HOME    PRIVILEGIA NE IRROGANTO   di Mauro Novelli    

DOSSIER LAICI E CHIERICI

 Archivio dal 5 al 15 marzo 2007

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INDICE

·          L’Avvenire 15-3-2007 Esentarsi dal magistero una scelta mai automatica Pio Cerocchi

·          La Repubblica 14-3-2007  L'INTERVISTA Il segretario dello Sdi: "Giusto che il Papa parli ma la bibbia della politica è la Costituzione" Boselli ai laici dell'Unione "Basta, ora via il Concordato" Goffredo De Marchis

·          Il Corriere della Sera 14-3-2007 La Nota di Massimo Franco. Unione, caduto l'«alibi Ruini» La sfida ora viene dal Pontefice Ma il rapporto Stato-Chiesa resta irrisolto nei due schieramenti

·          Il Mattino di Padova 14-3-2007 UN'INGERENZA INSOSTENIBILE GIANFRANCO PASQUINO

·          Il Giornale di Brescia 14-3-2007 Unione, nuove tensioni laici-cattolici

·          La Stampa 13-3-2007 DOCUMENTO-RATZINGER AI VESCOVI Monito ai politici cattolici nella nuova Esortazione ApostolicaIl Papa: non votate leggi contro natura. Marco Tosatti

·          L’Unità 13-3-2007  La Chiesa prepara i cattolici allo scontro di Roberto Monteforte

·          La Stampa 13-3-2007  Proprio così ha detto, rovina. Se questa non è una minaccia, come dobbiamo prenderla? Maria Brancovitz

·          Il Centro 13-3-2007 La laicità e l'idea assolutistica Di Romolo Liberale *

·          Da APCom 12-3-2007. OSSERVATORE ROMANO: SIT IN PER I DICO, ESIBIZIONE CARNASCIALESCA

·          L’Avvenire 10-3-2007 I CATTOLICI E IL PAESE. Bagnasco: con tanta serenità e chiarezza.  Francesco Ognibene

·          Il Messaggero 12-3-2007  Da cattolica, Rosy Bindi ha ben chiaro che "stare al governo significa "adoperarsi per fare il bene possibile". Di Claudia Terracina

·          Il Piccolo di Trieste 12-3-2007  Tornano d'attualità le riflessioni di Alfredo Carlo Moro sui modi della presenza della Chiesa nella società italiana. di Corrado Belci

·          La Stampa 11-3-2007 Il Papa: Il rifiuto di Dio e dell'etica porta la società alla rovina

·          La Repubblica 11-3-2007 La Chiesa di Pascal che piace a noi laici – Eugenio Scalfari

·          Il Riformista 10-3-2007 La laicità non è un lusso È una priorità dello Stato

·          La Repubblica 9-3-2007 Le radici del nuovo potere temporale La chiesa di Ratzinger e la politica Dal governo territoriale alla spiritualità, come è mutata la loro funzione nei secoli Giuseppe Alberigo

·          Il Cittadino 9-3-2007 Bagnasco: "Ci sono valori invalicabili per i cattolici"

·          Il Corriere della sera 8-3-2007 I cattolici e il «ritorno» del cilicio «Noi cristiani dimentichiamo che la sofferenza ha un senso». Il poeta Rondoni: «La società ne impone di peggiori». Socci: «Gesto d'amore». Messori:«E le diete? E la chirurgia estetica?»

·          Il Corriere della sera 8-3-2007 Gli anni della Cei di Camillo Ruini LE RAGIONI DI UN CARDINALE di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

·          Il Secolo XIX 8-3-2007 Ratzinger: "La Chiesa non è struttura politica"Ma sui Dico il neopresidente ha già posto l'aut-aut continuità con il predecessore

·          La Stampa 7-3-2007 Un ritratto di Mons. Angelo Bagnasco Si tratta di una personalità diversa e nuova del mondo cattolico italiano Luca Rolandi

·          L’Avvenire 7-3-2007 INTERVISTA Il "j'accuse" del giurista Paolo Grossi: dopo le derive del soggettivismo dobbiamo tornare alla visione "sociale" della legge Di Edoardo Castagna

·          Il Corriere della Sera 7-3-2007 La rivoluzione riuscita Di Aldo Cazzullo

·          Il Corriere della Sera 6-3-2007 La polemica Dico, il testo arriva in Senato La Chiesa: cattolici, fermateli . Virginia Piccolillo

·          La Repubblica 6-3-2007 LA POLEMICA Parlano gli esponenti dell'associazionismo, dai Focolarini alle Acli a Cl Dopo-Ruini, la svolta cattolica "Il successore cambi passo

·          "Il Centro 6-3-2007 I cattolici affossino la legge Per monsignor Sgreccia è "un dovere".

·          l Riformista 6-3-2007 Perché restiamo nella famiglia del socialismo europeo di Emanuele Macaluso

·          La Stampa 5-3-2007  Le due Chiese in campo. Giacomo Galeazzi

·          La Sicilia 5-3-2007 Medici cattolici, i rischi reali del "relativismo" A. T.

·          Il Giornale 5-3-2007  Mastella: "No alle guerre di religione" di Gian Maria De Francesco

·          Libero 5-3-2007 Cretini e furbetti anticlericali di Alessandro Gnocchi

·          La Stampa 5-3-2007 La bibbia dei teo-dem Di Franco Garelli 42

·          Il Corriere della Sera 4-3-2007 Appello alla mobilitazione dei pensatori cattolici senza respingere la cultura del tempo  Ruini: «Cattolici svegliatevi» Il cardinale: «Meglio contestati che irrilevanti» Virginia Piccolillo. 45

·          Il Corriere della Sera 5-3-2007 ALBERIGO "Sbagliato evocare sempre nemici Molti dubbi anche dentro la Chiesa" Gian Guido Vecchi 46

·          La Repubblica 5-3-2007" I cattolici difendano la famiglia la Chiesa ha il dovere di richiamarli" di Franco Manzitti 47

·          Il Corriere della Sera 5-3-2007 PERA "Sì all'appello del presidente Cei In gioco tutta la cultura occidentale" Marco Galluzzo  48

 


L’Avvenire 15-3-2007 Esentarsi dal magistero una scelta mai automatica Pio Cerocchi

 

Quella sicumera davanti all'esortazione apostolica Tutti i grandi personaggi della storia con sole pochissime eccezioni, quando si sono trovati in opposizione alla Chiesa, hanno provato qualche dubbio; un tormento interiore o qualcosa del genere. Magari non proprio un dubbio sistematico, ma un pensiero fuggito all'autocontrollo per un moto spontaneo dell'animo, questo sì, tutti più o meno lo hanno avuto, a partire - si racconta - dallo stesso Martin Lutero, per non dire di Garibaldi e tanti altri che in qualche momento della loro vita, hanno sentito il bisogno di cedere un po' del proprio orgoglio, in nome di quella che gli appariva come la debolezza di un mistero, sul quale però poteva poggiare ancora qualche lontana speranza. Nella consapevolezza questa sì adulta, che qualche tratto di verità possa annidarsi anche dove non si vorrebbe, come ben riconobbe (e non solo in tarda età) il laico per eccellenza, Benedetto Croce. Lunga premessa per descrivere uno stupore: quello suscitato dalla spavalda sicurezza con la quale i "sessanta" cattolici democratici della Margherita hanno reagito - pare - ad una sola voce dinanzi all'invito alla "coerenza eucaristica" contenuto nell'esortazione Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI. Oh, ben'inteso, ha ragione monsignor Bruno Forte quando avverte che non ci può essere un'applicazione meccanica delle parole del magistero; allo stesso modo però in cui non ci può essere un'esenzione altrettanto meccanica dallo stesso magistero. E invece, una serie di affermazioni al suono di "Non cambia nulla" ha contrassegnato la reazione degli esponenti più in vista del gruppo. Da Franceschini a Castagnetti. Una sorta diipse dixit che non lascia, almeno nella pubblica percezione, alcun margine, non dirò ad una supina accettazione delle parole del Pontefice, ma almeno ad un vago bisogno di lasciare qualche spazio ad una approfondita riflessione, al di là della riaffermazione, davvero non richiesta, di una fedeltà ad un ddl che, a sentir loro, sembra tirato giù dalle Pandette di Giustiniano a fondamento della futura (e già gloriosa?) civiltà giuridica del Paese. I "sessanta", titola la Repubblica, vanno avanti. Ma dove? Possibile che non si avverta che ci potrebbe anche essere una qualche ragione dalla parte di un magistero che drammaticamente difende il deposito di quella verità di Dio sull'uomo, che chiama un popolo a riconoscerla e a fondare su di essa e non contro di essa, un cammino di liberazione dalla povertà spirituale che, nella crisi della modernità, sta cancellando anche il cielo? In altre parole, c'è da chiedersi quale modello antropologico, quale umanesimo cristiano persuadano così sollecitamente e unanimemente a considerare irrilevante il magistero di una Chiesa su un punto sul quale essa, peraltro, non fa che riconfermare un insegnamento mai dismesso nei secoli? E perché allora chiamarsi "cattolici" oltre che "democratici" e magari a questo titolo immaginare di tornare un domani a chiedere voti, e non avvertire invece, come un bisogno primario, quello di ricercare percorsi di coerenza sul merito di un provvedimento (ma altri ce ne saranno) che il richiamo formale alla laicità, davvero non esorcizza dai rischi dei suoi inevitabili effetti negativi sul Paese? Dove saranno le credenziali per un simile appello? Perché allora non fermarsi un attimo fuori dai riflettori, e dirsi: ragioniamo. Senza pregiudizi, mettendo da parte le convenienze di coalizione, per chiedersi invece: come facciamo a meritare la nostra storia, al pari di quanto i diessini intendono fare con la loro? Insomma meno gregariato per tutti, e un di più di fiducia in quella libertà che è - e resta - l'alveo naturale della laicità. E forse potrebbe convenire politicamente e, in un futuro che non sembra poi così lontano, anche in termini di voti


La Repubblica 14-3-2007  L'INTERVISTA Il segretario dello Sdi: "Giusto che il Papa parli ma la bibbia della politica è la Costituzione" Boselli ai laici dell'Unione "Basta, ora via il Concordato" Goffredo De Marchis

 

ROMA - "Mettiamola così: chiedere al Papa di tacere sarebbe impossibile e anche ingiusto, continuare a erogare 2 miliardi di euro di privilegi alla Chiesa cattolica è inaccettabile". Enrico Boselli, presidente dello Sdi, leader della Rosa nel pugno, non arretra, anche adesso che il vincolo ai "politici cattolici" contro le coppie di fatto non viene più da Camillo Ruini ma da Benedetto XVI. Il Concordato va rotto unilateralmente dallo Stato, dice Boselli. E l'accusa al Vaticano è quella di "essere classista. I Dico sono a vantaggio di chi non ha grandi possibilità economiche. La Chiesa invece conduce una vera e propria campagna di classe". Comunque si è finalmente capito che la Cei non si muoveva come un partito: aveva il pieno sostegno del Pontefice. "è vero. Chi pensava a un cambiamento di rotta dopo l'uscita di Ruini non può che rimanere deluso. Al Papa posso solo dire che può rivolgersi ai parlamentari, altrochè. Ma essi devono avere in tasca un'unica bibbia: la Costituzione repubblicana. Purtroppo, le gerarchie intendono svolgere un ruolo molto forte sulla vita pubblica italiana e mettono in discussione il principio della laicità dello Stato. Ma perché la loro voce non si alza per altri paesi europei che hanno approvato leggi più avanzate dei Dico? Perché non c'è una campagna simile in Germania che è il paese natale di Ratzinger?". Perché? "Forse perché si pensa che l'Italia dev'essere un paese con una sorveglianza speciale. Ma i diritti vanno tutelati da noi come altrove. Vaticano o no". Non sarà che le ingerenze trovano terreno fertile nella politica italiana? "In effetti sembra che la Chiesa consideri la politica e i politici l'anello debole dell'Italia. La società è più matura, lo dimostrano i sondaggi in cui la maggioranza dei cattolici è favorevole a una legge sulle convivenze". Questa debolezza riguarda anche il centrosinistra? "Sì. La Margherita e Rutelli, dal giorno del referendum sulla fecondazione assistita, hanno avuto un atteggiamento proclive, direi inginocchiato nei confronti delle gerarchie. C'è un problema anche nel nostro schieramento, va detto. Per me la soluzione resta una: l'abolizione del Concordato. Sono venute meno le ragioni di un accordo tra lo Stato e la Chiesa". Il Concordato l'ha firmato un socialista come lei, Craxi. "Craxi modificò i Patti lateranensi soprattutto in un punto: la fine della religione cattolica come religione di Stato". Il centrosinistra sarà anche debole nei confronti della Chiesa, come dice lei. Fatto sta che la sua posizione è isolata. "Non penso di essere solo nell'opinione pubblica. Ho la presunzione di credere che il Paese sia molto più sensibile di forze politiche timide, prive di coraggio, balbettanti. E di leader che voltano la testa dall'altra parte". Vista la violenza dello scontro, non valeva la pena varare una legge più avanzata dei Dico? "In tutte le grandi nazioni europee la legge sulle convivenze è più moderna, vero. A maggior ragione non si capisce perché in Italia non si debba approvare una legge come la Bindi-Pollastrini. La cosa più fastidiosa, nel dibattito italiano, è l'uso e l'abuso del termine "etica". Posso accettarlo se si discute di staminali o eutanasia. Ma non quando si prevedono diritti elementari come le visite in ospedale del convivente, la reversibilità della pensione. Che c'entra l'etica?". Quanto è laico il centrosinistra? "Non brilla, ha una voce debole, non ha il coraggio di affermare i suoi valori. Anche se Prodi si è comportato da cattolico liberale andando a votare per il referendum sulla procreazione. E io non dimentico che l'Italia l'hanno fatta proprio i cattolici liberali".


Il Corriere della Sera 14-3-2007 La NotaMassimo Franco Unione, caduto l'«alibi Ruini» La sfida ora viene dal Pontefice

Ma il rapporto Stato-Chiesa resta irrisolto nei due schieramenti

 

L' illusione un po' superficiale di una Cei «liberata» dal cardinale Camillo Ruini, e dunque meno arcigna verso l'Unione, sta già tramontando. Il martellamento di Benedetto XVI sulle leggi «contro la natura» che «politici e legislatori cattolici» non dovrebbero votare, non lascia margini. E il riferimento alla «coppia dell'uomo e della donna» come «nucleo fondante di ogni società», fatto ieri dal neopresidente della Cei, Angelo Bagnasco, chiude il cerchio di una continuità rocciosa. I rapporti fra Santa Sede e centrosinistra riemergono tormentati come prima.

Il modo stentoreo col quale la sinistra governativa denuncia l'«ingerenza vaticana», è la replica di un'incomunicabilità vistosa; e di categorie culturali datate, incapaci di rimodellare il dualismo Stato- Chiesa. Ma non offre novità neppure il sostegno acritico e a volte strumentale del centrodestra alle parole del Papa. Silvio Berlusconi è già immerso in una lunga campagna elettorale senza data del voto. E sembra scegliere il binomio Chiesa- ordine per logorare il governo. Le lodi al Pontefice e la presenza alla marcia del sindaco Letizia Moratti a Milano appaiono pezzi della stessa strategia.

Per l'Unione lo scontro assume contorni taglienti. La legge sulle unioni di fatto è in bilico. Ministri come Mastella e singoli eletti anticipano che non voteranno il provvedimento con una convinzione più forte che nel passato. Non significa che sono diventati numerosi: è solo più debole il fronte dei «Dico». E la pressione vaticana aumenta dopo le dimissioni di Ruini del 7 marzo.

Il rettore dell'ateneo Lateranense, monsignor Rino Fisichella, annuncia che la Cei discuterà la «Nota impegnativa» sulle unioni di fatto il 26 marzo, quasi in parallelo col Parlamento: una coincidenza quasi minacciosa. Ma soprattutto, le parole del Papa contengono espressioni che sono riferite alla situazione italiana. Si conferma un'offensiva concentrata sul Paese considerato la «vetrina» più vicina e strategica del cattolicesimo.

Non è detto che la pressione abbia successo. Ma sulla carta, al Senato i voti non bastano. E comunque, per il Vaticano il risultato sembra meno importante dell'esigenza di affermare principi «non negoziabili». Su questo sfondo, la sintonia che il centrodestra accredita viene incassata oltre Tevere, senza rilasciare deleghe. Ma per i cattolici al governo la situazione si complica. Il loro sforzo di distinguere fra laicità e convinzioni religiose potrebbe assumere contorni laceranti. Anche perché a tracciarli ora è Benedetto XVI: l'«alibi Ruini» è caduto.

Massimo Franco

14 marzo 2007


Il Mattino di Padova 14-3-2007 UN'INGERENZA INSOSTENIBILE GIANFRANCO PASQUINO

 

Da qualche tempo, la Chiesa cattolica italiana, grazie alla fin troppo vigorosa azione del Cardinale Ruini, rivendica e esercita un suo attivissimo ruolo pubblico. Anzi, sembra ritenere che il suo ruolo pubblico sia gradito dalla maggioranza degli italiani, addirittura maggioritariamente accettato e approvato come sarebbe dimostrato dall'esito del referendum sulla fecondazione assistita. Poco importa a vescovi, cardinali e allo stesso papa, che non hanno particolare dimestichezza con i numeri, se quel referendum sia stato fatto fallire non dai cattolici, ma dalla più vasta platea degli astensionisti, certamente in maggioranza non credenti. Non c'è nulla da obiettare ad un ruolo pubblico della religione. E' perfettamente accettabile, persino democraticamente utile, se i credenti cercano di fare valere le loro convinzioni sulla scena pubblica. Su questa scena, le convinzioni di ciascuno debbono essere affermate come opinioni e sostenute da argomentazioni, debbono essere sottoposte al contraddittorio in pubblico e dimostrate valide. Invece, la Chiesa cattolica pretende di avere il monopolio della validità delle espressioni in alcune materie, diventate assolutamente rilevanti dal punto di vista legislativo, poiché attengono alla vita, alla morte, alle modalità con le quali le persone, anche dello stesso sesso, si rapportano e magari intendono convivere per un tratto del loro percorso mondano. Non è affatto casuale che il Papa abbia dichiarato che ci sono valori non negoziabili. E', invece, del tutto ovvio, almeno ai laici, che possono anche essere credenti, quali valori siano o non siano negoziabili è una decisione da prendersi in pubblico, non imposta da qualcuno. Pertanto non bastano i pronunciamenti, anche se definiti "magistrali", dei papi e neppure quelli, immagino meno magistrali, dei cardinali. Quei pronunciamenti vanno discussi, confrontati con altre opinioni, sottoposti a vagli rigorosi. Se la religione decidesse che cosa la sfera della politica deve fare o non fare, allora non saremmo più in un regime democratico, rispettoso delle opinioni di tutti, ma poi autorizzato a decidere con il sostegno delle maggioranze pure rispettose delle minoranze. Saremmo in un regime teocratico e fondamentalista. Non si scorgerebbero differenze fra quanto la Chiesa cattolica tenta di imporre alla politica italiana da quanto fanno le autorità religiose in alcune situazioni medio-orientali. Infine, sostiene il Papa e ribadiscono cardinali e vescovi, tocca ai cattolici comportarsi con totale obbedienza ai dettami delle autorità religiose italiane. I loro comportamenti e i loro voti dovranno uniformarsi ai dettami delle autorità religiose. Qui si trova una plateale interferenza da parte del Vaticano nella politica dello Stato italiano. Più precisamente, se i parlamentari cattolici decidessero di seguire le imposizioni del Papa e dei cardinali violerebbero l'articolo 67 della Costituzione che sancisce lapidariamente che i parlamentari esercitano la loro funzione "senza vincolo di mandato". Nessuna acrobazia verbale riuscirà a giustificare voti supinamente espressione delle volontà ecclesiastiche. Politici dai partiti deboli, parlamentari cattolici timorosi di perdere il loro seggio farebbero un pessimo servizio alla politica italiana e allo stesso ruolo pubblico della loro religione.


Il Giornale di Brescia 14-3-2007 Unione, nuove tensioni laici-cattolici

 

Mentre nella Cdl i commenti alle parole del Papa sono di generale consenso, le due "anime" della maggioranza si dividono La famiglia torna ad accendere il dibattito nel mondo politico

 

 

ROMA Un'esortazione "post-sinodo" del Papa contenuta in un libretto di 131 pagine spiazza e getta lo scompiglio nel mondo politico. È vero che si tratta di principi generali riferiti ai cattolici di tutto il mondo, ma quel passaggio nel quale si invitano i politici credenti a "non votare leggi contro natura" e a sostenere valori come il rispetto della "famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna" sembra a tutti una fotografia fin troppo precisa della situazione italiana, alle prese con il problema dei Dico. Così la frattura tra i poli diventa subito trasversale.Con i cattolici, da una parte, che invitano ad abbassare i toni e a non banalizzare l'appello di Benedetto XVI, e i laici, dall'altra, che vivono la presa di posizione del Pontefice come un'"inaccettabile ingerenza" nella vita dello Stato. Unico credente fuori dal coro è il vicepresidente dell'Ulivo alla Camera Gianclaudio Bressa (DL). Per lui nessuna incertezza: nella vita privata è coerente con la sua fede. Si è sposato in Chiesa e non si è mai separato. Ma come legislatore ha un'unica bussola: la Costituzione. Soprattutto quell'articolo 3 che parla di uguaglianza e vieta discriminazioni di sesso, razza e religione. Invita invece a "non piegare alle esigenze del dibattito politico contingente" i documenti del magistero il vicepresidente della Camera Pierluigi Castagnetti, che però non vede pericoli per le famiglie a causa dei Dico. Gli altri "big" della politica, dal leader della Margherita Francesco Rutelli a quello dell'Udc Pier Ferdinando Casini, almeno per ora tacciono. E non prende posizione neanche il ministro della Giustizia Clemente Mastella, acerrimo nemico del riconoscimento delle unioni civili. Anche se per lui parla il capogruppo Udeur alla Camera Mauro Fabris, che consiglia di abbassare i toni, attacca "l'anticlericalismo" e avverte: "Noi non possiamo accettare nemmeno dagli alleati gli insulti al Papa". Soprattutto nell'Unione infatti si alza la voce. Con Franco Grillini (Ds) che accusa il Pontefice di "dittatura fuori dal tempo", e con il capogruppo dei senatori Prc Giovanni Russo Spena che invita i "colleghi credenti" a "non cedere ai diktat della Chiesa". In molti danno una lettura politica alle parole di Benedetto XVI, come fa Rina Gagliardi (Prc), che definisce "l'assalto del Pontefice" ai Dico una "mano tesa alle destre". Mentre il capogruppo dei Verdi alla Camera Angelo Bonelli definisce l'esortazione un "accanimento politico e religioso sulle coppie di fatto". E il presidente dei deputati Pdci Pino Sgobio invita a non confondere le acque: il Parlamento è una cosa, la Cei un'altra. Anche se aggiunge: il "pressing della Chiesa non ha precedenti nella storia repubblicana". Non vuol sentir parlare di pressing Federico Bricolo (Lega) che legge nell'appello del Papa "un grande abbraccio alla gloriosa tradizione cattolica". Esattamente il contrario di quanto sostiene l'Arcigay, secondo la quale il Vaticano "non riesce più a guardare con amore alla realtà sociale". E tranchant è anche il giudizio del leader dello Sdi Enrico Boselli: "Ormai è assolutamente evidente che è minacciata la laicità dello Stato". In particolare la Costituzione, incalza Vladimir Luxuria (Prc), perchè "le parole di Benedetto XVI" non la rispettano. Non tutti insorgono nell'Unione. Mimmo Lucà, dei Cristiano sociali (Ds), invita a "non immiserire il messaggio" del Papa, mentre Enzo Carra (DL) esponente teodem assicura che si atterrà ai principi indicati dal Pontefice, ma prima vuole attendere il documento Cei che tradurrà nella pratica l'esortazione papale. Consensi invece arrivano da An con Maurizio Gasparri ("stimolo importante") e con il capogruppo Udc alla Camera Luca Volontè che condivide "in pieno" l'appello del capo della Chiesa.

 


La Stampa 13-3-2007 DOCUMENTO-RATZINGER AI VESCOVI Monito ai politici cattolici nella nuova Esortazione Apostolica. Il Papa: non votate leggi contro natura. Marco Tosatti

 

CITTA' DEL VATICANO
Benedetto XVI pubblica oggi la sua «Esortazione Apostolica» sull’eucarestia, che «La Stampa» è in grado di anticipare, e lancia un monito severo ai politici e ai legislatori cattolici che, «consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana».

E’ ovvio che il Pontefice, in questo ampio documento (centosessanta pagine) che raccoglie il lavoro di quasi un mese di vescovi di tutto il mondo, riuniti nell’ottobre scorso a Roma per un «Sinodo» su questo tema, non ha in mente solo, o particolarmente, l’Italia e la battaglia dei Dico; ma la traducibilità in termini italiani è agevole e immediata. Il Papa parla di «coerenza eucaristica»; il culto a Dio non è mai un atto meramente privato, ma «richiede la pubblica testimonianza» della fede. E questo è vero «con particolare urgenza» per quelli che devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, «come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori - ammonisce Benedetto XVI - non sono negoziabili». E non si chieda alla Chiesa di tacere: «I vescovi sono tenuti a richiamare costantemente tali valori: ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato». E’ una presa di posizione che, per la sua autorevolezza, lo strumento usato (un’ «Esortazione Apostolica») e il fatto di avere origine da un Sinodo mondiale, segnato perciò da una partecipazione collegiale e qualificata di vescovi, ha un peso molto forte. In questa luce, anche il tanto atteso documento della Cei sui Dico (la cui uscita potrebbe slittare a maggio) ne verrà certamente condizionato.

Il documento - intitolato «Sacramentum Caritatis» - copre un ventaglio vastissimo di temi: dalla confessione, al celibato sacerdotale, alle nullità matrimoniali, al canto gregoriano fino alla posizione del tabernacolo nella chiesa, e a come organizzare la domenica. Fra l’altro, viene raccomandata «una equilibrata e approfondita prassi dell’indulgenza, lucrata per sé o per i defunti». L’indulgenza, che come è noto fu una delle cause dello scisma protestante, prevede la confessione personale; e il papa esorta a «favorire la confessione frequente», e a non usare l’assoluzione generale se non in casi eccezionali. Ma vediamo alcuni punti del documento.

Celibato. I sacerdoti devono sapere che il loro ministero «non deve mai mettere in primo piano loro stessi o le loro opinioni, ma Gesù Cristo». Cristo ha vissuto la sua missione «nello stato di verginità», e questo è il punto di riferimento della tradizione della Chiesa latina. Il sacerdote sposa la Chiesa; e allora, «in unità con la grande tradizione ecclesiale, con il Concilio Vaticano II e con i sommi pontefici miei predecessori, ribadisco la bellezza e l’importanza di una vita sacerdotale vissuta nel celibato... e ne confermo quindi l’obbligo per la tradizione latina». Divorziati risposati. Non possono essere ammessi ai sacramenti, perché «il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore fra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucarestia». Se c’è un dubbio sulla validità del primo matrimonio, bisogna rivolgersi ai tribunali ecclesiastici, ma fondamentale è «l’amore per la verità». Tradotto: niente manica larga con i riconoscimenti di nullità. Se la nullità non c’è, e però la convivenza è «irreversibile», se vogliono accostarsi ai sacramenti gli interessati devono vivere «come amici, come fratello e sorella».

Latino e gregoriano. Per le liturgie di massa: «E’ bene che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure siano recitate in latino le preghiere più note della tradizione della Chiesa ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano». E i futuri sacerdoti «fin dal tempo del seminario» siano preparati a celebrare in latino, «nonché ad utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano». E in generale, la liturgia non può «subire il ricatto di mode del momento».

 


L’Unità 13-3-2007  La Chiesa prepara i cattolici allo scontro di Roberto Monteforte

 

Domenica il Vaticano assicurava: niente caccia alle streghe. Ma ieri Sir, Cei e giornale vaticano hanno detto altro Nessuna caccia alle streghe: l'aveva chiesto l'arcivescovo Angelo Bagnasco il successore del cardinale Ruini alla guida dei vescovi italiani. Si immagina che il richiamo fosse rivolto ai due schieramenti. Ferma la sua difesa dei valori che per la Chiesa "non sono valicabili", come la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e aperta a generare la vita, ma da esercitare con "serenità" oltre che con "chiarezza". Una linea che è sembrata indicare un passo nuovo, più "pastorale" e vicino ai drammi dell'uomo e della donna nella società contemporanea. Una Chiesa, quindi, che pur tenendo ferma la difesa dei valori, è attenta a non esasperare i toni, a non acuire l'asprezza del confronto, a mantenere aperta la via del dialogo, nella distinzione dei ruoli e delle posizioni. Poi ieri è arrivato il commento dell'Osservatore romano alla manifestazione di sabato per il riconoscimento delle coppie di fatto in particolare per i diritti delle coppie omosessuali. "Un'esibizione carnascialesca" così l'ha bollata il giornale vaticano. Giudizi da fuoco alle polveri. In particolare per quelle critiche rivolte ai manifestanti gay che hanno marciato con i loro figli: colpevoli di voler dare l'idea di famiglia. È questa la linea della segreteria di Stato? L'impressione è che il clima "caccia alle streghe", da chiamata alle armi per i cattolici, lo stiano alimentando proprio le gerarchie. Un'impressione confermata dal Sir, l'agenzia di stampa dei vescovi che muove un richiamo fermo a quei cattolici "tiepidi", che paiono poco disposti a mobilitarsi contro i Dico. "Oggi è il tempo delle proposte", e per questo non è sostenibile un atteggiamento di "scelta tra indifferenti" come al tempo dei referendum sull'aborto e sul divorzio, ma bisogna chiamare "con il loro nome bene e male, vero e falso, giusto e sbagliato" tuona l'agenzia ispirata dalla Cei. "È il tempo delle proposte, con tre parole chiave: libertà, diritti, responsabilità" conclude il Sir che richiama le parole del nuovo presidente della Cei: "La vicenda dei Dico sta dimostrando con serenità e chiarezza che il preciso no pronunciato con coerenza non solo dai cattolici, ma da tanti laici, diventa un punto di riferimento aperto e creativo". Come sul referendum per la procreazione assistita è il via libera alla linea dello scontro. Così si prepara anche il terreno per quella Nota Cei "vincolante per i politici cattolici", voluta dal cardinale Ruini che sarà discussa il prossimo 26 marzo nel primo Consiglio permanente della Cei a "gestione Bagnasco". Parola d'ordine: sbarrare la strada ai Dico. Subito. Pare essere più importante delle misure concrete, pure invocate, a favore della famiglia tradizionale. Le richiama dai microfoni di Radio vaticana l'arcivescovo di Lecce, Cosmo Ruppi: far fronte alle difficoltà dei giovani a sposarsi, degli alloggi, degli affitti, l'insufficienza degli assegni familiari, la mancanza di tutela della famiglia vera. Ma prima vi è il richiamo alle forze politiche. "Facciano una valutazione di quello che è più urgente, più importante e di quello che è meno importante" e "diano la priorità ai problemi della famiglia rispetto ai Dico" afferma Ruppi che pure riconosce che le coppie di fatto meritano rispetto e che "la Chiesa non condanna nessuno". Ma la realtà pare essere diversa. Per la gerarchia vi sono diritti e doveri da non riconoscere per non rendere ancora più pesante la crisi della famiglia tradizionale. Sono richiami ai quali lo Stato, nella sua auspicata neutralità, non può essere indifferente. È il parere del patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola che nel suo ultimo libro "Una nuova laicità", edito da Marsilio affronta il tema del rapporto della Chiesa con la società contemporanea, pluralistica e complessa. "Il potere politico e dello Stato non è sacrale e quindi non è onnipotente" scrive, richiamando il diritto della Chiesa ad esercitare una "funzione di coscienza critica". Invoca uno Stato "laico", ma non "indifferente alle identità e alle culture" prevalenti e ai valori che stanno a fondamento della stessa convivenza democratica. Parla di convivenza dialogica, il cardinale. E del rispetto delle procedure del consenso. Di riconoscimento reciproco come garanzia da ogni integralismo. Ma che sia davvero reciproco.


La Stampa 13-3-2007  Proprio così ha detto, rovina. Se questa non è una minaccia, come dobbiamo prenderla? MARIA BRANCOVITZ

Ancora passata la polemica sui Dico, non sono ancora finiti gli echi della manifestazione a Roma del Gay pride, e Lui, sempre a Roma, domenica, ingiunge ai laici di pentirsi altrimenti li aspetta la "rovina". Roma Non mi pare che si possa parlare di "minaccia". La frase esatta del Papa è: "Le persone e le società che vivono senza mai mettersi in discussione hanno come unico destino finale la rovina". Fermiamo la polemica; rileggiamo questa frase: è davvero minacciosa? Non dice forse il Pontefice una verità che anche i laici dicono a sé stessi, sia pur con parole e in contesti differenti? Quello del Papa è un invito a ripensare la vita di ciascuno: "Cristo invita a rispondere al male prima di tutto con un serio esame di coscienza e con l'impegno a purificare la propria vita". Fa questo invito alla luce del Vangelo e del suo messaggio etico, ma nel delineare il rapporto fra male e responsabilità individuale, pone la stessa domanda che ogni coscienza laica si pone: che posso fare per rendere migliore il mondo? Qual è la mia responsabilità nella definizione delle cose? I laici si rispondono invitando ognuno a una vita retta, fatta di rispetto di doveri verso gli altri e di consapevolezza del proprio peso nella vita della collettività. Invitando ognuno a partire dalla propria vita per far diventare migliore quella degli altri. Il Papa invece parla di conversione, di penitenza, ma anche al centro del suo appello c'è la necessità di "cambiare in meglio sé stessi e la società". "La conversione - ha detto - pur non preservando dai problemi e dalle sventure, permette di affrontarli in modo diverso. Anzitutto aiuta a prevenire il male, disinnescando certe sue minacce. E in ogni caso permette di vincere il male con il bene, se non sempre sul piano dei fatti, che a volte sono indipendenti dalla nostra volontà, certamente su quello spirituale". Sono davvero così lontani i due punti di vista? È molto affascinante, in realtà, questo tema del rapporto fra colpe degli individui e male in un'epoca di paure (non a caso il Papa ha evocato due grandi disgrazie del passato) di fronte a eventi che "mettono in crisi le certezze umane". Il Pontefice offre la sua risposta: "Vera saggezza è lasciarsi interpellare dalla precarietà dell'esistenza e assumere un atteggiamento di responsabilità". Siamo forse noi laici esenti da queste paure, o esenti dal crollo delle nostre certezze? Lo scontro fra laici e cattolici è in qualche modo una costante del dibattito politico del nostro Paese negli ultimi due secoli. In generale, la turbolenza permanente sul tema Chiesa e politica va data per scontata. Ma c'è bisogno di un limite: la consapevolezza che la riflessione sulla condizione umana non può essere così facilmente divisa in parti.

 


Il Centro 13-3-2007 La laicità e l'idea assolutistica Di Romolo Liberale *

Ho letto e meditato con vivo interesse l'intervista che Piergiorgio Odifreddi ha rilasciato al "Centro" (7 marzo 2007), sul rapporto tra fede e scienza e sul come la chiesa esercita il suo magistero su un tema che in questi ultimi tempi dilaga nella pubblicistica e nell'attenzione di un pubblico che va molto al di là dei cosiddetti "addetti ai lavori". Un segno eloquente dell'interesse crescente è dato dal successo straordinario di opere come "Il Codice Da Vinci", "Il Vangelo secondo Giuda" con il commento di studiosi di grande levatura quali Rodolphe Kassr, Bart D. Ehrmann, Gregor Wurst, Marvin Meyer, "Inchiesta su Gesù" di Corrado Augias che trova nel biblista Mario Pesce un interlocutore di vaste conoscenze e di rigorosi ancoraggi documentari. Ho visto finanche ragazze e ragazzi con sottobraccio questi volumi e ho sentito parlarne come chi, scosso dal "sonno della ragione", si riappropria del proprio raziocinio e scopre l'unico modo per domandarsi cosa mettere, in relazione alla propria esperienza esistenziale, nello spazio temporale che va da quel che si pensava da bambino e quel che si pensa nella età della ragione. E lo stimolo viene - come è stato ricordato - dallo stesso San Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi per avvertire di tener sempre conto di come il tempo talvolta segna il confine tra l'immaginazione e la realtà. Il volume di Piergiorgio Odifreddi "Perchè non possiamo dirci cristiani (e meno che mai cattolici)" è destinato a seguire e ripetere il successo delle opere più avanti citate, per due motivi: primo, per la suggestione che il tema suscita saldandosi all'ansia di sapere perchè una verità che ci è stata proposta da secoli come rivelazione divina, trova oggi crescente confutazione sia sul piano di uno scavo storico, sia sul piano di un impegnato uso della ragione e della logica. Secondo, per la prestigiosa qualifica del suo autore il quale, a livello universitario e a livello della pubblicistica, ha dato un contributo inestimabile al pensiero laico come argine contro una invadenza che non solo predica, ma vuole imporre, sul piano della morale e dei rapporti civili, le sue verità che proclama pervicacemente essere "non negoziabili". Quando Benedetto XVI, nella sua Enciclica Deus est caritas afferma che "ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione ed aiuto", e poi sottolinea che "lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto il sè, diventa in definitiva un'istanza burocratica che non può assicurare l'essenziale di cui l'uomo ha bisogno", rivendica, sostanzialmente, il gesto d'amore come proveniente da Dio, ma il suo valore è vero solo se compiuto dalla chiesa. Insomma, se lo Stato si fa carico dei bisogni dell'uomo, è come se ciò defraudasse la chiesa di qualcosa a cui solo essa è abilitata. A questa idea assolutistica, con non poche implicazioni integralistiche, il noto esegeta delle Sacre Scritture Mario Pesce, discorrendo dell'apporto di altri settori della società alla promozione dell'uomo, cita l'assunto del Concilio Vaticano II che riconosce come anche "le altre religioni sono portatrici di verità e di valori morali, ma solo la chiesa cattolica possiede la verità piena e totale". Si domandi ognuno quanto spazio rimane per un proficuo confronto se una parte proclama anche l'unic verità (e di conseguenza l'unico sistema di valori) è quella che essa propugna. Ed è intorno a questo esasperato assolutismo che dilaga, proprio in questi giorni, il dibattito sui diritti della famiglia rispetto ai quali la chiesa pretende dallo Stato come, con quali limiti, regolare tali diritti; e come, umiliando l'attesa di tanti cittadini, lo Stato dovrebbe abdicare alla propria laicità perchè sia salva la concezione manichea di una verità "piena e totale" che non accetta mediazioni. * Scrittore.


Da APCom 12-3-2007. OSSERVATORE ROMANO: SIT IN PER I DICO, ESIBIZIONE CARNASCIALESCA

Città del Vaticano, 12 mar. (APCom) - Dura condanna dell'Osservatore Romano alla manifestazione di piazza Farnese di sabato sui 'Dico'. Una "esibizione carnascialesca" la chiama il quotidiano d'Oltretevere che definisce "discutibili le presenze" di alcuni ministri e "insultanti gli slogan" inneggiati.

Si è dunque inscenato sabato - osserva il quotidiano vaticano - il promesso corteo a favore del riconoscimento legale delle coppie omosessuali. Una manifestazione nella quale, al di là dell'immagine borghese e rassicurante che si voleva dare, hanno trovato posto discutibili mascherate e carnascialate varie. Ironie e isteriche esibizioni da parte di chi invoca riconoscimenti e non esprime rispetto. Erano in molti, fra l'altro - prosegue l'Osservatore Romano - i manifestanti omosessuali che recavano sulle spalle o per mano, dei bambini, frutto di precedenti relazioni o anche di fecondazioni praticate all'estero. Bambini - ammonisce ancora il quotidiano della Santa Sede - la cui presenza è stata sfruttata proprio allo scopo di accreditare l'immagine, che vorrebbe essere rassicurante, di una famiglia da tutelare".

L'Osservatore Romano condanna lo sfruttamento "dei bambini" che godono "anche nell'ordinamento italiano, di diritti che gli vengono riconosciuti comunque, in ogni condizione si trovino i loro genitori. Anche per questo - ammonisce il quotidiano d'Oltretevere - sfruttare la loro ingenuità appare un'operazione particolarmente criticabile". La manifestazione di sabato, dunque, "è anche, ancora una volta, la prova evidente di quale sia la finalità di chi si batte per il riconoscimento legale delle coppie omosessuali, essendo la presenza di minori determinante per garantire ad un nucleo famigliare particolari diritti. Non è un caso - conclude il quotidiano vaticano - che nelle immagini trasmesse sul corteo di sabato a parlare siano state quasi esclusivamente le coppie omosessuali, la categoria per la quale, al di là di ogni tattica politica, i recenti tentativi di regolamentazione sono concepiti".

L'Osservatore Romano non manca di criticare anche la presenza al corteo di tre ministri, "a dimostrazione di come una parte del Governo sembra volersi impegnare personalmente per una questione diventata inspiegabilmente prioritaria. Una presenza - prosegue - che ha portato fra l'altro il ministro della Giustizia Mastella a sfrondare il campo da ogni ipocrisia, avvertendo che sulla questione dei 'dico' il Governo potrebbe giocarsi la sua stessa esistenza. Mastella ha anche criticato il presidente del Consiglio Romano Prodi che, a suo modo di vedere, avrebbe potuto esprimere le sue 'perplessità' sulla presenza dei ministri in piazza 'un po' prima'".


L’Avvenire 10-3-2007 I CATTOLICI E IL PAESE. Bagnasco: con tanta serenità e chiarezza.  Francesco Ognibene

Il nuovo presidente della Cei: «Al servizio della collegialità, per il discernimento comune»

Dal Nostro Inviato A Genova

Non è difficile immaginare che l'agenda dell'arcivescovo di una diocesi metropolitana come Genova trabocchi di appuntamenti. Tanto più se appartiene a un pastore che non si risparmia come monsignor Angelo Bagnasco: le visite pastorali e la Messa nelle acciaierie, il ritiro per i docenti universitari e un incontro all'ospedale pediatrico Gaslini, feste patronali, la via crucis cittadina, e poi intere mattinate di udienze in Curia. E da mercoledì 7 la presidenza della Cei, non certo un impegno lieve.
Al termine di una sequenza di incontri nel suo studio, come tirando il fiato, risponde per un'ora e mezza alle nostre domande, col tono pacato, netto e la sobrietà dei gesti che gli sono caratteristiche, senza esitazioni ma come prendendo le misure di ogni concetto per trovargli il nome esatto. Tra tanti temi aperti, viene spontaneo iniziare proprio da quell'agenda.
Monsignor Bagnasco, oltre a Genova ora anche la guida della Cei. Come farà?
Quando l'ho incontrato nella visita ad limina dei vescovi liguri, il Papa mi ha chiesto del mio ministero a Genova. «Santità - gli ho risposto - faccio la bella esperienza della manna quotidiana». E lui ha replicato con un sorriso d'intesa. La manna è l'affidarsi a Dio giorno per giorno con tutta la fiducia di cui si è capaci, sapendo che Lui è fedele: dà l'aiuto per un passo alla volta, non di più. Perché a ogni nuova giornata vuole che rinnoviamo la coscienza di non poter fare nulla senza di Lui. Questo è per me un criterio ormai abituale.
In questi giorni lei ha "fatto notizia": come si è sentito accolto dall'opinione pubblica?
Nella sostanza molto bene, e devo dire che la cosa mi ha anche sorpreso. Posso immaginare che non sarà sempre così, ma fa parte del servizio che mi è stato affidato. Ha pesato nei giudizi certo anche la successione a una personalità così capace e autorevole come il cardinale Ruini, che ha segnato la Chiesa in Italia per vent'anni. Raccogliere il testimone da una figura sim ile è una responsabilità grandissima, davanti alla quale mi sento umanamente inadeguato. È Dio però che conduce la Chiesa, ogni uomo porta ciò che ha e che è. Per questo mi sento sereno e fiducioso. Come dissi mesi fa entrando a Genova, desidero essere me stesso, senza impegnarmi a "copiare" i miei predecessori.
Il giorno dopo la nomina lei ha fatto per la prima volta il suo ingresso nella sede della Cei a Roma come presidente. Che cos'ha pensato?
Ho notato anzitutto la grande simpatia con la quale sono stato accolto da tutti. Penso al segretario generale monsignor Betori, al quale mi legano un'amicizia e una stima consolidate. Betori costituisce per me uno straordinario punto di forza. Poi ho incontrato i direttori e collaboratori, sentendo tra tutti un grande calore, espresso con semplicità e senza l'ombra di un pregiudizio. E in un istante ho compreso il loro amore per la Chiesa.
Quali pensieri la stanno accompagnando in questi giorni?
La notizia della nomina me l'ha data lo stesso Santo Padre. La mia prima reazione è stata di grande sorpresa e insieme di gratitudine, mi sentivo come confuso davanti al compito che mi veniva prospettato. Ho però avvertito con forza tutta la sua fiducia. Ho coscienza della grande responsabilità verso i miei confratelli: devo servire la comunione e la fraternità episcopale. Vedo la gravosità del compito anche nell'importanza di questo momento storico, con i tanti e delicati appuntamenti che attendono sia la Chiesa sia l'Italia.
Qual è il volto della Chiesa italiana oggi?
È una Chiesa sempre più consapevole della propria fede, della necessità di annunciare il Vangelo e di essere presente come lievito nella storia del nostro Paese, rispettosa ma incisiva, per il suo bene, com'è dovere di ogni singolo cristiano. La dimensione pubblica della fede cristiana, in termini di servizio e di chiarezza, è coessenziale sia alla sua natura ecclesiale sia al suo rilievo nella vita di ciascuno. È in questo se nso che la Chiesa italiana sta molto crescendo. Certo, questa fede va ancora molto consolidata per renderla più pensata, più fondata sulle sue ragioni profonde. Ma la Chiesa italiana sa che è suo compito proporre oggi quella stessa fede a tutti, propagando ancora la gioia che essa reca con sé.
È prematura qualsiasi considerazione programmatica. Può però abbozzare un'idea che ritiene più necessaria ora?
La storia non nasce con noi, per fortuna. Sono consapevole di dover raccogliere come meglio posso la ricchezza di chi mi ha preceduto, con alcuni criteri. Anzitutto penso alla fisionomia intrinseca della Cei, che è una struttura di comunione, di fraternità episcopale e di servizio ai vescovi nelle loro diocesi. Qui ci sono criteri da confermare con molta determinazione, in collaborazione con tutti i vescovi, per servire le Chiese locali. La Cei è un luogo di elaborazione comunitaria delle grandi linee pastorali, secondo la prassi ormai consolidata e fruttuosa degli orientamenti decennali. Naturalmente queste coordinate pastorali sono poi assunte dai singoli vescovi nelle rispettive diocesi, con una responsabilità che è loro propria e non delegabile. La Cei non si sovrappone ai vescovi, è al loro servizio. Infine, fa parte della tradizione della Conferenza episcopale essere luogo per il discernimento della storia.
Che parola dice oggi la Chiesa italiana alla società?
Entro alla Cei in un momento, come questo che segue il Convegno ecclesiale nazionale di Verona dell'ottobre scorso, nel quale a guidarci è il mandato della speranza cristiana. Ci sono poi le urgenze che la storia di oggi propone alla Chiesa italiana e che ben conosciamo, con la doverosa promozione e difesa dei valori della vita, della famiglia, della libertà educativa, della giustizia e della pace. È in tutto questo che occorre riportare la speranza cristiana.
Lei raccoglie il testimone dal cardinale Ruini. Quali elementi della sua eredità vuole fare suoi?
Due su tu tti. Anzitutto il suo approccio a qualunque tipo di problema, che è sempre stato sostanzialmente pastorale. C'è poi la grande intuizione del Progetto culturale che al cuore ha la questione antropologica. Ruini c'è arrivato prima di tutti, nel '94: già allora aveva capito che la cultura italiana sarebbe andata a misurarsi sull'identità della persona umana. Tutte le questioni eticamente sensibili hanno alla loro radice la visione dell'uomo.
Quale sarà il suo stile nella conduzione della Cei?
Tra le molte cose lette in questi giorni, c'è una parola nella quale mi riconosco: "serenità". Mai lo scontro, ma fermezza sui princìpi. Il Papa ci dà l'esempio: garbato nel linguaggio, ma senza cedere su quello che conta. È lo stile di chi vuole rendere il servizio della chiarezza.
C'è un legame speciale tra la Chiesa italiana e il Papa. Che valore assume oggi?
La sua presenza in Roma e il peculiare rapporto con la nostra Conferenza episcopale è una grazia singolare. Il Papa è vescovo di Roma, e guarda all'Italia con un occhio e un cuore tutti particolari. Quindi il nostro riferimento a lui e alla sua parola per noi vescovi italiani è un dono straordinario di cui far tesoro.
Sempre più in Italia si guarda alla Chiesa come a un punto di riferimento. Come avverte questa attesa?
La sento nel contatto con la gente semplice, negli incontri, in lettere o e-mail. Anche non credenti ci incoraggiano a non recedere sui valori fondativi della società. La gente che ha buon senso - ed è la grande maggioranza - attende dalla Chiesa quella fermezza che a una parte dei media pare sconveniente, con un clamore su alcuni temi che a chi ha dimestichezza con la realtà pare del tutto sproporzionato.
Eppure c'è chi legge questo atteggiamento in senso opposto, come una minaccia...
Va sfatato il pregiudizio delle presunte "mire egemoniche", come se la Chiesa volesse mettersi alla guida del Paese. Proprio perché non ha di mira se stessa è ancora più lib era per parlare del bene della persona e dunque della stessa società. Facendolo ad alta voce sui valori portanti, sempre nel rispetto di tutti, la Chiesa intende rendere un servizio alla verità della persona umana, che è il fondamento dello Stato e il cuore della redenzione. Il suo è un atto d'amore al Paese. Se cercasse la propria gloria asseconderebbe la corrente, non la risalirebbe.
Anche tra i credenti fa breccia l'idea che non si può impedire ad altri quello che contrasta con i propri valori. Come giudica questo atteggiamento?
È un criterio sbagliato, sul quale però ho l'impressione che ci sia un po' di ripensamento. Si comincia a comprendere che l'applicazione dell'individualismo alla fine va contro il bene di tutti. Anche nella storia recente la Chiesa ha sempre proclamato e difeso la libertà responsabile dell'individuo, facendo scudo a ideologie totalitarie di qualsiasi matrice. Nel clima di iperliberismo individualista di oggi la Chiesa si trova invece a ricordare che quella libertà non è un assoluto: l'individuo non vive da solo ma è continuamente in relazione. Questo rovesciamento in realtà porta da un'ideologia a un'altra di segno opposto: non più l'individuo come ingranaggio di un meccanismo ma entità autosufficiente, sciolta da ogni legame.
La Chiesa richiama lo Stato ai suoi doveri, ma non tutti gradiscono...
Va ricordato con chiarezza che le scelte individuali hanno sempre riscontri di carattere comunitario. Uno Stato deve difendere la libertà individuale insieme al bene comune, che non è la somma di tanti singoli vantaggi ma un organismo armonico retto sui valori capaci di creare il bene di tutti: la famiglia e il rispetto per la vita, la libertà di educare i figli e la libertà religiosa... Uno Stato che sta a guardare, per il quale tutto dipende esclusivamente dalle scelte dell'individuo, non ha in mente una categoria di bene comune.
Vale anche per la famiglia?
Certo. Legittimare qualsiasi istanza vuol dire andare contro un'esperienza millenaria, una tradizione universale: nella famiglia formata da uomo e donna e aperta a generare la vita l'umanità da sempre riconosce il luogo imprescindibile per la propria perpetuazione e per l'educazione alla vita stessa. La storia ci consegna questo patrimonio naturale, un dato oggettivo. La comunità sociale riconosce ogni nuova famiglia come soggetto importante, nucleo fondante della sua stessa sussistenza, e la tutela individuando in essa il requisito della stabilità e dell'impegno pubblico. I diritti derivano da questa funzione sociale. È interesse della società tutelare la famiglia, perché così facendo tutela anche se stessa. Ecco perché occorre insistere in tutte le sedi perché siano attivate efficaci politiche per un vero rafforzamento della famiglia come bene prezioso di un Paese.
Si fa un gran parlare della necessità di "nuovi diritti"...
Nessuna condanna per le convivenze, è inaccettabile invece creare un nuovo soggetto di diritto pubblico che si veda assegnati diritti e tutele in analogia alla famiglia. La legge ha anche una funzione pedagogica, crea costume e mentalità. I giovani già oggi disorientati si vedono proporre dallo Stato diversi modelli di famiglia e certo non vengono aiutati a diventare cittadini adulti. Molto di ciò che viene chiesto è già oggi garantito dal diritto privato, una via però rifiutata per creare un nuovo soggetto alternativo in nome di una pretesa ideologica.
Un altro nodo è quello relativo alla fine della vita. Su quale frontiera dovrà attestarsi la Chiesa?
Una società che codifica l'assoluta libertà di ciascuno su se stesso, ad esempio con l'autodeterminazione senza alcun limite rispetto alla morte, si pone sulla via dell'implosione: l'assoluta libertà sciolta da ogni vincolo è la premessa per qualsiasi forma di violenza, di sopraffazione, di conflitto. È necessario che la cultura di oggi - come le grandi culture del passato - torni a riconoscere il senso del limite. Noi cristiani la chiamiamo «creaturalità della persona», un non credente può trovare il limite nella coscienza di non poter essere padroni assoluti né degli altri né di se stessi. In nome di cosa si potrà dire che non possono essere concessi alcuni "diritti" reclamati da singoli o gruppi ma che la collettività riconosce come aberrazioni? Sciolta da valori oggettivi, che è compito di una società riconoscere, la libertà si rivolta contro se stessa.
In un Paese lacerato su tutto è ancora possibile trovare un accordo non al ribasso su questi princìpi?
Quando il Papa insiste sulla necessità di allargare gli spazi della razionalità intende dire che la ragione non va mortificata riducendola a strumento che tutt'al più indaga sul funzionamento delle cose. Sono anche altri gli spazi che la ragione può esplorare, come il senso della vita e del mondo, della gioia e del lavoro, del dolore e della morte. Dove poi la ragione trova un orizzonte decisivo è sul terreno della questione etica, la capacità cioè di riconoscere il bene e il male indagando razionalmente sui valori. Va recuperata la dimensione della natura umana oggettiva, contro la quale si vede all'opera un accanimento culturale da parte di un'ideologia che descrive l'uomo come costruzione culturale variabile. La conseguenza è la sostituzione di qualsiasi valore assoluto con interessi e desideri transitori, sui quali si consuma una divisione senza fine. Il diritto positivo, privato del suo fondamento nel diritto naturale, diventa terreno di affermazione della prepotenza.
Che cosa direbbe agli uomini che oggi reggono le sorti della nostra vita pubblica?
I politici che cercano il consenso rincorrendo alcuni aspetti parziali della società si allontanano dalla gente e dalla stessa idea del bene di tutti, oggi centrata sui grandi temi etici. La politica ha come scopo il bene comune, non l'inseguimento dei desideri.
Monsignor Bagnasco, come immagina la Chiesa italiana dei prossimi anni?
Una Chiesa ricca di speranza, entusiasta di annunciare Cristo all'uomo affaticato che attende proprio quel messaggio di speranza. La gente chiede ai cristiani e ai loro pastori un incoraggiamento per vivere la vita e affrontare la morte. La Chiesa di domani, impegnata per essere questo segno visibile di speranza, deve sempre più farsi madre e maestra. Oggi più che mai questi due volti sono inseparabili, perché la Chiesa sia davvero speranza per il mondo.


Il Messaggero 12-3-2007  Da cattolica, Rosy Bindi ha ben chiaro che "stare al governo significa "adoperarsi per fare il bene possibile". Di Claudia Terracina

ROMA Da cattolica, Rosy Bindi ha ben chiaro che "stare al governo significa "adoperarsi per fare il bene possibile", quindi anche "per dare diritti alle minoranze", anche se è sicura che "la priorità sono le politiche per la famiglia". Per questo, il ministro, invita tutti "a riaprire il dialogo che non viene certo favorito con i "non possumus"". Riflessione che dedica a laici e cattolici. E, di fronte a nuove reprimenda da parte delle gerarchie ecclesiastiche, spera che "dai vescovi non arriveranno nè condanne, nè diktat ai cattolici impegnati in politica". Ministro Bindi, il nuovo presidente della Cei, monsignor Bagnasco, conferma che Ruini sta preparando un appello per i cattolici sui Dico. Non teme che possa inasprire le contrapposizioni? "Vedremo il contenuto di quella lettera, ma credo sia difficile allontanarsi dalla linea stabilita dal Concilio che invita noi cattolici a non lavarci le mani anche delle questioni più spinose. E penso sia giusto non sottrarci alle nostre responsabilità accettando la sfida della mediazione non solo per evitare il male, ma per garantire il maggior bene possibile". Tuttavia, dopo la manifestazione di sabato la contrapposizione tra i laici dell'Unione e i cattolici sembra più aspra che mai. Per Andreotti, Casini e l'Avvenire quella era "una caciara anti Chiesa". Lei che ne pensa? "Tutto sommato, la manifestazione è stata meno dirompente di altre, anche se certe parole e certi slogan sono stati eccessivi. Bisogna però considerare che il risentimento è scaturito dal fatto che quella piazza si è sentita giudicata ed esclusa da certi politici e da una parte delle gerarchie ecclesiastiche. E' giusto che i vescovi ricordino i valori e indichino un orientamento senza però togliere spazio alla mediazione". Lei continua a invitare al dialogo. Il governo però si è diviso ancora una volta, visto che i ministri Pollastrini, Pecoraro Scanio e Ferrero erano sul palco. E Prodi si è risentito.. "Bisogna dire che con i dodici punti stabiliti solo quindici giorni fa ci si era dati certe regole di comportamento, che sarebbe meglio rispettare. Ci sono cose precluse a chi governa e io credo che il nostro compito non sia andare in piazza, ma saper ascoltare la protesta e saper dare delle risposte". Quindi quei tre ministri hanno sbagliato. Ma altri due suoi colleghi, i cattolici Mastella e Fioroni, si preparano a manifestare per il Family day. Lei come ministro della Famiglia ci sarà? "Ripeto, quando si governa, le piazze sono precluse. Io mi sto dedicando anima e corpo alla Conferenza nazionale della famiglia e mi sto confrontando con le associazioni cattoliche, che incontrerò il 2 aprile. Come ho detto, per me la priorità sono le politiche da mettere in campo per la famiglia, non le manifestazioni". Se per lei la priorità sono le politiche familiari, a che posto mette i Dico? "Credo sia sbagliato mettere i diritti delle minoranze in contrapposizione con le politiche per la famiglia. Così come è un errore mettere piazza Farnese contro la piazza che verrà. Nessuna delle due manifestazioni può essere considerata un esempio di laicità". E cosa è la laicità? "Nè contrapposizione, nè imposizione dei nostri valori su quelli degli altri, nè tantomeno intolleranza. La sfida è trovare una sintesi tra le diverse sensibilità. Quindi, è giusta la battaglia contro ogni discriminazione, ma resta la centralità della famiglia". Provi a dirlo a Mastella.. "Quando Mastella critica i Dico in realtà pensa alla legge elettorale. E' un modo per difendere la sua identità, ma anche il centrosinistra dovrà ritrovare la sintesi perchè a furia di litigare rischiamo di cancellare le tante buone cose fatte da questo governo". Come risponde al leader dell'Udc, Casini, che invita i cattolici dell'Unione a reagire? "Lo invito a non fare polemiche strumentali perchè la politica più ostile alla famiglia è stata quella del governo Berlusconi. Noi abbiamo già adottato misure importanti in Finanziaria e andremo avanti. Mi auguro che voglia collaborare alla Conferenza della famiglia e che contribuisca a cambiare questa legge elettorale perchè un referendum non risolve nulla. Su questo sono d'accordo con Mastella. E per il futuro chissà..". Cosa accadrà in futuro? "Se l'Udc risolvesse le sue contraddizioni e si decidesse a certe scelte, Prodi potrebbe guidare l'allargamento della maggioranza con quello che sarebbe un interlocutore naturale. Ma sia chiaro che mai va cambiata la formula della coalizione".


Il Piccolo di Trieste 12-3-2007  Tornano d'attualità le riflessioni di Alfredo Carlo Moro sui modi della presenza della Chiesa nella società italiana. di Corrado Belci

 

Dopo gli interventi della Cei sul ddl per i diritti tra conviventi, da rileggere un testo del fratello dello statista Gli interventi della Presidenza della Cei sul disegno di legge per i diritti tra conviventi hanno suscitato una serie di riflessioni: sul ruolo dei laici nella Chiesa, sull'autonomia della sfera politica e sul concordato tra Stato e Chiesa. È naturale che la Chiesa intervenga - com'è suo dovere e suo diritto - su materie che toccano principi rilevanti, moralmente e socialmente. E che dichiari la eventuale dissonanza tra le leggi dello Stato, esistenti o in via di formazione, e i principi affermati nella propria dottrina. È invece cosa diversa annunciare testi "vincolanti per i cattolici", intendendo con ciò dettare i comportamenti dei cattolici eletti in Parlamento per legiferare nella sfera dello Stato. L'articolo 67 della Costituzione italiana stabilisce che "ogni parlamentare rappresenta la nazione ed esercita la sua funzione senza vincolo di mandato". E l'articolo 1 del Concordato 1984 ribadisce: "La Repubblica Italia e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani". La legislazione dello Stato nasce dal concorso di credenti cattolici, di diversamente credenti, di agnostici, di atei, di laicisti, secondo le evoluzioni (talvolta le involuzioni) culturali della società. Le leggi sono sempre frutto di mediazioni tra visioni diverse ed a queste mediazioni sono chiamati i parlamentari cattolici, i quali agiscono per far sì che le leggi rispettino o almeno risultino il meno distanti possibile dai principi in cui essi credono. Talvolta, quando si trovano in minoranza e soccombono, i cattolici vedono vulnerati quei principi (si ricordino i casi del divorzio e dell'aborto). In tali casi, essi devono "astenersi" dall'ulteriore corso della legislazione in fieri, o devono dare il loro contributo di legislatori, affinché le norme dello Stato siano il meno lontane possibile rispetto al principio, ancorché intaccato dal voto della maggioranza? La risposta sembra pacifica (i parlamentari devono operare la legge "meno lontana"), ma nella pratica spesso si manifesta una sorta di sfiducia nei confronti della saldezza della loro fede, proprio perché sono tenuti al difficile e ingrato compito della mediazione. È il problema del "male minore" o, come lo ha chiamato il cardinale Martini "del bene comune concretamente possibile in quel determinato contesto storico". Recentemente si sono levate alcune voci di fedeli cattolici di chiara fama (da Leopoldo Elia a Giuseppe Alberigo) per contestare il modo di porsi della Cei rispetto alla politica. Ed è tornato di attualità un testo che Alfredo Carlo Moro (fratello dello statista), aveva consegnato, due mesi prima di morire (novembre 2005), alla Fondazione Zancan, nel quale - dopo aver esaminato la crisi del diritto e della politica italiana - egli ha proposto alcune riflessioni sui "modi della presenza della Chiesa nella società italiana", che appaiono molto attuali. Moro dà per presupposta la distinzione conciliare tra comunità politica e Chiesa quale la definisce la "Gaudium et Spes" (n. 76) quando afferma che "la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo" e quando giudica "di grande importanza, soprattutto in una società pluralista... che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori". Tuttavia il compianto magistrato richiama il Concilio da "christifidelis laicus", che si appresta a far sentire la propria voce critica; e confessa di farlo "con grande tremore, però anche con forza" per rispondere all'impegno conciliare evocato dalla "Lumen Gentium" (n.37), laddove si dice dei laici che "secondo la scienza, competenza e prestigio di cui godono, hanno la facoltà, talora anche il dovere, di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa". Moro osserva come spesso vi sia un modo contraddittorio di porsi davanti al diritto, talvolta con una sopra-valutazione della legge - come se fosse strumento fondamentale di evangelizzazione - tal'altra con una sotto-valutazione della legge, dilatando arbitrariamente le obiezioni di coscienza ("si pensi al tema della obiezione fiscale"). Egli sottolinea che la Chiesa italiana, a volte, non si è fatta solo carico del diritto-dovere di proclamare i valori, ma anche delle mediazioni pratiche sul piano legislativo. Il testo poi denuncia il "preoccupante silenzio che si è tenuto sullo scempio della legalità e sulla caduta dell'etica politica e sociale" verificatisi negli anni passati, nell'ottica di ottenere benefici legislativi per istanze proprie del mondo cattolico. "Nessuna elargizione di privilegi per alcuni valori a cui i cattolici tengono - scrive su questo punto Moro - può compensare l'inquinamento della vita sociale, la rottura della legalità, la contrazione degli autentici diritti di cittadinanza, l'abbandono del principio dell'eguaglianza degli uomini di fronte alla legge, la sopravvalutazione degli interessi privati nei confronti di quelli pubblici". Moro scrive le sue note verso la fine della scorsa legislatura e i riferimenti sono evidenti soprattutto nelle due parti che si riferiscono alla crisi del diritto e della politica. Qui egli vuol rompere "l'impressionante e assordante silenzio" che si avverte (e non solo fra i laici) nella Chiesa italiana, nella quale sembra esistere solo l'ufficialità. Insomma, traspare nostalgia per le voci profetiche che offrono alla pastorale una capacità di evangelizzazione assai più forte della linea neo-concordataria che si affida ad una "trattativa tra poteri". Ma per una valutazione complessiva, anche questa parte dedicata ai "modi di presenza della Chiesa nella società italiana" non può essere separata dalle due precedenti, sulla crisi del diritto e della politica. Per la crisi del diritto, Moro riconosce i grandi progressi che hanno portato a fare del soggetto persona un riferimento più forte del soggetto patrimonio. E tuttavia richiama le "ombre" incombenti, quali lo "sviluppo alluvionale" della tematica dei diritti: "tutto rischia di diventare diritto, anche le attese, i desideri, i bisogni particolari che non hanno reali esigenze né possibilità di essere legittimati e di avere copertura pubblica" (e che spesso confliggono o con i diritti di altri o con la sfera dei propri doveri). Poi c'è un crepuscolo del diritto, quando la legge diventa tutela di interessi particolari o privilegio per singole persone (e cita apertamente l'ormai celebre caso Previti). Il declino del senso alto della politica si avverte poi - secondo A.C. Moro - dalla sostituzione della ricerca del bene comune con la politica "supermarket": e cioè, con lo spettacolo per la cattura del consenso; con la "pubblicità ingannevole" per la sostituzione dell'immagine (apparenza) al carisma delle idee; con la prevalenza del "contro" sul "per"; con la "tecnica aziendalistica costruita da alcuni sedicenti illuminati, che da soli sanno cosa può esser utile per tutti"; con la riduzione e gestione pragmatica dell'esistente, priva di contenuti valoriali e di capacità progettuale. Il monito è severo: guardatevi dal populismo del demagogo e dal "libertinismo illiberale", cioè dal presunto diritto di ogni uomo a scegliere liberamente ciò che per lui può essere più utile, superando la cultura del limite perché castrante. Chi avesse interesse a conoscere il testo nella sua integralità, lo può trovare nel fascicolo numero 6 del 2005 degli "Studi Zancan" (Padova), intitolato "Politiche e servizi alle persone" e presentato da un illuminante editoriale di monsignor Giovanni Nervo. Si tratta di un testo e di una biografia che conservano intatta tutta la loro attualità.


La Stampa 11-3-2007 Il Papa: Il rifiuto di Dio e dell'etica porta la società alla rovina

 

11/3/2007 (12:7) - IL DISCORSO DI FRONTE A 80MILA FEDELI

Benedetto XVI invita a ripensare la propria vita alla luce del messaggio etico del Vangelo: «La conversione permette di affrontare i problemi in modo diverso»

CITTA' DEL VATICANO
«Le persone e le società che vivono senza mai mettersi in discussione hanno come unico destino finale la rovina». Benedetto XVI pronuncia parole molto severe nel discorso agli oltre 60 mila fedeli presenti oggi in piazza San Pietro ai quali ricorda: «Cristo invita a rispondere al male prima di tutto con un serio esame di coscienza e con l’impegno a purificare la propria vita. Altrimenti, dice Gesù, periremo». Il Papa si ferma un istante e poi ripete: «periremo tutti nello stesso modo».
È un invito a ripensare la vita di ciascuno e di tutti alla luce del Vangelo e del suo messaggio etico. «La conversione - spiega il Papa - pur non preservando dai problemi e dalle sventure, permette di affrontarli in modo diverso. Anzitutto aiuta a prevenire il male, disinnescando certe sue minacce.
E, in ogni caso, permette di vincere il male con il bene, se non sempre sul piano dei fatti - che a volte sono indipendenti dalla nostra volontà, certamente su quello spirituale. In sintesi: la conversione vince il male nella sua radice che è il peccato, anche se non sempre può evitarne le conseguenze». Benedetto XVI prende spunto dal Vangelo di oggi che riporta il commento di Gesù a due fatti di cronaca. Il primo era la rivolta di alcuni Galilei, che era stata repressa da Pilato nel sangue; il secondo: il crollo di una torre Gerusalemme, che aveva causato diciotto vittime. «Due avvenimenti tragici - spiega il Papa - ben diversi: l’uno causato dall’uomo, l’altro accidentale. Secondo la mentalità del tempo, la gente era portata a pensare che la disgrazia si fosse abbattuta sulle vittime a motivo di qualche loro grave colpa».
«Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei? O che quei diciotto fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?», chiese invece Gesù che in entrambi i casi conclude: «No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti nello stesso modo».
«Ecco - afferma il Papa - il punto al quale Gesù vuole portare i suoi ascoltatori: la necessità della conversione. Non la propone in termini moralistici, bensì realistici, come l’unica risposta adeguata ad accadimenti che mettono in crisi le certezze umane. Di fronte a certe disgrazie non serve scaricare la colpa sulle vittime. Vera saggezza è piuttosto lasciarsi interpellare dalla precarietà dell’esistenza e assumere un atteggiamento di responsabilità: fare penitenza e migliorare la nostra vita». Secondo il Pontefice, «questa è sapienza, questa è la risposta più efficace al male, ad ogni livello, interpersonale, sociale e internazionale».
«Preghiamo Maria Santissima che ci accompagna e ci sostiene nell’itinerario quaresimale - è stata l’esortazione di Papa Ratzinger - affinchè aiuti ogni cristiano a riscoprire la grandezza, direi la bellezza della conversione. Ci aiuti a comprendere che fare penitenza e correggere la propria condotta non è semplice moralismo, ma la via più efficace per cambiare in meglio se stessi e la società. Lo esprime molto bene - conclude il Pontefice mentre sulla piazza gremita come non mai è calato un irreale silenzio - una felice sentenza: accendere un fiammifero vale più che maledire l’oscurità».

 


La Repubblica 11-3-2007 La Chiesa di Pascal che piace a noi laici – Eugenio Scalfari

 

LA QUESTIONE è diventata talmente chiara che la stessa Chiesa italiana ha smesso di negarne l'esistenza: esiste uno scontro aperto tra la Conferenza episcopale (cioè il maggior organo pastorale e politico dei cattolici) e lo Stato italiano, la rappresentanza parlamentare, i vari partiti e associazioni democratiche. Due concezioni si contrastano, due culture ciascuna delle quali deve moltissimo all'altra, si contrappongono e non soltanto sui modi per raggiungere un obiettivo comune, ma sulle finalità stesse che vengono proposte. Gli ultimi due papi scavalcando a piedi pari gran parte delle conclusioni e dello spirito del Vaticano II e di fatto cancellando i due pontificati precedenti, quello di Giovanni XXIII e quello di Paolo VI, hanno fatto dell'accusa di liberalismo e di relativismo un tema centrale e l'hanno usato sistematicamente per sconfessare di fatto l'intero valore della modernità, dal Rinascimento alla libera ricerca, dalla scienza sperimentale allo stoicismo di Montaigne, al "Discorso sul metodo" di Cartesio, all' "Etica" di Spinoza, all'Illuminismo, alla "Critica della ragion pura" di Kant e infine ai più recenti svolgimenti del pensiero filosofico derivanti da Schopenhauer e da Nietzsche e agli esiti scientifici di Freud, di Einstein e della fisica quantistica. Tutto questo immenso deposito di pensiero e di sapere è impregnato di relativismo nelle sue diverse varianti metodiche conoscitive ed etiche e tutto, preso nel suo insieme, si è proposto di spodestare la metafisica dal vertice del pensiero filosofico dove si era insediata a partire da Platone. Se dunque Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, pur dotati di diversa portanza e di diverso linguaggio, hanno deciso di eleggere come nemico numero uno della cattolicità il relativismo e l'Illuminismo e lo hanno ripetuto in gran parte delle loro pubbliche allocuzioni e delle più solenni encicliche; e se Ratzinger appena insediato sulla cattedra petrina, nella sua prolusione all'università di Ratisbona ebbe nei confronti del fondamentalismo islamico accenti addirittura meno severi di quelli riservati al pensiero moderno dell'Occidente, non è purtroppo lontano dal vero parlare oggi d'uno scontro in atto tra cattolicesimo e modernità. La Chiesa lo nega tenacemente. E come potrebbe ammetterlo, visto che la sua missione è quella di stare tra la gente, ascoltarne i dolori e le richieste, darle un progetto di sicurezza e di salvezza senza mai separarsi dai diversi e dai peccatori? La Chiesa tiene ben ferma questa sua missione perché essa costituisce il fondamento del messaggio evangelico e della predicazione del Cristo e dei suoi apostoli. Ma la contraddice tutte le volte in cui fa passare questa missione in seconda fila di fronte ad altre incombenze che ritiene più urgenti per l'affermazione del suo potere. In realtà nella Chiesa cattolica ci sono due anime. Una è quella dell'Evangelo, dell'amore, della misericordia, della povertà; l'altra è quello del potere, della politica, dell' "imperium". La prima spesso è perseguitata, sofferente e tuttavia portatrice di salvezza nel regno futuro delle Beatitudini; la seconda si sente forte e fonte unica e legittima d'investitura: investitura di verità e insieme di potere terreno. Nella Chiesa cattolica questa divisione tra le due anime è stata particolarmente visibile per la struttura stessa della sua organizzazione centrata su un unico personaggio che la rappresenta interamente per il fatto stesso di rappresentare il Cristo incarnato e portare con ciò la presenza del Redentore. Nelle altre chiese cristiane questa unità di comando non esiste e neppure esiste nelle altre religioni monoteistiche: nell'Islam e nell'ebraismo. Probabilmente questa duplicità del cattolicesimo questa sua doppia anima riunificata in una persona è stato uno degli elementi che ne ha esaltato la dinamica e la capacità di comprendere e di aderire ai mutamenti della società. Per capire a fondo le persone, individui e comunità, bisogna avere l'attitudine e l'attrezzatura psicologica per commerciare anche con gli interessi oltre che con i principi le convinzioni e i dogmi. La Chiesa cattolica è stata la sola ad avere questa vocazione e i frutti positivi ne sono stati copiosi per lei e per le popolazioni che ne hanno seguito il messaggio e gli incitamenti. Ma non è certo un caso se in anni più recenti la sua influenza si è ristretta nel mondo occidentale ed è diventata assai più ampia in Africa e in America Latina. Questo movimento di sgonfiamento e rigonfiamento ha proceduto di pari passo con la secolarizzazione della società moderna l'affermarsi del concetto di laicità nelle nazioni dell'Europa e del nord America. La vocazione missionaria nel senso più ampio del termine della Chiesa cattolica ha finalmente sfondato in quei paesi ancora immersi nella povertà e in mitologie tribali che la Chiesa ha avuto la capacità di trasferire nel messaggio cristiano come del resto già aveva fatto nel momento della evangelizzazione dei popoli germanici alla caduta dell'Impero Romano. * * * * Il nemico è insomma il relativismo, la rivendicazione dell'autonomia di ciascuno, la ricerca sperimentale della verità che non esclude neppure l'inesistenza di un'unica verità assoluta. E di conseguenza l'abbandono della trascendenza, antico rifugio contro l'insicurezza del vivere e ultima istanza del giudizio finale tra buoni e cattivi, tra bene e male. Il pensiero laico è stato lungamente silente su questa diabolizzazione cui la Chiesa l'ha sottoposto. Parlo del pensiero laico e non di quello anticlericale che ne rappresenta una caricatura. Il pensiero laico non ha mai escluso (e come potrebbe?) il mistero, l'Increato, la necessità di dare un senso al nostro vivere. Si è sempre posto con estrema serietà i problemi della vita e della morte. Non ha mai confuso il complesso delle sue idee e delle sue convinzioni con la secolarizzazione consumista che è fenomeno diverso e per molti aspetti deteriore. Per di più il pensiero laico, anzi il mondo laico, non ha una struttura di potere, non ha associazioni proprie che lo rappresentino, non parla "ex cathedra". Predica libertà, democrazia, tolleranza. Perciò non ha alcuna responsabilità nello scontro che si è determinato con la Chiesa se non per il fatto di opporsi alle pretese ecclesiastiche di voler imporre ad una comunità dove convivono pacificamente cattolici, laici e fedeli di altre religioni, istituti che vietino l'esercizio e il riconoscimento dei diritti. Diritti di minoranze, certo, e proprio per questo ancor più sacri e degni di riconoscimento e tutela. Ieri si è svolta a Roma una manifestazione in favore del progetto di legge sulle convivenze di fatto, sia eterosessuali sia omosessuali sia affettive tra amici e parenti lontani. Come tutte le proposte, anche queste possono essere migliorate ma non certo abolite. Questa sarebbe infatti una prevaricazione contro una minoranza del tutto inaccettabile per ogni democratico responsabile. Proprio per questo il documento dei sessanta parlamentari cattolici della Margherita in difesa della propria autonomia rispetto alle ingiunzioni dei Vescovi sul voto per le convivenze di fatto ha rappresentato un evento positivo e ? senza esagerazione ? storico. Non accadeva da mezzo secolo che il laicato cattolico politicamente impegnato prendesse una posizione di questo genere. L'episodio di De Gasperi, quando bocciò la lista clerico-fascista nelle elezioni comunali di Roma, proposta da Sturzo e caldeggiata da papa Pacelli, fu un atto di grande importanza che aveva però come autore un presidente del Consiglio capo e fondatore della Dc. Nel caso dei "sessanta" si è trattato di deputati e senatori per lo più sconosciuti e tuttavia fieri dell'autonomia del loro rango costituzionale e del loro impegno politico. Gli avversari dei patti sulle convivenze di fatto cercano di dimostrare che quei diritti sono in gran parte già riconosciuti dal codice civile e che quindi una legge in proposito è del tutto inutile. Se la si vuole, la si vuole per dare riconoscimento pubblico a quei diritti e a quelle coppie. L'obiezione è in parte inesistente e in parte sbagliata. Inesistente perché la quasi totalità dei diritti in questione deve essere affermata "erga omnes" cioè nei confronti dei terzi, senza di che quel diritto è di fatto inesistente. Sbagliata perché il riconoscimento pubblico di una situazione è un atto fondamentale che attiene alla dignità delle persone ed alla loro riconoscibilità. * * * * Qualche giorno fa si è svolto nel salotto televisivo di Giuliano Ferrara un dibattito di spessore su questo tema. L'ho seguito con interesse; ho apprezzato la prudenza e anche il garbo con il quale ha sostenuto le ragioni della Chiesa il cardinale Barragan, le efficaci stimolazioni del conduttore il quale, per antica vocazione, vorrebbe che i suoi invitati preferiti facessero a pezzi gli avversari e che il suo manicheismo fosse fatto proprio da tutti i partecipanti non concependo lui, nella vita pubblica, altra modalità per regolare i conti tra opposte convinzioni, interessi, poteri. Ma ho soprattutto apprezzato l'intervento finale di Rosy Bindi, coautrice con il ministro Barbara Pollastrini del disegno di legge sulle convivenze di fatto ormai da tempo presentato in Parlamento. Sul tema specifico si era già detto tutto e del resto esiste un testo legislativo che non abbisogna di ulteriori spiegazioni. Di che cosa dunque doveva parlare la Bindi a chiusura di quel dibattito? Ha parlato di cristianesimo. Ha detto tre cose che mi hanno molto colpito e che voglio qui riportare con la massima chiarezza così come mi sono arrivate. Vorrei che la religione si occupasse soprattutto di Dio e di Cristo. Vorrei una Chiesa pastorale che non solo vivesse tra la gente ma tra i diversi, tra quelli che non la pensano come noi, che noi consideriamo peccatori, ma che sono pur sempre uomini e donne come noi. In loro dobbiamo percepire esaltare aiutare la scintilla divina che anch'essi possiedono al pari di noi. Che cos'altro il Cristo ci esorta a fare? Ma è questo che stiamo facendo? Tanti uccelli si posano la notte sui rami degli alberi e ne ripartono al mattino. A volte ritornano, altre volte non più. Ma l'albero che li ha ospitati ha comunque dato e ricevuto da ciascuno di essi qualche cosa, qualche insegnamento e comunque la presenza di una vita. Non so se questa conclusione d'un dibattito che si annunciava ed è stato polemico sia piaciuta al suo turgido conduttore. A me, laico non credente, è piaciuta molto. A me piace la Chiesa di Francesco e anche quella di Agostino, quella di Bernardo, quella di Duns Scoto. Mi piace quella di Pascal e quella di Maritain. Mi piace quella del cardinale Martini. Mentirei se dicessi che mi piace quella di Camillo Ruini. Politicamente sarebbe forse stato un papa migliore di Ratzinger. Ma la Chiesa ha bisogno di un politico sulla sedia di Pietro? Se è questo di cui ha bisogno, allora è perduta.


Il Riformista 10-3-2007 La laicità non è un lusso È una priorità dello Stato

Torna a farsi sentire anche dalle nostre parti un argomento (?) antico, con il quale chi ha qualche annetto sulle spalle ha dovuto fare i conti già alcuni secoli fa: ai tempi del divorzio prima e dell’aborto poi, per intenderci. Le libertà, i diritti, la laicità della politica e dello Stato? Tutte cose serie e importanti, ci mancherebbe, di cui bisognerà occuparsi. Prima o poi. Ma meglio, molto meglio poi. Perché al momento le priorità sono altre, ieri l’inflazione e il terrorismo interno, oggi le pensioni, la riforma del mercato del lavoro, l’Afghanistan e via elencando. Per affrontarle, e venirne a capo, c’è bisogno soprattutto di unità. Tra le forze che hanno responsabilità di governo, si capisce, ma anche, e forse soprattutto, nel Paese. Dunque, porre l’accento adesso sulle libertà, sui diritti, sulla laicità della politica e dello Stato sarebbe un errore gravissimo, forse addirittura una pazzia. Perché (si diceva ieri) si turberebbero, e in nome di valori tutto sommato «borghesi», la «pace religiosa degli italiani» e l’operosa serenità delle famiglie dei lavoratori, che hanno a che fare con problemi tutto sommato ben più seri. Perché, si dice oggi, si rischierebbe di mandare in pezzi quel po’ di unità che il centrosinistra è riuscito nonostante tutto a mantenere, e si innescherebbe una reazione del Vaticano, della chiesa e della Cei di proporzioni incalcolabili e dagli esiti potenzialmente sconvolgenti, della quale una manifestazione oceanica per il Family Day sarebbe solo l’antipasto: il governo, varando il ddl sui Dico, ha fatto la sua parte, forse persino in eccesso, ora occupiamoci d’altro.


La Repubblica 9-3-2007 Le radici del nuovo potere temporale La chiesa di Ratzinger e la politica Dal governo territoriale alla spiritualità, come è mutata la loro funzione nei secoli. Giuseppe Alberigo

 

Cosa accadrà dopo il cambio al vertice della Conferenza episcopale

All'interno della storia della chiesa e in rapporto alla società la funzione, il ruolo e il peso dei vescovi è stato molto diverso. In origine questa figura aveva il compito di curare i rapporti tra le varie comunità ed eleggere i nuovi vescovi; elezione accettata e convalidata, in genere per acclamazione, dal popolo. È una situazione che durerà parecchi secoli, durante i quali assistiamo all'affermazione di un'autorità soprattutto spirituale. La prima grande novità si verifica nell'età feudale. Moltissimi vescovi diventano veri e propri signori feudali. Nascono figure impensabili prima. Il vescovo-conte o il vescovo-principe esercitano non solo un potere spirituale ma anche e soprattutto una signoria territoriale. Appartengono a una nuova geografia sociale che travalica i compiti tradizionali della chiesa. La conseguenza è che si diventa vescovo meno per vocazione e sempre più spesso per interessi di famiglia o per ambizione politica personale. Ancora fino a un secolo fa il vescovo di Trento era un principe dell'impero austro-ungarico. La sua autorità più che dalla chiesa finiva con l'essere legittimata dal sovrano. In nome di questa autorità territoriale decine di vescovi, sparsi per l'Europa, avevano proprie milizie, battevano moneta, ed erano autorizzati a imporre tasse. Il loro potere temporale inglobava e nascondeva quello spirituale. Un tale rilievo sociale, politico ed economico crebbe fino alla metà del Cinquecento, quando il Concilio di Trento tentò di ridimensionare questo processo avanzato di secolarizzazione. Già Lutero e i protestanti avevano denunciato una situazione nella quale i vescovi non facevano più i vescovi ma i signori temporali. Costoro spesso non vivevano neppure più nelle diocesi ma alla corte del principe più importante, al quale esprimevano devozione e fiducia e, in cambio della sottomissione, ricevevano la convalida del loro potere. Il Concilio di Trento porrà le basi per eliminare tutto questo. Ma occorrerà aspettare ancora due secoli perché di fatto la situazione si risolva. Saranno gli stati nazionali a eliminare progressivamente questi signorotti locali che ormai non sono più né laici né vescovi, ma un ibrido giuridicamente preoccupante. Si tratta di un passaggio fondamentale per ristabilire una figura di vescovo che avesse una fisionomia soprattutto spirituale, oggi diremmo pastorale. Chi è dunque il vescovo oggi? Ecco una domanda che richiede una considerazione allarmante. Ancora quarant'anni fa, cioè all'epoca del Concilio Vaticano II, i vescovi erano circa duemila e cinquecento. Oggi nel mondo sono più che raddoppiati. Alla crescita numerica si è accompagnato mediamente un abbassamento della qualità. Può non sorprendere. Lo scadimento intellettuale si registra anche nella società. Ma le conseguenze nella chiesa sono di aver favorito alcune personalità più forti. Da questo punto di vista, la lunga e incontrastata presidenza di Camillo Ruini alla guida della Cei - che ha ridotto la conferenza episcopale a una struttura monolitica - è stata possibile sia per le sue spiccate doti politiche sia per la scarsa personalità dei vescovi che hanno conformisticamente obbedito alle sue scelte. Lamento, a voler essere più chiari, un'assenza di dibattito reale che mi auguro il nuovo presidente della Cei Angelo Bagnasco, sappia promuovere. C'è un paradosso che a questo punto, vorrei segnalare. Quando fu firmato il nuovo concordato, quello per intenderci del 1984 con Craxi presidente del consiglio, si impose una novità: non era più la segreteria di stato del Vaticano (il loro ministero degli esteri per intenderci) a trattare con lo Stato italiano, ma la conferenza. Si disse che scopo di questa novità era di ridurre il coinvolgimento politico della chiesa. Si è visto che in questi anni è accaduto esattamente l'opposto. Perché? A parte le considerazioni sullo "spirito del tempo" credo che la forte personalità di Ruini abbia coinciso con il rafforzamento economico della Cei. Pochi sanno che l'otto per mille - il modo con cui lo Stato italiano finanzia lautamente la chiesa - è in larga parte gestito dalla conferenza episcopale. La questione di quale rapporto deve esserci tra potere spirituale e temporale è nuovamente sotto i nostri occhi. La chiesa di questi anni sta ingigantendo i propri compiti proiettandoli in modo arbitrario sulla società. Il rischio è di sopraffare la società italiana e i cattolici che vi fanno parte. Discutibile mi appare la tendenza che sia la Cei a dettare le norme ai parlamentari cattolici. Quando De Gasperi ricevette da Pio XII l'ordine di fare un governo con l'estrema destra egli rifiutò, restando naturalmente un buon cattolico. Aveva chiara la distinzione tra quello che si deve a Cesare e ciò che si deve a Dio e ai suoi rappresentanti. Si obietta che oggi, più che in passato, i cattolici italiani sono sottoposti a un processo di secolarizzazione molto intenso. è vero. Ma la chiesa può far fronte a questa pressione sia con ordini inappellabili, sia cercando il dialogo. Del resto non è la prima volta che la Chiesa abbia dovuto misurarsi con fenomeni minacciosi che ha poi felicemente superato. Ritengo che l'unità della chiesa sia un bene prezioso e innegabile. Ma non c'è oggi il rischio di una spaccatura? Il pericolo più forte per la chiesa quasi mai viene dall'esterno, più spesso è frutto di tensioni intestine. Concludo con un pensiero che mi sta a cuore. In ogni grande epoca storica i vescovi hanno avuto dei modelli. Cioè un punto di riferimento esemplare. Nell'età antica fu Gregorio Magno, che poi divenne papa, a svolgere questo ruolo edificante. Nel cinquecento lo stesso compito lo assolverà il vescovo di Milano Carlo Borromeo. Ancora oggi in certe chiese si possono ammirare le sue immagini. La considerazione un po' triste è che attualmente i vescovi non hanno più un modello da seguire. E neppure la pietà per Padre Pio può aiutarli a guadagnare quello stile che si ispira ai valori cristiani. (Testo raccolto da Antonio Gnoli).


Il Cittadino 9-3-2007 Bagnasco: "Ci sono valori invalicabili per i cattolici"

 

ROMA.  Subito alla Cei, nel palazzo di via Aurelia, per presentarsi ai collaboratori e insediarsi ufficialmente. E poi la prima intervista a Radio vaticana, per chiarire come intende la testimonianza cristiana e il ruolo della Chiesa in Italia, con una novità lessicale: i valori non negoziabili diventato "non valicabili". Così ha impegnato la sua prima giornata romana e da presidente monsignor Angelo Bagnasco, 64enne arcivescovo di Genova, nominato mercoledì dal Papa guida dei vescovi italiani dopo i 16 anni della presidenza Ruini. Per i laici impegnati nel sociale e nella politica, ha spiegato l'arcivescovo, "ci sono dei punti, dei valori, delle colonne portanti della persona che asseriscono alla persona umana, dei confini che non sono assolutamente valicabili". "Perché - ha aggiunto - valicare certi confini, che sono propri, che definiscono, che configurano la profondità dell'essere umano e di tutto ciò che ne consegue, significa andare contro l'uomo e non liberare l'uomo". Interpellato su come risolvere il problema della identità cattolica sul fronte sociale, monsignor Bagnasco ha risposto che quando "si è convinti delle proprie idee di fede e, comunque, di ragione" ci si pone rispetto anche alle diversità "con un atteggiamento non aggressivo, ma sereno e di confronto. Detto questo, come premessa generale, come approccio e come metodo, - ha aggiunto - dobbiamo veramente scoprire e riscoprire e consolidare quello che si ha. Non è che nascondendo o avendo una percezione debole di ciò che siamo, possiamo essere più dialoganti e propositivi verso tutti. Semmai è il contrario".


Il Corriere della sera 8-3-2007 I cattolici e il «ritorno» del cilicio «Noi cristiani dimentichiamo che la sofferenza ha un senso». Il poeta Rondoni: «La società ne impone di peggiori». Socci: «Gesto d'amore». Messori:«E le diete? E la chirurgia estetica?»

        

MILANO — «Davvero non capisco. Oggi c'è una sacralità addirittura feticistica per la libertà totale e di chiunque, perché mai chi è esterno all'ascetica cristiana dovrebbe occuparsene o indignarsi? Per dire, ma se io stanotte mi flagellassi a lei importerebbe qualcosa?». Vittorio Messori tira un sospiro vagamente ironico, «eh sì, vivremmo tutti meglio se ciascuno si facesse i cilici suoi». E invece no, troppo facile. La povera senatrice e numeraria dell'Opus Dei Paola Binetti cade nel trappolone, ammette in tv di non ignorare l'uso del cilicio, tenta di darne un senso («ci costringe a riflettere sulla fatica del vivere, è il sacrificio della mamma che si sveglia di notte perché il bimbo piange»), serve un assist a porta vuota a Franco Grillini («ma certo, il sadomasochismo è un modo di godimento, ha tutto il

diritto di farlo!») e lo strumento ne esce come protagonista assoluto, ammantato d'un fascino gotico tipo garrota o vergine di ferro e in più garantito dal successo planetario del Codice da Vinci. Tutti pensano al «monaco» Silas dell'Opus Dei, tutto assassinii e penitenze, e pazienza se nell'Opera i monaci manco esistono. A quelli dell'Opus è toccato ripeterlo per l'ennesima volta, «il cilicio è nominato nella Bibbia, non è una nostra invenzione, san Josemaría ne sconsigliava l'uso alla maggior parte dei fedeli...». Anche le accuse di «imporlo» per due ore al giorno sono storia vecchia, smentita, rilanciata eccetera. Resta il fatto che a quanto pare circoli ancora l'evoluzione di quel panno ruvido intessuto (nella regione della Cilicia, appunto) di peli di capra: lo indossavano i soldati romani e si dice che i primi anacoreti cristiani, come penitenza, usassero portarlo sulla pelle nuda. Poi sono arrivate le versioni in metallo, i ganci.

E non è che facesse furore tra pazzi fanatici e ignoranti: lo usavano Dottori della Chiesa come la mistica trecentesca Santa Caterina da Siena, un genio dell'umanesimo come Tommaso Moro, in tempi più recenti pure il coltissimo Paolo VI. E allora? Messori, lo scrittore cattolico più letto al mondo, autore di best-seller planetari sia con Wojtyla sia con Ratzinger, confessa: «Io sono un pigro, doppiamente scomunicato dal politicamente corretto perché fumatore e leggermente obeso, e le poche volte che m'è capitato di vedere una palestra ho provato una sensazione di raccapriccio, il fitness!, mi parevano strumenti di tortura... Non solo sudavano ma manifestamente soffrivano. E i cicloturisti? E quelli che fanno roccia? E le diete? E la chirurgia estetica?». Insomma, «il mondo è pieno di gente che, grazie a Dio, sceglie liberamente il suo tipo di sofferenza, solo che questa è elogiata ed elegante. Immagino che almeno il cilicio sia più economico che rifarsi il naso».

Sì, ma che senso ha? «Il senso è comprensibile solo in una prospettiva di fede. Non mi accodo alle crociate dei cattolici su matrimonio o eutanasia perché finisce sempre che facciamo la parte dei rompiscatole, dall'esterno sembrano aberranti». Il cilicio riguarda l'ascesi, «cioè la salita spirituale, l'invito a partecipare in qualche modo alla Passione di Cristo» e del resto «la Chiesa invita all'equilibrio, nelle penitenze, il limite è non danneggiare mai la propria salute». Senza contare che il penitente «non danneggia nessuno. Io non ho mai chiesto a nessuno se lo portava perché tanto non me l'avrebbe detto. Come dice Gesù: fai penitenza nel chiuso della tua stanza. Li lascino in pace...». Non è l'unico a pensarla così. «Piuttosto è strano che i cristiani non lo pratichino più, o che si faccia così poco il digiuno», osserva Antonio Socci. Altro che scandali: «È come dicevano Del Noce e Don Giussani: la cultura contemporanea è sleale verso il cristianesimo perché se ne costruisce una caricatura e fa i conti con essa. A Medjugorje e Fatima la Madonna ha chiesto rosario, digiuno e penitenza. E qui non c'è ricerca del dolore: se tuo figlio o un amico avesse bisogno, non andresti a donare il sangue? Non ti alzeresti nel cuore della notte? Ogni sacrificio è sempre un gesto d'amore anche se al di fuori può apparire folle, la follia di un Dio che per salvarci si è fatto flagellare, sputare e crocifiggere anziché usare il potere».


Del resto, fa notare il poeta Davide Rondoni, «il sacrifico crea sempre scandalo, anche quello di Padre Kolbe o di Salvo D'Acquisto, se non si capisce di fronte a che cosa e per che cosa è fatto. In un'epoca nella quale Dio è ritenuto assente è ovvio che sia difficile capire. A me il cilicio fa l'effetto di qualcosa da trattare con grande rispetto, sono scelte personali non banali. Sono molto più preoccupato dei tanti cilici obbligatori che ci vengono fatti indossare, mente e corpo, dalla società in cui viviamo: almeno la pratica ascetica può piacere a Dio, questi al massimo possono essere graditi al capufficio». Don Gianni Baget Bozzo è lapidario: «Cristo ha salvato il mondo non con le parole, ma con il suo sangue». Però non crede sia ancora diffuso, «accadeva un tempo, ma il mondo post- cristiano, e anche un po' noi credenti, ha dimenticato che la sofferenza ha un senso: il male non è il male, il male è il dolore fisico». Eppure Luigi Amicone, direttore di Tempi, un dubbio lo ha: «Personalmente sono intemperante e non autoflagellante. Non mi sono avvicinato al cristianesimo pensando al sacrificio. Forse il cilicio appartiene a un'epoca perfetta come il Medioevo, a quell'equilibrio tra uomo, mondo e Dio cui non mancava alcuna sfumatura, neanche il mistero, la grande mistica... Nella nostra età imperfetta tocca a tutti noi, poveri cristi, risalire la china: il cilicio lo abbiamo già, è la nostra vita quotidiana».

Gian Guido Vecchi

08 marzo 2007

 

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Il Corriere della sera 8-3-2007 Gli anni della Cei di Camillo Ruini LE RAGIONI DI UN CARDINALE di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

 

"Meglio criticati che irrilevanti": rimarrà di sicuro racchiuso in queste parole il senso profondo della presidenza della Cei tenuta per 15 anni dal cardinale Camillo Ruini. Parole che hanno voluto dire innanzi tutto la consapevolezza di rappresentare un'identità - quella cristiano-cattolica - posta dai tempi nella condizione di una difficile identità di frontiera; e poi, ancora, l'impegno a proporre in modo reciso, senza la vaghezza di tanta prosa o oratoria clericali, un punto di vista forte sul Paese e sul mondo; e che hanno voluto dire infine non esitare a differenziarsi dall'opinione dominante sia tra i laici sia tra quegli intellettuali cattolici accreditati solo perché immancabilmente pronti a seguire nella sostanza i dettami dei primi. È accaduto così che la Chiesa di Roma abbia acquistato di nuovo, sulla scena pubblica italiana, un rilievo di cui certamente nessuno più la riteneva capace. Incontrandosi con la politica e spesso rischiando inevitabilmente di mischiarsi con essa, come tanti critici hanno rimproverato a Ruini? Certamente sì! Ma quale altro è mai stato, da sempre, il destino della cristianità, nata al mondo dovendosela vedere con quell'amalgama supremo di statualità e di politica che fu l'impero dei Cesari? E cos'altro facevano se non anche politica (ma "anche": non cercavano certo un posto di ministro o qualche prebenda) Ambrogio quando metteva sotto accusa Teodosio, o Agostino quando cercava di attutire la reazione pagana spiegando l'inevitabilità della caduta di Roma sotto l'impeto di Alarico, o Caterina quando richiamava il Papa da Avignone? "Chi pensa che la religione non debba avere nulla a che fare con la politica non ha capito nulla né della religione né della politica", ha detto una volta Gandhi: e sapeva quel che diceva. Ma solo il più radicale pregiudizio può condurre a negare che dietro l'impegno di Camillo Ruini ci sia stata, sì, una preoccupazione di ordine politico, ma ben oltre, e soprattutto ben al di sopra, una sollecitazione religiosa e specialmente di ordine culturale, naturalmente declinata secondo la prospettiva cattolica. Ruini giunse alla presidenza della Cei nel 1993, nel momento della fine della Dc ma, ben più importante, nel momento in cui, crollato il muro di Berlino, la sinistra italiana e lo schieramento progressista stavano dando l'addio al marxismo e al suo mito classista per convertirsi repentinamente a un individualismo libertario sempre più volto a modelli di vita fruitori e a orizzonti ideologici dominati dalla ragione strumentale dello scientismo. Egli capì che rispetto alla conciliazione con la modernità ideologico-politica avviata dal Vaticano II si apriva così una pagina del tutto nuova, perché del tutto nuova era la inedita e incipiente modernità dell'obliterazione e della manipolazione della natura. Capì, ancora, che questo dato segnava il passaggio a un universo non più anticristiano, come era stato per tanta parte l'8-900, ma radicalmente postcristiano: minacciosissimo non solo per la Chiesa ma per l'intera dimensione umanistica della tradizione culturale occidentale. La quale, come nei secoli più bui, forse ancora una volta alla Chiesa di Roma sarebbe tornata a guardare. E proprio questo è ciò che sta accadendo, mentre Camillo Ruini lascia la sua carica, consapevole di aver combattuto "la buona battaglia".


Il Secolo XIX 8-3-2007 Ratzinger: "La Chiesa non è struttura politica"Ma sui Dico il neopresidente ha già posto l'aut-aut continuità con il predecessore

 

"Per le coppie di fatto non c'è necessità di una nuova figura giuridica che ferisce la famiglia, basta la via del diritto privato" 08/03/2007 Genova. Non è solo convergenza di contenuti con Ruini, ma anche di metodo: la determinazione a stare sulla scena pubblica nonostante le contestazioni - quel "meglio contestati che irrilevanti" espresso da Ruini - è ispirata e condivisa da Papa Ratzinger, come lo era da Giovanni Paolo II. E Bagnasco non ha intenzione di tirarsi indietro. Lo ha dimostrato con le prese di posizione nelle ultime settimane: il no del neopresidente della Cei al disegno di legge governativo è altrettanto netto di quello del suo predecessore Camillo Ruini. "Se l'esigenza è di assicurare determinati bisogni o desideri all'interno di una coppia di fatto - ha detto Bagnasco - sappiamo bene che la via del diritto privato già consente queste garanzie. Quindi, pur con alcuni aggiustamenti possibili del diritto privato, non si vede oggettivamente la necessità di costituire una nuova figura giuridica che veramente è una ferita grave all'istituto familiare". E sull'importanza di sostenere un'identità cattolica: "Ai cattolici non basta essere presenti e dire semplicemente che ci sono. Devono dimostrare tutta la forza della loro identità con grande serenità". E poi: "È chiaro che i cattolici devono difendere la famiglia e che la Chiesa cattolica deve richiamarli a questo compito. Non si vogliono fare guerre sante". "Cercano spesso di farci passare per degli intolleranti ma non è così, il problema è quello dell'identità culturale in Europa, in Italia come in Francia. In Europa siamo il cuore del mondo, ma fatichiamo a definire la nostra identità a fronte delle altre culture religiose e laiche che si impongono al mondo moderno". Ma l'arrivo alla guida della Cei di Bagnasco, comunque esponente di una Chiesa locale come è quella genovese, rappresenta un ridimensionamento della struttura più collegiale della Chiesa italiana, per privilegiare invece il centralismo romano? Ieri ha risposto indirettamente, a distanza, Papa Benedetto XVI nell'udienza generale, quando ha ammonito i cattolici a non considerare la Chiesa un "luogo di anarchia o di confusione" ma nemmeno una "struttura politica". "La Chiesa - ha spiegato il papa teologo, a circa 16 mila pellegrini che lo ascoltavano nell'Aula Paolo VI in Vaticano - ha una struttura sacramentale, dove l'azione liturgica precede le nostre decisioni e le nostre idee". La Chiesa, ha detto ancora, è una "creatura di Dio, non creatura nostra". 08/03/2007.


La Stampa 7-3-2007 Un ritratto di Mons. Angelo Bagnasco Si tratta di una personalità diversa e nuova del mondo cattolico italiano LUCA ROLANDI

 

La biografia di Monsignor Bagnasco è ricca di spunti.

ROMA
Chi è mons. Angelo Bagnasco, il nuovo presidente della Cei, ai vertici della Chiesa italiana, che assume la gravosa eredità lasciata dal Cardinale Camillo Ruini. Non è uomo di copertina, neppure nel mondo cattolico. L’opinione pubblica ricorda le sue sofferte e toccanti omelie ai funerali dei militari morti in Iraq come ordinario militare, o qualche intervento nelle vesti di Vescovo di Pesaro, suo prima sede episcopale e poi la nomina nell’agosto scorso ad Arcivescovo di Genova. C’è un don Angelo giovane, la cui biografia nascosta e pubblicamente anonima, è ricca di spunti interessanti di una personalità diversa e nuova del mondo cattolico italiano.
Don Angelo è un prete schivo e umile, animato da una fede e intensamente vissuta, un maestro per molti giovani che ha conosciuto e ai quali ha trasmesso negli anni della formazione, i suoi insegnamenti e la sua amicizia. E’ nato a Pontevico il 14 gennaio 1943 ma solo per caso. La famiglia era sfollata nel bresciano. Dunque è genovese doc, come papà Alfredo, che lavorava in una fabbrica di pasticceria e mamma Rosa e la sorella maggiore, Anna. Ligure nell’animo e nella discrezione, ma non nel mugugno. Mai una parola fuori posto, una polemica. Il giovane Angelo cresce nella città della Lanterna, abita nel centro storico, nei carruggi della città portuale, dove la devozione religiosa si scontra con le miserie della strada: matura la sua giovanissima vocazione sotto il campanile di S. Maria delle Grazie a due passi dal mare. Il giovane Angelo frequenta il ginnasio ed il liceo classico presso il seminario arcivescovile di Genova e il 29 giugno 1966 è ordinato sacerdote. Prosegue gli studi di teologia, ma è mandato vicario parrocchiale dal 1966 al 1985 nella Parrocchia di S. Pietro e S. Teresa del Bambino Gesù in Genova.
Quartiere di Albaro, la zona ricca della borghesia genovese. Dal 1986 al 1995 è aiuto pastorale con compiti diocesani, ma lega soprattutto con i giovani, senza dimenticare le sue umili origini. In Albaro diventa assistente ecclesiastico del gruppo scout dell’Agesci Ge 10 e inizia un rapporto intenso e fecondo di educazione e formazione di tante generazioni di giovani del quartiere, in un’associazione di frontiera come sono gli scout, gruppo eterogeneo e complesso, dal quale transitano i figli dalla alta borghesia e alla classe operai. Intanto, incoraggiato dal cardinale arcivescovo Giuseppe Siri, che di lui ha una grande ammirazione, ricambiata, frequenta l’università statale, incontrando il mondo dell’accademia laica e turbolenta negli anni Settanta.
Frequenta il corso di teoretica dell’insigne filosofo Alberto Caracciolo dove può mettere a confronto la teologia tomista con le ideologie marxiste e laiche. In particolare si specializza sul materialismo storico di Feuerbach. Si laurea in Filosofia a pieni voti. Dal 1980 al 1998 è docente di metafisica e ateismo contemporaneo presso la facoltà teologica dell'Italia Settentrionale, sezione di Genova: singolare abbinamento che gli permette di affrontare in seminario e all’Istituto Superiore di Scienze Religiose due materie apodittiche e opposte tra loro. Incontro don Angelo nei primi anni Ottanta negli scout e gli divento, insieme ad altre decine di ragazzi liceali, amico e allievo. L’esperienza degli scout, tra avventura, servizio, volontariato e strada, intesa come fatica dell’ascesa e voglia di confrontarsi con se stessi e con gli altri e l’orizzonte sul quale si costruiscono comunità e prove di dialogo con il mondo, è una rivelazione per noi, ma anche per don Angelo. Di lui ci colpì la coerenza e la spiritualità, sempre profonda e vissuta con un’intensità che attira. L’intransigenza e la radicalità cristiana per don Angelo non sono un modo di esprimere o imporre la propria fede agli altri, ma è segno di contraddizione con il mondo e capacità di vedere dentro e oltre la realtà. Un cristianesimo non tradizionalista e intransigente, ma autentico e radicale, un legame forte al messaggio evangelico attraverso la liturgia, la preghiera e l’esegesi biblica.
I momenti che toccano e restano di più sono quelli di raccoglimento e preghiera: in un fuoco di bivacco e in una veglia. Don Angelo sembra astrarsi, raccogliere su di sé il bene e le sofferenze del mondo: una testimonianza ascetica e quasi monastica, senza mai essere ossessivo e carismatico, che tanto colpisce l’immaginario dei giovani. Adorazione eucaristica, Lectio divina, la celebrazione della messa i punti cardini del suo insegnamento. Lo studio e il confronto con la Parola, fonte primaria di ispirazione nella vita quotidiana, insieme a tanta mistica e spiritualità: S. Teresa del Bambino Gesù, San Benedetto, S. Agostino, ma anche “L’imitazione di Cristo” di Thomas Kempis o l’esempio del giovane laico Pier Giorgio Frassati. E qui sta la novità e la discontinuità di don Angelo Bagnasco con il passato, una personalità diversa e nuova nel panorama ecclesiale italiano.
Capacità di ascolto e dialogo, sincero e convinto, unito a fermezza nella dottrina e all’obbedienza alla gerarchia, ereditata dalla scuola del cardinale Siri; ma anche una sete di Assoluto molto intensa, oltre le cose del mondo. Una volontà di guardare oltre per andare alla radice delle fede, per sondare il mistero della vita e della morte alla luce di Gesù Cristo. Un ritorno ai “novissimi” ad una scelta religiosa prima ancora che culturale, un tentativo di rifondazione antropologica cristiana in un mondo plurale, nel quale la convivenza è possibile solo se si è credibili nella propria identità. Ciò che colpì la generazione dei suoi ragazzi scout fu lo spirito di servizio e la capacità di trasmettere gioia nel rapporto umano. Poi nel 1980 il passaggio all’assistenza alla Fuci, guardato con qualche sospetto, all’inizio del suo mandato. Il fatto di essere stato chiamato a seguire, le avanguardie del progressismo cattolico, secondo una superficiale pubblicistica intorno agli universitari cattolici, è un fatto importante. Don Bagnasco diventata assistente della Fuci che fu di Don Franco Costa, l’uomo della scelta religiosa dell’Azione Cattolica insieme a Vittorio Bachelet e di don Emilio Guano, vescovo di Livorno ed esponente dell’apertura conciliare ed ecumenica. Ma è il Cardinale Siri a volere sperimentare nel mondo della cultura le capacità di meditazione e di fermezza di Don Angelo e la stagione fucina, grazie al nuovo assistente rifiorisce. Dal 1980 al 1996 è un susseguirsi di iniziative: campi scuola, incontri nazionali, congressi, settimane in cui decine di giovani si ritrovano le loro angosce e le loro speranze. Don Angelo ascolta, coltiva un livello di fraternità molto profondo, che è accompagnato dalla direzione spirituale individuale.
A volte le posizioni dei giovani universitari non collimano con quelle dell’assistente, ma la discussione è il confronto sono sempre al centro della parte formativa spirituale e culturale del gruppo. E’ la Fuci nazionale di Giorgio Tonini, Stefano Ceccanti, Giovanni Gazzetta e Salvatore Vassallo, nomi che ritornano oggi nella discussione politica sui temi caldi dell’etica e della riforme istituzionali ed elettorali, nel bipolarismo e il ruolo dei cattolici. Con la presidenza nazionale c’è ascolto ma anche divergenze, ma sempre dialogo. L’autonomia dei laici la loro formazione di cristiani adulti e corresponsabili è uno dei cardini della visione di mons. Bagnasco. La sintesi è sempre religiosa e spirituale, mai politica o solamente culturale. Parlare più di Dio e del vangelo, piuttosto che di procedure legislative. Ritrovare il senso più profondo e ultimo ed essenziale del massaggio evangelico che è una Persona prima che regole e precetti, i quali sono fondamentali nella misura in cui rispondono alla fonte di amore del Padre. “Ama e fa ciò che vuoi”, di S. Agostino, è una massima cara a Don Bagnasco. Nel rigore dell’obbedienza e alimentandosi alla tradizione e alla dottrina sociale della Chiesa, il nuovo presidente della CEI, ma anche Arcivescovo di Genova come il suo maestro Siri, ma anche Poma e Ballestrero, non è un intransigente ma neppure un progressista, non ha un movimento di riferimento, ma crede nella forza della Chiesa, partendo dalla corresponsabilità dei laici credenti. Non ama troppo la politica e soprattutto i giochi di potere, non cerca l’apparire, ma pensa da sempre alla sostanza delle cose, ai principi e ai valori che derivano dalla fede. Al centro è l’uomo, uno sguardo lungo, oltre l’effimero e il quotidiano, ben radicato nella sapienza e nella speranza, che per i cristiani sono nel mondo, ma ad esso non appartengono totalmente.

 


L’Avvenire 7-3-2007 INTERVISTA Il "j'accuse" del giurista Paolo Grossi: dopo le derive del soggettivismo dobbiamo tornare alla visione "sociale" della legge Di Edoardo Castagna

Così cade il diritto "Assistiamo al riconoscimento di libertà individuali talvolta aberranti, dove il singolo fagocita ciò che gli sta intorno, senza vere relazioni con gli altri. Chi difende questa situazione ha un'idea miope di laicità"

 Oggi sembra che tutto sia diventato un diritto. Messi in cassaforte - almeno nel nostro Occidente - quelli umani fondamentali, da tempo si alzano voci che reclamano altrettanta tutela giuridica per sedicenti "diritti" negati: il "diritto" ad avere figli, per esempio, o a disporre della propria morte, o a "sposarsi" dentro e fuori alla famiglia... La parola "diritto" è oggetto allora di una trasformazione. "E non certo in senso positivo", osserva il giurista Paolo Grossi, che nei giorni scorsi ha ricevuto la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'Università Cattolica di Piacenza. Che cosa c'è alla radice di questa trasformazione dei "diritti", professor Grossi? "Tutto sta nel come si è venuto a costruire durante la modernità il soggetto. Certo, una della conquiste degli ultimi secoli è avere districato il singolo dai vincoli di ceto e di casta, attraverso diritti che sono tuttora essenziali: il diritto di libertà di pensiero, di professione religiosa, di circolazione, di riunione. Ma questo passo avanti è stato condito da un certo parossismo soggettivistico: il soggetto è stato separato completamente dalla società e si è pensato solo a un individuo autoreferenziale, assolutista, egoista. Il risultato è la moltiplicazione dei "diritti", anche di quelli più aberranti sul piano sociale. Quello che dobbiamo combattere non è, naturalmente, la liberazione del soggetto, così come è avvenuta nel Seicento e nel Settecento, ma la strada che ha portato a questa liberazione: il fare dell'individuo un soggetto insaziabile, che fagocita chi gli sta intorno. Questo individuo non è persona, perché non è un soggetto relazionale. Io sono persona nel momento in cui la mia individualità si mette in tensione con l'altro che mi sta accanto, cioè quando io concepisco il mio essere soggetto all'insegna di un'etica della responsabilità, in cui devo tenere conto anche degli altri". Come tracciare un confine tra diritti leciti e diritti egoistici? "Nei rapporti tra credenti il problema non si pone nemmeno. Ma anche su un piano di laicità io credo fermamente nella ragione profonda del diritto naturale. C'è un'esigenza di diritto naturale, cioè di un diritto che è scritto nel cuore degli uomini - sarà Dio che ce l'ha scritto, sarà la coscienza di un minimo etico che ognuno di noi ha -, sulla quale si può costruire una tavola di valori condivisa. Soltanto nel momento in cui io divento persona - e divento persona solo quando mi metto in relazione con gli altri - posso costruire qualcosa. Il soggetto ha dei diritti, ma anche dei doveri; solo se al diritto aggiungo il dovere, allora contemplo l'altro. Questa è un'ottica puramente laica: la nozione di diritto naturale è preziosa, ed è aconfessionale". Eppure spesso da parte laica la si "squalifica" bollandola come esclusivamente cattolica? "Ma questa è una visione da laici miopi, che non vedono come nel fondo di ogni uomo, credente o no, ci sia un minimo etico invalicabile. Noi siamo ancora malati di individualismo". Una malattia che si riflette nelle costruzioni giuridiche dell'Europa attuale? "Sì: prendiamo la Costituzione europea, la Carta di Nizza: è un catalogo come quelli che si facevano nel tardo Settecento, che allineavano una serie di posizioni soggettive. Ma, quando abbiamo enunciato a favore del soggetto una serie di diritti, dobbiamo andare oltre. Dobbiamo vedere l'io sociale, all'interno delle formazioni civili: perché sono queste che impediscono la massificazione. La Carta di Nizza pecca ancora di eccessivo individualismo, ultimo anello di una catena che risale al 1789. Oggi ci si sarebbe potuto aspettare qualcosa di più". Invece la tendenza sembra essere quella dell'accentuazione diritti egoistici? "Di quelli svincolati da una proiezione sociale. Prendiamo per esempio tutto il dibattito in corso oggi in merito alle coppie di fatto. È soltanto un guardare alle posizioni egoistiche di tizio o di caio, senza considerare minimamente quello che è il bene comune. Ma non occorre essere credenti per dire che lo Stato deve preoccuparsi soltanto della famiglia monogamica: perché quella è la cellula della società civile. Poi, tutt'altro discorso è come io gestisco il mio privato: ma quello resta privato. Lo Stato deve occuparsi soltanto della cellula portante della società. E qui tutti - cattolici, buddisti, atei, agnostici... - credo che debbano essere d'accordo. Anche se non lo sono, perché quello che si porta avanti programmaticamente sono solo le bandiere del più bieco individualismo".

 


Il Corriere della Sera 7-3-2007 La rivoluzione riuscita Di ALDO CAZZULLO

 

ROMA - Nella storia politica italiana, fitta di rivoluzionari mancati, al momento dell'addio Camillo Ruini (Sassuolo, 1931) imprime il segno di una rivoluzione riuscita. Che l'ha portato a rafforzare l'influenza dei cattolici nonostante la morte della Dc. L'ha portato a riprendere l'offensiva dei valori nonostante la secolarizzazione del Paese, a imporre nell'agenda del confronto parlamentare e intellettuale i temi della vita e della bioetica, a stravincere un referendum trent'anni dopo la disastrosa sconfitta del divorzio, a innovare la linea sulla missione in Iraq nell'ora più drammatica; in una parola, a ripristinare la coscienza identitaria della Chiesa italiana, e modificarne profondamente - nel bene o nel male, a seconda dei punti di vista - il rapporto con lo Stato e la società. Nessuno dei suoi predecessori era stato tanto amato e criticato, blandito e temuto, al punto da diventare un personaggio centrale della politica, guadagnarsi in conclave il ruolo di grande elettore di Ratzinger, respingere numerose richieste di incontro da parte di segretari di partito (cui preferiva mandare appunto il segretario della Cei Betori), ispirare l'invettiva di una brava attrice di Rai3 ( Eminenz! ), portare in Senato una scienziata dell'Opus Dei affezionata alle mortificazioni, essere visto ora come un baluardo ora come un bersaglio come ha spiegato lui stesso domenica scorsa al Corriere : "Meglio criticati che irrilevanti". Una missione condotta con uno stile molto personale: schivo ma costretto a un ruolo pubblico, taciturno ma deciso a non lasciarsi mai zittire, Ruini non ha ceduto alla tentazione della vanità e alla scorciatoia della vetrina televisiva. Pur avendo a disposizione una Rai non certo ostile, ha scelto per la sua battaglia culturale gli strumenti più tradizionali del libro, delle riviste, dei giornali. Di qui, ad esempio, la scelta di rilanciare Avvenire, affidato al pupillo Dino Boffo, e di farne una postazione avanzata di intervento anche polemico. Assunta la guida dei vescovi italiani nel 1991, alla vigilia della bufera, Ruini vide nella rottura dell'unità politica dei cattolici non un guaio ma un'opportunità. Considerò il crollo del partito, che secondo un esponente non secondario come Cossiga era stato fondato e diretto dal Vaticano, non come la fine del rapporto tra la Chiesa e la politica ma come l'alba di una fase nuova, in cui i vescovi, scavalcata la mediazione Dc, avrebbero potuto allargare la loro influenza all'intero sistema. Non a caso, i referenti del suo disegno non sono stati tanto ex democristiani quanto insospettabili come l'ex radicale Rutelli o l'ex anticlericale Pera. Ruini ha cercato il dialogo con intellettuali critici, come quando scrisse un libro con Magris, Scalfari e Vattimo ( Le ragioni della fede ) e discusse a distanza con "i tre Alberti" come li definì Avvenire (Ronchey, Asor Rosa e Arbasino). Ha avuto rapporti migliori con l'azionista Ciampi che con il democristianissimo Scalfaro. E ha trovato corrispondenze non scontate con il pensiero di Giuliano Ferrara ed Ernesto Galli della Loggia, e in genere dei laici preoccupati dalla debolezza identitaria dell'Occidente nel confronto con l'Islam. Sul piano politico, la "dottrina Ruini" ha portato al gelo tra la Chiesa e la sinistra, compresa quella cattolica; simboleggiato dalla rottura con Romano Prodi, che da Ruini fu unito in matrimonio con Flavia Franzoni, ma che da Ruini si divise quando annunciò che da "cattolico adulto" non avrebbe disertato il referendum sulla fecondazione assistita. Un gelo che non ha mai indotto il capo dei vescovi ad appoggiare apertamente la destra, accusata da sinistra di guardare alla Chiesa strumentalmente, alla ricerca di sostegno elettorale e di un nucleo di valori in grado di surrogare il proprio deficit culturale. Che questo fosse l'esito della stagione di Ruini era scritto nella sua formazione; e non perché fin da quando era un giovane sacerdote - fu ordinato a 23 anni - lo chiamavano "don Camillo". Negli anni in cui alla Gregoriana, dove si è laureato, si mandavano a memoria Maritain e Mounier, lui meditava i tedeschi, in particolare Rahner (di cui darà poi un'interpretazione critica), che gli forniranno gli strumenti per l'intesa dottrinaria con Ratzinger. Ruini ha studiato Heidegger, Kant, Husserl. Ha dedicato una parrocchia romana a Escrivà de Balaguer fondatore dell'Opus Dei prima ancora che fosse proclamato santo. Ha definito Dossetti "portatore di una visione catastrofale dell'Occidente" e ha amato Tocqueville, in particolare là dove invita la religione a non schierarsi mai con un partito o un regime; "perché allora essa aumenta il suo potere su alcuni uomini, ma perde la speranza di regnare su tutti". I suoi alleati naturali in questi anni sono stati i teologi e i moralisti educati al rigore wojtyliano, che non a caso Giovanni Paolo II d'intesa con Ruini volle in diocesi importanti o posti-chiave: Scola a Venezia, Caffarra a Bologna, Fisichella alla Lateranense. Mentre interlocutori soggetti alla sua primazia, e però mai del tutto conquistati alla sua dottrina, sono stati i tanti vescovi di provincia che non avevano rinunciato alle suggestioni postconciliari e a un'allure progressista. Proprio alla Chiesa del post-Concilio Ruini ha impresso la sua svolta: basta nascondersi nel mare magno della società secolarizzata, mimetizzare le chiese tra le case, difendere il ridotto del cattolicesimo dall'invasione laicista; anzi passare al contrattacco, uscire allo scoperto, riprendere coscienza che se i cattolici praticanti sono in effetti in minoranza i loro valori possono tornare a essere patrimonio della maggioranza. Una sorta di riconquista, un Kulturkampf capovolto. Cominciato quando, nell'aprile 1985, da vicepresidente del convegno di Loreto Ruini si segnalò presso Wojtyla. E condotto con gli strumenti del mondo, a cominciare dall'8 per mille ("quando nell'86 arrivai alla Cei da segretario avevamo a malapena i soldi per pagare quattro impiegati", ha ricordato), ma soprattutto scegliendo un nuovo campo di battaglia: la bioetica, il rapporto tra scienza e fede, i limiti da porre alla ricerca, al progresso tecnologico, alla capacità teoricamente illimitata di sostituirsi al creatore e intervenire sull'uomo sino a programmarne nascita e codice genetico e quindi farne cosa diversa da sé. Non gli interessava rendere testimonianza, ma intervenire nell'agone con efficacia. Per farlo non ha esitato a inoltrarsi nelle tecnicalità della politica; come quando invitò ad astenersi al referendum del 2005, suscitando la denuncia penale del ginecologo Antinori, la perplessità di Andreotti, la polemica dei referendari. Poi la denuncia è stata archiviata, Andreotti si è inchinato, e i referendari ne sono usciti nettamente sconfitti: il 75% degli italiani non votò. Altrettanto coraggio Ruini aveva dimostrato due anni prima, nel novembre 2003. La sua omelia a San Paolo fuori le Mura, davanti alle bare dei caduti di Nassiriya, non puntava a suscitare commozione, ma a innovare la linea della Chiesa, a sostegno della missione italiana in Iraq e della guerra al terrore ("Noi non fuggiremo davanti ai terroristi; li fronteggeremo, ma non li odieremo..."); e non è un caso che ora sia chiamato a succedergli Angelo Bagnasco, già ordinario militare per l'Italia. Un'omelia porta con il caratteristico tono di voce, dolce ma fermo, e con l'eloquio consueto in cui la geometria prevale sul pathos, che fece dire a Giorgio Rumi: "Ruini è emiliano ma ragiona come un cardinale tedesco". Lo stesso tono e lo stesso rigore geometrico con cui motivò il rifiuto ai funerali per Welby, e nel contempo ammise la propria sofferenza; Ruini del resto è uomo asciutto, e non solo nel fisico; e forse è quello il suo modo di provare pietà. I cattolici italiani l'hanno compreso. Basta seguire Ruini nelle sue visite alle parrocchie di Roma (anche nelle borgate rosse, anche nelle comunità come quella di Sant'Agnese legata alla liturgia delle chitarre e dei battimani ma che qualche domenica fa è rimasta due ore a tributargli un'accoglienza e un'attenzione impressionanti), per verificare come accanto alla sua popolarità sia cresciuto l'orgoglio identitario del suo popolo. La forza asciutta che ha deluso molti laici ed è forse spiaciuta anche a qualche cattolico ha finito, nel tempo, con l'alimentarne il carisma, e ha contribuito a scriverne il ruolo nella storia recente d'Italia, che ora prosegue come vicario di Roma. E quando si sarà sopito il clamore del mondo - la polemica quotidiana, le richieste d'udienza dei segretari di partito, l'urlo della Littizzetto, il cilicio della Binetti -, anche la politica saprà fare, nel tempo, quello che alla Chiesa riesce più facile, fermarsi a meditare, individuare gerarchie di valori, restituire le cose alla loro dimensione; e allora si comprenderà appieno che all'inizio della primavera del 2007 si è consumato l'addio di un grande. Aldo Cazzullo.

 


Il Corriere della Sera 6-3-2007 La polemica Dico, il testo arriva in Senato La Chiesa: cattolici, fermateli . Virginia Piccolillo

 

Monsignor Sgreccia: coppie gay contro natura. I Dl: serve una «pausa»

 

ROMA — È il giorno dei Dico. La commissione Giustizia del Senato accende i riflettori sul ddl, tra le polemiche e 10 testi da esaminare. I cattolici si mobilitano. Monsignor Elio Sgreccia, presidente della pontificia Accademia per la vita, li invita a «fare di tutto» perché provvedimenti come questo «non passino». Sfidando le accuse di «oscurantismo» venute, anche ieri, dalla Rosa nel pugno. Con i Dico «viene screditato non il matrimonio religioso, ma il matrimonio tout court», avverte monsignor Sgreccia che si dice scettico sul fatto che un «legame tra persone dello stesso sesso sia salutare per la loro socializzazione» e parla di rapporti contro la «legge naturale ». E, sulla scorta del monito lanciato dal cardinal Ruini («cattolici svegliatevi»), invita a osteggiare il ddl. Lo faranno Giulio Andreotti che non è «contrario a una regolamentazione, ma mettere in una legge le coppie di fatto, anche dello stesso sesso, mi sembra vada oltre», Giuseppe Pisanu (FI) («I Dico sono pacs travestiti») e Luigi Pallaro («Non spenderei neanche un centesimo »).

La Margherita con Pierluigi Castagnetti chiede «una pausa di riflessione». Follini non «scaglia anatemi», ma vuole priorità per la famiglia. La capogruppo Ulivo Anna Finocchiaro invita a discutere «senza ideologizzare» e il ministro Pecoraro Scanio parla di «arretratezza culturale assurda». Il presidente della commissione Cesare Salvi tenterà una mediazione. «Non voglio né accelerare, né insabbiare», annuncia. «Seguiremo le indicazioni di Prodi che aveva detto: "Scelga il Parlamento"». Il testo Pollastrini-Bindi sarà esaminato se il ddl sul caporalato e il decreto sul calcio violento ne lasceranno il tempo. Poi verrà accantonato. Dopo un monitoraggio Salvi vuole arrivare a un testo unico delle leggi e leggine già esistenti sui diritti alle coppie di fatto. Il testo base dovrebbe essere quello di Alfredo Biondi (FI). «È un contratto per l’unione solidale da stipulare per persone di qualsiasi sesso davanti a un notaio» spiega Biondi che avverte: «Non farò da cavallo di Troia per reinserire i Dico». Ma stasera in una riunione di Forza Italia si discuterà se sarà questa la prima prova tecnica di «maggioranza variabile».

06 marzo 2007


La Repubblica 6-3-2007 LA POLEMICA Parlano gli esponenti dell'associazionismo, dai Focolarini alle Acli a Cl Dopo-Ruini, la svolta cattolica "Il successore cambi passo"

 

Rapporto con i giovani, pluralismo religioso e culturale i temi che agitano la Chiesa Nessuna critica diretta all'istituzione, ma la richiesta che sia al passo "coi mutamenti" MARCO POLITI ROMA - L'era Bagnasco, alla Cei, non è ancora cominciata e già nel mondo cattolico (dove pure nessun esponente fa nomi per rispetto alla scelta che il pontefice si appresta a comunicare) si manifesta il bisogno di una svolta. "C'è l'esigenza di un cambiamento di passo", commenta Andrea Olivero presidente delle Acli. Valori, identità, mobilitazione sono alcune delle parole - chiave dell'arcivescovo di Genova. Nel variegato mondo cattolico emergono vari modi di coniugarle. Ma soprattutto cominciano a risaltare, in vista del dopo-Ruini, alcune tematiche centrali: l'urgenza di creare un rapporto con le nuove generazioni, la voglia di educare al Vangelo oltre che difenderne i principi con le leggi, il bisogno di confrontarsi con il pluralismo religioso e culturale presente nella società italiana ed europea, l'auspicio che il laicato cattolico non sia appiattito sull'istituzione ecclesiastica. Dice Olivero che "va favorita la crescita di un laicato che abbia maggiore autorevolezza". Nella fase che si apre, secondo il presidente aclista, è necessario lavorare sulla formazione delle coscienze piuttosto che dare l'impressione di una Chiesa preoccupata della "tenuta" della religiosità tradizionale. E soprattutto "è urgente arrivare con tutte le forze della società ad una ridefinizione di valori etici condivisi". In un mondo pluralista e in evoluzione l'identità va difesa, spiegata razionalmente, ma certamente nessuno può rimanere nel proprio recinto senza confrontarsi. Olivero non ha dubbi: rispetto ai mutamenti la Chiesa si è fatta trovare a volte "un po' impreparata". Sulla formazione batte anche Comunione e liberazione. Alberto Savorana, direttore della rivista Tracce, è convinto che la nuova evangelizzazione di papa Ratzinger, Ruini e del futuro presidente della Cei si gioca per la Chiesa italiana nell'educare le nuove generazioni. "Rendere affascinante l'esperienza cristiana - spiega - per i giovani e gli adulti di oggi nelle loro realtà concrete". Inutile scervellarsi se il cattolicesimo sia maggioranza o minoranza nel Paese. "Siamo quel che siamo - sottolinea Savorana - i numeri non contano. Conta il rapporto personale con la fede e in questo senso è decisivo il ruolo dei credenti battezzati". Nessuno ha intenzione di criticare il forte rapporto tra gerarchia ecclesiastica e mondo politico, cavallo di battaglia del cardinale Ruini (accanto al Progetto culturale, beninteso). Ma è diffusa la sensazione che non è fermandosi ai "livelli alti del potere" che si potrà mantenere la vitalità del cattolicesimo italiano. Fondamentale, come afferma Gianni Borsa, direttore della rivista dell'Azione cattolica Segno, è che non si muova solo la Chiesa istituzionale, ma "siano protagonisti della missione evangelizzatrice i credenti nelle parrocchie, nelle associazioni, nella vita quotidiana". E se si parla di difesa della vita, non basta insistere sull'inizio (aborto) e sulla fine (eutanasia), ma bisogna tutelarla anche "nel mezzo": e dunque occuparsi di lavoro, famiglia, scuola, servizi. Dice Bagnasco che i cattolici devono farsi sentire? Vittorio Bellavite, coordinatore del movimento "Noi siamo Chiesa", risponde: "Sì, ma in modo diverso. Abbandonando le contese politiche su Dico, radici cristiane e così via. La Chiesa deve cambiare rotta rispetto all'era Ruini: parlare più di Vangelo, aprirsi alla modernità, capire il mondo del pensiero laico". Mario Marazziti della Comunità Sant'Egidio torna sulla questione generazionale: "La grande sfida è trasmettere il Vangelo alle nuove generazioni. Testimoniare come cristiani il Vangelo d'amore - vedi l'enciclica di Ratzinger Deus caritas - nella sua interezza". Ma la pagina nuova da scrivere per la Chiesa italiana è di capire che il bene comune "va pensato nella società insieme agli "altri", i seguaci di altre religioni, i laici con la loro spiritualità". Affrontare e rispettare visioni diverse del mondo non è "inquietante", semmai è uno stimolo ad approfondire la propria identità. Salvatore Rimmaudo, dell'Agesci, è convinto d'altronde che i conflitti laici-cattolici o cristiani-altre religioni siano molto esacerbati a livello mediatico o politico, mentre nel quotidiano i rapporti sono assai più collaborativi. "Come educatore di minori - dice Rimmaudo - lavoro con colleghi laici e musulmani e nella pratica condividiamo spesso valori e scelte di vita. Poi ognuno ha la sua fede, senza fritti misti". Per questo Federica di Lascio, presidente Fuci, continua a credere nell'utilità del "confronto pacato, del rispetto delle reciproche posizioni, senza toni esagitati, ma nello spirito di una laicità bella". Tra i Focolarini Paolo Loriga non si nasconde l'esistenza di un filone culturale antagonista dei valori evangelici, ma proprio perciò pensa che il futuro del cattolicesimo sia affidato a un di più di "amore scambievole", testimoniato tra i credenti e nella comunità cristiana intera, in apertura al dialogo e alla fraternità con gli altri. E' un programma di costruzione permanente del cristianesimo


Il Centro 6-3-2007 I cattolici affossino la legge Per monsignor Sgreccia è "un dovere".

 

I gay? Contro natura Dura replica di Grillini: basta con razzismo e omofobia Per il prelato coppie di fatto e divorzio disgregano le famiglie ROMA. Il "dovere" dei cattolici italiani è quello di non far passare i 'Dico' o qualsiasi altra proposta legislativa che screditi la famiglia tradizionale, o, peggio, legittimi le coppie omosessuali. Alla vigilia dell'iter parlamentare del disegno di legge governativo sui diritti dei conviventi il Vaticano conferma il diktat annunciato pochi giorni fa dal cardinale Ruini. E lo fa con una nota di monsignor Elio Sgreccia, presidente dell'Accademia vaticana per la Vita. Di più. Secondo il documento in sostanza nessun compromesso è possibile con chi vuole dare dignità alle convivenze gay e che compito della Chiesa e dei suoi fedeli deve essere la difesa ad oltranza della famiglia basata sul matrimonio tra due persone di sesso diverso. Posizione che spinge i settori laici della società italiana ad una secca risposta. A partire dalla manifestazione in programma sabato prossimo a Roma promossa da numerose associazioni tra cui l'Arcigay. "Non possiamo accettare in alcun modo il precariato matrimoniale - ha detto monsignor Sgreccia - Solo una famiglia sana e non sbriciolata può essere alla base di una società e di un'economia sane", ha affermato monsignor Sgreccia. "Le coppie di fatto, il divorzio hanno portato alla disgregazione sociale e ad un crescente disagio psicologico. Come non vedere - si è chiesto - in certi comportamenti di sofferenza adolescenziale gli effetti di una famiglia che non risponde più alle sue prerogative etiche?". Con durezza, monsignor Sgreccia ha poi criticato l'estensione dei diritti della convivenza alle coppie omosessuali. "Qui - ha dichiarato - si va contro la legge naturale". "Se il corpo conta qualcosa e non è solo un accessorio - ha spiegato - il disegno della natura vuole che il corpo dell'uomo e della donna si uniscano, anche in chiave procreativa". "Compito dei cattolici italiani - ha detto il monsignore - è quello di non fare passare il ddl sui diritti dei conviventi o altre proposte di legge che screditino l'istituzione familiare". Insomma un appello alla mobilitazione generale. "Basta razzismo antigay. Il 'partito di Dio' - ha replicato Franco Grillini presidente onorario di Arcigay e deputato Ds - vorrebbe imporre al Paese un gigantesco e doloroso cilicio morale". "Dire che io gay sono contro-natura - ha dettpo Grillini - è calunniare un'intera comunità diffamandola e additandola al pubblico ludibrio. Sgreccia, Binetti, Andreotti e C. quando fanno queste affermazioni alimentano l'odio razziale verso milioni di cittadini giustificando e assumendo in toto la responsabilità morale della violenza antigay e delle gravissime discriminazioni di cui quotidianamente è oggetto la comunità". Alla manifestazione di sabato in piazza Farnese in difesa dei diritti e della laicità dello Stato hanno aderito ieri anche il capogruppo di Rifondazione Gennaro Migliore e la parlamentare della sinistra Ds Gloria Buffo.


Il Riformista 6-3-2007 Perché restiamo nella famiglia del socialismo europeo di Emanuele Macaluso



Cari lettori, dal Riformista avete appreso che sono stato a Bertinoro, in una bellissima rocca romagnola per partecipare all’incontro promosso dall’associazione per la Rosa nel pugno guidata da Lanfranco Turci supportato da un gruppo di giovani, al fine di verificare se c’erano le condizioni per promuovere una Costituente socialista. Anzitutto un’impressione: negli anni Ottanta ho partecipato a vari congressi del Psi e nei pressi dei locali dove si svolgevano sostavano molte auto blu, le sale erano stipate di “portaborse” e i delegati erano, quasi tutti, persone che occupavano centri di potere locale e nazionale. A Bertinoro, invece, ho quasi avvertito il clima di un’assemblea socialista degli anni ’50, con persone “anarchicheggianti”, giovani studiosi che hanno progetti per la società, donne che rivendicano un forte impegno sociale, tutti lontani dai poteri che contano. Lo spettacolo di quei congressi del Psi oggi si vede, almeno in parte, in quelli dei Ds: il nerbo (non tutto) dei congressi è il nerbo del potere locale.
Mi è stato pubblicamente chiesto (da amici veri e meno veri) se volevo, con altri, dare vita a un altro piccolo partito. E la domanda mi veniva posta da chi si appresta a fare un grande, anzi grandissimo partito, il Partito democratico. La risposta è la stessa che ho dato a Morando (un amico vero): continuo a stare su quel fronte che mi impegna almeno da vent’anni, quando nel 1987 con altri “miglioristi” ci battemmo affinché il Pci fosse parte del socialismo europeo. Per questa prospettiva ci siamo sempre battuti, prima e dopo la svolta della Bolognina. E non per metterci un distintivo o un’etichetta ideologica ma per obiettivi politici concreti: riformare e non abbattere il welfare, dare alla modernità un segno diverso da quello delle “rivoluzioni conservatrici”, coniugare i diritti individuali con gli interessi generali per costruire, qui in Italia, uno Stato laico e di diritto. Separarci, proprio ora, dalla famiglia europea significherebbe quindi non solo separaci da una storia ma da una cultura e da un processo politico.
Oggi infatti quel socialismo europeo viene messo in discussione. Nonostante le capriole di Fassino («siamo con il Pse», «nell’ambito anzi dentro», «decideremo dopo quando c’è il Pd», «lavoreremo insieme», ecc.), il referente europeo di Prodi e della Margherita è il partito di Bayrou: nell’intervista di Rutelli al Corriere si dice che «la Margherita vuole allearsi con il Pse ma non vi entrerà mai». Mai, vuole dire mai: né prima né dopo la nascita del Pd. E in fondo Rutelli è più corretto dei dirigenti dei Ds che, pur conoscendo la sua posizione, mentono sapendo di mentire.
Non so se il progetto di una Costituente socialista prenderà corpo e coinvolgerà una vasta parte della sinistra. So però che ci sono energie nuove interessate non a rimettere insieme i cocci di quel che c’era nel Psi, ma a costruire una forza in grado di esprimere, nella società di oggi, idee, valori e programmi in continuità con la storia e i valori della sinistra italiana e europea. Non è un orizzonte nostalgico, e sarebbe corretto un confronto nel merito e senza demonizzazioni, a partire dai fatti nuovi che emergeranno mano a mano che questo Pd prenderà forma.
Ha fatto bene Paolo Franchi a chiarire come questo confronto possa proficuamente svolgersi anche sul Riformista. Per quel che mi riguarda, siccome il mio impegno è stato e sarà esclusivamente rivolto alla battaglia delle idee, continuerò a farlo come in passato, con apertura e senza anatemi, ma rimanendo sempre su quel fronte del socialismo europeo per cui questa lotta continua ad avere senso.


La Stampa 5-3-2007  Le due Chiese in campo Giacomo Galeazzi

Retroscena Il giudizio sui Dico riaccende antiche rivalità fra credenti. Barricarsi o trattare?

 

ROMA La "Chiesa bipolare" alla battaglia dei Dico. Mai come in questi frangenti, nel laicato e nelle gerarchie ecclesiastiche, vengono evocate divisioni e fronti contrapposti che hanno i riflessi più evidenti nella contesa politica. Un clima da "guerra civile" che contrasta con l'attitudine curiale a smussare i conflitti per tenere insieme sensibilità e orientamenti diversi. Già le cronache medievali descrivono un Sacro Collegio spaccato fra innovatori e conservatori, ma nello scorrere delle epoche le tensioni sono sempre più finite sotto traccia. Le contese tra capofila del cattolicesimo politico o istituzioni (Lazzati-Giussani, comunità di base-Curia) e le dispute all'interno dei movimenti ecclesiali hanno sempre ricalcato gli schemi delle dinamiche "tollerabili" e sono state risolte tra le mura dei Sacri Palazzi. Nella temperie delle mobilitazioni contro il divorzio e l'aborto, poi, soffiava ancora forte il vento conciliare e alla fine prevaleva l'imperativo di raccordare il Magistero e i comportamenti dei fedeli. Stavolta a scuotere la "galassia bianca" a far uscire allo scoperto le divergenze in modo inusuale sembra essere stata la nota annunciata dal presidente della Cei Camillo Ruini per vincolare i parlamentari cattolici a non votare il ddl Bindi-Pollastrini. I primi a scendere in campo, gli uni contro gli altri armati di appelli di segno opposto, sono stati gli intellettuali. Da una parte lo schieramento dei catto-progressisti Giuseppe Alberigo, Alberto Melloni, Alessandro Parola (e degli altri 7500 firmatari della richiesta alla Cei di bloccare il diktat anti-Dico), dall'altra i "teocon" Francesco D'Agostino, Antonio Socci, Giovanni Maria Vian (e gli "atei devoti" Giuliano Ferrara, Vittorio Mathieu, Sergio Ricossa), desiderosi che la la Chiesa faccia sentire chiara la sua voce nel mondo politico. "E' in corso un sisma - spiega il teologo don Gianni Baget Bozzo -. Il carisma di Giovanni Paolo II teneva tutto insieme, la posizione ferma di Joseph Ratzinger fa emergere le differenze e sui Dico sono clamorosamente esplose le contraddizioni interne al mondo cattolico". Adesso sarà necessario, osserva Baget Bozzo, ricomporre il conflitto tra chi vive il cristianesimo come una pura prassi a favore dell'uomo e chi lo considera una dottrina di verità rivelate. "E' una situazione di fibrillazione dovuta al valore non negoziabile della famiglia - evidenzia padre Enzo Fortunato, direttore della "Rivista di San Francesco" -. Sul caposaldo della società non si gioca al ribasso, bisogna stare da una parte o dall'altra". Secondo il ciellino Luigi Amicone, direttore del settimanale Tempi, si riflette nell'agone politico una questione ecclesiale di fondo. "A 40 anni dal concilio i cattolici democratici, nelle parrocchie e in Parlamento, hanno annacquato l'identità dei credenti fino a snaturarla - sottolinea Amicone -. Con il Pontefice del mondo Wojtyla la questione italiana era limitata alla valorizzazione dei movimenti, adesso con Benedetto XVI la fede non si fa ridurre alla dimensione privata". Il clima da "muro contro muro" non spaventa l'ala progressista dell'universo ecclesiale, che fa notare il "significativo silenzio" sui Dico di maggiorenti della Conferenza episcopale come il cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe. "Anche all'interno dell'episcopato c'è pluralità di pensieri e opinioni- commenta il dossettiano Giovanni Niccolini, storico vicario episcopale a Bologna e fondatore della Comunità "Sammartini" -. Questa diversità di posizioni va accettata e fa parte della vivacità della Chiesa. Se la nostra unità fosse basata sull'uniformità sarebbe disperante, mentre, grazie a Dio, è fondata sulla varietà dei doni dello spirito". Così anche l'odierna differenziazione è "segreto di grande ricchezza", pur avendo passaggi dolorosi. Tra tesi e antitesi, la Chiesa saprà fare la sintesi, assicura l'arcivescovo di Curia Francesco Gioia: "Va bene la discussione, ma non si possono fare sconti sulle verità di fede". Una fibrillazione tanto più evidente in politica. "I teodem non scatenino guerre tra cattolici. Io, teocon, ubbidirò al vescovo di Roma", avverte il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga che sabato ha ripreso una polemica montante. Il prodiano Franco Monaco, ex presidente dell'Azione cattolica di Milano, ribadisce il concetto: "La discussione sui Dico va messa al riparo dalle guerre di religione. E la stessa sigla Teodem è un ossimoro un po' blasfemo". A non combattere "guerre di religione sull'etica e la famiglia" esortano altri due cattolici "doc" come l'ex leader Udc Marco Follini e il segretario della Dc Gianfranco Rotondi. Secondo il diellino Giorgio Merlo "finalmente i Teodem gettano la maschera e sui Dico". Mentre per il presidente della Consulta etico-religiosa di An Riccardo Pedrizzi: "Un cattolico, in quanto tale, non può essere di centrosinistra".


La Sicilia 5-3-2007 Medici cattolici, i rischi reali del "relativismo" A. T.

 

Il progressivo, irrefrenabile sovvertimento di taluni principi etici e sociali quali la famiglia, la religione, il comune senso del pudore, il matrimonio, la procreazione, hanno travolto la sfera più intima di ogni persona favorendo il sorgere di una filosofia che non riconosce alcunché di definitivo tra i tradizionali valori della vita sicché tutto diventa soggettivamente opinabile, tollerabile e cioè a dire"relativo" nella sua essenza. E deriva da ciò il termine di "relativismo" che oltretutto finisce con il turbare e porre magari in imbarazzo assai spesso i cristiani: ed è proprio quest'ultimo risvolto a sollecitare i dibattiti che si vanno susseguendo anche a livello territoriale, come quello che l'Associazione medici cattolici di Catania (presidente il prof. Salvatore Castorina e vice il dott. Armando Galletta) ha tenuto con largo consenso di presenti e relativi interventi nel salone delle suore domenicane nell'ambito di un ricco programma di iniziative da realizzare quest'anno. Ed è stato il sacerdote don Vittorio Rocca (docente presso l'Istituto Teologico San Paolo) a approfondire la complessa quanto delicata tematica. Il relativismo - ha spiegato il teologo dopo un'ampia introduzione del dott. Galletta - è la struttura portante del cosiddetto "pensiero debole", che assume sfaccettature solo apparentemente cangianti, come indifferentismo, nichilismo, mobilismo, pirronismo, soggettivismo, individualismo. Tendenze di pensiero che sta portando a un consequenziale e inesorabile indebolimento dei valori. "La questione del relativismo ha soggiunto don Vittorio - appare sempre di più come il filo rosso anche del pontificato di Benedetto XVI. In ogni circostanza (persino quando parla di pace o solidarietà verso i malati di mente) il Papa sottolinea come sia decisivo oggi non chiudere il cielo sopra di sé. La preoccupazione costante di Benedetto XVI è di far ritrovare il fondamento ultimo di tutto". Come dunque comunicare il Vangelo in questo mondo secolarizzato? "Prima di tutto è necessario ribadire il diritto della Chiesa di non tacere sui temi morali che sottostanno ai meccanismi generali e ai modi dell'agire politico: non tanto per la Chiesa quanto per tutelare dal pericolo incombente la natura stessa del costume sociale che sta alla base della democrazia. In una società pluralista com'è quella di oggi occorre poi una sapiente gradualità nel parlare: non basta aggredire i problemi con dichiarazioni di principio, se non si individuano strumenti di traduzione pratica che possono essere condivisi utilizzando un linguaggio al positivo, indicando valori vivibili e appetibili per tutti giacché se ci si chiude sempre e solo nei no, alla lunga si diventa sterili". Don Vittorio ha poi indicato tra i più attuali e scabrosi esempi di relativismo la questione dei Dico. "Se i cattolici sono in prima linea nella loro battaglia contro i Dico - ha affermato - ciò non dipende dal desiderio di difendere un bene confessionale, ecclesiale e nemmeno, a ben vedere, spirituale: ciò che si difende dicendo no è uno specifico bene umano, che caratterizza tutte le epoche e tutte le culture e che non a torto è ritenuto, dagli etnologi, alla stregua di una struttura antropologica fondamentale". Per quanto riguarda inoltre la vicenda Welby la liceità o meno dell'eutanasia, per lo stesso don Vittore bisogna laicamente riconoscere che la persona umana ha una dignità intangibile, una preziosità incommensurabile, che dipende dal suo stesso esserci e non dal suo esercitare determinate attività o dalle sue condizioni di vita: perciò non può mai essere ammessa l'eutanasia. Per il prof. Castorina il relativismo scaturisce ormai da tutti i problemi più ambigui coi quali siamo costretti a misurarci giorno per giorno, minuto per minuto e dai quali ricaviamo un disturbo del nostro equilibrio psichico.


Il Giornale Mastella: "No alle guerre di religione" di Gian Maria De Francesco

 

- lunedì 05 marzo 2007, 07:00 da Roma Ministro Mastella, la senatrice Binetti ha definito l'omosessualità una "devianza della personalità". Lei che ne pensa? "Io non sono per un'offensiva contro gli omosessuali. Ma un conto è il rispetto delle persone, un altro sono i desideri tramutati in diritti che non trovano riconoscimento né sul piano religioso né soprattutto un mio riconoscimento sul piano giuridico e personale". Ma il ddl Bindi-Pollastrini è già al Senato. "All'inizio non ci saranno grandi sorprese. Le forche caudine per i Dico arriveranno in aula e là maturerà la decisione. A differenza della Binetti o di questi teodem, non credo che accorgimenti o modifiche possano trovare accoglienza favorevole. Io sono per una minor pressione fiscale e per maggiori servizi di modo che le coppie italiane possano fare più figli". Il vicepremier Rutelli ieri ha detto che i Dico non sono una priorità e non faranno cadere il governo. "Non vorrei che diventassero una specie di discriminante per il Partito democratico. Salvi erge la propria bandiera di "più laico dei laici" per ragioni congressuali, altri il vessillo di una minore velocità sul piano parlamentare. È una questione più complessa dei congressi di Ds e Margherita". È una questione centrista: per Dario Franceschini sono una "garanzia che non ci saranno barriere tra laici e cattolici", mentre Enzo Carra sarà in prima fila al Family Day. "Vorrei che fossimo un po' più sereni tutti quanti nell'esprimere le nostre valutazioni. Non è una guerra di religione. Se le discussioni hanno come elemento primario le ricadute all'interno dei partiti, sono molto spiacevoli". L'Udeur è contraria ai Dico? "Certamente sì. Mica ho smorzato l'impegno nel dire che siamo contrari ai Dico e favorevoli alle politiche per la famiglia. Non è solo un atto di natura religiosa". Che cosa pensa della politica che si fa "biopolitica" includendo nella sua sfera d'azione questioni che attengono il privato come unioni di fatto ed eutanasia? "È la deriva del relativismo cui spesso fa cenno papa Ratzinger parlando di disimpegno morale. È il relativismo che ritiene che i limiti possano essere superabili in nome >>.

 


Libero 5-3-2007 Cretini e furbetti anticlericali di ALESSANDRO GNOCCHI

 

Cultura e scienza 05-03-2007 Un petulante e verboso fantasma si aggira per l'Italia: è la polemica tra laici e cattolici. O meglio la polemica dei laici contro i cattolici. O meglio ancora dei laici contro la Chiesa. Una polemica che nasce e muore sulle pagine dei giornali o in qualche salotto. Troppe le battaglie più recenti di questa guerra unilaterale e immaginaria per ricordarle tutte: si va dalle quotidiane lamentele per le "ingerenze" del Vaticano fino al recente "processo" (?!?) intentato da una schiera di teologi reazionari all' "Inchiesta su Gesù" di Corrado Augias, novello Galileo Galilei. Terribile la sentenza della rinata Inquisizione, così riassunta su Repubblica dallo stesso perseguitato: "Non si può parlare di Gesù senza misurarsi sulle fonti". Le librerie sono ormai ingolfate da pamphlet anticlericali, tutti identici. Non c'è quasi casa editrice che non ne abbia almeno un paio in catalogo. Tuttavia Piergiorgio Odifreddi, nel suo "Per ché non possiamo essere cristiani" (Longanesi, pp. 260, euro 14,6) , lamenta che nessuno voglia farsi carico della difesa del laicismo. Per fortuna "ogni epoca ha i suoi matematici resistenti". Alla nostra è toccato il "matematico resistente" Odifreddi il quale raccoglie l'eredità di Bertrand Russell, autore di "Perché non sono cristiano" (1957), e risponde ancora una volta al "Perché non possiamo non dirci cristiani" (1943) di Benedetto Croce, "filosofo collaborazionista" della Santa Sede. Un'impresa troppo grande per un uomo solo? Odifreddi comunque ci prova, e va per le spicce fin dall'introduzione "Cristiani e cretini". "Il termine cretino ", spiega Odifreddi "deriva da cristiano ". L'accostamento potrebbe sembrare "irriguardoso" ma è "corroborato dall'interpretazione autentica di Cristo stesso che nel Discorso della montagna inizia l'elenco delle beatitudini con: "Beati i poveri di spirito perché di essi è il Regno dei Cieli"". La stringente analisi etimologica non lascia spazio a dubbi e rischia addirittura di rendere superflua la lettura delle restanti 250 pagine: "In fondo la critica al Cristianesimo potrebbe dunque ridursi a questo: che essendo una religione per letterali cretini, non si adatta a coloro che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non esserlo". Tra l'altro la "questione etimologica" spiega anche perché il Cristianesimo abbia riscosso un certo successo: "come insegna la statistica, metà della popolazione mondiale ha un'intelligenza inferiore alla media". Odifreddi, dotato di un'intelligenza normale o superiore alla media, è uno scienziato e in quanto tale un metodico. Nel resto del saggio quindi si "carica sulle spalle la Bibbia" e percorre "la via crucis della sua esegesi". E scopre che la Bibbia è piena di "assurdità scientifiche, contraddizioni logiche, falsità storiche, sciocchezze umane, perversioni etiche e bruttezze letterarie". Non può quindi essere "un'opera ispirata da un Dio". In alcune parti è una sorta di reportage riuscito male e pieno di errori. In altre è pura fiction con trucchi da bestseller di serie B. Al termine della via crucis Odifreddi emette un "verdetto" inappellabile sul Cristianesimo: "ovviamente è la condanna capitale". Impossibile "essere Cristiani, e meno che mai Cattolici, se vogliamo allo stesso tempo essere razionali e onesti". La ragione e l'etica sono infatti "incompatibili con la teoria e la pratica del Cristianesimo". Rimane da notare un particolare: Odifreddi è tutt'altro che cretino . Mostrare disprezzo per il cristianesimo è un fiore all'occhiello. Frutta pubblicità e sontuosi commenti sulla stampa. Come andrebbe a finire se prendesse a schiaffoni l'islam e il Corano? Da lui, coraggioso "matematico resistente", ci aspettiamo almenoun altro libro che liberi per sempre l'umanità dalla zavorra religiosa. Foto: Piergiorgio Odifreddi Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza autorizzazione.


La Stampa 5-3-2007 La bibbia dei teo-dem Di Franco Garelli

Non è un tempo facile quello che stanno vivendo i teo-dem, l'ultima formazione politica di matrice cattolica, nata sul successo dell'astensione al referendum sulla procreazione assistita del 2005.

 

 Si tratta di 25-30 parlamentari e amministratori locali di forte ispirazione religiosa, che appartengono alla Margherita ma che di fatto sembrano avere il cuore "altrove". C'è chi li considera le brigate che il cardinal Ruini avrebbe collocato nel centro-sinistra per difendere i valori cattolici nel polo più "laico" della politica italiana; altri li ritengono un gruppo ibrido, per la velleità di fare un discorso progressista sui temi cari ai teo-con americani. Sia da destra che da sinistra sono guardati con un mix di attenzione e di sospetto, anche da parte di cattolici doc di lungo corso. Proprio due giorni fa, Rosy Bindi li ha accusati di aver usato l'arma dei Dico per affossare Prodi e il partito democratico, "per passare a maggioranze diverse". Loro, i teo-dem, respingono le critiche e vanno per la loro strada. Che non è ancora ben definita, ma che ha alcune stelle polari: anzitutto la forza di un'area cattolica di base che non ha adeguata rappresentanza politica, ma che costituisce una ricchezza del Paese; inoltre, aver individuato nei temi della vita e della bioetica la nuova frontiera della questione sociale. Come credenti, hanno antenne ben sintonizzate con la gerarchia cattolica, ma nella ferma convinzione che spetti al laicato impegnato in politica tradurre i grandi principi della dottrina cristiana nelle scelte pratiche. Oggi hanno un nuovo manifesto del loro credo politico, nel volume Il posto dei cattolici in uscita da Einaudi. L'ha scritto Luigi Bobba che, insieme a Paola Binetti, Marco Calgaro ed Enzo Carra, è tra i promotori di questa nuova corrente di impegno pubblico. Si tratta di un libro a un tempo autobiografico e programmatico. Bobba è un piemontese di Cigliano, che anche nel fisico da contadino mancato dà l'impressione della concretezza della terra da cui proviene. Di lui colpisce lo sguardo buono e un pensiero che si sviluppa lento ma incisivo. È del tutto evidente che la "modernità liquida" di cui parla nel libro per descrivere la società attuale è qualcosa che non gli appartiene, forse l'unico vezzo letterario che si concede per non essere da meno nel dibattito pubblico. Bobba ha vissuto la sua giovinezza nei vivaci e controversi anni Settanta, animando il foglio Acido solforico del suo liceo classico, organizzando cineforum, impegnandosi nel collettivo dei giovani democratici della zona. A 18 anni esce per la prima volta dai confini della sua parrocchia, attratto da due grandi comunità monastiche, prima Taizè e poi Bose, che gli aprono il cuore e lo spirito. Questa tensione lo spinge a un maggior impegno nelle Acli. Sarà questo il trampolino di lancio che lo porterà a Roma, dove sarà chiamato nel tempo a ricoprire importanti incarichi, prima come segretario di Gioventù aclista, in seguito come Presidente delle Acli dal '98 al 2006. Da responsabile di questa grande organizzazione si è sempre speso per favorire un maggior dialogo con la chiesa e per riscoprire la "distinzione cristiana". L'intento non è mai stato di alzare gli steccati, quanto di affermare un modo nuovo dei cattolici di stare in politica. Siamo al cuore della sfida dei teo-dem. C'è in Italia una grande allergia al fatto che i cattolici si pronuncino in quanto tali sui temi politici e sociali. Finita la Dc, c'è paura di vedere riuniti i cattolici attorno a qualche obiettivo politico; e ciò soprattutto a sinistra, dove molti pensano di avere un'esclusiva. I teo-dem non ci stanno a lasciarsi confinare nell'angolo e lottano con forza contro due derive oggi prevalenti. Anzitutto, contro l'idea che i temi della vita, della famiglia e della scuola siano monopolio della destra e che possano essere trattati solo in una prospettiva di conservazione. I cattolici non sono necessariamente dei moderati. Già Paolo VI invitava i cristiani a essere degli scompaginatori della stagnazione, non dei condannati alla moderazione. Spetta ai cattolici far sentire alta la loro voce per coniugare i diritti individuali con le responsabilità sociali; e ciò mentre molta sinistra sembra succube di posizioni radical-liberarie in fatto di etica e di costumi. L'altra deriva contro cui i teo-dem combattono è la riduzione del cristianesimo a religione civile. Con ciò essi non intendono chiudere la bocca agli atei devoti, che pur sostengono da posizioni laiche i valori religiosi. Ma prendere le distanze da quanti, nel richiamare i valori della tradizione, fanno della fede più una religione d'ordine che un principio di conversione. Per i teo-dem, dunque, il "posto dei cattolici" è farsi carico della questione antropologica nel dibattito pubblico, soprattutto nel centro-sinistra in cui sono collocati, ma anche nella destra sensibile a questi temi. Il richiamo alla distinzione non implica però il ritorno a un partito cristiano. Non si rinuncia al dialogo, ma sui temi eticamente sensibili è bene mantenere ferme le posizioni. Sulle questioni vitali è anche possibile far emergere un bipolarismo etico che scompagini gli equilibri politici di sempre. Ecco servito il manifesto dei teo-dem, che sembra comunque più una carta dei valori che un vero progetto politico. Come queste istanze possano essere difese e proposte in una società pluralistica, come passare dai principi alla concreta mediazione politica, è un'altra pagina che deve ancora essere scritta.


 

Il Corriere della Sera 4-3-2007 Appello alla mobilitazione dei pensatori cattolici senza respingere la cultura del tempo  Ruini: «Cattolici svegliatevi» Il cardinale: «Meglio contestati che irrilevanti» Virginia Piccolillo

 

 

ROMA - «Se noi cristiani ci rassegniamo ad essere una subcultura, in un mondo che guarda dai tetti in giù, niente potrà salvarci». La mano ossuta accarezza il Crocifisso appeso alla lunga catena argentea, poi lo sguardo del cardinale Camillo Ruini si accende, come il suo sorriso. E si affretta ad aggiungere: «Salvo un intervento della Provvidenza. Certamente». Con questo appello alla mobilitazione dei pensatori cattolici il cardinale vicario di Roma ha appena chiuso la due giorni di studi su: «La ragione, le scienze e il futuro delle civiltà». Ultimo appuntamento di quel forum che dieci anni fa ha lanciato il tema del «progetto culturale», così gradito ora al Pontefice. Un appuntamento da record per numero e qualità degli interventi di giuristi, matematici, filosofi, fisici e teologi che segna anche l'addio del cardinale settantaseienne al ruolo di presidente della Conferenza episcopale. «La prossima volta sarò da quella parte e non da questa», dice alludendo alla sua imminente sostituzione per motivi di età, suscitando gli applausi affettuosi degli studiosi.

Ruini tira le fila della riflessione comune e confessa la sua intenzione di «mostrare che per dire quel "grande sì all'uomo" auspicato da Ratzinger e per mostrare la verità, la bellezza e la vivibilità della fede, bisogna andare alle radici della razionalità contemporanea». Non è un invito a respingere la cultura del nostro tempo. Anzi. Sollevando la testa dai suoi fitti appunti, il cardinale sottolinea: «Qualcuno sostiene che c'è molto da assumere da Kant. Io, a costo di scandalizzare, voglio dire anche da Hegel. E guai a chiudersi e buttare via tutto», ammonisce. Quella che attende il cattolico, spiega, è una sfida «ineludibile»: «Deve svegliarsi. Deve giocare di proposta e dare un orientamento alla cultura. E per questo occorre che ci sia una crescita del senso di appartenenza alla Chiesa e a Cristo e una più precisa consapevolezza della radicalità della sfida che abbiamo davanti».

A convegno chiuso, finite le strette di mano, ascoltate le richieste più disparate (compresa quella di ribadire l'inconsistenza dei vangeli apocrifi), il cardinal vicario si aggiusta l'abito e ci spiega meglio perché nutre molte speranze che i cattolici possano abbracciare la sua sfida a diventare bussola della cultura e vincerla: «Dall'interno del cattolicesimo cresce la consapevolezza che c'è bisogno di farlo. Perché i problemi che riguardano l'uomo in quanto tale e il dialogo tra le religioni spingono ormai in una direzione convergente: fanno sentire a molti il bisogno di riscoprire la propria identità cristiana». Eppure, da fuori, sembra che il periodo sia molto più complesso. E fortemente scosso dai contrasti sui temi etici.

Il cardinal vicario allarga le braccia, annuisce e sorride: «È vero che la contestazione contro la Chiesa aumenta. Ma è preferibile essere contestati che essere irrilevanti». E aggiunge: «In altri Paesi come la Francia forse c'è minore contestazione, ma solo perché minore è il peso specifico dei cattolici». Si ferma, si illumina e aggiunge: «Se ci considerassero a fine corsa ci attaccherebbero meno». «Tra l'altro - fa notare - i rapporti numerici tra credenti e non credenti nella totalità della popolazione sono molto diversi da quelli che appaiono sui media. Io credo che qui in Italia, come negli Stati Uniti, sono maggioritari quelli che hanno Dio come punto di riferimento». Il rischio insito nello scontro però è di ritrovarsi nemici senza volerlo. Ora che l'etica è divenuto terreno di polemica politica ne abbiamo esempi quotidiani. E ieri l'altro il ministro dell'Interno, Giuliano Amato, intervenendo sui Dico, la legge sui diritti per le coppie di fatto, ha lanciato un monito alla religione a trattare con amore «legami forti anche fuori da quelli convenzionali» e non respingerli come «un peccato da cancellare», «sennò regaliamo a Satana un tempo che non è detto sia il tempo di Satana».

Ruini, divenuto nella considerazione di alcuni il paradigma di una visione severa che sembra voler più escludere che includere, allontana da sé questo sospetto con garbo: «Non ho mai pensato di demonizzarli. Certo io suggerisco il matrimonio, ma non sono contro le persone che vivono in una coppia di fatto. Per carità. Quella è una loro libera scelta. Va rispettata. D'altra parte non si vede perché dargli una struttura giuridica che rischia di sovrapporsi a quella esistente e a fare confusione». «E del resto non la vogliono. A dirlo sono loro stessi. Noi ne conosciamo molti, giacché molte sono le coppie che si sposano dopo aver convissuto. Sono una sorta di coppie di fatto in transito verso il matrimonio. Da quanto risulta ai sacerdoti che hanno ogni giorno a che fare con loro, queste coppie non chiedono forme diverse dal matrimonio».

Nel convegno era già stata messa in discussione una nuova tendenza, quella della richiesta sempre più diffusa di nuovi diritti (c'è chi ne reclama anche per l'intelligenza artificiale) senza farsi carico dei corrispondenti doveri. Un diritto che voglia essere ragionevole, era stato detto, deve invece riuscire a bilanciarli. Nella conclusione il cardinale evidenzia che «il punto decisivo è l'apertura della razionalità umana alla trascendenza, cioè, in concreto, a Dio e anche all'uomo che non può essere considerato un pezzo di natura». Altrimenti, fa notare condividendo l'intervento di un professore di letteratura russa, «ricadiamo nell'errore descritto dal pensatore sovietico Soloviev». Nel suo romanzo metaforico c'è un uomo, progressista, umanista, pacifista, che riusciva a mettere d'accordo tutto il mondo, persino le religioni diverse. Ma viene smascherato: è l'Anticristo.

Fuor di metafora, Ruini e i pensatori del Forum sono convinti: «Occorre tenere conto della novità e della importanza decisiva della fede cristiana rispetto alla razionalità. Non basta adottare i valori senza riconoscere l'importanza decisiva di Cristo. Questa è la sfida culturale ineludibile dei cattolici. E per vincerla non basta organizzarsi. Occorre una consapevolezza dell'appartenenza. Ci sono gruppi religiosi numericamente non molto diffusi ma capaci di esprimere una presenza assai incisiva. Lo abbiamo visto». Malgrado le critiche affilate e gli sbeffeggiamenti subìti dalla satira Ruini non rifugge dai media: «Gli attacchi non mi hanno mai dato fastidio. E credo che, come cattolici, dobbiamo stare dentro alle dinamiche della comunicazione. Senza limitarci al gioco di rimessa. Solo in questo modo la cultura cristiana potrà avere piena cittadinanza nel pensiero attuale. Ma soprattutto dare alla cultura di tutti un nuovo slancio». In uno slogan: «Cattolici svegliatevi».

04 marzo 2007


 

Il Corriere della Sera 5-3-2007 ALBERIGO "Sbagliato evocare sempre nemici Molti dubbi anche dentro la Chiesa" Gian Guido Vecchi

 

MILANO - Che ne pensa, professore? "Mi sembra un canto del cigno. Il suo mandato è agli sgoccioli, e si può capire che il cardinale Ruini voglia lasciare un messaggio conclusivo. Nei suoi sedici anni di presidenza la Cei è in gran parte divenuta una scuola con un maestro e tanti allievi, e la Chiesa si è ridotta al silenzio...". Nel senso che chi è fuori linea non parla? "Già. E se parla solo Ruini è anche meglio" ride Giuseppe Alberigo. "Ora speriamo si volti pagina". Storico della Chiesa, padre nobile della Fondazione per le scienze religiose di Bologna creata da Giuseppe Dossetti, Alberigo è un uomo che segue la massima evangelica: il vostro parlare sia sì sì, no no. Non è abituato a mandarla a dire, del resto è stato lui a scrivere la "supplica" degli intellettuali cattolici progressisti perché i vescovi non inviassero la "nota impegnativa" sui Dico, annunciata da Ruini e rivolta ai parlamentari credenti, "più che preconciliare sarebbe un atto prerisorgimentale!". Il cardinale Ruini invita i cattolici a svegliarsi, parla di "sfida", denuncia il pericolo dell'irrilevanza... "Questo è il nodo cruciale: il bisogno del nemico. Prima c'era il comunismo, ma ora non è più in commercio. E allora l'avversario è diventata la cultura e la società laica, il "laicismo", la modernità. Pretende d'essere all'avanguardia e ieri ha detto: attingiamo a Kant e Hegel. Ma santo cielo, la cultura contemporanea non è più Kant né Hegel!". Ma perché darsi un nemico? "Perché è più semplice raccogliere le file quando si può dire: attenzione, dobbiamo reagire. Ruini denuncia la società contemporanea come ostile, e allora è chiaro che si debba chiamare la Chiesa alle armi, difendersi e se possibile contrattaccare. Come poi questo si connetta con il Vangelo io, francamente, non so dirlo. Ma parlare di un poveretto che duemila anni fa è morto in Croce e ha predicato la salvezza, il privilegio dei poveri, è più scomodo, non c'è alcun dubbio". Eppure è evidente che nel mondo contemporaneo ci sia, al contrario, ostilità verso la fede. O no? "La Chiesa ha sempre avuto a che fare con culture "altre", a volte radicalmente diverse. Se pensiamo ai barbari, alle grandi invasioni... Perbacco, i cristiani hanno avuto l'impressione che crollasse tutto, che fosse la fine, altro che adesso! Grandi spiriti come Gregorio Magno, però, hanno detto: calma, il Vangelo è più grande, non nel senso della potenza ma per capacità di confrontarsi e dialogare con tutti. Io non ho mai nascosto la mia fede e non ho mai avuto problemi a parlare con tutti, al di là delle etichette. Se si vuole etichettare se stessi e il prossimo è già finita la possibilità di dialogo, rimangono solo ostilità e sopraffazione". Un laico come Massimo Cacciari diceva che il rischio è che la Chiesa si faccia parte, "un elemento, sempre più debole, del mondo diviso". "Sono perfettamente d'accordo. Direi di più: l'atteggiamento che ha guidato la presidenza Ruini non solo ha portato la Chiesa ad essere un fattore di divisione nella società italiana ma ha diviso la stessa Chiesa, il che è altrettanto grave e allarmante. I vescovi non osano parlare chiaro e forte, ma quando si sono fatte le consultazioni ha prevalso chi rappresentava una linea diversa. La maggioranza non ne può più". E se non parlano è colpa di Ruini? "Il clima della Chiesa in Italia va forse al di là delle responsabilità di Ruini. C'è una sorta di mortificazione, come se l'episcopato fosse un po' orfano della fine delle ideologie, dell'ostilità netta contro il comunismo, della Dc. Bisogna dare atto al cardinale Ruini di averci provato, a rimediare. Il progetto culturale è questa roba qui. Mi pare che l'esito sia stato catastrofico". Finito il comunismo, l'avversario è diventata la cultura laica

 


La Repubblica 5-3-2007"I cattolici difendano la famiglia la Chiesa ha il dovere di richiamarli" di FRANCO MANZITTI

L'arcivescovo Bagnasco, candidato alla successione di Ruini: "Mostriamo la forza della nostra identità"

 

GENOVA - I cattolici devono svegliarsi e battersi per difendere la famiglia, la loro cultura e i loro valori, in uno Stato che vara leggi difficili da digerire. Parola di Angelo Bagnasco, 63 anni, ex Ordinario militare, da soli sei mesi sulla cattedra che fu di Giuseppe Siri, il cardinale mancato papa per due Conclavi, di Dionigi Tettamanzi, oggi arcivescovo di Milano, e, da ultimo, di Tarcisio Bertone, oggi segretario di Stato in Vaticano e indicato come il suo grande sponsor per la successione a Ruini.
Già in settimana Bagnasco potrebbe diventare la nuova guida della Cei. Tutti lo danno come il candidato in pole position, senza reali concorrenti. Ma naturalmente Bagnasco, in una domenica da pastore del suo gregge di anime, mentre visita una parrocchia nella profonda periferia genovese, tace e sorride alla domanda se toccherà a lui prendere il posto di Camillo Ruini alla presidenza della Conferenza episcopale.
Cita il suo impegno al silenzio. Parla da arcivescovo di Genova e quindi da semplice membro della Conferenza che starebbe per essere chiamato a presiedere dopo Ruini, Poletti, i vicari di Roma, dopo Ballestrero, come lui nato a Genova. Ma condivide in pieno la linea sempre più insistentemente tracciata da Ruini e aggiunge di suo una richiesta urgente allo Stato italiano per una politica della famiglia più forte, descrivendo il terreno sul quale i cattolici devono scendere in campo e il temperamento che devono mostrare in una società sempre più laicizzata.
Monsignore, quella di Ruini sembra una chiamata alle armi dei cattolici contro lo Stato laico. Condivide?

"E' chiaro che i cattolici devono difendere la famiglia e che la Chiesa cattolica deve richiamarli a questo compito. Non si vogliono fare guerre sante. I nostri valori vanno difesi con serenità, moderazione, ma anche con fermezza di fronte allo Stato che fa le sue leggi. Non siamo contro le famiglie di fatto, ma contro una sovrastruttura che si aggiunga alla famiglia. Attenzione: questa è una battaglia che tocca anche a chi non crede, a chi non ha la fede ma un senso di responsabilità nell'organizzazione della nostra società: difendere un istituto come la famiglia".
E lo Stato cosa dovrebbe fare di fronte alla discesa in campo della Chiesa: modificare, rettificare i suoi progetti?
"Sono fiducioso che il buon senso sopravvenga. Ma dallo Stato ci aspettiamo subito, direi con urgenza, per esempio, politiche forti in favore della famiglia. Per ora nei programmi, nelle intenzioni di chi governa abbiamo visto segni troppo piccoli, troppo deboli in questa direzione. Non possono aspettarsi che la Chiesa dica sì e applauda le idee di riforma di istituti chiave come la famiglia. La Chiesa deve battersi perché siano difesi i valori fondamentali della nostra cultura".
Ma c'è qualche altro Stato che vara queste leggi ed è più sensibile ai valori della vostra cultura? O questa è una prerogativa italiana e dei rapporti tra l'Italia e il Vaticano?
"In Francia, per esempio, c'è una politica per la famiglia più avanzata. Ci sono leggi più favorevoli, anche se è chiaro che il peso dei cattolici è storicamente meno forte che in Italia. Ci sono altri Stati in cui quelle politiche sono più flebili o prendono altre direzioni, come la Spagna. Quello che noi ci aspettiamo sono segnali forti: quella è la strada che indichiamo".
E' solo un problema di programmi di governo o c'è qualcosa di più forte che divide la politica del governo dalle aspettative della Chiesa?
"Cercano spesso di farci passare per degli intolleranti. Non è così. Il problema è quello dell'identità culturale, in Italia come in Francia, in Europa. In Europa siamo il cuore del mondo, ma fatichiamo a definire la nostra identità a fronte delle altre culture religiose e laiche che si impongono nel mondo moderno. Guardi gli Usa: lì hanno un forte senso della loro identità. Noi stentiamo a imporre i segni forti della nostra civiltà. La famiglia è tra questi. E se non la difendiamo noi cattolici, chi deve farlo?".
E, quindi, qual è il richiamo che va fatto ai cattolici, oltre a quello di scendere in campo con moderazione e fermezza?
"Il Novecento si è chiuso lasciando alle nostre coscienze un grande problema: che cos'è oggi l'uomo? Tutto è entrato in discussione a partire dal fatto che di un uomo si possono anche cambiare gli organi, decidere il momento della morte, predeterminare il suo sviluppo, incidere geneticamente. Sui principi dell'etica ci sono scontri sempre più forti: è lì, appunto, che possiamo apparire intolleranti o che qualcuno può aspettarsi al contrario il nostro applauso, la nostra resa. Ricordo un commentatore qualche anno fa aveva posto retoricamente questa domanda: ma se la Chiesa dicesse sempre di sì, accettasse la rivoluzione laica dei valori? Ecco qual è il nostro ruolo di fronte a questo problema: essere non solo presenti, risaltare, mobilitarci per far valere questi valori, non per applaudire".
Insomma vuol dire che la linea di Ruini va condivisa e lei come vescovo si sente perfettamente identificato nella sua mobilitazione?
"Ripeto: ai cattolici non basta essere presenti e dire semplicemente che ci sono. Devono dimostrare tutta la forza della loro identità con grande serenità".
(5 marzo 2007)


 

Il Corriere della Sera 5-3-2007 PERA "Sì all'appello del presidente Cei In gioco tutta la cultura occidentale" Marco Galluzzo

 

ROMA - Ruini dice "cattolici svegliatevi". "Rischiamo di diventare subcultura", aggiunge. Sembrano parole da mobilitazione. Che succede? "Può sembrarlo. Ma non si tratta di un appello politico", risponde Marcello Pera, ex presidente del Senato. "La dimensione resta religiosa, morale soprattutto. E' anche la risposta a un risveglio delle coscienze che si coglie in Europa. E a cui si vuole corrispondere. Si rafforza la reazione al relativismo, con un appello alle coscienze e agli individui prima ancora che ai cattolici. Ruini sembra rivolgersi al singolo uomo, affinché tutti possano recuperare il senso della propria identità: religiosa, cattolica, culturale". "Se non vi svegliate niente potrà salvarci", prosegue Ruini. Sono toni quasi escatologici, la situazione è così grave? "Si fa riferimento al rischio d'estinzione della nostra cultura. Non solo cattolica, occidentale in senso più lato. Non a caso Ruini fa un parallelo fra Italia e Stati Uniti, la prima considerata come fortezza in grado di arginare il laicismo europeo. La diagnosi è grave, ma non è la marginalizzazione dei cattolici, bensì di un'intera civiltà. Ed è in piena linea con l'appello di Ratzinger, quando si rivolge a credenti e non credenti, e dice siete a rischio, tutti quanti...". Avremo una Chiesa sempre più interventista? "Sulla politica la Chiesa diventa meno interventista, in qualche modo la bypassa. Mentre si rivolge direttamente ai laici come ai cattolici, assume le forme di un magistero morale prima che religioso, diventa uno dei simboli chiave di un'identità millenaria non solo cattolica". "Meglio contestati che irrilevanti", dice ancora Ruini. "Non da ora ma da alcuni millenni la Chiesa ha fatto i conti con la contestazione. Accade ogni qual volta predica, si fa ecclesia, assume sino in fondo il proprio magistero di evangelizzazione, di missione morale". Sui Dico la Chiesa ha vinto? "Che la Chiesa abbia chiamato a raccolta singoli senatori, da Andreotti alla Binetti, non ci credo. Credo invece sia riuscita volutamente ad alzare il tono dello scontro ed a svegliare le coscienze. E qui ha vinto. Anche con argomenti non propriamente religiosi come la difesa dei figli. Con una predicazione più catechistica forse non avrebbe ottenuto lo stesso successo". Cosa ha prodotto lo scontro? "Io credo che ci sia stata un'eccessiva dose di arroganza da parte di Prodi, che fra l'altro è un cattolico. Spesso è stato irriguardoso verso la Chiesa, in alcuni casi nei confronti del Papa. C'è stato un eccesso di sicurezza che Oltretevere ha sconcertato parecchie persone e che alla fine ha prodotto un muro". I Dico sono un capitolo chiuso per il governo? "Non credo che ci sarà una crisi sui Dico, ma la situazione per la maggioranza si è aggravata. Alcuni, come Cesare Salvi, cominciano a considerare il testo concordato come un mostro giuridico. Giustamente, dato che crea un numero incontrollato di coppie di fatto". Omosessuali come deviati, l'accostamento ai pedofili: alcune parole di Andreotti e della Binetti fanno discutere. "Gratta gratta è uscito l'atteggiamento omofobico. Ma dire di no al matrimonio omosessuale non ha nulla a che fare con l'omofobia piuttosto con una proibizione di tipo morale. E questo è un elemento su cui Ruini ha vinto: si è scoperto che il nostro Paese ritiene minoritario il fondamento morale delle coppie di fatto. E prevalenti le ragioni della nostra tradizione, che vuole la coppia fatta di uomo e donna". Il rischio è la marginalizzazione di un'intera civiltà.