CENACOLO
DEI COGITANTI |
Mentre a Notre Dame i
cattolici contestano in piazza l' abortista Barack Obama, a Ro...
( da "Stampa, La" del
18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il Papa e Obama
fanno parallelamente discorsi analoghi. Il punto di contatto potrà avvenire
sulle soluzioni concrete». Ai suoi interlocutori il Pontefice spiega che «pensa
di poter collaborare bene con Obama» e nei Sacri Palazzi si sa che Benedetto
XVI è interessato alla visita di luglio in Italia del presidente Usa per il G8,
CORRISPONDENTE DA NEW YORK
( da "Stampa, La" del
18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: invito rivolto a
Barack Obama a parlare alla cerimonia annuale di laurea ha spaccato il campus
in ragione delle sue posizioni a favore dell'aborto e della ricerca sulle
cellule staminali. Quando Obama entra nel grande stadio dell'ateneo vestito con
la toga giallo-blu il rettore John Jenkins lo accoglie consegnandogli la laurea
honoris causa e pronuncia un discorso che invita «
Jacopo Iacoboni
( da "Stampa, La" del
18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: se si guarda al
resto del mondo non è così» (poi D'Alema cita Obama, Lula e l'India, Bertinotti
ci infila anche Chávez; ma sono differenze da poco; e noi siamo in Europa).
Insomma, per dirla in dipietrese: gli sta andando a fregare l'acqua nel loro
vaso. Con invenzioni a loro modo memorabili, da consegnare al nuovo lessico
politico.
LA RABBIA E LA FAVOLA
( da "Stampa, La" del
18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: iniziale di Obama,
ormai largamente esauritasi, come spiegava su queste colonne qualche giorno fa
Enzo Bettiza) e una massa di persone incerte che si sentono trascurate
dall'economia e ignorate dalla politica. E potrebbero risultare sempre più
inclini a travolgere i palchi delle manifestazione serie e ad accalcarsi
attorno a quelle che promettono facili evasioni.
È stato fatto edificare da
Cheney nel 2002 e nessuno sapeva della sua esistenza
( da "Stampa, La" del
18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama. Lo
scivolone di Biden non è arrivato con una battuta ma esponendo un lungo
pensiero ragionato che la giornalista descrive così: «Biden ha messo al
corrente i suoi compagni di tavolo del fatto di essere stato accompagnato da un
marine nel luogo segreto che si trova dietro una massiccia porta di acciaio
chiusa con un lucchetto molto complicato e collegata a uno stretto corridoio
Paula, la regina selvaggia
del Potomac ( da "Stampa,
La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: elfo dei parchi
federali" Veglia su cervi e anatre a due passi da Obama NICK MIROFF
WASHINGTON Nella lunga tradizione dello spirito indipendente americano - che
spinge a schivare le convenzioni sociali per una vita più semplice - la maggior
parte dei fuggitivi si sono diretti verso gli spazi selvaggi. Henry David
Thoreau andò sul lago Walden.
Ho cominciato a scrivere
quando ho capito che non avrei mai guidato un aereo della Palestinian Airfo...
( da "Stampa, La" del
18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: presidente
americano Obama incontra il premier israeliano Netanyahu: cosa si aspetta? «Obama
mi piace, dopo Bush apprezzerei chiunque. Ma i palestinesi sanno che l'America
non li ha mai veramente sostenuti. Sono scettico: la costruzione delle colonie
ebraiche continua, le case palestinesi vengono demolite, il ministro degli
Esteri Liberman vorrebbe sbarazzarsi anche di noi arabi-
Sono capaci di mescolare
l'alto e il basso: l'esempio di Pertini al Mundial '82
( da "Stampa, La" del
18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: allo stesso Obama
che qualche giorno fa, in un incontro con i giornalisti, ha infilato una
battuta dietro l'altra, sul suo vice Joe Biden, su Hillary Clinton, su se
stesso. Sono atteggiamenti che solo apparentemente mescolano alto e basso: in
effetti eludono ogni comprensione critica, sono piuttosto profanazioni.
Se è vero che, come dice
lo psicologo Arthur Fischer, i giovani sono tutti giovani; per i...
( da "Stampa, La" del
18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: E non è solo
l'ammirazione per Obama, spiccata anche in Germania. Bensì la scelta di un
canale tv: ProSieben, una sorta di Canale 5 tedesca. Perché? «In televisione
cerco anche reportage e sport, ma soprattutto intrattenimento», spiega Florian,
un ventunenne di Monaco. E ProSieben è un concentrato di intrattenimento.
"Dai tempi di Bush il
rapporto si è rovesciato" ( da "Stampa,
La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ala radicale del
fronte di Obama non passi il segno e non costringa Roma allo scontro
indesiderato. E' l'attuale atteggiamento del Papa verso Obama secondo John L.
Allen, corrispondente dall'Italia per National Catholic Reporter e principale
analista del Vaticano per la Cnn, il giornalista americano più addentro ai
segreti d'Oltretevere.
Il caso Fiom ricompatta il
sindacato ( da "Stampa,
La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ma sollecita il
governo ad aprire il dossier Fiat, come fatto Barack Obama negli Usa e Angela
Merkel in Germania. Guglielmo Epifani lancia l'allarme sul conflitto sociale
che «si può aggravare, soprattutto se non si fa nulla». Idea condivisa dalla
Cisl con Raffaele Bonanni che definisce l'aggressione «un'azione squadristica».
"Creiamo un network
dei progressisti" ( da "Stampa,
La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Aquila Obama
presiederà una riunione del Forum su energia e clima. Cosa si attende Obama
dall'Europa? «Il Forum serve a compiere progressi in vista della Conferenza di
Copenhagen di dicembre. L'incontro di aprile è stato positivo. Siamo in un
momento economico difficile e molte nazioni sono alle prese con gli stessi
problemi che abbiamo noi.
"Non sarei scrittore
senza i libri della Ginzburg"
( da "Stampa, La" del
18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: presidente
americano Obama incontra il premier israeliano Netanyahu: cosa si aspetta?
«Obama mi piace, dopo Bush apprezzerei chiunque. Ma i palestinesi sanno che
l'America non li ha mai veramente sostenuti. Sono scettico: la costruzione
delle colonie ebraiche continua, le case palestinesi vengono demolite, il
ministro degli Esteri Liberman vorrebbe sbarazzarsi anche di noi arabi-
Pop o papi, questo è il
problema ( da "Stampa,
La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: realtà e finzione
sono diventate una cosa sola «Chi parla così pensa che non c'è una verità ma
soltanto favole» Da Obama alla Dati: battute per eludere le responsabilità
[FIRMA]MAURIZIO ASSALTO Pop o papi? Potrebbe diventare il nuovo tormentone,
sulla falsariga del giochino disgiuntivo «rock o lento» di celentanesca
memoria. Umberto Eco è pop, le veline sono papi.
Obama nell'università
cattolica Gli antiabortisti lo fischiano
( da "Repubblica.it"
del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: NOTRE DAME
(Indiana) - Barack Obama fischiato all'università cattolica di Notre Dame
nell'Indiana, la prima vera contestazione pubblica della sua recente
presidenza. I cattolici contestano al presidente la sua politica favorevole
all'aborto e alla ricerca sulle staminali.
sull'aborto obama sfida i
fischi - washington ( da "Repubblica,
La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina 1 - Prima
Pagina Sull´aborto Obama sfida i fischi WASHINGTON Il piano della destra
americana e dei cristiani intolleranti per rilanciare la "guerra dei
valori" sull´aborto contro Barack Obama, credeva di avere trovato nella
cattolicissima università di Notre Dame il Piave dal quale muovere per
attaccarlo.
la trappola dei
conservatori - (segue dalla prima pagina) vittorio zucconi
( da "Repubblica, La"
del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ma semplicemente
perché Obama non si è presentato come "il dottor aborto", ma come
qualcuno che vuole ascoltare anche le opinioni degli altri. Che vuole
rispettare i diritti senza imporli come doveri e soprattutto battersi - ed è
questo il tallone d´Achille dell´intransigenza dottrinale - per ridurre le
gravidanze non desiderate.
aborto, obama sfida i
fischi nel campus di "notre dame" - alberto flores d'arcais
( da "Repubblica, La"
del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: la più prestigiosa
onorificenza offerta dal college sostenendo che invitare Obama «significa non
capire cosa vuol dire essere cattolici». «Onoriamo la coscienza di chi non è
d´accordo con l´aborto», ha detto Obama malgrado il suo discorso sia stato interrotto
più volte dai contestatori. «Vi ringrazio per questo diploma onorario, so che è
stata una scelta controversa».
e dopo i giochi proibiti
l'uomo dell'anno di time adesso si dà al far west - jaime d'alessandro new york
( da "Repubblica, La"
del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: a differenza di
quello di Barack Obama, Angela Merkel, o Brad Pitt, non dice molto ai più,
eppure tutti conoscono i videogame prodotti dai due fratelli, cominciando dalla
serie di Grand Theft Auto venduta in oltre 70 milioni di copie. Ritratto
violento e dissacrante dell´America contemporanea che Matt Selman,
sceneggiatore dei Simpson,
L'assalto di Torino
Marcegaglia: evitare il conflitto sociale
( da "Corriere della Sera"
del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: unico modo per
prevenire le tensioni sociali è intervenire con misure concrete e efficaci».
Duro il giudizio di Massimo D'Alema, che bolla come «un atto di teppismo»
l'episodio di Torino, ma sollecita il governo ad aprire il dossier Fiat, come
hanno fatto Barack Obama negli Usa e Angela Merkel in Germania. Gabriele
Dossena
Fischi dai cattolici Ma
Obama invita al dialogo sull'aborto
( da "Corriere della Sera"
del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il grido di
battaglia della campagna di Obama. Il rettore di Notre Dame, John Jenkins, che
in queste settimane ha dovuto fronteggiare le proteste di docenti, allievi e di
gran parte della gerarchia ecclesiastica per l'invito rivolto a Obama, ha
elogiato il presidente per la sua «disponibilità al dialogo con chi non la
pensa come lui».
L'ombra delle torture
insegue il generale dell'Afghanistan
( da "Corriere della Sera"
del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il presidente
Obama si è opposto ma alcune immagini sono comparse in Australia e sono state
pubblicate. Una «fuga» che potrebbe essere seguita da altre creando imbarazzi e
contrasti. La Casa Bianca, mostrando pragmatismo, cerca di guardare avanti ma
deve fare i conti con un passato scritto da altri.
insulti
( da "Corriere della Sera"
del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Corriere della
Sera sezione: Esteri data: 18/05/2009 - pag: 17 Urla e insulti Un militante
anti-abortista contesta Obama durante il discorso alla Notre Dame. Viene
portato via (Reuters/Jason Reed)
La trappola dei
conservatori ( da "Repubblica.it"
del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: aborto contro
Barack Obama, credeva di avere trovato nella cattolicissima università di Notre
Dame il Piave dal quale muovere per attaccarlo. Il piano non è riuscito, non
soltanto perché il trucco del neonato piangente era troppo osceno anche per i
militanti della destra cristiana e i disturbatori organizzati in loggione erano
troppo pochi,
La bomba di Teheran voto
all'ombra del nucleare ( da "Repubblica.it"
del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: accettazione della
mano tesa di Obama. O addirittura dell'arma nucleare di cui neppure si è
parlato e si parla, anche se è nei cervelli. La questione dell'apertura
all'America di Obama, con tutte le sue conseguenze, non viene affrontata, resta
nel sottofondo. E' sottintesa come tanti altri problemi nella Repubblica
Islamica.
Tonino, il castigatore
show ( da "Stampaweb,
La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Alema cita Obama,
Lula e l?India, Bertinotti ci infila anche Chávez; ma sono differenze da poco;
e noi siamo in Europa). Insomma, per dirla in dipietrese: gli sta andando a
fregare l?acqua nel loro vaso. Con invenzioni a loro modo memorabili, da
consegnare al nuovo lessico politico.
E dopo i giochi proibiti
Dan Houser si dà al Far West ( da "Repubblica.it"
del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: a differenza di
quello di Barack Obama, Angela Merkel, o Brad Pitt, non dice molto ai più,
eppure tutti conoscono i videogame prodotti dai due fratelli, cominciando dalla
serie di Grand Theft Auto venduta in oltre 70 milioni di copie. Ritratto
violento e dissacrante dell'America contemporanea che Matt Selman,
sceneggiatore dei Simpson,
Obama-Netanyahu, primo
faccia a faccia nell'agenda l'ipotesi "due Stati"
( da "Repubblica.it"
del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: mentre Obama
insiste per un approccio "soft", dopo aver assunto in prima persona
il ruolo di promotore di una nuova era di disgelo verso Teheran.
OAS_RICH('Middle'); Secondo quanto riportano i giornali israeliani l'incontro
tra Netanyahu e Obama sarebbe stato intanto preparato da "discreti
contatti" nei giorni scorsi tra Israele e le autorità palestinesi.
L'Ue si prepara al vertice
di giugno ( da "Stampaweb,
La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Iran si è deciso
di attendere le prossime mosse di Teheran dopo l?apertura di Obama al paese,
anche se Scotti ha ribadito l?intenzione di “invitare Teheran a Trieste, quando
sotto la presidenza del G8, si discuterà della situazione in Afghanista”.
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E' online la ricerca
semantica di Wolfram Alpha ( da "Stampaweb,
La" del 18-05-2009)
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Obama
Abstract: + Obama vuole
ascoltare i cittadini J. BROOKE AKER e LUCA SCAGLIARINI + "Wolfram
Alpha" il software che risponde alle domande FRANCESCO SEMPRINI + Per il
Web profondo a cui non arriva Google, ecco nuove tecnologie + Software italiano
vince l'Oscar della telefonia mobile + I vantaggi della tecnologia semantica
Obama-Netanyahu, primo
faccia a faccia non si scioglie il nodo dei Territori
( da "Repubblica.it"
del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Parole che Obama
accoglie chiedendo ad Israele "di fermare gli insediamenti dei
coloni". Per quanto riguarda il dialogo con l'Iran, Obama dice di non
voler fissare scadenze artificiali. Parole che confermano l' approccio
"soft" del presidente Usa, che ha assunto in prima persona il ruolo
di promotore di una nuova era di disgelo verso Teheran.
Faccia a faccia
Obama-Netanyahu ( da "Stampaweb,
La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il presidente
degli Stati Uniti Barack Obama ha rinnovato il suo appello alla creazione di
uno stato palestinese, confermando al premier israeliano Benjamin Netanyahu che
gli Usa sono impegnati a una soluzione «a due stati» Obama si è rivolto a
Netanyahu parlando della necessità di capitalizzare la «storica opportunità» di
riavviare le trattative di pace in Medio Oriente.
Navajo, la tribù indiana
che resiste alla recessione ( da "Stampa,
La" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: effetti sperati e
con Barack Obama si puntava a una rinascita verde in linea con le tradizioni
locali. Ma dei 787 miliardi di dollari stanziati per rilanciare l'economia solo
2,5 milioni sono destinati alle riserve. «Basta vedere la crisi in cui si trova
il Paese intero per capire quello che noi viviamo da sempre - dice Dante
Desiderio del National Congress of American Indians -
"Per l'Anp la
soluzione è unirsi alla Giordania"
( da "Stampa, La" del
19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama che Israele
rischia un secondo Olocausto». Così Meyrav Wurmster, titolare degli Studi
mediorientali dell'Hudson Institute, riassume che cosa è avvenuto fra i due
leader nello Studio Ovale. Perché Obama ha indurito i toni con l'Iran? «Fra
Obama e Netanyahu restano delle importanti differenze perché Netanyahu
considera il nucleare iraniano una minaccia esistenziale per lo Stato
Iran, Obama rassicura
Israele ( da "Stampa,
La" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama rassicura
Israele [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI INVIATO A WASHINGTON Barack Obama chiede
all'Iran di bloccare il programma nucleare «entro la fine dell'anno» e Benjamin
Netanyahu è pronto a «riprendere immediatamente» i colloqui di pace con i
palestinesi, mentre tace sull'ipotesi dei due Stati appoggiata da Washington:
le dichiarazioni dei due leader al termine di un colloquio alla
netanyahu gela obama
"niente stato palestinese"
( da "Repubblica, La"
del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Netanyahu gela
Obama "Niente stato palestinese" WASHINGTON - Il premier israeliano
Netanyahu gela Obama nell´incontro alla Casa Bianca, rifiutandosi di usare il
termine "due Stati" parlando della questione tra palestinesi e
israeliani. Netanyahu si è spinto solo a dichiarare di essere favorevole
«all´autogoverno» dei palestinesi e di essere pronto a far ripartire subito i
negoziati,
palestina, netanyahu gela
obama - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica,
La" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Incoraggianti le
parole di Obama, deludente Netanyahu» ha commentato ieri) e con il presidente
egiziano Mubarak diventino pura facciata, la Casa Bianca dovrà, come minimo,
lavorare ancora molto. Da Netanyahu, Obama ha ottenuto il sì ad «immediati»
colloqui di pace tra israeliani e palestinesi ma le condizioni dettate dal
premier israeliano rendono l´
partita a scacchi - (segue
dalla prima pagina) ( da "Repubblica,
La" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: da Obama, sarà
l´utimo treno della notte, prima che ogni ipotesi di pace svanisca per
generazioni in nuovi bagni di sangue ebreo e arabo. Se è certamente sempre più
facile pensare e invocare la pace stando a novemila e
la scomparsa della
socialdemocrazia - massimo l. salvadori
( da "Repubblica, La"
del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama, la sua
entrata in campo a «difesa del principio di una più ampia libertà di scelta
individuale sulle questioni della vita» e di altri principi «in linea con le
tendenze del centrosinistra». Se concordo con Berta sul dato incontrovertibile
dell´eclisse della socialdemocrazia (che per lui in realtà più che un eclisse è
un inarrestabile tramonto e per me un serio rischio di tramonto)
"Il Pakistan prepara
nuove atomiche" ( da "Stampa,
La" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: da Barack Obama,
sostiene che il Pakistan «ha la maggiore concentrazione mondiale di terroristi
per metro quadrato, mentre il suo programma nucleare sta crescendo a una
velocità che non ha eguali altrove». Il timore che le atomiche di Islamabad
finiscano nelle mani sbagliate ha spinto gli Usa a stanziare cento milioni di
dollari per garantire la messa in sicurezza degli arsenali (
I RISCHI DEL NUOVO DISGELO
( da "Stampa, La" del
19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: tenendo presente
che Obama e Medvedev si erano detti convinti, nel loro recente, felice
incontro, del successo dei negoziati (inizio previsto per questo mese) per il
rinnovo del Trattato Start sulla riduzione delle armi strategiche in scadenza a
dicembre, dall'una e dall'altra parte si è forse pensato che fosse il caso di
cambiare i toni.
Obama concede sei mesi
all'Iran ( da "Stampa,
La" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: stop agli
insediamenti Obama concede sei mesi all'Iran "Non negozieremo
all'infinito" Obama chiede all'Iran di bloccare il programma nucleare
«entro la fine dell'anno» e Benjamin Netanyahu è pronto a «riprendere
immediatamente» i colloqui di pace con i palestinesi, mentre tace sull'ipotesi
dei due Stati appoggiata da Washington.
"Sms, blog, social e
network così ho fatto vincere Obama"
( da "Repubblica.it"
del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: nei nostri
messaggi, Barack Obama appariva poco, il nostro messaggio non era "votate
Obama" ma "fate sentire la vostra voce"". Il web sta
cambiando la politica in America? "Non si può dire ancora, diciamo che si
è messo in moto un cambiamento. Si è chiarito soprattutto un equivoco riguardo
ai nuovi media.
"sms, blog, social e
network così ho fatto vincere obama" - ernesto assante
( da "Repubblica, La"
del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: nei nostri
messaggi, Barack Obama appariva poco, il nostro messaggio non era "votate
Obama" ma "fate sentire la vostra voce"». Il web sta cambiando
la politica in America? «Non si può dire ancora, diciamo che si è messo in moto
un cambiamento. Si è chiarito soprattutto un equivoco riguardo ai nuovi media.
Il governo Usa ha troppi
debiti Basta sprecare soldi per le agenzie Fannie e Freddie
( da "Stampa, La" del
19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: \
L'amministrazione Obama vuole mantenere fuori bilancio alcune spese per il
salvataggio. Si tratta di oltre 500 miliardi di dollari per il Fondo Monetario
Internazionale, di parte del Tarp, il programma di aiuti per gli asset tossici
e dei salvataggi di Fannie Mae e Freddie Mac.
fiat stringe su opel.
merkel: fase decisiva - salvatore tropea
( da "Repubblica, La"
del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama o, più
realisticamente, per sollecitare un extra time rispetto alla scadenza del 31
maggio allo scopo di evitare che la Opel finisca come la casa madre sul terreno
del fallimento senza avere però il paracadute del Chapter
Obama a Netanyahu
Argomenti:
Obama
Abstract: Corriere della
Sera sezione: Prima Pagina data: 19/05/2009 - pag: 1 Incontro alla Casa Bianca
Obama a Netanyahu «Uno Stato palestinese» Incontro alla Casa Bianca tra Obama e
Netanyahu. Il presidente Usa chiede «uno Stato palestinese». Il premier
israeliano ignora la proposta. Monito all'Iran sul nucleare. A P
Obama accelera sulle auto
verdi ( da "Corriere
della Sera" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 7 Meno consumi
Obama accelera sulle auto verdi NEW YORK - (m.ga.) Un'altra mossa audace di
Obama che, dopo aver deciso di salvare, almeno in parte, l'industria
automobilistica Usa sprofondata in una grave crisi, ora le impone di perseguire
obiettivi di risparmio energetico e riduzione dell'inquinamento più ambiziosi
di quelli votati dal Congresso.
Obama a Netanyahu:
Argomenti:
Obama
Abstract: Teheran pericolo
anche per gli arabi Obama a Netanyahu: «Uno Stato palestinese» Il premier
israeliano ignora la proposta e promette una «ripresa dei negoziati» DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE WASHINGTON Hanno parlato per più di due ore, ben oltre il tempo
previsto. E alla fine hanno detto entrambi le cose che ci si aspettava
dicessero, divergenze comprese.
E il ragazzo prodigio
scrive il discorso-chiave ( da "Corriere
della Sera" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: che collaborano
alla stesura dei discorsi del presidente Obama: l'ultimo a destra è il leader,
Jon Favreau (detto Fav, 28 anni, laurea alla Holy Cross, università dei
gesuiti). Accanto a lui Ben Rhodes, 31, specializzato in politica estera
(lavora al discorso ai musulmani che Obama farà al Cairo). Sarah Hurwitz è
stata la speech-writer di Hillary Clinton.
Norma, l'eroina abortista
che ora fischia il presidente ( da "Corriere
della Sera" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: durante il
discorso di Barack Obama. «È scandaloso che una istituzione cattolica inviti a
parlare un presidente pro-aborto che vuole allargare la ricerca sulle cellule
staminali embrionali», spiega al Corriere la Mc- Corvey, che dopo la
conversione al cattolicesimo e al partito repubblicano è diventata una delle
più ferventi esponenti del movimento pro-
Territori, Hamas
all'attacco di Obama "Vuole fuorviare opinione pubblica"
( da "Repubblica.it"
del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: presidente degli
Stati Uniti Barak Obama, all'indomani dell'incontro con il premier israeliano
Benjamin Netanyahu. "Le affermazioni e le manifestazioni di speranza del
presidente statunitense Barack Obama hanno l'unico obiettivo di ingannare la
comunità internazionale in merito a qualsiasi questione legata ai comportamenti
e all'esistenza dell'entità sionista razzista e radicale"
Obama: "Storico piano
per taglio emissioni" ( da "Repubblica.it"
del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Lo dice a
Washington il presidente Barack Obama nella conferenza stampa in cui ha
annunciato nuove misure per produrre e commercializzare in futuro negli Stati
Uniti solo autovetture a maggiore risparmio energetico. L'amministrazione
propone di fissare uno standard nazionale sui consumi e sulle emissioni delle
auto, superando così le divergenze eistenti a livello statale,
Napolitano: più Europa a
Kabul ( da "Stampa,
La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: obamiano,
pronunciato ieri nella sede dell'Istituto Internazionale di Studi Strategici,
Giorgio Napolitano si è detto convinto che occorra un maggiore impegno europeo,
e quindi anche italiano, in Afghanistan. «Sono fermamente convinto - ha sostenuto
il presidente della Repubblica - che una partecipazione europea più attiva
nelle operazioni di mantenimento e ristabilimento della pace
Franceschini: "Tutti
i giorni mettete i politici ai raggi x"
( da "Stampa, La" del
20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama non ha vinto
contrapponendosi alla politica di Bush ma mettendo in campo una gerarchia di
valori completamente opposta. Anche in Italia dobbiamo portare la sfida sui
valori, perché è lì che siamo più forti. E sarà una sfida lunga nel tempo ma
piena di fascino, perché un conto è fare un partito nuovo in un tempo immobile,
GABRIELE BECCARIA Perché
Barack Obama dovrebbe aver perso il sonno dietro al suo libro?<...
( da "Stampa, La" del
20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: GABRIELE BECCARIA
Perché Barack Obama dovrebbe aver perso il sonno dietro al suo libro? «Un amico
ha dato una copia alla moglie Michelle e lei ha detto che il Presidente
l'avrebbe letto di sicuro, perché ama i saggi scientifici. E chi meglio può
convincerlo, se non un'entusiastica First Lady?
I leader devono studiare
Ora o mai più ( da "Stampa,
La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama ha lanciato
un programma di maxi-investimenti nella ricerca, ma la scienza non è popolare
tra i politici. Fa eccezione il cancelliere tedesco Angela Merkel, che è
laureata in fisica. Come crede di convincere i leader a prendere lezioni?
I cervelloni del piano
sono tre studiosi di fama mondiale tra cui un Nobel
( da "Stampa, La" del
20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama era il
quarto Presidente a parlare alla National Academy, a 45 anni di distanza
dall'ultimo a presentarsi lì, un certo John Fitzgerald Kennedy. Non a caso
Obama ha sottolineato che dopo il balzo degli Anni 60, al momento della corsa
allo spazio e alla Luna, la percentuale di Pil dedicata alla ricerca e sviluppo
non ha fatto che calare e si è «
Ricerca. Il primo budget
federale dell'era Obama mantiene le promesse: 450 miliardi in 5 anni per i
laboratori La maggior parte degli investimenti andranno nell'energia pulita, ma
( da "Stampa, La" del
20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Ricerca. Il primo
budget federale dell'era Obama mantiene le promesse: 450 miliardi in 5 anni per
i laboratori La maggior parte degli investimenti andranno nell'energia pulita,
ma anche alla scienza di base, fisica in testa
Carte di credito Usa sì
alla ricetta di Obama ( da "Stampa,
La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il caso Una
stretta su interessi e commissioni TRASPARENZA Carte di credito Usa sì alla
ricetta di Obama FRANCESCO SEMPRINI Variare le condizioni del credito sarà più
difficile NEW YORK Il Senato americano approva con voto plebiscitario il
progetto di legge sulle carte di credito consentendo di compiere un altro passo
in avanti alla riforma del settore voluta da Barack Obama.
IL TIFOSO DI OBAMA VENDE
VINI E STORIE ( da "Stampa,
La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Giro di vite IL
TIFOSO DI OBAMA VENDE VINI E STORIE Sergio Miravalle Lorenzo non vede l'ora di
poter girare per la «sua» California con un'Alfa Romeo o una Fiat. E' tra i
fans di Obama e ha seguito con estremo interesse, come tantissimi in America,
le trattative Fiat-Chrysler.
Il motore pulito è la
carta segreta del Lingotto ( da "Stampa,
La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: propulsore verrà
montato sulla piccola Alfa che sarà venduta negli Usa PIERO BIANCO TORINO Il
motore che vuole Obama è già pronto. È il Multiair 1.4 che debutterà a metà
settembre sull'Alfa Romeo MiTo e progressivamente (con diverse cilindrate)
sugli altri modelli del gruppo, a cominciare dalla 500 per cui è pronto un
bicilindrico turbo di 900 cc dalle prestazioni straordinarie.
Usa, addio alle auto
inquinanti ( da "Stampa,
La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama invia la
legge al Congresso Taglio radicale alle emissioni nocive MAURIZIO MOLINARI In
vigore la legge di Schwarzenegger milioni di tonnellate «In 5 anni
risparmieremo 1,8 miliardi di barili di petrolio sui consumi nazionali»
CORRISPONDENTE DA NEW YORK Barack Obama taglia le emissioni nocive delle
autovetture richiamandosi alle severe norme della California facendo compiere
napolitano: "non
lasciamo sola l'america" ( da "Repubblica,
La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: elezione di Obama
alla guida dell´America. L´Unione europea, secondo il capo dello Stato, ha
«fatto non poco» per un «nuovo concetto di sicurezza». Ora però il proposito di
«arricchire» la sicurezza «non è una buona ragione per sfuggire a una
valutazione degli aspetti militari e a un impegno congiunto di difesa
collettiva».
"gli impianti fiat in
italia non si toccano" ( da "Repubblica,
La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: casa madre Gm che
di suo è alle prese con la task force di Obama ed ha come termine ultimo Il 31
maggio per la presentazione di un piano salvataggio al quale sono condizionati
i finanziamenti pubblici necessari ad evitare il peggio. In Italia i sindacati
continuano a sollecitare al governo un incontro a tre con la Fiat in grado di
allontanare i timori di chiusure di stabilimenti.
obama lancia la
rivoluzione verde un tetto ai consumi di carburante - arturo zampaglione
( da "Repubblica, La"
del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Economia I
vantaggi La svolta Il presidente americano detta nuove regole per ridurre la
dipendenza dal petrolio e l´inquinamento Obama lancia la rivoluzione verde un
tetto ai consumi di carburante Risparmieremo 1,8 miliardi di barili. Come
togliere dalla strada per un anno 53 milioni di veicoli Si tratta di un´intesa
importante, storica, che in passato sarebbe stata inimmaginabile.
le donne, lo strupro e
l'aborto - corrado augias ( da "Repubblica,
La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Domenica scorsa il
presidente Obama nel?l'universit? di "Notre Dame" ha detto tra le
altre queste parole che faccio mie: ?Lavoriamo insieme per ridurre il numero
delle donne che vogliono abortire diminuendo le gravidanze non volute?. Mi pare
un approccio umanistico al problema.
è gelo tra israele e stati
uniti "quel vertice è stato un fallimento" - alberto stabile
( da "Repubblica, La"
del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: E Hamas attacca
Obama Disaccordo su tutti i temi in agenda Dal nucleare iraniano ai "due
Stati" ALBERTO STABILE dal nostro corrispondente GERUSALEMME -
"Disaccordo!" (Maariv). "Dopo tre ore di colloqui (Obama e
Netanyahu) si sono ritrovati d´accordo quasi su niente" (Yediot Ahronot).
la terza vita di
"bubba" costretto a salvare haiti - vittorio zucconi washington
( da "Repubblica, La"
del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: con l´avvento
della amministrazione Obama e l´ascesa della moglie alla Segreteria di Stato si
era parlato molto di incarichi solenni, addirittura di ambasciate alle Nazioni
Unite, qualunque missione potesse utilizzare il suo carisma ancora immenso e lo
tenesse lontano dalle tentazioni, pubbliche e private, di Washington.
Supercar addio, Obama
converte l'America ai micro-consumi
( da "Corriere della Sera"
del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Scompariranno 177
milioni di automobili Supercar addio, Obama converte l'America ai micro-consumi
WASHINGTON Affiancato dai manager delle più grandi case automobilistiche, dai
governatori degli Stati più potenti, dai leader sindacali e dagli ambientalisti,
il presidente Obama ha ieri dato il via alla lunga marcia verso l'auto verde
americana.
David
Argomenti:
Obama
Abstract: la maglietta con
la faccia di Obama e la scritta «Yes, we can». «Ero comunista da bambina, e
sono comunista pure adesso. Ma il voto no, David mio, il voto non posso
dartelo». Poi però glielo promettono in venti, trenta. «Senta, io la voto: ma
non è che poi mi torna indietro da Strasburgo come la Gruber e Santoro, eh?
Napolitano a Londra:
Europa marginale senza capacità militari
( da "Corriere della Sera"
del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Anche quella
svolta, seguita dall'arrivo di Obama alla Casa Bianca, ha aperto una «nuova
fase» nei rapporti tra America, Russia ed Europa. Mentre incombe su tutti la
minaccia del terrorismo. Ed è qui (tenendo sullo sfondo Afghanistan e Medio
Oriente, dove sono attive «missioni di peacekeeping con 8.
Khalilzad: da uomo di Bush
a
Argomenti:
Obama
Abstract: a Kabul Khalilzad:
da uomo di Bush a «infiltrato» di Obama nel governo in Afghanistan DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE WASHINGTON Era l'ambasciatore di George W. Bush a Kabul e a
Bagdad. Ora potrebbe diventare l'uomo di Barack Obama dentro il governo
afghano, il garante di un'efficace lotta alla corruzione e al traffico di
droga.
Dossier nucleare, Frattini
a Teheran ( da "Corriere
della Sera" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Interessato a
risultare utile all'Amministrazione di Barack Obama, che tuttora non ha accolto
il presidente del Consiglio alla Casa Bianca e lo farà soltanto in vista del G8
a presidenza italiana, Frattini puntava già ad avere Mottaki a una conferenza
sull'Afghanistan con i ministri del G8 convocata tra il 25 e il 27 giugno a
Trieste.
"Mills mentì per
conto di Berlusconi" ( da "Stampa,
La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: un pessimo
biglietto da visita in vista del G8 di luglio con Obama, Sarkozy e gli altri
Grandi ospiti dell'Italia. Scrivono i magistrati nel motivare la condanna di
Mills (4 anni e 6 mesi inflitti a febbraio) che l'avvocato britannico «agì da
falso testimone per consentire a Silvio Berlusconi e al gruppo Fininvest
l'impunità».
Prima dell'Iran, il
Pakistan talebano Da lì arriva la minaccia nucleare
( da "Corriere della Sera"
del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione
Obama abbia infine valutato la portata del pericolo è, naturalmente, una buona
notizia. Che la Francia si sia dotata del «rappresentante speciale» Pierre
Lellouche, noto, anch'egli, per la lucidità su tali problemi, è ugualmente
confortante. Ma questo non ci dice, purtroppo, né quel che è bene fare né quel
che è consentito sperare:
Il Senato Usa nega i fondi
per chiudere Guantánamo ( da "Corriere
della Sera" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 19 Colpo a Obama
Il Senato Usa nega i fondi per chiudere Guantánamo WASHINGTON Il Senato
americano ha rifiutato di stanziare i fondi necessari alla chiusura del carcere
di Guantánamo annunciata da Barack Obama. È stata la stessa maggioranza
democratica alleata del presidente a negare gli 80 milioni di dollari
richiesti,
INCONTRI Norberto Bobbio
Alle 20,30, Alberto Papuzzi riflette sul tema Rileggere la prop...
( da "Stampa, La" del
20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: piazza Castello
Obama e la Cina Oggi (ore 16) Yu Shen, docente di Storia e studi internazionali
alla Indiana University Southeast, tiene una conferenza sul tema: «Obama and
China: new administration in search of new direction». Facoltà di Lingue e
Letterature Straniere, Sala Lauree, via Verdi 10 LIBRI Mafia Salvo Sottile,
"E' la fisica, Mister
President" ( da "Stampaweb,
La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Perché Barack
Obama dovrebbe aver perso il sonno dietro al suo libro? «Un amico ha dato una
copia alla moglie Michelle e lei ha detto che il Presidente l?avrebbe letto di
sicuro, perché ama i saggi scientifici. E chi meglio può convincerlo, se non
un?entusiastica First Lady?
Frattini cancella la
visita a Teheran ( da "Stampaweb,
La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: incontro tra
Barack Obama e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, a Washington- è
destinato a indebolire il fronte di coloro che, come il presidente americano,
tentano di disinnescare la miccia di una prossima guerra tra Israele e Iran.
Ahmadinejad, che il 12 giugno affronterà in patria la sfida politica dei
moderati,
Il Senato dice no a Obama
sui detenuti di Guantanamo ( da "Repubblica.it"
del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: vigilia del
discorso che il presidente Obama pronuncerà sulla strategia della lotta al
terrorismo. Il voto del Senato conferma lo scetticismo bipartisan verso il
piano di Obama che punta a chiudere Guantanamo entro il gennaio del 2010. I
timori sono soprattutto sul destino dei 241 detenuti: molti esponenti del
Congresso temono possano essere portati o rilasciati negli Stati Uniti,
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Mentre a Notre Dame i cattolici contestano in piazza
l'«abortista» Barack Obama, a Roma il Vaticano detta
la linea del silenzio. E intanto tesse la tela del rinnovato dialogo con la
Casa Bianca. E' il Papa in persona a calibrare la strategia: collaboriamo con
il presidente americano in politica estera, prendiamo le distanze dal
finanziamento alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, sull'obiezione
di coscienza dei medici per l'eutanasia e la legislazione abortista. Benedetto
XVI, ricevendo nelle ultime settimane i superiori della Segreteria di Stato, ha
espresso interesse verso l'operato del nuovo presidente Usa e il desiderio di
conoscerlo personalmente. L'«ostpolitik» pontificia verso l'Amministrazione Usa
non cancella i rilievi critici sulla bioetica, ma «punta su ciò che unisce più
che su ciò che divide», evidenzia il cardinale Achille Silvestrini, ex ministro
degli Esteri: «Per ora su Medio Oriente e distensione con l'Islam, il Papa e Obama fanno parallelamente discorsi analoghi. Il punto di contatto
potrà avvenire sulle soluzioni concrete». Ai suoi interlocutori il Pontefice
spiega che «pensa di poter collaborare bene con Obama» e nei Sacri
Palazzi si sa che Benedetto XVI è interessato alla visita di luglio in Italia
del presidente Usa per il G8, perché ritiene che ci sia la possibilità
di una piattaforma di contatto a partire dalla mano tesa al mondo arabo e
all'Iran. «La sua politica estera, l'idea di pacificazione e disarmo
corrispondono a quanto pensiamo noi, quindi possiamo trovare punti di contatto
su molti temi», ha argomentato nei giorni del viaggio in Medio Oriente il Papa
coi suoi collaboratori. «In politica estera ci sono importanti consonanze, come
la proposta dei due Stati per palestinesi e israeliani nella comune speranza di
passi avanti verso la pace - precisa il portavoce papale, padre Federico
Lombardi -. Sulle posizioni etiche interne, come testimoniato dall'episcopato
Usa, restano divergenze. La possibilità di un incontro a luglio esiste, ma non
c'è ancora un'agenda fissata». Per arrivare a un'udienza sono in corso
trattative tra le diplomazie. Ora «soprattutto per la Terra Santa è più agevole
una convergenza con la Santa Sede, perché Obama è meno
sbilanciato a favore di Israele rispetto a Bush, responsabile del fallimento in
Iraq - sottolinea il teologo Gianni Gennari -. A parte qualche attacco
grossolano di singoli vescovi, toni, personalità, immagine nell'opinione
pubblica mondiale favoriscono una prospettiva geopolitica nuova della Santa
Sede verso la Casa Bianca». Non a caso all'università Notre Dame è stata
frenata, nelle proteste anti-Obama, la «teocon» Mary
Ann Glendon, ex ambasciatrice di Bush in Vaticano e presidente della Pontificia
accademia delle Scienze sociali. Intanto alla Comunità di Sant'Egidio il
governatore del New Mexico, Bill Richardson, ha appena proclamato che «le
relazioni con il Vaticano saranno migliori dell'era Bush, perché ora gli Usa
riconoscono l'esistenza di una comunità internazionale, vogliono aiutare il
Terzo mondo, combattere la povertà, far cessare i conflitti. Proprio come il
Papa». Anche sulla bioetica la Curia ha apprezzato il fatto che Obama abbia imposto paletti alla ricerca con fondi federali,
limitandola agli embrioni in esubero delle cliniche della fertilità donati da
genitori che non intendono usarli per avere figli e ha bloccato metodi
sperimentali come la tecnica della partenogenesi, in cui gli embrioni si
ricavano dagli ovuli. Da settimane l'«Osservatore romano» elogia Obama con continue citazioni («è dai valori che dipende la
nostra possibilità di successo») e riconoscimenti («sulla bioetica non è così
radicale ed è meglio delle attese, le nuove linee-guida non consentono di
creare nuovi embrioni a scopi di ricerca o terapeutici per la clonazione o a
fini riproduttivi e fondi federali potranno essere usati solo per la
sperimentazione con embrioni in esubero»). Dieci giorni fa, a lodare Obama è stata, attraverso il Nobel Joseph Stiglitz, pure
l'Accademia pontificia delle Sociali: «Per risolvere la crisi economica sta
compiendo scelte giuste dal punto di vista della giustizia sociale». Sfumature
mutate radicalmente da quando, a metà novembre, il cardinale James Stafford,
capo della Penitenzieria apostolica e uno dei tre vescovi Usa che guidano un
dicastero vaticano, lo condannava come «aggressivo, distruttivo e
apocalittico», accusandolo di appoggiare «una piattaforma estremista contro la
vita» e paragonando l'America dei prossimi anni al «giardino del Getsemani».
Meno duri nel descrivere quasi come un «Anticristo» quello che adesso sta diventando
il principale alleato del Papa sullo scacchiere planetario sono stati i vescovi
americani che a marzo, attraverso il cardinale di Filadelfia, Justin Rigali,
hanno bollato il sì della Casa Bianca alla ricerca sulle staminali come «una
triste, tragica vittoria della politica sulla scienza e l'etica» e «un'azione
moralmente sbagliata, perché incoraggia la distruzione di vite umane innocenti,
trattando essere umani vulnerabili come meri prodotti da coltivare».
www.lastampa.it/galeazzi
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Maurizio Molinari CORRISPONDENTE DA NEW YORK Cinquecento
studenti riuniti in una messa antiabortista, la polizia che interrompe sit in
di protesta arrestando decine di giovani, grandi striscioni per gridare «Shame
Abortion» (Aborto vergogna) e mega-poster di feti morti affissi su autobus e
cartelli stradali. E'così che il campus dell'Università di Notre Dame, a South
Bend in Indiana, accoglie la carovana di auto del presidente degli Stati Uniti.
L'invito rivolto a Barack Obama a parlare
alla cerimonia annuale di laurea ha spaccato il campus in ragione delle sue
posizioni a favore dell'aborto e della ricerca sulle cellule staminali. Quando Obama entra nel grande stadio dell'ateneo vestito con la toga
giallo-blu il rettore John Jenkins lo accoglie consegnandogli la laurea honoris
causa e pronuncia un discorso che invita «chiunque dissente» a
«condividere i propri principi con gli altri» sostituendo il dialogo alla
protesta. «Noi a Notre Dame seguiamo i principi della Chiesa cattolica, siamo
contrari all'aborto e alla ricerca sulle cellule staminali - dice il rettore
travolto dalle ovazioni - e per questo apprezziamo che lei abbia accettato il
nostro invito». Come dire, confrontiamoci anche se siamo in disaccordo. Obama raccoglie la sfida. Prima abbraccia Jenkins dicendogli
«ha spiegato più eloquentemente di me ciò che penso», poi riscalda la platea
dei laureati lodando le locali squadre di basket e quando dagli spalti arrivano
le proteste si ferma, aspettando con calma che i dimostranti vengano
allontanati, e infine pronuncia il messaggio sull'aborto al quale ha lavorato
di persona nell'ultima settimana, assieme allo speechwriter neanche trentenne
Jon Favreau. Lo spunto è un aneddoto. «Durante la campagna elettorale un
dottore mi scrisse che non avrebbe votato per me alle presidenziali perché sul
mio sito Internet c'era scritto che ogni antiabortista è un ideologo
ultraconservatore, e mi chiese di parlare con mente aperta sull'aborto». Allora
Obama fece togliere quella scritta dal sito e oggi
risponde alla sfida di affrontare con «mente aperta» la questione di valore che
più spacca la società americana. «Anche se non andiamo d'accordo sull'aborto
possiamo concordare sul fatto che è una decisione che contorce il cuore di ogni
donna che lo compie, per ragioni morali e spirituali» dice il presidente,
auspicando di «lavorare assieme» in una duplice direzione: «Per ridurre il
numero di donne che ricorrono all'aborto contro le gravidanze indesiderate» e
per «rendere le adozioni più accessibili, assicurando cure e sostegno alle
donne che scelgono di partorire». E ancora: «Onoriamo la coscienza di coloro
che sono in disaccordo con l'aborto e redigiamo una clausola di coscienza per
assicurarci che tutte le nostre norme sanitarie siano basate su un'etica chiara
e una scienza solida, così come sul rispetto per l'eguaglianza delle donne». Il
pubblico tutto cattolico della Notre Dame University lo copre di applausi a
ripetizione perché individua nella parole del presidente abortista un'apertura
consistente alle posizioni pro-vita, quasi l'indicazione di un possibile
compromesso fra i due fronti. E Obama va avanti: «Il
dibattito sull'aborto non deve finire, sappiamo che le posizioni degli
americani su questo argomento sono complesse e contraddittorie, in alcuni casi
irriconciliabili, ma evitiamo di ridurre a caricature coloro con cui
dissentiamo». È l'invito all'America a confrontarsi con le divisioni
sull'aborto come finora non è avvenuto. «Con cuori aperti, menti aperte e
parole giuste» conclude il presidente, riuscito a uscire indenne dalla prima
sfida portata dal fronte conservatore sul terreno dei valori collettivi. Ma per
gli studenti antiabortisti accampati dentro il campus è solo la fine del primo
round: aspettano la nomina presidenziale del giudice candidato a sostituire David
Souter alla Corte Suprema per tornare a mobilitarsi.
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
REPORTAGE Jacopo Iacoboni TORINO La sintesi del Tonino Di
Pietro show è sua. «In assenza della sinistra, ci sto io». Ma com'è potuto
accadere? Una domenica al Salone del libro fornisce solo indizi, ma indizi
sicuri e convergenti. Nella Sala dei cinquecento del Lingotto - una platea di
insegnanti, impiegati, studenti, elettorato fin qui diviso tra Pd e
Rifondazione - c'è un dibattito tra l'ex pm e l'ex subcomandante, due mondi che
non potrebbero essere più distanti. Linguisticamente, concettualmente distanti.
Bertinotti fa una lunga, novecentesca analisi sulla notte della sinistra. Parte
del 17 ottobre e finisce con Jan Palach, il titolo del manifesto «Praga è
sola», poi l'89, il muro di Berlino che cade, la globalizzazione che «ci ha
spazzato via». Poi arriva il turno di Di Pietro, che c'azzecca Di Pietro con la
sinistra?, e lui: «In assenza di sinistra, ci sto io». La sala, praticamente,
cade giù. La sinistra viene messa all'angolo - qui dentro, almeno - dalla
voglia di protesta, le folle per Marco Travaglio, l'entusiasmo in mattinata per
Furio Colombo, gli applausi molto misurati che accolgono invece la tesi,
esposta praticamente identica da D'Alema e Bertinotti, che «la crisi è della
sinistra europea, se si guarda al resto del mondo non è
così» (poi D'Alema cita Obama, Lula e l'India, Bertinotti ci infila anche Chávez; ma sono
differenze da poco; e noi siamo in Europa). Insomma, per dirla in dipietrese:
gli sta andando a fregare l'acqua nel loro vaso. Con invenzioni a loro modo
memorabili, da consegnare al nuovo lessico politico. «E basta, con
questa sinistra acculturata, sofisticata, prezzemolata», e la platea che ulula
di godimento. «Fino a quando la sinistra si crogiola a chiedersi se io sono di
sinistra o no mostra la sua faccia che tende a escludere chi non è acculturato
come lei. Se non si cambia questa idea di sinistra diamo di sinistra un
concetto... sinistro!!». Boato della folla. Bertinotti alquanto imbarazzato. E
passi che poi c'è dell'incredibile sincretismo politico (a un certo punto si
ode il Tonino dire: «Si sta producendo una nuova differenziazione di classe, da
qui deriva una voglia di ricreare una lotta di classe»); la circostanza
bizzarra è che a discutere su cosa sia sinistra sia lui. Ma è così, e non
riuscendo a farci i conti i tanti dirigenti sconfitti si muovono come vasi
incomunicanti, monadi che faticano a entrare in comunicazione con l'evento, che
è poi il sempiterno evento della Protesta. Bertinotti lo fa ma quand'è giù dal
palco, a tu per tu: «Ho osservato attentissimamente chi inneggiava, ho visto
che erano quello che si sarebbe detto "ceto medio riflessivo",
impiegati, anche sindacalizzati, che hanno applaudito molto anche il mio
passaggio sul lavoro, e sui meriti degli operai Fiat». Aveva detto Fausto: «Se
Marchionne riesce nelle sue operazioni è perché è bravo, ma anche perché a
Torino e in Fiat c'è una cultura del lavoro, operaia, sindacale, che consente
di cambiare il ciclo produttivo in tre mesi, mentre a Detroit ci vuole un anno
e mezzo». Insomma, ragiona l'ex presidente della Camera, «questi sono nostri
elettori, che vogliono protestare, gridare. Sentono che non abbiamo fatto
abbastanza». Le distanze sono esemplificate dall'incomunicabilità delle due
lingue. Un tale si alza e urla entusiasta, «Tonino, tu sei di sinistra!!». E lui:
«E vabbuò, mica è un'offesa! Che devo fare, sono coinvolto». Le tirate
propriamente antiberlusconiane del castigatore sono condite con dialetto e
proverbi, «solo apparentemente c'è 'sto consenso al Cavaliere, ma gli italiani
non so' tutti scemi, il problema è che c'è un nuovo fascismo fatto di veline e
grande fratello... per cui non facciamo gli schizzinosi, non diciamo che se
siamo antiberlusconiani gli facciamo un favore. Il lupo è lupo, non è che
diventa agnello se io smetto di denunciarlo!». E ancora, «perché D'Alema non ha
fatto il conflitto d'interessi? Tra un viaggio in barca e l'altro ci piace
chiacchierare». Boato. «Spero che le due sinistre si ritrovano (sic) sulla via
di Damasco». Oppure, «se non ci fossimo noi una parte importante della società
non voterebbe più». Già, l'astensione. Non solo tra intellettuali. Bertinotti
concede che «Di Pietro è efficace, coglie una frustrazione e un bisogno di
opposizione al berlusconismo, ma una sinistra deve contenere una critica al
capitalismo, non solo una critica a Berlusconi! Berlusconi è solo
un'estremizzazione di una tendenza acutissima in Europa, che è la crisi delle
democrazie». «Hai ragione da vendere sul conflitto d'interessi - gli dice
Fausto - ma posso dire che per me ha la stessa influenza la mancata legge sui
Dico?». E qui la sala s'infuria: ma nooooooo. Sostiene Fausto che «così si
rischia di consegnare la sinistra al giustizialismo». Ma l'ora è fuggita, si
muore disperati, e la risposta di Tonino contro la sinistra prezzemolata è, nel
genere, da annali, «ci dicono populisti, massimalisti, giustizialisti, isti,
isti isti, eh... isti siamo!». Isti sono. La fine della sinistra.
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Mario Deaglio LA RABBIA E LA FAVOLA Un declino annunciato:
la scivolata dei salari medi italiani è un'ulteriore conferma del lento
affondare della nostra economia, poco presente nei settori avanzati,
dall'elevata produttività che consente alti salari, soffocata da una tassazione
molto pesante, peraltro necessaria per far fronte all'elevato debito pubblico e
da contributi sociali da record, indispensabili per pagare le pensioni a un
Paese sempre più composto da vecchi. Questa situazione difficile si colloca su
un contesto di tensioni e sfilacciamento sociale messo in luce dalle notizie
degli ultimi due giorni. Sabato a Torino, di fronte alla storica palazzina del
Lingotto, il segretario generale della Fiom veniva tirato giù dal palco da
militanti dello Slai Cobas davanti a 15 mila operai - i quali, in tempi non
lontani, avrebbero reagito vigorosamente - preoccupati per il loro posto di
lavoro; poche ore più tardi, nella stessa Torino e nella centralissima e ancora
più storica piazza San Carlo, una folla stimata in almeno tre volte tanto si
accalcava a un «evento» di Mediaset realizzato per illustrare la nuova
televisione digitale incentrata sul programma «Amici», una competizione in
grado di aprire ai vincitori le porte del successo televisivo. Sempre nella
stessa piazza, nella giornata di ieri coloro che aspiravano a partecipare alla
trasmissione «Grande Fratello» (anch'essa considerata una scorciatoia a fama,
celebrità e successo mediatico) formavano una coda lunga circa mezzo
chilometro. Le vicende parallele e apparentemente diversissime del Lingotto e
di piazza San Carlo rappresentano due facce della stessa moneta: si tratta di
due risposte, irrazionali e prive di progettualità, a una crisi che, se
raggiunge le sue punte più visibili nell'economia reale e nella finanza, si
configura ogni giorno di più come crisi di valori e di sistema e contro la
quale i rimedi razionali si sono sinora dimostrati inadeguati o insufficienti.
Non si tratta, del resto, di un fenomeno soltanto italiano, anche se i dati
salariali sull'Italia mostrano che proprio da noi raggiunge punte molto
elevate. Di fronte alle prospettive sempre più incerte e alle minacce sempre
più concrete di perdere il lavoro, in tutto l'Occidente le due risposte estreme
sono quelle di un ricorso alla violenza e di un ricorso alla fortuna che porti
un successo improvviso o, quanto meno, all'evasione in un mondo di favola,
lontano dalle asprezze e dalle incertezze della vita di tutti i giorni. C'è chi
reagisce cercando di buttar giù tutto con una spallata, magari anche il palco
di una manifestazione sindacale, e chi cerca di reagire con una risata, che
spesso suona un po' innaturale, a un evento televisivo o cerca l'onda della
fortuna grazie a questo evento. In Francia, la protesta assume le forme, ormai
note, del «sequestro dei manager»; ad Atene quelle della rottura delle vetrine
dei negozi di lusso. Nello stesso giorno del Lingotto, a Berlino sono sfilati
centomila manifestanti con striscioni su cui era scritto «Sozial statt
Kapital!», ossia «Il sociale al posto del capitale!», un'evidente impossibilità
economica ma un buon termometro delle istanze di chi vede a rischio non solo il
proprio posto di lavoro ma anche il proprio modello di vita. Parallelamente
cresce la popolarità di programmi che assicurano ai partecipanti notorietà e
redditi elevati e continua la fortuna, anche su Internet, di chi costruisce
mondi artificiali in cui evadere di fronte a una realtà che non si riesce più a
sopportare. Coloro che cercano soluzioni efficaci di tipo razionale a una
situazione economico-sociale che sembra scivolare fuori di ogni controllo
devono tener conto di questi bisogni profondi, di quest'insoddisfazione
radicale; non basta controllare i deficit pubblici, risanare i tessuti malati
dell'economia, sfornare ricette teoriche di rilancio. Dai dati dell'Ocse si
ricava che è indispensabile, ma non sufficiente, far sì che questo Paese sia in
grado di pagare salari più elevati grazie ad attività più produttive.
L'insoddisfazione, però, in Italia, ha radici più profonde e, se non se ne
tiene conto, i rimedi dei tecnici paiono destinati al fallimento; ci vorrebbe
una grande visione politica che, per il momento, proprio non si profila
all'orizzonte non solo in Italia ma neppure nel resto del mondo (dopo la
«fiammata» iniziale di Obama, ormai
largamente esauritasi, come spiegava su queste colonne qualche giorno fa Enzo
Bettiza) e una massa di persone incerte che si sentono trascurate dall'economia
e ignorate dalla politica. E potrebbero risultare sempre più inclini a
travolgere i palchi delle manifestazione serie e ad accalcarsi attorno a quelle
che promettono facili evasioni. mario.deaglio@unito.it
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
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Obama
È stato fatto edificare da Cheney nel 2002 e nessuno
sapeva della sua esistenza [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK
Joe Biden non è nuovo alle gaffes ma una così non l'aveva mai fatta. Durante
una cena di gala all'esclusivo Gridiron Club di Washington ha svelato ai
presenti dove il trova il supersegreto bunker destinato a proteggere il
vicepresidente degli Stati Uniti in caso di attacco nucleare. A raccontare quanto
avvenuto fra i tavoli è stata Eleanor Clift, giornalista di Newsweek, incredula
testimone della facilità con cui Biden ha spiegato alcuni dettagli del rifugio
che venne costruito in gran fretta dai servizi segreti alla fine del 2002 per
consentire alla leadership politica di sopravvivere se Al Qaeda dovesse
riuscire a distruggere la Casa Bianca o a far esplodere un ordigno atomico,
come Osama bin Laden ha minacciato di fare. «Joe Biden ha detto che la
stanza-bunker si trova nell'Osservatorio navale di Washington», scrive Clift
sul blog «The Gaggle», riferendosi alla residenza del vicepresidente dove Dick
Cheney ha vissuto per otto anni e che ora ospita la famiglia del vice di Obama. Lo scivolone di Biden non è arrivato con una battuta ma
esponendo un lungo pensiero ragionato che la giornalista descrive così: «Biden
ha messo al corrente i suoi compagni di tavolo del fatto di essere stato
accompagnato da un marine nel luogo segreto che si trova dietro una massiccia
porta di acciaio chiusa con un lucchetto molto complicato e collegata a uno
stretto corridoio lungo il quale vi sono librerie con scaffali colmi di
sistemi per garantire comunicazioni protette». Incalzato dalla curiosità dei
commensali, che evidentemente non si aspettavano tanto, Biden è andato oltre
descrivendo la conversazione avuta dal marine che gli raccontò come «quando
Cheney si chiudeva dentro» la stanza che gli aveva mostrato era il luogo dove
«si trovavano i più stretti consiglieri». E ciò lascia intendere che dopo la
porta d'acciaio e il corridoio vi sia un rifugio sotterraneo, probabilmente
modellato su quello esistente sotto la Casa Bianca, da dove è possibile
rimanere in contatto con i centri vitali della nazione, a cominciare dai
comandi militari. Ma perché Biden ha svelato uno dei segreti più gelosamente
custoditi a Washington? La tesi della giornalista è che voleva irridere il
predecessore, per questo, a conclusione della lunga descrizione dell'accesso al
bunker, Biden ricorse a un gioco di parole per dire che una persona come Cheney
che si rinchiude in simili posti fa poi «naturalmente» delle dichiarazioni
insensate, come quelle nelle quali ha accusato il presidente Barack Obama di aver «messo a rischio la sicurezza degli Stati
Uniti» rendendo pubblici i memorandum della Cia sull'applicazione delle
«tecniche rafforzate di interrogatorio» sui detenuti di Al Qaeda. La decisione
di costruire la «secret location» di Washington risale all'indomani degli
attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 quando i servizi segreti si resero
conto che se uno degli aerei-kamikaze di Al Qaeda avesse colpito la Casa Bianca
il presidente o il vice avrebbero teoricamente rischiato di restare sotto le
rovine. Si pose l'esigenza di identificare un nuovo luogo dove consentire alla
leadership politica della nazione di sopravvivere. Non a caso è proprio in
questa «secret location» che Dick Cheney si è più volte rifugiato durante
esercitazioni su potenziali pericoli, e qui durante il discorso sullo Stato
dell'Unione si trasferisce uno dei ministri del gabinetto - in genere il
titolare della Difesa - per impedire che un possibile attacco contro il
Campidoglio privi la nazione di una guida politica. Da qui l'importanza
strategica di mantenere il più rigoroso top secret sul luogo del sito, che è
però diventato adesso di pubblico dominio.
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
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Obama
Personaggio Una leggenda della capitale Paula, la regina
selvaggia del Potomac Un'ex tipografa è "l'elfo dei
parchi federali" Veglia su cervi e anatre a due passi da Obama NICK MIROFF WASHINGTON Nella lunga tradizione dello spirito
indipendente americano - che spinge a schivare le convenzioni sociali per una
vita più semplice - la maggior parte dei fuggitivi si sono diretti verso gli
spazi selvaggi. Henry David Thoreau andò sul lago Walden. John Muir nello Yosemite. E ora ecco Paula Smith, che arrivò a Washington
circa 20 anni fa e ha praticamente sempre vissuto all'aria aperta da allora.
Non che Paula Smith coltivi la terra, cacci o scrocchi i pasti in giro. No,
Paula è una che raccoglie roba. E tra gli assortiti personaggi che vagano nella
foresta e battono la regione di Washington e la valle del Potomac a nord di
Georgetown - un posto più selvaggio di quanto si immagini - non c'è
probabilmente un bipede più carino. Paula sa quando cercare frutti su un albero
di papaia, dove si nascondono i migliori funghi orecchioni e quando i lamponi e
i ribes selvatici sono più maturi. E anche la via più veloce per ottenere
cacciagione senza fatica. «Credimi amore, mi sono presa la mia quota di animali
schiacciati sulla strada - dice. Finché la carne è pulita, la puoi tagliare e
mangiare». In una città conosciuta per i suoi doppi sensi, le sue risate dietro
le spalle, Paula, 57 anni, è brutalmente diretta e non bada alle apparenze.
Piccoletta, asciutta e dalle maniere brusche, porta occhiali spessi e stivaloni
pesanti. Il suo linguaggio tagliente è leggendario sul fiume, come le sue
tecniche per trovare i palchi dei cervi. Per molti è la custode non ufficiale
del Potomac. Ripulire il fiume dalla spazzatura e dai rifiuti è stata per lungo
tempo l'ossessione di Paula. Ma ultimamente ha una nuova preoccupazione: i
cervi abbattuti illegalmente. «I cacciatori di frodo si stanno allargando anche
all'area a Sud di Chain Bridge». Cacciatori di frodo, a Washington Dc? «Ora ti
faccio vedere». Per i pescatori sul Potomac, e per tutti i turisti del weekend
che hanno affittato una barca da Fletcher's, Paula è la «signora del molo» che
gestisce la baracca di legno piena di remi e giubbotti di salvataggio. Lavora
lì, come una cameriera a una stazione di servizio, fa battute, chiama i pescatori
«baby», «amore» - quando non li insulta - mentre serve aringhe affumicate e
consigli in cambio di un piccolo extra nella sua tazza da caffè per le mance.
«La chiamiamo l'imperatrice dei moli», racconta Dan Ward, che lavora alla
Fletcher's Boat House dal 1969. «A volte c'è qualcuno che si lamenta perché ha
la cattiva abitudine di imprecare davanti ai bambini, ma vale il prezzo del
biglietto». Le barche sono il lavoro part-time di Paula, pochi giorni alla
settimana durante la stagione primaverile della pesca. Ma il suo lavoro a tempo
pieno è la foresta. Palchi di cervi, vecchie bottiglie, cibo selvatico e teschi
di animali sono l'obbiettivo di queste spedizioni che possono durare un giorno
intero e portarla attraverso le terre del Park Service, terreni privati e
parchi cittadini. Siccome i maschi di cervo perdono i palchi in tempi diversi
durante la stagione degli amori, Paula prende appunti dettagliati per battere i
posti giusti. «Il Maryland ha i cervi più grossi», dice. Anche Langley, ma
Paula non oltrepassa mai i confini delle proprietà della Cia. Negli anni, dice,
ha trovato magnifici palchi del valore di centinaia, anche migliaia, di
dollari, assieme a bottiglie di whisky dell'Ottocento, monete rare e anche cose
non molto piacevoli. Per due volte, racconta, ha dovuto chiamare la polizia
dopo aver trovato resti umani: una volta di un ragazzo che andava in kayak,
un'altra di una ragazzina annegata. Paula non ha famigliari nella zona, ma vive
nella contea di Arlington, con Gordon Leisch, un suo amico che aiutò a curare
il padre morente. Washington può sembrare un posto facile per un tipo di
frontiera, ma Paula non ha mai preso la patente e per lei non è facile
muoversi. Usa il Metrobus per arrivare nei parchi e gli altri posti dove ama
vagare; la maggior parte dei giorni significa salire sull'autobus alle cinque
del mattino. Paula è cresciuta nei dintorni di Chicago, e il padre,
alcolizzato, aveva lavorato per un periodo in un parco, racconta. Quand'era
bambina, il nonno la portò una volta a camminare nei boschi: «Conosceva ogni
pianta, ogni uccello». Poi scappò di casa per andare a New York prima di finire
il liceo, e per quasi 25 anni ha lavorato in una stamperia, prima di gestirne
una in proprio. Ma per problemi con le tasse fu costretta a chiudere. Perse tutto
e venne a vivere con una amica nel Distretto Federale. Non ha figli e non si è
mai sposata: «L'unico errore che ho fatto». E si è ritrovata un giorno sui moli
di Fletcher's come un naufrago sbattuto dalle onde su una spiaggia. «Chiese un
lavoro e all'inizio dubitavo che potesse farcela fisicamente», racconta Ward,
il suo compagno di lavoro da Fletcher's. Ma Paula dimostrò rapidamente che si
sbagliava: «È l'unica dipendente al quale bisogna dire di non lavorare troppo».
Anche se è con gli animali, non gli umani che preferisce vivere. Ce ne sono
pochi che non le piacciono: cormorani, che secondo lei mangiano troppe aringhe,
i pesce gatto, «cattivi», e gli yuppies, che arrivano con i loro cani e
«tartassano la foresta e gli animali». Tra i preferiti, invece, ci sono
naturalmente i cervi, ma anche serpenti, tartarughe e avvoltoi, dal momento che
Paula è interessata tanto a quello che vive nella foresta quanto a quello che
ci muore. «Vedi questo casino?», dice con rabbia, rovistando con un bastone un
groviglio di interiora: «Da ottobre ho trovato 20 cervi morti in questa zona.
Negli altri anni al massimo sei. Credo che i cacciatori se li portino via e
vendano la carne». Due tacchini selvatici compaiono sulla strada per tornare da
Fletcher's, e Smith li insegue per un po' nella boscaglia. Dice che i
cacciatori di frodo spareranno a quelle facili prede prima della fine
dell'estate. Anche se, naturalmente, non usa esattamente quelle parole.
Copyright Washington Post
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
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Obama
Ho cominciato a scrivere quando ho capito che non avrei
mai guidato un aereo della Palestinian Airforce». Sayed Kashua, uno dei
maggiori autori arabo-israeliani, scherza sulle speranze del padre patriota,
sulle sue che in realtà ha una paura terribile di volare, sulla pace che «si
farà attendere parecchio» nonostante le preghiere del Papa e la buona volontà
del presidente americano Obama. Trentatré anni, 2
figli, il passaporto blu con cui è arrivato alla Fiera del Libro di Torino che
gli consente di votare alla Knesset ma lo esclude dalla leva, Kashua traduce in
ebraico la lingua dei palestinesi. Potrebbe essere un ponte, dice, se ci fosse
un cantiere aperto tra due popoli condannati alla reciproca distruzione.
Invece, guardato con sospetto dagli uni e disprezzato dagli altri, fluttua
nella terra di nessuno in cui vive un quinto della popolazione israeliana,
arabo danzante come il protagonista del suo primo libro tradotto in Italia da
Guanda. Stasera il presidente americano Obama incontra il premier israeliano Netanyahu: cosa si aspetta? «Obama mi piace, dopo Bush apprezzerei chiunque. Ma i palestinesi sanno
che l'America non li ha mai veramente sostenuti. Sono scettico: la costruzione
delle colonie ebraiche continua, le case palestinesi vengono demolite, il
ministro degli Esteri Liberman vorrebbe sbarazzarsi anche di noi arabi-israeliani,
la bomba demografica che minaccia lo Stato ebraico. A meno d'essere forzato
Netanyahu non acconsentirà alla nascita di uno Stato palestinese». Che
impressione ha avuto delle parole del Papa a Gerusalemme? «Benedetto XVI ha
parlato di uno Stato palestinese, sembra una buona chance. Ma la routine di
controlli e diffidenza che sperimento ogni giorno mi ricorda che gli israeliani
non sono pronti alla pace, la vittoria elettorale della destra lo prova». I
personaggi dei suoi libri sembrano sempre nel posto sbagliato, che lavorino in
Israele o vivano tra i palestinesi. Perché? «Nella mia terra non c'è posto per
l'individuo. Le uniche identità possibili sono collettive: qualsiasi scelta,
compreso dove vivi, è politica. I palestinesi mi e ci considerano amici del
giaguaro, venduti. Gli israeliani si proclamano democratici ma non accetteranno
mai di mescolarsi con la minoranza araba-israeliana». Per questo scrive?
«Scrivo per sopravvivere, per spiegare ai miei connazionali che sono come loro,
ho una storia. I miei libri in ebraico vendono. Adesso alcuni romanzi saranno
tradotti in arabo a Beirut: tratto argomenti sensibili, non so come verranno
letti. La migliore accoglienza che abbia ricevuto è stata all'estero». La
letteratura come la vita. «I palestinesi sono un problema per il mondo. Non se
ne parla mai in termini di diritto ma come un problema da risolvere». Come mai
lo scorso anno ha rifiutato di partecipare alla Fiera del libro di Torino
dedicato a Israele e quest'anno invece è qui? «Dopo la polemica sul
boicottaggio, non volevo essere usato. Non ho avuto invece alcun problema a
parlare tra le bandiere israeliane alla Fiera di Parigi. Detesto i boicottaggi
culturali. Sono cresciuto leggendo autori arabi come Barakat e Naghib Mahfuz ma
anche gli israeliani Oz, Yehoshua, Edgar Keret e Yoel Hoffman. Gli scrittori non
sono bandiere. Senza i libri di Natalia Ginzburg non avrei mai intrapreso la
carriera letteraria. Gli unici ponti possibili sono quelli che costruiscono gli
scrittori, il Medio Oriente farebbe bene a pensarci su».
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
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Obama
GLI AUTENTICI «POPOLARI» Sono capaci di mescolare l'alto e
il basso: l'esempio di Pertini al Mundial '82 [FIRMA]MAURIZIO ASSALTO Pop o
papi? Potrebbe diventare il nuovo tormentone, sulla falsariga del giochino
disgiuntivo «rock o lento» di celentanesca memoria. Umberto Eco è pop, le
veline sono papi. Papi è papi (va da sé). A riflettere su «Filosofia pop: alto
e basso, vero e falso» sarà oggi, in Fiera, Maurizio Ferraris, un pensatore che
della mescolanza e feconda contaminazione tra alto e basso ha fatto la cifra
del proprio lavoro teoretico. Come è evidente anche nel libro che ha appena
pubblicato dal Melangolo, Piangere e ridere davvero. Feuilleton, dove passa dal
fenomeno delle lacrime per Anna Karenina a quelle per Lady D., dalle risate
preregistrate delle sit-com a quelle provocate dalle barzellette. E rieccolo...
Allora non potrebbe essere lui, papi, l'eroe culturale della filosofia pop?
«Lui incarna con istinto infallibile l'essenza del postmoderno, cioè
l'indistinzione tra realtà e finzione e la tendenza a portare in basso tutto
ciò che è alto. Ma questo non è pop: intanto non c'è il movimento dal basso
verso l'alto, e poi io dico che la distinzione tra realtà e finzione deve
essere analizzata, articolata, ma è una distinzione senza la quale non si può
vivere. Invece: "Non è vero, non l'ho mai detto, sono stato frainteso...".
È come se chi parla così pensasse che non c'è una verità, ma soltanto favole
che si possono raccontare al pubblico». Favole. E barzellette... «Le battute
sono un modo di sostituire la responsabilità verso il vero. Il fenomeno ha
assunto una dimensione mondiale, da Rachida Dati che arriva tardi sul palco e
si mette a scherzare con il suo vicino, a Sarkozy, allo
stesso Obama che qualche giorno fa, in un incontro con i giornalisti, ha
infilato una battuta dietro l'altra, sul suo vice Joe Biden, su Hillary Clinton,
su se stesso. Sono atteggiamenti che solo apparentemente mescolano alto e
basso: in effetti eludono ogni comprensione critica, sono piuttosto
profanazioni. Fare le corna in una foto ufficiale vuol dire profanare
l'essenza del politico, quel po' di sacralità che dovrebbe includere. Quindi
papi non è pop». Nella realtà d'oggi prevale l'aspetto papi o quello pop?
«Prevale senz'altro l'aspetto papi». C'è un papi in ognuno di noi? «Non mi
spingerei a tanto, ma sì, sembrerebbe che lo spirito del tempo inclini
pericolosamente verso papi. Per esempio, non vediamo persone che proclamano la
propria fede cattolica e contemporaneamente si comportano in modi che in
apparenza hanno ben poco a che fare con questa fede? C'è tutto uno sventolare
di valori - nei manifesti elettorali non se ne sono mai visti tanti - e
contemporaneamente una totale indifferenza a qualunque valore. Se il marchese
de Sade rinascesse, avrebbe davanti a sé una realtà che supera le sue più
ardite finzioni». Lo spirito del tempo, appunto. «Sì, e ci insegna a riflettere
che lo spirito del tempo non è necessariamente buono. Ci possono essere epoche
che sbagliano radicalmente». Se dovesse indicare qualche autentico personaggio
pop? «Uno è Umberto Eco: un uomo che ha rivelato grandissima sensibilità per la
cultura popolare pur avendo avuto tutta una vita orientata verso la cultura
alta. Un altro era Jacques Derrida, capace di un'attenzione spasmodica verso il
presente ma nello stesso tempo in grado di mantenere distacco e capacità
critica». Proviamo a fare il giochino. Il predecessore di papi, Prodi, che
cos'è? «Prodi è pop». Un politico del passato: Pertini? «Lui che esulta sugli
spalti del Bernabeu, accanto al re Juan Carlos, nella finale del Mundial '82: è
un tipico, grande esempio di politico pop. Traghettava se stesso dalla lotta
partigiana ai campionati di calcio». E Napolitano? «È pop in maniera sublime.
Paradossalmente, per un uomo della sua età. Quella di far incontrare la vedova
Calabresi e la vedova Pinelli è una grande idea pop». Di Pietro? «La versione
populista del pop». Bossi? «Bossi è pop, mentre Maroni è papi». Maurizio
Ferraris? «Spero di essere pop, ma temo di essere a volte anche un po' papi.
Per quanto ci sforziamo di essere distaccati e autocritici, possiamo facilmente
cadere vittime del narcisismo, avere atteggiamenti arroganti e prepotenti. È
umano, succede a tutti».
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
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Obama
Se è vero che, come dice lo psicologo Arthur Fischer, «i
giovani sono tutti giovani; per il resto sono molto diversi tra di loro», è
anche vero che è possibile trovare un punto che accomuna i ragazzi della
provincia bavarese e quelli di Monaco, le diciottenni di Berlino e quelle del
vicino Brandeburgo. E non è solo l'ammirazione per Obama, spiccata anche in Germania. Bensì la scelta di un canale tv:
ProSieben, una sorta di Canale 5 tedesca. Perché? «In televisione cerco anche
reportage e sport, ma soprattutto intrattenimento», spiega Florian, un
ventunenne di Monaco. E ProSieben è un concentrato di intrattenimento.
Nel palinsesto spiccano alcuni dei programmi più seguiti dai giovani tedeschi:
dagli immortali Simpson a Popstars, fino a Germany's Next Top Model, la
trasmissione di Heidi Klum. Anche se poi, grazie pure a una diffusione di
Internet a banda larga molto più capillare che in Italia, sempre più ragazzi
migrano sul web. «Tra i più giovani Internet sta superando la tv, se non l'ha
già superata», sostiene Wolfgang Hertel, redattore culturale del magazine
femminile Glamour. E qui un nome è d'obbligo: StudiVZ, un portale tedesco di
social networking con oltre 13 milioni di iscritti che ricorda da vicino
Facebook (la piattaforma statunitense l'ha citato in giudizio per plagio).
Molto meno omogeneo, invece, il panorama musicale e cinematografico. Se da un
lato anche nella Repubblica federale hanno fatto breccia pellicole come
«Twilight» o «X-Men le origini: Wolverine» e le classifiche degli album più
scaricati sono dominate da artisti statunitensi come Lady GaGa e P!nk,
dall'altro resiste l'elettronica dei Depeche Mode o, per restare in Germania,
il punk-rock di una band storica come Die Ärzte. In ogni caso «la popolarità
della scena musicale tedesca è cresciuta tra i giovani: non c'è più, come fino
a un paio di anni fa, un'accettazione assoluta di quello che arriva da Usa o
Gran Bretagna, ma hanno sempre più successo gruppi tedeschi come Silbermond o
Wir sind Helden», spiega Hertel. I politici tedeschi non sfondano invece tra i
più giovani, giudicati poco carismatici; per trovare delle figure simbolo
bisogna spostarsi nella moda (Heidi Klum o Julia Stegner) o nello sport (Lukas
Podolski). \
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
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Obama
Intervista John Allen "Dai tempi di Bush il rapporto
si è rovesciato" GLAUCO MAGGI NEW YORK Prudente, bilanciato, pronto a
cogliere tutto il buono che la nuova amministrazione democratica può produrre
per l'intera agenda politica del Papa. Ma attento a che l'ala
radicale del fronte di Obama non passi il segno e non costringa Roma allo scontro
indesiderato. E' l'attuale atteggiamento del Papa verso Obama secondo John L. Allen, corrispondente dall'Italia per National
Catholic Reporter e principale analista del Vaticano per la Cnn, il giornalista
americano più addentro ai segreti d'Oltretevere. Che giudizio è maturato
in Vaticano su Obama dopo i primi cento giorni?
«Stanno cercando una linea equilibrata. Da un lato ci sono i problemi sulla
vita - aborto, cellule staminali - che non possono essere nascosti. Ma gli
altri temi - Medio Oriente e immigrazione, povertà e riscaldamento globale,
ossia il resto della dottrina sociale della Chiesa -, sono terreni su cui ci
sono possono essere convergenze con Obama e il Vaticano
punta a perseguirle». Sono anche ipotizzabili contatti diretti per strategie
comuni? «Il Vaticano è molto delicato nel dare giudizi proprio perché il
prossimo G8 in Italia potrà essere l'occasione per un incontro utile tra Papa
Ratzinger e Barack Obama». Visto dall'America, il
rapporto tra i cattolici di qui e il governo Usa è però molto meno amichevole:
il presidente della Conferenza episcopale americana, cardinale Francis George,
ha condannato l'invito a Obama di Notre Dame. «E'
vero. E ciò rispecchia la differenza tra la cultura cattolica negli Usa, dove
la questione dell'aborto è un nodo assoluto, e la sensibilità che c'è in
Europa, dove la sacralità della vita non è così drammaticamente centrale come
negli Usa». Neanche in Vaticano? «A Roma i temi della vita ovviamente pesano
molto, ma rientrano in un giudizio complessivo. Certo, se Obama
sarà radicale nel trattarli, il Vaticano si opporrà frontalmente. Ma se seguirà
una linea più moderata e, contemporaneamente, farà bene su povertà,
immigrazione e gli altri aspetti sociali che stanno a cuore al Vaticano, mi
aspetto un approccio aperto verso Washington». Il clima tra Tevere e Potomac,
insomma, è disteso e positivo malgrado Notre Dame? «Lo è. Una prova è che
quando era girata voce che il Vaticano avesse posto il veto a Caroline Kennedy
quale ambasciatore Usa presso la Santa Sede, il portavoce del Papa aveva negato
che ci fosse alcun no. Tale è la cura nel non guastare un rapporto ritenuto
interessante». Migliore o peggiore di quello che c'era con Bush? «L'inverso
esatto. Con Bush e i repubblicani conservatori sui temi della vita c'era
identità di toni e spirito, mentre su altre questioni, immigrazione povertà e
guerra per esempio, le cose non andavano bene. Con Obama
è il contrario. E' la natura della politica americana: il destino del Vaticano
è di avere sempre a che fare, a Washington, con partner perfetti... a metà. Con
un paradosso: i progressisti cattolici americani, che sono sempre stati i più
accesi critici del Vaticano romano, oggi sono più vicini al Papa che apre a Obama».
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
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Obama
Violenza riprovevole. Spero che il Lingotto conquisti Opel
LA GRANDE CRISI 100 15 mila 50 Hanno detto Claudio Scajola Bonanni (Cisl):
«Azione squadrista» Epifani: «Il conflitto si può aggravare» Il caso Fiom
ricompatta il sindacato LO SCONTRO DI TORINO i Cobas in piazza i pullman
Ministro delle Attività produttive Cgil, Cisl e Uil condannano l'aggressione
D'Alema: il governo apra un dossier auto [FIRMA]GIANLUCA PAOLUCCI TORINO
Unanime condanna agli atti di violenza e solidarietà al segretario generale della
Fiom Gianni Rinaldini, dopo la manifestazione di Torino e i tafferugli che
hanno visto protagonisti i Cobas. Intorno a Rinaldini si ricompatta anche il
mondo sindacale, con le confederazioni mettono per un giorno da parte le
divisioni scoppiate con il no della Cgil al nuovo modello contrattuale. Mentre
sul fronte politico, maggioranza e opposizione si ritrovano unite nella
condanna e divise sull'analisi di motivazioni e conseguenze. Il capogruppo del
Pdl Fabrizio Cicchitto accusa la Fiom di aver «portato avanti una linea
estremista». Per Maurizio Gasparri, gli episodi di violenza «sono conseguenza
del "santorismo", l'odio seminato da chi fomenta lo scontro». Più
cauto il ministro Claudio Scajola: «Le forze sindacali contribuiscono alla
gestione delle aree di crisi - dice - ogni atto di violenza verso la Cgil e
Rinaldini è riprovevole». Dall'opposizione, duro il giudizio di Massimo D'Alema
che indica come «un atto di teppismo» l'episodio, ma
sollecita il governo ad aprire il dossier Fiat, come fatto Barack Obama negli Usa e Angela Merkel in Germania. Guglielmo Epifani lancia
l'allarme sul conflitto sociale che «si può aggravare, soprattutto se non si fa
nulla». Idea condivisa dalla Cisl con Raffaele Bonanni che definisce
l'aggressione «un'azione squadristica». Renata Polverini, segretario
dell'Ugl, fa appello all'unità dei lavoratori e chiede al governo di «uscire
dall'immobilismo». Lo Slai-Cobas respinge le accuse e afferma che «non c'è
stata nessuna aggressione». Piuttosto, scrive in una nota, si vuole «impedire
ai lavoratori di prendere direttamente la parola» per farli restare «succubi di
accordi concertativi». Il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, parla
di «un episodio grave di intolleranza che ci riporta indietro negli anni» e
lancia un appello alla pace sociale. Al quale lo stesso Rinaldini risponde
netto che fare un appello del genere «il giorno dopo aver fatto un accordo che
esclude Cgil e Fiom mi sembra un pò beffardo».
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
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Obama
Intervista John Podesta Il capo del team Obama MAURIZIO MOLINARI "Creiamo un network dei
progressisti" CORRISPONDENTE DA NEW YORK Più energia pulita e più impegno
in Afghanistan: sono le due priorità dei democratici che John Podesta porta
alla riunione dell'«Alleanza dei democratici» che si svolge oggi in Parlamento
a Roma con la partecipazione di partiti progressisti di cinque continenti.
Direttore del «Center for American Progress» di Washington, ex capo di
gabinetto di Clinton e designato da Obama alla guida
del team di transizione, Podesta è l'uomo sul quale i liberal Usa contano per
costruire un network di alleati. Cosa accomuna i progressisti che si incontrano
a Roma? «Il valore centrale è l'impegno a garantire opportunità per tutti e a
sostenere politiche che le rendano possibili. I progressisti credono nel
perseguimento del bene comune al posto della difesa degli interessi di élites
privilegiate. Crediamo in investimenti di lungo termine per migliorare la vita
di tutti: su educazione, sanità, previdenza e energia pulita. Sosteniamo la
cooperazione internazionale come strumento per risolvere i problemi comuni,
come la sfida del clima e la crisi finanziaria. Sviluppo economico equo,
opportunità per tutti e approccio pragmatico sono i valori che Obama ha portato a Washington e sono condivisi dai maggiori
partiti progressisti d'Europa». Qual è la sfida più difficile che avete
davanti? «Ridefinire il capitalismo in maniera che garantisca giovamenti a
tutti senza sfruttare il Pianeta e senza creare élites finanziarie che non
devono rispondere a nessuno. In tale cornice fondamentale rientra la riforma
del governo, anche in Italia, per assicurarsi che serva gli interessi della
gente senza generare uno Stato burocratico facile preda degli interessi
corrotti». Quali obiettivi vi date in tempi brevi? «Dobbiamo impegnarci a
creare coalizioni. L'elezione del presidente Clinton agli inizi degli Anni 90
innescò una fase di rinascita del centrosinistra nel mondo. Ora è il momento di
riaccendere un simile scambio di idee. L'obiettivo è di lavorare assieme,
apprendere l'uno dall'altro, per arrivare a governare o per governare con
successo». Al G8 dell'Aquila Obama presiederà
una riunione del Forum su energia e clima. Cosa si attende Obama dall'Europa? «Il Forum serve a compiere progressi in vista della
Conferenza di Copenhagen di dicembre. L'incontro di aprile è stato positivo.
Siamo in un momento economico difficile e molte nazioni sono alle prese con gli
stessi problemi che abbiamo noi. Ma dobbiamo affrontare i cambiamenti
climatici non solo per scongiurare i terribili costi che comportano ma anche
per cogliere le opportunità che si presentano. Andando verso un'era di energia
sostenibile, e non basata su carburanti fossili, possiamo creare lavoro,
crescita e progressi tecnologici». L'Europa è timida nel sostenere le politiche
di Obama sull'efficienza energetica. Come superare
l'ostacolo? «Il G20 ha testimoniato quanto difficile sia il dibattito
Usa-Europa sugli stimoli all'economia. Il punto è come articolare la spesa
pubblica fra investimenti nell'energia pulita, infrastrutture e riduzioni
fiscali. La strategia di Obama, che il Center for
American Progress ha contribuito a delineare, è solo l'inizio. L'Europa è in
una situazione diversa perché molti Paesi hanno già investito nell'energia
pulita. Tutti però dobbiamo lavorare per trasformare i sistemi energetici». Obama chiede più truppe per l'Afghanistan ma l'Europa
tentenna. Come si può costruire un comune approccio contro Al Qaeda? «Chiedendo
più truppe per l'Afghanistan Obama dimostra di
comprendere ciò che Bush ignorava: vincere questa guerra è cruciale per la
nostra sicurezza nazionale. Negli ultimi otto anni l'impegno americano in
Afghanistan e Pakistan è stato carente e ciò ha consentito ad Al Qaeda di
risorgere. La volontà europea di mandare truppe è scesa a causa degli errori di
Bush. Ma ora Obama ha disegnato una nuova strategia
Nato, civile e militare, facendo proprio un approccio da tempo sostenuto da
molti europei. E' combinando attività di combattimento e non militari che il
governo afghano può rafforzarsi e diventare più credibile, ed è sviluppando le
economie locali che possiamo prevenire l'arruolamento di afghani e pakistani
fra i taleban».
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
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Obama
"Non sarei scrittore senza i libri della
Ginzburg" Ho cominciato a scrivere quando ho capito che non avrei mai
guidato un aereo della Palestinian Airforce». Sayed Kashua, uno dei maggiori
autori arabo-israeliani, scherza sulle speranze del padre patriota, sulle sue
che in realtà ha una paura terribile di volare, sulla pace che «si farà
attendere parecchio» nonostante le preghiere del Papa e la buona volontà del
presidente americano Obama. Trentatré anni, 2 figli,
il passaporto blu con cui è arrivato alla Fiera del Libro di Torino che gli
consente di votare alla Knesset ma lo esclude dalla leva, Kashua traduce in
ebraico la lingua dei palestinesi. Potrebbe essere un ponte, dice, se ci fosse
un cantiere aperto tra due popoli condannati alla reciproca distruzione.
Invece, guardato con sospetto dagli uni e disprezzato dagli altri, fluttua
nella terra di nessuno in cui vive un quinto della popolazione israeliana,
arabo danzante come il protagonista del suo primo libro tradotto in Italia da
Guanda. Stasera il presidente americano Obama incontra il premier israeliano Netanyahu: cosa si aspetta? «Obama mi piace, dopo Bush apprezzerei chiunque. Ma i palestinesi sanno
che l'America non li ha mai veramente sostenuti. Sono scettico: la costruzione
delle colonie ebraiche continua, le case palestinesi vengono demolite, il
ministro degli Esteri Liberman vorrebbe sbarazzarsi anche di noi arabi-israeliani,
la bomba demografica che minaccia lo Stato ebraico. A meno d'essere forzato
Netanyahu non acconsentirà alla nascita di uno Stato palestinese». Che
impressione ha avuto delle parole del Papa a Gerusalemme? «Benedetto XVI ha
parlato di uno Stato palestinese, sembra una buona chance. Ma la routine di
controlli e diffidenza che sperimento ogni giorno mi ricorda che gli israeliani
non sono pronti alla pace, la vittoria elettorale della destra lo prova». I
personaggi dei suoi libri sembrano sempre nel posto sbagliato, che lavorino in
Israele o vivano tra i palestinesi. Perché? «Nella mia terra non c'è posto per
l'individuo. Le uniche identità possibili sono collettive: qualsiasi scelta,
compreso dove vivi, è politica. I palestinesi mi e ci considerano amici del
giaguaro, venduti. Gli israeliani si proclamano democratici ma non accetteranno
mai di mescolarsi con la minoranza araba-israeliana». Per questo scrive?
«Scrivo per sopravvivere, per spiegare ai miei connazionali che sono come loro,
ho una storia. I miei libri in ebraico vendono. Adesso alcuni romanzi saranno
tradotti in arabo a Beirut: tratto argomenti sensibili, non so come verranno
letti. La migliore accoglienza che abbia ricevuto è stata all'estero». La
letteratura come la vita. «I palestinesi sono un problema per il mondo. Non se
ne parla mai in termini di diritto ma come un problema da risolvere». Come mai
lo scorso anno ha rifiutato di partecipare alla Fiera del libro di Torino
dedicato a Israele e quest'anno invece è qui? «Dopo la polemica sul
boicottaggio, non volevo essere usato. Non ho avuto invece alcun problema a
parlare tra le bandiere israeliane alla Fiera di Parigi. Detesto i boicottaggi
culturali. Sono cresciuto leggendo autori arabi come Barakat e Naghib Mahfuz ma
anche gli israeliani Oz, Yehoshua, Edgar Keret e Yoel Hoffman. Gli scrittori
non sono bandiere. Senza i libri di Natalia Ginzburg non avrei mai intrapreso
la carriera letteraria. Gli unici ponti possibili sono quelli che costruiscono
gli scrittori, il Medio Oriente farebbe bene a pensarci su».
( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
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Obama
Maurizio Ferraris NON L'HO MAI DETTO... FENOMENO MONDIALE
Pop o papi, questo è il problema Un filosofo davanti all'irresistibile tendenza
d'oggi: realtà e finzione sono diventate una cosa sola «Chi
parla così pensa che non c'è una verità ma soltanto favole» Da Obama alla Dati: battute per eludere le responsabilità [FIRMA]MAURIZIO
ASSALTO Pop o papi? Potrebbe diventare il nuovo tormentone, sulla falsariga del
giochino disgiuntivo «rock o lento» di celentanesca memoria. Umberto Eco è pop,
le veline sono papi. Papi è papi (va da sé). A riflettere su «Filosofia
pop: alto e basso, vero e falso» sarà oggi, in Fiera, Maurizio Ferraris, un
pensatore che della mescolanza e feconda contaminazione tra alto e basso ha
fatto la cifra del proprio lavoro teoretico. Come è evidente anche nel libro
che ha appena pubblicato dal Melangolo, Piangere e ridere davvero. Feuilleton,
dove passa dal fenomeno delle lacrime per Anna Karenina a quelle per Lady D.,
dalle risate preregistrate delle sit-com a quelle provocate dalle barzellette.
E rieccolo... Allora non potrebbe essere lui, papi, l'eroe culturale della
filosofia pop? «Lui incarna con istinto infallibile l'essenza del postmoderno,
cioè l'indistinzione tra realtà e finzione e la tendenza a portare in basso
tutto ciò che è alto. Ma questo non è pop: intanto non c'è il movimento dal
basso verso l'alto, e poi io dico che la distinzione tra realtà e finzione deve
essere analizzata, articolata, ma è una distinzione senza la quale non si può
vivere. Invece: "Non è vero, non l'ho mai detto, sono stato
frainteso...". È come se chi parla così pensasse che non c'è una verità,
ma soltanto favole che si possono raccontare al pubblico». Favole. E
barzellette... «Le battute sono un modo di sostituire la responsabilità verso
il vero. Il fenomeno ha assunto una dimensione mondiale, da Rachida Dati che
arriva tardi sul palco e si mette a scherzare con il suo vicino, a Sarkozy,
allo stesso Obama che qualche giorno fa, in un
incontro con i giornalisti, ha infilato una battuta dietro l'altra, sul suo
vice Joe Biden, su Hillary Clinton, su se stesso. Sono atteggiamenti che solo
apparentemente mescolano alto e basso: in effetti eludono ogni comprensione
critica, sono piuttosto profanazioni. Fare le corna in una foto ufficiale vuol
dire profanare l'essenza del politico, quel po' di sacralità che dovrebbe
includere. Quindi papi non è pop». Nella realtà d'oggi prevale l'aspetto papi o
quello pop? «Prevale senz'altro l'aspetto papi». C'è un papi in ognuno di noi?
«Non mi spingerei a tanto, ma sì, sembrerebbe che lo spirito del tempo inclini
pericolosamente verso papi. Per esempio, non vediamo persone che proclamano la
propria fede cattolica e contemporaneamente si comportano in modi che in
apparenza hanno ben poco a che fare con questa fede? C'è tutto uno sventolare di
valori - nei manifesti elettorali non se ne sono mai visti tanti - e
contemporaneamente una totale indifferenza a qualunque valore. Se il marchese
de Sade rinascesse, avrebbe davanti a sé una realtà che supera le sue più
ardite finzioni». Lo spirito del tempo, appunto. «Sì, e ci insegna a riflettere
che lo spirito del tempo non è necessariamente buono. Ci possono essere epoche
che sbagliano radicalmente». Se dovesse indicare qualche autentico personaggio
pop? «Uno è Umberto Eco: un uomo che ha rivelato grandissima sensibilità per la
cultura popolare pur avendo avuto tutta una vita orientata verso la cultura
alta. Un altro era Jacques Derrida, capace di un'attenzione spasmodica verso il
presente ma nello stesso tempo in grado di mantenere distacco e capacità critica».
Proviamo a fare il giochino. Il predecessore di papi, Prodi, che cos'è? «Prodi
è pop». Un politico del passato: Pertini? «Lui che esulta sugli spalti del
Bernabeu, accanto al re Juan Carlos, nella finale del Mundial '82: è un tipico,
grande esempio di politico pop. Traghettava se stesso dalla lotta partigiana ai
campionati di calcio». E Napolitano? «È pop in maniera sublime.
Paradossalmente, per un uomo della sua età. Quella di far incontrare la vedova
Calabresi e la vedova Pinelli è una grande idea pop». Di Pietro? «La versione
populista del pop». Bossi? «Bossi è pop, mentre Maroni è papi». Maurizio
Ferraris? «Spero di essere pop, ma temo di essere a volte anche un po' papi.
Per quanto ci sforziamo di essere distaccati e autocritici, possiamo facilmente
cadere vittime del narcisismo, avere atteggiamenti arroganti e prepotenti. È
umano, succede a tutti».
( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)
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Obama
NOTRE DAME (Indiana) - Barack Obama fischiato
all'università cattolica di Notre Dame nell'Indiana, la prima vera
contestazione pubblica della sua recente presidenza. I cattolici contestano al
presidente la sua politica favorevole all'aborto e alla ricerca sulle
staminali. Barack Obama non si è scomposto:
ha ricevuto la laurea honoris causa in legge che l'università promette ai
presidenti degli Stati Uniti, e al termine della replica dei suoi fan ha detto:
"Va tutto bene, nessun problema". Nonostante le contestazioni, il
discorso del presidente ha teso la mano verso i conservatori religiosi
invitando americani di ogni fede e convinzione ideologica "in uno sforzo
comune" per ridurre il numero degli aborti: "Non voglio dire che il
dibattito sull'aborto sia destinato a scomparire", ha detto Obama. "Le opinioni degli americani al riguardo sono
complesse e contraddittorie, e il fatto è che a certi livelli sono
inconciliabili. Difendiamo pure le nostre opinioni con passione e convinzione,
ma senza ridurre a caricatura chi non la pensa come noi". Assiepati nello
stadio di basket, tra gli 11mila ospiti, migliaia di studenti indossavano un
berretto di protesta: il classico "tocco" nero dell'uniforme dei
laureati su cui era stampata in giallo una croce e la sagoma dei piedini di un
feto. I manifestanti che hanno inscenato la rumorosa contestazione al
presidente americano non erano più di una ventina, e sono stati subito
allontanati dal servizio d'ordine. Il discorso del presidente era stato
preceduto da dure proteste fuori dall'università già nei giorni scorsi. Almeno
19 persone sono state arrestate ieri mentre per la città sfilavano tre camion
con foto di feti abortiti e dinanzi all'entrata del campus sfilavano attivisti
con insegne del tipo "Obama=aborto". Tra i
fermati, anche il reverendo Norman Weslin, fondatore del gruppo antiabortista
"Agnelli di Cristi" eNorma McCorvey, anti-abortista dichiarata,
protagonista del caso Roe contro Wade che nel 1973 aveva portato alla
legalizzazione dell'aborto. OAS_RICH('Middle'); (17 maggio 2009
( da "Repubblica, La" del 18-05-2009)
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Obama
Pagina 1 - Prima Pagina Sull´aborto Obama sfida i fischi
WASHINGTON Il piano della destra americana e dei cristiani intolleranti per
rilanciare la "guerra dei valori" sull´aborto contro Barack Obama, credeva di avere
trovato nella cattolicissima università di Notre Dame il Piave dal quale
muovere per attaccarlo. SEGUE A P
( da "Repubblica, La" del 18-05-2009)
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Obama
Pagina 13 - Esteri LA TRAPPOLA DEI CONSERVATORI (SEGUE
DALLA PRIMA P
( da "Repubblica, La" del 18-05-2009)
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Obama
Pagina 13 - Esteri Aborto, Obama sfida
i fischi nel campus di "Notre Dame" Il presidente apre alla destra
religiosa: "Dialoghiamo" Il discorso è stato interrotto più volte ma
alla fine il presidente ha sedotto la platea. Venti fermi fra le centinaia di
contestatori ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - «Forse non
saremo d´accordo sull´aborto, ma possiamo esserlo sul fatto che è una decisione
che spezza il cuore a ogni donna, sia per la sua dimensione morale che
spirituale. Allora lavoriamo insieme per ridurre il numero di donne che
abortiscono, rendendo più facili le adozioni e dando aiuto alle donne che
vogliono tenere il proprio figlio». Il presidente degli Stati Uniti raccoglie
qualche timido applauso ma deve incassare anche i primi fischi - probabilmente
messi in conto - del suo mandato. Accolto da centinaia di contestatori e venti
fermi, da slogan contro «gli abortisti assassini», da cartelli con foto giganti
di feti e da una "contro-laurea" religiosa di studenti e genitori
"per la vita", Barack Obama non si è certo
tirato indietro. Davanti ai duemila studenti laureandi di Notre Dame (Indiana),
università che è il bastione del cattolicesimo accademico, ha affrontato il
tema che nell´America del primo presidente afro-americano è forse quello che
più divide il paese. L´invito a Obama per il giorno
delle graduation (e per ricevere lui stesso una laurea honoris causa in
diritto) nella cattolica Notre Dame aveva fin dal marzo scorso creato non poche
polemiche. Le sue decisioni sulle staminali e la sua posizione favorevole all´aborto
ribadita in campagna elettorale, avevano spaccato il mondo non solo cattolico.
Il presidente di Notre Dame, reverendo John Jenskins, aveva confermato la
decisione presa dall´ateneo cattolico ricevendo il sostegno della grande
maggioranza del corpo accademico: «Rispetta chi non è d´accordo ma ha preso una
decisione in base alla sua coscienza ed ha il nostro pieno sostegno». Ma
Francis George, cardinale di Chicago, per protesta aveva rifiutato la
"laetare medal", la più prestigiosa onorificenza
offerta dal college sostenendo che invitare Obama «significa
non capire cosa vuol dire essere cattolici». «Onoriamo la coscienza di chi non
è d´accordo con l´aborto», ha detto Obama malgrado il
suo discorso sia stato interrotto più volte dai contestatori. «Vi ringrazio per
questo diploma onorario, so che è stata una scelta controversa». Ha
parlato dell´ambiente («dobbiamo decidere come salvare la creazione di Dio dal
cambio climatico che minaccia di distruggerla»), di guerra e terrorismo
(«dobbiamo cercare la pace in un tempo in cui c´è chi non si ferma davanti a
nulla pur di colpirci»), ha invitato tutti a «trovare la strada per vivere
insieme come un´unica famiglia. Non una persona, non una religione, non una
nazione può affrontare queste sfide da sola. Mai come oggi la nostra
sopravvivenza richiede la più grande cooperazione e la comprensione di tutti i
popoli». Agli studenti e soprattutto ai contestatori ha ricordato che «trovare
un terreno comune non è facile», dipende dall´imperfezione dell´essere umano,
dal «nostro orgoglio», dalle insicurezze e dagli egoismi «tutti peccati che
secondo la tradizione cristiana hanno radici nel peccato originale». Ci sono
tanti conflitti: quelli tra i «soldati e gli uomini di diritto che possono
amare questo paese con la stessa passione ma arrivare a differenti conclusioni»
sul modo di proteggerlo; quelli tra «gli attivisti gay e i pastori evangelici
che deplorano entrambi il dramma dell´Aids ma sono incapaci di trovare un ponte
per unire i propri sforzi»; tra chi è contrario alle cellule staminali,
«motivato dall´ammirabile convinzione per la sacralità della vita» e quei
genitori che hanno un figli diabetici e sperano che vengano guariti. In tutti
questi conflitti, come in quello sull´aborto la questione, dice il presidente
americano è sempre la stessa: «Trovare il modo di restare fermi nelle proprie
convinzioni e lottare per quello che riteniamo giusto senza demonizzare chi la
pensa diversamente da noi». Come aveva fatto in campagna elettorale, nel faccia
a faccia con il telepredicatore Rick Warren, Obama a
Notre Dame ha dunque teso la mano alla destra religiosa. Ma è da sinistra,
dalla sua base elettorale, che si sta preparando una pericolosa minaccia
politica alla nuova presidenza. Per i liberal, infatti, con le prime decisioni
sul fronte della tortura, di Guantanamo, dell´immigrazione, dei diritti dei
gay, Obama sta tradendo le loro cause. Intanto un
sondaggio sostiene che il 51 per cento degli americani si dice, oggi, contrario
all´aborto; la prima volta che gli anti-abortisti diventano maggioranza da
quando la Gallup ha iniziato a porre la domanda. Il tema è anche centrale nella
nomina del prossimo giudice della Corte Suprema che Obama
dovrà scegliere nei prossimi mesi.
( da "Repubblica, La" del 18-05-2009)
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Obama
Pagina 28 - Cronaca Dan Houser, l´inventore di "Grand
Theft Auto", è stato "eletto" tra le 100 persone più influenti
del mondo Passate le polemiche per le violenze del gioco cult, ora stupisce di
nuovo: raccontando le gesta dei cowboy E dopo i giochi proibiti l´uomo
dell´anno di Time adesso si dà al Far West Ha stravolto il settore abolendo
marziani e principesse da salvare JAIME D´ALESSANDRO NEW YORK Dan Houser
cammina veloce per gli uffici della Rockstar Games, un open space tutto bianco
sulla Broadway Avenue, in maglietta nera e jeans. Stretta di mano decisa, modi
cordiali. A prima vista sembra uno qualunque, solo un po´ indaffarato. Eppure
insieme al fratello Sam, 35 anni il primo e 37 il secondo, è - secondo Time
Magazine - tra i 100 personaggi più influenti del mondo. Forse il nome, a differenza di quello di Barack Obama, Angela
Merkel, o Brad Pitt, non dice molto ai più, eppure tutti conoscono i videogame
prodotti dai due fratelli, cominciando dalla serie di Grand Theft Auto venduta
in oltre 70 milioni di copie. Ritratto violento e dissacrante dell´America
contemporanea che Matt Selman, sceneggiatore dei Simpson, ha paragonato
ai romanzi di Tom Wolf. Due ragazzi terribili, gli Houser, cresciuti a Londra
sognando di diventare delle rockstar (di qui il nome della loro software
house), capaci di stravolgere il settore dei giochi elettronici. Al posto di
marziani da sterminare o principesse da portare in salvo, mettono in scena
personaggi degni di un film, dialoghi ironici, taglienti, e sullo sfondo
un´umanità allo sbando che vive in una società senza regole. «L´equilibrio fra
narrazione e mondo digitale interattivo è l´anima dei nostri videogame», spiega
Dan, «alla fine sono come dei dipinti nei quali immergersi. Tutto sta nel dare
al giocatore il più alto grado di libertà possibile, portandolo però a fare
cose che non entrino in conflitto con la trama». Un´arte sottile nella quel i
due Houser unici veri maestri. «E pensare che ai videogame siamo arrivati quasi
per caso», racconta, «lavoravano in un´etichetta discografica, la Bmg, che
aveva una sua divisione giochi. Poi alla Bmg decidono di disfarsi dei videogame
pensando che il futuro sia nel business della musica. Così ci siamo trasferiti
a New York. Io avevo 25 anni, Sam, 27. Mai avremmo immaginato che di lì a poco,
nel 2001, un nostro titolo avrebbe venduto ben 15 milioni di copie». Ora, ormai
ai vertici, i due fratelli hanno una nuova sfida che si chiama vecchio West.
Red Dead Redemption, il gioco in arrivo entro fine anno, sarà infatti
ambientato nel 1910 quando la frontiera cara a registi come John Ford, Sam
Peckinpah, Sergio Leone era ormai quasi scomparsa. «è un´epoca strana», dice,
«A quei tempi alcuni pistoleri erano già leggenda. Ma il West stava morendo
proprio mentre diventava mito, scacciato dalla ferrovia, dal telegrafo,
dall´industrializzazione. Se l´ultimo Gta parlava del declino del sogno
americano, qui al centro c´è l´idea stessa di America: il conflitto permanente
fra libertà assoluta e natura incontaminata da una parte, progresso e
capitalismo dall´altra». Di qui il lungo viaggio sanguinario del protagonista,
John Marston, ex fuorilegge costretto ad entrare nel Bureau of Investigation,
che più tardi diventerà l´Fbi. Ancora una volta niente buoni né cattivi. Solo
persone che tentano di non restare ai margini di un mondo che sta cambiando troppo
velocemente.
( da "Corriere della Sera" del
18-05-2009)
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Obama
Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 18/05/2009
- pag:
( da "Corriere della Sera" del
18-05-2009)
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Obama
Corriere della Sera sezione: Esteri data: 18/05/2009 -
pag: 17 America divisa Laurea «honoris causa» nell'Indiana Fischi dai cattolici
Ma Obama invita al dialogo sull'aborto Il presidente:
«Aprite il cuore» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON E' andato nel cuore
cattolico dell'America, portando un messaggio di dialogo, tolleranza e
riconciliazione. E' andato alla Notre Dame University, squassata dalle critiche
e dalle diatribe per la sua presenza, per spiegare che l'aborto non dev'essere
un tema sul quale le due parti devono demonizzarsi a vicenda. Nella più
prestigiosa istituzione della cristianità romana in America, Barack Obama ha pienamente superato uno degli esami più difficili e
controversi della sua presidenza. Ci sono state dimostrazioni, c'è state
qualche fischio isolato durante il suo discorso, ma il leader della Casa Bianca
ha saputo toccare le note giuste, quelle che gli sono valse l'ovazione della
stragrande maggioranza degli studenti, nella cerimonia di chiusura dell'anno
accademico. Obama ha preso di petto il tema della
discordia, riconoscendo «l'irriconciliabilità» dei due campi sull'aborto. Ma ha
implorato i laureandi e tutti gli americani «a non ridurre a caricatura punti
di vista diversi». «Io non ho cambiato la mia posizione ha detto il presidente
ma cominciamo a dire che se non siamo d'accordo sull'aborto, possiamo
concordare che sia una decisione lacerante per qualsiasi donna, con dimensioni
morali e spirituali. Quindi lavoriamo insieme per ridurre il numero delle donne
che vogliono abortire, diminuendo le gravidanze non volute, facilitando le
adozioni, assicurando assistenza e sostegno a chi decida di tenersi il
bambino». Obama ha chiesto di «onorare la coscienza di
chi si opponga all'aborto» e ha offerto «una clausola di coscienza » a medici e
paramedici che si rifiutano di fornire l'interruzione di gravidanza. Ma, ha
aggiunto, «facciamo sì che le nostre politiche sanitarie siano fondate su
criteri scientifici ed etici chiari, così come sul rispetto dell'eguaglianza
delle donne ». «Cuori aperti, menti aperte, parole intellettualmente oneste »,
così Obama ha riassunto il suo approccio. Centinaia di
dimostranti si erano ritrovati all'alba fuori dai cancelli del campus. La sera
prima una trentina di persone erano state arrestate, fra queste anche un prete,
per aver tentato di penetrare nel territorio del college (che in quanto
istituzione privata ha il diritto di limitare l'accesso) o per aver opposto
resistenza agli agenti. Ma la protesta ha trovato solo appoggi isolati durante
la cerimonia, fra le 12 mila persone che vi hanno preso parte. Quando un paio
di studenti hanno gridato «Vergogna su Notre Dame» e «Stop all'uccisione dei
nostri bambini», dal parterre si è levato lo slogan «Yes, we can», il grido di battaglia della campagna di Obama. Il rettore
di Notre Dame, John Jenkins, che in queste settimane ha dovuto fronteggiare le
proteste di docenti, allievi e di gran parte della gerarchia ecclesiastica per
l'invito rivolto a Obama, ha elogiato il presidente per la sua «disponibilità al dialogo
con chi non la pensa come lui». E ne ha sottolineato l'umanesimo nel suo
approccio ai problemi del mondo. Jenkins ha consegnato a Barack Obama la laurea honoris causa in legge, che per alcuni
membri del corpo accademico è stata la vera ragione del dissenso. Obama nel suo discorso ha anche avuto l'accortezza di
evocare la figura dell'ex arcivescovo di Chicago, il cardinale Bernardin e la
sua massima: «Non si può pensare di predicare il Vangelo, se prima non si
toccano le menti e i cuori delle persone». Paolo Valentino Onore Il presidente
Usa Barack Obama riceve una laurea honoris causa
all'Università di Notre Dame, a South Bend, Indiana (Reuters/ Jason Reed)
( da "Corriere della Sera" del
18-05-2009)
Argomenti:
Obama
Corriere della Sera sezione: Esteri data: 18/05/2009 -
pag: 17 Le accuse L'ombra delle torture insegue il generale dell'Afghanistan
WASHINGTON Le foto con le umiliazioni inflitte ai detenuti di Abu Ghraib, in
Iraq, pubblicate in Australia nonostante il veto americano. Il dossier di Human
Rights Watch che insegue come un fantasma il nuovo comandante statunitense in
Afghanistan, Stanley McChrystal. E' il passato che ritorna e crea imbarazzo
alla Casa Bianca, proiettata a concepire una nuova strategia contro estremismo
e talebani. A Washington si guarda con una certa inquietudine alle accuse mosse
nei confronti del generale che, tra qualche giorno, dovrà superare l'esame del
Senato. E chi cerca di impallinarlo non ha dovuto scavare troppo per procurarsi
le munizioni. Già in passato, la stampa aveva pubblicato racconti dettagliati
su quanto era avvenuto in Iraq nel periodo 2003-
( da "Corriere della Sera" del
18-05-2009)
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Obama
Corriere della Sera sezione: Esteri data:
18/05/2009 - pag: 17 Urla e insulti Un militante anti-abortista contesta Obama durante il
discorso alla Notre Dame. Viene portato via (Reuters/Jason Reed)
( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)
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Obama
WASHINGTON - Il piano della destra americana e dei
cristiani intolleranti per rilanciare la "guerra dei valori" sull'aborto contro Barack Obama, credeva di
avere trovato nella cattolicissima università di Notre Dame il Piave dal quale
muovere per attaccarlo. Il piano non è riuscito, non soltanto perché il trucco
del neonato piangente era troppo osceno anche per i militanti della destra
cristiana e i disturbatori organizzati in loggione erano troppo pochi,
ma semplicemente perché Obama non si è presentato come
"il dottor aborto", ma come qualcuno che vuole ascoltare anche le
opinioni degli altri. Che vuole rispettare i diritti senza imporli come doveri
e soprattutto battersi - ed è questo il tallone d'Achille dell'intransigenza
dottrinale - per ridurre le gravidanze non desiderate. Un concetto che ha
scatenato le ovazioni degli studenti, e soprattutto delle studentesse, raccolte
per ricevere i loro diplomi e per ascoltarlo. A pochi giorni dalla scelta della
persona, molto probabilmente una donna che già, senza conoscerne il nome, i
media conservatori attaccano preventivamente e che dovrà sostituire uno dei
nove giudici della Corte Suprema, questo appuntamento nell'università americana
"più cattolica del Papa", per ricevere un dottorato in legge honoris
causa era il trabocchetto che la parte più intransigente della gerarchia - un
terzo circa dei vescovi - e i resti del partito Repubblicano, avevano scelto
per farlo inciampare. Se il piano è fallito, di fronte all'accoglienza dei
duemila seicento laureati, alla fermezza del rettore, un sacerdote lui stesso,
e al suo elegante, equilibrato discorso, è fallito, è perché troppo ovvio era
stato il tentativo di sfruttamento politico dell'evento. Ma la faglia, la linea
sismica fra "pro vita" e "pro scelta", rimane profonda.
OAS_RICH('Middle'); Il calcolo dell'opposizione che aveva montato la cerimonia
nell'università fondata da un missionario dell'ordine dei
"Crugigeri", i sacerdoti della Santa Croce 167 anni or sono, era, e
rimane, quello di dissotterrare le armi della Kulturkampf, della guerra di
valori, che tanto abilmente la destra aveva usato per vincere due elezioni presidenziali.
Ma il vecchio meccanismo della intolleranza e della demonizzazione
dell'avversario, parola usata da Obama, scivola sulla
schiena di un uomo che incarna la speranza della conciliazione nazionale, che
come ha detto padre Jenkins presidente di Notre Dame, "ha vinto la
battaglia del pregiudizio razziale che opprimeva l'America dalle sue
origini". Nessuno ha cambiato opinione, né poteva cambiarla su un tema
come l'aborto che lo stesso Rettore, accusato di tradimento dai fanatici, ha
ripetuto essere "un principio inviolabile e fondamentale" per la sua
fede. Ma il diritto delle donne a scegliere la maternità resta appeso negli
Stati Uniti al filo sottile dell'interpretazione sul "diritto alla
privacy" costituzionale data dalla Corte Suprema nel 1973, dunque al voto
di cinque sui nove magistrati. E sarà, per un presidente che da candidato aveva
promesso di solidificare definitivamente questo diritto, che ha già irritato
molto cristiani, cattolici e non cattolici, rifinanziando la ricerca sulle
staminali e riaprendo i fondi per le organizzazioni che nel Terzo Mondo
promuovono la contraccezione e praticano aborti, uno di quei fili di lama sui
quali anche la sua abilità di acrobata sarà messa a dura prova. La sua storia,
espressa in un'eloquenza che la sua persona riesce non rendere retorica, ha
saputo ricordare a questi futuri medici, avvocati, insegnanti, funzionari,
commercianti, madri e padri di famiglia, che 55 anni or sono appena una Corte
Suprema dovette mettere fine all'apartheid del "separati ma uguali".
Agli americani di due generazioni or sono, la prospettiva di ristoranti aperti
a tutti, di mezzi di trasporto dove nessuno fosse costretto a sedere in posti
riservati per colore o passaporto, sarebbe apparsa impossibile come oggi può
sembrare inimmaginabile un compromesso umano, morale e civile sull'obbligo e la
libertà di portare a termine anche gravidanze subite nella violenza. "Non
dobbiamo demonizzarci soltanto perché abbiamo convinzioni morali diverse".
L'aborto, lo sa bene, è, e resterà, una contraddizione profonda e tale resterà
e dovrà essere dibattuto, pur sapendo che "è irriconciliabile". E' lo
sfruttamento a fini politici ed elettorali , il chiudere "cuori e
menti", il rifiuto delle libertà anche di sbagliare, quello che Obama invita a rigettare e che anche questa generazione di
laureati di un'università cattolica hanno voluto, proprio perché sono
cristiani, applaudire. (18 maggio 2009
( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
TEHERAN - La bomba, quella atomica, è sempre presente.
Anche se non la nomini ci pensi. E questo vale anche per il tuo interlocutore,
il quale si aspetta che a un certo punto la tirerai in ballo. E' sottintesa. E'
un fantasma, una minaccia, un miraggio. Un'arma politica per chi la denuncia
come per chi la nega ma lascia credere che sia possibile. Sotto il tendone di
un ristorante, ai piedi del monte Alborz, i cui pendii innevati la sera mandano
folate di vento gelido, dopo una giornata primaverile, un critico letterario e
professore universitario mi dice: "Lei mi chiede se voglio l'arma
nucleare? Certo che la voglio, perché dovrebbero averla Israele, il Pakistan,
l'India e non noi, che abbiamo alle spalle millenni di civiltà? Ma non voglio
che l'abbiano tra le mani quei matti che ci governano". Insomma il
professore è favorevole ma non si fida dell'uso che potrebbero farne gli
ayatollah al potere. E' evidente: non li ama. Ma è un nazionalista o, più
semplicemente, un iraniano orgoglioso. Quando a Sud di Teheran, nel quartiere
popolare del Bazar, pongo la stessa domanda a un commerciante, con il quale ho
avviato una conversazione col pretesto di voler comperare un tappetino, ricevo
una risposta che sembra uscita dal cuore: "Ahmadinejad ha ragione a volerla,
ma prima dovrebbe contenere l'inflazione che ci mangia i soldi e che per noi è
quello che conta". Al livello di funzionari l'argomento più usato è che a
israeliani e americani fa comodo demonizzare la Repubblica Islamica,
presentandola come una imminente minaccia nucleare. Nella realtà, il presidente
Ahmadinejad non ha mai detto di volere l'arma nucleare, ma i suoi discorsi
provocatori hanno consentito tutte le ipotesi. Pare che il defunto ayatollah
Khomeini, ai tempi della guerra con l'Iraq, negli anni Ottanta, abbia detto che
il Paese doveva possederla per difendersi dai tanti nemici. OAS_RICH('Middle');
Adesso Israele giura che l'Iran l'avrà entro il 2010, e i suoi esperti militari
(come descrive con dovizia di particolari lo studio di Abdullah Toukan e Anthony
Cordesman del Centro studi strategici e internazionali di Washington) si danno
da fare per studiare come annientare in tempo i centri di ricerca nucleari
iraniani, calcolando i rischi di tale azione. Azione giudicata dagli americani
(dopo Bush) gravida di conseguenze non soltanto per la regione. E infatti il
neo presidente degli Stati Uniti ha teso la mano ai dirigenti iraniani,
invitandoli ad "aprire il pugno", ossia a dimostrare migliori
intenzioni di quelle che gli vengono attribuite. Il pugno potrebbe aprirsi, o
dischiudersi, con le elezioni del 12 giugno. Elezioni su cui pesa il dilemma Obama. Dilemma che angoscia e divide più che mai, in questi
giorni, i già litigiosi, cavillosi teologi che sovrastano e regolano la vita
della Repubblica Islamica. I dibattiti, le disquisizioni sui principi, i
paralleli con le filosofie occidentali, sono nella tradizione secolare sciita.
Agli alti livelli è una religione dotta. Entro il 21 maggio il Consiglio dei
Guardiani, composto da dodici giuristi (sei religiosi e sei laici), il cui
compito è di vegliare sul rispetto della sharia, la legge islamica, dovrà
decidere quali dei 433 uomini e delle 42 donne iscrittisi come candidati sono
degni di partecipare alla gara presidenziale del 12 giugno. Il numeroso plotone
sarà severamente sfoltito, e coloro che resteranno in lizza con la possibilità
di avere un ruolo nella partita elettorale non saranno più di quattro. Tra
questi Mahmud Ahmadinejad, che concorre per un secondo mandato e suscita accesi
consensi e altrettante perplessità. Quindi domina la scena elettorale ponendo
un interrogativo essenziale: è lui il più idoneo ad affrontare il nuovo
atteggiamento della superpotenza, che, con l'avvento di Barack Obama, tende la mano, sia pur con tante riserve, alla
Repubblica islamica? E tenendo conto che respinta quella mano tutto può
accadere? Un murale a Teheran Questo è il dilemma. E a porselo non sono
soltanto i teologi, sui quali domina la Guida suprema, l'ayatollah Ali
Khamenei, ma anche gli iraniani in generale. Comunque quelli, attorno al trenta
per cento, che pensano valga la pena votare. Gli altri lo giudicano inutile,
per indifferenza o perché rifiutano la Repubblica Islamica. E quindi potrebbero
non andare alle urne. Con Bush junior al potere a Washington le provocazioni di
Mahmud Ahmadinejad, animate da propositi antiamericani e antisemiti, potevano
essere interpretate come una risposta all'aperta ostilità della superpotenza e
del suo alleato israeliano. Potevano appagare per certi aspetti il forte
orgoglio nazionale, anche quando era sul tappeto il problema nucleare. Il clima
da "guerra fredda" serviva alla corrente più conservatrice del regime
clericale al potere per giustificare il rigore all'interno e l'intransigenza
nei confronti dei nemici esterni. La mano tesa di Obama
rende molto più problematica la situazione. E conferisce al voto un'importanza
eccezionale. Il risultato peserà su tutto il Medio Oriente. E conterà per
l'Occidente. Benché dipenda in buona parte dalla volontà delle autorità
religiose, che possono condizionarlo, l'esito è tutt'altro che scontato.
Conserva una forte dose di suspense. Si può classificare la Repubblica islamica
tra i regimi autoritari, se si considera il controllo sui media e il sistema
educativo, e naturalmente la repressione fisica e psicologica contro coloro che
non rispettano le norme islamiche e gli ideali della rivoluzione. Ma a rendere
incerto o impreciso il giudizio è l'assenza di un partito unico, il quale è
stato abolito perché non c'è un accordo all'interno delle forze politiche
fedeli a Khomeini per quel che riguarda il modello di società islamica da
adottare. Da questo disaccordo, che permane, dipende una dialettica politica e
una pratica definita da alcuni "democrazia sorvegliata". O
"limitata", come si dice a Teheran. Hussein Moussavi Queste
definizioni possono apparire generose, e in effetti lo sono. Il fatto di non
sapere con esattezza quel che vuol essere, trent'anni dopo la rivoluzione, e di
conoscere uno scontro politico-teologico sulla questione, rende tuttavia il regime
disponibile a un dibattito impensabile in tanti altri paesi nella regione. Si
pensi all'Arabia Saudita. L'elezione non va scambiata, ben inteso, con un
referendum sul rifiuto o l'accettazione della mano tesa di Obama. O addirittura dell'arma nucleare di cui neppure si è parlato e
si parla, anche se è nei cervelli. La questione dell'apertura all'America di Obama, con tutte le sue conseguenze, non viene affrontata, resta nel
sottofondo. E' sottintesa come tanti altri problemi nella Repubblica Islamica.
E' implicita nel confronto tra conservatori e riformatori, ben lontani dal
rappresentare due schieramenti compatti. In un sistema dominato da un cocktail
in cui sono mischiate politica e teologia, la prima, ossia la politica, quindi
il compromesso, finisce col prevalere. Ad esempio il principale antagonista di
Ahmedinajad è un esponente dall'ala riformista islamica, il quale conferma la
sua appartenenza a quella corrente ma precisa al tempo stesso di essere uno
"che insiste sui principi". Vale a dire che non è del tutto contrario
al "fronte dei principi" che è quello dei conservatori. Insomma
Mir-Hussein Moussavi, questo il nome dell'avversario di Ahmedinejad, cerca di
stare a cavallo dei due schieramenti. Non vuole incorrere in scomuniche e si
dichiara un riformatore fedele ai principi della Repubblica Islamica. Entro
questi limiti si può discutere e criticare. Molti, a Teheran, tra le persone
che uno straniero incontra, si dichiarano in favore del colto Moussavi e si
augurano che il rozzo Ahmadinejad esca di scena, non ritenendolo un personaggio
"degno della tradizione iraniana". Ahmadinejad è un populista di tipo
sudamericano, che avvolge i suoi discorsi con citazioni coraniche. Si presenta
come un uomo semplice, che detesta il lusso, le raffinatezze dei ricchi, e che
per questo non abita nei palazzi ufficiali, ma nella modesta abitazione di
sempre. La sua giacca sgualcita è diventata un simbolo. Mi dice il funzionario
di un ministero che un tempo lo avrebbe fatto aspettare almeno mezz'ora fuori
dalla porta prima di riceverlo. Il clima elettorale scioglie le lingue.
Moussavi viene presentato come l'esatto contrario. Il suo linguaggio è forbito,
i suoi discorsi argomentati. E, quando ha governato, ha dimostrato di essere un
uomo di polso ed equilibrato, esperto anche in campo economico. E' stato primo
ministro durante la guerra con l'Iraq ('81-'89), ma poi è scomparso
volontariamente dalla scena, e in un Paese dove il settanta per cento della
popolazione ha meno di venticinque anni, i testimoni di quel lontano passato
sono pochi. I più ignorano il nome e la figura di Moussavi. Con il suo
linguaggio populista e (sia pur goffamente) ispirato, Ahmadinejad è invece
quotidianamente presente sugli schermi della televisione. E se nelle
popolazioni urbane educate suscita reazioni negative, o addirittura di rigetto
("può guidare greggi di montoni non un Paese civile"); nelle
campagne, tra i militari e tra i religiosi può raccogliere larghi consensi. In
particolare se sollecitati o ordinati dalla Guida suprema, l'ayatollah Ali
Khamenei, il quale non si è pronunciato, non ancora, ma del quale sono note le
idee conservatrici. Inoltre Ahmadinejad, pasdaran della prima ora, ha
l'appoggio delle milizie, alle quali ha elargito prebende non lesinando ai loro
capi incarichi molto redditizi. Il discorso di Moussavi può apparire moderato,
ma urta la sensibilità dei super conservatori. Promette un Iran
"sviluppato, libero, giusto, basato sullo stato di diritto". Chiede
la competenza e la trasparenza dell'amministrazione (la corruzione è cresciuta
negli anni di Ahmadinejad), il rispetto della Costituzione, la libertà di
stampa. Si dichiara in favore degli investimenti privati, promette di non
trascurare l'esperienza dei ministri conservatori, chiede una politica estera
indipendente e un adeguamento del paese alla globalizzazione. Per lui l'Iran
dovrebbe infine entrare nell'Organizzazione mondiale del Commercio. Ossia
"ritornare in società". Le parole di Moussavi sono senz'altro più
gradite all'Occidente, ma sul problema nucleare e sui rapporti con gli Stati
Uniti è tutt'altro che docile. Non può esserlo. Ha escluso con fermezza la
sospensione dell'arricchimento dell'uranio, ha definito strategica
"l'acquisizione della tecnologia per il nucleare pacifico, senza che
questo diventi una minaccia per il mondo". La precisazione è comunque
rassicurante. In quanto ai rapporti con gli Stati Uniti "aspetta gesti
concreti da parte di Obama prima di giudicare quel che
vale l'offerta di dialogo". E' la posizione di Khamenei, dal quale spera
di essere sostenuto. L'ex presidente riformista Mohammed Khatami, sconfitto da
Ahmedinejad nel 2005 (dopo anni di governo durante i quali l'Iran si è
modernizzato e liberalizzato), ha dato il suo appoggio a Moussavi. Gli ha
lasciato il posto. Ha preferito non ripresentarsi, forse temendo che l'ostilità
nei suoi confronti dimostrata nelle precedenti elezioni dal conservatore
Khamenei potesse impedire ancora una volta un successo dei riformisti. Khatami
era a fianco di Moussavi durante il comizio nel Centro congressi di Teheran, la
settimana scorsa. La sala era stracolma di giovani che scandivano
"libertà". Moussavi ha dato a questa invocazione un significato
pratico. Ha detto che una famiglia o un individuo non può aspirare alla libertà
se non ha un lavoro. E ha attaccato la politica economica del governo che ha
trascinato il paese in una crisi disastrosa. L'inflazione supera il 30 per
cento e l'industria del petrolio non ha i mezzi (anche a causa delle sanzioni)
di rinnovare gli impianti. Ha inoltre rimproverato ad Ahmadinejad di avere
creato pericolose tensioni nazionali e internazionali. Lui si impegna a
spegnerle. Ma non è detto che il superpotere, quello della Guida suprema, il
quale non dipende dalle elezioni, abbia lo stesso obiettivo. (18 maggio 2009
( da "Stampaweb, La" del 18-05-2009)
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Obama
TORINO La sintesi del Tonino Di Pietro show è sua. «In
assenza della sinistra, ci sto io». Ma comè
potuto accadere? Una domenica al Salone del libro fornisce solo indizi, ma
indizi sicuri e convergenti. Nella Sala dei cinquecento del Lingotto - una
platea
di insegnanti, impiegati, studenti, elettorato fin qui diviso tra Pd e
Rifondazione - cè un dibattito tra
lex pm e lex subcomandante, due mondi che non potrebbero essere più
distanti. Linguisticamente, concettualmente distanti. Bertinotti fa una lunga, novecentesca
analisi sulla notte della sinistra. Parte del 17 ottobre e finisce con Jan
Palach, il titolo del manifesto «Praga è sola», poi l89, il muro di Berlino che cade, la globalizzazione che «ci ha
spazzato via». Poi arriva il turno di Di Pietro, che cazzecca Di Pietro con la sinistra?, e lui: «In assenza di
sinistra, ci sto io». La sala, praticamente, cade giù. La sinistra viene messa
allangolo - qui dentro, almeno - dalla voglia di protesta, le folle per
Marco Travaglio, lentusiasmo in mattinata per Furio Colombo, gli applausi
molto misurati che accolgono invece la tesi, esposta praticamente identica da DAlema e Bertinotti, che «la crisi è della sinistra europea, se
si guarda al resto del mondo non è così» (poi DAlema cita Obama, Lula e lIndia, Bertinotti ci
infila anche Chávez; ma sono differenze da poco; e noi siamo in Europa).
Insomma, per dirla in dipietrese: gli sta andando a fregare lacqua nel loro vaso. Con invenzioni a loro modo memorabili, da
consegnare al nuovo lessico politico. «E basta, con questa sinistra acculturata,
sofisticata, prezzemolata», e la platea che ulula di godimento. «Fino a quando
la sinistra si crogiola a chiedersi se io sono di sinistra o no mostra la sua
faccia che tende a escludere chi non è acculturato come lei. Se non si cambia
questa idea di sinistra diamo di sinistra un concetto... sinistro!!». Boato
della folla. Bertinotti alquanto imbarazzato. E passi che poi cè dellincredibile sincretismo politico (a un certo punto
si ode il Tonino dire: «Si sta producendo una nuova differenziazione di classe,
da qui deriva una voglia di ricreare una lotta di classe»); la circostanza
bizzarra è che a discutere su cosa sia sinistra sia lui. Ma è così, e non
riuscendo a farci i conti i tanti dirigenti sconfitti si muovono come vasi
incomunicanti, monadi che faticano a entrare in comunicazione con levento, che è poi il sempiterno evento della Protesta.
Bertinotti lo fa ma quandè giù dal palco, a tu per tu: «Ho osservato
attentissimamente chi inneggiava, ho visto che erano quello che si
sarebbe detto ceto medio riflessivo,
impiegati, anche sindacalizzati, che hanno applaudito molto anche il mio
passaggio sul lavoro, e sui meriti degli operai Fiat». Aveva detto Fausto: «Se
Marchionne riesce nelle sue operazioni è perché è bravo, ma anche
perché a Torino e in Fiat cè una cultura del
lavoro, operaia, sindacale, che consente di cambiare il ciclo produttivo in tre
mesi, mentre a Detroit ci vuole un anno e mezzo». Insomma, ragiona lex
presidente della Camera, «questi sono nostri elettori, che vogliono protestare,
gridare. Sentono che non abbiamo fatto abbastanza». Le distanze sono
esemplificate dallincomunicabilità delle
due lingue. Un tale si alza e urla entusiasta, «Tonino, tu sei di sinistra!!».
E lui: «E vabbuò, mica è unoffesa! Che devo fare, sono coinvolto». Le
tirate propriamente antiberlusconiane del castigatore sono condite con dialetto
e proverbi, «solo apparentemente cè
sto consenso al Cavaliere, ma gli italiani non so tutti scemi, il
problema è che cè un nuovo fascismo fatto di veline e grande
fratello... per cui non facciamo gli schizzinosi, non diciamo che se siamo
antiberlusconiani gli facciamo un favore. Il lupo è lupo, non è che diventa
agnello se io smetto di denunciarlo!». E ancora, «perché DAlema non ha fatto il conflitto dinteressi?
Tra un viaggio in barca e laltro ci piace chiacchierare». Boato. «Spero
che le due sinistre si ritrovano (sic) sulla via di Damasco». Oppure, «se non
ci fossimo noi una parte importante della società non voterebbe più». Già, l'astensione. Non
solo tra intellettuali. Bertinotti concede che «Di Pietro è efficace, coglie
una frustrazione e un bisogno di opposizione al berlusconismo, ma una sinistra
deve contenere una critica al capitalismo, non solo una critica a Berlusconi! Berlusconi
è solo unestremizzazione di una tendenza acutissima
in Europa, che è la crisi delle democrazie». «Hai ragione da vendere sul
conflitto dinteressi - gli dice Fausto - ma posso dire che per me ha la
stessa influenza la mancata legge sui Dico?». E qui la sala sinfuria: ma nooooooo. Sostiene Fausto che «così si rischia di
consegnare la sinistra al giustizialismo». Ma lora è fuggita, si muore
disperati, e la risposta di Tonino contro la sinistra prezzemolata è, nel
genere, da annali, «ci dicono populisti, massimalisti, giustizialisti, isti,
isti isti, eh... isti siamo!». Isti sono. La fine della sinistra.
( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)
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Obama
NEW YORK - Dan Houser cammina veloce per gli uffici della
Rockstar Games, un open space tutto bianco sulla Broadway Avenue, in maglietta
nera e jeans. Stretta di mano decisa, modi cordiali. A prima vista sembra uno
qualunque, solo un po' indaffarato. Eppure insieme al fratello Sam, 35 anni il
primo e 37 il secondo, è - secondo Time Magazine - tra i 100 personaggi più
influenti del mondo. Forse il nome, a differenza di quello
di Barack Obama, Angela Merkel, o Brad Pitt, non dice molto ai più, eppure tutti
conoscono i videogame prodotti dai due fratelli, cominciando dalla serie di
Grand Theft Auto venduta in oltre 70 milioni di copie. Ritratto violento e
dissacrante dell'America contemporanea che Matt Selman, sceneggiatore dei
Simpson, ha paragonato ai romanzi di Tom Wolf. Due ragazzi terribili,
gli Houser, cresciuti a Londra sognando di diventare delle rockstar (di qui il
nome della loro software house), capaci di stravolgere il settore dei giochi
elettronici. Al posto di marziani da sterminare o principesse da portare in
salvo, mettono in scena personaggi degni di un film, dialoghi ironici,
taglienti, e sullo sfondo un'umanità allo sbando che vive in una società senza
regole. "L'equilibrio fra narrazione e mondo digitale interattivo è
l'anima dei nostri videogame", spiega Dan, "alla fine sono come dei
dipinti nei quali immergersi. Tutto sta nel dare al giocatore il più alto grado
di libertà possibile, portandolo però a fare cose che non entrino in conflitto
con la trama". Un'arte sottile nella quel i due Houser unici veri maestri.
"E pensare che ai videogame siamo arrivati quasi per caso", racconta,
"lavoravano in un'etichetta discografica, la Bmg, che aveva una sua
divisione giochi. Poi alla Bmg decidono di disfarsi dei videogame pensando che
il futuro sia nel business della musica. Così ci siamo trasferiti a New York.
Io avevo 25 anni, Sam, 27. Mai avremmo immaginato che di lì a poco, nel 2001,
un nostro titolo avrebbe venduto ben 15 milioni di copie".
OAS_RICH('Middle'); Ora, ormai ai vertici, i due fratelli hanno una nuova sfida
che si chiama vecchio West. Red Dead Redemption, il gioco in arrivo entro fine
anno, sarà infatti ambientato nel 1910 quando la frontiera cara a registi come
John Ford, Sam Peckinpah, Sergio Leone era ormai quasi scomparsa. "È
un'epoca strana", dice, "A quei tempi alcuni pistoleri erano già
leggenda. Ma il West stava morendo proprio mentre diventava mito, scacciato
dalla ferrovia, dal telegrafo, dall'industrializzazione. Se l'ultimo Gta
parlava del declino del sogno americano, qui al centro c'è l'idea stessa di
America: il conflitto permanente fra libertà assoluta e natura incontaminata da
una parte, progresso e capitalismo dall'altra". Di qui il lungo viaggio
sanguinario del protagonista, John Marston, ex fuorilegge costretto ad entrare
nel Bureau of Investigation, che più tardi diventerà l'Fbi. Ancora una volta
niente buoni né cattivi. Solo persone che tentano di non restare ai margini di
un mondo che sta cambiando troppo velocemente. (18 maggio 2009
( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)
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Obama
WASHINGTON - E' un test di alta diplomazia quello di oggi,
per il presidente Usa Barack Obama e il premier
israeliano, Benjamin Netanyahu, al loro primo incontro alla Casa Bianca. Un
faccia a faccia che si prevede impegnativo per i due leader che devono confrontare
diverse volontà e superare i nodi sulla questione dello Stato palestinese e sui
progetti nucleari iraniani. Nuove difficoltà: da Tel Aviv arriva la notizia di
una gara di appalto indetta per espandere l'insediamento nel nord della
Cisgiordania. Netanyahu è arrivato ieri mattina a Washington portando con sé
quello che lui stesso ha definito "un nuovo approccio" al problema
palestinese. "Sarà la missione della mia vita", ha detto il premier
al giornale Maariv. "Se mettiamo sul tavolo un nuovo piano - ha spiegato
poi un alto consigliere israeliano - gli americani non lo respingeranno".
E Obama non aspetta altro che sentire dalla bocca del
"falco" un nuovo impegno per la pace dopo le posizioni rigide assunte
dal premier israeliano dal primo momento del suo mandato. Il problema è il
riconoscimento di Israele. Proprio su questo Netanyahu, stretto tra il pressing
di Obama per la formazione dei due Stati e l'appoggio
delle fasce più oltranziste al suo governo appena formato, dovrà mettere a
frutto tutta la sua diplomazia. Un possibile terreno di contrasto può essere
anche la questione iraniana, che Netanyahu vuole mettere al centro dei
colloqui, mentre Obama insiste per
un approccio "soft", dopo aver assunto in prima persona il ruolo di
promotore di una nuova era di disgelo verso Teheran. OAS_RICH('Middle');
Secondo quanto riportano i giornali israeliani l'incontro tra Netanyahu e Obama sarebbe stato intanto preparato da "discreti contatti"
nei giorni scorsi tra Israele e le autorità palestinesi. Lo stesso
presidente Shimon Peres, che ha incontrato ieri il re di Giordania, ha
affermato che Israele è interessata a ripristinare i colloqui di pace
immediatamente. Sempre secondo l'Haaretz Netanyahu dirà a Obama
che "il tempo corre" e che bisogna al più presto interrompere il
programma nucleare iraniano dando a Obama solo qualche
mese per risolvere con diplomazia la questione iraniana. Secondo Israele il
dialogo con Teheran dovrà andare avanti con "condizioni chiare" che
mettano un limite al programma di circa tre mesi. Una visione condivisa
comunque anche dall'inviato speciale Usa in Iran, Dennis Ross. Per quanto
riguarda il Medio Oriente Netanyahu presenterà una serie di richieste orientate
a una maggiore sicurezza tra cui la smilitarizzazione della Cisgiordania e il
controllo di Israele del suo spazio aereo. Al di là delle buone intenzioni però
restano alcuni fatti che potrebbero comprometter il buon andamento dei colloqui
nonostante. Proprio oggi, Tel Aviv ha deciso di indire una gara di appalto per espandere
l'insediamento in Cisgiordania settentrionale, a Maskiot, nonostante il fatto
che l'inquilino della Casa Bianca che ha sempre considerato l'insediamento un
ostacolo al processo di pace. Per il premier è importante anche la percezione
che il suo popolo ha della controparte americana con la nuova presidenza. In
Israele circola in queste ore un sondaggio, realizzato dall'autorevole istituto
demoscopico Smith per conto del giornale Yediot Ahronot. Dal sondaggio risulta
che solo il 31 per cento degli israeliani guarda con simpatia a Obama e lo ritiene un leader amico d'Israele. Un 14 per
cento arriva addirittura a qualificarlo come "filo-palestinese",
mentre un buon 40 per cento lo giudica neutrale nel conflitto mediorientale.
Addirittura l'88 per cento ritiene Obama meno
filo-israeliano del suo predecessore, George W. Bush. Unica copnsolazione per
il presidente Usa arriva, comunque, dalla constatazione che Washington resta, a
parere degli israeliani, di gran lunga il partner più fedele, con ampio margine
su Unione Europea e Russia. (18 maggio 2009
( da "Stampaweb, La" del 18-05-2009)
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Obama
Continua il pressing italiano per inserire nellagenda del prossimo vertice Ue, previsto per il 18 e 19 giugno,
il tema dellimmigrazione clandestina nel Mediterraneo. è questa la linea
scelta da Roma dopo che lappello del ministro degli esteri Frattini di
convocare una riunione speciale a livello di capi di stato e di governo sul tema
sembra essere caduto nel vuoto. Oggi, al consiglio esteri e difesa, lItalia, rappresentata rispettivamente dai sottosegretari Scotti
e Cossiga, ha ribadito lintenzione di porre la questione ai massimi livelli
istituzionali europei. Raccogliendo, strada facendo, consensi inaspettati.
Oltre alladesione di Spagna, Malta e degli altri
paesi Ue del Mediterraneo, la proposta di Roma non dispiacerebbe troppo nemmeno
alla Francia ed è vista di buon occhio da Svezia e Finlandia. Per ora il sasso è
stato gettato, fa capire il sottosegretario agli Esteri, Vincenzo Scotti, che
non nasconde il braccio. Anzi, ribadisce nel corso di una conferenza stampa al
termine dei lavori che “non è possibile chiudere gli occhi di fronte
all'attuale situazione né immaginare che l'Italia non sia una frontiera
europea. Per l'Italia non è una questione marginale né congiunturale, ma
qualcosa che va affrontato e approfondito da parte del Consiglio Europeo con
qualche azione comune e coinvolgendo i Paesi terzi”. Cauta la presidenza di
turno ceca, che ha detto di valutare con attenzione "valore aggiunto"
del contenuto della proposta italiana. "Non posso fare promesse, vedremo -
ha detto il ministro degli Esteri ceco Jan Kohout -. Oggi sono state proposte
idee interessanti ma ci dobbiamo riflettere per evitare che siano ripetute
posizioni già prese in passato. Dobbiamo insomma valutarne il valore
aggiunto". AllItalia per ora basta e
Scotti si dichiara “fiducioso”. “La presidenza - ha continuato – si è
riservata di decidere, ma noi continueremo a fare pressioni anche perché pur se
ora siamo di fronte ad una emergenza, il problema non è congiunturale, ma
tenderà a restare nel tempo, quindi va affrontato ed approfondito”. Di sicuro
il tema sarà sul tavolo del prossimo Consiglio interni e giustizia in programma
per il 4 e 5 giugno prossimi a Lussemburgo. In quella sede, ha ricordato il
rappresentante permanente dell'Italia presso le istituzioni Ue, l'ambasciatore
Ferdinando Nelli Feroci, la Commissione europea metterà sul tavolo dei 27
proposte concrete. Al di là dellimmigrazione il
Consiglio esteri dellUe ha poi deciso di esprimere una “forte condanna”
nei confronti del regime birmano rispetto agli ultimi sviluppi del processo al
premio nobel per la pace Saan Suu Kyi. “Attenta valutazione” è invece quella che i
ministri degli esteri dei Ventisette continuano a rivolgere alla situazione in
Moldovia e Sri Lanka, mentre per lIran
si è deciso di attendere le prossime mosse di Teheran dopo lapertura di Obama al paese, anche se Scotti ha ribadito lintenzione di “invitare Teheran a Trieste, quando sotto la
presidenza del G8, si discuterà della situazione in Afghanista”. commenti (0)
scrivi
( da "Stampaweb, La" del 18-05-2009)
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Obama
TORINO Wolfram Alpha, il reclamizzato motore di ricerca
che promette di rivoluzionare il web e di sfidare i big di Internet, Google,
Yahoo!, Microsoft e Ask.com, ha ricevuto il battesimo ufficiale ed è ora
online, pronto a ricevere le richieste degli utenti. Il nuovo strumento, ideato
da Stephen Wolfram, già padre del software di simulazione matematica, dovrebbe
riuscire, grazie ad un algoritmo che unisce il linguaggio naturale con quello
informatico, a visualizzare una serie di link pertinenti in risposta alle
interrogazioni. L'esperimento è interessante perchè si addentra nell'ambito
della semantica applicata alle macchine, alla ricerca di codici comunicativi
più simili a quelli umani, che perfezionino i computer tanto da renderli capaci
di capire il significato di ciò che viene richiesto. Cioè senza spezzare
l'informazione in vocaboli distinti a cui far corrispondere i documenti
rintracciati o scartati in base alla presenza o meno delle chiavi di ricerca.
Tuttavia, chi si è lanciato nei primi test non si definisce ancora entusiasta e
commenta dicendo che il progetto ha più che altro rilevanza accademica, almeno
allo stato attuale. Secondo altri, invece, il primo importante passo è stato
compiuto nella direzione giusta, scostando i problemi di computazione dai
solchi tradizionali, con risultati già apprezzabili, seppure sperimentali.
Provare per credere: www66.wolframalpha.com. Va ricordato che c'è già chi
lavora da tempo a un motore semantico ed è italiano, Expert System. + Obama vuole ascoltare i cittadini J. BROOKE AKER e LUCA SCAGLIARINI +
"Wolfram Alpha" il software che risponde alle domande FRANCESCO
SEMPRINI + Per il Web profondo a cui non arriva Google, ecco nuove tecnologie +
Software italiano vince l'Oscar della telefonia mobile + I vantaggi della tecnologia
semantica
( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)
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Obama
WASHINGTON - E' stato un test di alta diplomazia quello di
oggi, per il presidente Usa Barack Obama e il premier
israeliano, Benjamin Netanyahu, al loro primo incontro alla Casa Bianca. E se
gli Stati Uniti ribadiscono che per la pace in Medio Oriente serve la soluzione
due Stati due popoli, Nethanyahu non prende in considerazione lo spazio
politico e territoriale per la nascita di uno Stato palestinese. Limitandosi a
dare il via libera ad una forma di autogoverno dei palestinesi. Parole che Obama accoglie chiedendo ad Israele "di fermare gli insediamenti
dei coloni". Per quanto riguarda il dialogo con l'Iran, Obama dice di non voler fissare scadenze artificiali. Parole che
confermano l' approccio "soft" del presidente Usa, che ha assunto in
prima persona il ruolo di promotore di una nuova era di disgelo verso Teheran.
Obama ha comunque aggiunto che gli Stati Uniti
gradirebbero vedere alcuni progressi nel loro dialogo con Teheran "entro
la fine dell'anno". Netanyahu è arrivato ieri mattina a Washington
portando con sé quello che lui stesso ha definito "un nuovo
approccio" al problema palestinese. "Sarà la missione della mia
vita", ha detto il premier al giornale Maariv. "Se mettiamo sul
tavolo un nuovo piano - ha spiegato poi un alto consigliere israeliano - gli
americani non lo respingeranno". Secondo quanto riportano i giornali
israeliani l'incontro tra Netanyahu e Obama sarebbe
stato intanto preparato da "discreti contatti" nei giorni scorsi tra
Israele e le autorità palestinesi. Lo stesso presidente Shimon Peres, che ha
incontrato ieri il re di Giordania, ha affermato che Israele è interessata a
ripristinare i colloqui di pace immediatamente. Sempre secondo l'Haaretz
Netanyahu dirà a Obama che "il tempo corre"
e che bisogna al più presto interrompere il programma nucleare iraniano dando a
Obama solo qualche mese per risolvere con diplomazia
la questione iraniana. OAS_RICH('Middle'); Secondo Israele il dialogo con
Teheran dovrà andare avanti con "condizioni chiare" che mettano un
limite al programma di circa tre mesi. Una visione condivisa comunque anche
dall'inviato speciale Usa in Iran, Dennis Ross. Per quanto riguarda il Medio
Oriente Netanyahu presenterà una serie di richieste orientate a una maggiore
sicurezza tra cui la smilitarizzazione della Cisgiordania e il controllo di
Israele del suo spazio aereo. Al di là delle buone intenzioni però restano alcuni
fatti che potrebbero comprometter il buon andamento dei colloqui. Proprio oggi,
Tel Aviv ha deciso di indire una gara di appalto per espandere l'insediamento
in Cisgiordania settentrionale, a Maskiot, nonostante il fatto che l'inquilino
della Casa Bianca che ha sempre considerato l'insediamento un ostacolo al
processo di pace. Per il premier è importante anche la percezione che il suo
popolo ha della controparte americana con la nuova presidenza. In Israele
circola in queste ore un sondaggio, realizzato dall'autorevole istituto
demoscopico Smith per conto del giornale Yediot Ahronot. Dal sondaggio risulta
che solo il 31 per cento degli israeliani guarda con simpatia a Obama e lo ritiene un leader amico d'Israele. Un 14 per
cento arriva addirittura a qualificarlo come "filo-palestinese",
mentre un buon 40 per cento lo giudica neutrale nel conflitto mediorientale.
Addirittura l'88 per cento ritiene Obama meno
filo-israeliano del suo predecessore, George W. Bush. Unica consolazione per il
presidente Usa arriva, comunque, dalla constatazione che Washington resta, a
parere degli israeliani, di gran lunga il partner più fedele, con ampio margine
su Unione Europea e Russia. (18 maggio 2009
( da "Stampaweb, La" del 18-05-2009)
Argomenti:
Obama
WASHINGTON È un test di alta diplomazia quello tra il
presidente Usa, Barack Obama, e il premier israeliano,
Benjamin Netanyahu, al loro primo incontro alla Casa Bianca. Un faccia a faccia
impegnativo nel confronto-scontro tra due diverse volontà nel superare i nodi
sulla questione dello Stato palestinese e sui progetti nucleari iraniani.
Netanyahu è arrivato ieri mattina a Washington portando in valigia quello che
lui stesso ha definito «un nuovo approccio» al problema palestinese. «Sarà la
missione della mia vita» ha detto il premier al giornale Maariv. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha rinnovato
il suo appello alla creazione di uno stato palestinese, confermando al premier
israeliano Benjamin Netanyahu che gli Usa sono impegnati a una soluzione «a due
stati» Obama si è rivolto a Netanyahu parlando della necessità di capitalizzare
la «storica opportunità» di riavviare le trattative di pace in Medio Oriente.
Obama e Netanyahu si sono incontrati oggi per la prima
volta nella Casa Bianca, in una colloquio durato oltre due ore. Il premier
israeliano Benjamin Netanyahu ha detto oggi alla Casa Bianca che Tel Aviv
desidera che i palestinesi «si autogovernino». Netanyau ha detto che è
possibile vedere un futuro dove israeliani e palestinesi potranno vivere fianco
a fianco. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama
ha detto che desidera vedere una risposta positiva dallIran relativamente al suo programma nucleare entro la fine
dellanno. «Non cè bisogno di una scadenza artificiale», ha
precisato
Obama, in una conferenza stampa congiunta con il
premier israeliano Benjamin Netanyahu.Il riferimento è alla richiesta di un
vero e proprio «ultimatum» attribuita al governo israeliano. Obama
ha affermato anche di non escludere ladozione
di «alcune manovre» nei confronti dellIran, e non ha escluso il possibile
utilizzo delle sanzioni.
( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
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Obama
La storia La riserva in Arizona ha un'economia intatta
basata sui commerci Navajo, la tribù indiana che resiste alla recessione
FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK QUOTAZIONE REND. Utlima Prec 12 mesi Come superare
la crisi? Prendere lezioni dalle tribù Navajo. Paralisi del credito, recessione
e disoccupazione sembrano aver solo sfiorato la riserva che si estende tra
Arizona, New Mexico e Utah, abitata dai discendenti di una delle più antiche e
nobili tribù della Grande Nazione. La maggior parte della gente è proprietaria
di casa, c'è una generale riluttanza a investire in azioni, e le attività di
prestito sono limitate allo stretto necessario. In altri tempi si sarebbe
parlato di realtà retrograda o di iniqua autarchia, ma da quando il terremoto
di Wall Street ha causato devastanti conseguenze economiche e sociali in tutto
il mondo, la riserva è considerata una sorta di bastione antisismico. Del resto
il tasso di disoccupazione tra i Navajo è cronicamente fermo al 50% e per
questo non ci sono timori che la situazione occupazionale possa peggiorare
ulteriormente. «Le grandi economie sono alle prese con problemi che per noi
sono all'ordine del giorno», spiega John Whiterock, un giovane pastore Navajo.
Per i 200 mila discendenti delle antiche genti, le difficoltà non sono solo
subprime e derivati: in questi giorni i capi tribù devono decidere come far
fronte al buco da 25 milioni di dollari che grava sul bilancio della comunità,
mentre la popolazione chiede maggiore assistenza e più servizi sociali. Per i
Navajo la ricchezza non si misura in dollari bensì in termini di tradizione,
terra e legami di sangue. Un tramonto tra le montagne rocciose può valere per
loro più di un rally di borsa in tempi di crisi per un broker. Delores Claw
quest'anno non ha venduto neanche un capo di bestiame e ha iniziato a coltivare
granturco per far fronte all'aumento dei prezzi alimentari e nonostante abbia
perso il lavoro di insegnante, non ha mai fatto mancare tre pasti al giorni
suoi figli. La ricetta anti-crisi passa anche attraverso il piccolo commercio:
tappeti, gioielli artigianali e frutti della natura venduti agli angoli delle
strade o nei mercatini stagionali, quest'anno particolarmente animati. La forza
di rimanere a galla quando tutti gli altri vanno a fondo è motivo di orgoglio specie
per gli anziani. «Il nostro patrimonio spirituale è il più grande
investimento», spiega Wilson Aronlith, professore di storia e cultura Navajo al
Dine College. Il vademecum anti-crisi arriva del resto da una comunità che
soffre un tasso di povertà del 38,5% e con un reddito pro-capite annuo di 7500
dollari. Per invertire il trend occupazionale sarebbe necessario creare 3500
posti di lavoro ogni anno, ma per ora si arriva a malapena a 200, e i giovani
sono costretti a lasciare le riserve. Ecco perché i Navajo come tante altre
tribù della Grande Nazione si sentono abbandonate. Il progetto di costruire
casinò non sembra sortire gli effetti sperati e con Barack Obama si puntava a una rinascita verde in linea con le tradizioni
locali. Ma dei 787 miliardi di dollari stanziati per rilanciare l'economia solo
2,5 milioni sono destinati alle riserve. «Basta vedere la crisi in cui si trova
il Paese intero per capire quello che noi viviamo da sempre - dice Dante
Desiderio del National Congress of American Indians - L'America ha
imparato, ora non può più ignorarci».
( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
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Obama
Intervista Meyrav Wurmster "Per l'Anp la soluzione è
unirsi alla Giordania" DALL'INVIATO A WASHINGTON Netanyahu ha spiegato a Obama che Israele rischia un secondo Olocausto». Così Meyrav Wurmster,
titolare degli Studi mediorientali dell'Hudson Institute, riassume che cosa è
avvenuto fra i due leader nello Studio Ovale. Perché Obama ha indurito
i toni con l'Iran? «Fra Obama e Netanyahu restano delle importanti differenze perché Netanyahu
considera il nucleare iraniano una minaccia esistenziale per lo Stato
ebraico, mentre Obama crede nel negoziato con la
Repubblica islamica e chiede a Israele di non condurre attacchi militari.
Israele minaccia l'uso della forza e Obama non vuole
che la usi. Ma nel colloquio c'è stato un avvicinamento, perché Netanyahu aveva
dato un limite massimo di tre mesi per i negoziati, mentre adesso Obama dice che auspica un risultato positivo delle
trattative sul nucleare entro la fine dell'anno, pur sottolineando che non
esistono scadenze artificiali». Che cosa è avvenuto fra il premier israeliano e
il presidente degli Stati Uniti? «Netanyahu ha spiegato a Obama
con estrema chiarezza ciò che gli israeliani sentono: la minaccia di un secondo
Olocausto di sei milioni di ebrei, che potrebbe avvenire se l'Iran arrivasse
all'atomica. Non sappiamo quali informazioni gli israeliani abbiano sul
nucleare iraniano e neanche se i due leader ne abbiano discusso ma dal punto di
vista di Israele ci troviamo in una situazione analoga agli Anni 30, quando
Hitler preparava l'Olocausto e il mondo occidentale si voltava dall'altra parte
per non vedere». Sulla composizione del conflitto con i palestinesi restano
invece tutte le differenze... «Obama crede nella
soluzione dei due Stati mentre Netanyahu obietta che al momento non è
possibile, in quanto attualmente c'è uno Stato palestinese a Gaza in mano a
Hamas e uno in Cisgiordania governato da Abu Mazen. Di Stati al momento ve ne
sono tre, non due, e da oltre 24 mesi gli egiziani stanno mediando senza
successo per riuscire a far nascere un governo di unità nazionale fra i
palestinesi. Netanyahu vuole un accordo di pace stabile con i palestinesi ma
non crede che si possano avere tre Stati». Visto che gran parte della comunità
internazionale ritiene fattibili i due Stati, quali sono le «nuove idee» con
cui Netanyahu pensa di uscire dallo stallo diplomatico? «La prima, e più
immediata da realizzare, riguarda la creazione di una commissione mista
israelo-americana per verificare quanto e come è stata applicata la Road Map
israelo-palestinese. Poiché la soluzione dei due Stati si basa sulla Road Map,
Netanyahu vuole accertare che cosa è stato fatto negli ultimi anni, e vuole
farlo assieme all'amministrazione di Washington». E sulla Cisgiordania, cosa ha
in mente? «In attesa di una soluzione della disputa tra Hamas e Al Fatah pensa
a un regime di autonomia». Come proponeva il suo predecessore Itzhak Shamir a
metà degli Anni 80... «Esatto». Non è una scorciatoia verso l'opzione giordana,
la creazione di una confederazione giordano-palestinese? «Potrebbe esserlo. Per
arrivare a questo serve però l'assenso del re giordano Abdallah, dal quale
Netanyahu è stato solo pochi giorni fa. Di quei colloqui non è trapelato nulla.
Certo, se Hamas dovesse continuare a tenere Gaza, l'intesa Al Fatah-Giordania
potrebbe evitare il rovesciamento di Abu Mazen, visto che anche in Cisgiordania
Hamas si sta rafforzando molto». \
( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
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Obama
Iran, Obama rassicura Israele [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI INVIATO A WASHINGTON
Barack Obama chiede all'Iran di bloccare il programma nucleare «entro la fine
dell'anno» e Benjamin Netanyahu è pronto a «riprendere immediatamente» i
colloqui di pace con i palestinesi, mentre tace sull'ipotesi dei due Stati
appoggiata da Washington: le dichiarazioni dei due leader al termine di un
colloquio alla Casa Bianca durato due ore - mezz'ora più del previsto -
riflettono il compromesso raggiunto fra i Paesi alleati che nelle ultime
settimane avevano accumulato tensioni. Per Obama
l'incontro di ieri è stato l'inizio del coinvolgimento diretto nel negoziato di
pace che punta alla creazione di uno Stato di Palestina a fianco di Israele:
entro fine mese accoglierà nello Studio Ovale anche il palestinese Abu Mazen e
l'egiziano Hosni Mubarak, e dunque aveva bisogno di un esordio positivo con
l'israeliano Netanyahu, molto scettico sulla soluzione dei «due Stati». «I
progressi si sono fermati sul fronte del negoziato - ha detto Obama, vestendo i panni del mediatore - e il premier
israeliano ha l'opportunità storica di metterli seriamente in moto. Questo
significa che tutte le parti devono prendere sul serio gli obblighi
sottoscritti» e per il governo di Gerusalemme vuol dire fermare la costruzione
degli insediamenti in Cisgiordania. Netanyahu ha reagito dando a Obama la risposta che cercava: «Sono pronto da subito a
riprendere i negoziati di pace con i palestinesi». Aggiungendo però una
condizione: «Devono accettare l'esistenza di Israele come Stato ebraico». Una
formulazione, ripetuta anche da Obama, che esclude il
ritorno dei profughi entro le frontiere del 1967. Netanyahu si è comunque detto
ottimista quanto il presidente americano sulla possibilità di un accordo,
perché «mai come oggi israeliani e arabi sono concordi nella definizione della
minaccia comune», cioè l'Iran che persegue il nucleare. E' proprio su questo
terreno che l'ospite israeliano ha chiesto a Obama la
contropartita per il passo compiuto sul negoziato. E la risposta del presidente
è stata: «Nelle trattative sul nucleare iraniano è importante che ci sia un
chiaro calendario di scadenze, anche perché questi colloqui al momento non
stanno facendo chiari progressi». «Non condurremo negoziati all'infinito e, pur
non essendoci scadenze artificiali, mi aspetto progressi entro la fine
dell'anno. Se non avverranno, sarà la comunità internazionale a prendere atto
che l'Iran si sta isolando» ha aggiunto, accennando all'ipotesi di nuove
sanzioni dell'Onu. Durante il colloquio nello Studio Ovale Obama
ha avuto a fianco l'inviato per il Medio Oriente George Mitchell e il capo di
gabinetto Rahm Emanuel, lasciando intendere che sono il team ristretto che lo
affiancherà nel prosieguo dei negoziati, che si annunciano tesi. A confermarlo
sono le reazioni dell'Autorità palestinese. «Netanyahu non ha detto di
sostenere la soluzione dei due Stati - ha commentato il negoziatore Saeb Erakat
- e ci aspettiamo che l'America agisca contro tale approccio». Netanyahu è
arrivato alla Casa Bianca alle 8.30 del mattino, portando in regalo al
presidente un'antica Bibbia e un libro contemporaneo dal forte valore
simbolico: una copia di «Pleasure Excursion to the Holy Land», (Viaggio in
Terra Santa», il libro nel quale Mark Twain racconta il viaggio fatto nel
( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Pagina 1 - Prima Pagina Incontro alla Casa Bianca, il
leader Usa insiste: unica strada per la pace. Timori per l´atomica iraniana Netanyahu gela Obama "Niente stato
palestinese" WASHINGTON - Il premier israeliano Netanyahu gela Obama nell´incontro alla Casa Bianca, rifiutandosi di usare il termine
"due Stati" parlando della questione tra palestinesi e israeliani.
Netanyahu si è spinto solo a dichiarare di essere favorevole «all´autogoverno»
dei palestinesi e di essere pronto a far ripartire subito i negoziati, a
patto che i palestinesi riconoscano Israele come stato ebraico. Ancora timori
per l´atomica iraniana. FLORES D´ARCAIS A P
( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Pagina 11 - Esteri Il premier Il presidente Palestina,
Netanyahu gela Obama Solo autogoverno per Israele,
ignorata la proposta Usa di "due Stati" Sull´Iran niente ultimatum
come voleva Bibi, l´America pronta a nuove sanzioni Sarà possibile vivere
fianco a fianco solo in condizioni di sicurezza e se verrà riconosciuta la
legittimità di Israele La soluzione dei due Stati è nell´interesse di
palestinesi, israeliani, Stati Uniti e comunità internazionale ALBERTO FLORES
D´ARCAIS dal nostro inviato new york - Obama è per la
soluzione «due Stati», Netanyahu si limita a parlare di «autogoverno dei
palestinesi». Non è una differenza da poco e su questo punto, come anche sulla
questione del nucleare iraniano («nessun ultimatum», ha detto il presidente
Usa, «abbiamo il diritto di difenderci», ha risposto il suo ospite) il vertice
alla Casa Bianca tra Obama e il nuovo premier
israeliano è stata la dimostrazione di quanto siano ancora distanti le
posizioni tra gli Stati Uniti e il suo più fedele alleato in Medio Oriente. Il
colloquio è stato molto più lungo del previsto (oltre due ore) ma al di là
delle dichiarazioni finali di rispetto e stima reciproca («lei è un grande
leader», ha detto Natanyahu) resta un disaccordo di fondo sull´approccio ai due
temi decisivi: pace e Iran. Per cambiare le cose ed anche per evitare che gli
incontri della prossima settimana con il leader palestinese Abbas («Incoraggianti le parole di Obama, deludente
Netanyahu» ha commentato ieri) e con il presidente egiziano Mubarak diventino
pura facciata, la Casa Bianca dovrà, come minimo, lavorare ancora molto. Da
Netanyahu, Obama ha ottenuto il sì ad «immediati» colloqui di pace tra israeliani
e palestinesi ma le condizioni dettate dal premier israeliano rendono l´ipotesi
poco probabile. «Credo che sia nell´interesse non solo dei palestinesi, ma
anche degli israeliani, degli Stati Uniti e della comunità internazionale
arrivare ad una soluzione che preveda due Stati, dobbiamo rimboccarci le
maniche ed essere un partner-chiave nel processo di pace», ha sostenuto il
presidente Usa secondo una linea che era anche quella dell´amministrazione Bush
e (in parte) del precedente governo di Gerusalemme. D´accordo, risponde il
premier israeliano, a patto che i palestinesi riconoscano il diritto di Israele
ad esistere in quanto «Stato ebraico»: «Voglio dire chiaramente che noi non
vogliamo governare i palestinesi; se la sicurezza di Israele verrà garantita e
se i palestinesi riconosceranno Israele come Stato Ebraico, credo che potremo
individuare un quadro nel quale palestinesi e israeliani vivano fianco a fianco
in dignità, sicurezza e pace». Obama ha chiesto a
Netanyahu di capitalizzare la «storica opportunità» che oggi viene offerta alle
parti in conflitto, ha confermato che Gerusalemme deve «bloccare» gli
insediamenti, che «i problemi umanitari a Gaza devono essere affrontati», che
«Israele dovrà prendere alcune decisioni difficili». Ma su questi punti non ha
ottenuto in realtà alcuna risposta. Più che la questione palestinese a
Natanyahu il vertice alla Casa Bianca interessava per via dell´Iran ed è su
questo punto che il premier israeliano ha insistito sia nel lungo faccia a
faccia, sia nel più breve incontro con i giornalisti. Il presidente americano
ha definito l´Iran «una paese dal grande potenziale» ed ha escluso (cosa che
chiedeva invece Gerusalemme) un ultimatum nei confronti del regime degli
ayatollah. Gli Stati Uniti intendono (per il momento) proseguire la strada del
dialogo, una scelta che sarà però «condizionata» ai risultati: «Non voglio
stabilire scadenze artificiali, ma voglio ottenere progressi entro la fine
dell´anno». Per la Casa Bianca sul tavolo restano aperte «tutte le opzioni»,
compresa quella di «inasprire le sanzioni». Non è esattamente quanto voleva
ottenere Netanyahu, giunto a Washington con la speranza di convincere Obama a minacciare un ultimatum all´Iran di tre-sei mesi. Il
«tempo corre» ha detto al presidente degli Stati Uniti, occorre «interrompere
al più presto» il programma nucleare iraniano. Il premier israeliano ha
ricordato come l´Iran chieda «la nostra distruzione» e si è detto «incoraggiato
dalle parole di Obama («Se l´Iran ottenesse l´arma
atomica sarebbe una minaccia non solo per Israele e per gli Stati Uniti ma
anche per tutto il mondo»). Se però la diplomazia della Casa Bianca non dovesse
ottenere alcun risultato Israele è pronto «a difendersi da solo». Nei prossimi
mesi vedremo se (e come) il presidente americano sarà in grado di ottenere gli
appoggi necessari, in primo luogo dal mondo arabo, per convincere Natanyahu a
un impegno preciso sulla pace. La Casa Bianca ha tentato di legare in modo
diretto il dialogo tra israeliani e palestinesi alla questione Iran, ma
Netanyahu ha voluto precisare che i due punti sono solo «indirettamente»
legati. Del resto sa che anche per gli Stati Uniti, già alle prese con la
guerra in Afghanistan e la crisi in Pakistan, il nucleare iraniano conta oggi
più del futuro dei palestinesi. E che (stando ad un sondaggio del quotidiano
Yediot Ahronot) solo il 31% degli israeliani guarda con simpatia Obama e lo ritiene un leader amico d´Israele.
( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)
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Obama
Pagina 33 - Commenti PARTITA A SCACCHI (SEGUE DALLA PRIMA
P
( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)
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Obama
Pagina 33 - Commenti LA SCOMPARSA della socialdemocrazia
MASSIMO L. SALVADORI In un recente articolo su questo giornale Timothy Garton
Ash ha auspicato l´avvento di una «versione modernizzata» dell´«economia
sociale di mercato», fondata sulla creazione da parte dello Stato di «un forte
quadro giuridico e normativo per l´impresa privata», sull´impegno «a garantire
un minimo sociale a tutti i cittadini» e sulla lotta all´accumulo dei «grandi
guadagni dei capitalisti» legittimati col richiamo ad un rischio
imprenditoriale fatto in realtà gravare sulle spalle dei lavoratori subalterni.
Sennonché qui si pone il problema: esiste in Europa una forza politica in grado
di farsi carico di un tale obiettivo? Di primo acchito la risposta parrebbe
scontata: la socialdemocrazia. Ma ecco che ci si trova a dover constatare che i
partiti che ad essa si richiamano sembrano ormai più «cavalieri inesistenti»
che non cavalieri con la corazza. Non molto tempo fa osservai che facevano
riflettere «il silenzio della socialdemocrazia» e la mancanza di un suo
protagonismo politico di fronte alla attuale pesante crisi economica. è quindi
comprensibile che si possa parlare, come fa Giuseppe Berta, di Eclisse della
socialdemocrazia (è questo il titolo di un suo breve saggio appena apparso
presso il Mulino). Nell´analizzare i fattori del declino socialdemocratico,
Berta centra nel segno. La socialdemocrazia nelle sue molteplici varianti non
ha retto all´urto con il «turbocapitalismo» globale. E non ha tanto piegato le
ginocchia di fronte ad un avversario più forte, quanto è andata piuttosto essa
stessa attivamente inserendosi in quel tipo di sviluppo, giudicato la tendenza
vincente. «La socialdemocrazia al governo ? osserva Berta ? ha scoperto di
dover aderire quasi plasticamente» ai caratteri del nuovo capitalismo,
«abbandonando la pretesa di trasformarli». Nel caso poi dei Blair e anche degli
Schroeder, si è voluto persino cavalcare la tendenza. Si è così esaurito il
cammino che aveva dato vigore alla socialdemocrazia a partire dal 1945 fino
agli anni ?70, quando è esplosa la crisi dei fattori che ne avevano determinato
l´ascesa: la forza organizzativa dei partiti socialisti, la centralità dei
sindacati, l´ancoraggio ad una robusta classe operaia, la capacità di affermare
la propria identità, il ruolo del «sistema misto» privato-pubblico, le
istituzioni del welfare. Secondo l´autore, lo sviluppo economico e sociale ha
disintegrato a mano a mano tutti questi fattori e conferito alle resistenze a
siffatto processo i tratti di un discorso meramente retorico. Dallo svuotamento
della socialdemocrazia Berta deduce, portando alla ribalta il caso dell´Italia
dove la socialdemocrazia più che esausta non è mai nata, che sia venuta l´ora
del «centrosinistra», dei «democratici», del «liberalismo sociale»; cui spetta
di incorporare quei caratteri della avanzante modernità che in primo luogo il
Labour, sotto la spinta di incoercibili esigenze dovute alle trasformazioni
della società, ha fatto propri con entusiasmo al prezzo di favorire il
progressivo vanificarsi del discorso socialdemocratico: il fare appello
all´elettorato in generale, alla responsabilità dei singoli, ai doveri e ai
diritti individuali, il puntare per contrastare le diseguaglianze sociali sulle
opportunità offerte dalla formazione e dall´esercizio delle competenze nel
quadro del mercato aperto. E in questo contesto evoca il messaggio di Obama, la sua entrata in campo a «difesa del principio di una più
ampia libertà di scelta individuale sulle questioni della vita» e di altri
principi «in linea con le tendenze del centrosinistra». Se concordo con Berta
sul dato incontrovertibile dell´eclisse della socialdemocrazia (che per lui in
realtà più che un eclisse è un inarrestabile tramonto e per me un serio rischio
di tramonto), ne traggo una diversa lezione. Che oggi ci troviamo nel
pieno della crisi congiunta e del «turbocapitalismo» e del socialismo europeo.
Che la crisi del secondo è una conseguenza del suo essersi adagiato sul primo,
nella convinzione, massima nel nuovo laburismo di Blair, che questo
rappresentasse tout court l´economia dell´avvenire e perciò occorresse
addirittura favorirlo. Che la crisi scoppiata nell´autunno del 2008 rivela
palesemente che l´insufficiente difesa delle condizioni di vita degli strati
inferiori ? i quali, se non più in prevalenza dagli operai di fabbrica, sono
formati dall´esercito dei lavoratori dipendenti a basso reddito, dei precari e
dei senza lavoro ? a cui si chiedeva di trovare una strada che non hanno
affatto trovato nel mondo dell´iniziativa individuale e delle opportunità
create da uno sviluppo sfociato nella grande depressione, ha avuto come
risultato di causare il sempre maggiore arricchimento dei pochi e impoverimento
dei molti. Che la crisi dimostra ? questo ha in effetti detto chiaro e forte Obama ? che si è riprodotta la perversione per cui i
plutocrati incontrastati hanno dato con successo l´assalto ai governi, sicché è
ora necessario che il potere pubblico ristabilisca regole in grado di impedire
un ritorno al turbocapitalismo, che si ricostituisca una rete di protezione a
favore degli strati rimasti vittime delle oligarchie dominanti, che si torni a
rendere efficace il welfare, anche grazie al rilancio del ruolo dei sindacati.
In Europa quale il soggetto politico organizzato in grado di dare senso, di
interpretare un simile indirizzo? Il centrosinistra? Ma nel nostro continente
il centrosinistra non esiste, salvo che in Italia, dove esso si presenta con
grandi ambizioni, ma in passato altro non è stato se non un´alleanza debole di
vari partiti privi di omogeneità e nel presente, incarnato nel maggiore partito
di opposizione, non mostra di avere un sufficiente collante e all´interno del
quale non manca chi di centro subisce il richiamo di altri centri e chi di
sinistra non sa a che santo votarsi. L´eclisse della socialdemocrazia europea è
un innegabile dato di fatto e il test a cui essa si trova sottoposta è
storicamente decisivo. Ma se l´eclisse dovesse preludere, per una inadeguata
capacità di reazione, a un definitivo tramonto, allora vi è da dubitare
fortemente che lo scenario del futuro sia l´emergere del centrosinistra
internazionale e non piuttosto per un verso il rafforzamento della destra e del
centro, rimasti unici contendenti del governo della società, e per l´altro il
sopravvivere di una sinistra minoritaria, emarginata, protestataria e
impotente. Sono possibili una «economia sociale di mercato» e «un forte quadro
giuridico e normativo per l´impresa privata» fatto valere dallo Stato senza la
socialdemocrazia?
( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
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Obama
COSTRUITE NUMEROSE CENTRIFUGHE PER L'ARRICCHIMENTO
DELL'URANIO Il ministro della Difesa Gates e l'ammiraglio Mullen ammettono
«Arsenali accresciuti» Washington studia il blitz: testate al sicuro se i
taleban dovessero prendere il potere "Il Pakistan prepara nuove
atomiche" [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Il Pakistan sta rafforzando i
propri arsenali nucleari usando i soldi degli americani. È l'allarme lanciato
dal Congresso degli Stati Uniti secondo cui Islamabad si starebbe dotando di
nuove e più moderne testate atomiche. L'indicazione contenuta in un dossier
riservato conferma quanto detto giorni fa dal capo di stato maggiore Mike
Mullen nel corso di un'audizione congiunta con il segretario alla Difesa Robert
Gates. «Avete prove di un rafforzamento degli arsenali nucleari da parte del
Pakistan?» ha chiesto loro la commissione del Senato. «Sì», ha risposto
categorico l'ammiraglio. Capitol Hill teme che i soldi stanziati da Washington
in favore del presidente Asif Ali Zardari possano così essere usati per
produrre bombe ad alto contenuto di uranio. Inoltre, secondo il dossier
Islamabad starebbe mettendo a punto una serie di reattori destinati a
fabbricare una nuova generazione di testate al plutonio. Bruce Riedel, esperto
di Brookings Institution e uno degli autori del rapporto sulla nuova strategia
in Afghanistan e Pakistan commissionato da Barack Obama, sostiene che il Pakistan «ha la maggiore concentrazione
mondiale di terroristi per metro quadrato, mentre il suo programma nucleare sta
crescendo a una velocità che non ha eguali altrove». Il timore che le atomiche
di Islamabad finiscano nelle mani sbagliate ha spinto gli Usa a stanziare cento
milioni di dollari per garantire la messa in sicurezza degli arsenali (dalle
80 alle 100 testate, secondo l'intelligence). Il pericolo è rappresentato non
solo dalle forze talebane, protagoniste di una minacciosa avanzata verso la
capitale dalla valle dello Swat, ma anche da Al Qaeda e dalle cellule jihadiste
infiltrate negli apparati statali deviati. Il Congresso inoltre sta
considerando di inviare tre miliardi di dollari nei prossimi cinque anni per
addestrare e armare i militari pakistani contro i movimenti ribelli, mentre
sono previsti aiuti alla popolazione civile per 7,5 miliardi. Il timore è che i
fondi destinati alle attività di anti-terrorismo siano invece dirottati verso i
programmi nucleari su cui già lavora Islamabad. La dimensione e la velocità
alla quale il Pakistan sta rafforzando gli arsenali atomici non son chiare:
«Abbiamo però riscontrato un ampliamento numerico delle centrifughe», avverte
David Albright, direttore dell'Institute for Science and International
Security. «L'amministrazione Bush - prosegue - ha voluto chiudere un occhio su
un rischio che poteva essere evitato». Obama da parte
sua punta alla riduzione delle armi nucleari nel mondo attraverso l'ampliamento
del trattato di non proliferazione al quale però Pakistan, India - grande
rivale di Islamabad - e Israele non hanno mai aderito. Ecco perché gli Stati
Uniti si starebbero preparando al peggio, ovvero a un blitz di precisione per
mettere al sicuro gli arsenali atomici nel caso in cui il Paese rischi di
cadere sotto il controllo degli estremisti. Secondo l'intelligence la missione
è affidata al Joint Special Operations Command con base a Fort Bragg, in North
Carolina. Ogni unità, composta da elementi selezionatissimi, dovrebbe
disinnescare un ordigno, per poi radunarli tutti in un luogo sicuro prima che
le forze ostili assumano il controllo del Paese.
( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
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Obama
Arrigo Levi I RISCHI DEL NUOVO DISGELO La prima decade di
maggio è stata caratterizzata da una serie di singolari ricorrenze, e di alti e
bassi, nella storia delle relazioni fra la Russia e l'Occidente. Il 7 maggio si
compiva un anno dall'assunzione da parte di Dmitry Medvedev (vincitore delle
elezioni presidenziali del 7 marzo) della carica di terzo Presidente della
Russia, dopo Eltsin e Putin. Il giorno prima la Nato aveva pensato bene di dare
inizio ad esercitazioni militari congiunte in Georgia, decise da tempo in base
al suo programma «Partenariato per la Pace», e alle quali la Russia stessa era
stata invitata a partecipare. «Piccole» esercitazioni, è stato detto. Quanto
opportune è per lo meno discutibile, visto che il 5 vi era stato un
ammutinamento (fallito) presso Tbilisi in una base militare georgiana: ispirato
dai russi (secondo i georgiani) per rovesciare il presidente Saakashvili.
Medvedev ha definito le esercitazioni «una provocazione». Sempre il 7 maggio, è
stato lanciato a Praga (capitale di turno dell'Unione Europea) il programma
dell'Unione di «Partenariato per la Pace» con sei repubbliche ex sovietiche:
Georgia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Azerbaigian e Armenia. Questo
Partenariato mira a liberalizzare gli scambi commerciali e il regime dei visti.
I Sei sperano anche di negoziare accordi di associazione con l'Unione. Il
ministro russo degli Esteri, Sergei Lavrov, ha subito accusato il
«Partenariato» di «intrusione», e di voler «disegnare nuove linee di divisione
nel continente»: una minaccia, in parole povere, al predominio russo in quello
che Mosca ha definito «l'estero vicino». Intanto c'era stata l'espulsione,
alquanto reclamizzata, di due diplomatici russi accreditati presso la Nato e
accusati di spionaggio, e la controespulsione di due diplomatici della Nato
accreditati a Mosca. In un articolo, piuttosto aggressivo, pubblicato dal New
York Times, l'ambasciatore russo alla Nato, Dmitry Rogozin (l'Economist lo
definisce di temperamento «irascibile»), aveva accusato la Nato, e in particolar
modo l'America, di «grossolane violazioni di interessi di sicurezza nazionale
della Russia», in quanto verrebbero minacciati, ai confini russi, spazi che
«sono una pietra angolare della politica estera russa». E veniamo al 9 maggio,
quando nella Piazza Rossa, col mausoleo di Lenin ricoperto, fra le proteste dei
vecchi comunisti, da un'immensa bandiera russa, si è svolta una parata militare
«monstre», nell'anniversario della vittoria sovietica nella «Grande Guerra
Patriottica». Si è assistito a un formidabile sfoggio di armamenti vecchi e
nuovi, e Medvedev ha colto l'occasione per rinnovare le sue proposte di un
nuovo trattato per la sicurezza europea, aggiungendo però subito: «Oggi, quando
ci sono coloro che ancora si affidano all'avventurismo militare» (il
riferimento era presumibilmente alla Georgia), «si ricordi che qualsiasi
aggressione contro cittadini russi sarà sempre respinta». A questo punto, tenendo presente che Obama e Medvedev
si erano detti convinti, nel loro recente, felice incontro, del successo dei
negoziati (inizio previsto per questo mese) per il rinnovo del Trattato Start
sulla riduzione delle armi strategiche in scadenza a dicembre, dall'una e
dall'altra parte si è forse pensato che fosse il caso di cambiare i toni.
Fatto sta che il ministro Lavrov è volato a Washington e ha avuto col
presidente Obama un incontro che questi ha definito
«eccellente». Perfino l'«irascibile» Rogozin ha espresso la speranza che il
processo di disgelo «non si sia interrotto». È dunque tornato il sereno fra le due
«superpotenze»? È presto per dirlo. È chiaro che, vuoi dall'una vuoi dall'altra
parte, il nuovo disgelo rischia diversi incidenti di percorso. E qui si pone il
problema di chi comandi veramente a Mosca: Medvedev, o Putin? E qual è la vera
linea politica di Medvedev? I molti commenti di esperti occidentali sul suo
primo anno di presidenza hanno messo giustamente in luce le sue prese di
posizione «liberali» e riformatrici: fra queste, l'incontro avuto con gli
esponenti delle organizzazioni russe per i diritti umani, nel corso del quale
ha condannato quei «molti funzionari» che ritengono tutte le organizzazioni non
governative «nemiche dello Stato e tali da essere combattute». Ma non sempre
alle belle parole seguono i fatti. O forse, vi è una «linea Medvedev» diversa
dalla «linea Putin». E comunque appare forte, a Mosca, una visione nazionalista
della politica estera che non è facile giustificare. Possiamo ben comprendere
che la perdita della sovranità di fatto su immense estensioni di territorio
continui a non dar pace a molti russi. Ma come possono i russi non capire che,
dopo l'implosione del potere sovietico, proprio l'adesione di alcune
repubbliche ex sovietiche e di alcuni Paesi ex satelliti dell'Urss all'Unione
Europea o alla Nato, con le rigide regole di comportamento che ciò comporta, ha
creato condizioni di assoluta sicurezza per la Russia, mai conosciute prima
nella storia, alle sue frontiere occidentali? La Nato e l'Unione Europea sono
per la Russia non minacce, ma garanzie di pace. (Ma anche da parte occidentale,
sarebbe forse utile un po' più di prudenza). CONTINUA A P
( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Barack incontra Netanyahu: stop agli
insediamenti Obama concede sei mesi all'Iran "Non negozieremo
all'infinito" Obama chiede all'Iran di bloccare il programma nucleare «entro la fine
dell'anno» e Benjamin Netanyahu è pronto a «riprendere immediatamente» i
colloqui di pace con i palestinesi, mentre tace sull'ipotesi dei due Stati
appoggiata da Washington. Sono questi i punti chiave del colloquio di
due ore che i due leader hanno avuto alla Casa Bianca. Molinari A PAG. 11
( da "Repubblica.it" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Joe Rospars ha trentacinque anni e l'aria di un ragazzo
tutto casa e computer, uno di quelli che non noti nemmeno se è tuo compagno di
classe. Eppure questo signore con gli occhiali, tranquillo e calmo, che
affabilmente saluta tutti nella grande sala della Verkehrshaus di Lucerna, dove
ha appena finito di parlare ai partecipanti all'Eurovision Tv Summit
organizzato dall'Ebu, è uno degli uomini del momento, colui che ha messo in
moto la campagna elettorale online di Barack Obama, è
il deus ex machina di un movimento nato sfruttando email, blog, social
community, sms e cellulari, tutto l'armamentario dei nuovi media di cui lui era
responsabile. Il primo "new media director" di una campagna
elettorale americana, conclusasi con un successo. "Sì, era la prima volta
che esisteva un simile incarico", dice sorridendo. Rospars, a capo della
sua Blue State Digital, aveva già firmato delle iniziative di successo, ma a
credere nelle sue doti è stato soprattutto David Plouffe, il responsabile della
campagna elettorale di Obama, che prima di altri ha
capito che il web poteva essere utilizzato in maniera nuova. "Mi ha
chiamato lui - ricorda Rospars - mi ha detto che se la gente voleva delle voci
nuove, se voleva che qualcosa accadesse, la sfida era quella di farla accadere
davvero, costruire un movimento nuovo in un insieme di istituzioni
arcaiche". E Barack Obama? "L'ho incontrato
subito dopo e abbiamo parlato dell'America, di quello che voleva fare. Gli ho
chiesto cosa sarebbe accaduto se avessimo perso, e lui mi ha risposto che
l'importante era la campagna elettorale, che l'obiettivo era quello di
migliorare il processo politico nel Paese, di coinvolgere la gente. Mi spiegò
che voleva costruire una relazione con i suoi sostenitori e che anche tra di
loro nascesse una relazione. Mi disse che se ci fossimo riusciti tutto questo
non si sarebbe fermato alle elezioni, che quello che saremmo stati in grado di
costruire avrebbe resistito anche dopo. E aveva ragione".
OAS_RICH('Middle'); Qual è stato il vostro punto di partenza? "Il 1989,
quando la gente, specialmente nell'est europeo, si è messa in movimento per
cambiare. La gente non andava solo a comprare i giornali illegali ma ne faceva
fotocopie per farli leggere ad altri, non si limitava a leggere i volantini, li
riproduceva per convincere i vicini di casa. Si metteva insieme per essere
parte di un processo politico che fino a quel momento li aveva esclusi,
costruiva una società civile nuova, creava la partecipazione democratica. Oggi
tutto questo continua, invece delle pubblicazioni illegali ci sono i giornali
sul web, i volantini sostituiti dai cd". Molti pensano che gli strumenti
del web siano freddi, impersonali, che Internet isoli la gente invece di
unirla. "Potrebbe essere se si pensasse agli strumenti dei nuovi media
come a una sostituzione dei rapporti umani diretti. Ma non è stato così. Il web
ci ha dato modo di avere più gente nelle strade, più sostenitori che hanno
fisicamente bussato a un numero molto maggiore di porte e parlato davvero a un
numero molto più grande di persone. Il nostro obiettivo non era quello di
trasmettere un messaggio dal vertice alla base in modo nuovo, ma quello di
creare, come voleva Obama, una relazione con i
supporter e dei supporter tra loro, mettere le persone al lavoro, non con gli
ordini, ma con gli stimoli, dando ad ognuno tutto il materiale necessario
online affinché ognuno si sentisse libero di fare quello che sapeva fare
meglio. Nei nostri video, nei nostri messaggi, Barack Obama appariva poco, il nostro messaggio non era "votate Obama" ma "fate sentire la vostra voce"". Il web
sta cambiando la politica in America? "Non si può dire ancora, diciamo che
si è messo in moto un cambiamento. Si è chiarito soprattutto un equivoco
riguardo ai nuovi media. Non sono il messaggio, sono lo strumento per
agevolare l'accesso alla politica. E se ne dovranno rendere conto anche i
repubblicani, magari perdendo un altro paio di elezioni. Loro hanno ragionato
alla vecchia maniera, con una campagna elettorale dal basso verso l'alto. Noi
abbiamo rovesciato questo meccanismo, senza la collaborazione della gente non
avremmo potuto vincere". Quello della vostra campagna elettorale è un
modello che può essere esportato altrove? "Non penso che possa essere
esportato così com'è. Ma penso che sarà difficile non tenere conto di quello
che è successo in questa campagna elettorale. Anche perché chi ha partecipato a
questa campagna sta continuando a partecipare alla vita della propria comunità
e non è disposto a tornare indietro". (19 maggio 2009
( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Pagina 38 - Esteri Joe Rospars artefice della campagna
elettorale telematica "Volevamo creare un nuovo movimento. E ci siamo
riusciti" "Sms, blog, social e network così ho fatto vincere Obama" "Il presidente ha capito che grazie alla
Rete poteva coinvolgere gli elettori. E poteva costruire una relazione con
loro" "I nuovi media non sono il messaggio, sono lo strumento per
agevolare l´accesso alla politica. Ormai è un dato di fatto" ERNESTO
ASSANTE Joe Rospars ha trentacinque anni e l´aria di un ragazzo tutto casa e
computer, uno di quelli che non noti nemmeno se è tuo compagno di classe.
Eppure questo signore con gli occhiali, tranquillo e calmo, che affabilmente
saluta tutti nella grande sala della Verkehrshaus di Lucerna, dove ha appena
finito di parlare ai partecipanti all´Eurovision Tv Summit organizzato
dall´Ebu, è uno degli uomini del momento, colui che ha messo in moto la
campagna elettorale online di Barack Obama, è il deus
ex machina di un movimento nato sfruttando email, blog, social community, sms e
cellulari, tutto l´armamentario dei nuovi media di cui lui era responsabile. Il
primo "new media director" di una campagna elettorale americana,
conclusasi con un successo. «Sì, era la prima volta che esisteva un simile
incarico», dice sorridendo. Rospars, a capo della sua Blue State Digital, aveva
già firmato delle iniziative di successo, ma a credere nelle sue doti è stato
soprattutto David Plouffe, il responsabile della campagna elettorale di Obama, che prima di altri ha capito che il web poteva essere
utilizzato in maniera nuova. «Mi ha chiamato lui - ricorda Rospars - mi ha
detto che se la gente voleva delle voci nuove, se voleva che qualcosa
accadesse, la sfida era quella di farla accadere davvero, costruire un
movimento nuovo in un insieme di istituzioni arcaiche». E Barack Obama? «L´ho incontrato subito dopo e abbiamo parlato
dell´America, di quello che voleva fare. Gli ho chiesto cosa sarebbe accaduto
se avessimo perso, e lui mi ha risposto che l´importante era la campagna
elettorale, che l´obiettivo era quello di migliorare il processo politico nel
Paese, di coinvolgere la gente. Mi spiegò che voleva costruire una relazione
con i suoi sostenitori e che anche tra di loro nascesse una relazione. Mi disse
che se ci fossimo riusciti tutto questo non si sarebbe fermato alle elezioni,
che quello che saremmo stati in grado di costruire avrebbe resistito anche
dopo. E aveva ragione». Qual è stato il vostro punto di partenza? «Il 1989,
quando la gente, specialmente nell´est europeo, si è messa in movimento per
cambiare. La gente non andava solo a comprare i giornali illegali ma ne faceva
fotocopie per farli leggere ad altri, non si limitava a leggere i volantini, li
riproduceva per convincere i vicini di casa. Si metteva insieme per essere
parte di un processo politico che fino a quel momento li aveva esclusi,
costruiva una società civile nuova, creava la partecipazione democratica. Oggi
tutto questo continua, invece delle pubblicazioni illegali ci sono i giornali
sul web, i volantini sostituiti dai cd». Molti pensano che gli strumenti del
web siano freddi, impersonali, che Internet isoli la gente invece di unirla.
«Potrebbe essere se si pensasse agli strumenti dei nuovi media come a una
sostituzione dei rapporti umani diretti. Ma non è stato così. Il web ci ha dato
modo di avere più gente nelle strade, più sostenitori che hanno fisicamente
bussato a un numero molto maggiore di porte e parlato davvero a un numero molto
più grande di persone. Il nostro obiettivo non era quello di trasmettere un
messaggio dal vertice alla base in modo nuovo, ma quello di creare, come voleva
Obama, una relazione con i supporter e dei supporter
tra loro, mettere le persone al lavoro, non con gli ordini, ma con gli stimoli,
dando ad ognuno tutto il materiale necessario online affinché ognuno si
sentisse libero di fare quello che sapeva fare meglio. Nei nostri video, nei nostri messaggi, Barack Obama appariva
poco, il nostro messaggio non era "votate Obama" ma
"fate sentire la vostra voce"». Il web sta cambiando la politica in
America? «Non si può dire ancora, diciamo che si è messo in moto un
cambiamento. Si è chiarito soprattutto un equivoco riguardo ai nuovi media.
Non sono il messaggio, sono lo strumento per agevolare l´accesso alla politica.
E se ne dovranno rendere conto anche i repubblicani, magari perdendo un altro
paio di elezioni. Loro hanno ragionato alla vecchia maniera, con una campagna
elettorale dal basso verso l´alto. Noi abbiamo rovesciato questo meccanismo,
senza la collaborazione della gente non avremmo potuto vincere». Quello della
vostra campagna elettorale è un modello che può essere esportato altrove? «Non
penso che possa essere esportato così com´è. Ma penso che sarà difficile non
tenere conto di quello che è successo in questa campagna elettorale. Anche
perché chi ha partecipato a questa campagna sta continuando a partecipare alla
vita della propria comunità e non è disposto a tornare indietro».
( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Il governo Usa ha troppi debiti Basta sprecare soldi per
le agenzie Fannie e Freddie Nella fusione con la Porsche Volkswagen ha l'ultima
parola Con una partecipazione del 51% non si ottiene molto in questi giorni in
Germania, come Porsche sta scoprendo. Il produttore di vetture di lusso si è
eccessivamente indebitato per creare la sua proprietà di maggioranza di
Volkswagen, il suo concorrente tedesco più importante. Le due società - ognuna
diretta da uno dei rami antagonisti della famiglia che controlla Porsche -
all'inizio di questo mese hanno deciso una fusione. Ma Volkswagen ha il
sopravvento nelle trattative. Per mettere in chiaro la questione, ha per
l'appunto deciso di abbandonare le trattative. Ferdinand Piëch, il presidente
di Volkswagen che, sulla questione, si è dissociato dai suoi cugini, vuole che
Porsche dica la verità sullo stato reale della sua situazione finanziaria -
soprattutto sui costi delle opzioni per l'acquisto di circa il 20% in più di VW
che sono ancora sul suo bilancio. Porsche, dall'altro lato non vuole diventare
soltanto un altro dei dieci marchi sotto l'ombrello di VW. Ma il suo management
sta confluendo in una potente alleanza: il management di VW, i suoi sindacati e
uno degli Stati federali della Germania. Lo Stato federale della Bassa Sassonia
ha una partecipazione del 20% in Volkswagen che gli consente di bloccare
qualsiasi decisione strategica. Fin da quando Porsche è stata presa dalla
frenesia degli acquisti, Piëch ha sfruttato abilmente questa pillola
avvelenata, ottenendo supporto dai potenti sindacati. Questi alleati gli hanno
conferito l'autorità di dettare le sue condizioni per una fusione: la località
delle sedi centrali (Wolfsburg, dove Volkswagen ha la sede), il direttore (il
chief executive di VW) e il valore di Porsche (non troppo elevato). Tutte le
esigenze di Piëch sono una chiara fotografia della situazione finanziaria di
Porsche. Ciò determinerà in gran parte i meccanismi della fusione. Piëch
preferirebbe una forma semplice - Volkswagen acquista la divisione auto di
Porsche Se, la holding quotata in Borsa. La principale ossessione del
management di Porsche sembra essere quella di evitare di perdere la faccia. A
meno che il rifiuto di dire la verità sulle opzioni significhi che ha qualcosa
da nascondere. \ L'amministrazione Obama vuole mantenere fuori bilancio alcune spese per il salvataggio.
Si tratta di oltre 500 miliardi di dollari per il Fondo Monetario
Internazionale, di parte del Tarp, il programma di aiuti per gli asset tossici
e dei salvataggi di Fannie Mae e Freddie Mac. Questo provvedimento
potrebbe migliorare l'aspetto del disavanzo di bilancio ma non cambierà la
necessità d'indebitamento dell'America e questo è il test vero e proprio.
L'amministrazione Bush ha finanziato gran parte della guerra in Iraq attraverso
stanziamenti di bilancio supplementari. Il presidente Barack Obama
sta continuando questa prassi, aggiungendo al suo bilancio supplementare 108
miliardi di dollari di finanziamenti statunitensi per il Fmi. Una consistente
parte dei 700 miliardi del Tarp e l'intera quota di capitali per Fannie e
Freddie (85 miliardi finora e fino a 400 miliardi impegnati) sono stati esclusi
dal bilancio. Anche gli investimenti della Federal Reserve negli asset tossici
non sono stati inclusi nei dati del disavanzo, sebbene ci sia un dato
complessivo "tampone" di 250 miliardi nel bilancio 2009 per i
salvataggi del settore finanziario. Da un punto di vista economico, la
contabilità del Tarp dell'amministrazione è tollerabile ma la gestione degli
investimenti per Fannie e Freddie non lo è: le due società stanno realizzando
enormi perdite e non possono sopravvivere da sole. In ogni caso, tutti questi
investimenti richiedono liquidità che, a sua volta, deve essere raccolta sui
mercati del debito pubblico, che stanno già mostrando alcuni segnali
d'indigestione. Con i disavanzi di bilancio dei prossimi due anni, che
raggiungono assieme più di 3 trilioni di dollari, il bruciore di stomaco dei
mercati può solo peggiorare. Attualmente, al fabbisogno di prestiti degli Stati
Uniti è dedicata meno attenzione che ai suoi disavanzi di bilancio. Ma con le
sue esigenze di finanziamento che probabilmente influenzeranno molto
negativamente il mercato dei buoni del Tesoro, questa enfasi deve cambiare
direzione. \
( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Pagina 9 - Economia Fiat stringe su Opel. Merkel: fase
decisiva Marchionne, valzer di vertici in Germania: non chiuderemo stabilimenti
tedeschi Con Ig Metall in discussione la partecipazione di sindacati e
concessionari Ancora un balzo in Borsa: il titolo del Lingotto ha guadagnato
oltre il 4 per cento SALVATORE TROPEA TORINO - Sergio Marchionne prova a
convincere Berlino e Berlino prova a fare altrettanto con Washington e Detroit.
Quando mancano due giorni alla scadenza del termine per la presentazione delle
offerte su Opel, l´ad del Lingotto è impegnato in un tour de force in Germania
per rassicurare i tedeschi sulla sorte degli stabilimenti del loro paese,
mentre il ministro dell´economia Karl-Theodor zu Guttnberg è pronto a volare
America per sottoporre il piano alla Gm e alla task force di Obama o, più
realisticamente, per sollecitare un extra time rispetto alla scadenza del 31
maggio allo scopo di evitare che la Opel finisca come la casa madre sul terreno
del fallimento senza avere però il paracadute del Chapter
( da "Corriere della Sera" del
19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Corriere della Sera sezione: Prima Pagina
data: 19/05/2009 - pag: 1 Incontro alla Casa Bianca Obama a Netanyahu «Uno
Stato palestinese» Incontro alla Casa Bianca tra Obama e Netanyahu. Il
presidente Usa chiede «uno Stato palestinese». Il premier israeliano ignora la
proposta. Monito all'Iran sul nucleare. A P
( da "Corriere della Sera" del
19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 19/05/2009
- pag: 7 Meno consumi Obama accelera
sulle auto verdi NEW YORK - (m.ga.) Un'altra mossa audace di Obama che, dopo aver deciso di salvare, almeno in parte, l'industria
automobilistica Usa sprofondata in una grave crisi, ora le impone di perseguire
obiettivi di risparmio energetico e riduzione dell'inquinamento più ambiziosi
di quelli votati dal Congresso. Oggi il presidente americano renderà
note nuove direttive in materia di riduzione delle emissioni e dei consumi di
energia, che di fatto allineano tutto il Paese agli standard a suo tempo
fissati dalla California, lo Stato che si era autonomamente dato gli obiettivi
più ambiziosi. Il piano energetico approvato lo scorso anno puntava a passare
dalla media di consumo attuale di
( da "Corriere della Sera" del
19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Corriere della Sera sezione: Esteri data: 19/05/2009 -
pag: 16 Diplomazia La Casa Bianca avverte l'Iran: non negozieremo in eterno. Il
leader ebraico: Teheran pericolo anche per gli arabi Obama a Netanyahu: «Uno Stato palestinese» Il premier israeliano ignora
la proposta e promette una «ripresa dei negoziati» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON Hanno parlato per più di due ore, ben oltre il tempo previsto. E
alla fine hanno detto entrambi le cose che ci si aspettava dicessero,
divergenze comprese. Eppure la prima visita americana di Benjamin
Netanyahu apre comunque un nuovo capitolo nei rapporti di Israele con
Washington, promettente ma dagli esiti oggi impossibili da prevedere. Chiaro è
che i due alleati abbiano voglia di non deludersi a vicenda e siano disposti a
fare degli sforzi per avvicinare due posizioni che il doppio cambio della
guardia a Washington e Gerusalemme hanno fatto apparire più distanti e
problematiche. A Barack Obama che lo esortava, con
parole garbate ma nette, a tornare a «negoziati seri» con i palestinesi,
Netanyahu ha risposto di essere pronto a farlo «immediatamente », ma che ogni
accordo non potrà prescindere dal «riconoscimento da parte palestinese del
diritto di Israele a esistere in quanto Stato ebraico». Al presidente, che ha ricordato
come «la soluzione due Stati-due popoli sia nell'interesse di tutti», il
premier israeliano ha ribattuto ignorando la formula e limitandosi a parlare di
autonomia amministrativa: «Non vogliamo governare i palestinesi, vogliamo lo
facciano da soli». Obama ha concesso parole
rassicuranti sull'Iran, temperando l'ottimismo per una risposta positiva da
parte di Teheran alle sue aperture diplomatiche, con un chiaro avvertimento
agli ayatollah: «Non potremo negoziare in eterno», ha detto, indicando la fine dell'anno
come data ultima per capire la disponibilità iraniana a porre veramente fine al
programma nucleare. Dopo l'Amministrazione si riserva un «ventaglio di
possibilità, incluse più forti sanzioni internazionali». Ma il capo della Casa
Bianca è stato chiaro, quasi brutale, nel ricordare a Netanyahu cosa si aspetti
da lui: «Abbiamo visto uno stallo sul fronte della trattativa con i
palestinesi. Ho suggerito al primo ministro che ha l'opportunità storica, per
fare un serio passo in avanti durante il suo mandato. Non c'è alcuna ragione
per cui non dovremmo coglierla». Questo comporta «scelte difficili» da ambedue
le parti. I palestinesi devono cessare una volta per tutte gli attacchi, gli
israeliani devono «fermare i nuovi insediamenti nei territori». Netanyahu non
si è sbilanciato, limitandosi a dire che Gerusalemme è pronta «a fare la sua
parte» e spera che «i palestinesi facciano la loro». La sua formulazione del
riconoscimento di Israele in quanto Stato ebraico da parte palestinese, è
rimasta ambigua, non chiarendo se sia una pre-condizione per tornare a trattare
o meno. Però, ha aggiunto, se il riconoscimento avvenisse «si può immaginare un
accordo, dove israeliani e palestinesi possano vivere fianco a fianco». Il
premier ha taciuto sugli insediamenti. Ma ha concordato con Obama
sull'urgenza, anche se per lui è tutta data dal dossier iraniano: «Non c'è mai
stato un tempo in cui arabi e israeliani abbiano avvertito un pericolo comune
come in questo momento». E' proprio sul coinvolgimento del mondo musulmano
moderato Giordania, Egitto e Arabia Saudita in testa che la nuova
Amministrazione e il governo d'Israele sembrano trovare il più vasto terreno
d'azione comune. La differenza è che Obama vede i
progressi sul fronte israelo-palestinese come determinanti per convincere i
Paesi arabi a unirsi alle pressioni della comunità internazionale sull'Iran. Il
«Grande Gioco» in ogni caso sembra ripartire. La prossima settimana tocca al
leader egiziano Mubarak, su cui Obama conta molto per
convincere tutti gli Stati arabi a riconoscere Israele, giusta la proposta
saudita del 2002. Poi sarà la volta del presidente al Cairo, per un discorso al
mondo islamico che potrebbe rivelarsi decisivo. Paolo Valentino Ospite Barack Obama ascolta il primo ministro Benjamin Netanyahu che
risponde ai giornalisti (Ap/Charles Dharapak)
( da "Corriere della Sera" del
19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Corriere della Sera sezione: Esteri data: 19/05/2009 -
pag: 16 Dietro le quinte Ben Rhodes e il messaggio all'Islam E il ragazzo
prodigio scrive il discorso-chiave DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON
Sull'Air Force One, di ritorno dall'Europa, Barack Obama
lo ha indicato a tutto lo staff, facendo partire un applauso. Da Praga a
Istanbul, Ben Rhodes non aveva sbagliato nulla. Non che avesse bisogno di
conferme, da parte del presidente. A 31 anni, laureato in fiction writing,
scrittura narrativa alla New York University, è il solo speech-writer di
politica estera di Obama, che di lui si fida
ciecamente. Ben Rhodes non è celebre come Jon Favreau, il geniale ventisettenne
beniamino del gossip mediatico per via della fama da sciupafemmine, che è
dietro i discorsi d'indirizzo generale del presidente e che Time magazine ha
consacrato tra le 100 persone più influenti degli Stati Uniti. Ma dal punto di
vista del ruolo e dell'immagine dell'America nel mondo Rhodes occupa un posto
cruciale, tanto più che nella squadra di Obama ha
mantenuto anche il ruolo di consigliere di politica internazionale, già
occupato in campagna elettorale. Partecipa infatti a tutte le riunioni sulla
sicurezza nazionale, durante le quali il presidente spesso chiede la sua
opinione. Fra pochi giorni, comincerà a lavorare al discorso che Barack Obama considera fondamentale per la sua presidenza, quello
dedicato al mondo islamico, in programma al Cairo il 4 giugno prossimo. Come
rivela Rhodes al sito web Politico, il primo atto del processo sarà una
riunione a quattro alla Casa Bianca, con il presidente, il suo primo
consigliere David Axelrod, il numero due della Sicurezza nazionale Dennis
McDonough e lui stesso. Sarà lì che Obama farà il suo
abituale download, parlando a ruota libera per mezz'ora circa e spiegando cosa
vuole esattamente dire nel discorso. Rhodes prenderà appunti e farà una prima
stesura, lavorando in un ufficio segreto accanto alla Casa Bianca. Obama correggerà le bozze a mano tre o anche quattro volte,
prima di dirsi soddisfatto: «Le sue osservazioni sono in genere: no, quello che
voglio dire qui è questo e bisogna renderlo meglio». Ma se le passate
esperienze servono da guida, il lavoro di rifinitura continuerà fino alla fine,
magari nell'auto del servizio segreto che porta il corteo presidenziale fino al
luogo dell'evento: «E' un perfezionista. Fa modifiche anche negli ultimi
minuti», dice Rhodes. «Qui viviamo tutti con la realtà di fatto, che il
presidente sia il miglior speech- writer del gruppo», spiega David Axelrod.
Assunto nel 2007, per entrare in sintonia con Obama
Ben Rhodes lo ha studiato e continua a studiarlo in ogni dettaglio. Ne rivede
in video tutte le conferenze stampa, le uscite pubbliche dove parla a braccio,
sta attento al suo tono di voce e soprattutto consulta continuamente tutta la
squadra della sicurezza nazionale, per essere al passo con ogni sfumatura delle
posizioni in politica estera. «Capisce alla perfezione il presidente spiega
Axelrod e fra di loro c'è una grande intesa». P.Val. Penne Squadra Gli «speech-writer»
che collaborano alla stesura dei discorsi del presidente Obama: l'ultimo a destra è il leader, Jon Favreau (detto Fav, 28 anni,
laurea alla Holy Cross, università dei gesuiti). Accanto a lui Ben Rhodes, 31,
specializzato in politica estera (lavora al discorso ai musulmani che Obama farà al Cairo). Sarah Hurwitz è stata la speech-writer di
Hillary Clinton. Adam Frankel, 24 anni (primo a sinistra) è il più
giovane.
( da "Corriere della Sera" del
19-05-2009)
Argomenti:
Obama
Corriere della Sera sezione: Esteri data: 19/05/2009 -
pag: 17 Il caso L' ex femminista Usa della sentenza storica «Roe vs Wade»
Norma, l'eroina abortista che ora fischia il presidente Nel 1973 la causa per
interrompere la gravidanza. Poi si è pentita DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK
All'inizio del 1970 Norma McCorvey era troppo povera per ottenere un aborto
illegale in Texas o per andare in California a procurarsene uno legale. Fu
allora che la 21enne squattrinata con in tasca solo la licenza media decise di
querelare il Texas, determinando, tre anni dopo, la storica sentenza della
Corte Suprema Roe vs. Wade che dal '
( da "Repubblica.it" del 19-05-2009)
Argomenti:
Obama
GERUSALEMME - Esponenti di Hamas molto scettici sulle
concrete possibilità di pace in Medio Oriente aperte dalla visita del presidente degli Stati Uniti Barak Obama,
all'indomani dell'incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. "Le
affermazioni e le manifestazioni di speranza del presidente statunitense Barack
Obama hanno l'unico obiettivo di ingannare la comunità internazionale
in merito a qualsiasi questione legata ai comportamenti e all'esistenza
dell'entità sionista razzista e radicale", scrive in una nota
pubblicata dal quotidiano israeliano The Jerusalem Post il portavoce di Hamas a
Gaza Fawzi Barhoum. Secondo il movimento di resistenza islamico, Obama vuole "fuorviare l'opinione pubblica mondiale in
merito al ruolo americano a sostegno dell'esistenza di questa entità sionista
fanatica". Per Barhum le affermazioni del presidente statunitense
"non danno speranza per un futuro migliore per la nostra popolazione e per
il sostegno alla sua giusta causa, mentre crescono i rapporti tra sionisti e
americani alle spese dei principali diritti dei palestinesi". "Uno
stato sionista razzista ed estremista - conclude il comunicato - rappresenta un
vero pericolo per la popolazione palestinese". Appare invece più ottimista
Ahmed Yussef, consigliere diplomatico del leader locale di Hamas Ismail
Haniyeh. "Obama è stato molto chiaro sulla
formula dei due Stati. - ha rilevato Yussef in un colloquio con l'agenzia Ansa
- Obama è un uomo politico saggio ed onesto, assistito
da una squadra di consiglieri che ben comprendono le radici del conflitto
mediorientale ed in particolare che la causa palestinese è "la madre"
di tutte le cause in questa Regione". OAS_RICH('Middle'); Yussef ha
giudicato positivamente anche la prossima missione di Obama
al Cairo che rappresenta "un ulteriore tentativo degli Stati Uniti di
riconciliarsi con il mondo islamico, allo scopo di ridurre le tensioni
suscitate dai conflitti in Iraq ed Afghanistan". (19 maggio 2009
( da "Repubblica.it" del 19-05-2009)
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Obama
WASHINGTON - "E' arrivata l'ora di mettere fine alla
nostra dipendenza dal petrolio", ma per raggiungere l'obiettivo "ci
vorranno tempo, voglia e sforzi". Lo dice a Washington
il presidente Barack Obama nella conferenza stampa in cui ha annunciato nuove misure per
produrre e commercializzare in futuro negli Stati Uniti solo autovetture a
maggiore risparmio energetico. L'amministrazione propone di fissare uno
standard nazionale sui consumi e sulle emissioni delle auto, superando così le
divergenze eistenti a livello statale, soprattutto con la California, lo
Stato che finora ha imposto i limiti più rigidi. Un piano che permetterà di
ridurre di 900 milioni di tonnellate le emissioni di gas serra. "Qui al
mio fianco ci sono oggi i produttori di auto, i sindacati e gli ambientalisti -
afferma il capo della Casa Bianca - gente che in passato ha spesso litigato,
che si è portata in tribunale a vicenda ma che oggi è qui unita per il bene
comune. Questo fatto da solo è straordinario". I nuovi standard riguarderanno
le auto prodotte a partire dal 2012 e dovranno entrare in vigore in tutto il
Paese entro il 2016. I consumi previsti per quell'anno dalla Casa Bianca sono
di
( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
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Obama
DISCORSO SULLA SICUREZZA GLOBALE ALL'ISTITUTO DI STUDI
STRATEGICI, POI A COLAZIONE DALLA REGINA Napolitano: più Europa a Kabul
[FIRMA]PAOLO PASSARINI LONDRA In un lungo e articolato discorso dal taglio
dichiaratamente obamiano, pronunciato ieri nella sede
dell'Istituto Internazionale di Studi Strategici, Giorgio Napolitano si è detto
convinto che occorra un maggiore impegno europeo, e quindi anche italiano, in
Afghanistan. «Sono fermamente convinto - ha sostenuto il presidente della
Repubblica - che una partecipazione europea più attiva nelle operazioni di
mantenimento e ristabilimento della pace in Afghanistan, come
energicamente suggerito dall'amministrazione americana, dovrebbe essere
seriamente presa in considerazione». Si è trattato di una presa di posizione
insolitamente netta, poiché riguarda una materia delicata come la politica
estera, costituzionalmente preclusa al presidente; e rafforzata dall'uso di
quei due avverbi («energicamente» e «seriamente»), il primo per sottolineare
quanto sia forte la pressione americana al riguardo e il secondo per
significare il carattere quasi imperativo della sua raccomandazione. Conoscendo
lo scrupoloso stile di lavoro di Napolitano, si tratta certamente di una
posizione concordata con il governo e quindi destinata ad avere un seguito
operativo. Del resto, anche il ministro degli Esteri Franco Frattini si era più
volte pronunciato in questo senso. Napolitano ha parlato della situazione in
Afghanistan come di una delle «tre cruciali aree di crisi» da cui provengono
attualmente le maggiori minacce per la sicurezza mondiale, le altre due essendo
il Medio Oriente («allargato», ha aggiunto per includere l'Iran) e il Corno
d'Africa (focolaio, tra l'altro, della pirateria navale). Dopo aver definito
poco «incoraggiante» l'andamento delle operazioni in Afghanistan, Napolitano ha
motivato l'invito a un maggior impegno europeo facendo proprio «il monito del
presidente Obama, secondo il quale l'Europa potrebbe
trovarsi sotto una minaccia di terrorismo più grave rispetto a quella che
incombe sugli stessi Stati Uniti». Un maggior impegno europeo in quell'area è
dunque «innanzitutto nel nostro interesse». Più in generale, secondo il
presidente italiano, «il nuovo corso politico» avviatosi negli Stati Uniti con
l'elezione di Barack Obama è stato senz'altro uno dei
tre più «importanti» eventi mondiali dell'ultimo anno. Ed l'unico positivo,
poiché gli altri due sono stati il rischio di un riaprirsi della Guerra Fredda
(a causa soprattutto della decisione di George Bush di creare nuove basi per la
difesa missilistica in Polonia e Repubblica ceca, cui sono seguite «avventate
minacce» da parte della Federazione russa) e l'esplodere della crisi
economico-finanziaria mondiale. Ma fortunatamente l'elezione di Obama si è subito materializzata in «risolute e innovative
iniziative in politica estera» che «sembrano aprire nuove prospettive».
Quest'ultima visita del presidente nel Regno Unito non aveva alcun carattere
ufficiale ed è stato quindi un segno di notevole considerazione (e di
«cordialità») l'invito a colazione a Buckingham Palace rivolto dalla regina
Elisabetta II a lui e alla signora Clio. Nel corso del pranzo, rallegrato dalle
evoluzioni dei «corgys» reali, i cagnolini prediletti dalla Regina, Elisabetta
ha espresso, oltre che profonda solidarietà per l'Abruzzo, un sincero
apprezzamento per la decisione di spostare il prossimo G8 da Roma a L'Aquila,
decisione che anche il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha detto ieri
di condividere, definendola «importante».
( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
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Obama
NOVARA.CAFFE' CON IL LEADER DEL PD Franceschini:
"Tutti i giorni mettete i politici ai raggi x" Ieri mattina in Piazza
delle Erbe, prima di partire per Vercelli [FIRMA]GIANFRANCO QUAGLIA NOVARA Un
caffè e un cornetto veloci serviti in piazza delle Erbe anche ai passanti. Poi,
nel dehor del bar, Dario Franceschini parla ai novaresi del «nuovo modo di fare
politica» di crisi economica e della «serietà come parola d'ordine». E'
cominciata così, poco dopo le 8,30, la giornata piemontese del leader del Pd.
Era arrivato in città nella tarda serata di lunedì, dopo la partecipazione alla
tramissione televisiva «L'infedele» di Gad Lerner. Dagli studi Rai di corso
Sempione di Milano era arrivato all'Albergo Italia di Novara, dove ieri mattina
ad attenderlo c'erano il presidente uscente della Provincia, Sergio Vedovato e
la coordinatrice provinciale Pd Paola Turchelli. E con loro il candidato alle
europee Gianluca Susta, il segretario regionale del Pd Gianfranco Morgando,
l'on. Elisabetta Rampi, l'assessore regionale al turismo Giuliana Manica, il
consigliere regionale Paolo Cattaneo, Sara Paladini segretario cittadino del
Pd. «Non possiamo più accettare un sistema in cui personalità importanti
possono dire un giorno una cosa e il giorno dopo il contrario - dice
Franceschini - senza che nessuno li sbugiardi. I politici devono essere messi
tutti i giorni ai raggi x. Questo è il criterio che abbiamo seguito nella
scelta dei nostri candidati per europee e amministrative. C'è gente, invece, che
vuole imbrogliare gli elettori candidandosi al Parlamento europeo già sapendo
di non aver diritto di essere eletto». Poi il tema dei valori, che rappresenta
la sfida di questa tornata elettorale. «Obama non ha vinto
contrapponendosi alla politica di Bush ma mettendo in campo una gerarchia di
valori completamente opposta. Anche in Italia dobbiamo portare la sfida sui
valori, perché è lì che siamo più forti. E sarà una sfida lunga nel tempo ma
piena di fascino, perché un conto è fare un partito nuovo in un tempo immobile,
come un passato, un conto è farlo in un periodo di grandi mutazioni, come
l'attuale». Sulla crisi. «Le persone chiedono di non essere dimenticate, mentre
il governo gira la testa dall'altra parte pensando che, poichè la crisi è
globale, le risposte arriveranno dall'esterno e che ognuno se la deve cavare da
solo».
( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
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Obama
GABRIELE BECCARIA Perché Barack Obama dovrebbe aver
perso il sonno dietro al suo libro? «Un amico ha dato una copia alla moglie
Michelle e lei ha detto che il Presidente l'avrebbe letto di sicuro, perché ama
i saggi scientifici. E chi meglio può convincerlo, se non un'entusiastica First
Lady?». Provate a farvi ricevere dal simpatico professor Richard Muller e
nell'ufficio all'Università di Berkeley, California, potrete giocare al
Presidente degli Stati Uniti. Avrete di fronte i problemi planetari del momento
e le loro caratteristiche, soprattutto le informazioni-base che non avete mai
osato chiedere su Al Qaeda, armi nucleari e biologiche, petrolio, fotovoltaico
ed economia dell'idrogeno, più riscaldamento globale e corsa alla Luna e a
Marte (e altro ancora). Un magnifico Risiko del XXI secolo traboccante di dati
e suggerimenti, nato come ciclo di lezioni per capire «come funziona il mondo»
e che si è trasformato in un libro, appena tradotto. Si chiama «Fisica per i
presidenti del futuro» e anche chi non ha mai sognato la Casa Bianca, nemmeno
per scherzo, si troverà con il cervello sottosopra. Professore, lei è di casa a
Washington: è consigliere per i dipartimenti della Difesa e dell'Energia oltre
che della Nasa e la sua società GreenGov offre consulenze a molti Paesi. Come
si comporta Obama? «Spero di vederlo presto con il mio
libro sottobraccio. Intanto l'inizio è incoraggiante, ma lo scopo del saggio
non è imporre consigli: prima di tutto è informare a fondo. Così chi ha grandi
responsabilità può prendere decisioni migliori». E' una pretesa ambiziosa: che
cosa significa in concreto? «Un esempio: non importa se si è a favore o contro
il nucleare. Il punto è che si deve capire che cos'è. Poi le opinioni possono
cambiare, ma solo quando si ha il quadro complessivo». Lei dedica un capitolo
alle «false soluzioni» e un altro alle «soluzioni a portata di mano». Tra le
prime mette l'idrogeno, le auto elettriche e la fusione nucleare: così
ridimensiona alcune tra le speranze più grandi. Le piace la parte del
provocatore? «Spiego che l'errore di molti è sostenere che un tipo di energia -
quella che preferiscono - debba essere usata a discapito delle altre. Chi è a
favore del solare nega il ruolo del vento o del nucleare e chi è nuclearista -
e si tratta di un'energia fondamentalmente pulita, perché i pericoli delle
radiazioni vengono esagerati - sbeffeggiano il solare, cadendo nello stesso
equivoco». Nell'elenco «cattivo» mette il Protocollo di Kyoto e anche Bush la
pensava così: non è in imbarazzo? «Ci sono ottimi venditori, che strappano
l'attenzione dell'opinione pubblica e finiscono per credere alla loro stessa
pubblicità. L'errore più grave è proprio l'idea che il mondo avanzato possa
ridurre le emissioni di CO2. Solo allora - prosegue il ragionamento - gli
"altri" seguiranno l'esempio e il riscaldamento globale si arresterà.
Ma non è così: sarebbe vero se tagliassimo le emissioni con tecnologie
economiche. Le proposte attuali, invece, sono troppo costose e per di più molti
fingono di ignorare le proiezioni dell'Ipcc, l'International panel on climate
change dell'Onu: la causa dell'aumento dei gas serra - rivelano - sono Cina e
India, non Usa ed Europa. Conclusione: qualunque soluzione costosa non colpirà
mai al cuore il problema». A proposito di soluzioni possibili, lei si dilunga
su quella che sembra un'ovvietà: il risparmio energetico. «Invece è il metodo
più importante, più pratico e più economico». Poi incombe il terrorismo: lei
sostiene che non ci sarà un altro 11 settembre, ma che bisogna prepararsi a
scenari meno spettacolari ma più insidiosi. «Sono convinto che il pericolo
provenga da tecnologie semplici e a basso prezzo, come esplosivi e benzina, e
non da armi nucleari "sporche", come si teme a Washington. Il futuro
è degli attacchi low tech». Perché considera la fisica così fondamentale per capire
il mondo? E le altre discipline? «Tutte le discipline scientifiche sono
importanti, ma la fisica è quella che conosco meglio e che, comunque, è legata
a 5 tra le questioni che sono percepite come le più urgenti: il terrorismo -
come ho detto - e poi energia, nucleare, spazio e mutamenti climatici. La
fisica la fa sempre da padrona». Non sopravvaluta i politici? Chi ha detto che
devono sapere tutto? Sono circondati da consiglieri proprio per questo, a
cominciare da Obama. «Pensiamo che siano molte le cose
che un Presidente debba sapere, per esempio la differenza tra gli sciiti e i
sunniti: non può certo chiederlo al segretario di Stato, perché diventerebbe
immediatamente ridicolo».
( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Intervista Richard Muller «I leader devono studiare Ora o
mai più» GABRIELE BECCARIA Allo stesso modo deve conoscere la fisica delle
bombe atomiche e dei reattori nucleari e sapere che cos'è il carbone pulito. E
anche il riscaldamento globale: alcuni dicono che sia il problema più grave e
altri ribattono che è un non-senso. Come può un Presidente decidere,
limitandosi ad ascoltare i consiglieri che lui stesso ha scelto? Ecco perché
deve conoscere i fondamenti. Vi convincerò con un aneddoto». Lo racconti. «Una
studentessa mi dice di una cena con un famoso fisico, che parla della fusione
nucleare. Tutti lo ascoltano, finché lei vince la timidezza: "Anche
l'energia solare ha un futuro". Il fisico ribatte: "Impossibile. Solo
per la California si dovrebbe tappezzare di celle tutto lo Stato". Ma lei
non si scoraggia: "Non è vero. Basta
( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
I cervelloni del piano sono tre studiosi di fama mondiale
tra cui un Nobel GIORDANO STABILE Un piano Manhattan sommato a un progetto
Apollo e moltiplicato per due. Nelle pieghe del primo bilancio
dell'amministrazione Obama si nasconde il più grande
investimento nella scienza nella storia Usa. Su questo il Presidente è stato di
parola. E la comunità scientifica applaude. Sia l'afflusso di investimenti
(che, è vero, vanno a pescare in un deficit enorme in viaggio verso il 12% del
Pil) sia la scelta del dream team che dovrà governare questa massa di denaro.
Una comunità già deliziata dalla parola «scienza», pronunciata allo storico
discorso di insediamento alle presidenza il 20 gennaio, e ancor di più dalle
frasi appassionate dette davanti alla National Academy of Science, lo scorso 27
aprile: «La scienza è ora più che mai essenziale per la nostra futura
prosperità, la nostra sicurezza, il nostro ambiente e la nostra qualità della
vita». Obama era il quarto Presidente a parlare alla National Academy, a 45
anni di distanza dall'ultimo a presentarsi lì, un certo John Fitzgerald
Kennedy. Non a caso Obama ha sottolineato che dopo il balzo degli Anni 60, al momento
della corsa allo spazio e alla Luna, la percentuale di Pil dedicata alla
ricerca e sviluppo non ha fatto che calare e si è «dimezzata nell'ultimo
quarto di secolo». Gli Usa sono scesi nel 2007 al 2,6%, contro il 3,3 del
Giappone e il 4 della Cina: di poco sopra alla Francia (2,1), ma il doppio dell'Italia
(1,3). Obama ha detto di voler riportare la quota
sopra il 3 «nel corso» della Presidenza. Sono in ballo cifre enormi. Solo con
il «pacchetto di stimolo», nelle fonti energetiche rinnovabili saranno
investiti 50 miliardi ogni anno, con fondi già garantiti per due. Altri 20
all'anno andranno alla ricerca «di base», la cenerentola nelle nazioni
occidentali. Per fare un paragone, in dollari attuali, il programma Apollo
costò 200 miliardi spalmati su 11 anni, il progetto Manhattan per costruire la
prima bomba atomica
( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Ricerca. Il primo budget federale
dell'era Obama
mantiene le promesse: 450 miliardi in 5 anni per i laboratori La maggior parte
degli investimenti andranno nell'energia pulita, ma anche alla scienza di base,
fisica in testa
( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
il caso Una stretta su interessi e
commissioni TRASPARENZA Carte di credito Usa sì alla ricetta di Obama FRANCESCO
SEMPRINI Variare le condizioni del credito sarà più difficile NEW YORK Il
Senato americano approva con voto plebiscitario il progetto di legge sulle carte
di credito consentendo di compiere un altro passo in avanti alla riforma del
settore voluta da Barack Obama. Il via libera,
con 90 voti a favore e cinque contrari, consente di rinviare la legge alla
Camera, dove era stata approvata ad inizio mese, per l'armonizzazione dei testi
prima della firma del presidente prevista nel fine settimana. L'obiettivo è
tutelare il consumatore dai rischi legati a rimbalzi dei tassi d'interesse o da
commissioni esorbitanti spesso applicati senza il necessario preavviso o la
dovuta trasparenza. In un sistema dove i consumi rappresentano il 70% del Pil,
Casa Bianca e Congresso sono stati costretti a intervenire sulla scia dei
segnali preoccupanti legati all'uso spregiudicato del credito rinnovabile -
trasferibile cioè da un mese all'altro senza limiti ma a costi elevatissimi - e
all'applicazione di interessi maggiorati a causa di intenti speculativi e
dell'erosione dei prestiti. Tra le misure contenute nel provvedimento ce ne
sono alcune operative come i 45 giorni di preavviso per modifiche sui tassi
d'interesse. O l'ammissione di aumenti delle aliquote solo se il titolare è
indietro di almeno 60 giorni nei pagamenti, con l'opzione di ripristino dei
livelli originari se nei sei mesi successivi i pagamenti sono regolari. E'
previsto inoltre un esonero da penali nel caso venga superato il limite massimo
di spesa per la prima volta o per un numero limitato di volte. Sul piano
procedurale invece c'è l'obbligo per le società di pubblicare su Internet le
condizioni contrattuali e il diritto per i titolari di carta di pagare le
bollette online o per telefono senza commissioni aggiuntive. La legge prevede
infine maggiori restrizioni sull'accesso al credito, ad esempio da parte dei
minori di 21 anni che dovranno dar prova di poter ripagare i debiti o di avere
la garanzia di un genitore o di un adulto qualificato. Nel caso di
trasformazione in legge le società come Citibank, American Express o Bank of
America avranno nove mesi di tempo per adeguarsi. La manovra è stata recepita
dalle banche e da una parte dell'opposizione come un pericoloso giro di vite
che in ultima istanza rischia di ricadere sui clienti più virtuosi. Interessi e
commissioni «punitive» sono infatti tra le fonti di entrata principali per le
società erogatrici che vedendole decurtate si rifaranno in altro modo. Da una
parte scaricando i clienti più a rischio, dall'altra tagliando gli incentivi
concessi ai più responsabili, come punti-miglia, interessi agevolati, sconti e
buoni. «Sarà un nuovo modo di fare business», spiega Edward L. Yingling,
direttore dell'American Bankers Association - I clienti virtuosi si troveranno
a sostenere economicamente chi mal gestisce le proprie finanze». Il
provvedimento del Senato non pone limiti ai tassi di'interesse, precisa la Casa
Bianca, ma ne regolarizza i corsi e ne garantisce la trasparenza. «La riforma
serve a riportare il senso della misura» avverte Obama
la cui operazione «credit-card» rientra nella strategia contro la finanza
selvaggia, quella che tra subprime e derivati ha messo in ginocchio Wall
Street. Gli analisti da mesi mettono in guardia sul rischio di un collasso come
avvenuto per il credito immobiliare: una buona parte dei 950 miliardi di
dollari di esposizione delle carte è considerata «tossica», spiega Moody's
Investors Service. Lo stato di salute precario è confermato dal taglio di 4
mila posti - il 6% del totale - da parte di American Express. Che l'ad Kenneth
Chenault spiega così: «La società è in positivo, ma le prospettive economiche
ci impongono cautela».
( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Giro di vite IL TIFOSO DI OBAMA VENDE
VINI E STORIE Sergio Miravalle Lorenzo non vede l'ora di poter girare per la
«sua» California con un'Alfa Romeo o una Fiat. E' tra i fans di Obama e ha seguito con estremo
interesse, come tantissimi in America, le trattative Fiat-Chrysler. «Gli
italo-americani hanno fatto tutti il tifo per Marchionne che ha conosciuto
l'emigrazione come noi». Ma Lorenzo Scarpone, 48 anni, è anche abruzzese di
Teramo e dal giorno del terremoto ha in mente un progetto: una cena organizzata
in contemporanea nei ristoranti dei 34 stati Usa dove la sua società vende vino
italiano. Molti di questi locali hanno l'insegna italiana, ma i gestori sono
sempre più spesso di altre nazionalità. «La solidarietà non conosce confini -
racconta convinto - Sarà un'occasione per raccogliere denaro e destinarlo ad
azioni concrete verso la gente che ha patito il sisma. «Gli americani sono
rimasti colpiti, l'Abruzzo era una delle regioni italiane meno conosciute, il
terremoto pur nella sua tragicità ha contributo a creare interesse e può
diventare grande occasione per creare un mercato stabile dei nostri prodotti».
Lorenzo negli States c'e arrivato nel 1987, dopo aver studiato alla scuola
alberghiera in Italia e poi, da imbarcato sulle navi da crociera aver toccato
68 Paesi del mondo. In California ha messo radici, è diventato «governatore» di
Slow Food e l'altra sera a Pollenzo è venuto a raccontare agli studenti
dell'Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo squarci della sua vita.
«Ho detto ai ragazzi che il vino si vende con il cuore prima che con le analisi
organolettiche, con le storie vere dei produttori, con la loro autenticità di
uomini che lavorano e credono in quello che fanno, raccontando la loro terra».
Tra i piemontesi della sua «scuderia» i roerini Filippo Gallino e Monchiero
Carbone e le grappe di Elena Borra del Vieux Moulin di Motta di Costigliole.
( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
SULLA MITO La storia L'innovativo Multiair migliora i
parametri decisi da Barack Il motore pulito è la carta segreta del Lingotto Il
nuovo propulsore verrà montato sulla piccola Alfa che sarà
venduta negli Usa PIERO BIANCO TORINO Il motore che vuole Obama è già pronto. È il Multiair 1.4 che debutterà a metà settembre
sull'Alfa Romeo MiTo e progressivamente (con diverse cilindrate) sugli altri
modelli del gruppo, a cominciare dalla 500 per cui è pronto un bicilindrico
turbo di 900 cc dalle prestazioni straordinarie. Una rivoluzione
tecnologica figlia del concetto di downsizing, cioè la riduzione intelligente
di dimensioni e peso, che limita notevolmente consumi ed emissioni però aumenta
la potenza. Se la MiTo con l'attuale
( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
il caso La svolta verde della Casa Bianca Le nuove regole
900 IL PRESIDENTE Usa, addio alle auto inquinanti Obama invia la
legge al Congresso Taglio radicale alle emissioni nocive MAURIZIO MOLINARI In
vigore la legge di Schwarzenegger milioni di tonnellate «In 5 anni
risparmieremo 1,8 miliardi di barili di petrolio sui consumi nazionali»
CORRISPONDENTE DA NEW YORK Barack Obama taglia le
emissioni nocive delle autovetture richiamandosi alle severe norme della
California facendo compiere agli Stati Uniti un balzo in avanti nella
lotta al surriscaldamento del clima. Parlando dal Giardino delle Rose della
Casa Bianca il presidente illustra l'accordo raggiunto grazie all'impegno
convergente di legislatori, produttori di auto, sindacati di categoria e Stati:
«Risparmieremo 1,8 miliardi di barili di greggio sui consumi di greggio delle
auto che saranno vendute nei prossimi cinque anni ovvero l'equivalente della
somma del greggio importato nel 2008 da Arabia Saudita, Venezuela, Libia e
Nigeria». Se durante la campagna elettorale Obama
aveva promesso di voler «ridurre la dipendenza energetica dai Paesi instabili»
e di impegnarsi per la «difesa del Pianeta» ora mantiene l'impegno trasformando
in standard nazionali i tagli alle emissioni varati nel 2004 dalla California:
ogni nuova auto dovrà avere un motore in grado di fare
( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)
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Obama
Pagina 17 - Esteri Il presidente dalla Regina
d´Inghilterra: "L´Europa si impegni per la sicurezza nel mondo"
Napolitano: "Non lasciamo sola l´America" DAL NOSTRO INVIATO LONDRA -
Napolitano a Buckingham Palace. Una colazione privata (accompagnato dalla moglie
Clio) con la regina Elisabetta e il principe Filippo a Palazzo Reale,
circondati dagli amati cani corgie. «La regina era molto interessata alle
conseguenze e all´entità del recente terremoto in Abruzzo», ha detto il
presidente all´ambasciata d´Italia, prima di tenere una conferenza all´Istituto
internazionale per gli studi strategici su "l´Europa nel mondo
globalizzato". Ed è stata, la regina d´Inghilterra, «d´accordo con la
scelta di trasferire all´Aquila il G8 inizialmente previsto alla Maddalena». A
Londra il presidente italiano è arrivato per tenere una conferenza sull´Europa
e per capire se «sarà all´altezza delle proprie responsabilità in un mondo
globalizzato». L´interrogativo da cui parte Napolitano è all´insegna del
rischio che «il ruolo dell´Europa nel mondo sia destinato a diventare
marginale». Un ruolo che tuttavia non è inevitabile. Un anno eccezionale,
quello alle spalle. Con la «peggior crisi economica e finanziaria dal ?29», con
la guerra in Georgia che ha fatto rischiare una «nuova guerra fredda», con l´elezione di Obama alla guida dell´America.
L´Unione europea, secondo il capo dello Stato, ha «fatto non poco» per un
«nuovo concetto di sicurezza». Ora però il proposito di «arricchire» la
sicurezza «non è una buona ragione per sfuggire a una valutazione degli aspetti
militari e a un impegno congiunto di difesa collettiva». Nei suoi
rapporti con gli Usa l´Europa infatti, accusa il presidente italiano, «risente
ancora del sospetto di voler lasciare responsabilità ed oneri della propria
difesa sulle spalle degli alleati americani». (g. batt.)
( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)
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Obama
Pagina 12 - Economia "Gli impianti Fiat in Italia non
si toccano" Monito di Scajola. Marchionne su Opel: dai governi 7 miliardi.
Fumata grigia con IgMetell Il titolo decolla e sfiora 8 euro. Intanto scattano
quattro settimane di cassa integrazione a Pomigliano TORINO - Alla vigilia
della presentazione dell´offerta per la Opel la Borsa ci crede e il titolo vola
fino a sfiorare gli 8 euro. Si vedrà oggi se il Lingotto sarà il solo
concorrente o se, com´è quasi scontato sul tavolo del governo di Berlino ci
sarà anche una lettera del gruppo austro-canadese Magna e forse anche una del
fondo Ripplewood. Un fatto è certo: per la casa di Russelsheim è una giornata
decisiva poiché di fronte ha due strade: entrare in un grande gruppo mondiale
dell´auto oppure andare diritta verso il fallimento. Allo scopo di evitare
questa seconda ipotesi, o comunque allontanarla nel tempo in modo da poterla
cancellare del tutto, il governo tedesco è pronto a giocare la carta del
finanziamento-ponte. In questa prospettiva i rappresentanti del governo e delle
banche hanno concordato ieri, secondo quanto scrive l´agenzia di stampa Dpa,
una soluzione provvisoria e comunque tale da non interrompere l´attività
dell´azienda. Su un altro fronte, sempre ieri, Sergio Marchionne a conclusione
della sua maratona tedesca, ha cercato di spianare la strada al Lingotto
nell´incontro con il leader del potente sindacato dei metalmeccanici (Ig
Metall), Berthold Huber. Al termine del colloquio, Huber ha ribadito le
preoccupazioni dei lavoratori tedeschi, facendo presente che il sindacato «è
aperto a colloqui anche con altri investitori, che si chiamino Magna o in altro
modo». La sovrapposizione di modelli tra Fiat e Opel sembra essere la
preoccupazione maggiore di Huber il quale non ha tuttavia escluso la
possibilità di trovare «vie comuni» con Fiat, pur in presenza di quelle che ha
definito «differenze culturali» con riferimento alla partecipazione e
cogestione aziendale da parte dei lavoratori della Opel. La partita tedesca è
seguita sia dall´Italia sia dall´America dove a dire l´ultima parola sarà la casa madre Gm che di suo è alle prese con la task force di Obama ed ha come termine ultimo Il 31 maggio per la presentazione di
un piano salvataggio al quale sono condizionati i finanziamenti pubblici
necessari ad evitare il peggio. In Italia i sindacati continuano a sollecitare
al governo un incontro a tre con la Fiat in grado di allontanare i timori di
chiusure di stabilimenti. A questo proposito ieri è nuovamente
intervenuto il ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola, per il
quale «è inderogabile il mantenimento dei cinque stabilimento Fiat in Italia».
«Alla fine della trattativa tra Fiat e Opel che ci auguriamo si concluda
positivamente» ha detto «ci sarà un incontro per conoscere il piano
industriale». Le «zone calde» dell´Italia restano Pomigliano d´Arco e Termini
Imerese, ma nel generale rimescolamento di carte che seguirà a un eventuale
accordo potrebbero essere interessati altri pezzi della Fiat. Contro le ipotesi
di tagli si è espresso il segretario del Prc, Paolo Ferrero, sollecitando «un
intervento immediato del governo» capace di evitarli. Ma a riaccendere i timori
del sindacato si è aggiunta la decisione di altre quattro settimane di cassa
integrazione (dal 27 maggio al 28 giugno) per i lavoratori di Pomigliano che
proprio ieri sono rientrati in fabbrica. (s.t.)
( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Pagina 12 - Economia I vantaggi La
svolta Il presidente americano detta nuove regole per ridurre la dipendenza dal
petrolio e l´inquinamento Obama lancia la rivoluzione verde un
tetto ai consumi di carburante Risparmieremo 1,8 miliardi di barili. Come
togliere dalla strada per un anno 53 milioni di veicoli Si tratta di un´intesa
importante, storica, che in passato sarebbe stata inimmaginabile. Una
svolta per l´ambiente ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - Con un sorriso ammiccante a
Arnold Schwarzenegger, il governatore repubblicano della California che per
primo cercò di limitare i consumi di carburante, Barack Obama
ha annunciato ieri una rivoluzione nei rapporti tra gli americani e le loro
auto. Entro il 2016 le vetture vendute negli Stati Uniti non potranno consumare
in media più di un litro di benzina per
( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)
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Obama
D ottor Augias, giorni fa lei si ? espresso in termini
polemici sul divieto di aborto della Chiesa catto?lica anche in caso di donne
rimaste incinta dopo una violenza. Da cattolico non ci sto. Non ? one?sto
intellettualmente riportare casi estremi, di non facile soluzione e operare
riduzioni concettuali e culturali. Perch? non dire invece che a livello
mondiale la dottrina cattolica ? rimasta l'unica morale "nel senso pi?
elevato" che in tale ambito promuove una cultura dell'amore, del rispetto
integrale della per?sona, mettendo in secondo piano tecnicismi e abbreviazioni
etiche. Qualche contraccolpo si sar? verifi?cato (uomini si ?), ma l'impianto
generale ? questo: amore verso la madre, amore verso il nascituro. So che
Repubblica , e lei personalmente, non siete d'accordo, ma questo ? il dato
certo. Sergio Benetti sergiobenny@virgilio.it A ffrontata in questi termini la
discussione su un tema non solo drammatico ma molto controverso come l'aborto,
soprattutto nel caso di vittime di stupro, non porta da nessuna par?te. La
posizione non di tutta la Chiesa ma delle ge?rarchie vaticane e di alcuni
vescovi ? purtroppo quella che la lettera del signor Benetti rispecchia. Poche
settimane fa ha suscitato scandalo nel mon?do la scomunica inflitta
dall'arcivescovo brasilia?no Jos? Cardoso Sobrinho al medico che aveva fat?to
abortire una bambina di 9 anni (del peso di 33 chili!) violentata e messa
incinta dal patrigno. An?che il Primo Ministro vaticano, cardinal Bertone, ? di
quel parere avendo condannato la decisione di Amnesty International d'inserire
tra i diritti umani l'interruzione di gravidanza per le donne violenta?te. Per
contro si pu? segnalare, sempre in ambito cattolico, la posizione molto pi?
tollerante (potrei dire pi? "umana") di alcuni vescovi francesi. Per
esempio Norbert Turini, vescovo di Cahors, che a proposito della povera bambina
brasiliana ha det?to: ?In questo mondo ferito il nostro dovere ? rafforzare la
speranza, non chiuderci in condanne che trascurano i sentieri dell'amore
misericordio?so?. Meno dottrina, insomma, e pi? misericordia, pi? comprensione
per le condizioni reali di un'esi?stenza. Domenica scorsa
il presidente Obama nel?l'universit? di "Notre Dame" ha detto tra le altre
queste parole che faccio mie: ?Lavoriamo insieme per ridurre il numero delle
donne che vogliono abortire diminuendo le gravidanze non volute?. Mi pare un
approccio umanistico al problema. Chiudere all'aborto e chiudere alla
contraccezione (preventiva o del giorno dopo), mi pare invece so?lo ideologia
non dissimile da ogni altra disumana ideologia che abbiamo conosciuto nel
Novecento.
( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)
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Obama
Pagina 19 - Esteri è gelo tra Israele e Stati Uniti
"Quel vertice è stato un fallimento" Tel Aviv, stampa sotto shock. E Hamas attacca Obama Disaccordo su tutti i temi in
agenda Dal nucleare iraniano ai "due Stati" ALBERTO STABILE dal
nostro corrispondente GERUSALEMME - "Disaccordo!" (Maariv).
"Dopo tre ore di colloqui (Obama e Netanyahu)
si sono ritrovati d´accordo quasi su niente" (Yediot Ahronot). Non
è un giudizio, quello espresso concordemente nei titoli dei maggiori giornali
israeliani, ma una constatazione obiettiva. Ed inevitabile. Cos´altro ci si
poteva aspettare dall´incontro tra un presidente americano considerato
eccentrico rispetto agli "interessi israeliani" e un primo ministro
che secondo la tradizione della destra israeliana non vuol sentir parlare di
Stato palestinese? Ma il dissenso non si limita alla mancata adozione da parte
di Netanyahu della ipotesi dei "due Stati" per porre fine ad un
conflitto che dura da 60 anni. Tre temi spiccavano nell´agenda del faccia a
faccia: il nucleare iraniano, il congelamento degli insediamenti nei Territori
occupati, la ripresa del negoziato. E su nessuno di questi argomenti s´è
registrata un´intesa significativa. Prendiamo l´Iran, che è il cardine su cui
ruota e da cui dipende la strategia israeliana. Netanyahu non è riuscito a
trasmettere ad Obama quel senso di urgenza che promana
dalle prese di posizione del vertice israeliano quando si affronta il nodo
iraniano. Il premier avrebbe voluto imporre un limite di tre mesi al dialogo
che Obama vuole intavolare con gli iraniani per
cercare di dissuaderli dal perseguire il loro disegno. Ma Obama
s´è detto contrario a imporre "limiti artificiali" al confronto,
riservandosi un riesame verso la fine dell´anno. Al contrario, parlando del
processo di pace, è stato Obama ad avvertire che non
ha senso sprecare parole e che, invece, per israeliani e palestinesi è arrivato
il momento di "rimboccarsi le maniche" per riprendere il negoziato.
Netanyahu, richiamato al dovere, ha risposto: «Sono pronto». Ma pronto a discutere
di che cosa? Naturalmente, le aperte divergenze emerse dal vertice di
Washington, sono musica per le orecchie dei palestinesi moderati la cui
reiterata disponibilità a riprendere il negoziato non ha quasi trovato audience
nel nuovo governo israeliano. Il capo negoziatore Saeb Erekat avverte che
soltanto «un capovolgimento delle politiche condotte da Israele sul terreno può
ridare credibilità al processo di pace». Il che vuol dire: immediato
congelamento degli insediamenti, ristabilimento della libera circolazione
all´interno dei Territori, apertura dei valichi e fine dell´"assedio"
di Gaza. Congelare degli insediamenti? La risposta dei coloni suona come una
minaccia politica. «L´elettorato - ha detto il portavoce del Consiglio degli
insediamenti - ha posto delle linee chiare a questo governo. Le cose che
sentiamo alla Knesset ci incoraggiano a pensare che, se Netanyahu bloccherà gli
insediamenti, il Parlamento sarà con noi». Ma se non accetta lo Stato
palestinese ai confini d´Israele, perché teme che possa cadere nelle mani di
Hamas - che continua a non fidarsi di Obama e bolla le
su dichiarazioni come un «tentativo di ingannare l´opinione pubblica» - di che
cosa è disposto a discutere Netanyahu? «Vogliamo parlare su tutto - dice il
vicepremier e ministro per i Servizi Segreti, Dan Meridor - e in tutte le
direzioni. Come abbiamo fatto finora. Non so se Netanyahu ha un sistema
brevettato per convincere Abu Mazen a rinunciare al diritto al ritorno o alla
divisione di Gerusalemme. Vogliamo però proseguire perché lo status quo non è
un´alternativa».
( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)
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Obama
Pagina 39 - Esteri Nel 1994 cercò di esportare la
democrazia con le armi, ma fallì oggi è chiamato dall´Onu a ridare speranza
all´isola dei Caraibi La terza vita di "Bubba" costretto a salvare
Haiti L´ascesa al potere di Aristide finì in un bagno di sangue e con decine di
migliaia di profughi in fuga da terrore e miseria Oggi il Paese è tra i più
disastrati dell´emisfero occidentale: l´80 per cento della popolazione vive in
povertà VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON La sua testa candida galleggia nelle foto sopra
il mare nero che lo stringe e lo assedia, per sfiorare il dio della speranza
che ritorna dal mare promettendo di salvarli. Nella sua terza reincarnazione a
63 anni, governatore, presidente, ora ambasciatore, William Jefferson Clinton,
colui che sempre ritorna, è diventato per conto delle Nazioni Unite il lord
protettore di Haiti, il messia di quella disperata folla di dieci milioni che
da presidente s´illuse di salvare con la forza, sprofondandola invece in un
girone ancora più profondo. Ma la promessa di quei capelli bianchi sul mare
nero è più forte del ricordo, per chi non ha altro in cui sperare. Per
"Bubba", per l´ex presidente nel suo nomignolo familiare, con l´avvento della amministrazione Obama e l´ascesa
della moglie alla Segreteria di Stato si era parlato molto di incarichi
solenni, addirittura di ambasciate alle Nazioni Unite, qualunque missione
potesse utilizzare il suo carisma ancora immenso e lo tenesse lontano dalle
tentazioni, pubbliche e private, di Washington. E dalla consorte.
L´incarico di "ambasciatore speciale" dell´Onu ad Haiti è certamente
una piccola cosa spinosa per qualcuno che era uscito dalla Casa Bianca con il
più alto gradimento mai registrato dalla fine della Seconda Guerra - il 66%,
più del doppio del successore Bush - e che si era speso molto per far eleggere
la moglie Hillary e tornare, come First Gentleman, nella casa dei trionfi e dei
peccati. Ma se ha accettato l´offerta di di Ban Ki-Moon, del segretario
generale, è perché lui è Clinton, l´uomo delle resurrezioni. Che vuole tentare
di guarire quella piaga dell´umanità chiamata Haiti, che lui stesso aveva reso
ancor più infetta e che rimane, insieme con la catastrofe in Somalia, la
macchia peggiore sulla sua biografia. Non ha niente da guadagnare, certamente
non in danaro essendo ormai ricchissimo, se non la propria reputazione, facendo
revisionismo reale della propria storia. Nella fase della vita in cui i bilanci
consuntivi contano più dei bilanci preventivi, "Bubba" dai bianchi
capelli sa che il suo intervento militare sull´isola di Hispaniola, che ha il
record della miseria nell´emisfero occidentale (110 dollari mensili di reddito
medio pro-capite) fu un disastro. Il suo tentativo di "cambiare
regime" a Port-Au-Prince con strumenti di pressione diplomatica
«coercitiva», come si diceva allora, e infine militari, portò al potere
quell´ex prete amatissimo, Bertrand Aristide, che sembrava promettere
democrazia e aprì un altro capitolo di orrori degno degli anni di Papà Doc e
Baby Doc Duvalier, i dittatori che avevano imposto la legge dei "Tonton
Macoute" e del machete. Alla decapitazione, il breve regno di Aristide,
presto defenestrato da un golpe militare, aveva preferito quello che gli
haitiani avevano ribattezzato «Père Lebroun», i copertoni di auto intrisi di
benzina, messi attorno al collo delle vittime e incendiati. Sono quelle
immagini e l´allarme lanciato dalla ricognizione americana che aveva contato
mille imbarcazioni di profughi pronte a salpare dall´isola verso il largo per
essere raccolti dalle unità americane quando lo stesso Clinton aveva rinnegato
la strategia dei "respingimenti" voluta da Bush Primo, a
perseguitarlo. Sono i 30 mila immigrati senza documenti parcheggiati in Florida
dal 2004 dopo l´uragano Jeannie che annegò 3 mila persone, a pesare su di lui. Come
lo tormentano, confessò lui stesso, i corpi dei 18 Marines uccisi nel disastro
dei Black Hawk a Mogadiscio, nel 1993. Fu in Somalia, poi a Haiti l´anno
successivo, il 1994, e quattro anni dopo nella ex Jugoslavia, che la politica
dell´intervento militare umanitario conobbe i suoi pochi successi e le sue
disfatte. Ma è Haiti, la prima nazione indipendente post-coloniale del Caribe,
il rimorso che punge questo ex presidente puntiglioso che sa trovare le parole
che cantano sulle orecchie di chi lo ascolta, come ha fatto invitando a
smetterla di considerare la tragedia haitiana come «prodotto di misticismi» e
guardare invece all´economia dello sfruttamento, alla brutalità delle
oligarchie. Non sono il "voodoo" e il "Baron Samedi" a tenere
l´isola prigioniera, dice, ma i baroni delle manifatture di magliette e tomaie,
locali e americani. L´idea è stata della stessa Hillary, che aveva già visitato
l´isola sulla quale ancora bivaccano 500 soldati americani. Per lui, che fu
definito «il primo presidente nero», aiutare Haiti a vincere il maleficio della
miseria e della brutalità, sarebbe il miglior regalo al primo presidente
realmente nero, Barack Obama.
( da "Corriere della Sera" del
20-05-2009)
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Obama
Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 20/05/2009
- pag: 7 Svolta verde La Casa Bianca: l'obiettivo per il 2016 sono consumi pari
a
( da "Corriere della Sera" del
20-05-2009)
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Obama
Corriere della Sera sezione: Politica data: 20/05/2009 -
pag: 14 Verso il voto Europee / I protagonisti David «il bello» cerca voti al
mercato «Mai più tv, la politica è la mia vita» Sassoli: se eletto, mi
dimetterò. I baci delle signore? Affettuosità ROMA « Viè quà, Daviduccio mio...
fatté dà un bacetto da zia... lo sai che te potrei esse zia? Tiè, assaggia na'
ciliegia... ». Quando i giornalisti decidono di mettersi a fare politica, è
chiaro che già conoscono un bel po' di trucchi; sanno ad esempio che in
campagna elettorale è sempre molto efficace convocare un cronista nel bel mezzo
di un mercato rionale. Nei mercati non si può mai apparecchiare niente, è un
salto nel vuoto, tra gli umori della gente. Certo bisogna essere molto sicuri
di sè. Ma David Sassoli, nato a Firenze 53 anni fa, epperò ormai romano, una
moglie (Sandra) conosciuta al liceo Virgilio e due figli, sa di piacere,
piaceva da matti alle folle quando (appena un mese fa) ancora conduceva il Tg1
delle 20, con qualifica di vice-direttore e ambizioni da direttore del Tg3, e
piace molto anche adesso, qui, sotto il sole a picco, tra i banchi di Campo de'
Fiori, cicorietta da mangiare cruda, ciliege come squisite primizie, e appunto
clienti e venditori che si mettono in fila, prima sorpresi e poi subito
adoranti, perché il capolista del Pd alle europee per il Centro è venuto
proprio per sorridergli in diretta, e farsi abbracciare dal vivo. Poi qualche
signora esagera. E Gianna Pieragostini, un pacco di volantini in mano,
volontaria-militante della sezione di via dei Giubbonari, storica sezione del
Pci ceduta alla causa del Pd ci andremo tra un po' ad un certo punto sbotta:
«Ma no, ma non potete baciarvelo sul collo...». Lui si volta, alza gli occhi al
cielo (conoscete le sue espressioni, l'avete visto mille volte alla tivù). «Che
devo fare? Sono affettuosità politiche...». Affettuosità, non sempre voti.
Sonia Proietta, 49 anni, la maglietta con la faccia di Obama e la scritta «Yes, we can». «Ero comunista da bambina, e sono
comunista pure adesso. Ma il voto no, David mio, il voto non posso dartelo».
Poi però glielo promettono in venti, trenta. «Senta, io la voto: ma non è che
poi mi torna indietro da Strasburgo come la Gruber e Santoro, eh?». «No,
io ho fatto una scelta di vita », dice David Sassoli mentre camminiamo dentro
via de' Giubbonari. «Michele capì subito che la sua passione era un'altra. Io
ho deciso di cambiare vita». Quando hai deciso? (è inutile fingere di darsi del
lei, ci conosciamo da vent'anni, e quant'era bravo e meticoloso il Sassoli inviato
del Giorno, in quei primi giorni di marzo del 1991, quando sul molo di Brindisi
aspettavamo le rugginose navi cariche di immigrati albanesi). «Quando ho
deciso? Franceschini mi telefonò mentre ero all'Aquila, tra le macerie, per il
Tg1. Mi chiese di pensarci». E tu? Ti sei sentito un «velino? «Ma dai... Tornai
a Roma, mi chiusi in casa con Sandra, mia moglie. E decidemmo sentendo ciò che
mi diceva la pancia». E che diceva? «Che avevo voglia di mettermi a fare una
cosa utile per l'Italia». Generoso: rischiavi di diventare direttore di
qualcosa, in Rai. «Lo so. Ma io, se verrò eletto, dall'azienda mi dimetterò. La
politica, a questo punto della mia vita, è una vocazione». Usa termini non
casuali. Suo padre Mimmo, direttore del Popolo e della Discussione, personaggio
di leggendaria riservatezza, democristiano fiorentino, era nel gruppo raccolto
intorno a Giorgio La Pira. Lui, David, suo figlio, fu però tra i fondatori del
Pdup al liceo Virgilio di Roma. «Ma ben presto capii che la violenza non era
nelle mie corde... ». Così dette vita a una lista che univa cattolici e
figgicciotti, e «la loro leader era Franca Chiaromonte». Adesso, mentre
entriamo nella sezione di via dei Giubbonari, e si siede sotto alle foto di
Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, gli scappa la battuta: «Al Pd, per primo,
pensai io...». Mediamente ironico, molto sicuro di sé, furbo. Gli piace
ricordare che fu «tra i ragazzi di Zaccagnini», sorvola sugli anni in cui
collaborò con l'ufficio stampa di Ciriaco De Mita. Non ricorda se fu Clemente Mastella,
demitiano uomo-stampa, a farlo assumere al Giorno. Parla bene di tutti:
Veltroni, Bettini («ha avuto problemi, lo so, ma io sono arrivato dopo»)
D'Alema («Con Massimo ho fatto un comizio a Orte: pazzesco, nella piazza
gremita c'era un silenzio assoluto»). Entriamo al Ghetto, Portico d'Ottavia,
entriamo nella pasticceria kosher Boccione. «Signor Sassoli, vorrei darle la
mano ma è sporca di farina... ». E lui (un po' piacione): «Ma signora... la
farina è vita». In lizza Il candidato pd David Sassoli con il leader del
Partito democratico Dario Franceschini. A destra, Sassoli davanti a uno stand
di un mercato rionale romano Fabrizio Roncone
( da "Corriere della Sera" del
20-05-2009)
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Obama
Corriere della Sera sezione: Esteri data: 20/05/2009 -
pag: 16 La visita Napolitano a Londra: Europa marginale senza capacità militari
DAL NOSTRO INVIATO LONDRA E' una domanda che dovrebbe alimentare almeno le
ultime battute di una campagna elettorale troppo dominata dalle angustie
nazionali: «L'Europa sarà all'altezza delle proprie responsabilità in un mondo
globalizzato?» A proporla è Giorgio Napolitano, che su questo interrogativo
sviluppa una densa riflessione all'International Institute for Strategic
Studies, massimo foro planetario sui conflitti politico-militari. La risposta,
per il presidente, è un doppio sì. Ma condizionato, nel senso che se non ci impegneremo
appunto su un doppio fronte il nostro destino rischierà d'essere «marginale».
Cioè sì spiega a patto che l'Ue, consapevole che «nessuno Stato può
fronteggiare da solo» la complessità del rivoluzionato atlante geopolitico,
«rafforzi istituzioni e ruolo in quanto Unione». E sì, a patto che sgombri «il
sospetto di voler scaricare responsabilità e oneri della sua difesa e sicurezza
sulle spalle dell'America». Un punto, questo, sul quale il capo dello Stato si
concentra, dato il contesto in cui parla. Rievoca le profezie di «scontro tra
civiltà» e «mondo fuori controllo» lanciate dopo la caduta dell'ordine bipolare
Usa-Urss. E ricorda le previsioni sulla «perdita di peso» dell'Europa, dopo che
si è spostato il centro di gravità delle relazioni internazionali. Uno scenario
cui bisogna aggiungere «la peggiore crisi economico finanziaria dal 1929»,
mentre altri «eventi fatali e difficili sfide» incalzavano. Come la guerra in
Georgia, che «avrebbe potuto avere conseguenze disastrose» mentre è stata
invece superata grazie alle iniziative dell'Ue. Anche
quella svolta, seguita dall'arrivo di Obama alla Casa
Bianca, ha aperto una «nuova fase» nei rapporti tra America, Russia ed Europa.
Mentre incombe su tutti la minaccia del terrorismo. Ed è qui (tenendo sullo sfondo
Afghanistan e Medio Oriente, dove sono attive «missioni di peacekeeping con 8.500
soldati italiani») che il presidente inserisce il problema di una diversa
«capacità militare» e di un «nuovo, più ampio e multidimensionale concetto di
sicurezza» al quale dovrebbe ispirarsi l'Ue. Un paio i punti critici da
superare: 1) «La spesa della difesa, per la quale andrebbe studiato un
approccio tale da massimizzare il rendimento»; 2) «lo scarso livello di
efficacia e coordinamento» che imporrebbe di «potenziare uno strumento cruciale
come l'agenzia europea di difesa». Conferenza a parte, il viaggio non ufficiale
di Napolitano ha contemplato ieri una colazione a Buckingham Palace. Racconta
laconico: «Un segno della cordialità con cui qui si guarda all'Italia». Aggiungendo
che la regina, magari per distrarsi dalle tensioni politiche inglesi, «si è
molto interessata del terremoto in Abruzzo». Elisabetta II Il presidente ha
incontrato la regina: «Si è molto interessata al terremoto in Abruzzo» Discorso
Napolitano all'Istituto per gli Studi Strategici Marzio Breda
( da "Corriere della Sera" del
20-05-2009)
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Obama
Corriere della Sera sezione: Esteri data: 20/05/2009 -
pag: 17 Ritorni L'ex inviato Usa «superministro» a Kabul
Khalilzad: da uomo di Bush a «infiltrato» di Obama nel governo
in Afghanistan DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Era l'ambasciatore di George
W. Bush a Kabul e a Bagdad. Ora potrebbe diventare l'uomo di Barack Obama dentro il governo afghano, il garante di un'efficace lotta alla
corruzione e al traffico di droga. Sarebbe Zalmay Khalilzad, 58
anni,l'ex diplomatico americano nato in Afghanistan, il deus ex machina nel più
difficile teatro medioorientale, la soluzione in grado di ridare un minimo di
stabilità allo screditato regime di Hamid Kharzai. Come hanno confermato fonti
diplomatiche di Washington e Kabul al New York Times e all'Associated Press,
Khalilzad sarebbe da diverse settimane in avanzate discussioni con lo stesso
presidente afghano, per assumere una posizione di rilievo nell'esecutivo del
Paese, un incarico che entrambi avrebbero descritto come quello di
«amministratore delegato» dell'Afghanistan. Lanciata dal primo ministro
britannico Gordon Brown, l'idea sarebbe stata fatta propria da Kharzai, che
l'avrebbe menzionata nei colloqui con l'amministrazione Obama
durante una recente visita a Washington dove i due avrebbero avuto un colloquio
segreto. Khalilzad sarebbe poi volato a Kabul, dove la trattativa avrebbe fatto
notevoli progressi. Il nome dell'ex diplomatico, che arrivò in America da
studente alla fine degli anni '60 con un programma di scambi culturali e poi
prese la cittadinanza Usa, era circolato nei mesi scorsi come possibile
sfidante di Kharzai alle elezioni presidenziali del prossimo agosto. Ma la
scadenza dell' 8 maggio, ultima data utile per presentare una candidatura, è
passata senza che nulla accadesse. L'ipotesi sembra mettere tutti d'accordo.
Eliminerebbe un potenziale avversario per Kharzai. E allo stesso tempo gli
affiancherebbe una personalità forte e competente, rassicurando gli americani
che non ripongono più alcuna fiducia nell'attuale leader, considerato quanto
meno tollerante verso la corruzione diffusa. Ma la Casa Bianca è attenta a non
apparire coinvolta, preoccupata che l'impressione di una sua regia occulta
possa minarne le possibilità di successo all'interno dell'Afghanistan. «La sola
idea di un americano in un ruolo di primo piano nel governo di Kabul è
rischiosa, sia per Kharzai che per la persona in questione», ha detto al New
York Times Teresita Schaffer, del Centro Internazionale di Studi Strategici. Ma
la studiosa si è detta d'accordo che Khalilzad abbia «una conoscenza profonda
del Paese e un coinvolgimento senza eguali», qualità indispensabili per
governarlo. Sotto l'amministrazione Bush Zalmay Khalilzad fu inviato a Kabul
dal 2003 al 2005, prima di servire come ambasciatore in Iraq e poi all'Onu. Si
segnalò spesso per l'autonomia e l'indipendenza di giudizio, che lo portarono a
scontri aperti con l'allora segretario di Stato Condoleezza Rice. Venne fra
l'altro censurato apertamente dalla Casa Bianca, quando partecipò a un
dibattito con il ministro degli Esteri iraniano, senza aver chiesto
l'autorizzazione di Washington. Dopo l'insediamento della nuova
amministrazione, Khalilzad si è già incontrato due volte con Richard Holbrooke,
il rappresentante speciale di Obama per Afghanistan e
Pakistan. Strana coppia Zalmay Khalilzad, 58 anni: arrivò negli Usa
dall'Afghanistan per motivi di studio. Sotto, Hamid Karzai, 51: si ricandida
alle presidenziali d'agosto Paolo Valentino
( da "Corriere della Sera" del
20-05-2009)
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Obama
Corriere della Sera sezione: Esteri data: 20/05/2009 -
pag: 17 Diplomazia Il ministro degli Esteri incontra il collega Mottaki, il
pragmatico Larijani e il riformista Khatami Dossier nucleare, Frattini a
Teheran L'Italia con la sua mediazione punta a un maggior ruolo di fronte al
5+1 ROMA Il ministro degli Esteri Franco Frattini parte oggi per Teheran. Salvo
imprevisti, entro domani in questa visita rimandata più volte a causa delle
obiezioni di Israele e dell'iniziale scarso entusiasmo degli Stati Uniti il
titolare della Farnesina sarà ricevuto dal suo collega della Repubblica
islamica dell'Iran Manoucher Mottaki, dal presidente del Parlamento Ali
Larijani (conservatore pragmatico che fu negoziatore sui programmi nucleari
prima di essere rimosso dal presidente Mahmoud Ahmadinejad) e dal riformista
Mohammed Khatami che fu capo di Stato dal 1997 al 2005. Secondo la versione
ufficiale italiana, Frattini cercherà soprattutto di guadagnare l'appoggio
dell'Iran negli sforzi occidentali di stabilizzare Afghanistan e Pakistan. Sui
piani nucleari di Teheran, ancora secondo la versione ufficiale, il ministro
confermerà di condividere la linea americana che offre trattative in grado di
dare risultati entro l'anno senza escludere sanzioni ulteriori. Sul Medio
Oriente, Frattini ribadirà la posizione italiana del sostegno alla formula «due
popoli, due Stati» e definirà non negoziabile la sicurezza di Israele. Dietro
alla facciata, però, c'è anche altro. L'invito in Iran fu rivolto a Frattini
dal direttore generale degli Affari europei della diplomazia di Teheran,
Mostafa Doulatyar . Era il 25 febbraio scorso. Interessato
a risultare utile all'Amministrazione di Barack Obama, che tuttora
non ha accolto il presidente del Consiglio alla Casa Bianca e lo farà soltanto
in vista del G8 a presidenza italiana, Frattini puntava già ad avere Mottaki a
una conferenza sull'Afghanistan con i ministri del G8 convocata tra il 25 e il
27 giugno a Trieste. La Farnesina fece sapere che coinvolgere l'Iran su
due obiettivi dai quali ricaverebbe vantaggi - contenere i talebani e il
traffico di oppio - serviva ad aprire una strada. Meta: portare il Paese che
non smette di arricchire uranio, e il cui presidente minaccia Israele, a
percepire quali vantaggi incasserebbe dal riconoscimento di uno status di
potenza regionale. Ruolo da assicurare a Teheran in cambio di disponibilità a
trattare sui piani nucleari sospettati di avere come fine la bomba atomica.
Silvio Berlusconi, che nel 2003 rinunciò a inserire l'Italia tra i Paesi tenuti
a negoziare con l'Iran sul dossier atomico, ne avrebbe ricavato peso davanti al
«5+1», il comitato con questo compito formato dai cinque membri permanenti del
Consiglio di sicurezza dell'Onu e la Germania. L'Italia avrebbe avuto più voce
nel dosaggio delle sanzioni verso uno Stato, l'Iran, del quale è il primo
partner commerciale per effetto di un'interscambio notevole, quasi sei milioni
di euro nel 2006. Annunciata da Frattini il 27 febbraio prevedendola «presto,
entro marzo», la visita a Teheran è stata guardata con fastidio a Gerusalemme.
Il 5 marzo, in vista di un incontro con l'allora ministro degli Esteri
israeliano Tzipi Livni, Frattini ha sia dichiarato il ritiro del-- l'Italia
dalla conferenza dell'Onu sul razzismo (già giudicata in Israeliani e Usa
strumentalizzabile da antisemiti) sia rinviato il viaggio. Hillary Clinton ha
proposto di invitare l'Iran a una conferenza sull'Afghanistan all'Aja,
appuntamento che ha ridotto la novità di Trieste . Oggi Frattini a Teheran ci
va. Gli scopi, benché si neghino i nessi con il nucleare, restano quelli di
prima. E oggi a Roma va da Berlusconi una delegazione ebraica con il presidente
del World Jewish Congress, Ronald Lauder, accompagnata dal deputato Alessandro
Ruben, Pdl. Non è azzardato prevedere che si parlerà anche lì di Frattini in
Iran. Sul tavolo Al centro della missione il piano per stabilizzare Afghanistan
e Pakistan Dietro le quinte Tra gli obiettivi italiani: più voce sulle sanzioni
contro l'Iran, nostro partner commerciale Documenti Presidente Mahmud
Ahmadinejad, 52 anni, mostra i documenti nel corso della procedura per
ricandidarsi alle elezioni di giugno Maurizio Caprara
( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
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Obama
"Mills mentì per conto di Berlusconi" Pubblicate
le motivazioni della sentenza L'avvocato inglese era imputato col premier
[FIRMA]UGO MAGRI ROMA Berlusconi torna a far parlare il mondo di sé, stavolta
non per divorzi e veline, ma per l'etichetta di corruttore che gli viene
appioppata dal Tribunale di Milano: un pessimo biglietto da
visita in vista del G8 di luglio con Obama, Sarkozy e
gli altri Grandi ospiti dell'Italia. Scrivono i magistrati nel motivare la
condanna di Mills (4 anni e 6 mesi inflitti a febbraio) che l'avvocato
britannico «agì da falso testimone per consentire a Silvio Berlusconi e al
gruppo Fininvest l'impunità». Se non ci fosse stato il famoso Lodo
Alfano, che fa scudo alle quattro massime cariche della Repubblica, il
presidente del Consiglio sarebbe condannato anche lui. Sul piano giuridico
l'ultima parola è di là da venire: bisogna aspettare l'appello, e pure il
parere della Consulta sul Lodo non è previsto prima dell'autunno. Ma le
conseguenze politiche sono immediate. Berlusconi è tentato dal costruirci sopra
la campagna elettorale. Nemmeno il tempo di apprendere la notizia da Milano, ed
ecco la mossa del premier. Fulminea: «Riferirò in Parlamento». Si annunciano
randellate a ridosso del voto, con l'aiuto delle tivù. Forte è la voglia di
mettere tutto in conto all'opposizione: sentenze, scandali, giornali ostili. Lo
sfogo furibondo a L'Aquila è solo un assaggio ben calcolato. Tatticamente il
corpo-a-corpo conviene al premier. Secondo Bonaiuti (il portavoce) Silvio è
lanciatissimo, si tratta solo di concordare la data delle Camere coi presidenti
Fini e Schifani. Qualcuno dei suoi tuttavia frena, va bene denunciare il
complotto, la giustizia a orologeria e i perfidi avversari, però magari su un
altro argomento meno imbarazzante del caso Mills, perché altrimenti si
aggiungono tossine a tossine, dopo le minorenni la corruzione, un bel giorno
d'improvviso l'Italia ne sarà sazia. E poi, obiettano i saggi dell'entourage,
«che senso avrebbe scatenare la canea giustizialista» e favorire Di Pietro? Già,
perché l'ex pm non aspetta di meglio, pure lui mette le vele al vento, dopo lo
show alla Fiera del libro punta al trionfo nelle urne. La sentenza milanese è
quanto di meglio poteva augurarsi. Se poi il premier cercherà lo scontro... Il
bersaglio vero è il Pd, per quanti sforzi faccia Franceschini di alzare la
voce, Tonino ha sempre un'ottava in più. Così pure stavolta, con il segretario
democratico surclassato nonostante una pronta dichiarazione che raccoglie il
guanto del Cavaliere: «Berlusconi venga in Parlamento ma a dire: io rinuncio ai
privilegi del Lodo Alfano, e mi sottopongo al giudizio come tutti i normali
cittadini». Franceschini si spinge dove mai né Fassino né Veltroni avevano
osato. Arriva a considerare la sentenza di primo grado su Mills come una
condanna finale, «dimostra in modo purtroppo incontestabile il coinvolgimento
del premier»: un addio garantismo che mette il berlusconiano Cicchitto in grado
di vincere facile («Non la pensavate così quando vi arrestavano in Campania,
Basilicata, Toscana e Calabria...»). Eppure non basta. Di Pietro è oltre,
inarrivabile. Si scatena contro Berlusconi «xenofobo, piduista, fascista e,
adesso, anche corruttore». Si dimetta o «altrimenti andremo avanti con una
richiesta di impeachment». Lo aizza, i rispettivi interessi convergono. Bersani
fiuta la trappola e prova a frenare: «Se Berlusconi viene a propinarci il
solito spot, si risparmi pure il viaggio...». D'Alema concorda, «invece che
alle Camere si rechi in Tribunale». Ma il dado è tratto. E Verdini, coordinatore
Pdl, già si frega le mani: «Non possiamo che prendere atto con gratitudine del
consueto e puntuale contributo della magistratura alla causa elettorale di
Berlusconi, e prepararci a un successo trionfale...».
( da "Corriere della Sera" del
20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 20/05/2009 -
pag: 10 ISLAM E OCCIDENTE Prima dell'Iran, il Pakistan talebano Da lì arriva la
minaccia nucleare di BERNARD-HENRI LÉVY I l Pakistan è la polveriera del mondo
contemporaneo. L'ho scritto sei anni fa nell'inchiesta sulla morte di Daniel
Pearl. L'ho ribadito il 12 settembre
( da "Corriere della Sera" del
20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Corriere della Sera sezione: Esteri data: 20/05/2009 -
pag: 19 Colpo a Obama Il Senato
Usa nega i fondi per chiudere Guantánamo WASHINGTON Il Senato americano ha
rifiutato di stanziare i fondi necessari alla chiusura del carcere di
Guantánamo annunciata da Barack Obama. È stata la
stessa maggioranza democratica alleata del presidente a negare gli 80 milioni
di dollari richiesti, assestando un duro colpo alla nuova
Amministrazione. Malgrado il Pentagono sia certo di poter portare a termine il
compito entro il 22 gennaio 2010, i democratici hanno sposato la posizione dei
repubblicani accusando la Casa Bianca di non aver ancora indicato una
sistemazione alternativa per i 240 prigionieri rinchiusi sull'isola di Cuba.
«Il denaro è stato chiesto prematuramente», ha dichiarato la senatrice
democratica Diana Feinstein, presidente della commissione Servizi Segreti.
Sulla stessa linea il capo della maggioranza al Senato, Harry Reid: «Non
permetteremo mai che un terrorista sia rilasciato sul suolo statunitense». La
Casa Bianca ha tentato di minimizzare il colpo: «Concordiamo con il Congresso
che prima di ottenere le risorse sia necessario un piano più dettagliato», ha
detto il portavoce Robert Gibbs. La settimana scorsa era stata la Camera dei
Rappresentanti a negare il via libera (nella foto Ap un detenuto a Guantánamo).
( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
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Obama
INCONTRI Norberto Bobbio Alle 20,30, Alberto Papuzzi
riflette sul tema «Rileggere la propria vita. Norberto Bobbio e la sua
autobiografia». L'incontro è organizzato, in occasione del centenario della
nascita del filosofo, dall'associazione per Via Sacchi per ricordare la figura
del grande uomo, il suo legame con la città, il suo rapporto con il quartiere e
con la via. Dopolavoro Ferroviario, via Sacchi 63 Ritratti femminili Conferenza
(ore 17) di Paola Venturelli, docente Università degli Studi dell'Insubria -
Como, sul tema «Quadri svelati. Gioielli e abiti di dame. Tra Piemonte,
Lombardia, Spagna». Ingresso libero, prenotare: tel. 011/837688 int. 3. Museo
Accorsi, via Po 55 Gli Appuntamenti Stamane alle 10, ci si interroga sul tema
«Dalla malattia mentale si può guarire?» con lo psichiatra Franco La Spina e
Gabriele Beccaria, responsabile di TuttoScienze de La Stampa. Unione
Industriale via Fanti
( da "Stampaweb, La" del 20-05-2009)
Argomenti:
Obama
Perché Barack Obama dovrebbe aver
perso il sonno dietro al suo libro? «Un amico ha dato una copia alla moglie
Michelle e lei ha detto che il Presidente lavrebbe
letto di sicuro, perché ama i saggi scientifici. E chi meglio può
convincerlo, se non unentusiastica First
Lady?». Provate a farvi ricevere dal simpatico professor Richard Muller e
nellufficio allUniversità di Berkeley, California, potrete giocare
al Presidente degli Stati Uniti. Avrete di fronte i problemi planetari del
momento e le loro caratteristiche, soprattutto le informazioni-base che non
avete mai osato chiedere su Al Qaeda, armi nucleari e biologiche, petrolio,
fotovoltaico ed economia dellidrogeno, più
riscaldamento
globale e corsa alla Luna e a Marte (e altro ancora). Un magnifico Risiko del
XXI secolo traboccante di dati e suggerimenti, nato come ciclo di lezioni per
capire «come funziona il mondo» e che si è trasformato in un libro, appena
tradotto. Si chiama «Fisica per i presidenti del futuro» e anche chi non ha mai
sognato la Casa Bianca, nemmeno per scherzo, si troverà con il cervello
sottosopra. Professore, lei è di casa a Washington: è consigliere per i
dipartimenti della Difesa e dellEnergia oltre che della Nasa e la
sua società GreenGov offre consulenze a molti Paesi. Come si comporta Obama? «Spero di vederlo presto con il mio libro
sottobraccio. Intanto linizio è incoraggiante,
ma lo scopo del saggio non è imporre consigli: prima di tutto è informare a
fondo. Così chi ha grandi responsabilità può prendere decisioni migliori». E una pretesa ambiziosa: che cosa significa in concreto? «Un
esempio: non importa se si è a favore o contro il nucleare. Il punto è che si
deve capire che cosè. Poi le opinioni possono cambiare, ma solo quando si ha
il quadro complessivo». Lei dedica un capitolo alle «false soluzioni» e un
altro alle «soluzioni a portata di mano». Tra le prime mette lidrogeno, le auto elettriche e la fusione nucleare: così
ridimensiona alcune tra le speranze più grandi. Le piace la parte del
provocatore? «Spiego che lerrore di molti è
sostenere che un tipo di energia - quella che preferiscono - debba essere usata
a discapito delle altre. Chi è a favore del solare nega il ruolo del vento o
del nucleare
e chi è nuclearista - e si tratta di unenergia
fondamentalmente pulita, perché i pericoli delle radiazioni vengono esagerati -
sbeffeggiano il solare, cadendo nello stesso equivoco». Nellelenco
«cattivo» mette il Protocollo di Kyoto e anche Bush la pensava così:
non è in imbarazzo? «Ci sono ottimi venditori, che strappano lattenzione dellopinione pubblica e finiscono per credere
alla loro stessa pubblicità. Lerrore più grave è proprio lidea che
il mondo avanzato possa ridurre le emissioni di CO2. Solo allora - prosegue il
ragionamento - gli “altri” seguiranno lesempio
e il riscaldamento globale si arresterà. Ma non è così: sarebbe vero se
tagliassimo le emissioni con tecnologie economiche. Le proposte attuali,
invece, sono troppo costose e per di più molti fingono di ignorare le
proiezioni dellIpcc, lInternational panel on
climate change dellOnu: la causa dellaumento dei gas serra -
rivelano - sono Cina e India, non Usa ed Europa. Conclusione: qualunque
soluzione costosa non colpirà mai al cuore il problema». A proposito di
soluzioni possibili, lei si dilunga su quella che sembra unovvietà: il risparmio energetico. «Invece è il metodo più
importante, più pratico e più economico». Poi incombe il terrorismo: lei
sostiene che non ci sarà un altro 11 settembre, ma che bisogna prepararsi a scenari
meno spettacolari ma più insidiosi. «Sono convinto che il pericolo provenga da
tecnologie semplici e a basso prezzo, come esplosivi e benzina, e non da armi
nucleari “sporche”, come si teme a Washington. Il futuro è degli attacchi low
tech». Perché considera la fisica così fondamentale per capire il mondo? E le
altre discipline? «Tutte le discipline scientifiche sono importanti, ma la
fisica è quella che conosco meglio e che, comunque, è legata a 5 tra le
questioni che sono percepite come le più urgenti: il terrorismo - come ho detto
- e poi energia, nucleare, spazio e mutamenti climatici. La fisica la fa sempre
da padrona». Non sopravvaluta i politici? Chi ha detto che devono sapere tutto?
Sono circondati da consiglieri proprio per questo, a cominciare da Obama. «Pensiamo che siano molte le cose che un Presidente
debba sapere, per esempio la differenza tra gli sciiti e i sunniti: non può
certo chiederlo al segretario di Stato, perché diventerebbe immediatamente
ridicolo». Allo stesso modo deve conoscere la fisica delle bombe atomiche e dei
reattori nucleari e sapere che cosè il
carbone pulito. E anche il riscaldamento globale: alcuni dicono che sia il
problema più grave e altri ribattono che è un non-senso. Come può un
Presidente decidere, limitandosi ad ascoltare i consiglieri che lui stesso ha
scelto? Ecco perché deve conoscere i fondamenti. Vi convincerò con un
aneddoto». Lo racconti. «Una studentessa mi dice di una cena con un famoso
fisico, che parla della fusione nucleare. Tutti lo ascoltano, finché lei vince
la timidezza: “Anche lenergia solare ha un
futuro”. Il fisico ribatte: “Impossibile. Solo per la California si dovrebbe
tappezzare di celle tutto lo Stato”. Ma lei non si scoraggia: “Non è vero. Basta
( da "Stampaweb, La" del 20-05-2009)
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Obama
ROMA La visita del Ministro degli Affari Esteri Franco
Frattini in Iran non avrà luogo a seguito della richiesta condizionante di
Teheran di prevedere lincontro protocollare
con il Presidente iraniano in una località diversa dalla capitale, a Semnan.
Tale
richiesta giunta stamane -scrive la Farnesina in una nota- non è stata accolta
dal ministro degli Esteri, che ha inteso esprimere il suo forte rammarico per
un'occasione perduta di approfondimento della possibilità e delle modalità di
coinvolgimento dellIran per la
stabilizzazione di Afghanistan e Pakistan. Il ministro degli Esteri sarebbe
dovuto arrivare in giornata nella capitale iraniana per invitare il suo omologo
iraniano, Manouchehr Mottaki, al G-8 dei ministri degli Esteri, a Trieste dal
27 al 27 giugno prossimi. La visita non era stata accolta con favore negli
ambienti diplomatici europei. Il Financial Times ha sottolineato che Roma
sarebbe stato il primo Paese a rompere il fronte europeo che dallelezione di Mahmoud Ahmadinejad alla presidenza, e dallinizio della crisi sul nucleare, ha affidato al responsabile
della politica estera europea, Javier Solana, il compito di tenere
ufficialmente le relazioni con il regime degli ayatollah. Negli ambienti
diplomatici occidentali Financial Times ha registrato sbigottimento
per liniziativa di Frattini. Il capo della
Farnesina, inoltre, non avrebbe avuto ricevuto «luce verde» da Washington e un
gesto unilaterale dellItalia- ha spiegato il quotidiano economico-
avrebbe solo leffetto di rafforzare Mahmoud Ahmadinejad a meno di un mese
dalle elezioni presidenziali. Intanto lIran
oggi ha testato un nuovo missile terra-terra, il Sejil-2, con un range di
( da "Repubblica.it" del 20-05-2009)
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Obama
WASHINGTON - Il Senato Usa ha bocciato uno stanziamento di
80 milioni di dollari per il trasferimento dei detenuti di Guantanamo negli
States. La proposta è passata con 90 voti favorevoli e 6 contrari, ed è stata
votata alla vigilia del discorso che il presidente Obama pronuncerà sulla strategia della lotta al terrorismo. Il voto
del Senato conferma lo scetticismo bipartisan verso il piano di Obama che punta a chiudere Guantanamo entro il gennaio del 2010. I
timori sono soprattutto sul destino dei 241 detenuti: molti esponenti del
Congresso temono possano essere portati o rilasciati negli Stati Uniti,
rappresentando così una minaccia per la sicurezza del paese. Sia i democratici
che i repubblicani chiedono al presidente Usa un piano più completo che indichi
soprattutto in che modo sarà gestito il problema dei prigionieri, una volta che
Guantanamo sarà chiusa. Fino a quando Obama non sarà
più preciso, il Congresso - hanno minacciato ieri gli stessi democratici - non
approverà la richiesta di finanziamenti da 80 milioni di dollari da destinare
alla chiusura del centro, presentata dallo stesso presidente. (20 maggio 2009