HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di ARCHIVIO GENERALE DEL DOSSIER “LA RIFORMA
ELETTORALE” |
ARTICOLI DAL 19 AL 26 NOVEMBRE 2007
Aosta, il referendum fa flop
( da "Stampa, La"
del 19-11-2007) I "piccoli" del
centrosinistra impegnati a evitare il referendum
( da "Gazzetta del Sud"
del 19-11-2007) Il rischio delle mani libere
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 19-11-2007) ROMA Ora che anche Bossi ha
riconosciuto l'errore di Berlusconi , il plenipo
( da "Messaggero, Il (Abruzzo)"
del 19-11-2007) + 1 altra fonte L'Unione è già finita, il
Prof quasi ( da "Panorama" del
19-11-2007) Legge elettorale caos totale
( da "Opinione, L'"
del 19-11-2007) (continua dalla prima pagina) Roberto
( da "Gazzettino, Il"
del 19-11-2007) "RAI..fondazione" o
"Ri..affondazione"? ( da "AprileOnline.info" del
19-11-2007) Berlusconi pronto a incontrare
Veltroni: <Riforma elettorale e poi il voto>
( da "Sole 24 Ore Online, Il"
del 19-11-2007) Berlusconi: Prodi faccia proporzionale,
poi si voti ( da "Reuters Italia" del
19-11-2007) BERLUSCONI: DIALOGO, SOLO RIFORMA
ELETTORALE E POI VOTO ( da "Wall Street Italia" del
19-11-2007) Riforme/ Palazzo Chigi: positive le
disponibilità al dialogo ( da "Affari Italiani (Online)" del
19-11-2007) Nel 2008 si rinnova il Consiglio con la
riforma varata ad agosto ( da "Stampa, La" del
20-11-2007) Politici ancora in trincea Caveri:
"Esco rafforzato" ( da "Stampa, La" del
20-11-2007) L'ultima metamorfosi - (segue dalla
prima pagina) ( da "Repubblica, La" del
20-11-2007) Riforma elettorale, la resa di
Berlusconi Alla fine si rassegna al dialogo: Proporzionale puro, ma subito
dopo alle urne ( da "Unita, L'" del
20-11-2007) Sulle riforme ora è possibile il
dialogo con tutta la Cdl ( da "Unita, L'" del
20-11-2007) La retromarcia del Cavaliere (
da "Unita, L'"
del 20-11-2007) Fini va nei guai L'alleato a destra
sarà Storace ( da "Giornale.it, Il" del
20-11-2007) Il pd e lo spettro della bicamerale
"non si può far cadere il governo" - goffredo de marchis
( da "Repubblica, La"
del 20-11-2007) E i "piccoli" temono di
essere tagliati fuori ( da "Messaggero Veneto, Il" del
20-11-2007) Veltroni, aperture ma senza condizioni
( da "Piccolo di Trieste, Il"
del 20-11-2007) Veltroni: dialogo, ma su tutto
( da "Manifesto, Il"
del 20-11-2007) Grande gelo da An, Udc e Lega
( da "Secolo XIX, Il"
del 20-11-2007) Bossi: serve armistizio tra alleati
( da "Giornale di Brescia"
del 20-11-2007) I commenti
( da "Libertà"
del 20-11-2007) Verso il 'Veltronellum'. Ipotesi
fusione di due sistemi elettorali Spagnoli e Tedeschi
( da "Voce d'Italia, La"
del 20-11-2007) Udeur-Pdci: no a corsie preferenziali
con il Pd ( da "Corriere Adriatico" del
20-11-2007) MAGGIORITARIO E PROPOSTA VASSALLO A
CONFRONTO ( da "Lavoce.info" del
20-11-2007) L.ELETTORALE: COM. REFERENDUM BOCCIA
TEDESCO, 'RITORNO A 1* REPUBBLICA' ( da "Asca" del 20-11-2007) Veltroni smentisce l'asse con il
Cavaliere: discuterò con tutti Il leader ripete che nel 2008 non si
voterà, convince Mastella, apre al dialogo con Fini
( da "Unita, L'"
del 21-11-2007) La variabile Dini
( da "Unita, L'"
del 21-11-2007) Il ritorno della Nuova Dc Obiettivo il
partito-pivot ( da "Sole 24 Ore, Il" del
21-11-2007) Amato: prima le regole sui fondi ai
gruppi ( da "Sole 24 Ore, Il" del
21-11-2007) Troppi luoghi comuni sull'attuale legge
elettorale ( da "Manifesto, Il" del
21-11-2007) L'inciucio è roba da pazzi
( da "Manifesto, Il"
del 21-11-2007) Veltroni teme una beffacome fu la
bicamerale ( da "Secolo XIX, Il" del 21-11-2007)
L'asse Pd-Pdl piace. Non a Prodi
Rifondazione esulta. Intesa Veltroni-Mastella. Il Prof: Si parli con tutti
( da "Nazione, La (Nazionale)"
del 21-11-2007) + 2 altre fonti Legge elettorale, proposte a confronto
( da "Denaro, Il"
del 21-11-2007) Maroni: Lega arbitro del dialogo sulla
legge elettorale ( da "Padania, La" del
21-11-2007) "Sì a riforme, no a grande
coalizione" ( da "Stampaweb, La" del
21-11-2007) Riforma elettorale, Segni 'Un salto
indietro di 20 anni' ( da "Voce d'Italia, La" del
21-11-2007) Berlusconi, diktat a Veltroni:
"Legge elettorale, poi il voto"
( da "Giornale.it, Il"
del 21-11-2007) Riforme: Veltroni incontra Fini e
Berlusconi. Prodi: non servono grandi coalizioni
( da "Sole 24 Ore Online, Il"
del 21-11-2007) Il Cavaliere: ''Il Parlamento
sfiduciato non può fare le riforme"
( da "ADN Kronos"
del 21-11-2007) Per il Colle l'esempio della Germania
serve a non demonizzare le larghe intese
( da "Stampa, La"
del 22-11-2007) "Progetti referendari al limite
dell'eversivo" ( da "Stampa, La" del
22-11-2007) Il Cavaliere insiste: Intesa e poi
subito al voto ( da "Giornale di Brescia" del
22-11-2007) Veltroni vede prima Fini Berlusconi per
ultimo Telefonata con l'ex premier per fissare la data Non ci sono assi
privilegiati ( da "Unita, L'" del
22-11-2007) Berlusconi: punto a un sistema con due
partiti - francesco bei ( da "Repubblica, La" del
22-11-2007) E dal Quirinale arriva l'input: corsia
privilegiata al modello tedesco ( da "Italia Oggi" del 22-11-2007)
Walter e Silvio, primo colloquio
segreto ( da "Corriere della Sera" del
22-11-2007) Proposta Veltroni: le mie risposte ai
critici ( da "Corriere della Sera" del
22-11-2007) Berlusconi: "Vogliamo due soli
grandi partiti" ( da "Tempo, Il" del
22-11-2007) LEGGE ELETTORALE, VELTRONI SENTE
BERLUSCONI ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del
22-11-2007) Romano Prodi contro le riforme
( da "Opinione, L'"
del 22-11-2007) Via alla grande trattativa: primo round
Veltroni-Fini ( da "Gazzettino, Il" del 22-11-2007)
Berlusconi: basta alleanze, avanti con
due grandi partiti ( da "Gazzettino, Il" del
22-11-2007) Trambusto nei poli sulla legge
elettorale: è l'effetto Berlusconi
( da "Sole 24 Ore Online, Il"
del 22-11-2007) Riforme tra ricordi distorti della
bicamerale e la novità dei giorni nostri
( da "Riformista, Il"
del 23-11-2007) Veltroni: Non tratterò sulla fine
del governo ( da "Arena, L'" del
23-11-2007) + 1 altra fonte Veltroni: <Non tratterò sulla
fine del governo> ( da "Giornale di Vicenza.it, Il" del
23-11-2007) + 1 altra fonte Le prede della volpe silvio
( da "Espresso, L' (abbonati)"
del 23-11-2007) SARDEGNA: DAI CONSIGLIERI ARRIVA NUOVA
PROPOSTA DI LEGGE ELETTORALE ( da "Asca" del 23-11-2007) Prodi, Fini, cosa rossa: ecco chi teme
l'asse Berlusconi-Veltroni ( da "Panorama.it" del
23-11-2007) Veltroni: non si parla di grande
coalizioneLa riforma elettorale ( da "Sicilia, La" del
23-11-2007) "Walter deve capire che il Pd non
è roba sua" ( da "Stampa, La" del
24-11-2007) Diplomatique conversazione con
l'ambasciatore tedesco in italia michael steiner
( da "Riformista, Il"
del 24-11-2007)
RIFORME, IL DIRE E IL FARE
( da "Stampa, La"
del 25-11-2007) La maggioranza deve essere ampia, ma
cercare l'unanimità è sbagliato
( da "Stampa, La"
del 25-11-2007) <Le riforme si fanno in
Parlamento> ( da "Corriere della Sera" del
25-11-2007) Aria da bicamerale sulle riforme
( da "Giornale di Brescia"
del 25-11-2007) "non ci sarà inciucio tra
veltroni e il cavaliere riforma entro gennaio" - umberto rosso
( da "Repubblica, La"
del 25-11-2007) La sciagura del proporzionale Meglio
andare al referendum ( da "Adige, L'" del
25-11-2007) L.ELETTORALE/ BERTINOTTI: ESCLUDO
INCIUCIO VELTRONI-BERLUSCONI(REP) ( da "Virgilio Notizie" del
25-11-2007) Il pasticcio tv lega le mani a
Berlusconi ( da "Sicilia, La" del
25-11-2007) Riforme e sospetti
( da "EUROPA.it"
del 25-11-2007) Il destino di Prodi tra welfare e
Walter Pierfrancesco Frerè ( da "Provincia di Sondrio, La" del
25-11-2007) "portiamo l'italia fuori dal
tunnel" - ettore boffano ( da "Repubblica, La" del
26-11-2007) Bipolarismo, An pianta il primo
picchetto Leader e alleanze prima del voto. Oggi l'incontro tra Fini e il
segretario del Pd ( da "Unita, L'" del
26-11-2007) Riforme al bivio, per ora il dialogo
c'è ( da "Unita, L'" del
26-11-2007) Romano prepara la maratona
( da "Panorama"
del 26-11-2007) Riforma a due piazze
( da "Panorama"
del 26-11-2007) Big bang della libertà
( da "Panorama"
del 26-11-2007) L. ELETTORALE/ BINDI: IL VELTRONELLUM
SA DI PRIMA REPUBBLICA ( da "Virgilio Notizie" del
26-11-2007) Ha un bel dire Franceschini che nel
Partito democratico la democrazia c'è davvero
( da "Stampa, La"
del 26-11-2007) Veltroni inizia i colloqui per le
riforme: faccia a faccia con Fini ( da "Rai News 24" del
26-11-2007) Bluff, contro-bluff e veleni
( da "Opinione, L'"
del 26-11-2007) VELTRONI-TREMONTI, PROVE DI DIALOGO
( da "Mattino, Il (Circondario
Sud2)" del 26-11-2007) Fini-Veltroni: legge elettorale insieme
a riforma di istituzioni ( da "Reuters Italia" del
26-11-2007) Fini-Veltroni: legge elettorale insieme
a riforma di istituzioni ( da "Websim" del
26-11-2007) ArticoliAosta, il referendum fa flop
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Stampa, La" del 19-11-2007) CONSULTAZIONE
PROPOSITIVA. SU LEGGE ELETTORALE E OSPEDALE Aosta, il referendum
fa flop Alle urne solo il 27,6%. Ha avuto successo la campagna del "Non
voto" [FIRMA]ENRICO MARTINET AOSTA Non passano i 5 referendum
propositivi. Gli elettori valdostani, i primi in Italia a poter essere
legislatori votando proposte di legge, non sono andati
alle urne nella misura minima prevista: 45 per cento. Ha votato solo il 27,6
per cento degli aventi diritto. Quattro referendum
erano per la riforma della legge sulle elezioni al
Consiglio regionale (il voto sarà nella primavera 2008) e uno per
avere un ospedale nuovo. Il fronte referendario era composto dal
centrosinistra allargato a due movimenti transfughi dell'Union valdôtaine,
Renouveau e Vallée d'Aoste Vive: l'alleanza che aveva vinto le elezioni
politiche di aprile. Ma il successo non si è ripetuto. Gli elettori
hanno seguito le indicazioni della maggioranza regionale formata da tre
movimenti locali: Union valdôtaine, Fédération autonomiste e Stella alpina
che proponevano il "Non voto", motivato da un giudizio di "non
senso" dei referendum. Il "Non voto"
è stato sostenuto con forza anche dai rappresentanti delle
istituzioni, i presidenti di Regione e Consiglio e gli assessori. Nell'agosto
scorso il Consiglio regionale, anche per arginare gli
effetti del referendum, aveva varato leggi di riforma elettorale. La
parte più innovativa delle proposte
referendarie prevedeva l'elezione diretta dell'intero governo regionale. La
più bassa percentuale di voto è stata per il referendum sull'ospedale, la più alta per la preferenza unica. I "piccoli" del centrosinistra impegnati a evitare il referendum (sezione: Riforma elettorale)(
da "Gazzetta del Sud" del
19-11-2007) Franceschini
rassicura gli alleati: sul sistema elettorale il Pd
non giocherà da solo I "piccoli" del centrosinistra
impegnati a evitare il referendum Fabrizio Nicotra
ROMA Silvio Berlusconi socchiude la porta al dialogo sulle riforme. Il
Cavaliere, in difficoltà con gli alleati, vuole recuperare un ruolo da
protagonista e prova a far capire a tutti, nella CdL e nell'Unione, che
chiunque voglia trattare deve farlo con lui. L'apertura (molto cauta, a dire
il vero) viene accolta con tiepida prudenza dal governo e dal centrosinistra.
I big del Partito democratico e diversi ministri, prima di fidarsi, vogliono
vedere se Berlusconi fa sul serio. Il confronto tra i poli e dentro le stesse
coalizioni continua e il vicesegretario del Pd Dario Franceschini vuole
rassicurare i "piccoli" del centrosinistra: sulla legge elettorale non giochiamo da
soli. La scena ieri è stata occupata dal presidente di Forza Italia
che, a sorpresa, lancia il nuovo partito. E, sulle riforme, assicura:
"Se l'altra parte avanzerà proposte o
dirà si alle nostre, saremo lieti di trovare per il nostro Paese una
direzione di svolta che arricchisca la democrazia, lo sviluppo e la
libertà". La mossa serve a uscire dalla morsa degli alleati, che
hanno messo sotto accusa la leadership del centrodestra. Gianfranco Fini,
Pierferdinando Casini e la Lega sono pronti a sedersi al tavolo con il
centrosinistra e anche ieri sono tornati a sollecitare Forza Italia, con
accenti piuttosto ruvidi. Il leader di An, in un'intervista a
"Repubblica", avverte: la strada più rapida per andare alle
elezioni è quella di un accordo tra i poli su legge
elettorale e riforme della Costituzione. E Casini
chiede a Berlusconi di attivare l'uomo del dialogo, e cioè Gianni
Letta. Nella CdL al momento i rapporti sono molto tesi e dunque governo e
maggioranza, che da settimane offrono il confronto agli avversari, aspettano
di vedere cosa succede. Franceschini, intervistato dal
"Messaggero", ribadisce che l'Unione è pronta a coinvolgere
tutta l'opposizione, ma nello stesso tempo avverte il Cavaliere: non ci si
ferma per il no di uno solo, e se Berlusconi continua a dire no, "allora
toccherà procedere anche senza di lui". Ora il leader di FI
socchiude la porta e questa prima, timida disponibilità viene letta a
sinistra con grande cautela. In molti, tra i parlamentari dell'Unione,
ricordano che non è il caso di fidarsi dell'ex premier. Però
Walter Veltroni ha sempre detto che vuole dialogare con tutti e Romano Prodi
non si stanca di ripetere che serve una larga convergenza. Vedremo se le
parole di Berlusconi saranno confermate dai fatti, si ragiona in ambienti del
Pd vicini al presidente del Consiglio, e comunque le aperture sono sempre le
benvenute. In ogni caso, Berlusconi viene visto come un interlocutore alla
stregua degli altri leader della CdL. Il tempo dirà se il Cavaliere
vuole realmente rientrare nei giochi con il dialogo, e in particolare
toccherà a Veltroni sondare il terreno. Casini si dice certo che il
segretario del Pd sta già "parlando" con Gianni Letta.
Intanto, qualche giorno fa, il sindaco di Roma ha fatto capire che è
alle viste un incontro con Fini. Veltroni deve comunque fronteggiare anche il
dissenso degli alleati più piccoli. Pdci, Verdi, socialisti, Di Pietro
e Mastella si battono contro l'ipotesi di riforma elettorale
messa il campo dal segretario del neonato partito (un misto tra il sistema
spagnolo e quello tedesco). Franceschini li rassicura, ma nell'Unione si
registra intanto una nuova tensione. È quella tra l'Italia dei valori
e Lamberto Dini. Antonio Di Pietro e i suoi hanno attaccato l'ex premier per
lo smarcamento dal centrosinistra, accusandolo di essere un "estorsore
politico". La replica dei diniani è immediata e durissima:
"Estorsione politica? Certamente Di Pietro parla di
una cosa che conosce meglio di noi". Intanto, Mastella ribadisce:
"Il referendum va evitato perché porta alla creazione di due partiti unici,
uno di qua, l'altro di là. La riforma elettorale
è la conclusione di un'operazione programmatica che deve vedere
protagoniste le forze politiche. Eliminando questa fase di asprezza
che c'è assai spesso sia all'interno delle coalizioni che tra le
stesse coalizioni. L'Italia è un paese bipolare, non
bipartitico". (lunedì 19 novembre 2007). Il rischio delle mani libere
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Sole 24 Ore, Il" del 19-11-2007)
Il Sole-24 Ore
sezione: POLITICA E SOCIETA data: 2007-11-18 - pag: 10 autore: Lettera Il
rischio delle "mani libere" di Giovanni Guzzetta* C aro direttore
la fotografia della situazione italiana, tracciata da Stefano Folli sul
Sole-24 Ore di ieri, non potrebbe essere più precisa. L'approvazione
della legge finanziaria al Senato apre uno scenario
complesso, nel quale si ripropone l'opportunità di un intervento sulle
regole di funzionamento della democrazia, a cominciare dalla legge elettorale. Ogni
opportunità contiene in sé dei rischi. Ma condivido, anche dal mio
particolare punto di osservazione, che sarebbe grave non correre questi
rischi. Purché sia chiara la direzione di marcia. Ed è questo, in
realtà, il groppo di ambiguità che il dibattito di questi
giorni non è riuscito a sciogliere e ha, in un certo senso, aggravato.
Ci sono due modi di uscire dal-la crisi. Ma bisogna scegliere se si vuol
diventare carne o pesce. Un modo è quello di tornare
indietro,sacrificando tutto all'illusione che i processi politici, a
cominciare dallo sviluppo dei soggetti a vocazione maggioritaria, possano da
soli risolvere i problemi di sistema. In questa prospettiva si muove chi
propone una legge elettorale
che dia una spintarella ai partiti più grandi e riduca un po' il peso
dei piccoli. La speranza è che ne seguano effetti virtuosi a catena.
è lo schema della Dc degasperiana. Un partito grande che disciplina
gli alleati e relega all'opposizione i partiti avversari. Questo schema, per
mille ragioni, oggi non funzionerebbe. I soggetti a vocazione maggioritaria
di oggi non hanno la solidità che aveva la Dc di De Gasperi. Il
contesto politico è completamente diverso e gli aspiranti al gioco del
governo sono molti di più.Così come gli schemi di gioco e le
strategie delle alleanze post-elettorali. C'è chi ritiene che il
bipolarismo sia ormai radicato. Certamente non è radicata la
fedeltà di schieramento di molti partiti. L'esito paradossale di una
strategia del genere sarebbe invece quello di indebolire i soggetti a vocazione
maggioritaria. Perché da un partito del 30% non rifarne due del 15, ma con
maggiore potere di interdizione e potenziale di coalizione? Aumenterebbe il
peso dei partiti "centristi", veri e propri croupier del tavolo di
governo. Aumenterebbe per i partiti delle estreme, che finalmente potrebbero
abbandonare l'ambiguità di fare i partiti di lotta e di governo e
tornare ad essere partiti di lotta e basta. Perciò non mi sorprende
che Bertinotti e Casini, per ragioni diverse, coltivino questa strategia. Questo
schema ha un rischio certo. Buttare a mare l'idea che ha costituito il cuore
delle conquiste degli ultimi anni, sin dal referendum del ROMA Ora che anche Bossi ha riconosciuto l'errore di Berlusconi , il plenipo (sezione: Riforma elettorale)(
da "Messaggero, Il (Abruzzo)" del
19-11-2007) Di CLAUDIA
TERRACINA ROMA Ora che anche Bossi ha riconosciuto "l'errore di
Berlusconi", il plenipotenziario leghista al tavolo delle trattative
sulla legge elettorale,
Roberto Maroni, è convinto che "confrontarsi è un dovere e
che lo farà anche Berlusconi. Perchè gli conviene e per onorare
il patto che ha stretto con la Lega a Gemonio, quando fu stabilito il
percorso per evitare il referendum". Adesso
però, onorevole Maroni, Berlusconi chiede solo e sempre il voto
anticipato, anche se pare che Gianni Letta sia incaricato di trattare
riservatamente con la maggioranza". "Una trattativa segreta, o
comunque parallela sulla legge elettorale
sarebbe un fatto gravissimo. Non siamo a Bisanzio. Non abbiamo bisogno di
ambasciatori, nè di tavole appartate, o crostate. Dobbiamo piuttosto
sederci tutti insieme a un tavolo istituzionale per confrontarci alla luce
del sole". Tutti chi? La Cdl, dichiarata sepolta da Fini e Casini, o il
nuovo partito del popolo delle libertà, annunciato da Berlusconi?
"Tutto il centrodestra. Berlusconi sta pensando a un nuovo partito?
Auguri, ma non è una cosa che riguarda noi leghisti. E' una vecchia
fissazione di Silvio quella dei nuovi contenitori a cui cambia continuamente
nomi. Ma così dimostra di non saper fare politica". Bossi vuol
davvero trattare sulla legge elettorale,
anche se ha firmato l'appello per il voto di Forza Italia? "Ovviamente.
Del resto, questo era il percorso deciso insieme a Berlusconi. Siamo tutti con lui per tentare di mandare a casa Prodi, ma se
questo non succede, e non è successo, si apre la fase due con il
confronto per riformare l'attuale sistema elettorale.
Questo è il patto e penso che Berlusconi lo onorerà
senz'altro". Come riuscirete a convincerlo? "Ora insiste
perchè aspetta di vedere se, per caso, il governo non cada sulle
pensioni o quando la Finanziaria tornerà al Senato. Ma, alla fine,
prenderà atto della realtà e cioè che in democrazia i
governi cadono solo se in Parlamento viene meno la maggioranza che li sostiene.
Cosa che non si è realizzata e che, secondo noi, non si
realizzerà neppure nelle prossime settimane". Non crede
però che l'opposizione, divisa come è, si troverà a
trattare su posizioni più deboli? "Credo che sia folle dividersi
ora e non condivido gli attacchi di Fini e Casini a Berlusconi, scatenati
dalla sindrome del delfino e da problemi personalistici. Comunque, sono
affari che non riguardano la Lega, che ha un patto trasparente con
Berlusconi". Ma a voi leghisti piace il modello di legge
elettorale proposto da Veltroni? "Noi chiediamo
di sapere se quella proposta è condivisa da tutto il centrosinistra,
cosa che, per ora, non sembra proprio. Certo, potrebbe anche darsi che il
tutto sia un espediente per allungare la vita al governo, ma se c'è la
volontà di trattare sul serio, abbiamo il dovere di andare a vedere le
carte". Sempre che non prevalga l'ipotesi di un governo istituzionale..
"Inutile che circolino strane idee, che piacciono all'Udc e magari anche
ad An. Noi non ci stiamo. La cosa più saggia è studiare un
nuovo modello elettorale, basato sul ritorno del
proporzionale, la scelta preventiva del premier e il premio di maggioranza.
Credo che questa sia l'unica strada per la Cdl, anche se ora la vedo
impantanata in liti che non porteranno nulla di buono. La Lega, comunque, va
avanti. Se il governo arriva al 2009 sarebbe una pazzia illudersi di fare una
continua guerriglia parlamentare, invece di usare il tempo in modo
costruttivo per ottenere anche la riforma costituzionale, a partire dal
Senato federale". L'Unione è già finita, il Prof quasi
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Panorama" del 19-11-2007) L'Unione è
già finita, il Prof quasi CARLO PUCA governo Dopo il voto sulla
Finanziaria, il futuro di Prodi sembra segnato. Dini è in uscita dalla
maggioranza, Mastella tratta con Berlusconi. E adesso si gioca tutto sul
tavolo della riforma elettorale. "Prodi l'ho
fregato io, rispondendo sì al dialogo sulle riforme. Altro che
Finanziaria: nel centrosinistra, il vero terremoto lo ha prodotto l'apertura
sulla legge elettorale. E
il terremoto, notoriamente, fa più crepe di qualche spallata".
È un vispo Pier Ferdinando Casini quello che in piena votazione per la
Finanziaria conversa amabilmente con i suoi "grandi amici",
abituali per lui ma non per la grande stampa. Gente dell'associazionismo
cattolico, appartenente al Movimento per la vita di Carlo Casini o al
Movimento cristiano lavoratori di Carlo Costalli, e altri portatori di voti e
valori (cattolici, s'intende). Sono tutti compagni di ventura in allarme per
le voci sull'unione di fatto tra Savino Pezzotta, l'uomo del Family day, con
il centrosinistra. "Aspetterei a vedere l'approdo di Savino, certo
è che una netta smentita non è mai arrivata" è stato
il commento di Casini agli amici, con i quali si è intrattenuto anche
su altri temi. Anzi, sul tema dei temi, il più difficile da
scandagliare: il futuro. Anche il leader dell'Udc ritiene che Romano Prodi
sia politicamente finito, spallate o meno. Un Prodi bis, con metà
ministri e Lamberto Dini dentro? Un governo utile ad approvare la legge elettorale? Può
darsi che si facciano, può darsi di no. In ogni caso, se nuovo governo
ci sarà, sarà a tempo. Ma quel che è più chiaro
è il seguente postulato: "A decidere l'eventuale nuova legge elettorale per conto del
centrosinistra sarà il premier ombra, Walter Veltroni" ha
spiegato Casini ai suoi interlocutori. Resta da capire se il sindaco di Roma
vorrà "finalmente buttare a mare la zavorra", la sinistra radicale
dei Diliberto, dei Pecoraro e dei Mussi, "quella che si è
ribellata quando ho aperto a Veltroni". Casini salva soltanto
Bertinotti: "Ha tutto l'interesse a dialogare con noi. E noi a dialogare
con lui sul sistema tedesco, non sul modello spagnolo mascherato di Veltroni.
Se la proposta rimane questa, noi non ci stiamo. Nel frattempo, mal che vada,
capitalizziamo le divisioni nell'Unione". E poi non è detto che
non si vada al voto subito, già a marzo, come continua a sostenere Silvio
Berlusconi. Ed ecco perché il leader centrista ha avvertito gli amici che
sognano il grande centro sganciato dai poli: "La politica si fa
sull'esistente. Se la legge elettorale
rimane il porcellum, alle elezioni noi andremo con il centrodestra. Dialogo
con la maggioranza sì, ma nessuna frattura insanabile con la Casa
delle libertà". Anche perché sono tanti gli ostacoli sulla strada
impervia del centrosinistra: i mal di pancia di tante parti dell'Unione, a
cominciare da quelli di Dini; il modello spagnolo, che ha appunto diviso i
piccoli partiti dai grandi; il referendum sulla legge elettorale, che si
celebrerà a maggio o giugno. Su Dini la sensazione è che sia
l'apripista di ben altri sommovimenti. Se ne è accorto per primo il
quotidiano Europa di Stefano Menichini, la voce più vicina a quella
del vicepremier Francesco Rutelli. Sommovimenti che di fatto sanciscono la
fine dell'Unione, almeno nella versione prodiana. Succede quando metti
assieme cani e gatti. Prendiamo il welfare. Già mercoledì sera
il senatore ex di Rifondazione Franco Turigliatto denunciava il "colpo
mortale alla stabilizzazione dei precari stabilito con il protocollo sul
welfare", che pure a Dini non è mai piaciuto, ma per ragioni
opposte. Essere comunista o essere liberale, questo è da sempre il
problema di Prodi. Ma fin qui parliamo di singole personalità (o
quasi). Il problema diventa ancor più sentito se la faccenda investe
interi partiti, che già prima della Finanziaria si scannavano
sull'ipotesi di legge elettorale
proposta da Veltroni. Willer Bordon, a capo della neonata Unione democratica,
dice apertamente che "è meglio staccare la spina che il
Veltronellum". Cesare Salvi ribadisce che in Russia "c'è una
soglia di sbarramento del 7 per cento, ma almeno è chiara e non
mascherata come quella di Walter". Massimo D'Alema organizza con la sua
fondazione, la Italianieuropei, convegni bipartisan dai quali emerge un
modello diverso da quello veltroniano. Insomma, ognuno va per la sua strada.
Soprattutto Mastella. Lui, il Clemente nazionale, finora ha criticato
l'operato della maggioranza ma si è ben guardato dal far aprire la
crisi alla sua Udeur. Ma con la legge elettorale cambia tutto. A suo tempo diede a Prodi una
scadenza precisa: "Caro Romano" spiegò "piuttosto che
far passare il referendum elettorale,
faccio tornare il Paese alle urne". Oggi che il pallino ce l'ha in mano
Veltroni, la posizione non è cambiata. Anzi, è diventata ancora
più critica. Il leader dell'Udeur sospetta quello che sospettano
(quasi) tutti, Casini compreso, che anche per questo non alza i toni contro
il Cav di lotta e di postgoverno. Qual è il sospetto? Semplice: che il
sindaco di Roma abbia fatto la sua proposta sapendo che non passerà;
quindi potrà cavalcare "da vittima del sistema dei partiti"
(Mastella) il referendum; ottenuta la nuova legge elettorale per via
referendaria, a quel punto vorrebbe anche le elezioni politiche. Dato questo
calendario, si celebrerebbero più o meno nell'autunno 2008, dopo aver
assicurato al 30 per cento dell'attuale Parlamento il raggiungimento
dell'agognato vitalizio, il vero punto critico per la fine della legislatura.
E così Mastella ha riaperto un canale con Berlusconi (e viceversa).
Cosa si siano detti i due la settimana scorsa trapela soltanto come
ragionamento. In pratica, "Clemente" ha fatto notare
"all'amico Silvio" che stante il referendum
la più interessata a tornare alle urne è proprio l'Udeur. Ma
che il passaggio al centrodestra è prematuro. Però, dal punto
di vista di Forza Italia, si giustificherebbe con un atto politico forte: un
patto di desistenza che non vincolerebbe il Campanile al programma della Cdl.
Sarebbe il Mastella delle semilibertà. Fatto sta che con il
"Porcellum" e il Clemente desistente, in caso di voto Berlusconi
potrebbe vincere al Senato anche in almeno tre regioni finite al
centrosinistra nel 2006. E garantirsi così a Palazzo Madama una
maggioranza più sicura di quella che ha snervato Prodi, al netto dei
senatori a vita. Il Cavaliere ha blandito Mastella, nonostante gli alleati,
che in caso di accordo con l'Udeur non sarebbero propriamente contenti.
Così come sono già scontenti per il fiorire di partiti
satellite di Forza Italia, dalla Dca di Gianfranco Rotondi al Pdl di Michela
Vittoria Brambilla. Ma per rimediare alle "intemperanze degli
alleati", così le definisce in privato Berlusconi,
"c'è sempre tempo e modo". Il leader di Forza Italia ha
già in mente una sua "exit strategy" per le prossime
settimane. Prima la raccolta di 5 milioni di firme per chiedere di andare al
voto il prima possibile; poi, in caso di necessità, lo scavalco di
Casini e Fini sul dialogo con Veltroni; infine, sempre in caso di
necessità, la cavalcata verso il referendum.
Non a caso dal quartier generale del comitato referendario giunge notizia di
una cordiale telefonata del Cavaliere al coordinatore Mario Segni. Telefonata
arrivata dopo che Segni aveva bocciato Veltroni attraverso il quotidiano La
Stampa: "Walter ha sempre detto di ispirarsi a Kennedy", ha
accusato Segni "ma si sta comportando come un voltagabbana, si sta
rimangiando 15 anni di battaglie fatte con noi per il maggioritario e per il
sindaco d'Italia". E ancora: "Ha ragione Berlusconi, questa
è una proposta che riporta indietro l'Italia di 20 anni". Letta
l'intervista, il Cav ha pensato che un ringraziamento bisognava farlo, in
attesa degli eventi e di un via libera di Umberto Bossi, il capo leghista che
mentre i due Roberto, Calderoli e Maroni, aprivano alla possibilità di
dia logare con l'Unione, se n'è stato calmo e zitto. Del Senatur resta
l'ultima dichiarazione sul punto, quella del 23 ottobre:
"Siamo alla fine di un governo. Andiamo alle elezioni. Non c'è
più tempo per fare una riforma elettorale".
Gianfranco Fini ritiene invece che Berlusconi prima o poi approderà al
referendum, se ci si arriverà. "È troppo sveglio per
non cavalcarlo", ha spiegato ai suoi collaboratori il leader di Alleanza
nazionale. Che pure non ha ancora perdonato al Cavaliere di aver
sponsorizzato la nascita della Destra di Francesco Storace. Certo, i veleni
restano. Ma anche per Fini non è più tempo di fare le facce
troppo feroci, meglio aspettare il dopo-elezioni per riaprire le grandi
ferite. Esattamente come all'epoca tribolata della convivenza con Marco
Follini. Legge elettorale caos totale
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Opinione, L'" del 19-11-2007) Oggi è Lun,
19 Nov 2007 Edizione 251 del 19-11-2007 Al convegno voluto dalla fondazione
"Italianieuropei" mille tesi a confronto Legge elettorale
caos totale di Barbara Alessandrini Prove generali di dialogo sulla riforma
della legge elettorale.
Non, però, almeno al momento e presumibilmente fino al giorno della
caduta del governo Prodi, per il leader della Cdl Silvio Berlusconi. Che ieri
pomeriggio, al convegno organizzato dalla Fondazione Italiani-europei dal
titolo "Legge elettorale: una sfida per la
politica" ha fatto il convitato di pietra. Tenendo il punto sulla sua
posizione di chiusura alla modifica della legge che
regolamenta il voto, di cui ufficialmente Berlusconi ritiene giusto cambiare
solo "la parte che riguarda l'attribuzione del premio di maggioranza da
regionale a nazionale". Anche se, al di là dei tecnicismi che
inducono il Cavaliere a ricordare al centrosinistra il buon funzionamento
dell'attuale legge alla Camera e ad rimarcare che
" noi al Senato abbiamo vinto con 250mila voti in più e i signori
della sinistra riescono ad avere la maggioranza al Senato soltanto
appoggiandosi ai voti dei senatori a vita", il punto è ben altro.
Non concedere alla coalizione di maggioranza alcun margine di trattativa fino
a quando non avrà la testa di Romano Prodi. Questa la sostanza del
comportamento con cui Berlusconi ha replicato sia al leader del Pd Valter
Veltroni sia al ministro degli Esteri Massimo D'Alema sia a Palazzo Chigi
impegnati ad invitare il Cavaliere al dialogo sulle riforme. Anche il
vicepresidente del gruppo dell'Ulivo al Senato Nicola La Torre ha rinnovato
l'invito al Cavaliere. " Si puo' essere o meno d'accordo con l'azione del
governo, e su questo e' chiaro il nostro giudizio e' diverso da quello di
Berlusconi e della Cdl, ma che in Italia la riforma della legge
elettorale non sia più rinviabile è un
fatto incontrovertibile, sul quale Forza Italia farebbe bene a riflettere.
Ora si apre una nuova fase politica, una fase in cui il muro contro muro non
e' produttivo. Dobbiamo dialogare per varare una riforma della legge elettorale che sia il
piu'possibile condivisa". Ora, al di là dei calcoli politici,
Berlusconi, mantenendo la sua linea dura che gli impone di non gettarsi in
questa arena del confronto, rischia anche di avvalorare di fronte ai suoi
elettori quell'immagine di leader restio ai teatrini della politica. Dato che
la discussione sulla legge elettorale
ancora di nitido ha ben poco. Ad ognuno i suoi tatticismi. Le posizioni
emerse dalla convention di ieri pomeriggio sono a dir poco articolate e
l'impressione è che sebbene Veltroni abbia indicato nella sua ricetta
chiari principi di massima (stabilità al governo; proporzionale che
eviti la frammentazione senza il premio di maggioranza ma con un vero
bipolarismo programmatico e possibilità per i cittadini di scegliere
gli eletti o con liste ridotte o con collegi uninominali), ancora molta chiarezza debba essere fatta in materia di riforma
elettorale. Lo stesso professor Giovanni Sartori, un guru in materia,ha
bocciato la proposta Ceccanti- Vassallo elaborata per ricercare una
convergenza tra maggioranza e opposizione sulla riforma elettorale. Sartori ha infatti puntato il dito contro il cosiddetto
modello ispano-tedesco considerato "troppo furbo" poiché'
fonde due voti diversi: quello espresso con la proporzionale e quello
maggioritario. "Dichiaro di essere contro, senza se e senza ma -ha
spiegato il politologo - al premio di maggioranza. E' nefasto e lo
sconsiglio. Con il sistema parlamentare italiano, che prevede 20-25 partiti,
la coalizione che vince prende tutto e mette insieme cani e gatti, porci e
cani. Questo non va bene" . Stesse corde per quella che il Professore ha
definito " la miscela ibero-tedesca" che " mi lascia perplesso
plesso in quanto mi sembra che questo sistema sia più' spagnolo che
tedesco e si perde in meandri che pochi riescono a capire. Credo sia stato
escogitato per ragioni di furbizia, per aggirare la soglia di sbarramento che
molti partiti non vogliono". Di parere opposto il costituzionalista
Stefano Ceccanti, autore della proposta e convinto che " non c'è
maggioranza per arrivare ad una riforma elettorale
sul modello tedesco, che comunque nel contesto italiano porterebbe ad un
sistema peggiore di quello che potrebbe scaturire dal referendum.
"Italiaieuropei". Oltretutto " il tedesco puro -spiega
Ceccanti- ci porterebbe probabilmente alla grande coalizione A torto o a
ragione (io credo a ragione) anche settori significativi del Pd e della
maggioranza ritengono che un sistema cosi' fotografico come quello tedesco
potrebbe avere come conseguenza più probabile, nel nostro contesto,
una spinta verso la grande coalizione, con un nuovo blocco al centro della democrazia
senza alternative". Di fatto un richiamo ufficiale al ministro
dell'Interno Giuliano Amato che la scorsa estate ne parlò. E proprio a
parere di Amato non basta cambiare la legge elettorale se regolamenti parlamentari e "norme di
contorno" rimangono gli stessi. Tanto che secondo il ministro prima che
sulla legge elettorale e'
necessario intervenire prima su questi due aspetti al fine di consentire al
modello elettorale di contenere la frammentazione
parlamentare. Mentre ora i partiti si riuniscono nelle coalizioni e si
presentano agli elettori ma una volta giunti in Parlamento ognuno va per
conto proprio. Infine, "ora che siamo diventati grandi più grandi
-ha continuato ritengo sarebbe bene evitare il viagra del premio di
maggioranza". Convinto che "la vocazione del Pd è quella di
concorrere ad una nuova legge elettorale
che abbia il maggior consenso possibile e veda la convergenza con le forze
dell'opposizione" Francesco Rutelli, il cui cuore batterebbe per il
sistema francese, ha però proposto di adottare il sistema tedesco
"ma senza snaturarlo". Disponibilità al confronto è
stata espressa dal capogruppo di An Ignazio La Russa copnvinto che "per
arrivare presto alle elezioni la strada migliore passa attraverso una nuova legge elettorale". Ma con due
paletti: " il no alla frammentazione", e il fatto che per noi il
bipolarismo è una bandiera". Aspetto non secondario "senza
un reale premio di maggioranza il bipolarismo e' una scommessa: siamo pronti
ad ascoltare proposte, ma finora nessuna convincente
e' arrivata". E Maroni? "La Lega - ha detto il capogruppo alla
Camera del Carroccio ? è contro il Referendum a tutti i costi,
ribadisce l'intenzione di dialogare se il percorso è serio e non un
modo per tirare a campare ed è favorevole al sistema proporzionale,
all'indicazione del candidato premier prima delle elezioni come criteri per
il nuovo testo di legge". Ma nessun appoggio
per prolungare l'agonia dell'esecutivo. Allora, tutti d'accordo?. (continua dalla prima pagina) Roberto
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Gazzettino, Il" del 19-11-2007) (continua dalla
prima pagina)Roberto Maroni ha il mandato di un irritato Umberto Bossi a
trattare con la sinistra per modificare la legge elettorale e evitare il referendum.Quando
scoprirà le carte?"È una posizione che teniamo da tempo
quella di capire se la maggioranza sia disponibile a un'iniziativa seria sul
piano delle riforme; così come annunciato".In quel
caso..."Da un anno abbiamo aperto discussioni col ministro Chiti, ed
esponenti della maggioranza. Che hanno preso un impegno di fare una proposta
sul federalismo fiscale, sul Senato Federale e sulla legge elettorale".Tre cose che possono cambiare il volto di un
paese...."Soprattutto la legge elettorale è un tema di grande attualità. Perché se non si
fa nulla fra otto mesi ci sarà ci sarà un referendum".Disponibili a..."A certe condizioni. La prima: che
non si confonda l'azione di governo col Parlamento. Le riforme le fa
il Parlamento e questo non significa, ne può significare per noi, un
sostegno al Governo".Governo che..."Soprattutto su sicurezza,
immigrazione e tasse è quanto più distante ci sia dalla nostra
posizione. Ma quando abbiamo chiarito che non c'è alcun sostegno al
governo...".In quel momento?"Se Prodi va avanti fino al 2009: non
vedo perché in Parlamento non si possa discutere di riforme...".Lei che
dice?"Dopo il voto dell'altro ieri credo che quella che il governo resti
sia una possibilità molto concreta. Purtroppo...".E tutte 'ste
firme che Forza Italia raccoglie contro il governo quanto valgono?"Le
due cose sono distinte: per noi l'obiettivo è far cadere il governo;
ma se Prodi sta su fino al 2009 possiamo passare il tempo tutti giorni a
chiederne le dimissioni. Oppure...".Oppure?"Cercare di fare
qualcosa di buono in Parlamento. Se il Professore resta al governo - senza
aiutarlo - preferisco, francamente, se esiste una maggioranza, fare la
riforma federale".Bossi è apparso molto scorato nei confronti de
Berlusconi che prevedeva "spallate" a Prodi ogni due giorni.
È anche un sentimento diffuso nella Lega?"Molto, come quel
sentimento che dice: finora siamo stati buoni e tranquilli dietro Berlusconi.
Abbiamo assecondato la sua strategia, perché siamo stati leali. Però
adesso dovremo capire che posizione tenere visti i futuri
appuntamenti".Capire quanto rimane su il governo e che altro?"Che
ha mente Berlusconi... Come diceva Mao "c'è grande confusione e
quindi la situazione è eccellente". Si riaprono tutti i
giochi".Cosa pensa Berlusconi?"Di far cadere il governo. È
un sentimento diffuso ma non basta".Perché?"Perché come si è
visto - e questa è la novità vera di questi giorni - quelli che
Berlusconi pensava che avrebbero dovuto ribellarsi per far cadere Prodi in
realtà avevano in mente un'altra cosa".Del tipo?"Dini,
Manzione...hanno in mente non di far cadere Prodi e di andare a votare
bensì di farlo cadere. E far nascere un governo, ma
istituzionale".Magari con loro alla guida?"Esattamente. È
per questo che non l'hanno fatto cadere adesso. Se Prodi cade ora si fa a
votare. Se cade a febbraio non c'è più tempo per andare a
votare e allora si dà vita ad un governo dei lobbisti".Vi
piacerebbe?"Per noi sarebbe peggio del governo Prodi!. Non ci stiamo a
fare il gioco di chi vuole mandare al governo gente che nessuno ha votato,
nessuno ha eletto. Il governo dei lobbisti, il governo tecnico sono la
negazione della democrazia".Federalismo fiscale, senato federale e legge elettorale: mica direte
solo si o no?"Non partiamo da zero: ci sono già numerose proposte sulla legge elettorale; e per il Senato Federale siamo già alla
discussione in aula dopo averla discussa in commissione alla Camera. Siamo
già avanti. Per il federalismo fiscale c'è la proposta
approvata dal governo in agosto: è già in commissione. Ci sono proposte del governo e nostre: bisogna capire se esistano
condizioni per discutere, approvandole".Strade più
concrete?"Sì, anche c'è molta ideologia diffusa e molto
personalismo. elementi che nuocciono all'approccio concreto che ha la Lega:
non siamo ideologici. Vogliamo affrontare e risolvere i problemi con molto
pragmatismo: ciò che serve al Nord va bene. Se non serve non va bene.
A prescindere da chi offre sostegno".Stop al muro contro muro?"Noi
siamo l'ancoraggio al pragmatismo, speriamo che finisca tutto quello che
radicalizza i problemi".Lei con chi parla dell'Unione?"Ce ne sono
tanti di uomini che possono guidare queste trasformazioni. Si tratta di
capire se ci siano confluenze politiche di là dei
singoli".Concretamente?"Spesso col presidente della Camera
Bertinotti che pure appartiene ad un partito ideologico. Ma essendo lui del
Nord si rende conto che il Federalismo serve. È persona assai
ragionevole come ce ne sono tante nell'Unione".Lo scenario dentro la
Cdl?"Mi pare semplice: se, come credo il Governo non cade sulla
Finanziaria allora è evidente che resterà fino al 2009. Questi
18 mesi davanti dovrebbero tutti, primo Berlusconi, a dire: mettiamoci
d'accordo per il Senato federale e la Legge elettorale".Fiducioso?"Dubito
perché i pasdaran di tutti i partiti si impegnerebbero solo a impedire le
riforme, non a far cader il governo. E ci sono le questioni interne ai
partiti...".Casini. Fini- Come stanno le cose nella Cdl?"Anche qui
ci sono difficoltà, però non è un problema nostro. Prima
o poi, se non cade Prodi, si chiarirà la strategia. Ma credo quella
del confronto la più utile".Il 16 la Lega manifesta."Per la
sicurezza che è emergenza vera al Nord: denunceremo
l'incapacità del governo. Un recente sondaggio di Mannheimer dice che
il 51\% di italiani è favorevole alle ronde: controllo e presidio del
territorio l'abbiamo inventato noi. Poi il federalismo".Se cadesse il
governo?"Subito alle elezioni e non vedo negativamente la legge elettorale
vigente."Torniamo all'Unione."Sentirò Veltroni che mi aveva
già chiesto incontro, ma abbiamo atteso in vista finanziaria. Ci
vedremo la settimana".Casini e Fini?"Ci sentiamo tutti i giorni. Ma
lei sa che a noi non interessa la leadership della Cdl...".Adriano
Favaro. "RAI..fondazione" o
"Ri..affondazione"? (sezione: Riforma elettorale)
(
da "AprileOnline.info" del
19-11-2007) Gianni Rossi, 19
novembre 2007 Politica Siamo ormai all'emergenza istituzionale e aziendale
per Viale Mazzini. Il rischio è che, continuando con le battaglie
legali o lasciando questo tema, fondamentale per le sorti della democrazia e
per la formazione dell'opinione pubblica, subito dopo una nuova tornata elettorale, se vincesse il centro-destra, Berlusconi
resterà così il proprietario dell'interruttore unico mediatico.
Intervista a Giuseppe Giulietti, parlamentare Ulivo e portavoce Articolo 21
Dopo la sentenza del TAR del Lazio sulla RAI, che ha dato ragione in parte al
consigliere Angelo Maria Petroni, espressione di Forza Italia, c'è ora
il rischio che la "questione RAI" venga gestita con metodi e rimedi
che già nel recente passato hanno procurato la crisi cui assistiamo.
La "questione RAI", invece è un'emergenza politica di grande
rilevanza, come la riforma elettorale e il conflitto
di interessi. L'eventualità di non prendere una soluzione immediata,
legandola invece alla nuova stagione di riforme, che da sinistra e da destra
si invoca, è concreta. I danni immediati sarebbero incalcolabili, sia
per il sistema democratico, sia per il futuro industriale del Servizio
pubblico. Per queste ragioni Articolo 21 lancia un appello alle forze del
centro-sinistra, ma anche a quei settori del centro-destra che in questi
ultimi giorni sembrano aver intrapreso una via di marcamento dalle sorti
iconoclastiche del "padre-padrone" dell'opposizione. Silvio
Berlusconi: aprire un dialogo concreto sulla riforma della
"governance" RAI, così come proposta dalla legge del ministro Gentiloni, arrivando ad una sua rapida
approvazione; opporsi a qualsiasi escamotage che utilizzi l'attuale fonte di
nomina, così come prevista dalla scellerata legge
Gasparri; mettere in grado il vertice di Viale Mazzini di proseguire
nell'attuazione del Pian o industriale e del Piano editoriale, senza che la
Commissione di Vigilanza si erga a vero e proprio "contro-CDA" del
Servizio pubblico. Come proposta di lavoro, mi sembra
piuttosto impegnativa... Bisogna finirla di fare finta che si possa
scorporare la questione della RAI dal più generale tema della legge elettorale e dell'assetto dei media. In che senso? Milioni e milioni di
italiani,tra le altre ragioni per le quali ci hanno dato il voto, vi
era anche la necessità di superare la legge elettorale "porcata", ma anche di cancellare
quelle altre autentiche "leggi porcate", rappresentate dal
conflitto di interessi e dalla legge Gasparri, che
ha sancito il controllo integrale da parte dei governi e dei partiti sulla
RAI. Se, per disgrazia, si dovesse tornare al voto tra qualche mese anche con
una nuova legge elettorale,
e la destra berlusconiana dovesse tornare a vincere, senza colpo ferire e
senza dover abrogare alcunché, riassumerà il controllo integrale del
sistema radio-televisivo. Noi torneremo a fare i cortei ( sempre meno
credibili) , l'Europa si indignerà e Berlusconi se la riderà!
Non ci sarà nemmeno bisogno di un altro editto bulgaro, nemmeno dalla
sua villa Certosa in Sardegna! Basterà che il "portatore sano di
conflitto di interessi", Berlusconi, applichi le norme attuali, che sono
le stesse approvate durante il suo passato governo, e le medesime che hanno
suscitato scandalo in tutto mondo liberale. Se non si cambia questo sistema,
Berlusconi resterà così il proprietario dell'interruttore unico
mediatico. Uno scenario a tinte fosche, dunque. Ma cosa proponi di fare? E'
quindi necessario che questo tema generale del sistema dei media, e non solo
la RAI, entri finalmente nelle priorità del governo e della
maggioranza. Che sia considerato un argomento di prima grandezza e che sia
connesso alle modalità dell'esercizio del voto, come avviene in
qualsiasi altro paese civile occidentale. E' assolutamente necessaria una
riunione della maggioranza ai più altri livelli su questi argomenti,
per costruire il più largo e convinto schieramento a favore della
riforma Gentiloni. E una maggioranza più solida e compatta
potrà dialogare positivamente anche con l'opposizione. Attualmente
vedo in giro troppi trasversalismi deteriori. Troppi interessi particolari
che tendono a prevalere su quelli generali. Dopo la sentenza del TAR allora
cosa dovrebbe cambiare per la RAI? Intanto, mi auguro che un giorno qualcuno
voglia spiegarci le ragioni per le quali si è deciso di procedere in
quel modo e nei confronti del solo consigliere Petroni e, scartando invece la
strada di procedere contro i 5 consiglieri che, nominando Meocci a Direttore
generale, avevano provocato un gravissimo danno patrimoniale. C'è
qualcosa in questa vicenda che non mi ha mai convinto, che resta
misteriosa... Penso che in questo momento la priorità non possa essere
data alla battaglia in tribunale, ma alla necessità di assicurare
subito una nuova fonte di nomina all'interesse del Servizio pubblico. Per
quanto ci riguarda, come Articolo 21 daremo un nostro appoggio, a cominciare
dalla proposta di legge Gentiloni, ma solo e
soltanto ad una legge che in modo chiaro ed
inequivocabile metterà fine all'attuale metodo, metterà alla
porta qualsiasi governo e ridurrà drasticamente l'interferenza dei
singoli partiti nella gestione del CDA e dell'azienda RAI. Ci sembra inoltre
che non sia più tollerabile per la stessa azienda e la sua
sopravvivenza che esistano due Consigli di amministrazione, con la stessa
uguale fonte di nomina: uno a Viale Mazzini e un'altra, la Commissione di
vigilanza, a via San Macuto. E' del tutto evidente che uno dei due organismi,
in questa condizione, è assolutamente superfluo e vada abrogato. Dal
momento che questo CDA, comunque, è arrivato alla sua scadenza
naturale, e che non è neppure ipotizzabile che si possa utilizzare la
Gasparri a parti invertite, è del tutto evidente che le decisioni e i
provvedimenti conseguenti debbono essere assunti nei prossimi giorni. Senza
dimenticarsi che la televisione pubblica è dei cittadini che pagano il
canone e che pretenderebbero di vedere dei cambiamenti attraverso l'audio e
il video, nel segno della qualità, dello stile, della fantasia e
dell'innovazione alta verso la produzione. In queste condizioni, invece, mi
sembra difficile che un'azienda così complessa possa approvare Piano
industriale e Piano editoriale e dare segnali forti di cambiamento ai propri
abbonati. Giovanni Minoli ha parlato nei giorni scorsi di una
necessità di una "RAIfondazione"... Ho la sensazione che
siamo alla vigilia di una "Riaffondazione" del Servizio pubblico, a
tutto vantaggio dei soliti noti, anzi del notissimo e solitissimo
padre-padrone dell'opposizione. Berlusconi pronto a incontrare Veltroni: <Riforma elettorale e poi il voto> (sezione: Riforma elettorale)(
da "Sole 24 Ore Online, Il" del 19-11-2007)
Berlusconi pronto a
incontrare Veltroni: "Riforma elettorale e poi
il voto". commenti - | | 19 novembre 2007 ANALISI No di Fini a
Berlusconi: An non confluirà nel Partito del Popolo ANALISI L'idea
ambiziosa del Cavaliere di Stefano Folli Berlusconi fonda nuovo partito Riforma elettorale, la proposta Veltroni Sondaggio/ Il
nuovo partito di Berlusconi Processo Mediaset: per Berlusconi prescritta
l'accusa di falso in bilancio Nel corso della conferenza stampa a Roma di
presentazione del suo nuovo partito, Silvio Berlusconi si dice pronto ad
incontrare il leader del Pd, Walter Veltroni. E fa sapere che la riforma elettorale si può fare con questo governo. Ma la
sua apertura al dialogo riguarda solo ed esclusivamente la riforma della legge elettorale. Subito dopo, ha
detto Berlusconi, si deve andare al voto. "Solo se c'è l'assicurazione che dopo l'approvazione di questa nuova legge elettorale si va al voto", c'è la sua disponibilità.
Per quanto riguarda invece la riforma istituzionale per Berlusconi se ne
dovrà occupare il nuovo parlamento. Il nuovo partito guidato da Silvio
Berlusconi si chiamerà "Popolo delle libertà o Partito
delle libertà". Lo ha detto il leader di Forza Italia nel
corso della conferenza stampa a Roma, al Tempio di Adriano. Il nome, ha
aggiunto Berlusconi, "sarà scelto da un assemblea di
cittadini". Il simbolo, però, sembra già pronto: un
contrassegno tondo di sfondo verde con in basso a destra i colori della
bandiera italiana e la scritta in blu, in grande e in stampatello, "Il
popolo della libertà". Berlusconi ha detto che il nuovo partito
"sarà il corrispondente dell'European people party, perché noi
siamo parte della famiglia della libertà in Europa". "Non
possiamo deludere e disperdere la forza di 10 milioni di cittadini", ha
proseguito Berlusconi, riferendosi alle firme raccolte da Forza Italia in
tutta la penisola nelle giornate di venerdì, sabato e domenica per
chiedere il ritorno alle urne. "È nostra intenzione che il nuovo
partito nasca non come una fusione a freddo, come il Pd, ma dal basso, dalla
gente - ha commentato Berlusconi - Per questo, nel prossimo week-end ci
saranno ancora gli stessi gazebo per raccogliere le adesioni al nuovo
partito". Berlusconi: Prodi faccia proporzionale, poi si voti
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Reuters Italia" del 19-11-2007) 7.25 Versione per
stampa ROMA (Reuters) - Silvio Berlusconi, annunciando oggi la nascita del
suo nuovo partito, ha proposto che il governo Prodi faccia
in tempi rapidi una nuova riforma elettorale in
senso proporzionale con soglie di sbarramento e che poi si vada al voto. Dopo
l'annuncio di ieri, quella di oggi è apparsa come il compimento di una
vera e propria virata nella politica del leader di Forza Italia che,
come chiedevano i suoi alleati, non insiste più sulla caduta del
governo Prodi ma anzi chiede all'attuale governo ("non è nelle
possibilità delle opposizioni di far cadere un governo") di
approvare in tempi brevi una riforma elettorale alla
tedesca. "Non difendiamo più l'attuale legge
elettorale [...]. Alla fine mi sono dovuto rendere
conto che il bipolarismo non è qualcosa che può funzionare per
il governo del nostro Paese. Da qui la scelta di un sistema proporzionale
puro con uno sbarramento che possa evitare il frazionamento", ha detto
Berlusconi. Secca anche la bocciatura di un governo istituzionale, proposta
avanzata da Lamberto Dini nei giorni scorsi, per fare le riforme
istituzionali, riforma elettorale inclusa: "Con
questo governo si può fare benissimo", ed ha anche detto di
"non avere mai parlato di far cadere il governo perché non è
nelle possibilità delle opposizioni di far cadere il governo".
Per il nuovo partito partecipare a questo processo di riforma elettorale avrà come unica condizione
"l'assicurazione che una volta approvata la legge
elettorale si vada subito al voto". Berlusconi
è stato molto duro con i suoi attuali alleati, ed ha avuto parole di
ringraziamento solo per il leader della Lega Umberto Bossi, con il quale ha
detto di avere parlato oggi. Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini non li
ha mai citati direttamente ("non si risponde alle piccole polemiche del
momento", ha risposto a chi gli chiedeva un commento alle critiche
ricevute dai due alleati). Circa il nuovo partito, che si dovrebbe chiamare
Il popolo delle libertà -- come mostrava il simbolo mostrato alle
spalle di Berlusconi nel corso della conferenza stampa --, ha detto che
sarà formato nei prossimi tempi e che "avrà regole strette
di democrazia: sono il primo a mettere a disposizione la mia
responsabilità", lasciando intendere quindi di pensare che
passeranno almeno alcuni mesi prima delle prossime elezioni. Il nome ed il
simbolo del partito saranno decisi democraticamente: "Non c'è
altra via per assumere la rappresentanza che passare da assemblee ed elezioni
interne e le porte saranno aperte a tutti". BERLUSCONI: DIALOGO, SOLO RIFORMA ELETTORALE E POI
VOTO (sezione: Riforma
elettorale)
(
da "Wall Street Italia" del
19-11-2007) Berlusconi:
dialogo, solo riforma elettorale e poi voto di ANSA
Disposto a incontrare Veltroni, punta a proporzionale puro -->(ANSA) -
ROMA, 19 NOV - Berlusconi fa sapere che la sua apertura al dialogo riguarda solo
la riforma della legge elettorale,
subito dopo si deve andare al voto. Per quanto riguarda la riforma
istituzionale per Berlusconi se ne dovra' occupare il nuovo parlamento. In
questo senso, ha detto di essere disponibile 'nell'immediato ad un incontro a
questo fine' con Veltroni su una proposta di riforma elettorale
ed ha parlato di 'proporzionale puro con sbarramento'. Con una precisazione:
Il bipolarismo 'oggi in Italia, con queste forze politiche, con queste
individualita', non e' piu' possibile'. Anche se, ha ammesso, le riforme 'si
possono fare benissimo anche con questo governo'. L'ex premier si e' poi
soffermato sulla nuova formazione: si chiamera' 'Popolo della liberta'' o
'Partito della liberta'', lo decidera' un'assemblea, e sara' il corrispondente
dell'European people party. Qualunque sia il nome, il nuovo partito non
nascera' 'come una fusione a freddo, come il Pd, ma dal basso, dalla gente.
Per questo, nel prossimo week-end ci saranno ancora gli stessi gazebo per
raccogliere le adesioni'. Berlusconi comincera' un tour in tutta Italia. Agli
alleati lancia un appello a confluire poiche' 'il programma e' chiaro, quello
dei nostri 5 anni di governo'.(ANSA). Riforme/ Palazzo Chigi: positive le disponibilità al dialogo (sezione: Riforma elettorale)(
da "Affari Italiani (Online)" del
19-11-2007) Argomenti: Esempi esteri Lunedí 19.11.2007
19:12 --> "Sulle riforme si è già lavorato in
Parlamento. Il dialogo, ad esempio sulle riforme istituzionali alla Camera,
c'è stato e va rilanciato. Ci sono già forze di opposizione che
hanno dato il loro assenso al dialogo. Se, per ultime, arrivano ulteriori
disponibilità a dialogare, le accogliamo in modo favorevole". Lo
affermano fonti di Palazzo Chigi sulla posizione del partito di Silvio
Berlusconi. I giornalisti sottolineano che Berlusconi sarebbe disponibile a
dialogare sulla legge elettorale a patto di andare
subito dopo al voto... "Il dialogo - commentano le stesse fonti di
palazzo Chigi - non può avere dei però...". Alla domanda
se il Governo sia favorevole ad un sistema elettorale
di tipo tedesco, le fonti di palazzo Chigi replicano: "Il Governo non
parla di sistemi elettorali". D'ALEMA: SEMPRE STATO FAVOREVOLE AL
SISTEMA TEDESCO. Alla richiesta di un commento sulla nascita a destra del
Partito del popolo della libertà, il ministro degli Esteri, Massimo
D'Alema, ha risposto che si tratta di una "una situazione complessa che
va studiata prima di fare dichiarazioni troppo affrettate". Poi,
però, a chi gli chiede se tutto questo non lasci intravedere la fine
del maggioritario, D'Alema ricorda "di non essere
mai stato contrario ad una riforma del sistema elettorale basata sull'impianto tedesco". Il ministro degli Esteri
dice di averne parlato ancora di recente in un convegno, dove "Fabrizio
Cicchitto (vicecoordinatore di Forza Italia, ndr) ha detto che non se ne
parlava nemmeno. Dopo pochi minuti - ha scandito Massimo D'Alema -
è stato smentito da Berlusconi. Ma questo è un problema
loro". -->. Nel 2008 si rinnova il Consiglio con la riforma varata ad agosto (sezione: Riforma elettorale)(
da "Stampa, La" del 20-11-2007) Sfiducia
costruttiva e "quote rosa" al 20% La novità prevede anche il
doppio turno Nel 2008 si rinnova il Consiglio con la riforma varata ad agosto
Tutto come è oggi: i referendum sulla riforma
elettorale non hanno raggiunto il quorum, quindi
nella primavera del 2008 i cittadini andranno a votare per il rinnovo del
Consiglio regionale secondo il sistema che è stato riformato ad agosto
con un'ampia maggioranza, 30 "Sì" su 35 consiglieri. Secondo
le leggi in vigore il sistema resta proporzionale, così come il numero
degli amministratori pubblici che siederanno nell'assemblea di piazza
Deffeyes: 35. Ciò che cambia rispetto al 2003 è che è
previsto un doppio turno di votazione qualora nessuna lista raggiunga i 18
seggi, oppure superi il 50 per cento dei voti validi. Se la maggioranza non
viene raggiunta, ma viene superata la soglia del 50% allora scatta il premio
dei 21 seggi. Premio che scende a 18 per chi vince al secondo turno. L'altra
novità è rappresentata dalla possibilità delle
coalizioni. Le preferenze, invece, restano invariate: ogni elettore può
esprimere tre preferenze (la proposta referendaria ne
indicava soltanto una). Al contrario di quanto indicato dai referendum il governo regionale viene eletto dal Consiglio fra i 35
consiglieri. La riforma di agosto ha poi introdotto la sfiducia costruttiva,
la possibilità cioè di cambiare l'intero governo senza
interrompere la legislatura e andare al voto anticipato. Per farlo
però ci vuole un governo alternativo che abbia i voti e che presenti
al Consiglio l'intera giunta con un programma dettagliato. La proposta
referendaria divideva governo da Consiglio che condividevano però
l'identico destino in caso di presidente sfiduciato. Si doveva cioè
tornare alle urne. L'ultima novità della riforma in vigore è
quella delle "quote rosa": ogni lista ha un limite minimo del 20
per cento. Il referendum chiedeva fosse il 33.\. Politici ancora in trincea Caveri: "Esco
rafforzato" (sezione: Riforma elettorale)
(
da "Stampa, La" del 20-11-2007) REFERENDUM.NON SI
PLACA LO SCONTRO Nuovo ospedale Politici ancora in trincea Caveri: "Esco
rafforzato" Il presidente annuncia "La legge
va migliorata ma non lo faremo in questa legislatura" Ipotesi bocciata
dagli elettori [FIRMA]ENRICO MARTINET AOSTA E adesso? Scivoleranno ancora
veleni a inquinare politica e società? I referendum
naufragano, gli elettori non rispondono. I cittadini non vogliono fare i
legislatori. Ma c'è chi avverte "non è stato compreso il
valore del referendum propositivo". Le
barricate, le accuse di attacco alla democrazia, il "Non voto", gli
ammiccamenti perfino ad una possibile rivoluzione pacifica, a un
capovolgimento del sistema, tutto spazzato? Pare di no. Elio Riccarand, uno
degli sconfitti, "padre" della legge sui referendum varati dal Consiglio, e sulle proposte referendarie: "Ci speravamo e invece niente
rivoluzione". Lo dice sorridendo. Aggiunge: "Forse era troppo
chiederla, non c'è una domanda di cambiamento così profonda.
Occasione sprecata, deviata dal ''non voto'' che ha condizionato la vicenda
impedendo un confronto democratico". Paolo Louvin, leader di Vallée
d'Aoste Vive, ricorda l'aprile di vittoria alle politiche: "Rispetto ad
allora c'è di mezzo la segretezza del voto. Ora non c'è stata,
battaglia impari. Il controllo, sempre il controllo, non se ne esce. Contro
chi gioca a carte truccate non c'è niente da fare. Finché tutto
è basato su piccoli o grandi privilegi il cambiamento è
difficile, lento". No, non c'è pace. Ancora trincee. Il fronte
dei vincitori sostiene che la democrazia non è mai stata in pericolo,
quello degli sconfitti insiste nel dire il contrario. E così i
cittadini non sono riusciti a comprendere i contenuti delle leggi
referendarie per poterle bocciare o approvare. E' sembrato uno scontro quasi
ideologico, una sorta di rivincita di quell'aprile. Il presidente della
Regione Luciano Caveri è sceso in campo più di una volta, ha
scritto e parlato del perché non si doveva votare. Convinto e, visti i
risultati, convincente. Ora dice: "Provo una grande soddisfazione e vivo
lo stupore per i trionfalismi di chi è stato sconfitto dalle urne.
Dopo le politiche ho detto con chiarezza ''hanno vinto gli altri''. Invece
adesso la sconfitta ha paternità incerte, il bimbo referendario
è in cerca di un padre che non si trova". Annuncio di
"guerra" per il Consiglio regionale di domani: "All'assemblea
farò il punto politico, parlerò del fenomeno di causa-effetto.
Tra i referendari c'era chi intendeva questo voto come la cacciata del
governo Caveri. Se guardiamo i risultati, posso dire non soltanto che questa
strategia è stata sconfitta, ma che il mio governo esce rafforzato dal
referendum. Sono più forte di prima".
Aggiunge: "Fossi Raimondo Donzel, segretario del Pd appena formato...
Beh, mi guarderei per bene allo specchio". E non evita la battuta caustica:
"I referendari hanno chiuso la campagna offrendo una castagnata, in
realtà la castagnata gliel'hanno data gli elettori". Se questo
è l'annuncio politico, in Consiglio ci sarà battaglia.
Riccarand dice "noi non molliamo" e ricorda come "il giochino del
non voto sia stato meschino, sleale". Spiega: "Ho sentito
dichiarazioni dei leader del Leone che parlano di Union valdôtaine ritornata
al centro. Come? Non partecipando? Troppo comodo. Posso ricordare che se non
ci fossero state le proposte referendarie nulla, ma
proprio nulla del sistema elettorale sarebbe
cambiato? Invece c'è stata la riforma che qualcosa ha migliorato. Sono
state introdotte le quote rosa e si faranno le coalizioni. Questi sono
risultati, sono strumenti di democrazia, piccoli passi, ma ci sono. E adesso
dobbiamo stare attenti che i referendum propositivi
non vengano cancellati. Certo non accadrà in questa legislatura, ma
sarà al centro della prossima. Lo sappiamo, l'ha detto con chiarezza
il presidente Caveri". Il presidente: "La legge
c'è e ce la teniamo. E' da rendere più razionale, ma non in
questa legislatura. La logica è la tutela della democrazia
rappresentativa. Fatto così il referendum non
ha alcun significato, sarebbe stato molto più logico proporre agli
elettori la soluzione A, quella referendaria, e quella B,
cioè le riforme del Consiglio. Il meccanismo del referendum propositivo è sbilenco, una legge di
iniziativa popolare che diventa legge senza
passare per il Consiglio non si è mai vista al mondo".La proposta
referendaria sul nuovo ospedale è quella che ha avuto meno consensi.
Lo scarto è minimo per la percentuale dei votanti, ma è
significativo il 36,44% di "No". Segno che costruire un nuovo
ospedale è stato giudicato sbagliato. La Regione ha già
approvato l'ipotesi dell'ampliamento ad Est. La Cgil insiste: "Non
è possibile. Non vedremo mai quell'ampliamento. E' un progetto
folle". Il segretario Claudio Viale aggiunge: "Non pensavo che il referendum fosse ammesso, tuttavia, voti o non voti, la
proposta di legge è servita per aprire un
dialogo che mai c'è stato". L'ultima metamorfosi - (segue dalla prima pagina)
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Repubblica, La" del 20-11-2007) Commenti L'ULTIMA
METAMORFOSI Il fondatore di Forza Italia scioglie il partito in un giorno
solo, senza congressi, dibattiti e altre democratiche perdite di tempo e ne
fa uno nuovo (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Chiusa la conta sulla cifra tonda,
Berlusconi ha smesso i panni dell'agitatore di piazza e si è messo in
fila per trattare con Walter Veltroni. Anzi, da buon italiano, arrivando per
ultimo ha sorpassato chi in fila era già da tempo, Fini e Casini. E'
lui da oggi il primo interlocutore del leader democratico per la riforma
della legge elettorale.
L'ennesima trasformazione di Berlusconi non ha nulla di strabiliante. Se non
forse la rapidità nel cambiare marchio, strategia, opinioni, per
giunta indossando lo stesso completo da trent'anni. Il "padre del
bipolarismo italiano", come lo celebrava Ferrara, da oggi è per
il proporzionale. Il fondatore di Forza Italia scioglie il partito in un
giorno solo, senza congressi, dibattiti, lacrimucce e altre democratiche
perdite di tempo, e ne inaugura uno nuovo, "il Partito della Libertà,
anzi il Popolo della Libertà", o come si chiamerà. Il nome
della cosa in effetti conta meno della proprietà, che rimane la
stessa. E' questione di marketing. L'uomo che aveva promesso di distruggere
la sinistra, sfascia la destra e fa rottamare in fretta il suo contenitore,
la Casa della Libertà, in vista di una nuova stagione, improntata al
"dialogo, al rispetto reciproco, al senso di
responsabilità". Spallate al governo? "Mai parlato di
spallate". Una mossa abile. Del genere che, praticato da altri, viene
bollato come "politica politicante". Oppure storicamente irriso
("contrordine, compagni"). Berlusconi, fallita la spallata, temeva
che Fini e Casini potessero accordarsi con Veltroni alle sue spalle. E magari
non soltanto quei due, ma anche Bossi, in cambio di un qualche regalo
federalista. Si è rassicurato con una telefonata al leader leghista,
ed è partito per la svolta. Per sedersi al tavolo della trattativa
aveva bisogno della prova di forza, i gazebo, le firme, la piazza. Il cambio
repentino di strategia dal braccio di ferro al dialogo rientra in una logica
aziendale. Il gruppo ha troppi interessi al sole per permettersi il lusso di
sfidare le vituperate manovre dei politicanti e finire tagliato fuori da
alleanze trasversali. Non si sa mai. Si comincia con la legge
elettorale ma si può finire a discutere la
riforma televisiva. Sono vent'anni che il gruppo Berlusconi riesce alla fine
a mettersi d'accordo con qualsiasi maggioranza al potere, purché non si
tocchino le faccende essenziali (televisioni, pubblicità). Dall'attuale
governo, da questo punto di vista, non sembrano arrivare minacce. In
più, Berlusconi può offrire a Veltroni una serie di offerte
speciali. Comanda il partito più consistente, senza il quale è
complicato varare una riforma elettorale. E condivide
con Veltroni il vantaggio di poter giocare su due tavoli, quello delle
riforme e quello del referendum. Se vincessero i
quesiti referendari il premio di maggioranza andrebbe tutto o al Partito
Democratico o all'ex Forza Italia. E' vero che pretende in cambio molto e
forse troppo. Per esempio la data delle elezioni anticipate, meglio se in
pochi mesi. Ma è un'altra strategia aziendale. Chiedere cento per
ottenere la metà, ovvero le elezioni nella primavera 2009. Tutto
torna, insomma. E torna Berlusconi, come sempre. Ma stavolta forse la mossa
non è del tutto azzeccata. Agli occhi del famoso popolo della destra,
il grande leader conferma d'aver smarrito l'iniziativa originale, il colpo
spiazzante, il carisma magico. E' costretto a inseguire l'uomo del momento,
Veltroni, scimmiotta la nascita del Partito Democratico, si accoda alle
riforme proposte dal rivale. Non è più
al centro della scena. Per sua fortuna, le telecamere che la riprendono sono
ancora le sue. Riforma elettorale, la resa di Berlusconi Alla fine si rassegna al dialogo: Proporzionale puro, ma subito dopo alle urne (sezione: Riforma elettorale)(
da "Unita, L'" del 20-11-2007) Stai consultando l'edizione del Riforma elettorale, la resa di
Berlusconi Alla fine si rassegna al dialogo: "Proporzionale puro, ma
subito dopo alle urne" di Natalia Lombardo / Roma LA STRAMBATA In
quarant'otto ore Silvio Berlusconi azzera FI e pure la Cdl nel partito del
"Popolo delle libertà" copiando il Pd e liberandosi di Fini
e Casini. E si dice pronto a dialogare con Veltroni ma solo sul
"proporzionale puro" con sbarramento al 7%, un soglia così
alta che sbaraglia i piccoli partiti (per la Lega un salvagente
territoriale). Fatta la legge "tornare a votare
subito", è la nuova strategia di Berlusconi che ora tradisce il
"porcellum": non difendiamo più la vigente legge elettorale. Siamo per un
proporzionale puro - applauso - con uno sbarramento che eviti il
frazionamento dei partiti". Niente esecutivi istituzionali, la legge elettorale "con questo
governo si può fare benissimo". Meglio ancora dialogare con
Veltroni: "Ho intenzione di rendermi disponibile nell'immediato ad un
incontro a questo fine". Dialogo sì, ma con uno sbarramento: no
alle riforme costituzionali, il governo durerebbe almeno fino al 2009. Dopo
l'annuncio suggellato dal bacio alla rossa Brambilla, ieri Silvio Berlusconi
ha formalizzato la nascita del nuovo partito nello stesso posto in cui Walter
Veltroni ha celebrato le primarie: il tempio di Adriano a piazza di Pietra,
sede della Confcommercio. "Ci copia", ha commentato il segretario
del Pd domenica, e in effetti così appare: l'ex premier ha trasformato
in primarie per sé gli "8 milioni di firme, 10 con quelle raccolte dai
Circoli" di Michela Brambilla e di Dell'Utri (rivali accorpati
d'ufficio). Il nome non è deciso ma basta aggiungere una
"elle" al Pd: si chiamerà o "il popolo delle
libertà o il partito delle libertà", lascia in sospeso il
cavaliere. Ma la sigla è uguale: Pdl. Addio bipolarismo, stavolta con
la benedizione di Giuliano Ferrara. Addio CdL, Avanti tutta col Pdl. Con chi?
"Con tutti, a partire dagli alleati" (che hanno detto di no),
Regole "strette della democrazia", decisioni a maggioranza, organi
eletti e primarie per i vertici. Ci sono volute ben due telefonate per
placare l'ira di Umberto Bossi (che lo accusava pure di "svendersi per
salvare le proprie tv"). "La Lega ha la sua autonomia e avrà
con noi lo stesso rapporto di prima", assicura Berlusconi. Ma ha dovuto
promettere al Senatur di cambiare legge elettorale per evitare il referendum.
Eppure la prospettiva dei "due grandi partiti, uno di qua e uno di
là", indicata dall'ex premier (e da Prodi), si avvicina all'esito
del referendum. Il Pdl nasce nella famiglia
dell'"European people party" (fa più scena di Ppe);
"nasce dal basso e non è un fusione fredda tra vertici come il
Pd", azzarda. Infatti è nato solo da lui... Silvio, che fa
balenare il passo indietro: "Sono il primo a rimettere a disposizione il
mio ruolo". Non senza aver fatto il "giro d'Italia" per
promuovere il Pdl. Niente battute, tono (solo quello) da statista e da
condottiero ("ci sono appuntamenti della storia che non si possono
mancare"), Berlusconi torna alla "scesa in campo" del '94 per
fare fuori la Cdl dei "veti, i giochetti, i compromessi della politica
italiana". Non ha più convocato vertici "per le troppe
divisioni", ammette. Fini e Casini, anche loro "parrucconi"?
"I mestieranti della politica che vivono nel Palazzo. Io invece capisco
la gente". Sulla quale si tuffa in un comizio volante ma preparato.
Arriva a piedi a Palazzo Grazioli, "i sondaggi sono ottimisti",
dice "senza rimpianti". Secondo Bonaiuti a convincere Berlusconi
alla "strambata" sono stati i fischi lanciati a Fabrizio Cicchitto
dalla platea di An riunita ad Assisi (proprio i berluscones Gasparri e La
Russa) domenica. Quando Fini ha fatto un ultimatum: "O si cambia oppure
ognuno per sé"; Casini lo aveva già bacchettato ma ieri coglie
con favore "l'uscita dallo stallo". Stufo, Silvio come sempre ha
fatto "tana" tagliando fuori i due prima che potessero dire A.
Scelta "plebiscitaria" accusa Fini "Non rispondo a piccole
polemiche occasionali", chiude Berlusconi. E Bonaiuti scherza e
sintetizza: "tiè"... Sullo sfondo compare il logo con la scritta
"Il popolo delle Libertà" e non il "partito"
registrato dalla Brambilla. Sparito il logo di Forza Italia; Francesco Giro
guarda il maxischermo in piazza sconsolato: "vede? il simbolo non
c'è più..." Come l'avete presa? "Insomma, mica tanto
bene... ma nasce una cosa bellissima". Lo stato maggiore forzista
è colpito, colto di sorpresa, Bondi, Vito, Verdini sono arretrati in
terza fila, Cicchitto osa la prima con Schifani. Oggi alle Sulle riforme ora è possibile il dialogo con tutta la Cdl (sezione: Riforma elettorale)(
da "Unita, L'" del 20-11-2007) Stai consultando
l'edizione del NICOLA LATORREIl vicepresidente dei senatori dell'Ulivo:
"Nel Pd devono essere garantite prerogative importanti per gli
iscritti" "Sulle riforme ora è possibile il dialogo con
tutta la Cdl" di Ninni Andriolo / Roma Senatore Latorre ha sentito
Berlusconi? "Ho visto la diretta tv, naturalmente. Non c'è che
dire, Berlusconi è uno che perde, ma sa anche perdere". Anche lei
pensa che il Cavaliere sia riuscito a ribaltare il tavolo? "I contenuti
della conferenza stampa di ieri, così come la lettera di Fini e le dichiarazioni
di Bossi e Casini, hanno confermato che l'approvazione della Finanziaria
segna un cambio di fase nella vita di questa legislatura. La crisi
politico-strategica della Cdl, in realtà, è
frutto della sconfitta elettorale del 2006, confermata dal referendum
costituzionale. Il sì del Senato alla legge di
Bilancio si è incaricato solo di farla esplodere". Esplosione che
mette in forse l'attuale leadership della Cdl? "In ballo non c'è
solo la leadership, liquidare così la crisi del centrodestra sarebbe
un errore. Nella Cdl si pongono questioni strategiche che non possono
essere eluse". La rottura è avvenuta dopo il flop della spallata,
ma anche Berlusconi adesso apre al dialogo con la maggioranza... "La
novità è che, superata la Finanziaria, il centrodestra assume
come centrale il tema delle riforme, considerato non più rinviabile
già dal centrosinistra. I due schieramenti scendono sullo stesso
terreno di confronto". Il Cavaliere guarda alla legge
elettorale e non ad altre riforme... "Per noi
è essenziale il dialogo con tutti i partiti dell'opposizione.
Sicuramente c'è da affrontare come prioritario il problema della legge elettorale. Sul tappeto,
però, ci sono alcune riforme urgenti che non possono essere rinviate.
Nel centrodestra, tra l'altro, questa consapevolezza è presente.
È la Lega che pone il tema del Senato Federale. È Fini che
associa il sistema tedesco alla necessità di un premier forte. Le proposte per dare maggiore potere al capo del governo e
per superare il bicameralismo perfetto sono parte integrante del pacchetto in
discussione alla Camera. Possibile, quindi, un primo terreno di
collaborazione tra maggioranza e opposizione. Occorre metter mano, anche, ai
regolamenti parlamentari, poi. E a proposito di finanziamenti ai partiti,
credo si debba vincolare la formazione dei gruppi agli stessi simboli sotto i
quali deputati e senatori si presentano alle elezioni. Un modo, questo, per
impedire la frammentazione che produce instabilità politica" Per
Berlusconi dopo la legge elettorale
ci sono solo le elezioni. Lei è d'accordo? "Nessun medico ha
ordinato che dopo la riforma elettorale ci debba
essere il voto. Se è legittimo che Berlusconi chieda elezioni,
è altrettanto chiaro che noi lavoriamo per dare una prospettiva di
legislatura al governo Prodi". Fine del bipolarismo, in ogni caso?
"Il problema non è arretrare dal bipolarismo, ma eliminare i
difetti di questo sistema: la frammentazione e la demonizzazione degli
avversari politici. Questi limiti possono essere superati rinnovando il
meccanismo elettorale, il quadro istituzionale e il
sistema politico del Paese" Che idea si è fatto del Partito del
popolo o delle libertà messo in campo all'improvviso da Berlusconi?
"Capiremo meglio qual è il disegno, per il momento abbiamo di
fronte soltanto un simbolo. C'è, tra l'altro, un margine di
ambiguità evidente nelle parole del Cavaliere. Detto ciò, credo
indispensabile che si proceda sulla strada di un'autoriforma del sistema
politico. Verso grandi aggregazioni che semplifichino il campo, quindi. Il Pd
è nato da questo presupposto. Devo rilevare, in ogni caso, che nessuno
si scandalizza più di fronte alla parola partito. Perfino Berlusconi
fa nascere un partito e abbandona il termine "movimento". Un fatto
positivo visto che una democrazia non può vivere senza partiti".
L'urgenza di cambiare i connotati di Forza Italia nasce dalla novità
di un Pd che potrebbe erodere consensi alla Cdl? "Per la prima volta
è Berlusconi a dover inseguire l'elemento di novità
rappresentato dal Pd. Lo dico con il rispetto dovuto a chi si è posto
il problema di rispondere in positivo a una sconfitta. La determinazione con
la quale il governo Prodi e il centrosinistra hanno tenuto il campo in
passaggi difficili, ultimo quello della Finanziaria, ha contribuito a rendere
più esplicita la crisi del centrodestra. La nascita del Pd, poi, ha
rafforzato la coalizione e ha prodotto contraddizioni nell'opposizione. E
tutto questo ha fatto piazza pulita di considerazioni strumentali sul Pd che
avrebbe indebolito Prodi e rafforzato il centrodestra. È accaduto
l'esatto contrario. La nascita del Partito democratico ha rappresentato un
fatto dirompente nel sistema politico italiano". Soltanto positivi,
quindi, i primi passi del Pd? "Importanti e positivi, anche per i
risultati politici già ottenuti. Un'impresa rilevante ha preso le
mosse con il giusto tono. Il grande successo delle primarie, il risultato
ottenuto da Veltroni, l'Assemblea costituente di Milano, hanno rappresentato
un ottimo inizio. Adesso si tratta di portare avanti il lavoro necessario per
strutturare il partito e valorizzarne l'ingrediente essenziale già
richiamato da Veltroni". Quale, senatore? "La grande partecipazione
democratica che si registra. La discussione sullo Statuto è aperta. Si
tratta di compiere scelte capaci di valorizzare sia coloro i quali vorranno
aderire al nuovo partito, sia coloro i quali vorranno votare per il suo
simbolo. Gli iscritti dovranno avere il ruolo e la funzione che già
assegnano loro i grandi partiti europei. Nel contempo, però,
bisognerà trovare il modo per valorizzare coloro che, magari, non
intendono espressamente iscriversi, pur non volendo rinunciare alle occasioni
di partecipazione che riguardano le grandi scelte politiche" Nel Pd non
deciderà solo chi milita a tempo pieno, quindi? "Non voglio
anticipare la discussione che si deve sviluppare all'interno della
Commissione per lo Statuto. Sono convinto, però, che non si possa
rinunciare al ruolo e alla funzione prioritaria di chi aderisce a un partito,
prevedendo prerogative importanti da definire. Dall'altro lato, però,
sarebbe un errore circoscrivere il contributo decisivo alle scelte politiche
fondamentali. Ed è per questo che bisognerà sancire una
partecipazione attiva dei cosiddetti elettori. Da questo punto di vista non
dovremo inventare particolari meccanismi. Basta guardare all'esperienza dei
grandi partiti europei. Dei laburisti inglesi o dei socialisti danesi, ad
esempio". La fase costituente si concluderà con un congresso
fondativo del Pd o questo non sarà necessario dopo le primarie?
"Che le primarie abbiano legittimato la leadership di Veltroni è
fuori discussione. Che non si debbano rifare congressi che ripropongano riti
tradizionali è logico, visto che fondiamo un partito nuovo. Dopodiché,
credo non sarebbe giusto rinunciare - nei tempi che riterremo utili - a un
passaggio congressuale che definisca in maniera compiuta non solo gli assetti
ma anche le prospettive del Pd. Questo passaggio si renderà
indispensabile". La retromarcia del Cavaliere
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Unita, L'" del 20-11-2007) Stai consultando
l'edizione del La retromarcia del Cavaliere Gianfranco Pasquino Segue dalla
Prima I candidati che vincono,e, ma anche quelli che hanno perso per poco,
mantengono tutto l'interesse a fare funzionare l'organizzazione e a
diffondere il marchio, anche soltanto per rimanere in politica. Per di
più, a prescindere dagli errori di Berlusconi e dalle sue sbruffonate,
gli elettori di Forza Italia esistono e, probabilmente, esistono anche
elettori degli altri partiti di centro-destra che non sarebbero affatto
disposti a vedere i loro partiti andarsene distanti da Forza Italia e da
Berlusconi, come hanno dimostrato i risultati delle elezioni del 2006. Anche
se sommerso dai fischi di Alleanza Nazionale, aveva ragione Cicchitto a
ricordare, nient'affatto retoricamente, a quei militanti di An che, senza un
rapporto con Forza Italia, non potrebbero andare da nessuna parte. Mentre
Bossi e la Lega sanno benissimo che Berlusconi è il più
sensibile ai loro interessi e alle loro richieste, Alleanza Nazionale e
persino l'Udc sembrano avere dimenticato che nei loro gruppi dirigenti e
ancor più nel loro elettorato esiste un nucleo duro di berlusconiani.
Infine, anche senza essere truccati o esagerati, i sondaggi continuano a dare
esistente una maggioranza complessivamente favorevole al centro-destra nel
suo insieme. Naturalmente, tra i sondaggi e le elezioni anticipate che
Berlusconi reclamava a gran voce ci starebbe, anzitutto, una campagna elettorale che, se condotta in ordine sparso, potrebbe non
giovare né a Forza Italia né al centro-destra. In secondo luogo, sta anche
l'eventuale riforma elettorale oppure il referendum. Le variabili politiche si incrociano con le
variabili istituzionali. Questa lunga premessa consente di capire meglio
perché Berlusconi abbia deciso di prendere atto che, come sostengono da
qualche tempo i suoi ex-alleati, la Casa delle Libertà non esiste
più. Non c'è dunque neppure più bisogno di un sistema elettorale che imponga la formazione di coalizioni non
omogenee decisive per vincere, in difficoltà per governare. Se
bisognerà contarsi, deve avere finalmente ragionato Berlusconi, allora
il sistema elettorale tedesco, presumo considerato
nella sua interezza, potrebbe costituire una buona soluzione. In questo modo,
da un lato, Berlusconi va incontro all'Udc di Casini, che vuole fortemente
proprio quel sistema elettorale, dall'altro,
dà la sua disponibilità anche a Veltroni su una proposta chiara
e, come stanno i rapporti di forza nel Parlamento, rapidamente praticabile.
Costruire il bipolarismo non è necessariamente compito del sistema elettorale. Anzi, sono le modalità di competizione
e di collaborazione fra i partiti che danno vita e linfa al bipolarismo.
Magari non è il bipolarismo quello che desiderano l'Udc, l'Udeur e
altri (nel centro-sinistra), ma il Partito del Popolo avrebbe, pensa
Berlusconi, voti e seggi sufficienti a convincere qualche alleato riluttante,
a entrare in trattative dopo il voto, se non addirittura a essere il perno di
una nuova alleanza di governo. La vera novità, che potrebbe cambiare
il volto di questa legislatura e, forse, addirittura del sistema politico
italiano, è costituita dal riconoscimento da parte di Berlsuconi,
tardivo, ma non fuori tempo massimo, che nello
schieramento di centro-sinistra esistono persone con le quali il capo di
Forza Italia potrebbe dialogare. La prova immediata è data dalla
riforma elettorale che potrebbe essere la premessa di un ritorno alle urne,
magari non altrettanto immediato se Veltroni e Violante insistessero, come
forse dovrebbero, ad accompagnare quella riforma, in special modo se
tedesca, con meccanismi di stabilizzazione del governo, ovvero con la
sfiducia costruttiva (che regolamenta e rende difficili i tanto temuti
"ribaltoni") che richiede una riforma costituzionale. Resta tutto
da vedere. Per il momento, tuttavia, è lecito concluderne che la
costruzione del Partito Democratico ha messo in moto un processo di
cambiamento e di ristrutturazione anche nel centro-destra; che la disciplina
e la presenza dei senatori del centro-sinistra hanno efficacemente segnalato
che il governo può anche durare per parecchio tempo; che i tentativi
di Berlusconi di sovvertire con la piazza o con la "persuasione"
l'esito delle elezioni dell'aprile 2006 sono falliti. Si sta per aprire una
nuova fase che, con l'obiettivo di riforme di alto profilo sistemico,
potrebbe vedere rapporti imprevisti e impensati fra i maggiori partiti
italiani. Senza precorrere i tempi e senza pregiudicare i modi, una Grande
Coalizione che sappia fare le riforme istituzionali e economiche necessarie
in tempi relativamente contenuti potrebbe non essere del tutto riprovevole.
In fondo, sospendendo il giudizio, in Germania questa è la situazione
attuale. Fini va nei guai L'alleato a destra sarà
Storace (sezione: Riforma
elettorale)
(
da "Giornale.it, Il" del
20-11-2007) Di Redazione -
martedì 20 novembre 2007, 07:00 Stampa Dimensioni Versione PDF Invia
ad un amico Vota 1 2 3 4 5 Risultato La fine della Casa delle libertà
mette in evidenza che i tre partiti alleati godevano di una rendita di
posizione grazie a Berlusconi. La Lega, ormai residua dal suo grande momento,
usufruiva della sua forza al nord per costringere Berlusconi a darle voti e
seggi. Scegliendo di collaborare per la riforma della Costituzione e per il
federalismo fiscale, la Lega ha rotto di fatto, sotto la direzione di Roberto
Maroni, il suo vincolo con la Casa delle libertà. Il proporzionale
alla tedesca riduce le possibilità elettorali della Lega anche al
nord. Alleanza nazionale vedrà Fini in difficoltà: l'alleanza
con Berlusconi gli dava la possibilità di essere padre padrone in An.
Non essendo più il partner di Berlusconi, Fini perde i poteri assoluti
che aveva in Alleanza nazionale. Egli ha scelto di abbandonare la linea di
Giorgio Almirante, che considerava il postfascismo come un elemento della
democrazia italiana. Ha invece scelto una linea di destra laica neogollista,
in un paese in cui non c'è la tradizione nazionale della Francia e
l'eredità di De Gaulle. Del resto non si vedono in Fini l'attivismo e
le competenze di Sarkozy. Gasparri, La Russa e Alemanno avevano cercato di
trovare legittimità nel rapporto con il mondo cattolico. Fini ha
duramente condannato questi sforzi, che invece appartenevano alla tradizione
di Almirante. È probabile che in An le correnti filocattoliche
tradizionali riprendano forza. Fini dovrà fare i conti anche con la
posizione di Almirante che è stata assunta da Francesco Storace e
corrisponde ai temi fondamentali del postfascismo. E, non a caso, il primo segno che Berlusconi stava per rompere con Fini
è venuto dalla partecipazione del leader di Forza Italia al congresso
di fondazione della Destra. Ciò vuol dire che Storace sarà
alleato di Berlusconi al posto di Fini. Il leader di An puntava sul referendum e sulla legge elettorale proposta dai referendari che comporta un'alleanza stretta con
Berlusconi. Ma ora anche su questo punto Fini si trova senza strategia.
Berlusconi lo ha aggirato a destra: una manovra tattica perfetta. La
posizione di Casini è paradossale. Egli chiedeva la proporzionale alla
tedesca e Berlusconi l'ha scelta. Ma un conto era imporla a Berlusconi
inchiodato sul bipolarismo e un altro è l'essere imposta da
Berlusconi. Casini, che ha usato persino la perfidia di Follini per umiliare
Berlusconi, si trova ora, come si dice in gergo, in "braghe di
tela". Cambieranno le cose anche in Forza Italia, l'accenno ai
"parrucconi" è significativo. Berlusconi non ha certamente
dimenticato le pressioni che alcuni senatori di Forza Italia gli avevano
fatto per essere garantiti della loro elezione, minacciando altrimenti di
disertare il voto in Senato. Egli certamente gradirà contornarsi di giovani,
perché questa è la sua intenzione da più di tre anni quando
disse che Forza Italia si era secolarizzata, cioè aveva perduto il
sentimento della battaglia. Forza Brambilla. Pagina successiva >>. Il pd e lo spettro della bicamerale "non si può far cadere il governo" - goffredo de marchis (sezione: Riforma elettorale)(
da "Repubblica, La" del 20-11-2007) Il leader e il
premier temono trappole dal Cavaliere. Ma D'Alema apprezza il sì al
proporzionale Il Pd e lo spettro della bicamerale "Non si può far
cadere il governo" Il Professore però esulta per la lite nella
Cdl: "Godiamoci questo momento" GOFFREDO DE MARCHIS ROMA -
"Lui sta all'opposizione, regola i conti dentro la Cdl e fa come gli
pare. Noi invece non possiamo far cadere il governo". Su questa linea si è mosso ieri Walter Veltroni dopo la
nascita del nuovo partito di Silvio Berlusconi. Una linea costruita anche
attraverso una serie di telefonate con Romano Prodi. Al premier naturalmente
non è piaciuto il riferimento del Cavaliere a una riforma elettorale approvata in Parlamento che dovrebbe portare automaticamente a
nuove elezioni politiche. "Anzi, sembra quasi che la legge elettorale sia solo un
corollario, l'obiettivo resta la caduta del mio esecutivo". Queste le
note dolenti. Lo ha soddisfatto di più osservare l'implosione del
Polo: "Godiamoci questo momento - ha detto il Professore ai suoi
fedelissimi - . Perché la Finanziaria non è ancora stata votata in via
definitiva, ma adesso il suo percorso è molto più
scorrevole". E sul resto? "Wait and see", risponde Prodi
facendo il verso all'ex premier. Ufficialmente, Palazzo Chigi guarda con
favore alla disponibilità berlusconiana sulle riforme. Così fa
il segretario del Partito democratico. Massimo D'Alema si spinge oltre.
Ricorda di essere stato lui a immaginare per primo un proporzionale alla
tedesca come chiave per uscire dalla crisi di sistema. Dunque, apprezza la
svolta del Cavaliere. Goffredo Bettini ieri pomeriggio si è attaccato
al telefono per cercare Gianni Letta. Obiettivo: capire meglio gli effetti
della sortita berlusconiana e come il Partito del popolo influisce sui
progressi della trattativa sotterranea tra Pd e Forza Italia. All'appello del
Cavaliere per un incontro immediato Veltroni risponde con il silenzio,
rilanciando la linea del dialogo a tutto campo. Teme anche i corsi e ricorsi
storici. Con il pensiero fisso alla Bicamerale di D'Alema, una sede di
confronto in cui Berlusconi andò fino in fondo prima di mollare tutto
lasciando a terra il centrosinistra. "L'opposizione è divisa in
tre-quattro pezzi - spiega il sindaco - . Voglio parlare con tutti. Certo,
Berlusconi compreso". Ma su quali basi? Il Vassallum, la bozza di
riforma sottoscritta dal sindaco di Roma, parte dal proporzionale ma punta a
non distruggere il bipolarismo. Come dialogare allora con chi dice che quella
stagione è finita? Assieme al testo, i costituzionalisti che lo hanno
scritto hanno spedito un allegato a Veltroni in cui si diceva che gli
interlocutori privilegiati potevano essere An e Lega bypassando, se
necessario, Forza Italia. Ma Veltroni non vuole seguire questo binario, non
vuole alimentare la disarticolazione della Cdl. E soprattutto Veltroni non
può rimanere scoperto dentro il Partito democratico. Le parole di
D'Alema di ieri, in questo senso, sono un monito chiaro: una parte importante
del Partito democratico sposa il modello prospettato ieri dal Cavaliere.
Prendere tempo, perciò. Per sé e per il governo. "Non basta la
riforma elettorale - dice Veltroni -. Le modifiche
costituzionali non solo sono necessarie, ma sarebbero anche più capite
dall'opinione pubblica. La legge per il voto
è roba di Palazzo, una cosa tutta interna ai partiti. La fine del
bicameralismo, il taglio dei parlamentari invece è anche una risposta
alla protesta sui costi della politica". Il Pd tende a vedere cosa
succede nel campo del centrodestra. Ma nella cerchia più vicina a
Veltroni si immagina anche un altro scenario: "Berlusconi vuole andare
dritto al referendum e si sta già creando un
partito pronto a raccogliere tutti, come prevede la legge
modificata attraverso il quesito". Se fosse questo lo sbocco, il Pd ha
già detto da che parte sta. "Se andiamo al referendum,
i democratici sosterranno il sì", ha annunciato il vicesegretario
Dario Franceschini. E i "piccoli" temono di essere tagliati
fuori (sezione: Riforma
elettorale)
(
da "Messaggero Veneto, Il" del
20-11-2007) Attualità E
i "piccoli" temono di essere tagliati fuori LE REAZIONI ROMA.
Silvio Berlusconi si siede al tavolo della riforma elettorale.
"Sono pronto a incontrare Veltroni", fa sapere spiegando che il
modello al quale guarda è un proporzionale alla tedesca. Un fatto
politico nuovo dopo i tanti no del Cavaliere, anche se in qualche modo
anticipato da un intervento di apertura di Gianni Letta al
"Corsera" sulle riforme e dalla presenza del vicecoordinatore di
Forza Italia Fabrizio Cicchitto al convegno di "Italianieuropei"
sulla modifica del sistema di voto. Proprio in quell'occasione il numero tre
azzurro aveva sottolineato come, sulle riforme, "la maggioranza non
può prescindere dal dialogo con il primo partito
dell'opposizione". E, in effetti, l'uscita di Berlusconi non lascia indifferente
l'Unione. Nei "piccoli" si materializza immediatamente lo spettro
di un accordo che li tagli fuori; il Pd, invece, adotta la tecnica del
"wait and see" ("aspettiamo che cada la polvere", osserva
il ministro delle Riforme Vannino Chiti) per capire meglio le intenzioni
dell'ex premier. Si dialoga con tutti - è il ragionamento - ma
sull'intero pacchetto che comprende anche riforma costituzionale e dei
regolamenti parlamentari. Berlusconi propone di
modificare solo la legge elettorale e poi andare al voto? Palazzo Chigi replica che il dialogo
"non può avere dei però". Lo dice esplicitamente
Chiti: "Abbiamo già detto e ridetto - sottolinea - che esiste un
pacchetto di riforme senza il quale la legge elettorale non ha senso. Tutti hanno capito che non si
voterà nel 2008". Il prossimo anno, puntualizza anche Veltroni,
va impiegato per le riforme, "per noi questa rimane la scadenza". I
"cespugli" dell'Unione, però, avvertono, che una corsia
preferenziale per il dialogo con Forza Italia può rappresentare la pietra
tombale per il governo. "Un dialogo privilegiato con gli azzurri -
osserva il capogruppo del Pdci alla Camera Pino Sgobio - sarebbe un modo per
mandare a casa Prodi". Anche l'Udeur è preoccupato:
"Qualcuno - ragiona Mauro Fabris - in un campo e nell'altro vuole
eliminare gli alleati". Mentre Rifondazione, da tempo sul tedesco,
plaude (così come, dall'altra parte l'Udc), i "piccoli" (che
pure fanno sapere di aver avuto assicurazioni sul fatto che "non ci sono
ancora proposte definite") continuano a chiedere
un vertice per trovare una proposta condivisa nel centro-sinistra da proporre
alla Cdl. Ma il Pd punta al dialogo in Parlamento e con tutti, "senza
pregiudiziali o veti". Da questa prossima settimana - spiegano fonti
della maggioranza - si accelera in commissione affari costituzionali al
Senato ed entro una decina di giorni al massimo potrebbe essere depositato un
testo base al quale sta lavorando il costituzionalista Antonio Agosta
(chiamato proprio dalla commissione la scorsa settimana). Anche negli
ulivisti serpeggia il malumore. "Berlusconi - è l'appello del
ministro della Difesa Arturo Parisi - non ceda al proporzionale". E non
butti a mare il bipolarismo. Ma la strada sembra ormai segnata. Lo stesso si
potrebbe dire per il referendum dopo l'apertura di
Berlusconi. Un parte del Pd teme che il Cavaliere punti alla fine a quello,
ma molti altri sono più convinti che lo voglia cavalcare unicamente
come arma contro l'Unione. "Berlusconi - è il ragionamento di un
esponente del Pd - si siederà al tavolo e dialogherà anche
perchè, vista la sfida che sta lanciando ad avversari e alleati,
è chiaro che non vuole il referendum". Veltroni, aperture ma senza condizioni
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Piccolo di Trieste, Il" del
20-11-2007) Argomenti: Esempi esteri La maggioranza fra
ottimismo e cautela: "Per ora l'unica certezza è la fine della
Casa delle libertà" Il ministro degli Esteri D'Alema: "Non
sono mai stato contrario a un cambiamento basato sul sistema
elettorale tedesco" Veltroni, aperture ma senza condizioni
"Una discussione a tutto campo, anche se il governo non si tocca"
ROMA Walter Veltroni e Palazzo Chigi danno il benvenuto all'apertura al
confronto da parte di Silvio Berlusconi. A patto che, spiega in mattinata il
leader del Pd, il dialogo sia a tutto campo, dalla legge elettorale
alle riforme costituzionali; e che, concordano in serata fonti di Palazzo
Chigi, non "abbia però", cioè non preveda l'equazione
nuova legge elettorale-voto. E che non tocchi questo
governo. Tra ottimismo e cautela, il Pd guarda alle mosse del Cavaliere e
alle conseguenze che il terremoto nella Cdl può portare al tavolo del
confronto sulle riforme. Ottimismo perchè, è la convinzione di
Veltroni ma anche del premier Romano Prodi, il dialogo con il principale
partito di opposizione è necessario per raggiungere le più
ampie convergenze anche se bisogna andare con i piedi di piombo per mandare
davvero in porto le riforme ed evitare fallimenti come quello della Bicamerale,
quando proprio Berlusconi fece saltare all'ultimo l'accordo politico. Luci e
ombre del nuovo scenario politico sono state, ieri mattina, al centro
dell'esecutivo del Pd, nel quale Veltroni ha ribadito che il partito
"dialogherà con tutte le forze che sono disponibili a
collaborare" senza pregiudiziali nè preferenze. Ma una
subordinata è fondamentale per il leader del Pd: si discute su tutto
il pacchetto e non solo sulla riforma elettorale,
per continuare a considerare il Vassallum "una soluzione possibile"
e da tenere come base di discussione. "Benissimo il dialogo - è
la rotta di Veltroni - benissimo il confronto, ma per quanto ci riguarda la
prospettiva è che legge elettorale, riforme
istituzionali e nuovi regolamenti parlamentari vadano insieme". E al
Cavaliere, che condiziona il dialogo sulla legge elettorale
al voto, il leader del Pd fa sapere già dalla mattinata che
"l'unica scadenza è che il 2008 deve essere impegnato" per
fare le riforme. Alla stessa pretesa del leader azzurro fonti di Palazzo Chigi
rispondono a caldo, subito dopo la manifestazione di piazza di Pietra:
"Il dialogo è dialogo, non può avere un però".
Sotto la lente di ingrandimento del nuovo vertice del Pd non è finita
ieri mattina solo l'eventuale strategia di Berlusconi sul terreno delle
riforme. Anche la nuova creatura politica è stata analizzata da
Veltroni e dai suoi ed il giudizio, in attesa di capirne caratteristiche e
peso, non è certo stato lusinghiero. "Per ora Berlusconi annuncia
la fine della stagione politica della Cdl - dice il segretario del Pd - nel
merito valuteremo dopo, perchè, allo stato, più che la nascita
di un nuovo partito sembra un cambiamento di denominazione". Certo,
hanno sottolineato alcuni esponenti dell'esecutivo, al momento il Partito del
popolo "non sembra meritarsi la patente di novità politica",
anzi l'impressione è che il Cavaliere ricalchi l'idea di un Pd di
destra, copiando l'idea dei gazebo e dei votanti e addirittura scegliendo per
il battesimo lo stesso luogo, il tempo di Adriano, scelto da Veltroni per
festeggiare la vittoria delle primarie e dare il via alla "nuova
stagione". Alla richiesta di un commento sulla nascita a destra del
Partito del popolo delle libertà, il ministro degli Esteri, Massimo
D'Alema, ha risposto che si tratta di una "una situazione complessa che
va studiata prima di fare dichiarazioni troppo affrettate". Poi,
però, a chi gli chiedeva se tutto questo non lasci intravedere la fine
del maggioritario, D'Alema ricordava "di non essere
mai stato contrario ad una riforma del sistema elettorale basata sull'impianto tedesco". Il ministro degli Esteri
ha detto di averne parlato ancora di recente in un convegno, dove
"Fabrizio Cicchitto (vicecoordinatore di Forza Italia, ndr) ha detto che
non se ne parlava nemmeno. Dopo pochi minuti - ha scandito Massimo
D'Alema - è stato smentito da Berlusconi. Ma questo è un
problema loro". "Pur da avversari, non abbiamo mai misconosciuto il
ruolo di Berlusconi nell'evoluzione del sistema
politico italiano nella direzione del bipolarismo e di una democrazia
competitiva. Oggi registriamo con rammarico che da innovatore-riformatore
Berlusconi si trasforma in restauratore di un sistema
segnato da pratiche e dei vizi antichi: frammentazione, instabilità,
trasformismo". Così Franco Monaco, deputato ulivista del Pd,
commenta il giudizio del leader di Fi, secondo il quale il bipolarismo in
Italia "oggi non è più possibile". "Indifferente
alla configurazione del sistema politico - conclude
Monaco - il Cavaliere ora si contenta di esserci e contare. Da un progetto
maiuscolo a uno minuscolo di mero potere". Veltroni: dialogo, ma su tutto
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Manifesto, Il" del 20-11-2007) Il leader Pd non si
fida. Bene la svolta di Berlusconi "ma discutiamo anche sulle
riforme". Da Palazzo Chigi un no al voto anticipato Daniela Dalerci Roma
La stagione politica della Cdl è finita, "ora la geografia del
centrodestra cambierà". La prima reazione di Walter Veltroni alla
svolta di Silvio arriva in mattinata, nell'esecutivo del Partito democratico.
Ma è una fotografia. Non più di una presa d'atto, persino
cauta. Il soggetto Berlusconi è mobile, e quanto ad accelerazioni ha
dimostrato di non essere secondo a nessuno. Neanche a Veltroni. Aspettare,
dunque, ancora qualche scossa di assestamento. "Aspettiamo che scenda la
polvere", dice il ministro Vannino Chiti. Prima di azzardare un bilancio
del dopo-terremoto, ovvero la nuova fase politica aperta ieri da Silvio
Berlusconi nella sua ultima e favolosa interpretazione. Nei panni di
"Pa-Peròn", dice Francesco Cossiga, in quelli dell'ennesimo
leader nuovo di zecca, questa volta capo del (presunto) popolo delle
libertà. Ma se si apre un dialogo, continua Veltroni appena riprende
fiato, "per noi il quadro non è solo la legge
elettorale. Per noi sul tavolo ci sono tutte le
questioni, che vanno insieme". Quindi da qui all'eventuale voto
anticipato non c'è solo una riforma elettorale,
ma anche "la riforma istituzionale e la modifica del regolamento
parlamentare". La road map del governo, secondo Veltroni, è
questa, e occuperà tutto il 2008. Dialogo sì, senza
"però" né condizioni. Lo manda a dire anche Palazzo Chigi in
serata, quando l'effetto sorpresa è quasi svanito, ma resta il dubbio
sulle reali intenzioni dell'ex leader della Cdl. Romano Prodi è in
Germania, da dove fioccano le anticipazioni di una sua intervista alla
'Sueddeutsche Zeitung'. Rilasciata però il 15 novembre. Al quotidiano
tedesco il premier ribadisce la ferma intenzione di governare fino a fine
legislatura, "anche se i sondaggi sono veramente brutti. Poi una
stoccatina al leader del Pd: "Io ho vinto le elezioni, e non Veltroni.
Perciò governerò per cinque anni, a meno che il Parlamento non
mi conceda più la fiducia".Poi spiega: "Veltroni ed io
abbiamo sempre collaborato. Ho già annunciato di non ricandidarmi dopo
la fine della presente legislatura. Fra Veltroni e me esiste, quindi, un
programma temporale che rispetta sia la democrazia, sia il rapporto fra di
noi". Fatto sta che la risposta a Berlusconi a nome del centrosinistra,
ieri l'ha data Veltroni, e non Prodi. Il leader del primo partito della
coalizione, e non quello del governo. E Veltroni è stato cautissimo,
timoroso di non aprire una linea di credito nei confronti di Berlusconi, con
il rischio di rimanere bruciato in caso di fallimento. Come ai tempi della
Bicamerale successe a Massimo D'Alema. Veltroni tranquillizza gli alleati e
ribadisce che non ci sarà un confronto privilegiato fra il Pd e il
partito del popolo delle libertà, o come diavolo si chiamerà la
nuova formazione azzurra. Gli alleati, però, non si fidano: "Un
dialogo privilegiato con gli azzurri sarebbe un modo per mandare a casa
Prodi", per il Pdci. E Mauro Fabris, dell'Udeur: "Qualcuno in un
campo e nell'altro vuole eliminare gli alleati". Ma altri dubbi arrivano
dall'interno del Pd. Il Cavaliere punta al referendum,
fingendo di dialogare per poi fare saltare il banco? O sono a demolire
l'Unione. "Berlusconi - ragiona un esponente del Pd - si siederà
al tavolo e dialogherà anche perchè, vista la sfida che sta
lanciando ad avversari e alleati, è chiaro che non vuole il referendum che, con il premio di maggioranza, lo
costringerebbe a fare coalizione con patiti dei quali, a detta di lui stesso,
si è rotto...". "L'offerta di trattare con il segretario del
Pd Veltroni è seria. E io so quel che dico", chiosa Cossiga.
Sarà. Intanto la proposta di una legge elettorale ispirata al sistema tedesco senza variazioni, ovvero
proporzionale più soglia di sbarramento, spariglia le carte delle
consultazioni avviate dal segretario del Pd. Rischia di piacere, almeno
quanto o più della proposta Vassallo-Ceccanti, l'arzigogolato tedesco
in salsa spagnola. Ieri Gennaro Migliore (Prc), lo ha detto esplicitamente.
"Per noi il proporzionale alla tedesca è la soluzione
migliore". Ora il percorso delle riforme dovrebbe spostarsi della
scrivania di Veltroni alla commissione Affari Costituzionali al Senato, dove
entro dieci giorni potrebbe arrivare un testo base al quale - vi starebbe il
costituzionalista Antonio Agost, chiamato dalla commissione la scorsa
settimana. Grande gelo da An, Udc e Lega
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Secolo XIX, Il" del 20-11-2007) Fini: "Non se
ne parla". Maroni: "Non siamo interessati". Casini però
rischia: Giovanardi se ne va Roma. Ognuno va per la sua strada. Spiazzati
dall'annuncio fatto in tv, gli alleati di Silvio Berlusconi prendono le
distanze da quella che il leader di An, Gianfranco Fini, non esita a bollare
come "scorciatoia plebiscitaria e confusa". Una cosa è
certa: la mossa del Cavaliere segna l'inizio della fine della Casa delle
libertà e apre nuovi scenari, anche sulla riforma elettorale. Ma gli altri non accettano un salto nel buio: non vogliono
salire su un treno in corsa e diretto verso una meta stabilita da Berlusconi.
Più di tutti è Fini, che si sente tradito. Proprio lui,
addirittura considerato il delfino nel caso di un matrimonio tra Fi e An, non
accetta di incassare uno smacco come quello che gli ha inferto Berlusconi,
liquidandolo addirittura come uno dei "parrucconi" della politica
da mettere in disparte. Del nuovo partito, battezzato in piazza, Fini non ne
vuole sapere: "No, non se ne parla proprio. An non si
scioglierà", dice. La proposta del Cavaliere non convince neanche
Lega e Udc, che però non hanno mai accettato l'idea di deporre le
rispettive insegne per entrare in un partito unico del centrodestra concepito
per fare concorrenza al neonato Pd di Walter Veltroni. E dunque, ora che il
dado è tratto, anche loro dicono no: "La Lega non è
interessata", afferma Roberto Maroni. "Ognuno ha la sua storia.
L'Udc non c'era prima e non c'è ora", spiega il segretario
centrista, Lorenzo Cesa. Del resto, Pier Ferdinando Casini si è sempre
smarcato rispetto alle scelte strategiche di Berlusconi: è stato lui
il più feroce critico della mitica spallata sulla Finanziaria. In fin
dei conti, la svolta del Cavaliere, per quanto non condivisa, gli dà
ragione ma di questo Casini può compiacersi fino a un certo punto.
Già, perché il nuovo partito rimescola le carte della Cdl ma
può diventare una scossa tellurica in grado di scuotere i singoli
partiti del centrodestra. Il più insidiato è proprio Casini,
che rischia di perdere pezzi: i berlusconiani, guidati da Carlo Giovanardi,
sono pronti a fare le valigie e a traslocare nel Partito della
libertà. Giovanardi non fa giri di parole e avverte: "Dobbiamo
sciogliere l'Udc per concorrere alla nascita del nuovo partito". Anche
il senatore Francesco D'Onofrio non snobba la mossa a sorpresa di Berlusconi
anche se gli alleati non sono stati neanche invitati: "A gennaio, quando
sarà chiara la sorte di Prodi, l'Udc dovrà cogliere la sfida
basata su un nuovo equilibrio tra popolo e Parlamento". Dentro An, Fini
sembra per ora avere il controllo dei suoi colonnelli, che ieri si sono
riuniti per fare il punto della situazione e decidere la linea da adottare
ora che ognuno ha le mani libere. In ballo, c'è l'opposizione da fare
al governo ora che la spallata non è più all'ordine del giorno.
Ma bisognerà anche studiare il da farsi sul versante della riforma elettorale, rispetto alla quale Berlusconi si è
rimesso in gioco pronunciandosi a favore del sistema proporzionale tedesco e
preparandosi però anche al referendum se la
Corte Costituzionale darà il suo via libera a gennaio. Rispetto a Lega
e Udc, An oggi ha una necessità più urgente di aggiustare la
rotta dopo che il Cavaliere ha scelto il campo, su cui giocare la partita a
modo suo. L'irritazione di Fini è comprensibile perché in un colpo
soltanto rischia di perdere tutto il vantaggio, che finora aveva accumulato
come più fedele e stimato alleato romano dell'ex premier, che lo
metteva sullo stesso piano di Umberto Bossi. Ora invece si vede costretto a
difendersi di fronte all'offensiva mediatica e politica del Cavaliere:
"Non mi riconosco nella categoria dei parrucconi", taglia corto
Fini. Il quale deve prendere atto che la Cdl è stata archiviata ed
è arrivato il momento di andare oltre, ma con un'avvertenza: "Si
rischia di fare l'interesse dell'altra parte. Berlusconi esagera quando se la
prende con coloro che restano indispensabili per non far vincere Prodi",
si sfoga con i suoi il capo di An. "Non rispondo alle piccole polemiche",
lo liquida Berlusconi, invitandolo a tornare a Canossa. I colonnelli di An
fanno quadrato: "Non ci possiamo sciogliere. An va avanti per la sua
strada. Ma valuteremo le proposte sulle
riforme", osservano un po' tutti. L'importante è ridare smalto al
partito ora che a destra c'è aria di resa dei conti, con Francesco
Storace e Alessandra Mussolini che applaudono al colpo di teatro. Anche
Umberto Bossi non sale sul carro del nuovo partito ma Berlusconi telefona per
due volte al Senatur per rassicurarlo: "Non è una cosa contro di
voi. Troveremo un accordo". Forse Bossi è l'unico che si
aspettava e non stigmatizza lo strappo. La Lega si è sempre tenuta
distante da un progetto di partito unico e quindi è la meno spiazzata.
Ma ora si apre la partita della riforma elettorale.
E il Cavaliere sembra intenzionato a giocarla in proprio senza vincoli né
concessioni agli ex alleati. Michele Lombardi 20/11/2007 ognuno ha la sua
storia. Non c'eravamo prima, non ci siamo ora lorenzo cesaSegretario Udc
20/11/2007 " 20/11/2007. Bossi: serve armistizio tra alleati
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Giornale di Brescia" del
20-11-2007) Edizione:
20/11/2007 testata: Giornale di Brescia sezione:IN PRIMO PIANO LA LEGA D'ACCORDO
SUL SISTEMA TEDESCO Bossi: serve armistizio tra alleati Umberto Bossi con
Roberto Maroni e Roberto Castelli nella sede milanese della Lega MILANO - La
Lega Nord non è disposta a confluire nel nuovo partito ma tra Bossi e
Berlusconi l'"asse del Nord" sembra comunque essere saldo. No al
nuovo partito, dicono "rassicurati" da Via Bellerio dove ieri si
è svolto il federale del Carroccio, sì al proporzionale.
"Ho parlato con Berlusconi - ha detto il Senatur - e devo dire che
mostra una grande capacità politica, perché a mio
parere sta cercando un armistizio per arrivare a fare la riforma elettorale". E anche il Senatur sembra essere d'accordo con
Berlusconi: "Suggerisco agli alleati un armistizio per la riforma della legge elettorale. Ripartendo dal patto di Gemonio". Per quanto riguarda la
proposta della Lega sulla legge elettorale:
"Proporzionale, indicazione del premier e stabilità dei
governi". Sembra per altro che sulla nuova legge
elettorale che eviti il referendum
ci sia un accordo tra Bossi e Berlusconi. A confermarlo è Roberto
Maroni, che ha dichiarato: "Abbiamo fatto un accordo con Berlusconi
sulla necessità di fare una nuova legge elettorale che eviti il referendum.
Oggi Bossi ha parlato con Berlusconi e mi pare che l'accordo ci sia e siamo
fiduciosi che qualsiasi cosa abbia in mente Berlusconi, non ci sia un
cambiamento su questo punto". Positiva anche la valutazione di Roberto
Castelli, capogruppo del Carroccio in Senato: "L'annuncio fatto da
Berlusconi sulla formazione di una nuova compagine politica ha portato
"a un riazzeramento delle posizioni, poi si vedrà. È una
mossa importante e il Federale è stato convocato per valutare questo
fatto". I commenti (sezione: Riforma elettorale)
(
da "Libertà" del 20-11-2007) Quotidiano partner
di Gruppo Espresso LIBERTA' di martedì 20 novembre 2007 > In Primo
Piano i commenti I "piccoli" in fibrillazione: no a percorsi
privilegiati ROMA - Silvio Berlusconi si siede al tavolo della riforma elettorale. "Sono pronto a incontrare Veltroni",
fa sapere spiegando che il modello al quale guarda è un proporzionale
alla tedesca. Un fatto politico nuovo dopo i tanti no del Cavaliere, anche se
in qualche modo anticipato da un'intervento di apertura di Gianni Letta al
"Corsera" sulle riforme e dalla presenza del vice coordinatore di
Forza Italia Fabrizio Cicchitto al convegno di Italianieuropei sulla modifica
del sistema di voto. Proprio in quell'occasione il numero tre azzurro aveva
sottolineato come, sulle riforme, "la maggioranza non può
prescindere dal dialogo con il primo partito dell'opposizione". E, in
effetti, l'uscita di Berlusconi non lascia indifferente l'Unione. Nei piccoli
si materializza immediatamente lo spettro di un accordo che li tagli fuori;
il Pd, invece, adotta la tecnica del "wait and see"
("aspettiamo che cada la polvere", osserva il ministro delle
Riforme Vannino Chiti) per capire meglio le intenzioni dell'ex-premier. Si
dialoga con tutti - è il ragionamento - ma sull'intero pacchetto che
comprende anche riforma costituzionale e dei regolamenti parlamentari. Berlusconi propone di modificare solo la legge elettorale e poi andare al voto? Palazzo Chigi replica che il dialogo
"non può avere dei però". Lo dice esplicitamente
Chiti: "Abbiamo già detto e ridetto - sottolinea - che esiste un
pacchetto di riforme senza il quale la legge elettorale non ha senso. Tutti hanno capito che non si
voterà nel 2008". Il prossimo anno, puntualizza anche Veltroni,
va impiegato per le riforme, "per noi questa rimane la scadenza". I
"cespugli" dell'Unione, però, avvertono, che una corsia
preferenziale per il dialogo con Forza Italia può rappresentare la
pietra tombale per il governo. "Un dialogo privilegiato con gli azzurri
- osserva il capogruppo del Pdci alla Camera Pino Sgobio - sarebbe un modo
per mandare a casa Prodi". Anche l'Udeur è preoccupato:
"Qualcuno - ragiona Mauro Fabris - in un campo e nell'altro vuole
eliminare gli alleati". Mentre Rifondazione, da tempo sul tedesco,
plaude (così come, dall'altra parte l'Udc), i piccoli (che pure fanno
sapere di aver avuto assicurazioni sul fatto che "non ci sono ancora proposte definite") continuano a chiedere un vertice
per trovare una proposta condivisa nel centrosinistra da proporre alla Cdl.
Ma il Pd punta al dialogo in Parlamento e con tutti. "Da questa prossima
settimana - spiegano fonti della maggioranza - si accelera in commissione
Affari Costituzionali al Senato e entro una decina di giorni al massimo
potrebbe essere depositato un testo base al quale sta lavorando il
costituzionalista Antonio Agosta" (chiamato proprio dalla Commissione la
scorsa settimana). Anche negli ulivisti serpeggia il malumore.
"Berlusconi - è l'appello del ministro della Difesa Arturo Parisi
- non ceda al proporzionale". E non butti a mare il bipolarismo. Ma la
strada sembra ormai segnata. Lo stesso si potrebbe dire per il referendum dopo l'apertura di Berlusconi. Un parte del Pd
teme che il Cavaliere punti alla fine a quello, ma molti altri sono
più convinti che lo voglia cavalcare unicamente come arma contro
l'Unione. "Berlusconi - è il ragionamento di un esponente del Pd
- si siederà al tavolo e dialogherà anche perchè, vista
la sfida che sta lanciando ad avversari e alleati, è chiaro che non vuole
il referendum che, con il premio di maggioranza, lo
costringerebbe a fare coalizione con patiti dei quali, a detta di lui stesso,
si è rotto...". Alessandra Chini [. Verso il 'Veltronellum'. Ipotesi fusione di due sistemi elettorali Spagnoli e Tedeschi (sezione: Riforma elettorale)(
da "Voce d'Italia, La" del
20-11-2007) Argomenti: Esempi esteri La Voce d'Italia -
nuova edizione anno II n.64 del 20/11/2007 Home Cronaca Politica
Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Politica Votata la
finanziaria, si torna a parlare di riforme Verso il "Veltronellum".
Ipotesi fusione di due sistemi elettorali Spagnoli e Tedeschi Intanto le
acque si agitano in seno Cdl Trapani, 20 Nov.- Votata al Senato la
Finanziaria 2008 si ritorna a parlare di riforme elettorali. Lo spunto lo ha
dato la proposta di riforma avanzata dal Leader del Pd Walter Veltroni:
"Un sistema proporzionale, senza premio di
maggioranza, che riduca la frammentazione e dia la possibilità ai
cittadini di scegliere i propri rappresentanti" questo secondo il leader
del neonato Pd. L'ipotesi avanzata dal sindaco romano, prevederebbe una legge
elettorale che sia vicina anche se non in tutti i
punti, a quella in vigore in Germania: un
proporzionale corretto, con sbarramento al 5 per cento e senza premio di
maggioranza, il tutto riveduto e corretto con tracce del sistema
elettorale spagnolo. Il quale, per il suo modus operandi, tende a
produrre una drastica semplificazione del sistema
dei partiti e un sensibile rafforzamento delle maggioranze parlamentari. E'
di fatto il sistema elettorale proporzionale con i
più rilevanti effetti maggioritari: tra i partiti con consenso
uniforme sul territorio nazionale, vengono avvantaggiati i partiti maggiori
mentre sono danneggiati i partiti più piccoli. Evidentemente le
conclusioni devono essere balzate agli occhi dei "cespugli"
dell'Unione che si sono detti pronti a controbattere. Ma mentre Veltroni
getta il sasso nello stagno, le acque si agitano in seno alla Cdl. Mentre
Forza Italia annuncia di aver raccolto quasi 2 milioni e mezzo di firme nella
sua campagna per chiedere elezioni anticipate, il presidente di An Gianfranco
Fini torna a criticare Silvio Berlusconi, dicendo che "bisogna votare
solo dopo la riforma istituzionale e che chiedere le dimissioni del premier
Romano Prodi lo rafforza".Sulla riforma elettorale,
ha detto l'ex premier, "ci sono troppe posizioni nella maggioranza.
Neppure la proposta di Veltroni è chiara... il governo cadrà e
neanche le polemiche all'interno del centrodestra bloccheranno questo
processo. Mai come ora ho tanto consenso nel Paese. Lascio a tutti gli altri,
alleati compresi, i giochi di Palazzo, il teatrino della politica", così
si pronuncia ancora il leader di Forza Italia. Non resta che aspettare la
prossima settimana per vedere a che gioco si giocherà, mentre l'opione
pubblica continua a sorbirsi il "reality show" quotidiano.
Alessandro De Bartolomeo politica.milano@voceditalia.it. Udeur-Pdci: no a corsie preferenziali con il Pd
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Corriere Adriatico" del
20-11-2007) Ma i
"cespugli" bocciano l'apertura Udeur-Pdci: no a corsie preferenziali
con il Pd ROMA - Silvio Berlusconi si siede al tavolo della riforma elettorale. "Sono pronto a incontrare Veltroni",
fa sapere spiegando che il modello al quale guarda è un proporzionale
alla tedesca. Un fatto politico nuovo dopo i tanti no del Cavaliere, anche se
in qualche modo anticipato da un'intervento di apertura di Gianni Letta al
"Corsera" sulle riforme e dalla presenza del vice coordinatore di
Forza Italia Fabrizio Cicchitto al convegno di Italianieuropei sulla modifica
del sistema di voto. Proprio in quell'occasione il numero tre azzurro aveva
sottolineato come, sulle riforme, "la maggioranza non può
prescindere dal dialogo con il primo partito dell'opposizione". E, in
effetti, l'uscita di Berlusconi non lascia indifferente l'Unione. Nei piccoli
si materializza immediatamente lo spettro di un accordo che li tagli fuori;
il Pd, invece, adotta la tecnica del 'wait and see' ("aspettiamo che
cada la polvere", osserva il ministro delle Riforme Vannino Chiti -
nella foto con Prodi) per capire meglio le intenzioni dell'ex-premier. Si
dialoga con tutti - è il ragionamento - ma sull'intero pacchetto che
comprende anche riforma costituzionale e dei regolamenti parlamentari. Berlusconi propone di modificare solo la legge elettorale e poi andare al voto? Palazzo Chigi replica che il dialogo
"non può avere dei però". Lo dice esplicitamente
Chiti: "Abbiamo già detto e ridetto - sottolinea - che esiste un
pacchetto di riforme senza il quale la legge elettorale non ha senso. Tutti hanno capito che non si
voterà nel 2008". Il prossimo anno, puntualizza anche Veltroni,
va impiegato per le riforme, "per noi questa rimane la scadenza". I
'cespugli' dell'Unione, però, avvertono, che una corsia preferenziale
per il dialogo con Forza Italia può rappresentare la pietra tombale
per il governo. "Un dialogo privilegiato con gli azzurri - osserva il
capogruppo del Pdci alla Camera Pino Sgobio - sarebbe un modo per mandare a
casa Prodi". Anche l'Udeur è preoccupato: "Qualcuno -
ragiona Mauro Fabris - in un campo e nell'altro vuole eliminare gli
alleati". Mentre Rifondazione, da tempo sul tedesco, plaude (così
come, dall'altra parte l'Udc), i piccoli (che pure fanno sapere di aver avuto
assicurazioni sul fatto che "non ci sono ancora proposte
definite") continuano a chiedere un vertice per trovare una proposta
condivisa nel centrosinistra da proporre alla Cdl. Ma il Pd punta al dialogo
in Parlamento e con tutti, "senza pregiudiziali o veti". Da questa
prossima settimana - spiegano fonti della maggioranza - si accelera in
commissione Affari Costituzionali al Senato e entro una decina di giorni al
massimo potrebbe essere depositato un testo base al quale sta lavorando il
costituzionalista Antonio Agosta (chiamato proprio dalla Commissione la
scorsa settimana). Anche negli ulivisti serpeggia il malumore.
"Berlusconi - è l'appello del ministro della Difesa Arturo Parisi
- non ceda al proporzionale". E non butti a mare il bipolarismo. Ma la
strada sembra ormai segnata. Lo stesso si potrebbe dire per il referendum dopo l'apertura di Berlusconi. ALESSANDRA CHINI
,. MAGGIORITARIO E PROPOSTA VASSALLO A CONFRONTO
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Lavoce.info" del 20-11-2007) Istituzioni e Federalismo
MAGGIORITARIO E PROPOSTA VASSALLO A CONFRONTO di Tommaso Nannicini 20.11.2007
Il maggioritario a turno unico può garantire il bipolarismo, ma non la
governabilità. Il doppio turno favorirebbe entrambe le cose, ma non ha
nessuna chance di essere adottato. La proposta Vassallo si muove sul terreno
delle scelte possibili: riduce la frammentazione, ma non troppo; favorisce la
credibilità delle opzioni di governo, ma può creare
scricchiolii nel bipolarismo. Mentre il vero effetto della legge
elettorale sulla qualità e l'impegno della classe politica dipende dal grado di concorrenza che si crea in
contesti diversi. Ora che si allontana lo spettro delle elezioni anticipate e
si avvicina quello del referendum, il dibattito sulla riforma elettorale entra
nel vivo. Tito Boeri e Vincenzo Galasso mettono sul piatto il dilemma che
minaccia di dividere il fronte degli innovatori: sistema maggioritario o
proposta Vassallo? Gli effetti delle due alternative dovrebbero essere
valutati sia in un'ottica macro (sistema partitico e governabilità)
sia in un'ottica micro (caratteristiche della classe politica). Gli effetti
sul sistema politico La proposta Vassallo ha il merito di introdurre un
obiettivo troppo spesso sottovalutato: evitare il formarsi di "coalizioni
pre-elettorali artificiose, prive di coesione programmatica". È
il problema che Giovanni Sartori pone da anni: la stabilità (dei
governi) si rivela dannosa se non è accompagnata
dall'effettività (del governare). Nella Seconda Repubblica, tutte le
maggioranze governative si sono rivelate eterogenee e inconcludenti. Il
sistema prevalentemente maggioritario (al 75 per cento) che abbiamo
sperimentato dal 1994 al 2001 non ha ridotto la frammentazione partitica.
Boeri e Galasso si chiedono se ciò non sia dipeso dal fatto che il
maggioritario era "diluito" (dal 25 per cento della quota
proporzionale). La frammentazione, tuttavia, era tale solo nella parte
maggioritaria e non in quella proporzionale (con sbarramento). Nell'ultima
legislatura del Mattarellum (2001-06), i deputati eletti nel proporzionale
appartenevano a cinque partiti, mentre i deputati eletti nel maggioritario
appartenevano a ben tredici. Le formazioni minori, grazie al loro potere di
ricatto ("se non mi dai qualche collegio sicuro, mi presento ovunque e
ti faccio perdere"), riuscivano a far eleggere
i loro esponenti proprio nei collegi uninominali. È vero che, in
un'ottica dinamica, si potrebbe pensare che, a forza di votare con il
maggioritario a turno unico (al 100 per cento), i partiti minori potrebbero
sparire a causa delle poche occasioni per contarsi. Ma in Italia, dove si
vota con il proporzionale a molti livelli (regionale, comunale) e i
regolamenti parlamentari permettono la formazione di piccoli gruppi non
presenti sulla scheda elettorale, le occasioni di
visibilità politica esisterebbero comunque. Solo il doppio turno
ridurrebbe il potere di ricatto dei partiti minori, ma proprio per questo la
probabilità che si faccia strada è quasi nulla. D'altro canto,
è vero che il Mattarellum ha consentito una competizione bipolare e la
scelta della maggioranza di governo da parte degli elettori. Mentre esiste il
rischio paventato da Boeri e Galasso che la proposta Vassallo aumenti il
potere d'interdizione dei partitini di centro, riducendo, però, il
potere di ricatto dei partitini alle estreme. Quella proposta, tuttavia,
è perfettamente compatibile con una competizione bipolare incentrata
su due grandi partiti a vocazione maggioritaria, che collaborino con le
formazioni minori senza snaturare il proprio programma di governo. Ma,
affinché ciò si realizzi, dovrebbero verificarsi condizioni non
così scontate nel contesto italiano, come un accordo esplicito tra le
forze maggiori. In Spagna, ad esempio, il partito socialista ha già
dichiarato ufficialmente che, se dovesse prendere anche un solo voto in meno
del suo diretto antagonista , lo lascerebbe governare, anche qualora il
partito popolare non raggiungesse il 50 per cento e fosse realizzabile una
coalizione alternativa formata dal Psoe e dai partiti minori (comunisti,
nazionalisti). Un'altra peculiarità italiana che, sposandosi con la
riforma Vassallo, rischia di aumentare a dismisura il potere dei partitini di
centro è l'invadenza della politica in molti settori economici e
sociali. L'Italia è ancora piena di "partiti degli
assessori" che si auto-riproducono grazie al potere discrezionale del
ceto politico in molti campi. È chiaro che molti esponenti di questo
ceto periferico verrebbero attratti, come gli orsi dal miele, dal nuovo
potere d'interdizione delle piccole formazioni di centro. Diciamola
così: in un'ottica macro, il maggioritario a turno unico può
garantire il bipolarismo, ma non la governabilità. Il doppio turno
favorirebbe tutte e due le cose, ma non ha nessuna chance di essere adottato.
La proposta Vassallo si muove sul terreno delle scelte possibili: riduce la
frammentazione, ma non troppo (per schivare il fuoco dei veti incrociati);
favorisce la credibilità delle opzioni di governo, ma può
creare scricchiolii nel bipolarismo (soprattutto se non si sposerà con
un accordo tra i partiti maggiori e una riduzione dell'invadenza della
politica nella società). Gli effetti sulla qualità del
personale politico Quali sono invece gli effetti che possiamo attenderci
dalla riforma Vassallo (o da un ritorno al maggioritario) in termini di
selezione della classe politica? Un recente studio econometrico sui deputati
eletti con il Mattarellum (1) mostra che gli eletti nella parte maggioritaria
danno prova di un maggiore impegno parlamentare rispetto ai loro colleghi eletti
con il proporzionale, secondo le misure disponibili di produttività
parlamentare: assenteismo alle votazioni elettroniche, produzione
legislativa. In termini di caratteristiche osservabili, inoltre, il
maggioritario favorisce chi ha avuto esperienze amministrative a livello
locale (56 per cento contro il 43 per cento nel proporzionale), mentre
sfavorisce le donne (9 contro il 24 per cento) e chi ha avuto incarichi
nazionali di partito (21 contro il 27 per cento). Il ritorno al
maggioritario, quindi, favorirebbe l'accountability politica e il controllo
degli elettori sugli eletti, ma potrebbe avere effetti collaterali
sull'eguaglianza di genere. La proposta Vassallo, dal canto suo, sarebbe
associata a una minore accountability rispetto al maggioritario, pur
rappresentando un miglioramento rispetto all'attuale legge
elettorale con (lunghe) liste bloccate. Anche se il
ruolo delle liste bloccate nella proposta Vassallo restasse esiguo (al
momento, sarebbero rilevanti solo per quei partiti che ottengono più
del 50 per cento dei voti in una circoscrizione), gli incentivi individuali
verrebbero ridotti dal fatto che gli sconfitti nei collegi uninominali che
vengono ripescati perdono comunque il contatto con l'elettorato e, in prima
battuta, hanno pochi stimoli a impegnarsi sapendo di essere eletti in ogni
caso. Per esempio, i dati sul Senato eletto con il Mattarellum ci dicono che
i "ripescati" mostravano un tasso di assenteismo parlamentare del
49 per cento contro il 35 per cento dei vincitori nei collegi uninominali.
È probabile, tuttavia, che il vero effetto della legge
elettorale sulla qualità e l'impegno della
classe politica dipenda dal grado di concorrenza che si crea in contesti
diversi. Anche con il maggioritario, se la distribuzione ideologica dei votanti
tra aree del paese rendesse tutti i collegi "sicuri" in favore di
una parte politica o dell'altra, gli incentivi a selezionare i candidati
migliori o agire nell'interesse degli elettori sarebbero comunque tenui.
Certo, con le liste bloccate decise dalle segreterie dei partiti gli
incentivi sono pressoché nulli. Ma se la proposta Vassallo si conciliasse con
le primarie per ogni singola candidatura, alcuni elementi di apertura
potrebbero essere recuperati. L'importante è trovare modi efficaci per
aumentare la contestabilità di tutte le cariche elettive. Solo
così si potranno rimuovere i due effetti perversi della scarsa
concorrenza politica: la "solitocrazia" (il basso tasso di ricambio
della classe dirigente) e la "gerontocrazia" (la difficoltà
delle giovani generazioni nel raggiungere posizioni di
responsabilità). (1) Si veda Gagliarducci S., Nannicini T. e
Naticchioni P. (2007), "Electoral Rules and Politicians' Behavior: A
Micro Test", Cemfi Working Paper n.0716. L.ELETTORALE: COM. REFERENDUM BOCCIA TEDESCO, 'RITORNO A 1* REPUBBLICA' (sezione: Riforma elettorale)(
da "Asca" del 20-11-2007) (ASCA) - Roma, 20
apr - Bocciatura netta e senza appello, da parte del
Comitato per il referendum, della proposta di riforma elettorale
adottando il modello tedesco. ''Si tratterebbe - ha detto Giovanni Guzzetta,
presidente del Comitato, in una conferenza stampa a Montecitorio - di un
ritorno alla prima Repubblica, un ritorno al proporzionale. Una grande
contraddizione con le scelte da parte dei cittadini che quando hanno potuto
esprimersi hanno sempre scelto il maggioritario. E' evidente - ha aggiunto -
che se le maggioranze non escono dalle elezioni poi si formano in parlamento
e insieme al consociativismo delle colaizioni sopravvirebbero i ricatti.
Resto convinto che senza incentivi non si realizza un vero bipolarismo.
Mentre il nostro problema e' quello di liberaci della schiavitu' delle
coalizioni''. Guzzetta boccia anche la motivazione espressa da Berlusconi per
giustificare il suo repentino cambiamento: ''Non condivido l'affermazione di
Berlusconi che nel nostro Paese il bipolarismo non e' possibile. L'Italia e'
invece pronta a vivere uno schema politico bipolare. Gli italiani vogliono scegliere
chi dovra' governare e non affidare questa scelta ad alchimie di palazzo''.
Giudizio negativo anche per il mix tedesco-spagnolo, ovvero per la variante
che con l'adozione di circoscrizioni piu' piccole favorirebbe la
bipolarizzazione. ''Anche qui - e' il commento di Guzzetta - non si
garantisce una maggioranza e non si garantisce che dopo le elezioni i
soggetti politici rimangano tali, che non si scindano. E poi il sistema puo'
funzionare con una serie di meccanismi che devono tutti coesistere. Ne dovesse
mancare anche uno solo... E' difficile credere che passando al vaglio del
parlamento non ci saranno modifiche''. min/mcc/sr. Veltroni smentisce l'asse con il Cavaliere: discuterò con tutti Il leader ripete che nel 2008 non si voterà, convince Mastella, apre al dialogo con Fini (sezione: Riforma elettorale)(
da "Unita, L'" del 21-11-2007) Stai consultando
l'edizione del Veltroni smentisce l'asse con il Cavaliere: discuterò
con tutti Il leader ripete che nel 2008 non si voterà, convince
Mastella, apre al dialogo con Fini di Bruno Miserendino/ Roma ASSI Non
sarà affatto un blitz. Veltroni e Berlusconi si incontreranno presto,
visto che i mediatori, ossia Bettini e Gianni Letta si sono già sentiti
più volte nelle ultime ore, ma l'accordo di cui si parla e che
vorrebbe Partito democratico e nuova creatura del Cavaliere pronti a fare
sfracelli sulla legge elettorale
a danno dei "piccoli", al momento non c'è. Anzi, non ci
sarà. Eccolo il grande bubbone, scoppiato dopo la sortita del
Cavaliere. I boatos danno per fatto il Grande Accordo. Caldarola, ad esempio,
assicura che l'intesa è prossima. Invece i messaggi che arrivano dal
Campidoglio ma anche da tutti quelli che in queste ore hanno sentito Veltroni,
dicono che la partita è più complicata e che il segretario del
Pd è pronto ad accelerare ma non vuol sentir parlare di assi
privilegiati. "Il problema - dicono - è far capire a Berlusconi
che per quanto lui si adoperi, nel 2008 non si voterà, e che Prodi non
cadrà. A quel punto il Cavaliere, placata la furia anti-alleati,
potrebbe essere tentato da un modello più bipolare del tedesco puro
che adesso invoca". Si potrebbe aggiungere, rispondendo anche all'ultima
proposta berlusconiana, ossia governo istituzionale per fare la legge elettorale se cade Prodi e
Grosse Koalition se necessario, dopo le elezioni, che nel Pd non c'è
alcuna tentazione di larghe intese con il Cavaliere né adesso né dopo.
Veltroni, assicurano, vuole parlare con tutti e ha perfettamente presente i
rischi di un accordo privilegiato con Berlusconi. Tanto per dire, ha sentito
le parole di Fini a proposito della necessità di preservare il
bipolarismo e ha commentato così: "Molto interessante la sua
posizione". Del resto il leader di An ha indirettamente ricambiato:
"Io voglio fare le riforme, Berlusconi no". Per intenderci An
è disponibile (e subito) al confronto su tutte le riforme, compresi i
ritocchi costituzionali indispensabili. Insomma se il dialogo prenderà
corpo e realizzerà qualche risultato, si capirà quando davvero
la Finanziaria sarà approvata definitivamente, e quando tramonteranno
definitivamente gli improbabili scenari alternativi all'attuale maggioranza. Indicative ieri le parole di Mastella dopo l'incontro con
Walter Veltroni. Teoricamente il ministro della Giustizia è tra i
più preoccupati di ogni ipotesi di riforma elettorale, per
non parlare del referendum. Invece ha preso atto che l'ipotesi del "Vassallum",
ossia il mix iberico-tedesco sponsorizzato al momento da Veltroni, gli
garantisce una rappresentanza come forza radicata regionalmente. Si è
detto disponibile al confronto su questa e altre proposte,
purché ci sia "lealtà" tra gli alleati. Lui, per quanto lo
riguarda, assicura la sua al governo Prodi: il premier, dice "sta
raccogliendo dal suo lavoro frutti positivi e ha dimostrato, sia pure tra
molte difficoltà, di governare bene e di poter andare avanti".
Esattamente il contrario, notano i maliziosi, di quel che ha detto Dini
qualche giorno fa al Senato. Difficile, tanto per dirne una, che si faccia il
gruppo Dini-Mastella-Bordon, se questa è l'analisi della situazione.
Certo l'allarme dei cespugli c'è, e Diliberto e Angius gli hanno dato
voce: "L'offerta del Cavaliere è una polpetta avvelenata,
Veltroni non cada nella trappola". I Verdi consigliano "più
cura per gli alleati", mentre Bertinotti ricorda che "la trattativa
a due è una via sbagliata perché individua degli azionisti di
maggioranza e invece serve il concerto di tutte le forze". Conclusione:
servirà molto equilibrio. Ma da parte di tutti. La variabile Dini
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Unita, L'" del 21-11-2007) Stai consultando
l'edizione del La variabile Dini Giuseppe Tamburrano Non è facile capire
quali sono i fini della clamorosa iniziativa di Berlusconi né quali possono
essere le conseguenze. La spiegazione più semplice è che
sconfitto nello scontro con il governo Prodi rilancia; un'altra spiegazione
è che vuole far cadere le alleanze che gli hanno tarpato le ali e
combattere da solo certo di essere il più forte. Ma ci sono cose che
non quadrano: e la più importante è che oggi è in testa
nei sondaggi. Se il governo dura e lavora e Veltroni fa bene il suo mestiere
gli umori dei cittadini possono cambiare; d'altronde l'elettorato del Partito
del popolo può essere galvanizzato dalle otto milioni di firme (chi
era quello che aveva otto milioni di baionette?), ma l'elettorato complessivo
di centro-destra può essere scoraggiato dalla crisi dell'alleanza: e
può riprendere fiducia quello del centro-sinistra. La verità
è che il tempo è un fattore decisivo per l'ambizione di
Berlusconi a tornare a Palazzo Chigi. Ma forse stiamo sottovalutando una
variabile. Sottovalutiamo la talpa che scava sotto la poltrona di Prodi. Mi
riferisco a Dini il quale ha in mano tre carte pericolose per il governo: a)
fa parte della maggioranza; b) capeggia un gruppo di senatori ben
individuati; c) critica duramente il governo e la sua politica. A questo
punto, sulla carta, Prodi non ha più la maggioranza al Senato. Si
paleserà con un voto impegnativo questo mutamento e di conseguenza
avremo la crisi? Questa ipotesi è più realistica di quella
agitata - a vuoto, s'è visto - da Berlusconi poiché non sono ombre o
fantasmi i parlamentari che sono con Dini: hanno nome e cognome. Certo, il
governo può anche andare in minoranza - come è successo su
alcune norme della finanziaria - senza che ciò comporti l'obbligo di
dimettersi. Ma Dini ha uno strumento decisivo nelle mani: il voto di sfiducia.
Del governo ha detto: non è stato capace in questi diciotto mesi di
trovare rimedi al degrado, al declino economico, all'insicurezza, alla
sfiducia nelle istituzioni, all'ondata di populismo: è una situazione
di scollamento. Sono espressioni forti, di chi ha preso le distanze dal
governo. Se alla fine il governo cade, quali possono essere i percorsi
politici istituzionali per uscire dalla crisi? Elezioni subito? Su questo
punto l'opposizione non sembra più oggi compatta. Del resto il Capo
dello Stato sa bene che è suo dovere cercare una maggioranza
parlamentare se c'è. Ed ha sconsigliato ripetutamente di votare con la
legge elettorale in vigore.
L'uovo di Colombo è l'incarico a Veltroni, il leader più
autorevole dell'attuale maggioranza. Il quale Veltroni, d'accordo in
ciò con Napolitano, è deciso a cambiare la legge
elettorale e alcune norme costituzionali: in otto
mesi - ha detto - si può fare (anche meno se vi è la
volontà politica). E se il problema principale è questo, chi
meglio di Veltroni può affrontarlo ora che anche Berlusconi sembra
disposto a trattare: con lui e non - è ovvio - con Prodi. Veltroni ha
ottenuto una investitura plebiscitaria nelle primarie ed ha un alto
gradimento degli elettori: sarebbe giusto che si accingesse al compito per il
quale è stato investito. Che senso ha che il governo sia diretto da
chi ha poco più del 20% dei sondaggi e non da chi ha 10, 15 punti in
più? E che ha assai più chances di trovare un'intesa con
l'opposizione che non Prodi? E che - sia detto tra di noi - può
recuperare molti dei voti dell'Unione in libera uscita? Lo scoglio è
la legge elettorale. Mi
sembra che la proposta di Veltroni non incontri ampi consensi nel Pd.
È possibile che il fattore decisivo per il varo della legge alla tedesca sia il consenso di Berlusconi? Certo,
perché tutto è possibile in questo paese. E però vi è da
essere sgomenti! Circa trenta anni di storia vengono sconfessati: torna
quella tanto vituperata proporzionale che priva i cittadini del potere di
investire direttamente il governo, che mette gli esecutivi allo sbando, nei
giochi dei partiti, delle correnti, dei gruppi, provoca instabilità
(un governo ogni anno). Con in più che nella prima Repubblica c'erano
partiti strutturati, oggi ci sono ectoplasmi di partiti. E dove finiscono le
esaltazioni per i grandi successi dei referendum,
per la crisi delle oligarchie, per la "rivoluzione del
bipolarismo", per la sovranità restituita al popolo che decide
con il voto? Tutto ciò viene spazzato via in conseguenza di una furba
operazione di cosmesi politica di Berlusconi? Si poteva sperare che i settori
più responsabili - maggioranza e opposizione - del sistema politico si
impegnassero a rinnovare l'assetto istituzionale con una legge
elettorale funzionale ad un sano bipolarismo, con la
riforma dei regolamenti parlamentari e con un ragionevole rinnovamento della
Costituzione. Invece si torna indietro! E deve essere chiaro: il sistema elettorale tedesco che ora Berlusconi vuole purché puro e
che tratterà con Veltroni è perfettamente proporzionale. Eppure c'è una riforma elettorale che
calza al disgregato sistema politico italiano: il doppio turno alla francese
con opportune modifiche. Veltroni si è dichiarato anche di recente
favorevole. Era questa la proposta "ufficiale" dei Ds. Vi ha civettato
Fini e lo ha sponsorizzato tempo fa lo stesso Berlusconi. Perché non
ci riprovano?. Il ritorno della Nuova Dc Obiettivo il partito-pivot
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Sole 24 Ore, Il" del
21-11-2007) Argomenti: Esempi esteri Il Sole-24 Ore
sezione: POLITICA E SOCIETA data: 2007-11-21 - pag: 14 autore: Il ritorno
della Nuova Dc Obiettivo il partito-pivot C on la dichiarazione di Berlusconi
sulla impossibilità del bipolarismo in Italia si chiude un ciclo,
forse. Nel 1992 avevamo un sistema proporzionale
quasi puro. Grazie a un referendum siamo passati nel 1993 ad un sistema prevalentemente maggioritario. Nel 2005 questo sistema è stato sostituito da un proporzionale con
premio di maggioranza. Qualche giorno fa Veltroni ha proposto un sistema proporzionale con effetti maggioritari. Adesso
Berlusconi parla di un sistema elettorale
proporzionale puro, cioè con effetti proporzionali. Di maggioritario
non resta più nulla. E così la transizione si chiude dove era
cominciata. Dal proporzionale. Quale modello proporzionale abbia in testa
Berlusconi in realtà non si sa. I sistemi elettorali sono materia
ostica per tutti, anche per il Cavaliere. Nelle ultime ore lo abbiamo sentito
parlare di sistema tedesco, poi di proporzionale
puro. Non sono esattamente la stessa cosa. Nel tedesco ci sono i collegi
uninominali che al Cavaliere non piacciono. Gli elettori hanno un doppio voto
e anche questo al Cavaliere non piace. Per questo alla fine si orienterà
probabilmente per un proporzionale puro con uno sbarramento qualsiasi.
è questo il sistema che più gli
conviene. Con questo sistema invece di dover
dannarsi per mettere insieme una coalizione prima delle elezioni, lo
farà dopo alle sue condizioni. Berlusconi non è un ingenuo. Sa
benissimo che il futuro partito delle libertà non riuscirà mai
a raggiungere da solo la maggioranza assoluta dei voti. Non esiste nessun
partito in nessuna grande democrazia europea capace di una simile impresa.
Quello che vuole è semplicemente avere le mani libere prima del voto e
durante la campagna elettorale. E fare i conti dopo.
Per questo il bipolarismo del maggioritario non gli serve più. Gli
serve invece un proporzionale puro. Questo sistema conviene
sia a Fi/Pdl che all'Udc, o meglio alla Nuova Dc, più che a qualunque
altro partito. Certamente più che al Pd. Lo avevamo scritto prima
dell'addio di Berlusconi al bipolarismo e lo ripetiamo oggi con l'ausilio di
altre simulazioni. Proprio per dimostrare questa ipotesi abbiamo costruito
tre simulazioni molto favorevoli al Pd. Il sistema elettorale che abbiamo utilizzato è quello del quoziente naturale
(come in Germania) con una soglia di sbarramento del 5% (come in Germania), applicato a livello nazionale (come in Germania) ma senza collegi uninominali. In tutte e tre le simulazioni
abbiamo attribuito al Pd circa il 35% dei voti. La stessa percentuale
di voti con cui Blair ha vinto le ultime elezioni in Gran
Bretagna. è anche la stessa percentuale di
voti della Spd tedesca e del partito socialdemocratico svedese. In tutte e
tre le simulazioni abbiamo volutamente sottostimato Fi/Pdl dandogli sempre il
24% dei voti. Le varianti tra i primi due scenari riguardano i partiti alla
sinistra del Pd e la Nuova Dc. Nel terzo scenario abbiamo aggiunto la Lega
sotto la soglia del 5% per dimostrare che solo in questo modo, con due
partiti sotto soglia, il sistema tedesco favorirebbe
le formazioni maggiori. Il risultato politico (non aritmetico) di queste
simulazioni è uno solo. La Nuova Dc sarebbe l'ago della bilancia e il
Pd avrebbe due sole alternative plausibili: una coalizione con il partito di
Casini oppure la grande coalizione con Berlusconi. Se poi facessimo uno
scenario in cui il Pd è meno forte e Fi più forte allora al Pd
verrebbe a mancare anche la possibilità di fare maggioranza con la
Nuova Dc. In questo caso proprio Fi/Pdl sarebbe il partito più
avvantaggiato in quanto indispensabile per qualunque maggioranza
politicamente plausibile, rimettendo Berlusconi al centro della scena
politica. Ed è questo l'obiettivo delCavaliere.A meno che non coltivi
un altro piano ancora più ambizioso e rischioso: andare al referendume
subito dopo a nuove elezioni con un nuovo partito, solo contro tutti, alla
caccia del premio che lo farebbe governare finalmente da solo. LA STRATEGIA
L'ex premier punta ad avere mani libere prima delle elezioni per formare una
coalizione alle sue condizioni. Amato: prima le regole sui fondi ai gruppi
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Sole 24 Ore, Il" del
21-11-2007) Il Sole-24 Ore
sezione: POLITICA E SOCIETA data: 2007-11-21 - pag: 14 autore: Il dibattito
sulla legge elettorale.
"Soldi solo a chi entra in Parlamento" Amato: prima le regole sui
fondi ai gruppi Barbara Fiammeri ROMA Prima di varare la riforma elettorale bisogna rivedere le regole sul finanziamento ai
partiti e ai gruppi parlamentari. Giuliano Amato ne è convinto: solo
così si capirà chi sta bluffando e chi, invece, punta davvero a
ridurre la frammentazione e a costruire un bipolarismo fondato su coalizioni
omogenee. Il ministro dell'Interno la chiama scherzosamente"la prova
d'amore ". "Deve essere chiaro che il denaro dei contribuenti deve
essere destinato esclusivamente alle formazioni politiche che si sono
presentate davanti agli elettori e hanno ricevuto il consenso sufficiente ad
entrare in Parlamento", spiega l'ex premier intervenendo alseminario
sulla legge elettorale
organizzato da Astrid, l'associazione di Franco Bassanini presieduta dallo
stesso Amato. Al centro del dibattito – cui hanno partecipato numerosi
costituzionalisti e parlamentari, tra cui i presidenti delle commissioni
Affari costituzionali di Camera e Senato, Violante e Bianco – il sistema elettorale tedesco e le possibili correzioni
"spagnole" contenute nella proposta Vassallo-Ceccanti. Ed è
proprio sulle possibili contaminazioni tra i due sistemi elettorali che si
sta ora concentrando il dibattito. I tempi però sono ristrettissimi:
la nuova legge elettorale
deve entrare in vigore prima del referendum che si
terrà ad aprile. Sia il modello tedesco che quello spagnolo
consentirebbero di superare i quesiti referendari. La conferma arriva sempre
da Astrid, che sta per dare alle stampe (Passigli editori) un volume dedicato al rapporto tra referendum e
riforma, da cui emerge che tutti i modelli elettorali che non prevedano premi
di maggioranza alle coalizioni sono in grado di far saltare la consultazione
popolare. Di qui il forte appeal suscitato dal sistema elettorale in vigore in Germania: un proporzionale con sbarramento al 5%
senza vincoli di coalizione. Ma anche ( soprattutto tra i cultori del
bipolarismo) da quello spagnolo che, grazie a una forte restrizione delle
circoscrizioni elettorali – più o meno paragonabili alle nostre
province –, impone soglie di sbarramento molto alte favorendo così i
due maggiori partiti. A tentare un mix tra i due sistemi è la proposta
Vassallo-Ceccanti che piace a Walter Veltroni ma che viene criticata anche all'interno
del Pd. "Il rischio di questo sistema è che si incentivi la
formazione di liste localistiche – ha confermato Violante – le quali per
assurdo potrebbero avere una rappresentanza in Parlamento che sarebbe invece
preclusa a partiti di dimensioni nazionali rilevanti vicini all'8%". Una
tesi che invece viene contestata dal costituzionalista Beniamino Caravita
secondo cui per rispettare i partiti di medie dimensioni sarebbe sufficiente
aumentare l'area territoriale delle circoscrizioni. "Dobbiamo procedere
per trovare una soluzione realistica – ha chiosato Bassanini –: fino a pochi
mesi fa eravamo in pochi a sostenere la necessità di cancellare il
premio di maggioranza, il vero ostacolo alla costruzione di alleanze non
effimere, finalizzate cioè solo a vincere le elezioni. Adesso se ne
sono convinti tutti. Il passo successivo è affiancare qualunque
ipotesi di legge elettorale
alle indispensabili riforme costituzionali e regolamentari ". I GIURISTI
DI ASTRID Sia il modello con lo sbarramento, sia quello spagnolo con collegi
piccoli sono sufficienti a neutralizzare il referendum. Troppi luoghi comuni sull'attuale legge elettorale
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Manifesto, Il" del 21-11-2007) L'intervento Troppi
luoghi comuni sull'attuale legge elettorale Paolo Hutter Discutere di riforme elettorali sembra noioso e
capzioso, ma la disattenzione e la demagogia in questo campo producono
disastri quindi dobbiamo occuparcene in tanti. Se non sarà proprio il
tema della riforma elettorale a soffocare sul nascere la progettata federazione a sinistra
del Partito democratico, sarebbe bello e utile che quella che è
stata finora la sinistra dell'Unione socializzasse il più possibile il
dibattito, senza il timore di contrastare i luoghi comuni poco fondati. La legge elettorale con cui abbiamo
eletto la Camera dei deputati, ad esempio, è stata demonizzata e le si
sono attribuiti tutti i mali. A un esame un pochino più obiettivo si
potrebbe osservare che il cosiddetto Porcellum è in sintonia con le
leggi elettorali dei comuni delle province e delle regioni, che è un
sistema originale nel mondo, molto intelligente e equilibrato nel consentire
bipolarismo rappresentatività e governabilità, e che tutti i
mali di questi due anni sono venuti invece dal Senato. Questo vale se per
mali intendiamo il governo sempre appeso a un filo e i condizionamenti
centristi. C'è chi considera invece un male il fatto in sé che ci
siano forze minori in Parlamento e vuole abrogarle con un referendum
che porterebbe a una sorta di forzoso bipartitismo. Per i referendari la legge attuale è troppo proporzionale. Certo un po'
proporzionale lo è, ma non è responsabile della frammentazione,
né dei casi Dini Mastella Bordon. Con il Porcellum (ingiustamente vituperato
persino dal suo creatore) sarebbero rappresentati in Parlamento solo i
partiti che superano il 2 per cento e sarebbero dieci. La proliferazione di
gruppi dipende dai regolamenti parlamentari, la proliferazione di liste
civetta dipende dal lassismo in tema di raccolta firme per presentarsi, il
verticismo nella decisione su chi andrà in Parlamento dipende dai
difetti dei partiti, non dal sistema elettorale
(anche se forse il ripristino della preferenza, peraltro presente nelle leggi
comunale e regionale, sarebbe opportuno): il Porcellum è innocente.
Tutti i sistemi con la coalizione di liste e il premio di maggioranza
ripartito tra di loro hanno un comune difetto o merito, a seconda come lo si
guarda: nell'attuale fase rendono decisivi l'apporto e la presenza delle
forze minori, della sinistra. I referendari tentano di spazzare questo
ingombro a cannonate, salvo poi trovarsi rientrare dalla finestra ciò
che cacciano dalla porta. Se la lista più votata prende il premio per
governare è chiaro che sarà una lista di coalizione. La
proposta "spagnoleggiante" cerca di evitare questo rischio ma anche
di evitare l'esito più probabile di un eventuale sistema tedesco e
cioè la inevitabilità di una "grande coalizione" o
anche "stretta coalizione" al centro. Cerca invece di premiare il
partito più forte senza far fuori le forze minori, facendo in modo che
un partito del che so 40 per cento possa anche prendere il 50 per cento dei
seggi mentre uno del 5 per cento si dovrebbe accontentare del 3 per cento dei
seggi. Mi lasciava già abbastanza sconcertato che Rifondazione fosse
così innamorata del sistema tedesco. E' vero che la soglia del 5 per
cento obbligherebbe le altre formazioni di sinistra a convergere o perire ma
è anche vero che senza premio di coalizione è quasi impossibile
che la federazione a sinistra del Pd possa mai più partecipare a un
governo di centro sinistra. Pd al massimo 35 per cento sinistra al massimo 13
per cento. In un sistema alla tedesca la sinistra si troverebbe probabilmente
a dover scegliere se partecipare a un governo Pd-Udc o lasciar campo libero a
soluzioni peggiori. Ma se il sistema viene addirittura spagnoleggiato la
sinistra si accontenterebbe addirittura di essere sottorappresentata in
Parlamento pur di togliersi dall'impiccio del conflitto quotidiano nel
governo? E pensa in questo modo di attirare più voti? E che ne sarebbe
di tutto il sistema bipolare di coalizione degli enti locali? Per favore
evitiamo queste ulteriori alterazioni della democrazia elettorale
e queste avventure. Non accettiamo più le mistificazioni interessate o
superficiali. Tutti i mali son venuti dal Senato, dal bicameralismo perfetto,
dall'esclusione dei giovani dal voto per la seconda camera, dalla legge elettorale coi premi di
maggioranza regionali. Infatti ora si sta finalmente per abolire il Senato
come doppione. Se si considerano troppi i gruppetti parlamentari si conceda
il gruppo solo a chi ha passato lo sbarramento, se si considera eccessivo il
2 per cento come sbarramento ( ma perché?) si metta il 3 e non si avran
più di 6 massimo 7 partiti. Non si abbia questo sacrosanto timore di
un referendum che o non passa il quorum o
produrrà un risultato talmente assurdo da non reggere. Si discuta
francamente del problema reale, che siamo una minoranza che vuole contare e
incidere e che questo risultato nessuna legge elettorale ce lo può dare meglio di quella attuale. L'inciucio è roba da pazzi
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Manifesto, Il" del 21-11-2007) No di Alfonso
Pecoraro Scanio al proporzionale tedesco: difendiamo il bipolarismo
"L'inciucio è roba da pazzi" Bisogna accelerare
sull'unità a sinistra. L'assemblea dell'8 siglerà un "new
deal" tra sinistra e società. Siamo aperti al confronto, anche
con Beppe Grillo Matteo Bartocci "Insistere sul sistema tedesco è
una pazzia, come dimostrano le ultime svolte di Berlusconi serve solo a
favorire un inguardabile inciucio tra il Pd e la destra. E' vero che alla
sinistra piace farsi del male ma smettiamola con il tafazzismo". Per
Alfonso Pecoraro Scanio la sinistra arcobaleno farebbe "un errore"
ad accettare la fine del bipolarismo in cambio di qualche vantaggio elettorale di breve durata. Al contrario, il leader dei
Verdi rilancia sull'"unità della sinistra e degli
ecologisti", unica garanzia di innovazione e apertura per un "new
deal" tra progressisti e società. L'apertura di Berlusconi al
proporzionale, in sintonia con i centristi e con partiti della sinistra, apre
alla fine del bipolarismo di coalizione. Che ne pensi? Abbandonare il
bipolarismo è un errore. E' un sistema che consente agli elettori di
decidere in modo trasparente chi deve governare. Ha consentito al
centrosinistra di farlo per due volte e alla sinistra di vincere in Puglia
con Vendola o a Taranto con Stefàno. Non possiamo archiviarlo con leggerezza, dopo c'è solo una politica che
privilegia la compravendita di interessi. Ma qualche problema in queste
coalizioni sterminate c'è. Non sono innamorato di alleanze coatte ma
di un programma chiaro e trasparente, come si fa senza troppi clamori nella
maggior parte dei comuni e delle regioni. Eppure a Roma condiziona di
più Dini con i suoi tre senatori che i vostri 150 parlamentari. La
sinistra ha garantito molti provvedimenti scritti nel programma. E' vero, noi
agiamo in modo opposto a Dini, siamo una forza responsabile che non ha mai
fatto ricatti. Con 150 parlamentari abbiamo il dovere di avere un
comportamento corretto e di portare avanti contenuti positivi e non
personali. Berlusconi intanto reagisce alla sconfitta. E passa dalla
"spallata" allo scioglimento di Forza Italia come se nulla fosse.
E' un uomo abile. Ma che si sciolga con un comizio e sui giornali un partito
così votato, senza alcun dibattito o congresso, la dice lunga sulla
sua concezione della democrazia. E' la conferma che non abbiamo risolto il
conflitto di interessi. Forse oggi, che nuoce anche a loro, An e Udc si
rendono conto dell'errore di aver taciuto su questa anomalia gigantesca. Non
è che rischiate di finire schiacciati tra il referendum
di Berlusconi/Veltroni e il tedesco di Bertinotti, D'Alema e Casini? Noi
insistiamo per il bipolarismo e per le preferenze. La federazione della
sinistra e degli ecologisti la faremo comunque, a prescindere dal sistema elettorale. Rifondazione ha ragione a chiedere
libertà di movimento ma in Germania quel sistema è in crisi e
in Italia sarebbe usato per una grande coalizione tra Pd e Berlusconi. Un
inciucio inguardabile che non può essere favorito da chi vuole
spostare a sinistra le scelte del paese. Qual è la
vostra proposta sulla legge elettorale? Prima di paralizzarci su modelli stranieri valutiamo il
modello delle comunali: un doppio turno di coalizione a livello nazionale. Ma
non implica l'elezione diretta del premier, come del sindaco? No, l'elezione
diretta del presidente del consiglio è stata bocciata dal referendum costituzionale. Con il doppio turno nazionale il Pd
deciderà se allearsi o meno con la sinistra, sennò si
deciderà al secondo turno. E' un sistema proporzionale che la gente
conosce e che consente una maggioranza certa. Ma con il sistema francese la
sinistra non governa da anni. Non è il sistema francese. Io non parlo
di un doppio turno di collegio, parlo del sistema delle comunali: partiti
coalizzati o meno che indicano un premier. Ne avete parlato con Veltroni? No,
gli ho detto che il modello spagnolo che ha proposto è sbagliato:
favorisce i partiti provinciali e personali. Soprattutto perché qui, a
differenza che in Spagna, i presidenti di regione sono eletti direttamente, e
nascerebbero mille comitati locali che renderebbero il panorama ancora
più disarticolato. C'è il Pd e un partito unico a destra. La
federazione della sinistra va bene o bisogna accelerare? Io contesto l'idea
che una federazione sia meno innovativa di un partito unico. A me il
politburo non interessa né vedo l'ora di venerare la salma di Lenin. Dobbiamo
costruire un modello più moderno, che consenta la partecipazione anche
a chi non è comunista, socialista o ambientalista. Abbiamo il dovere
di essere creativi in tutto. L'8 e 9 dicembre avete convocato un'assemblea
generale. E' una data fondativa? Secondo me è un vero punto di
partenza. Vorrei un grande forum tipo Porto Alegre, che lanci una carta dei
valori comune e primarie di programma sulle 10 grandi riforme arcobaleno.
Dobbiamo dire come vogliamo cambiare la società: reddito di
cittadinanza, unioni civili, bioedilizia. Dobbiamo costruire un "new
deal" per la nuova sinistra, non un arroccamento di nostalgici. Il
nostro obiettivo è fondere i diritti sociali, che sono un patrimonio
di tutta la sinistra, con i nuovi diritti di libertà e dell'ambiente.
Dobbiamo mettere la laicità al centro di ogni nostra azione, misurarci
davvero su questioni come la sessualità o il software libero. Mi
piacerebbe molto, per esempio, che si confrontassero con noi l'Arcigay, ma
anche Beppe Grillo e i suoi "meet up", o i comitati per la difesa
del paesaggio di Asor Rosa. Questa sinistra ecologista non sarà solo
una federazione tra partiti ma deve essere uno spazio aperto a disposizione
di tutti. Veltroni teme una beffacome fu la bicamerale
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Secolo XIX, Il" del 21-11-2007) Centrosinistra
nRoma. Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, si limita a dire:
"Berlusconi vuol far cadere il governo. La sua proposta, quindi, non
può essere altro che una "polpetta avvelenata". Veltroni
stia in guardia". In privato, gli stessi timori sono stati espressi da altri
leader del centrosinistra: Berlusconi ha già fatto saltare in aria il
"tavolo" della Bicamerale di D'Alema, e nulla
impedisce che tenti lo stesso gioco nuovamente. In altre parole: potrebbe
trattare sulla riforma elettorale, fino al giorno prima del referendum, e
poi fermarsi e chiedere nuovamente il voto. Altro fumo negli occhi,
soprattutto dei piccoli partiti della coalizione, la fine del bipolarismo.
Ventiquattro ore dopo la fine della Cdl, la maggioranza scopre che si tratta
di una vittoria piena di insidie. Gli emissari di Veltroni e Berlusconi
(Bettini e Letta) sono già al lavoro per organizzare il "faccia a
faccia". Ma il segretario del partito democratico deve prima sondare
tutti gli alleati del governo Prodi. Ieri ha incontrato Clemente Mastella:
"Sul tavolo c'è una proposta - ha detto il sindaco di Roma - ma
nulla vieta di trovare altre soluzioni. Magari tornare alla "bozza"
elaborata dal ministro delle Riforme, Vannino Chiti". "Un incontro
positivo - ha detto il Guardasigilli, che sembra preferire la seconda ipotesi
- Veltroni ha mostrato di tenere in considerazione le nostre richieste".
Ma è a sinistra della coalizione che si avvertono scricchiolii
sinistri. Da una parte c'è Rifondazione:: "Ora la riforma sul
modello tedesco è a portata di mano" ha sostenuto il segretario,
Giordano. Dall'altra, Verdi e Comunisti italiani che vedono con
preoccupazione le mosse di Berlusconi. "Il bipolarismo è un
valore che l'Italia ha dimostrato di apprezzare. Non possiamo permettere che
sia Berlusconi, da solo, ad archiviare, dopo 12 anni, questa esperienza"
ammonisce Alfonso Pecoraro Scanio, portavoce dei "Verdi".
"Sarebbe la vittoria del trasformismo. Altrimenti Pd e Pl potrebbero
anche accordarsi per riscrivere la Costituzione" rincara la dose anche
Manuela Palermi, capogruppo del Pdci al Senato. Veltroni e Prodi hanno dovuto
tranquillizzare tutti. Prima, da Palazzo Chigi è arrivata la conferma:
"Le riforme si fanno ricercando l'accordo di tutti: non ci sono
interlocutori privilegiati". A parlare, a nome del segretario del Pd,
è Dario Franceschini: "Vogliamo capire se la tattica di
Berlusconi è seria, oppure solo un tentativo di intimidire i suoli
alleati. La riforma non la facciamo a colpi di maggioranza, e neppure
"tirando a fregare" qualcuno". A.M.B. Diliberto:
"È una polpetta avvelenata". Prodi: "Riforme solo
ricercando l'accordo di tutti" 21/11/2007. L'asse Pd-Pdl piace. Non a Prodi Rifondazione esulta. Intesa Veltroni-Mastella. Il Prof: Si parli con tutti (sezione: Riforma elettorale)(
da "Nazione, La (Nazionale)" del
21-11-2007) L'asse Pd-Pdl
piace. Non a Prodi Rifondazione esulta. Intesa Veltroni-Mastella. Il Prof:
"Si parli con tutti" ? ROMA ? NEGLI AMBIENTI veltroniani si
dà per scontato che Prodi sia soddisfatto della piega presa dal
dialogo sulle riforme. "Se il confronto decolla ? spiegano dalle parti
del senatore Goffredo Bettini ? il governo si allunga la vita e nessuno di
noi avrà interesse a riproporre la questione, oggettivamente
destabilizzante, del rimpasto di governo". Eppure, qualche dubbio Romano
Prodi deve averlo. Dubbi di merito e di metodo. Palazzo Chigi, infatti, ieri
ha piantato due paletti: la riforma elettorale deve
garantire "bipolarismo, governabilità e
rappresentatività"; il dialogo dev'essere "polifonico"
e non ridursi a un duetto tra Veltroni e Berlusconi. La prima precisazione si
spiega col fatto che, come mostrano gli strali dei prodiani Monaco e Parisi,
Prodi non è un fautore del proporzionale. La seconda risponde al
timore che, pur di chiudere l'accordo col Cavaliere, Walter Veltroni possa
decidere di sacrificare l'attuale governo. "Già il fatto che
autorizzi i suoi a parlare di elezioni nel 2009 non ci rassicura...",
confida un prodiano. MA IL SINDACO di Roma non se ne cura. Lo descrivono
"cautamente ottimista" sul fatto che Silvio Berlusconi intenda
affrontare il dialogo sulle riforme con animo costruttivo perché, spiegano,
"ora che ha rotto con gli alleati, è più difficile che
rovesci il tavolo per ripiegare su un referendum
che, se passasse, lo obbligherebbe a presentarsi alle elezioni assieme a Fini
e Casini". Nell'immediato, il leader del Pd intende rassicurare gli
alleati. E ieri con il ministro Clemente Mastella c'è riuscito. Gli ha
detto che non punta al referendum, gli ha spiegato che la sua proposta di legge elettorale avvantaggerebbe l'Udeur e, soprattutto, gli ha fatto capire di
avere tutto l'interesse ad allearsi con una forza marcatamente cattolica come
la sua. Veltroni, infatti, intende dar vita a un sistema bipartitico, ma,
spiega Mastella, "quello che ha in mente è un bipartitismo
imperfetto come accadeva nella Prima repubblica, dove attorno alla Dc,
forza egemone, gravitavano alcuni satelliti". A MASTELLA va bene, anche
perché potrebbe di volta in volta "gravitare" attorno al Pd o al
Pdl di Berlusconi. Mentre, se davvero il proporzionale con sbarramento
diventasse legge, i partitini della sinistra
sarebbero obbligati ad accorparsi senza peraltro alcuna garanzia di poter
orbitare attorno al Pd qualora questo vincesse le elezioni. La prospettiva va
bene a Fausto Bertinotti, che infatti ieri apprezzava il fatto che,
"dopo le aperture di Berlusconi, il sistema tedesco è alla
portata dell'approvazione del Parlamento". Ed è stato sempre il
presidente della Camera il protagonista di un siparietto sorprendente in
Transatlantico. Dice, infatti, Bertinotti incontrando gli azzurri Fabrizio
Cicchitto e Antonio Leone: "Fantastico", "eccezionale",
un gran colpo di teatro", "l'alfa e l'omega della Seconda
Repubblica", un politico che "decide le regole del gioco, mentre
gli altri le seguono". Chi è il politico? Berlusconi. Ma,
tornando alle riforme, a parte Sd, l'asse Pd-Pdl non va bene agli altri
potenziali inquilini della Cosa Rossa. E infatti il segretario del Pdci,
Oliviero Diliberto, dopo essersi visto respingere la proposta di inserire la
falce e il martello nel simbolo del futuribile partito, ieri metteva in
guardia Veltroni dal trattare con Berlusconi. "E' una trappola per far
cadere Prodi", diceva. Mentre il verde Bonelli definiva quell'embrione
di dialogo secondo il più classico degli schemi: "Un
inciucio". E se si considera che il socialista Angius rilascia
dichiarazioni di fuoco sulle mire egemoniche del Pd, si capisce perché
Veltroni pare intenzionato ad evitare che al tema della legge
elettorale venga dedicato un vertice di maggioranza.
Prodi? Dissente. a. can. - -->. Legge elettorale, proposte a confronto
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Denaro, Il" del 21-11-2007) Commenti
politica Legge elettorale, proposte a confronto di Tommaso Nannicini* Ora che si allontana lo
spettro delle elezioni anticipate e si avvicina quello del referendum, il dibattito sulla riforma elettorale
entra nel vivo. Il dilemma che minaccia di dividere il fronte degli
innovatori è: sistema maggioritario o proposta Vassallo?
Gli effetti delle due alternative dovrebbero essere valutati sia in un'ottica
macro (sistema partitico e governabilità) sia in un'ottica micro
(caratteristiche della classe politica). La proposta Vassallo ha il merito di
introdurre un obiettivo troppo spesso sottovalutato: evitare il formarsi di
"coalizioni pre-elettorali artificiose, prive di coesione
programmatica". È il problema che Giovanni Sartori pone da anni:
la stabilità (dei governi) si rivela dannosa se non è
accompagnata dall'effettività (del governare). Nella Seconda Repubblica,
tutte le maggioranze governative si sono rivelate eterogenee e inconcludenti.
Il sistema prevalentemente maggioritario (al 75 per cento) che abbiamo
sperimentato dal 1994 al 2001 non ha ridotto la frammentazione partitica.
Boeri e Galasso si chiedono se ciò non sia dipeso dal fatto che il
maggioritario era "diluito" (dal 25 per cento della quota
proporzionale). La frammentazione, tuttavia, era tale solo nella parte
maggioritaria e non in quella proporzionale (con sbarramento). Nell'ultima
legislatura del Mattarellum (2001-06), i deputati eletti nel proporzionale
appartenevano a cinque partiti, mentre i deputati eletti nel maggioritario
appartenevano a ben tredici. Le formazioni minori, grazie al loro potere di
ricatto ("se non mi dai qualche collegio sicuro, mi presento ovunque e
ti faccio perdere"), riuscivano a far eleggere
i loro esponenti proprio nei collegi uninominali. È vero che, in
un'ottica dinamica, si potrebbe pensare che, a forza di votare con il
maggioritario a turno unico (al 100 per cento), i partiti minori potrebbero
sparire a causa delle poche occasioni per contarsi. Ma in Italia, dove si
vota con il proporzionale a molti livelli (regionale, comunale) e i
regolamenti parlamentari permettono la formazione di piccoli gruppi non
presenti sulla scheda elettorale, le occasioni di
visibilità politica esisterebbero comunque. Solo il doppio turno
ridurrebbe il potere di ricatto dei partiti minori, ma proprio per questo la
probabilità che si faccia strada è quasi nulla. D'altro canto,
è vero che il Mattarellum ha consentito una competizione bipolare e la
scelta della maggioranza di governo da parte degli elettori. Mentre esiste il
rischio paventato da Boeri e Galasso che la proposta Vassallo aumenti il
potere d'interdizione dei partitini di centro, riducendo, però, il
potere di ricatto dei partitini alle estreme. Quella proposta, tuttavia,
è perfettamente compatibile con una competizione bipolare incentrata
su due grandi partiti a vocazione maggioritaria, che collaborino con le formazioni
minori senza snaturare il proprio programma di governo. Ma, affinché
ciò si realizzi, dovrebbero verificarsi condizioni non così
scontate nel contesto italiano, come un accordo esplicito tra le forze
maggiori. In Spagna, ad esempio, il partito socialista ha già
dichiarato ufficialmente che, se dovesse prendere anche un solo voto in meno
del suo diretto antagonista , lo lascerebbe governare, anche qualora il
partito popolare non raggiungesse il 50 per cento e fosse realizzabile una
coalizione alternativa formata dal Psoe e dai partiti minori (comunisti,
nazionalisti). Un'altra peculiarità italiana che, sposandosi con la
riforma Vassallo, rischia di aumentare a dismisura il potere dei partitini di
centro è l'invadenza della politica in molti settori economici e
sociali. L'Italia è ancora piena di "partiti degli
assessori" che si auto-riproducono grazie al potere discrezionale del
ceto politico in molti campi. È chiaro che molti esponenti di questo
ceto periferico verrebbero attratti, come gli orsi dal miele, dal nuovo
potere d'interdizione delle piccole formazioni di centro. Diciamola
così: in un'ottica macro, il maggioritario a turno unico può
garantire il bipolarismo, ma non la governabilità. Il doppio turno
favorirebbe tutte e due le cose, ma non ha nessuna chance di essere adottato.
La proposta Vassallo si muove sul terreno delle scelte possibili: riduce la
frammentazione, ma non troppo (per schivare il fuoco dei veti incrociati);
favorisce la credibilità delle opzioni di governo, ma può
creare scricchiolii nel bipolarismo (soprattutto se non si sposerà con
un accordo tra i partiti maggiori e una riduzione dell'invadenza della
politica nella società). Quali sono invece gli effetti che possiamo
attenderci dalla riforma Vassallo (o da un ritorno al maggioritario) in
termini di selezione della classe politica? Un recente studio econometrico
sui deputati eletti con il Mattarellum mostra che gli eletti nella parte
maggioritaria danno prova di un maggiore impegno parlamentare rispetto ai
loro colleghi eletti con il proporzionale, secondo le misure disponibili di
produttività parlamentare: assenteismo alle votazioni elettroniche,
produzione legislativa. In termini di caratteristiche osservabili, inoltre,
il maggioritario favorisce chi ha avuto esperienze amministrative a livello
locale (56 per cento contro il 43 per cento nel proporzionale), mentre
sfavorisce le donne (9 contro il 24 per cento) e chi ha avuto incarichi
nazionali di partito (21 contro il 27 per cento). Il ritorno al
maggioritario, quindi, favorirebbe l'accountability politica e il controllo
degli elettori sugli eletti, ma potrebbe avere effetti collaterali
sull'eguaglianza di genere. La proposta Vassallo, dal canto suo, sarebbe
associata a una minore accountability rispetto al maggioritario, pur rappresentando
un miglioramento rispetto all'attuale legge elettorale con (lunghe) liste bloccate. Anche se il ruolo
delle liste bloccate nella proposta Vassallo restasse esiguo (al momento,
sarebbero rilevanti solo per quei partiti che ottengono più del 50 per
cento dei voti in una circoscrizione), gli incentivi individuali verrebbero
ridotti dal fatto che gli sconfitti nei collegi uninominali che vengono
ripescati perdono comunque il contatto con l'elettorato e, in prima battuta,
hanno pochi stimoli a impegnarsi sapendo di essere eletti in ogni caso. Per
esempio, i dati sul Senato eletto con il Mattarellum ci dicono che i
"ripescati" mostravano un tasso di assenteismo parlamentare del 49
per cento contro il 35 per cento dei vincitori nei collegi uninominali.
È probabile, tuttavia, che il vero effetto della legge
elettorale sulla qualità e l'impegno della
classe politica dipenda dal grado di concorrenza che si crea in contesti
diversi. Anche con il maggioritario, se la distribuzione ideologica dei
votanti tra aree del paese rendesse tutti i collegi "sicuri" in
favore di una parte politica o dell'altra, gli incentivi a selezionare i
candidati migliori o agire nell'interesse degli elettori sarebbero comunque
tenui. Certo, con le liste bloccate decise dalle segreterie dei partiti gli
incentivi sono pressoché nulli. Ma se la proposta Vassallo si conciliasse con
le primarie per ogni singola candidatura, alcuni elementi di apertura
potrebbero essere recuperati. L'importante è trovare modi efficaci per
aumentare la contestabilità di tutte le cariche elettive. Solo
così si potranno rimuovere i due effetti perversi della scarsa
concorrenza politica: la "solitocrazia" (il basso tasso di ricambio
della classe dirigente) e la "gerontocrazia" (la difficoltà
delle giovani generazioni nel raggiungere posizioni di
responsabilità). (Il testo è tratto dal sito www.lavoce.info)
*docente di Economia all'Università Carlos III di Madrid 21-11-2007. Maroni: Lega arbitro del dialogo sulla legge
elettorale (sezione: Riforma
elettorale)
(
da "Padania, La" del 21-11-2007) Il capogruppo dei
deputati leghisti a colloquio con il presidente di An: "Fini apprezza e
considera molto utile l azione di Bossi sulla legge elettorale e il Patto di Gemonio" Maroni: Lega
arbitro del dialogo sulla legge elettorale
Fabrizio Carcano La Lega? "L'azione di Umberto Bossi è stata
apprezzata anche da Fini ed è considerata molto utile. Ancora un volta l azione di Bossi riveste un ruolo determinante
per farci ottenere un risultato importante, ovvero una legge elettorale che eviti il referendum". La partita sulla
riforma della legge elettorale, bloccata da mesi, sembra essersi riaperta e la Lega Nord,
come sempre, è pronta a recitare un ruolo da protagonista, come
ha spiegato lunedì la segreteria politica, Umberto Bossi, impegnato
nella veste di mediatore e di garante degli impegni assunti, e come ribadisce
anche Roberto Maroni, presidente dei deputati che, all indomani dell annuncio
di Silvio Berlusconi di voler accettare un confronto con la maggioranza di
centrosinistra sulla riforma elettorale, osserva:
"Bossi è favorevole alla trattativa tra Berlusconi e il Governo
purché si rispettino i punti del nostro accordo raggiunto a Gemonio, ovvero
un proporzionale con lo sbarramento simile a quello tedesco e l'indicazione
del candidato premier che avviene prima". L iter della trattativa sulla
riforma elettorale, quindi, riparte dall accordo
stipulato nei primi giorni di settembre a Gemonio, a casa del Senatur, alla presenza
dello stato maggiore leghista, di Berlusconi e di Gianfranco Fini che,
proprio ieri, ha ricordato l importanza di questo patto. "Nei prossimi
giorni solleciteremo Berlusconi a garantire il mantenimento degli impegni
presi con il patto di Gemonio, anche se mi pare che Berlusconi abbia
già dato garanzie da questo punto di vista. Ma - sottolinea Maroni -
prima che lui incontri Prodi o Veltroni, se e quando li incontrerà,
è utile che venga riconfermato quell'accordo di Gemonio. Anche per
utiizzare l occasione per cercare di rimettere insieme i pezzi della Casa
delle Libertà che sta andando o è andata un po' in frantumi in
questi ultimi tempi. Non certo per responsabilità della Lega
naturalmente". La Lega, anzi, in questo momento di tensione tra i vari
partiti della coalizione, sembra avere un ruolo di mediatore e di pungolo nel
proseguire sulla strada delle riforme. Un ruolo riconosciuto anche da Fini.
"E così. L'azione di Umberto Bossi è stata apprezzata
anche da Fini ed è considerata molto utile". Lunedì
Berlusconi, parlando di legge elettorale,
ha menzionato il proporzionale ma non gli altri due punti dell accordo di
Gemonio, l indicazione del premier e quella preventiva delle alleanze. Cosa
ne pensa? "Noi siamo tranquilli. E tranquillo Umberto Bossi, che ha
sentito al telefono Berlusconi, ed è tranquilla la Lega. Questi punti
sono scritti nel patto di Gemonio, li ha scritti Tremonti. E Berlusconi ha
riconfermato tutto a Bossi nelle ultime telefonate. E in ogni caso non penso
che Berlusconi abbia alcun interesse a lasciare fuori la Lega, perché in
qualunque caso, con qualunque legge elettorale, e la Lega ne ha passate tante di leggi
elettorali, non si può fermare la forza e il radicamento che la Lega
ha nei territori del Nord. Berlusconi non può pensare di fare a meno
della Lega perché senza di noi sa di perdere, ma non mi pare che sia nelle
sue intenzioni. Abbiamo un accordo e non vedo quali siano i problemi per non
mantenerlo e da parte di Berlusconi non vediamo nessun segnale in tal senso.
Ripeto, noi siamo tranquilli". Non sono tranquilli però gli altri
partiti della Cdl, soprattutto An, dopo l annuncio del varo del nuovo partito
di Berlusconi. No? "Mah... la vera novità non mi sembra l
annuncio di un nuovo partito a cui nessuno ha intenzione di aderire e che
dunque sarà solo Forza Italia che cambia nome. La vera novità,
quella più importante, è che dopo mesi in cui ha detto e
ripetuto di non voler avviare nessuna trattativa con il centrosinistra ora
Berlusconi dice mettiamoci ad un tavolo, discutiamo e facciamo una nuova legge elettorale . Questa
è la novità vera. E da questo punto di vista il richiamo che
Fini fa all'iniziativa di Bossi è importante". Una novità,
l apertura berlusconiana al confronto, accolta con piacere dalla Lega.
Giusto? "Sicuramente. Il fatto che Berlusconi abbia accettato un dialogo
sulle riforme realizza quello che noi avevamo sempre auspicato, Ribadisco,
Bossi è favorevole alla trattativa tra Berlusconi e il Governo, purché
si rispettino i punti del nostro accordo raggiunto a Gemonio".
Berlusconi intanto ha rilanciato: il Governo imploderà a breve,
probabilmente sul Welfare. "E quello che auspichiamo anche noi. Il
nostro obiettivo, ovviamente, resta quello di mandare a casa questo Governo.
Ma la maggioranza sembra tenere quindi, probabilmente, non si andrà al
voto fino al 2009 e allora che facciamo il prossimo anno? La guerriglia
oppure le riforme di cui il Paese ha bisogno?". Al Senato, però,
le divisioni non mancano e nemmeno gli scontenti, soprattutto nell area
moderata... "Personalmente eviterei di mettere il nostro destino, quello
della Lega e del Nord, ma anche quello della Cdl, nelle mani di senatori che,
senza offesa per nessuno, alla fine rappresentano solo sé stessi. Perché i
vari Bordon o Dini possono anche far cadere Prodi ma certamente non per
andare a votare: se lo fanno cadere lo fanno per fare un nuovo Governo, dove
magari siano dentro anche loro e dubito che un'operazione del genere possa
interessarci. Comunque mandare a casa Prodi è l'obiettivo di tutti, ma
se non ci si dovesse riuscire, visto che sono attaccati alle poltrone con
l'attack, allora cosa si fa? Se il Governo purtroppo non cade, e noi siamo
tutti impegnati a farlo cadere, ma se non cade e non si va a votare, e
pertanto fino al 2009 non si voterà, allora cosa facciamo da qui al
2009? Facciamo la guerriglia tutti i giorni, sapendo che tanto il Governo non
cade? O cerchiamo di fare cose utili, riforme importanti, come la legge elettorale e il Senato
federale? Noi siamo per questa seconda ipotesi e mi pare che a poco a poco
anche Berlusconi stia venendo su queste posizioni. Anche perché..."
Anche perché? "E bene ricordare che l azione di Governo è una
cosa distinta e separata dalla questione delle riforme. Sono due cose che non
c entrano. L azione del Governo viene sostenuta dalla maggioranza, solo dalla
maggioranza e punto. Il dialogo sulle riforme è un altra cosa e non
vuol dire affatto sostenere il Governo. Adesso, se questo Governo non dovesse
cadere, avremmo davanti 18 mesi di tempo, visto che non si voterebbe prima
del 2009, e allora penso sia più utile cercare di ottenere il massimo
possibile, ovvero il Senato Federale e la riforma della legge
elettorale". A proposito: per la riforma elettorale i tempi sono davvero stretti. Dicembre si
brucia per la Finanziaria e il referendum si
terrebbe in primavera. Dunque in mezzo ci sarebbero meno di tre mesi.
Basteranno? "Se non c è un accordo politico non bastano dieci
anni. Se c è l accordo politico con la maggioranza e con Berlusconi si
può fare la riforma in due settimane". [Data pubblicazione:
21/11/2007]. "Sì a riforme, no a grande
coalizione" (sezione: Riforma elettorale)
(
da "Stampaweb, La" del 21-11-2007) (11:14)
"Sì a riforme, no a grande coalizione" Romano Prodi + Pdl,
Fini-Berlusconi: è guerra + La campagna acquisti a danno degli alleati
MULTIMEDIA VIDEO Berlusconi lancia il Pdl e apre al dialogo AUDIO Berlusconi
presenta il nuovo partito AUDIO Il nuovo corso della politica di Berlusconi
Il premier: "Il Paese ha bisogno di riforme". E sul sistema elettorale non si sbilancia ROMA È durato quasi
un'ora il colloquio tra il presidente del Consiglio, Romano Prodi e il
segretario del Pd, Walter Veltroni a palazzo Chigi, presente anche il vice
Dario Franceschini. Veltroni è arrivato intorno alle 8 e ha lasciato
la sede del governo prima delle 9. Al centro dell'incontro le riforme, la legge elettorale e i contatti con
l'opposizione che il leader del Pd sta tenendo. Una riunione
"rapida" nella quale il segretario del Pd ha presentato il nuovo
simbolo del partito. Prodi racconta così l'incontro di stamani con
Walter Veltroni. "È venuto a presentarmi il simbolo del partito,
è stata una riunione rapida. Un simbolo molto bello, dove c'è
la scritta Pd sotto quella dell'Ulivo. Oggi lo presenterà in
pubblico". Lunedì prossimo incontro tra Fini e Veltroni Veltroni,
intanto continua il suo giro di consultazioni e lunedì 26 novembre
alle ore 16 incontrerà il leader di An, Gianfranco Fini. Proprio
dall'Ulivo arriva un monito. È quello del ministro della Famiglia Rosy
Bindi, proprio in vista dei suoi incontri con Berlusconi e il resto
dell'opposizione sulla riforma elettorale.
"Deve trovare prima l'accordo sulla legge elettorale con tutti gli alleati di centro sinistra, e, solo
dopo, trattare con tutto il centrodestra", affema il ministro sconfitto
da Veltroni nella corsa alla segreteria del Pd. "Non facciamo come
Berlusconi che cannibalizza il centro destra - dice Bindi - Se no lasceremmo
il sospetto di uno, o forse due patti segreti, o una legge elettorale che cannibalizza i partiti minori o il referendum, che significherebbe poi andare a votare comunque". Pdl:
"Se rimane in carica Prodi, dialogo solo su legge elettorale" Dall'opposizione arriva una precisazione: il Pdl
è pronto al dialogo con il Pd di Walter Veltroni per realizzare una
nuova legge elettorale ma ritiene "impensabili" altre riforme se il
governo Prodi resterà in carica, come dichiara il portavoce di Silvio
Berlusconi, Paolo Bonaiuti. "Questo nuovo partito, come è ovvio -
dice Bonaiuti - accetta un dialogo sulla legge elettorale: essendo una nuova formazione ritiene giusto,
inserendosi in una realtà nuova, di partecipare al dibattito sulla
riforma elettorale. E riconosce a Veltroni l'idea di
andare a discuterne". Ma "al di là" della riforma elettorale, "ogni dialogo sulle riforme - prosegue
Bonaiuti- non è però possibile, perchè non è
pensabile che un governo che in 18 mesi ha fallito tutto ed è
precipitato ai piu bassi livelli di fiducia nella storia della repubblica
italiana, d'improvviso si sveglia e dice: dopo esserci preso tutto,
discutiamo di riforme, perdiamo tempo e così portiamo avanti la
legislatura fino al 2011..". Riforma elettorale, Segni 'Un salto indietro di 20
anni' (sezione: Riforma
elettorale)
(
da "Voce d'Italia, La" del
21-11-2007) La Voce d'Italia -
nuova edizione anno II n.65 del 21/11/2007 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Politica
Riforma elettorale, Segni: "Un salto indietro di 20 anni" Roma, 21 nov.
- In un'intervista a La Stampa, Mario Segni (foto) interviene nel dibattito
sulla riforma della legge elettorale. "La presa di posizione di Berlusconi e l'apertura al
sistema proporzionale alla tedesca rischiano di riportare l'Italia indietro
di vent'anni" dichiara il coordinatore del Comitato nazionale per
i referendum. Sabato 24 novembre alle 10.30, presso
lo spazio Etoile di Piazza in Lucina a Roma, avrà luogo l'incontro dei
Comitati locali per il referendum. Si tratta di un
appuntamento di particolare rilevanza, considerato lo scontro in atto su
questo tema. Berlusconi, diktat a Veltroni: "Legge elettorale, poi il voto" (sezione: Riforma elettorale)(
da "Giornale.it, Il" del
21-11-2007) Di Redazione -
mercoledì 21 novembre 2007, 18:10 Stampa Dimensioni Invia ad un amico
Vota 1 2 3 4 5 Risultato Roma - "La nostra posizione è chiara e
si può riassumere così: noi vogliamo contribuire a costruire un
sistema elettorale che incentivi la formazione di
grandi partiti, non di alleanze elettorali impotenti, impossibilitate a
governare. Il nostro obiettivo è un sistema politico fondato su due
grandi partiti, più forti e finalmente omogenei, in competizione per
il governo di questo paese". è quanto ha dichiarato Silvio
Berlusconi nell'intervista rilasciata a Il Giornale della Libertà che
sarà nelle edicole, come supplemento de Il Giornale, venerdì 23
novembre, e nella quale si è parlato anche del problema della riforma elettorale che verrà affrontato nel corso
dell'incontro che il Cavaliere avrà il 30 novembre con Walter
Veltroni. No alle riforme Pare però, gli è stato chiesto, che
Veltroni intenda affrontare anche il problema delle riforme costituzionali.
Lei esclude questa possibilità? "Quando ci incontreremo - ha
risposto Berlusconi - chiariremo i rispettivi punti di vista su tutto. Dico
però fin d'ora che questo parlamento non ha più la fiducia dei
cittadini e non può certo riformare la Costituzione. In questa
situazione, dove il discredito del governo è al massimo grado, occorre riformare rapidamente la legge elettorale e tornare alle urne. Poi si potrà discutere, e noi
abbiamo proposte nuove e soluzioni efficaci. Discuterne ora mi pare del tutto
prematuro. Anche perché - ha aggiunto Berlusconi - un accordo sulla riforma elettorale presuppone anche un comune impegno ad andare subito al voto.
Abbiamo un governo che non ha più la maggioranza in parlamento ed
è ora che vada a casa. Cos'altro deve ancora accadere per poter
tornare alle urne? Questo governo è già imploso da un
pezzo". Solo le urne E se fallisse questo accordo, Lei come si
porrà di fronte all'ipotesi che ormai è quasi realtà del
referendum? "Penso che sia giusto - ha risposto
Berlusconi - affrontare un problema alla volta. E poi sa cosa le dico? Un
Partito della Libertà che, appena nato, può già contare,
come confermano i sondaggi di queste ultime ore, sul 35-37% dei consensi del
corpo elettorale, non deve avere paura di nulla.
Sono convinto anche che, entro qualche mese, di adesioni ne potranno arrivare
ancora di più. Il vento del cambiamento spirerà sempre
più forte". Lei quindi esclude a priori l'ipotesi che si possa
arrivare ad una grande coalizione? "Qualunque ipotesi prevede che prima
ci siano elezioni. Come ho già detto, un problema alla volta".
Pagina successiva >>. Riforme: Veltroni incontra Fini e Berlusconi. Prodi: non servono grandi coalizioni (sezione: Riforma elettorale)(
da "Sole 24 Ore Online, Il" del
21-11-2007) Sulle riforme
lunedì incontro tra Fini e Veltroni. Prodi: non servono grandi
coalizioni di Sara Bianchi commenti - | | 21 novembre 2007 SONDAGGIO Vi piacciono
i loghi del Partito Democratico e quello della formazione proposta da
Berlusconi? Lo scontro tra Berlusconi e il leader di An ANALISI Dal
proporzionale al maggioritario e ritorno di Roberto D'Alimonte IL PUNTO Il
sistema tedesco porta alle larghe intese dopo il voto di Stefano Folli La
proposta Veltroni Grandi coalizioni? No, "al Paese servono
riforme". Romano Prodi risponde così ai cronisti che gli
domandano degli incontri in corso. "È un confronto
continuo", spiega il Presidente del Consiglio, perchè
"dobbiamo portare avanti l'approvazione dei provvedimenti che abbiamo
varato". Il modello di riferimento rimane quello
tedesco? Il premier non si sbilancia: "la discussione è in
corso", si limita a osservare. Certo il confronto su legge elettorale e riforme istituzionali, resta serrato, anche se a distanza
con l'opposizione, con tanto di colpi di teatro del rivale di sempre, Silvio
Berlusconi. I faccia a faccia più attesi sono quelli che Walter
Veltroni avrà con Fini - lunedì 26 novembre - e con Berlusconi
- il 30 novembre -. Il Cavaliere intanto chiarisce alla maggioranza che
"un accordo sulla riforma elettorale presuppone
anche un comune impegno ad andare subito al voto". In un'intervista
rilasciata a Il Giornale della Libertà l'ex premier ripete che
"questo Parlamento non ha più la fiducia dei cittadini e non
può certo riformare la Costituzione". In questa situazione,
chiarisce "dove il discredito del Governo è al massimo grado,
occorre riformare rapidamente la legge elettorale e tornare alle urne. Poi si potrà
discutere". Ma il leader del Partito della Libertà è
disponibile a un governo di larghe intese? "Qualunque ipotesi - risponde
Berlusconi - prevede che prima ci siano elezioni". Il dibattito è
aperto e intenso dentro il centrosinistra: oggi Veltroni ha incontrato sia
Prodi che Enrico Letta. Ma nell'Unione c'è già chi grida
all'inciucio: il Pdci chiede un vertice di maggioranza prima degli incontri
con il centrodestra, la stessa richiesta arriva da Rosy Bindi, i verdi
considerano una pazzia insistere sul sistema tedesco e il Prc ribadisce la
priorità di un accordo nella coalizione. Di segno opposto le
considerazioni dell'Udeur, con Clemente Mastella che avverte: "se avanza
una terza ipotesi, evidentemente c'è un nostro interesse ad un'area di
centro come tale". Sulla stessa scia Lamberto Dini, secondo il quale
è giusto che siano i due maggiori partiti a dare la linea.
Dall'opposizione dopo il richiamo al Cavaliere per il rispetto dei patti
siglati dalla Cdl a Gemonio, la Lega torna a chiedere che, prima
dell'incontro con Veltroni, Silvio Berlusconi riconfermi quell'accordo,
ovvero "un proporzionale con lo sbarramento simile a quello tedesco e
l'indicazione del candidato premier che avviene prima". Il Cavaliere
medita di escludere il Carroccio dalle future alleanze del Pdl? Maroni ne
dubita: "senza di noi sa di perdere, non mi pare sia nelle sue
intenzioni". Su quale sia l'obiettivo primario dell'ex premier, in
questa fase, molti si interrogano. E dal Pd Pierluigi Castagnetti riflette: "c'è
chi sostiene che Berlusconi stia portando legna da ardere per fare fumo,
arrivare in prossimità del referendum e
semmai sperare che i partiti minori dell'Unione possano aprire a una crisi di
governo e di legislatura. Può anche darsi che Berlusconi abbia questo
retro pensiero, ma credo che non ci sia spazio per le furbate, ce ne
accorgeremmo molto rapidamente". Il Cavaliere: ''Il Parlamento sfiduciato non può fare le riforme" (sezione: Riforma elettorale)(
da "ADN Kronos" del 21-11-2007) Silvio Berlusconi
in un'intervista apre solo sulla legge elettorale: sì all'accordo ma se si va "subito al voto".
Sull'ipotesi referendum: "Ppl non deve avere paura di nulla" ascolta la
notizia commenta 0 vota 0 tutte le notizie di POLITICA Roma, 21 nov. -
(Adnkronos/Ign) - Un Parlamento che non ha la fiducia dei cittadini non
può fare le riforme. Silvio Berlusconi in una intervista a 'Il
Giornale della libertà' che uscirà venerdì come supplemento
de 'Il Giornale', ribadisce il suo no alle riforme e limita la
disponibilità ad un accordo solo sulle legge elettorale. Sull'incontro con Veltroni, Berlusconi spiega:
''Quando ci incontreremo chiariremo i rispettivi punti di vista su tutto. Dico
però fin d'ora che questo Parlamento non ha più la fiducia dei
cittadini e non può certo riformare la Costituzione''. ''In questa
situazione, dove il discredito del governo è al massimo grado, occorre
riformare rapidamente la legge elettorale
e tornare alle urne. Poi si potrà discutere, e noi abbiamo proposto
nuove e soluzioni efficaci. Discuterne ora -avverte il Cavaliere- mi pare del
tutto prematuro''. A proposito Berlusconi precisa che "un accordo sulla
riforma elettorale presuppone anche un comune impegno
ad andare subito al voto''. Poi rimarca: ''Abbiamo un governo che non ha
più la maggioranza in Parlamento ed è ora che vada a casa.
Cos'altro deve ancora accadere per poter tornare alle urne? Questo governo
è già imploso da un pezzo''. ''La nostra posizione è
chiara e si può riassumere così: noi -spiega il cavaliere-
vogliamo contribuire a costruire un sistema elettorale
che incentivi la formazione di grandi partiti, non di alleanze elettorali
impotenti, impossibilitate a governare. Il nostro obbiettivo -insiste
Berlusconi- è un sistema politico fondato su due grandi partiti,
più forti e finalmente omogenei, in competizione per il governo di
questo paese''. L'ex premier non arretra nemmeno davanti alla
possibilità che si tenga il referendum sulla legge elettorale. ''Penso che sia
giusto -afferma -affrontare un problema alla volta. E poi sa cosa le dico? Un
Partito della libertà che, appena nato, può già contare,
come confermano i sondaggi di queste ultime ore, sul 35-37% dei consensi del
corpo elettorale, non deve avere paura di nulla''.
Parlando poi proprio del nuovo 'Partito del popolo delle libertà',
Berlusconi pensa "di aver fatto la cosa giusta nel momento giusto. Erano
mesi, del resto, che tendevo l'orecchio all'ormai assordante protesta dei
cittadini e mi chiedevo: possibile che nessuno voglia assumersi la
responsabilità di affrontare un sistema di potere che, con pervicacia
ed arroganza senza pari, sta, giorno dopo giorno, distruggendo questo Paese?
Ho pazientato un po', ma poi, visto che continuava a non muoversi foglia, ho
deciso di prendermi tutt'intera questa responsabilità. Prima che il
nostro sistema faccia la fine del Titanic, è bene fermare le macchine
e cambiare un bel po' di cose. Ed è ormai compito di chi guida, in questo
Paese, il partito di maggioranza relativa farsi carico di questo problema''.
Il cavaliere infine dice che ''Forza Italia si rigenererà con
entusiasmo e rinnovata energia nel nuovo partito. Essa formerà gran
parte della sua struttura portante. L'esperienza accumulata dai suoi quadri
dirigenti -assicura- sarà indispensabile anche per strutturare la base
del nuovo movimento''. Per intercettare i consensi anche dei cittadini
insoddisfatti della politica, il cavaliere conta sul ''lavoro'' e sul
''grande impegno che hanno svolto i Circoli della Libertà''. Per il Colle l'esempio della Germania serve a non demonizzare le larghe intese (sezione: Riforma elettorale)(
da "Stampa, La" del 22-11-2007) ROMA Chi temeva
l'inciucio tra i due "oni" della politica italiana (Veltroni e
Berlusconi), dopo la giornata di ieri è un po' meno in ansia. Ammesso
che il leader del Pd fosse attratto dalla mano tesa del Cavaliere sulla legge elettorale, a tirare il
freno hanno provveduto Prodi e i cespugli dell'Unione. Il risultato è
che l'incontro tra Silvio e Walter si terrà solo tra otto giorni, il
30 novembre, e avrà luogo dopo quello di Veltroni con Gianfranco Fini
(lunedì 26). Il calendario tende a sottolineare come tutti gli
interlocutori del Pd siano sullo stesso piano e, ha rimarcato il numero due
Franceschini, "non esistano assi privilegiati" con il neonato
Partito della libertà. L'unica concessione veltroniana a Berlusconi
è stato un colpo di telefono per concordare il faccia-a-faccia. Il
sindaco di Roma ha preso l'iniziativa, e nel galateo della politica
ciò ha un'importanza. Tuttavia, al momento di alzare la cornetta, il
raggio d'azione di Veltroni era già circoscritto da un altro colloquio
avuto con il presidente del Consiglio. Prodi segue la vicenda riforme con
molto sospetto. Teme ne vada di mezzo il governo, visto che i
"nanetti" del centrosinistra sono scatenati: Pecoraro Scanio,
Diliberto e lo stesso Di Pietro ancora ieri hanno gridato al complotto teso a
farli fuori attraverso una riforma elettorale cucita
su misura per i due grandi partiti. Prodi, se vuole tirare avanti, deve
impedire che tra Berlusconi e Veltroni nasca o anche solo appaia
un'unità d'azione. Nei dintorni di Palazzo Chigi qualcuno sostiene che
sia stata sua l'idea di anteporre Fini a Berlusconi. In fondo, la linea del
presidente di An è "per il bipolarismo, mai con la
sinistra", diversamente dal Cavaliere che non esclude governissimi (sia
pure dopo le elezioni). Su questo Prodi la pensa esattamente come Fini:
"Il paese ha bisogno di riforme", ha puntualizzato il premier, non
di grandi coalizioni. Peccato che il Presidente della Repubblica abbia dato
giusto ieri l'impressione di non escludere nulla. Intervistato dal Die Zeit,
Napolitano ha tessuto l'elogio del sistema politico tedesco ("lo ammiro
molto"). In Germania c'è "un clima di comune accettazione di
valori e di regole fondamentali, che ha presieduto e presiede alla lotta
politica nella Repubblica federale". E ciò, segnala il Capo dello
Stato, "tra l'altro consente di poter contare su risorse sufficienti e
condizioni favorevoli per affrontare periodi - sia pure eccezionali e
temporanei - di grande coalizione, di collaborazione politica generale".
Segno quantomeno che l'ipotesi larghe intese interessa Napolitano, e lo
spinge a non demonizzarla. E il Cavaliere? Dopo la visita al Cardinal
Bertone, continua il giro delle sette chiese: ieri all'ambasciata Usa, oggi a
quella d'Israele. Prende atto che Veltroni è interlocutore cortese ma
inafferrabile. E comincia a mettere in conto che il dialogo sulla legge elettorale, in cui
s'è lanciato, possa finire su un binario morto. Addirittura Mastella
ora sostiene che la riforma elettorale dovrebbe
seguire, e non precedere, quella della Costituzione. In quel caso, taglia corto
Berlusconi, "non temiamo il referendum",
potrebbe essere la valvola di sicurezza. Secondo Castagnetti (Pd) il
Cavaliere finge di trattare solo per mettere discordia nel centrosinistra, in
realtà mira proprio allo sbocco referendario. Quali che siano le vere
intenzioni, l'uomo di Arcore intende porre a Veltroni un
vincolo e un obiettivo. Il vincolo: riforma elettorale e poi
subito alle urne ("Ormai potrebbe mettere su un disco", ironizza
Prodi). L'obiettivo di Berlusconi: un sistema bipartitico. Cioè "fondato
su due grandi partiti, più forti e finalmente omogenei", invece
che su "alleanze elettorali impotenti, impossibilitate a
governare". Con Fini che gli sbandiera davanti il Patto di Gemonio,
sottoscritto con Bossi, nel quale il proporzionale si accompagnava
all'indicazione del premier, al vincolo di maggioranza e a norme di
sbarramento. \. "Progetti referendari al limite
dell'eversivo" (sezione: Riforma elettorale)
(
da "Stampa, La" del 22-11-2007) REGIONE. CAVERI
DOPO IL VOTO DI DOMENICA "Progetti referendari al limite
dell'eversivo" [FIRMA]ENRICO MARTINET AOSTA Prende la rincorsa sui
numeri del voto referendario Luciano Caveri, poi, come annunciato, infila
bordate. Il presidente parla di "sollievo per lo scampato ingorgo
istituzionale" perché si dice sicuro che se i referendum
fossero passati "ci sarebbero stati i ricorsi del governo alla Corte
costituzionale". E parla del 18 novembre, giorno del voto, come
tentativo di "presa del Palazzo". Prende immagini di sangue della
Rivoluzione francese: "Già domenica sera è stata smontata
la ghigliottina montata in piazza Chanoux. E qualcuno è stato visto
riporre nelle casse l'orrido strumento". Sotto quella lama avrebbero
dovuto cadere "Caveri, Césal, l'Uv, la Fédération e la Stella
alpina". Ancora: "Tutti a casa, questo volevano i referendari, ma
la maturità e il senso di responsabilità dei cittadini ha
delegittimato loro". La chiusa è per la pace: "Auspico che
questa campagna referendaria sia rapidamente archiviata, con i suoi toni
grevi, le strumentalizzazioni e tutto quanto ha avvelenato il clima politico
valdostano. Tra pochi mesi ci attende un altro importante appuntamento elettorale. In vista delle regionali propongo a tutti di
tagliare come rami secchi chi predica odio, gioca con la reputazione delle
persone, sfoga contro gli altri infelicità e frustrazioni. Una
potatura necessaria e benefica perché ci sono regole elementari del bon ton e
valori basati sulla buona educazione che non possono essere ignorati".
Il presidente ricorda di essere stato definito "nano borioso". E
dice degli sfottò: "Il ricorso a una fisiognomica di staliniana
memoria in cui gli avversari sono dipinti come deformi, grassi, colmi di vizi.
Quali sono i miei, me lo dicano?". E parla dei referendari come di
"una casta di acrimoniosi venditori di fumo", che voleva
"impadronirsi di queste istituzioni". Guerra e pace che va avanti
nel confronto consiliare. Il presidente alza la voce e sottolinea con impeto
le sue parole: "Con un colpo di spugna memorabile e senza appello i
valdostani hanno cancellato questo pericolo incombente non sul Palazzo, come
hanno cercato di far credere i referendari, bensì sulle regole
democratiche che da 60 anni stanno a fondamento dell'autonomia e delle
istituzioni valdostane". E ipotizza: "I valdostani non hanno
permesso che l'istituto del referendum propositivo
fosse svilito per progetti politici personali al limite dell'eversivo e
fomentati dall'odio". La prima a rispondere è stata Secondina Squarzino
dell'Arcobaleno, che è stata interrotta almeno tre volte dai banchi
della giunta. "Presidente è questo il bon ton?", si è
domandata. Poi la risposta: "Caveri ha trasformato il non voto in un
voto contrario al referendum. Non è una
lettura limpida. Quasi 29 mila valdostani sono andati a votare. Ricordo che
sono stati cinquemila in più rispetto a coloro che hanno votato per il
candidato Augusto Rollandin alle politiche". E ancora viene interrotta.
Chiede l'intervento del presidente del Consiglio: "I minuti che mi fanno
perdere li recupererò". Va avanti nell'analisi: "Nel calcolo
degli elettori i quasi 29 mila rappresentano un terzo, ciò significa
che non corrisponde ai cinque consiglieri che qui si sono espressi contro le
riforme, sono molti di più". Il capogruppo dell'Arcobaleno
contesta al presidente Caveri l'accenno allo sventato pericolo per l'ingorgo
istituzionale derivato dall'anticostituzionalità delle leggi
referendarie. "Si dimentica - dice - che per due volte i cosiddetti
saggi hanno approvato le proposte referendarie. Il referendum è stato delegittimato, un fatto molto
grave. E tutto per non volersi confrontare sui quesiti. Ma chi decide che il
quesito banalizza il referendum? Se è il
presidente allora non dà voce alla gente. E' stato leso il diritto
individuale del voto, è stato vanificata la segretezza del voto".
Squarzino parla di un "atteggiamento molto grave". Di "paura
delle democrazia e del voto" da parte della giunta, della maggioranza.
Spiega: "Voi avete detto, noi abbiamo legiferato, fatto la riforma,
cittadini abbiate fiducia in noi. Questo è trasformare il voto in un
rapporto di fedeltà a chi governa. E' antieducativo, un voto indicato
da chi comanda": La sua conclusione è di amarezza: "Oggi
sono triste non perché ho perso, ma perché questa era un'occasione per la
Valle d'Aosta, come c'è scritto in questo
Consiglio di éclairer le monde. Au contraire c'est un moment sombre. Il 18
novembre sarà ricordato come l'offuscamento della democrazia".
Dario Frassy, capogruppo della Cdl lancia la proposta di "mettere mano
alla legge sul referendum". Il come: "Decidere le materie che possono essere
oggetto di referendum e abrogare il quorum, obbligando così al
confronto sui quesiti". Il Cavaliere insiste: Intesa e poi subito al voto
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Giornale di Brescia" del
22-11-2007) Edizione:
22/11/2007 testata: Giornale di Brescia sezione:IN PRIMO PIANO Nel
centrodestra si cerca di non aggravare le tensioni dopo la svolta impressa
dal leader azzurro. Ma An ribadisce: no a qualunque inciucio Il Cavaliere
insiste: "Intesa e poi subito al voto" Silvio Berlusconi alla
presentaziobe del Pdl ROMA "Un accordo sulla riforma elettorale
presuppone anche un comune impegno ad andare subito al voto". Silvio
Berlusconi non cambia posizione sul "necessario connubio"
dialogo-elezioni, come spiega in un'intervista a "Il Giornale della
Libertà". Alla domanda se escluda di affrontare il tema delle
riforme costituzionali come chiesto da Walter Veltroni, il Cavaliere
risponde: "Quando ci incontreremo chiariremo i rispettivi punti di vista
su tutto. Dico però fin d'ora che questo
Parlamento non ha più la fiducia dei cittadini e non può certo
riformare la Costituzione". "In questa situazione - aggiunge -,
dove il discredito del Governo è al massimo grado, occorre riformare
rapidamente la legge elettorale e tornare alle urne. Poi si potrà discutere, e noi
abbiamo proposte nuove e soluzioni efficaci. Discuterne ora mi pare del
tutto prematuro. Anche perchè un accordo sulla riforma elettorale presuppone anche un comune impegno ad andare
subito al voto". Intanto, dopo giorni di durissimi botta e risposta a
distanza fra il Cavaliere e Gianfranco Fini è "tregua
armata". Entrambi hanno raccomandato di non surriscaldare ulteriormente
una polemica già rovente. Il leader di An lo ha fatto invitando i
colonnelli a "non buttare altra benzina sul fuoco". Berlusconi
dicendo in privato di voler abbassare la tensione ed arrivando persino ad
auspicare che lo strappo possa un giorno ricomporsi. Al momento, però,
gli occhi dei due ex alleati sono puntati sulle riforme. E la strategia resta
ben distinta, per molti versi divergente. Sarà Fini ad incontrare per
primo Veltroni, lunedì prossimo. Una precedenza, quella accordata dal
leader del Pd all'ex ministro degli Esteri, molto apprezzata a via della
Scrofa. "È un segnale che ha mandato alla sua coalizione -
è l'interpretazione di un esponente di An - e forse anche al
Cavaliere, per dire che non è aria di inciucio". Quel che
è certo è che Fini vuole vedere le carte di Veltroni: se punta
a un sistema proporzionale che salva il bipolarismo, è pronto a
sedersi al tavolo della trattativa, mettendo sul piatto la
disponibilità a ragionare anche di riforme costituzionali (ipotesi
sgradita dal Cavaliere). Altrimenti, An denuncerà in piazza la
volontà di "inciucio" e punterà al referendum.
Nel frattempo, Fini ha chiesto ai fedelissimi di far parlare i fatti.
Così è in programma una serie di eventi,: il primo sabato
prossimo, quando An tornerà in piazza San Babila a Milano (la stessa
dove Berlusconi ha annunciato il nuovo soggetto politico) per urlare il suo
"no" a qualsiasi inciucio o alleanza con la sinistra. Un tema sul
quale An insisterà molto nelle prossime settimane, per dare un chiaro
messaggio agli elettori di centrodestra. Nell'Udc, intanto - complice
l'assenza del leader Pier Ferdinando Casini in viaggio negli Usa - dominano
le polemiche. La prima è scoppiata per una intervista di Mario Baccini
che vede per la "Cosa bianca" un bacino elettorale
del 20% e considera Luca Cordero di Montezemolo un candidato con le
"carte in regola" per diventare premier. Parole che non piacciono
al collega Maurizio Ronconi, che chiede di evitare "fughe in avanti".
La visita di Bruno Tabacci al premier Romano Prodi ha fatto il resto: il
segretario Lorenzo Cesa si è affrettato a chiarire con una nota che
l'incontro era "strettamente personale". Cosa che non è
piaciuta al diretto interessato, che ha commentato aspro: "Meglio una
linea personale che nessuna linea". Veltroni vede prima Fini Berlusconi per ultimo Telefonata con l'ex premier per fissare la data Non ci sono assi privilegiati (sezione: Riforma elettorale)(
da "Unita, L'" del 22-11-2007) Stai consultando
l'edizione del Veltroni vede prima Fini Berlusconi per ultimo Telefonata con
l'ex premier per fissare la data "Non ci sono assi
privilegiati" di Bruno Miserendino/ Roma INCONTRI Uno dei padri della proposta
di riforma elettorale al centro dell'attenzione, ossia Stefano Ceccanti, la vede
così: "Al momento la grande differenza tra Berlusconi e Veltroni
è questa: il primo può rompere con gli alleati, anzi è
uscito allo scoperto per liberarsene, il secondo non può e non
vuole farlo". Quindi, gli interessi saranno pure convergenti, ma la
partita è diversa. I due, Berlusconi e Veltroni, si vedranno
venerdì 30 novembre alla Camera e ieri, tra una girandola di incontri,
il caso Rai, e la presentazione del simbolo del Pd, si è capito un po'
meglio che tipo di partita sarà. Lunga sicuramente, tattica anche.
Soprattutto da parte di Veltroni che ha molti più paletti da
rispettare. Dopo i contatti tra Bettini e Gianni Letta, ieri all'ora di pranzo
il segretario del Pd ha chiamato Berlusconi per fissare l'appuntamento.
Telefonata breve e molto cortese. Si è convenuto, rispetto ai tempi
che inizialmente sembrava dettare il leader dell'opposizione, che è
meglio avere un po' più di elementi sul tavolo della trattativa. Non a
caso Veltroni, seguendo anche i desiderata di Prodi, vedrà prima Fini
(lunedì prossimo) e non è escluso che senta nei prossimi
giorni, prima dell'incontro col Cavaliere, anche Casini e Maroni. Al momento
dunque non si registra alcun avvicinamento di posizioni. "Non ci sono
assi privilegiati", continuano ad assicurare al Pd, ricordando le
battute di Andreotti ("dalle assi si cade facilmente") e anche le
esperienze della Bicamerale. Berlusconi e i suoi continuano a dire che la
trattativa è solo sulla legge elettorale per andare subito dopo al voto, Veltroni,
d'intesa con Prodi, chiede che il 2008 sia l'anno delle riforme: dunque non
solo la legge elettorale ma
anche il minipacchetto di norme costituzionali senza le quali anche la
modifica elettorale rimarrebbe monca. Gli schemi
della partita sono stati tracciati ieri a palazzo Chigi durante l'incontro
con Romano Prodi, che ha ribadito i suoi paletti. Ovvero dialogo ma senza
terremotare il governo, bipolarismo ma non bipartitismo. Alcuni dei paletti
coincidono con quelli di Veltroni, altri un po' meno. Il problema è il
rapporto con i "piccoli", che naturalmente sono preoccupati da
qualunque tipo di riforma, oltre che dal referendum.
Veltroni, anche se non lo dice, sospetta che sarà difficile avere
l'unanimità nell'Unione su una bozza di riforma elettorale.
Altra cosa però è un confronto leale e un percorso condiviso.
Su questa strada Veltroni è convinto di trovare adesioni anche nei
piccoli, a cominciare da Mastella. Il segretario del Pd concorda con Prodi
anche nel valorizzare la disponibilità di An, il partito che
più soffre l'esplosione berlusconiana. Fini è più che
mai interessato all'intero pacchetto delle riforme e anche alla conservazione
del bipolarismo, e quindi è automaticamente un interlocutore
privilegiato. Per questo la scelta di sentire prima il segretario di An non
è casuale. Non solo perché An può "digerire" un
sistema elettorale simile a quello sponsorizzato da
Veltroni, ossia il mix di spagnolo e tedesco, ma anche perché il Pd non vuole
e non può dare l'impressione che "l'interesse convergente e
oggettivo" con Berlusconi diventi un accordo sulla testa di tutti, della
maggioranza e del governo. Qual è l'interesse oggettivo tra Pd e la
nuova creatura berlusconiana? Ovviamente un sistema tipo spagnolo che
è proporzionale ma con effetti maggioritari, che quindi favorisce i
grossi partiti. Chi ha sentito in queste ore i consiglieri del Cavaliere in
materia elettorale sa che Berlusconi prima o poi si
convertirà a un modello simile a quello lanciato da Veltroni. Perché
non vuole collegi uninominali (presenti nel modello tedesco) e perché degli
alleati vuole con se' solo la Lega. An potrebbe inserirsi in questo quadro
perché perderebbe qualcosa in termini di seggi (il sistema spagnolo penalizza
i partiti medi e piccoli rispetto al loro peso proporzionale) ma
guadagnerebbe la certezza di un sistema bipolare, in cui è più
difficile la sua emarginazione. In realtà il sistema tedesco puro, che
pure al momento ha fortissimi sponsor (parte del Pd, Berlusconi a parole,
Udc, Rc e Lega) è un meccanismo elettorale
che non favorisce il partito di Veltroni. Pare che, calcoli alla mano (che in
realtà circolano da tempo) nel Pd ci si stia rendendo conto che il
tedesco puro porterebbe solo a coalizioni di centrodestra o al massimo
governissimi. Come ripete Ceccanti, "la partita entrerà nel vivo
solo il 15 gennaio, quando la Corte deciderà sul referendum". Berlusconi: punto a un sistema con due partiti - francesco bei (sezione: Riforma elettorale)(
da "Repubblica, La" del 22-11-2007) Berlusconi: punto a
un sistema con due partiti Ma l'ex premier avverte: "Intesa sulla legge elettorale solo
se si torna al voto" Ancora un no alle riforme costituzionali Cuffaro:
lui punta alla caduta di Prodi, anche col referendum
FRANCESCO BEI ROMA - Silvio Berlusconi chiarisce l'obiettivo alla base della
svolta annunciata la scorsa domenica: "Un sistema politico - dichiara in
un'intervista al "Giornale della libertà" - fondato
su due grandi partiti, più forti e finalmente omogenei, in
competizione per il governo di questo paese". Snobbando i tentativi di
rappacificazione che arrivano da An, il Cavaliere tira dunque dritto per la
sua strada, verso un sistema elettorale che
"incentivi la formazione di grandi partiti, non di alleanze elettorali
impotenti". In vista del faccia a faccia con il leader del Pd, pone
tuttavia un argine al dialogo, escludendo che possa riguardare anche le
riforme costituzionali. Perché al primo punto dell'agenda berlusconiana
restano le elezioni nel 2008. "Questo Parlamento non ha più la
fiducia dei cittadini - ripete l'ex premier - e non può certo
riformare la Costituzione. In questa situazione occorre riformare rapidamente
la legge elettorale e
tornare alle urne". Dunque alla base dell'eventuale accordo non
può che esserci "un comune impegno ad andare subito al
voto". Raccontano che Berlusconi abbia già formato una
commissione di dieci esperti per studiare delle proposte
di riforma proporzionale con cui presentarsi all'incontro di venerdì
30. Intanto si mostra spavaldo anche sulla prospettiva referendaria, se il
dialogo con il Pd non dovesse approdare a nulla. "Un partito della
libertà che può già contare sul 35-37% dei consensi non
deve avere paura di nulla". Passeggiando davanti al Pantheon, il
governatore Totò Cuffaro, che con Berlusconi mantiene assidui
contatti, la spiega così: "Lui ha come primo obiettivo la caduta
di Prodi. Se la ottiene con la riforma elettorale
bene, altrimenti si andrà al referendum e,
per evitarlo, Berlusconi è convinto che Mastella e Bertinotti faranno
saltare comunque il governo". Il Cavaliere intanto lavora sul suo nuovo
partito e a gennaio dovrebbe essere ufficializzata la nascita di una
"equipe" di giovani, guidati da Angelino Alfano e Michela
Brambilla. Non tutti in Forza Italia hanno accolto bene il Pdl. Tra i delusi
ci sono Angelo Sanza e Ferdinando Adornato. Il primo ha incontrato ieri sera
Berlusconi, il secondo lo vedrà questa mattina. E si annunciano altre
defezioni importanti. E dal Quirinale arriva l'input: corsia privilegiata al modello tedesco (sezione: Riforma elettorale)(
da "Italia Oggi" del 22-11-2007) Argomenti: Aspetti Legali ItaliaOggi
ItaliaOggi - Primo Piano Numero 277, pag. 4 del 22/11/2007
Autore: Visualizza la pagina in PDF Il Caso E dal
Quirinale arriva l'input: corsia privilegiata al modello
tedesco Il Quirinale mette i puntini sulle i: la riforma elettorale che convince di più è quella sul modello
tedesco. "Ammiro molto lo spirito bipartisan del sistema tedesco", ha detto martedì il presidente della
Repubblica, Giorgio Napolitano, intervistato dal settimanale tedesco Die
Zeit. Parole, quelle del capo dello stato, che arrivano proprio nel
giorno in cui il leader del Pd, Walter Veltroni e quello del nuovo Ppl,
Silvio Berlusconi, hanno fissato la data del loro incontro per discutere di
una riforma della legge elettorale, la prossima
settimana, cioé il 30 novembre. Questa indicazione di Napolitano non potrÁ
non influire sull'andamento dell-incontro, specie dopo la rottura tra il Cavaliere
e Gianfranco Fini, di An, da sempre sostenitore, nella Casa delle libertÁ,
del modello elettorale francese. "Il sistema politico tedesco", ha detto il capo dello
stato, é fatto da "regole condivise e rispetto reciproco tra maggioranza
e opposizione". "Questo è per me molto importante. Il fatto
che ci si confronti tra schieramenti che competono per la guida del paese ma
che hanno rispetto reciproco chiunque sia al governo e chiunque
all'opposizione. Ciò tra l'altro", ha aggiunto Napolitano,
"consente di poter contare su risorse sufficienti e condizioni
favorevoli per affrontare periodi – sia pure eccezionali e temporanei – di
grande coalizione, di collaborazione politica generale". In attesa di
incontrare Veltroni, intanto, il Cavaliere è tornato comunque a
ribadire le proprie preferenze: "Vogliamo contribuire a costruire un sistema elettorale che incentivi la formazione di grandi
partiti, non di alleanze elettorali impotenti, impossibilitate a governare.
Il nostro obiettivo è un sistema politico fondato
su due grandi partiti, più forti e finalmente omogenei, in
competizione per il governo di questo paese". Quindi Berlusconi ha
precisato le condizioni per un dialogo con la maggioranza:
"Sì" a una nuova legge elettorale
presupponendo necessariamente "un comune impegno ad andare subito al
voto". "No" a qualsiasi tentativo di riforme istituzionali con
questo governo: "Il Parlamento", ha spiegato Berlusconi in
un'intervista al Giornale delle libertà che uscirÁ venerdì,
"non ha più la fiducia dei cittadini e non può certo
riformare la Costituzione". E di "larghe intese" se ne
parlerà più in là: "Qualunque ipotesi prevede che
prima ci siano elezioni". Per il momento il leader azzurro si gode il
neonato Partito del popolo delle libertà: "Può già
contare, come confermano i sondaggi di queste ultime ore, sul 35-37 per cento
dei consensi del corpo elettorale. Non deve avere
paura di nulla". Ma in tutta questa aria di "grosse koalition"
che tira sul dibattito politico tra le due grandi coalizioni politiche, resta
sempre l-alea di quello che vorrÁ fare "la cosa rossa". Il
segretario del Prc, Franco Giordano, ha avvertito proprio il Pd: facciamo
parte del governo in forza di un accordo sul programma, per cui, è il
ragionamento del segretario di Rifondazione comunista, chiediamo di
"rispettarlo o ricontrattarlo". Quindi "non possiamo subire
l'agenda del Partito democratico". La sinistra "unita e
plurale", ha aggiunto Giordano in un'intervista al mensile Pocket,
"deve arrivare al tavolo di trattativa per inverare nuove priorità
e gerarchie in un lasso di tempo definito che stabiliremo
confrontandoci". Priorit' che sono i Pacs, o Dico, la revisione della
legge 40 sulla fecondazione artificiale, la "legalizzazione"
delle droghe leggere, "limite all'uso delle armi da parte della
polizia". Giordano ha anche insistito per l'istituzione di una
commissione di inchiesta sui fatti del G8 a Genova nel 2001, e ha auspicato
"un confronto tra tifosi e istituzioni", giudicando "una
sciocchezza l'accusa di terrorismo per gli arrestati dopo i fatti di
Roma". Di “sciocchezze” ha parlato Giordano anche a proposito del
ricorso al nucleare. Una serie di richieste che difficilmente gli ambienti
moderati e centristi della maggioranza potranno avallare. Walter e Silvio, primo colloquio segreto
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Corriere della Sera" del
22-11-2007) Corriere della Sera
- NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2007-11-22 num: - pag: 5
categoria: REDAZIONALE Walter e Silvio, primo colloquio segreto Ieri il
contatto. Veltroni rassicura Prodi e annuncia il vertice con Fini Il leader
pd: col tedesco faremmo risorgere il centro. Ma i prodiani fanno filtrare la
voce che il colloquio è andato male SEGUE DALLA PRIMA Al premier Veltroni,
in mattinata, dice e ridice: "Questo dibattito sulla riforma non
avrà conseguenze sul governo, le due cose procedono su binari
separati, non preoccuparti ". Il presidente del Consiglio a dire il vero
tranquillo non era quando il sindaco arriva a palazzo Chigi. Anche perché
martedì il leader del Pd gli aveva detto che il giorno dopo avrebbe
incontrato il Cavaliere. Il colloquio con Berlusconi si è svolto in
gran segreto, nel primo pomeriggio, tra una girandola e l'altra degli
incontri del sindaco di Roma, il quale, troppo impegnato in questa nuova
impresa, non ha presieduto la giunta comunale "per un impegno
personale". Del resto, come spiegava ieri ad alcuni compagni di partito
il vicecapogruppo dell'Ulivo al Senato Nicola Latorre: "è inutile
prendersi in giro, non si può fare la riforma elettorale
senza passare dal confronto con il maggior partito dell'opposizione, a meno
che non si voglia che Forza Italia conquisti il 45 per cento da sola".
Né si può vedere Fini senza aver prima parlato con il Cavaliere.
L'intento di Veltroni è chiaro. Il leader del Pd ritiene che il
sistema tedesco non garantisca il simil bipartitismo che ha in testa. A
Berlusconi lo ha spiegato con parole chiare, per fargli capire che la riforma
Vassallo- Ceccanti, il cosiddetto Veltronellum, in fondo conviene a entrambi:
con il sistema tedesco - è stato il ragionamento del sindaco di Roma -
si ricostruisce quel centro che ormai non esiste più. E ognuno di noi
dovrà fare i conti con le richieste di Mastella piuttosto che di
Casini. Avremo almeno otto partiti. Con l'altro sistema, invece, si creeranno
quattro o cinque partiti al massimo e le due forze maggiori decideranno le
alleanze senza dove subire pressioni o ricatti dei piccoli o delle ale
estreme. Per farla breve, è la riforma che crea quel "partito a
vocazione maggioritaria" che Veltroni sogna e che converrebbe anche al
Cavaliere. Al quale è stato spiegato che in questo modo Fini dovrebbe
tornare all'ovile e Casini non avrebbe più parte in commedia. Per la
verità Berlusconi non ha deciso che fare, medita ancora di poter dare
la spallata al governo, ma da qui al 30, giorno fissato per il colloquio
ufficiale con Veltroni, di tempo ce n'è. Senza contare il fatto che il
suo fedele braccio destro Letta si è invece convinto del Veltronellum.
Ma è chiaro che la strada lungo la quale si muove il sindaco è assai stretta e piena di ostacoli. Se Berlusconi dice di no il
rischio è quello di andare a un referendum che
costringerebbe il Pd ad alleanze coatte. Se Berlusconi accetta la proposta,
seppur portando qualche modifica di cui si sta già discutendo, il
rischio è di far fibrillare sul serio la maggioranza e il governo
perché Rifondazione difficilmente potrebbe accettare un sistema che, di
fatto, la rende marginale. Su questo potrebbe cadere anche il governo. Ed
è per questa ragione che il leader del Pd si muove con i piedi di
piombo e che in realtà non ha ancora stabilito la strategia da
intraprendere. Le stesse identiche difficoltà in cui versa il
Cavaliere, che oscilla ancora tra il muro contro muro e il confronto. Ma di
certo questo primo abboccamento tra i due è un primo passo. Non a caso
dai prodiani, preoccupati per il destino del governo e del loro leader,
è filtrata la voce che il colloquio sia andato malissimo. Maria Teresa
Meli Alleanze coatte Se Berlusconi dice no il rischio è il referendum, che costringerebbe il Pd ad alleanze coatte Il
rischio Se il leader di FI accetta, il rischio è di far fibrillare la
maggioranza: il Prc non vuole diventare marginale La squadra Alla conferenza
stampa di presentazione del simbolo del Partito democratico c'era la squadra
di Walter Veltroni al completo: nella foto a destra, in prima fila, da
sinistra: Dario Franceschini, Enrico Letta, Rosy Bindi, Walter Veltroni,
Ermete Realacci e dietro i componenti dell'esecutivo del Pd. Il commento di
Realacci, responsabile Comunicazione: "Il Pd è un grande partito
che guarda al futuro e vuole bene all'Italia. Il partito del patriottismo
dolce. Noi saremo così" ( Marianella/Olycom). Proposta Veltroni: le mie risposte ai critici
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Corriere della Sera" del
22-11-2007) Corriere della Sera
- NAZIONALE - sezione: Opinioni - data: 2007-11-22 num: - pag: 42 autore: di
SALVATORE VASSALLO categoria: REDAZIONALE LEGGE ELETTORALE Proposta Veltroni:
le mie risposte ai critici L' iniziativa di Walter Veltroni ha rimesso in
moto il dibattito sulla legge elettorale
e, di conseguenza, ha fatto scoppiare contraddizioni latenti all'interno del
centrodestra. Il fatto poi che il progetto proposto da Veltroni sia del tutto
trasparente tanto nelle sue finalità di fondo (un nuovo bipolarismo,
incardinato su due grandi partiti antagonisti) quanto in una sua possibile
declinazione tecnica (collegi uninominali e compensazione proporzionale in
piccole circoscrizioni), ha consentito l'avvio di una riflessione pubblica
non generica, di merito, tra gli attori politici e gli esperti. Le reazioni
emerse finora si possono distinguere in quattro tipi. C'è, in primo
luogo, la netta contrarietà dei partiti piccoli o piccolissimi, i
quali però, ci si può giurare, sarebbero ugualmente contrari a
qualsiasi soluzione minimamente in grado di aggredire la frammentazione.
C'è da giurare che resisteranno fino all'ultimo o comunque fino a
quando dovessero incombere alternative allo status quo per loro peggiori
rispetto a quella proposta dal Pd. Ci sono, in secondo luogo, le riserve di chi
vorrebbe un sistema che attribuisca con assoluta certezza al partito o alla
coalizione pre-elettorale vincente una robusta
maggioranza assoluta di seggi parlamentari, come Giovanni Guzzetta, Mario
Barbi sul Riformista, o Tito Boeri e Vincenzo Galasso su lavoce.info,
diffidenti verso l'abbandono del premio di maggioranza e verso la contestuale
rinuncia a battersi per l'uninominale maggioritario secco (a uno o due
turni). è una posizione comprensibile, che però da un lato non
spiega quale sistema elettorale possa soddisfare
quelle attese senza ricadere nel vizio delle coalizioni pre-elettorali
raccattatutto, troppo eterogenee per governare, dall'altro non dice quale
maggioranza parlamentare potrebbe approvarlo. C'è poi chi considera
ragionevole l'ispano-tedesco, ma pone dubbi. Alcuni considerano la soglia
implicita contro la frammentazione troppo alta, altri troppo bassa. Un
aspetto su cui solo stime non ancora disponibili potranno fornire una seria
base empirica e su cui sarà comunque il gioco politico a dire la
parola finale. La soglia infatti, nel sistema proposto, dipende dalle
dimensioni delle circoscrizioni e, entro certi limiti, può essere
modulata. Massimo D'Alema, che è entrato in maniera più
puntuale nel merito, ha osservato che le circoscrizioni non possono essere
disegnate artificialmente, mentre dovrebbero corrispondere a ripartizioni
naturali del territorio. Giustissimo, purché l'argomento non venga usato ad
arte per ampliare il perimetro delle circoscrizioni e abbassare la soglia. Le
regioni piccole sono eccellenti circoscrizioni naturali. Ma non c'è
niente di naturale, come D'Alema intende benissimo, nel mettere insieme ai
fini dell'elezione dei parlamentari, Varese e Mantova, Sapri e Santa Maria
Capua Vetere. D'Alema considera inoltre eccentrico che uno stesso collegio
possa esprimere altri parlamentari oltre al candidato che ha preso più
voti. Considera cioè eccentrico quanto è normale in tutti i
sistemi proporzionali e in molti sistemi misti, tra cui la Mattarella-Senato.
D'altro canto le alternative offerte dal sistema tedesco sono peggiori.
Faccio un esempio. Nel collegio di Gallipoli c'è una candidata del
Partito del popolo talmente popolare e tosta da perdere contro D'Alema ai
punti, Berlusconi: "Vogliamo due soli grandi
partiti" (sezione: Riforma elettorale)
(
da "Tempo, Il" del 22-11-2007) È trascorso
un giorno senza che Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini si siano scambiati
accuse. Né insulti. E nemmeno offese personali. [...] Home prec succ
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Fini non molla "Idee campate in aria" Traslocano 110 tigli e 26
platani per fare spazio alla "Nuvola" Soprattutto è
trascorso un giorno durante il quale il leader di An non ha fatto battute
salaci contro il Cavaliere. Anzi, a chi ha partecipato alla riunione
dell'ufficio politico del partito convocata d'urgenza subito dopo ora di
pranzo, l'ex vicepremier è apparso più sereno rispetto ai
giorni scorsi. è presto per dire che è pace fatta. Ma il solo
fatto che non ci siano stati attacchi incrociati rappresenta una
novità nel centrodestra. Berlusconi va avanti per la sua strada. Si
preoccupa di chiarire meglio il suo progetto che ha terremotato anche Forza
Italia. Attorno a lui si fanno largo la Brambilla e i quarantenni (Guido
Crosetto, Mara Carfagna, Gragorio Fontana, Angelino Alfano, Maurizio Lupi) da
un lato e quelli della prima ora come Marcello dell'Utri, con il quale
è tornato un certo feeling, e il mondo che proviene da Publitalia.
Esclusi quelli della seconda ora, come Giulio Tremonti che sembra finito in
soffitta (politica, s'intende). Il Cav tira dritto. E al Giornale delle
Libertà, il settimanale della Brambilla, spiega: "La nostra
posizione è chiara e si può riassumere così: noi
vogliamo contribuire a costruire un sistema elettorale
che incentivi la formazione di grandi partiti, non di alleanze elettorali
impotenti, impossibilitate a governare. Il nostro obbiettivo è un
sistema politico fondato su due grandi partiti, più forti e finalmente
omogenei, in competizione per il governo di questo Paese". E torna a
rispolverare il tema delle elezioni: "Dico fin d'ora che questo
Parlamento non ha più la fiducia dei cittadini e non può certo
riformare la Costituzione. In questa situazione, dove il discredito del
governo è al massimo grado, occorre riformare
rapidamente la legge elettorale e tornare alle urne. Poi - puntualizza - si potrà
discutere, e noi abbiamo proposte nuove e soluzioni
efficaci. Discuterne ora mi pare del tutto prematuro. Anche perché - aggiunge
il leader del Ppl -, un accordo sulla riforma elettorale
presuppone anche un comune impegno ad andare subito al voto. Abbiamo
un governo che non ha più la maggioranza in Parlamento ed è ora
che vada a casa. Cos'altro deve ancora accadere per poter tornare alle urne?
Questo governo è già imploso da un pezzo". Berlusconi
insiste e non sembra spaventato nemmeno dall'ipotesi referendum:
"Penso che sia giusto affrontare un problema alla volta. Un Partito
della Libertà che, appena nato, può già contare, come
confermano i sondaggi di queste ultime ore (ieri ne è giunta anche uno
Ipr, ndr), sul 35-37% dei consensi del corpo elettorale,
non deve avere paura di nulla". Frena invece sulla grande coalizione:
"Qualunque ipotesi prevede che prima ci siano elezioni. Come ho
già detto, un problema alla volta". Una battuta anche per Forza
Italia, che, a giudizio del Cavaliere, "si rigenererà con
entusiasmo e rinnovata energia nel nuovo partito. Essa formerà gran
parte della sua struttura portante. L'esperienza accumulata dai suoi quadri
dirigenti sarà indispensabile anche per strutturare la base del nuovo
movimento". Quindi racconta come è maturata la svolta:
"Erano mesi che tendevo l'orecchio all'ormai assordante protesta dei
cittadini e mi chiedevo: possibile che nessuno voglia assumersi la
responsabilità di affrontare un sistema di potere che, con pervicacia
ed arroganza senza pari, sta, giorno dopo giorno, distruggendo questo Paese?
Ho pazientato un po', ma poi, visto che continuava a non muoversi foglia, ho
deciso di prendermi tutt'intera questa responsabilità".
"Prima che il nostro sistema faccia la fine del Titanic - sottolinea
Berlusconi -, è bene fermare le macchine e cambiare un bel po' di
cose. Ed è ormai compito di chi guida, in questo Paese, il partito di
maggioranza relativa farsi carico di questo problema". Intanto
Berlusconi oggi, assieme a Gianni Letta, vedrà a pranzo l'ambasciatore
israeliano Ghideon Meir. Nei giorni scorsi vi erano state polemiche da parte
della comunità ebraica romana per il fatto che il Cavaliere avesse
partecipato alla convention della Destra con saluti romani e cori fascisti.
Fabrizio dell'Orefice 22/11/2007. LEGGE ELETTORALE, VELTRONI SENTE BERLUSCONI
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Mattino, Il (Nazionale)" del
22-11-2007) Legge elettorale, Veltroni sente Berlusconi MARIA PAOLA
MILANESIO Roma. Sogna due grandi partiti il Cavaliere, "più
forti, finalmente omogenei, in competizione per il governo del Paese".
Anche per questo "il Partito della Libertà non ha paura del referendum". Dal bipolarismo al bipartitismo,
insomma, con buona pace degli alleati. Da domenica, da quando ha deciso la
grande rivoluzione, Silvio Berlusconi è irrefrenabile: passeggiate in
città, comizi al gazebo, dichiarazioni alla stampa. E sempre per ribadire che è disposto a sedersi al tavolo
con Walter Veltroni per discutere di riforma elettorale solo
se "c'è un comune impegno per andare al voto subito". Di
modifiche costituzionali, manco a parlarne. Si vedranno il 30 alla Camera il
Cavaliere e il leader del Pd, che lunedì, invece, incontrerà il
presidente di An Gianfranco Fini. E se Berlusconi porrà come
condizione ineludibile la tappa del voto, Fini chiederà "un
sistema che salvi il bipolarismo" e se così sarà si
potrà discutere anche di riforme costituzionali. Ma tra gli scenari che
il presidente di An sta valutando c'è anche quello che vede in campo
il grande centro che potrebbe avere in Luca Cordero di Montezemolo, Pier
Ferdinando Casini e Savino Pezzotta i suoi leader. E che potrebbe diventare
un grande centrodestra se anche An ne facesse parte (come lasciano intendere
alcuni segnali che provengono da parte Udc). "Quando vedrò
Veltroni, chiariremo i rispettivi punti di vista. Ma dico fin d'ora che
questo Parlamento non ha più la fiducia del cittadini e non può
certo riformare la Costituzione. Noi vogliamo contribuire a costruire un
sistema che incentivi la formazione di grandi partiti, non di alleanze
elettorali impossibilitate a governare", ha detto Berlusconi al
"Giornale della Libertà". La nascita del Pdl è
definita "una iniziativa rivoluzionaria": "Mi chiedevo:
possibile che nessuno voglia assumersi la responsabilità di affrontare
un sistema di potere che sta distruggendo il Paese? Prima che il nostro
sistema faccia la fine del Titanic, ho deciso di assumermi appieno la
responsabilità. Il nostro obiettivo è far saltare i
chiavistelli di un sistema politico che non funziona più". Allo
scontro Fini-Berlusconi - ma ieri da entrambe le parti si è cercata la
tregua, anche se il partito ha gradito la scelta di Veltroni di incontrare
Fini per primo - la destra reagisce mostrando compattezza e puntando a
iniziative sul campo. "La prima sabato a Piazza San Babila a Milano
(dove Berlusconi ha annunciato la nascita del Ppl, ndr.), con lo slogan
contro ogni inciucio e mai con la sinistra", dice Ignazio La Russa. Il
primo dicembre An sarà in piazza a Napoli per una manifestazione che
Fini ha trasformato negli Stati generali del Sud. I primi tre giorni di
febbraio a Milano sarà di scena il Programma per l'Italia proposto a
tutti coloro che non intendono stare con la sinistra. A ribadire la linea
dell'Udc, invece, dopo le iniziative di Bruno Tabacci che ha incontrato Prodi
("Visita a titolo strettamente personale", stigmatizza Lorenzo
Cesa) e di Carlo Giovanardi che punta al Pdl, è la segreteria
politica: "È inaccettabile che chi è collocato formalmente
all'interno del partito si muova per scardinarlo, trascinandolo in avventure
estemporanee e contraddittorie. La costruzione della nuova Casa dei moderati
deve avvenire nella chiarezza di ruoli e posizioni e parte dal rafforzamento
del partito e dalla difesa della sua autonomia". Il leader di Forza
Italia Silvio Berlusconi a sinistra il presidente di An Gianfranco Fini. Romano Prodi contro le riforme
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Opinione, L'" del 22-11-2007) Oggi è Gio,
22 Nov 2007 Edizione 255 del 22-11-2007 La tigre di carta Romano Prodi contro
le riforme di Arturo Diaconale Romano Prodi si rallegra per l'implosione del
centro destra. Ed ammonisce Walter Veltroni a non trasformare il tavolo della
riforma elettorale nel terreno dove stipulare un
accordo privilegiato con Silvio Berlusconi. Se mai il segretario del Pd lo
facesse, lascia intende il Presidente del Consiglio, dovrebbe fare i conti
con l'inevitabile rivolta di una parte consistente del proprio partito. Con
tutte le conseguenze che ne derivano. Ma la minaccia di Prodi è
un'arma spuntata. Per la semplice ragione che una intesa sulla riforma elettorale tra il Cavaliere ed il leader del Pd non
sarebbe mai chiusa all'apporto di altre forze politiche. A partire da
Rifondazione Comunista per passare alla Lega e finire nell'Udc ed in tutte
quelle forze del centro destra e del centro sinistra convinte di avere uno
spazio ed un ruolo nel futuro scenario politico. Certo, Berlusconi e Veltroni
potrebbero accordarsi segretamente per andare alle larghe intese dopo una
eventuale caduta del governo prima delle elezioni anticipate con la nuova legge e l'avvio della prossima legislatura. Ma a quel
punto Prodi non si troverebbe più a Palazzo Chigi, i prodiani
avrebbero molto meno peso e potere all'interno della sinistra e sarebbero
fatalmente costretti a fare buon viso a cattivo gioco. La minaccia prodiana
ha dunque un senso solo se non riguarda gli equilibri politici futuri ma investe
prioritariamente ed esclusivamente proprio la tanto invocata riforma elettorale. Il "professore", in altri termini,
per impedire di essere sostituito da un eventuale esecutivo tecnico o
istituzionale nato dal possibile "inciucio" tra Berlusconi e Veltroni,
deve impedire ad ogni costo che il dialogo sul modello tedesco vada avanti.
In pratica, pur mostrandosi apparentemente favorevole, deve boicottare e far
fallire qualsiasi trattativa riguardante la legge
destinata a sostituire il tanto deprecato "porcellum". In
condizioni normali il Presidente del Consiglio non avrebbe alcuna
difficoltà a realizzare una operazione del genere. E' bastata una
intervista di Arturo Parisi per bruciare l'operazione Coop-Bnl targata
Massimo D'Alema. Figuriamoci se Prodi mancano uomini e mezzi per ottenere lo
stesso effetto con Veltroni. Ma le condizioni politiche non sono affatto
normali. Il governò è con un piedi nelle fossa. E se anche a gennaio Lamberto Dini non desse seguito al suo
annuncio di staccare la spina, di fronte ad una mancata intesa sulla legge elettorale ed alla prospettiva di andare al referendum
l'eutanasia della coalizione avverrebbe per mano dei partiti minori. E
allora? La risposta è semplice. Prodi è una tigre di carta.
E per dimostrarlo Veltroni non deve fa altro che dialogare sulla riforma elettorale senza acuti di sorta. A gridare ci penseranno i
fatti. Via alla grande trattativa: primo round
Veltroni-Fini (sezione: Riforma elettorale)
(
da "Gazzettino, Il" del 22-11-2007) Prossimo faccia a
faccia con il leader di An. Punto fermo: "Si parla di tutte le riforme,
non solo di quella elettorale" RomaNOSTRA
REDAZIONEPrima Fini, poi Berlusconi. Anche nel fissare il calendario degli
incontri con l'opposizione Walter Veltroni fa di tutto per dissipare
l'impressione di un asse tra il Pd e l'ex premier. Soprattutto, tiene il
punto sui contenuti: checché ne dica il Cavaliere, "riforma elettorale e riforme istituzionali sono indissolubilmente
legate" e bisogna parlare di entrambe.Dopo un incontro a Palazzo Chigi
con Romano Prodi, per presentargli in anteprima il simbolo del Pd che
sarà poi mostrato alla stampa nel pomeriggio, Veltroni fa conoscere il
calendario dei primi appuntamenti con l'opposizione e fa - per quel che vale
- assesta uno sgarbo al Cavaliere: vedrà prima, lunedì,
Gianfranco Fini e solo dopo, venerdì 30, il leader del futuro Partito
del popolo o della libertà, con il quale comunque ha già avuto
ieri una prima telefonata, che ha sancito la volontà di sedersi al
tavolo ma ha anche confermato la differenza di strategie e obiettivi.Veltroni
osserva, perfino lui con un certo stupore, che molte cose sono cambiate in
pochissimo tempo. "Sono passati 24 giorni dall'assemblea di Milano e in
24 giorni abbiamo creato il simbolo, la sede del partito e gli organismi
dirigenti ma soprattutto da un punto di vista politico molte cose sono
cambiate: la più grande è la fine della Cdl e la consapevolezza
che è venuto il tempo delle riforme costituzionali". L'aggettivo
è la parola chiave: "È tempo di riforme - prosegue
Veltroni - c'è questa consapevolezza e noi ribadiamo che per noi legge elettorale e riforme
costituzionali sono indissolubilmente legate e non si possono scindere".
Con il segretario del Pd si schiera Clemente Mastella, un po' a sorpresa
perché logica vorrebbe che il leader dell'Udeur puntasse
su un rapido e soddisfacente accordo per la riforma elettorale:
"Solo dopo il cambiamento istituzionale - sentenzia il Guardasigilli -
arriverà anche la legge elettorale, che
non può venire prima". Mastella ricorda che "di leggi
elettorali, negli ultimi anni, ne abbiamo cambiate quattro o cinque:
importante è cambiare soprattutto la filiera istituzionale perché -
spiega - in Italia c'è un indecisionismo delle istituzioni
mentre negli altri Paesi si arriva a decisioni certe, giuste o sbagliate che
esse siano. Dunque, fino a quando non si cambierà tutto questo, ci
sarà sempre una forma di irreparabilità e di disastro nel nostro
Paese". In serata però lo scetticismo riprende quota. A questo
sentimento, prevalente in tutti i piccoli partiti, dà voce il
capogruppo del Campanile a Montecitorio, Mauro Fabris: "Il gioco -
osserva - mi pare evidente. Veltroni prova ad ottenere quello ha sempre
cercato di ottenere: un bipartitismo coatto. E alla luce anche dell'ultima
mossa del Cavaliere che ha aperto al dialogo con il Pd sulle riforme, mi
sembra chiaro che il sospetto dell'inciucio è diventato una certezza.
Ma l'intesa in materia elettorale si cerca tra tutti
e in tempi lunghi, non in un paio di incontri. Insomma, sono scettico che si
arrivi a un'intesa entro gennaio". In altri termini: si fa melina finché
la Consulta, al più tardi in febbraio, non deciderà
sull'ammissibilità del referendum, che
metterà i partiti minori in mano a quelli grandi.A sinistra sono in
molti a diffidare delle trattative con Berlusconi. "Mi auguro - dice ad
esempio Oliviero Diliberto, segretario del Pdci - che Veltroni non cada nel
tranello e non indebolisca il governo attuale".A.B. Berlusconi: basta alleanze, avanti con due grandi partiti (sezione: Riforma elettorale)(
da "Gazzettino, Il" del 22-11-2007) "Un accordo
sulla legge elettorale presuppone
il comune impegno ad andare subito alle urne. Il governo è già
imploso" RomaNOSTRA REDAZIONE"Un accordo sulla riforma elettorale presuppone anche un comune impegno ad andare
subito al voto": Silvio Berlusconi, anche in vista dell'incontro fissato
per fine mese con il segretario del Pd Veltroni, insiste sulla linea. Quella
di limitarsi alla riforma del sistema elettorale,
per poi tornare subito al voto. Il Cavaliere anticipa: "Quando ci
incontreremo chiariremo i rispettivi punti di vista su tutto. Dico
però fin d'ora che questo Parlamento non ha più la fiducia dei
cittadini e non può certo riformare la Costituzione. In questa
situazione, dove il discredito del governo è al massimo grado -
insiste Berlusconi - occorre riformare rapidamente la legge
elettorale e tornare alle urne. Poi si potrà
discutere, e noi abbiamo proposte nuove e soluzioni
efficaci. Discuterne ora mi pare del tutto prematuro. Abbiamo un governo che
non ha più la maggioranza in Parlamento ed è ora che vada a casa.
Cos'altro deve ancora accadere per poter tornare alle urne? Questo governo
è già imploso da un pezzo".In una intervista al giornale
dei Circoli della Libertà, Berlusconi non esclude a priori un governo
di grande coalizione, ma lo subordina alla sua richiesta prioritaria:
"Qualunque ipotesi prevede che prima ci siano elezioni. Un problema alla
volta!". Il Cavaliere puntualizza: "La nostra posizione è
chiara e si può riassumere così: noi vogliamo contribuire a
costruire un sistema elettorale che incentivi la
formazione di grandi partiti, non di alleanze elettorali impotenti,
impossibilitate a governare. Il nostro obbiettivo è un sistema
politico fondato su due grandi partiti, più forti e finalmente
omogenei, in competizione per il governo di questo Paese".Berlusconi fa
sapere di aver deciso la nascita del nuovo partito "prima che il sistema
affondi come il Titanic". E spiega: "Il nostro obbiettivo è
quello di far saltare i chiavistelli di un sistema politico che, così
com'è oggi, non funziona più. In questo, la nostra iniziativa
ha, in sè, qualcosa di rivoluzionario". Poi aggiunge: "Penso
di aver fatto la cosa giusta nel momento giusto. Erano mesi, del resto, che
tendevo l'orecchio all'ormai assordante protesta dei cittadini e mi chiedevo:
possibile che nessuno voglia assumersi la responsabilità di affrontare
un sistema di potere che, con pervicacia ed arroganza senza pari, sta, giorno
dopo giorno, distruggendo questo Paese? Ho pazientato un po', ma poi, visto
che continuava a non muoversi foglia, ho deciso di perdermi tutt'intera
questa responsabilità. Prima che il nostro sistema faccia la fine del
Titanic, è bene fermare le macchine e cambiare un bel po' di cose. Ed
è ormai compito di chi guida, in questo Paese, il partito di maggioranza
relativa farsi carico di questo problema". Del resto, il Cavaliere
è sicuro che "Forza Italia si rigenererà con entusiasmo e
rinnovata energia nel nuovo partito. Essa formerà gran parte della sua
struttura portante. L'esperienza accumulata dai suoi quadri dirigenti,
sarà indispensabile anche per strutturare la base del nuovo
movimento". Tuttavia, qualche crepa c'è e proprio oggi Berlusconi
incontra Ferdinando Adornato che, secondo diverse indiscrezioni, sarebbe
intenzionato a non far parte del nuovo soggetto politico: sarebbe stato lo
stesso ex premier a contattare Adornato, presumibilmente per verificare le
indiscrezioni di stampa che indicavano il promotore della Fondazione Liberal
come il primo dissidente del progetto berlusconiano.In ogni caso - nonostante
l'irritazione evidente di An, il maldipancia dell'Udc e l'indifferenza della
Lega - Berlusconi non ha dubbi sulla buona riuscita della sua ultima idea. E
non arretra nemmeno davanti alla possibilità che, fallite le
trattative, alla fine si tenga il referendum sulla legge elettorale: "Penso che sia giusto - rileva - affrontare un problema
alla volta. E poi sa cosa le dico? Un Partito della libertà che,
appena nato, può già contare, come confermano i sondaggi di
queste ultime ore, sul 35-37 per cento dei consensi del corpo elettorale, non deve avere paura di nulla. Sono convinto anche
che, entro qualche mese, di adesioni ne potranno arrivare ancora di
più. Il vento del cambiamento spirerà sempre più
forte".C.G. Trambusto nei poli sulla legge elettorale: è l'effetto Berlusconi (sezione: Riforma elettorale)(
da "Sole 24 Ore Online, Il" del
22-11-2007) Sulle riforme
lunedì incontro tra Fini e Veltroni. Prodi: non servono grandi
coalizioni di Sara Bianchi commenti - | | 21 novembre 2007 SONDAGGIO Vi
piacciono i loghi del Partito Democratico e quello della formazione proposta
da Berlusconi? Lo scontro tra Berlusconi e il leader di An ANALISI Dal
proporzionale al maggioritario e ritorno di Roberto D'Alimonte IL PUNTO Il sistema
tedesco porta alle larghe intese dopo il voto di Stefano Folli La proposta
Veltroni Grandi coalizioni? No, "al Paese servono riforme". Romano
Prodi risponde così ai cronisti che gli domandano degli incontri in
corso. "È un confronto continuo", spiega il Presidente del
Consiglio, perchè "dobbiamo portare avanti l'approvazione dei
provvedimenti che abbiamo varato". Il modello di
riferimento rimane quello tedesco? Il premier non si sbilancia: "la
discussione è in corso", si limita a osservare. Certo il confronto
su legge elettorale e riforme istituzionali, resta serrato, anche se a distanza
con l'opposizione, con tanto di colpi di teatro del rivale di sempre, Silvio
Berlusconi. I faccia a faccia più attesi sono quelli che Walter
Veltroni avrà con Fini - lunedì 26 novembre - e con Berlusconi
- il 30 novembre -. Il Cavaliere intanto chiarisce alla maggioranza che
"un accordo sulla riforma elettorale presuppone
anche un comune impegno ad andare subito al voto". In un'intervista
rilasciata a Il Giornale della Libertà l'ex premier ripete che
"questo Parlamento non ha più la fiducia dei cittadini e non
può certo riformare la Costituzione". In questa situazione,
chiarisce "dove il discredito del Governo è al massimo grado,
occorre riformare rapidamente la legge elettorale e tornare alle urne. Poi si potrà
discutere". Ma il leader del Partito della Libertà è
disponibile a un governo di larghe intese? "Qualunque ipotesi - risponde
Berlusconi - prevede che prima ci siano elezioni". Il dibattito è
aperto e intenso dentro il centrosinistra: oggi Veltroni ha incontrato sia
Prodi che Enrico Letta. Ma nell'Unione c'è già chi grida
all'inciucio: il Pdci chiede un vertice di maggioranza prima degli incontri
con il centrodestra, la stessa richiesta arriva da Rosy Bindi, i verdi
considerano una pazzia insistere sul sistema tedesco e il Prc ribadisce la
priorità di un accordo nella coalizione. Di segno opposto le
considerazioni dell'Udeur, con Clemente Mastella che avverte: "se avanza
una terza ipotesi, evidentemente c'è un nostro interesse ad un'area di
centro come tale". Sulla stessa scia Lamberto Dini, secondo il quale
è giusto che siano i due maggiori partiti a dare la linea.
Dall'opposizione dopo il richiamo al Cavaliere per il rispetto dei patti
siglati dalla Cdl a Gemonio, la Lega torna a chiedere che, prima
dell'incontro con Veltroni, Silvio Berlusconi riconfermi quell'accordo,
ovvero "un proporzionale con lo sbarramento simile a quello tedesco e
l'indicazione del candidato premier che avviene prima". Il Cavaliere
medita di escludere il Carroccio dalle future alleanze del Pdl? Maroni ne
dubita: "senza di noi sa di perdere, non mi pare sia nelle sue
intenzioni". Su quale sia l'obiettivo primario dell'ex premier, in
questa fase, molti si interrogano. E dal Pd Pierluigi Castagnetti riflette:
"c'è chi sostiene che Berlusconi stia portando legna da ardere
per fare fumo, arrivare in prossimità del referendum
e semmai sperare che i partiti minori dell'Unione possano aprire a una crisi
di governo e di legislatura. Può anche darsi che Berlusconi abbia
questo retro pensiero, ma credo che non ci sia spazio per le furbate, ce ne
accorgeremmo molto rapidamente". Intanto il Presidente della Repubblica
in un'intervista al settimanale tedesco Die Zeit dice di ammirare "molto
il clima di comune accettazione di valori e regole fondamentali, che ha
presieduto e presiede alla lotta politica nella repubblica federale".
Atteso per la settimana prossima a Berlino, Giorgio Napolitano esprime dunque
il suo interesse per il modello tedesco, definendo "molto
importante" il fatto che "ci si confronti tra schieramenti che
competono per la guida del paese ma che hanno rispetto reciproco, chiunque
sia al governo e chiunque all'opposizione". Riforme tra ricordi distorti della bicamerale e la novità dei giorni nostri (sezione: Riforma elettorale)(
da "Riformista, Il" del 23-11-2007) Riforme tra ricordi
distorti della bicamerale e la novità dei giorni nostri La maledizione
del dialogo colpisce ancora È una specie di maledizione della politica
italiana: ogni volta che qualcosa o qualcuno si muove, il sospetto si spande
come una macchia. Sui timidi inizi di un dialogo tra Veltroni e Berlusconi
per la riforma elettorale, e possibilmente anche per
le riforme istituzionali, già si è abbattuta l'evocazione
dell'inciucio, accompagnata da rivelazioni sui legami tra Rai e Mediaset e -
quindi - dall'immediato ripescaggio della legge
Gentiloni e di quella sul conflitto d'interessi. Leggi che si devono fare,
per carità, ma che con strana puntualità sono tornate alla
mente proprio ieri, in modo tale da creare l'idea che non si facciano per
favorire il dialogo. (Domanda: perché non si sono fatte finora?). Viene
così ricostruito uno scenario il più possibile simile a quello
della Bicamerale: l'oggetto più odiato ed esecrato dall'opinione
pubblica di sinistra, tanto che solo nominarla equivale a un anatema. Ora, in
realtà la Bicamerale è stata un corretto e generoso tentativo
di uscire dallo stallo della transizione. Il suo difetto è uno solo:
di essere fallita. Ed è fallita (oltre che per alcuni errori di
conduzione sui quali un giorno sarà forse utile tornare a riflettere)
esattamente perché non ci fu l'inciucio, e quindi Berlusconi fece saltare il tavolo.
È veramente assurdo che la Bicamerale, con i suoi
responsabili, sia consegnata alla leggenda di un
inciucio che invece non ci fu. Ma torniamo al presente. Veltroni è
oggi ben più forte di quanto fosse D'Alema nel 1998, e d'altronde si
guarda bene dal proporre una Bicamerale. Ha proposto semplicemente un dialogo
per le riforme, com'è giusto e necessario. La novità
è che Berlusconi ha risposto con una parziale apertura. Il rischio
vero di questa situazione non è l'inciucio, ma è, ancora una
volta, il fallimento. È infatti molto difficile trovare i termini di
un accordo che sia accettabile per tutti o quasi tutti i soggetti politici. I
discorsi di questi giorni nascondono una serie di equivoci. Si parla di
ritorno al proporzionale; ma il sistema proposto da Veltroni è un proporzionale
molto corretto da un forte effetto maggioritario; neanche il sistema tedesco,
peraltro, è un proporzionale puro. La misura e la qualità di
questa correzione, con tutta evidenza, saranno il punto cruciale del
confronto. È dunque del tutto fuori di luogo, al momento, parlare di
morte del bipolarismo e di ritorno alla Prima repubblica. In verità la
prospettiva più probabile è che l'accordo non si faccia e si
vada al referendum: dunque a un rafforzamento del
maggioritario e del bipolarismo. Sarebbe un'altra occasione perduta; ma
questa volta c'è la rete della consultazione popolare. Resta la
singolarità di questo trascinarsi negli anni di tentativi di riforma elettorale, che o falliscono, o risultano insoddisfacenti.
Così, oggi sembra che i difetti del bipolarismo italiano dipendano
soltanto dalle leggi elettorali. Si dimentica che un sistema politico
è fatto soprattutto dai suoi attori: i partiti. Ha perfettamente
ragione Ernesto Galli della Loggia (sul Corriere di ieri): il bipolarismo
italiano è fallito perché i partiti maggiori dei due poli, gravati in
modo diverso da una identità ambigua, hanno in realtà
rinunciato ad esercitare un ruolo guida nel rispettivo schieramento e quindi
si sono preclusa la possibilità di diventare partiti grandi come ce ne
sono in tutti i paesi europei, qualunque sia il loro sistema elettorale, preferendo la più facile via delle
coalizioni-ammucchiata: via più facile per vincere le elezioni, ma non
certo per governare. Bisogna aggiungere, però, che proprio per uscire
da questa situazione è nato il Partito democratico. "Un partito a
vocazione maggioritaria" significa precisamente questo: un partito con
forte identità, che punta a competere e non solo a mediare. Che si
propone di vincere, naturalmente, ma in modo tale da poter governare. Da
questo nuovo attore - la cui nascita ha già cambiato la scena politica
fino al punto da produrre lo scioglimento della Casa della libertà -
viene la proposta di dialogo per le riforme. Con tutta la prudenza del caso,
non si può non vedere la novità della situazione presente,
rispetto a tutti i tentativi degli ultimi anni. 23/11/2007. Veltroni: Non tratterò sulla fine del governo
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Arena, L'" del 23-11-2007) DIALOGO SULLE
RIFORME. In vista degli incontri i leader degli opposti schieramenti fissano
i paletti del confronto Veltroni: "Non tratterò sulla fine del
governo" ROMA Sì al dialogo ma il governo non si tocca. Walter
Veltroni, segretario del Pd, a pochi giorni dagli incontri con i leader
dell'ex Casa delle libertà Fini, An, Casini, Udc e Berlusconi, Fi,
torna ad assicura che il confronto non può e non deve coinvolgere
Palazzo Chigi. Non ci deve essere alcun legame tra riforme elettorale
e istituzionali e durata del governo. Veltroni si prepara a dialogare con
l'opposizione con queste premesse, che dovrebbero fugare le preoccupazioni di
Prodi e la diffidenza di parte del centrosinistra per il filo diretto che sta
instaurando con Berlusconi. Veltroni ha precisato che non accetterà
"data di scadenza per il governo Prodi", certo non fino a quando in
Senato ci sarà una maggioranza. Lo ha spiegato in un'intervista al
settimanale l'Espresso in edicola oggi, lo ha chiarito ieri a Madrid, nella
visita al premier spagnolo Zapatero. "Non c'é nessuna grande coalizione,
non si sta discutendo di questo", ha dichiarato,
"Per me ciò che conta è il completamento del processo di
riforme istituzionali dentro il quale pongo la riforma elettorale". Niente di reale quindi, nei presunti "assi"
descritti in questi giorni dai media. Per il sistema elettorale, "mi pare ci sia una convinzione che si debba lavorare su
un sistema liberale che sia proporzionale, senza premi di maggioranza
ma bipolare, due cose che non sono impossibili". Con questi obiettivi
Veltroni vedrà Fini lunedì, poi Casini, la Lega e
venerdì 30 Berlusconi. Ma nell'Unione non mancano malumori. Clemente
Mastella teme che dietro le offerte di dialogo "ci sia la voglia di
arrivare al referendum". "Malissimo",
afferma Arturo Parisi sull'eventualità di un ritorno al proporzionale,
"O è bipolarismo o è grande coalizione". "Dopo
le leggi ad personam siamo alle leggi ad partitum", si preoccupa Cesare
Salvi, Sd che definisce "positiva l'apertura di Veltroni sul sistema
tedesco, ma singolare e non condivisibile l'idea di correttivi per rafforzare
i partiti maggiori". Alfonso Pecoraro Scanio, Verdi continua a sentire
"puzza di inciucio centrista". E Fini in una conferenza stampa ha
illustrato la posizione di An in vista dell'incontro con Veltroni. Il dialogo
è indispensabile finché il governo avrà i numeri, anche se noi,
ha sottolineato, "vogliamo che cada". Fini ha chiarito il rapporto
con Berlusconi. An, è e resta un partito di destra che "non
confluirà mai" nella "Cosa di centro" con l'Udc. La
destra è pronta a confrontarsi con tutti i partiti "vecchi e
nuovi" che vogliono costruire un'alternativa alle sinistre. Tutto ciò,
ha spiegato Fini, partendo dal presupposto che è stato Berlusconi ad
"archiviare la Cdl". Anche se non c'è più il
centrodestra, quello che conta per Fini è che ci sia "il popolo
di centrodestra" ed è a questo che An "intende parlare".
Sulla riforma elettorale, per Fini non è
importante se sarà proporzionale o maggioritaria, ma se
indicherà le alleanze di governo. Lasciare i partiti con le mani
libere, avverte il leader di An, significherebbe far arretrare l'Italia a una
fase di democrazia bloccata. Casini, invece, pur ripetendo di non condividere
la sortita del Cavaliere che ha annunciato la fondazione di un nuovo partito
"salendo sul tetto di un'auto", apprezza che Berlusconi abbia
"deciso di dialogare e abbia capito che questo bipolarismo è
finito". Quanto a Fini, se in Fi c'è qualcuno che pensa di "liquidarlo
con facilità", "si sbaglia di grosso" perché dichiara
Casini, "Gianfranco è un leader vero e non basta certo Storace
per sostituirlo". Cosa accadrà ora? Casini invita ad attendere
che "si depositi la polvere della polemica". Poi incontrerà
Fini e tenterà di trovare un accordo, anche se è cosciente che
"ci sono chiare diversità di collocazione politica". Veltroni: <Non tratterò sulla fine del
governo> (sezione: Riforma
elettorale)
(
da "Giornale di Vicenza.it, Il" del
23-11-2007) DIALOGO SULLE
RIFORME. In vista degli incontri i leader degli opposti schieramenti fissano
i paletti del confronto Veltroni: "Non tratterò sulla fine del
governo" Fini: "Nella nuova legge elettorale vanno indicate le alleanze e non faremo un
partito con Casini" Mastella teme la voglia di arrivare al referendum. Parisi: "Malissimo il proporzionale"
L'ala radicale lancia l'allarme inciucio. Pecoraro Scanio: "Sento puzza
di centrismo" ROMA Sì al dialogo ma il governo non si
tocca. Walter Veltroni, segretario del Pd, a pochi giorni dagli incontri con
i leader dell'ex Casa delle libertà Fini, An, Casini, Udc e
Berlusconi, Fi, torna ad assicura che il confronto non può e non deve coinvolgere
Palazzo Chigi. Non ci deve essere alcun legame tra riforme elettorale
e istituzionali e durata del governo. Veltroni si prepara a dialogare con
l'opposizione con queste premesse, che dovrebbero fugare le preoccupazioni di
Prodi e la diffidenza di parte del centrosinistra per il filo diretto che sta
instaurando con Berlusconi. Veltroni ha precisato che non accetterà
"data di scadenza per il governo Prodi", certo non fino a quando in
Senato ci sarà una maggioranza. Lo ha spiegato in un'intervista al
settimanale l'Espresso in edicola oggi, lo ha chiarito ieri a Madrid, nella
visita al premier spagnolo Zapatero. "Non c'é nessuna grande coalizione,
non si sta discutendo di questo", ha dichiarato,
"Per me ciò che conta è il completamento del processo di
riforme istituzionali dentro il quale pongo la riforma elettorale". Niente di reale quindi, nei presunti "assi"
descritti in questi giorni dai media. Per il sistema elettorale, "mi pare ci sia una convinzione che si debba lavorare su
un sistema liberale che sia proporzionale, senza premi di maggioranza
ma bipolare, due cose che non sono impossibili". Con questi obiettivi
Veltroni vedrà Fini lunedì, poi Casini, la Lega e
venerdì 30 Berlusconi. Ma nell'Unione non mancano malumori. Clemente
Mastella teme che dietro le offerte di dialogo "ci sia la voglia di
arrivare al referendum". "Malissimo",
afferma Arturo Parisi sull'eventualità di un ritorno al proporzionale,
"O è bipolarismo o è grande coalizione". "Dopo
le leggi ad personam siamo alle leggi ad partitum", si preoccupa Cesare
Salvi, Sd che definisce "positiva l'apertura di Veltroni sul sistema
tedesco, ma singolare e non condivisibile l'idea di correttivi per rafforzare
i partiti maggiori". Alfonso Pecoraro Scanio, Verdi continua a sentire
"puzza di inciucio centrista". E Fini in una conferenza stampa ha
illustrato la posizione di An in vista dell'incontro con Veltroni. Il dialogo
è indispensabile finché il governo avrà i numeri, anche se noi,
ha sottolineato, "vogliamo che cada". Fini ha chiarito il rapporto
con Berlusconi. An, è e resta un partito di destra che "non
confluirà mai" nella "Cosa di centro" con l'Udc. La
destra è pronta a confrontarsi con tutti i partiti "vecchi e
nuovi" che vogliono costruire un'alternativa alle sinistre. Tutto
ciò, ha spiegato Fini, partendo dal presupposto che è stato
Berlusconi ad "archiviare la Cdl". Anche se non c'è
più il centrodestra, quello che conta per Fini è che ci sia
"il popolo di centrodestra" ed è a questo che An
"intende parlare". Sulla riforma elettorale,
per Fini non è importante se sarà proporzionale o
maggioritaria, ma se indicherà le alleanze di governo. Lasciare i
partiti con le mani libere, avverte il leader di An, significherebbe far
arretrare l'Italia a una fase di democrazia bloccata. Casini, invece, pur
ripetendo di non condividere la sortita del Cavaliere che ha annunciato la
fondazione di un nuovo partito "salendo sul tetto di un'auto",
apprezza che Berlusconi abbia "deciso di dialogare e abbia capito che
questo bipolarismo è finito". Quanto a Fini, se in Fi c'è
qualcuno che pensa di "liquidarlo con facilità", "si
sbaglia di grosso" perché dichiara Casini, "Gianfranco è un
leader vero e non basta certo Storace per sostituirlo". Cosa
accadrà ora? Casini invita ad attendere che "si depositi la
polvere della polemica". Poi incontrerà Fini e tenterà di
trovare un accordo, anche se è cosciente che "ci sono chiare
diversità di collocazione politica". . Le prede della volpe silvio
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Espresso, L' (abbonati)" del
23-11-2007) PRIMO PIANO Le
prede della volpe silvio di edmondo berselli Liquidare gli alleati scomodi
Fini e Casini. Chiudere la partita sulla legge elettorale. E lasciare le porte aperte a futuri governi di
larghe intese. è la nuova strategia di Berlusconi. Per ribaltare il
sistema politico. E sfrattare l'esecutivo di Prodi L'ingenuità
maggiore sarebbe pensare a un colpo di testa, o di genio estemporaneo, da
parte di Silvio Berlusconi. Quando domenica scorsa ha lanciato il tracciante
che ha illuminato il cielo della politica italiana con l'apparizione
scintillante del Partito del Popolo delle Libertà, tutto stava facendo
fuorché un'improvvisazione. Ci stava pensando da mesi. Aveva cullato i circoli
di Michela Vittoria Brambilla, fra le diffidenze e le sufficienze di alleati
e compari, proprio come una cellula staminale di un'esperienza politica
nuova. Si era confidato con i collaboratori storici, con Fedele Confalonieri,
con Marcello Dell'Utri, con Gianni Letta. Poi aveva tentato il colpo grosso,
la spallata contro il governo Prodi, l'estremo tentativo di arrivare al
collasso del centrosinistra per reclamare le elezioni. Fallita quella, mentre
sembrava all'angolo, sottoposto agli attacchi dei pretendenti al trono, ecco
l'invenzione "maoista", come dice Giuliano Ferrara,
un'accelerazione impressionante alla dinamica politica, l'ultimo gioco di
prestigio del re mago Berlusconi. Tutti rimasti senza fiato, gli altri,
nanetti e mezzi leader. L'attacco ai "parrucconi", l'oscuramento di
fatto del nucleo dirigente di Forza Italia, in una specie di purga, o una
rivoluzione culturale alla cinese. Stanno già spuntando le Guardie
azzurre, i pasdaran del populismo berlusconiano. Gianfranco Fini e Pier Ferdinando
Casini liquidati per il momento come un fastidio o un intralcio. Con
l'effetto di uno choc tremendo in primo luogo dentro il centrodestra,
cioè l'ex Casa delle libertà, presa a pallate e demolita.
Perché come si è visto, Berlusconi ha scelto di trattare con Walter
Veltroni un accordo sul sistema proporzionale, ma soprattutto ha fatto capire
con estrema chiarezza che d'ora in avanti la partita si gioca fra lui e
Walter, fra il Partito del Popolo e il Partito democratico. E adesso che cosa
succederà, quale sarà l'effetto dell'ondata d'urto
berlusconiana? Non c'è dubbio alcuno che il colpo d'ariete del
Cavaliere è di tipo 'sistemico', non l'esito di un capriccio.
Nell'ambiente degli ulivisti, dei bipolaristi più religiosamente
convinti, Arturo Parisi fa capire sconsolato che quello berlusconiano
è un exploit reazionario, che conduce di nuovo alla "casella
numero uno della politica italiana". Di nuovo nella rete del
'bipartitismo imperfetto', sindrome italiana certificata da Giorgio Galli a
metà degli anni Sessanta. Eppure il primo risultato è
l'esplosione del centrodestra, l'apertura di scenari inediti. Intanto,
siccome l'imperfezione del bipartitismo non contempla più la presenza
del Pci, Bruno Tabacci vede qualche opportunità: "Lo dicevo, lo
dicevamo da un sacco di tempo che occorreva superare il bipolarismo
irrigidito, quel modulo sclerotizzato nelle contraddizioni interne delle due
alleanze elettorali. Adesso si tratta di vedere come vorrà collocarsi
Berlusconi con il suo partito nuovo". Vale a dire? "Se Berlusconi
disegna una formazione che privilegia l'antipolitica, il populismo di destra,
tira dentro Storace e la Santanché, è evidente che si creano tensioni
con la parte centrista dell'ex centrodestra, ossia con l'Udc. E quindi
bisogna fare presto la Cosa bianca, dare vita a un'entità politica
più ampia di quella attuale, che raccolga le esperienze di Pezzotta, e
faccia da coagulo a quelle culture testimoniate da personalità come
Montezemolo e Mario Monti, e che favorisca semmai l'approdo definitivo di
Fini nell'area dei Popolari europei, se lui si decide". Anche perché,
conferma Tabacci, il Blitzkrieg berlusconiano sul sistema proporzionale,
avrà effetti su tutto l'arco politico: "Si formeranno quattro o
cinque aree politico-culturali, e in questo panorama la politica torna a
essere la politica; si libereranno anche quelle energie e quelle figure, come
Gerardo Bianco, che si sentirebbero strette nel Pd". E soprattutto
sarà il caso di non guardare con superiore ironia la mossa
berlusconiana. Anche il massimo politologo italiano, Giovanni Sartori,
scherza inevitabilmente sul "satrapo" che può fare
ciò che vuole del proprio partito, anche vendere mezzo ceto dirigente
agli emiri, ma considera gli effetti della sua iniziativa proporzionalista su
tutto lo schieramento politico: "Se Walter Veltroni è furbo, la
prende al volo, l'offerta berlusconiana. Perché anche il leader del Partito
democratico ha bisogno delle mani libere, cioè di sottrarsi ai
condizionamenti della sinistra radicale e di giocarsi liberamente le sue
chance politiche". Nelle conversazioni informali, non c'è
soltanto Fausto Bertinotti a illuminarsi di ammirazione per il talento
creativo di Berlusconi (anche Rifondazione comunista simpatizza da sempre per
il modello proporzionale tedesco). Anche a destra, nei circoli Fininvest, fra
un Confalonieri e un Dell'Utri, si condivideva da tempo l'idea che occorresse
un cambio di passo. Anche Gianni Letta si era espresso sulla necessità
di trattare una riforma elettorale. E Berlusconi, a
settantun anni compiuti, ha deciso che era venuto il tempo dell'ultima
spallata. Non più contro il governo Prodi, ma contro un sistema
politico ossificato, che esaltava i conflitti interni alle coalizioni.
"Berlusconi ha bisogno di correre da solo", ripetevano i fan del
Cavaliere. Detto fatto. Fuori Fini e Casini, con un avviso di sfratto che i
due si trovano fra le mani così all'improvviso che restano attoniti,
come paralizzati: "Tanto senza di me non vanno da nessuna parte".
Un'occhiata dall'altra parte, verso il centrosinistra, "dove c'è
tanta gente ragionevole, che la pensa praticamente come noi, ma è
condizionata dalla sinistra comunista e radicale". Ed ecco la strategia,
semplicissima: sistema proporzionale, duello con Veltroni, chi vince governa,
se ci riesce, con l'aiuto dei vecchi alleati, o di chi comunque ci sta. Se
vince Berlusconi, chiama all'appello i residui del centrodestra. Se la nuova
alleanza non funziona, è pronto il cambio di rotta, con la soluzione
della grande intesa con il Partito democratico. Come aveva detto, Enzo Biagi?
"Se Berlusconi avesse le tette farebbe l'annunciatrice". Ecco, se
le avesse effettivamente, e parlasse la lingua di Goethe, la prospettiva
della Grosse Koalition sarebbe a un passo, e Silvio diventerebbe una
controfigura di Angela Merkel. Già, ma Prodi? Prodi non è
più un problema, sussurrano i fautori del Cavaliere. A destra si
continua a dire, e lo dicono tutti, che prima se ne va, Prodi, tanto meglio
è per il paese. A sinistra si ripete con un certo automatismo che sarà
bene lavorare perché il governo del Professore completi la legislatura. Ma in
realtà è solo questione di tempi: o funziona la congiura dei
boiardi, con qualche senatore che si sfila dalla maggioranza al Senato (con
Lamberto Dini nella parte di maggiore indiziato come capofila della
cospirazione), oppure basta un po' di pazienza. Toccherà a Mastella
staccare la spina al governo, non appena la Corte costituzionale darà,
se lo darà, via libera al referendum
Guzzetta-Segni. Prodi verrà lentamente soffocato dalle spire
dell'accordo implicito Berlusconi-Veltroni, la sua figura di resistente a
oltranza sull'altare del bipolarismo e della lotta antiberlusconiana si
dissolverà nel quadro mobile della proporzionale. "Prodi si
estinguerà, semplicemente", dicono i berluscones fondamentalisti:
"Vengono meno le ragioni della sua esistenza politica".
Naturalmente Prodi non è affatto d'accordo. Venderà cara la
pelle. Chiederà a Veltroni di condizionare ogni accordo a riforme
costituzionali che allunghino i tempi del trapasso di sistema. Dentro l'entourage
prodiano si preparano alla battaglia, forti anche di un piccolo quanto
significativo recupero di consenso dopo il varo della legge
finanziaria al Senato: "Vogliamo dirlo o no che questi diciotto mesi di
resistenza all'aggressione della destra si devono solo all'ostinazione, alla
tenacia, alla testardaggine, alla pazienza di Romano?". Adesso il primo
traguardo consiste nelle elezioni europee del 2009. Votare nel 2008 infatti
sarebbe l'ammissione di un fallimento: "E semmai è fallita la
coalizione, non certo il governo", dicono i prodiani. Ma il tempo di
Prodi è al passato. Talmente al passato che perfino Berlusconi teme
qualche sorpresa. "Perché se Romano.". Già, se Romano, nel
senso di Prodi, decidesse di salire anche lui sul carro della proporzionale,
ci sarebbe subito il terzo incomodo, nella Terza Repubblica. Già si
muovono gli emissari della Cosa bianca. Incontri discreti si succedono.
Perché se il futuro della politica italiana è nel confronto fra due
simil-Democrazie cristiane, il Partito del popolo e il Pd, chi meglio di
Romanone, il vecchio ragazzo democristianone, potrebbe mettersi in mezzo, con
una terza forza bianca, a scomporre i giochi a complicare il quadro?
Fantapolitica, mais oui. Ma noi siamo effettivamente dentro la fantapolitica.
E questo forse non l'aveva previsto nemmeno Berlusconi. n Gianni Letta il
gran tessitore Aspetta, nel suo ufficio di largo del Nazareno, nel cuore di
Roma. Silente ma non assente, come diceva Carlo Azeglio Ciampi durante il
settennato al Quirinale, una frase che Gianni Letta ama ripetere applicandola
a sé. In tutto questo periodo ha fatto un'unica uscita pubblica, ma a lungo
meditata e realizzata con tempismo stupefacente: l'intervista contenuta nel
libro 'Chi è Stato?' curata da Luigi Tivelli, consigliere parlamentare,
capo di gabinetto nel governo Berlusconi, oggi molto vicino a Lamberto Dini.
Un intervento preparato con cura, fin dalla scorsa estate, per ricostruire
un'immagine da grand commis, un personaggio istituzionale e non politico. Il
testo, consegnato nel mese di settembre, è stato limato fino
all'ultimo con meticolosità quasi maniacale, rivisto in ottobre,
pubblicato al momento giusto: a metà novembre. Ci sono tutte le parole
d'ordine del 'nuovo' Berlusconi: le regole da scrivere insieme, il paese disastrato,
l'impossibilità di governare senza urgenti riforme. E la proposta,
inusuale, di appellarsi direttamente al popolo: "Perché non pensare a un
appello agli italiani da lanciare insieme per richiamarli alla realtà,
ma anche per ricreare le condizioni della passione civile e di uno spirito
unitario? Dall'una e dall'altra parte ci sono forze che saprebbero come
affrontare quei problemi. Potrebbero farlo insieme, assumendosene
congiuntamente la responsabilità". L'anticipo del dialogo
Berlusconi-Veltroni. Un segnale al Pd che precede quello del Cavaliere sulla
grande coalizione alla tedesca. Parole che qualcuno ha interpretato come
un'autocandidatura di Letta alla guida di un governo di larghe intese. Di
certo, il Dottore è attivissimo nel tenere i rapporti con Walter
Veltroni. In prima fila alle manifestazioni organizzate da Goffredo Bettini,
anche se Letta non ha bisogno di mediatori, il suo rapporto con il sindaco di
Roma è antico e diretto, non conosce strappi. La stessa frequentazione
che intrattiene con il presidente del Senato Franco Marini, abruzzese come
lui, e con Lamberto Dini. Nelle settimane della tentata spallata al Senato
è stato Letta a trattare con l'ex premier che era ben deciso a farsi
desiderare da Berlusconi: telefonate burrascose o addirittura chiamate senza
risposta. Dopo vent'anni al Fondo monetario internazionale Lambertow è
un negoziatore senza paragoni. Sa quando bisogna alzare il prezzo e quando si
chiude l'accordo. Il tempo è vicino: nei giorni che precedono il ritorno
della Finanziaria in Senato Dini tenterà di mettere su il suo gruppo.
Tre liberaldemocratici, la coppia Bordon-Manzione, l'argentino Luigi Pallaro,
più un paio di senatori in arrivo dalla Margherita. Poi, quando la legge di bilancio tornerà a Palazzo Madama, potrebbe scattare la trappola per il governo Prodi: il ritiro
dei voti di Dini e la crisi. Con la necessità di mettere in piedi un
nuovo governo per fare la riforma elettorale. E
per un ruolo di primo piano a palazzo Chigi c'è un unico nome da cui
Berlusconi potrebbe sentirsi garantito: Gianni Letta. M. D. SARDEGNA: DAI CONSIGLIERI ARRIVA NUOVA PROPOSTA DI LEGGE ELETTORALE (sezione: Riforma elettorale)(
da "Asca" del 23-11-2007) (ASCA) - Cagliari, 23
nov - Ottanta consiglieri regionali eletti attraverso un collegio regionale e
collegi provinciali nella proporzione Prodi, Fini, cosa rossa: ecco chi teme l'asse Berlusconi-Veltroni (sezione: Riforma elettorale)(
da "Panorama.it" del 23-11-2007) Italia - http://blog.panorama.it/italia
- Prodi, Fini, cosa rossa: ecco chi teme l'asse Berlusconi-Veltroni Posted By
Renzo Rosati On 23/11/2007 @ 12:57 In Apertura#1, NotiziaHome | No Comments
Silvio Berlusconi è convinto che le intercettazioni sul [1] presunto
cartello Rai-Mediaset siano state [2] messe in giro e montate ad arte per
sabotare il nascituro Partito della Libertà, e soprattutto il dialogo
privilegiato che ha deciso di instaurare con Walter Veltroni. Lo stesso
sospetto, per la verità, serpeggia nello staff del sindaco di Roma, e
gli indiziati sono soprattutto due: Romano Prodi e Carlo De Benedetti,
l'editore di Repubblica. Evidentemente ciò che conta è il
mandante (se mandante esiste) politico. E dunque Prodi. L'[3] asse
Berlusconi-Veltroni, se mai si realizzerà, lo spiazza. Al tempo stesso
l'idea di una riforma elettorale proporzionalista
è avversata dai prodiani più fedeli al maggioritario, il metodo
che tra l'altro ha consentito al Professore di arrivare per due volte alla
guida del centrosinistra e soprattutto al governo. Il capofila degli
arrabbiati è [4] Arturo Parisi, ministro della Difesa, grande sostenitore anche del referendum, da
sempre diffidente su Veltroni. I referendari sono un altro fronte caldo: ma
la consultazione popolare resta l'arma di riserva per Berlusconi e Veltroni
se la trattativa sulla riforma elettorale
fallisse. In fondo il referendum, trasferendo il premio di maggioranza dalle coalizioni ai
partiti, realizzerebbe per altra via ciò che il Cavaliere e il
segretario del Pd stanno faticosamente cercando di concordare sul terreno
politico. Il più arrabbiato per il nuovo scenario è senza
dubbio [5] Gianfranco Fini. Il leader di An è colpito doppiamente,
come ex alleato della Cdl e come fautore del maggioritario. Con il
"liberi tutti" rischia di perdere una fetta del partito, ma
soprattutto teme che la base segua Berlusconi. Ecco perché non ne perdona una
al Cavaliere, ricambiato. La [6] Lega al momento sta con Berlusconi, ma a
condizione che chiuda l'accordo con Veltroni e eviti il refendum. Il modello elettorale che si prospetta, proporzionale con
sbarramento, ma con micro collegi territoriali, garantirebbe al Carroccio la
sopravvivenza e soprattutto un ruolo da protagonista. Stesso discorso per
l'[7] Udc, con la differenza che i post-democristiani si stanno gettando a
capofitto nella politica delle mani libere. La "Cosa bianca"
vagheggiata da [8] Bruno Tabacci dovrebbe radunare una consistente pattuglia
di moderati, dall'Udc appunto al nuovo [9] movimento di [10] Savino Pezzotta,
all'apparato Cisl, ai seguaci di [11] Antonio Di Pietro e [12] Clemente
Mastella. Ma soprattutto vorrebbe attrarre personalità come Luca di
Montezemolo e Mario Monti, due vecchi pallini di Tabacci. Il presidente della
Confindustria non smentisce, anzi ci scherza su ("Ho la labirintite,
cadrò al centro" ha detto ieri), e per la verità da tempo
fa capire di essere interessato alla politica. Ma come è sua abitudine
vuole garanzie che il progetto sia davvero vincente, e soprattutto vuol
sapere dove ha intenzione di andare la [13] Cosa bianca dopo le elezioni:
alleata con Veltroni in una riedizione del centrosinistra? Con Berlusconi?
Due cose Montezemolo non accetterebbe mai: finire all'opposizione o in un
ruolo marginale (c'è il lontano precedente dell'elezione al Senato di
Umberto Agnelli nella Dc di Giulio Andreotti, con il fratello dell'Avvocato
che alla fine si dimise per la delusione); oppure trovarsi in una alleanza
con l'estrema sinistra o l'estrema destra. Insomma, l'operazione è
suggestiva ma difficile. Gli stessi problemi agitano la sinistra. Un accordo
sul proporzionale andrebbe benissimo a Fausto Bertinotti: [14] Rifondazione
diverrebbe il punto di riferimento della "[15] Cosa Rossa". Ma i
partitini come Pdci e [16] Verdi non hanno alcuna intenzione di venire
fagocitati da Rifondazione. Stesso discorso per la Sinistra democratica di
Fabio Mussi e Cesare Salvi: hanno rotto con i Ds e poi con il Pd accusandoli
di manie egemoniche, e ora dovrebbero mettersi al servizio di Bertinotti? Non
se ne parla. Molti problemi li hanno i socialisti, i radicali, le altre forze
intermedie dell'Unione. Tranne i radicali, che sono abituati a muoversi da
soli, i socialisti si trovano per esempio privi di un tetto. Dovrebbero
confluire anche loro nel Pd, dove si erano rifiutati di andare. Oppure
dovrebbero chiedere aiuto a Prodi, contro le loro convinzioni. Ecco perché
l'operazione Berlusconi-Veltroni non sarà una passeggiata. Anche se i
due hanno appunto un'arma di riserva, il [17] referendum. Veltroni: non si parla di grande coalizioneLa riforma elettorale (sezione: Riforma elettorale)(
da "Sicilia, La" del 23-11-2007) Il
sindaco di Roma: "Non c'è data di scadenza per Prodi".
Sistema tedesco corretto, sinistra contro ANDREA GAGLIARDUCCI Roma. Il 2008
non sarà l'anno delle elezioni. Sarà invece l'anno delle
riforme: costituzionale, elettorale e
parlamentare. Mentre l'impegno del governo deve essere quello di tagliare le
tasse a tutti i cittadini. Ora che il suo appello al
dialogo è stato accolto praticamente da tutte le forze politiche in
campo, Walter Veltroni guarda con fiducia alla stagione delle riforme. E,
aggiunge, "per il governo non c'è nessuna data di scadenza".
Così, dopo il rilancio di Berlusconi, che dice sì alla grande
coalizione degli eventuali due partiti più forti che escono da
un'elezione con sistema proporzionale e invoca le urne, il segretario del Pd
mette in chiaro alcuni punti. Primo: "Non tratterò con Berlusconi
nessuna legge elettorale
che preveda una data di scadenza del governo Prodi. Non lo farò mai.
Il governo deve poter lavorare sino al 2011". Secondo: "Non
c'è nessuna grande coalizione, non si sta discutendo di questo".
Anche perché, aggiungerà poi, "il mio obiettivo non è
mettere pace nella Cdl". E consiglia poi al governo di cambiare linea
sul tema delle tasse, perché il rischio di sconfitta elettorale
sulle tasse, infatti, "succede perché non affermiamo il principio giusto
- dice - pagare di meno e pagare tutti. Ci sono troppe tasse. Non è di
destra dirlo. Lo stesso vale al governo". Veltroni punta sul
completamento delle riforme, da fare in dialogo con l'opposizione. "Se
non precipitiamo - dice il leader del Pd - nelle elezioni anticipate nella
prima metà del 2008, siamo nella felice condizione di varare insieme
le tre riforme che ci siamo già detti. Se Berlusconi non ci vuole
stare, deve spiegarlo al Parlamento e al Paese". Né Veltroni punterebbe
al referendum. "A me - dice - conviene lo
scenario delle tre riforme. Serve per avere un vincitore certo e dopo per
governare. Oggi il sistema scricchiola in modo spaventoso. Cercare soluzioni
semplificate aumenta la crisi e avvicina il collasso". Per quanto
riguarda il sistema di voto, Veltroni spiega che "il sistema tedesco va
bene, ma nella sua ispirazione di fondo. Bisogna introdurre dei correttivi,
che rafforzino in Parlamento i partiti più rappresentativi. In
Germania quel sistema funziona perché i due partiti maggiori hanno già
il 35 per cento di voti ciascuno". La proposta di Veltroni non piace
alla sinistra, che teme di perdere rappresentatività a favore del Pd.
"Dopo le leggi ad personam, ora le leggi ad partitum: è positiva
l'apertura di Veltroni sul sistema tedesco, ma appare invece singolare e non
condivisibile la sua idea di 'correttivi' a questo sistema per rafforzare i
partiti maggiori", commenta Cesare Salvi (Sd). Berlusconi invece parla
di bipartitismo. "Ha del fantastico il Berlusconi-pensiero - commenta
Russo Spena - sul futuro assetto della politica in Italia: due partiti
omogenei e in competizione tra loro, come due aziende che smerciano lo stesso
prodotto, e alla fine vinca il migliore". L'importante è comunque
riuscire a fare una riforma il più possibile condivisa. "Osservo
- dichiara il presidente del Senato Marini - che c'è una disponibilità
da parte dei partiti di avviare le riforme. Attenzione, non bisogna dire
grazie a nessuno. Le riforme sono necessarie". "Walter deve capire che il Pd non è roba
sua" (sezione: Riforma
elettorale)
(
da "Stampa, La" del 24-11-2007) REGOLE Intervista
Beppe Fioroni VECCHIA GUARDIA An in piazza a Milano "Walter deve capire
che il Pd non è roba sua" "Un partito deve definire come
assicurare la partecipazione" AMEDEO LA MATTINA "Attenzione, Wilde
diceva: "Nulla è più pericoloso che essere troppo
moderni"" "No alla sinistra" Ma Fini non ci sarà
ROMA "La partecipazione non è un'operazione di facciata che si
esaurisce ogni quattro anni ai gazebo. Chi si oppone alla democrazia di un
partito è come se si sentisse orfano dei colpi di Stato". Non
cita mai Veltroni, non lo accusa direttamente di cesarismo emulativo di
Berlusconi, di voler gestire in maniera solitaria il Pd. Giuseppe Fioroni se
la prende con coloro che sono "più realisti del re", che l'hanno
accusato di non essere moderno, di volere il congresso per far pesare le
tessere delle correnti e legare le mani al leader. Ma il suo messaggio
è diretto a Veltroni che vuole governare il Pd senza le liturgie del
passato. La scintilla che ha fatto esplodere la prima vera polemica dentro il
Pd è l'ordine del giorno sulle regole interne presentato alla
commissione statuto da esponenti che fanno capo a Fassino, Bersani, D'Alema,
Marini e Letta. "Moderni sì, ma attenzione al monito di Oscar
Wilde: "Nulla è pericoloso quanto essere troppo moderno. Si
rischia di diventare improvvisamente fuori moda". E aggiungo io: pure
senza accorsene". E' finita la luna di miele con Veltroni? Teme il nuovo
modo di esercitare la leadership del Pd? "Non c'è nulla di
più nuovo e di più moderno della democrazia, quella partecipata
che è cosa ben diversa da quella proclamata di Berlusconi. Un partito
nuovo deve garantire regole con le quali definire la partecipazione dei
cittadini. Deve essere chiaro dove, come, quando e cosa è chiamato a
decidere il cittadino. Questo deve essere scritto nello Statuto. Il Pd non
è di Veltroni: è nostro, di tutti noi. Il tourbillon che
è successo sull'ordine del giorno è una tempesta in un
bicchiere d'acqua, perché le cose proposte non
possiamo che condividerle tutti". Ce l'ha pure con il vicesegretario
Franceschini? "Franceschini condivide completamente le regole di
democrazia partecipata, ma sono convinto che anche Veltroni le condivida.
Ricordo che la democrazia proclamata l'abbiamo sempre contestata al
centrodestra da anni: è quella che autorizza il cittadino a fare lo
struzzo e delegare all'Uomo della Provvidenza la soluzione dei
problemi". Per Veltroni non è il momento di parlare di congresso.
Lei lo vuole nel 2008? "La convocazione e la data del congresso è
un'altra questione che viene dopo. Prima, ripeto, bisogna stabilire chi,
cosa, come e quando un cittadino viene chiamato a decidere. Se poi non ci
piace dire che il cittadino viene chiamato dal congresso, possiamo inventarci
un'altra terminologia, chiamiamolo mago Zurlì: allora io voglio sapere
che alla festa di mago Zurlì si convocano i cittadini. Quali? Quelli
con gli occhi azzurri, con i capelli biondi, quelli che hanno il bollino blu
o grigio? Le domande sono sempre le stesse". Dica la verità: gli
ex capi della Margherita e dei Ds si sentono messi fuori gioco da Veltroni?
"Mettiamola così: io amo la democrazia, la possibilità di
contribuire a decidere la linea politica del mio partito. Credo nella
democrazia e nella collegialità senza nulla togliere all'autorevolezza
del leader. Se una cosa ovvia e banale nella vita di un partito, cioè
le regole della democrazia partecipata, viene considerata una spallata o un
attentato, vuol dire che siamo messi male". Avete voluto le primarie e
ora Veltroni risponde solo a quei milioni di cittadini che l'hanno votato.
"Le primarie sono uno strumento importante, fondamentale per il partito
nuovo. Proprio per questo non vanno banalizzate e allora vanno regolamentate
proprio per impedire che da portentoso mezzo dei cittadini possano diventare
il cavallo di Troia con cui le lobby subordinano la politica ai propri
interessi. Un partito nuovo deve essere aperto 365 giorni all'anno, avere
spazi virtuali e reali nel quale il cittadino parla, incontra si confronta,
mette a disposizione impegno e risorse. Può un partito nuovo avere
paura della partecipazione, della militanza, della gratuità dei
volontari? Il Pd è il partito di un leader
autorevole perché scelto da milioni di cittadini ma il leader deve creare
consenso e collegialità". Che idea si è fatto sulla
riforma elettorale? Come si sta muovendo Veltroni? "La legge elettorale è una delle vere emergenze del Paese. Serve a
restituire ai cittadini il diritto di decidere chi deve essere eletto. Gli
eletti non può sceglierli il capo partito. Per questo il referendum non solo non aiuta ma peggiora perché il
cittadino non sceglie nè chi vuole eleggere
nè il partito". Qual è il suo modello elettorale?
"Basta modelli perché parafrasando un vecchio adagio sanitario va a finire
che un modello al giorno toglie le riforme di torno e si finisce al referendum".. Alleanza Nazionale oggi scende in
piazza San Babila a Milano (ma Fini non ci sarà). "Bipolarismo,
mai con la sinistra, niente inciuci o ritorno al passato" sono i 4 punti
con cui Ignazio La Russa (foto) ha sintetizzato il succo della
manifestazione. "Ad esempio sulla legge elettorale - ha detto - An è pronta a discutere
anche del proporzionale con sbarramento, ma con la possibilità per chi
vota di scegliere candidato premier, coalizione e programma". Diplomatique conversazione con l'ambasciatore tedesco in italia michael steiner (sezione: Riforma elettorale)(
da "Riformista, Il" del 24-11-2007) Argomenti: Esempi esteri Diplomatique
conversazione con l'ambasciatore tedesco in italia michael steiner Da Roma a
Berlino, il pacifismo ci fa bene "Ho visto che qui si parla molto di sistema tedesco. Ma a noi non interessa: sistema tedesco, francese o spagnolo, sono questioni
interne. Per noi l'importante è che l'Italia abbia un sistema elettorale solido, che permetta una maggiore
governabilità". A Berlino se ne sente il bisogno, l'Italia
è tradizionalmente uno degli alleati più stretti che la Germania ha in Europa. Lo spiega Michael Steiner,
ambasciatore tedesco a Roma, in una conversazione con il Riformista : la
convergenza tra Roma e Berlino è "quasi totale" su tutti i
dossier internazionali e diventa cruciale in un momento in cui si devono
affrontare alcune questioni particolarmente spinose, per esempio Iran e
Afghanistan. Da qualche tempo a questa parte l'Alleanza atlantica si trova in
difficoltà a Kabul, inglesi e americani chiedono un maggiore impegno
da parte degli altri paesi (Italia, Spagna e, appunto, Germania)
e a ridosso della visita di Angela Merkel in Texas circolava la voce che
Berlino volesse andare incontro agli Usa. "Non credo che ci sia qualcuno
che davvero voglia ampliare l'impegno militare in modo sensibile",
spiega invece l'ambasciatore. È una questione culturale, che accomuna
Roma e Berlino, dice Steiner: "Dopo la Seconda guerra mondiale i paesi
europei hanno avuto storie diverse. Dopo la guerra, in Germania
e in Italia si è sviluppata una cultura che rende molto difficile
convincere l'opinione pubblica della necessità di un intervento
militare. Recentemente c'è stato un voto molto difficile al Bundestag:
non è stato facile convincere i parlamentari della necessità di
continuare il nostro impegno militare in Afghanistan". Ne sappiamo
qualcosa anche noi in Italia. "Italiani e tedeschi", commenta
Steiner, "hanno una mentalità comune, assai cauta sull'utilizzo
della forza. Personalmente, credo che questo sia un fatto molto positivo per
entrambi". Eppure, obiettiamo noi, si dice che la Nato sta rischiando il
collasso sull'Afghanistan, proprio perché alcuni paesi
come Stati Uniti e Gran Bretagna vorrebbero un impegno maggiore sul campo dagli alleati
più cauti. "Ma l'Afghanistan non è un problema della Nato,
è un problema della comunità internazionale", ribatte l'ambasciatore.
"E come tale va affrontato. Servono progressi politici, e un maggiore
impegno in questo senso, da solo le operazioni militari non servono a molto,
l'obiettivo è il rafforzamento delle strutture e degli apparati di
sicurezza afgani, creare i prerequisiti economici per una società in
grado di funzionare". Poi, bisogna essere realisti: "Davanti a una
missione così difficile, bisogna avere un po' di umiltà e
prefiggersi degli obiettivi modesti" Parlando di atomica iraniana:
"Italiani e tedeschi sono entrambi molto preoccupati dal dossier
iraniano. E' evidente che a questo punto bisogna fare qualcosa, anche se
può essere sgradevole". Quindi sanzioni più dure? Qui
l'ambasciatore è prudente, ma lascia intendere che la sicurezza
internazionale ha un prezzo, anche e soprattutto in termini economici, e che
Roma e Berlino sono pronte a pagarlo: "Per fermare le ambizioni atomiche
di Teheran servono al più presto misure quanto più efficaci
possibili, anche se sarebbe più comodo fare altrimenti dobbiamo affrontare
la questione in modo diretto. Il modo migliore per farlo è lavorare
insieme, in sedi comuni come le Nazioni Unite e il Consiglio di
sicurezza". C'è qualcosa da aspettarsi, domandiamo, dal vertice
della prossima settimana? Dopo un lungo tira e molla, l'Alto rappresentante
per la politica Estera Javier Solana incontra finalmente il mediatore
iraniano Said Salili il 30 novembre. La Kanzlerin Angela Merkel ha discusso
del dossier Iran con il presidente Bush, la Germania
vuole proporre di aggiungere sanzioni europee a quelle dell'Onu? "Come
le dicevo, è importante lavorare tutti insieme al Palazzo di
Vetro", risponde Steiner, "Però l'Italia e la Germania sono molto unite nel volere rafforzare la
politica estera comune della Ue. Noi vediamo molto di buon occhio l'idea di
avere un ministro degli Esteri europeo". 24/11/2007. Berlusconi la sirena e gli ingenui del Pd
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Manifesto, Il" del 24-11-2007) Intervista
Rodotà: il cavaliere come al solito coglie l'attimo e cerca aiuto
Veltroni stia attento e ricordi la bicamerale, alla fine può farlo
vincere Berlusconi la sirena e gli ingenui del Pd Il bipolarismo ha fallito,
è tempo di rinsavire. Bene il sistema tedesco, il pericolo è il
referendum Gabriele Polo L'ultimo Silvio Berlusconi?
"Sa cogliere l'attimo, come sempre, e come sempre fa quando si trova in
difficoltà, intuisce da dove può venirgli la salvezza. L'aiuto
non lo cerca dalle sue parti ma, con apparente paradosso, nel campo
avversario. Le risorse alle quali può attingere sono quelle della
mitizzata società civile, ora ribattezzata senza esitazioni 'popolo'.
Nella sostanza, invece, sono le risorse che possono essere fornite dallo
stesso sistema politico". Stefano Rodotà sintetizza così
lo spirito berlusconiano che sta alla base dell'ultima sortita del cavaliere,
che non sottovaluta affatto. E non sa se è più giusto essere
preoccupati o indignati. Professore, si sta riproponendo il copione della
bicamerale? Non negli stessi termini, ma la memoria di quel tempo può
aiutare a comprendere meglio, e a valutare in modo meno approssimativo, la
mossa 'rivoluzionaria' di questi giorni. Undici anni fa, Berlusconi usciva
sconfitto dalle elezioni, la sua leadership era pubblicamente messa in
discussione, Gianfranco Fini si presentava come una possibile alternativa. Ma
la costituzione di una Commissione bicamerale per le riforme istituzionali
gli offrì un approdo sicuro, nel quale fulmineamente si
rifugiò, negoziandone le condizioni di funzionamento, anzi imponendo
egli stesso l'agenda dei lavori. Già questo gli ridiede una posizione
di primo piano, la rappresentanza dell'opposizione. Stette al gioco fino a
quando lo ritenne conveniente, poi fece saltare il tavolo, avendo in qualche
modo logorato l'avversario, e riorganizzato le proprie truppe in modo tale da
consentir loro di vincere la successiva prova elettorale.
Ma il partito del popolo delle libertà non è una risposta in
qualche modo obbligata dall'operazione partito democratico, che stava
imponendosi mediaticamente? Oggi Berlusconi utilizza la risorsa dei gazebo e
del partito nuovo, alla quale il centrosinistra ha affidato le sue speranze
di futuro. Ma non si limita a riprodurre specularmene quel che ha fatto il
partito democratico. Una volta libere le mani dagli impacci procurati dai
suoi alleati, e liquidata così ogni concorrenza per la guida del
centrodestra, la prima mossa politica di Berlusconi è proprio verso
l'altra parte, alla quale propone un patto limitato, ma assai impegnativo,
che riguarda la legge elettorale
e le successive elezioni anticipate. Ha indicato un cammino e si è
scelto i compagni di strada. Quindi la situazione è persino più
pericolosa rispetto al '96? Certo sarebbe sbagliato trascurare i diversi,
possibili esiti di questo processo, visto che alla chiamata di Berlusconi il
partito democratico sembra pronto a rispondere. Questo perché c'è
convergenza di interessi tra Veltroni e Berlusconi? Anche altre congetture
potrebbero essere suggerite dallo sguardo lungo o dal malpensare. Come per
esempio quella di un disegno berlusconiano di trascinare il partito
democratico e il suo segretario in una trattativa logorante, per rimanere poi
l'unico beneficiario di un suo eventuale, o pianificato, insuccesso. Ma la
questione vera sta nel capire quali siano gli strumenti adatti per analizzare
questa situazione nuova, per comprenderla meglio, e non solo per evitare al
partito democratico di divenire vittima, questa volta consapevole, di un
processo politico che non riuscirebbe a governare. In effetti non è
semplicissimo per chi ha predicato la religione del bipolarismo argomentare
ora la svolta proporzionale. Proprio muovendo da un'analisi della situazione,
bisogna riconoscere che Berlusconi ha colto, e reso clamoroso, un dato di
realtà sistematicamente ignorato e occultato in questi anni. Il Re
bipolarismo è ormai nudo. E questo deriva dall'atteggiamento acritico
dei suoi sostenitori che, così facendo, non si sono accorti di minarne
la credibilità. Mai, finora, era stato fatto quello che intelligenza
politica e onestà intellettuale avrebbero richiesto, vale a dire una
analisi dei costi e dei benefici del bipolarismo all'italiana. Divenuto un
bene in sé, da salvaguardare ad ogni costo, il totem del bipolarismo ha
accecato i suoi stessi paladini, che non hanno voluto vedere che i suoi
frutti erano pure la crescita esponenziale della frammentazione partitica,
l'esasperarsi della conflittualità, la paralisi parlamentare,
l'anomalia di coalizioni obbligate con l'aumento del potere di ricatto di
ogni pur minimo gruppo (per non dire di persone). Dunque ben venga la fine
del premio di maggioranza e la riscoperta del proporzionale? E' tempo di
rinsavire. Bisogna abbandonare ogni impostazione strumentale o ideologica, e
cogliere l'occasione di possibili riforme per avviare una buona manutenzione
del sistema istituzionale. Se si avrà questa consapevolezza,
aumenteranno forse le probabilità di disinnescare le trappole che non
mancheranno lungo la via delle riforme. Ma vi è una insidia nella dichiarazione
d'amore berlusconiana per il bipartitismo. Proprio perché la trattativa, o il
dialogo, sulla legge elettorale
sono stati subordinati alla condizione dell'immediato scioglimento delle
camere una volta approvata la riforma, sembra improbabile che il partito
democratico possa accettarla. E allora, se la riforma elettorale
sarà legata unicamente al rapporto privilegiato
tra partito democratico e Berlusconi-bis, diverrà inevitabile il referendum, dal quale verrebbe un sistema elettorale che,
già pessimo in sé, lo sarebbe ancora di più alla luce della
nuova situazione che si sta creando. Dunque può succedere che da sotto
il tavolo delle riforme alla fine spunti la soluzione peggiore, cioè
il referendum? Vedo questo rischio, il sistema risultante dalla
vittoria del referendum farebbe diventare il partito
di maggioranza relativa il partito pigliatutto, maggioritario in parlamento
quale che sia la sua percentuale di voti. Tornerà così il
bisogno di coalizioni, che per il centrosinistra diverranno ancor più
necessarie poiché non si tratterà soltanto di evitare la vittoria di
un partito che, in tutta l'esperienza di governo berlusconiana, ha dato in
ogni materia pessima prova. Bisognerà soprattutto bloccare la spinta
populista che Berlusconi, annunciando il nuovo partito, ha esplicitamente
mostrato di voler rafforzare, con rischi evidenti per il sistema democratico.
A questo punto, se la coalizione di centrosinistra sarà
necessariamente estesa verso una composizione simile a quella dell'attuale Unione,
è facile immaginare quali argomenti polemici userà Berlusconi.
Al momento sembra difficile che Veltroni possa accettare un esito del genere.
Una buona ragione in più per proseguire la strada della riforma elettorale nella direzione di una buona trasposizione del
modello tedesco, che io sostengo da tempi non sospetti, e senza legarsi con
troppi nodi a Berlusconi. Ma non credo che questo obiettivo possa essere
perseguito dal partito democratico in splendida solitudine, immagino
piuttosto che esiga una condivisione di linea con quelli che sono oggi i suoi
alleati di governo. RIFORME, IL DIRE E IL FARE
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Stampa, La" del 25-11-2007) Enzo Bettiza
RIFORME, IL DIRE E IL FARE Che il presidente Nicolas Sarkozy avrebbe vinto la
sua battaglia d'autunno lo si sapeva fin dall'inizio. Quello che meno si
prevedeva era il metodo adoperato per convincere i sindacalisti alla
trattativa; ancor meno si calcolava l'ampiezza del consenso che ne ha
sostenuto sia il metodo di negoziato sia la fermezza del polso. Il metodo
è stato morbido nella forma e determinato nella sostanza. Lo scontro
ora si prolunga con una minoranza studentesca, che ha alle spalle la leggenda del Maggio e ha dovuto subire, nell'indifferenza
dei più, la serrata della Sorbona per decisione del rettore. Ma il
braccio di ferro più difficile è stato quello col sindacato dei
trasporti che si è, comunque, risolto senza una resa umiliante dei
conduttori di métro. Sarkozy si è tenuto in disparte, lasciando al
ministro del Lavoro, Xavier Bertrand, il compito di trattare con l'ex
ferroviere Bernard Thibault, segretario della potente Cgt d'ispirazione
comunista. Thibault, rendendosi conto dei limiti, molto ridotti, del consenso
a favore degli scioperanti, ha accettato di negoziare uno degli elementi base
del riformismo sarkoziano: l'abrogazione dei "regimi speciali", che
concedono il pensionamento pieno all'età di 55 e perfino 50 anni.
Veniamo qui, dopo il metodo, alla seconda eccezionale novità. Ovvero:
la calma della maggioranza non scioperante della nazione, la quiete della
banlieue di colore, un certo vuoto inconsueto delle piazze aduse alle
esplosioni barricadiere, la neutralità dei socialisti ostili alla
paralisi, il silenzio quasi assordante degli intellettuali usualmente
giacobinizzanti e malcontenti. Si pensi al mito, direi alla mistica, di cui
la barricata e la grancassa degli "intellos" godono in Francia dal
1789, che poi rivive nel 1848, riemerge nel 1936 col Fronte Popolare,
riesplode nel 1968 per le strade di Parigi con Sartre malato che incita dal
megafono gli adolescenti ribelli. Si pensi al timor sacro che l'insurrezione
di popolo infondeva non solo nel tardo gollista Chirac, ma nello stesso De
Gaulle, che dopo il caos sessantottino venne elettoralmente sconfitto e se ne
andò. Il tiepido autunno 2007 non ha invece scalfito Sarkozy. Si
è potuta anzi notare, palpare fisicamente, una
certa implicita approvazione collettiva delle riforme proposte, per arginare la senilità assistita della Francia, dal
"liberale colbertista" che regna dall'Eliseo: uno che crede
nell'intervento moderatore dello Stato, che diffida del liberismo integrale,
che però propone una sequela di terapie scomode. Riforma delle pensioni, riduzione dei privilegi
corporativi, autonomia finanziaria delle università, servizio minimo
garantito nel pubblico impiego, contratto unico di lavoro a cominciare
dall'anno prossimo. Vale la pena commisurare l'evento, e colui che ha saputo
cavalcarlo, sui giudizi della stampa di lingua inglese. Scrive maliziosamente
il Wall Street Journal: "Vedremo, dai prossimi passi, se Sarkozy
è più somigliante a Ronald Reagan o più simile a Jacques
Chirac". Non da meno è l'Economist: "Sarkozy's Thatcher
moment". Si evocano due conservatori storici, l'inquilino della Casa
Bianca che negli Anni Ottanta interruppe lo sciopero degli aerotrasporti, la
"dama di ferro" che nel 1984 osò affrontare e domare la
quasi rivolta dell'intoccabile sindacato dei minatori. L'insegnamento che
Sarkozy sembra aver tratto, da quelle esperienze così radicali di due
grandi Paesi democratici, è che solo dopo lo scontro, consumato fino
in fondo, Reagan e la Thatcher furono in grado di portare a casa riforme
altrettanto radicali. L'Economist insinua al tempo stesso che Sarkozy, pur
deciso a perseguire con coerenza il suo disegno, resta tuttavia un
riformatore francese, un europeo pragmatico, più disponibile alla
flessibilità di un rigido protestante anglosassone. Le sue carte
vincenti sarebbero, insomma, la fermezza temperata dal dialogo coi sindacati
e dalla mano tesa agli intellettuali e ai tecnici di sinistra. Si potrebbe
dire che la riforma, non più la rivoluzione, è lo spettro che
oggi s'aggira per l'Europa. Ed è una Francia meno giacobina, comunque
più blairiana che thatcheriana, che stavolta si pone all'avanguardia
del riformismo continentale. L'esecutivo francese, in queste giornate d'urto,
ha ottenuto l'armistizio senza abbandonare la trincea; non ci sono state
smagliature nella strategia; la compagine governativa, socialisti compresi,
è rimasta unita sulle posizioni di partenza. Lo spettacolo che al
confronto offre l'Italia è ben più deludente. Basterà
osservare quel che sta succedendo all'iter parlamentare del fantomatico protocollo
sul Welfare, votato da cinque milioni di lavoratori nel referendum
sindacale, chiave di volta del supposto o sedicente riformismo all'italiana.
Un autentico tripudio della commedia dell'arte, della sceneggiata allusiva,
della mossa dell'emendamento che promette ma non mantiene. Il testo del
protocollo, fino a ieri, c'era e non c'era. Prodi ha sospirato che
bisognerà trovare una "sintesi" per renderlo più
"commestibile" al voto, magari con la fiducia, atteso per martedì.
Confindustria parla di "tradimento della concertazione", dopo le
modifiche apportate al testo dalla commissione lavoro, mentre Dini minaccia
voto contrario e Diliberto, mai contento, protesta, ricordando a Prodi che i
massimalisti dispongono di cento parlamentari pronti a tutto. Non vado oltre
per carità di chi legge. Frattanto le
coalizioni cambiano nome. Da una parte mutano e non si coagulano, dall'altra
vanno in frantumi dividendosi tra berlusconiani antemarcia e
antiberlusconiani dell'ultima ora. Dal bipolarismo falso torniamo così
a un bipartitismo peggiore di quello imperfetto, sostenuto da una
proporzionale che taluni vorrebbero "tedesca", altri
"spagnola", altri ancora "pura" senza aggettivi. Guai ad
accennare al presidenzialismo, trionfante a Parigi, dove esso ha premiato non
solo conservatori atipici ma anche leader socialisti come Mitterrand. La
verità è che senza una fondamentale riforma elettorale,
appoggiata da un ritocco costituzionale, l'Italia, anziché riformata,
andrà alle elezioni più deformata che mai. Qui, prima del
contratto sociale fra italiani, bisognerebbe riformare anzitutto le
malformazioni istituzionali lasciateci in misura sopportabile dalla prima
repubblica e inflitte ormai in quantità insopportabile dalla seconda.
Il rischio che corre l'elettore italiano è di recarsi alle urne
secondo regole non "tedesche", non "spagnole", tanto meno
"francesi". Ma balcaniche senza virgolette. La maggioranza deve essere ampia, ma cercare l'unanimità è sbagliato (sezione: Riforma elettorale)(
da "Stampa, La" del 25-11-2007) Argomenti: Esempi esteri LE RIFORME IL
SISTEMA RADIO-TV Intervista I rischi al Senato "La maggioranza deve
essere ampia, ma cercare l'unanimità è sbagliato"
"L'azione del governo non c'entra nulla col dibattito sulle regole"
"E nel Pd primarie anche per i segretari locali" ANTONELLA RAMPINO
ROMA Ma quale partito personale di Veltroni... Fioroni sa benissimo che nella
fase costituente di una nuova forza politica ci vuole collegialità, ma
anche un leader forte". Ogni giorno ha la sua pena, e per Dario
Franceschini, vicesegretario del Partito democratico, essa viene dalla
lettura dei giornali. E dal dichiarazionometro della politica, che ieri aveva
l'Afghanistan al centro. "Non è solo un fatto di buon gusto, ma
davvero credo che non sia il momento di ripensare l'efficacia della missione,
come vorrebbe la sinistra. L'Afghanistan non è come l'Iraq, dal quale
ci siamo ritirati poiché era stata una scelta unilaterale: a Kabul ci siamo
in un quadro multilaterale, e sotto l'egida dell'Onu". Si è
riaperto il fronte a sinistra anche sul Welfare... "Registro l'eccesso
di differenziazione. Ma alla fine il voto comune in Parlamento c'è
sempre stato, sulla politica estera come su quella economica. E credo
sarà così anche in futuro". Governo saldo? "La
fragilità numerica in Senato mette sempre a rischio, ma il problema
non è la tenuta sulle grandi scelte, è che vi si arriva
attraverso uno spettacolo non edificante di ultimatum e minacce. Il male del
centrosinistra si chiama frammentazione, non sinistra radicale". Infatti
puntate a un nuovo sistema elettorale con
sbarramento consistente. "I partiti piccoli si vedono a rischio, ma
sanno che così non si può andare avanti. Dobbiamo puntare a un
paese con quattro, cinque partiti che in uno schema bipolare si confrontano
per il governo". D'Alema dice di veder bene una forza intermedia,
cattolica e moderata, tra Forza Italia e il Pd. E' un tentativo di seduzione
verso Casini e la nascente Cosa Bianca di Tabacci e Castagnetti, visto che Berlusconi potrebbe non voler trattarare sulla legge elettorale, poiché avete deciso di andare avanti sulla riforma del sistema radiotelevisivo? "Le parole di D'Alema mi hanno lasciato
perplesso. Il Pd è il superamento della distinzione tra un partito
socialdemocratico e un partito alleato di ispirazione cattolica, proprio
perché ha assorbito queste due tradizioni. E' sbagliato pensare di
riproporre questo schema. E poi la tradizione cattolicodemocratica in Italia
c'è, e sta, anche molto robusta, nel Pd. Se poi volesse intendere che
Casini è indispensabile per la legge elettorale,
certo che lo è. Ma come lo sono An e Forza Italia. Vede, quando si
tratta di regole che riguardano tutti, l'intesa deve assere ampia. Viceversa,
cercare l'unanimità significherebbe riconoscere a chiunque potere di
veto". Quindi avanti da gennaio con la Gentiloni, e pazienza per il
dialogo con Berlusconi, se ci stanno Casini e Fini? "Noi lavoriamo per
un'intesa larghissima, anche col partito più grande dell'opposizione.
Ma in un paese normale cercare consenso sulle regole istituzionali non
c'entra nulla con l'azione riformatrice del governo". Infatti
Confalonieri consiglia al Cavaliere di recuperare Fini, proprio in vista del
voto sulla Gentiloni... "Senta, non credo che Berlusconi possa
condizionare il dialogo sulle istituzioni con il voto sul sistema
televisivo, perché questo sarebbe come gridare all'Italia che esiste il
conflitto d'interessi. Il dialogo è col presidente di Forza Italia o
del Partito del Popolo, non col proprietario di Mediaset. E non penso che
Berlusconi possa sottrarsi. Perché conviene anche a lui il rafforzamento dei
poteri del premier, il cambiamento dei regolamenti parlamentari, la nuova
legge per le politiche...Dovrebbe interessare anche a lui un sistema istituzionale che sia competitivo con quelli degli
altri paesi". E per fare tutto questo basterà un anno, il 2008?
"Subito dopo la Finanziaria si potrà avviare il percorso delle
riforme istituzionali, che certo è piuttosto lungo. Ma a gennaio ci
sarà il pronunciamento della Corte Costituzionale sul referendum, che
potrebbe tenersi in primavera. Dunque dovremo essere pronti, per prevenire il
referendum e fare la legge elettorale avremo un
mese, un mese e mezzo al massimo". E nel frattempo dovrete costruire il
P d. I leader chiedono a gran voce un congresso, e regole democratiche.
"Manca un luogo di decisione collegiale", secondo Rosi Bindi.
"Non c'è alternativa tra interessi del governo e del Pd. La fase
costituente si è aperta, non chiusa, con la riunione dell'Assemblea il
27 ottobre. Ci sono cento persone che stanno discutendo lo statuto, e in
febbraio quel testo verrà votato punto per punto da 2.800 persone
elette dal popolo: non esiste un meccanismo più democratico e meno solitario
di questo, mi pare. In quell'occasione si deciderà se ci sarà
un tradizionale congresso, o se attiveremo nuovamente le primarie".
Primarie anche per scegliere i gruppi dirigenti? "Vedremo, c'è la
commissione statuto al lavoro. Ma tra dicembre e gennaio richiameremo al voto
tutti i cittadini delle primarie per eleggere gli organi territoriali, a
cominciare dai comuni. Il Partito democratico è di tutti. Ma ci hanno
chiesto di fondarlo proprio per reagire ai vecchi mali, no? Un partito nato con
le primarie non può tornare, facendo finta di niente, ai meccanismi
tradizionali dei partiti del Novecento". <Le riforme si fanno in Parlamento>
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Corriere della Sera" del 25-11-2007)
Corriere della Sera
- NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2007-11-25 num: - pag: 8
categoria: REDAZIONALE Da Praga Bertinotti fissa i paletti del dialogo sulle
nuove regole "Le riforme si fanno in Parlamento" DAL NOSTRO INVIATO
PRAGA - No, l'accordo, o l'inciucio, tra Veltroni e Berlusconi sulla legge elettorale non si
farà. E neanche si arriverà al referendum.
Dunque, sarà varato un nuovo sistema di voto in Parlamento, col
concorso di tutte le forze politiche. Le principali caratteristiche dovranno
essere due: nessun premio di maggioranza, sbarramento esplicito per chi
raccolga meno del 5 per cento. Fausto Bertinotti approda alla periferia di
Praga, al secondo congresso della Sinistra europea e, in privato, delinea
idee chiare sui prossimi passaggi della politica italiana. Per cominciare:
"L'asse Veltroni-Berlusconi non si può fare perché c'è
qualcosa di cui loro non possono disporre, un soggetto terzo, il governo
Prodi... L'unica strada per la riforma è quella parlamentare". E
qui l'assunto pare più un avvertimento rivolto a Veltroni: al tavolo
della trattativa dobbiamo sedere tutti, grandi partiti e meno grandi. "Veltroni e Berlusconi potrebbero fare la riforma elettorale contro ciascuna delle altre forze politiche, ma non possono
farla contro tutte le altre forze politiche assieme ". Per evitare il referendum sulla legge elettorale l'accordo in Parlamento andrebbe trovato entro la metà
di gennaio e, secondo Bertinotti, sono Veltroni e Berlusconi i più
interessati a far saltare il referendum: "Il referendum premia il partito più forte. Quindi, a
sinistra dovrebbe essere riesumata l'Unione: un listone con Rifondazione e
Marco Rizzo e Ferrando, e "todos caballeros". Veltroni si
presenterebbe alla prima consultazione dopo la nascita del Partito
democratico senza il simbolo del Pd. Improponibile! A destra, stesso
discorso: Berlusconi dovrebbe rinunciare al suo "Partito della
gente" e fare una lista con Fini, Casini, Storace...". Ma Veltroni
non potrebbe presentare il Pd da solo, sperando di vincere, se anche
Berlusconi dovesse tentare lo stesso azzardo? "Nessuno dei leader del Pd
credo glielo permetterebbe e lo stesso Veltroni non vuole perdere...".
Dal palco, Bertinotti dà l'addio alla presidenza della Sinistra europea.
Spiega l'importanza di trovarsi a Praga, dove "quasi 40 anni fa la
sconfitta della Primavera annunciò il crollo dei regimi del-l'Est
". Dopo quel crollo, "c'è stata una rivoluzione
capitalistica restauratrice, la globalizzazione". Bertinotti fa
autocritica: "Non siamo stati capaci di produrre un vero movimento di
lotta europeo. Il rischio è che la sinistra venga cancellata
dall'Europa futura e la politica rischia di ridursi ad alternanza tra due
schieramenti ". Allora? "C'è bisogno di un soggetto politico
di sinistra che offra una prospettiva di società diversa, di Europa
diversa. Un soggetto anticapitalista". Lo stesso disegno unitario che
Bertinotti vorrebbe realizzato in Italia. Fausto Bertinotti Andrea Garibaldi. Aria da bicamerale sulle riforme
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Giornale di Brescia" del
25-11-2007) Edizione:
25/11/2007 testata: Giornale di Brescia sezione:INTERNO IL CONVEGNO DI SAINT
VINCENT Alla Fondazione Donat Cattin confronto tra Formigoni e Vietti sui
futuri scenari italiani Aria da bicamerale sulle riforme I
"piccoli" temono gli esiti dell'incontro Berlusconi-Veltroni del 30
novembre Occhi puntati sul prossimo incontro tra Berlusconi e Veltroni (foto
d'archivio) dal nostro inviato Tonino Zana SAINT VINCENT Si muovono i grandi
blocchi popolari della politica italiana, il Partito democratico di Walter
Veltroni e il Partito della libertà di Berlusconi. L'incontro del 30
novembre tra i due leaders è spiato con apprensione anche da Saint
Vincent, dove sono riuniti gli amici di Donat Cattin, al palazzo dei
Congressi, per il loro sesto convegno. La palla è in mano ai
responsabili della formazioni politiche più votate, se vorranno
giocarla. I partiti piccoli temono di essere schiacciati e i grossi partiti
temono di non riuscire a stabilire un rapporto continuato nel tempo, con il
pericolo di lasciarsi indietro degli alleati rumorosi, indispensabili fino a
ieri. Due paure per una riforma. Due paure che sono i guanciali su cui dorme,
agitatamente, il Governo Prodi. Tutti d'accordo, almeno a parole, sul sistema
proporzionale, anche chi ha firmato per il referendum sulla riforma elettorale. La quale cosa appare
almeno strana, per la ragione che il sistema proporzionale è antitesi
di un referendum che premia il partito che ottiene più voti fino a
regalargli la maggioranza assoluta: con circa il 30% si prende il 51%,
firmato Veltroni o firmato Berlusconi. Roberto Formigoni arriva a
Saint Vincent da ambasciatore-paciere, "sono qui per unire", spiega
al portavoce dell'Udc Michele Vietti e contemporaneamente al Sottosegretario
agli Esteri, Bobo Craxi dello Sdi, i quali si fidano delle parole di
Formigoni come della coerenza con cui, un poco tutte le formazioni politiche,
eccetto proprio gli amici di Donat Cattin, i compagni di Bertinotti e gli
amici di Casini, in questi anni hanno giurato sul sistema bipolare e
maggioritario. La questione centrale del convegno riguarda
"L'antipolitica e la politica dei valori" e ieri mattina, centinaia
di giovani delle scuole italiane e numerose pantere grigie della prima della
seconda e ormai della terza repubblica sono salite a Saint Vincent per capire
cosa bolle in pentola. Formigoni cerca di tranquillizzare l'alleato Udc e la
riflessione dedicata a Vietti la faxa in fotocopia a un Fini molto lontano:
"Berlusconi non ha fatto altro che dichiarare quanto tutti pensavano,
che "il re ormai era nudo" e cioè il bipolarismo era morto,
il ricatto dei piccoli partiti era insostenibile, a destra come a sinistra,
che il proporzionale alla tedesca con sbarramento, potrebbe essere il 5%, va
bene. Soprattutto Berlusconi non ha inteso mandare alla malora gli alleati.
Ci sono stati degli eccessi, ma sarebbe un grave errore correre dietro agli
eccessi dei leaders. Anzi, Berlusconi ha proposto il partito unitario che
voleva Fini con il sistema proporzionale tanto auspicato da Casini...".
Messa così come l'ha messa Formigoni, è sembrata la prefazione
del futuro prossimo congresso del Partito del popolo della libertà.
Comunque, si è respirata un'aria da antica Bicamerale, panico da
inciucione. Con Massimo D'Alema presente a Saint Vincent dalle colonne
evocate del Corriere della Sera. Un D'Alema dolcemente velenoso, com'è
spesso, dice che Veltroni conosce bene Berlusconi e dunque sarebbe candidato
a fare meglio, il 30 novembre di quanto non seppe fare lui nella presidenza
della Bicamerale. Più velenoso di così?! D'Alema conciliante
con la "Cosa bianca", la quale sarà importante ancora, ma
non più "ago della bilancia". Formigoni ribadisce la
necessità di una riforma elettorale, si al
proporzionale alla tedesca, sotto il Governo Prodi e ricorso, subito dopo,
alle elezioni anticipate. "Prodi - dice Formigoni - non ce la
farà a superare la votazione sullo Welfare, a resistere alla pressione
concentrica della Confindustria e dei sindacati, a ristabilire un rapporto
con i senatori dissidenti, Dini e compagnia bella, a tenere buona l'estrema
sinistra...". Vietti dà la notizia al Congresso della morte del
soldato italiano e i maggiori applausi sono alla sua memoria. Vietti non si
fida "del volto umano di Formigoni rispetto al profilo hard di
Berlusconi", ricorda che l'Udc ha insistito dopo le elezioni affinché si
cambiasse squadra, ma non il campo, di nuovo alternativi alla sinistra,
ricorda la necessità di un Governo di tregua, senza Prodi, per fare la
riforma elettorale e quanto altro sarà
possibile. Insomma per Vietti , "Berlusconi e Veltroni si sono intestati
le doti dell'Udc, il proporzionale e l'idea di una tregua politica e
istituzionale". Bobo Craxi avverte che se il 30 novembre, Veltroni e
Berlusconi dovessero individuare sbarramenti e sistemi elettorali contro le
piccole formazioni, lui e Mastella usciranno immediatamente dal Governo.
Infine, avanza il confronto pacato sul modo di intendere la democrazia, sulla
forma plebiscitaria e su quella parlamentare. Craxi dice che il preteso
popolarismo di Berlusconi non ha un'identità ideologica e culturale di
riferimento e Formigoni gli spiega che Forza Italia prima e il Partito della
libertà adesso fanno riferimento ai Popolari europei mentre il Partito
democratico non ha ancora chiara la sua destinazione a Bruxelles. Numerosi
gli interventi dei giovani invitati al convegno di Saint Vincent: sotto tiro
la credibilità della politica, l'invito a una maggiore qualità
della proposta. È del giovane spingere l'idea di futuro nella
concretezza del quotidiano e a Saint Vincent ciò è apparso
limpidamente. Questa mattina, molto atteso il confronto tra Veltroni,
Tremonti e Pezzotta. "non ci sarà inciucio tra veltroni e il cavaliere riforma entro gennaio" - umberto rosso (sezione: Riforma elettorale)(
da "Repubblica, La" del 25-11-2007) Il modello tedesco
Bertinotti: "Per la legge elettorale
i tempi sono stretti, è in arrivo il giudizio della Consulta sul referendum" "Non ci sarà inciucio tra
Veltroni e il Cavaliere riforma entro gennaio" Il referendum
non conviene a nessuno. Ci sono punti condivisi: modello tedesco, sbarramento
al 5%, niente premio di maggioranza UMBERTO ROSSO DAL NOSTRO INVIATO PRAGA -
"L'inciucio? Tranquilli, non ci sarà. E spiego perché un asse fra
Veltroni e Berlusconi non è nel novero delle cose possibili: nessuno
dei due in realtà avrebbe da guadagnarci". Fausto Bertinotti
tranquillizza gli scettici e rincuora partiti e partitini, Rifondazione
compresa, che al tavolo della trattativa sulle riforme guardano con
apprensione mista a speranza. E conferma perciò il disco verde al
confronto, sistemando però un paio di paletti. Primo: "Naturalmente
il capo del Pd e il capo dell'opposizione possono incontrarsi, parlare, ma la
legge elettorale non
è certo materia di trattativa privata: il confronto vero poi si fa in
Parlamento, e al tavolo devono sedere tutti i partiti". Secondo, un
avviso ai due naviganti: "In teoria potrebbero anche mettere a punto una
riforma contro ciascuno degli altri partiti ma, attenzione, non contro tutti
gli altri partiti. Non ne avrebbero i numeri". Ovvero, la tentazione di
giocare una partita Pd-Pdl contro il resto del mondo sarebbe destinata a
innescare una rivolta degli esclusi, che farebbe fallire l'operazione.
Bertinotti sbarca a Praga ancora nelle vesti di presidente della Sinistra
europea ma, quando finisce di parlare ai delegati del congresso, ha solo l'abito
di presidente della Camera. Lascia (per incompatibilità di ruoli) i
vertici della Se con un omaggio ai 40 anni della primavera che proprio qui
sbocciò, quella di Dubcek, una sconfitta che "annunciò il
crollo del regimi dell'est ma anche il primo duro colpo ai lavoratori".
E anche con un appello-autocritica consegnato nelle mani dell'erede Lothar
Bisky (eletta vicepresidente Graziella Mascia, del Prc): serve
"un'inversione di tendenza" perché Se non è riuscita a
interpretare lotte e movimenti che fanno irruzione sulla scena europea. Il
nuovo modello? La Die Linke tedesca e la Cosa rossa italiana. Bertinotti,
fuori dalla sala del Top Hotel immerso nella nebbia praghese, illustra lo
scenario di casa nostra. "Non temo un asse fra Veltroni e Berlusconi, intanto
perché un eventuale patto dovrebbe riguardare un terzo soggetto, distinto dai
primi due, e che pertanto non è nella loro disponibilità".
Si chiama governo, si chiama Prodi. Del quale Berlusconi chiede la testa per
firmare un'intesa. Ma il Cavaliere, come si è visto finora, non ha la
forza per sferrare la spallata e quindi per imporre diktat al tavolo della
riforma, né - sembra di capire dalle parole di Bertinotti - riuscirà a
farlo ballare sul welfare, Dini o non Dini. Tantomeno sarà Veltroni a
mettere a rischio il governo. I sospetti, i dubbi che riafforano, specie a
sinistra, sulle intenzioni "segrete" del leader del Pd? "Io -
risponde il presidente della Camera - sono assolutamente convinto del suo
sostegno al governo. Ragioniamo. Un inciucio a due, dei partiti più
grandi, sulla riforma elettorale come
dicevo scatenerebbe una reazione di tutti gli altri e verrebbe affossato. E
che cosa resterebbe a quel punto a Veltroni, e anche a Berlusconi? Solo il referendum. Ed è esattamente quel che i due vogliono evitare,
perché non serve loro: è proprio il contrario rispetto ai rispettivi
progetti politici". E' il meccanismo che uscirebbe dal referendum, il superpremio di maggioranza al partito
più forte, che secondo Bertinotti spegne ogni tentazione inciucista.
Anche in questo caso la "lettura" del presidente della Camera
contraddice, e rassicura, quanti temono invece che alla fine Silvio e Walter
vogliano giocarsi proprio l'arma referendaria per regolare i conti con le
ali. "Una strada impraticabile, e i due lo sanno bene. Per vincere,
sulla base del meccanismo referendario, Veltroni non potrebbe presentarsi da
solo, sotto il simbolo del Pd, ma sarebbe costretto a rimettere in pista
tutti i partiti dell'Unione. A quel punto, todos caballeros. Tutti dentro. Il
più possibile, fino - che so - a Marco Rizzo e a quel nostro amico
ligure, Marco Ferrando. Risultato: alla prima consultazione elettorale dopo la nascita del Pd, il simbolo del Pd non ci
sarebbe. E perché mai Walter Veltroni avrebbe allora varato la sua nuova
creatura politica?". Visto allo specchio, lo stesso stallo di
Berlusconi. "Anche lui dovrebbe tirare dentro tutti, Fini, Casini,
Storace e Mussolini. Domanda, anche qui: ma allora perché Berlusconi avrebbe
appena fondato il suo partito, come si chiama, della gente? Perché avrebbe
mandato all'aria tutte le caselle, se deve ricominciare da capo?". Ma la
vocazione maggioritaria, la voglia di autosufficienza del Pd? Veltroni non potrebbe
affrontare da solo quelle elezioni? Risposta: "Per perdere? Non credo
che Veltroni si candidi a una sconfitta, a 5 anni di opposizione. E non credo
che nel Pd gli altri leader glielo permetterebbero". Morale della
favola: non c'è altra strada che il confronto aperto per approvare la legge elettorale,e evitare il referendum. "La via è quella parlamentare. I
tempi però sono stretti, diciamo entro la metà di gennaio,
perché è in arrivo il pronunciamento della Corte sulla
ammissibilità della consultazione. Sulla formula, mi pare ormai che
siano stati raggiunti dei punti condivisi: modello tedesco, con sbarramento
al cinque per cento e senza premio di maggioranza". La sciagura del proporzionale Meglio andare al referendum (sezione: Riforma elettorale)(
da "Adige, L'" del 25-11-2007) (segue dalla prima
pagina) Ciò spingerà alla formazione di due grandi partiti
nazionali, secondo uno schema molto simile a quello vigente nelle grandi democrazie
europee. L'incentivo del premio di maggioranza spingerà a ridurre le
differenze tra partiti limitrofi, pena l'irrilevanza elettorale
di chi vuole giocare in proprio (in particolare al centro del sistema
politico). Ecco perché, di fronte alla minaccia del referendum,
i partiti si sono rimessi in moto. Si sono rimessi in moto per neutralizzare
questo esito bipartitico. *** La democrazia italiana è diventata
bipolare con grandi resistenze. Buona parte del ceto politico italiano non ha
mai digerito l'evoluzione in senso competitivo della democrazia italiana.
Erano stati i movimenti referendari del 1991 e del 1993 ad obbligare il
Parlamento ad approvare ("sotto dettatura popolare", per usare
l'espressione dell'allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro)
la legge elettorale
maggioritaria con cui furono quindi eletti i nostri parlamentari nel 1994,
nel 1996 e nel 2001. Obtorto collo, il ceto politico italiano dovette
accettare il collegio uninominale, in cui i seggi erano assegnati sulla base
della maggioranza semplice dei voti ottenuti dai candidati, e la sua logica
binaria. Nondimeno, in Parlamento, si cercò in tutti i modi di
stemperare gli effetti maggioritario della nuova legge
elettorale, preservando una quota di seggi da
distribuire proporzionalmente ed escogitando un meccanismo assurdo per la
preservazione dei piccoli partiti (noto come "scorporo"). Con
ciò confermando una lunga tradizione "trasformista" della
politica (e della società) italiana: se non si riesce a bloccare
un'innovazione, allora si fa in modo che la sua attuazione sia così
condizionata da neutralizzarne gli effetti. Nonostante tali incongruenze, la
riforma elettorale ha consentito all'Italia di
sperimentare (per la prima volta nella sua storia repubblicana) un'alternanza
al governo tra coalizioni opposte nel periodo 1996- L.ELETTORALE/ BERTINOTTI: ESCLUDO INCIUCIO VELTRONI-BERLUSCONI(REP) (sezione: Riforma elettorale)(
da "Virgilio Notizie" del
25-11-2007) 25-11-2007 09:22
Tempi stretti per evitare referendum: entro la
metà di gennaio Milano, 25 nov. (Apcom) - Per il presidente della
Camera, Fausto Bertinotti, "Non ci sarà inciucio" sulla legge elettorale tra il leader
del Pd Walter Veltroni e l'ex premier Silvio Berlusconi. L'accordo
dovrà però essere concluso "entro metà gennaio"
perché "è in arrivo il giudizio della Consulta sul referendum". Così in un colloquio con
l'inviato di Repubblica a Praga, Umberto Rosso. "Un asse fra Veltroni e
Berlusconi - spiega Bertinotti - non è nel novero delle cose
possibili: nessuno dei due in realtà avrebbe da guadagnarci". Due
i motivi secondo Bertinotti: "Naturalmente il capo del Pd e il capo
dell'opposizione possono incontrarsi, parlare, ma la legge
elettorale non è certo materia di trattativa
privata: il confronto vero poi si fa in Parlamento, e al tavolo devono sedere
tutti i partiti". In secondo luogo "In teoria potrebbero anche
mettere a punto una riforma contro ciascuno degli altri partiti ma,
attenzione, non contro tutti gli altri partiti. Non ne avrebbero i
numeri". In pratica la tentazione di giocare una partita Pd-Pdl contro
il resto del mondo sarebbe destinata a innescare una rivolta degli esclusi,
che farebbe fallire l'operazione. "Non temo un asse fra Veltroni e
Berlusconi, intanto perché un eventuale patto dovrebbe riguardare un terzo
soggetto, distinto dai primi due, e che pertanto non è nella loro
disponibilità" continua riferendosi al governo Prodi. "Un
inciucio a due, dei partiti più grandi, sulla
riforma elettorale come dicevo scatenerebbe una reazione di tutti gli altri e verrebbe
affossato. E che cosa resterebbe a quel punto a Veltroni, e anche a
Berlusconi? Solo il referendum. Ed è esattamente quel che i due vogliono evitare,
perché non serve loro: è proprio il contrario rispetto ai rispettivi
progetti politici". Il meccanismo che uscirebbe dalla
consultazione, è il ragionamento di Bertinotti, è "Una
strada impraticabile, e i due lo sanno bene. Per vincere, sulla base del
meccanismo referendario, Veltroni non potrebbe presentarsi da solo, sotto il
simbolo del Pd, ma sarebbe costretto a rimettere in pista tutti i partiti
dell'Unione. A quel punto, todos caballeros. Tutti dentro. Il più
possibile, fino, che so, a Marco Rizzo e a quel nostro amico ligure, Marco
Ferrando. Risultato: alla prima consultazione elettorale
dopo la nascita del Pd, il simbolo del Pd non ci sarebbe. E perché mai Walter
Veltroni avrebbe allora varato la sua nuova creatura politica?". E anche
Berlusconi "dovrebbe tirare dentro tutti, Fini, Casini, Storace e
Mussolini". Secondo il presidente della Camera non c'è altra
strada che il confronto aperto per approvare la legge
elettorale e evitare il referendum.
"La via è quella parlamentare. I tempi però sono stretti,
diciamo entro la metà di gennaio, perché è in arrivo il
pronunciamento della Corte sulla ammissibilità della consultazione.
Sulla formula, mi pare ormai che siano stati raggiunti dei punti condivisi:
modello tedesco, con sbarramento al cinque per cento e senza premio di
maggioranza". Il pasticcio tv lega le mani a Berlusconi
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Sicilia, La" del 25-11-2007) RIFORME. Domani
Veltroni incontra Fini, poi toccherà al Cavaliere: le distanze
sembrano incolmabili Il pasticcio tv lega le mani a Berlusconi Gabriella Bellucci
Roma. Alla vigilia della settimana calda per le riforme, di sicuro ci sono
solo gli appuntamenti fissati da Veltroni: domani con Fini e venerdì
prossimo con Berlusconi. Rispetto ai contenuti del confronto, invece,
è tutto la vedere se il segretario del Pd riuscirà a centrare
l'obiettivo di una trattativa a largo raggio, referendum
permettendo. Il tavolo su cui lavora Veltroni, con la benedizione del capo
del governo, ormai non prevede solo la riforma elettorale.
E' uno scacchiere su cui sono in gioco le modifiche costituzionali
(superamento del bicameralismo perfetto, Senato delle Regioni, riduzione dei
parlamentari, rafforzamento dei poteri del premier) e dei regolamenti
parlamentari. Ma non è tutto. Dopo lo scandalo delle intercettazioni sul
presunto patto tra Rai e Mediaset, nel calderone delle riforme sono finiti
anche il ddl Gentiloni (riforma radio-tv) e il conflitto d'interessi. Tutte
questioni su cui Veltroni ha messo le mani avanti, chiarendo che il pacchetto
è unico: o tutto o niente. Anche D'Alema è d'accordo
("sono tutti temi all'ordine del giorno") e guarda con fiducia al
coinvolgimento di Berlusconi: "Ha capito di essere isolato e ha deciso
di collaborare". Ma il Cavaliere vuol farlo alle sue condizioni. Reclama
solo un accordo sulla riforma elettorale di tipo
proporzionale, meglio se sul modello tedesco, come chiede anche l'Udc.
Dopodiché, elezioni anticipate: niente modifiche costituzionali, né tantomeno
revisione dell'assetto radio-tv. Veltroni ha risposto picche, indisponibile
com'è (anche per esigenza del Pd) a barattare la riforma elettorale con la fine del governo Prodi. Un braccio di
ferro a tutti gli effetti, insomma. Se non fosse che Berlusconi, pur essendo
tornato sulla cresta dell'onda con la creazione del nuovo partito, ha perso
un po' di potere contrattuale. Il suo tallone d'Achille è la riforma
radio-tv che non a caso Fini ha indicato tra i temi da affrontare "con
urgenza". A cogliere il campanello d'allarme è Bossi:
"L'Unione cercherà i voti sulla Gentiloni, e Berlusconi deve
recuperare Fini", suggerisce il capo della Lega, ricordando al Cavaliere
di non fare passi falsi nemmeno sulla legge elettorale: se saltasse l'accordo di Gemonio sul "no
al referendum - avverte il Senatùr - saremmo
autorizzati a guardarci intorno". Il timore che Berlusconi punti al referendum non è solo della Lega. Anche tra i
piccoli dell'Unione c'è il sospetto che Veltroni possa tessere
un'intesa sotto banco per favorire i due maggiori partiti. An potrebbe anche
essere d'accordo, ma non Lega, Udc, Udeur e sinistra radicale, pronte a
vendere cara la pelle. La strada della trattativa, dunque, si prefigura
più praticabile, ma non certo più semplice. Anche perché si
inserisce su un terreno politico magmatico, in cui i meccanismi delle alleanze,
in entrambi i poli, sono ormai decisamente mutevoli. Riforme e sospetti
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "EUROPA.it" del 25-11-2007) ALBERTO MARTINELLI
La proposta del nuovo partito di centrodestra avanzata da Berlusconi
può davvero contribuire a chiudere la lunga transizione politica
italiana iniziata quindici anni fa? Il nuovo partito è qualche cosa di
più di un restyling di Forza Italia. Provocata dalla nascita del
Partito democratico e in preparazione da mesi, la decisione di Berlusconi
prende atto della tenuta del governo Prodi e dell'approssimarsi del referendum elettorale e sembra
fondata su una analisi condivisa da Veltroni e dal Partito democratico. Il
fallimento, cioè, del tentativo di creare un
sistema autenticamente bipolare nel nostro paese con queste leggi elettorali
e questi regolamenti parlamentari. Le proposte di
riforma elettorale avanzate sia da Veltroni che da Berlusconi (che si rifanno al sistema
tedesco, più o meno corretto con elementi tratti dal sistema spagnolo)
sono state interpretate in modi stravaganti. Da un lato c'è chi
confonde il sistema bipolare con il metodo elettorale
maggioritario uninominale e sostiene che il passaggio al metodo proporzionale
significa la fine del bipolarismo; dall'altro c'è chi deduce dal
possibile accordo tra Berlusconi e Veltroni sulla riforma elettorale
la volontà di creare una grosse koalition di governo. In
realtà, la creazione di un sistema bipolare richiede innanzitutto la
drastica riduzione della frammentazione partitica. Ciò si ottiene: a)
ponendo una soglia di sbarramento elevata (non inferiore al 5 per cento) e/o
adottando formule di traduzione dei voti in seggi e dimensioni delle circoscrizioni
elettorali tali da favorire i partiti più grandi; b) rinunciando a un
premio di maggioranza per la coalizione vincente, perché il bonus in seggi
diventa strumento di ricatto nelle mani dei partiti-bonsai che risultano
indispensabili con la loro manciata di voti per ottenere il successo
risultando assai sovra-rappresentati in parlamento. Si può obiettare
che la riduzione del numero dei partiti si otterrebbe anche con il referendum che assegna il premio al partito che ottiene
più voti su scala nazionale. Ma il problema qui è che
verosimilmente i due partiti maggiori cercherebbero entrambe di fare il
pieno, creando un partito fittizio che si frammenterebbe appena approdato in
parlamento. Ecco perché fa bene Veltroni a insistere che si devono modificare
subito anche i regolamenti parlamentari in modo da vietare la costituzione in
parlamento di partiti diversi da quelli che si sono presentati agli elettori
(anche per rispetto di questi ultimi), pena la non erogazione del
finanziamento. Sarebbe anzi auspicabile un accordo preliminare tra Veltroni e
Berlusconi a questo riguardo per dimostrarsi reciprocamente la serietà
delle loro intenzioni. Così facendo, sia che si arrivi a un accordo
sulla riforma elettorale, sia che si vada al referendum, i due partiti maggiori aumenterebbero molto il
loro potere contrattuale nei confronti degli alleati, semplificherebbero il
sistema partitico e si potrebbe finalmente uscire dall'anomalia italiana in
cui entrambe le coalizioni sono a turno capaci di vincere le elezioni ma non
di governare efficacemente con programmi coerenti e omogenei. Gli ostacoli
maggiori sulla strada di questo cambiamento sono due: l'ostilità degli
alleati delle due coalizioni (in primo luogo i partiti piccoli e
piccolissimi) che temono di essere tagliati fuori dal duopolio di potere dei
due partiti maggiori e la scarsa fiducia reciproca tra i due leader, che non
è certo aumentata dopo la pubblicazione delle intercettazioni relative
alla vicenda Rai-Mediaset. Ma nel rapporto con i rispettivi alleati Berlusconi
e Veltroni hanno dalla loro la forza dei numeri e, circa i loro rapporti, un
interesse convergente in politica può superare diffidenze e sospetti. Il destino di Prodi tra welfare e Walter Pierfrancesco Frerè (sezione: Riforma elettorale)(
da "Provincia di Sondrio, La" del
25-11-2007) Le
condizioni della Bmw di Massimo Bettini dopo il tremendo e tragico incidente
nella notte a Talamona Foto Sandonini Walter Veltroni ha fatto sapere che se
Silvio Berlusconi insiste per il voto anticipato una volta approvata la
riforma elettorale, il colloquio nemmeno inizia.
Eppure, secondo Lamberto Dini è difficile dar torto al Cavaliere: la
sua proposta è ragionevole perché è difficile pensare di fare
le riforme istituzionali con questo governo. Si tratta di una divergenza di
opinioni che fotografa bene lo stato della maggioranza alla vigilia
dell'impegnativo voto sul welfare: come dice sempre Dini, il leader di Forza
Italia ha avuto un'idea "magistrale" per scuotere il quadro
politico e ha rimescolato le carte a destra ma anche a sinistra. L'analisi
dell'ex premier induce il presidente dei senatori del Prc, Giovanni Russo
Spena, ad accusarlo di aver fatto una scelta di campo a favore del
centrodestra: ma se davvero fosse così, la crisi del governo Prodi
sarebbe stata solo rimandata di qualche giorno. Da qui l'importanza del
braccio di ferro in corso sul Protocollo del welfare: le modifiche introdotte
alla Camera non piacciono a Confindustria e neppure ai sindacati. Luca di
Montezemolo è stato più di un'ora a Palazzo Chigi nel tentativo
di convincere il presidente del Consiglio a non toccare il testo uscito dal referendum sindacale, e alla fine la presidenza del
Consiglio ha fatto sapere che l'obiettivo è una "sintesi"
fedele al Protocollo. Ma che significa "sintesi"? Come è
possibile raggiungere il "punto d'equilibrio" invocato da Veltroni
senza toccare le modifiche introdotte in Parlamento? Non è un caso che
Oliviero Diliberto intimi al governo di rispettare il lavoro svolto in
commissione, proprio mentre i liberaldemocratici avvertono di essere pronti a
votare contro se ci sarà un cedimento alla sinistra radicale. La
stessa questione di fiducia potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio e
infatti Vannino Chiti non ha detto su quale testo sarà (eventualmente)
posta. In altre parole, il crollo della Cdl non si è tradotto
automaticamente in un rafforzamento dell'Unione, anzi le ombre di crisi
restano lunghe quanto prima. Berlusconi spiegava di aver colto "il
tempo" per il lancio del nuovo partito, con un'implicita allusione a
nuove, possibili sorprese: significa che la partita è solo agli inizi,
come del resto ha sempre ripetuto. In questo scenario chi rischia di apparire
fuori ritmo è l'asse Fini-Casini, soprattutto se il tandem dovesse
essere colto in contropiede da una crisi della maggioranza. Del resto i
leader di An e Udc devono riconoscere di avere posizioni distanti sulla legge elettorale, che è il
terreno di confronto del momento: un oggettivo handicap strategico.
Ciò fa supporre a molti (da Michela Brambilla a Roberto Maroni e allo
stesso Ignazio La Russa) che alla fine i capi del centrodestra di sederanno
attorno a un tavolo per fumare il calumet della pace. Naturalmente molto
dipende da ciò che accadrà nel campo avverso: Veltroni ha
respinto il sospetto che l'affare Rai-Mediaset e l'accelerazione della
riforma Gentiloni della Tv sia un ostacolo innalzato ad arte sul cammino del
negoziato tra Partito democratico e Forza Italia, ma resta la sensazione che
Romano Prodi non veda con particolare favore questa trattativa. Ciò
non significa naturalmente che il dialogo sia destinato a naufragare: come
dice Domenico Fisichella, il vero obiettivo di Berlusconi e Veltroni - una
volta constata l'impossibilità di un accordo in questo momento -
potrebbe diventare il referendum, la via attraverso
la quale introdurre una sorta di bipartitismo all'italiana. "portiamo l'italia fuori dal tunnel" -
ettore boffano (sezione: Riforma elettorale)
(
da "Repubblica, La" del 26-11-2007) "Portiamo
l'Italia fuori dal tunnel" Veltroni oggi incontra Fini. E Parisi attacca
il leader Pd sulla legge elettorale
Tremonti parla di larghe intese Pezzotta: lavoro per una nuova forza di
centro ETTORE BOFFANO DAL NOSTRO INVIATO SAINTVINCENT - Walter Veltroni che
sceglie l'annuale convegno della Fondazione Donat-Cattin
per una prova generale dell'incontro di venerdì con Silvio Berlusconi
e per quello di oggi con Gianfranco Fini e che illustra il catalogo delle sue
proposte e delle le sue condizioni: "Riforma elettorale alla tedesca, sbarramento, niente premio di maggioranza e
qualche correttivo indispensabile per aumentare la governabilità.
Ma anche un confronto su riforme istituzionali e regolamenti parlamentari,
per stabilire che dopo il voto non potrà nascere nessun gruppo
politico che non fosse già presente nelle liste". Giulio
Tremonti, invece, che prima al bar scherza col sindaco di Roma sul suo ruolo
di "sparring partner" in sostituzione del Cavaliere ("Anche
Prodi, alla vigilia del faccia a faccia televisivo, si allenò con
Angelo Rovati nelle parte di Berlusconi"), ma poi rifiuta le
sollecitazioni del moderatore Sandro Fontana ("No, sulle riforme non
rispondo") e si rifugia in un'esaltazione della "grande
coalizione" in Germania, per precisare subito, a chi gli chiede se era
un'indicazione per il dopo Prodi: "Non ho detto questo... ".
Infine, Savino Pezzotta (applauditissimo dagli ex seguaci di Carlo
Donat-Cattin). L'ex leader Cisl ammette di pensare "a un movimento, se
non proprio a una forma-partito, che rappresenti la tradizione del
cattolicesimo popolare di don Sturzo. Non chiamatela "cosa bianca",
perché non sarà la nuova Dc, ma non può essere uno scandalo che
qualcuno ci ragioni sopra". Nella platea dell'antica corrente Dc di
Forze Nuove, il rimescolamento di carte suscitato dalla nascita del Pd, dal
discorso di Berlusconi in piazza San Babila a Milano e dai primi sentori di
proporzionale, regala così consensi per molti passaggi dei tre relatori.
Il più diretto è Veltroni, venuto qui con due scopi precisi. Il
primo è dire qualcosa su governo e welfare: "O si trova un
equilibrio tra testo originale e modifiche o si torna all'accordo approvato
da 5 milioni di lavoratori". Il secondo è ribadire le premesse
per la trattativa con il Cavaliere: "Inaccettabile dire che si fa la legge elettorale e si va al voto.
Bisogna avere la forza di dire che c'è un governo scelto dagli
italiani che deve fare la sua parte, mentre noi politici scriviamo le
regole". "Una legge elettorale
- aggiunge il sindaco - per garantire governi che possano affrontare
l'innovazione del Paese. Uscendo dal bipolarismo coatto di questi anni, verso
un bipolarismo virtuoso che non vuol dire bipartitismo. Ma garantendo la
stabilità: altrimenti avremo 6-7 partiti tra il 7 e il 27 per cento,
con una nuova ingovernabilità". Un percorso che possa portare
"l'Italia fuori dal tunnel" e che duri un anno: "Poi ognuno
per la propria strada". Eppure si tratta di una "road map" che
non piace per niente ad Arturo Parisi. Il ministro della Difesa, da Roma,
spara alzo zero contro il Sindaco: "Temo che i "bei tempi
andati" dei quali Veltroni non ha nostalgia sono i tempi dell'Ulivo. Io
invece di quei tempi ho nostalgia. Non ne sento al contrario per i tempi
della proporzionale ai quali pensavo che il referendum
del '93 avesse messo definitivamente fine". Ma come risponde Tremonti?
La replica è un'analisi "alta" sulla globalizzazione, con
due soli accenni all'attualità. Il primo è alla grande coalizione,
il secondo riporta all'immediato dopoguerra: "Mentre si scriveva la
Costituzione, De Gasperi e Togliatti erano nello stesso governo". Frasi,
però, edulcorate da quel "Non ho detto questo" ripetuto ai
cronisti. Così, l'ultima battuta sembra indulgere a un certo
scetticismo, con un ricordo del proprio ruolo nella delusione della
bicamerale e una citazione di Kant: "Il filosofo diceva che la colomba,
per volare, ha bisogno dell'atmosfera che alzi le sue ali. La colomba delle
riforme forse si può già scorgere, ma l'atmosfera è da
costruire". Bipolarismo, An pianta il primo picchetto Leader e alleanze prima del voto. Oggi l'incontro tra Fini e il segretario del Pd (sezione: Riforma elettorale)(
da "Unita, L'" del 26-11-2007) Stai consultando
l'edizione del Bipolarismo, An pianta il primo picchetto Leader e alleanze
prima del voto. Oggi l'incontro tra Fini e il segretario del Pd / Roma
"NO AL SISTEMA TEDESCO Il bipolarismo non può essere messo in discussione
e il leader della coalizione va indicato prima". Sono questi i punti
irrinunciabili, i "paletti" che il presidente di An, Gianfranco
Fini porrà oggi sul tavolo durante l'incontro con il leader del
Partito democratico, Walter Veltroni. Un no al sistema tedesco anche se
"corretto": è questa la linea decisa a via della Scrofa. Lo
ha anticipato ieri il presidente del gruppo parlamentare a Palazzo Madama,
Altero Matteoli. "Fini ribadirà a Veltroni quello che noi sempre
diciamo, e cioè che per An la priorità è il
bipolarismo". Dalla volontà di difendere il bipolarismo,
aggiunge, deriva l'obiettivo di chiedere una legge elettorale che preveda "l'indicazione delle alleanze
prima del voto e del premier". Sono le condizioni definite non
trattabili dallo stesso Fini nei giorni scorsi. Ma l'agenda del confronto tra
il leader del Pd e l'opposizione prevede anche altro, non solo la riforma elettorale. L'obiettivo di questi incontri, lo ha chiarito
il sindaco di Roma intervenendo ieri a Saint Vincent sono le "riforme
possibili" e "trovare un'intesa sulle regole del gioco" per
far uscire "tutti insieme l'Italia dal tunnel". Un terreno concreto
che non trova insensibile il leader di An ben consapevole che, come ha
spiegato Veltroni, una riforma elettorale da sola
non basta per far uscire dalla crisi il sistema politico italiano. Sono stati
gli stessi concetti espressi da Fini nei giorni scorsi a Silvio Berlusconi:
"Non basta parlare di legge elettorale, occorre discutere anche di riforme". È suonata
come una chiara disponibilità "per piccole ed essenziali riforme
istituzionali". Anche se sulla reintroduzione del proporzionale avanzata
da Veltroni la chiusura resta. Da via della Scrofa non viene ritenuto
sufficiente quel "bipolarismo virtuoso e non più forzoso"
proposto da Veltroni, anche se non mancano aperture per altri punti posti
nell'agenda del confronto come la riforma della Camera e dei regolamenti
parlamentari per assicurare "maggiore stabilità politica".
Un terreno di convergenze possibili tra Fini e Veltroni. Anche se alla
vigilia dell'incontro c'è chi in An, come Maurizio Gasparri, alza i
toni. "Sul sistema elettorale, la destra non
può accettare truffe. Veltroni parla del sistema tedesco, che in
Italia sarebbe il festival dei trasformisti, pronti dal centro a vendersi di
qua o di la in base alla convenienza". Mentre inizia il confronto, l'ex
ministro si affanna minaccioso a richiamare "le colonne d'Ercole"
per An: alleanze prima del voto e il bipolarismo. Ricordando che sullo sfondo
vi è sempre l'arma del referendum, Gasparri
annuncia un'opposizione parlamentare durissima e senza sconti contro la
"legge truffa" di Veltroni. r. m. Riforme al bivio, per ora il dialogo c'è
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Unita, L'" del 26-11-2007) Stai consultando
l'edizione del L'ANALISIOggi il segretario del Pd vede Fini, venerdì
incontra Berlusconi. Che ora apre: si può "correggere il
tedesco" Riforme al bivio, per ora il dialogo c'è di Bruno
Miserendino / Segue dalla prima La novità è che al momento veti
e sospetti non riescono a oscurare la necessità del confronto. Ci
spera Veltroni, sia pure con realismo. Si mostra speranzoso Berlusconi, che
ieri ha definito "un ectoplasma" la ex Casa delle Libertà e
che sembra stia rinunciando al ricatto iniziale (riforma elettorale
ma se si va subito dopo al voto). Ci crede da tempo Casini, ossia uno degli
ectoplasmi. È interessato Fini, che sarebbe l'altro ectoplasma e che sarà oggi pomeriggio alla Camera il
primo interlocutore di Walter Veltroni in questa settimana di incontri. Il
leader di An dall'inizio della partita ha sempre puntato al referendum, ma la nuova situazione e lo spettro della fine del
bipolarismo lo costringono a credere nel confronto a tutto campo. La Lega da
tempo punta alle riforme e soprattutto al Senato federale. Mostra di
crederci il presidente della Camera Bertinotti secondo cui il confronto ci
sarà in parlamento e senza inciuci. Prodi partecipa soddisfatto, ma
controlla, legittimamente, che il tutto non faccia deragliare il governo.
Restano sulla soglia, scettici e guardinghi, i cosiddetti "piccoli"
partiti del centrosinistra, che temono accordi dei grandi per farli fuori. Ma
è vero che per loro qualunque scenario diverso dallo status quo appare
problematico. La logica vuole che partecipino al confronto, se non altro per
favorire la soluzione per loro meno dannosa. Insomma come pronosticava
Veltroni ("passata la finanziaria sarà un altro film"), uno
spazio così ampio per il confronto non c'è mai stato. E davvero
in 8-12 mesi si possono fare quelle quattro cinque riforme complessive (legge elettorale, Senato
federale, sfiducia costruttiva, diminuzione dei parlamentari, riforma dei
regolamenti delle Camere per far coincidere partiti e gruppi) su cui la
grande maggioranza delle forze e sicuramente degli italiani è
d'accordo. "Usciamo dal tunnel, poi ognuno per la sua strada", ha
detto ieri a Saint Vincent il segretario del Pd. Berlusconi, ufficialmente,
vuole solo la legge elettorale,
per poi andare rapidamente al voto. Le altre riforme, insiste, si faranno
nella prossima legislatura. In realtà bastava sentire ieri Dell'Utri
per capire che la partita è aperta: è vero, diceva, Berlusconi
cambia spesso idea (in effetti sulla legge elettorale si sono registrate in 13 anni una ventina di
posizioni diverse ndr) "ma questo avviene perchè è
intelligente". Adesso, aggiunge Dell'Utri, "rispetto alla
Bicamerale i tempi per un accordo sono maturi". Berlusconi, afferma,
"non è inflessibile sul modello tedesco", nel senso che
è aperto a possibili correttivi. Si può leggere
come un'apertura al mix spagnolo tedesco che è la carta di partenza
sponsorizzata da Veltroni: ossia un proporzionale senza premio di
maggioranza, ma con correttivi maggioritari che bipolarizzano il sistema,
perchè favoriscono i due grandi partiti. Quanto al resto è
chiaro che se Berlusconi dialoga sulla riforma elettorale,
se la legislatura va avanti, il confronto prosegue anche su tutto il resto.
Del resto tutti gli altri partiti, grandi e medi, sono pronti al dialogo
sull'intero pacchetto delle riforme. Il punto preliminare da chiarire
è se l'orizzonte del confronto è un "nuovo bipolarismo,
meno coatto e più virtuoso", per usare l'espressione di Veltroni,
o se l'obiettivo finale è proprio la fine diretta o indiretta del
bipolarismo. Diceva ieri un collaboratore di Veltroni, Giorgio Tonini:
"Le soluzioni tecniche possono essere diverse ma l'obiettivo è
raffozare il bipolarismo, non indebolirlo". Non sarà facile.
Qualcuno la vede così: quanto più si vira sul sistema
"tedesco puro", tanto più si va verso il grado minimo di
bipolarismo, tutto quello che va verso correttivi maggioritari in più,
lo rafforza. La partita si gioca in questa forbice. Sarà lunga.
Però oggi inizia. Romano prepara la maratona
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Panorama" del 26-11-2007) Romano prepara la
maratona PAOLA SACCHI IL PIANO DI PRODI Sopravvissuto alla Finanziaria, ora il
premier punta ad arrivare a Pasqua. Quindi le grandi nomine. E poi, fino al
2009... Lo dipingono come un "morto che cammina". Ma lui ha
già un piano per arrivare almeno al 2009. Quando, se ci
riuscirà, sarà difficile per Walter Veltroni e Massimo D'Alema
scalzarlo. Romano Prodi, dopo lo scampato pericolo al primo round della
Finanziaria al Senato, ha rilanciato: "Resterò fino al
2011". "L'uomo è così: lui si affida alla cabala del
Sud, per la quale se ti danno per morto allora vivrai più a
lungo" scherza Pino Pisicchio, presidente della commissiome Giustizia
della Camera. Confida un dalemiano di stretta osservanza: "Se fossimo in
un paese normale, Prodi sarebbe già andato a casa dopo le parole di
Lamberto Dini che ha decretato la fine di questo quadro politico. E
però siamo in Italia". Il giorno dopo la boccata d'ossigeno di
Palazzo Madama, Prodi si è levato lo sfizio di telefonare al ribelle
Willer Bordon per punzecchiarlo. "Guarda Willer che io ce l'ho
più lungo di te...". Il naso adatto al fiuto politico, intendeva.
Insomma, altro che "Willer the sniffer" come La Repubblica ha
definito Bordon. In quanto a fiuto politico, almeno nell'arte di vivacchiare,
Prodi non si ritiene secondo a nessuno. Ha già messo in conto di
vincere anche l'ultimo round della Finanziaria. E di superare lo scoglio
ancora più duro del protocollo sul welfare. Anche se Dini, dopo
l'impennata di Rifondazione comunista, a Panorama conferma: "Voteremo
contro qualsiasi modifica che faccia aumentare la spesa pubblica". Prodi
però ostenta tranquillità. Al pollice verso di Dini il
Professore potrebbe rispondere con una contromossa. Secondo una voce che
circola nei palazzi, avrebbe spedito il fido Giulio Santagata, ministro per i
Rapporti con il Parlamento, a corteggiare alcuni senatori Udc ostili alle
aperture filoberlusconiane di Pier Ferdinando Casini. Prodi dà
già per scontato di mangiare anche la colomba di Pasqua. Traguardo
decisivo: una volta superato il mese di marzo non ci saranno più i
tempi per andare alle elezioni in primavera. Complici le vacanze natalizie,
un aiuto immediato per il Professore sarà il vuoto dei lavori
parlamentari previsto per quasi tutto gennaio. Un mese intero al riparo dalla
morsa dei numeri risicati al Senato. "Anche così Prodi cerca di
allungarsi la vita" accusa il vicecapogruppo di Fi a Montecitorio,
Isabella Bertolini. Finora per il Riforma a due piazze
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Panorama" del 26-11-2007) Riforma a
due piazze STEFANO BRUSADELLI questionario elettorale
Berlusconi e Veltroni puntano su un nuovo modello di voto per cambiare il
sistema politico. Ecco perché hanno deciso di farlo, cosa hanno in testa e
quali ostacoli devono superare. Tedesco, spagnolo, Porcellum o Veltronellum?
Come all'inizio degli anni 90, nella stagione dei referendum di Mario Segni, l'Italia deve masticare l'aramaico dei
politologi. Mentre Silvio Berlusconi e Walter Veltroni hanno l'aria di voler
mettere in cantiere sul serio la riforma elettorale e un
nuovo referendum incombe a primavera, si caricano di drammatica rilevanza
l'altezza d'una soglia di sbarramento, la consistenza di un premio di
maggioranza, persino il perimetro di un collegio. Ma come ripete ai suoi
studenti il costituzionalista Augusto Barbera, "la legge
elettorale, in una democrazia, è come la legge sulla successione al trono in una monarchia". E
dunque meglio aver chiaro di cosa si tratta. Magari attraverso le risposte
alle 10 domande che tutti (o quasi) vorrebbero fare. Perché c'è tanta
voglia di cambiare legge elettorale?
Mai in Italia un sistema elettorale ha avuto meno
fortuna di quello utilizzato alle politiche 2006. Basti dire che uno dei suoi
ideatori, il leghista Roberto Calderoli, lo ha disconosciuto definendolo una
"porcata", da cui Porcellum. Il sistema è proporzionale
(cioè con rapporto fedele tra voti e seggi), con premio di maggioranza
nazionale alla Camera e regionale al Senato. C'è quindi a Palazzo
Madama la teorica possibilità di un pareggio, che si è
puntualmente verificato. L'Unione ha vinto in 13 regioni e la Cdl in 7, ma
assai popolose e quindi con più seggi e premi più consistenti.
Inoltre nel Porcellum le liste dei candidati sono bloccate, ossia non si
può esprimere la preferenza. Sono i partiti, non i cittadini, a
stabilire chi andrà in Parlamento. Cosa si propone il referendum elettorale? Promosso
da 179 personalità (tra cui Giovanni Guzzetta, Segni e Barbera), il referendum punta a far sì che il premio di
maggioranza non venga assegnato a coalizioni, ma al singolo partito
più votato. Ciò costringerebbe i partiti a fondersi per dar
vita a grandi formazioni, di dimensioni tali da poter aspirare al premio. La
consultazione dovrebbe tenersi tra il 15 aprile e il 15 giugno 2008, sempre
che a gennaio la Consulta non dichiari (ma è improbabile) la
incostituzionalità dei quesiti. Sarà invalidato se non andranno
a votare la metà più uno degli elettori. A chi fa paura il referendum? Ai piccoli, dinanzi ai quali si presenterebbe
lo scomodo dilemma di farsi assorbire in un maxipartito o rischiare
l'estinzione. Per chi andasse da solo al voto ci sarebbero da superare soglie
di sbarramento del 4 per cento alla Camera e dell'8 al Senato. Con i risultati
del 2006 scomparirebbero da Montecitorio Udeur, Verdi, Italia dei valori,
Pdci e Rosa nel pugno. A Palazzo Madama la pattuglia si allargherebbe anche a
Rifondazione, Lega e Udc. Insomma, un'ecatombe. Per lo stesso motivo il referendum piace ai grandi (Pd e Forza Italia) e anche ad
An, perché spingerebbe a costruire quel partito unico del centrodestra che
è nei piani di Gianfranco Fini, anche se non nei tempi e nei modi oggi
proposti da Berlusconi. Come si può evitare il referendum?
Solo in due modi. Il primo è cambiare la legge
sulla quale la consultazione si appunta. Il secondo è fissare elezioni
politiche nella stessa stagione nella quale è previsto il referendum. In tal caso esso viene rinviato di un anno.
Occorrerebbe quindi sciogliere in anticipo le Camere (non oltre l'inizio di
marzo), per poter andare a elezioni anticipate primaverili. Perché Romano
Prodi e Veltroni hanno deciso di accelerare i tempi per la riforma della legge elettorale? Per Prodi
aprire un tavolo per la riforma vorrebbe dire rendere improbabile il voto nel
2008. Un eventuale accordo difficilmente potrebbe arrivare prima di
marzo-aprile, cioè fuori tempo massimo per organizzare elezioni in
primavera. E alla riforma elettorale sarebbe
naturale agganciare riforme costituzionali (per esempio la riduzione del
numero dei parlamentari o il Senato delle regioni) che allungherebbe
ulteriormente il brodo. Per quanto riguarda Veltroni, l'interpretazione
è più difficile. Secondo alcuni il suo vero obiettivo è
il referendum, ma per arrivarci senza urtare gli
alleati deve dimostrare che tutto è stato tentato prima di arrendersi
all'impossibilità di una riforma. Per altri il proporzionale gli
appare un buon sistema per liberarsi della sinistra radicale. E infine anche
lui ha bisogno di tempo per far decollare il suo Pd. Perché ora anche
Berlusconi apre al dialogo? Premesso che la disponibilità di
Berlusconi è limitata al sistema tedesco (vedere la voce seguente), ed
è condizionata alla prospettiva di votare presto, è chiaro che
non poteva farsi escludere da un tavolo al quale erano già pronti a
sedersi i suoi alleati. La mossa è anche un messaggio minaccioso
rivolto a Pier Ferdinando Casini e a Fini. Al primo il Cavaliere sottrae il
monopolio del dialogo con Prodi e con gli altri ex dc dell'Unione; a danno di
Fini evoca una grande coalizione (resa possibile dal meccanismo germanico)
che renderebbe marginale An. Inoltre in ogni sistema proporzionale puro
l'incarico di formare il governo spetta al partito di maggioranza relativa;
che con ogni probabilità sarebbe quello guidato da Berlusconi.
Cos'è il sistema tedesco? È un proporzionale mascherato da
maggioritario. Ogni elettore esprime due voti: con uno sceglie una lista,
decretando quanti seggi spetteranno a ciascun partito. Con l'altro sceglie un
candidato nel proprio collegio maggioritario. Per "riempire" la
quota spettante ai vari partiti si prendono prima i vincitori nei collegi
maggioritari, poi si comincia a pescare dalle liste bloccate. Le altre due
caratteristiche sono una soglia di sbarramento al 5 per cento e l'assenza di
un premio di maggioranza, ossia dell'unico sistema che obbliga a prestabilire
le alleanze. È quindi possibile (come nella grande coalizione tra Spd
e Cdu guidata da Angela Merkel) che partiti avversari in campagna elettorale poi stringano un'alleanza. Per questo il
tedesco è inviso ai bipolaristi doc come i prodiani, i referendari e i
finiani. Piace invece a Rifondazione, perché obbligherebbe i "nani"
di sinistra (Verdi, Pdci, Sd) a dar vita alla Cosa rossa onde superare la
tagliola del 5 per cento. E piace all'Udc perché potrebbe farne l'ago della
bilancia. Per i grandi (Fi e Pd) il vantaggio sta nel fatto che l'assenza del
premio di maggioranza non li obbliga a fare ammucchiate eterogenee, come
è capitato all'Unione che conta ora 11 partiti. Ciascuno con il suo
ultimatum quotidiano. Cos'è il sistema spagnolo? Un proporzionale con
collegi molto piccoli. Più i collegi sono piccoli, meno candidati vi
si eleggono e quindi più voti ci vogliono per conquistare un seggio.
In tal modo in Spagna sono rimasti in vita solo tre partiti nazionali: il
Psoe, il Pp e l'Izquierda unita. Su cosa si sta trattando in questi giorni?
Veltroni ha offerto un mix fra tedesco e spagnolo: proporzionale, collegi
piccoli, niente premio di maggioranza, scelta popolare degli eletti
attraverso collegi maggioritari. A causa dei microcollegi funzionerebbe una
soglia di sbarramento oscillante tra il 6 e l'8 per cento. Almeno in teoria,
è un sistema che dovrebbe accontentare parecchi: dà più
forza ai grandi partiti lasciandoli con le mani libere, aiuta la Cosa rossa,
risparmia Lega e (forse) Udeur che in Lombardia e Campania riuscirebbero
comunque a ottenere una manciata di seggi. Quante sono le possibilità
di un accordo? Non superano il 50 per cento. Tutti i piccoli partiti sono
preoccupati dalla soglia ombra del Veltronellum, da loro giudicata troppo
alta. Ma Berlusconi e Veltroni non sono disposti a concedergli più di
tanto, per non vanificare l'effetto semplificazione. Se no, meglio puntare
sul referendum, anche col plauso di An. Senza
contare che sposando il proporzionale Veltroni e Berlusconi intravedono
approdi diversi: il primo (come Prodi) è allergico a ogni ipotesi di
grande coalizione; il secondo (forse in segreta sintonia con Massimo D'Alema)
non la esclude. Big bang della libertà
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Panorama" del 26-11-2007) Big bang della
libertà MARIO SECHI CENTRODESTRA La mossa del Cavaliere ha sparigliato
gli alleati. Ecco che cosa pensano. E che cosa faranno. Roma, via della
Scrofa, vertice dell'ufficio politico di Alleanza nazionale. Discussione
sullo strappo del Cavaliere. "Ma Berlusconi che vuole?". "La legge elettorale".
"Sì, ma quale sistema?". "Il sistema tedesco".
Dalla nuvola di fumo s'alza una voce: "Allora ragazzi, parliamoci
chiaro: il sistema tedesco l'abbiamo provato già una volta e. abbiamo
perso la guerra!". La battuta è di Maurizio Gasparri e fotografa
bene il dritto e il rovescio che si alternano nel campo di terra battuta del
centrodestra. Silvio Berlusconi ha smesso di giocare da fondo campo, è
sceso sotto rete inventando un nuovo partito, quello del Popolo della
libertà, spiazzando alleati (e avversari) e
ponendosi al centro del dialogo sulla riforma della legge elettorale. Cancelli aperti al Pd, ponte levatoio alzato per sbarrare la
strada al cavallo di Troia degli alleati. Basta strategia del logoramento. Il
Cav. ha sorpreso tutti, ma chi ne osserva le mosse sa che quando viene dato
per sconfitto e con le spalle al muro offre il meglio di sé: decisionismo e
immaginazione. Il Partito del popolo della libertà nasce
nell'istante in cui Berlusconi sente scosse telluriche tra i berluscones di
An (Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri) e le fiammate azzurre (Ferdinando
Adornato). "Cambio di passo e delle regole del gioco interno" dice
Fabrizio Cicchitto. Il vicecoordinatore di Forza Italia, fischiato da An
durante il convegno di Assisi, è sicuro che "siamo di fronte a
una ristrutturazione complessiva del sistema. Il nuovo partito si
piazzerà al centro del sistema politico italiano, perché Berlusconi ha
realizzato di non poter continuare ad andare avanti con un bipolarismo
distruttivo perfino all'interno del centrodestra". Un nuovo partito
dunque, ma perché non appaia come un restyling (prima bordata critica
lanciata da An) ha bisogno di consenso tra i potenziali elettori, struttura e
sostanza. Scorrendo i dati del sondaggio condotto dalla Unicab per Panorama
(vedere a pagina 42), il gradimento dei cittadini c'è, anche tra chi
vota centrosinistra. Se il 69,2 per cento degli elettori del centrodestra e
il 10,4 per cento di quelli di centrosinistra si dichiarano favorevoli alla
sua nascita, significa che c'è spazio per allargare il bacino dei
votanti. C'è un problema di brand, di marchio (Berlusconi lo sa, tanto
che il nome non è definitivo e pensa a un referendum
tra gli elettori), perché il Partito del popolo della libertà piace
molto al 46,9 per cento degli elettori del centrodestra ma poco a un
consistente 41 per cento. La base di partenza sembra solida, resta da capire
come Berlusconi intenda dare struttura e sostanza alla sua creatura politica.
Serve una road map del Pdl, un percorso che sfocierà nel nuovo
partito. È in discussione e avrà due fasi: la prima prevede la
tenuta di Forza Italia sul territorio (si completeranno tutti i congressi del
partito dove ancora non sono stati celebrati) e la raccolta di preadesioni al
Pdl da parte sia di singoli sia di associazioni che comincerà il 2
dicembre. Il 31 gennaio si terrà l'assemblea costituente e da quel
momento partirà la vera e propria edificazione del nuovo partito.
Tempi? Rapidi, 6 mesi al massimo. Partito nuovo con o senza gli alleati?
È la domanda fondamentale che secondo i dati del sondaggio Unicab
divide l'elettorato di centrodestra tra un 48,4 per cento di favorevoli e un
42,9 per cento di contrari. È la traduzione in numeri di un dato
politico già noto: il bisogno di una casa comune e non di un
condominio dove i partiti della Cdl litigano. Di questo sono consapevoli
anche An e Udc, ma le reazioni alla mossa di Berlusconi sono profondamente
diverse. Il partito di Fini ha scelto l'arroccamento, vive la scissione di
Francesco Storace e l'innesto di Daniela Santanchè nella Destra con un
nervosismo tale da imputarne la nascita a Berlusconi, vede il sistema elettorale tedesco come un "tagliafuori" per An
e un invito a nozze per l'Udc di Casini. "In questa vicenda le pance
hanno prevalso sui cervelli, non solo dalla parte di An. Proprio per questo
non possiamo accettare l'appello di Berlusconi" dice Maurizio Gasparri,
che alla fine torna a battere il tasto dolente: "Insomma, il Cavaliere
è andato dalla Destra e secondo me c'era un compiacimento eccessivo.
Poi siamo al paradosso per cui Storace, che prima vomitava contro il governo
della Cdl, oggi fa l'alleato". E Fini? È in preda alle sue furie.
Nei corridoi dei passi perduti, alla Camera, salutando Roberto Menia,
Ferruccio Saro e Alfredo Biondi, è arrivato a dire: "Non mi
farò distruggere, questo governo potrebbe andare avanti... Se
Berlusconi crede di ritornare a Palazzo Chigi con i miei voti, si
sbaglia". Intanto si è messo in lista per parlare con Walter
Veltroni di riforma elettorale (summit il 26
novembre) e ha imputato a Berlusconi il tradimento del patto di Gemonio sul
bipolarismo, ma ai piani alti di Forza Italia si fa notare che "proprio
Fini ha tradito quel patto subito dopo il voto del Senato sulla Finanziaria.
Si è presentato come il professionista della politica che risolve
tutto e in tre passaggi media (lettera al Corriere della sera, intervista
alla Repubblica e colloquio a Panorama del giorno su Canale 5) ha bombardato
Forza Italia. Che doveva fare Berlusconi, farsi logorare come all'epoca del
subgoverno?". Lo scorso settembre il patto di Gemonio chiesto e ottenuto
da Umberto Bossi fu suggellato con una formula tremontiana: "Bretelle e
cintura". Se Prodi non cade al Senato, le bretelle non tengono
più, ma resta la cintura e si fa insieme la riforma elettorale.
An e il suo leader invece hanno dato l'impressione netta a Forza Italia (e
alla stessa Udc, silente ma democristianamente attenta alle mosse altrui) di
voler sfilare sia le bretelle sia la cintura per poi lasciare il Cavaliere in
brache di tela. Mentre Bossi insegue il suo disegno (evitare il referendum) e con questo obiettivo chiaro il Carroccio
sostiene il progetto "aperturista" di Berlusconi, la crepa con An
si allarga a tutto vantaggio dell'Udc. È il mondo di ieri alla
rovescia. Casini gioca tutta la partita sulla riforma elettorale
e al contrario di Fini non teme il "Veltrusconi", l'accordo tra
Berlusconi e Veltroni. Fra i centristi ci sono abili tattici (Bruno Tabacci)
e insuperabili dragatori di voti (Mario Baccini), ma se si gioca a Risiko,
l'ex presidente della Camera ascolta attentamente quello che dice il suo
senatore Francesco D'Onofrio: "Il Partito del popolo della
libertà è esattamente quello che Berlusconi fa e pensa dal
1994, ne è la naturale prosecuzione" spiega a Panorama.
"L'Udc non deve confluire ora in questo nuovo partito" continua
D'Onofrio "ma è chiaro che non deve fare né spallate né
spallucce. Berlusconi non esclude che ci siano le elezioni in primavera e per
questo siamo a un passaggio intermedio del suo progetto. Ma non ci sono dubbi
che entro gennaio noi dell'Udc dobbiamo prendere un'iniziativa istituzionale
seria, capire cioè se si può andare a un sistema elettorale tedesco puro e non ai pastrocchi. Della mossa
del Cavaliere colgo l'aspetto popolare e non populista, in questo è un
innovatore. Allora bisogna essere conseguenti, tradurre in fatto
istituzionale questa parte rilevante dell'innovazione popolare di
Berlusconi". L'ipotesi del "centrino" non convince D'Onofrio:
"Perché l'Udc non fosse attratta da un polo di centro piccolo e non di
governo occorreva proprio un doroteo illuminato come Casini e non un moroteo
piccolo come Follini". Niente salti a sinistra, forse più
probabile provare a fare l'ago della bilancia. Questo sembrerebbe pensare
Baccini, il granaio di voti Udc nel Lazio: "Possiamo coprire uno spazio
politico potenziale del 10-12 per cento, creare un centro giscardiano.
L'apertura di Berlusconi alla riforma elettorale a
noi va benissimo: siamo sempre stati i templari del proporzionale". I
rapporti con via della Scrofa, strettissimi all'epoca del subgoverno An-Udc,
sono cambiati, la competizione tra i leader si sente e il testacoda di Fini
determinato dallo sparigliamento di Berlusconi mette Casini in condizione di
vantaggio. Baccini è chiaro: "O Fini arriva alle nostre
posizioni, oppure An è destinata ad avere un ruolo marginale". Le
posizioni ufficiali Udc sono felpate. Ci pensa Carlo Giovanardi a
scartavetrare qua e là i compagni di ventura: "Se nasce la
sezione italiana del Partito popolare europeo, come facciamo noi dell'Udc a
starne fuori? Diventerebbe incomprensibile, un fatto personale contro
Berlusconi. Per me l'idea di trasformare il partito in ago della bilancia
resta inaccettabile. Noi siamo pronti a uscire". Forse non ce ne
sarà bisogno. An è nel bunker, l'Udc sta alla finestra, Forza
Italia è in fase reloaded. Ma al centrodestra, per evitare il big bang
delle libertà, in questo momento sembra mancare quello che Battiato
cantava: il centro di gravità permanente. l. L. ELETTORALE/ BINDI: IL VELTRONELLUM SA DI PRIMA REPUBBLICA (sezione: Riforma elettorale)(
da "Virgilio Notizie" del
26-11-2007) 26-11-2007 10:51
Alla Stampa: "No a gestione personale Pd, alleati con Cosa Rossa"
Roma, 26 nov. (Apcom) - La rifoma elettorale
proposta dal leader del Pd Walter Veltroni, un proporzionale alla tedesca, il
cosiddetto 'veltronellum', "è una legge
che ci riporta all'antico, alla Prima Repubblica, alla vecchia Dc col
proporzionale, ai governi con crisi extra-parlamentare". Il ministro per
la Famiglia Rosy Bindi, intervistata da La Stampa, avverte Veltroni: sulla
nuova legge "andando avanti così
riuscirà pure ad avere il via libera di Berlusconi, ma magari io poi
la riforma non gliela voterò". Secondo Bindi con il
'veltronellum' "i cittadini non scelgono le alleanza e i governi, ma lasciano il segretario del maggior partito, cioè il
Pd, libero di decidere poi con chi allearsi per governare": al contrario
"dobbiamo avere la forza di scegliere una legge elettorale che restituisca al Paese un bipolarismo maturo" e non
"una politica delle mani libere nella quale a decidere non sono gli
elettori". Quindi "occorre una cosa sola: il maggioritario.
Anche perchè il veltronellum non ferma il referendum".
Ma al ministro non piace nemmeno la gestione del neonato Partito democratico:
"Non è pensabile che la fase costituente del partito, quella che
deve essere di maggiore coinvolgimento e pluralità, sia affidata alle
decisioni di Veltroni e dei segretari regionali e con regole improvvisate che
cambiano a ogni riunione. Serve un ufficio politico ristretto, nel quale si
condividano le decisioni politiche". Altrimenti, continua, "la
gestione personale del Pd rischia di far tornare proprio il partito delle
tessere" che Veltroni ha sempre stigmatizzato. Sulle future alleanza,
poi, Bindi aupica "un Pd davvero di centrosinistra, che renda
inconsistente la Cosa Bianca e che lavori per una Cosa Rossa davvero
democratica, con la quale allearsi. Ma soprattutto un Pd con la
capacità di interpretare anche il riformismo cattolico, altrimenti -
conclude - saremmo una riedizione in salsa socialdemocratica dei diesse, con
qualche satellite annesso". Ha un bel dire Franceschini che nel Partito democratico la democrazia c'è davvero (sezione: Riforma elettorale)(
da "Stampa, La" del 26-11-2007) "Ha un bel
dire Franceschini che nel Partito democratico la democrazia c'è
davvero... Io la bozza di riforma elettorale per ora
l'ho vista solo sui giornali, mentre Gianni Letta ce l'ha, il Veltronellum
gli è stato consegnato personalmente dal coordinatore del partito
Goffredo Bettini, alla sua festa di compleanno. Per carità, Bettini
è più amico di Gianni Letta che mio e può invitare alle
feste chi gli pare, ma andando avanti così Veltroni riuscirà
pure ad avere il via libera di Berlusconi, ma magari io poi quella riforma
non gliela voto...". Giornata di riposo a spasso per le amate Dolomiti.
Ossigenazione profonda e rigenerazione. Dunque, una Rosy Bindi più
grintosa del solito, se possibile. Ministro Bindi, dica la verità: il
punto è che il Veltronellum proprio non le piace. E ancora meno la
gestione del Partito democratico. "Infatti. Non è pensabile che
la fase costituente del partito, quella che deve essere di maggiore coinvolgimento
e pluralità, sia affidata alle decisioni di Veltroni e dei segretari
regionali, e con regole improvvisate che cambiano a ogni riunione. Serve un
ufficio politico ristretto, nel quale si condividano le decisioni
politiche". Bindi, ma così le replicheranno che lei vuole un
politburo che affianchi Veltroni. Proprio lei chiede spazio per i Rutelli, i
Fioroni, i D'Alema, i Fassino? "Noto che il coordinamento nazionale non
si è mai riunito, e che l'esecutivo non è un luogo decisionale,
ma un organismo operativo del segretario. L'ufficio politico serve. E poi, scusi, quelle di cui lei parla sono figure
istituzionali, vicepremier, capigruppo in Parlamento, segretari di partito,
il gestore della fase costituente che è Bettini. E poi ci sono gli
altri candidati alle primarie, certo". E la proposta di riforma elettorale avanzata da Veltroni? "Non è possibile che
la si debba apprendere dai giornali. Io rappresento almeno le 500 mila
persone che mi hanno votato, avrò diritto a conoscerla prima che la
conosca l'opposizione, o no? La gestione personale del Pd rischia di far
tornare proprio il partito delle tessere. Lo farà tornare, il partito
delle tessere si riorganizzerà, e annullerà il percorso
innovativo iniziato con le primarie. E una mano in questa direzione la
darà proprio anche il tipo di riforma elettorale
che si propone". Addirittura? "E' una legge
elettorale che ci riporta all'antico, perché i
cittadini non scelgono le alleanze e i governi, ma lasciano il segretario del
maggior partito, cioè il Pd, libero di decidere poi con chi allearsi
per governare. Questo è un ritorno alla Prima Repubblica, alla vecchia
Dc col proporzionale, ai governi con crisi extra-parlamentari. E, mi creda,
di quella stagione non c'è nulla da rimpiangere. Dobbiamo avere la
forza di scegliere una legge elettorale
che restituisca al Paese un bipolarismo maturo". Questo è proprio
il fine che Veltroni dice di perseguire. Non la convince? "No, perché la
legge che ha proposto non persegue il bipolarismo,
persegue una politica delle mani libere, nella quale a decidere non sono gli
elettori. E le elezioni potrebbe vincerle Berlusconi, ricordiamocelo: il
lancio della proposta di legge elettorale
da parte di Veltroni ha coinciso con la fine della Casa delle Libertà,
tanto che oggi apprendiamo dallo stesso Berlusconi che per cinque anni gli
italiani sono stati governati da un ectoplasma... E' come se Veltroni e
Berlusconi dicessero: facciamo la competizione tra noi, e poi chi di noi
vince decide che fare, con chi allearsi, con chi fare il governo. No, per il
bipolarismo occorre una cosa sola: il maggioritario. Anche perché il
Veltronellum non ferma il referendum. Che si vuol
fare? Se il referendum si tiene, il governo cade,
questo è chiaro. Si vuol far cadere il governo?". Possiamo dedurre
che lei non apprezza nemmeno la Cosa Bianca di Pezzotta-Tabacci? "Che
non piace nemmeno a D'Alema... Apprendo con piacere che non l'apprezza
nemmeno Franceschini. Ma a Dario vorrei dire che se non gli va un Pd che
è una evoluzione della socialdemocrazia, allora i cattolici devono
fecondare il Pd, e questo può avvenire solo se si fa un partito
plurale. Io voglio sapere: se nasce una Cosa Bianca e una Cosa Rossa, il
Partito democratico con chi si allea?". Lei con chi si alleerebbe?
"Io vorrei un Pd davvero di centrosinistra, che renda inconsistente la
Cosa Bianca, e che lavori per una Cosa Rossa davvero democratica, con la
quale allearsi. Ma soprattutto un Pd con la capacità di interpretare
anche il riformismo cattolico, altrimenti saremmo una riedizione in salsa
socialdemocratica dei diesse, con qualche satellite annesso". Lei ha
consigliato a Prodi la fiducia sul Welfare. Perché? "Perché non si
può lasciare un protocollo frutto di un accordo tra le parti sociali
nel tira-e-molla tra Dini e Rifondazione. Ciò detto, quell'accordo non
è l'omega: quello che manca davvero all'accordo di luglio è
tutta la politica per le donne e la politica per la famiglia. Congedi
parentali, asili nido, incentivi all'occupazione femminile, il part-time...
Tutto ciò che serve a un Welfare moderno". Veltroni inizia i colloqui per le riforme: faccia a faccia con Fini (sezione: Riforma elettorale)(
da "Rai News 24" del 26-11-2007) Roma | 26 novembre
2007 Veltroni inizia i colloqui per le riforme: faccia a faccia con Fini
Walter Veltroni "Il punto è portare l'Italia fuori dal tunnel.
Per riuscirci, la legge elettorale
non basta. E certamente, per noi è inaccettabile il dire facciamo la legge elettorale e poi andiamo
subito a votare". Walter Veltroni cerca di tenere separati, ancora una
volta i percorsi del governo Prodi e delle riforme alle quali lavora con il
Pd. Ma l'avvio dei colloqui sulle riforme, questo pomeriggio, con il
presidente di An Gianfranco Fini riaccende distinguo e sospetti a sinistra,
mentre nella CdL proseguono le reciproche accuse fra Silvio Berlusconi e gli
(ex) alleati di centrodestra. Bindi: attento Walter La rifoma elettorale proposta dal leader del Pd, un proporzionale
alla tedesca, "è una legge che ci
riporta all'antico, alla Prima Repubblica, alla vecchia Dc col proporzionale,
ai governi con crisi extra-parlamentare", attacca il ministro per la
Famiglia Rosy Bindi, intervistata da La Stampa. E avverte Veltroni: sulla
nuova legge "andando avanti cosi'
riuscirà pure ad avere il via libera di Berlusconi, ma magari io poi
la riforma non gliela voterò". Angius: no al referendum
"Quella del referendum è un'iniziativa a
mio modo di vedere sconsiderata", dichiara, intanto, il senatore Gavino
Angius (Partito socialista), ospite questa mattina ad 'Omnibus' su La7.
Secondo Angius, infatti, "il referendum
è una bomba a orologeria contro il governo, e, qualora si dovesse
svolgere, aprirebbe una lacerazione profonda all'interno del centrosinistra
prima ancora che nel centrodestra". Angius ha poi aggiunto: "Io non
condivido in radice la proposta elettorale avanzata
da Veltroni. Il referendum e il vassallum, infatti,
produrrebbero lo stesso effetto: affidare a due soli partiti la competizione elettorale, e ridurre tutti gli altri ad una condizione
servente". Cespugli Tra i 'partiti minori' dell'Unione serpeggia il
timore per l'inciucio' Veltroni-Berlusconi. Lo lamenta Pino Sgobio dei
Comunisti italiani, mentre Angelo Bonelli dei Verdi è preoccupato
"dall'assenza di confronto nell'Unione". Non a caso il presidente
della Camera Fausto Bertinotti ci tiene a precisare, con dovizia di
argomentazioni, che "un asse fra Veltroni e Berlusconi non è nel
novero delle cose possibili: nessuno dei due in realtà avrebbe da guadagnarci".
Alemanno: discutiamo Per Gianni Alemanno Fini nell'incontro con Veltroni
manifesterà "un'ampia disponibilità a varare leggi che
confermano il bipolarismo. E' chiaro che le riforme costituzionali aiutano a
trovare un contenuto bipolare più solido - spiega Alemanno in una
intervista a 'Repubblica' - Noi continueremo a fare di tutto per far cadere
il governo Prodi, ma nel frattempo non vediamo alcun motivo per bloccare il
lavoro sulle rifome. Respingiamo quindi la connessione che ha fatto Berlusconi,
secondo il quale non si può lavorare alla riforma della Costituzione
altrimenti si prolunga la vita del governo". Sul conflitto di interessi,
l'esponente di An dice: "Non vogliamo fare da sponda alla sinistra. Ma
è chiaro che questi temi, se non sono utilizzati per aggredire
Berlusconi, possono far parte di un ragionamento complessivo". Bluff, contro-bluff e veleni
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Opinione, L'" del 26-11-2007) Oggi è Lun, 26
Nov 2007 Edizione 257 del 24-11-2007 Quando la politica sembra una partita a
poker Bluff, contro-bluff e veleni di Guglielmo Fedeli Veltroni ha aperto le
ostilità con un bluff sopraffino. Mentre tutti si aspettavano che
difendesse il bipolarismo che, come spiegavano i politologi, sarebbe
convenuto in termini elettorali al PD (essendo il partito leader del
centrosinistra e togliendo di mezzo i cespuglietti litigiosi), il teorico del
"ma-anchismo" rinnega ancora se stesso e la sua manifestata simpatia
per il referendum. Eccolo quindi inventarsi un
sistema proporzionale, senza premio di maggioranza e con correzione alla
spagnola (olè!). E' forse impazzito? Non è stato Veltroni
bensì Crozza mascherato da Veltroni a dare il tanto atteso
pronunciamento sulla legge elettorale?
Noooo, è solo un bluff! Per tener buoni i cespuglietti al governo e
cercare di crear scompiglio nel centro destra, allettando Pierfi in
Caltagirone con la possibilità del "grande centro" e
strizzando l'occhio alla Lega con la correzione spagnola sui collegi
elettorali. Tanto sa benissimo che la sua proposta di legge
non troverà mai la maggioranza in Parlamento, ma otterrà
così due risultati: passerà comunque per un volenteroso
riformatore? ed allungherà contemporaneamente la vita al malato terminale
Prodi. Complimenti! Il grande statista Fini(to), accecato dall'odio verso
Berlusconi (o dall'amore?), abbocca come un tonno e si
precipita ad annunciare che si è aperta la stagione delle riforme e
che è pronto a collaborare con Veltroni! Ma come? Non era lui il
bipolarista convinto? Non si era impegnato per il referendum? Come
crede di poter mediare un accordo partendo da due ipotesi di legge elettorale così in contrasto fra loro? E qui arriva il
genio di Berlusconi. Ok, dice, vedo! Spariglia tutte le carte in tavola e
dichiara che si siederà lui con Walter, per accordarsi (bluff n°.2)
sulla base della proposta bluff n°1. Polpetta avvelenata rigettata nel campo
dell'avversario? e tutti preoccupati che non sanno più che pesci
prendere (tra lo sgomento dei migliori politologi). Fini ormai delira con la
bava alla bocca, Casini teme che il grande centro se lo faccia Berlusconi
senza di lui, i cespugli impazziscono all'idea che Berlusconi possa avallare
la proposta di Veltroni, condannandoli ad un'inesorabile scomparsa. Tutti in
fine preoccupati che possa nascere il mitologico mostro bicefalo: il
Veltrusconi! (Governo bipartito, stile "Gross Koalizionen Ja?": 65%
e tutti a casa; Schnell, nein Cafini, nein cespuglien!). L'unico che non
perde la calma è l'altro pokerista professionista, che ha bluffato
sapendo di non avere niente in mano. E con calma, serenamente, con
moderazione e pacatezza, rialza la posta sul tavolo: niente elezioni
anticipate, bensì riforme costituzionali! E no, adesso basta,
finitela! Ormai l'abbiamo capito a che gioco state giocando (per primi
Mastella e Diliberto). Ma di quale nuova legge elettorale state cianciando? Una qualsiasi proposta di legge comune B+V avrebbe la maggioranza solamente in
teoria, perché questo parlamento non potrà mai approvarla, in quanto
subito prima cadrebbe l'attuale governo (Mastella l'ha già detto che
uscirebbe anche lui dalla maggioranza?e buonanotte a Prodi), quindi la palla
passerebbe nelle mani di Napolitano (scusatemi se non riesco proprio a
chiamarlo Presidente) e si aprirebbero nuovi scenari?o elezioni anticipate
con l'attuale "porcellum". Ma prima di tutto ciò c'è
l'incognita referendum, che se passasse alla
Consulta farebbe cadere prima il bluff di entrambi i giocatori, che
potrebbero a quel punto decidere di tornare a fare i bipolaristi
maggioritari. Insomma, tanto rumore per nulla!. VELTRONI-TREMONTI, PROVE DI DIALOGO
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Mattino, Il (Circondario Sud2)" del
26-11-2007) Veltroni-Tremonti,
prove di dialogo TERESA BARTOLI Roma. Oggi l'incontro con Gianfranco Fini,
venerdì quello con Berlusconi. In mezzo, la trattativa con gli alleati
e i colloqui con Udc e Lega. Walter Veltroni si presenta alla settimana clou
del confronto sulla legge elettorale
indicando gli obiettivi e fissando i paletti invalicabili: "Portiamo,
tutti insieme, l'Italia fuori dal tunnel, poi ognuno farà la sua
strada. Sarebbe però sbagliato dire facciamo la legge
elettorale e andiamo a votare. Questo per noi
è inaccettabile". È "inaccettabile", spiega il
leader del Pd, non solo perché il sostegno al governo è fuori
discussione ma anche perché "la riforma elettorale
da sola non basta a far uscire dalla crisi il sistema politico
italiano". Per questo Veltroni ripete - da Saint Vincent dove ha
partecipato ad un convegno con Giulio Tremonti e Savino Pezzotta - che
"bisogna avere la forza di dire che c'è un governo scelto dagli
italiani, faccia la sua parte, intanto noi, forze politiche, distinguendo la
sfera del governo da quella delle regole, scriviamo insieme le regole del
gioco per le quali, alla fine di quest'anno, è possibile che l'Italia
metta la testa fuori dal tunnel". Nel merito della legge
elettorale, Veltroni ribadisce che "va bene il
sistema proporzionale, va bene che non ci sia il premio di maggioranza, ma
tutto questo va bene se c'è un meccanismo che rafforza l'elemento
bipolare". Il sistema tedesco corretto che elementi che diano
stabilità "non è la fine del bipolarismo, è un
nuovo bipolarismo virtuoso che non è il bipartitismo". La prima
risposta arriva in diretta da Tremonti: "Per fare le
riforme serve un'atmosfera diversa da quella che c'è stata
finora" ha detto ricordando che "quando hanno fatto la Costituzione
nello stesso governo c'erano De Gasperi e Togliatti". Chiarisce subito
che non è la proposta di un governo di larghe intese ma solo la
constatazione che "è difficile fare la riforme la mattina e l'opposizione
nel pomeriggio". Sempre da Forza Italia, però, Marcello Dell'Utri
conferma che Berlusconi è pronto al confronto perché "si fida di
Veltroni" e vede una situazione diversa da quella del 99 quando la
sinistra radicale condizionava troppo la maggioranza. In attesa del faccia a
faccia clou di venerdì, è la maggioranza dell'Unione a
discutere e dividersi. Il presidente della Camera Fausto Bertinotti ribadisce
che "si parte dal sistema tedesco" e avverte che il dialogo va benissimo,
che non ci sono "rischi di inciucio" ma è ora che "si
prenda coscienza che l'iniziativa parlamentare è irrinviabile".
Un attacco a Veltroni arriva da Arturo Parisi, ulivista e sostenitore del referendum che teme nostalgie proporzionaliste e difende
il bipolarismo sostenendo che "non si ha diritto di imporre una scelta
determinante per il Paese e per la stessa natura di un partito che affida la
sua identità all'aggettivo Democratico al di fuori di ogni organo e
procedura democratica dopo averla sottratta al dibattito tra i cittadini in
occasione delle primarie". In fibrillazione anche i partiti minori.
Nell'Unione e all'opposizione. Il verde Angelo Bonelli chiede di
"difendere il bipolarismo" perché "il rischio che abbiamo di
fronte è quello di una riedizione pasticciata del compromesso
storico". Dal Pdci è il capogruppo Pino Sgobio a denunciare il
"rischio inciucio" che dovrebbe allarmare Prodi "perché
vedrebbe implodere l'Unione con gravissime conseguenze per il
bipolarismo". Dal fronte opposto è il leghista Roberto Calderoli ad
avvertire che "se l'inciucio è per fare una legge
elettorale è evidente che il leader di
maggioranza e opposizione si debbano confrontare. Se invece è uno
strumento per fare trucchini e trucchetti allora staremo bene attenti a farlo
saltare come siamo stati attenti a farlo saltare in passato". Fini-Veltroni: legge elettorale insieme a riforma di istituzioni (sezione: Riforma elettorale)(
da "Reuters Italia" del 26-11-2007) 6.43 Versione per
stampa ROMA (Reuters) - L'incontro del segretario del Pd Walter Veltroni con
il leader di An Gianfranco Fini si è concluso oggi con l'intesa di
principio che la riforma elettorale non può
prescindere da riforme istituzionali che rafforzino l'esecutivo, mentre restano
le distanze sulla scelta del nuovo sistema di voto. "Il fatto che ci
siamo riuniti per discutere delle regole del gioco è la prima vera
novità", ha detto Veltroni in una conferenza stampa dopo avere
incontrato Fini a Montecitorio, in un atteso faccia a faccia dopo lo strappo
di Silvio Berlusconi con gli altri partiti del centrodestra. "Con Fini
siamo d'accordo che non esiste un problema esclusivo di legge
elettorale e pertanto non ci può essere una
discussione sulla legge elettorale
senza che si affronti anche la modifica dell'assetto istituzionale", ha
detto Veltroni. "Per An la questione della modifica della Costituzione e
del sistema di voto sono strettamente intrecciate", ha detto Fini, che
ha parlato davanti ai giornalisti poco prima del segretario del Pd, senza che
i due si concedessero a telecamere e fotografi per una stretta di mano.
Ognuno ha messo i suoi paletti di rito alla discussione bipartisan. Fini ha
detto che il dialogo sulle regole non comporta "benevolenza" verso
il governo di Prodi e che, se questo cade, e non c'è più
maggioranza e la parola spetta agli elettori. Veltroni ha precisato che
"il nostro sguardo va prima alla coesione della
maggioranza" di governo. Poi però la sottolineatura di entrambi
va sul minimo comune denominatore: la discussione sulla nuova legge elettorale va combinata con una riforma istituzionale che preveda
"la riduzione del numero dei parlamentari, il rafforzamento dei poteri
dell'esecutivo e la fine del bicameralismo perfetto", come ha
detto oggi Fini. Si tratta di una riforma che prevederebbe il mutamento di
pezzi importanti della Costituzione -- con un iter legislativo lungo e una
maggioranza di due terzi del Parlamento se non si vuole correre poi il
rischio del referendum -- ma entrambi i leader
aprono alla possibilità di apportare alcuni di questi cambiamenti
attraverso la stessa legge elettorale.
"Ci vogliono norme di tipo costituzionale e elementi di legge elettorale che rafforzino
il bipolarismo", ha detto Veltroni. Anche Fini sostiene che la "via
maestra è l'intervento sulla Costituzione", ma apre all'ipotesi
di modificare il massimo possibile del sistema attraverso la legge elettorale. Eppure sul
contenuto di quest'ultima accordo ancora non c'è. "Vogliamo
uscire dal bipolarismo forzoso, con alleanze coatte, ed entrare in un'altra
stagione del bipolarismo sulla base di un sistema proporzionale. Le due cose
non sono in contraddizione", ha detto Veltroni. Da parte sua, Fini
boccia la prima proposta veltroniana di un proporzionale con soglia di
sbarramento e altri correttivi, dicendo che la sua "stella polare
è un sistema che garantisca agli elettori di scegliere il partito, la
coalizione, il programma e il candidato premier". Sia Veltroni che Fini
sostengono che la discussione sulle "regole del gioco" non incide
su altre scelte politiche come la riforma radiotelevisiva e del conflitto di
interessi, che Berlusconi considera un "attentato" contro la sua
persona. Ma Veltroni ha osservato che l'adesione di An su una proposta di legge ulivista sul sistema politico c'è già
stata e riguarda la modifica dei regolamenti parlamentari, in base alla quale
dalla prossima legislatura i gruppi saranno ammessi in Parlamento soltanto se
avranno la stessa denominazione con cui si sono presentati agli elettori. Fini-Veltroni: legge elettorale insieme a riforma di istituzioni (sezione: Riforma elettorale)(
da "Websim" del 26-11-2007) NOTIZIE FLASH 26
Novembre 07 ora 18:42 Fini-Veltroni: legge elettorale insieme a riforma di istituzioni ROMA, 26 novembre (Reuters) -
L'incontro del segretario del Pd Walter Veltroni con il leader di An
Gianfranco Fini si è concluso oggi con l'intesa di principio che la
riforma elettorale non può prescindere da riforme istituzionali che
rafforzino l'esecutivo, mentre restano le distanze sulla scelta del
nuovo sistema di voto. "Il fatto che ci siamo riuniti per discutere
delle regole del gioco è la prima vera novità", ha detto
Veltroni in una conferenza stampa dopo avere incontrato Fini a Montecitorio,
in un atteso faccia a faccia dopo lo strappo di Silvio Berlusconi con gli
altri partiti del centrodestra. "Con Fini siamo d'accordo che non esiste
un problema esclusivo di legge elettorale
e pertanto non ci può essere una discussione sulla legge
elettorale senza che si affronti anche la modifica
dell'assetto istituzionale", ha detto Veltroni. "Per An la
questione della modifica della Costituzione e del sistema di voto sono
strettamente intrecciate", ha detto Fini, che ha parlato davanti ai
giornalisti poco prima del segretario del Pd, senza che i due si concedessero
a telecamere e fotografi per una stretta di mano. Ognuno ha messo i suoi
paletti di rito alla discussione bipartisan. Fini ha detto che il dialogo
sulle regole non comporta "benevolenza" verso il governo di Prodi e
che, se questo cade, e non c'è più maggioranza e la parola
spetta agli elettori. Veltroni ha precisato che "il nostro sguardo va
prima alla coesione della maggioranza" di governo. Poi però la
sottolineatura di entrambi va sul minimo comune denominatore: la discussione
sulla nuova legge elettorale
va combinata con una riforma istituzionale che preveda "la riduzione del
numero dei parlamentari, il rafforzamento dei poteri dell'esecutivo e la fine
del bicameralismo perfetto", come ha detto oggi Fini. Si tratta di una
riforma che prevederebbe il mutamento di pezzi importanti della Costituzione
-- con un iter legislativo lungo e una maggioranza di due terzi del
Parlamento se non si vuole correre poi il rischio del referendum
-- ma entrambi i leader aprono alla possibilità di apportare alcuni di
questi cambiamenti attraverso la stessa legge elettorale. "Ci vogliono norme di tipo costituzionale
e elementi di legge elettorale
che rafforzino il bipolarismo", ha detto Veltroni. Anche Fini sostiene
che la "via maestra è l'intervento sulla Costituzione", ma
apre all'ipotesi di modificare il massimo possibile del sistema attraverso la
legge elettorale. Eppure
sul contenuto di quest'ultima accordo ancora non c'è. "Vogliamo
uscire dal bipolarismo forzoso, con alleanze coatte, ed entrare in un'altra
stagione del bipolarismo sulla base di un sistema proporzionale. Le due cose
non sono in contraddizione", ha detto Veltroni. Da parte sua, Fini
boccia la prima proposta veltroniana di un proporzionale con soglia di
sbarramento e altri correttivi, dicendo che la sua "stella polare
è un sistema che garantisca agli elettori di scegliere il partito, la
coalizione, il programma e il candidato premier". Sia Veltroni che Fini
sostengono che la discussione sulle "regole del gioco" non incide
su altre scelte politiche come la riforma radiotelevisiva e del conflitto di
interessi, che Berlusconi considera un "attentato" contro la sua
persona. Ma Veltroni ha osservato che l'adesione di An su una proposta di legge ulivista sul sistema politico c'è già
stata e riguarda la modifica dei regolamenti parlamentari, in base alla quale
dalla prossima legislatura i gruppi saranno ammessi in Parlamento soltanto se
avranno la stessa denominazione con cui si sono presentati agli elettori.
((Roberto Landucci, Redazione General News Roma +3906 85224380, fax +3906
8540860, italy.online@news.reuters.com)). Una spinta
al bipolarismo Ora tocca al centrodestra ( da "Giornale di Brescia" del 16-10-2007) Una
strada obbligata ma non nel breve termine ( da "Eco di Bergamo, L'" del 16-10-2007) Una spinta al bipolarismo Ora tocca al centrodestra
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Giornale di Brescia" del 16-10-2007) Edizione: 16/10/2007 testata: Giornale di
Brescia sezione:IN PRIMO PIANO Una spinta al bipolarismo Ora tocca al
centrodestra L'ANALISI di Roberto Chiarini Non è un caso che Fini
abbia convocato la manifestazione a Roma del suo partito, proprio alla
vigilia della grande kermesse elettorale del
costituendo Partito democratico. La mossa poteva risultare azzardata.
L'evento del giorno dopo, tanto atteso e tanto propagandato, poteva infatti
oscurare sui media l'appuntamento di An. Non solo, il confronto tra i milioni
accorsi alle urne e le - si temeva - poche decine di migliaia di militanti di
An poteva andare tutto a suo danno. Il successo è stato viceversa
pieno sia per afflusso di pubblico che per adesioni ricevute dagli alleati.
Ma quel che conta di più è che è, questa, la prima
reazione del centrodestra alla novità del Pd. Non è detto che
tutte le ambizioni del nuovo partito si traducano in realtà.
Ciò non toglie che la formazione nello schieramento avversario di un
polo di aggregazione dominante sia destinato ad esercitare una forte spinta
aggregante all'interno del centro-sinistra, con le inevitabili ripercussioni
sull'intero sistema politico. Molti esponenti del centrodestra lo avevano
intuito per tempo e avevano tentato nei mesi scorsi di unificare il proprio
schieramento dando vita o ad un partito unico o, quanto meno, ad una
federazione di partiti. Il progetto si è, però, subito arenato
di fronte alla ferma volontà, da una parte, della Lega di conservare
la propria autonomia e alla decisione dell'Udc, dall'altra, di fare da sé,
aprendo addirittura una competizione frontale con Berlusconi. Con la nascita del
Pd i giochi sono destinati, comunque, a riaprirsi. Il bipolarismo subisce un
grosso rinforzo, che può diventare una spinta
irresistibile se il parlamento non riuscirà a modificare la legge elettorale rendendo in tal modo inevitabile il referendum che
introduce di fatto il primato assoluto del partito più forte
all'interno delle due coalizioni. Tra tutti, il più interessato nel
centrodestra alla creazione di un partito dominante è certamente Fini.
Ancor più dello stesso Berlusconi. Fi, infatti, non teme al momento né
concorrenza né, tanto meno, rischi di isolamento da parte degli alleati. La
persistenza di un clima di strisciante competizione dei vari partner
all'interno dell'opposizione minaccia, invece, di logorare proprio la
leadership di Fini, perennemente nella scomoda posizione (l'allontanamento di
Storace dal partito è il primo serio campanello d'allarme) di
petulante proponente di un partito unico che non vede mai la luce, con l'alea
per di più di vedersi approvata nel frattempo una riforma elettorale "alla tedesca" che minaccerebbe An di
tornare ai margini del sistema politico. Si colloca in questo scenario la
decisione di Fini di far scendere in piazza il suo partito da solo. Ha voluto
segnalare, da un lato, la sua capacità di iniziativa politica. Si
è proposto, dall'altro, di stimolare gli alleati a procedere sulla via
tracciata dal Pd. Ha compiuto infine un passo per rimettere al centro
dell'agenda politica le cose da fare (su due temi, peraltro, caldissimi come
tasse e sicurezza), smarcandosi in tal modo dall'impopolare insistenza della
politica a parlarsi addosso. La buona accoglienza ricevuta da parte non solo
di Berlusconi, ma anche di Bossi e di Cesa non significa che la strada sia in
discesa, ma soltanto che contrapporre al Pd una forza equipollente è
diventata una strada obbligata. D'ora in poi anche a destra sarà
difficile non fare i conti con la spinta all'aggregazione dei poli che il
centrosinistra ha messo all'ordine del giorno e che il paese, stanco dei riti
inconcludenti della rinata partitocrazia, reclama. Una strada obbligata ma non nel breve termine
(sezione: Riforma elettorale)
(
da "Eco di Bergamo, L'" del 16-10-2007) Roberto Chiarini Non è un caso che
Fini abbia convocato la manifestazione a Roma del suo partito, proprio alla
vigilia della grande kermesse elettorale del
costituendo Partito democratico. La mossa poteva risultare azzardata.
L'evento del giorno dopo, tanto atteso e tanto propagandato, poteva infatti
oscurare sui media l'appuntamento di An. Non solo, il confronto tra i milioni
accorsi alle urne e le - si temeva - poche decine di migliaia di militanti di
An, poteva andare tutto a suo danno. Il successo è stato viceversa
pieno sia per afflusso di pubblico che per adesioni ricevute dagli alleati.
Ma quel che conta di più è che è, questa, la prima
reazione del centrodestra alla novità del Pd. Non è detto che
tutte le ambizioni del nuovo partito si traducano in realtà.
Ciò non toglie che la formazione nello schieramento avversario di un
polo di aggregazione dominante sia destinato ad esercitare una forte spinta
aggregante all'interno del centrosinistra, con le inevitabili ripercussioni
sull'intero sistema politico. Molti esponenti del centrodestra lo avevano
intuito per tempo e avevano tentato nei mesi scorsi di unificare il proprio
schieramento dando vita o ad un partito unico o, quanto meno, a una
federazione di partiti. Il progetto si è, però, subito arenato
di fronte alla ferma volontà, da una parte, della Lega di conservare
la propria autonomia e alla decisione dell'Udc, dall'altra, di fare da sé,
aprendo addirittura una competizione frontale con Berlusconi. Con la nascita
del Pd i giochi sono destinati, comunque, a riaprirsi. Il bipolarismo subisce
un grosso rinforzo, che può diventare una spinta
irresistibile se il parlamento non riuscirà a modificare la legge elettorale rendendo in tal modo inevitabile il referendum che
introduce di fatto il primato assoluto del partito più forte
all'interno delle due coalizioni. Tra tutti, il più interessato nel
centrodestra alla creazione di un partito dominante è certamente Fini.
Ancor più dello stesso Berlusconi. Fi, infatti, non teme al momento né
concorrenza né, tanto meno, rischi di isolamento da parte degli alleati. La
persistenza di un clima di strisciante competizione dei vari partner
all'interno dell'opposizione minaccia, invece, di logorare proprio la
leadership di Fini, perennemente nella scomoda posizione (l'allontanamento di
Storace dal partito è il primo serio campanello d'allarme) di
petulante proponente di un partito unico che non vede mai la luce, con l'alea
per di più di vedersi approvata nel frattempo una riforma elettorale "alla tedesca" che minaccerebbe An di
tornare ai margini del sistema politico. Si colloca in questo scenario la
decisione di Fini di far scendere in piazza il suo partito da solo. Ha voluto
segnalare, da un lato, la sua capacità di iniziativa politica. Si
è proposto, dall'altro, di stimolare gli alleati a procedere sulla via
tracciata dal Pd. Ha compiuto infine un passo per rimettere al centro
dell'agenda politica le cose da fare (su due temi, peraltro, caldissimi come
tasse e sicurezza) smarcandosi in tal modo dall'impopolare insistenza della
politica a parlarsi addosso. La buona accoglienza ricevuta da parte non solo
di Berlusconi, ma anche di Bossi e di Cesa non significa che la strada sia in
discesa, ma soltanto che contrapporre al Pd una forza equipollente è
diventata una strada obbligata. D'ora in poi anche a destra sarà
difficile non fare i conti con la spinta all'aggregazione dei poli che il
centrosinistra ha messo all'ordine del giorno e che il Paese, stanco dei riti
inconcludenti della rinata partitocrazia, reclama. Eppure
non c'è altra strada ( da "Italia Oggi" del 11-10-2007) Legge
elettorale, Calderoli possibilista su un'intesa ( da "Piccolo di Trieste, Il" del 11-10-2007) Eppure
non c'è altra strada (sezione: Riforma
elettorale)
(
da "Italia Oggi" del 11-10-2007) ItaliaOggi Pierluigi Castagnetti Vice Presidente Camera
dei deputati Visualizza la pagina in PDF Eppure non c'è
altra strada... Caro direttore, la legge elettorale con la quale è stato eletto il
Parlamento della XV legislatura ha aggravato la crisi di fiducia nei partiti
e accelerato la fuga dalla partecipazione politica. Oggi tutti i politici
hanno la responsabilità di riacquisire credibilità nei
confronti dei cittadini. La ricerca di nuovi strumenti di
partecipazione nella vita interna ai partiti è solo una parte di
questa storia, l'altra è la riforma della legge elettorale. In questo senso la scorsa settimana ho depositato in
parlamento una proposta di legge (sulla quale sto
raccogliendo l'adesione tra i parlamentari di tutti gli schieramenti) per la
reviviscenza della legge Mattarella attraverso l'abrogazione della legge Calderoli. Il collegio uninominale maggioritario per
riavvicinare ogni eletto al proprio elettore e ricomporre nell'unitarietà
del mandato elettorale la rappresentanza politica,
la rappresentanza degli interessi, e la rappresentanza territoriale. Sulla legge elettorale i partiti devono
operare recuperando quello che i costituzionalisti definiscono il “velo
dell,ignoranza” sulle proprie convenienze. è difficile, ma lo devono
fare per restituire ai cittadini il diritto di scegliere liberamente i propri
rappresentanti: “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita
nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1 della Costituzione). Non
dovrà più accadere di avere un Parlamento di “nominati”
attraverso liste bloccate su cui gli elettori non hanno alcuna voce in
capitolo. Lo stesso referendum Guzzetta che viene
evocato come minaccia, o come stimolo, per la riforma elettorale
è assolutamente inefficace su questo aspetto. Per superare il referendum e i troppi veti incrociati che stanno segnando
il dibattito credo che non resti altra strada che il ritorno del Mattarellum.
Bastano pochi articoli, da approvare auspicabilmente in modo condiviso, ma
senza stupirsi di un voto a maggioranza o di un accordo con solo chi sente
come un dovere ineludibile la responsabilità di cambiare l'attuale legge elettorale. Il fatto non
dovrebbe scandalizzare né richiamare alla memoria quanto accaduto nella
precedente legislatura, perché si tratterebbe di tornare a un sistema a suo
tempo ampiamente condiviso anche dall'attuale opposizione. Oltretutto l'altro
ieri in un seminario dell'Astrid è stato sottolineato dalla
maggioranza dei costituzionalisti presenti il rischio che le proposte sinora avanzate non superino i quesiti
referendari in quanto ancora incentrate intorno al meccanismo del premio di
maggioranza. Non tenerne conto equivarrebbe a stressare inutilmente il
parlamento che sarebbe condannato a lavorare a vuoto, i referendum
non sarebbero evitati ma solo trasferiti sulla nuova legge.
Pierluigi Castagnetti Vice Presidente Camera dei deputati. Legge elettorale, Calderoli possibilista su un'intesa (sezione: Riforma elettorale)(
da "Piccolo di Trieste, Il" del 11-10-2007) Il capogruppo leghista ottimista dopo l'apertura di Fini
Finocchiaro (Ulivo) propone il ritorno al "Mattarellum". Prc:
"Siamo contrari" Legge elettorale, Calderoli
possibilista su un'intesa ROMA Il segretario dei Ds Piero Fassino lancia un
appello a Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini affinchè diano la loro
disponibilità a varare una nuova legge elettorale. E Fini risponde che no, a lui questo governo non
piace, ma che se rimarrà in vita fino a dicembre lui, intorno a quel
tavolo, ci si siederà, perchè l'opposizione ha il
"dovere" di dialogare su un testo che recepisca "lo spirito
del referendum" e che sia per ripristinare un
sistema bipolare, maggioritario e costituzionale. Berlusconi invece liquida
ufficiosamente le domande dei suoi sull'argomento dichiarando che "la
questione non è in agenda". Le solite prese di posizione verrebbe
da dire. E invece no. Secondo il leghista Roberto Calderoli, qualcosa dietro
le quinte del palcoscenico aperto sulla legge elettorale sembra che si stia muovendo. E lui si proclama
"ottimista". "Stiamo lavorando a 360 gradi - confessa
l'esponente del Carroccio - per trovare un'intesa che possa mettere d'accordo
l'80% delle forze politiche presenti in Parlamento su un testo
condiviso". Già, perchè arrivare al 100% dei consensi
è un'impresa impossibile. Come dimostra la ridda di polemiche e
dichiarazioni esplosa dopo l'invito lanciato dal capogruppo dell'Ulivo al
Senato Anna Finocchiaro a tornare al "Mattarellum" (la legge elettorale basata su
collegi uninominali per il 75% degli eletti, varata nel '93) per
"garantire più governabilità" e per "mettere in
sicurezza il Paese". Il Prc, con il segretario Franco Giordano, è
il più esplicito: "Noi siamo assolutamente contrari a questa
ipotesi", ribadisce. Tutti gli sforzi, aggiunge, andrebbero incanalati
invece per il recepimento del sistema tedesco: una posizione condivisa da
Sinistra Democratica, ma criticata da Verdi e Pdci secondo i quali il
"Mattarellum" è sempre meglio della legge
attuale. L'appello di Anna Finocchiaro, che risponde in qualche modo alla
proposta di legge presentata il 1 ottobre alla
Camera da Pierluigi Castagnetti (Ulivo) che ripropone il
"Mattarellum" con qualche ritocco, viene commentato con toni
piuttosto ruvidi dal ministro delle Riforme Vannino Chiti. "Il parlare
continuamente di legge elettorale
- osserva il diesse toscano - riempie le pagine dei giornali, ma non fa fare
passi avanti". E invece i passi avanti su questo tema si devono fare
perchè, spiega un costituzionalista dell'Ulivo, il tempo stringe e il referendum è alle porte. Ed entro breve si attendono decisioni
importanti come quella se trasferire o meno la legge elettorale dal Senato alla Camera. La commissione Affari Costituzionali
di Montecitorio, presieduta da Luciano Violante, da oggi sarà
ufficialmente "disoccupata" visto che concluderà l'esame
della riforma costituzionale attesa in Aula per il 22 ottobre e potrebbe
occuparsi dell'annosa materia a tempo pieno. Indice degli articoli
DEL 9-10-2007
Riforme, Veltroni
costretto al dietrofront di Laura Cesaretti Il Giornale martedì 09 ottobre 2007 Colpo di Mattarellum al Porcellum
( da "Italia Oggi"
del 09-10-2007) Voto, possibile l'intesa sul modello
tedesco ( da "Piccolo di Trieste, Il" del
09-10-2007) Chiti: sul sistema tedesco è
possibile l'accordo. In Senato si lavora al testo
( da "Unita, L'"
del 09-10-2007) Riforme, Veltroni costretto al
dietrofront di Laura Cesaretti -
Il Giornale martedì 09 ottobre 2007 da Roma E infatti ieri è arrivata l’intervista del numero due veltroniano, Dario Franceschini, che apre a un «tedesco corretto»: «È indispensabile che l’alleanza si dichiari prima delle elezioni», spiega, altrimenti «si tornerebbe indietro alla stagione delle “mani libere”». I prodiani hanno subito ironizzato, sottolineando che «i veltroniani sostengono idee opposte a quelle di Veltroni». Ma dalle parti del sindaco assicurano che l’intervista era «concordata parola per parola», e spiegano: «Walter non può star fuori dalla partita, se si mette in moto: tutto il Pd preme per questa accelerazione, e con la clausola che premier e alleanze si designano prima del voto, lui ci sta». In serata, è Veltroni stesso a confermare: è «assolutamente necessario» fare le riforme prima di tornare alle urne, e «se siamo tutti d’accordo, facciamole». Colpo
di Mattarellum al Porcellum
(
da "Italia Oggi" del 09-10-2007) Argomenti: Proposte di legge ItaliaOggi ItaliaOggi
- Primo Piano Numero 239, pag. 3 del 9/10/2007 Autore: di Franco
Adriano Visualizza la pagina in PDF Si basa sul
ripescaggio dei migliori perdenti (pure della quota proporzionale del 25%) la
bozza FI e Ds. Colpo di Mattarellum al Porcellum Arriva la pdl bipartisan che
può disinnescare il referendum Primo
articolo: abolizione del Porcellum (la legge elettorale proporzionale vigente). Secondo articolo:
ripristino del Mattarellum, quello che faceva sfidare i candidati scelti
dalle due principali coalizioni in un collegio piuttosto ristretto. Terzo:
anche la quota proporzionale del 25 per cento alla camera, prevista dallo
stesso Mattarellum, va attribuita al ripescaggio dei migliori perdenti a
livello regionale (proprio come avveniva già per l'elezione dei
senatori). è in sintesi la bozza della proposta di legge
elettorale bipartisan che sta circolando fra i
gruppi dei due maggiori partiti delle coalizioni di centro-destra e
centro-sinistra, ossia FI e Ds. Per gli azzurri il deputato maggiormente
attivo è Guido Crosetto. Ma la proposta di legge dei peones, che intendono raccogliere centinaia di firme,
potrebbe fornire qualche sorpresa. I pregi di questa proposta sono evidenti
per le grandi formazioni politiche. Il referendum,
risultando abolita la legge elettorale che vuole andare a modificare, verrebbe disinnescato.
Secondo aspetto. Il confronto elettorale,
strettamente bipolare, come chiesto anche dai promotori referendari,
avverrebbe di nuovo fra uomini e donne anche a livello locale e non fra sigle
legate ai due candidati premier a livello nazionale, com'è successo
per il duello Romano Prodi-Silvio Berlusconi. Gli elettori tornerebbero a
votare l'uno o l'altro candidato a livello locale. Anche, come già
sottolineato, nel listino proporzionale delle camera, poiché il sistema del
ripescaggio dei migliori perdenti del collegio uninominali dà speranza
ai secondi in graduatoria, mai ai terzi classificati. Terzo aspetto: le
maggioranze che uscirebbero dalle urne sarebbero certe nei numeri. Ma non
mancherebbero di certo anche le controindicazioni. La prima riguarda le piccole
formazioni e in particolare la Lega Nord. Quanti collegi uninominali è
in grado di vincere da sola la formazione di Umberto Bossi nelle aree
geografiche in cui il consenso del Carroccio è particolarmente
concentrato? Seconda controindicazione: i centristi dell'Udc e dell'Udeur che
vedrebbero fortemente ridotto il loro spazio di manovra sono pronti a firmare
la loro morte. Il ministro Vannino Chiti, per esempio, sembra consapevole del
fatto che esista una più facile convergenza sul fatto di avere una nuova
legge elettorale che non
abbia il premio di maggioranza ma uno sbarramento intorno al 4-5% e i
candidati per il Parlamento o il 50% in collegi uninominali e il 50% in liste
proposte dai partiti, come in Germania, oppure tutti
in collegi molto piccoli con al massimo 6-7 candidati ciascuno".
"Ma non sarà nelle segrete stanze", assicura Chiti,
"che si deciderà se andare avanti". Insomma, dice Chiti:
"Credo che si possa procedere se c'è la volontà, se son rose
fioriranno". Detti popolari a parte, il discorso appassiona. Eccome. E
non vuole restar fuori dal dibattito il candidato e futuro segretario del
partito democratico, Walter Veltroni. Ha chiaro in mente "un pacchetto
di riforme su cui c'è la convergenza dei due schieramenti: riduzione
del numero dei parlamentari, una sola camera, tempi certi per il ddl del
governo". Un fatto è certo, l'ultima possibilità per
cambiare la legge elettorale
è questa. (riproduzione riservata). Voto, possibile l'intesa sul modello tedesco (sezione:
Riforma elettorale)
(
da "Piccolo di Trieste, Il" del 09-10-2007) Argomenti: Proposte di legge Riforma elettorale: la bozza Bianco
pronta entro il 20 ottobre. Ottimista il ministro Chiti Voto, possibile
l'intesa sul modello tedesco ROMA L'esame della Finanziaria non ferma la
discussione sulla riforma elettorale in prima
commissione al Senato, dove il presidente Enzo Bianco lavora per raccogliere
convergenze intorno ad un sistema ispirato al modello tedesco, per presentare
una bozza entro il 20 ottobre. "Credo che si possa procedere se
c'è la volontà, se sono rose fioriranno", è
l'auspicio che formula il ministro per le Riforme Vannino Chiti. Chiti vede
possibile nelle aule parlamentari "un sì o un no a breve" su
un sistema simile al tedesco, con indicazione del candidato alla presidenza
del Consiglio prima delle elezioni, omogeneità delle coalizioni senza
frammentazione, stabilità dei governi. Per il ministro, esiste "larga convergenza sul fatto di avere una nuova legge elettorale che non abbia il premio di maggioranza ma uno sbarramento
intorno al 4-5% e i candidati per il Parlamento o il 50% in collegi
uninominali e il 50% in liste proposte dai
partiti, come in Germania, oppure tutti in collegi molto piccoli con al massimo
6-7 candidati ciascuno". "Ma non sarà nelle segrete
stanze - assicura Chiti - che si deciderà se andare avanti".
Chiede di accelerare, sul doppio fronte delle riforme elettorale
e istituzionale, anche Walter Veltroni, che indica "un pacchetto di
riforme su cui c'è la convergenza dei due schieramenti: riduzione del
numero dei parlamentari, una sola Camera, tempi certi per i ddl del governo.
In otto mesi queste riforme si possono fare", dice. Rosy Bindi, anche
lei candidata alla segreteria del Pd, se fallirà la possibilità
di un dialogo, vede possibile "con un solo articolo il ritorno al
vecchio 'Mattarellum', che ha visto vincere e governare sia il centrosinistra
che il centrodestra". "Ma si tratta dell'ultima istanza - spiega -
perchè io preferirei una legge pienamente
bipolare. Intanto, il leader dell'opposizione Silvio Berlusconi continua a
ribadire il suo no al dialogo sulle riforme, mentre Gianfranco Fini chiarisce
invece che su quelle istituzionali "il dialogo può esserci fino a
quando il governo è in vita", senza che questo significhi voler
tenere in piedi Prodi. Quanto alla legge elettorale, il leader di An boccia ogni ipotesi che
preveda la reintroduzione delle preferenze. "Nel Mezzogiorno vorrebbe
dire chiudere entrambi gli occhi sulle situazioni di malaffare", dice
Fini. Mentre Maurizio Gasparri invita Chiti a "rassegnarsi":
nessuno spazio da An per il sistema tedesco, l'alternativa è tra voto
subito con la legge Calderoli se cade Prodi o referendum. Da registrare poi il botta e risposta tra
Franco Monaco e Gianclaudio Bressa, da leggersi
nell'ottica della corsa per le primarie del Pd. Monaco, deputato ulivista
sostenitore di Rosy Bindi, critica quella che definisce l'apertura di Dario
Franceschini al modello tedesco rifiutato da Veltroni, Ribatte Bressa,
vicepresidente dei deputati dell'Ulivo: Franceschini ha ripetuto ciò
che aveva detto sabato, con Veltroni, che nessun sistema elettorale
può consentire che si decidano alleanze di governo dopo il voto. Chiti:
sul sistema tedesco è possibile l'accordo. In Senato si lavora al
testo (sezione: Riforma
elettorale)
(
da "Unita, L'" del 09-10-2007) Argomenti: Proposte di legge Stai consultando l'edizione del RIFORMA ELETTORALE
Chiti: sul sistema tedesco è possibile l'accordo. In Senato si lavora
al testo L'ESAME della finanziaria non ferma la discussione sulla riforma elettorale in commissione al Senato; il presidente Enzo
Bianco lavora per raccogliere convergenze intorno ad un sistema ispirato al
modello tedesco, per presentare una bozza entro il 20 ottobre. "Credo
che si possa procedere se c'è la volontà, se sono rose
fioriranno", è l'auspicio del ministro per le Riforme Vannino
Chiti. Che vede possibile "un sì o un no a breve" su un
sistema simile al tedesco, con indicazione del candidato alla presidenza del
Consiglio prima delle elezioni, omogeneità delle coalizioni senza
frammentazione, stabilità dei governi. Perché c'è "larga
convergenza su una nuova legge elettorale
che non abbia il premio di maggioranza ma uno sbarramento intorno al 4-5% e i
candidati per il Parlamento o il 50% in collegi uninominali e il 50% in liste
proposte dai partiti, come in Germania, oppure tutti
in collegi molto piccoli con al massimo 6-7 candidati ciascuno. Ma non
sarà nelle segrete stanze che si deciderà se andare
avanti". Ma il leader dell'opposizione Silvio
Berlusconi continua a ribadire il suo no al dialogo sulle riforme, e
Gianfranco Fini chiarisce che su quelle istituzionali "il dialogo
può esserci fino a quando il governo è in vita", ma nella
Cdl nessuno terrà in piedi il governo Prodi. Quanto alla legge elettorale, il leader di An boccia ogni ipotesi di reintroduzione delle
preferenze. "Nel Mezzogiorno vorrebbe dire chiudere entrambi gli
occhi sulle situazioni di malaffare", dice. E Maurizio Gasparri invita
Chiti a rassegnarsi: Alleanza nazionale non offrirà nessuno spazio a
una riforma sul sistema tedesco, l'alternativa è tra voto subito con
la legge Calderoli se cade Prodi o referendum. INDICE DEL DOSSIER DAL 19-2-2007 ALL’8-10-2007
· Il Riformista 8-10-2007 La scommessa comune di Silvio e Walter. Stefano Cappellini ·
L’Eco di Bergamo 5-10-2007 L'opposizione
avanza, ma in ordine sparso ·
Italia Oggi del 4-10-2007 L'Analisi di Massimo Tosti
·
L’Espresso
28-9-2007 Faccio il bis con il bisturi di Marco Damilano ·
INDICE DAL 20
AL 26 SETTEMBRE 2007 ·
AGI 5-9-2007 LEGGE
ELETTORALE:IL POLITOLOGO CECCANTI,SI RISCHIA IL’LIFTING’ · La Gazzetta di Modena 31-7-2007 Il referendellum, pericolo per la Costituzione OMER BONEZZI * ·
Loccidentale.it
24-7-2007 Legge elettorale: le ipotesi in campo di Filippo Salone · AgenParl 19-7-2007 PIAZZA (SDI): UN 'CONTRAPPELLO' SUI REFERENDUM: NON LI FIRMATE ·
APCOM 18-7-2007 REFERENDUM/ CECCANTI:
NON FONDATI ARGOMENTI SU INCOSTITUZIONALITA' · L’Eco di Bergamo 24-4-2007 Riforma voto, le carte di Chiti. I referendari raccolgono le firme · L’Unità 10-4-2007 La legge elettorale e la bocciofila Gianfranco Pasquino · Il Giornale 4-4-2007 L'Udc "alla tedesca" in una morsa di Fabrizio De Feo · La Repubblica 2-4-2007 Legge elettorale, la Cdl trova l'intesa Berlusconi: "Alle elezioni con l'Udc" · La Repubblica 20-3-2007 Riforme, An incontra Prodi Fini: "Il referendum si farà" · Il Riformista 13-3-2007 Cambiare la legge elettorale non sarà così facile di Emanuele Macaluso · Il Cittadino 10-3-2007 Riforma elettorale ai piccoli dell’Unione non piace ·
Il Secolo XIX
Riforma elettorale, Prodi non mollala regia: "Ci penso
io" ridimensionato Chiti ·
Il
Riformista 9-3-2007 Modello tedesco?
No, compromesso all’italiana. di
Claudia Mancina ·
La Stampa
7-3-2007 Il Professore vuole evitare che qualcuno cerchi un'intesa per un
nuovo esecutivo ·
Italia Oggi
7-3-2007 Via alle consultazioni. E
Chiti cerca di capire: ma quanto siete tedeschi? ·
Il Sole 24 Ore
6-3-2007 Legge elettorale banco di prova delle maggioranze variabili
di Sara Bianchi · ANSA 4-3-2007 Referendum: i quesiti, il comitato, i tempi ·
Italia Oggi 2-3-2007 Il
SÜdtiroler Volkspartei alza il tiro. di Franco Adriano ·
La Repubblica del
27/02/2007 Riforma elettorale -
Filippo Ceccarelli ·
Da Il Sole 24 Ore
(27-2-2007). Legge elettorale,
è già lite. ·
La Repubblica del
27/02/2007 Le nuove regole
"chiamano" le urne - Sebastiano Messina ·
Il Manifesto del
26/02/2007 Manovre centriste sulla
legge elettorale ·
Il Velino.it del
23/02/2007 Legge elettorale, tante
ipotesi su cui convergere o litigare. ·
La Stampa del 19/02/2007 Berlusconi a Bossi: insieme al voto. UGO
MAGRI Il Riformista 8-10-2007 La scommessa
comune di Silvio e Walter. Stefano Cappellini
Uno dice che si può votare anche domani, senza
toccare la legge elettorale attuale. L’altro interviene pubblicamente per
stoppare una riforma alla tedesca che, oltre a essere ormai sponsorizzata da
tutto lo stato maggiore del partito di cui diventerà segretario dal 15
ottobre, è l’unica a godere di una maggioranza trasversale in
Parlamento. Silvio Berlusconi e Walter Veltroni, probabilissimi rivali al
prossimo giro di corsa, non hanno paura del referendum. Questa è la
prima spiegazione del perché i due leader si siano messi di traverso proprio
nel momento in cui in Parlamento è ripresa un’iniziativa per
archiviare il Porcellum sostenuta da un fronte bipartisan che va da
Rifondazione alla Lega, passando per il Pd e l’Udc. |