il più possibile, fino, che so, a Marco Rizzo e a quel nostro amico ligure, Marco Ferrando. Risultato: alla prima consultazione elettorale dopo la nascita del Pd, il simbolo del Pd non ci sarebbe. E perché mai Walter Veltroni avrebbe allora varato la sua nuova creatura politica?". E anche Berlusconi "dovrebbe tirare dentro tutti, Fini, Casini, Storace e Mussolini". Secondo il presidente della Camera non c'è altra strada che il confronto aperto per approvare la legge elettorale e evitare il referendum. "La via è quella parlamentare. I tempi però sono stretti, diciamo entro la metà di gennaio, perché è in arrivo il pronunciamento della Corte sulla ammissibilità della consultazione. Sulla formula, mi pare ormai che siano stati raggiunti dei punti condivisi: modello tedesco, con sbarramento al cinque per cento e senza premio di maggioranza".


Il pasticcio tv lega le mani a Berlusconi (sezione: Riforma elettorale)

( da "Sicilia, La" del 25-11-2007)

 

RIFORME. Domani Veltroni incontra Fini, poi toccherà al Cavaliere: le distanze sembrano incolmabili Il pasticcio tv lega le mani a Berlusconi Gabriella Bellucci Roma. Alla vigilia della settimana calda per le riforme, di sicuro ci sono solo gli appuntamenti fissati da Veltroni: domani con Fini e venerdì prossimo con Berlusconi. Rispetto ai contenuti del confronto, invece, è tutto la vedere se il segretario del Pd riuscirà a centrare l'obiettivo di una trattativa a largo raggio, referendum permettendo. Il tavolo su cui lavora Veltroni, con la benedizione del capo del governo, ormai non prevede solo la riforma elettorale. E' uno scacchiere su cui sono in gioco le modifiche costituzionali (superamento del bicameralismo perfetto, Senato delle Regioni, riduzione dei parlamentari, rafforzamento dei poteri del premier) e dei regolamenti parlamentari. Ma non è tutto. Dopo lo scandalo delle intercettazioni sul presunto patto tra Rai e Mediaset, nel calderone delle riforme sono finiti anche il ddl Gentiloni (riforma radio-tv) e il conflitto d'interessi. Tutte questioni su cui Veltroni ha messo le mani avanti, chiarendo che il pacchetto è unico: o tutto o niente. Anche D'Alema è d'accordo ("sono tutti temi all'ordine del giorno") e guarda con fiducia al coinvolgimento di Berlusconi: "Ha capito di essere isolato e ha deciso di collaborare". Ma il Cavaliere vuol farlo alle sue condizioni. Reclama solo un accordo sulla riforma elettorale di tipo proporzionale, meglio se sul modello tedesco, come chiede anche l'Udc. Dopodiché, elezioni anticipate: niente modifiche costituzionali, né tantomeno revisione dell'assetto radio-tv. Veltroni ha risposto picche, indisponibile com'è (anche per esigenza del Pd) a barattare la riforma elettorale con la fine del governo Prodi. Un braccio di ferro a tutti gli effetti, insomma. Se non fosse che Berlusconi, pur essendo tornato sulla cresta dell'onda con la creazione del nuovo partito, ha perso un po' di potere contrattuale. Il suo tallone d'Achille è la riforma radio-tv che non a caso Fini ha indicato tra i temi da affrontare "con urgenza". A cogliere il campanello d'allarme è Bossi: "L'Unione cercherà i voti sulla Gentiloni, e Berlusconi deve recuperare Fini", suggerisce il capo della Lega, ricordando al Cavaliere di non fare passi falsi nemmeno sulla legge elettorale: se saltasse l'accordo di Gemonio sul "no al referendum - avverte il Senatùr - saremmo autorizzati a guardarci intorno". Il timore che Berlusconi punti al referendum non è solo della Lega. Anche tra i piccoli dell'Unione c'è il sospetto che Veltroni possa tessere un'intesa sotto banco per favorire i due maggiori partiti. An potrebbe anche essere d'accordo, ma non Lega, Udc, Udeur e sinistra radicale, pronte a vendere cara la pelle. La strada della trattativa, dunque, si prefigura più praticabile, ma non certo più semplice. Anche perché si inserisce su un terreno politico magmatico, in cui i meccanismi delle alleanze, in entrambi i poli, sono ormai decisamente mutevoli.


Riforme e sospetti (sezione: Riforma elettorale)

( da "EUROPA.it" del 25-11-2007)

 

ALBERTO MARTINELLI La proposta del nuovo partito di centrodestra avanzata da Berlusconi può davvero contribuire a chiudere la lunga transizione politica italiana iniziata quindici anni fa? Il nuovo partito è qualche cosa di più di un restyling di Forza Italia. Provocata dalla nascita del Partito democratico e in preparazione da mesi, la decisione di Berlusconi prende atto della tenuta del governo Prodi e dell'approssimarsi del referendum elettorale e sembra fondata su una analisi condivisa da Veltroni e dal Partito democratico. Il fallimento, cioè, del tentativo di creare un sistema autenticamente bipolare nel nostro paese con queste leggi elettorali e questi regolamenti parlamentari. Le proposte di riforma elettorale avanzate sia da Veltroni che da Berlusconi (che si rifanno al sistema tedesco, più o meno corretto con elementi tratti dal sistema spagnolo) sono state interpretate in modi stravaganti. Da un lato c'è chi confonde il sistema bipolare con il metodo elettorale maggioritario uninominale e sostiene che il passaggio al metodo proporzionale significa la fine del bipolarismo; dall'altro c'è chi deduce dal possibile accordo tra Berlusconi e Veltroni sulla riforma elettorale la volontà di creare una grosse koalition di governo. In realtà, la creazione di un sistema bipolare richiede innanzitutto la drastica riduzione della frammentazione partitica. Ciò si ottiene: a) ponendo una soglia di sbarramento elevata (non inferiore al 5 per cento) e/o adottando formule di traduzione dei voti in seggi e dimensioni delle circoscrizioni elettorali tali da favorire i partiti più grandi; b) rinunciando a un premio di maggioranza per la coalizione vincente, perché il bonus in seggi diventa strumento di ricatto nelle mani dei partiti-bonsai che risultano indispensabili con la loro manciata di voti per ottenere il successo risultando assai sovra-rappresentati in parlamento. Si può obiettare che la riduzione del numero dei partiti si otterrebbe anche con il referendum che assegna il premio al partito che ottiene più voti su scala nazionale. Ma il problema qui è che verosimilmente i due partiti maggiori cercherebbero entrambe di fare il pieno, creando un partito fittizio che si frammenterebbe appena approdato in parlamento. Ecco perché fa bene Veltroni a insistere che si devono modificare subito anche i regolamenti parlamentari in modo da vietare la costituzione in parlamento di partiti diversi da quelli che si sono presentati agli elettori (anche per rispetto di questi ultimi), pena la non erogazione del finanziamento. Sarebbe anzi auspicabile un accordo preliminare tra Veltroni e Berlusconi a questo riguardo per dimostrarsi reciprocamente la serietà delle loro intenzioni. Così facendo, sia che si arrivi a un accordo sulla riforma elettorale, sia che si vada al referendum, i due partiti maggiori aumenterebbero molto il loro potere contrattuale nei confronti degli alleati, semplificherebbero il sistema partitico e si potrebbe finalmente uscire dall'anomalia italiana in cui entrambe le coalizioni sono a turno capaci di vincere le elezioni ma non di governare efficacemente con programmi coerenti e omogenei. Gli ostacoli maggiori sulla strada di questo cambiamento sono due: l'ostilità degli alleati delle due coalizioni (in primo luogo i partiti piccoli e piccolissimi) che temono di essere tagliati fuori dal duopolio di potere dei due partiti maggiori e la scarsa fiducia reciproca tra i due leader, che non è certo aumentata dopo la pubblicazione delle intercettazioni relative alla vicenda Rai-Mediaset. Ma nel rapporto con i rispettivi alleati Berlusconi e Veltroni hanno dalla loro la forza dei numeri e, circa i loro rapporti, un interesse convergente in politica può superare diffidenze e sospetti.


Il destino di Prodi tra welfare e Walter Pierfrancesco Frerè (sezione: Riforma elettorale)

( da "Provincia di Sondrio, La" del 25-11-2007)

 

Le condizioni della Bmw di Massimo Bettini dopo il tremendo e tragico incidente nella notte a Talamona Foto Sandonini Walter Veltroni ha fatto sapere che se Silvio Berlusconi insiste per il voto anticipato una volta approvata la riforma elettorale, il colloquio nemmeno inizia. Eppure, secondo Lamberto Dini è difficile dar torto al Cavaliere: la sua proposta è ragionevole perché è difficile pensare di fare le riforme istituzionali con questo governo. Si tratta di una divergenza di opinioni che fotografa bene lo stato della maggioranza alla vigilia dell'impegnativo voto sul welfare: come dice sempre Dini, il leader di Forza Italia ha avuto un'idea "magistrale" per scuotere il quadro politico e ha rimescolato le carte a destra ma anche a sinistra. L'analisi dell'ex premier induce il presidente dei senatori del Prc, Giovanni Russo Spena, ad accusarlo di aver fatto una scelta di campo a favore del centrodestra: ma se davvero fosse così, la crisi del governo Prodi sarebbe stata solo rimandata di qualche giorno. Da qui l'importanza del braccio di ferro in corso sul Protocollo del welfare: le modifiche introdotte alla Camera non piacciono a Confindustria e neppure ai sindacati. Luca di Montezemolo è stato più di un'ora a Palazzo Chigi nel tentativo di convincere il presidente del Consiglio a non toccare il testo uscito dal referendum sindacale, e alla fine la presidenza del Consiglio ha fatto sapere che l'obiettivo è una "sintesi" fedele al Protocollo. Ma che significa "sintesi"? Come è possibile raggiungere il "punto d'equilibrio" invocato da Veltroni senza toccare le modifiche introdotte in Parlamento? Non è un caso che Oliviero Diliberto intimi al governo di rispettare il lavoro svolto in commissione, proprio mentre i liberaldemocratici avvertono di essere pronti a votare contro se ci sarà un cedimento alla sinistra radicale. La stessa questione di fiducia potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio e infatti Vannino Chiti non ha detto su quale testo sarà (eventualmente) posta. In altre parole, il crollo della Cdl non si è tradotto automaticamente in un rafforzamento dell'Unione, anzi le ombre di crisi restano lunghe quanto prima. Berlusconi spiegava di aver colto "il tempo" per il lancio del nuovo partito, con un'implicita allusione a nuove, possibili sorprese: significa che la partita è solo agli inizi, come del resto ha sempre ripetuto. In questo scenario chi rischia di apparire fuori ritmo è l'asse Fini-Casini, soprattutto se il tandem dovesse essere colto in contropiede da una crisi della maggioranza. Del resto i leader di An e Udc devono riconoscere di avere posizioni distanti sulla legge elettorale, che è il terreno di confronto del momento: un oggettivo handicap strategico. Ciò fa supporre a molti (da Michela Brambilla a Roberto Maroni e allo stesso Ignazio La Russa) che alla fine i capi del centrodestra di sederanno attorno a un tavolo per fumare il calumet della pace. Naturalmente molto dipende da ciò che accadrà nel campo avverso: Veltroni ha respinto il sospetto che l'affare Rai-Mediaset e l'accelerazione della riforma Gentiloni della Tv sia un ostacolo innalzato ad arte sul cammino del negoziato tra Partito democratico e Forza Italia, ma resta la sensazione che Romano Prodi non veda con particolare favore questa trattativa. Ciò non significa naturalmente che il dialogo sia destinato a naufragare: come dice Domenico Fisichella, il vero obiettivo di Berlusconi e Veltroni - una volta constata l'impossibilità di un accordo in questo momento - potrebbe diventare il referendum, la via attraverso la quale introdurre una sorta di bipartitismo all'italiana.


"portiamo l'italia fuori dal tunnel" - ettore boffano (sezione: Riforma elettorale)

( da "Repubblica, La" del 26-11-2007)

 

"Portiamo l'Italia fuori dal tunnel" Veltroni oggi incontra Fini. E Parisi attacca il leader Pd sulla legge elettorale Tremonti parla di larghe intese Pezzotta: lavoro per una nuova forza di centro ETTORE BOFFANO DAL NOSTRO INVIATO SAINTVINCENT - Walter Veltroni che sceglie l'annuale convegno della Fondazione Donat-Cattin per una prova generale dell'incontro di venerdì con Silvio Berlusconi e per quello di oggi con Gianfranco Fini e che illustra il catalogo delle sue proposte e delle le sue condizioni: "Riforma elettorale alla tedesca, sbarramento, niente premio di maggioranza e qualche correttivo indispensabile per aumentare la governabilità. Ma anche un confronto su riforme istituzionali e regolamenti parlamentari, per stabilire che dopo il voto non potrà nascere nessun gruppo politico che non fosse già presente nelle liste". Giulio Tremonti, invece, che prima al bar scherza col sindaco di Roma sul suo ruolo di "sparring partner" in sostituzione del Cavaliere ("Anche Prodi, alla vigilia del faccia a faccia televisivo, si allenò con Angelo Rovati nelle parte di Berlusconi"), ma poi rifiuta le sollecitazioni del moderatore Sandro Fontana ("No, sulle riforme non rispondo") e si rifugia in un'esaltazione della "grande coalizione" in Germania, per precisare subito, a chi gli chiede se era un'indicazione per il dopo Prodi: "Non ho detto questo... ". Infine, Savino Pezzotta (applauditissimo dagli ex seguaci di Carlo Donat-Cattin). L'ex leader Cisl ammette di pensare "a un movimento, se non proprio a una forma-partito, che rappresenti la tradizione del cattolicesimo popolare di don Sturzo. Non chiamatela "cosa bianca", perché non sarà la nuova Dc, ma non può essere uno scandalo che qualcuno ci ragioni sopra". Nella platea dell'antica corrente Dc di Forze Nuove, il rimescolamento di carte suscitato dalla nascita del Pd, dal discorso di Berlusconi in piazza San Babila a Milano e dai primi sentori di proporzionale, regala così consensi per molti passaggi dei tre relatori. Il più diretto è Veltroni, venuto qui con due scopi precisi. Il primo è dire qualcosa su governo e welfare: "O si trova un equilibrio tra testo originale e modifiche o si torna all'accordo approvato da 5 milioni di lavoratori". Il secondo è ribadire le premesse per la trattativa con il Cavaliere: "Inaccettabile dire che si fa la legge elettorale e si va al voto. Bisogna avere la forza di dire che c'è un governo scelto dagli italiani che deve fare la sua parte, mentre noi politici scriviamo le regole". "Una legge elettorale - aggiunge il sindaco - per garantire governi che possano affrontare l'innovazione del Paese. Uscendo dal bipolarismo coatto di questi anni, verso un bipolarismo virtuoso che non vuol dire bipartitismo. Ma garantendo la stabilità: altrimenti avremo 6-7 partiti tra il 7 e il 27 per cento, con una nuova ingovernabilità". Un percorso che possa portare "l'Italia fuori dal tunnel" e che duri un anno: "Poi ognuno per la propria strada". Eppure si tratta di una "road map" che non piace per niente ad Arturo Parisi. Il ministro della Difesa, da Roma, spara alzo zero contro il Sindaco: "Temo che i "bei tempi andati" dei quali Veltroni non ha nostalgia sono i tempi dell'Ulivo. Io invece di quei tempi ho nostalgia. Non ne sento al contrario per i tempi della proporzionale ai quali pensavo che il referendum del '93 avesse messo definitivamente fine". Ma come risponde Tremonti? La replica è un'analisi "alta" sulla globalizzazione, con due soli accenni all'attualità. Il primo è alla grande coalizione, il secondo riporta all'immediato dopoguerra: "Mentre si scriveva la Costituzione, De Gasperi e Togliatti erano nello stesso governo". Frasi, però, edulcorate da quel "Non ho detto questo" ripetuto ai cronisti. Così, l'ultima battuta sembra indulgere a un certo scetticismo, con un ricordo del proprio ruolo nella delusione della bicamerale e una citazione di Kant: "Il filosofo diceva che la colomba, per volare, ha bisogno dell'atmosfera che alzi le sue ali. La colomba delle riforme forse si può già scorgere, ma l'atmosfera è da costruire".


Bipolarismo, An pianta il primo picchetto Leader e alleanze prima del voto. Oggi l'incontro tra Fini e il segretario del Pd (sezione: Riforma elettorale)

( da "Unita, L'" del 26-11-2007)

 

Stai consultando l'edizione del Bipolarismo, An pianta il primo picchetto Leader e alleanze prima del voto. Oggi l'incontro tra Fini e il segretario del Pd / Roma "NO AL SISTEMA TEDESCO Il bipolarismo non può essere messo in discussione e il leader della coalizione va indicato prima". Sono questi i punti irrinunciabili, i "paletti" che il presidente di An, Gianfranco Fini porrà oggi sul tavolo durante l'incontro con il leader del Partito democratico, Walter Veltroni. Un no al sistema tedesco anche se "corretto": è questa la linea decisa a via della Scrofa. Lo ha anticipato ieri il presidente del gruppo parlamentare a Palazzo Madama, Altero Matteoli. "Fini ribadirà a Veltroni quello che noi sempre diciamo, e cioè che per An la priorità è il bipolarismo". Dalla volontà di difendere il bipolarismo, aggiunge, deriva l'obiettivo di chiedere una legge elettorale che preveda "l'indicazione delle alleanze prima del voto e del premier". Sono le condizioni definite non trattabili dallo stesso Fini nei giorni scorsi. Ma l'agenda del confronto tra il leader del Pd e l'opposizione prevede anche altro, non solo la riforma elettorale. L'obiettivo di questi incontri, lo ha chiarito il sindaco di Roma intervenendo ieri a Saint Vincent sono le "riforme possibili" e "trovare un'intesa sulle regole del gioco" per far uscire "tutti insieme l'Italia dal tunnel". Un terreno concreto che non trova insensibile il leader di An ben consapevole che, come ha spiegato Veltroni, una riforma elettorale da sola non basta per far uscire dalla crisi il sistema politico italiano. Sono stati gli stessi concetti espressi da Fini nei giorni scorsi a Silvio Berlusconi: "Non basta parlare di legge elettorale, occorre discutere anche di riforme". È suonata come una chiara disponibilità "per piccole ed essenziali riforme istituzionali". Anche se sulla reintroduzione del proporzionale avanzata da Veltroni la chiusura resta. Da via della Scrofa non viene ritenuto sufficiente quel "bipolarismo virtuoso e non più forzoso" proposto da Veltroni, anche se non mancano aperture per altri punti posti nell'agenda del confronto come la riforma della Camera e dei regolamenti parlamentari per assicurare "maggiore stabilità politica". Un terreno di convergenze possibili tra Fini e Veltroni. Anche se alla vigilia dell'incontro c'è chi in An, come Maurizio Gasparri, alza i toni. "Sul sistema elettorale, la destra non può accettare truffe. Veltroni parla del sistema tedesco, che in Italia sarebbe il festival dei trasformisti, pronti dal centro a vendersi di qua o di la in base alla convenienza". Mentre inizia il confronto, l'ex ministro si affanna minaccioso a richiamare "le colonne d'Ercole" per An: alleanze prima del voto e il bipolarismo. Ricordando che sullo sfondo vi è sempre l'arma del referendum, Gasparri annuncia un'opposizione parlamentare durissima e senza sconti contro la "legge truffa" di Veltroni. r. m.


Riforme al bivio, per ora il dialogo c'è (sezione: Riforma elettorale)

( da "Unita, L'" del 26-11-2007)

 

Stai consultando l'edizione del L'ANALISIOggi il segretario del Pd vede Fini, venerdì incontra Berlusconi. Che ora apre: si può "correggere il tedesco" Riforme al bivio, per ora il dialogo c'è di Bruno Miserendino / Segue dalla prima La novità è che al momento veti e sospetti non riescono a oscurare la necessità del confronto. Ci spera Veltroni, sia pure con realismo. Si mostra speranzoso Berlusconi, che ieri ha definito "un ectoplasma" la ex Casa delle Libertà e che sembra stia rinunciando al ricatto iniziale (riforma elettorale ma se si va subito dopo al voto). Ci crede da tempo Casini, ossia uno degli ectoplasmi. È interessato Fini, che sarebbe l'altro ectoplasma e che sarà oggi pomeriggio alla Camera il primo interlocutore di Walter Veltroni in questa settimana di incontri. Il leader di An dall'inizio della partita ha sempre puntato al referendum, ma la nuova situazione e lo spettro della fine del bipolarismo lo costringono a credere nel confronto a tutto campo. La Lega da tempo punta alle riforme e soprattutto al Senato federale. Mostra di crederci il presidente della Camera Bertinotti secondo cui il confronto ci sarà in parlamento e senza inciuci. Prodi partecipa soddisfatto, ma controlla, legittimamente, che il tutto non faccia deragliare il governo. Restano sulla soglia, scettici e guardinghi, i cosiddetti "piccoli" partiti del centrosinistra, che temono accordi dei grandi per farli fuori. Ma è vero che per loro qualunque scenario diverso dallo status quo appare problematico. La logica vuole che partecipino al confronto, se non altro per favorire la soluzione per loro meno dannosa. Insomma come pronosticava Veltroni ("passata la finanziaria sarà un altro film"), uno spazio così ampio per il confronto non c'è mai stato. E davvero in 8-12 mesi si possono fare quelle quattro cinque riforme complessive (legge elettorale, Senato federale, sfiducia costruttiva, diminuzione dei parlamentari, riforma dei regolamenti delle Camere per far coincidere partiti e gruppi) su cui la grande maggioranza delle forze e sicuramente degli italiani è d'accordo. "Usciamo dal tunnel, poi ognuno per la sua strada", ha detto ieri a Saint Vincent il segretario del Pd. Berlusconi, ufficialmente, vuole solo la legge elettorale, per poi andare rapidamente al voto. Le altre riforme, insiste, si faranno nella prossima legislatura. In realtà bastava sentire ieri Dell'Utri per capire che la partita è aperta: è vero, diceva, Berlusconi cambia spesso idea (in effetti sulla legge elettorale si sono registrate in 13 anni una ventina di posizioni diverse ndr) "ma questo avviene perchè è intelligente". Adesso, aggiunge Dell'Utri, "rispetto alla Bicamerale i tempi per un accordo sono maturi". Berlusconi, afferma, "non è inflessibile sul modello tedesco", nel senso che è aperto a possibili correttivi. Si può leggere come un'apertura al mix spagnolo tedesco che è la carta di partenza sponsorizzata da Veltroni: ossia un proporzionale senza premio di maggioranza, ma con correttivi maggioritari che bipolarizzano il sistema, perchè favoriscono i due grandi partiti. Quanto al resto è chiaro che se Berlusconi dialoga sulla riforma elettorale, se la legislatura va avanti, il confronto prosegue anche su tutto il resto. Del resto tutti gli altri partiti, grandi e medi, sono pronti al dialogo sull'intero pacchetto delle riforme. Il punto preliminare da chiarire è se l'orizzonte del confronto è un "nuovo bipolarismo, meno coatto e più virtuoso", per usare l'espressione di Veltroni, o se l'obiettivo finale è proprio la fine diretta o indiretta del bipolarismo. Diceva ieri un collaboratore di Veltroni, Giorgio Tonini: "Le soluzioni tecniche possono essere diverse ma l'obiettivo è raffozare il bipolarismo, non indebolirlo". Non sarà facile. Qualcuno la vede così: quanto più si vira sul sistema "tedesco puro", tanto più si va verso il grado minimo di bipolarismo, tutto quello che va verso correttivi maggioritari in più, lo rafforza. La partita si gioca in questa forbice. Sarà lunga. Però oggi inizia.


Romano prepara la maratona (sezione: Riforma elettorale)

( da "Panorama" del 26-11-2007)

 

Romano prepara la maratona PAOLA SACCHI IL PIANO DI PRODI Sopravvissuto alla Finanziaria, ora il premier punta ad arrivare a Pasqua. Quindi le grandi nomine. E poi, fino al 2009... Lo dipingono come un "morto che cammina". Ma lui ha già un piano per arrivare almeno al 2009. Quando, se ci riuscirà, sarà difficile per Walter Veltroni e Massimo D'Alema scalzarlo. Romano Prodi, dopo lo scampato pericolo al primo round della Finanziaria al Senato, ha rilanciato: "Resterò fino al 2011". "L'uomo è così: lui si affida alla cabala del Sud, per la quale se ti danno per morto allora vivrai più a lungo" scherza Pino Pisicchio, presidente della commissiome Giustizia della Camera. Confida un dalemiano di stretta osservanza: "Se fossimo in un paese normale, Prodi sarebbe già andato a casa dopo le parole di Lamberto Dini che ha decretato la fine di questo quadro politico. E però siamo in Italia". Il giorno dopo la boccata d'ossigeno di Palazzo Madama, Prodi si è levato lo sfizio di telefonare al ribelle Willer Bordon per punzecchiarlo. "Guarda Willer che io ce l'ho più lungo di te...". Il naso adatto al fiuto politico, intendeva. Insomma, altro che "Willer the sniffer" come La Repubblica ha definito Bordon. In quanto a fiuto politico, almeno nell'arte di vivacchiare, Prodi non si ritiene secondo a nessuno. Ha già messo in conto di vincere anche l'ultimo round della Finanziaria. E di superare lo scoglio ancora più duro del protocollo sul welfare. Anche se Dini, dopo l'impennata di Rifondazione comunista, a Panorama conferma: "Voteremo contro qualsiasi modifica che faccia aumentare la spesa pubblica". Prodi però ostenta tranquillità. Al pollice verso di Dini il Professore potrebbe rispondere con una contromossa. Secondo una voce che circola nei palazzi, avrebbe spedito il fido Giulio Santagata, ministro per i Rapporti con il Parlamento, a corteggiare alcuni senatori Udc ostili alle aperture filoberlusconiane di Pier Ferdinando Casini. Prodi dà già per scontato di mangiare anche la colomba di Pasqua. Traguardo decisivo: una volta superato il mese di marzo non ci saranno più i tempi per andare alle elezioni in primavera. Complici le vacanze natalizie, un aiuto immediato per il Professore sarà il vuoto dei lavori parlamentari previsto per quasi tutto gennaio. Un mese intero al riparo dalla morsa dei numeri risicati al Senato. "Anche così Prodi cerca di allungarsi la vita" accusa il vicecapogruppo di Fi a Montecitorio, Isabella Bertolini. Finora per il 2008 in agenda nell'aula di Montecitorio ci sono solo le riforme costituzionali. Stampelle decisive per il governo. Luciano Violante, presidente della commissione Affari costituzionali, è ottimista: "Il testo che abbiamo licenziato è l'unico sul quale l'opposizione si è astenuta. Vedo le premesse perché nel 2008 ci siano davvero le riforme". Intanto, la partita principale si gioca sulla legge elettorale. Se il dialogo tra Walter Veltroni e l'opposizione fallirà, ci sarà il referendum ammazzapartitini. La Corte costituzionale si pronuncerà entro gennaio sulla sua ammissibilità. E Clemente Mastella ha minacciato di far saltare il banco. Ma Prodi sembra fare spallucce. Referendum o riforma elettorale, il premier è sicuro di arrivare al 2009. Basta parlare con uno dei suoi più cari amici, il deputato Andrea Papini, che sostiene, con flemma prodiana: "L'accordo sulla legge elettorale non lo vedo vicino. Paura noi del referendum? Certo avrebbe effetti anche sul governo. Ma alla fine i piccoli partiti si accorderanno con i grandi". A spiegare ancora meglio la flemma prodiana sul referendum è il deputato del Pd Giuseppe Caldarola. Sostiene: "Se Mastella avesse voluto aprire la crisi lo avrebbe già fatto. Uno come lui non si consegna al centrodestra proprio ora che sarebbe costretto a scomparire nel partito unico del Cavaliere". Conclude: "La verità è che il 2008 Prodi lo ha già scavallato. È chiaro ormai che arriverà al 2009, quando insieme alle europee con più probabilità saranno fatte le politiche. Come fa questo governo a restare dopo la riforma elettorale? A meno che...". A meno che Prodi non senta ragioni. La conflittualità tra Prodi e i leader del centrosinistra per Emanuele Macaluso, storico leader riformista, si aggraverà. Soprattutto con Veltroni. Pronostica: "Prodi si metterà di traverso a qualsiasi tentativo di dialogo con l'opposizione che non veda lui come protagonista, combatterà tutte le guerre". Ma, prevede il deputato di Rifondazione Salvatore Cannavò, "Prodi la partita vera la farà in primavera, con nomine targate Iri, quando scadranno i vertici delle principali società pubbliche". Una partita da fare anche in tandem con Veltroni. I due sarebbero d'accordo per la nomina di Giuseppe Bono al vertice della Finmeccanica. Mentre all'Enel potrebbe andare il prodiano ex Iri Piero Gnudi. Il Professore però non potrà contare sulla ripresa economica. "Conterà, invece, sulla frenata che arriva dagli Usa, aggravata dal supereuro" sentenzia l'economista di An Mario Baldassarri. Ma Prodi, soprattutto, dovrà guardarsi da se stesso. Il consiglio gli viene dall'immarcescibile Ciriaco De Mita: "Romano ritiene che la vita del governo sia infinita. Ma il governo come la vita si conquista minuto per minuto". E se lo dice lui... (ha collaborato Vasco Pirri Ardizzone).


Riforma a due piazze (sezione: Riforma elettorale)

( da "Panorama" del 26-11-2007)

 

Riforma a due piazze STEFANO BRUSADELLI questionario elettorale Berlusconi e Veltroni puntano su un nuovo modello di voto per cambiare il sistema politico. Ecco perché hanno deciso di farlo, cosa hanno in testa e quali ostacoli devono superare. Tedesco, spagnolo, Porcellum o Veltronellum? Come all'inizio degli anni 90, nella stagione dei referendum di Mario Segni, l'Italia deve masticare l'aramaico dei politologi. Mentre Silvio Berlusconi e Walter Veltroni hanno l'aria di voler mettere in cantiere sul serio la riforma elettorale e un nuovo referendum incombe a primavera, si caricano di drammatica rilevanza l'altezza d'una soglia di sbarramento, la consistenza di un premio di maggioranza, persino il perimetro di un collegio. Ma come ripete ai suoi studenti il costituzionalista Augusto Barbera, "la legge elettorale, in una democrazia, è come la legge sulla successione al trono in una monarchia". E dunque meglio aver chiaro di cosa si tratta. Magari attraverso le risposte alle 10 domande che tutti (o quasi) vorrebbero fare. Perché c'è tanta voglia di cambiare legge elettorale? Mai in Italia un sistema elettorale ha avuto meno fortuna di quello utilizzato alle politiche 2006. Basti dire che uno dei suoi ideatori, il leghista Roberto Calderoli, lo ha disconosciuto definendolo una "porcata", da cui Porcellum. Il sistema è proporzionale (cioè con rapporto fedele tra voti e seggi), con premio di maggioranza nazionale alla Camera e regionale al Senato. C'è quindi a Palazzo Madama la teorica possibilità di un pareggio, che si è puntualmente verificato. L'Unione ha vinto in 13 regioni e la Cdl in 7, ma assai popolose e quindi con più seggi e premi più consistenti. Inoltre nel Porcellum le liste dei candidati sono bloccate, ossia non si può esprimere la preferenza. Sono i partiti, non i cittadini, a stabilire chi andrà in Parlamento. Cosa si propone il referendum elettorale? Promosso da 179 personalità (tra cui Giovanni Guzzetta, Segni e Barbera), il referendum punta a far sì che il premio di maggioranza non venga assegnato a coalizioni, ma al singolo partito più votato. Ciò costringerebbe i partiti a fondersi per dar vita a grandi formazioni, di dimensioni tali da poter aspirare al premio. La consultazione dovrebbe tenersi tra il 15 aprile e il 15 giugno 2008, sempre che a gennaio la Consulta non dichiari (ma è improbabile) la incostituzionalità dei quesiti. Sarà invalidato se non andranno a votare la metà più uno degli elettori. A chi fa paura il referendum? Ai piccoli, dinanzi ai quali si presenterebbe lo scomodo dilemma di farsi assorbire in un maxipartito o rischiare l'estinzione. Per chi andasse da solo al voto ci sarebbero da superare soglie di sbarramento del 4 per cento alla Camera e dell'8 al Senato. Con i risultati del 2006 scomparirebbero da Montecitorio Udeur, Verdi, Italia dei valori, Pdci e Rosa nel pugno. A Palazzo Madama la pattuglia si allargherebbe anche a Rifondazione, Lega e Udc. Insomma, un'ecatombe. Per lo stesso motivo il referendum piace ai grandi (Pd e Forza Italia) e anche ad An, perché spingerebbe a costruire quel partito unico del centrodestra che è nei piani di Gianfranco Fini, anche se non nei tempi e nei modi oggi proposti da Berlusconi. Come si può evitare il referendum? Solo in due modi. Il primo è cambiare la legge sulla quale la consultazione si appunta. Il secondo è fissare elezioni politiche nella stessa stagione nella quale è previsto il referendum. In tal caso esso viene rinviato di un anno. Occorrerebbe quindi sciogliere in anticipo le Camere (non oltre l'inizio di marzo), per poter andare a elezioni anticipate primaverili. Perché Romano Prodi e Veltroni hanno deciso di accelerare i tempi per la riforma della legge elettorale? Per Prodi aprire un tavolo per la riforma vorrebbe dire rendere improbabile il voto nel 2008. Un eventuale accordo difficilmente potrebbe arrivare prima di marzo-aprile, cioè fuori tempo massimo per organizzare elezioni in primavera. E alla riforma elettorale sarebbe naturale agganciare riforme costituzionali (per esempio la riduzione del numero dei parlamentari o il Senato delle regioni) che allungherebbe ulteriormente il brodo. Per quanto riguarda Veltroni, l'interpretazione è più difficile. Secondo alcuni il suo vero obiettivo è il referendum, ma per arrivarci senza urtare gli alleati deve dimostrare che tutto è stato tentato prima di arrendersi all'impossibilità di una riforma. Per altri il proporzionale gli appare un buon sistema per liberarsi della sinistra radicale. E infine anche lui ha bisogno di tempo per far decollare il suo Pd. Perché ora anche Berlusconi apre al dialogo? Premesso che la disponibilità di Berlusconi è limitata al sistema tedesco (vedere la voce seguente), ed è condizionata alla prospettiva di votare presto, è chiaro che non poteva farsi escludere da un tavolo al quale erano già pronti a sedersi i suoi alleati. La mossa è anche un messaggio minaccioso rivolto a Pier Ferdinando Casini e a Fini. Al primo il Cavaliere sottrae il monopolio del dialogo con Prodi e con gli altri ex dc dell'Unione; a danno di Fini evoca una grande coalizione (resa possibile dal meccanismo germanico) che renderebbe marginale An. Inoltre in ogni sistema proporzionale puro l'incarico di formare il governo spetta al partito di maggioranza relativa; che con ogni probabilità sarebbe quello guidato da Berlusconi. Cos'è il sistema tedesco? È un proporzionale mascherato da maggioritario. Ogni elettore esprime due voti: con uno sceglie una lista, decretando quanti seggi spetteranno a ciascun partito. Con l'altro sceglie un candidato nel proprio collegio maggioritario. Per "riempire" la quota spettante ai vari partiti si prendono prima i vincitori nei collegi maggioritari, poi si comincia a pescare dalle liste bloccate. Le altre due caratteristiche sono una soglia di sbarramento al 5 per cento e l'assenza di un premio di maggioranza, ossia dell'unico sistema che obbliga a prestabilire le alleanze. È quindi possibile (come nella grande coalizione tra Spd e Cdu guidata da Angela Merkel) che partiti avversari in campagna elettorale poi stringano un'alleanza. Per questo il tedesco è inviso ai bipolaristi doc come i prodiani, i referendari e i finiani. Piace invece a Rifondazione, perché obbligherebbe i "nani" di sinistra (Verdi, Pdci, Sd) a dar vita alla Cosa rossa onde superare la tagliola del 5 per cento. E piace all'Udc perché potrebbe farne l'ago della bilancia. Per i grandi (Fi e Pd) il vantaggio sta nel fatto che l'assenza del premio di maggioranza non li obbliga a fare ammucchiate eterogenee, come è capitato all'Unione che conta ora 11 partiti. Ciascuno con il suo ultimatum quotidiano. Cos'è il sistema spagnolo? Un proporzionale con collegi molto piccoli. Più i collegi sono piccoli, meno candidati vi si eleggono e quindi più voti ci vogliono per conquistare un seggio. In tal modo in Spagna sono rimasti in vita solo tre partiti nazionali: il Psoe, il Pp e l'Izquierda unita. Su cosa si sta trattando in questi giorni? Veltroni ha offerto un mix fra tedesco e spagnolo: proporzionale, collegi piccoli, niente premio di maggioranza, scelta popolare degli eletti attraverso collegi maggioritari. A causa dei microcollegi funzionerebbe una soglia di sbarramento oscillante tra il 6 e l'8 per cento. Almeno in teoria, è un sistema che dovrebbe accontentare parecchi: dà più forza ai grandi partiti lasciandoli con le mani libere, aiuta la Cosa rossa, risparmia Lega e (forse) Udeur che in Lombardia e Campania riuscirebbero comunque a ottenere una manciata di seggi. Quante sono le possibilità di un accordo? Non superano il 50 per cento. Tutti i piccoli partiti sono preoccupati dalla soglia ombra del Veltronellum, da loro giudicata troppo alta. Ma Berlusconi e Veltroni non sono disposti a concedergli più di tanto, per non vanificare l'effetto semplificazione. Se no, meglio puntare sul referendum, anche col plauso di An. Senza contare che sposando il proporzionale Veltroni e Berlusconi intravedono approdi diversi: il primo (come Prodi) è allergico a ogni ipotesi di grande coalizione; il secondo (forse in segreta sintonia con Massimo D'Alema) non la esclude.


Big bang della libertà (sezione: Riforma elettorale)

( da "Panorama" del 26-11-2007)

 

Big bang della libertà MARIO SECHI CENTRODESTRA La mossa del Cavaliere ha sparigliato gli alleati. Ecco che cosa pensano. E che cosa faranno. Roma, via della Scrofa, vertice dell'ufficio politico di Alleanza nazionale. Discussione sullo strappo del Cavaliere. "Ma Berlusconi che vuole?". "La legge elettorale". "Sì, ma quale sistema?". "Il sistema tedesco". Dalla nuvola di fumo s'alza una voce: "Allora ragazzi, parliamoci chiaro: il sistema tedesco l'abbiamo provato già una volta e. abbiamo perso la guerra!". La battuta è di Maurizio Gasparri e fotografa bene il dritto e il rovescio che si alternano nel campo di terra battuta del centrodestra. Silvio Berlusconi ha smesso di giocare da fondo campo, è sceso sotto rete inventando un nuovo partito, quello del Popolo della libertà, spiazzando alleati (e avversari) e ponendosi al centro del dialogo sulla riforma della legge elettorale. Cancelli aperti al Pd, ponte levatoio alzato per sbarrare la strada al cavallo di Troia degli alleati. Basta strategia del logoramento. Il Cav. ha sorpreso tutti, ma chi ne osserva le mosse sa che quando viene dato per sconfitto e con le spalle al muro offre il meglio di sé: decisionismo e immaginazione. Il Partito del popolo della libertà nasce nell'istante in cui Berlusconi sente scosse telluriche tra i berluscones di An (Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri) e le fiammate azzurre (Ferdinando Adornato). "Cambio di passo e delle regole del gioco interno" dice Fabrizio Cicchitto. Il vicecoordinatore di Forza Italia, fischiato da An durante il convegno di Assisi, è sicuro che "siamo di fronte a una ristrutturazione complessiva del sistema. Il nuovo partito si piazzerà al centro del sistema politico italiano, perché Berlusconi ha realizzato di non poter continuare ad andare avanti con un bipolarismo distruttivo perfino all'interno del centrodestra". Un nuovo partito dunque, ma perché non appaia come un restyling (prima bordata critica lanciata da An) ha bisogno di consenso tra i potenziali elettori, struttura e sostanza. Scorrendo i dati del sondaggio condotto dalla Unicab per Panorama (vedere a pagina 42), il gradimento dei cittadini c'è, anche tra chi vota centrosinistra. Se il 69,2 per cento degli elettori del centrodestra e il 10,4 per cento di quelli di centrosinistra si dichiarano favorevoli alla sua nascita, significa che c'è spazio per allargare il bacino dei votanti. C'è un problema di brand, di marchio (Berlusconi lo sa, tanto che il nome non è definitivo e pensa a un referendum tra gli elettori), perché il Partito del popolo della libertà piace molto al 46,9 per cento degli elettori del centrodestra ma poco a un consistente 41 per cento. La base di partenza sembra solida, resta da capire come Berlusconi intenda dare struttura e sostanza alla sua creatura politica. Serve una road map del Pdl, un percorso che sfocierà nel nuovo partito. È in discussione e avrà due fasi: la prima prevede la tenuta di Forza Italia sul territorio (si completeranno tutti i congressi del partito dove ancora non sono stati celebrati) e la raccolta di preadesioni al Pdl da parte sia di singoli sia di associazioni che comincerà il 2 dicembre. Il 31 gennaio si terrà l'assemblea costituente e da quel momento partirà la vera e propria edificazione del nuovo partito. Tempi? Rapidi, 6 mesi al massimo. Partito nuovo con o senza gli alleati? È la domanda fondamentale che secondo i dati del sondaggio Unicab divide l'elettorato di centrodestra tra un 48,4 per cento di favorevoli e un 42,9 per cento di contrari. È la traduzione in numeri di un dato politico già noto: il bisogno di una casa comune e non di un condominio dove i partiti della Cdl litigano. Di questo sono consapevoli anche An e Udc, ma le reazioni alla mossa di Berlusconi sono profondamente diverse. Il partito di Fini ha scelto l'arroccamento, vive la scissione di Francesco Storace e l'innesto di Daniela Santanchè nella Destra con un nervosismo tale da imputarne la nascita a Berlusconi, vede il sistema elettorale tedesco come un "tagliafuori" per An e un invito a nozze per l'Udc di Casini. "In questa vicenda le pance hanno prevalso sui cervelli, non solo dalla parte di An. Proprio per questo non possiamo accettare l'appello di Berlusconi" dice Maurizio Gasparri, che alla fine torna a battere il tasto dolente: "Insomma, il Cavaliere è andato dalla Destra e secondo me c'era un compiacimento eccessivo. Poi siamo al paradosso per cui Storace, che prima vomitava contro il governo della Cdl, oggi fa l'alleato". E Fini? È in preda alle sue furie. Nei corridoi dei passi perduti, alla Camera, salutando Roberto Menia, Ferruccio Saro e Alfredo Biondi, è arrivato a dire: "Non mi farò distruggere, questo governo potrebbe andare avanti... Se Berlusconi crede di ritornare a Palazzo Chigi con i miei voti, si sbaglia". Intanto si è messo in lista per parlare con Walter Veltroni di riforma elettorale (summit il 26 novembre) e ha imputato a Berlusconi il tradimento del patto di Gemonio sul bipolarismo, ma ai piani alti di Forza Italia si fa notare che "proprio Fini ha tradito quel patto subito dopo il voto del Senato sulla Finanziaria. Si è presentato come il professionista della politica che risolve tutto e in tre passaggi media (lettera al Corriere della sera, intervista alla Repubblica e colloquio a Panorama del giorno su Canale 5) ha bombardato Forza Italia. Che doveva fare Berlusconi, farsi logorare come all'epoca del subgoverno?". Lo scorso settembre il patto di Gemonio chiesto e ottenuto da Umberto Bossi fu suggellato con una formula tremontiana: "Bretelle e cintura". Se Prodi non cade al Senato, le bretelle non tengono più, ma resta la cintura e si fa insieme la riforma elettorale. An e il suo leader invece hanno dato l'impressione netta a Forza Italia (e alla stessa Udc, silente ma democristianamente attenta alle mosse altrui) di voler sfilare sia le bretelle sia la cintura per poi lasciare il Cavaliere in brache di tela. Mentre Bossi insegue il suo disegno (evitare il referendum) e con questo obiettivo chiaro il Carroccio sostiene il progetto "aperturista" di Berlusconi, la crepa con An si allarga a tutto vantaggio dell'Udc. È il mondo di ieri alla rovescia. Casini gioca tutta la partita sulla riforma elettorale e al contrario di Fini non teme il "Veltrusconi", l'accordo tra Berlusconi e Veltroni. Fra i centristi ci sono abili tattici (Bruno Tabacci) e insuperabili dragatori di voti (Mario Baccini), ma se si gioca a Risiko, l'ex presidente della Camera ascolta attentamente quello che dice il suo senatore Francesco D'Onofrio: "Il Partito del popolo della libertà è esattamente quello che Berlusconi fa e pensa dal 1994, ne è la naturale prosecuzione" spiega a Panorama. "L'Udc non deve confluire ora in questo nuovo partito" continua D'Onofrio "ma è chiaro che non deve fare né spallate né spallucce. Berlusconi non esclude che ci siano le elezioni in primavera e per questo siamo a un passaggio intermedio del suo progetto. Ma non ci sono dubbi che entro gennaio noi dell'Udc dobbiamo prendere un'iniziativa istituzionale seria, capire cioè se si può andare a un sistema elettorale tedesco puro e non ai pastrocchi. Della mossa del Cavaliere colgo l'aspetto popolare e non populista, in questo è un innovatore. Allora bisogna essere conseguenti, tradurre in fatto istituzionale questa parte rilevante dell'innovazione popolare di Berlusconi". L'ipotesi del "centrino" non convince D'Onofrio: "Perché l'Udc non fosse attratta da un polo di centro piccolo e non di governo occorreva proprio un doroteo illuminato come Casini e non un moroteo piccolo come Follini". Niente salti a sinistra, forse più probabile provare a fare l'ago della bilancia. Questo sembrerebbe pensare Baccini, il granaio di voti Udc nel Lazio: "Possiamo coprire uno spazio politico potenziale del 10-12 per cento, creare un centro giscardiano. L'apertura di Berlusconi alla riforma elettorale a noi va benissimo: siamo sempre stati i templari del proporzionale". I rapporti con via della Scrofa, strettissimi all'epoca del subgoverno An-Udc, sono cambiati, la competizione tra i leader si sente e il testacoda di Fini determinato dallo sparigliamento di Berlusconi mette Casini in condizione di vantaggio. Baccini è chiaro: "O Fini arriva alle nostre posizioni, oppure An è destinata ad avere un ruolo marginale". Le posizioni ufficiali Udc sono felpate. Ci pensa Carlo Giovanardi a scartavetrare qua e là i compagni di ventura: "Se nasce la sezione italiana del Partito popolare europeo, come facciamo noi dell'Udc a starne fuori? Diventerebbe incomprensibile, un fatto personale contro Berlusconi. Per me l'idea di trasformare il partito in ago della bilancia resta inaccettabile. Noi siamo pronti a uscire". Forse non ce ne sarà bisogno. An è nel bunker, l'Udc sta alla finestra, Forza Italia è in fase reloaded. Ma al centrodestra, per evitare il big bang delle libertà, in questo momento sembra mancare quello che Battiato cantava: il centro di gravità permanente. l.


L. ELETTORALE/ BINDI: IL VELTRONELLUM SA DI PRIMA REPUBBLICA (sezione: Riforma elettorale)

( da "Virgilio Notizie" del 26-11-2007)

 

26-11-2007 10:51 Alla Stampa: "No a gestione personale Pd, alleati con Cosa Rossa" Roma, 26 nov. (Apcom) - La rifoma elettorale proposta dal leader del Pd Walter Veltroni, un proporzionale alla tedesca, il cosiddetto 'veltronellum', "è una legge che ci riporta all'antico, alla Prima Repubblica, alla vecchia Dc col proporzionale, ai governi con crisi extra-parlamentare". Il ministro per la Famiglia Rosy Bindi, intervistata da La Stampa, avverte Veltroni: sulla nuova legge "andando avanti così riuscirà pure ad avere il via libera di Berlusconi, ma magari io poi la riforma non gliela voterò". Secondo Bindi con il 'veltronellum' "i cittadini non scelgono le alleanza e i governi, ma lasciano il segretario del maggior partito, cioè il Pd, libero di decidere poi con chi allearsi per governare": al contrario "dobbiamo avere la forza di scegliere una legge elettorale che restituisca al Paese un bipolarismo maturo" e non "una politica delle mani libere nella quale a decidere non sono gli elettori". Quindi "occorre una cosa sola: il maggioritario. Anche perchè il veltronellum non ferma il referendum". Ma al ministro non piace nemmeno la gestione del neonato Partito democratico: "Non è pensabile che la fase costituente del partito, quella che deve essere di maggiore coinvolgimento e pluralità, sia affidata alle decisioni di Veltroni e dei segretari regionali e con regole improvvisate che cambiano a ogni riunione. Serve un ufficio politico ristretto, nel quale si condividano le decisioni politiche". Altrimenti, continua, "la gestione personale del Pd rischia di far tornare proprio il partito delle tessere" che Veltroni ha sempre stigmatizzato. Sulle future alleanza, poi, Bindi aupica "un Pd davvero di centrosinistra, che renda inconsistente la Cosa Bianca e che lavori per una Cosa Rossa davvero democratica, con la quale allearsi. Ma soprattutto un Pd con la capacità di interpretare anche il riformismo cattolico, altrimenti - conclude - saremmo una riedizione in salsa socialdemocratica dei diesse, con qualche satellite annesso".


Ha un bel dire Franceschini che nel Partito democratico la democrazia c'è davvero (sezione: Riforma elettorale)

( da "Stampa, La" del 26-11-2007)

 

"Ha un bel dire Franceschini che nel Partito democratico la democrazia c'è davvero... Io la bozza di riforma elettorale per ora l'ho vista solo sui giornali, mentre Gianni Letta ce l'ha, il Veltronellum gli è stato consegnato personalmente dal coordinatore del partito Goffredo Bettini, alla sua festa di compleanno. Per carità, Bettini è più amico di Gianni Letta che mio e può invitare alle feste chi gli pare, ma andando avanti così Veltroni riuscirà pure ad avere il via libera di Berlusconi, ma magari io poi quella riforma non gliela voto...". Giornata di riposo a spasso per le amate Dolomiti. Ossigenazione profonda e rigenerazione. Dunque, una Rosy Bindi più grintosa del solito, se possibile. Ministro Bindi, dica la verità: il punto è che il Veltronellum proprio non le piace. E ancora meno la gestione del Partito democratico. "Infatti. Non è pensabile che la fase costituente del partito, quella che deve essere di maggiore coinvolgimento e pluralità, sia affidata alle decisioni di Veltroni e dei segretari regionali, e con regole improvvisate che cambiano a ogni riunione. Serve un ufficio politico ristretto, nel quale si condividano le decisioni politiche". Bindi, ma così le replicheranno che lei vuole un politburo che affianchi Veltroni. Proprio lei chiede spazio per i Rutelli, i Fioroni, i D'Alema, i Fassino? "Noto che il coordinamento nazionale non si è mai riunito, e che l'esecutivo non è un luogo decisionale, ma un organismo operativo del segretario. L'ufficio politico serve. E poi, scusi, quelle di cui lei parla sono figure istituzionali, vicepremier, capigruppo in Parlamento, segretari di partito, il gestore della fase costituente che è Bettini. E poi ci sono gli altri candidati alle primarie, certo". E la proposta di riforma elettorale avanzata da Veltroni? "Non è possibile che la si debba apprendere dai giornali. Io rappresento almeno le 500 mila persone che mi hanno votato, avrò diritto a conoscerla prima che la conosca l'opposizione, o no? La gestione personale del Pd rischia di far tornare proprio il partito delle tessere. Lo farà tornare, il partito delle tessere si riorganizzerà, e annullerà il percorso innovativo iniziato con le primarie. E una mano in questa direzione la darà proprio anche il tipo di riforma elettorale che si propone". Addirittura? "E' una legge elettorale che ci riporta all'antico, perché i cittadini non scelgono le alleanze e i governi, ma lasciano il segretario del maggior partito, cioè il Pd, libero di decidere poi con chi allearsi per governare. Questo è un ritorno alla Prima Repubblica, alla vecchia Dc col proporzionale, ai governi con crisi extra-parlamentari. E, mi creda, di quella stagione non c'è nulla da rimpiangere. Dobbiamo avere la forza di scegliere una legge elettorale che restituisca al Paese un bipolarismo maturo". Questo è proprio il fine che Veltroni dice di perseguire. Non la convince? "No, perché la legge che ha proposto non persegue il bipolarismo, persegue una politica delle mani libere, nella quale a decidere non sono gli elettori. E le elezioni potrebbe vincerle Berlusconi, ricordiamocelo: il lancio della proposta di legge elettorale da parte di Veltroni ha coinciso con la fine della Casa delle Libertà, tanto che oggi apprendiamo dallo stesso Berlusconi che per cinque anni gli italiani sono stati governati da un ectoplasma... E' come se Veltroni e Berlusconi dicessero: facciamo la competizione tra noi, e poi chi di noi vince decide che fare, con chi allearsi, con chi fare il governo. No, per il bipolarismo occorre una cosa sola: il maggioritario. Anche perché il Veltronellum non ferma il referendum. Che si vuol fare? Se il referendum si tiene, il governo cade, questo è chiaro. Si vuol far cadere il governo?". Possiamo dedurre che lei non apprezza nemmeno la Cosa Bianca di Pezzotta-Tabacci? "Che non piace nemmeno a D'Alema... Apprendo con piacere che non l'apprezza nemmeno Franceschini. Ma a Dario vorrei dire che se non gli va un Pd che è una evoluzione della socialdemocrazia, allora i cattolici devono fecondare il Pd, e questo può avvenire solo se si fa un partito plurale. Io voglio sapere: se nasce una Cosa Bianca e una Cosa Rossa, il Partito democratico con chi si allea?". Lei con chi si alleerebbe? "Io vorrei un Pd davvero di centrosinistra, che renda inconsistente la Cosa Bianca, e che lavori per una Cosa Rossa davvero democratica, con la quale allearsi. Ma soprattutto un Pd con la capacità di interpretare anche il riformismo cattolico, altrimenti saremmo una riedizione in salsa socialdemocratica dei diesse, con qualche satellite annesso". Lei ha consigliato a Prodi la fiducia sul Welfare. Perché? "Perché non si può lasciare un protocollo frutto di un accordo tra le parti sociali nel tira-e-molla tra Dini e Rifondazione. Ciò detto, quell'accordo non è l'omega: quello che manca davvero all'accordo di luglio è tutta la politica per le donne e la politica per la famiglia. Congedi parentali, asili nido, incentivi all'occupazione femminile, il part-time... Tutto ciò che serve a un Welfare moderno".


Veltroni inizia i colloqui per le riforme: faccia a faccia con Fini (sezione: Riforma elettorale)

( da "Rai News 24" del 26-11-2007)

 

Roma | 26 novembre 2007 Veltroni inizia i colloqui per le riforme: faccia a faccia con Fini Walter Veltroni "Il punto è portare l'Italia fuori dal tunnel. Per riuscirci, la legge elettorale non basta. E certamente, per noi è inaccettabile il dire facciamo la legge elettorale e poi andiamo subito a votare". Walter Veltroni cerca di tenere separati, ancora una volta i percorsi del governo Prodi e delle riforme alle quali lavora con il Pd. Ma l'avvio dei colloqui sulle riforme, questo pomeriggio, con il presidente di An Gianfranco Fini riaccende distinguo e sospetti a sinistra, mentre nella CdL proseguono le reciproche accuse fra Silvio Berlusconi e gli (ex) alleati di centrodestra. Bindi: attento Walter La rifoma elettorale proposta dal leader del Pd, un proporzionale alla tedesca, "è una legge che ci riporta all'antico, alla Prima Repubblica, alla vecchia Dc col proporzionale, ai governi con crisi extra-parlamentare", attacca il ministro per la Famiglia Rosy Bindi, intervistata da La Stampa. E avverte Veltroni: sulla nuova legge "andando avanti cosi' riuscirà pure ad avere il via libera di Berlusconi, ma magari io poi la riforma non gliela voterò". Angius: no al referendum "Quella del referendum è un'iniziativa a mio modo di vedere sconsiderata", dichiara, intanto, il senatore Gavino Angius (Partito socialista), ospite questa mattina ad 'Omnibus' su La7. Secondo Angius, infatti, "il referendum è una bomba a orologeria contro il governo, e, qualora si dovesse svolgere, aprirebbe una lacerazione profonda all'interno del centrosinistra prima ancora che nel centrodestra". Angius ha poi aggiunto: "Io non condivido in radice la proposta elettorale avanzata da Veltroni. Il referendum e il vassallum, infatti, produrrebbero lo stesso effetto: affidare a due soli partiti la competizione elettorale, e ridurre tutti gli altri ad una condizione servente". Cespugli Tra i 'partiti minori' dell'Unione serpeggia il timore per l'inciucio' Veltroni-Berlusconi. Lo lamenta Pino Sgobio dei Comunisti italiani, mentre Angelo Bonelli dei Verdi è preoccupato "dall'assenza di confronto nell'Unione". Non a caso il presidente della Camera Fausto Bertinotti ci tiene a precisare, con dovizia di argomentazioni, che "un asse fra Veltroni e Berlusconi non è nel novero delle cose possibili: nessuno dei due in realtà avrebbe da guadagnarci". Alemanno: discutiamo Per Gianni Alemanno Fini nell'incontro con Veltroni manifesterà "un'ampia disponibilità a varare leggi che confermano il bipolarismo. E' chiaro che le riforme costituzionali aiutano a trovare un contenuto bipolare più solido - spiega Alemanno in una intervista a 'Repubblica' - Noi continueremo a fare di tutto per far cadere il governo Prodi, ma nel frattempo non vediamo alcun motivo per bloccare il lavoro sulle rifome. Respingiamo quindi la connessione che ha fatto Berlusconi, secondo il quale non si può lavorare alla riforma della Costituzione altrimenti si prolunga la vita del governo". Sul conflitto di interessi, l'esponente di An dice: "Non vogliamo fare da sponda alla sinistra. Ma è chiaro che questi temi, se non sono utilizzati per aggredire Berlusconi, possono far parte di un ragionamento complessivo".


Bluff, contro-bluff e veleni (sezione: Riforma elettorale)

( da "Opinione, L'" del 26-11-2007)

 

Oggi è Lun, 26 Nov 2007 Edizione 257 del 24-11-2007 Quando la politica sembra una partita a poker Bluff, contro-bluff e veleni di Guglielmo Fedeli Veltroni ha aperto le ostilità con un bluff sopraffino. Mentre tutti si aspettavano che difendesse il bipolarismo che, come spiegavano i politologi, sarebbe convenuto in termini elettorali al PD (essendo il partito leader del centrosinistra e togliendo di mezzo i cespuglietti litigiosi), il teorico del "ma-anchismo" rinnega ancora se stesso e la sua manifestata simpatia per il referendum. Eccolo quindi inventarsi un sistema proporzionale, senza premio di maggioranza e con correzione alla spagnola (olè!). E' forse impazzito? Non è stato Veltroni bensì Crozza mascherato da Veltroni a dare il tanto atteso pronunciamento sulla legge elettorale? Noooo, è solo un bluff! Per tener buoni i cespuglietti al governo e cercare di crear scompiglio nel centro destra, allettando Pierfi in Caltagirone con la possibilità del "grande centro" e strizzando l'occhio alla Lega con la correzione spagnola sui collegi elettorali. Tanto sa benissimo che la sua proposta di legge non troverà mai la maggioranza in Parlamento, ma otterrà così due risultati: passerà comunque per un volenteroso riformatore? ed allungherà contemporaneamente la vita al malato terminale Prodi. Complimenti! Il grande statista Fini(to), accecato dall'odio verso Berlusconi (o dall'amore?), abbocca come un tonno e si precipita ad annunciare che si è aperta la stagione delle riforme e che è pronto a collaborare con Veltroni! Ma come? Non era lui il bipolarista convinto? Non si era impegnato per il referendum? Come crede di poter mediare un accordo partendo da due ipotesi di legge elettorale così in contrasto fra loro? E qui arriva il genio di Berlusconi. Ok, dice, vedo! Spariglia tutte le carte in tavola e dichiara che si siederà lui con Walter, per accordarsi (bluff n°.2) sulla base della proposta bluff n°1. Polpetta avvelenata rigettata nel campo dell'avversario? e tutti preoccupati che non sanno più che pesci prendere (tra lo sgomento dei migliori politologi). Fini ormai delira con la bava alla bocca, Casini teme che il grande centro se lo faccia Berlusconi senza di lui, i cespugli impazziscono all'idea che Berlusconi possa avallare la proposta di Veltroni, condannandoli ad un'inesorabile scomparsa. Tutti in fine preoccupati che possa nascere il mitologico mostro bicefalo: il Veltrusconi! (Governo bipartito, stile "Gross Koalizionen Ja?": 65% e tutti a casa; Schnell, nein Cafini, nein cespuglien!). L'unico che non perde la calma è l'altro pokerista professionista, che ha bluffato sapendo di non avere niente in mano. E con calma, serenamente, con moderazione e pacatezza, rialza la posta sul tavolo: niente elezioni anticipate, bensì riforme costituzionali! E no, adesso basta, finitela! Ormai l'abbiamo capito a che gioco state giocando (per primi Mastella e Diliberto). Ma di quale nuova legge elettorale state cianciando? Una qualsiasi proposta di legge comune B+V avrebbe la maggioranza solamente in teoria, perché questo parlamento non potrà mai approvarla, in quanto subito prima cadrebbe l'attuale governo (Mastella l'ha già detto che uscirebbe anche lui dalla maggioranza?e buonanotte a Prodi), quindi la palla passerebbe nelle mani di Napolitano (scusatemi se non riesco proprio a chiamarlo Presidente) e si aprirebbero nuovi scenari?o elezioni anticipate con l'attuale "porcellum". Ma prima di tutto ciò c'è l'incognita referendum, che se passasse alla Consulta farebbe cadere prima il bluff di entrambi i giocatori, che potrebbero a quel punto decidere di tornare a fare i bipolaristi maggioritari. Insomma, tanto rumore per nulla!.


VELTRONI-TREMONTI, PROVE DI DIALOGO (sezione: Riforma elettorale)

( da "Mattino, Il (Circondario Sud2)" del 26-11-2007)

 

Veltroni-Tremonti, prove di dialogo TERESA BARTOLI Roma. Oggi l'incontro con Gianfranco Fini, venerdì quello con Berlusconi. In mezzo, la trattativa con gli alleati e i colloqui con Udc e Lega. Walter Veltroni si presenta alla settimana clou del confronto sulla legge elettorale indicando gli obiettivi e fissando i paletti invalicabili: "Portiamo, tutti insieme, l'Italia fuori dal tunnel, poi ognuno farà la sua strada. Sarebbe però sbagliato dire facciamo la legge elettorale e andiamo a votare. Questo per noi è inaccettabile". È "inaccettabile", spiega il leader del Pd, non solo perché il sostegno al governo è fuori discussione ma anche perché "la riforma elettorale da sola non basta a far uscire dalla crisi il sistema politico italiano". Per questo Veltroni ripete - da Saint Vincent dove ha partecipato ad un convegno con Giulio Tremonti e Savino Pezzotta - che "bisogna avere la forza di dire che c'è un governo scelto dagli italiani, faccia la sua parte, intanto noi, forze politiche, distinguendo la sfera del governo da quella delle regole, scriviamo insieme le regole del gioco per le quali, alla fine di quest'anno, è possibile che l'Italia metta la testa fuori dal tunnel". Nel merito della legge elettorale, Veltroni ribadisce che "va bene il sistema proporzionale, va bene che non ci sia il premio di maggioranza, ma tutto questo va bene se c'è un meccanismo che rafforza l'elemento bipolare". Il sistema tedesco corretto che elementi che diano stabilità "non è la fine del bipolarismo, è un nuovo bipolarismo virtuoso che non è il bipartitismo". La prima risposta arriva in diretta da Tremonti: "Per fare le riforme serve un'atmosfera diversa da quella che c'è stata finora" ha detto ricordando che "quando hanno fatto la Costituzione nello stesso governo c'erano De Gasperi e Togliatti". Chiarisce subito che non è la proposta di un governo di larghe intese ma solo la constatazione che "è difficile fare la riforme la mattina e l'opposizione nel pomeriggio". Sempre da Forza Italia, però, Marcello Dell'Utri conferma che Berlusconi è pronto al confronto perché "si fida di Veltroni" e vede una situazione diversa da quella del 99 quando la sinistra radicale condizionava troppo la maggioranza. In attesa del faccia a faccia clou di venerdì, è la maggioranza dell'Unione a discutere e dividersi. Il presidente della Camera Fausto Bertinotti ribadisce che "si parte dal sistema tedesco" e avverte che il dialogo va benissimo, che non ci sono "rischi di inciucio" ma è ora che "si prenda coscienza che l'iniziativa parlamentare è irrinviabile". Un attacco a Veltroni arriva da Arturo Parisi, ulivista e sostenitore del referendum che teme nostalgie proporzionaliste e difende il bipolarismo sostenendo che "non si ha diritto di imporre una scelta determinante per il Paese e per la stessa natura di un partito che affida la sua identità all'aggettivo Democratico al di fuori di ogni organo e procedura democratica dopo averla sottratta al dibattito tra i cittadini in occasione delle primarie". In fibrillazione anche i partiti minori. Nell'Unione e all'opposizione. Il verde Angelo Bonelli chiede di "difendere il bipolarismo" perché "il rischio che abbiamo di fronte è quello di una riedizione pasticciata del compromesso storico". Dal Pdci è il capogruppo Pino Sgobio a denunciare il "rischio inciucio" che dovrebbe allarmare Prodi "perché vedrebbe implodere l'Unione con gravissime conseguenze per il bipolarismo". Dal fronte opposto è il leghista Roberto Calderoli ad avvertire che "se l'inciucio è per fare una legge elettorale è evidente che il leader di maggioranza e opposizione si debbano confrontare. Se invece è uno strumento per fare trucchini e trucchetti allora staremo bene attenti a farlo saltare come siamo stati attenti a farlo saltare in passato".


Fini-Veltroni: legge elettorale insieme a riforma di istituzioni (sezione: Riforma elettorale)

( da "Reuters Italia" del 26-11-2007)

 

6.43 Versione per stampa ROMA (Reuters) - L'incontro del segretario del Pd Walter Veltroni con il leader di An Gianfranco Fini si è concluso oggi con l'intesa di principio che la riforma elettorale non può prescindere da riforme istituzionali che rafforzino l'esecutivo, mentre restano le distanze sulla scelta del nuovo sistema di voto. "Il fatto che ci siamo riuniti per discutere delle regole del gioco è la prima vera novità", ha detto Veltroni in una conferenza stampa dopo avere incontrato Fini a Montecitorio, in un atteso faccia a faccia dopo lo strappo di Silvio Berlusconi con gli altri partiti del centrodestra. "Con Fini siamo d'accordo che non esiste un problema esclusivo di legge elettorale e pertanto non ci può essere una discussione sulla legge elettorale senza che si affronti anche la modifica dell'assetto istituzionale", ha detto Veltroni. "Per An la questione della modifica della Costituzione e del sistema di voto sono strettamente intrecciate", ha detto Fini, che ha parlato davanti ai giornalisti poco prima del segretario del Pd, senza che i due si concedessero a telecamere e fotografi per una stretta di mano. Ognuno ha messo i suoi paletti di rito alla discussione bipartisan. Fini ha detto che il dialogo sulle regole non comporta "benevolenza" verso il governo di Prodi e che, se questo cade, e non c'è più maggioranza e la parola spetta agli elettori. Veltroni ha precisato che "il nostro sguardo va prima alla coesione della maggioranza" di governo. Poi però la sottolineatura di entrambi va sul minimo comune denominatore: la discussione sulla nuova legge elettorale va combinata con una riforma istituzionale che preveda "la riduzione del numero dei parlamentari, il rafforzamento dei poteri dell'esecutivo e la fine del bicameralismo perfetto", come ha detto oggi Fini. Si tratta di una riforma che prevederebbe il mutamento di pezzi importanti della Costituzione -- con un iter legislativo lungo e una maggioranza di due terzi del Parlamento se non si vuole correre poi il rischio del referendum -- ma entrambi i leader aprono alla possibilità di apportare alcuni di questi cambiamenti attraverso la stessa legge elettorale. "Ci vogliono norme di tipo costituzionale e elementi di legge elettorale che rafforzino il bipolarismo", ha detto Veltroni. Anche Fini sostiene che la "via maestra è l'intervento sulla Costituzione", ma apre all'ipotesi di modificare il massimo possibile del sistema attraverso la legge elettorale. Eppure sul contenuto di quest'ultima accordo ancora non c'è. "Vogliamo uscire dal bipolarismo forzoso, con alleanze coatte, ed entrare in un'altra stagione del bipolarismo sulla base di un sistema proporzionale. Le due cose non sono in contraddizione", ha detto Veltroni. Da parte sua, Fini boccia la prima proposta veltroniana di un proporzionale con soglia di sbarramento e altri correttivi, dicendo che la sua "stella polare è un sistema che garantisca agli elettori di scegliere il partito, la coalizione, il programma e il candidato premier". Sia Veltroni che Fini sostengono che la discussione sulle "regole del gioco" non incide su altre scelte politiche come la riforma radiotelevisiva e del conflitto di interessi, che Berlusconi considera un "attentato" contro la sua persona. Ma Veltroni ha osservato che l'adesione di An su una proposta di legge ulivista sul sistema politico c'è già stata e riguarda la modifica dei regolamenti parlamentari, in base alla quale dalla prossima legislatura i gruppi saranno ammessi in Parlamento soltanto se avranno la stessa denominazione con cui si sono presentati agli elettori.


Fini-Veltroni: legge elettorale insieme a riforma di istituzioni (sezione: Riforma elettorale)

( da "Websim" del 26-11-2007)

 

NOTIZIE FLASH 26 Novembre 07 ora 18:42 Fini-Veltroni: legge elettorale insieme a riforma di istituzioni ROMA, 26 novembre (Reuters) - L'incontro del segretario del Pd Walter Veltroni con il leader di An Gianfranco Fini si è concluso oggi con l'intesa di principio che la riforma elettorale non può prescindere da riforme istituzionali che rafforzino l'esecutivo, mentre restano le distanze sulla scelta del nuovo sistema di voto. "Il fatto che ci siamo riuniti per discutere delle regole del gioco è la prima vera novità", ha detto Veltroni in una conferenza stampa dopo avere incontrato Fini a Montecitorio, in un atteso faccia a faccia dopo lo strappo di Silvio Berlusconi con gli altri partiti del centrodestra. "Con Fini siamo d'accordo che non esiste un problema esclusivo di legge elettorale e pertanto non ci può essere una discussione sulla legge elettorale senza che si affronti anche la modifica dell'assetto istituzionale", ha detto Veltroni. "Per An la questione della modifica della Costituzione e del sistema di voto sono strettamente intrecciate", ha detto Fini, che ha parlato davanti ai giornalisti poco prima del segretario del Pd, senza che i due si concedessero a telecamere e fotografi per una stretta di mano. Ognuno ha messo i suoi paletti di rito alla discussione bipartisan. Fini ha detto che il dialogo sulle regole non comporta "benevolenza" verso il governo di Prodi e che, se questo cade, e non c'è più maggioranza e la parola spetta agli elettori. Veltroni ha precisato che "il nostro sguardo va prima alla coesione della maggioranza" di governo. Poi però la sottolineatura di entrambi va sul minimo comune denominatore: la discussione sulla nuova legge elettorale va combinata con una riforma istituzionale che preveda "la riduzione del numero dei parlamentari, il rafforzamento dei poteri dell'esecutivo e la fine del bicameralismo perfetto", come ha detto oggi Fini. Si tratta di una riforma che prevederebbe il mutamento di pezzi importanti della Costituzione -- con un iter legislativo lungo e una maggioranza di due terzi del Parlamento se non si vuole correre poi il rischio del referendum -- ma entrambi i leader aprono alla possibilità di apportare alcuni di questi cambiamenti attraverso la stessa legge elettorale. "Ci vogliono norme di tipo costituzionale e elementi di legge elettorale che rafforzino il bipolarismo", ha detto Veltroni. Anche Fini sostiene che la "via maestra è l'intervento sulla Costituzione", ma apre all'ipotesi di modificare il massimo possibile del sistema attraverso la legge elettorale. Eppure sul contenuto di quest'ultima accordo ancora non c'è. "Vogliamo uscire dal bipolarismo forzoso, con alleanze coatte, ed entrare in un'altra stagione del bipolarismo sulla base di un sistema proporzionale. Le due cose non sono in contraddizione", ha detto Veltroni. Da parte sua, Fini boccia la prima proposta veltroniana di un proporzionale con soglia di sbarramento e altri correttivi, dicendo che la sua "stella polare è un sistema che garantisca agli elettori di scegliere il partito, la coalizione, il programma e il candidato premier". Sia Veltroni che Fini sostengono che la discussione sulle "regole del gioco" non incide su altre scelte politiche come la riforma radiotelevisiva e del conflitto di interessi, che Berlusconi considera un "attentato" contro la sua persona. Ma Veltroni ha osservato che l'adesione di An su una proposta di legge ulivista sul sistema politico c'è già stata e riguarda la modifica dei regolamenti parlamentari, in base alla quale dalla prossima legislatura i gruppi saranno ammessi in Parlamento soltanto se avranno la stessa denominazione con cui si sono presentati agli elettori. ((Roberto Landucci, Redazione General News Roma +3906 85224380, fax +3906 8540860, italy.online@news.reuters.com)).



 

 

 

Indice degli articoli del 16-10-2007

 

Una spinta al bipolarismo Ora tocca al centrodestra ( da "Giornale di Brescia" del 16-10-2007)

Una strada obbligata ma non nel breve termine ( da "Eco di Bergamo, L'" del 16-10-2007)

 

Una spinta al bipolarismo Ora tocca al centrodestra (sezione: Riforma elettorale)

( da "Giornale di Brescia" del 16-10-2007)

Edizione: 16/10/2007 testata: Giornale di Brescia sezione:IN PRIMO PIANO Una spinta al bipolarismo Ora tocca al centrodestra L'ANALISI di Roberto Chiarini Non è un caso che Fini abbia convocato la manifestazione a Roma del suo partito, proprio alla vigilia della grande kermesse elettorale del costituendo Partito democratico. La mossa poteva risultare azzardata. L'evento del giorno dopo, tanto atteso e tanto propagandato, poteva infatti oscurare sui media l'appuntamento di An. Non solo, il confronto tra i milioni accorsi alle urne e le - si temeva - poche decine di migliaia di militanti di An poteva andare tutto a suo danno. Il successo è stato viceversa pieno sia per afflusso di pubblico che per adesioni ricevute dagli alleati. Ma quel che conta di più è che è, questa, la prima reazione del centrodestra alla novità del Pd. Non è detto che tutte le ambizioni del nuovo partito si traducano in realtà. Ciò non toglie che la formazione nello schieramento avversario di un polo di aggregazione dominante sia destinato ad esercitare una forte spinta aggregante all'interno del centro-sinistra, con le inevitabili ripercussioni sull'intero sistema politico. Molti esponenti del centrodestra lo avevano intuito per tempo e avevano tentato nei mesi scorsi di unificare il proprio schieramento dando vita o ad un partito unico o, quanto meno, ad una federazione di partiti. Il progetto si è, però, subito arenato di fronte alla ferma volontà, da una parte, della Lega di conservare la propria autonomia e alla decisione dell'Udc, dall'altra, di fare da sé, aprendo addirittura una competizione frontale con Berlusconi. Con la nascita del Pd i giochi sono destinati, comunque, a riaprirsi. Il bipolarismo subisce un grosso rinforzo, che può diventare una spinta irresistibile se il parlamento non riuscirà a modificare la legge elettorale rendendo in tal modo inevitabile il referendum che introduce di fatto il primato assoluto del partito più forte all'interno delle due coalizioni. Tra tutti, il più interessato nel centrodestra alla creazione di un partito dominante è certamente Fini. Ancor più dello stesso Berlusconi. Fi, infatti, non teme al momento né concorrenza né, tanto meno, rischi di isolamento da parte degli alleati. La persistenza di un clima di strisciante competizione dei vari partner all'interno dell'opposizione minaccia, invece, di logorare proprio la leadership di Fini, perennemente nella scomoda posizione (l'allontanamento di Storace dal partito è il primo serio campanello d'allarme) di petulante proponente di un partito unico che non vede mai la luce, con l'alea per di più di vedersi approvata nel frattempo una riforma elettorale "alla tedesca" che minaccerebbe An di tornare ai margini del sistema politico. Si colloca in questo scenario la decisione di Fini di far scendere in piazza il suo partito da solo. Ha voluto segnalare, da un lato, la sua capacità di iniziativa politica. Si è proposto, dall'altro, di stimolare gli alleati a procedere sulla via tracciata dal Pd. Ha compiuto infine un passo per rimettere al centro dell'agenda politica le cose da fare (su due temi, peraltro, caldissimi come tasse e sicurezza), smarcandosi in tal modo dall'impopolare insistenza della politica a parlarsi addosso. La buona accoglienza ricevuta da parte non solo di Berlusconi, ma anche di Bossi e di Cesa non significa che la strada sia in discesa, ma soltanto che contrapporre al Pd una forza equipollente è diventata una strada obbligata. D'ora in poi anche a destra sarà difficile non fare i conti con la spinta all'aggregazione dei poli che il centrosinistra ha messo all'ordine del giorno e che il paese, stanco dei riti inconcludenti della rinata partitocrazia, reclama.


Una strada obbligata ma non nel breve termine (sezione: Riforma elettorale)

( da "Eco di Bergamo, L'" del 16-10-2007)

Roberto Chiarini Non è un caso che Fini abbia convocato la manifestazione a Roma del suo partito, proprio alla vigilia della grande kermesse elettorale del costituendo Partito democratico. La mossa poteva risultare azzardata. L'evento del giorno dopo, tanto atteso e tanto propagandato, poteva infatti oscurare sui media l'appuntamento di An. Non solo, il confronto tra i milioni accorsi alle urne e le - si temeva - poche decine di migliaia di militanti di An, poteva andare tutto a suo danno. Il successo è stato viceversa pieno sia per afflusso di pubblico che per adesioni ricevute dagli alleati. Ma quel che conta di più è che è, questa, la prima reazione del centrodestra alla novità del Pd. Non è detto che tutte le ambizioni del nuovo partito si traducano in realtà. Ciò non toglie che la formazione nello schieramento avversario di un polo di aggregazione dominante sia destinato ad esercitare una forte spinta aggregante all'interno del centrosinistra, con le inevitabili ripercussioni sull'intero sistema politico. Molti esponenti del centrodestra lo avevano intuito per tempo e avevano tentato nei mesi scorsi di unificare il proprio schieramento dando vita o ad un partito unico o, quanto meno, a una federazione di partiti. Il progetto si è, però, subito arenato di fronte alla ferma volontà, da una parte, della Lega di conservare la propria autonomia e alla decisione dell'Udc, dall'altra, di fare da sé, aprendo addirittura una competizione frontale con Berlusconi. Con la nascita del Pd i giochi sono destinati, comunque, a riaprirsi. Il bipolarismo subisce un grosso rinforzo, che può diventare una spinta irresistibile se il parlamento non riuscirà a modificare la legge elettorale rendendo in tal modo inevitabile il referendum che introduce di fatto il primato assoluto del partito più forte all'interno delle due coalizioni. Tra tutti, il più interessato nel centrodestra alla creazione di un partito dominante è certamente Fini. Ancor più dello stesso Berlusconi. Fi, infatti, non teme al momento né concorrenza né, tanto meno, rischi di isolamento da parte degli alleati. La persistenza di un clima di strisciante competizione dei vari partner all'interno dell'opposizione minaccia, invece, di logorare proprio la leadership di Fini, perennemente nella scomoda posizione (l'allontanamento di Storace dal partito è il primo serio campanello d'allarme) di petulante proponente di un partito unico che non vede mai la luce, con l'alea per di più di vedersi approvata nel frattempo una riforma elettorale "alla tedesca" che minaccerebbe An di tornare ai margini del sistema politico. Si colloca in questo scenario la decisione di Fini di far scendere in piazza il suo partito da solo. Ha voluto segnalare, da un lato, la sua capacità di iniziativa politica. Si è proposto, dall'altro, di stimolare gli alleati a procedere sulla via tracciata dal Pd. Ha compiuto infine un passo per rimettere al centro dell'agenda politica le cose da fare (su due temi, peraltro, caldissimi come tasse e sicurezza) smarcandosi in tal modo dall'impopolare insistenza della politica a parlarsi addosso. La buona accoglienza ricevuta da parte non solo di Berlusconi, ma anche di Bossi e di Cesa non significa che la strada sia in discesa, ma soltanto che contrapporre al Pd una forza equipollente è diventata una strada obbligata. D'ora in poi anche a destra sarà difficile non fare i conti con la spinta all'aggregazione dei poli che il centrosinistra ha messo all'ordine del giorno e che il Paese, stanco dei riti inconcludenti della rinata partitocrazia, reclama.


 

 

Indice degli articoli dell’11-10-2007

 

 

Eppure non c'è altra strada ( da "Italia Oggi" del 11-10-2007)

Legge elettorale, Calderoli possibilista su un'intesa ( da "Piccolo di Trieste, Il" del 11-10-2007)

Eppure non c'è altra strada (sezione: Riforma elettorale)

( da "Italia Oggi" del 11-10-2007)

 

ItaliaOggi   Pierluigi Castagnetti Vice Presidente Camera dei deputati Visualizza la pagina in PDF     Eppure non c'è altra strada... Caro direttore, la legge elettorale con la quale è stato eletto il Parlamento della XV legislatura ha aggravato la crisi di fiducia nei partiti e accelerato la fuga dalla partecipazione politica. Oggi tutti i politici hanno la responsabilità di riacquisire credibilità nei confronti dei cittadini. La ricerca di nuovi strumenti di partecipazione nella vita interna ai partiti è solo una parte di questa storia, l'altra è la riforma della legge elettorale. In questo senso la scorsa settimana ho depositato in parlamento una proposta di legge (sulla quale sto raccogliendo l'adesione tra i parlamentari di tutti gli schieramenti) per la reviviscenza della legge Mattarella attraverso l'abrogazione della legge Calderoli. Il collegio uninominale maggioritario per riavvicinare ogni eletto al proprio elettore e ricomporre nell'unitarietà del mandato elettorale la rappresentanza politica, la rappresentanza degli interessi, e la rappresentanza territoriale. Sulla legge elettorale i partiti devono operare recuperando quello che i costituzionalisti definiscono il “velo dell,ignoranza” sulle proprie convenienze. è difficile, ma lo devono fare per restituire ai cittadini il diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti: “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1 della Costituzione). Non dovrà più accadere di avere un Parlamento di “nominati” attraverso liste bloccate su cui gli elettori non hanno alcuna voce in capitolo. Lo stesso referendum Guzzetta che viene evocato come minaccia, o come stimolo, per la riforma elettorale è assolutamente inefficace su questo aspetto. Per superare il referendum e i troppi veti incrociati che stanno segnando il dibattito credo che non resti altra strada che il ritorno del Mattarellum. Bastano pochi articoli, da approvare auspicabilmente in modo condiviso, ma senza stupirsi di un voto a maggioranza o di un accordo con solo chi sente come un dovere ineludibile la responsabilità di cambiare l'attuale legge elettorale. Il fatto non dovrebbe scandalizzare né richiamare alla memoria quanto accaduto nella precedente legislatura, perché si tratterebbe di tornare a un sistema a suo tempo ampiamente condiviso anche dall'attuale opposizione. Oltretutto l'altro ieri in un seminario dell'Astrid è stato sottolineato dalla maggioranza dei costituzionalisti presenti il rischio che le proposte sinora avanzate non superino i quesiti referendari in quanto ancora incentrate intorno al meccanismo del premio di maggioranza. Non tenerne conto equivarrebbe a stressare inutilmente il parlamento che sarebbe condannato a lavorare a vuoto, i referendum non sarebbero evitati ma solo trasferiti sulla nuova legge. Pierluigi Castagnetti Vice Presidente Camera dei deputati.


Legge elettorale, Calderoli possibilista su un'intesa (sezione: Riforma elettorale)

( da "Piccolo di Trieste, Il" del 11-10-2007)

 

Il capogruppo leghista ottimista dopo l'apertura di Fini Finocchiaro (Ulivo) propone il ritorno al "Mattarellum". Prc: "Siamo contrari" Legge elettorale, Calderoli possibilista su un'intesa ROMA Il segretario dei Ds Piero Fassino lancia un appello a Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini affinchè diano la loro disponibilità a varare una nuova legge elettorale. E Fini risponde che no, a lui questo governo non piace, ma che se rimarrà in vita fino a dicembre lui, intorno a quel tavolo, ci si siederà, perchè l'opposizione ha il "dovere" di dialogare su un testo che recepisca "lo spirito del referendum" e che sia per ripristinare un sistema bipolare, maggioritario e costituzionale. Berlusconi invece liquida ufficiosamente le domande dei suoi sull'argomento dichiarando che "la questione non è in agenda". Le solite prese di posizione verrebbe da dire. E invece no. Secondo il leghista Roberto Calderoli, qualcosa dietro le quinte del palcoscenico aperto sulla legge elettorale sembra che si stia muovendo. E lui si proclama "ottimista". "Stiamo lavorando a 360 gradi - confessa l'esponente del Carroccio - per trovare un'intesa che possa mettere d'accordo l'80% delle forze politiche presenti in Parlamento su un testo condiviso". Già, perchè arrivare al 100% dei consensi è un'impresa impossibile. Come dimostra la ridda di polemiche e dichiarazioni esplosa dopo l'invito lanciato dal capogruppo dell'Ulivo al Senato Anna Finocchiaro a tornare al "Mattarellum" (la legge elettorale basata su collegi uninominali per il 75% degli eletti, varata nel '93) per "garantire più governabilità" e per "mettere in sicurezza il Paese". Il Prc, con il segretario Franco Giordano, è il più esplicito: "Noi siamo assolutamente contrari a questa ipotesi", ribadisce. Tutti gli sforzi, aggiunge, andrebbero incanalati invece per il recepimento del sistema tedesco: una posizione condivisa da Sinistra Democratica, ma criticata da Verdi e Pdci secondo i quali il "Mattarellum" è sempre meglio della legge attuale. L'appello di Anna Finocchiaro, che risponde in qualche modo alla proposta di legge presentata il 1 ottobre alla Camera da Pierluigi Castagnetti (Ulivo) che ripropone il "Mattarellum" con qualche ritocco, viene commentato con toni piuttosto ruvidi dal ministro delle Riforme Vannino Chiti. "Il parlare continuamente di legge elettorale - osserva il diesse toscano - riempie le pagine dei giornali, ma non fa fare passi avanti". E invece i passi avanti su questo tema si devono fare perchè, spiega un costituzionalista dell'Ulivo, il tempo stringe e il referendum è alle porte. Ed entro breve si attendono decisioni importanti come quella se trasferire o meno la legge elettorale dal Senato alla Camera. La commissione Affari Costituzionali di Montecitorio, presieduta da Luciano Violante, da oggi sarà ufficialmente "disoccupata" visto che concluderà l'esame della riforma costituzionale attesa in Aula per il 22 ottobre e potrebbe occuparsi dell'annosa materia a tempo pieno.

 

 

Indice degli articoli DEL 9-10-2007

 

Riforme, Veltroni costretto al dietrofront di Laura Cesaretti Il Giornale martedì 09 ottobre 2007

 

Colpo di Mattarellum al Porcellum ( da "Italia Oggi" del 09-10-2007)

Voto, possibile l'intesa sul modello tedesco ( da "Piccolo di Trieste, Il" del 09-10-2007)

Chiti: sul sistema tedesco è possibile l'accordo. In Senato si lavora al testo ( da "Unita, L'" del 09-10-2007)

 


Riforme, Veltroni costretto al dietrofront di Laura Cesaretti -

Il Giornale martedì 09 ottobre 2007

 

da Roma

Il cammino tormentato della Finanziaria deve ancora iniziare, ma l’Unione già guarda oltre. A quella madre di tutte le guerre che si chiama legge elettorale: la bomba a tempo del referendum obbliga a fare presto. E prima di rischiarne l’esplosione, si tenterà di disinnescarla.
A Montecitorio, sotto l’accorta regia del presidente della commissione Affari costituzionali Luciano Violante, si sta provando ad accelerare. E quel netto «stop» a una frettolosa intesa sul modello tedesco che Walter Veltroni aveva confermato sabato scorso, davanti ad una platea di referendari convinti, ora sembra già superato.
Una cosa è chiara, ai capi della maggioranza: non può essere il Senato (cui la pratica era stata affidata con voto bipartisan) a sbrogliare la matassa. «Per ragioni di tempo, di condizioni e di numeri», spiegano ai piani alti dell’Ulivo di Montecitorio: «Il Senato è una palude da cui bisogna uscire, e se vogliamo evitare di scontrarci con il referendum l’unica finestra possibile per intervenire è oggi, alla Camera». Palazzo Madama, nelle prossime settimane, sarà paralizzato dall’esame della Finanziaria. E in quell’aula, nell’Ulivo e dintorni c’è una nutrita pattuglia di maggioritari convinti che, assicura il costituzionalista (e sponsor del referendum, nonchè consigliere veltroniano) Stefano Ceccanti, «non farebbero mai passare un proporzionale tedesco».
Ma come soffiare il dossier al Senato e alla sua commissione, presieduta dal dl Enzo Bianco, che già annuncia una sua «bozza» di legge elettorale per il prossimo 20 ottobre? È a questo che Violante (con l’avallo di Fassino, Rutelli, D’Alema e anche del presidente del Senato Marini) sta lavorando: il cammino della sua bozza di riforma costituzionale sta marciando a tappe forzate. Taglio dei parlamentari e Senato federale sono già stati votati, in settimana si esaminerà il resto. Ulivo e Rifondazione sono decisi. La Lega è pienamente della partita, e otterrà ampie soddisfazioni sulle competenze del Senato. L’Udc collabora pienamente. E An (non a caso Violante ha nominato relatore Italo Bocchino) non sta facendo alcun ostruzionismo: ad opporsi all’accelerazione è solo Forza Italia. Che ha capito le intenzioni violantiane: chiudere in settimana le votazioni, mandando in aula il testo entro il 22 ottobre. A quel punto, con il Senato immerso nei meandri della sessione di bilancio, sarà un gioco facile dirsi pronti ad affrontare anche il capitolo elettorale. Su quel modello simil-tedesco sul quale, spiega il ministro Chiti, può esserci «una larga convergenza». E il no di Veltroni? «Davanti al fatto compiuto cambierà idea anche lui», confidava nei giorni scorsi Violante ad alcuni colleghi.

E infatti ieri è arrivata l’intervista del numero due veltroniano, Dario Franceschini, che apre a un «tedesco corretto»: «È indispensabile che l’alleanza si dichiari prima delle elezioni», spiega, altrimenti «si tornerebbe indietro alla stagione delle “mani libere”». I prodiani hanno subito ironizzato, sottolineando che «i veltroniani sostengono idee opposte a quelle di Veltroni». Ma dalle parti del sindaco assicurano che l’intervista era «concordata parola per parola», e spiegano: «Walter non può star fuori dalla partita, se si mette in moto: tutto il Pd preme per questa accelerazione, e con la clausola che premier e alleanze si designano prima del voto, lui ci sta». In serata, è Veltroni stesso a confermare: è «assolutamente necessario» fare le riforme prima di tornare alle urne, e «se siamo tutti d’accordo, facciamole».

 

Colpo di Mattarellum al Porcellum

( da "Italia Oggi" del 09-10-2007)

Argomenti: Proposte di legge

ItaliaOggi     ItaliaOggi  - Primo Piano Numero 239, pag. 3 del 9/10/2007 Autore: di Franco Adriano Visualizza la pagina in PDF       Si basa sul ripescaggio dei migliori perdenti (pure della quota proporzionale del 25%) la bozza FI e Ds. Colpo di Mattarellum al Porcellum Arriva la pdl bipartisan che può disinnescare il referendum Primo articolo: abolizione del Porcellum (la legge elettorale proporzionale vigente). Secondo articolo: ripristino del Mattarellum, quello che faceva sfidare i candidati scelti dalle due principali coalizioni in un collegio piuttosto ristretto. Terzo: anche la quota proporzionale del 25 per cento alla camera, prevista dallo stesso Mattarellum, va attribuita al ripescaggio dei migliori perdenti a livello regionale (proprio come avveniva già per l'elezione dei senatori). è in sintesi la bozza della proposta di legge elettorale bipartisan che sta circolando fra i gruppi dei due maggiori partiti delle coalizioni di centro-destra e centro-sinistra, ossia FI e Ds. Per gli azzurri il deputato maggiormente attivo è Guido Crosetto. Ma la proposta di legge dei peones, che intendono raccogliere centinaia di firme, potrebbe fornire qualche sorpresa. I pregi di questa proposta sono evidenti per le grandi formazioni politiche. Il referendum, risultando abolita la legge elettorale che vuole andare a modificare, verrebbe disinnescato. Secondo aspetto. Il confronto elettorale, strettamente bipolare, come chiesto anche dai promotori referendari, avverrebbe di nuovo fra uomini e donne anche a livello locale e non fra sigle legate ai due candidati premier a livello nazionale, com'è successo per il duello Romano Prodi-Silvio Berlusconi. Gli elettori tornerebbero a votare l'uno o l'altro candidato a livello locale. Anche, come già sottolineato, nel listino proporzionale delle camera, poiché il sistema del ripescaggio dei migliori perdenti del collegio uninominali dà speranza ai secondi in graduatoria, mai ai terzi classificati. Terzo aspetto: le maggioranze che uscirebbero dalle urne sarebbero certe nei numeri. Ma non mancherebbero di certo anche le controindicazioni. La prima riguarda le piccole formazioni e in particolare la Lega Nord. Quanti collegi uninominali è in grado di vincere da sola la formazione di Umberto Bossi nelle aree geografiche in cui il consenso del Carroccio è particolarmente concentrato? Seconda controindicazione: i centristi dell'Udc e dell'Udeur che vedrebbero fortemente ridotto il loro spazio di manovra sono pronti a firmare la loro morte. Il ministro Vannino Chiti, per esempio, sembra consapevole del fatto che esista una più facile convergenza sul fatto di avere una nuova legge elettorale che non abbia il premio di maggioranza ma uno sbarramento intorno al 4-5% e i candidati per il Parlamento o il 50% in collegi uninominali e il 50% in liste proposte dai partiti, come in Germania, oppure tutti in collegi molto piccoli con al massimo 6-7 candidati ciascuno". "Ma non sarà nelle segrete stanze", assicura Chiti, "che si deciderà se andare avanti". Insomma, dice Chiti: "Credo che si possa procedere se c'è la volontà, se son rose fioriranno". Detti popolari a parte, il discorso appassiona. Eccome. E non vuole restar fuori dal dibattito il candidato e futuro segretario del partito democratico, Walter Veltroni. Ha chiaro in mente "un pacchetto di riforme su cui c'è la convergenza dei due schieramenti: riduzione del numero dei parlamentari, una sola camera, tempi certi per il ddl del governo". Un fatto è certo, l'ultima possibilità per cambiare la legge elettorale è questa. (riproduzione riservata).

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Voto, possibile l'intesa sul modello tedesco (sezione: Riforma elettorale)

( da "Piccolo di Trieste, Il" del 09-10-2007)

Argomenti: Proposte di legge

Riforma elettorale: la bozza Bianco pronta entro il 20 ottobre. Ottimista il ministro Chiti Voto, possibile l'intesa sul modello tedesco ROMA L'esame della Finanziaria non ferma la discussione sulla riforma elettorale in prima commissione al Senato, dove il presidente Enzo Bianco lavora per raccogliere convergenze intorno ad un sistema ispirato al modello tedesco, per presentare una bozza entro il 20 ottobre. "Credo che si possa procedere se c'è la volontà, se sono rose fioriranno", è l'auspicio che formula il ministro per le Riforme Vannino Chiti. Chiti vede possibile nelle aule parlamentari "un sì o un no a breve" su un sistema simile al tedesco, con indicazione del candidato alla presidenza del Consiglio prima delle elezioni, omogeneità delle coalizioni senza frammentazione, stabilità dei governi. Per il ministro, esiste "larga convergenza sul fatto di avere una nuova legge elettorale che non abbia il premio di maggioranza ma uno sbarramento intorno al 4-5% e i candidati per il Parlamento o il 50% in collegi uninominali e il 50% in liste proposte dai partiti, come in Germania, oppure tutti in collegi molto piccoli con al massimo 6-7 candidati ciascuno". "Ma non sarà nelle segrete stanze - assicura Chiti - che si deciderà se andare avanti". Chiede di accelerare, sul doppio fronte delle riforme elettorale e istituzionale, anche Walter Veltroni, che indica "un pacchetto di riforme su cui c'è la convergenza dei due schieramenti: riduzione del numero dei parlamentari, una sola Camera, tempi certi per i ddl del governo. In otto mesi queste riforme si possono fare", dice. Rosy Bindi, anche lei candidata alla segreteria del Pd, se fallirà la possibilità di un dialogo, vede possibile "con un solo articolo il ritorno al vecchio 'Mattarellum', che ha visto vincere e governare sia il centrosinistra che il centrodestra". "Ma si tratta dell'ultima istanza - spiega - perchè io preferirei una legge pienamente bipolare. Intanto, il leader dell'opposizione Silvio Berlusconi continua a ribadire il suo no al dialogo sulle riforme, mentre Gianfranco Fini chiarisce invece che su quelle istituzionali "il dialogo può esserci fino a quando il governo è in vita", senza che questo significhi voler tenere in piedi Prodi. Quanto alla legge elettorale, il leader di An boccia ogni ipotesi che preveda la reintroduzione delle preferenze. "Nel Mezzogiorno vorrebbe dire chiudere entrambi gli occhi sulle situazioni di malaffare", dice Fini. Mentre Maurizio Gasparri invita Chiti a "rassegnarsi": nessuno spazio da An per il sistema tedesco, l'alternativa è tra voto subito con la legge Calderoli se cade Prodi o referendum. Da registrare poi il botta e risposta tra Franco Monaco e Gianclaudio Bressa, da leggersi nell'ottica della corsa per le primarie del Pd. Monaco, deputato ulivista sostenitore di Rosy Bindi, critica quella che definisce l'apertura di Dario Franceschini al modello tedesco rifiutato da Veltroni, Ribatte Bressa, vicepresidente dei deputati dell'Ulivo: Franceschini ha ripetuto ciò che aveva detto sabato, con Veltroni, che nessun sistema elettorale può consentire che si decidano alleanze di governo dopo il voto.

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Chiti: sul sistema tedesco è possibile l'accordo. In Senato si lavora al testo (sezione: Riforma elettorale)

( da "Unita, L'" del 09-10-2007)

Argomenti: Proposte di legge

Stai consultando l'edizione del RIFORMA ELETTORALE Chiti: sul sistema tedesco è possibile l'accordo. In Senato si lavora al testo L'ESAME della finanziaria non ferma la discussione sulla riforma elettorale in commissione al Senato; il presidente Enzo Bianco lavora per raccogliere convergenze intorno ad un sistema ispirato al modello tedesco, per presentare una bozza entro il 20 ottobre. "Credo che si possa procedere se c'è la volontà, se sono rose fioriranno", è l'auspicio del ministro per le Riforme Vannino Chiti. Che vede possibile "un sì o un no a breve" su un sistema simile al tedesco, con indicazione del candidato alla presidenza del Consiglio prima delle elezioni, omogeneità delle coalizioni senza frammentazione, stabilità dei governi. Perché c'è "larga convergenza su una nuova legge elettorale che non abbia il premio di maggioranza ma uno sbarramento intorno al 4-5% e i candidati per il Parlamento o il 50% in collegi uninominali e il 50% in liste proposte dai partiti, come in Germania, oppure tutti in collegi molto piccoli con al massimo 6-7 candidati ciascuno. Ma non sarà nelle segrete stanze che si deciderà se andare avanti". Ma il leader dell'opposizione Silvio Berlusconi continua a ribadire il suo no al dialogo sulle riforme, e Gianfranco Fini chiarisce che su quelle istituzionali "il dialogo può esserci fino a quando il governo è in vita", ma nella Cdl nessuno terrà in piedi il governo Prodi. Quanto alla legge elettorale, il leader di An boccia ogni ipotesi di reintroduzione delle preferenze. "Nel Mezzogiorno vorrebbe dire chiudere entrambi gli occhi sulle situazioni di malaffare", dice. E Maurizio Gasparri invita Chiti a rassegnarsi: Alleanza nazionale non offrirà nessuno spazio a una riforma sul sistema tedesco, l'alternativa è tra voto subito con la legge Calderoli se cade Prodi o referendum.

 

INDICE DEL DOSSIER  DAL 19-2-2007  ALL’8-10-2007

·          Il Riformista 8-10-2007 La scommessa comune di Silvio e Walter. Stefano Cappellini

·          Il Corriere della Sera 6-10-2007  Veltroni: «altri sistemi meglio di quello tedesco» Fini: «Legge elettorale? Basta un aggettivo» «È sufficiente trasformare il premio di maggioranza da regionale a nazionale»

·          Il Corriere della Sera 6-10-2007 «riforma elettorale prima di andare al voto» «Restituire qualcosa a chi paga le tasse» La richiesta di Montezemolo a margine del convegno dei Giovani di Confindustria. «Tagli a spesa improduttiva»

·          Il Corriere della Sera 5-10-2007«No a una riforma elettorale alla tedesca» Berlusconi: «Si può benissimo votare con l'attuale legge. Nessun accordo con la maggioranza» Calderoli: «Bossi ha detto no, è lui che decide». Marini: «Serve un patto tra i poli»

·          L’Eco di Bergamo 5-10-2007 L'opposizione avanza, ma in ordine sparso

·          Italia Oggi del 4-10-2007 L'Analisi di Massimo Tosti

·          L’Espresso 28-9-2007 Faccio il bis con il bisturi di Marco Damilano

·          INDICE  DAL 20 AL 26 SETTEMBRE 2007

·          Il Manifesto 17-9-2007 Legge elettorale, Veltroni incalza: "Cambiarla è un emergenza nazionale". Bossi insiste, Forza Italia apre e Bertinotti è ottimista: "Si può fare". Ma sul modello tedesco non c'è accordo e la consultazione di primavera si avvicina Domenico Cirillo

·          Il Corriere della Sera  6-9-2007 I poli e la nuova legge elettorale Il dialogo non fa miracoli di Giovanni Sartori

·          AGI 5-9-2007 LEGGE ELETTORALE:IL POLITOLOGO CECCANTI,SI RISCHIA IL’LIFTING’

·          Il Corriere della sera 5-9-2007 Berlusconi: «Legge elettorale, c'è l'accordo» Il Cavaliere: «Ma per noi si può votare anche con la normativa attuale» Si è concluso l'incontro tra il leader di Forza Italia, Bossi e Fini: sì a bipolarismo, indicazione alleanze e premier e sbarramento

·          La Gazzetta di Modena 31-7-2007 Il referendellum, pericolo per la Costituzione OMER BONEZZI *

·          Europa 26-7-2007 Sono favorevole al sistema tedesco non corretto dall’imbroglio all’italiana. Risponde FEDERICO ORLANDO

·          Loccidentale.it 24-7-2007 Legge elettorale: le ipotesi in campo di Filippo Salone

·          AgenParl 19-7-2007 PIAZZA (SDI): UN 'CONTRAPPELLO' SUI REFERENDUM: NON LI FIRMATE

·          APCOM 18-7-2007 REFERENDUM/ CECCANTI: NON FONDATI ARGOMENTI SU INCOSTITUZIONALITA'

·          Il Corriere della sera 17-7-2007 eferendum e alleanze senza estremisti Il bipolarismo da salvare di Angelo Panebianco

·          Il Giornale 1-7-2007 Quell’odiata legge elettorale che alla fine fa comodo a tanti di Paolo Armaroli –

·          Il Giornale di Brescia 29-6-2007 Riforma elettorale, l'Ulivo per il modello francese Testo presentato in Commissione, insorgono i "piccoli" dell'Unione.

·          La Stampa 26-4-2007 Fini: la legge elettorale? Nessuno la vuole. Mastella non farà la crisi, nascerebbe un altro governo» UGUSTO MINZOLINI

·          L’Unità 24-4-2007 Legge elettorale, da oggi si firma per il referendum Ma nell'Unione sale la fibrillazione. Chiti propone soglia graduale di sbarramento, i "piccoli" non si fidano di Giuseppe Vittori

·          L’Eco di Bergamo 24-4-2007 Riforma voto, le carte di Chiti. I referendari raccolgono le firme

·          La Stampa 19-4-2007 Sia gli incaricati dal presidente sia quello dei referendari danno solo certezze -ENRICO MARTINET

·          Italia Oggi 17-4-2007 L'Analisi Riforma Elettorale, La Corte Costituzionale è L'ultima Speranza Degli Antireferendari di Marco Bertoncini

·          L’Unità 10-4-2007 La legge elettorale e la bocciofila Gianfranco Pasquino

·          Il Giornale 6-4-2007 Legge elettorale, rissa nell'Unione solo la Margherita difende Amato di Luca Telese

·          La Gazzetta di Reggio 6-4-2007 Affondo di Amato sulla riforma elettorale "La bozza Chiti è solo un testo provvisorio" I piccoli partiti dell'Unione contro il ministro dell'Interno GABRIELE RIZZARDI

·          Il Corriere della sera 5-4-2007 Errore accantonarlo per il ricatto dei «piccoli» Il referendum da difendere di  MICHELE SALVATI

·          La Repubblica 5-4-2007 Per il ministro dell'Interno i listoni di candidati sono "mostruosità" che la riforma deve eliminare "La bozza Chiti è insufficiente torniamo ai collegi uninominali" MASSIMO GIANNINI

·          Il Sole 24 Ore 4-4-2007 La bozza Chiti non dispiace alla Cdl. Restano i dubbi di ulivisti e referendari . Di Sara Bianchi

·          Il Secolo XIX 4-4-2007 Riforma elettorale Prime aperture dalla Cdl, ma resta l'opposizione di Forza Italia a modifiche costituzionali

·          La Gazzetta del Sud 4-4-2007 Legge elettorale, intesa nell'Unione. Che fatica... Ds e Margherita ostaggio dei "piccoli" della coalizione. No al modello tedesco (molto delusa l'Udc) Andrea Cangini

·          La Repubblica 4-4-2007 IL RETROSCENA Giornata di tensione nel centrosinistra, Rifondazione blocca le proposte di Margherita e Ds. Rutelli: il quesito uccide il partito democratico

·          Il Giornale 4-4-2007 L'Udc "alla tedesca" in una morsa di Fabrizio De Feo

·          La Repubblica 2-4-2007 Legge elettorale, la Cdl trova l'intesa Berlusconi: "Alle elezioni con l'Udc"

·          Il Sole 24 Ore 22-3-2007 Riforma elettorale, l'Austria fa da apripista in Europa: si voterà a 16 anni. Di Vittorio Da Rold

·          L’Eco di Bergamo 22-3-2007 Reazione negativa del ministro Chiti alla proposta azzurra di elezioni dopo la riforma

·          La Repubblica 20-3-2007 Riforme, An incontra Prodi Fini: "Il referendum si farà"

·          Il Sole 24 Ore 20-3-2007 OSSERVATORIO POLITICO di Roberto D'Alimonte.  Voto ai 18enni e premio ai seggi in Senato

·          La Nuova Sardegna 13-3-2007 Partiti maggiori contro partiti minori Così il bipolarismo resta un miraggio Di Francesco Morosini

·          La Repubblica 13-3-2007 Il Cavaliere per ora non ci sta"Una trappola per perdere tempo". Di Claudio Tito

·          Il Riformista 13-3-2007 Cambiare la legge elettorale non sarà così facile di Emanuele Macaluso

·          Il Corriere della Sera 12-3-2007 La Nota   Massimo Franco. l premier prova a smarcarsi per evitare il logoramento

·          La Repubblica 11-3-2007 Prodi: "Legge elettorale condivisa o non si fa". Il modello tedesco fa litigare Casini e Mastella

·          Il Cittadino 10-3-2007 Riforma elettorale ai piccoli dell’Unione non piace

·          Il Secolo XIX Riforma elettorale, Prodi non mollala regia: "Ci penso io" ridimensionato Chiti

·          Il Riformista 9-3-2007  Modello tedesco? No, compromesso all’italiana. di Claudia Mancina

·          La Repubblica 8-3-2007 Palermo IL RETROSCENA Sbarramento anche nei Comuni sgambetto della Cdl agli autonomisti

·          Il Messaggero 7-3-2007 La decisione del premier Prodi di scendere in campo in prima persona sulla riforma elettorale Di Barbara Jerkov

·          La Stampa 7-3-2007 Il Professore vuole evitare che qualcuno cerchi un'intesa per un nuovo esecutivo

·          Italia Oggi 7-3-2007   Via alle consultazioni. E Chiti cerca di capire: ma quanto siete tedeschi?

·          La Repubblica 6-3-2007 Legge elettorale, dal governo nessun testo "Palazzo Chigi sarà solo di stimolo"

·          Il Sole 24 Ore 6-3-2007 Legge elettorale banco di prova delle maggioranze variabili di Sara Bianchi

·          ANSA 4-3-2007 Referendum: i quesiti, il comitato, i tempi 2

·          La Repubblica 4-3-2007 Prodi avverte: "Stop al referendum solo se c'è accordo sulla legge elettorale" 3

·          Il presidente del Consiglio precisa: "Non basta la trattativa, serve l'intesa" Maroni: "D'accordo con la proposta di Chiti". Ma An stoppa. 3

·          Il Corriere della Sera 3-3-2007 I leader di Ds e An sbarrano la strada a comitato per riforma elettorale. Fassino e Fini bocciano la proposta Chiti 4

·          Italia Oggi 2-3-2007 Il SÜdtiroler Volkspartei alza il tiro. di Franco Adriano. 5

·          Da Il Denaro 28-2-2007 Sistema elettorale e bicameralismo: ecco il rebus italico di Massimo Bordignon* 6

·          La Repubblica del 27/02/2007   Riforma elettorale - Filippo Ceccarelli 7

·          Da Il Sole 24 Ore (27-2-2007).  Legge elettorale, è già lite. 9

·          La Repubblica del 27/02/2007   Le nuove regole "chiamano" le urne - Sebastiano Messina. 10

·          Il Manifesto del 26/02/2007   Manovre centriste sulla legge elettorale. 10

·          L’Unita  del 25/02/2007.  Il rebus di una nuova legge elettorale Il ministro Chiti: riforma entro il 2008. D'Alema apre al sistema tedesco. Ma incombe il referendum. 11

·          Il Velino.it del 23/02/2007   Legge elettorale, tante ipotesi su cui convergere o litigare. 12

·        La Stampa  del 19/02/2007    Berlusconi a Bossi: insieme al voto. UGO MAGRI 15

 


Il Riformista 8-10-2007 La scommessa comune di Silvio e Walter. Stefano Cappellini

 

Uno dice che si può votare anche domani, senza toccare la legge elettorale attuale. L’altro interviene pubblicamente per stoppare una riforma alla tedesca che, oltre a essere ormai sponsorizzata da tutto lo stato maggiore del partito di cui diventerà segretario dal 15 ottobre, è l’unica a godere di una maggioranza trasversale in Parlamento. Silvio Berlusconi e Walter Veltroni, probabilissimi rivali al prossimo giro di corsa, non hanno paura del referendum. Questa è la prima spiegazione del perché i due leader si siano messi di traverso proprio nel momento in cui in Parlamento è ripresa un’iniziativa per archiviare il Porcellum sostenuta da un fronte bipartisan che va da Rifondazione alla Lega, passando per il Pd e l’Udc.
I calcoli di Berlusconi sono chiari. Il Cavaliere è riuscito a rimanere, a dispetto del seppellimento della Cdl e delle fibrillazioni degli aspiranti successori, il dominus incontrastato del centrodestra. È convinto, come ha spiegato a più riprese agli amici e agli scettici, che dal referendum abbia doppiamente da guadagnare: in primo luogo, perché la consultazione è un’altra mina sotto il tavolo della maggioranza, dove sono almeno un paio i partiti (Prc e Udeur) pronti quasi a tutto pur di scongiurare il referendum; dopodiché, Berlusconi è anche sicuro che il dispositivo elettorale che sortirebbe dalle urne (e che premia la lista con più voti) lo rafforzerà ulteriormente, spingendo tutto il centrodestra, compreso Casini, a rientrare sotto le insegne comuni del Partito delle libertà. Riuscirà dall’altra parte Veltroni a fare lo stesso con tutta l’Unione? L’ex premier, non solo lui, giura di no.
Anche per questo la sortita anti-tedesca di Veltroni ha lasciato molti scontenti nel Pd, dato che in un colpo solo smentisce le aperture di Piero Fassino, Massimo D’Alema e, non ultimo, dello stesso vice di Veltroni nel ticket per le primarie del 14. Dario Franceschini ha infatti dichiarato ancora ieri all’Unità di preferire «un sistema proporzionale ispirato a quello tedesco, ma con dichiarazione preventiva delle alleanze». Una contraddizione che ha armato un nuovo assalto della coppia Bindi-Parisi: «Veltroni - dice il ministro della Difesa - è contro il sistema tedesco. Peccato che i suoi sostenitori più autorevoli siano invece per il proporzionale alla tedesca».
Al di là delle baruffe verso le primarie, a prima vista non si capisce come Veltroni possa dare seguito alla volontà più volte dichiarata di formare coalizioni magari più ristrette ma omogenee con un referendum che, malgrado le intenzioni, pare fatto apposta per creare, di qua come di là, due nuovi carrozzoni elettorali. Ma anche il sindaco di Roma ha fatto i suoi calcoli. Conscio che non è più aria di furori maggioritari, ha smesso di parlare di doppio turno alla francese. Tra gli spin doctor veltroniani circola in queste ore una preferenza per la soluzione spagnola, un proporzionale che penalizza molto i partiti sotto il 10 per cento e quelli che non hanno un forte radicamento territoriale. Realisticamente, un sistema che non ha alcuna chance di vedere la luce. Da qui la scommessa sul referendum, sul quale il sindaco, dopo il balletto estivo («Lo sostengo ma non lo firmo»), ha già annunciato il suo voto favorevole.
Posto che, a differenza di Berlusconi, non vuol certo votare nel 2008, Veltroni ritiene di poter sfruttare la riforma imposta dalle urne per mettere insieme una coalizione di nuovo conio, come direbbe il suo sostenitore alle primarie Rutelli. Il Pd, nelle intenzioni di Veltroni, dovrebbe fare da perno centrale di un’alleanza con baricentro spostato più a destra, recuperando alla causa Mussi e i Verdi da una parte e irrobustendo il centro dall’altra. Oltre che con Mastella e Di Pietro, magari anche con Casini. Ne sarebbe ridimensionata l’area a sinistra del Pd, sottraendo i fuoriusciti ds all’abbraccio con la Cosa rossa bertinottiana, e sarebbe smantellata una volta per tutte la coalizione berlusconiana.
Un piano a medio-lungo termine che non può essere realizzato in caso di crisi del governo Prodi. Ecco perché il sindaco-segretario non ha alcuna intenzione di accelerare l’addio del Professore, che peraltro complicherebbe pure la sua uscita prima del tempo dal Campidoglio. A questo serve il rimpasto auspicato da Veltroni: a dare all’esecutivo tempo e respiro per durare almeno un altro anno e mezzo. Ma rimpasto o meno (e Prodi ha già manifestato il suo nervosismo per l’intervento in materia da parte del futuro segretario democrat), resta comunque il problema di conciliare lo svolgimento del referendum con la sopravvivenza del governo Prodi, quella per cui Veltroni, attirandosi critiche e sberleffi, scelse qualche mese fa di non firmare ai banchetti.
08/10/2007


Il Corriere della Sera 6-10-2007  Veltroni: «altri sistemi meglio di quello tedesco» Fini: «Legge elettorale? Basta un aggettivo» «È sufficiente trasformare il premio di maggioranza da regionale a nazionale»

ROMA - Per Silvio Berlusconi si può andare al voto senza cambiare sistema; per Luca Cordero di Montezemolo, invece, sarebbe «offensivo». La legge elettorale resta al centro del dibattito politico. Sul tema, oltre al leader di Forza Italia e al presidente di Confindustria, sono intervenuti in giornata numerosi altri esponenti politici.

FINI - Secondo il leader di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, «se si volesse votare domani per avere una maggioranza al Senato basterebbe fare una legge di una riga cambiando un aggettivo: il premio di maggioranza anziché su base regionale trasformarlo su base nazionale». «Non accetto però - aggiunge Fini - che si dica che non si deve e non si può andare al voto con questa legge perché il risultato sarebbe uguale».

VELTRONI - Sul tema è intervenuto anche Walter Veltroni. Il sindaco di Roma, candidato alla segreteria del Partito Democratico, ha affermato che piuttosto che il sistema tedesco, ci sono altri sistemi elettorali in Europa che interpretano «lo spirito referendario» e danno «stabilità ai governi». Veltroni ha ribadito che «se si andrà al referendum» sulla legge elettorale «io voterò Sì», ma il sindaco di Roma ha espresso la preferenza per una modifica fatta in Parlamento che mantenga il bipolarismo e «riporti il voto nelle mani dei cittadini e non lo lasci alla negoziazione tra i partiti».

LETTA - Su una linea diversa la posizione di Enrico Letta, altro candidato alla guida del Pd: «L'impegno per una nuova legge elettorale deve essere una delle priorità per il Partito democratico. Intorno al modello tedesco crescono i consensi: una riforma in questa direzione è possibile» ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio. «Il modello tedesco, con una forte soglia di sbarramento, è in grado di assicurare stabilità di governo e di ridurre la frammentazione politica. Su una riforma in tale direzione si può trovare il sostegno, indispensabile, di almeno una parte dell'opposizione. È il modello tedesco dunque la strada da seguire; l'alternativa resta il referendum».

BINDI - Secondo Rosy Bindi, «serve una riforma della legge elettorale perché con quella attuale un candidato serio dovrebbe evitare di ricandidarsi. Il distacco dei cittadini dalla politica è dovuto in gran parte all'attuale legge elettorale che ha anche contribuito enormemente a consolidare la 'casta'. Perciò considero la risposta di Berlusconi irresponsabile. Questo Parlamento è stato scelto dai segretari di partito, non dai cittadini proprio a causa dell'attuale legge elettorale. Quando i parlamentari rispondono non a coloro che li hanno eletti ma a chi li ha scelti c'è uno sfasamento della democrazia».

GIORDANO - Anche Franco Giordano accelera sul tema della riforma elettorale e rivolge un appello a tutto campo per il sistema tedesco: «Casini e la la Lega ci stanno? Benissimo. Facciamo valere in Parlamento la maggioranza favorevole al modello tedesco», ha dichiarato parlando al Comitato politico di Rifondazione comunista. «Dobbiamo garantire anche per questa via la possibilità di far valere la rappresentanza della sinistra che altrimenti non sarebbe garantita dal Referendum. Rompiamo gli indugi, o altrimenti se stiamo fermi o inseguiamo saremo travolti. Il Referendum farà giustizia dei piccoli tentativi di collocazione».


Il Corriere della Sera 6-10-2007 «riforma elettorale prima di andare al voto» «Restituire qualcosa a chi paga le tasse» La richiesta di Montezemolo a margine del convegno dei Giovani di Confindustria. «Tagli a spesa improduttiva»

ROMA - «Occorre restituire qualcosa a chi paga le tasse, come i lavoratori dipendenti che hanno la trattenuta direttamente alla fonte». Lo ha detto il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, a margine del convegno annuale dei Giovani di Confindustria, parlando della pressione fiscale. «E’ arrivato il momento di ridare qualcosa indietro a chi le tasse le paga per davvero. Chi evade è come uno che ruba, e l’evasione e il lavoro nero sono la peggiore offesa a chi le tasse le paga regolarmente. Tra coloro che le pagano ci sono gli operai delle fabbriche e gli impiegati che hanno la trattenuta in busta paga».

TAGLIARE SPESA IMPRODUTTIVA - E’ necessario per Montezemolo, tagliare la spesa improduttiva e investire di più. «In questo Paese - spiega - si pagano troppe tasse, perchè le pagano troppo pochi, e chi le paga le paga anche per quelli che evadono. Soprattutto, si vuole sapere dove vanno a finire le tasse degli italiani. Sicurezza, infrastrutture, servizi, è là che dovrebbero andare. E ci dovrebbero essere meno spese. Bisogna avere il coraggio di tagliare le spese improduttive, nelle quali vanno a finire le tasse. Più investimenti e quindi meno tasse».

«VOTARE CON QUESTO SISTEMA E' OFFESA A ITALIANI» - Luca Cordero di Montezemolo, davanti alla platea dei giovani industriali riuniti a Capri critica chi invoca le elezioni subito e insiste sulla necessità di modificare la legge elettorale: «Pensare di andare a elezioni con questa legge è offesa a cittadini italiani perchè non li mette in condizione di scegliere». «Lo Stato», sottolinea il presidente di Confindustria, è «una macchina troppo pesante, troppo costosa, con troppi veti, troppi localismi, non è all’altezza della competizione mondiale, perciò puoi avere il migliore pilota, le migliori intenzioni ma non ce la fai. Perciò - avverte - attenzione ai facili entusiasmi, a dire andiamo a votare domani, abbiamo bisogno prima di una legge elettorale che metta in condizione il paese di essere governato. Andiamo a fare una legge che risponda a tre requisiti fondamentali: metta il cittadino in condizione di portare in Parlamento chi vuole, chi merita, chi viene scelto, crei governabilità, elimini i troppi veti e i piccoli partiti».


Il Corriere della Sera 5-10-2007«No a una riforma elettorale alla tedesca» Berlusconi: «Si può benissimo votare con l'attuale legge. Nessun accordo con la maggioranza» Calderoli: «Bossi ha detto no, è lui che decide». Marini: «Serve un patto tra i poli»

*      Riforma alla tedesca: si tenta il blitz (5 ottobre)

MILANO - Silvio Berlusconi «respinge» l'ipotesi di una riforma elettorale in senso tedesco e sottolinea come la precarietà dell'attuale maggioranza non consenta di discutere un nuovo sistema elettorale anche perché «si può benissimo votare con l'attuale legge». Quanto all'ipotesi che alcuni partiti dell'opposizione siano invece interessati ad una riforma in senso tedesco dell'attuale sistema elettorale, il Cavaliere ha risposto: «Maroni aveva detto due giorni fa che non si potevano fare accordi con questa sinistra e credo che, da persona seria qual è, non possa cambiare opinione». Quanto al leader centrista Pier Ferdinando Casini, l'ex premier ha detto: «Non l'ho sentito, ma credo che la caduta di questa maggioranza porterà a votare con questa legge 'Calderoli'». È sempre convinto che si possa votare con l'attuale sistema? «Si, certo, si può votare con questa legge». Berlusconi ha parlato anche dell'ipotesi di dimezzare il numero di parlamentari: «Forza Italia è d'accordo su questa proposta, ma abbiamo dovuto votare no perché noi riteniamo che con questa sinistra non si possano fare le riforme». Non solo perché «hanno occupato tutte le istituzioni», ma anche perché si tratta di un «escamotage» per allungare la vita al governo Prodi.

LEGA - Anche Roberto Calderoli smentisce ogni ipotesi di accordo con la maggioranza sul modello tedesco. «Bossi ha detto no, ed è lui che decide» afferma il vice presidente del Senato. Più possibilista la posizione di Roberto Maroni: «Che bisogna accelerare sulla riforma della legge elettorale non lo diciamo da adesso. Noi siamo pronti a discutere, ora l’iniziativa spetta alla maggioranza» ha dichiarato il capogruppo della Lega alla Camera. Ma il messaggio è anche per gli alleati del centrodestra. C’è un punto fermo, ha ribadito Maroni, ed è «l'accordo di Gemonio», che prevedeva mantenimento del bipolarismo, sbarramento anti-frammentazione e sistema proporzionale con indicazione delle alleanze e nome del premier prima del voto. «Un accordo - ha ricordato Maroni - che prevede alcune condizioni. Se si rispettano ci stiamo, altrimenti no».

MARINI - Sul tema delle riforme interviene anche Franco Marini. Il presidente del Senato chiede «una sospensione delle ostilità, un patto che consenta di approvare queste riforme così tanto urgenti e indispensabili per il bene dell'Italia e degli italiani». Per Marini, inoltre, «serve una maggiore sobrietà della politica in molte manifestazioni esteriori e in alcuni suoi costi diretti» quale antidoto alla attuale clima di antipolitica. Parlando alla platea di politici e industriali in occasione del convegno annuale organizzato dai giovani imprenditori di Confindustria, il presidente di Palazzo Madama ritiene necessario «andare avanti per eliminare contraddizioni e privilegi» anche se «abbiamo già adottato le prime decisioni».

 


L’Eco di Bergamo 5-10-2007 L'opposizione avanza, ma in ordine sparso

 

Andrea Ferrari In tempi di antipolitica, la politica ufficiale cerca di muoversi e lanciare qualche segnale di fumo per raccogliere un po' di benevolenza delle masse ingrillate e infuriate contro il "Palazzo della Casta". Ieri infatti la commissione Affari Costituzionali della Camera ha votato a favore della riduzione del numero dei parlamentari che, alla Camera, passerebbero dai 630 di oggi ai 500 del futuro, che è un bel taglio. Particolarità del voto: hanno votato tutti a favore con una sola eccezione, Forza Italia. Il partito di Berlusconi ritiene infatti che non sia più tempo di avviare lunghi discorsi sulle riforme e che anzi si debba contrastare il tentativo della maggioranza di legare il destino del governo ad una (improbabile) intesa sulle modifiche alla Costituzione, in modo tale da far tirare avanti ancora un po' l'amministrazione del professor Prodi. Basta con gli alibi, ha protestato Berlusconi, si vada a votare subito, anche con questa legge elettorale E aggiunge: "Non capisco come pensino di poter governare, avendo solo due italiani su dieci che sostengono il centrosinistra". Dunque, Forza Italia si sottrae al percorso delle riforme ma si prende la responsabilità di segnare con ciò una certa frattura con due importanti componenti del centrodestra come UDC e Lega. Che infatti hanno votato in Commissione insieme alla maggioranza l'articolo sulla riduzione dei parlamentari e hanno fatto dichiarazioni per dimostrare che questa convergenza rappresenta "una svolta". "Se cade Prodi si vada a votare ? dice Roberto Maroni ? perché questa è l'impostazione migliore cui la Lega crede da sempre, anche prima di Berlusconi. Ma fino a quando non si apre la crisi, si può andare avanti a cercare di fare le riforme". Si capisce che la Lega sia interessata soprattutto al Senato federale che la stessa Commissione di Montecitorio presieduta da Luciano Violante ha approvato l'altro giorno. Mentre è chiaro che l'intenzione dell'Udc è soprattutto quella di allungare la vita della legislatura ottenendo la riforma elettorale in senso proporzionale alla tedesca, il modello che più sarebbe favorevole ai partiti piccoli, piccolissimi e medi come quello di Casini. Ma questa "eterogenesi dei fini", come la chiamerebbero i sociologi, vale a dire che da intenzioni diverse possono scaturire anche decisioni comuni, di fatto ha prodotto a Montecitorio una "maggioranza riformatrice" che a oggi potrebbe votare la riforma elettorale, bloccando il referendum ultra-maggioritario. Improbabile tuttavia che questi esperimenti possano andare avanti senza la benedizione di Berlusconi che è quello, nel centrodestra, che finisce sempre per dare le carte a tutti. La maggioranza in questo momento ha soprattutto il problema di andare avanti: il voto dell'altro ieri al Senato ha dimostrato ancora una volta e drammaticamente che al Senato la maggioranza è costantemente a rischio e la Finanziaria, che è ormai partita proprio dal palazzo più difficile per Prodi, potrebbe non andare avanti di un solo centimetro se non attraverso i voti di fiducia. Che però il Quirinale non vuole. Come uscirne? Fassino si dice sicuro che la stessa nascita del Partito democratico favorirà la stabilità della maggioranza: un conto è avere una maggioranza con al centro un partito del 20% come i Ds, altra cosa invece è che sia sorretta da una formazione del 35%. Giusto: ma è sull'ultima cifra che Berlusconi avrebbe parecchie cose da dire.


Italia Oggi del 4-10-2007 L'Analisi di Massimo Tosti

 

Dietro Il Paravento Delle Grandi Riforme Il Piccolo Cabotaggio Della Politica La riforma elettorale "è una condizione necessaria per la stabilità nel paese", ha detto ieri Romano Prodi ai giornalisti della stampa estera. Confidando, probabilmente, nella loro scarsa conoscenza delle cose italiane. Ha sbagliato, perché sono informati. E ha sbagliato perché questo ritornello (ripetuto fino alla noia dal presidente del consiglio e da molti esponenti della maggioranza) fa a pugni con la verità. Senza i meccanismi (astrusi e molto discutibili) della legge elettorale approvata dal centro-destra nella scorsa legislatura, il centro-sinistra non avrebbe neppure la risicatissima maggioranza che ha al senato, dove sarebbe in minoranza. Ma si sa, una delle poche regole fisse e inderogabili per chi fa politica nel nostro paese è quella di raccontare bugie. Prendersela ogni giorno con la legge elettorale è semplicemente un modo per esorcizzare (e allontanare nel tempo) lo scioglimento delle camere: con questa legge non si può tornare a votare, sostengono in molti, sollecitando un accordo ampio per la riforma. Ma se l'accordo non sarà trovato in tempi brevi, saranno gli italiani a decidere nel referendum per il quale Mariotto Segni ha raccolto le firme necessarie. Quindi: è un modo per sopravvivere, ma non troppo. Prodi giudica indispensabili anche le riforme istituzionali. E i suoi alleati riformisti (gli unici nella coalizione di governo che vorrebbero modificare la Costituzione) propongono soluzioni (riduzione dei parlamentari, diversificazione fra camera e senato, premierato, eccetera) molto simili a quelle varate nella scorsa legislatura dalla maggioranza di centro-destra, e poi bocciate dal referendum dello scorso anno. Bocciate, sia chiaro, dalla propaganda massiccia di chi vedeva in quella riforma un attentato alla libertà. Adesso la ruota gira. Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto (due personaggi di primissimo piano in Forza Italia) dicono che "non è questo il momento di avventurarsi in proposte di riforma costituzionale, non ce ne sono le premesse politiche". La ruota gira all'insegna della totale mancanza di dialogo, e del manicheismo assoluto: se una proposta viene dal centro-destra fa schifo al centro-sinistra; se la rilancia il centro-sinistra è il centro-destra a ribellarsi, sostenendo che è disgustosa. Questo discorso vale, persino, all'interno di ciascuna coalizione. Il consiglio dei ministri annuncia, con i doverosi squilli di trombe, l'intenzione di ridurre il numero dei parlamentari (come se potesse farlo, senza la complessa procedura parlamentare necessaria in situazioni del genere), ma si guarda bene dal procedere alla riduzione dei ministri e dei sottosegretari (indispensabile, anch'essa, per offrire una prova tangibile della volontà di dare un taglio ai costi della politica). Prodi annuncia, piuttosto, che non si presterà a un rimpasto del governo: che è bello, sano ed efficiente, un governo che tutto il mondo ci invidia. L'unico elemento di novità viene dall'entante cordiale fra Italia dei valori e Alleanza nazionale. Di Pietro mette a disposizione il suo mandato di ministro per contribuire a ridurre l'organico del governo. Non si dimette, ma offre a Prodi l'opportunità di licenziarlo. è un piccolo passo. Che non comporta rischi, come le giravolte al trapezio con la protezione della rete di sicurezza. Figuriamoci se Prodi intende rinunciare al ruolo di rete. Mica è matto. Il professore ha capito che l'unica garanzia è uniformarsi a un famoso motto di Francesco Saverio Borrelli: resistere, resistere, resistere.


L’Espresso 28-9-2007 Faccio il bis con il bisturi di Marco Damilano

 

CENTROSINISTRA ALLA PROVA Un nuovo governo. Con meno ministri e nomi di prestigio. Da varare a inizio 2008, dopo il via libera della Consulta al referendum elettorale. Ecco il piano di Prodi per scongiurare le elezioni anticipate A mollare non ci pensa proprio. "Non sarò io l'uomo che riconsegna l'Italia a Berlusconi", ripete Romano Prodi ai suoi. Alla vigilia del mega-vertice di palazzo Chigi sulla legge Finanziaria di mercoledì 26 settembre, con ministri, segretari di partito, capigruppo, tante new entry (il senatore Natale D'Amico in rappresentanza di Lamberto Dini) e qualche rifiuto (Willer Bordon e Roberto Manzione), il Professore di ritorno da New York avverte che andrà avanti, nonostante i sondaggi catastrofici e l'umore dei capi del centrosinistra che vira sempre più sul disperato. Continuare con questo governo almeno fino all'approvazione della Finanziaria. E poi aspettare la sentenza della Corte costituzionale sull'ammissibilità dei referendum sulla legge elettorale, prevista per metà gennaio 2008. Allora, solo allora, ragiona Prodi, si può tentare il grande passo: scrivere una nuova legge elettorale e rivoluzionare il governo con pochi ministri e nomi di prestigio da pescare anche fuori dall'attuale centrosinistra. Una terapia d'urto per rilanciare la legislatura impantanata e ridare una missione al governo. Unica alternativa, elezioni anticipate nella primavera 2008, destinate a trasformarsi nel ground zero della generazione che guida da dieci anni il centrosinistra. è l'exit strategy di Palazzo Chigi per scavalcare il maledetto mese di ottobre che si annuncia carico di pericoli. Con la paura di rivivere l'incubo dell'ottobre 1998 quando con un voto della Camera si ruppe il primo governo dell'Ulivo presieduto dal Professore e seguirono otto anni di guai. "Abbiamo provato a governare, è andata così", prova a dire con tono scherzoso-rassegnato un fedelissimo del premier come il ministro Giulio Santagata. "Ottobre è il mese decisivo, o si cambia o si va a casa. Dopo parte l'approvazione della Finanziaria e nessuno potrà permettersi di scherzare". Il guaio è che nella maggioranza è scattata l'ora del si salvi chi può, come segnala Ciriaco De Mita, sempre poco benevolo con il Professore, suo ex amico: "La domanda 'quando cade il governo' è malposta. Quella vera è: quando si certifica la morte? Questa situazione mi ricorda quella famiglia napoletana che aveva la mamma in agonia. Tutti aspettavano intorno al capezzale, con comprensibile partecipazione, ma il tempo passava, non succedeva niente, la tensione cominciava a calare e intanto i figli davano in escandescenze. Finché uno di loro non cominciò a chiamare a gran voce la mamma che non si decideva a trapassare: scoprì che era già morta da tempo". Il più veloce ad abbandonare la nave che affonda è il ministro Antonio Di Pietro. Il gruppo Italia dei Valori ha aperto l'ennesimo fronte al Senato chiedendo di votare la settimana prossima sulle risoluzioni contro Vincenzo Visco presentate dalla Casa delle libertà. Una richiesta anticipata dall'ex pm di Mani pulite sul suo blog, raccogliendo l'appoggio entusiasta del popolo di Internet, lo stesso che tifa per Beppe Grillo. "Di Pietro, non rovinare la tua reputazione rimanendo ancora un minuto in più in questo governo. La poltrona non è tutto nella vita, alzati e cammina con noi", scrive Chiara Candido. "Magari uscisse, almeno sarebbe un gesto di chiarezza", sbotta esasperato un deputato diessino. Sugli obiettivi del ministro delle Infrastrutture si intrecciano le voci più disparate: ha deciso di mettersi in proprio, sarà lui il killer del governo Prodi. Si parla perfino di un suo incontro con il leader di An Gianfranco Fini, anche lui a caccia di alleati alternativi a Silvio Berlusconi. Obiettivo: un cartello law and order, con al centro la legalità, per intercettare gli umori del popolo di Grillo. Sospetti uguali e contrari a quelli che circondano il competitor di Di Pietro nell'area centrista, il ministro Clemente Mastella. Anche lui è in cerca dell'uscita di sicurezza. "C'è un patto d'onore tra lui e Berlusconi", spiega un amico di Clemente. Un accordo stipulato alla festa dell'Udeur a Telese, che si compone di un solo articolo:"Se alla manifestazione del 20 ottobre di Rifondazione, quella benedetta da Bertinotti e organizzata da Franco Giordano, partecipa anche un solo ministro o un sottosegretario della sinistra radicale l'Udeur non resta un minuto di più al governo". Il risultato sarebbe la caduta di Prodi e elezioni immediate. Il ministro sta lavorando da mesi a mettere su un polo di centro con Casini e Pezzotta. Più di ogni cosa Mastella teme la riforma elettorale: i referendum o, peggio, un accordo tra i grandi partiti, il Pd e Forza Italia, per fare una legge che eliminerebbe il potere di ricatto dei partitini. A cominciare dal suo. Il modello tedesco, quello che piace tanto ai centristi di tutti gli schieramenti perché proporzionale e perché libera dall'obbligo di allearsi prima del voto, non c'è più. Non ci sono i voti per farlo passare in questo Parlamento. Al suo posto ci sono i referendum elettorali di primavera. Oppure la bomba nucleare, il grande patto tra Ulivo e Forza Italia. "Fossi in Veltroni o in Berlusconi scriverei insieme la riforma elettorale. Oppure andrei alle elezioni subito, dicendo però fin da ora che nella prossima legislatura servirà una fase in cui si governa insieme ", immagina il deputato della Margherita Enzo Carra. L'unico a non mollare in questo clima di tutti a casa è il Professore. Dopo la Finanziaria, ma soprattutto dopo la nascita ufficiale del Partito democratico, proverà a chiedere un bel sacrificio al nuovo soggetto politico che nel suo governo ha fatto il pieno delle poltrone: via i due vice-premier Francesco Rutelli e Massimo D'Alema, che resterebbero al loro posto di ministri degli Esteri e della Cultura, dentro Piero Fassino, rimasto disoccupato. Via tanti ministri senza portafoglio e relativi sottosegretari, inseriti per accontentare il bilancino delle correnti di Ds e Margherita, dentro personalità esterne ai partiti e qualche esponente del centrodestra in libera uscita per rafforzare l'ala riformista del governo: non il 'nuovo conio' invocato da Rutelli, fuori Rifondazione dentro l'Udc, perché non ci sono i numeri. Ma un'operazione Prodi-bis spericolata, in cui il centrosinistra si gioca tutto. L'unica carta che resta per tentare la rivincita, secondo il Professore. Perché l'alternativa sono le elezioni con Berlusconi trionfante e, torna a giurare Prodi minaccioso, "non sarò io quello che rifarà vincere il Cavaliere". n Ottobre a ostacoli L'ottobre caldo del governo Prodi comincia mercoledì 3 ottobre con il dibattito al Senato sul caso Visco-Guardia di finanza, con la Casa delle libertà che torna alla carica per ottenere le dimissioni del vice-ministro. La maggioranza rischia di perdersi per strada i voti del gruppo di Antonio Di Pietro: Italia dei Valori assicura di non voler votare con il centrodestra ma chiede a gran voce il rimpasto di governo.Il 6 ottobre c'è la manifestazione di esordio dei Circoli della libertà di Michela Brambilla, con Silvio Berlusconi ospite d'onore alla fiera di Roma. Il 13 ottobre An torna in piazza per la prima volta dopo anni: corteo a Roma e comizio finale di Gianfranco Fini. Il giorno dopo, domenica 14 ottobre, è il tanto atteso Pd-day: le primarie del Partito democratico con l'elezione del nuovo leader. L'appuntamento che segna l'atto di nascita del nuovo partito. Il 20 ottobre, infine, è il giorno della manifestazione a Roma convocata dalle riviste della sinistra radicale (Liberazione, Manifesto, Carta) e organizzata da Rifondazione. "Un'iniziativa di sinistra per evitare che si apra un solco tra il governo Prodi e chi lo ha eletto", la definiscono i promotori. Ma per il centrosinistra è l'ennesima curva pericolosa.


Dal 20 al 26 settembre 2007

 


Articoli dal 20 al 26 settembre 2007

Da Dini a Turigliatto Senato a trattativa continua (sezione: Riforma elettorale)

( da "Unita, L'" del 20-09-2007)

Argomenti: Proposte di legge

Stai consultando l'edizione del Da Dini a Turigliatto Senato a trattativa continua di Simone Collini / Roma "Siamo tutti Turigliatto", gridavano in primavera quelli della minoranza di Rifondazione comunista per protestare contro l'espulsione dal partito del senatore, reo insieme all'allora pdci Fernando Rossi di aver fatto andar sotto il governo sulla politica estera. Altri tempi. Oggi brutte sorprese, a Palazzo Madama, si possono nascondere lungo un po' tutti i banchi dell'Unione. La nuova stagione parlamentare si apre con una maggioranza che sulla carta continua ad avere due voti in più della Cdl, ma che tra diniani, costituenti socialisti angiusiani, unionisti democratici bordoniani e già noti "dissidenti", rischia di inciampare ad ogni passo. Perché se fino a qualche settimana fa ci si lamentava della frammentazione di una coalizione che andava, come si diceva, da Bertinotti a Mastella, adesso neanche gli accordi presi dai vertici di partito possono garantire un via libera al Senato al momento del voto. L'ultima uscita è di Lamberto Dini: continuerà a sostenere il governo ma "non è una cambiale in bianco". Come a dire, deciderà volta per volta come votare. Un ragionamento che a suo tempo aveva fatto anche Sergio De Gregorio, eletto nelle liste dell'Italia dei Valori e poi diventato presidente della commissione Difesa grazie ai voti della Cdl. Decisivo il suo voto, un anno fa, per bocciare in quella stessa commissione la Finanziaria: "Ho votato con la Cdl dopo aver tentato una soluzione bipartisan", spiegava. Poi ha fondato Italiani nel mondo e ha smesso di dare spiegazioni sul perché votasse con l'opposizione. E un primo segnale Dini lo ha già lanciato. Oggi non sarà al Senato, perché da tempo ha preso un impegno che lo ha portato a New York. Ma i due senatori che lo hanno seguito nell'impresa dei liberaldemocratici, Natale D'Amico e Giuseppe Scalera, saranno in aula quando verrà discusso il documento presentato dal centrosinistra sulla Rai. E i due hanno già fatto sapere che salvo sostanziali modifiche non lo voteranno. E non saranno i soli, visto che hanno mostrato perplessità anche gli aderenti alla costituente socialista Gavino Angius, Roberto Barbieri e Accursio Montalbano. Ma il voto sulla Rai di oggi, vada come vada, sarà solo l'inizio di un autunno che al Senato si preannuncia decisamente caldo. La Finanziaria sarà l'ultimo traguardo, insieme alle misure attuative del protocollo sul welfare e al pacchetto pensioni. Arrivarci non sarà facile, al di là della portata delle fibrillazioni che provocherà la manifestazione del 20 ottobre e che arrivino o meno alla discussione in aula proposte di legge su cui in commissione il centrosinistra fatica a trovare l'accordo: dalle unioni di fatto al testamento biologico, dalla riforma elettorale al ddl sulle intercettazioni. Poi quel traguardo andrà superato. Come'è la situazione? Prodi a "Porta a Porta" ha detto che non ci sarà una riduzione delle aliquote fiscali con questa manovra di bilancio, Dario Franceschini ha detto a SkyTg24 che "c'è lo spazio" per usare l'extragettito per "ridurre le tasse". Ma questo è il minimo. Le forze della sinistra radicale hanno messo in piedi un coordinamento permanente, sulla Finanziaria, per pesare maggiormente all'interno del governo e perché "non può decidere tutto il Partito democratico". Rifondazione comunista, Pdci, Verdi e Sinistra democratica hanno messo nero su bianco un documento che ora verrà consegnato a Prodi. Un documento in cui si chiede il rispetto del programma e si dice che il paese "necessita di una manovra economico-finanziaria per il 2008 che aumenti la coesione sociale e sia amica del clima". Obiettivi difficilmente contestabili, quelli dichiarati, e però nell'Unione è già battaglia. Franco Giordano ieri si sfogava in Transatlantico sul fatto che la "collegialità" promessa da Prodi sembra già venir meno: "Il giovane Letta, che ieri sera a "Ballarò" ha recitato a menadito la Finanziaria, la raccontasse anche a noi". A far innervosire il segretario di Rifondazione comunista sono state le parole del sottosegretario alla presidenza del Consiglio dedicate alla tassazione per i lavoratori: "Non ci ha convinti, le cose sono due: o si realizzano aumenti contrattuali, o si concede il recupero del fiscal-drag". E poi c'è il problema del pacchetto pensioni e del protocollo sul welfare. Il primo, Rifondazione lo vuole fuori dalla Finanziaria, in un collegato da approvare entro il 31 dicembre. Il secondo non lo vuole proprio, così com'è. I parlamentari della minoranza Prc, come il senatore Fosco Giannini, hanno già fatto sapere che voteranno contro, anche se verrà posta la fiducia. I vertici del partito vogliono aspettare i risultati del referendum tra i lavoratori, per capire dove apportare delle modifiche all'accordo siglato con i sindacati. Ma se modifiche ci saranno, Dini ha già fatto sapere che sarà lui a votare contro.

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Maroni a Cicchitto <Non mi fido di Calderoli> (sezione: Riforma elettorale)

( da "Libero" del 20-09-2007)

Argomenti: Proposte di legge

Italia 20-09-2007 Maroni a Cicchitto "Non mi fido di Calderoli" di B.R. ROMA Si fa sempre più remoto l'accordo sulla riforma elettorale. Non solo tra maggioranza e opposizione, ma nella stessa Cdl. Ieri sono volati gli stracci nel vertice dei capigruppo del centrodestra convocato per discutere di legge elettorale e riforme istituzionali. Un incontro tesissimo che ha visto Fi e Lega l'una contro l'altra armate. Con il capogruppo azzurro Elio Vito e il vicecoordinatore di Fi, Fabrizio Cicchitto, da una parte a premere per lasciare al Senato la riforma elettorale, e il presidente dei deputati del Carroccio, Roberto Maroni, che risponde picche "perché", ha dichiarato testuale, "non mi fido di Calderoli, che in commissione Affari Costituzionali ha fatto proposte diverse da quelle che vorremmo noi". Convocato per valutare appunto l'ipotesi di chiedere un trasferimento della nuova legge elettorale alla Camera dal Senato, dove sta per partire la discussione della Finanziaria che potrebbe rallentarne l'iter, il vertice ha sfiorato la rissa. A differenza di Maroni, Cicchitto è contrario al trasferimento a Montecitorio, perché "il rapporto di forze qui è a favore dell'Unione, mentre al Senato abbiamo più possibilità di stopparli". Una spiegazione suonata "speciosa" al capogruppo leghista, che ha colto in quest'atteggiamento rinunciatario di Fi un suo spostamento sulla linea del referendum. "Non era negli accordi di Gemonio", ha protestato Maroni, "ora bisogna capire come la pensa Berlusconi, che ha dichiarato cose ben diverse due settimane fa" nell'incontro tra An, Lega e Fi a casa di Umberto Bossi dove è stato sancito il "Patto di Gemonio". I cui capisaldi erano: bipolarismo, indicazione preventiva di alleanze e premier e uno sbarramento che eviti la frammentazione. Altro punto di scontro, le riforme istituzionali. Mentre gli azzurri le considerano un salvavita per Prodi, Maroni è intenzionato ad andare avanti pur di ottenere il Senato federale, anche con l'attuale governo. Unico punto d'intesa: Fi e Lega hanno invitato Italo Bocchino di An, che in commissione è il relatore di minoranza del disegno di legge di riforma costituzionale, a chiedere il rinvio dei termini di presentazione degli emendamenti, allo scopo di rallentare i lavori, e a valutare l'ipotesi di dimettersi, con lo stesso obiettivo. Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza autorizzazione.

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Legge elettorale, Chiti accusa Forza Italia: <Ambigui> (sezione: Riforma elettorale)

( da "Campanile, Il" del 20-09-2007)

Argomenti: Proposte di legge

Giuseppe Petrocelli Legge elettorale, Chiti accusa Forza Italia: "Ambigui" Il relatore Bianco: "Il nostro obiettivo? La riforma in Aula al Senato a novembre, subito dopo la Finanziaria" La riforma elettorale dovrà "assolutamente" essere licenziata dalla commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama entro fine ottobre e a novembre, subito dopo la Finanziaria, dovrà approdare in Aula. E' questo l'obiettivo del relatore della legge, l'ulivista Enzo Bianco, che fa professione di ottimismo: "Sono ostinatamente ottimista ? osserva Bianco - nel considerare che tutti si rendano conto del fatto che il referendum, dal punto di vista della legge elettorale che ne esce fuori, arriverebbe ad un risultato clamorosamente lontano rispetto a quello che assegna". Ieri la prima commissione ha definito una sorta di calendario: la prossima settimana ci saranno due sedute dedicate rispettivamente al voto degli italiani all'estero e alle quote rosa. Poi si entrerà nel vivo. Bianco ha fatto sapere che metterà in votazione i punti fondamentali: premio di maggioranza con indicazione del premier e preventiva delle alleanze, soglia di sbarramento, liste bloccate, preferenze o collegi uninominali. Il voto sarà espletato, sostiene Bianco, con alzata di mano di tutti i componenti della commissione. "Sulla base delle risposte che saranno assunte in commissione su questi orientamenti ? ha sottolineato il presidente Bianco ? mi sono impegnato a predisporre immediatamente un testo che tenga conto di queste indicazioni". Tuttavia, nonostante l'ottimismo del presidente diellino è ancora impasse sul merito della riforma dopo che già martedì l'organismo parlamentare aveva deciso per un rinvio a ieri della discussione preliminare. Il ministro delle Riforme Vannino Chiti ha attaccato il partito di Silvio Berlusconi: "Fi ? ha affermato il ministro diessino ? deve soprattutto chiarire se vuole o non vuole la legge elettorale. Un punto che non è chiaro ed è preliminare è quello sul premio di maggioranza. Invece su questo punto si rimane ambigui e devo dire che la posizione di Fi ad oggi non l'ho capita". Il ministro rincara la dose: "Dopo Gemonio ai cittadini è stato detto che si voleva la soglia di sbarramento al 5 per cento e non più il premio di maggioranza. Questo lo possiamo anche chiamare modello cuccurucù, ma insomma assomiglia a quello tedesco. Se continuano le ambiguità, si continua a pestare l'acqua nel mortaio. Invece - conclude Chiti - ognuno alla luce del sole deve assumersi la responsabilità di una posizione netta e chiara". A stretto giro arriva la replica da parte del partito berlusconiano: "Nessuna ambiguità" chiosa il senatore Gaetano Quagliarello. L'altro ieri Chiti aveva spiegato che sarebbe meglio approvare la riforma a novembre piuttosto che a maggio, ma che comunque ci sarà tempo fino alla primavera. Il relatore Bianco, facendo tesoro di questo nuovo giro di opinioni, dovrà presentare un nuovo testo. Nel merito, però, come si può osservare la partita è ancora tutta da giocare. Le posizione restano rigide. L'Unione ha accusato la Cdl di non essere coerente con il patto di Gemonio e di aver tirato fuori, di nuovo, il premio di maggioranza; la Cdl ha contrattaccato accusando l'Unione di vendere "tanto fumo e poco arrosto" per usare le parole del leghista Roberto Calderoli. Di certo, però, finora c'è che il centrosinistra aveva intenzione di proporre un sistema tedesco corretto senza premio di maggioranza e con soglia di sbarramento al 5 per cento. Ma il centrodestra ha detto no a un modello tedesco, corretto o non corretto che sia. E questo, al momento, fa tornare al punto di partenza. Il ministro delle Riforme Chiti, tuttavia, ha ribadito la volontà di fare la riforma elettorale e quella della Costituzione insieme all'opposizione. Per questo, ha spiegato, non c'è ancora un testo base, che dovrebbe essere frutto della più ampia maggioranza possibile. (20-09-2007).

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LEGGE ELETTORALE: DI PIETRO, GOVERNO CALENDARIZZI SUA PROPOSTA (sezione: Riforma elettorale)

( da "Asca" del 20-09-2007)

Argomenti: Proposte di legge

(ASCA) - Roma, 20 set - ''In assenza di azione parlamentare, credo che il governo debba fare sentire ancora di piu' la propria voce sulla riforma elettorale, e presentare e calendarizzare la sua proposta dialogando con il Parlamento''. Lo ha detto il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro a margine della conferenza nazionale sulle politiche abitative in corso alla Luiss di Roma. Di Pietro ha voluto ringraziare il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, per il lavoro svolto finora ed ha auspicato che ''avendo raccolto le firme'' il referendum si faccia. sam/mcc/sr.

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Rispunta il mattarellum . E semplice e funziona, però ai piccoli non va giù Mentre Camera e Senato si preparano a discutere di riforma elettorale torna la tentazione di un ritorno (sezione: Riforma elettorale)

( da "Unita, L'" del 24-09-2007)

Argomenti: Proposte di legge

Stai consultando l'edizione del Rispunta il "mattarellum". E semplice e funziona, però ai "piccoli" non va giù Mentre Camera e Senato si preparano a discutere di riforma elettorale torna la tentazione di un "ritorno al passato" buttando via il "porcellum" di Calderoli Appena si riparla di legge elettorale (e appena sembrano arenarsi le soluzioni più complesse) l'idea riaffiora puntuale: e se facessimo tornare in vita il vecchio "mattarellum"? Soluzione con molti pro e con diversi contro. Il primo punto a favore sarebbe nella semplicità della proposta. Si potrebbe fare una legge di un solo articolo che recita più o meno così: è abrogata la legge elettorale vigente (quella che porta la firma di Calderoli e il soprannome indicato di "porcellum") e torna in vigore la precedente normativa elettorale. Sarebbe tutto facile, senza nessun emendamento e neppure una piccola correzione su cui contrattare. Il secondo punto a favore è nel fatto che il mattarellum (il nome deriva da quello di Sergio Mattarella che la firmò quando era ministro degli Interni) ha dato buone prove di se nelle tre elezioni in cui è stato usato, ovvero nel 1994, nel '96 e nel 2001. A dire il vero nel 1994 la maggioranza al Senato dell'alleanza a tre Berlusconi Bossi e Fini non aveva la maggioranza almeno fin quando non è stato imbarcato il senatore Grillo... Ma tant'è. Perché il Mattarellum non dà alcun premio di maggioranza e istituisce un forte bipolarismo fondato sui collegi uninominali (se vogliamo esser precisi il bipolarismo è di collegio, visto che - sempre nel 1994 Berlusconi si era presentato con la Lega al Nord contro il Msi, e col partito di Fini al centrosud). Intanto ripartiamo dal funzionamento della legge: Mattarella - che raccoglieva anche le indicazioni di due referendum di senso fortemente bipolarista e maggioritario, aveva assicurato che il 75 per cento delle due camere venisse eletto direttamente in sfide all'interno dei collegi elettorali di dimensioni medie (ciascuno dei quali conta circa 100mila elettori). Il restante 25 per cento invece veniva eletto - nel caso della Camera - con una seconda scheda e su base proporzionale: era un rimedio per assicurare anche ai partiti piccoli o a quelli che non volevano allearsi ad un polo di avere una qualche rappresentanza. Per rafforzare questa quota proporzionale poi aveva inventato lo scorporo, ovvero il fatto che i partiti o raggruppamenti maggiori dovessero "scorporare" nel conteggio dei voti proporzionali quelli che erano già stati utilizzati per eleggere un parlamentare col maggioritario. Sistema difficile da spiegare e da capire ma a suo modo efficiente per i "piccoli". Il risultato migliore il mattarellum ce l'ha avuto proprio nell'avvicinare i cittadini e gli eletti, per far apparire i voti immediatamente determinanti. Esattamente il contrario di quanto avviene oggi col "porcellum" che è proporzionale, ha liste bloccate e ha una base non di collegio quindi distante dagli elettori. Fin qui abbiamo parlato dei pro. I contro sono soprattutto politici. Il "mattarellum" non piace ai piccoli partiti perché benché garantisca un forte diritto di tribuna li rende sostanzialmente inutili se non si sono alleati all'interno di un polo. Insomma sarebbe esattamente il contrario del sistema tedesco. quello verso il quale molti dei "piccoli" sarebbero orientati.

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Prodi: meno ministri ma non sarà rimpasto (sezione: Riforma elettorale)

( da "Stampa, La" del 26-09-2007)

Argomenti: Proposte di legge

[FIRMA]UGO MAGRI ROMA Si piega per non spezzarsi, Romano Prodi. Sceglie una difesa flessibile. Accetta finalmente di ragionare su una nuova squadra di governo, con meno ministri, vice-ministri e sottosegretari, come tributo d'immagine alla cosiddetta anti-politica dilagante. Lo fa filtrare da Palazzo Chigi mentre lui si trova a New York per l'assemblea generale Onu. Così il premier ottiene tre risultati in un colpo solo: sgombra il terreno dalla questione che aleggiava sul vertice di maggioranza convocato stasera, e che senza una definizione preventiva sarebbe certamente finito in rissa; dà soddisfazione ai tanti che avevano caldeggiato l'idea, cominciando da Fassino (che ne detiene il copyright) per finire a Di Pietro (il quale ha una guerra personale in corso con Visco e reclama grandi cambiamenti); ma intanto rinvia qualunque decisione concreta di parecchi mesi. Tanto che Di Pietro risponde: "No, no e no. E' una proposta veterodemocristiana". Già, perché la condizione posta dal Professore per ripensare il suo governo è che prima si approvi la Finanziaria (l'iter si concluderà nel tardo autunno), quindi ci si dedichi con impegno alla riforma elettorale (ai primi di gennaio la Consulta deciderà se il referendum di Guzzetta e Segni è ammissibile oppure no). E solo poi, se la maggioranza sarà ancora in piedi, verrà discussa una "riconsiderazione organizzativa" della squadra di governo. Si badi bene: nessun rimpasto, come Prodi stesso s'è affrettato a precisare, cioè niente avvicendamenti tra ministri. Chi spera di infilarsi nel governo al posto di qualcun altro viene per il momento gelato. Prodi è disposto a ragionare su qualcosa di molto più ampio e al tempo stesso ancora inafferrabile, di cui varrà la pena parlare nel momento in cui potrà inaugurarsi una fase nuova del governo... Per i palati fini della politica, la mossa di Prodi è un piatto prelibato. Quell'accenno alla riforma elettorale, da fare subito dopo la Finanziaria, viene inteso come un sofisticato modo per tagliare la via all'eventuale governo di tregua, di cui tanto si parla nei Palazzi romani e che avrebbe come compito prioritario proprio quello di cambiare il meccanismo di voto prima di andare alle urne. Giusto ieri Veltroni denunciava che tornare alle elezioni con il "Porcellum" sarebbe "un omicidio" ai danni del paese. E si sa come la pensa il Presidente Napolitano. Ebbene, Prodi è come se dicesse: se c'è da riformare la legge elettorale sono qua io, pronto a riprendere in mano la questione. Inutile cambiar governo. Guarda combinazione, Prodi ha lungamente colloquiato con colui che più spinge nella maggioranza per un governo istituzionale: Lamberto Dini. Il Professore giura di averlo dissuaso dai suoi propositi, Dini "mi ha assicurato la sua appartenenza al centrosinistra e non esclude un suo ingresso nel Pd quando ci saranno le condizioni". Altra mina per il momento disinnescata, con Prodi che stuzzica i cronisti: "Sono 16 mesi che tutti i giorni mi chiedete se il governo cade. Facciamo una moratoria, chiedetelo almeno ogni due settimane...". Ma per ogni spoletta che il premier riesce a brillare, altri ordigni affiorano sul suo cammino. Due senatori che tengono la maggioranza col fiato sospeso a Palazzo Madama (Bordon e Manzione) hanno ribadito che non prenderanno parte al vertice di stasera, ancorché invitati, poiché "riproduce sterili rituali di una vecchia politica". In pratica, rifiutano di legarsi le mani e si tengono pronti a tutto. Se si aggiungono il movimentismo dipietrista e la vocazione al "distinguo" della sinistra radicale su welfare e politica estera, non stupisce che il più agitato di tutti sia Mastella. Personaggio di frontiera, bersaglio di Grillo, concupito dal Cavaliere, il leader di Ceppaloni reclama chiarezza dagli alleati poiché, lascia intendere, se si va al "rompete le righe" generale lui non prende lezioni da nessuno: brucia tutti sul tempo.

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Enzo bianco ha già pronta la proposta di riforma elettorale per aprire il dialogo con udc e lega (sezione: Riforma elettorale)

( da "Mattino, Il (Benevento)" del 26-09-2007)

Argomenti: Proposte di legge

Chiudi Enzo Bianco ha già pronta la proposta di riforma elettorale per aprire il dialogo con Udc e Lega.

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Il candidato Mario Adinolfi (sezione: Riforma elettorale)

( da "Blogosfere" del 26-09-2007)

Argomenti: Proposte di legge

Set 0726 Il candidato Mario Adinolfi Pubblicato da Demetrio Vacca alle 19:04 in Arena Per chi non lo conosce...o per chi lo vorrebbe conoscere meglio, tratto dal sito dell'Ulivo ecco il suo profilo: Mario Adinolfi Si presenta come il candidato dei giovani ed effettivamente è il più giovane fra i candidati alla guida del Pd: romano doc, nasce a Testaccio 35 anni fa, professione giornalista e soprattutto blogger. E' il 2003 quando ha aperto il suo blog che è diventato in breve tempo tra i più seguiti in Italia. Scrive inoltre su diversi quotidiani, è opinionista in Tv (famosa la frase detta alla Falchi su Raidue: "Non capisco cosa c'entri Anna Falchi con il lavoro. è comodo fare certe riflessioni seduta sui milioni di euro") e conduce la trasmissione Contro Adinolfi (interviste in pressing su un politico) in onda su Nessuno Tv, di cui è Vicedirettore, e su Radio Città Futura. "Credo di aver inventato la crossmedialità italiana - ha detto - e all'incrocio tra radio, tv e web ho avuto una discreta fortuna professionale. Tengo una rubrica quotidiana su Europa che racconta le evoluzioni dei blog italiani". Ha fondato nel 2001 Democrazia Diretta e poi Generazione U, dove U sta per inversione ad U, Unione, Ulivo e You in inglese. www.marioadinolfi.itwww.youtube.com/marioadinolfiDi seguito la sua dichiarazione programmatica.... "In nome di quel che sarà" (Dichiarazione di intenti) Ventotto milioni di italiani hanno meno di quarant'anni. Su oltre trecento eletti in Parlamento, l'Ulivo non ha in rappresentanza di questi 28 milioni di cittadini neanche un eletto. A questo "genocidio politico" generazionale, non si può rispondere con un tentativo di cooptazione, come quello di fantomatiche liste under 30 in appoggio agli esponenti più in vista del futuro Partito democratico. Ora è il momento di correre il rischio. Altrimenti ogni trattativa sulle pensioni, ogni mancata trattativa su ammortizzatori sociali e nuove garanzie nel mondo del lavoro, ogni nuova elezione, saranno luoghi dove un intero segmento del tessuto sociale (non "i giovani", ma le energie migliori di questo paese) verrà sistematicamente ignorato, imbrogliato, umiliato. Mi candido da outsider alle primarie del 14 ottobre 2007. Da outsider vero: non sono né ministro, né sindaco, né senatore, né sottosegretario. Non posso contare sui denari del finanziamento pubblico alla politica, né sul potere derivante da posizioni di rilievo. Mi metto nudo davanti al carroarmato, perché l'ho già visto fare ai miei coetanei che combattevano per la democrazia in un paese che democrazia non ne ha. Per questo sono grato a chi ha scelto di aprire questa finestra di opportunità democratica. Sono grato, sì, anche ai partiti che si mettono in gioco per costruire qualcosa di davvero nuovo: a Ds e Margherita, ai loro dirigenti, cui ho rivolto assai spesso parole anche più che polemiche, va in questo senso un ringraziamento sincero. Alle persone che sfido candidandomi va la mia stima: sono onorato di poter incrociare le lame con personalità del calibro e con la storia di Walter Veltroni, Rosy Bindi, Furio Colombo e spero anche Enrico Letta. Mi candido per batterli, però, in nome di quel che sarà della politica. Spero sia molto più di quello che è. E quel che sarà è l'irruzione di internet nella scena sociale, l'esplosione del fenomeno dei blog, il formarsi di un popolo prevalentemente composto di under 40 che usa la rete come modello di vita. Io credo che sia anche un modello politico ed è certamente il modello a cui ispirerò il partito democratico se dovessi vincere la competizione del 14 ottobre: un modello reticolare, orizzontale, senza vantaggi di posizione per i notabili, con un confronto continuo e aperto, capace di portare dentro il sistema politico rappresentativo in decomposizione, la ventata di novità rappresentata dalle forme della democrazia diretta, primarie e referendum in primis. Per questo e non solo per questo, il primo atto che compierò sarà chiedere a chiunque firmerà per la mia candidatura di firmare contestualmente anche il referendum sulla riforma elettorale. Ora, in strada. E speriamo che conduca ad un posto migliore. Il partito democratico può esserlo, noi daremo una mano affinché lo diventi. "Tre numeri: Cento, Due, Zero" Le idee di fondo della campagna ADINOLFI 2007 sono: democrazia diretta, rappresentanza generazionale, rottura degli schemi oligarchici dei partiti, sostegno al referendum elettorale. Ci impegniamo però anche su delle proposte concrete su cui intendiamo orientare il partito democratico, se dovessimo vincere la competizione del 14 ottobre. Le proposte si articolano su tre numeri: cento, due, zero. Cento è la quota che consideriamo credibile per sostenere il sistema pensionistico e non avviare la generazione dei nati negli Anni Settanta e Ottanta a pensioni da fame. Quota cento significa sessant'anni di età e quaranta di contributi, sessantacinque anni di età e trentacinque di contributi, e così via, fatti salvi i lavori veramente usuranti, con parificazione dell'età tra uomini e donne. A quota cento può diventare credibile che noi trentenni e quarantenni di oggi, dopo aver lavorato quarant'anni, possiamo andare in pensione con un assegno che garantisca la sussistenza. Altrimenti, un'altra ipoteca pesantissima sarà messa sul nostro futuro e, dopo lo scippo del Tfr, ci ritroveremo definitivamente a vederci scippata una vecchiaia almeno vivibile. Due è la percentuale del Pil italiano che vogliamo sia investita in ricerca scientifica, da subito, partendo dall'assegnazione di strumenti di decenza economica per i giovani ricercatori universitari, svincolandoli dal baronismo e dalla fame in cui versano oggi. Due è anche il numero della coppia, della giovane coppia, che deve essere tutelata in quanto tale se assume l'impegno ad essere un nucleo stabile di amore e lavoro comune all'interno della società, a prescindere dall'orientamento sessuale. Due sono i bisogni primari da soddisfare in questo senso: casa e lavoro. E da qui deriva lo zero. Zero. Vogliamo zero interessi sui mutui per le giovani coppie che acquistano la prima casa, con risorse pubbliche che si liberano dalla ristrutturazione del welfare attraverso la proposta "quota cento", che potrà prevedere ammortizzatori sociali degni di questo nome, che trasformino la flessibilità in una condizione dell'opportunità, non nella schiavitù che è oggi per milioni di giovani lavoratori precari. Vogliamo zero vincoli all'ingresso nelle libere professioni, che devono essere libere appunto, dopo l'ottenimento dei titoli di studio per esercitarle. Vogliamo zero dubbi sul fatto che lo Stato è laico, laico, laico e lo stesso zero dubbi sul fatto che la Chiesa abbia diritto di esprimere in piena libertà le proprie opinioni, perché il partito democratico è l'occasione storica per abbattere definitivamente un anacronistico steccato. Vogliamo zero discussioni attorno al fatto che l'emergenza ambientale è una questione primaria, che se non recuperata ora nell'agenda delle priorità della politica, rischia di scaricare i suoi prezzi letali su di noi e sui nostri figli. Vogliamo zero costi della politica che dovrebbe essere costruita tutta su base volontaria, come questa candidatura e vogliamo zero caste: azzerare non solo la casta dei politici corrotti, cancellando dalla possibilità di ricandidatura i condannati con sentenze passate in giudicato, ma tutte le caste che dalle loro torri d'avorio hanno trasformato questo splendido paese in una terra del neo-feudalesimo. Vogliamo zero vincoli all'accesso alla rete, alla scaricabilità di contenuti in peer to peer per l'utilizzo personale, alla diffusione della banda larga anche attraverso il WiMax, alla libertà del web. Zero mafia, zero camorra, zero 'ndrangheta, zero omissis sui misteri d'Italia, zero rispetto per i terroristi, zero trame oscure, zero strapotere delle banche, zero conflitti d'interesse, zero dominio della politica sull'informazione e sulla Rai, zero umiliazioni per i consumatori, zero evasione fiscale, zero riduzione in schiavitù di bambini rom e giovani prostitute, zero disparità e conseguente parità piena della condizione femminile. Zero sfruttamento dell'uomo sull'uomo, in qualsiasi forma, anche in quella moderna di un contratto co.co.pro in un call center a seicento euro al mese. Ci batteremo per questo, per tutto questo, con nettezza e senza mediazioni possibili. Non è un libro dei sogni, anzi, non è un sogno. E' un progetto per un'Italia libera e forte.

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Il Manifesto 17-9-2007 Legge elettorale, Veltroni incalza: "Cambiarla è un emergenza nazionale". Bossi insiste, Forza Italia apre e Bertinotti è ottimista: "Si può fare". Ma sul modello tedesco non c'è accordo e la consultazione di primavera si avvicina Domenico Cirillo

 

Roma "Ci sono tutte le condizioni per cambiare la legge elettorale". Il presidente della camera è ottimista al punto che considera la riforma fattibile "rapidamente" perché "i tempi sono maturi". Ma come? Berlusconi ha appena chiuso ad ogni ipotesi di dialogo con il centrosinistra, e Prodi gli ha replicato secco "faccia quel che vuole"? Fausto Bertinotti suggerisce di non farsi ingannare dalle apparenze: "Sarei molto smagato e guarderei meno agli elementi di superfice e più a quelli di fondo". In effetti il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti, corregge un po' le dichiarazioni drastiche del cavaliere. "Noi siamo pronti a discutere della legge elettorale - dice -, ci incontreremo tra noi e qualcosa uscirà fuori. Ma la sinistra non ha favorito il clima di dialogo". Bonaiuti riconosce che nemmeno il centrodestra ha le idee chiare al suo interno. Anche se nel "patto di Gemonio" tra Forza Italia e Lega si parla di una riforma di tipo proporzionale e soprattutto si prende l'impegno di evitare il referendum che (corte Costituzionale permettendo) andrebbe fatto la prossima primavera. Alleanza nazionale la pensa diversamente. Intanto Maurizio Gasparri affonda l'ipotesi che piace a leghisti e berlusconiani di lavorare sul modello tedesco: "No grazie. Con quel sistema si ingannano gli elettori tenendosi le mani libere per governare ora con la destra ora con la sinistra". Poi Gianfranco Fini sottolinea le differenze tra il suo partito e la Lega: "Bossi è pronto a tutto pur di evitare il referendum che io non considero una minaccia o un attentato alla democrazia. Sono disponibile al confronto sulla legge elettorale, ma solo a certe condizioni". Casini e l'Udc invece stravedono per il proporzionale alla tedesca e ieri concludendo la festa del partito l'ex presidente della camera ha proposto non una soglia di sbarramento ma "una sogliona" particolarmente alta, metodo sicuro per favorire la nascita di aggregazioni di partiti e poi, ha detto Casini, "si dovrebbe andare subito al voto". Obiettivo che è lo stesso di Fini, che infatti ospitando ieri a Roma alla festa dei giovani di An Walter Veltroni non ha concesso alcuna apertura sulla legge elettorale e sulle altre riforme: "Questo parlamento prima se ne va e meglio è". Il problema è però che con la legge elettorale "porcata" di Calderoli il capo dello stato ha detto in un paio di occasioni e chiaramente che sarebbe inutile sciogliere le camere. Dunque anche la destra ha interesse a intervenire sul sistema di voto e Berlusconi sa che non può affidarsi solo al referendum rischiando di perdere due partiti (Lega e Udc) su quattro della coalizione. D'altro canto la primavera 2008 si avvicina: "Si perde tempo a discutere sui vari sistemi elettorali e intanto si precipita sul referendum", si allarma il socialista Villetti. Tra gli acceleratori c'è sicuramente Rifondazione che ha già fatto la sua scelta per il modello tedesco. Ma nell'Unione non tutti la pensano così e c'è chi anche nel Partito democratico preferisce un ritorno al Mattarellum con il quale si è votato nel 2001. Anna Finocchiaro dei Ds lo dice apertamente, altri nell'Unione (come Verdi e Pdci) sono d'accordo. L'Udeur sospetta e teme che il Pd stia prendendo tempo perché in realtà spera nel referendum e nella vittoria dei sì. Veltroni lancia la carica: "Cambiare la legge elettorale è un'emergenza nazionale, a me piacerebbe che ci fossero le condizioni". Il sindaco di Roma resta comunque tra i fan del referendum. A questo punto, nonostante l'ottimismo di Bertinotti, sempre più probabile. Perché Ds e Margherita, dopo aver affondato le proposte messe insieme dal ministro delle riforme Chiti che aveva trovato un'intesa trasversale attorno al sistema delle regionali, dopo aver lanciato il modello tedesco, adesso lanciano segnali in favore del Mattarellum. Un sistema, rivela il ministro della Difesa Parisi, che piace soprattutto a Prodi. E che avrebbe il privilegio di poter essere raggiunto semplicemente cancellando, con una legge di un solo articolo, la riforma introdotta da Calderoli sul finire della scorsa legislatura.


Il Corriere della Sera  6-9-2007 I poli e la nuova legge elettorale Il dialogo non fa miracoli di Giovanni Sartori

 

 

Basta parlarsi e tutto si risolve? Vediamo in concreto. Per mesi e mesi i nostri grandi capi (Berlusconi e Fini da un lato e i loro equivalenti di sinistra dall'altro) hanno parlato della riforma elettorale senza parlarsi, gorgheggiando da soli. Ma qualche giorno fa, agli Incontri di Cortina, Fassino e Fini si sono incontrati faccia a faccia. Alleluia, alleluia, habemus dialogum. Volete sapere come è andata? Ecco qua.

Sul punto (riforma elettorale) Fassino propone il sistema tedesco. Fini risponde che quel modello non è accettabile perché non prevede la «condizione irrinunciabile» della dichiarazione preventiva, prima dell'elezione, delle alleanze di governo. Fassino, forse sentendosi in dovere di dialogare, accondiscende senza difficoltà: «Allora mettiamo un vincolo, integriamo (il sistema tedesco) con una clausola che prevede l'obbligatorietà di dichiararle». Al che Fini può facilmente ribattere: «Ma allora non è più il modello tedesco». Uno a zero? Si, ma no. Perché entrambi hanno, in premessa, torto marcio: Fini nel chiedere quel che chiede, e Fassino nel concederlo alla leggera come se si trattasse di una inezia.

I sistemi elettorali, così come i sistemi costituzionali, sono «sistemi» le cui parti debbono funzionare in sintonia, l'una ingranata nell'altra. Insomma, sono un po' come orologi. Mettiamo che il mio orologio richieda dieci rotelle; in tal caso non può funzionare né con nove né con undici. Così Fini sbaglia perché chiede una rotella di troppo, e Fassino sbaglia perché gliela concede senza rendersi conto del problema.

La contromossa di Fassino poteva essere di porre due domande: primo, quali sono al mondo gli altri sistemi parlamentari che richiedono quel che Fini richiede e, secondo, perché non lo richiedono. Alla prima domanda Fini non avrebbe saputo rispondere, visto che non ci sono; e alla seconda avrebbe probabilmente risposto che noi siamo i primi della classe all'avanguardia degli altri. Purtroppo no: la risposta corretta è che noi siamo, in materia costituzionale, i più somari di tutti. Difatti né Fini né Fassino danno mostra di sapere cosa sia un sistema parlamentare, il sistema prescritto dalla nostra costituzione e ribadito da un recente referendum.

Un sistema parlamentare si chiama così perché è fondato sul principio della sovranità del parlamento. Il che implica che in questo sistema l'elettorato sceglie i rappresentanti e poi gli eletti scelgono, in parlamento, le soluzioni di governo consentite dalle elezioni. Questa non è una minore democrazia — come l'imbottimento dei crani degli ultimi anni ci ha messo in testa — ma invece il pregio del sistema parlamentare: di essere un sistema flessibile e capace di auto-correzione. All'inverso, la predesignazione delle coalizioni di governo pone in essere un sistema rigido, bloccato, che per di più dimezza la libertà di scelta dell'elettore imponendogli le coalizioni di governo scelte per lui (oggi come oggi) da Prodi o da Berlusconi. Infine, se in un sistema fondato sulla sovranità parlamentare questa sovranità viene radicalmente esautorata, come può sfuggire che la predesignazione in questione sarebbe incostituzionale?

Eppure sfugge, la domanda è retorica. Proprio l'altro ieri il seguito è che Berlusconi, Fini e Bossi si sono riuniti per ribadire che la condizione irrinunciabile della predesignazione è davvero irrinunciabile.
A cosa servono, allora, i dialoghi? Nell'esempio a fare più male che bene. Anche se i dialoganti sono in buona fede (un caso abbastanza raro) basta che siano incompetenti per avallare soluzioni intrinsecamente stupide e legalmente incostituzionali. La «dialogomania» non è una corte dei miracoli.

06 settembre 2007

 


AGI 5-9-2007 LEGGE ELETTORALE:IL POLITOLOGO CECCANTI,SI RISCHIA IL’LIFTING’

 

(AGI) - Roma, 5 set. - Serve coraggio. Una modifica dell’attuale sistema elettorale ‘frullando’ le posizioni sul tavolo - bozza Chiti, modello tedesco e ‘paletti’ della Cdl - rischia di essere l’ennesima perdita di tempo lasciando il Paese senza quella riforma di “alto profilo” di cui c’e’ estremo bisogno. E’ il parere di Stefano Ceccanti, politologo, ordinario di Diritto Pubblico alla Sapienza. “Se la nuova legge elettorale dovesse confermare l’impianto di quella precedente con minimi ritocchi - spiega all’Agi il docente - saremmo davanti a una semplice operazione di ‘lifting’, che non eviterebbe il referendum”.
“Premesso che una riforma di alto profilosarebbe altamente positiva - prosegue Ceccanti - al momento le volonta’ di procedere in tal senso non sembrano supportate da soluzione tecniche in grado di raggiungerla. Infatti molte dichiarazioni politiche sembrano oscillare tra due estremi, entrambi non coerenti con l’obiettivo: alcuni ripropongono un premio di coalizione che sembra essere molto simile a quello della legge in vigore, ma se cosi’ fosse quella legge, oltre a non rappresentare un salto di qualita’, non supererebbe il quesito referendario, che la Cassazione trasferirebbe fatalmente sulla nuova normativa. Altri propongono di rinunciare al premio, adottando il modello tedesco che non si puo’ correggere efficacemente con una dichiarazione preventiva e che dunque farebbe inevitabilmente ritornare a trattative post-elettorali”.
Per superare questa empasse, percio’, Ceccanti propone di “riproporre il sistema francese, o quello spagnolo, o comunque un altro che valorizzi i costituendi partiti a vocazione maggioritaria e porti a un bipolarismo migliore”. (AGI)

Red


Il Corriere della sera 5-9-2007 Berlusconi: «Legge elettorale, c'è l'accordo» Il Cavaliere: «Ma per noi si può votare anche con la normativa attuale» Si è concluso l'incontro tra il leader di Forza Italia, Bossi e Fini: sì a bipolarismo, indicazione alleanze e premier e sbarramento

 

 

GEMONIO (VARESE) - «Abbiamo l'intesa, si può votare con questa legge elettorale, ma siamo anche disposti a esaminare una nuova legge purchè si uniformi a tre punti: bipolarismo, indicazione preventiva di alleanze e del presidente del Consiglio e, infine, uno sbarramento che eviti la frammentazione». Così il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi ha commentato le conclusioni dell'incontro sulla legge elettorale avvenuto a Gemonio. Un'intesa accolta positivamente anche dal sindaco di Roma e candidato leader alla guida del partito Democratico Walter Veltroni.

BOSSI - «C'è accordo - ha detto Bossi al termine dell'incontro - ora si può andare a trattare. Il problema negativo per noi era il referendum. Bisognava trovare un'alternativa in tempi brevi e l'abbiamo trovata».
Poi il Senatur ha chiesto scusa al presidente del senato Franco Marini dopo la pioggia di polemiche seguite alla sua dichiarazione fatta a Telepadania e nella quale aveva affermato, parlando del presidente del Senato, che «i cadaveri tirano giù». «La mia battuta su Marini? L'ho fatta per invidia, perchè lui è popolare ed è simpatico alla gente. Non volevo offenderlo» ha detto Bossi.

FINI - «Sia con Bossi che con Berlusconi siamo pienamente concordi nel ribadire la forte necessità di una ripresa dell'iniziativa politica da parte della Cdl. Occorre passare all'attacco, non possiamo lasciare tutto il palcoscenico alla sinistra, bisogna riprendere l'iniziativa nei contenuti» ha detto invece il leader di An Gianfranco Fini, appena concluso l'incontro con Berlusconi e Bossi. Anche Fini ha ribadito, a proposito della riforma della legge elettorale, che «si può tranquillamente votare con quella che c'è, salvo qualche aggiustamento. Ma se la maggioranza di governo non la ritiene sufficiente siamo pronti a discutere a condizione che siano rispettati i tre punti illustrati da Berlusconi. Nei prossimi 15 giorni verificheremo se nella maggioranza c'è disponibilità a discutere»».

BERLUSCONI: ABBIAMO MESSO A PUNTO AZIONE COMUNE - «Abbiamo deciso di incontrarci oggi per mettere a punto un'azione comune della Cdl» spiega Berlusconi. «Questo governo ha contro il 76% degli italiani - ha proseguito Berlusconi - quindi deve andare a casa e ci vogliono nuove elezioni. La maggioranza infatti non può pretendere di governare questo Paese con solo il 24% dei consensi». Berlusconi ha spiegato che per rilanciare l'azione della Cdl bisogna partire dal programma da presentare agli elettori «conosciamo le esigenze di questo Paese dalla questione della sicurezza alla eccessiva pressione fiscale». Il leader della Cdl ha anche annunciato che ripartiranno i lavori della cosiddetta Officina, l'organismo che era servito per mettere a punto il programma che portò alla nascita del precedente governo Berlusconi. E, anche sulla base dell'intesa annunciata sulla riforma elettorale, si è detto sicuro di ricostituire quel clima di accordo nella Cdl che aveva portato «al record assoluto di cinque anni di governo».

BUTTIGLIONE - Ma l'Udc è critica nei confronti dell'intesa raggiunta dagli altri esponenti del centrodestra. Altro che intesa sulla riforma della legge elettorale: per il presidente dell’Udc, Rocco Buttiglione, l’incontro di Gemonio, si è concluso con «un nulla di fatto». «Mi pare - spiega Buttiglione - che l’accordo sia molto fragile, sempre che si possa parlare di accordo....Votare con l’attuale legge è impossibile - ricorda Buttiglione - anche perché c’è il referendum. La legge con la quale si voterà sarà una legge che dovrà rendere vano il referendum: siamo sicuri che le indicazioni date siano sufficienti? C’è poi un numero infinito di modelli elettorali che corrisponde alle indicazioni uscite dall’incontro: anche il modello tedesco potrebbe corrispondere. Non hanno per caso qualche idea su quale modello adottare?». Buttiglione critica inoltre l’atteggiamento di Forza Italia: «E’ quello di chi resta a guardare. Non vedo chiarezza, mi sembra che sia solo un nulla di fatto, come al solito Forza Italia non decide fra Lega e An. C’è un mandato a darsi da fare per riformare il sistema del voto?», conclude Buttiglione.

05 settembre 2007


La Gazzetta di Modena 31-7-2007 Il referendellum, pericolo per la Costituzione OMER BONEZZI *

Il 'referendellum' sarà anche peggio del 'porcellum'. Il comitato per il referendum elettorale ha consegnato alla Cassazione le firme e giustamente esprime felicità. Io, invece, sono preoccupato perché vedo minacce per la Costituzione e prevedo un maggior numero di partiti ed un conseguente aumento dei costi della politica. Il quesito referendario toglie il premio di maggioranza alla coalizione e lo trasferisce al partito che prende più voti. Una legge elettorale analoga l'Italia l'ha già conosciuta, era la legge Acerbo del 1923, che permise al partito nazional fascista di prendere con circa un terzo di voti la maggioranza dei parlamentari e di conseguenza di instaurare una dittatura. Che sia anche per ragioni storico sentimentali che questo sistema piace tanto ad An? La nostra Costituzione deve quindi essere messa al riparo da questi improvvidi e continui sperimentalismi sui sistemi elettorali, infatti potrebbe essere cambiata da una maggioranza di parlamentari espressa da una minoranza di cittadini. Per meglio spiegare cosa accadrà formulo un paio di ipotesi. Si presentano 5 liste, una ottiene il 23% si porta a casa il 51% dei parlamentari le altre che hanno il 77% dei volti il 49% e si ripresenta lo stesso scenario che portò legalmente il fascismo al potere. Ipotesi probabile, invece, è che si creino due liste uniche di coalizione contrapposte che cercheranno di imbarcare il maggior numero di partitini. In questo caso se si organizza un bel partitino dei pescatori della domenica, capace di totalizzare 10 mila voti e ci si propone al miglior offerente (in cambio di un bel posto da sottosegretario), visto che serve un voto in più per vincere, si troverà di certo un listone disposto ad offrirlo (un sottosegretario val bene il governo del paese!). Nella prima Repubblica i partiti erano 9, col Mattarellum divennero 28 col Porcellum sono diventati 49, col Referendellum potrebbero raddoppiare e con essi anche i posti da sottosegretario: dagli attuali 106 a 212. Trovo, infine, la motivazione con cui è stato proposto il referendum curiosa. Dicono quelli del comitato referendario che viene fatto per indurre i partiti a cambiare la legge elettorale, la Porcellum. E' come se abitando in un tugurio arrivasse una ruspa che vuole distruggere il tugurio perché è giusto che si abbia una casa decente. Ma la casa non c'è e se la ruspa agisce (si fa il referendum), ci si trova costretti a vivere in una baracca costruita sui resti del tugurio. Viste le liti dei partiti sulla legge elettorale non può che destare preoccupazione la proposta che questi signori ci propongono: "di guidare a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto facile vivere o morire"! Il referendellum se diventerà sistema elettorale, dunque, può costituire un pericolo per la Costituzione e far lievitare i costi della politica. C'è da augurarsi quindi che si faccia presto una legge che regoli le modifiche Costituzionali con un quorum di due terzi di voti parlamentari, ma se ciò non accadrà e se si arrivasse al referendum, è giusto e legittimo salvare la Costituzione ed impedire l'aumento dei costi della politica, organizzando come si può una Resistenza e poiché sarà una lotta impari con le cannoniere mediatiche da grande fratello che sosterranno il referendum, sarà necessario organizzare la non partecipazione al voto. E' un atto di alta democrazia difendere la Costituzione, tutti i mezzi legali sono consentiti, tra cui quello di invitare i cittadini a non partecipare al voto referendario che ci regalerebbe un nuovo bizzarro sistema elettorale il "referendellum". * Presidente nazionale di Proteo Fare Sapere dirigente scolastico a Vignola e già per anni esponente della Cgil Scuola.


Europa 26-7-2007 Sono favorevole al sistema tedesco non corretto dall’imbroglio all’italiana. Risponde FEDERICO ORLANDO

Cara Europa, nel suo intervento di martedì, Rosy Bindi rivendica un «bipolarismo governante», e per questo «è necessario cambiare la legge elettorale [...] ma il consenso in parlamento va cercato a partire da un accordo nel centrosinistra».
Perché «assi preferenziali tra una parte del centrosinistra e una parte del centrodestra hanno più il sapore di sospettosi accordi politici che di chiari e doverosi dialoghi istituzionali ». Ma l’atteggiamento per cui ogni patto sulle regole è un “inciucio” non è il limite del bipolarismo? Non c’è bisogno prima di tutto di una cultura politica? ROBERTO MAGURNO, EMAIL

 Caro Roberto, le dico la mia personale opinione sul sistema elettorale.
Non sono un fanatico del bipolarismo coatto all’italiana e, men che meno, del bipartitismo “perfetto” all’americana: due eccessi da immaturità o senescenza, che notoriamente s’incontrano. Sono per un sistema che tenda al bipolarismo – come in Inghilterra, Francia, Spagna, Germania, le grandi democrazie liberali d’Europa – senza strangolare partiti, storie e idee, ma spingendoli alla selezione naturale.
Sopravvivono i più validi, gli altri si adattano. Nel doppio turno francese di poche settimane fa il partito “centrista” di Bayrou, che aveva avuto oltre il 18 per cento al primo turno, è entrato nell’assemblea nazionale, dopo il secondo turno, con quattro deputati. Si sono salvati, così, sia il bipolarismo (gollisti e socialisti), sia il pluralismo delle rappresentanze; sia la saldezza del governo in parlamento. In Gran Bretagna (uninominale, o maggioritario secco) oltre a laburisti e conservatori, anche liberali, scozzesi, socialdemocratici, ecc.
prendono qualche seggio ma non intralciano il meccanismo bipolare: né il premier, come del resto in Spagna, viene eletto “direttamente dal popolo” , come si dice con formula sciocca: egli è il capo del partito che direttamente dal popolo (se no da chi?) ottiene il maggior numero di voti.
Il sistema tedesco, al quale va oggi la mia preferenza, consente a tutti di partecipare, ma taglia le gambe a chi non salta il 5 per cento. È così che si sono selezionati, come organismi più idonei per storia e modernità, i democristiani (nazionale e bavarese) e i socialdemocratici, più i liberali, che a fatica saltavano l’asticella, e poi i verdi. Socialdemocratici e dc hanno governato quasi sempre da soli, a volte con un alleato minore, raramente insieme in regime di grande coalizione.
Tutto questo non ha mai tolto forza al governo del cancelliere (i cui poteri non dipendono dai regolamenti parlamentari: ha visto lo sconcio di martedì sera al senato sulla mozione di politica estera?). Insomma, mi sembra che il sistema tedesco offre insieme il meglio della proporzionale (la rappresentatività) e il meglio del maggioritario (la governabilità).
Ma dev’essere, appunto, sbarrato, se no si finisce a Weimar o al “porcellum” che ha ridotto l’Italia al governo di 13 partiti. Il referendum (che ho firmato come assicurazione sulla vita) farebbe piazza pulita di questa immonda canizza, ma poi la riprodurrebbe, perché le liste vincitrici sarebbero in realtà superliste di partiti coatti, pronti a ridividersi dopo. Per evitare il referendum, il parlamento deve fare una legge tendenzialmente bipolare, e si pensa appunto al modello tedesco. Ma dev’essere vero modello tedesco, non una truffa all’italiana che permetterebbe di entrare in parlamento superando lo sbarramento in una o due regioni.
Imbroglio, stella polare della casta politica.


Loccidentale.it 24-7-2007Legge elettorale: le ipotesi in campo di Filippo Salone

 

Sebbene gli ultimi sviluppi dell’interminabile querelle su legge elettorale e referendum suggerirebbero alcuni sensibili passi in avanti, in realtà non siamo molto lontani dalla linea di confine di alcuni mesi fa. Le criticità infatti rimangono forti in quanto la  questione investe contemporaneamente il livello di governo (stabilità/crisi dell’esecutivo Prodi), il livello politico-partitico (mantenimento o meno del bipolarismo e nuove aggregazioni politiche) ed il livello elettorale (quale equilibrio tra maggioritario e proporzionale adottare). Dalle diverse combinazioni di questi tre livelli dipendono tutte le prospettive di soluzione della matassa, e par tale motivo ci sembra opportuno provare a ragionarci un po’ su.

D’altra parte è anche vero che sarà molto difficile continuare con i tentennamenti, dato che più passa il tempo più lo scenario diventa critico e instabile, seminando così il terreno fertile di un’impasse che coinvolge il Paese sotto ogni prospettiva osservabile.

Referendum: i limiti di merito e l’essenzialità della funzione di stimolo

Rispetto all’iniziativa referendaria che recentissimamente ha tagliato il traguardo delle 500.000 firme e che dopo un primo periodo di sostanziale indifferenza ha catalizzato su di sé la benevola attenzione dei più prestigiosi quotidiani nazionali e l’avallo di Confindustria, rimangono molte delle perplessità iniziali.

Il progetto dei referendari per quanto apprezzabile dal punto di vista del movimentismo democratico che è riuscito a generare, resta affetto da un preciso strabismo di fondo, per cui gli apprezzabili obiettivi di stabilità bipolare postisi non sembra possano essere adeguatamente supportati dal merito della proposta che viene sottesa dai quesiti.

I limiti infatti, segnalati in maniera puntuale da gran parte degli esperti in materia, sono in primo luogo di un premio di maggioranza troppo “gonfiato” se applicato ad una sola lista che ottenga la maggioranza relativa delle preferenze. In secondo luogo proprio la “corsa” ad un siffatto premio produrrebbe fatalmente delle maxi liste di aggregazione coatta, dove la contrattazione e il gioco dei veti sarebbe inevitabilmente anticipato già al momento della composizione degli schieramenti. Infine dal punto di vista del sistema politico, anche qualora risultassero da questo processo di aggregazione due soggetti a vocazione maggioritaria rispettivamente a destra e a sinistra dello spettro politico (cioè accadrebbe se come ha sostenuto Panebianco per questione di identità e radicamento Rifondazione e Lega non entrassero nel contenitore unico, aumentando così il tasso di omogeneità delle liste di riferimento di Pd e Cdl), questi sarebbero già all’origine in netto debito di  legittimità, in quanto frutto di evoluzioni meccanicamente indotte dall’opportunità elettorale.

Ma detto ciò, la prospettiva del referendum rimane strettamente necessaria come diffida all’ignavia della classe politica, legittima titolare della legislazione elettorale. Questa funzione (cosiddetta della “pistola alla tempia”) quindi è quella che ha convinto la maggior parte degli analisti, e in verità anche alcuni dei promotori, a sposare la causa del referendum sino al primo successo del raggiungimento delle firme.

Gli attori politici e l’ipotesi del dopo-Prodi: le diverse convenienze

Adesso infatti le forze politiche al prezzo di perdere le loro prerogative e farsi superare definitivamente dall’accelerazione referendaria, hanno chiara l’esigenza di intentare in tempi brevi un accordo in Parlamento. La maggiore difficoltà su questa strada sino a poco tempo fa sembrava rappresentato dalla sopravvivenza dell’attuale maggioranza di governo, il cui equilibrio instabile mal si conciliava con un qualunque sommovimento riformista, compreso l’ambito della legge elettorale. Appariva evidente, cioè, come l’attuale maggioranza utilizzasse la disputa sulla riforma elettorale strumentalmente e con propositi dilatori allo strascinamento dell’esecutivo Prodi. Anche da questo punto di vista, però si deve registrare una virata in avanti, rappresentata dalla repentina ascesa di Veltroni a leder del Pd e dall’implicito superamento della stagione prodiana che questo disegno presume.

La definitiva certezza che il governo del Professore sarà archiviato ben prima del termine naturale di legislatura, può dunque aprire il campo a nuovi ed interessanti sviluppi in chiave politica e nell’ambito della riforma elettorale. Adesso il “focus” si sposta cioè, dal “se” al “quando” cadrà Prodi e da questo “quando” dipendono molte delle dispute sul tavolo. Per meglio comprendere le diverse ipotesi in gioco è necessario procedere ad una attenta valutazione delle rispettive convenienze dei diversi attori politici.

La posizione più netta e coerente rimane quella di Gianfranco Fini. Per il Presidente di An non c’è dubbio che la soluzione migliore sarebbe quella dell’affermazione del referendum dato che ciò permetterebbe allo stesso tempo la cottura a fuoco lento dell’attuale governo ed una prima forma di aggregazione tra i primi due partiti della Cdl. Questa consequenzialità logico temporale darebbe buone possibilità di avvantaggiare Fini nella corsa alla leadership/premiership considerando che nell’avveramento di questo tipo di prospettiva, e quindi con un voto al più tardi del 2009 (in contemporanea con le elezioni europee) egli avrebbe legittime chances di successione a Berlusconi.

Forza Italia d’altra parte gioca sul breve periodo e quindi su un immediato epilogo della parentesi prodiana seguito dal ritorno alle urne, con lo stesso schema (almeno per il centro destra) del 2006.

Le ipotesi di legge elettorale: perché il sistema tedesco è da evitare

In quest’ottica F.I non avrebbe nemmeno la necessità di una codificazione maggioritaria per affermarsi (sondaggi alla mano) in regime di proporzionale puro come primo partito vicino al 30%. Su questa lunghezza d’onda il suo principale interesse rimane quello del ritocco appena necessario ad aggiustare le storture dell’attuale sistema di voto. La proposta D’Alimonte traslata in linea di massima nel ddl Quagliariello va in tale direzione, (meccanismo di razionalizzazione consistente in un premio di maggioranza condizionato al raggiungimento di 170 seggi e modificato al Senato da regionale a nazionale; computo dell’eventuale premio sui seggi e non sui voti in modo da ridurre la frammentazione; sbarramento unico alto al 5%.) e potrebbe rivelarsi una soluzione funzionale, molto più di un meccanismo completamente mutuato dal sistema tedesco, anche per recuperare l’intesa con Via Della Scrofa (e del resto Fini in caso di crisi, legge elettorale e voto a stretto giro di vite ha già pronta l’alternativa Campidoglio).

D’altra parte è anche vero che, all’altra estremità rispetto all’ipotesi referendum, ad oggi, dopo le aperture di Rutelli e Fassino, è il modello tedesco a fare registrare le più alte probabilità di convergenza trasversale. La formula della proporzionale pura è da sempre sponsorizzata dai medio piccoli dei due schieramenti con gradimento esplicito di Lega e Udc da un lato e Udeur e Rifondazione dall’altro, e quindi sulla carta avrebbe i numeri dell’accordo. A Forza Italia questo modello non dispiace perché, in linea col ragionamento iniziale, permetterebbe al partito di maggioranza relativa di “pesarsi” ed avere le mani libere per governare vagliando di volta in volta, da una posizione di forza,  gli interlocutori più affidabili nel garantire il programma (ragioni speculari a quelle del Pd). Ciò permetterebbe in teoria anche un accordo di governo responsabilità nazionale tra le due maggiori forze del Paese, ipotesi da considerare ma che si ritiene debba avere una previa legittimazione di tipo politico e non mai meccanica-elettorale.

Tuttavia anche in questi termini rimane da pagare un prezzo troppo alto, e perciò secondo chi scrive l’ipotesi di una convergenza su questa proposta, seppure in grado di sbloccare l’impasse e mettere all’angolo Prodi (e per questo viene abiurata da Parisi e i prodiani dl), va ancora scongiurata.

Se si guarda alla Germania, infatti, a fronte dello storico bipartitismo, dalle elezioni politiche del 1998 in poi (2002 e 2005) si assiste ad una riduzione considerevole di consensi per i due partiti maggiori, diminuiti complessivamente dall’81,4% al 69,4% con il resto diviso fra quattro partiti medi più o meno equivalenti, sempre più in potere di condizionare la classica meccanica bipartitica (come nel caso delle ultime elezioni).

Importato in Italia, poi, il sistema elettorale in questione, non darebbe affatto vita a un esito come quello tedesco, ma segnerebbe la fine definitiva del bipolarismo, fotografando la frammentazione del nostro sistema politico. I numerosi accorpamenti di liste che sortirebbero per eludere la soglia del 5% si scinderebbero sicuramente dopo il voto, e come ricordato, senza alcun incentivo alla coalizione anche i partiti sopra al 5% eluderebbero le alleanze preelettorali per accordarsi in Parlamento dopo il voto. Di fatto gli elettori non sceglierebbero più il governo. Inoltre questo sistema è estremamente rispondente a premiare i partiti di centro che al contrario di quanto accade in Germania con la Cdu non detengono l’esclusiva rappresentanza del polo moderato.

In pratica l’Udc da solo, ovvero a capo di un piccolo aggregato neocentrista, si perpetuerebbe come ago della bilancia della politica italiana offrendo la disponibilità a formare a seconda delle convenienze governi sia di centrodestra che di centrosinistra. A sinistra oltretutto il potere di veto sarebbe mantenuto dalle estreme, dato che la soglia lascerebbe di sicuro Rifondazione e anzi le darebbe ancora più forza con la possibilità di polarizzare su di sé anche i voti delle altre minori formazioni radicali.

Al di là della contingenza favorevole e dei vantaggi di corto respiro, dunque, l’adozione di questo tipo di sistema avrebbe un impatto assai controproducente sullo scenario italiano, cumulando dividendi negativi anche per i maggiori partiti dei due poli.

La soluzione più lungimirante passa ancora una volta dal senso di responsabilità dei leader del Pd

Probabile che anche queste valutazioni e questi ragionamenti vengano alla luce nel vertice di giovedì prossimo tra Berlusconi e Fini e che alla fine il nucleo forte della Cdl si ritrovi sullo schema già concordato alcuni mesi fa con l'approvazione della Lega (D’Alimonte-Calderoli) e adesso riproposto in soluzione più conciliante dal ddl Quagliariello. A questo punto e proprio come allora (e da qui la considerazione iniziale) tutto dipenderà però dalla volontà del gruppo del neo-costituito Pd, che dovrà decidere se staccare finalmente la spina all’agonizzante governo Prodi o se proseguire, all’insegna dell’autolesionismo, in questo processo di logoramento, anche a costo di asfissiare fatalmente la leadership di Veltroni. Nel primo caso una convergenza sulla proposta Quagliariello, magari con qualche emendamento che vada nella direzione del modello spagnolo (aumento delle circoscrizioni/riduzione degli iscritti in lista) molto gradito ad alcune componenti Ds, permetterebbe il varo di una buona legge elettorale in grado, con il sollievo di chiunque possieda un briciolo di buon senso, di traghettare al più presto, e in acque placide, il Paese al voto. Nel secondo caso, ahimé, si andrebbe ad una progressiva destabilizzazione che, complice l’ineluttabilità del processo referendario, porterebbe fatalmente a sommovimenti tellurici ancora più incontrollabili di quelli del ’92. Ne va del bene del Paese. Questione di responsabilità e di lungimiranza politica.


AgenParl 19-7-2007 PIAZZA (SDI): UN 'CONTRAPPELLO' SUI REFERENDUM: NON LI FIRMATE

Roma, 19 Luglio 2007 – AgenParl – "Tra tanti appelli ad andare a firmare per i referendum, vorrei fare anch'io il mio appello. Un contrappello a tutti i cittadini di buon senso: non andate assolutamente a firmare questi quesiti, perché sono inammissibili e violano la Costituzione stessa". Così Angelo Piazza, giurista, docente di diritto privato a Bologna e parlamentare dello Sdi-Rosa nel Pugno, di cui è capogruppo in Commissione Affari Costituzionali a Montecitorio.
"Al professor Guzzetta e al costituzionalista Ceccanti ricordo – dice ancora Piazza – che la Costituzione è inviolabile per tutti, e una legge-mostro quale uscirebbe dal referendum consentirebbe a forze minoritarie del Paese di avere un controllo numerico dei seggi in Parlamento. Se questa è democrazia…"


APCOM 18-7-2007 REFERENDUM/ CECCANTI: NON FONDATI ARGOMENTI SU INCOSTITUZIONALITA'

Altamente positiva firma di Rosi Bindi

Roma, 18 lug. (Apcom) - I due argomenti che in queste ore sono addotti contro la costituzionalità dei referendum elettorali "sono destituiti di fondamento". Lo afferma il costituzionalista e membro del comitato promotore del Referendum sulla legge elettorale, Stefano Ceccanti, che considera "altamente positiva la firma di Rosi Bindi che è utile a ricordare a tutti che sono gli ultimi giorni utili per firmare".

Il costituzionalista smonta così gli argomenti utilizzati dai detrattori del referendum: "Il primo è quello di attribuire ai quesiti dei difetti che stanno già nella legge vigente. La Corte - precisa Ceccanti - non è però chiamata a valutare nel merito la costituzionalità della legge, ma solo l'ammissibilità del referendum rispetto ai limiti posti nell'articolo 75 della Costituzione. La sentenza n. 10/1995 trattava un caso identico, l'estensione a tutti i Comuni del sistema previsto sotto 15 mila abitanti che prevede solo la lista di coalizione e non anche la coalizione di liste: in quel caso la Corte diede per pacifica l'ammissibilità. In ogni caso mai la Corte in materia elettorale si è assunta l'onere di decide per l'inammissibilità sulla base della costituzionalità della normativa di risulta, limitandosi al massimo ad un monito al Parlamento. Infatti la sentenza 32/1993 dichiarò ammissibile il quesito Senato che produceva direttamente effetti rilevantissimi di scarto rispetto al principio del 'voto uguale' che in quel caso, a differenza di quello odierno, non preesistevano nella legge; gli 'inconvenienti' furono solo segnalati e proposti al Parlamento sotto forma di monito".

Ceccanti passa allora ad analizzare il secondo "argomento" che è quello, "un po' più superficiale, della quantità di tagli proposti dai quesiti. Ora non c'è nessun tetto massimo alle parti da abrogare in una legge; l'importante è che ci sia una logica unitaria. Nel caso in questione essa è chiarissima: eliminare le coalizioni (sia per il premio sia per gli sbarramenti) o, nel terzo quesito, le candidature multiple. Se l'obiettivo unitario è quello, è ovvio che si vadano ad abrogare tutte le parti delle leggi elettorali che vi fanno riferimento. Sarebbe invece del tutto contraddittorio - conclude il giurista - tagliarle da una parte e lasciarle in altre".


Il Corriere della sera 17-7-2007 eferendum e alleanze senza estremisti Il bipolarismo da salvare di Angelo Panebianco

 

 

È possibile salvare il bipolarismo, ossia l'alternanza fra schieramenti contrapposti e, contemporaneamente, «scaricare» in modo permanente l'estrema sinistra, escluderla in via definitiva dalle coalizioni che competono per il governo? È una domanda resa di attualità dal manifesto di Rutelli (che ipotizza, guardando a Casini e all'Udc, nuove alleanze per il centrosinistra) ma, ancor più, dalla constatazione, oggi difficilmente oppugnabile, che un governo che dia troppo spazio alle posizioni estreme è necessariamente destinato al fallimento.
La storia italiana sembrerebbe negare la possibilità che bipolarismo ed esclusione delle estreme possano convivere. A causa della forza elettorale delle estreme, la loro esclusione permanente dalle coalizioni di governo è sempre apparsa incompatibile con la competizione fra schieramenti contrapposti.
Salvare il bipolarismo non è una fissazione da politologi. Significa voler salvare una cosa molto concreta: la possibilità per gli elettori di mandare via i governi e le maggioranze di cui sono insoddisfatti (come gli italiani poterono fare col centrosinistra nel 2001 e col centrodestra nel 2006).
Salvare il bipolarismo significa salvare il principio per cui i governi e le maggioranze sono responsabili di ciò che fanno e ne pagano le conseguenze. Fu proprio perché non c'erano bipolarismo né possibilità di alternanza che i governi della Prima Repubblica, nel corso degli anni, sicuri della loro impunità, poterono scaricare sulle spalle delle generazioni successive un immenso debito pubblico.
Dunque, salvare il bipolarismo è fondamentale. Ma è anche sicuramente vero che un bipolarismo che obblighi a «imbarcare » l'estrema sinistra non funziona. Poiché l'estrema sinistra (penso che su questo potrebbero concordare anche i suoi dirigenti) non è affatto compatibile con il governo di una democrazia capitalista fermamente decisa, per la volontà della schiacciante maggioranza dei suoi cittadini- elettori, a rimanere tale.
Che fare, allora? Come salvare capra e cavoli? Ricette miracolose non ce ne sono. Bisogna darsi da fare con quel che c'è. E l'unica cosa che c'è (o è possibile che ci sia) è la riforma elettorale. Se, come appare probabile, l'iniziativa referendaria in corso avrà successo, raggiungerà le cinquecentomila firme necessarie.
Criticabile quanto si vuole, il sistema elettorale che uscirebbe dal referendum (con lo spostamento del premio di maggioranza dalla coalizione al partito più votato) metterebbe fuori gioco le estreme. L'estrema sinistra non potrebbe mai aggregarsi al Partito democratico (perderebbe credibilità e farebbe perdere la faccia allo stesso Partito democratico). L'estrema sinistra dovrebbe correre da sola per superare lo sbarramento del quattro per cento.
A destra, probabilmente, la Lega farebbe la stessa scelta o, quanto meno, ne sarebbe molto tentata. La competizione testa a testa per il premio di maggioranza (imposta dalla legge elettorale post-referendum) vedrebbe contrapposti il Partito democratico e una grande aggregazione di centrodestra.
Un esito simile si potrebbe forse ottenere, certo più elegantemente, con un sistema maggioritario a doppio turno (ma davvero di tipo francese, ossia con una soglia di esclusione molto alta fra primo e secondo turno). Sarebbe la scelta più logica e razionale. C'è solo il piccolo particolare che nel Parlamento italiano non si troverà mai una maggioranza in grado di far passare un tale sistema. Sospetto che chi vorrà salvare il bipolarismo e, insieme, tener fuori le estreme dovrà per forza accontentarsi del risultato del referendum.

17 luglio 2007


 

Il Giornale 1-7-2007 Quell’odiata legge elettorale che alla fine fa comodo a tanti di Paolo Armaroli

 

La vigente legge elettorale, partorita dal centrodestra agli sgoccioli della passata legislatura per far contento (nomen omen) Marco Follini, è l’esatto contrario di Genoveffa la Racchia. A chiacchiere nessuno la vuole, però quasi tutti se la tengono cara cara. Per forza, è partitocratica per eccellenza: conferisce alle segreterie politiche di elevare al rango di deputato e senatore, se punge loro vaghezza, perfino un cavallo. Ma sì, il proverbiale cavallo di Caligola.
Sarà per questo che i diretti interessati sorvolano su tale trave, mentre se la prendono con una pagliuzza che non è neppure tale. Sostengono infatti che la legge non assicura la stabilità ministeriale. Come proverebbero i risultati elettorali dello scorso anno e la risicata maggioranza della quale il governo Prodi gode (si fa per dire) al Senato. Ma questo è un falso bello e buono. Nessuna legge elettorale può garantire la governabilità finché avremo un bicameralismo paritario ed elettorati attivi di diversa consistenza nei due rami del Parlamento. Ma allora perché mai si fa un gran parlare di riforme elettorali più o meno salvifiche? Per il semplice motivo che il professor Giovanni Guzzetta, diavolo d’un uomo, ha ritenuto opportuno fare il bis, dopo lo strepitoso successo ottenuto nel 1993. Quando tenne a battesimo un altro referendum elettorale. Che relegò in soffitta la proporzionale e il tripolarismo. Tolse di mezzo una democrazia consociativa, ma al tempo stesso bloccata. E, grazie al maggioritario, ci dischiuse le porte dell’agognato Paradiso del bipolarismo. All’italiana, si capisce. Ma pur sempre meglio di niente. Moderato di centro o giù di lì, Guzzetta non si considera affatto un eversore. Non ha mai preteso di indossare i panni del pubblico ministero e accusare la classe politica d’inconcludenza. Quando capi, capetti e caperonzoli della nostra partitocrazia hanno sostenuto che dopo tutto questo referendum non è altro che uno stimolo al Parlamento perché faccia la sua parte, lui, Guzzetta, non ha fatto una piega ed è stato al gioco. Un confetto Falqui la sua creatura? E sia, purché si sgombri il campo da questa legge. E si muova un altro passo avanti verso l’ex perfida Albione. Perché l’ambizione di Guzzetta è per l’appunto quella di sostituire il bipolarismo con il bipartitismo di marca britannica grazie al premio di maggioranza conferito non più alla coalizione vincente ma al partito più votato.

Nel frattempo l’ammuina va in scena alla commissione Affari costituzionali del Senato. I disegni di legge sono diciotto: una follia. Si procede in ordine sparso. E il presidente Enzo Bianco nella veste di relatore, povero Cristo, non è ancora riuscito a sfornare uno straccio di testo base. A complicare le cose, poi, la senatrice Anna Finocchiaro ci ha messo del suo. Per conto dell’Ulivo ha presentato un disegno di legge favorevole al doppio turno alla francese. Con il risultato di scontentare amici e avversari: la sinistra radicale, contraria al maggioritario, e la Casa delle libertà, contraria al doppio turno. Insomma la capogruppo dell’Ulivo è riuscita - quando si dice il genio - a conseguire l’unanimità dei dissensi. A questo punto se i promotori non riusciranno a raccogliere le cinquecentomila firme richieste per il referendum abrogativo, in Parlamento si continuerà a tessere la tela di Penelope. E la legislatura bene o male continuerà, magari con un nuovo governo. Se invece le firme saranno raccolte, si voterà nella primavera dell’anno prossimo: o per il referendum o per il rinnovo delle Camere. Perché lo scioglimento parlamentare farebbe slittare il referendum di uno o addirittura di due anni. E quest’ultima, al momento, è l’ipotesi più probabile. Sempre che, ripetiamo, arrivino le firme: tutte, benedette e subito.
paoloarmaroli@tin.it


Il Giornale di Brescia 29-6-2007 Riforma elettorale, l'Ulivo per il modello francese Testo presentato in Commissione, insorgono i "piccoli" dell'Unione.

 

Napolitano: "Si fanno passi avanti" Riforma elettorale, l'Ulivo per il modello francese L'aula del Senato a Palazzo Madama (Foto d'archivio) ROMA Colpo a sorpresa dell'Ulivo che, dopo il vertice di tre giorni fa a Palazzo Madama con Prodi, ha messo nero su bianco in un disegno di legge il proprio favore per il modello elettorale a doppio turno francese. Un testo, quello a prima firma Finocchiaro, presentato alla vigilia della seduta della Commissione Affari Costituzionali nella quale il relatore della riforma, Enzo Bianco, da calendario, dovrebbe presentare una relazione e un testo base. Il risultato sul piano tecnico è uno slittamento di una settimana della presentazione del testo di Bianco, e sul piano politico una grossa irritazione dell'opposizione e l'allarme dei "cespugli" dell'Unione che temono occulti accordi trasversali "taglia-piccoli". "Aver presentato il ddl - ha spiegato il diessino Calvi - non è un escamotage, ma un contributo per un confronto corretto, lineare, trasparente". Insomma, si ragiona dall'Ulivo, prima della presentazione del "testo Bianco" e dopo mesi di dibattito interno, si è ritenuto opportuno piantare la propria bandiera. La proposta del relatore non avrà di certo un percorso semplice e in caso di fallimento, e di successiva vittoria del referendum, resta comunque in campo una proposta dell'Ulivo. Una sorta di monito nei confronti dei "piccoli" per evitare arroccamenti durante il dibattito sull'ipotesi Bianco. Il relatore assicura che predisporrà una bozza sulla quale possa esserci il maggiore consenso possibile. "È necessario - ha detto Bianco - lavorare per un ampio consenso che non può esserci sul doppio turno alla francese, un modello che vede favorevole solo l'Ulivo. Mi pare che si debba pensare piuttosto ad un sistema proporzionale con premio di maggioranza che eviti o riduca la frammentazione e superi la distanza tra eletto e elettore". Ma nei cespugli scatta l'allarme. "Riteniamo - ha detto il capogruppo del Prc al Senato, Russo Spena - vi siano dei partiti importanti, sia di destra che di sinistra, che disegnano al di fuori della commissione proposte molto diverse da quelle che emergono qui". Intanto, c'è chi minaccia rotture insanabili. "Non si può stare al governo - attacca il capogruppo dell'Udeur alla Camera Mauro Fabris - con chi disattende gli accordi che pure erano stati definiti in materia elettorale, ovvero la cosiddetta bozza Chiti". I "piccoli", insomma, attendono di vedere il testo Bianco, ma minacciano le barricate se ci fossero altri "inaccettabili ostruzionismi per andare al referendum". Una consultazione popolare non a caso legittimata dal neo-candidato segretario dell'Ulivo Walter Veltroni, che al Lingotto ha anche detto di ritenere "perfetto" il modello istituzionale francese. Anche la Cdl, comunque, insorge di fronte al nuovo "stop and go" sulla legge. "È una vergogna - ha protestato il vicepresidente del Senato Calderoli - e con il nuovo rinvio è evidente che l'Ulivo, complice il presidente della commissione, ha voluto mettere una pietra tombale sulla legge. Vediamo che accadrà la prossima settimana dopo di che chiederemo di intervenire al presidente del Senato". Il leader di An, Fini, ieri è sceso decisamente in campo a favore del referendum. "Sono sempre più convinto - ha detto - che sia l'unica via". Tace Forza Italia, ma c'è chi ha il timore che il centrosinistra punti a non cambiare nulla per limitare i danni in caso di eventuali nuove elezioni. Sulla riforma elettorale è intervenuto anche il presidente Giorgio Napolitano, da Vienna dove era in visita ufficiale: "Per la legge elettorale - ha detto - finalmente a fine mese dovrebbe cominciare la discussione in Senato. Per le riforme costituzionali, finalmente c'è un progetto essenziale della Commissione Affari Costituzionali sulle modifiche ritenute urgenti". "Sono modifiche necessarie - ha spiegato il capo dello Stato - se vogliamo veramente realizzare un sistema politico semplificato e un confronto fra coalizioni che competano per la guida del Paese e che siano anche più omogenee e unitarie".


La Stampa 26-4-2007 Fini: la legge elettorale? Nessuno la vuole. Mastella non farà la crisi, nascerebbe un altro governo» UGUSTO MINZOLINI

ROMA
Più passano le settimane e più il referendum elettorale diventa lo sbocco più probabile. I piccoli partiti stanno ponendo problemi insuperabili nelle trattative sulla nuova legge elettorale. E, comunque, non vedo una grande voglia di metterci mano anche da parte dei grandi: nelle relazioni congressuali né Fassino, né Rutelli hanno affrontato l’argomento e questo mi fa supporre che non temano lo sbocco referendario. Una prospettiva che, lo ripeto, almeno a noi offre molte opportunità e non presenta nessuna controindicazione». Martedì 24 aprile seduto su una delle eleganti sedie del cortile di Montecitorio che nell’era Casini è stato trasformato in una nuova piazza del Popolo con tanto di ombrelloni, Gianfranco Fini, in un colloquio informale, disserta sulla politica dopo aver posto la sua firma, di buon mattino, sotto il quesito del referendum elettorale.

Inutile dire che nel panorama politico il presidente di An è forse il più convinto dei referendari. In un certo senso anche più del ministro della Difesa, Arturo Parisi, che in un modo o nell’altro deve rendere conto a Romano Prodi delle sue azioni. Fini, invece, no. Va avanti infischiandosene dei ricatti della Lega, dell’opposizione dell’Udc e dei ripensamenti (frequenti) di Silvio Berlusconi. «A noi - spiega - appoggiare il referendum conviene in ogni caso. Se si arriva al voto, infatti, ci sarà un nuovo impulso alla stabilizzazione del bipolarismo in Italia. Nel contempo - elemento non trascurabile - Prodi dovrà vedersela con i vari Mastella che minacciano la crisi di governo. Anche se io non credo che questi arriveranno a rompere perché una crisi di governo non interromperebbe automaticamente la strada verso il referendum. Potrebbe infatti nascere un nuovo governo, con una maggioranza diversa, proprio per garantirne lo svolgimento».

Tra le tante suggestioni che può partorire la politica italiana in futuro c’è anche quella del governo referendario. Ma si tratta, appunto, solo di una congettura «implicita», una delle tante variabili del grande scontro sulla legge elettorale. Eppoi Fini è convinto che il gioco dei piccoli partiti della maggioranza è un altro.

«Mastella - osserva il presidente di An - userà la minaccia della crisi per spingere Prodi e la maggioranza di governo a boicottare il voto referendario. Se si raccolgono le firme e il referendum viene ammesso (tutte cose che a me appaiono scontate), i «proporzionalisti» punteranno al non raggiungimento del quorum. E’ l’unica strategia che possono adottare. Ma per valutare se è una strategia insidiosa o destinata al fallimento dovremo attendere la vigilia del voto. Tra un anno. Solo a quel punto si capirà se il referendum ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica oppure no. Se alla vigilia gli interessati saranno solo il 20-25% allora sarà difficile risalire la china. Ma sono problemi che riguardano il domani...».

Il futuro è pieno di incognite. Ogni giorno nascono questioni e ne scompaiono altre. «Io mi sono fatto un’idea - confida Fini - di quello che succederà. Ma la politica non è una scienza esatta, è piena di imprevisti. Noi, comunque, andremo avanti verso la federazione del centro-destra. Ci potranno essere dei rallentamenti come pure delle accelerazioni. Molto dipenderà dal tipo di legge elettorale che verrà adottata. Non penso, però, che alla fine questo cammino possa essere messo in discussione».

Il presidente di An non crede molto ai ripensamenti del Cavaliere, né che il suo «buonismo» sia propedeutico ad una nuova «politica», magari non più marcatamente «bipolare». Del resto questi anni sono costellati di avventure finite male. Ad esempio, la «prospettiva» centrista perseguita da Pierferdinando Casini sembra segnare il passo. Prima era difficile. Ora appare impossibile. Sempreché - ma Fini lo esclude a priori - la politica dell’ex-presidente della Camera non sia adottata da Berlusconi che ha ben altri numeri.

Fini, però, rispetta le scelte del leader dell’Udc. «Casini sapeva che la sua strategia era impervia. Noto che dopo i congressi di Ds e Margherita non ha più preso la parola. Forse è in corso una riflessione. Non credo, comunque, che aderirà alla “federazione” del centro-destra perchè il suo “no” è stato troppo netto. Come potrebbe tornare indietro?».

Il «recupero» di Casini è uno dei problemi più spinosi per il centro-destra. Tutti desiderano riaverlo in casa ma nessuno sa come. «Forse Pierferdinando - ipotizza il Presidente di An parlando della strana parabola del leader Udc - aveva avuto degli affidamenti da parte di alcuni interlocutori che poi si sono tirati indietro. Lui ha impostato la sua politica puntando sul fatto che nella Margherita qualcuno non avrebbe aderito al partito Democratico. Ma alla fine è restato fuori solo Gerardo Bianco. Che è sicuramente un galantuomo ma è solo. Il problema di Casini è che molte delle sue scommesse non si sono verificate prima fra tutte il risultato delle politiche: immaginava una forte flessione per Berlusconi ma Forza Italia ha mantenuto i suoi voti e l’Udc non è cresciuta di molto. A quel punto era difficile per lui continuare su quella linea. Ci ha provato... ora vedremo cosa succederà».

Già, in politica si può solo immaginare il futuro, ma poi decide l’imponderabile. «Ad esempio - si chiede Fini calandosi nei panni del “politologo” -, quanto durerà Prodi? Il suo governo era più garantito dallo scenario politico precedente. La nascita del Pd ha cambiato il quadro. Lo ha reso più insidioso. Da una parte c’è una sinistra massimalista che, galvanizzata da nuovi arrivi (Mussi), vuole contare di più. Dall’altra c’è il Pd che deve dimostrare di essere un partito moderato. Ecco perché malgrado il fattore “C”, non credo che Prodi arriverà fino alla fine della legislatura. Se ci riuscisse dovrebbe gridare al miracolo».

Inoltre il presidente di An sa benissimo quanto sia pericolosa la corsa alla leadership. «Prodi - ragiona Fini - si è tirato fuori per mettere il governo al riparo da possibili ritorsioni. Ha proposto agli altri candidati un “patto”: voi mi fate arrivare alla fine della legislatura e io non gareggio. Ma non basterà. Anche perchè questo governo è diventato un peso per tutti. Basta guardare i sondaggi sui leader del centro-sinistra. Resiste Veltroni perché è fuori dal governo. Anzi, a lui può anche far piacere questa situazione perché un domani potrebbe presentarsi nel ruolo del grande salvatore. Va bene Bertinotti perché è aiutato dal ruolo istituzionale che nella scorsa legislatura ha fatto la fortuna di Casini nei sondaggi.

Ma gli altri, quelli che sono al governo, da Rutelli a D’Alema vanno giù. Appunto, D’Alema che fine farà di questo passo?».«Il governo ha deciso di far entrare non come clandestini tutti coloro che vogliono entrare e questo comporterà mille problemi»: Gianfranco Fini, leader di An, critica il disegno di legge Amato-Ferrero sull’immigrazione varato martedì dal consiglio dei ministri. «Mi sembra - spiega Fini - che il governo giochi un po’ con le parole partendo dal presupposto che in Italia ci sono tanti clandestini, cosa vera ma non certo per il fallimento della nostra legge, ma perché in molti casi la magistratura non dà corso alle espulsioni». Secondo il leader di An ora «ci saranno tanti clandestini che verranno in Italia, o con lo sponsor, o dichiarando di essere in grado di sostenersi economicamente, cercheranno lavoro e non lo troveranno e saranno così costretti a vivere di stenti, o a delinquere. Quello che trovo ridicolo è la reintroduzione della figura dello sponsor, che è prevista nella Turco-Napolitano e che si rivelò un fallimento». «Fini agita la demagogia dopo aver prodotto il disastro» replica il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, che spiega. «La Bossi-Fini ha obbligato alla clandestinità centinaia di migliaia di immigrati».

 


L’Unità 24-4-2007 Legge elettorale, da oggi si firma per il referendum Ma nell'Unione sale la fibrillazione. Chiti propone soglia graduale di sbarramento, i "piccoli" non si fidano di Giuseppe Vittori

 

Roma LA TELA La prima bozza andava bene ai piccoli partiti. Stavolta sono loro che frenano e sospettano "inciuci" tra il nascente partito democratico e Berlusconi. Non c'è pace per la riforma elettorale e il pomo della discordia è ovviamente la soglia di sbarramento. Il governo la prospetta alta, anche se progressiva: 2,5-3% alle prossime elezioni, 5% fra due legislature. Quindi allarme. Ieri il ministro delle riforme Chiti è stato per dieci ore nelle commissioni affari costituzionali di Camera e Senato e la sua audizione ha plasticamente rappresentato le difficoltà che avvolgono la riforma. Lui, alla fine, non era né più ottimista, né più pessimista. Ma il succo è che il referendum incombe, la raccolta delle firme ufficialmente inizia oggi, e lo stesso ministro ha spiegato chiaramente che solo un'intesa di ampio respiro che risponda ai quesiti della consultazione potrà evitare il ricorso alle urne. Il governo conferma che non interverrà direttamente nella materia con un suo articolato, e si limita a mettere a disposizione del parlamento alcune indicazioni, frutto dell'intenso lavoro istruttorio del ministro condotto da mesi in un'escalation di pressioni. I punti cardine sono il rapporto cittadini-eletti, la presenza delle donne nelle istituzioni, il premio di maggioranza che scatta dopo che un partito o una coalizione ha raccolto il 40% dei seggi. Sulla soglia di sbarramento il ministro ha prospettato due ipotesi. La prima prevede una soglia nazionale, più alta di quella attuale, che può essere progressiva, ossia può arrivare al 5% tra due legislature, la seconda prevede uno sbarramento territoriale. Non sono previste preferenze, né candidature plurime, mentre il premio di maggioranza verrebbe assegnato a una singola lista o alla coalizione che ha preso il maggior numero di seggi, purchè non ci siano maggioranze diverse tra Camera e Senato. Sul versante delle riforme costituzionali che devono accompagnare la nuova legge elettorale (senza di queste qualunque modello avrà difficoltà a funzionare) l'obiettivo è il rafforzamento dei poteri del premier e il superamento del bicameralismo paritario con la creazione di un Senato delle autonomie. Rispetto alla bozza precedente, che aveva avuto il plauso dei piccoli, il cambiamento c'è anche se l'impianto non è poi stato stravolto. Il succo è che questa nuova impostazione è qualcosa di più che un "ritocco" del "porcellum" della Destra. Ed è evidente che dà risposte agli umori ulivisti, contrari a cercare in parlamento un accordo al ribasso. I rilievi sono arrivati subito. "Altro che riformismo - dice Pionati dell'Udc - quello di Chiti è equilibrismo". Il partito di Cesa e Casini, si sa, vuole il modello tedesco, come Rifondazione comunista. E il modello tedesco è proprio quello che prevede la soglia capestro del 5%. Ma stranamento chi spara di più sulle indicazioni del governo è il partito di Giordano. Soprattutto sulla parte delle riforme costituzionali che dovrebbero accompagnare la legge elettorale. Rifondazione non vuole il rafforzamento del premier con la possibilità di nominare i ministri e teme che rientrino dalla finestra impianti bocciati dal referendum del giugno scorso. L'ipotesi di arrivare alla soglia tedesca in due legislature, partendo magari dal 2,5 o 3% alle prossime elezioni, fa paura a molti. Fabris, Udeur, parla di "passo indietro rispetto all'accordo". Il partito di Di Pietro è il più possibilista dei "piccoli", mentre i Verdi sembrano i più arrabbiati e temono fughe in avanti per favorire il partito democratico: "Bisogna trovare in fretta una quadra unitaria e condivisa". La soglia progressiva è "una furbata"? Chiti giura di no: "La riforma elettorale - spiega - ha un ulteriore elemento di complessità, perchè siamo di fronte ad una evoluzione del sistema politico. Questo impone una legge elettorale che non fotografi l'esistente. La riforma elettorale segue l'evoluzione del sistema politico, avendo come approdo la governabilità". Non c'è alcun inciucio, aggiunge il ministro, facendo capire che per quanto lo riguarda a lui andrebbe bene anche il ritorno del Mattarellum. D'altra parte l'inciucio non c'è, anche perchè nel centrodestra non ci sono valutazioni comuni. La Lega presenta oggi una sua proposta che va bene ai piccoli del centrosinistra, Berlusconi rivaluta il sistema tedesco, Fini va a firmare oggi per il referendum. Sono passati diversi mesi e la strada è ancora lunga.


L’Eco di Bergamo 24-4-2007 Riforma voto, le carte di Chiti. I referendari raccolgono le firme

 

ROMA Un proporzionale con premio di maggioranza che scatta sulla base dei seggi acquisiti, e quindi non a livello nazionale sulla base dei voti, e viene assegnato alla coalizione che abbia raggiunto un livello di seggi non inferiore al quaranta per cento. È questo lo schema di riforma elettorale illustrato dal ministro per le Riforme, Vannino Chiti, ieri in commissione Affari costituzionali alla Camera. Il ministro ha riferito che nel corso delle consultazioni a palazzo Chigi si è registrato "un ampio consenso", anche se non unanime, delle forze politiche sul mantenimento di un sistema proporzionale con premio. Restano le circoscrizioni, suddivise in collegi plurinominali; da negoziare invece in Parlamento la soglia di sbarramento su cui non è stato trovato un accordo ma che, comunque, il governo ritiene debba preservare realtà locali, come la Lega, e quindi "debba essere applicata a livello circoscrizionale". "La soglia di sbarramento ? ha suggerito Chiti ? dovrà essere applicata a livello circoscrizionale, dovrà essere identica per tutte le circoscrizioni e identica per le liste che partecipino o meno alle coalizioni. In ogni circoscrizione i seggi saranno ripartiti solo tra le liste che superano la soglia di sbarramento: tutte le forze politiche sono d'accordo nel togliere il recupero miglior perdente". Il ministro ha quindi riferito che "la mia convinzione e quella di Prodi è di poter prevedere comunque, oltre alla soglia di sbarramento su cui ci sarà intesa, uno sbarramento del cinque per cento a partire dalle elezioni della diciassettesima legislatura". Quindi, a meno di elezioni anticipate, dal 2011. Il territorio, ha riferito Chiti, resterebbe diviso in circoscrizioni che "dovrebbero essere di dimensione regionale, o per le maggiori regioni, sub-regionale. Il centrosinistra apprezza, mentre Berlusconi tesse gli elogi del modello tedesco, ispiratore della bozza Chiti. "Il bipolarismo è una conquista della democrazia. Quella che funziona meglio è quella che passa dal bipolarismo al bipartitismo". Secondo il Cavaliere, il sistema tedesco favorirebbe Forza Italia. "Il partito che ne avrebbe più vantaggio ? spiega ? sarebbe Forza Italia che, con il 25 per cento di consensi ricevuti alle ultime elezioni e con il 33 per cento attribuito dai sondaggi, resta ed è il primo partito italiano". "Noi vogliamo rinnovare il sistema elettorale per provocare un grande cambiamento". Così Giovanni Guzzetta, battagliero presidente del comitato referendario per la legge elettorale, in una lettera aperta in cui spiega perché bisogna dire sì al referendum e nella quale segnala che da oggi prende ufficialmente il via la raccolta di firme.


La Stampa 19-4-2007 Sia gli incaricati dal presidente sia quello dei referendari danno solo certezze -ENRICO MARTINET

 

AOSTA Per tre professori il referendum in materia elettorale è contro lo Statuto di autonomia, incostituzionale e per uno è invece legittimo. Pareri opposti. I tre, Valerio Onida, Giovanni Guzzetta e Francesco Saverio Marini sono stati incaricati dal presidente del Regione Luciano Caveri e uno dai Comitati referendari. Le ragioni dell'illegittimità. Per il professor Valerio Onida non vi è contrasto tra la legge istitutiva del referendum propositivo e lo Statuto o la Costituzione. Con l'eccezione per la parte che non prevede che una possibile legge del Consiglio regionale sulla stessa materia referendaria non possa avere un contestuale voto da parte degli elettori. L'illegittimità con lo Statuto, per Onida, è invece certa per il contrasto tra referendum su elezioni e quanto sancito dall'articolo 15 dello Statuto che è legge costituzionale. La conclusione: "Nelle materie di cui all'articolo 15 (elettorali e di nomina del governo, ndr) non può farsi luogo ad un referendum propositivo". Ancora: "Per espressa previsione dello Statuto l'intervento deliberativo è riservato al Consiglio regionale". I professori Guzzetta e Marini parlano di "lacunosa disciplina legislativa". La legge sul referendum propositivo indica che la volontà popolare diventa legge anche se nel frattempo il Consiglio votasse una legge (che non segua uguali indirizzi) sulla stessa materia. La legge consiliare sarebbe cioè annullata. Guzzetta e Marini scrivono: "Conclusioni abnormi. Si giungerebbe all'assurdo di far pronunziare gli elettori su di una proposta promossa da una frazione assai ridotta di cittadini e non anche su quella approvata dalla maggioranza del Consiglio che ne rappresenta una assai più ampia. Se invece si ritenesse che malgrado l'esito positivo del referendum la legge del Consiglio debba ritenersi valida ci si ritroverebbe di fronte a due leggi antinomiche". Ancora: "Si attribuisce al referendum il potere di esautorare l'autonomia normativa del Consiglio". In più i professori sostengono: "Un qualsiasi elettore è legittimato a impugnare la delibera di indizione del referendum per illegittimità della procedura". Da un lato sarebbe leso il diritto di elettore chiamato a pronunciarsi su questioni che lo Statuto affida al Consiglio e dall'altro perché non può dare il suo parere sulla legge votata dal Consiglio, ma solo su quella del referendum. Le ragioni della legittimità. Il professor Stelio Mangiameli sostiene che il referendum propositivo si può fare. "Non sussistono impedimenti - scrive - di materia, non solo dal punto di vista della legislazione vigente, ma anche dal punto di vista logico. Una eventuale limitazione logica dovrebbe presupporre una qualche incapacità giuridica del popolo che concretamente non si dà. Per quale ragione il popolo non potrebbe decidere su quote rosa, elezione diretta del presidente o sull'obbligo di dichiarare preventivamente la coalizione tra i partiti o sulla preferenza unica?".

 


Italia Oggi 17-4-2007 L'Analisi Riforma Elettorale, La Corte Costituzionale è L'ultima Speranza Degli Antireferendari di Marco Bertoncini

 Sono molti, e ben piazzati nei due poli, a temere i referendum elettorali di prossima partenza. Logico, quindi, che si studino le contromosse. Alcune appaiono patetiche, come il ripetuto invito, puntualmente rinviato ai numerosi mittenti, di rimandare la raccolta delle firme. Boicottare le operazioni di sottoscrizione popolare dei quesiti appare arduo. All'interno di grandi partiti (An, Ds, Fi) sono, infatti, parecchi a muoversi per la raccolta di firme, a sostegno della quale c'è un'organizzazione ramificata come le Acli. La Lega lancia, sì, pesanti avvisi agli alleati, ma non è proprio detto che venga assecondata. Probabilmente i radicali nulla faranno: se Capezzone è favorevole, Pannella resta sfuggente, e soprattutto non ha mai apprezzato i referendum promossi da altri organismi, che gli facciano concorrenza su un terreno considerato monopolio proprio. Insomma, le premesse per superare il mezzo milione di sottoscrittori ci sono.In effetti, nei palazzi romani si dà per scontato che la primavera dell'anno venturo potrebbero svolgersi i referendum elettorali. Fra gli ostili, molti si dicevano pronti alla battaglia astensionistica, per far mancare il quorum, con espediente rivelatosi sovente vittorioso. A preoccupare costoro, tuttavia, sono giunti sondaggi che indicano una predisposizione degli elettori così favorevole da sconsigliare un invito al non voto. Ecco, allora, che le speranze degli antireferendari hanno cominciato ad appuntarsi sulla Corte costituzionale. In due direzioni.La prima è che la Corte affondi i referendum in partenza, ritenendo i quesiti privi della chiarezza e univocità che la giurisprudenza costituzionale ha reputato condizione prima per lo svolgimento di una consultazione popolare. L'ovvia obiezione che sorge è: la Corte ammise il referendum che nel Ô93, facendo a brani la normativa all'epoca vigente per l'elezione del senato, consentì di far restare in piedi articoli e commi che avrebbero permesso l'elezione di tre quarti dei senatori in collegi uninominali a maggioranza semplice. Da notare che l'abile autore dei 'ritagli' sul testo di legge era l'allora giovanissimo Giovanni Guzzetta, oggi a capo dei referendari e di nuovo 'cucitore' di frammenti legislativi. I contrari, però, sperano che, come allora motivazioni politiche potevano aver indotto la Corte a un via libera criticato in dottrina, così oggi alla Consulta potrebbero rimangiarsi quelle posizioni, fornendo una coloritura giuridica che nella sedicente patria del diritto qualsiasi addetto ai lavori saprebbe inventarsi. Insomma: il referendum sarebbe invalidato sul nascere.La seconda direzione è residuale. Se la Corte desse il via libera ai referendum, il parlamento potrebbe, sia pure a fatica, approvare una legge che o venisse in parte incontro ai referendari o modificasse del tutto le disposizioni sottoposte a consultazione, pur non accedendo alle richieste referendarie. Asseriscono gli oppositori del referendum che i giudici costituzionali, ove proprio non cedessero alle pressioni per dichiarare improcedibile la chiamata alle urne, sarebbero tenuti a dimostrare la propria buona volontà riconoscendo che i quesiti non potrebbero essere trasferiti né in toto né parzialmente alla nuova normativa nel frattempo entrata in vigore. Nessun ricorso alle urne, quindi.Stupirsi perché negli ambulacri del potere si discuta della Corte in termini così pesantemente politici è davvero fuori luogo. I cosiddetti giudici delle leggi sono valutati anche politicamente: più d'uno si attende che politicamente essi agiscano.


L’Unità 10-4-2007 La legge elettorale e la bocciofila Gianfranco Pasquino

 

Non posso e non voglio esimirmi, anche perché Diego Novelli fa appello alla nostra comune "torinesità", che implica in special modo uno stile di rispetto e di dialogo, dal rispondere alle sue osservazioni critiche pubblicate il 27 marzo. Con la presentazione della "bozza Chiti", il tema della riforma elettorale è giustamente tornato in maniera prepotente alla ribalta. Bisognerà discuterne approfonditamente poiché qualsiasi sistema elettorale produce effetti, positivi e negativi, sui singoli partiti (ad esempio, anche sul futuro Partito Democratico), sul sistema dei partiti e delle loro alleanze, sulla efficacia dei governi. A Novelli, dico subito, per partire dalla sua considerazione più importante, che, "no", la legge truffa del 1953 era proprio tale, nella sua concezione e nel suo impianto. Avrebbe, fra l'altro, consentito allo schieramento di governo, premiato con due terzi dei seggi, se avesse ottenuto il 50 per cento più uno dei voti, di stravolgere, senza possibilità di referendum confermativo, una Costituzione che già i partiti di quello schieramento non stavano applicando: "ostruzionismo di maggioranza" lo definì Piero Calamandrei. E poi perché e con quale utilità attribuire ad una maggioranza assoluta un premio in seggi? Mi pare più efficace darlo ad una minoranza grande (che sembra essere la soluzione prefigurata nella bozza Chiti) affinché abbia concrete possibilità di governare, ma a determinate condizioni, ad esempio, imponendole di stare compatta e coesa pena il suo scioglimento. Inoltre, quel premio di maggioranza del 1953 avrebbe ancor di più bloccato il sistema al centro, mentre oggi un premio non grande, al limite, variabile, come proposto da Chiti, serve a garantire il bipolarismo. Secondo: costituzionalizzare la legge elettorale come aveva proposto l'allora deputato comunista Antonio Giolitti? Ahinoi: ci saremmo tenuti per sempre quella variante di proporzionale tutt'altro che perfetta, congegnata dai tre grandi partiti in maniera comprensibilmente difensiva: "nessuno vinca molto nessuno perda molto". Qualora "costituzionalizzassimo" oggi, correremmo il rischio, assolutamente inevitabile, che legislatori mediocri e partigiani scriverebbero una legge non buona, ma costituzionalizzandola, la renderebbero sostanzialmente irriformabile: una catastrofe sistemica. Terzo, sicuro che Sartori e io siamo favorevoli ad una riduzione del numero dei parlamentari che, ovviamente, ma non bisogna farlo sapere ai "nanetti", avrebbe conseguenze riduttive anche sul numero dei partiti e sui costi della politica. Siamo anche favorevoli a modalità di rappresentanza diverse per Camera e Senato, con conseguenze positive per la governabilità. Lo abbiamo variamente scritto senza nascondere che, trattandosi di riforme costiuzionali, richiedono una leadership forte e competente e notevole compattezza dello schieramento che intenda proporle. Nella bozza Chiti mi sembra di scorgere traccia anche di tutto questo. Quarto: no, non desidero "primarie obbligatorie per legge", ma primarie facoltative e eventuali che, una volta attivate dai cittadini, dovrebbero rispondere ad alcuni criteri disciplinati dalla legge. Non sono affatto preoccupato, se in un collegio ci sarà una candidatura ottima e gli elettori non riterranno in alcun modo di richiedere l'indizione di elezioni primarie, mentre nel collegio vicino, vi saranno più candidature per le quali un certo, adeguato, ovvero, mai troppo basso, numero di elettori avrà raccolto le firme chiamando tutti ad esprimersi con benefici effetti di informazione, partecipazione e democrazia. L'art. 49, che può essere meglio specificato come hanno già suggerito in importanti disegni di legge Valdo Spini, Cesare Salvi e Walter Vitali (e sarebbe bello, utile e opportuno che il ministro Chiti si impegnasse anche in questo ambito), già lascia spazio anche alle primarie e a una miglior disciplina del finanziamento dei partiti. Ho grande apprezzamento per le bocciofile torinesi e, in special modo per quella, giustamente famosa, di Borgo San Paolo. Tuttavia, ho l'impressione che quello che è in gioco nei partiti - ovvero: carriere politiche, prestigio sociale, persino una molto più che dignitosa posizione economica -, non sia disponibile per nessuno dei soci della bocciofila di Borgo S.Paolo. Certo, i partiti hanno molto da imparare dalle associazioni volontarie, ma, quando imparare non vogliono, diventa indispensabile imporre loro dei vincoli: sul lato di una legge elettorale meno permissiva delle varianti proporzionali e sul lato delle primarie.


Il Giornale 6-4-2007 Legge elettorale, rissa nell'Unione solo la Margherita difende Amato di Luca Telese

"Excusatio melandriana" A chi si riferisce, la Palermi, oltre che ad Amato? Ad esempio a Giovanna Melandri, anche lei promotrice del referendum, che infatti ieri metteva le mani avanti per rispondere all'insinuazione di fare doppio gioco contro il suo governo: "Serve una proposta di legge condivisa che ci faccia tornare davvero al maggioritario. In quel caso sono pronta a fare le valigie dal comitato in un minuto. Se non c'è la proposta di legge sto bene dove sto". Rifondazione chitiana. E a difesa della bozza Chiti, ovviamente, c'è anche il segretario di Rifondazione Franco Giordano, che dice: "Abbiamo condiviso con l'Unione un percorso che porta a una modalità che poi avrà la sua conferma nel dibattito parlamentare. Una legge - ha proseguito il leader di Rifondazione - che garantisca contemporaneamente sia la pluralità delle forme della rappresentanza che l'efficacia dell'azione di governo". Conclusione: "Fare in fretta e in parlamento". Di tutt'altro avviso, invece, i dirigenti della Margherita, che in serata partoriscono un documento della segretaria in cui si chiede "una legge che garantisca stabilità". Pierluigi Castagnetti si spinge oltre e sostiene Amato. "Ha ragione. La minaccia del referendum non aiuta, anzi rischia di far precipitare le cose senza neanche restituire ai cittadini la libertà di scegliere i loro rappresentanti in Parlamento. Tuttavia - spiega il vicepresidente della Camera - non dobbiamo pensare di risolvere la crisi del sistema solo con la modellistica elettorale. La tecnica da sola non è sufficiente, serve la politica". << Pagina precedente.


La Gazzetta di Reggio 6-4-2007 Affondo di Amato sulla riforma elettorale "La bozza Chiti è solo un testo provvisorio" I piccoli partiti dell'Unione contro il ministro dell'Interno GABRIELE RIZZARDI

 

ROMA. "La bozza Chiti? Solo un testo preliminare sul quale bisognerà lavorare ancora molto". Con una intervista a Repubblica, Giuliano Amato fa a pezzi il lavoro svolto dal ministro per i Rapporti con il Parlamento: boccia il premio di maggioranza e l'elezione diretta del premier. Inoltre, definisce le preferenze "un rimedio peggiore del male", sostiene l'utilità del referendum "come pistola carica sul tavolo dei partiti" e propone il ritorno ai collegi uninominali. "Dobbiamo far dimenticare ai cittadini-elettori la mostruosità dei listoni delle ultime elezioni ma l'accordo raggiunto nell'Unione non mi pare la soluzione definitiva del problema" dice il ministro dell'Interno per il quale il modello regionale è un modello "presidenziale forte" che prevede una elezione diretta del premier e "sconnette totalmente" il capo del governo dal Parlamento". L'intervista provoca la rivolta nell'Unione dei piccoli partiti e spiazza Vannino Chiti che anche ieri con Romano Prodi ha continuato le consultazioni a palazzo Chigi prima con l'Udeur e poi con i Verdi. La reazione del ministro è immediata: "Ci sono due piani. Uno è il confronto culturale-accademico, che piace anche a me, l'altro è quello politico". Chiti, insomma, non ci sta e fa notare che è lo stesso Amato a dire che serve una legge elettorale "nuova e di aggiornamento alla Costituzione" da costruire con uno "schieramento ampio di forze di maggioranza e opposizione". Un secco no ad Amato viene dall'Udeur e dalla sinistra dell'Unione. Mastella si dice contrario ai sistema dei collegi uninominali mentre Mauro Fabris, al termine dell'incontro a palazzo Chigi, annuncia che per Prodi vale solo il lavoro del ministro al quale è stato affidato l'incarico di trovare una mediazione. "Nell'incontro di oggi" precisa il capogruppo dell'Udeur alla Camera "ci è stato ripetuto che ad Amato ha già risposto Chiti quando ha detto che un conto è fare accademia e un altro è fare politica". Il presidente del consiglio prende le distanze dall'intervista di Amato? "Prodi" risponde il verde Bonelli lasciando palazzo Chigi "condivide in pieno l'accordo raggiunto tra i capigruppo dell'Unione due giorni fa al Senato sulla riforma della legge elettorale". Critiche al ministro dell'Interno partono anche da Rifondazione Comunista ("Amato sbaglia nel metodo e nel merito" dice Russo Spena) e dal Pdci: "Confesso di essere rimasta strabiliata" ammette Manuela Palermi. Ma non è solo l'intervista del Dottor Sottile ad agitare l'Unione e ad offrire nuove munizioni all'opposizione, che parla di "bozze fantasma" ed accusa il centrosinistra di essere profondamente diviso. A protestare, con vigore, sono i referendari che chiedono ai Ds di partecipare alla raccolta delle firme che partirà il 24 aprile. "Il Comitato" dice il presidente Giovanni Guzzetta, che due giorni fa ha incontrato il capogruppo dell'Ulivo alla Camera, Dario Franceschini, ed ha avuto un con Piero Fassino "chiede di conoscere al più presto la bozza Chiti". In questo scenario, l'opposizione ha gioco facile e assesta il colpo. "Sotto il cielo dell'Unione crescono confusione e contrapposizioni" sentenzia Andrea Ronchi (An).


Il Corriere della sera 5-4-2007 Errore accantonarlo per il ricatto dei «piccoli» Il referendum da difendere di  MICHELE SALVATI

 

 

Sulle riforme elettorali e costituzionali incombe una vecchia dannazione: quanto più sono necessarie, tanto meno è probabile che si riescano a fare. Sono necessarie per costringere i soggetti politici a comportamenti che corrispondano all’interesse nazionale ma che contrastano con il loro interesse individuale. Sono improbabili perché, per farle, occorre il consenso di un gran numero di soggetti su una proposta comune, che inevitabilmente lede gli interessi di qualcuno. Il dibattito che è in corso da alcune settimane sulla riforma elettorale, e che è arrivato a una stretta nei primi giorni di questa, conferma appieno la presenza della vecchia dannazione. Facciamo un passo indietro. La riforma per via parlamentare della legge vigente per le elezioni nazionali— tutti o quasi sono d’accordo sulla definizione che ne ha dato chi l’ha proposta: «una porcata » — è oggi urgente per i nostri partiti non per i danni che essa produce al buon governo del Paese, ma perché fra una ventina di giorni inizierà la raccolta delle firme per il referendum abrogativo: eliminando singole parole o frasi, ne vien fuori un nuovo testo, perfettamente applicabile, che introduce forti innovazioni. Questo nuovo testo conserva alcuni tratti «porcelleschi» — ad esempio attribuendo il premio di maggioranza non alla coalizione ma alla lista più votata, esso probabilmente indurrebbe un affollamento senza principi in grandi listoni e poi divisioni successive in Parlamento—ma è indubbio che esso penalizzerebbe fortemente i piccoli partiti, che era quanto si voleva ottenere.

Di qui la loro agitazione e la fretta di una riforma parlamentare, che potrebbe eliminare il referendum: i tempi si vanno facendo stretti. Torniamo a oggi. Da mesi il ministro Chiti sta sondando i partiti di governo e di opposizione per trovare un accordo su un testo parlamentare e da tre settimane la presidenza del Consiglio ha preso in mano il bandolo della matassa. La notizia che Forza Italia, Alleanza nazionale e Lega hanno trovato un accordo su una proposta concreta è di tre giorni fa ed è dell’altro ieri quella di un accordo del centrosinistra su un testo piuttosto simile: si tratta di due versioni del modello delle elezioni regionali, un sistema proporzionale corretto da un premio di maggioranza. Per il centrodestra va soprattutto notato che il dissenso dell’Udc—motivato dalla preferenza per un proporzionale senza premi—non sembra dar luogo a ritorsioni nelle prossime elezioni amministrative. In esse Casini si presenterà insieme alle altre forze della Cdl e contro il centrosinistra: probabilmente, e a ragione, egli pensa che non se ne farà niente e che ci saranno altre occasioni per esprimere il proprio dissenso. La soluzione presentata dal centrosinistra, per quanto se ne sa, è meno definita in molti aspetti importanti. Essa si collega a proposte di riforme costituzionali ragionevoli, soprattutto all’eliminazione dell’attuale bicameralismo perfetto. Si tratta però di riforme che il centrodestra non ha alcuna voglia di concedere, pur condividendole, perché i tempi di una riforma costituzionale sono piuttosto lunghi e probabilmente spera di dare la famosa «spallata» prima.

Maessa sta suscitando forti dissensi interni alla coalizione, soprattutto per il suo preambolo, la bocciatura del referendum, definito come «strumento assolutamente inadeguato a raggiungere gli obiettivi di riforma elettorale». Nei due partiti più grandi, fino a ieri, le forze favorevoli al referendum (quantomeno come «pistola fumante», come strumento per costringere a una riforma parlamentare che rafforzi il bipolarismo) erano consistenti e solo le preoccupazioni di Prodi per la tenuta del governo, e i timori di Ds e Dl per l’andamento delle prossime elezioni amministrative in caso di dissenso dei «piccoli» della coalizione, possono aver indotto a una presa di posizione così recisa. Sono poi vere le osservazioni di Rutelli circa le difficoltà che la legge risultante dal referendum porrebbe al futuro Partito democratico: ma il referendum è stato fatto apposta affinché il Parlamento approvasse una buona legge elettorale, non una versione appena emendata del Porcellum, che al Partito democratico creerebbe difficoltà ancor maggiori. Il potere di interdizione dei «piccoli » del centrosinistra sembra (per ora?) avere avuto la meglio a conferma della vecchia dannazione circa l’impossibilità di riforme elettorali serie in Parlamento. Turandoci il naso, non ci resta che il referendum.

05 aprile 2007


La Repubblica 5-4-2007 Per il ministro dell'Interno i listoni di candidati sono "mostruosità" che la riforma deve eliminare "La bozza Chiti è insufficiente torniamo ai collegi uninominali" MASSIMO GIANNINI

 

Amato: la Costituente del Pd subito dopo i congressi troppi nomi I lunghissimi elenchi di nomi in corsa sono la maggior causa di distacco dei cittadini dalla politica presidenzialismo Con il "regionellum" il premier sarebbe eletto direttamente. Questo per me è inaccettabile frammentazione La risposta chiave alla frammentazione però è politica. Per noi significa accelerare la costruzione del Partito democratico società da ricucire Consenso sociale, clima che cambia, invecchiamento: c'è una società da ricucire. Di questi temi bisognerebbe discutere mentre nasce il Pd appello a boselli A Fiuggi nel 2004 il leader dello Sdi parlò di 'medesima sensibilità' con Margherita e Ds. Chiedo a Boselli: cos'è cambiato da allora? appello a mussi La scissione nei Ds sarebbe un'assurdità. Solo quest'idea riduce enormemente l'interesse per i problemi che proprio Mussi solleva

ROMA - "Noi dobbiamo far dimenticare ai cittadini-elettori la mostruosità dei "listoni" delle ultime elezioni. L'accordo raggiunto nell'Unione non mi pare la soluzione definitiva del problema: è solo un testo preliminare, sul quale bisognerà ancora lavorare molto". Giuliano Amato spariglia. Come già gli capitò con la proposta di Convenzione sulla riforma elettorale, il ministro degli Interni fissa i suoi paletti sul compromesso di tre giorni fa nel centrosinistra, che ha scontentato parecchi ulivisti. "Resto convinto che la formula migliore sia il ritorno al collegio uninominale", annuncia il Dottor Sottile, che rilancia anche il suo appello sul Partito Democratico: "Una scissione nei Ds sarebbe un assurdità, così come sarebbe insensato se si sfilassero i socialisti. Dobbiamo accelerare la fase costituente. E tutti devono partecipare. Non solo gli altri partiti, ma anche il popolo delle primarie". Ministro Amato, la soddisfa il compromesso raggiunto nell'Unione sulla riforma elettorale? "Partiamo da una premessa. Cosa dobbiamo correggere nel sistema attuale? Siamo tutti d'accordo sul fatto che quelle lunghissime liste di candidati sono state la fonte di maggior disamore da parte dei cittadini, già così poco propensi ad innamorarsi della politica. Io resto convinto che la ferita dei "listoni" non si cura con il ritorno delle preferenze, che restano un rimedio peggiore del male. La vera soluzione, per me, è invece il ritorno al collegio uninominale, e con tanto di primarie di collegio sul modello della civile Toscana. Oppure, in alternativa, l'introduzione di circoscrizioni più piccole, con un numero di candidati non superiore a 5 come avviene in Spagna, e anche qui con tanto di primarie di circoscrizione". La sua ricetta quindi è diversa da quella concordata dai partiti del centrosinistra con la bozza Chiti, che invece continua a prevedere il premio di maggioranza? "Mi colpisce che l'Italia sia l'unico Paese europeo in cui si ricorre al premio di maggioranza. Perché solo in Italia la politica non è in grado di esprimere una maggioranza, senza bisogno di una protesi che la renda possibile? Questo è il nostro tragico limite: tanti più sono i partiti, tanto più ci si riduce per assemblarli al premio di maggioranza". E lei non condivide, evidentemente? "Di sicuro non condivido il premio di maggioranza della legge vigente che è abnorme, in quanto va alla coalizione che ha preso più voti: persino la legge Acerbo era più "moderata", visto che escludeva il premio al di sotto di una certa soglia. E mi preoccupa la strutturale propensione dei partiti attuali verso un sistema elettorale simile a quello delle regionali, che può portarci a riplasmare addirittura la forma di governo. Il modello regionale è infatti un modello presidenziale forte. Vorrei umilmente ricordare che uno degli argomenti che spinsero tanta parte del centrosinistra ad avversare la riforma costituzionale del Polo fu proprio l'appassionata difesa della forma di governo parlamentare". D'accordo, ma oggi tutti convengono sulla necessità di rafforzare i poteri del premier. "Benissimo, io sono tra quelli. La forma di governo parlamentare non vieta affatto che si possa votare la fiducia solo al premier, o che il premier possa proporre la nomina e la revoca dei ministri, o che possa addirittura proporre lo scioglimento delle Camere. Ma non arriva al punto da prefigurare l'elezione diretta, come avviene nel modello regionale. Questo sconnette totalmente il capo del governo dal Parlamento, e per me questo è inaccettabile". Ministro, lei dice di no, ma la sua è una bocciatura bella e buona della bozza Chiti. Come fa a negarlo? "Io non boccio nulla. Riconosco che quello, oggi, è il minimo comune denominatore, sul quale si registra il massimo consenso possibile tra i due schieramenti. Ma aggiungo che si tratta di una bozza preliminare. Non è detto che si arrivi alle stesse rigidità sul premio di maggioranza e quindi al bipolarismo coatto di oggi ed è possibile che si contrasti più efficacemente la frammentazione con clausole di sbarramento. Certo non è il sistema che preferisco". Diciamola in un altro modo: quel compromesso al ribasso è servito solo a tenere buoni i partiti "nanetti", e a sventare la minaccia del referendum. "Di sicuro la minaccia pesa. Del resto io stesso ho sempre sostenuto l'utilità del referendum come pistola carica sul tavolo della politica, non come soluzione in sé dei problemi della politica. E resto convinto che senza quella pistola sul tavolo, nell'Unione non si sarebbe raggiunta nemmeno un'intesa non entusiasmante, come quella di martedì scorso. Io non cambio la mia idea: non è la riforma elettorale, ma la politica a dover ridurre la frammentazione, e tuttavia sarebbe sbagliata una riforma elettorale che non concorresse a un processo di riaggregazione. Come sarebbe un errore non accompagnarla con una riforma costituzionale, su pochi punti precisi, come ad esempio il numero dei parlamentari e i poteri del premier". Così la Cdl non ci sta. L'obiezione è: volete le riforme costituzionali solo per far durare il governo. E vero? "Obiezione respinta. La riforma costituzionale del Polo ha richiesto anni di lavoro perchè investiva ben 53 articoli della Costituzione. Qui si tratterebbe di modificarne solo pochissimi punti. Da parte nostra c'è solo buon senso, e nessuna intenzione dilatoria. Una legge elettorale, del resto, non sta in piedi da sola, ma investe il funzionamento dello Stato e, come ho detto, chiama in campo la politica". In che senso? "Per noi la risposta più importante alla frammentazione del sistema è accelerare davvero sul partito democratico. Vede, in questo ciclo storico non si sciolgono solo i ghiacciai. Anche il consenso politico è ormai uno strato sempre più sottile. Può cedere a ogni passo. Di fronte a questa fragilità del consenso guai alla politica che si ferma e non ha il coraggio di guardare ai problemi che ha davanti. L'invecchiamento della popolazione, il clima, la convivenza tra identità diverse, l'immigrazione, la ricchezza e la povertà che coesistono, in certe nostre città che sembrano la Londra di Oliver Twist". Nella gestazione del partito democratico di tutto si parla, fuorchè di questi problemi. "E serve parlarne, invece, per aggregare non solo pezzi di partiti preesistenti, ma soprattutto pezzi consistenti di un popolo, che va altrimenti in frantumi. Politica e società possono rimanere vittime della stessa sindrome. Ed è la politica che ha il compito di ricucire: ricucire la società ricucendo se stessa attorno alle questioni su cui si ricompongono oggi gli interessi collettivi e il bene comune". E invece il progetto non riscalda i cuori. Si parla di cooptazione tra nomenklature, di scissioni e di esclusioni. "Il progetto non riscalda quanto dovrebbe, ma separazioni e scissioni raffreddano ancora di più. Se il tema è riaggregare, si può pensare che serva una scissione nei Ds, o che sia utile che i socialisti se ne vadano da soli? Come si fa a non capire che solo l'idea di una scissione riduce enormemente l'interesse per quei "grandi problemi" sollevati proprio da Mussi? E poi chiedo a Boselli: cosa è cambiato rispetto a Fiuggi 2004? Quando proprio lui disse "l'aspirazione all'unità ha attraversato da sempre la storia del nuovo socialismo... esiste una medesima sensibilità con Ds e Margherita.. ora si può pensare a costruire l'unità dei riformisti...". Cosa è successo, ora, che spinge Boselli a dimenticare tutto questo?". Forse lo scontro sui Dico, che ha riaperto la questione romana, la contesa tra laici e cattolici. "Certo. Ma esiste anche un cattolicesimo democratico e liberale che si sente comunque impegnato dalla laicità dello Stato, e rifiuta l'idea di un diretto trasferimento delle prescrizioni religiose nelle leggi dello Stato Questo è il terreno dell'incontro. E invece si chiede l'abolizione di un Concordato che non è quello degli anni '30, ma quello nuovo revisionato da Craxi negli anni '80". Poi per la sinistra resta il problema dell'affiliazione del futuro partito alle famiglie europee. Come si fa a stare fuori dal Pse, come pretende la Margherita? "E' noto fin dall'inizio che il tema si affronterà alla fine del percorso. I problemi del dopo si affrontano dopo. E comunque, ammettendo che il partito democratico sia alleato del Pse, e che il partito socialista europeo rimanga tale anche in futuro, difficilmente un partito socialista italiano al 2% sarà per il Pse più rilevante di un partito democratico al 20-30%. E poi, via, oggi non c'è più il problema, che esisteva a sinistra negli anni '80, di un partito "egemone" che ne fagocita un altro". C'è però chi lamenta la scarsa presenza di una cultura liberalsocialista nel Pd, e lo considera un "piccolo compromesso storico tra post". Lei che risponde? "Rispondo che è un'osservazione giusta. Ma non la può fare chi, essendo portatore proprio di quella cultura, decide di restare fuori dal Pd. E aggiungo che il futuro partito sarebbe un "piccolo compromesso storico tra post" se fosse un circolo chiuso, che sbarrasse la porta ad altri. Ma i due partiti fondatori non possono smentire l'impegno, ormai preso, di aprire dopo i loro congressi una fase costituente, aperta a tutti coloro che vorranno sottoscrivere il Manifesto del futuro partito. Gli altri partiti, le organizzazioni della società civile, e l'insieme del popolo delle primarie avranno così l'occasione e il modo di pesare". Se la fusione è fredda, come lamenta Veltroni, quel popolo non si sente, dentro il Pd. "E invece noi non possiamo e non dobbiamo deludere quel popolo. Il partito democratico è anche un grande investimento sul futuro e sulle nuove generazioni. Io i giovani li frequento, e le assicuro che non si sentono vincolati dalle nostre antiche "differenze identitarie". é il momento di superare quelle differenze. Chi si rifiuterà di farlo, rinunciando alla costruzione del partito dei riformisti, si assumerà una responsabilità enorme. Ricordiamoci la parabola della moglie di Lot, che dopo l'incendio resta immobile a guardarsi indietro, e si trasforma in una statua di sale. Non trasformiamo il centrosinistra in una coorte di mogli di Lot. I giovani non ce lo perdonerebbero".


Il Sole 24 Ore 4-4-2007 La bozza Chiti non dispiace alla Cdl. Restano i dubbi di ulivisti e referendari . Di Sara Bianchi

 

Anche l'Unione trova un'intesa sulla legge elettorale e dopo una discussione niente affatto indolore si ricompatta sulla proposta Chiti, allontanandosi dal referendum per favorire invece le riforme istituzionali. Due i vertici che ne hanno discusso ieri: il primo dell'Ulivo con Romano Prodi; il secondo di tutti i capigruppo parlamentari con il Ministro per le Riforme Vannino Chiti.
L'Ulivo esce dalla riunione della mattinata con l'idea di proporre agli alleati un modello elettorale simile al sistema spagnolo e di chiedere ai referendari di ritardare di un anno la raccolta delle firme. Lo scenario si modifica e nell'incontro del pomeriggio i piccoli partiti dell'Unione la spuntano. La riunione termina con una dichiarazione di sostegno alla bozza Chiti, la riforma è definita «indispensabile» e il referendum «uno strumento assolutamente inadeguato» a raggiungere l'obiettivo. Viene inoltre considerato «importante» avviare le riforme costituzionali per «superare il bicameralismo perfetto, ridurre il numero dei parlamentari e attuare il federalismo fiscale».
Nella maggioranza tutti parlano di intesa positiva, ma gli scontenti ci sono e non mancano di farsi sentire. L'Udeur avrebbe preferito una posizione più netta contro il referendum con gli esponenti dell'Ulivo fuori dal comitato promotore.
Lo Sdi con Roberto Villetti sottolinea: «l'Unione opta per una posizione di attesa, scegliendo di non scegliere e rinviando alle calende greche qualsiasi iniziativa politica». Il Presidente della Camera Fausto Bertinotti ribadisce la preferenza per il modello tedesco. Ma soprattutto, si sa, la bozza Chiti piace ai piccoli partiti, meno all'Ulivo. Il Ministro dell'Interno, Giuliano Amato chiede una riforma contro la frammentazione: «basta illudersi di fare politica avendo il 2%. Abbiamo bisogno di partiti più grandi». Poi c'è lo scontro con i referendari. Il presidente del comitato promotore Giovanni Guzzetta si dice «sorpreso» dalle «singolari» conclusioni a cui è giunta l'Unione e conferma che il 24 aprile partirà la raccolta delle firme. Sulla stessa linea alcuni senatori ulivisti che, con un comunicato polemico, sottolineano come il gruppo di Palazzo Madama non abbia mai potuto conoscere nè discutere i contenuti della proposta di riforma avanzata dal centrosinistra.
L'idea ipotizzata, sulla quale con tutte le polemiche del caso l'Unione si è infine ritrovata, sceglie un sistema vicino a quello regionale (il "Tatarellum"), dunque un sistema proporzionale corretto, con una soglia di sbarramento tanto minore quanto maggiore è la quota di premio di maggioranza, calcolato su base nazionale sia alla Camera che al Senato. La definizione della soglia è affidata al confronto tra i partiti.
Previsto l'aumento del numero delle circoscrizioni, sul modello del sistema spagnolo: dovrebbero essere una per provincia, più di una nelle province più grandi.
Scompaiono le preferenze e restano, quindi, le liste bloccate. Attraverso l'aumento del numero delle circoscrizioni, sarebbe garantito il radicamento territoriale dei candidati. Nel testo è affermata l'applicazione dell'articolo 51 della Costituzione, che impone la parità nella rappresentanza di genere tra i sessi. Sarà necessaria la sottoscrizione di un programma e l'indicazione di un candidato premier, capo della coalizione.
Sono inoltre indicate una serie di modifiche della Costituzione: riduzione, già dalle prossime elezioni, del numero dei parlamentari a 400 deputati per la Camera e 200 senatori; rafforzamento dei poteri del premier che può nominare e revocare i ministri con possibilità della sfiducia costruttiva; riforma del bicameralismo perfetto con diverse funzioni da attribuire ai due rami del Parlamento.
24 ore prima anche il centrodestra, senza l'Udc, aveva raggiunto un accordo. Già battezzato il "regionellum" perchè pure si ispira al sistema regionale ora in vigore, prevede: impianto proporzionale; premio di maggioranza, che al Senato verrebbe assegnato su base nazionale e ripartito a livello regionale; soglia di sbarramento che potrebbe essere del 3 per cento.
La strada che separa le due posizioni, di maggioranza e di opposizione, non appare poi così ampia. E alla Cdl la bozza Chiti non dispiace. È fredda l'Udc, delusa perchè il sistema tedesco è stato accantonato. Lorenzo Cesa conferma la preferenza per il metodo adottato in Germania. Tuttavia, aggiunge, «della proposta sono apprezzabili» sia la volontà di evitare il referendum che quella di superare l'attuale bipolarismo.
Soddisfatta la Lega, con Calderoli che precisa: «sono veramente lieto che i vertici dell'Unione abbiamo confermato la volontà di modificare l'attuale legge elettorale in Parlamento».
Da Forza Italia Renato Schifani sottolinea: «la nostra disponibilità parte da alcuni punti inalienabili: il bipolarismo, l'indicazione della coalizione, del premier e della governabilità con premio di maggioranza».
An con Altero Matteoli evidenzia che «la bozza Chiti è una buona pista di lavoro, come d'altronde lo è quella elaborata dalla Cdl».
Il centrodestra però avverte che la riforma costituzionale e quella elettorale non sono conciliabili, se si vuole evitare il referendum. E il suo timore resta legato all'eventualità che la maggioranza punti a guadagnare tempo.


Il Secolo XIX 4-4-2007 Riforma elettorale Prime aperture dalla Cdl, ma resta l'opposizione di Forza Italia a modifiche costituzionali

 

Roma. L'Unione rilancia: la riforma elettorale su cui tutto il centrosinistra si è ritrovato, è pronta. E si contrappone alle proposte, avanzate il giorno prima, da An, Fi e Lega. Si parte dal "modello delle regionali", si certifica il patto di coalizione tra i partiti, c'è l'indicazione del presidente del Consiglio e, il tutto, viene modulato con una correzione "alla spagnola", riducendo l'ampiezza dei collegi. Ma si prevede anche una modifica alla Costituzione: nella bozza, presentata dal ministro delle Riforme Chiti, si sancisce la fine del bicameralismo perfetto (diversi ruoli per Camera e Senato), c'è la riduzione del numero dei parlamentari, e viene attribuita, al futuro premier, l'autorità di nomina e di revoca delle deleghe ministeriali. Queste correzioni, però, indicano un percorso parlamentare più lungo (quattro sono le votazioni previste per la modifica della Costituzione, a distanza di sei mesi l'una dall'altra), e ciò ha provocato fastidio in Forza Italia, che più di ogni altro partito vorrebbe un immediato ritorno alle urne. Ma non c'è alcuna chiusura totale: gli altri partiti della Cdl hanno manifestato disponibilità al dialogo. Persino l'Udc che ha definito "interessante" la bozza, anche se continua a preferire il modello tedesco. La bozza Chiti, approvata alla unanimità dai partiti dell'Unione, sarà ora sottoposta a tutti i gruppi parlamentari dal premier, Romano Prodi, entro il prossimo 12 aprile. "Noi ci siamo dimostrati molto compatti, ma la legge che arriverà non sarà frutto della sola maggioranza" ha assicurato Anna Finocchiaro, presidente dei senatori dell'Unione. Su un punto c'è, invece, la chiusura totale di tutto il centrosinistra: "Il referendum che incombe non è una soluzione adeguata ai problemi". Ieri, in due diverse riunioni, prima a Montecitorio (cui ha partecipato anche il premier), poi al Senato (con tutti i capigruppo di maggioranza), la bozza ha ricevuto il via libera dal centrosinistra. Ma non è stata una discussione senza momenti di tensione. "Per qualche minuto abbiamo rischiato di uscire divisi e senza alcuna intesa" ha confessato il capogruppo dei Verdi, Angelo Bonelli. In realtà, nella prima riunione, non si sarebbe affatto parlato della riforma elettorale, ma solo della richiesta, da avanzare ai promotori, di rinviare il referendum. Poi, di fronte Alla dura reazione, soprattutto dei partiti piccoli, si è messo, nero su bianco, l'intesa sulla bozza Chiti. Che, in realtà non è un testo di legge già pronto per l'uso. "Dalle consultazioni che avevo avuto, con i partiti di entrambi gli schieramenti, avevo raccolto l'unanime apprezzamento per la legge elettorale in vigore negli enti locali - ha spiegato ai giornalisti lo stesso ministro Chiti - Ma restavano differenze: non c'era intesa tra turno unico o doppio, ad esempio". Nella bozza non è neppure indicato quale sia il premio di maggioranza e quale lo sbarramento: "Ci deve essere equilibrio: a premio di maggioranza alto deve corrispondere uno sbarramento basso, e viceversa". Uscendo da Palazzo Madama, il ministro Chiti, ha incrociato sulle scale il senatore di Fi, Lino Jannuzzi (quello che votò a favore del decreto sull'Afghanistan): "Ho letto la bozza di Calderoli e mi è sembrata una schifezza. La tua com'è?". "Vedrai che, come al solito, non ti deluderò" ha risposto il ministro. In realtà, l'accoglienza ricevuta da quasi tutti i partiti è positiva. Raccoglie, in ogni caso, più consensi di quella avanzata dalla Cdl, il giorno prima: "La legge elettorale, per dirla come il suo estensore, Calderoli, è una porcata, più la si cambia e meglio è" ha commentato subito il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema. Anche l'Udc, pur manifestando la preferenza per il sistema tedesco, ha riservato più applausi alla bozza di Chiti che a quella dei suoi alleati. "E' apprezzabile sia la volontà di evitare il referendum, sia l'intenzione di dar vita a sistemi elettorali che producano coalizioni più omogenee. Detto questo, noi restiamo per il meccanismo in vigore in Germania" ha spiegato il segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa. Da An non arriva alcuna chiusura: "Mi pare - ha suggerito Altero Matteoli - che i due testi, il nostro ed il loro, non siano inconciliabili". Anche Calderoli, padre della legge attualmente in vigore e coautore della bozza della Cdl, è disposto a prenderla in considerazione. A conti fatti, l'unica chiusura arriva da Renato Schifani, capogruppo di Fi al Senato: "Riforma elettorale e modifiche Costituzionali non sono conciliabili. Altrimenti non si evita il referendum". Il motivo del no, anche se condizionato ("Per noi restano importanti il bipolarismo, la indicazione del premier e la governabilità"), è legato alla intenzione di Forza Italia di chiedere presto, appena fosse approvata la legge elettorale, nuove elezioni. Le modifiche alla Costituzione, di fatto, farebbero slittare il progetto di almeno due anni. Angelo Bocconetti 04/04/2007 Il progetto prevede ritocchi alla Costituzione, meno parlamentari e maggiori poteri al premier. Ma l'iter sarà molto lungo 04/04/2007.


 

La Gazzetta del Sud 4-4-2007 Legge elettorale, intesa nell'Unione. Che fatica... Ds e Margherita ostaggio dei "piccoli" della coalizione. No al modello tedesco (molto delusa l'Udc) Andrea Cangini

 

ROMA Ancora una volta l'Ulivo non è riuscito a darsi una posizione comune. Ancora una volta a decidere la linea del centrosinistra sono stati i partitini. Ancora una volta la maggioranza ha trovato un (parziale) punto di equilibrio in negativo e spinta dalla paura. La paura che i partitini hanno del referendum e la paura che Ds e Margherita hanno dei partitini. Il risultato è che l'Unione ieri ha unanimemente e per iscritto definito il referendum elettorale "uno strumento assolutamente inadeguato", ha rilanciato la bozza del ministro Chiti ispirata grossomodo al sistema in vigore nelle regioni (un proporzionale che tutela i "piccoli") e ha auspicato le riforme costituzionali del caso. Alla fine sembravano tutti contenti. Tutti tranne i referendari. Il presidente del comitato promotore, Giovanni Guzzetta, dice che "sarebbe singolare che l'unica cosa sulla quale il centrosinistra è unito fosse il no al referendum". Il parisiano D'Amico lamenta l'assenza "di una proposta dell'Ulivo". I ministri Parisi e Melandri non usciranno dal comitato così come il bertinottiano Russo Spena gli chiede di fare. E i senatori dell'Ulivo coinvolti dicono che la capogruppo Finocchiaro non può parlare a nome loro. Il più costruttivo è il costituzionalista diessino Barbera, che giudica "positivo il fatto che la Lega abbia dato a Forza Italia e An il via libera per la raccolta delle firme" e non del tutto negativo il comunicato dell'Unione. Perché dice "definisce il referendum inadeguato ma non ostile: dunque, potremo andare avanti lo stesso". È andata così. In mattinata Prodi ha incontrato i capigruppo dell'Ulivo, e ha riscontrato che il modello spagnolo caro ai Ds non era poi così condiviso dalla Margherita. Chi c'era, dice che il premier voleva solo una cosa: legare la riforma elettorale a quelle costituzionali, in modo da assicurare al suo governo un paio d'anni di vita. Nel frattempo, il segretario del Prc, Giordano, polemizzava contro "l'insopportabile gerarchia per cui prima si vede l'Ulivo con Prodi e poi tutta l'Unione". Temeva che Ds e Margherita volessero mettere i partitini di fronte al fatto compiuto. "E invece racconta il capogruppo dei Verdi, Bonelli quando si sono presentati al vertice dell'Unione e gli abbiamo chiesto quale fosse la loro posizione, hanno cominciato a balbettare". I "piccoli" hanno così approfittato dell'afasia dei "grandi": "Noi siamo favorevoli alla bozza Chiti, se siete contrari dovete dirlo ora". Il silenzio, che qualcuno spiega con l'interesse a non rompere il dialogo con l'Udc, è proseguito. E la bozza Chiti è passata di conseguenza. Quanto al referendum, il capo dei deputati ulivisti, Franceschini, ha proposto di chiedere per l'ennesima volta lo slittamento di un anno della raccolta delle firme, ma si è scontrato con la sollevazione dei partitini guidati dal mastelliano Fabris. "Dateci tempo per convincere i nostri", ha implorato Franceschini. Figurarsi. Mentre lui parlava, Bonelli già scriveva il documento finale. In cui però, come lamenta il socialista Villetti, non è contenuta una definitiva scomunica del referendum. E il fatto che Prodi, col pretesto di un premio di maggioranza nazionale che presupporrebbe una riforma costituzionale, non abbia rinunciato ad abbinare la legge elettorale alle riforme istituzionali, fa temere ai "piccoli" di aver vinto una battaglia ma non ancora la guerra. Loro, infatti, vogliono la nuova legge elettorale subito, in modo da invalidare il referendum. Nel campo avverso An e Lega, parlano di un passo in avanti verso l'accordo. Il più soddisfatto appare il Carroccio. "Sono veramente lieto che i vertici dell'Unione abbiamo confermato la volontà di modificare l'attuale legge elettorale in Parlamento", ha commentato Roberto Calderoli, autore della 'bozzà sottoscritta lunedì scorso ad Arcore da Forza Italia, An e Lega. Il finiano Matteoli contesta il tentativo "di far marciare assieme" la riforma della legge elettorale e quella della Costituzione. FI è cauta. Spiazzata l'Udc, che vede allontanarsi il modello tedesco. Soddisfatto Calderoli (Lega): singolarecoincidenza di orientamenti (mercoledì 4 aprile 2007).


 

La Repubblica 4-4-2007 IL RETROSCENA Giornata di tensione nel centrosinistra, Rifondazione blocca le proposte di Margherita e Ds. Rutelli: il quesito uccide il partito democratico

 

Nell'Ulivo esplode l'ira dei promotori Parisi: "Così sembriamo conservatori". La Melandri: non lascio il comitato Fassino ai suoi: "Dobbiamo dire basta ai ricatti dei partiti minori" Il premier: "Sarà anche un'intesa finta, ma intanto la Cdl l'ha trovata" GOFFREDO DE MARCHIS ROMA - "Primo: fermare il referendum. Perché sfascia il Partito democratico". è Francesco Rutelli a dettare la linea della guerra frontale al quesito nel vertice dell'Ulivo sulle riforme elettorali con Romano Prodi e Piero Fassino. La sua analisi degli effetti sul Pd è condivisa dal segretario dei Ds, ma soprattutto sposata dal premier che sa bene come il no al referendum sia l'unico vero collante della maggioranza, il filo che tiene insieme Ulivo, Rifondazione e i partiti più piccoli. Così infatti si conclude il successivo incontro dell'Unione: ok alla bozza Chiti e soprattutto botte da orbi al quesito: "è inadeguato". La decisione della maggioranza però scatena la rabbia dei referendari del centrosinistra. Apre un nuovo fronte trasversale, mette seriamente a rischio l'unità del centrosinistra proprio mentre il centrodestra (escluso l'Udc) trova una sintesi sulle riforme, dopo l'incontro di lunedì ad Arcore. "Sarà anche un'intesa finta - è il ragionamento di Prodi - ma loro l'hanno trovata. E se pensavamo di portare la Lega dalla nostra parte, beh finora non è successo". Dunque, l'Unione è costretta a trovare un punto di equilibrio. Lo fa sacrificando lo strumento del referendum, la spinta che dovrebbe sollecitare il Parlamento a lavorare davvero per modificare la "porcata" di Calderoli. Questa soluzione però scava altri solchi, crea nuove divisioni. Giovanna Melandri, ministro dello Sport, avverte: "Resto nel comitato promotore. Non basta una riunione ad Arcore e una dell'Unione per risolvere il problema". Arturo Parisi reagisce con stupore, tanto più che nemmeno Prodi ieri si è opposto alla deriva antireferendaria. E da giorni il Professore sta cercando di convincere il ministro della Difesa a fare un passo indietro sui quesiti. "Così sembriamo noi i conservatori - è la tesi di Parisi -. è assurdo non riconoscere all'iniziativa dei comitati i meriti straordinari che ha. A cominciare da quello di aver fatto fare tanta strada al dibattito sulla riforma elettorale. Ora però dobbiamo scegliere: cosa ci guida, la paura o la speranza". Insomma, il referendum non si tocca, è la pistola con cui bisogna sedersi al tavolo della trattativa. "Se salta il referendum, si spegne la luce e la riforma non la vedremo mai", sospira il senatore dei Ds Giorgio Tonini, altro promotore. L'impressione è che la toppa (no al referendum per nascondere la mancanza di accordo su un'ipotesi di modifica della legge) sia peggio del buco. Rutelli ha spiegato i riflessi sul Partito democratico di una possibile vittoria referendaria: "Saremmo costretti a fare un listone con tutti dentro. Una forza unica fittizia in cui il Pd, il suo profilo riformista, si confondono con le altre anime del centrosinistra. E il potere di ricatto dei piccoli aumenterebbe". Argomenti che possono essere ribaltati. "Se è vero quello che dice Rutelli non si capisce perché i partiti minori facciano le barricate contro il quesito", osserva Tonini. E il costituzionalista dell'Ulivo Stefano Ceccanti avverte i leader: "Il no al referendum dimostra che i ricatti dei piccoli già funzionano benissimo. Comunque noi partiamo il 24 aprile con la raccolta delle firme. Saremo sommersi dalla partecipazione e ci ricorderemo delle posizioni di Rutelli quando eleggeremo la costituente del Partito democratico". Nella riunione di ieri pomeriggio l'Unione è stata incapace di trovare l'intesa su una proposta. Bloccata dai veti incrociati, dall'aggressività di Rifondazione che ha persino chiesto di tenere fuori le riforme istituzionali dal dibattito. "è un iter troppo lungo, dà ossigeno al referendum", ha spiegato Gennaro Migliore. L'Ulivo ancora una volta non è riuscito a imporre il tanto evocato "timone riformista" alla coalizione. Ha avanzato l'ipotesi del sistema francese e del sistema spagnolo: bocciate entrambe. L'Udeur ha replicato: fate uscire tutti i vostri dirigenti dai comitati referendari. Alla fine è stato il verde Angelo Bonelli a proporre di richiamarsi alla "bozza Chiti", cioè al lavoro del ministro delle Riforme, che per il momento è una modifica minimal dell'attuale legge. A tarda sera Fassino ha convocato la segreteria della Quercia. E l'umore era piuttosto nero. "Dobbiamo dire basta ai ricatti dei partiti minori. Anche loro devono usare il buon senso", ha tuonato. Con qualche perplessità i Ds ora guarda all'istruttoria del "loro" ministro Chiti, troppo accondiscendente con i piccoli. Non sono sfuggiti i continui richiami di Prc, Verdi e Pdci alla "bozza" del ministro. E se anche Fassino pensa che il listone sarebbe un problema per il Pd, non può non difendere il referendum come lo stimolo a una riforma votata dal Parlamento. Oggi Prodi ricomincia le consultazioni con i partiti di maggioranza. Con il serio pericolo serio di trasformare il "giro" in un gigantesco sfogo delle tensioni interne all'Unione.


 

Il Giornale 4-4-2007 L'Udc "alla tedesca" in una morsa di Fabrizio De Feo

 

Roma La Casa delle libertà fa la prima mossa, trovando l'accordo sulla legge elettorale, durante il vertice di Arcore. E l'Unione replica chiudendo, ieri, su una bozza non troppo dissimile che prevede il proporzionale, una soglia di sbarramento e un premio di maggioranza. La grande trattativa, insomma, inizia a decollare. Con l'Udc che, per il momento, tiene il punto ma sente che la morsa si sta chiudendo e che il rischio di restare ai margini si fa sempre più concreto. La posizione dei centristi, al momento, resta ferma sul modello tedesco, ovvero proporzionale puro con sbarramento al 5%. Ma il messaggio che filtra da via Due Macelli è che, archiviato lo spettro del referendum, sarà possibile sedersi al tavolo e ragionare su opzioni alternative. "Della proposta è apprezzabile, nelle anticipazioni, sia la volontà di evitare il referendum, sia quella di dar vita a una riforma elettorale che porti a coalizioni meno disomogenee e consenta di superare la crisi in cui versa l'attuale bipolarismo", dice il segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa. Rivendica la preferenza del partito per il sistema tedesco il portavoce, Michele Vietti. "Penso che sarebbe più semplice fare riferimento a modelli esistenti e già sperimentati in altri Paesi. Per questo siamo favorevoli al modello tedesco, che garantisce pluralismo e governabilità". Se le preoccupazioni sul fronte della legge elettorale crescono, l'Udc accoglie con alterne emozioni il sondaggio realizzato da Ipr per Repubblica.it secondo il quale la Cdl risulta in vantaggio di 5 punti nelle intenzioni di voto sull'Unione. Senza l'Udc, la Cdl raccoglie il 48% contro il 43% del centrosinistra. Il Centro, rappresentato nel sondaggio da Udc (5,5%) e Italia di mezzo (1,5%) raccoglierebbe il 7%. Forza Italia sarebbe due punti sopra il Partito democratico (27% contro 25%). Una sequenza di numeri e percentuali confortante sul fronte della tenuta elettorale del partito di Pier Ferdinando Casini. Ma pericolosa in prospettiva, visto che il contributo dell'Udc rischia di non risultare determinante per il successo della Cdl. Sullo sfondo il centrodestra continua a lavorare per sciogliere uno dei nodi più urgenti: la scelta del candidato sindaco di Verona. Il braccio di ferro è soprattutto fra l'Udc e il resto della Cdl sul nome del centrista Alfredo Meocci, mentre Lega e An preferirebbero puntare su Flavio Tosi. Sull'asse Roma-Verona si stanno intrecciando in queste ore le trattative alla ricerca di un accordo che solo nel caso del doppio ritiro di Meocci e Tosi potrebbe portare a una candidatura condivisa (il più accreditato sarebbe il presidente della Fiera di Verona, Luigi Castelletti). Se l'accordo su un candidato unitario non arriverà, a Verona il centrodestra si potrebbe dividere in due inedite accoppiate, con la Lega insieme ad An a sostegno di Tosi da una parte, dall'altra Udc e Fi schierate con Meocci. Una spaccatura che rischierebbe di tradursi in un suicidio politico e che si sta cercando in tutti i modi di disinnescare.


La Repubblica 2-4-2007 Legge elettorale, la Cdl trova l'intesa Berlusconi: "Alle elezioni con l'Udc"

Silvio Berlusconi ha riunito An, Lega e Dc nella villa di Arcore Il centrodestra punta sul testo di Calderoli, che ha incontrato Napolitano

Il testo si ispira al modello in vigore per le regionali: impianto proporzionale, premio di maggioranza
e sbarramento intorno al 3%. Fini: "Non possiamo permettere al governo di perdere tempo"

MILANO - Cdl a conclave senza l'Udc. Due ore nella villa di Silvio Berlusconi ad Arcore. Attorno al tavolo i leader di Forza Italia, della Lega, di An e della Dc di Rotondi. Da Bossi a Fini che tornano a vedersi dopo lungo tempo, da Maroni a Tremonti. Assenti annunciati gli esponenti dell'Udc, Pierferdinando Casini in testa. Alla fine volti soddisfatti. Quello di Bossi, che lascia Arcore per primo: "L'incontro è andato bene, abbiamo guardato la bozza di legge elettorale fatta da Calderoli e abbiamo convenuto che è un punto di partenza". E anche Fini parla di "pieno accordo e piena sintonia partendo dalla proposta Calderoli. Ci siamo trovati d'accordo nel dire che l'unica cosa che non possiamo permettere al governo è quella di perdere tempo".
Si parte dalla proposta Calderoli dunque, che oggi alle 18 il leghista ha presentato al capo dello Stato Giorgio Napolitano. "L'incontro è andato bene, ma mantengo la riservatezza dovuta rispetto a quello che ho detto e che mi è stato detto", ha detto l'ex ministro la termine dell'incontro. "Personalmente - ha aggiunto - posso dire che ho grande fiducia nel Presidente e che per raggiungere risultati positivi bisogna lavorare molto e parlare poco... soprattutto con i giornalisti".
Il capo dello Stato ha ascoltato senza entrare nel merito, la proposta concordata ad Arcore fra Forza Italia, Lega e Alleanza Nazionale. E ha ricordato lo spirito positivo con cui, negli ultimi mesi, ha più volte raccomandato questa riforma: dal discorso di fine anno, alla dichiarazione motivata con la quale, il 24 febbraio scorso, spiegò pubblicamente la scelta di rinviare alle Camere il governo Prodi.
Il testo che ipotizza una nuova legge elettorale che si ispiri al modello in vigore per le consultazioni regionali: impianto proporzionale, premio di maggioranza (che al Senato verrebbe assegnato su base nazionale e ripartito a livello regionale) e soglia di sbarramento (si ipotizza intorno al 3 per cento anche se Calderoli rimanda tutto al Parlamento). Tempi? "Puntiamo ad una nuova legge che sia approvata a luglio dal Senato e in ottobre dalla Camera".
Rimane, però, il problema della Lega Nord, contraria al ricorso referendario. "La pistola del referendum è carica ed è sul tavolo" dice Fini. Ma proprio sulla legge elettorale arriva il messaggio del Carroccio agli alleati. "Berlusconi e Fini devono confermare il loro no al referendum" dice Roberto Maroni e rincara Roberto Castelli. "Pensiamo che i tempi siano assolutamente stretti, quindi la pistola del referendum gioca in questo momento a favore dell'approvazione di una legge elettorale che altrimenti non sarebbe mai approvata e servirebbe solo ad allargare i tempi" spiega Calderoli.
Per Fini, però, il "sospetto che il dibattito in corso sulla legge elettorale sia fatto allo scopo di dilatare i tempi è un sospetto fondato. Questa è anche la ragione Lega e di Forza Italia hanno ritenuto che per avere la certezza dei tempi chi raccoglie le firme per il referendum non meriti alcun anatema".
E in serata fa sentire la sua voce anche l'Udc. Ed è una richiesta indirizzata a Calderoli. "Bisognerebbe che ci spiegasse la sua bozza" dice il segretario nazionale dell' Udc Lorenzo Cesa che rilancia la contrarietà dei centristi al referendum. Centristi che, alle amministrative, hanno trovato l'intesa con la Cdl. "E' stato trovato un accordo sui nostri candidati - dice Silvio Berlusconi - Ci sono ancora due o tre punti interrogativi che risolveremo nei prossimi giorni, ma comunque anche l'Udc sarà presente con noi: noi appoggeremo i suoi candidati e loro appoggeranno i nostri".

(2 aprile 2007)


Il Sole 24 Ore 22-3-2007 Riforma elettorale, l'Austria fa da apripista in Europa: si voterà a 16 anni. Di Vittorio Da Rold

Il cancelliere socialdemocratico austriaco, Alfred Gusenbauer, punta sui giovani con i fatti e non solo a parole. I teenager austriaci di 16 anni (primi in Europa tra i loro coetanei) potranno votare alle prossime elezioni politiche. Così nel 2010 l'elettorato si arricchirà, in un colpo solo, di ben 180mila nuovi elettori che potranno sconvolgere gli equilibri della fin qui tranquilla e a volte sonnacchiosa "Austria Felix".
La rivoluzionaria scelta («un modo per reagire all'invecchiamento della popolazione e occuparsi dei giovani »dice il Governo)è stata decisa durante gli estenuanti negoziati per la formazione del nuovo Esecutivo di coalizionetra conservatori e socialdemocratici durante le feste di Natale e ora si è tradotto in un progetto di legge, nuovo di zecca, che sarà approvato dal Parlamento prima delle vacanze estive.
Il disegno di legge, che non modifica la maggiore età a 18 anni,prevede anche l'allungamento della legislatura che passerà da quattro a cinque anni e l'estensione dell'uso del voto per posta per gliaustriaci residenti all'estero.
Il partito popolare dell'ex cancelliere Wolfgang Schüssel, conservatore in declino ed ex alleato di Jörg Haider, all'inizio era scettico sulla riduzione del limite di età, ma poi ha acconsentito alla modifica in cambio di un'estensione del voto via posta per i residenti all'estero, una frangia di elettorato percentualmente favorevole ai conservatori. Stesso discorso per i socialdemocratici del cancelliere Gusenbauer che sperano di trarre vantaggio dall'ingresso dei teenager nell'agone politico.
«In realtà i socialdemocratici sbagliano i conti perché i vincitori della riforma saranno i Verdi che nelle elezioni legislative dell'ottobre 2006 hanno guadagnato il 22% dei voti degli elettori sotto i 25 anni rispetto all'11% del totale del corpo elettorale», pronostica Gerhard Bauer di Europapolitik, uno dei più prestigiosi thinktank di Vienna. I Verdi, però, chiedono l'estensione del voto agli immigrati seppure si dicano favorevoli all'abbassamento di età. Anche l'estrema destra rappresentata dalla Fpö, il partito di HeinzChristian Strachenon, non si oppone alla misura,certa che "l'età degli estremismi" potrebbe portare qualche voto anche a loro. In realtà l'abbassamento dell'età fa parte di un più ampio progetto di riforma dello Stato che ilcancelliere Gusenbauer sta portando avanti per razionalizzare le competenze tra i Länder e Stato federale: l'obiettivo è ridurre le sovrapposizioni, armonizzare i trattamenti sociali, riformare il sistema giudiziario. Uno sforzo, sostenuto dalla Confindustria locale, che dal federalismo esasperato vuol tornare a un sistema più omogeneo, centralista (e meno costoso). Anche qui l'Austria va controcorrente.

 


L’Eco di Bergamo 22-3-2007 Reazione negativa del ministro Chiti alla proposta azzurra di elezioni dopo la riforma

ROMA Continua tra alti e bassi il confronto tra il governo e Forza Italia sulla strada del dialogo per la riforma elettorale. Appena qualche sera fa, al compleanno di Roberto Maroni, Silvio Berlusconi aveva aperto al confronto arrivando persino a ipotizzare un possibile "faccia a faccia" con il suo successore a Palazzo Chigi pur di trovare un accordo su un nuovo testo in grado di scongiurare il referendum. L'apertura è stata confermata ieri all'ora di pranzo dal coordinatore azzurro, Sandro Bondi: "Siamo disponibili a migliorare l'attuale legge elettorale. La riforma va fatta e in poco tempo, ma non deve diventare un tormentone al quale noi non parteciperemo mai". Anche il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga insiste sulla necessità di un accordo Prodi-Berlusconi: "Si può arrivare a una riforma solo se i due si mettono d'accordo per fregare i partiti minori". Ieri, però, nel dialogo tra il governo e il primo partito dell'opposizione si è registrata una battuta d'arresto, poi parzialmente ridimensionata. Oggetto del dissapore l'eventuale ricorso anticipato alle urne in caso di accordo sulla riforma elettorale. Alle 15 i due capigruppo azzurri, Renato Schifani (Senato) ed Elio Vito (Camera dei deputati) hanno varcato il portone di Palazzo Chigi per incontrare il premier Romano Prodi e il ministro per le Riforme Vannino Chiti. Era l'ultima delle riunioni tra l'esecutivo e le forze dell'opposizione nell'ambito delle consultazioni promosse dal governo sulla riforma elettorale. I "faccia a faccia" con l'Unione riprenderanno solo dopo il ritorno del premier dalla missione in America Latina il 28 marzo. Dopo il colloquio durato poco più di un'ora Renato Schifani, nel corso di una veloce conferenza stampa a Palazzo Chigi, ha indicato i paletti entro i quali c'è la possibilità di un'intesa. "Abbiamo espresso al presidente Prodi ? ha esordito l'esponente di Forza Italia ? la nostra disponibilità a modificare l'attuale legge elettorale introducendo il premio di maggioranza al Senato su base nazionale". Poi ha proseguito: "siamo pronti a lavorare all'idea di un miglioramento della soglia di sbarramento per ridurre la frammentazione partitica". Infine, però, il dirigente azzurro ha posto una condizione assai ferma: "Se si realizza questa riforma a soli dieci mesi dall'inizio della legislatura vuol dire che serve a garantire la governabilità. Quindi bisogna tornare al più presto alle urne". Ma questa condizione è stata bollata come "inaccettabile" dal ministro Vannino Chiti che ha così sancito così la rottura con il partito di Silvio Berlusconi. "Non mi convince ? ha protestato il ministro ? che si dica che se c'è intesa sulla nuova legge elettorale o se si realizza qualcosa in questa direzione, poi si va di corsa al voto: questa non può essere una base seria per un accordo". La reazione piccata del ministro ha provocato la marcia indietro di Schifani: "Per amore di verità vorrei confermare che, nel corso del nostro incontro, Forza Italia non ha posto al presidente del Consiglio l'aut aut di cui parla il ministro Chiti sulla indispensabilità del ricorso al voto dopo la riforma della legge elettorale". È stato un "un lungo, sereno e pacato colloquio ? ha precisato Schifani ? nel corso del quale abbiamo manifestato la nostra posizione su quali fossero le modifiche da apportare all'attuale legge". Quanto il ricorso "ad eventuali successive elezioni ? chiarisce ancora il dirigente azzurro ? fa parte di altre riflessioni politiche ma che non sono state prospettate al presidente Prodi come condizione indispensabile per un confronto costruttivo con tutte le forze politiche per addivenire ad una grande intesa parlamentare per la riforma". Nessun commento dall'entourage del ministro che comunque ha insistito sulla validità di andare avanti con il dialogo tra tutti. In serata gli ultimi incontri a Palazzo Chigi con la Dc e il Movimento per le autonomie: "Al presidente Prodi ? ha affermato Gianfranco Rotondi ? abbiamo ribadito che questa legge va bene così com'è. Diciamo convintamene no al golpe del sistema tedesco, mentre propendiamo per il si al referendum". Per il movimento di Raffaele Lombardo, invece è il Tatarellum il modello da cui partire a patto di introdurre le preferenze. Ma nell'Unione ci sono problemi. Il ministro Chiti ha fatto sapere che la prossima settimana "dovremo fare un punto per trarre le conclusioni con i partiti di maggioranza". È soprattutto tra i piccoli che si registrerebbero malumori. E sempre in tema di riforma elettorale è stata bocciata dagli azzurri la proposta Prodi di qualche mini-ritocco alla Costituzione. Un ritocco da apportare contestualmente all'approvazione della nuova legge elettorale.

 


La Repubblica 20-3-2007 Riforme, An incontra Prodi Fini: "Il referendum si farà"

Colloquio a Palazzo Chigi fra Prodi-Chiti e La Russa e Matteoli. Il leader del partito: "Disposti a fare quel che è possibile nei 10-12 mesi prima"

 

ROMA - Alleanza nazionale dice sì a un lavoro sulle riforme elettorali con la consapevolezza, però, che fra un anno gli italiani saranno chiamati a votare per il referendum. Questa in sintesi la posizione del partito espressa nel corso del colloquio, oggi a Palazzo Chigi, fra i capigruppo Ignazio la Russa e Altero Matteoli e il premier, Romano Prodi, con il ministro delle Riforme, Vannino Chiti. A riferirne l'esito è il leader di An, Gianfranco Fini, che precisa: "Andrò a firmare per il referendum elettorale come faranno tanti dirigenti di partito. Non dobbiamo fare le riforme perché abbiamo il terrore del referendum. Il referendum non è una panacea, come ho detto più volte, ma neanche una iattura". Quello di An, sottolinea Fini, "non è certo un no alle riforme. Il problema non è quali riforme fare, ma con quale timing. Vi pare che noi possiamo dire no alla riduzione dei parlamentari o all'aumento dei poteri del premier? Tutto ciò che si può fare nei dieci-dodici mesi che mancano al referendum, noi siamo disposti a farlo".
L'incontro a Palazzo Chigi è stato "positivo", riferiscono gli esponenti di An. "Non siamo aprioristicamente contrari alle riforme costituzionali che ci propone il governo - rifoeriscono La Russa e Matteoli al termine del faccia a faccia - ma si facciano, al massimo, in dodici mesi. Altrimenti, per noi c'è il referendum". Prima di riferire i contenuti dell'incontro a Fini, i due capigruppo hanno spiegato che il premier avrebbe prospettato loro un percorso che, oltre alla riforma della legge elettorale, prevede "ipotesi di riforme costituzionali".

"A Prodi - ha sintetizzato Matteoli - abbiamo ribadito la nostra posizione sulla legge elettorale, ormai nota: rafforzamento del bipolarismo, indicazione del premier prima del voto, coalizione che dovrà sostenerlo, e programma. Loro ci hanno prospettato ipotesi di riforme costituzionali che non ci vedono aprioristicamente contrari, ma che devono essere realizzate in dieci-dodici mesi".
La Russa rende più esplicito il sospetto che il governo voglia solo "perdere tempo", si dice "perplesso" dalla prospettiva di riforme corpose in tempi così brevi, giudica "assurda la presunzione di fare in dieci mesi ciò che non si è fatto in cinque anni. Troppa carne al fuoco, va a finire che poi niente si cuoce per bene e si va dritti al referendum, cosa che non spaventa An".
(20 marzo 2007)


Il Sole 24 Ore 20-3-2007 OSSERVATORIO POLITICO di Roberto D'Alimonte.  Voto ai 18enni e premio ai seggi in Senato

 

L a riforma elettorale si deve fare e si può fare.La sua strada è segnata. L'abolizione del premio di maggioranza nonè possibile perché su questo esiste un veto di Forza Italia e An. Questo chiude la porta all'adozione di sistemi come quello spagnolo e tedesco.Anche il ritorno del collegio uninominale maggioritario non è possibile perché non lo vuole nessuno tranne una parte dei Ds e forse una parte della Margherita. Questo chiude la porta a sistemi come quello francese, inglese o del tipo Mattarella. Cosa resta nel paniere?Un sistema proporzionale con premio di maggioranza, cioè il modello italiano. Per intenderci,il sistema elettorale attuale con alcune necessarie correzioni. La partita si giocherà sulle correzioni. Modifiche costituzionali Secondo il Governo si dovrebbe correggere non solo la legge elettorale ma anche la Costituzione; per Forza Italia e An basta correggere la legge elettorale: la soluzione si può trovare a metà strada. Il piano del governo prevede la modifica del Senato, la riduzione del numero dei parlamentari e il rafforzamento dei poteri del premier. Sono riforme che andrebbero certamente fatte ma richiedono tempo. Forza Italia e An non sono disposte a concederlo. Ma per correggere l'attuale legge elettorale non si può prescindere comunque da una riforma della Costituzione su due punti: il voto ai diciottenni e la modifica dell'articolo 57 che prevede l'elezione del Senato "su base regionale".Sono due modifiche non controverse e per questo si possono fare in tempi rapidi. Il loro scopo è di unificare i corpi elettorali e i sistemi di voto delle due Camere. La seconda, in particolare, serve a eliminare la lotteria dei premi regionali che è la vera responsabile dell'attuale precarietà politica al Senato. Fatti questi cambiamenti, si può mettere a posto la legge elettorale per il Senato in modo tale da garantire a chi vince una maggioranza solida in questa camera e ridurre drasticamente il rischio di un Parlamento diviso, con maggioranze diverse nei due rami. Forse si potrebbe fare a meno della modifica dell'articolo 57 della Costituzione, visto che gli stessi costituzionalisti sono divisi su che cosa voglia effettivamente dire la clausola "su base regionale". Ma dato che non si può introdurre un premio di maggioranza nazionale al Senato senza dare il voto ai diciottenni, e questo richiede necessariamente una modifica costituzionale, tanto vale fare anche l'altra ed evitare al Capo dello Stato l'imbarazzo di dover decidere se la nuova legge elettorale del Senato sia o meno compatibile con l'articolo 57 della Costituzione. Gli altri ritocchi Corretto il sistema di voto per il Senato,sulle altre modifiche della legge elettorale si può trovare un accordo ampio. Sul computo dei voti degli elettori della Valle d'Aosta ai fini del premio di maggioranza non ci sono problemi. Sulle candidature plurime l'accordo si può trovare su una soluzione intermedia che preveda la possibilità solo per alcuni candidati di presentarsi in più circoscrizioni. è più delicata la questione delle liste bloccate e, quindi, della partecipazione dei cittadini alla scelta dei rappresentanti. Ma su questo punto esiste già un largo consenso sulla non reintroduzione del voto di preferenza e, allora, una ragionevole soluzione di compromesso è quella di ridurre il numero dei candidati per circoscrizione e aumentare sensibilmente il numero delle circoscrizioni. Il punto veramente controverso è la questione del computo dei voti dei partiti sotto la soglia di sbarramento ai fini del premio di maggioranza. Non ci stancheremo mai di ripetere che questo meccanismo è un incentivo micidiale alla frantumazione del sistema partitico. Se non verrà corretto alle prossime elezioni assisteremo a un mercato delle liste ad personam con effetti devastanti sulla legittimità e sulla stabilità del sistema. I voti dei micropartiti e delle liste personali vanno esclusi dal calcolo del premio di maggioranza. Ma forse la soluzione migliore - da diversi punti di vista - è un'altra che le assomiglia: si può assegnare il premio di maggioranza non alla coalizione che ha ottenuto più voti ma a quella che ha ottenuto più seggi. Tra l'altro questa soluzione, modificando direttamente il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza, ha maggiori probabilità di incidere sull'ammissibilità del referendum. Meglio ancora sarebbe aumentare contemporaneamente la soglia di sbarramento. Ma forse questo è chiedere troppo alla nostra classe politica. Una soluzione possibile Questa è la strada per fare una nuova legge elettorale e probabilmente evitare il referendum. Non è la legge elettorale migliore in assoluto per il Paese ma è la solapossibile nelle attuali condizioni. Domani, in un quadro politico diverso,si potrà forse mettere mano a una modifica più incisiva della Costituzione e successivamente a un nuovo sistema di voto. Oggi questo è quello che passa il convento. Meglio il referendum? Detto altrimenti: la riforma indicata qui produrrebbe un sistema di voto migliore di quello che uscirebbe dal referendum? Noi crediamo di sì. IL MODELLO ITALIANO "Bonus" di maggioranza nazionale e non regionale e senza contare i partiti che non raggiungono il quorum. Stop a liste bloccate.

 


La Nuova Sardegna 13-3-2007 Partiti maggiori contro partiti minori Così il bipolarismo resta un miraggio Di Francesco Morosini

 

Ormai è un decennio che il Palazzo si balocca con questo tema: così fu per il nostro "spaghetti maggioritario" Ormai è da un decennio che il Palazzo si balocca con le riforme elettorali. Così fu per il nostro "spaghetti-maggioritario". Sembrava promettere un bipolarismo coerente perché ancorato su coalizioni di pochi partiti. Invece, vennero ancora più partiti; e coalizioni di governo preda di anarchia interna. Tant'è che, messa in soffitta l'idea di importare il britannico "modello Westminster" (un gioco di potere a due soli partiti e a danno del terzo, il liberale, sottorappresentato dal maggioritario sebbene prenda più voti dei nostrani Democratici di Sinistra e Alleanza Nazionale), si è tornati alle nostalgie per la proporzionale della Prima Repubblica. Naturalmente, si proclama un doppio si: alla proporzionale e al bipolarismo. Come se questo c'entrasse con la prima: perché entrambi reciprocamente ne collidono ne collimano. Altri sono i fattori del bipolarismo. Lo dimostrano Germania, Spagna e Paesi Scandinavi: tutti bipolari sebbene con legge elettorale proporzionale. Piuttosto, il vero guaio del neo-proporzionalismo del Belpaese è che funziona male. Lo si sconta in Senato dove la Legislatura è nata con una maggioranza azzoppata. Forse perché, secondo il politologo Sartori, a decidere in materia è un regime di "asinocrazia": Infatti, si vuole già cambiare. Naturalmente, si spera che questa volta l'eventuale riforma del sistema elettorale funzioni meglio di quella ora in vigore. Peraltro ammettendo che almeno alla Camera si sono conseguiti gli obiettivi (opinabili) dei suoi proponenti. Che erano due. Il primo: garantire un buon margine di seggi parlamentari (è il surplus numerico di rappresentanza garantito dal cosiddetto "premio di maggioranza") a chi vince in termini di consenso popolare). Il secondo: lasciare libertà di corsa - dunque evitando le candidature comuni - ai partiti delle due coalizioni. Insomma, qui i fautori del "modello Westminster" temono che si passi dal "tutti per uno" del maggioritario al "tutti per sé" delle alleanza a geometria variabile. Paventano cioè un primo passo, l'atro sarebbe l'abrogazione del premio di coalizione, affinché si avveri il sogno post-democristiano del Grande centro. Ma qui la legge elettorale proporzionale, se è un imputato eccellente, lo è erroneamente, Nel senso che la Prima Repubblica reggeva sul perno democristiano e senza alternanza perché la Guerra fredda allora in corso escludevano politicamente le estreme (Msi e Pci) dal governo. Oggi la replica appare un'utopia retrò. Certo possibile: ma solo nel caso di una neo-radicalizzazione socio-politica autonoma rispetto alle vicende della legge elettorale, in vigore o futuribile. Tanto è vero che difficilmente il maggioritario d'oltralpe, in teoria perfetto come argine per le forze antisistema, una continua e forte espansione della Destra radicale di Le Pen. Insomma, si deve dare a Cesare quello che è di Cesare e alle leggi elettorali quello che è loro. Che, certo, contano. Tuttavia vederle come il motore primo della politica eccede le loro possibilità. Il punto, allora, è come esse contano. Per capirlo basta porre un assioma di logica dei sistemi elettorali. Questo: una loro riforma tanto meno vale quanto più disponga di ampio consenso in Parlamento. Anzi, così sarebbe una "bufala" al meglio innocua. O, al massimo, capace di correggere qualche difetto miniore, ma mai la sostanza, delle leggi ad essa precedenti. La ragione di ciò è che in materia il quesito "se venga prima la gallina (il sistema dei partiti) o l'uovo (le regole elettorali)" ha qui una precisa risposta. Ed è che viene prima il sistema dei partiti. poi i sistemi elettorali che ai primi si adeguano. Tipico il caso britannico, nato bipartitico e, di seguito, stabilizzato dal maggioritario uninominale (il primo candidato, pure se con la sola maggioranza relativa, passa e vince tutto) che ha fatto da barriera all'accesso del mercato del voto inglese a danno di ogni new entry. E, paradossalmente, anche quello italiano, anche se all'opposto d'oltremanica: perché qui l'uninominale, impattando su partiti già organizzati, ha dovuto subire una diversa meccanica politica (la cui regola è che i partiti minori, disponendo dei "voti di margine" strategici nei singoli seggi, possono scambiarli in cambio di collegi sicuri) contribuendo esso stesso ad affossare, data la differenza di contesto, il "modello Westminster" in salsa italica. In altri termini, le riforme hanno significato solamente se sono "contro": ad esempio, i partiti maggiori contro i minori. Insomma, va fuggito lo spettro, vera Araba Fenice delle tecnocrazie riformiste, del "perfetto" sistema elettorale. Nel senso che la difesa o del maggioritario o, all'opposto, del proporzionale, esprime concreti interessi. La partita, per evidenziare la posta in gioco, vede nel campo proporzionalista (al di là delle infinite sue varianti tecniche) i fautori del potere dei piccoli partiti sulle coalizioni; e contrari, invece, i fautori, più che del bipolarismo, della sua evoluzione bipartitica; o, quantomeno, della sua massima semplificazione per numero di forze politiche presenti nelle coalizioni. Questo il sugo della questione. Attorno si gioca il destino di molte leadership politico-partitiche, a Destra come a Sinistra. Per l'elettore, invece, ciò che conta è trovare un equilibrio decente tra rappresentanza sociale (pluripartitismo) e governance di coalizione. Più una postilla finale. Ed è che la "guerra delle elezioni" taglia trasversalmente i due poli. Significa che, salvo improbabili accordi bipartisan tra i partiti "maggiori" a danno dei "minori", si farà poco o nulla. Al massimo, qualche razionalizzazione che, al Senato, è comunque utile. Ma difficilmente il calcolo degli interessi politici consentirà di andare oltre.


La Repubblica 13-3-2007 Il Cavaliere per ora non ci sta"Una trappola per perdere tempo". Di Claudio Tito

Gianni Letta e il nipote Enrico tengono aperto il canale per fare incontrare i due leader
Il capo di Fi: "Non ci casco". Al lavoro per il dialogo anche Marini e Pisanu


ROMA - "Non ci casco. Quella di Prodi è una trappola. Da lui non vado. Soprattutto in questa situazione". I contatti con Palazzo Chigi vanno avanti da giorni. Romano Prodi considera la legge elettorale il primo laboratorio per sperimentare le intese bipartisan. Ma al suo invito per un faccia a faccia, Silvio Berlusconi risponde con un secco no. Almeno per ora. Perché dentro Forza Italia le linee di pensiero a questo riguardo non sono univoche. E ai "falchi" che per ora hanno avuto il sopravvento, si stanno contrapponendo le "colombe". Gianni Letta sta mantenendo un canale aperto con la squadra prodiana. I colloqui con il nipote sottosegretario alla presidenza del consiglio, Enrico Letta, sono costanti. Una diplomazia che non si è interrotta nemmeno in queste ore. Una rete che cercherà di allargarsi nei prossimi giorni. Così come il filo di dialogo tra il presidente del Senato, Franco Marini, e l'ex ministro forzista Beppe Pisanu non si è mai spezzato. Nella speranza che da qui al 21 marzo, quando ci sarà l'incontro tra il Professore e la delegazione di Forza Italia, qualcosa possa cambiare.
Al momento, però, l'ala intransigente è quella più ascoltata dall'ex premier. "Prodi è come Bertoldo - ha sbuffato Berlusconi con i suoi -. Gli hanno detto che può scegliersi l'albero cui sarà impiccato e allora ci mette tre anni per sceglierlo. Una tattica fin troppo evidente. Vogliono rovesciare su di me le loro difficoltà. Pensano di utilizzarmi per attaccare questo governo moribondo al respiratore artificiale. Ma io non ci casco. Il loro destino è segnato". Soprattutto il leader forzista non intende comunque accettare il confronto fino a quando non saranno accolte le sue condizioni. A partire dai tempi certi e limitati per l'approvazione della riforma elettorale. Eppoi pochi ritocchi all'attuale sistema: "questa legge funziona bene, la Camera ne è la dimostrazione. Basta introdurre il premio nazionale anche al Senato e tutti i problemi si risolvono". Del resto, ossia delle riforme costituzionali non ne vuol nemmeno sentire parlare.

Tutte condizioni che a Palazzo Chigi considerano irricevibili. Non tanto nel merito, quanto nel metodo. Prodi, infatti, nella sua perlustrazione premette che non può "entrare nel merito: io devo solo costruire le condizioni per fare una cosa seria. Punto e basta. Io eseguo il mandato che mi ha affidato il capo dello Stato". Eppure che ci sia un problema proprio sui contenuti lo si è capito proprio ieri durante l'incontro tra i due presidenti, Franco Marini e Fausto Bertinotti. La decisione di far partire l'esame della riforma elettorale a Palazzo Madama viene ritenuta naturale. "Il Senato - ha osservato Marini - è il luogo dove si può verificare se c'è un'intesa tra maggioranza e opposizione". Una speranza che però sembra coltivare molto meno l'inquilino di Montecitorio. Che ha ribadito la sua disponibilità sul sistema tedesco senza nascondere una dose industriale di scetticismo: "Temo che sarà difficile fare una cosa ampia. È complicato raggiungere un accordo con l'opposizione. Semmai solo qualche modifica all'attuale legge". Magari per evitare la mannaia del referendum che sia nell'Unione, sia nella Cdl sono in molti a temere. Di certo Rifondazione comunista, appunto, e tutti i "piccoli" del centrosinistra i quali non hanno mai nascosto che il quesito referendario potrebbe mettere a repentaglio l'esecutivo. Al contrario, nonostante il "non possumus" della Lega e la decisa avversione dell'Udc, per il Cavaliere la via del referendum non è affatto archiviata. Non è un caso, poi, che il tentativo di dialogo con Fi avviato dal premier ha fatto indispettire Pier Ferdinando Casini. Il leader centrista teme che un rapporto diretto Prodi-Berlusconi possa esautorare il suo ruolo, far naufragare definitivamente la prospettiva del modello tedesco e portare il paese speditamente al referendum: "Su questo loro due sono d'accordo".

(13 marzo 2007)


Il Riformista 13-3-2007 Cambiare la legge elettorale non sarà così facile di Emanuele Macaluso


Prodi ha perentoriamente affermato che «la nuova legge elettorale o sarà condivisa o niente». Ben detto. Anche perché una riforma elettorale non condivisa non si può realizzare perché la maggioranza che ha dato vita (si fa per dire) al governo, in questo caso più di ogni altro, si sfarinerebbe. Più che una scelta politica, quindi, quella di Prodi, ci appare uno stato di necessità.
Ma quale legge condivisa è possibile fare nel quadro politico attuale? Questo e non altro è il nodo da sciogliere. E su di esso il presidente del Consiglio e l’Unione tutta non sono ancora in grado di esprimere una posizione: il ministro Parisi, ad esempio, ha dichiarato che c’è solo una grande confusione. Luciano Violante ha giustamente proposto di guardare alla legge elettorale in un contesto più vasto in cui rientri anche una miniriforma costituzionale che elimini il bicameralismo perfetto. E anche, aggiungo io, che riduca il numero dei parlamentari, come risulta dal comune impegno dei due schieramenti. Preso atto di ciò, la domanda da porsi è: può realizzarsi una convergenza tra i due schieramenti, su questo tema, senza una scomposizione degli stessi che inevitabilmente si ripercuoterebbe sul governo e sull’opposizione?
Nell’Unione la confusione di cui parla Parisi non riguarda solo la tecnica del sistema elettorale (referendum, sistema tedesco, francese, spagnolo o aggiustamento di quello che c’è) ma la prospettiva politica. Nel centrosinistra c’è chi è interessato, dopo la sortita di Follini, allo sganciamento di Casini dalla Casa delle libertà. Una prospettiva, questa, che però configge con l’allarme sollevato, sempre all’interno dello stesso schieramento, sul «pericolo centrista». Intanto Barbara Spinelli nel suo editoriale sulla Stampa ci ha spiegato che Prodi come Bayrou esprime una politica di centro in grado di incidere nei due schieramenti cambiando il modo stesso di leggere la società e far politica. Sarà. Io vedo solo confusione.
Nel centrodestra Casini ha dichiarato che senza una legge elettorale atta a dare spazio alla sua autonoma collocazione, ricontratterebbe il suo rapporto con la Casa delle libertà. E Giulio Tremonti ha chiarito la linea di Berlusconi: «Una legge elettorale semplice, proporzionale con la clausola anti-ribaltone», ovvero una correzione della legge attuale senza premio regionale per il Senato e, forse, senza nemmeno quello nazionale, senza sbarramenti forti, con il voto di preferenza e un leader che esprima la coalizione di governo. Un testo di questo tipo terrebbe insieme la Cdl e l’Unione. Ma, soprattutto, terrebbe ancora in piedi Prodi e Berlusconi. L’idea di eliminare i «nani» di cui parla Sartori in questo tipo di «condivisione» non è pensabile. Insomma sembra che siamo punto e a capo. Sembra.
Chi pensava di forzare i processi politici con il referendum oggi verifica come le resistenze, nei due schieramenti, i calcoli elettorali e le collocazioni personali condizionano tutto. Il Cavaliere e i suoi soci si muovono, come confessa Tremonti, per ottenere subito le elezioni pensando di vincerle e vogliono quindi solo ritoccare la legge elettorale. Prodi con la sua mossa sulla «condivisione» pensa di difendere la sua trincea, governo e Unione, cercando di respingere gli assalti senza sapere se e come uscirne, sperando passi la giornata.
In questo stallo, in assenza di iniziative politiche, può succedere tutto e il contrario di tutto. C’è chi pensa che il miracolo lo farà il Partito democratico, la “novità” verso cui si accelera e che, in questo quadro antico, appare come un operazione di laboratorio destinata a produrre solo rotture a sinistra: non stabilizzerà nemmeno se stesso. Ma evidentemente qualcuno crede nei miracoli. Chissà perché. Misteri italiani.


Il Corriere della Sera 12-3-2007 La Nota   Massimo Franco. l premier prova a smarcarsi per evitare il logoramento

 

L'esigenza di non scaricare un fallimento della trattativa sul governo

Dietro il «basta» di Romano Prodi sulle leggi elettorali approvate a maggioranza si intravedono insieme senso di responsabilità, frustrazione e calcolo. Il senso di responsabilità è quello di un presidente del Consiglio e di una maggioranza che si sentono vittime del colpo di mano della fine del 2005: l'attuale riforma elettorale voluta e votata contro il centrosinistra dalla maggioranza berlusconiana. Una legge tagliata su misura, ha sempre sostenuto l'Unione, per rendere quasi impossibile la stabilità di un governo dato già allora per probabile vincente. La frustrazione nasce dalla sensazione che la riforma della quale palazzo Chigi tenta di assumere la regìa, sta mostrando contorni politici quasi proibitivi. Le resistenze e le divergenze che riguardano i due schieramenti al loro interno, lasciano prevedere un risultato minimo: se non il nulla di fatto e lo scivolamento inesorabile verso il referendum. Così, quando Prodi afferma, come ha fatto ieri, che o ci sarà una legge «condivisa, o niente», tenta di sottrarsi ad un logoramento del quale già si colgono le avvisaglie. Non solo. Il suo «basta», ripetuto tre volte, a «riforme elettorali della maggioranza a danno della minoranza», è insieme una bussola nelle trattative; ed una sorta di ammonimento sia all'Unione, sia al centrodestra. Il premier esprime una preoccupazione di sistema, alla quale ha dato voce nei mesi scorsi il Quirinale.

Ma ad essere maliziosi, lo smarcamento gli permette anche di ridisegnare il profilo di uomo-simbolo dell'Unione, in un momento in cui i magri numeri parlamentari lo obbligano a vestire panni più ecumenici. In realtà, e qui forse affiora anche il calcolo, per come si sono modellati gli equilibri del potere nel Parlamento italiano, concetti come maggioranza e opposizione sono alquanto approssimativi. È certo che l'Unione gode di un numero di seggi a prova di agguato alla Camera dei deputati. Ma è altrettanto palese l'esistenza di una maggioranza intermittente al Senato. Lo si è visto sull'Afghanistan. Potrebbe verificarsi ancora sulle unioni di fatto, i cosiddetti Dico; e, a maggior ragione, sulla riforma elettorale. Si tratta infatti di un tema che tocca non solo valori e appartenenze, ma la sopravvivenza di alcune forze politiche. O comunque, così lo percepiscono alcuni partiti, sia dell'Unione che della Cdl. Prodi, dunque, sembra mettere le mani avanti perché sa quanto possa essere lacerante per un governo già barcollante una trattativa destinata a moltiplicare i sospetti di accordi sulla testa dei partiti minori: quelli che si sentono minacciati da una rivincita del maggioritario. E temono di essere costretti a dire di sì per evitare il referendum. Ma la prospettiva rischia di essere quella, e poi il voto. Dopo la crisi di febbraio, Prodi è il primo ad averlo messo comunque nel conto.

12 marzo 2007

 


La Repubblica 11-3-2007 Prodi: "Legge elettorale condivisa o non si fa". Il modello tedesco fa litigare Casini e Mastella

Il premier rilancia la necessità di varare una riforma bipartisan che non danneggi la minoranza
Il leader Udc insiste per imitare Berlino, ma il Guardasigilli frena: "No a infanticidi politici"

 

 

CASTENASO (BOLOGNA) - "Condiviso o niente". Così il presidente del Consiglio Romano Prodi risponde ai cronisti sul percorso per arrivare alla nuova legge elettorale. "Il problema è semplice: basta, basta, basta riforme elettorali fatte dalla maggioranza a danno della minoranza ne abbiamo già avute abbastanza".
"Stiamo lavorando - prosegue Prodi parlando con i cronisti a margine della breve cerimonia per la posa della prima pietra di un centro educativo per ragazzi disabili a Castenaso alle porte di Bologna - abbiamo un'agenda già fitta e al più presto possibile il Parlamento comincerà ad esaminare gli aspetti concreti della possibile riforma elettorale".
Apprezzamento per le parole del premier è arrivato dal ministro della Giustizia Clemente Mastella. Il consenso, spiega il Guardasigilli, "bisogna ricercarlo a tutti i costi, provare e riprovare, come diceva Bacone". "La riforma elettorale - aggiunge il leader dell'Udeur - deve essere fatta da entrambi i poli, anche se nella scorsa legislatura fu fatta da un polo con qualche strizzatina d'occhio a qualche partito con cui oggi mi accompagno...Secondo me dovrebbe essere fatta con il consenso delle parti".
L'importante però, sottolinea ancora Mastella, è che si dica "basta a riforme alla Erode, fatte per eliminare dalla culla con un infanticidio politico tutte le minoranze". "La minoranza - aggiunge - è una rappresentanza del Paese, questo sono le piccole forze". Una minaccia in tal senso secondo il ministro della Giustizia arriva anche dalla proposta di adottare il sistema elettorale tedesco, proporzionale ma con uno sbarramento del 5%, avanzata da Pier Ferdinando Casini.
"Io non parlo tedesco - ironizza Mastella - e quindi è difficile convenire su una cosa sulla quale c'è bisogno della traduzione. Dipende da come si traduce, dalle conseguenze che avrà sul sistema italiano. Ma dire a tutti i costi o sistema tedesco oppure mani libere, non lo so..., direi a Casini che prima deve esserci una intesa politica perché i meccanismi elettorali di per sé non producono nulla di buono".
"Il sistema migliore - osserva poi il Guardasigilli - è quello spagnolo", ovvero un sistema proporzionale, con collegi ridotti, abolizione del recupero nazionale dei resti, reintroduzione della preferenza, abolizione del premio di maggioranza "regionale o nazionale che sia" e, forse, una soglia di sbarramento per evitare una eccessiva dispersione anche se, aggiunge Mastella, "l'abolizione del recupero dei resti già determina uno sbarramento".
Casini però è tornato anche oggi a difendere la sua preferenza per il sistema tedesco. "Nessuna persona ragionevole - sostiene il leader dell'Udc - può pensare che chi vuole il modello tedesco voglia emarginare Forza Italia. Forza Italia non è emarginabile con i voti che ha".
Casini spiega quindi di considerare con soddisfazione al fatto che nel centrosinistra "sono sempre più numerosi quelli che guardano con interesse al sistema tedesco", tanto che il promotore del comitato è Gerardo Bianco "uno dei fondatori della Margherita". "Ma se devo essere sincero fino in fondo - aggiunge - vedo soprattutto una grande confusione, vedo i grandi pasticci che sta facendo il ministro Chiti mettendo in giro tante, troppe ipotesi. Penso che Prodi abbia fatto una mossa azzardata. Se il governo scende in campo su questi temi quasi mai agevola una soluzione".


Il Cittadino 10-3-2007 Riforma elettorale ai piccoli dell’Unione non piace

 

Il referendum sulla legge elettorale alimenta una polemica aperta e a tutto campo. Il ministro per le Riforme Vannino Chiti torna ad attaccare il quesito e accusa Arturo Parisi, che è nel comitato promotore, di remare contro il Partito democratico, facendo infuriare i referendari e gli uomini vicini al ministro della Difesa. Il segretario dei Ds Piero Fassino stoppa Chiti sul Pd, e avverte: se non si trova un'intesa, il referendum resta l'unica via. Scatenando così la reazione dei "piccoli" dell'Unione, da sempre contrarissimi. La vittoria del sì avrebbe infatti un effetto "bipartitico", assegnando il premio di maggioranza non alla coalizione ma alla lista che ottiene più voti. Palazzo Chigi, intanto, rende noto il calendario degli incontri con la Cdl sulla riforma elettorale. Romano Prodi e Chiti vedranno i capigruppo dei partiti del centrodestra e questo primo giro si chiuderà il 21 marzo. Il presidente del Senato Franco Marini conferma, con la prudenza del caso, che l'esame della riforma partirà da Palazzo Madama. Vedrà comunque lunedì il presidente della Camera Fausto Bertinotti (che torna a manifestare "simpatia" per il modello proporzionale tedesco) per fare il punto della situazione. Le riforme della Costituzione dovrebbero essere affidate alla commissione Affari costituzionali della Camera.Fa molto rumore l'intervista al "Corsera" con cui Chiti critica l'iniziativa referendaria e attacca Parisi. Insorge Giovanni Guzzetta, presidente del comitato promotore ("Si va avanti con la raccolta delle firme, il ministro sbaglia su tutta la linea") così come reagiscono tutti i parisiani della Margherita, da Franco Monaco a Natale D'Amico a Willer Bordon, che giudicano "ottuse e paradossali" le accuse a Parisi di lavorare contro il progetto del Pd. L'ufficio stampa di Chiti deve precisare: "Il titolo dell'intervista non corrisponde al pensiero del ministro che con Parisi lavora per gli stessi obiettivi, la nascita del Pd e una nuova legge". Parla anche Fassino, che non è d'accordo con il ministro delle Riforme: referendum e soggetto riformista "hanno una relazione, ma possono anche marciare distinte". Il segretario della Quercia aggiunge poi che se non si trova un accordo sulla riforma elettorale, allora "bisognerà valutare come utilizzare al meglio il referendum". Il ministro della Giustizia Clemente Mastella si arrabbia: "Non ci faremo superare né andremo al precipizio del referendum. Prima ci sarebbero le elezioni".

 


Il Secolo XIX Riforma elettorale, Prodi non mollala regia: "Ci penso io" ridimensionato Chiti

 

Berlusconi non vuol perdere tempo e punta alle elezioni, mentre la Cdl invita il governo: "Resti fuori"

Roma. Si comincerà martedì con i vertici della Lega. Appianati per ora i dissapori con il ministro ds Vannino Chiti, Romano Prodi ha fissato ieri le tappe della riforma elettorale, che dalla prossima settimana decollerà sotto la regia del premier, sia pure affiancato da ministro della Quercia. Dopo un incontro con il leader ds Piero Fassino, Prodi ha fatto sapere che lui e Chiti incontreranno prima tutti i partiti della Cdl e poi quelli dell'Unione. Ma è solo l'inizio di un percorso, che si annuncia lungo e accidentato. Non solo perché in Parlamento c'è chi sgomita e chiede a Prodi di farsi da parte come il vice presidente del Senato Roberto Calderoli che ha messo in pista un tavolo di volenterosi trasversali, accomunati dall'obiettivo di evitare il referendum. Non c'è però solo questo ostacolo. Di nuovo, Silvio Berlusconi ha detto che la "via maestra resta il voto". E quindi non intende perdere tempo con riforme troppo complicate. Il Cavaliere, che ha insistito sul suo legame di ferro con Umberto Bossi, è convinto che "questo referendum non si farà". Il che vuol dire che la legge elettorale dovrà essere modificata. Ma così l'ex premier vuole anche fugare i sospetti su un ipotetico asse segreto tra lui e Prodi per favorire una spallata referendaria. Attorno alla riforma elettorale c'è grande agitazione, a palazzo Chigi e in Parlamento. "Credo che ci sia la volontà politica. La cosa importante ora è partire bene e partire da un'assunzione di responsabilità delle commissioni di Camera e Senato", ha osservato Fausto Bertinotti. Il quale lunedì incontrerà Franco Marini per tracciare il percorso parlamentare della riforma, che avrà anche risvolti costituzionali. Delle modifiche elettorali si occuperà probabilmente il Senato mentre in parallelo la Camera affronterà i nodi costituzionali: dal federalismo fiscale al bicameralismo. Prodi intende però mantenere la cabina di regia a palazzo Chigi per evitarsi trappole e manovre sottobanco, anche da parte della sua maggioranza. Non è un caso che il Professore abbia imposto uno stop perfino a un prodiano di ferro come Chiti, che si era sbilanciato troppo a favore del modello tedesco e aveva proposto un comitato parlamentare da hoc, offrendo la presidenza a Gianfranco Fini. Il premier ha ricevuto assicurazioni da Fassino: i Ds non tramano né per un governo istituzionale né per una riforma finalizzata solo al voto anticipato. "Questo governo è nel pieno delle sue funzioni. Lo "schema Berlusconi"? Non è il nostro schema", ha detto il leader della Quercia. In questo modo, Chiti è tornato in gioco: "Con Prodi, bisognava chiarire prima della stretta finale. La linea la stabilisce il presidente del Consiglio", ha minimizzato il ministro per le Riforme. Il ridimensionamento di Chiti non è sfuggito alle opposizioni. "Tra Prodi e Chiti ci sono divergenze", ha commentato Altero Matteoli, di An. "Chiti ci aveva promesso un testo, che non è mai arrivato", ha detto l'Udc Lorenzo Cesa. D'altronde, la maggioranza si muove in ordine sparso con l'azionista di maggioranza dell'Unione, l'Ulivo, che non scopre ancora le carte su che tipo di riforma vuole. Insomma, una partita a scacchi che ognuno gioca per non essere tagliato fuori. In fondo, anche Prodi si è mosso quando ha capito che rischiava di trovarsi con l'erba tagliata sotto i piedi. I segnali non mancano. Al tavolo messo in piedi da Calderoli si sono seduti esponenti della maggioranza in prima fila Udeur e Idv. Ma c'era anche Enzo Bianco, il presidente della commissione Affari costituzionali Enzo Bianco, ulivista doc. "Bianco si è impegnato ad avviare le consultazioni in commissione", ha detto Calderoli. "Siamo tutti d'accordo: la riforma si deve fare in Parlamento e il governo stia fuori dalla partita", è stato l'avvertimento di Mauro Fabris, dell'Udeur. Una linea condivisa da Fabrizio Cicchitto, presente al tavolo per Fi, che ha concordato su "una soluzione parlamentare", confermando la posizione di Fi: favorevole a una correzione dell'attuale legge. "I margini per la riforma ci sono. Ne avevamo parlato con Chiti. Ma adesso ci chiediamo cosa vuole fare Prodi", ha detto Cicchitto. Michele Lombardi 09/03/2007 la via maestra resta il voto e questo referendum non si farà silvio berlusconi Presidente Forza Italia 09/03/2007 "


Il Riformista 9-3-2007  Modello tedesco? No, compromesso all’italiana. di Claudia Mancina

 

Ancora una volta la navicella della riforma elettorale sembra sul punto di prendere il largo. Ce la farà? Troppe volte siamo stati delusi, per non temere che anche questa volta il viaggio venga presto interrotto. Gli ostacoli, anziché diminuire, con gli anni sono cresciuti. Nessuna forza politica sembra più dare credito a un organismo bicamerale, che pure avrebbe l’utilità di consentire almeno una fase iniziale di elaborazione al riparo dalle tensioni politiche. È vero del resto che ormai le diverse opzioni e le loro implicazioni sono chiare, e resta solo il problema principale, quello della scelta politica. Una scelta bloccata, per le note ragioni: i partiti piccoli non vogliono rinunciare alle loro posizioni, e quindi non accetteranno mai una riforma che rafforzi il bipolarismo; i partiti grandi non sono abbastanza forti da andare contro i piccoli, e non si fidano gli uni degli altri. Conclusione: una riforma elettorale virtuosa sembra impossibile. Nello stesso tempo però appare assolutamente inevitabile: l’attuale legge elettorale è ignobile, tanto che nessuno si attenta nemmeno a difenderla. Questa è oggi la tenaglia nella quale si muove il governo. Che, dopo la crisi, ha improvvisamente capito (con l’aiuto del presidente Napolitano) che cambiare questa legge è necessario e anche urgente: altrimenti, in caso di un’altra e definitiva crisi, si dovranno trovare altri governi possibili, e sarà inutile invocare il ritorno alle urne. Dovremmo pensare che finalmente ci si metta sulla buona strada. Eppure è difficile crederlo.
Come può un sistema politico debole e frammentato essere in grado di produrre una buona legge, cioè una legge che superi la frammentazione? A questa contraddizione di fondo si aggiunge una ulteriore difficoltà. Il governo è di fatto prigioniero della sua maggioranza, anche per questo aspetto. Non può lavorare per una soluzione autenticamente bipolare, perché perderebbe l’appoggio politico dei piccoli partiti di sinistra e di centro. Potrebbe reggere soltanto seguendo il cosiddetto sistema tedesco, che è gradito sia a Rifondazione sia a Casini, e quindi potrebbe consentire la tenuta e anche l’allargamento della maggioranza. Ma il sistema tedesco non è una pietanza che si possa cucinare in salsa italiana. Non solo perché è impensabile che i partiti piccoli accettino la soglia di sbarramento al 5%. Ma anche per altre ragioni, spesso dimenticate: nel sistema tedesco una parte dei deputati vengono eletti in una lista proporzionale, ma una parte nei collegi. Come risultato, il numero degli eletti è variabile: per introdurre un meccanismo del genere nel nostro paese ci vorrebbe una riforma costituzionale, il cui iter dovrebbe cominciare dopo il raggiungimento dell’accordo...insomma, una missione impossibile. Inoltre, il sistema tedesco presuppone la differenziazione tra Camera e Senato (anche questa materia costituzionale, sulla quale l’accordo è difficilissimo). Infine, si dimentica che un sistema elettorale funziona in relazione a un sistema politico: quello tedesco è caratterizzato da due grandi partiti che detengono la funzione di leadership. Ben diversa la situazione italiana.
Viene allora da pensare che parlando di sistema tedesco ci si riferisca in realtà soltanto a un sistema proporzionale con designazione del candidato premier, sfiducia costruttiva e soglia di sbarramento. Troppo poco per fregiarsi di quell’autorevole etichetta, e troppo per il residuo bipolarismo italiano.
È abbastanza evidente che un esito di questo tipo serve solo a Casini, e a chi con lui accarezza un’ipotesi centrista: un partito di centro che decide con chi schierarsi di volta in volta, oppure, se riesce a crescere abbastanza, sta al centro e da lì governa, a cavallo dei due schieramenti. In ambedue gli scenari, che cosa resterebbe del bipolarismo?
Questa soluzione, così evidentemente negativa rispetto all’obiettivo di un rafforzamento della democrazia dell’alternanza, ha però dalla sua una forza straordinaria. È infatti l’unica soluzione con cui Prodi può sperare di quadrare il cerchio: fare la riforma elettorale e restare in piedi. Resta da vedere se anche i Ds e la Margherita (una parte della quale però condivide la strategia di Casini) alla fine si acconceranno a una soluzione che di fatto azzererebbe la strategia da loro seguita finora. Ma - per fortuna - c’è un altro protagonista in questo grande gioco: il referendum. È un giocatore che potrebbe fare saltare tutti i tavoli, e riportare la riforma elettorale sulla rotta del bipolarismo.


La Repubblica 8-3-2007 Palermo IL RETROSCENA Sbarramento anche nei Comuni sgambetto della Cdl agli autonomisti

 

Oggi il voto in commissione sulla proposta di nuova legge elettorale. Il Polo forza i tempi Nel centrosinistra si sfilano i Ds e la Borsellino, i piccoli annunciano barricate La riforma penalizzerebbe soprattutto gli uomini di Raffaele Lombardo ALBERTO BONANNO Il tentativo è quello di sfondare una porta socchiusa, perché la possibilità di cambiare la legge elettorale siciliana, e soprattutto di estendere lo sbarramento del cinque per cento a Comuni e Province, alla maggior parte del centrosinistra comunque piace. E piace ai due maggiori partiti della Cdl, Forza Italia e Udc, che in questi giorni spingono perché l'Ars approvi il testo in tempo per la prossima tornata elettorale. Ne ha discusso l'altro ieri, e ne tornerà a discutere oggi, la commissione Affari istituzionali, dove i partiti hanno raggiunto un'intesa di massima sui primi sei temi della norma da trattare: sbarramento al 5 per cento in grandi Comuni e Province, abolizione dell'incompatibilità tra consiglieri e assessori comunali, referendum al posto della sfiducia al sindaco, terzo mandato per i sindaci dei piccoli comuni, premio di maggioranza con due terzi dei seggi, modifica dei bilanci comunali con maggioranza a due terzi dei consiglieri. Ma è soprattutto lo sbarramento al cinque per cento che interessa ai grandi partiti. Nel centrosinistra, la mancanza di piccole liste andrebbe tutta a vantaggio di Ds e Margherita. Nel centrodestra, e questo spiega le pressioni di Forza Italia e Udc, il limite sarebbe un freno per l'alleato più pericoloso, l'Mpa di Raffaele Lombardo. Che se durante la Finanziaria ha sparato un paio di siluri sul governo, in questi giorni ha costretto a capitolare il presidente Cuffaro e il leader forzista Angelino Alfano sul sindaco di Agrigento, il capoluogo della loro provincia. Con lo sbarramento, l'Mpa non potrebbe più mettere radici nei Comuni della Sicilia occidentale in cui debutterà il 13 maggio, tra cui Palermo. Del resto, non è un caso che l'estate scorsa siano stati proprio gli autonomisti a cancellare dall'agenda legislativa la riforma elettorale. Che tornando oggi alla ribalta somiglia tanto al babau con cui un tempo si intimidivano i bimbi troppo vivaci. "I problemi interni la Cdl non li può risolvere con la legge elettorale", taglia corto Tonino Russo, segretario regionale dei Ds. Che insieme al capogruppo Antonello Cracolici pone una pregiudiziale sui tempi: "Sono temi di cui si può discutere nel merito, ma non certo mentre stiamo votando", dicono i rappresentanti della Quercia. Posizione identica a quella di Rita Borsellino, leader dell'Unione all'Ars: "Non sono argomenti da affrontare a così breve distanza dalle elezioni e a maggioranza", spiega. La Borsellino aspetterà la seduta di oggi per riunire i partiti dell'Unione e trovare una posizione unitaria. Perché a sinistra c'è chi si agita: "Quello in discussione è un disegno di legge modellato sugli interessi di bottega della Cdl e deve essere avversato", avverte Maurizio Ballistreri, deputato dello Sdi. A Ds e Margherita Ballistreri chiede di "non seguire un solco già segnato in occasione della riforma elettorale regionale", che ha portato i due partiti "ad appiattirsi su interessi consociativi che hanno portato all'approvazione trasversale di una legge antidemocratica, che non garantisce le rappresentatività e le minoranze".


Il Messaggero 7-3-2007 La decisione del premier Prodi di scendere in campo in prima persona sulla riforma elettorale Di Barbara Jerkov

ROMA - La decisione del premier Prodi di scendere in campo in prima persona sulla riforma elettorale, avviando la prossima settimana un tavolo di incontri con tutti i partiti di maggioranza e opposizione, ha agitato ieri il dibattito politico. Con il centrodestra che si affretta ad approfittare della situazione, sottolineando provocatoriamente una sorta di "commissariamento" del ministro Chiti, che nei mesi scorsi queste stesse consultazioni aveva appunto svolto e anzi era già pronto a formulare una proposta di mozione da trasmettere ai gruppi parlamentari. Con i Ds che difendono il loro ministro. Ma anche con Rifondazione Comunista, che chiede formalmente il ritiro dei ministri (Parisi e Melandri) presenti nel comitato promotore per il referendum, del quale peraltro fa parte lo stesso portavoce del premier Sircana. "La presenza di membri del governo nel comitato referendario è un errore", avverte Giordano, "perché l'azione del governo sia autorevole, bisogna sciogliere questo elemento di ambiguità". La cronaca della giornata si apre con Prodi che riceve a Palazzo Chigi i presidenti delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato. Uscendo, Violante chiarisce che le riforme verranno fatte nelle competenti commissioni parlamentari, senza istituirne di nuove insomma, e Bianco annuncia che in ogni caso l'iter della riforma partirà dal Senato. Contemporaneamente proprio Palazzo Madama vanno in scena alcune riunioni dell'opposizione. Prima un faccia a faccia Calderoli-Cesa, che conferma l'interesse comune di Lega e Udc a scongiurare il referendum e per il sistema tedesco. All'ora di pranzo alcuni emissari del centrodestra si riuniscono insieme sempre in Senato, condividendo la strategia nei confronti del governo. Riassume Buttiglione: "Perché dovremmo scoprire noi per primi le carte? Chiti dopo averci sentiti tutti doveva farci avere in questi giorni una proposta di lavoro, la stiamo ancora aspettando". E il forzista Cicchitto: "Quella iniziativa è da considerarsi esaurita, oppure, prima di andare a un confronto in sede parlamentare, questo testo verrà reso pubblico?". A stretto giro arriva la risposta del governo. Ma non è di Chiti, che si aggira scuro in volto a Montecitorio, bensì ancora una volta di Sircana: "Il governo non fa la legge elettorale, offre un pungolo, uno stimolo alle Camere", afferma. Questo contributo sarà un testo del governo? E Sircana: "No". Se non proprio un passo indietro del premier, qualcosa di molto simile a un auto-ridimensionamento, dopo la discesa in campo di ventiquattr'ore prima. A metà pomeriggio, l'ennesimo colpo di scena. Spunta una lettera di Chiti a tutti i capigruppo, scritta venerdì scorso ma ricevuta solo ieri sera. Il ministro chiede chiarimenti perché, dopo aver ottenuto un certo tipo di risposte nel suo giro di consultazioni, nel corso della crisi di governo appena conclusa è emersa da parte di alcuni partiti una propensione per il sistema elettorale tedesco di cui nessuno, sostiene, gli aveva parlato. Replica, provocatorio, Maroni: "Come faccio a rispondere alla lettera di Chiti e fornirgli quelle indicazioni che mi chiede se non so ancora se è lui il mio interlocutore o è Prodi?". Ma a sera interviene il responsabile istituzioni dei Ds, Filippeschi, in difesa del ministro: "Il lavoro di Chiti resta essenziale perché il governo concorra a una sintesi alta, a quella scelta per il futuro che Prodi ha chiesto a tutte le forze politiche".


La Stampa 7-3-2007 Il Professore vuole evitare che qualcuno cerchi un'intesa per un nuovo esecutivo

 

Per intuire che cosa si agita intorno alla riforma elettorale, bisognava recarsi ieri pomeriggio alla Camera e ascoltare con attenzione l'intervento di Pier Ferdinando Casini sull'Afghanistan. Il rifinanziamento della nostra missione non c'entra nulla in apparenza, ma la politica è un sistema di vasi comunicanti. Per cui, se il leader dell'Udc alza la voce nei confronti dell'Unione, e avverte che quello su Kabul sarà l'ultimo sostegno "gratis", e che nessuno s'illuda di contare sui centristi per dar vita alle cosiddette "geometrie variabili", insomma chi vuole la guerra dall'Udc sarà accontentato, quel duro discorso nel linguaggio quotidiano può essere tradotto in un modo solo: dietro le quinte dev'essere accaduto qualcosa che ha "gelato" la disponibilità al dialogo di Casini. Quel qualcosa andato storto, spiegano i bene informati, si chiama riforma elettorale. Fino a pochi giorni fa, più che in una materia da giuristi e costituzionalisti, sembrava di entrare in un laboratorio chimico. Dove ogni formula (doppio turno alla francese, proposta D'Alimonte, eccetera) era valutata in funzione dei contraccolpi sull'equilibrio politico. Con l'attenzione sempre più concentrata sul modello tedesco che, se venisse adottato da noi, avrebbe l'effetto di una rivoluzione: anziché una sinistra e una destra contrapposte, finiremmo per ritrovarci un grosso agglomerato al centro, o meglio sul centrosinistra, come negli anni ruggenti della Prima Repubblica. Dire sistema tedesco e sottintendere nuova alleanza di governo senza la sinistra radicale ma con Casini dentro, stava diventando dunque un tutt'uno. Addirittura il ministro incaricato di reggere le fila, il diesse Vannino Chiti, aveva spedito venerdì una lettera ad alcuni gruppi della maggioranza per farsi spiegare questo loro nuovo entusiasmo per il modello tedesco. Segno che l'"esperimento" stava andando parecchio avanti (e l'Udc ne era assai soddisfatta). Ma a quel punto romano Prodi s'è adombrato. Sospettoso com'è, il Professore ha cominciato a temere (non del tutto a torto) che una parte della maggioranza stesse scavando la terra sotto i suoi piedi. Che si parlasse di riforma elettorale alla tedesca per evitare il referendum, e in realtà si stesse preparando il dopo-Prodi. Senza preavviso, dunque, il premier ha sfilato il "piccolo chimico" dalle mani di Chiti, rendendo noto: d'ora in avanti me ne occuperò io personalmente. Prodi farà tesoro del lavoro svolto dal ministro e dal suo braccio destro, quella vecchia volpe di Paolo Naccarato. Per non prestare troppo il fianco, ha dato grande ruolo al presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, una figura di equilibrio come Enzo Bianco. Ma con la ferma intenzione di avere lui l'ultima parola. Un messaggio a Fassino, a Rutelli e a tutti coloro che aprirebbero volentieri le porte a Casini. L'altro indizio che fa intendere dove si andrà a parare, è la fermezza di Arturo Parisi, ministro della Difesa. Il segretario di Rifondazione, Franco Giordano, gli ha intimato di dimettersi dal comitato referendario, trincea avanzata del bipolarismo. Ma Parisi non ci pensa nemmeno. Resterà al fianco di Mario Segni insieme con altri due ministri del governo Prodi, Giovanna Melandri e Giulio Santagata. Né Prodi chiederà loro il sacrificio. Segno che anche lui scommette sul referendum? Non è il caso di correre con la fantasia. Di sicuro, il sistema elettorale che Prodi ha in mente è più bipolare che proporzionale, più maggioritario che consociativo. E su questa via i suoi naturali partner saranno proprio i peggior nemici: Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi. Non è vero che il Professore e il Cavaliere si siano già parlati al telefono, come sosteneva ieri il tam-tam. Ma per intendersi, spesso, non servono le parole.

 


Italia Oggi 7-3-2007   Via alle consultazioni. E Chiti cerca di capire: ma quanto siete tedeschi?

 

  Niente bicamerali per mettere a punto la nuova legge elettorale. Pare questo il primo punto fermo emerso dalla prima giornata di consultazioni, avviata ieri dal presidente del consiglio, Romano Prodi, per arrivare, in tempi il più possibile rapidi, alla messa a punto di un testo condiviso di riforma della legge elettorale. Prodi, insomma, cerca di dare attuazione all'impegno assunto in parlamento, all'esito della fiducia ottenuta dopo il rinnovo dell'incarico da parte del presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, che ha imposto proprio questa legge come prioritaria per tenere ancora in piedi questa maggioranza. Il premier ha ricevuto di prima mattina i presidenti delle commissioni affari costituzionali di camera e senato, Luciano Violante ed Enzo Bianco, per fare un approfondimento informale sulla materia. All'incontro era presente anche il ministro per i rapporti con il parlamento Vannino Chiti, incaricato dal premier di sondare i poli e di presentare un testo condiviso con le linee guida sul sistema di voto. Da lunedì della prossima settimana il presidente del consiglio avvierà poi le proprie consultazioni con esponenti della maggioranza e dell'opposizione. 'Si è trattato di un incontro informale. è servito per svolgere un'analisi delle indagini parlamentari sul Titolo V della Costituzione e sulle ipotesi di riforma costituzionale e istituzionale che sono al centro del dibattito', ha detto il portavoce del governo, Silvio Sircana. Una delle cose che sarebbe emersa è che, per evitare una débcle come quella già avvenuta con i Pacs, il governo, in questo caso, non presenterà un testo proprio, ma lascerà che sia il parlamento a elaborarne uno proprio. Ruolo del governo sarà invece quello di accelerare il confronto tra i poli e di arrivare a scremare le posizioni in campo. è stato lo stesso Chiti a promuovere questo metodo, inviando una lettera ad alcuni gruppi parlamentari favorevoli al modello tedesco per conoscere le loro valutazioni in proposito, sottolineando come l'orientamento emerso dalla maggior parte dei colloqui sarebbe quello di un bipolarismo, con l'esigenza di far scegliere agli elettori i loro rappresentanti. 'Caro collega, negli scorsi mesi ho svolto uno o più incontri con i gruppi politici presenti in parlamento', ha scritto il ministro diessino. 'Nelle riunioni svolte, il modello tedesco, così come il sistema maggioritario con collegi uninominali a turno unico o a doppio turno, è stato scarsamente sostenuto. Nel corso del dibattito seguito alle dimissioni del governo è sembrato invece che talune forze politiche assumessero una nuova e diversa valutazione ma una disponibilità nei confronti del modello tedesco'. Insomma, per capire esattamente da che parte state, ha fatto capire Chiti, fateci sapere cosa ne pensate di questa mini proposta di partenza: 'ti chiedo se da parte tua siano maturati nuovi convincimenti sul modello tedesco preso nella sua completezza e cioè sbarramento al 5%; liste elettorali del 50% presentate in collegi uninominali e per il 50% con liste di partito; flessibilità del numero dei parlamentari risultati eletti'. Il primo a rispondere all'input di Chiti è stato il presidente di An, Gianfranco Fini. 'Siamo pronti a discuterne, ovviamente a precise condizioni: l'elettore deve poter scegliere con il suo voto il partito ma anche la coalizione di cui quel partito fa parte. Perché se qualcuno pensa di tornare all'epoca in cui i partiti si presentavano senza dichiarare le alleanze, non pensa certo di completare la transizione in atto ma in qualche modo di tornare ad almeno 15 anni fa'.

 


La Repubblica 6-3-2007 Legge elettorale, dal governo nessun testo "Palazzo Chigi sarà solo di stimolo"

Prodi ha avviato il giro di incontri per valutare la possibilità di una larga intesa
Violante ottimista sui tempi: "E' una pratica che si può chiudere in un anno"

 

ROMA - Il governo non presenterà un suo testo in materia di riforma della legge elettorale. Lo ha annunciato il portavoce di Palazzo Chigi Silvio Sircana. "Il governo - ha spiegato - non fa la legge elettorale ma offre un pungolo e uno stimolo alle Camere perché dalle consultazioni fatte dal premier Romano Prodi, è emerso che un problema grave è la governabilità e per questo il governo ha offerto il suo impegno per accelerare questo processo".

Il presidente del Consiglio questa mattina, con un incontro definito "informale", ha avviato infatti l'annunciata serie di colloqui sulle riforme costituzionali e sulla legge elettorale. Prodi ha parlato con i presidenti delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, Luciano Violante ed Enzo Bianco, insieme al ministro Vannino Chiti, e dalla prossima settimana incontrerà gli esponenti di tutte le forze politiche sia di maggioranza che di opposizione. E' stata invece smentita da Palazzo Chigi una presunta telefonata del premier a Silvio Berlusconi su questi temi.

Bianco ha chiarito che nell'incontro con Prodi non si è entrati nel merito dei modelli elettorali, ma ci si è soffermati sulla necessità di avere una "ampia convergenza" tra le forze politiche. Quanto ai tempi, Violante si è detto fiducioso sulla possibilità di chiudere la pratica rapidamente: "Credo che entro un anno, come ho già detto questo lavoro si può fare". La variabile dei tempi influisce sul referendum, come ha sottolineato Bianco, ma questo è rinviabile solo in caso di accordo serio e fondato.

Dalla Cdl sono arrivate le prime caute aperture, condizionate alla serietà del confronto. "E' necessario portare la questione in Parlamento e verificare, alla luce del sole, le intenzioni di tutti. La partita è decisiva, va giocata alla luce del sole", afferma il senatore dell'Udc, Francesco Pionati. E per la Lega si apre una "prospettiva molto interessante". "Il problema però - avverte Roberto Maroni - è capire se è una proposta seria oppure serve solo a prendere tempo per arrivare dritti al referendum. Non si capisce se è un bluff, ma noi comunque vogliamo andare a vedere".


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Il Sole 24 Ore 6-3-2007 Legge elettorale banco di prova delle maggioranze variabili di Sara Bianchi

 

 Le maggioranze variabili, oltre che ad Amato piacciono a Bertinotti e a buona parte dell'Ulivo. Ma, avverte il Presidente della Camera, deve essere tutto il centrosinistra a condividerle. E parlare di maggioranze variabili oggi significa pensare alla legge elettorale. Nel dibattito in corso sulla revisione dell'attuale sistema di voto il Ministro dell'Interno ha rilanciato il collegio uninominale o in alternativa "collegi plurinominali, purchè piccoli, con due o tre nomi". Uninominale significa metodo maggioritario nel quale il seggio viene assegnato al candidato che ha avuto il numero maggiore di voti; tutti gli altri perdono. È un sistema chiaramente bipolare nel quale i gruppi politici piccoli rischiano di rimanere senza rappresentanza. Nel proporzionale funziona invece il colleggio plurinominale con seggi assegnati a diversi candidati in proporzione ai voti che hanno ottenuto. E, mentre con lo scrutinio proporzionale di lista e con il sistema delle preferenze i deputati possono essere eletti anche con soli duecento voti di preferenza, per l'investitura in un collegio uninominale occorrono decine di migliaia di voti. Martedì mattina il Presidente del Consiglio avvia gli incontri per discutere di legge elettorale: vedrà prima i presidenti delle Commissioni Affari costituzionali di Senato e Camera, Enzo Bianco e Luciano Violante. Nei giorni successivi, a partire da lunedì 12 marzo, incontrerà esponenti della maggioranza e dell'opposizione per valutare le consultazioni avute dal ministro per le Riforme istituzionali e i rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti. Sul tema deve essere definita l'agenda politica da parte dei gruppi parlamentari. Inizialmente si era parlato di un vertice dell'Ulivo, ma poi la volontà di incardinare da subito il tema sul livello istituzionale ha prevalso. Il Segretario Ds auspica che vengano definite al tempo stesso "alcune riforme costituzionali dalla cui realizzazione dipende anche il tipo di legge elettorale che si fa". Piero Fassino pensa "al completamento del federalismo, alla trasformazione del bicameralismo in un sistema parlamentare diverso in cui si istituisca la Camera di rappresentanza delle regioni, la riduzione dei parlamentari e il rafforzamento dei poteri del presidente del consiglio". Fra il centrosinistra c'è un certo malumore nell'Udeur, contrario alla proposta dei referendari. I quesiti presentati puntano a eliminare il premio di maggioranza per la coalizione - sia alla Camera che al Senato - per destinarlo esclusivamente alla lista vincente (il che sarebbe un problema per le forze minoritarie) e a sopprimere la possibilità per i candidati di presentarsi in diverse circoscrizioni, in modo da eliminare le candidature multiple. Clemente Mastella dice chiaramente: "Se cadeva Prodi il governo istituzionale per una legge del cavolo contro i piccoli partiti era dietro l'angolo". E aggiunge: "L'ha capito bene anche Bossi, che oggi paradossalmente sento come il più vicino". Ecco perchè, sottolinea "la Lega aveva chiesto: o va avanti Prodi o le elezioni subito". Il Presidente del Consiglio ha già detto che un accordo può fermare il referendum. E per il Ministro della Giustizia a stoppare il cammino dei referendari è sufficiente l'approvazione di una nuova legge in un solo ramo del Parlamento "immagino la Camera", precisa. Quanto ai contenuti della nuova proposta, il leader Udeur è favorevole all'idea di Roberto D'Alimonte che prevede piccoli ritocchi alla legge, con, in più, l'inserimento del voto di preferenza. Per questa ipotesi (l'ipotesi D'Alimonte, ndr) si sono espresse nei giorni scorsi anche Forza Italia - con Fabrizio Cicchito e Enrico la Loggia - e la Lega di Bossi. La proposta in questione fa riferimento all'introduzione di un premio di maggioranza più consistente, dilatato fino al 60%; all'introduzione di un voto di coalizione accanto a quello dei partiti, e all'eliminazione della possibilità che i voti di liste sotto il 2% alla Camera e il 3% al Senato concorranno all'assegnazione del premio di maggioranza. Intanto, sempre dal centrosinistra, Enrico Boselli enumera i principi fondamentali ai quali fa riferimento lo Sdi: "Proporzionale con premio di maggioranza e scelta del premier e della coalizione". Il richiamo è al modello dei comuni o a quello delle regioni, il Tatarellum. Anche secondo Marco Follini la riforma "va fatta", perchè quella che c'è "è un obbrobrio". Il centrodestra non gradisce i richiami di Amato e Bertinotti a maggioranze variabili. Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi, considera: "All'inizio Prodi sembrava fosse a favore del sistema tedesco, poi invece ha cambiato idea. Si parla adesso di riforma elettorale perchè tutti si chiedono come si voterà quando cadrà questo governo". E prosegue: "Noi siamo favorevoli ad un sistema che mantenga l'attuale legge elettorale però con una attribuzione di seggi al Senato non più su scala regionale, ma bensì nazionale. Siamo quindi favorevoli ad una serie di modifiche chiare e veloci che portino via solo due o tre mesi di lavoro parlamentare". Dall'esecutivo di An Maurizio Gasparri chiarisce che la legge elettorale "non é un dogma inviolabile. Siamo aperti ad un confronto in senso migliorativo dell'attuale legge, purché si consideri sempre il bipolarismo una scelta non modificabile". Altero Matteoli condivide con Amato "la visione bipolarista della politica, ma -aggiunge- non possiamo attendere la nascita del Pd e quella della federazione di centrodestra per modificare la legge elettorale, nè possiamo legare la sua riforma a modifiche della costituzione. Anche queste sarebbero pratiche per far durare il governo, che invece non ha nè i numeri nè, soprattutto, la forza politica per governare il Paese". Dall'Udc Carlo Giovanardi prende le distanze dal suo leader, favorevole al modello tedesco: "Non condivido la proposta di Casini sulla legge elettorale tedesca" e spiega qual è la sua idea di riforma "ho sempre parlato a favore dello schema regionale: il cittadino sceglie il programma, la maggioranza e chi governa. Questo sistema salvaguarda il bipolarismo costruito su un'alleanza e l'identità dei partiti. In più, poi, ci sono anche le preferenze".


ANSA 4-3-2007 Referendum: i quesiti, il comitato, i tempi

Tre quesiti per cambiare faccia alla legge elettorale; un comitato promotore 'bipartisan' composto da 158 persone, presieduto da Giovanni Guzzetta con Mario Segni coordinatore; un cammino cominciato il 24 ottobre scorso e che si potrebbe concludere con il voto al più presto nella primavera del 2008. E' la 'carta d'identita" del nuovo referendum elettorale, la "pistola puntata sul Parlamento" da società civile e parte del mondo politico, per sollecitare la riforma della legge Calderoli, approvata dal centrodestra a fine 2005.
QUESITI 1-2, PREMIO DI MAGGIORANZA. Prevedono (uno per la Camera e l'altro per il Senato) la "abrogazione delle coalizioni". Secondo l'attuale legge elettorale a beneficiarie del premio di maggioranza possono essere alternativamente 'liste' o 'coalizioni di liste'. I quesiti propongono di abrogare la disciplina che permette il collegamento tra liste. Se vincono i sì, il premio di maggioranza verrebbe attribuito solo alla lista singola (e non più alla coalizione di liste) che abbia ottenuto il maggior numero di seggi. Ne risulterebbe, spiegano i promotori, un sistema elettorale che spingerebbe i partiti a puntare alla costruzione di un unico raggruppamento, incentivando una significativa ristrutturazione del sistema partitico. "Si aprirebbe, per l'Italia, una prospettiva tendenzialmente bipartitica".
QUESITO 3, NO A CANDIDATURE MULTIPLE. Il quesito colpisce la possibilità di essere candidato (e quindi eletto) in più circoscrizioni. "Il 'plurieletto' - affermano i promotori - è signore del destino di tutti gli altri candidati la cui elezione dipende dalla propria opzione". Il quesito punta dunque all'eliminazione della facoltà di candidature multiple sia alla Camera che al Senato.
COMITATO. E' presieduto da Giovanni Guzzetta, 40 anni, avvocato, ordinario di diritto pubblico a Tor Vergata; coordinatore è Mario Segni. Tra i 158 componenti, ci sono esponenti del centrosinistra (Boato, Bordon, Capezzone, Cuperlo, D'Amico, Filippeschi, Lucà, Manzione, Melandri, Parisi, Realacci, Rivera, Rossi, Turci) e del centrodestra (Alemanno, Brunetta, Martino, Prestigiacomo, Micciché); costituzionalisti (Barbera, Ceccanti, Sandulli, Quagliarello, Vassallo); amministratori (Bassolino, Chiamparino, Cacciari, Poli Bortone, Penati, Pericu).
DIMISSIONI. Sei esponenti del comitato (tra loro l'ex ministro Ds Franco Bassanini, l'ex presidente della Corte Costituzionale Enzo Cheli e il deputato della Margherita Roberto Giachetti) si sono dimessi a fine dello scorso anno, sostenendo che, in caso di vittoria dei sì, la legge frutto del referendum andava comunque riformata e non poteva essere direttamente applicata.
TEMPI. I quesiti sono stati depositati in Cassazione lo scorso 24 ottobre. E sono stati poi dichiarati ammissibili. Il comitato promotore ha ora stabilito per il 24 aprile l'inizio della raccolta delle firme (é questo il termine che alcuni esponenti del centrosinistra hanno chiesto di far slittare di un anno). Da quel momento, avranno tempo tre mesi per mettere insieme 500 mila adesioni per ciascuno dei tre quesiti.
La raccolta dovrà concludersi perciò entro luglio. Il 30 settembre le firme dovranno poi essere depositate in Cassazione. Il vaglio della Suprema Corte sulla validità delle firme si dovrebbe poi concludere entro dicembre, mentre per gennaio toccherà alla Corte Costituzionale decidere sulla ammissibilità del referendum. In caso positivo, il governo deve poi fissare la data della consultazione popolare tra il 15 aprile e il 15 giugno, in questo caso del 2008. Il tutto salvo una fine anticipata della legislatura che farebbe rinviare il referendum di un anno.


La Repubblica 4-3-2007 Prodi avverte: "Stop al referendum solo se c'è accordo sulla legge elettorale"

Il presidente del Consiglio precisa: "Non basta la trattativa, serve l'intesa"
Maroni: "D'accordo con la proposta di Chiti". Ma An stoppa

 

BOLOGNA - "Se c'è un accordo alto, è chiaro che ci saranno gli elementi per sospendere il referendum. Non è la trattativa che sospende il referendum elettorale ma l'accordo". Romano Prodi precisa così il suo pensiero dopo le dichiarazioni del presidente del comitato promotore del referendum elettorale, Giovanni Guzzetta ("Romano sbaglia, la nostra pistola puntata serve"). "Quando parlo di un rinvio del referendum elettorale -aggiunge Prodi- non è che voglia dire che il referendum non sia un grande strumento, perchè ogni volta che si richiama e si mobilita la società civile, l'Italia fa un passo in avanti". Parole che il presidente della Camera, Fausto Bertinotti giudica "ragionevoli". E aggiunge: ""Penso che il Parlamento sia la sede vocata per fare la legge elettorale e per farla con il massimo di consenso". Mentre il segretario diessino Piero Fassino propone di "procrastinare di un anno il referendum per verificare l'esito del lavoro di riforma".
E sulla riforma della legge elettorale le forze politiche continuano a interrogarsi. E Silvio Berlusconi torna a far sentire il suo altolà: "Inutile la riforma elettorale. Resto convinto che la legge elettorale che abbiamo approvato nella scorsa legislatura sia una buona legge, se mai da modificare migliorandola per quanto riguarda il Senato". Parole che il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini commenta seccamente: "Opinione rispettabile, già espressa dalla Lega". Non un commento, invece, sull'attacco che il Cavaliere ha riservato ai "nostalgici del centrismo".
Il Carroccio, invece, sposa la proposta lanciata dal ministro per le Riforme Vannino Chiti, di un comitato parlamentare per mettere mano alla legge elettorale, ma anche alle riforme istituzionali. "Io sono favorevole - dice Roberto Maroni - domani ne parlo con Bossi". Ma il leader del Carroccio, intervistato dal Messaggero, sembra smorzare gli entusiasmi: "Il sistema che c'è adesso a noi va benissimo, aggiustato qua e là. Il modello tedesco non si può fare, invece bisognerebbe cambiare la Costituzione".
In casa An Gianfranco Fini non usa mezzi termini per bocciare la proposta del ministro diessino. Al leader di An l'idea del comitato non piace, così come non piacciono i "ritorni al passato". "La strada maestra è il bipolarismo, dice Fini - E dico no al comitato, basta il Parlamento". Ma il centrista Cesa rilancia: "Chiti scopra le carte e ci dica cosa vuole fare il governo sulla legge elettorale. Altrimenti l'Udc, dopo l'incontro con la Lega e gli altri partiti, martedì metterà le carte in tavola".
E sempre dal fronte centrista, invece, Rocco Buttiglione sposta l'attenzione sulla reale volontà di mettere mano alla riforma elettorale: "Il problema non è lo strumento, ma se esiste la spinta politica. Qualora ci fosse, esiste il telefono per dialogare, le commissioni di Camera e Senato. La questione del comitato non la enfatizzerei, mi sembra secondaria". Quello che invece a Buttiglione non sembra secondaria è la prospettiva futura della scena politica italiana. Ed è una secca bocciatura dei due leader attuali: Prodi e Berlusconi "simboli di una fase superata.Tra i due noi sceglieremmo Berlusconi, ma preferiamo un sistema nel quale si possa scegliere tra due candidati che impersonano una fase nuova e più serena della politica italiana".
(4 marzo 2007)


Il Corriere della Sera 3-3-2007 I leader di Ds e An sbarrano la strada a comitato per riforma elettorale. Fassino e Fini bocciano la proposta Chiti

No a un comitato specifico sulla riforma della legge elettorale con la presidenza a un importante personaggio dell'opposizione

 

UDINE - La proposta del ministro delle Riforme, Vannino Chiti, di creare un comitato specifico sulla riforma della legge elettorale dandone la presidenza a un importante personaggio dell'opposizione di centrodestra trova la decisa opposione del segretario dei Ds, Piero Fassino, e del presidente di An, Gianfranco Fini. Ma anche il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, e il vice presidente del Senato, il leghista Roberto Calderoli, sono molto tiepidi sulla proposta.
FASSINO
- «La proposta che noi avanziamo intende usare gli strumenti parlamentari ordinari, affinché il confronto sulla riforma della legge elettorale avvenga nelle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato», ha sottolineato Fassino. «Non ha senso inventarsi sedi istituzionali apposite che rischiano di complicare di più il percorso. Si rischia altrimenti di imboccare una strada che ci fa perdere tempo».
FINI - «Non ho ben capito questa proposta di riesumare un comitato», ha specificato da Bari il presidente di An. «Non mi interessa chi lo dovrebbe presiedere e men che meno mi interessa l'ipotesi di poterlo presiedere. Ci sono le commissioni Affari costituzionali, c'è l'aula del Parlamento», ha proseguito Fini. «Sulla legge elettorale e sulla riforma della Costituzione abbiamo fatto negli anni precedenti ampie istruttorie, abbiamo scritto migliaia e migliaia di pagine, tutti i modelli sono stati esaminati con attenzione e nelle virgole. Vogliamo cercare di partorire qualcosa di autonomo, qualcosa di originale, di italiano? Possibile che dobbiamo sempre stare a cercare di copiare i modelli degli altri Paesi?». Fini ha poi risposto a Prodi, il quale aveva detto che l'avvio di un dibattito dovrà necessariamente avere come conseguenza il rinvio del referendum di riforma della legge elettorale: «Prodi ha strane pretese, perché il referendum è un'opzione proprio se non c’è un dialogo serio».
BERTINOTTI - Anche il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, non è molto a favore della proposta Chiti. «Il percorso con cui arrivare a definire una legge elettorale largamente condivisa debba essere un percorso parlamentare e possa essere realizzato dentro gli strumenti parlamentari ordinari, cioè le commissioni di Camera e Senato», ha affermato il capo di Montecitorio.
CALDEROLI - Molti tiepido anche Roberto Calderoli, coordinatore delle segreterie della Lega Nord e vice presidente del Senato. «È già tanto complesso fare una legge elettorale che il pensare di creare nuovi strumenti quali comitati ad hoc, commissioni bicamerali o qualunque altra cosa, rappresenta solo ulteriori passaggi che complicano la vita e allungano i tempi».

BRESSA - Più possibilista invece il vice presidente del gruppo dell'Ulivo della Camera, Gianclaudio Bressa: «Tutto quello che può aiutare a costruire posizioni comuni va accolto con favore. Se poi il comitato è espressione della commissione Affari costituzionali con la partecipazione straordinaria di parlamentari che vengono designati per questo scopo, la cosa è più semplice».

03 marzo 2007


Italia Oggi 2-3-2007 Il SÜdtiroler Volkspartei alza il tiro. di Franco Adriano    

 

  Il partito della minoranza tedesco-ladina è determinante per il governo al senato. E lo fa pesare. Nella nuova legge elettorale un collegio sicuro per l'Europa Sono abituati da decenni a farsi valere. Ma in questa legislatura molto di più, visto che sono determinanti per il governo Prodi. I rappresentanti del SÜdtiroler Volkspartei non perdono occasione per portare a casa qualche emendamento in favore delle province autonome di Trento e Bolzano, meglio se specificatamente per la minoranza linguistica tedesco-ladina. Finora il colpo di mano più clamoroso è stato un emendamento al decreto Milleproroghe, convertito in legge definitivamente la scorsa settimana, attraverso il quale le province autonome di Trento e Bolzano sottrarranno ad Enel e Edison tre centrali idroelettriche. Una proposta di modifica firmata da Oskar Peterlini che in un primo momento era stato bocciato dal governo, poiché ingiustificabile, era stato poi accolto per non scontentare l'Svp e quindi non deteriorare l'esigua maggioranza di centro-sinistra al senato. Ma perfino questa norma ad hoc è niente, in confronto a quanto i rappresentanti del SÜdtiroler Volkspartei stanno chiedendo in tema di riforma della legge elettorale: l'argomento che è uscito più prepotentemente dalla superata crisi di governo. Se n'è discusso, ieri, presso la commissione Affari costituzionali della camera, alla presenza del presidente Luciano Violante. Se il dibattito sulla riforma elettorale entra nel vivo, ha spiegato il deputato Karl Zeller, ritorna in auge anche la proposta di legge di modifica alle norme per l'elezione dei membri del parlamento europeo che chiede di tutelare le minoranze etniche e linguistiche. Si tratta in sostanza di assegnare un numero di seggi 'certi' alla 'popolazione tedesco-ladina' e della popolazione francofona, partendo dalla considerazione che per eleggere un parlamentare a Strasburgo il quoziente è di circa 400mila voti, mentre la popolazione tedesco-ladina di Bolzano conta circa 300 mila persone e la popolazione francofona della Valle d'Aosta conta appena 90 mila elettori. 'Di qui la necessità di istituire un proprio collegio elettorale a tutela delle specificità linguistiche delle zone interessate'. C'è perfino un precedente cui i rappresentanti della SÜdtiroler Volkspartei naturalmente non hanno mancato di appellarsi. In Belgio, nel 1996, è stata creata una circoscrizione a sé stante per il territorio ove risiede la minoranza germanofona proprio al fine di favorire l'elezione di un rappresentante al parlamento europeo. Violante per ora ha preso tempo. L'ufficio di presidenza della sua commissione lo ha incaricato di prendere contatti con il suo omologo al senato per stabilire le modalità di discussione delle riforme nei due rami del parlamento. 'Palazzo Madama dovrebbe ospitare il dibattito sulla riforma del parlamento e delle istituzioni', ha spiegato ad ItaliaOggi Marco Boato, 'Montecitorio, invece, dovrebbe occuparsi della riforma della legge elettorale vera e propria (ci sono dieci proposte depositate, la prima è la mia', ha concluso Boato, 'altre ne verranno'). Inutile sottolineare che la maggioranza teme più di ogni altra cosa che le forze marginali possano alzare la posta. Ma sarà inevitabile. Non passa giorno, infatti, che al senato (ma il trucco adesso viene utilizzato anche alla camera) ogni piccola corrente politica, addirittura ogni singolo senatore, si faccia avanti con forte probabilità di spuntarla. è avvenuto, per esempio, in Finanziaria che per conquistare il voto dell'argentino Luigi Pallaro il governo ha dovuto stanziare 14 milioni di euro per iniziative per gli italiani all'estero. Figurarsi se il mercanteggiamento non si aprirà anche per la legge elettorale. Intanto, Peterlini, per ridare la fiducia a Prodi ha chiesto la linea ferroviaria del Brennero e un sostegno tangibile per le autonomie linguistiche. Prodi non ha detto no.


Da Il Denaro 28-2-2007 Sistema elettorale e bicameralismo: ecco il rebus italico di Massimo Bordignon*

 

Le dimissioni del governo Prodi, a pochi mesi dalle elezioni e comunque vada a finire la crisi politica, ripropongono con drammaticità il problema della governabilità del paese. Una questione che speravamo di esserci lasciati alle spalle definitivamente con gli anni '90. Sfortunatamente, se le cause sono chiare, non altrettanto lo sono le soluzioni, almeno quelle realistiche e fattibili in tempi brevi. Il governo Prodi è caduto al Senato per l'astensione di alcuni senatori a vita e dissidenti. Qualunque cosa si pensi delle responsabilità di questi ultimi e dei partiti di riferimento, bisogna ammettere che la crisi era nelle cose e che se non fosse successa oggi, sarebbe con tutta probabilità accaduta domani. Molto semplicemente, il governo Prodi non ha una maggioranza al Senato, mentre ce l'ha alla Camera. E se la nuova legge elettorale voluta dal governo Berlusconi è responsabile di molte nefandezze, non lo è per la possibile formazione di maggioranze diverse nelle due camere. È un rischio costante del nostro sistema politico: la legge elettorale l'ha accresciuto, e con i premi di maggioranza al Senato attribuiti su base regionale, ha reso una vera e propria lotteria il risultato per questa camera, e con i premi di maggioranza al Senato attribuiti su base regionale, ha reso una vera e propria lotteria il risultato per questa camera, ma già altre volte è avvenuto che si siano formate maggioranze diverse o parzialmente diverse nelle due camere, poi rabberciate con l'"acquisto" di qualche deputato o di qualche senatore. Non solo. Se anche si fosse unificato il sistema di attribuzione del "premio" tra le due camere, rendendolo su base nazionale anche al Senato, il risultato sarebbe stato ancora peggiore. Dopo le elezioni di aprile 2006, avremmo avuto una "solida maggioranza": di centrodestra al Senato e di centrosinistra alla Camera. Se si vota di nuovo con la stessa legge, nulla vieta che il risultato si ripeta, magari stavolta a camere invertite per i due poli. Con tutta chiarezza, il problema qui è il bicameralismo perfetto, che non è compatibile con un sistema bipolare e competitivo dove i due schieramenti sono molto vicini in termini di voti. O rendiamo esattamente identiche le due camere, ma allora non si capisce perché ne dobbiamo avere due, oppure superiamo il bicameralismo perfetto, separando funzionalmente le due camere. Per esempio, trasformando il Senato in una camera regionale con compiti limitati. A parole, entrambi gli schieramenti sembrano favorevoli a questa soluzione; nei fatti, non sembrano esserci né le condizioni politiche né i tempi per una riforma costituzionale di questa portata. La vita del secondo governo Prodi è stato caratterizzata dai continui conflitti interni tra i partiti della maggioranza, dai veti incrociati, dalla babele delle dichiarazioni contraddittorie tra ministri. Ma prendersela con i singoli esponenti o con i singoli partiti per questi comportamenti è in realtà ingeneroso. È la logica del sistema elettorale proporzionale; il potere e l'influenza dei singoli partiti dipendono dai voti che ciascuno prende alle elezioni. E per avere più consensi è necessario distinguersi dall'alleato di governo che pesca sullo stesso mare. Franco Giordano non può non sfilare a Vicenza, perché altrimenti ci va Oliviero Diliberto e gli porta via parte dell'elettorato. Così, nonostante i vagiti del partito democratico, Francesco Rutelli non può permettere che la bandiera delle privatizzazioni resti nelle mani del solo PierLuigi Bersani, altrimenti la Margherita perde consenso. Per modificare questi comportamenti bisognerebbe cambiare la legge elettorale, adottando un sistema maggioritario. I partiti litigherebbero ancora sull'attribuzione dei seggi, ma non avrebbero ragioni di distinguersi ulteriormente sulle politiche, visto che poi il voto è alla coalizione e non ai singoli partiti. Nonostante tutti i suoi difetti, dovuti in parte al mantenimento di una quota proporzionale consistente, c'è evidenza per esempio che durante la loro breve storia, i collegi uninominali del Matterellum abbiano avuto l'effetto di ridurre la frammentazione della rappresentanza politica in Parlamento, sia in termini di voti che di seggi. Con la nuova legge elettorale, la frantumazione è di nuovo salita alle stelle: alle elezioni del 2006, quattordici liste hanno ottenuto seggi alla Camera e dodici al Senato, senza contare i partiti che hanno eletto i propri candidati "piazzandoli" in liste sicure di superare le soglie di sbarramento. Il sistema politico italiano è ora, con quello belga, il più frammentato d'Europa; la somma dei due partiti principali - Forza Italia e Ds - arriva appena al 40 per cento dei voti, contro il 70 per cento della Germania e l'80 per cento della Spagna. Difficile per chiunque governare in queste condizioni. Si dovrebbe dunque adottare il sistema maggioritario con collegio uninominale, e per ragioni troppo lunghe da approfondire qui, sarebbe meglio introdurre un sistema a due turni (il doppio turno di collegio alla francese) piuttosto che a turno unico. Ma la possibilità che una riforma simile possa essere adottata è prossima allo zero. Il ritorno al maggioritario non lo vogliono, per ovvie ragioni, i piccoli partiti di entrambi gli schieramenti; non lo vogliono neanche i grandi partiti del centrodestra che hanno sempre avuto più difficoltà con il maggioritario che con il proporzionale. Più in generale, la cultura del maggioritario è estranea al Dna dei partiti italiani: bisogna ricordare che è stato parzialmente imposto al sistema politico nel 1994 solo grazie a un referendum, e che sia la precedente riforma del sistema elettorale degli enti locali, che quella successiva delle Regioni, hanno confermato il sistema proporzionale, sia pure con elementi di presidenzialismo. Proprio il sistema elettorale dei comuni rappresenterebbe in teoria un compromesso possibile tra governabilità e sopravvivenza dell'attuale struttura dei partiti. È proporzionale, ma con l'elezione diretta dell'esecutivo, che si porta dietro la propria maggioranza in consiglio; e con il vincolo ulteriore che se cade il sindaco, cade la maggioranza: un formidabile meccanismo per imporre la disciplina di coalizione. Ma non si può semplicemente trasportare il sistema elettorale dei comuni a livello nazionale. Come minimo, ciò richiederebbe una riforma costituzionale nella direzione del rafforzamento dell'esecutivo e del sistema delle tutele costituzionali, per evitare che con i meccanismi attuali chi vince prenda tutto, compresa la possibilità di cambiare la Costituzione a proprio piacere. Di nuovo, non appare affatto che ci siano i tempi o le condizioni per poter proseguire in questa direzione. Dunque, gli spazi di manovra sono molto limitati. Una possibilità è uno shock "esterno" al mondo dei partiti, un nuovo referendum, come quello proposto dal professor Guzzetti e da alcuni esponenti bipartisan del Parlamento. Il punto centrale del referendum è lo spostamento del premio di maggioranza dalla coalizione vincente al partito vincente, con l'idea che questo dovrebbe essere sufficiente a superare la frammentazione del sistema politico. Ma al di là dei tempi e dell'incertezza sugli esiti, non è chiaro se , il referendum avrebbe davvero gli effetti desiderati. Nell'attuale formulazione, nulla sembrerebbe impedire ai partiti di formare un "listone" unico prima delle elezioni, per dividersi il premio, salvo poi riprendere la propria libertà d'azione subito dopo il risultato elettorale. Comunque, meglio il referendum della "riformetta" che, dalle anticipazioni della stampa, sembra profilarsi in sede politica, allo scopo appunto di evitare il referendum. Eliminerebbe alcuni degli aspetti più discutibili dell'attuale legge elettorale (la possibilità di candidature multiple, le liste "chiuse" per gli eletti, i premi differenziati alle due camere), senza incidere davvero sui difetti fondamentali del sistema. *ordinario di Scienza delle Finanze - Università Cattolica di Milano (testo tratto da www.lavoce.info) 28-02-2007.

 

 

 


La Repubblica del 27/02/2007   Riforma elettorale - Filippo Ceccarelli

 
Sartori Tatarella NUMERI E FUTURO RIFORMA ELETTORALE la storia Tutti alla ricerca del modo meno cruento per dimenticare il "Porcellum" Il carosello delle proposte, dal sistema alla francese alle clausole tedesche E nella babele delle idee c'è posto anche per la beffarda ipotesi del costituzionalista Ceccanti: una legge per regolamentare il voto destinata solo alle coppie di fatto... Soglie di sbarramento, premi di maggioranza, proporzionali mitigate e maggioritari rinforzati: serve una sintesi che non scontenti grandi e piccoli (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) FILIPPO CECCARELLI Ma poi anche le più brutali invettive del Professore sono state annichilite, pure sul piano della bestialità, dalla ultimissima riforma. E così avendo onestamente riconosciuto l'ex ministro Calderoli di aver fatto "una porcata", la vigente legge elettorale ha nome: "Porcellum". E con questa immagine, con questa memoria, con questo spirito, si accoglie l'eventualità che il governo Prodi possa risorgere dalla caduta e magari perfino allargare la sua maggioranza procedendo sulla strada desolante e scivolosissima dell'ennesima revisione. Ritorna dunque, se mai se ne fosse andata, la cabala della Seconda Repubblica. Di origine dottrinaria ebraica, legata a un certo tipo di lettura e interpretazione delle Sacre scritture, più in generale la cabala indica l'arte di indovinare il futuro attraverso i numeri; e tuttavia, secondo il dizionario Devoto-Oli (Le Monnier) va intesa pure, e significativamente, come "raggiro", "imbroglio", "montatura", "manovra subdola", "vistosa fandonia". E a parziale conferma non sembri del tutto inutile ricordare che "'mbruoglio aiutaci!" risuonava la rituale invocazione con cui il compianto Pinuccio Tatarella, autoproclamatosi "ministro dell'armonia", si attrezzava a superare le difficoltà della politica, a partire dalle leggi elettorali. E sì che in qualche modo bisognerebbe levarsi di torno il "Porcellum". Ma come? Oggi va molto il modello cosiddetto "alla tedesca". Però anche qui non si può fare a meno di rievocare l'allucinante carosello che per un paio di lustri ha portato nugoli di legislatori ad accapigliarsi attorno al sistema americano, a quello britannico, a quello della Spagna e della Francia ("il mal francese" lo definì a suo tempo Pannella, alludendo alla sifilide), quindi del Belgio, di Israele e addirittura dell'Australia. E se questo giro del mondo già basterebbe, ma il capolavoro di Calderoli ha avuto anche l'effetto di riaprire la discussione sulla clausola di sbarramento, che sarebbe la soglia sotto la quale i partiti non vengono rappresentati in Parlamento; e siccome ad Ankara pare che ne abbiamo imposta una piuttosto elevata, al 10 per cento, c'è il rischio di far entrare nel dibattito anche un modello già sconciamente definito "alla turca". L'esperienza misteriosofica delle norme elettorali, d'altra parte, e ancora di più i loro esiti concreti, paiono autorizzare qualsiasi dileggio in materia. E prova ne sia il beffardo articolato ad uso amichevole che in questi giorni ha prodotto un valente costituzionalista, Stefano Ceccanti, sperimentandosi in un sistema elettorale destinato però solo alle coppie di fatto. Per cui: "Le coppie di fatto registrate eleggono i propri rappresentanti con un sistema proporzionale. Accedono alla ripartizione dei seggi le liste che abbiano ottenuto il tre per cento dei voti. Le coppie di fatto non registrate - prosegue il cortocircuito del professore - eleggono i propri rappresentanti con un maggioritario a turno per il 75% dei voti. Il restante 25% è attribuito con recupero proporzionale su base nazionale. I mariti poligami esprimono il loro voto sulla base del sistema elettorale tedesco. E' ammesso il voto disgiunto tra lista e candidata "moglie privilegiata"". E ancora, al comma 5: "Il 10% delle coppie eterosessuali non registrate può richiedere il ballottaggio nel caso in cui il candidato che nel collegio abbia avuto minori suffragi non abbia comunque raggiunto il 50% + 1 del voti validi...", e così via. Oltre che sintomatica, la trovata è anche buffa. Ma nella never ending story della cabala elettoralistica all'italiana a un certo punto il senatore Salvi ha anche proposto il "voto sessuato", cioè a urne separate a seconda dei generi. Così come ad altri luminari dell'ingegneria istituzionale applicata è parso normale di suggerire una specie di Voto Totale Onnicomprensivo, da realizzare attraverso una gigantesca scheda contenente 635 nomi per ogni partito. E se il presidente emerito Cossiga, in un impeto di entusiasmo riformatore si è slanciato a delineare non uno, non due, ma ben tre turni, fra le arcane perle algebriche che a suo tempo hanno suggestionato leader e gregari merita senz'altro una specialissima segnalazione l'incredibile marchingegno che, sulla base di un premio di maggioranza da distribuirsi in modo inversamente proporzionale, arrivava a garantire il massimo dei seggi al partito che aveva perduto più voti. Ora. E' difficile capire perché da più di un decennio la politica va sistematicamente a sbattere sulle leggi elettorali. Tanto assurde, quanto dannose. Forse è il gusto tutto italiano per le astrattezze furbesche, oltremodo incoraggiate dal più vivido individualismo. O forse si tratta solo di spostare l'attenzione dal pessimo stato in cui versano i partiti. Fatto sta che l'infinita varietà delle soluzioni, via via proposte e inflitte all'incolpevole elettorato a partire dalla stagione referendaria, si è tradotta in una giostra impazzita, una specie di carnevale pseudo-matematico di inversioni, integrazioni, ibridazioni, attribuzioni, e accertamenti, sbarramenti, collegamenti, tetti, bonus, quote, scorpori, desistenze, liste-civette ed altre enigmatiche entità contabili che al culmine dell'indicibile, nel linguaggio ormai inadeguato degli specialisti, hanno propiziato la fantastica comparsa, anche, di "mammozzi" e "poliponi". Che certo - era il 1993 - avevano a che fare con la dislocazione dei simboli sulla scheda e poi con ripartizione dei seggi in Parlamento, ma che nessuno ha mai capito bene cosa fossero. Ma la questione più allarmante, al di là delle spiritosaggini, è che il dibattito pubblico sulle riforme elettorali ha l'effetto immediato di privatizzarle, sia pure per l'impossibilità di capire, o per sfinimento. Così, tagliati fuori gli italiani, si allestisce di solito un bel "tavolo" opportunamente litigioso. Vi si siedono appunto, assai compresi nel loro ruolo, gli ottimati della commisurazione mirata, i cabalisti del maggioritario corretto, gli sciamani del metodo d'Hondt. Nel frattempo una intera generazione di giornalisti politici ci ha fatto i capelli bianchi, e a raccogliere e rimontare gli schemini pubblicati dai giornali verrebbe fuori l'Enciclopedia Treccani, ma molto più inutile e noiosa.

Sartori Tatarella NUMERI E FUTURO RIFORMA ELETTORALE la storia

Tutti alla ricerca del modo meno cruento per dimenticare il "Porcellum" Il carosello delle proposte, dal sistema alla francese alle clausole tedesche E nella babele delle idee c'è posto anche per la beffarda ipotesi del costituzionalista Ceccanti: una legge per regolamentare il voto destinata solo alle coppie di fatto... Soglie di sbarramento, premi di maggioranza, proporzionali mitigate e maggioritari rinforzati: serve una sintesi che non scontenti grandi e piccoli (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) FILIPPO CECCARELLI Ma poi anche le più brutali invettive del Professore sono state annichilite, pure sul piano della bestialità, dalla ultimissima riforma. E così avendo onestamente riconosciuto l'ex ministro Calderoli di aver fatto "una porcata", la vigente legge elettorale ha nome: "Porcellum". E con questa immagine, con questa memoria, con questo spirito, si accoglie l'eventualità che il governo Prodi possa risorgere dalla caduta e magari perfino allargare la sua maggioranza procedendo sulla strada desolante e scivolosissima dell'ennesima revisione. Ritorna dunque, se mai se ne fosse andata, la cabala della Seconda Repubblica. Di origine dottrinaria ebraica, legata a un certo tipo di lettura e interpretazione delle Sacre scritture, più in generale la cabala indica l'arte di indovinare il futuro attraverso i numeri; e tuttavia, secondo il dizionario Devoto-Oli (Le Monnier) va intesa pure, e significativamente, come "raggiro", "imbroglio", "montatura", "manovra subdola", "vistosa fandonia". E a parziale conferma non sembri del tutto inutile ricordare che "'mbruoglio aiutaci!" risuonava la rituale invocazione con cui il compianto Pinuccio Tatarella, autoproclamatosi "ministro dell'armonia", si attrezzava a superare le difficoltà della politica, a partire dalle leggi elettorali. E sì che in qualche modo bisognerebbe levarsi di torno il "Porcellum". Ma come? Oggi va molto il modello cosiddetto "alla tedesca". Però anche qui non si può fare a meno di rievocare l'allucinante carosello che per un paio di lustri ha portato nugoli di legislatori ad accapigliarsi attorno al sistema americano, a quello britannico, a quello della Spagna e della Francia ("il mal francese" lo definì a suo tempo Pannella, alludendo alla sifilide), quindi del Belgio, di Israele e addirittura dell'Australia. E se questo giro del mondo già basterebbe, ma il capolavoro di Calderoli ha avuto anche l'effetto di riaprire la discussione sulla clausola di sbarramento, che sarebbe la soglia sotto la quale i partiti non vengono rappresentati in Parlamento; e siccome ad Ankara pare che ne abbiamo imposta una piuttosto elevata, al 10 per cento, c'è il rischio di far entrare nel dibattito anche un modello già sconciamente definito "alla turca". L'esperienza misteriosofica delle norme elettorali, d'altra parte, e ancora di più i loro esiti concreti, paiono autorizzare qualsiasi dileggio in materia. E prova ne sia il beffardo articolato ad uso amichevole che in questi giorni ha prodotto un valente costituzionalista, Stefano Ceccanti, sperimentandosi in un sistema elettorale destinato però solo alle coppie di fatto. Per cui: "Le coppie di fatto registrate eleggono i propri rappresentanti con un sistema proporzionale. Accedono alla ripartizione dei seggi le liste che abbiano ottenuto il tre per cento dei voti. Le coppie di fatto non registrate - prosegue il cortocircuito del professore - eleggono i propri rappresentanti con un maggioritario a turno per il 75% dei voti. Il restante 25% è attribuito con recupero proporzionale su base nazionale. I mariti poligami esprimono il loro voto sulla base del sistema elettorale tedesco. E' ammesso il voto disgiunto tra lista e candidata "moglie privilegiata"". E ancora, al comma 5: "Il 10% delle coppie eterosessuali non registrate può richiedere il ballottaggio nel caso in cui il candidato che nel collegio abbia avuto minori suffragi non abbia comunque raggiunto il 50% + 1 del voti validi...", e così via. Oltre che sintomatica, la trovata è anche buffa. Ma nella never ending story della cabala elettoralistica all'italiana a un certo punto il senatore Salvi ha anche proposto il "voto sessuato", cioè a urne separate a seconda dei generi. Così come ad altri luminari dell'ingegneria istituzionale applicata è parso normale di suggerire una specie di Voto Totale Onnicomprensivo, da realizzare attraverso una gigantesca scheda contenente 635 nomi per ogni partito. E se il presidente emerito Cossiga, in un impeto di entusiasmo riformatore si è slanciato a delineare non uno, non due, ma ben tre turni, fra le arcane perle algebriche che a suo tempo hanno suggestionato leader e gregari merita senz'altro una specialissima segnalazione l'incredibile marchingegno che, sulla base di un premio di maggioranza da distribuirsi in modo inversamente proporzionale, arrivava a garantire il massimo dei seggi al partito che aveva perduto più voti. Ora. E' difficile capire perché da più di un decennio la politica va sistematicamente a sbattere sulle leggi elettorali. Tanto assurde, quanto dannose. Forse è il gusto tutto italiano per le astrattezze furbesche, oltremodo incoraggiate dal più vivido individualismo. O forse si tratta solo di spostare l'attenzione dal pessimo stato in cui versano i partiti. Fatto sta che l'infinita varietà delle soluzioni, via via proposte e inflitte all'incolpevole elettorato a partire dalla stagione referendaria, si è tradotta in una giostra impazzita, una specie di carnevale pseudo-matematico di inversioni, integrazioni, ibridazioni, attribuzioni, e accertamenti, sbarramenti, collegamenti, tetti, bonus, quote, scorpori, desistenze, liste-civette ed altre enigmatiche entità contabili che al culmine dell'indicibile, nel linguaggio ormai inadeguato degli specialisti, hanno propiziato la fantastica comparsa, anche, di "mammozzi" e "poliponi". Che certo - era il 1993 - avevano a che fare con la dislocazione dei simboli sulla scheda e poi con ripartizione dei seggi in Parlamento, ma che nessuno ha mai capito bene cosa fossero. Ma la questione più allarmante, al di là delle spiritosaggini, è che il dibattito pubblico sulle riforme elettorali ha l'effetto immediato di privatizzarle, sia pure per l'impossibilità di capire, o per sfinimento. Così, tagliati fuori gli italiani, si allestisce di solito un bel "tavolo" opportunamente litigioso. Vi si siedono appunto, assai compresi nel loro ruolo, gli ottimati della commisurazione mirata, i cabalisti del maggioritario corretto, gli sciamani del metodo d'Hondt. Nel frattempo una intera generazione di giornalisti politici ci ha fatto i capelli bianchi, e a raccogliere e rimontare gli schemini pubblicati dai giornali verrebbe fuori l'Enciclopedia Treccani, ma molto più inutile e noiosa.


Da Il Sole 24 Ore (27-2-2007).  Legge elettorale, è già lite.

 

Il Sole-24 Ore sezione: IN PRIMO PIANO data: 2007-02-27 - pag: 4 autore: Legge elettorale, è già lite I Dl:le aperture di D'Alema al Polo sono messaggi strumentali Lina Palmerini ROMA L'altolà duro di Arturo Parisi che boccia il sistema tedesco. Francesco Rutelli che chiede un incontro urgente per definire una posizione unitaria dell'Ulivo sulla legge elettorale da proporre al ministro Chiti. I piccoli partiti dell'Unione sulle barricate. Questi sono alcuni degli effetti creati dalle aperture di Massimo D'Alema al modello proporzionale alla tedesca per aprire un dialogo con l'Udc e allargare i consensi al Governo. Aperture che però mandano in tilt la maggioranza. E anche i Ds che ieri continuavano a lanciare il doppio turno alla francese. Del resto,anche nella mozione congressuale di Piero Fassino, si parla esplicitamente di modello "bipolare" e non proporzionale soprattutto in funzione della nascita del partito democratico. Nella Margherita invece prevale l'orientamento per il modello spagnolo, che comunque mantiene il bipolarismo.Afavore del sistema tedesco si è pronunciata solo Rifondazione mentre il Pdci, Verdi, Italia dei Valori e Udeur si preparano allo scontro. In questo clima confuso Vannino Chiti dovrà presentare la prossima settimana la bozza preparata in questi mesi che, però, non registra il sistema tedesco ma piuttosto il modello regionale e le correzioniD'Alimonte alla legge attuale. Se l'obiettivo degli spiragli di D'Alema al sistema tedesco servivano per costruire un ponte con l'Udc per allargare consensi al Governo, ieri è arrivato lo stop dal ministro Parisi che ha bollato quei tentativi come "messaggi strumentali di carattere politico piuttosto che come soluzioni istituzionali ".Certo,il ministro della Difesa è tra i sostenitori del referendum, quindi, la sua posizione non è una novità.Soprattutto perché il modello tedesco non aiuterebbe il percorso verso il partito democratico. "I modelli elettorali - spiega Parisi in una nota - non possono essere separati dai sistemi partitici o istituzionali. Se la legge tedesca si deve leggere in tedesco, bisogna rendersi conto che della legge italiana si deve parlare in italiano.Per questo motivo diffido dei riferimenti ai modelli stranieri, come capita per il modello tedesco ". Il riferimento, per Parisi, resta il modello regionale o comunale. Ieri anche dalla Margherita è arrivato uno stop per evitare ulteriori divaricazioni dentro Ds e Dl che, appunto, si preparano al Partito democratico.Così, al termine di una riunione, è arrivata la richiesta formale. "La Margherita - si legge in una nota - ha chiesto al ministro Chiti di avere uno sguardo insieme sul lavoro di esplorazione tra gli schieramenti e i partiti: è fondamentale che su questo tema si faccia con urgenza una proposta condivisa di tutto l'Ulivo". Ma nel partito di Rutelli cresce il consenso per il modello spagnolo che riduce le circoscrizioni e crea lì una soglia di sbarramento, mantenendo fermo il bipolarismo. Nella riunione di partito di ieri, Francesco Rutelli, ha dato anche un altolà ai teodem temendo fughe verso il centrodestra sui Dico. "Dobbiamo contrastare l'estremismo laicistico così come i rischi di un ritorno del clericalismo. Il mondo cattolico non deve percepire il centrosinistra come ostile". E dunque, è scattata la difesa di"questa maggioranza"e lo stop alle voci -nate con il passaggio di Marco Follini - di un asse centrista. "I Dl - ha detto il vicepremier - devono evitare di lasciarsi schiacciare in uno schema che li vuole subalterni in una forza di sinistra, oppure pronti a dar vita a un irrealistico centro assieme a qualche pezzo della Cdl". Ma le fibrillazioni si registrano anche nei Ds. L'uscita di D'Alema ha spiazzato anche il partito che era fermo sul"sì"al doppio turno alla francese.Un sistema "preferito" anche nella mozione congressuale di Piero Fassino in cui si parla di "bipolarismo, coesione delle coalizioni,minore frammentazione politica ". Così ieri il responsabile delle riforme istituzionali, Marco Filippeschi, insisteva su quel modello invitando anche Forza Italia a seguirli: "Bonaiuti insiste nel dire che un sistema a doppio turno non va bene perché favorirebbe la sinistra.Rispondiamo, confortati dagli esperti in materia, che non èvero". L'ALTOLà DI PARISI Per il ministro il sistema usato a Berlino non aiuta il percorso verso il Pd Spiazzato anche Fassino che punta al doppio turno.

Legge elettorale, è già lite I

Dl:le aperture di D'Alema al Polo sono messaggi strumentali Lina Palmerini

 ROMA L'altolà duro di Arturo Parisi che boccia il sistema tedesco. Francesco Rutelli che chiede un incontro urgente per definire una posizione unitaria dell'Ulivo sulla legge elettorale da proporre al ministro Chiti. I piccoli partiti dell'Unione sulle barricate. Questi sono alcuni degli effetti creati dalle aperture di Massimo D'Alema al modello proporzionale alla tedesca per aprire un dialogo con l'Udc e allargare i consensi al Governo. Aperture che però mandano in tilt la maggioranza. E anche i Ds che ieri continuavano a lanciare il doppio turno alla francese. Del resto,anche nella mozione congressuale di Piero Fassino, si parla esplicitamente di modello "bipolare" e non proporzionale soprattutto in funzione della nascita del partito democratico. Nella Margherita invece prevale l'orientamento per il modello spagnolo, che comunque mantiene il bipolarismo.Afavore del sistema tedesco si è pronunciata solo Rifondazione mentre il Pdci, Verdi, Italia dei Valori e Udeur si preparano allo scontro. In questo clima confuso Vannino Chiti dovrà presentare la prossima settimana la bozza preparata in questi mesi che, però, non registra il sistema tedesco ma piuttosto il modello regionale e le correzioniD'Alimonte alla legge attuale. Se l'obiettivo degli spiragli di D'Alema al sistema tedesco servivano per costruire un ponte con l'Udc per allargare consensi al Governo, ieri è arrivato lo stop dal ministro Parisi che ha bollato quei tentativi come "messaggi strumentali di carattere politico piuttosto che come soluzioni istituzionali ".Certo,il ministro della Difesa è tra i sostenitori del referendum, quindi, la sua posizione non è una novità.Soprattutto perché il modello tedesco non aiuterebbe il percorso verso il partito democratico. "I modelli elettorali - spiega Parisi in una nota - non possono essere separati dai sistemi partitici o istituzionali. Se la legge tedesca si deve leggere in tedesco, bisogna rendersi conto che della legge italiana si deve parlare in italiano.Per questo motivo diffido dei riferimenti ai modelli stranieri, come capita per il modello tedesco ". Il riferimento, per Parisi, resta il modello regionale o comunale. Ieri anche dalla Margherita è arrivato uno stop per evitare ulteriori divaricazioni dentro Ds e Dl che, appunto, si preparano al Partito democratico.Così, al termine di una riunione, è arrivata la richiesta formale. "La Margherita - si legge in una nota - ha chiesto al ministro Chiti di avere uno sguardo insieme sul lavoro di esplorazione tra gli schieramenti e i partiti: è fondamentale che su questo tema si faccia con urgenza una proposta condivisa di tutto l'Ulivo". Ma nel partito di Rutelli cresce il consenso per il modello spagnolo che riduce le circoscrizioni e crea lì una soglia di sbarramento, mantenendo fermo il bipolarismo. Nella riunione di partito di ieri, Francesco Rutelli, ha dato anche un altolà ai teodem temendo fughe verso il centrodestra sui Dico. "Dobbiamo contrastare l'estremismo laicistico così come i rischi di un ritorno del clericalismo. Il mondo cattolico non deve percepire il centrosinistra come ostile". E dunque, è scattata la difesa di"questa maggioranza"e lo stop alle voci -nate con il passaggio di Marco Follini - di un asse centrista. "I Dl - ha detto il vicepremier - devono evitare di lasciarsi schiacciare in uno schema che li vuole subalterni in una forza di sinistra, oppure pronti a dar vita a un irrealistico centro assieme a qualche pezzo della Cdl". Ma le fibrillazioni si registrano anche nei Ds. L'uscita di D'Alema ha spiazzato anche il partito che era fermo sul"sì"al doppio turno alla francese.Un sistema "preferito" anche nella mozione congressuale di Piero Fassino in cui si parla di "bipolarismo, coesione delle coalizioni,minore frammentazione politica ". Così ieri il responsabile delle riforme istituzionali, Marco Filippeschi, insisteva su quel modello invitando anche Forza Italia a seguirli: "Bonaiuti insiste nel dire che un sistema a doppio turno non va bene perché favorirebbe la sinistra.Rispondiamo, confortati dagli esperti in materia, che non èvero".

L'ALTOLà DI PARISI Per il ministro il sistema usato a Berlino non aiuta il percorso verso il Pd Spiazzato anche Fassino che punta al doppio turno.


La Repubblica del 27/02/2007   Le nuove regole "chiamano" le urne - Sebastiano Messina

 

Le nuove regole "Chiamano" le urne SEBASTIANO MESSINA Napolitano lo ha chiesto a voce alta, Fassino lo ha detto chiaro e tondo, altri lo ripetono sottovoce: ci vuole la riforma elettorale. Per evitare quel referendum che fa paura ai piccoli partiti, perché rafforzerebbe il maggioritario, ma anche per rendere possibile le elezioni anticipate senza essere costretti a utilizzare per la seconda volta la "legge-porcata" firmata e poi rinnegata dal leghista Calderoli. Tutti sanno che bisogna fare i conti con il fattore tempo, ma non hanno ancora capito se convenga accelerare o frenare. I neoproporzionalisti, favorevoli al sistema tedesco, hanno una gran fretta perché vogliono evitare che si metta in moto la macchina del referendum Segni-Guzzetta. Una volta raccolte le firme, infatti, solo una legge che accogliesse lo spirito (maggioritario) del quesito referendario potrebbe fermare la consultazione popolare. Quindi il Parlamento dovrebbe riuscire ad approvare la riforma elettorale entro l'autunno, per disinnescare questa bomba a orologeria. Ma gli stessi partiti che hanno fretta di raggiungere questo traguardo sanno anche che nessun Parlamento è mai sopravvissuto a lungo dopo aver varato le nuove regole per il voto. La XXVI legislatura del Regno, per esempio, si concluse il 25 gennaio 1924, esattamente 71 giorni dopo la votazione finale sulla legge Acerbo, quella che assegnava i due terzi dei voti al partito che otteneva semplicemente la maggioranza relativa. Ancora più rapidamente si concluse la prima legislatura repubblicana, quando l'ottavo governo De Gasperi varò quella che venne definita la "legge truffa" (65 per cento dei seggi alla coalizione che superava il 50 per cento dei voti): la riforma passò il 31 marzo 1953, e si votò dopo 67 giorni, il 7 giugno. E nell'ultima legislatura passarono appena 50 giorni, tra l'ultimo sì parlamentare alla legge Calderoli (21 dicembre 2005) e lo scioglimento delle Camere (11 febbraio 2006). Tutte e tre queste leggi avevano però in comune una caratteristica: non richiedevano una nuova mappa dei collegi elettorali. A differenza della legge Mattarella del 1993, che doveva applicare il meccanismo uninominale uscito vincitore dal referendum e dunque ridisegnò i confini delle circoscrizioni. Ci vollero quattro mesi: la legge fu votata a luglio, le Camere furono sciolte a gennaio. Chi vuole battere la strada del sistema tedesco terrà presente questo calendario: sapendo in partenza che una volta avviato, il conto alla rovescia porta alle elezioni in meno di sei mesi.

Le nuove regole "Chiamano" le urne SEBASTIANO MESSINA Napolitano lo ha chiesto a voce alta, Fassino lo ha detto chiaro e tondo, altri lo ripetono sottovoce: ci vuole la riforma elettorale. Per evitare quel referendum che fa paura ai piccoli partiti, perché rafforzerebbe il maggioritario, ma anche per rendere possibile le elezioni anticipate senza essere costretti a utilizzare per la seconda volta la "legge-porcata" firmata e poi rinnegata dal leghista Calderoli. Tutti sanno che bisogna fare i conti con il fattore tempo, ma non hanno ancora capito se convenga accelerare o frenare. I neoproporzionalisti, favorevoli al sistema tedesco, hanno una gran fretta perché vogliono evitare che si metta in moto la macchina del referendum Segni-Guzzetta. Una volta raccolte le firme, infatti, solo una legge che accogliesse lo spirito (maggioritario) del quesito referendario potrebbe fermare la consultazione popolare. Quindi il Parlamento dovrebbe riuscire ad approvare la riforma elettorale entro l'autunno, per disinnescare questa bomba a orologeria. Ma gli stessi partiti che hanno fretta di raggiungere questo traguardo sanno anche che nessun Parlamento è mai sopravvissuto a lungo dopo aver varato le nuove regole per il voto. La XXVI legislatura del Regno, per esempio, si concluse il 25 gennaio 1924, esattamente 71 giorni dopo la votazione finale sulla legge Acerbo, quella che assegnava i due terzi dei voti al partito che otteneva semplicemente la maggioranza relativa. Ancora più rapidamente si concluse la prima legislatura repubblicana, quando l'ottavo governo De Gasperi varò quella che venne definita la "legge truffa" (65 per cento dei seggi alla coalizione che superava il 50 per cento dei voti): la riforma passò il 31 marzo 1953, e si votò dopo 67 giorni, il 7 giugno. E nell'ultima legislatura passarono appena 50 giorni, tra l'ultimo sì parlamentare alla legge Calderoli (21 dicembre 2005) e lo scioglimento delle Camere (11 febbraio 2006). Tutte e tre queste leggi avevano però in comune una caratteristica: non richiedevano una nuova mappa dei collegi elettorali. A differenza della legge Mattarella del 1993, che doveva applicare il meccanismo uninominale uscito vincitore dal referendum e dunque ridisegnò i confini delle circoscrizioni. Ci vollero quattro mesi: la legge fu votata a luglio, le Camere furono sciolte a gennaio. Chi vuole battere la strada del sistema tedesco terrà presente questo calendario: sapendo in partenza che una volta avviato, il conto alla rovescia porta alle elezioni in meno di sei mesi.

 


Il Manifesto del 26/02/2007   Manovre centriste sulla legge elettorale

 
Chiti rilancia la sua bozza. I referendari insistono sul sistema bipartito. Casini tratta con l'Unione Manovre centriste sulla legge elettorale Matteo Bartocci Roma Giorgio Napolitano ha aggiunto il suo tredicesimo punto al "dodecalogo" di Romano Prodi: "La riforma elettorale è una delle più urgenti scadenze politiche", certifica il capo dello stato. In molti, in entrambi i poli, sono consapevoli che la nuova fase politica non reggerà a lungo e guardano con interesse già al "dopo", cioè al ritorno al voto. A parole, la legge Calderoli è il più grande ostacolo allo scioglimento delle camere. Ma nessuno ha interesse a cambiarla anzitempo. La crisi di governo ha colto il ministro Vannino Chiti a metà del guado. Dopo aver terminato i sondaggi con tutte le forze politiche, il ministro Ds aveva sul tavolo le sue "linee guida" per una nuova legge e doveva inviarle ai partiti questo lunedì. Scadenza che è slittata ma che si riproporrà presto. Soprattutto per la tagliola del referendum "bipartitico" sostenuto, tra gli altri, da Giuliano Amato e Arturo Parisi. Chiti ha chiesto non più tardi di dieci giorni fa di spostarne lo svolgimento al 2009, in modo da dare al parlamento due anni di tempo per provare a risolvere il rebus del post-Calderoli. Il comitato promotore presieduto da Giovanni Guzzetta ieri ha risposto picche: "Per noi la data del 24 aprile per iniziare la raccolta delle firme è irrinunciabile, vanno depositate entro settembre e non possiamo raccoglierle d'estate, la nuova situazione parlamentare poi è talmente difficile che andrebbe addirittura anticipata". La mannaia referendaria rischia di sabotare di fatto la "bozza Chiti". Il ministro si muove su due piani, uno a breve (la legge elettorale vera e propria) e uno a medio termine (le riforme costituzionali collegate). Non prevede le preferenze, che anzi vanno tolte anche dal voto degli italiani all'estero. La bozza raccoglie i punti su cui tutti i partiti si sono detti d'accordo: la tutela della rappresentatività delle forze politiche, il loro collegamento a una coalizione e a un premier (il tatarellum), il premio di maggioranza per chi vince, una soglia di sbarramento, la riduzione territoriale delle circoscrizioni in modo da avvicinare l'eletto agli elettori, il turno unico. Sulle riforme invece suggerisce cambiamenti "mirati" alla Costituzione. Prima il premierato: indicazione diretta del premier che va a chiedere la fiducia alle camere senza il passaggio al Quirinale e può nominare e revocare i ministri. Poi meccanismi di sistema: l'istituto della sfiducia costruttiva come in Germania, il premio di maggioranza al senato nazionale con ripartizione dei seggi regionale, il taglio al numero dei parlamentari, il senato delle regioni, il voto a 18 anni per entrambe le camere. E fissa un metodo, che è la condivisione di ogni passaggio con l'opposizione e la trasformazione di proposte di legge separate per non inceppare il cammino complessivo. Un'impronta e un passo simile reggevano forse prima della crisi, con una legislatura tutta davanti, e prevedeva un quadro politico bipolare. Le cose però sono cambiate. Soprattutto l'Udc ha tutto l'interesse a rompere entrambi gli schieramenti e ad accreditarsi sempre di più come un terzo polo centrista. E ha posto il tema della riforma del suffragio alla base delle eventuali trattative con il centrosinistra. Logico che userà tutta la sua influenza nella palude del senato per modificarle a suo vantaggio. Sul tappeto si scontrano tre ipotesi generali: il sistema francese (doppio turno), quello tedesco (proporzionale con sbarramento al 5%) e il tatarellum (quello delle regionali, elezione diretta del premier, proporzionale puro e premio di maggioranza). Il segretario del Pdci Diliberto è netto: "Torniamo al tatarellum". Chiti però l'ha quasi escluso e sulle alternative è in atto un braccio di ferro sotterraneo. Il sistema francese pare disegnato apposta per il partito democratico mentre non porta alcun vantaggio a Forza Italia. Il modello tedesco non piace a tutti i piccoli partiti dalla Lega all'Udeur ma consentirebbe a Prc e Udc di aumentare la loro influenza sui due grandi contenitori futuri Ds/Dl - An/Fi. Una cosa è certa: con la nuova legge elettorale si torna alle urne. Più se ne parla più è vicina la fine del governo Prodi.

Chiti rilancia la sua bozza. I referendari insistono sul sistema bipartito. Casini tratta con l'Unione Manovre centriste sulla legge elettorale Matteo Bartocci Roma Giorgio Napolitano ha aggiunto il suo tredicesimo punto al "dodecalogo" di Romano Prodi: "La riforma elettorale è una delle più urgenti scadenze politiche", certifica il capo dello stato. In molti, in entrambi i poli, sono consapevoli che la nuova fase politica non reggerà a lungo e guardano con interesse già al "dopo", cioè al ritorno al voto. A parole, la legge Calderoli è il più grande ostacolo allo scioglimento delle camere. Ma nessuno ha interesse a cambiarla anzitempo. La crisi di governo ha colto il ministro Vannino Chiti a metà del guado. Dopo aver terminato i sondaggi con tutte le forze politiche, il ministro Ds aveva sul tavolo le sue "linee guida" per una nuova legge e doveva inviarle ai partiti questo lunedì. Scadenza che è slittata ma che si riproporrà presto. Soprattutto per la tagliola del referendum "bipartitico" sostenuto, tra gli altri, da Giuliano Amato e Arturo Parisi. Chiti ha chiesto non più tardi di dieci giorni fa di spostarne lo svolgimento al 2009, in modo da dare al parlamento due anni di tempo per provare a risolvere il rebus del post-Calderoli. Il comitato promotore presieduto da Giovanni Guzzetta ieri ha risposto picche: "Per noi la data del 24 aprile per iniziare la raccolta delle firme è irrinunciabile, vanno depositate entro settembre e non possiamo raccoglierle d'estate, la nuova situazione parlamentare poi è talmente difficile che andrebbe addirittura anticipata". La mannaia referendaria rischia di sabotare di fatto la "bozza Chiti". Il ministro si muove su due piani, uno a breve (la legge elettorale vera e propria) e uno a medio termine (le riforme costituzionali collegate). Non prevede le preferenze, che anzi vanno tolte anche dal voto degli italiani all'estero. La bozza raccoglie i punti su cui tutti i partiti si sono detti d'accordo: la tutela della rappresentatività delle forze politiche, il loro collegamento a una coalizione e a un premier (il tatarellum), il premio di maggioranza per chi vince, una soglia di sbarramento, la riduzione territoriale delle circoscrizioni in modo da avvicinare l'eletto agli elettori, il turno unico. Sulle riforme invece suggerisce cambiamenti "mirati" alla Costituzione. Prima il premierato: indicazione diretta del premier che va a chiedere la fiducia alle camere senza il passaggio al Quirinale e può nominare e revocare i ministri. Poi meccanismi di sistema: l'istituto della sfiducia costruttiva come in Germania, il premio di maggioranza al senato nazionale con ripartizione dei seggi regionale, il taglio al numero dei parlamentari, il senato delle regioni, il voto a 18 anni per entrambe le camere. E fissa un metodo, che è la condivisione di ogni passaggio con l'opposizione e la trasformazione di proposte di legge separate per non inceppare il cammino complessivo. Un'impronta e un passo simile reggevano forse prima della crisi, con una legislatura tutta davanti, e prevedeva un quadro politico bipolare. Le cose però sono cambiate. Soprattutto l'Udc ha tutto l'interesse a rompere entrambi gli schieramenti e ad accreditarsi sempre di più come un terzo polo centrista. E ha posto il tema della riforma del suffragio alla base delle eventuali trattative con il centrosinistra. Logico che userà tutta la sua influenza nella palude del senato per modificarle a suo vantaggio. Sul tappeto si scontrano tre ipotesi generali: il sistema francese (doppio turno), quello tedesco (proporzionale con sbarramento al 5%) e il tatarellum (quello delle regionali, elezione diretta del premier, proporzionale puro e premio di maggioranza). Il segretario del Pdci Diliberto è netto: "Torniamo al tatarellum". Chiti però l'ha quasi escluso e sulle alternative è in atto un braccio di ferro sotterraneo. Il sistema francese pare disegnato apposta per il partito democratico mentre non porta alcun vantaggio a Forza Italia. Il modello tedesco non piace a tutti i piccoli partiti dalla Lega all'Udeur ma consentirebbe a Prc e Udc di aumentare la loro influenza sui due grandi contenitori futuri Ds/Dl - An/Fi. Una cosa è certa: con la nuova legge elettorale si torna alle urne. Più se ne parla più è vicina la fine del governo Prodi.

 


L’Unita  del 25/02/2007.  Il rebus di una nuova legge elettorale Il ministro Chiti: riforma entro il 2008. D'Alema apre al sistema tedesco. Ma incombe il referendum

 
Stai consultando l'edizione del Il rebus di una nuova legge elettorale Il ministro Chiti: riforma entro il 2008. D'Alema apre al sistema tedesco. Ma incombe il referendum di Vladimiro Frulletti NO A ELEZIONI ANTICIPATE con questa legge elettorale. Il Capo dello Stato Giorgio Napolitano spiega così perché ritiene la crisi del governo Prodi una crisi di sistema. Perché anche se si fosse tornati a votare, e anche se il centrodestra avesse vinto, la mag- gioranza, almeno al Senato, sarebbe stata ugualmente traballante e risicata. Ipotesi certificata, numeri alla mano, un paio di giorni fa sul Sole 24 Ore dal costituzionalista Roberto D'Alimonte. Ecco perché adesso la priorità che hanno di fronte i partiti è cambiare la legge elettorale (la "porcata" come la definì il suo estensore, l'allora ministro leghista alle riforme Roberto Calderoli) e consentire all'Italia di superare l'infinita transizione istituzionale. E infatti ieri tutti, a cominciare dal ministro alle riforme Vannino Chiti, hanno accolto positivamente l'invito di Napolitano. Obiettivo reso ancor più stringente dal fatto che all'orizzonte si staglia lo spauracchio (per molti) del referendum. E non è un caso che ieri prima Mario Segni (il padre dei referendum elettorali) poi il presidente del comitato promotore, il professore Giovanni Guzzetta, si siano fatti sentire. Se non ce la fanno i partiti, dicono, ci penserà il referendum a cambiare. Problemi di quorum non dovrebbero essercene garantisce chi ha accesso ai sondaggi sul tema. Le modifiche referendarie cancellerebbero le pluricandidature e il premio di maggioranza, che ora viene attribuito alla coalizione vincente, lo prenderebbe la lista con più voti. Il rischio quindi è che ci sarebbero degli enormi "listoni" composti da tutti i partiti che formano le attuali coalizioni, e che poi una volta entrati in Parlamento ognuno se ne tornerà sotto le proprie bandiere. È anche per questo che il ministro alla riforme Chiti si è assunto il compito di formulare un'ipotesi di riforma. Ha ascoltato tutti i partiti e i gruppi parlamentari. Ha messo insieme "possibili ampie convergenze". Ai primi di marzo manderà ai gruppi la sua bozza con le linee guida (alcune con opzioni alternative) di riforma sia elettorale che della Costituzione. Chiti è convinto che "entro un anno e mezzo o due il tutto potrebbe essere portato a termine". La strada indicata da Chiti si muove lungo un modello "all'italiana". Prende cioè spunto dalle leggi elettorali delle Regioni e dei Comuni. L'obiettivo è essenzialmente quello di dare stabilità ai governi riducendo la frammentazione, e di riavvicinare gli elettori agli eletti dopo la cancellazione delle preferenze. Si ipotizzano modifiche sia alle soglie di sbarramento che al premio di maggioranza (la discussione è su quanto deve essere alta l'asticella e quanto cospicuo il bonus), e soprattutto circoscrizioni più piccole e più numerose delle attuali 26. Così gli elettori si troverebbero di fronte non più listoni con 30 nomi. Le preferenze però non paiono destinate a tornare (però i Ds vorrebbero istituzionalizzare le primarie e stabilire un legame fra soldi pubblici e democrazia interna ai partiti). Queste modifiche (in cui andranno inserite garanzie per la rappresentanza delle donne) per Chiti dovranno accompagnarsi anche riforme costituzionali per rafforzare il ruolo del capo del governo con "la sfiducia costruttiva", per superare "l'attuale bicameralismo perfetto" (con un Senato dove ci sia spazio per la rappresentanza delle Regioni e delle autonomie locali) e per ridurre il numero dei parlamentari. In più ci sarebbero "disincentivi" alla frammentazione partitica intervenendo sia sui regolamenti parlamentari che sui rimborsi elettorali che ora sono riconosciuti a tutte le liste che abbiano ottenuto almeno l'1% dei voti. Una variabile al "modello all'italiana" potrebbe essere la riproduzione del sistema dei Comuni che piace a Walter Veltroni anche se non chiude la porta a altre soluzioni che "garantiscano stabilità ai governi". Che poi è anche il principale obiettivo di D'Alema, tanto da fargli accettare anche il modello alla tedesca, che piace all'Udc e Rifondazione. Sul Riformista di ieri il vicepremier ribadisce che lui e i Ds sono per il sistema francese, maggioritario a doppio turno e con i collegi (il deputato Valdo Spini ha anche depositato una proposta di legge in tal senso), se "però non è possibile- dice D'Alema- , allora preferisco il modello tedesco". È vero che non è maggioritario, ma per D'Alema quell'effetto sarebbe prodotto dalla soglia di sbarramento che in Germania è al 5%. E poi aiuterebbe sia la nascita del PD. Insomma darebbe stabilità, e sarebbe una soluzione di mediazione. Possibile. Doppio turno e i collegi uninominali in Parlamento non hanno molti sponsor. Il problema sarà vedere quanto "tedesco" potrebbe rimanere quel modello dopo il passaggio in Parlamento. Sbarramenti troppo alti sono indigesti a quasi tutti i partiti eccetto Ulivo, Forza Italia e An. Ai partiti minori il premio di maggioranza che va a chi prende un voto in più dell'avversario sta più che bene, visto che li rende indispensabili.

Il ministro Chiti: riforma entro il 2008. D'Alema apre al sistema tedesco. Ma incombe il referendum di Vladimiro Frulletti NO A ELEZIONI ANTICIPATE con questa legge elettorale. Il Capo dello Stato Giorgio Napolitano spiega così perché ritiene la crisi del governo Prodi una crisi di sistema. Perché anche se si fosse tornati a votare, e anche se il centrodestra avesse vinto, la mag- gioranza, almeno al Senato, sarebbe stata ugualmente traballante e risicata. Ipotesi certificata, numeri alla mano, un paio di giorni fa sul Sole 24 Ore dal costituzionalista Roberto D'Alimonte. Ecco perché adesso la priorità che hanno di fronte i partiti è cambiare la legge elettorale (la "porcata" come la definì il suo estensore, l'allora ministro leghista alle riforme Roberto Calderoli) e consentire all'Italia di superare l'infinita transizione istituzionale. E infatti ieri tutti, a cominciare dal ministro alle riforme Vannino Chiti, hanno accolto positivamente l'invito di Napolitano. Obiettivo reso ancor più stringente dal fatto che all'orizzonte si staglia lo spauracchio (per molti) del referendum. E non è un caso che ieri prima Mario Segni (il padre dei referendum elettorali) poi il presidente del comitato promotore, il professore Giovanni Guzzetta, si siano fatti sentire. Se non ce la fanno i partiti, dicono, ci penserà il referendum a cambiare. Problemi di quorum non dovrebbero essercene garantisce chi ha accesso ai sondaggi sul tema. Le modifiche referendarie cancellerebbero le pluricandidature e il premio di maggioranza, che ora viene attribuito alla coalizione vincente, lo prenderebbe la lista con più voti. Il rischio quindi è che ci sarebbero degli enormi "listoni" composti da tutti i partiti che formano le attuali coalizioni, e che poi una volta entrati in Parlamento ognuno se ne tornerà sotto le proprie bandiere. È anche per questo che il ministro alla riforme Chiti si è assunto il compito di formulare un'ipotesi di riforma. Ha ascoltato tutti i partiti e i gruppi parlamentari. Ha messo insieme "possibili ampie convergenze". Ai primi di marzo manderà ai gruppi la sua bozza con le linee guida (alcune con opzioni alternative) di riforma sia elettorale che della Costituzione. Chiti è convinto che "entro un anno e mezzo o due il tutto potrebbe essere portato a termine". La strada indicata da Chiti si muove lungo un modello "all'italiana". Prende cioè spunto dalle leggi elettorali delle Regioni e dei Comuni. L'obiettivo è essenzialmente quello di dare stabilità ai governi riducendo la frammentazione, e di riavvicinare gli elettori agli eletti dopo la cancellazione delle preferenze. Si ipotizzano modifiche sia alle soglie di sbarramento che al premio di maggioranza (la discussione è su quanto deve essere alta l'asticella e quanto cospicuo il bonus), e soprattutto circoscrizioni più piccole e più numerose delle attuali 26. Così gli elettori si troverebbero di fronte non più listoni con 30 nomi. Le preferenze però non paiono destinate a tornare (però i Ds vorrebbero istituzionalizzare le primarie e stabilire un legame fra soldi pubblici e democrazia interna ai partiti). Queste modifiche (in cui andranno inserite garanzie per la rappresentanza delle donne) per Chiti dovranno accompagnarsi anche riforme costituzionali per rafforzare il ruolo del capo del governo con "la sfiducia costruttiva", per superare "l'attuale bicameralismo perfetto" (con un Senato dove ci sia spazio per la rappresentanza delle Regioni e delle autonomie locali) e per ridurre il numero dei parlamentari. In più ci sarebbero "disincentivi" alla frammentazione partitica intervenendo sia sui regolamenti parlamentari che sui rimborsi elettorali che ora sono riconosciuti a tutte le liste che abbiano ottenuto almeno l'1% dei voti. Una variabile al "modello all'italiana" potrebbe essere la riproduzione del sistema dei Comuni che piace a Walter Veltroni anche se non chiude la porta a altre soluzioni che "garantiscano stabilità ai governi". Che poi è anche il principale obiettivo di D'Alema, tanto da fargli accettare anche il modello alla tedesca, che piace all'Udc e Rifondazione. Sul Riformista di ieri il vicepremier ribadisce che lui e i Ds sono per il sistema francese, maggioritario a doppio turno e con i collegi (il deputato Valdo Spini ha anche depositato una proposta di legge in tal senso), se "però non è possibile- dice D'Alema- , allora preferisco il modello tedesco". È vero che non è maggioritario, ma per D'Alema quell'effetto sarebbe prodotto dalla soglia di sbarramento che in Germania è al 5%. E poi aiuterebbe sia la nascita del PD. Insomma darebbe stabilità, e sarebbe una soluzione di mediazione. Possibile. Doppio turno e i collegi uninominali in Parlamento non hanno molti sponsor. Il problema sarà vedere quanto "tedesco" potrebbe rimanere quel modello dopo il passaggio in Parlamento. Sbarramenti troppo alti sono indigesti a quasi tutti i partiti eccetto Ulivo, Forza Italia e An. Ai partiti minori il premio di maggioranza che va a chi prende un voto in più dell'avversario sta più che bene, visto che li rende indispensabili.


Il Velino.it del 23/02/2007   Legge elettorale, tante ipotesi su cui convergere o litigare

 
 (POL) Legge elettorale, tante ipotesi su cui convergere o litigare Roma, 22 feb (Velino) - Una quindicina abbondante di partiti, un referendum incombente e un bel numero di ipotesi di revisione (più o meno proporzionaliste e più o meno bipolariste) che aleggiano sul tutto. è questo lo scenario che fa da sfondo a una riforma della vigente legge elettorale diventata implicitamente in queste ore argomento di scottante attualità. Perché non è un mistero per nessuno che il superamento dell'attuale sistema di voto rimane per tutte (o quasi) le forze politiche una delle ragioni per le quali non si può far sfociare la crisi del governo Prodi in elezioni anticipate. Quando però si tratta di decidere come intervenire sul cosiddetto &ldquo;porcellum&rdquo; le opinioni cominciano subito dopo a divergere. Anche perché c'è chi propone piccoli, per quanto significativi, aggiustamenti dell'impianto in vigore; e chi invece vorrebbe ridisegnarlo profondamente. Mentre intanto, come detto, c'è anche chi appoggia più meno esplicitamente quel referendum abrogativo che determinerebbe in modo chirurgico una correzione in senso bipartitico del nostro sistema politico. Il comitato promotore della consultazione popolare (di cui fanno tuttora parte, per quanto a titolo personale, esponenti di Forza Italia, An, Ds e Margherita, più il radicale Daniele Capezzone) ipotizza infatti una modifica che attribuisce il premio di maggioranza non più alla coalizione ma al partito che prevale su tutti gli altri nelle urne. Dalla qual cosa conseguirebbe automaticamente l'accorpamento dei due attuali poli sotto due sole sigle elettorali. Una quindicina abbondante di partiti, un referendum incombente e un bel numero di ipotesi di revisione (più o meno proporzionaliste e più o meno bipolariste) che aleggiano sul tutto. è questo lo scenario che fa da sfondo a una riforma della vigente legge elettorale diventata implicitamente in queste ore argomento di scottante attualità. Perché non è un mistero per nessuno che il superamento dell'attuale sistema di voto rimane per tutte (o quasi) le forze politiche una delle ragioni per le quali non si può far sfociare la crisi del governo Prodi in elezioni anticipate. Quando però si tratta di decidere come intervenire sul cosiddetto &ldquo;porcellum&rdquo; le opinioni cominciano subito dopo a divergere. Anche perché c'è chi propone piccoli, per quanto significativi, aggiustamenti dell'impianto in vigore; e chi invece vorrebbe ridisegnarlo profondamente. Mentre intanto, come detto, c'è anche chi appoggia più meno esplicitamente quel referendum abrogativo che determinerebbe in modo chirurgico una correzione in senso bipartitico del nostro sistema politico. Il comitato promotore della consultazione popolare (di cui fanno tuttora parte, per quanto a titolo personale, esponenti di Forza Italia, An, Ds e Margherita, più il radicale Daniele Capezzone) ipotizza infatti una modifica che attribuisce il premio di maggioranza non più alla coalizione ma al partito che prevale su tutti gli altri nelle urne. Dalla qual cosa conseguirebbe automaticamente l'accorpamento dei due attuali poli sotto due sole sigle elettorali. Dunque i quattro principali gruppi parlamentari fiancheggiano (ma senza ammetterlo ufficialmente) un modello che farebbe da levatrice al Partito democratico da un lato e quello Popolare, o dei moderati, dall'altro. Ma quelle stesse forze politiche (che pure tutte insieme rappresentano i due terzi dei voti degli italiani) non possono d'altro canto sponsorizzare in ambito parlamentare una riforma di questo tipo. Perché rischierebbero la collisione frontale con buona parte dei loro alleati. Vuoi di governo e vuoi di opposizione. Verdi, Comunisti italiani, Sdi, Udeur e Italia dei valori da un lato; Udc, Lega e Dc dall'altro, non possono infatti convergere su un modello che, fissando al 4 per cento alla Camera (e addirittura all'8 per cento per il Senato) la soglia di sbarramento per i partiti non più coalizzati, decreterebbe la loro più che probabile esclusione dalle Camere. E del resto anche Rifondazione comunista si troverebbe stretta fra una rappresentanza parlamentare di tribuna e l'obbligo di convergere dentro il partito unico del centrosinistra. Ecco allora apparire all'orizzonte due soluzioni tecniche alternative su cui forse (questa è in realtà la speranza su cui sta basando la sua bozza di riforma il ministro ad hoc Vannino Chiti) si potrebbe creare una minima convergenza parlamentare: l'adozione su scala nazionale del sistema con cui si eleggono i governi regionali (il cosiddetto &ldquo;Tatarellum&rdquo;) con il corollario di una limitata modifica costituzionale che introduca l'elezione diretta del premier; oppure una serie di correzioni alla legge attuale che ne mantenga l'assetto sia proporzionale che bipolare, ma che dia più garanzie di governabilità alla coalizione vincente. Nel primo caso però c'è chi obietta (ancora una volta i partiti stimati in grado di raccogliere almeno il dieci per cento di consensi nelle urne) che il sistema delle regionali non elimina il problema della proliferazione di piccoli partiti; mentre c'è invece chi contesta (qui a farlo è una buona parte delle piccole sigle di cui sopra) una designazione a priori del premier. Rimane dunque l'altra idea: emendare qua e là il testo della legge elettorale in vigore (sulla falsariga di quanto proposto per primo da Roberto D'Alimonte, docente di Sistema politico italiano nel corso di laurea in scienze politiche all'Università di Firenze). Per renderla per lo meno un po' più efficace. E qui va detto subito che l'assegnazione del premio di maggioranza a livello nazionale anche al Senato e il voto ai diciottenni anche per Palazzo Madama possono sicuramente ridurre il rischio di pareggi nelle urne, senza intaccare quel proporzionalismo che ha moltiplicato i partirti. E quindi possono essere strumenti accettabili per gran parte dell'arco parlamentare attuale. Laddove invece tutto potrebbe sicuramente bloccarsi è a proposto dell'idea di non conteggiare ai fini del premio di maggioranza, sia alla Camera sia al Senato, i voti delle liste che non hanno superato la soglia di sbarramento (2 per cento a Montecitorio, 3 per cento a Palazzo Madama). Qui infatti il fuoco di sbarramento dei cosiddetti cespugli sarebbe più che prevedibile. Parlare infine di sistema tedesco (misto di proporzionale e maggioritario con sbarramento) o di sistema francese (doppio turno con sbarramento percentuale di collegio) sarebbe ben poco proficuo. Il primo non piace a nessuno dei partiti maggiori anche se ha grandi estimatori quanto meno nell'Udeur e nell'Udc. Il secondo piace solo a Ds e Margherita. E non certo per ragioni disinteressate. Qualche mese fa, all'inizio del dibattito politico su una riforma elettorale da fare in Parlamento, Sergio Mattarella (Margherita) mostrò tutto il suo scetticismo sull'esito di un simile proposito. Poi però aggiunse un suggerimento: tornare al sistema elettorale precedente all'attuale: tre quarti dei seggi assegnati in collegi uninominali con metodo maggioritario, un quarto con proporzionale su base oanle con sbarramento al 4 per cento. Certo, parlava forse in sospetto conflitto di interessi (il sistema lo ideò lui e si chiamava infatti &ldquo;mattarellum&rdquo;), ma aveva ridotto a cinque i partiti eletti solo nella quota proporzionale. Tutti le altre piccole sigle furono infatti costrette a stringere alleanze di coalizione per vincere neo collegi uninominali. Dunque i quattro principali gruppi parlamentari fiancheggiano (ma senza ammetterlo ufficialmente) un modello che farebbe da levatrice al Partito democratico da un lato e quello Popolare, o dei moderati, dall'altro. Ma quelle stesse forze politiche (che pure tutte insieme rappresentano i due terzi dei voti degli italiani) non possono d'altro canto sponsorizzare in ambito parlamentare una riforma di questo tipo. Perché rischierebbero la collisione frontale con buona parte dei loro alleati. Vuoi di governo e vuoi di opposizione. Verdi, Comunisti italiani, Sdi, Udeur e Italia dei valori da un lato; Udc, Lega e Dc dall'altro, non possono infatti convergere su un modello che, fissando al 4 per cento alla Camera (e addirittura all'8 per cento per il Senato) la soglia di sbarramento per i partiti non più coalizzati, decreterebbe la loro più che probabile esclusione dalle Camere. E del resto anche Rifondazione comunista si troverebbe stretta fra una rappresentanza parlamentare di tribuna e l'obbligo di convergere dentro il partito unico del centrosinistra. Ecco allora apparire all'orizzonte due soluzioni tecniche alternative su cui forse (questa è in realtà la speranza su cui sta basando la sua bozza di riforma il ministro ad hoc Vannino Chiti) si potrebbe creare una minima convergenza parlamentare: l'adozione su scala nazionale del sistema con cui si eleggono i governi regionali (il cosiddetto &ldquo;Tatarellum&rdquo;) con il corollario di una limitata modifica costituzionale che introduca l'elezione diretta del premier; oppure una serie di correzioni alla legge attuale che ne mantenga l'assetto sia proporzionale che bipolare, ma che dia più garanzie di governabilità alla coalizione vincente. Nel primo caso però c'è chi obietta (ancora una volta i partiti stimati in grado di raccogliere almeno il dieci per cento di consensi nelle urne) che il sistema delle regionali non elimina il problema della proliferazione di piccoli partiti; mentre c'è invece chi contesta (qui a farlo è una buona parte delle piccole sigle di cui sopra) una designazione a priori del premier. Rimane dunque l'altra idea: emendare qua e là il testo della legge elettorale in vigore (sulla falsariga di quanto proposto per primo da Roberto D'Alimonte, docente di Sistema politico italiano nel corso di laurea in scienze politiche all'Università di Firenze). Per renderla per lo meno un po' più efficace. E qui va detto subito che l'assegnazione del premio di maggioranza a livello nazionale anche al Senato e il voto ai diciottenni anche per Palazzo Madama possono sicuramente ridurre il rischio di pareggi nelle urne, senza intaccare quel proporzionalismo che ha moltiplicato i partirti. E quindi possono essere strumenti accettabili per gran parte dell'arco parlamentare attuale. Laddove invece tutto potrebbe sicuramente bloccarsi è a proposto dell'idea di non conteggiare ai fini del premio di maggioranza, sia alla Camera sia al Senato, i voti delle liste che non hanno superato la soglia di sbarramento (2 per cento a Montecitorio, 3 per cento a Palazzo Madama). Qui infatti il fuoco di sbarramento dei cosiddetti cespugli sarebbe più che prevedibile. Parlare infine di sistema tedesco (misto di proporzionale e maggioritario con sbarramento) o di sistema francese (doppio turno con sbarramento percentuale di collegio) sarebbe ben poco proficuo. Il primo non piace a nessuno dei partiti maggiori anche se ha grandi estimatori quanto meno nell'Udeur e nell'Udc. Il secondo piace solo a Ds e Margherita. E non certo per ragioni disinteressate. Qualche mese fa, all'inizio del dibattito politico su una riforma elettorale da fare in Parlamento, Sergio Mattarella (Margherita) mostrò tutto il suo scetticismo sull'esito di un simile proposito. Poi però aggiunse un suggerimento: tornare al sistema elettorale precedente all'attuale: tre quarti dei seggi assegnati in collegi uninominali con metodo maggioritario, un quarto con proporzionale su base oanle con sbarramento al 4 per cento. Certo, parlava forse in sospetto conflitto di interessi (il sistema lo ideò lui e si chiamava infatti &ldquo;mattarellum&rdquo;), ma aveva ridotto a cinque i partiti eletti solo nella quota proporzionale. Tutti le altre piccole sigle furono infatti costrette a stringere alleanze di coalizione per vincere neo collegi uninominali. (fch) 22 feb 18:40.

(POL) Legge elettorale, tante ipotesi su cui convergere o litigare Roma, 22 feb (Velino) - Una quindicina abbondante di partiti, un referendum incombente e un bel numero di ipotesi di revisione (più o meno proporzionaliste e più o meno bipolariste) che aleggiano sul tutto. è questo lo scenario che fa da sfondo a una riforma della vigente legge elettorale diventata implicitamente in queste ore argomento di scottante attualità. Perché non è un mistero per nessuno che il superamento dell'attuale sistema di voto rimane per tutte (o quasi) le forze politiche una delle ragioni per le quali non si può far sfociare la crisi del governo Prodi in elezioni anticipate. Quando però si tratta di decidere come intervenire sul cosiddetto &ldquo;porcellum&rdquo; le opinioni cominciano subito dopo a divergere. Anche perché c'è chi propone piccoli, per quanto significativi, aggiustamenti dell'impianto in vigore; e chi invece vorrebbe ridisegnarlo profondamente. Mentre intanto, come detto, c'è anche chi appoggia più meno esplicitamente quel referendum abrogativo che determinerebbe in modo chirurgico una correzione in senso bipartitico del nostro sistema politico. Il comitato promotore della consultazione popolare (di cui fanno tuttora parte, per quanto a titolo personale, esponenti di Forza Italia, An, Ds e Margherita, più il radicale Daniele Capezzone) ipotizza infatti una modifica che attribuisce il premio di maggioranza non più alla coalizione ma al partito che prevale su tutti gli altri nelle urne. Dalla qual cosa conseguirebbe automaticamente l'accorpamento dei due attuali poli sotto due sole sigle elettorali. Una quindicina abbondante di partiti, un referendum incombente e un bel numero di ipotesi di revisione (più o meno proporzionaliste e più o meno bipolariste) che aleggiano sul tutto. è questo lo scenario che fa da sfondo a una riforma della vigente legge elettorale diventata implicitamente in queste ore argomento di scottante attualità. Perché non è un mistero per nessuno che il superamento dell'attuale sistema di voto rimane per tutte (o quasi) le forze politiche una delle ragioni per le quali non si può far sfociare la crisi del governo Prodi in elezioni anticipate. Quando però si tratta di decidere come intervenire sul cosiddetto &ldquo;porcellum&rdquo; le opinioni cominciano subito dopo a divergere. Anche perché c'è chi propone piccoli, per quanto significativi, aggiustamenti dell'impianto in vigore; e chi invece vorrebbe ridisegnarlo profondamente. Mentre intanto, come detto, c'è anche chi appoggia più meno esplicitamente quel referendum abrogativo che determinerebbe in modo chirurgico una correzione in senso bipartitico del nostro sistema politico. Il comitato promotore della consultazione popolare (di cui fanno tuttora parte, per quanto a titolo personale, esponenti di Forza Italia, An, Ds e Margherita, più il radicale Daniele Capezzone) ipotizza infatti una modifica che attribuisce il premio di maggioranza non più alla coalizione ma al partito che prevale su tutti gli altri nelle urne. Dalla qual cosa conseguirebbe automaticamente l'accorpamento dei due attuali poli sotto due sole sigle elettorali. Dunque i quattro principali gruppi parlamentari fiancheggiano (ma senza ammetterlo ufficialmente) un modello che farebbe da levatrice al Partito democratico da un lato e quello Popolare, o dei moderati, dall'altro. Ma quelle stesse forze politiche (che pure tutte insieme rappresentano i due terzi dei voti degli italiani) non possono d'altro canto sponsorizzare in ambito parlamentare una riforma di questo tipo. Perché rischierebbero la collisione frontale con buona parte dei loro alleati. Vuoi di governo e vuoi di opposizione. Verdi, Comunisti italiani, Sdi, Udeur e Italia dei valori da un lato; Udc, Lega e Dc dall'altro, non possono infatti convergere su un modello che, fissando al 4 per cento alla Camera (e addirittura all'8 per cento per il Senato) la soglia di sbarramento per i partiti non più coalizzati, decreterebbe la loro più che probabile esclusione dalle Camere. E del resto anche Rifondazione comunista si troverebbe stretta fra una rappresentanza parlamentare di tribuna e l'obbligo di convergere dentro il partito unico del centrosinistra. Ecco allora apparire all'orizzonte due soluzioni tecniche alternative su cui forse (questa è in realtà la speranza su cui sta basando la sua bozza di riforma il ministro ad hoc Vannino Chiti) si potrebbe creare una minima convergenza parlamentare: l'adozione su scala nazionale del sistema con cui si eleggono i governi regionali (il cosiddetto &ldquo;Tatarellum&rdquo;) con il corollario di una limitata modifica costituzionale che introduca l'elezione diretta del premier; oppure una serie di correzioni alla legge attuale che ne mantenga l'assetto sia proporzionale che bipolare, ma che dia più garanzie di governabilità alla coalizione vincente. Nel primo caso però c'è chi obietta (ancora una volta i partiti stimati in grado di raccogliere almeno il dieci per cento di consensi nelle urne) che il sistema delle regionali non elimina il problema della proliferazione di piccoli partiti; mentre c'è invece chi contesta (qui a farlo è una buona parte delle piccole sigle di cui sopra) una designazione a priori del premier. Rimane dunque l'altra idea: emendare qua e là il testo della legge elettorale in vigore (sulla falsariga di quanto proposto per primo da Roberto D'Alimonte, docente di Sistema politico italiano nel corso di laurea in scienze politiche all'Università di Firenze). Per renderla per lo meno un po' più efficace. E qui va detto subito che l'assegnazione del premio di maggioranza a livello nazionale anche al Senato e il voto ai diciottenni anche per Palazzo Madama possono sicuramente ridurre il rischio di pareggi nelle urne, senza intaccare quel proporzionalismo che ha moltiplicato i partirti. E quindi possono essere strumenti accettabili per gran parte dell'arco parlamentare attuale. Laddove invece tutto potrebbe sicuramente bloccarsi è a proposto dell'idea di non conteggiare ai fini del premio di maggioranza, sia alla Camera sia al Senato, i voti delle liste che non hanno superato la soglia di sbarramento (2 per cento a Montecitorio, 3 per cento a Palazzo Madama). Qui infatti il fuoco di sbarramento dei cosiddetti cespugli sarebbe più che prevedibile. Parlare infine di sistema tedesco (misto di proporzionale e maggioritario con sbarramento) o di sistema francese (doppio turno con sbarramento percentuale di collegio) sarebbe ben poco proficuo. Il primo non piace a nessuno dei partiti maggiori anche se ha grandi estimatori quanto meno nell'Udeur e nell'Udc. Il secondo piace solo a Ds e Margherita. E non certo per ragioni disinteressate. Qualche mese fa, all'inizio del dibattito politico su una riforma elettorale da fare in Parlamento, Sergio Mattarella (Margherita) mostrò tutto il suo scetticismo sull'esito di un simile proposito. Poi però aggiunse un suggerimento: tornare al sistema elettorale precedente all'attuale: tre quarti dei seggi assegnati in collegi uninominali con metodo maggioritario, un quarto con proporzionale su base oanle con sbarramento al 4 per cento. Certo, parlava forse in sospetto conflitto di interessi (il sistema lo ideò lui e si chiamava infatti &ldquo;mattarellum&rdquo;), ma aveva ridotto a cinque i partiti eletti solo nella quota proporzionale. Tutti le altre piccole sigle furono infatti costrette a stringere alleanze di coalizione per vincere neo collegi uninominali. Dunque i quattro principali gruppi parlamentari fiancheggiano (ma senza ammetterlo ufficialmente) un modello che farebbe da levatrice al Partito democratico da un lato e quello Popolare, o dei moderati, dall'altro. Ma quelle stesse forze politiche (che pure tutte insieme rappresentano i due terzi dei voti degli italiani) non possono d'altro canto sponsorizzare in ambito parlamentare una riforma di questo tipo. Perché rischierebbero la collisione frontale con buona parte dei loro alleati. Vuoi di governo e vuoi di opposizione. Verdi, Comunisti italiani, Sdi, Udeur e Italia dei valori da un lato; Udc, Lega e Dc dall'altro, non possono infatti convergere su un modello che, fissando al 4 per cento alla Camera (e addirittura all'8 per cento per il Senato) la soglia di sbarramento per i partiti non più coalizzati, decreterebbe la loro più che probabile esclusione dalle Camere. E del resto anche Rifondazione comunista si troverebbe stretta fra una rappresentanza parlamentare di tribuna e l'obbligo di convergere dentro il partito unico del centrosinistra. Ecco allora apparire all'orizzonte due soluzioni tecniche alternative su cui forse (questa è in realtà la speranza su cui sta basando la sua bozza di riforma il ministro ad hoc Vannino Chiti) si potrebbe creare una minima convergenza parlamentare: l'adozione su scala nazionale del sistema con cui si eleggono i governi regionali (il cosiddetto &ldquo;Tatarellum&rdquo;) con il corollario di una limitata modifica costituzionale che introduca l'elezione diretta del premier; oppure una serie di correzioni alla legge attuale che ne mantenga l'assetto sia proporzionale che bipolare, ma che dia più garanzie di governabilità alla coalizione vincente. Nel primo caso però c'è chi obietta (ancora una volta i partiti stimati in grado di raccogliere almeno il dieci per cento di consensi nelle urne) che il sistema delle regionali non elimina il problema della proliferazione di piccoli partiti; mentre c'è invece chi contesta (qui a farlo è una buona parte delle piccole sigle di cui sopra) una designazione a priori del premier. Rimane dunque l'altra idea: emendare qua e là il testo della legge elettorale in vigore (sulla falsariga di quanto proposto per primo da Roberto D'Alimonte, docente di Sistema politico italiano nel corso di laurea in scienze politiche all'Università di Firenze). Per renderla per lo meno un po' più efficace. E qui va detto subito che l'assegnazione del premio di maggioranza a livello nazionale anche al Senato e il voto ai diciottenni anche per Palazzo Madama possono sicuramente ridurre il rischio di pareggi nelle urne, senza intaccare quel proporzionalismo che ha moltiplicato i partirti. E quindi possono essere strumenti accettabili per gran parte dell'arco parlamentare attuale. Laddove invece tutto potrebbe sicuramente bloccarsi è a proposto dell'idea di non conteggiare ai fini del premio di maggioranza, sia alla Camera sia al Senato, i voti delle liste che non hanno superato la soglia di sbarramento (2 per cento a Montecitorio, 3 per cento a Palazzo Madama). Qui infatti il fuoco di sbarramento dei cosiddetti cespugli sarebbe più che prevedibile. Parlare infine di sistema tedesco (misto di proporzionale e maggioritario con sbarramento) o di sistema francese (doppio turno con sbarramento percentuale di collegio) sarebbe ben poco proficuo. Il primo non piace a nessuno dei partiti maggiori anche se ha grandi estimatori quanto meno nell'Udeur e nell'Udc. Il secondo piace solo a Ds e Margherita. E non certo per ragioni disinteressate. Qualche mese fa, all'inizio del dibattito politico su una riforma elettorale da fare in Parlamento, Sergio Mattarella (Margherita) mostrò tutto il suo scetticismo sull'esito di un simile proposito. Poi però aggiunse un suggerimento: tornare al sistema elettorale precedente all'attuale: tre quarti dei seggi assegnati in collegi uninominali con metodo maggioritario, un quarto con proporzionale su base oanle con sbarramento al 4 per cento. Certo, parlava forse in sospetto conflitto di interessi (il sistema lo ideò lui e si chiamava infatti “mattarellum”), ma aveva ridotto a cinque i partiti eletti solo nella quota proporzionale. Tutti le altre piccole sigle furono infatti costrette a stringere alleanze di coalizione per vincere neo collegi uninominali. (fch) 22 feb 18:40.

 


La Stampa  del 19/02/2007    Berlusconi a Bossi: insieme al voto. UGO MAGRI

 
IL CAVALIERE CERCA DI CONVINCERE LA LEGA A NON CORRERE DA SOLA. TRA I DUE LEADER RAPPORTI FREDDI DA MESI Berlusconi a Bossi: insieme al voto [FIRMA]UGO MAGRI ROMA L'orribile settimana del Cavaliere è alle spalle, con il pullman imbottito di tritolo che doveva farlo saltare in aria e soprattutto quello sberleffo di Oliviero Diliberto ("Berlusconi mi fa schifo") capace di ferirlo nell'intimo addirittura più delle Brigate rosse. Per un attimo, confidano i suoi, l'ex-premier ha avuto la tentazione di ritirarsi a vita privata ("Troppo è l'odio che mi circonda") nello stato d'animo tipico del benefattore che si sente mal ricambiato. L'hanno offeso il silenzio ostile di Romano Prodi, l'indifferenza di Massimo D'Alema, la mancata solidarietà dai moderati dell'altra sponda, con la solita bonaria eccezione di Clemente Mastella. Ma già venerdì, raccontano a via del Plebiscito, Silvio è rientrato nel suo umore standard, concreto e ottimista, il pensiero tutto rivolto all'appuntamento di stasera, passaggio-chiave per la sua strategia futura. Dopo due mesi di "fredda", Umberto Bossi si riaffaccia ad Arcore. A desinare, e a metter le carte in tavola. Sulla riforma elettorale come su tutto il resto. Il fatto che si riveda a cena, dal punto di vista del Cavaliere, è già buon segno. Fino a due settimane fa, Bossi nemmeno rispondeva al telefono. Attaccava la cornetta o diceva "non sono in casa". Colpa dei sospetti alimentati dal referendum Segni-Guzzetta, considerato da Bossi una trappola mortale per la Lega: se dovesse passare, tutti i piccoli partiti verrebbero spazzati via o costretti a fondersi con i "fratelli" grandi. Qualche battuta infelice di Berlusconi aveva fatto sorgere il dubbio, nel Senatùr, che sotto sotto Forza Italia non desiderasse di meglio per papparsi gli alleati minori. E quando cominci a diffidare di un amico, non è mai facile ristabilire il rapporto. Venerdì Berlusconi ha trascorso l'intera giornata con Sestino Giacomoni, il suo assistente, a preparare il menu di stasera. Politico, si capisce. S'è consultato con Bondi, ha interpellato Cicchitto, ha messo sotto pressione Bonaiuti. L'obiettivo è servire in tavola una proposta di riforma elettorale capace di sposarsi con quella del governo (il ministro Vannino Chiti la presenterà a giorni) ed evitare il referendum per il rotto della cuffia. La formula prescelta dal Cavaliere è: meno si cambia il "Porcellum" (la legge in vigore) meglio è. L'ideale sarebbe limitarsi a due-tre ritocchi tipo premio di maggioranza al Senato su base nazionale anziché regionale, e soglia di sbarramento del 4-5 per cento, letale per i partitini del centrosinistra ma alla portata di Lega e Udc. Resta sottinteso che, qualunque obiezione dovesse fargli Bossi, Berlusconi sarà lesto ad accoglierla. Anche perché della legge elettorale in fondo non gli importa molto. A lui interessa semmai gettare le basi della prossima "spallata" al governo Prodi, che spera di far coincidere con le elezioni amministrative di primavera. La data non è ancora stabilita (si parla del 27 maggio, con ballottaggi il 3 giugno), ma è certo che 12 milioni di italiani verranno chiamati alle urne per scegliere 28 tra sindaci di Comuni capoluogo e presidenti di Provincia. Di questi 28, attualmente il centrodestra ne conta 16 contro i 12 dell'Unione. Berlusconi spera di arrivare a 18, magari a 20, in modo da mostrare che il governo Prodi spinge la sinistra su una brutta china, e causarne l'implosione. I sondaggi "tengono", la Cdl continua a godere di ottima salute. Ma l'esito delle amministrative dipende da mille fattori locali, tra cui decisiva sarà la scelta dei candidati. Finora Berlusconi non è riuscito nemmeno a discuterne con la Lega, per via del gelo con Bossi e anche perché il Carroccio non si è fatto scrupoli di alzare il prezzo con la tattica del rinvio. Stasera, dopo aver rabbonito l'Umberto sulla legge elettorale, spera di mettere nero su bianco le candidature del Nord. L'istruttoria è stata svolta da Roberto Calderoli, Aldo Brancher e Mario Valducci. Prevede che la Lega si riprenda le province di Varese, Como e Vicenza (dove aveva gli uscenti), e provi a conquistare Monza, se le riesce. Resta aperto il caso Verona, dove tutto è possibile, perfino che venga messo in pista l'Udc Meocci. Ma non sarà quello l'ostacolo: qualunque "dessert" chiederà Bossi, il Cavaliere farà di tutto per mandarlo a casa sazio e soddisfatto.

IL CAVALIERE CERCA DI CONVINCERE LA LEGA A NON CORRERE DA SOLA. TRA I DUE LEADER RAPPORTI FREDDI DA MESI Berlusconi a Bossi: insieme al voto  ROMA L'orribile settimana del Cavaliere è alle spalle, con il pullman imbottito di tritolo che doveva farlo saltare in aria e soprattutto quello sberleffo di Oliviero Diliberto ("Berlusconi mi fa schifo") capace di ferirlo nell'intimo addirittura più delle Brigate rosse. Per un attimo, confidano i suoi, l'ex-premier ha avuto la tentazione di ritirarsi a vita privata ("Troppo è l'odio che mi circonda") nello stato d'animo tipico del benefattore che si sente mal ricambiato. L'hanno offeso il silenzio ostile di Romano Prodi, l'indifferenza di Massimo D'Alema, la mancata solidarietà dai moderati dell'altra sponda, con la solita bonaria eccezione di Clemente Mastella. Ma già venerdì, raccontano a via del Plebiscito, Silvio è rientrato nel suo umore standard, concreto e ottimista, il pensiero tutto rivolto all'appuntamento di stasera, passaggio-chiave per la sua strategia futura. Dopo due mesi di "fredda", Umberto Bossi si riaffaccia ad Arcore. A desinare, e a metter le carte in tavola. Sulla riforma elettorale come su tutto il resto. Il fatto che si riveda a cena, dal punto di vista del Cavaliere, è già buon segno. Fino a due settimane fa, Bossi nemmeno rispondeva al telefono. Attaccava la cornetta o diceva "non sono in casa". Colpa dei sospetti alimentati dal referendum Segni-Guzzetta, considerato da Bossi una trappola mortale per la Lega: se dovesse passare, tutti i piccoli partiti verrebbero spazzati via o costretti a fondersi con i "fratelli" grandi. Qualche battuta infelice di Berlusconi aveva fatto sorgere il dubbio, nel Senatùr, che sotto sotto Forza Italia non desiderasse di meglio per papparsi gli alleati minori. E quando cominci a diffidare di un amico, non è mai facile ristabilire il rapporto. Venerdì Berlusconi ha trascorso l'intera giornata con Sestino Giacomoni, il suo assistente, a preparare il menu di stasera. Politico, si capisce. S'è consultato con Bondi, ha interpellato Cicchitto, ha messo sotto pressione Bonaiuti. L'obiettivo è servire in tavola una proposta di riforma elettorale capace di sposarsi con quella del governo (il ministro Vannino Chiti la presenterà a giorni) ed evitare il referendum per il rotto della cuffia. La formula prescelta dal Cavaliere è: meno si cambia il "Porcellum" (la legge in vigore) meglio è. L'ideale sarebbe limitarsi a due-tre ritocchi tipo premio di maggioranza al Senato su base nazionale anziché regionale, e soglia di sbarramento del 4-5 per cento, letale per i partitini del centrosinistra ma alla portata di Lega e Udc. Resta sottinteso che, qualunque obiezione dovesse fargli Bossi, Berlusconi sarà lesto ad accoglierla. Anche perché della legge elettorale in fondo non gli importa molto. A lui interessa semmai gettare le basi della prossima "spallata" al governo Prodi, che spera di far coincidere con le elezioni amministrative di primavera. La data non è ancora stabilita (si parla del 27 maggio, con ballottaggi il 3 giugno), ma è certo che 12 milioni di italiani verranno chiamati alle urne per scegliere 28 tra sindaci di Comuni capoluogo e presidenti di Provincia. Di questi 28, attualmente il centrodestra ne conta 16 contro i 12 dell'Unione. Berlusconi spera di arrivare a 18, magari a 20, in modo da mostrare che il governo Prodi spinge la sinistra su una brutta china, e causarne l'implosione. I sondaggi "tengono", la Cdl continua a godere di ottima salute. Ma l'esito delle amministrative dipende da mille fattori locali, tra cui decisiva sarà la scelta dei candidati. Finora Berlusconi non è riuscito nemmeno a discuterne con la Lega, per via del gelo con Bossi e anche perché il Carroccio non si è fatto scrupoli di alzare il prezzo con la tattica del rinvio. Stasera, dopo aver rabbonito l'Umberto sulla legge elettorale, spera di mettere nero su bianco le candidature del Nord. L'istruttoria è stata svolta da Roberto Calderoli, Aldo Brancher e Mario Valducci. Prevede che la Lega si riprenda le province di Varese, Como e Vicenza (dove aveva gli uscenti), e provi a conquistare Monza, se le riesce. Resta aperto il caso Verona, dove tutto è possibile, perfino che venga messo in pista l'Udc Meocci. Ma non sarà quello l'ostacolo: qualunque "dessert" chiederà Bossi, il Cavaliere farà di tutto per mandarlo a casa sazio e soddisfatto.