CENACOLO  DEI  COGITANTI

PRIMA PAGINA

TUTTI I DOSSIER

CRONOLOGICA

 

Report "Obama"   18-20 maggio 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

Mentre a Notre Dame i cattolici contestano in piazza l' abortista Barack Obama, a Ro... ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il Papa e Obama fanno parallelamente discorsi analoghi. Il punto di contatto potrà avvenire sulle soluzioni concrete». Ai suoi interlocutori il Pontefice spiega che «pensa di poter collaborare bene con Obama» e nei Sacri Palazzi si sa che Benedetto XVI è interessato alla visita di luglio in Italia del presidente Usa per il G8,

CORRISPONDENTE DA NEW YORK ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: invito rivolto a Barack Obama a parlare alla cerimonia annuale di laurea ha spaccato il campus in ragione delle sue posizioni a favore dell'aborto e della ricerca sulle cellule staminali. Quando Obama entra nel grande stadio dell'ateneo vestito con la toga giallo-blu il rettore John Jenkins lo accoglie consegnandogli la laurea honoris causa e pronuncia un discorso che invita «

Jacopo Iacoboni ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: se si guarda al resto del mondo non è così» (poi D'Alema cita Obama, Lula e l'India, Bertinotti ci infila anche Chávez; ma sono differenze da poco; e noi siamo in Europa). Insomma, per dirla in dipietrese: gli sta andando a fregare l'acqua nel loro vaso. Con invenzioni a loro modo memorabili, da consegnare al nuovo lessico politico.

LA RABBIA E LA FAVOLA ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: iniziale di Obama, ormai largamente esauritasi, come spiegava su queste colonne qualche giorno fa Enzo Bettiza) e una massa di persone incerte che si sentono trascurate dall'economia e ignorate dalla politica. E potrebbero risultare sempre più inclini a travolgere i palchi delle manifestazione serie e ad accalcarsi attorno a quelle che promettono facili evasioni.

È stato fatto edificare da Cheney nel 2002 e nessuno sapeva della sua esistenza ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama. Lo scivolone di Biden non è arrivato con una battuta ma esponendo un lungo pensiero ragionato che la giornalista descrive così: «Biden ha messo al corrente i suoi compagni di tavolo del fatto di essere stato accompagnato da un marine nel luogo segreto che si trova dietro una massiccia porta di acciaio chiusa con un lucchetto molto complicato e collegata a uno stretto corridoio

Paula, la regina selvaggia del Potomac ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: elfo dei parchi federali" Veglia su cervi e anatre a due passi da Obama NICK MIROFF WASHINGTON Nella lunga tradizione dello spirito indipendente americano - che spinge a schivare le convenzioni sociali per una vita più semplice - la maggior parte dei fuggitivi si sono diretti verso gli spazi selvaggi. Henry David Thoreau andò sul lago Walden.

Ho cominciato a scrivere quando ho capito che non avrei mai guidato un aereo della Palestinian Airfo... ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: presidente americano Obama incontra il premier israeliano Netanyahu: cosa si aspetta? «Obama mi piace, dopo Bush apprezzerei chiunque. Ma i palestinesi sanno che l'America non li ha mai veramente sostenuti. Sono scettico: la costruzione delle colonie ebraiche continua, le case palestinesi vengono demolite, il ministro degli Esteri Liberman vorrebbe sbarazzarsi anche di noi arabi-

Sono capaci di mescolare l'alto e il basso: l'esempio di Pertini al Mundial '82 ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: allo stesso Obama che qualche giorno fa, in un incontro con i giornalisti, ha infilato una battuta dietro l'altra, sul suo vice Joe Biden, su Hillary Clinton, su se stesso. Sono atteggiamenti che solo apparentemente mescolano alto e basso: in effetti eludono ogni comprensione critica, sono piuttosto profanazioni.

Se è vero che, come dice lo psicologo Arthur Fischer, i giovani sono tutti giovani; per i... ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: E non è solo l'ammirazione per Obama, spiccata anche in Germania. Bensì la scelta di un canale tv: ProSieben, una sorta di Canale 5 tedesca. Perché? «In televisione cerco anche reportage e sport, ma soprattutto intrattenimento», spiega Florian, un ventunenne di Monaco. E ProSieben è un concentrato di intrattenimento.

"Dai tempi di Bush il rapporto si è rovesciato" ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ala radicale del fronte di Obama non passi il segno e non costringa Roma allo scontro indesiderato. E' l'attuale atteggiamento del Papa verso Obama secondo John L. Allen, corrispondente dall'Italia per National Catholic Reporter e principale analista del Vaticano per la Cnn, il giornalista americano più addentro ai segreti d'Oltretevere.

Il caso Fiom ricompatta il sindacato ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ma sollecita il governo ad aprire il dossier Fiat, come fatto Barack Obama negli Usa e Angela Merkel in Germania. Guglielmo Epifani lancia l'allarme sul conflitto sociale che «si può aggravare, soprattutto se non si fa nulla». Idea condivisa dalla Cisl con Raffaele Bonanni che definisce l'aggressione «un'azione squadristica».

"Creiamo un network dei progressisti" ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Aquila Obama presiederà una riunione del Forum su energia e clima. Cosa si attende Obama dall'Europa? «Il Forum serve a compiere progressi in vista della Conferenza di Copenhagen di dicembre. L'incontro di aprile è stato positivo. Siamo in un momento economico difficile e molte nazioni sono alle prese con gli stessi problemi che abbiamo noi.

"Non sarei scrittore senza i libri della Ginzburg" ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: presidente americano Obama incontra il premier israeliano Netanyahu: cosa si aspetta? «Obama mi piace, dopo Bush apprezzerei chiunque. Ma i palestinesi sanno che l'America non li ha mai veramente sostenuti. Sono scettico: la costruzione delle colonie ebraiche continua, le case palestinesi vengono demolite, il ministro degli Esteri Liberman vorrebbe sbarazzarsi anche di noi arabi-

Pop o papi, questo è il problema ( da "Stampa, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: realtà e finzione sono diventate una cosa sola «Chi parla così pensa che non c'è una verità ma soltanto favole» Da Obama alla Dati: battute per eludere le responsabilità [FIRMA]MAURIZIO ASSALTO Pop o papi? Potrebbe diventare il nuovo tormentone, sulla falsariga del giochino disgiuntivo «rock o lento» di celentanesca memoria. Umberto Eco è pop, le veline sono papi.

Obama nell'università cattolica Gli antiabortisti lo fischiano ( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: NOTRE DAME (Indiana) - Barack Obama fischiato all'università cattolica di Notre Dame nell'Indiana, la prima vera contestazione pubblica della sua recente presidenza. I cattolici contestano al presidente la sua politica favorevole all'aborto e alla ricerca sulle staminali.

sull'aborto obama sfida i fischi - washington ( da "Repubblica, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina Sull´aborto Obama sfida i fischi WASHINGTON Il piano della destra americana e dei cristiani intolleranti per rilanciare la "guerra dei valori" sull´aborto contro Barack Obama, credeva di avere trovato nella cattolicissima università di Notre Dame il Piave dal quale muovere per attaccarlo.

la trappola dei conservatori - (segue dalla prima pagina) vittorio zucconi ( da "Repubblica, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ma semplicemente perché Obama non si è presentato come "il dottor aborto", ma come qualcuno che vuole ascoltare anche le opinioni degli altri. Che vuole rispettare i diritti senza imporli come doveri e soprattutto battersi - ed è questo il tallone d´Achille dell´intransigenza dottrinale - per ridurre le gravidanze non desiderate.

aborto, obama sfida i fischi nel campus di "notre dame" - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la più prestigiosa onorificenza offerta dal college sostenendo che invitare Obama «significa non capire cosa vuol dire essere cattolici». «Onoriamo la coscienza di chi non è d´accordo con l´aborto», ha detto Obama malgrado il suo discorso sia stato interrotto più volte dai contestatori. «Vi ringrazio per questo diploma onorario, so che è stata una scelta controversa».

e dopo i giochi proibiti l'uomo dell'anno di time adesso si dà al far west - jaime d'alessandro new york ( da "Repubblica, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: a differenza di quello di Barack Obama, Angela Merkel, o Brad Pitt, non dice molto ai più, eppure tutti conoscono i videogame prodotti dai due fratelli, cominciando dalla serie di Grand Theft Auto venduta in oltre 70 milioni di copie. Ritratto violento e dissacrante dell´America contemporanea che Matt Selman, sceneggiatore dei Simpson,

L'assalto di Torino Marcegaglia: evitare il conflitto sociale ( da "Corriere della Sera" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: unico modo per prevenire le tensioni sociali è intervenire con misure concrete e efficaci». Duro il giudizio di Massimo D'Alema, che bolla come «un atto di teppismo» l'episodio di Torino, ma sollecita il governo ad aprire il dossier Fiat, come hanno fatto Barack Obama negli Usa e Angela Merkel in Germania. Gabriele Dossena

Fischi dai cattolici Ma Obama invita al dialogo sull'aborto ( da "Corriere della Sera" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il grido di battaglia della campagna di Obama. Il rettore di Notre Dame, John Jenkins, che in queste settimane ha dovuto fronteggiare le proteste di docenti, allievi e di gran parte della gerarchia ecclesiastica per l'invito rivolto a Obama, ha elogiato il presidente per la sua «disponibilità al dialogo con chi non la pensa come lui».

L'ombra delle torture insegue il generale dell'Afghanistan ( da "Corriere della Sera" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente Obama si è opposto ma alcune immagini sono comparse in Australia e sono state pubblicate. Una «fuga» che potrebbe essere seguita da altre creando imbarazzi e contrasti. La Casa Bianca, mostrando pragmatismo, cerca di guardare avanti ma deve fare i conti con un passato scritto da altri.

insulti ( da "Corriere della Sera" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Corriere della Sera sezione: Esteri data: 18/05/2009 - pag: 17 Urla e insulti Un militante anti-abortista contesta Obama durante il discorso alla Notre Dame. Viene portato via (Reuters/Jason Reed)

La trappola dei conservatori ( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: aborto contro Barack Obama, credeva di avere trovato nella cattolicissima università di Notre Dame il Piave dal quale muovere per attaccarlo. Il piano non è riuscito, non soltanto perché il trucco del neonato piangente era troppo osceno anche per i militanti della destra cristiana e i disturbatori organizzati in loggione erano troppo pochi,

La bomba di Teheran voto all'ombra del nucleare ( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: accettazione della mano tesa di Obama. O addirittura dell'arma nucleare di cui neppure si è parlato e si parla, anche se è nei cervelli. La questione dell'apertura all'America di Obama, con tutte le sue conseguenze, non viene affrontata, resta nel sottofondo. E' sottintesa come tanti altri problemi nella Repubblica Islamica.

Tonino, il castigatore show ( da "Stampaweb, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Alema cita Obama, Lula e l?India, Bertinotti ci infila anche Chávez; ma sono differenze da poco; e noi siamo in Europa). Insomma, per dirla in dipietrese: gli sta andando a fregare l?acqua nel loro vaso. Con invenzioni a loro modo memorabili, da consegnare al nuovo lessico politico.

E dopo i giochi proibiti Dan Houser si dà al Far West ( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: a differenza di quello di Barack Obama, Angela Merkel, o Brad Pitt, non dice molto ai più, eppure tutti conoscono i videogame prodotti dai due fratelli, cominciando dalla serie di Grand Theft Auto venduta in oltre 70 milioni di copie. Ritratto violento e dissacrante dell'America contemporanea che Matt Selman, sceneggiatore dei Simpson,

Obama-Netanyahu, primo faccia a faccia nell'agenda l'ipotesi "due Stati" ( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: mentre Obama insiste per un approccio "soft", dopo aver assunto in prima persona il ruolo di promotore di una nuova era di disgelo verso Teheran. OAS_RICH('Middle'); Secondo quanto riportano i giornali israeliani l'incontro tra Netanyahu e Obama sarebbe stato intanto preparato da "discreti contatti" nei giorni scorsi tra Israele e le autorità palestinesi.

L'Ue si prepara al vertice di giugno ( da "Stampaweb, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Iran si è deciso di attendere le prossime mosse di Teheran dopo l?apertura di Obama al paese, anche se Scotti ha ribadito l?intenzione di “invitare Teheran a Trieste, quando sotto la presidenza del G8, si discuterà della situazione in Afghanista”. commenti (0) scrivi

E' online la ricerca semantica di Wolfram Alpha ( da "Stampaweb, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: + Obama vuole ascoltare i cittadini J. BROOKE AKER e LUCA SCAGLIARINI + "Wolfram Alpha" il software che risponde alle domande FRANCESCO SEMPRINI + Per il Web profondo a cui non arriva Google, ecco nuove tecnologie + Software italiano vince l'Oscar della telefonia mobile + I vantaggi della tecnologia semantica

Obama-Netanyahu, primo faccia a faccia non si scioglie il nodo dei Territori ( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Parole che Obama accoglie chiedendo ad Israele "di fermare gli insediamenti dei coloni". Per quanto riguarda il dialogo con l'Iran, Obama dice di non voler fissare scadenze artificiali. Parole che confermano l' approccio "soft" del presidente Usa, che ha assunto in prima persona il ruolo di promotore di una nuova era di disgelo verso Teheran.

Faccia a faccia Obama-Netanyahu ( da "Stampaweb, La" del 18-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha rinnovato il suo appello alla creazione di uno stato palestinese, confermando al premier israeliano Benjamin Netanyahu che gli Usa sono impegnati a una soluzione «a due stati» Obama si è rivolto a Netanyahu parlando della necessità di capitalizzare la «storica opportunità» di riavviare le trattative di pace in Medio Oriente.

Navajo, la tribù indiana che resiste alla recessione ( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: effetti sperati e con Barack Obama si puntava a una rinascita verde in linea con le tradizioni locali. Ma dei 787 miliardi di dollari stanziati per rilanciare l'economia solo 2,5 milioni sono destinati alle riserve. «Basta vedere la crisi in cui si trova il Paese intero per capire quello che noi viviamo da sempre - dice Dante Desiderio del National Congress of American Indians -

"Per l'Anp la soluzione è unirsi alla Giordania" ( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama che Israele rischia un secondo Olocausto». Così Meyrav Wurmster, titolare degli Studi mediorientali dell'Hudson Institute, riassume che cosa è avvenuto fra i due leader nello Studio Ovale. Perché Obama ha indurito i toni con l'Iran? «Fra Obama e Netanyahu restano delle importanti differenze perché Netanyahu considera il nucleare iraniano una minaccia esistenziale per lo Stato

Iran, Obama rassicura Israele ( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama rassicura Israele [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI INVIATO A WASHINGTON Barack Obama chiede all'Iran di bloccare il programma nucleare «entro la fine dell'anno» e Benjamin Netanyahu è pronto a «riprendere immediatamente» i colloqui di pace con i palestinesi, mentre tace sull'ipotesi dei due Stati appoggiata da Washington: le dichiarazioni dei due leader al termine di un colloquio alla

netanyahu gela obama "niente stato palestinese" ( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Netanyahu gela Obama "Niente stato palestinese" WASHINGTON - Il premier israeliano Netanyahu gela Obama nell´incontro alla Casa Bianca, rifiutandosi di usare il termine "due Stati" parlando della questione tra palestinesi e israeliani. Netanyahu si è spinto solo a dichiarare di essere favorevole «all´autogoverno» dei palestinesi e di essere pronto a far ripartire subito i negoziati,

palestina, netanyahu gela obama - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Incoraggianti le parole di Obama, deludente Netanyahu» ha commentato ieri) e con il presidente egiziano Mubarak diventino pura facciata, la Casa Bianca dovrà, come minimo, lavorare ancora molto. Da Netanyahu, Obama ha ottenuto il sì ad «immediati» colloqui di pace tra israeliani e palestinesi ma le condizioni dettate dal premier israeliano rendono l´

partita a scacchi - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: da Obama, sarà l´utimo treno della notte, prima che ogni ipotesi di pace svanisca per generazioni in nuovi bagni di sangue ebreo e arabo. Se è certamente sempre più facile pensare e invocare la pace stando a novemila e 400 chilometri da Gerusalemme o da Gaza, piuttosto che sotto la pioggia dei razzi di Hamas o sotto la quotidiana moltiplicazione di insediamenti ebraici illegali,

la scomparsa della socialdemocrazia - massimo l. salvadori ( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama, la sua entrata in campo a «difesa del principio di una più ampia libertà di scelta individuale sulle questioni della vita» e di altri principi «in linea con le tendenze del centrosinistra». Se concordo con Berta sul dato incontrovertibile dell´eclisse della socialdemocrazia (che per lui in realtà più che un eclisse è un inarrestabile tramonto e per me un serio rischio di tramonto)

"Il Pakistan prepara nuove atomiche" ( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: da Barack Obama, sostiene che il Pakistan «ha la maggiore concentrazione mondiale di terroristi per metro quadrato, mentre il suo programma nucleare sta crescendo a una velocità che non ha eguali altrove». Il timore che le atomiche di Islamabad finiscano nelle mani sbagliate ha spinto gli Usa a stanziare cento milioni di dollari per garantire la messa in sicurezza degli arsenali (

I RISCHI DEL NUOVO DISGELO ( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: tenendo presente che Obama e Medvedev si erano detti convinti, nel loro recente, felice incontro, del successo dei negoziati (inizio previsto per questo mese) per il rinnovo del Trattato Start sulla riduzione delle armi strategiche in scadenza a dicembre, dall'una e dall'altra parte si è forse pensato che fosse il caso di cambiare i toni.

Obama concede sei mesi all'Iran ( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: stop agli insediamenti Obama concede sei mesi all'Iran "Non negozieremo all'infinito" Obama chiede all'Iran di bloccare il programma nucleare «entro la fine dell'anno» e Benjamin Netanyahu è pronto a «riprendere immediatamente» i colloqui di pace con i palestinesi, mentre tace sull'ipotesi dei due Stati appoggiata da Washington.

"Sms, blog, social e network così ho fatto vincere Obama" ( da "Repubblica.it" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: nei nostri messaggi, Barack Obama appariva poco, il nostro messaggio non era "votate Obama" ma "fate sentire la vostra voce"". Il web sta cambiando la politica in America? "Non si può dire ancora, diciamo che si è messo in moto un cambiamento. Si è chiarito soprattutto un equivoco riguardo ai nuovi media.

"sms, blog, social e network così ho fatto vincere obama" - ernesto assante ( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: nei nostri messaggi, Barack Obama appariva poco, il nostro messaggio non era "votate Obama" ma "fate sentire la vostra voce"». Il web sta cambiando la politica in America? «Non si può dire ancora, diciamo che si è messo in moto un cambiamento. Si è chiarito soprattutto un equivoco riguardo ai nuovi media.

Il governo Usa ha troppi debiti Basta sprecare soldi per le agenzie Fannie e Freddie ( da "Stampa, La" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: \ L'amministrazione Obama vuole mantenere fuori bilancio alcune spese per il salvataggio. Si tratta di oltre 500 miliardi di dollari per il Fondo Monetario Internazionale, di parte del Tarp, il programma di aiuti per gli asset tossici e dei salvataggi di Fannie Mae e Freddie Mac.

fiat stringe su opel. merkel: fase decisiva - salvatore tropea ( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama o, più realisticamente, per sollecitare un extra time rispetto alla scadenza del 31 maggio allo scopo di evitare che la Opel finisca come la casa madre sul terreno del fallimento senza avere però il paracadute del Chapter 11. In questa concitata vigilia continuano a circolare indiscrezioni vecchie e nuove sull´operazione Opel e sugli effetti collaterali che interesserebbero

Obama a Netanyahu ( da "Corriere della Sera" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 19/05/2009 - pag: 1 Incontro alla Casa Bianca Obama a Netanyahu «Uno Stato palestinese» Incontro alla Casa Bianca tra Obama e Netanyahu. Il presidente Usa chiede «uno Stato palestinese». Il premier israeliano ignora la proposta. Monito all'Iran sul nucleare. A PAGINA 16 Valentino

Obama accelera sulle auto verdi ( da "Corriere della Sera" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 7 Meno consumi Obama accelera sulle auto verdi NEW YORK - (m.ga.) Un'altra mossa audace di Obama che, dopo aver deciso di salvare, almeno in parte, l'industria automobilistica Usa sprofondata in una grave crisi, ora le impone di perseguire obiettivi di risparmio energetico e riduzione dell'inquinamento più ambiziosi di quelli votati dal Congresso.

Obama a Netanyahu: ( da "Corriere della Sera" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Teheran pericolo anche per gli arabi Obama a Netanyahu: «Uno Stato palestinese» Il premier israeliano ignora la proposta e promette una «ripresa dei negoziati» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Hanno parlato per più di due ore, ben oltre il tempo previsto. E alla fine hanno detto entrambi le cose che ci si aspettava dicessero, divergenze comprese.

E il ragazzo prodigio scrive il discorso-chiave ( da "Corriere della Sera" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: che collaborano alla stesura dei discorsi del presidente Obama: l'ultimo a destra è il leader, Jon Favreau (detto Fav, 28 anni, laurea alla Holy Cross, università dei gesuiti). Accanto a lui Ben Rhodes, 31, specializzato in politica estera (lavora al discorso ai musulmani che Obama farà al Cairo). Sarah Hurwitz è stata la speech-writer di Hillary Clinton.

Norma, l'eroina abortista che ora fischia il presidente ( da "Corriere della Sera" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: durante il discorso di Barack Obama. «È scandaloso che una istituzione cattolica inviti a parlare un presidente pro-aborto che vuole allargare la ricerca sulle cellule staminali embrionali», spiega al Corriere la Mc- Corvey, che dopo la conversione al cattolicesimo e al partito repubblicano è diventata una delle più ferventi esponenti del movimento pro-

Territori, Hamas all'attacco di Obama "Vuole fuorviare opinione pubblica" ( da "Repubblica.it" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: presidente degli Stati Uniti Barak Obama, all'indomani dell'incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. "Le affermazioni e le manifestazioni di speranza del presidente statunitense Barack Obama hanno l'unico obiettivo di ingannare la comunità internazionale in merito a qualsiasi questione legata ai comportamenti e all'esistenza dell'entità sionista razzista e radicale"

Obama: "Storico piano per taglio emissioni" ( da "Repubblica.it" del 19-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Lo dice a Washington il presidente Barack Obama nella conferenza stampa in cui ha annunciato nuove misure per produrre e commercializzare in futuro negli Stati Uniti solo autovetture a maggiore risparmio energetico. L'amministrazione propone di fissare uno standard nazionale sui consumi e sulle emissioni delle auto, superando così le divergenze eistenti a livello statale,

Napolitano: più Europa a Kabul ( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: obamiano, pronunciato ieri nella sede dell'Istituto Internazionale di Studi Strategici, Giorgio Napolitano si è detto convinto che occorra un maggiore impegno europeo, e quindi anche italiano, in Afghanistan. «Sono fermamente convinto - ha sostenuto il presidente della Repubblica - che una partecipazione europea più attiva nelle operazioni di mantenimento e ristabilimento della pace

Franceschini: "Tutti i giorni mettete i politici ai raggi x" ( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama non ha vinto contrapponendosi alla politica di Bush ma mettendo in campo una gerarchia di valori completamente opposta. Anche in Italia dobbiamo portare la sfida sui valori, perché è lì che siamo più forti. E sarà una sfida lunga nel tempo ma piena di fascino, perché un conto è fare un partito nuovo in un tempo immobile,

GABRIELE BECCARIA Perché Barack Obama dovrebbe aver perso il sonno dietro al suo libro?<... ( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: GABRIELE BECCARIA Perché Barack Obama dovrebbe aver perso il sonno dietro al suo libro? «Un amico ha dato una copia alla moglie Michelle e lei ha detto che il Presidente l'avrebbe letto di sicuro, perché ama i saggi scientifici. E chi meglio può convincerlo, se non un'entusiastica First Lady?

I leader devono studiare Ora o mai più ( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ha lanciato un programma di maxi-investimenti nella ricerca, ma la scienza non è popolare tra i politici. Fa eccezione il cancelliere tedesco Angela Merkel, che è laureata in fisica. Come crede di convincere i leader a prendere lezioni?

I cervelloni del piano sono tre studiosi di fama mondiale tra cui un Nobel ( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama era il quarto Presidente a parlare alla National Academy, a 45 anni di distanza dall'ultimo a presentarsi lì, un certo John Fitzgerald Kennedy. Non a caso Obama ha sottolineato che dopo il balzo degli Anni 60, al momento della corsa allo spazio e alla Luna, la percentuale di Pil dedicata alla ricerca e sviluppo non ha fatto che calare e si è «

Ricerca. Il primo budget federale dell'era Obama mantiene le promesse: 450 miliardi in 5 anni per i laboratori La maggior parte degli investimenti andranno nell'energia pulita, ma ( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ricerca. Il primo budget federale dell'era Obama mantiene le promesse: 450 miliardi in 5 anni per i laboratori La maggior parte degli investimenti andranno nell'energia pulita, ma anche alla scienza di base, fisica in testa

Carte di credito Usa sì alla ricetta di Obama ( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il caso Una stretta su interessi e commissioni TRASPARENZA Carte di credito Usa sì alla ricetta di Obama FRANCESCO SEMPRINI Variare le condizioni del credito sarà più difficile NEW YORK Il Senato americano approva con voto plebiscitario il progetto di legge sulle carte di credito consentendo di compiere un altro passo in avanti alla riforma del settore voluta da Barack Obama.

IL TIFOSO DI OBAMA VENDE VINI E STORIE ( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Giro di vite IL TIFOSO DI OBAMA VENDE VINI E STORIE Sergio Miravalle Lorenzo non vede l'ora di poter girare per la «sua» California con un'Alfa Romeo o una Fiat. E' tra i fans di Obama e ha seguito con estremo interesse, come tantissimi in America, le trattative Fiat-Chrysler.

Il motore pulito è la carta segreta del Lingotto ( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: propulsore verrà montato sulla piccola Alfa che sarà venduta negli Usa PIERO BIANCO TORINO Il motore che vuole Obama è già pronto. È il Multiair 1.4 che debutterà a metà settembre sull'Alfa Romeo MiTo e progressivamente (con diverse cilindrate) sugli altri modelli del gruppo, a cominciare dalla 500 per cui è pronto un bicilindrico turbo di 900 cc dalle prestazioni straordinarie.

Usa, addio alle auto inquinanti ( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama invia la legge al Congresso Taglio radicale alle emissioni nocive MAURIZIO MOLINARI In vigore la legge di Schwarzenegger milioni di tonnellate «In 5 anni risparmieremo 1,8 miliardi di barili di petrolio sui consumi nazionali» CORRISPONDENTE DA NEW YORK Barack Obama taglia le emissioni nocive delle autovetture richiamandosi alle severe norme della California facendo compiere

napolitano: "non lasciamo sola l'america" ( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: elezione di Obama alla guida dell´America. L´Unione europea, secondo il capo dello Stato, ha «fatto non poco» per un «nuovo concetto di sicurezza». Ora però il proposito di «arricchire» la sicurezza «non è una buona ragione per sfuggire a una valutazione degli aspetti militari e a un impegno congiunto di difesa collettiva».

"gli impianti fiat in italia non si toccano" ( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: casa madre Gm che di suo è alle prese con la task force di Obama ed ha come termine ultimo Il 31 maggio per la presentazione di un piano salvataggio al quale sono condizionati i finanziamenti pubblici necessari ad evitare il peggio. In Italia i sindacati continuano a sollecitare al governo un incontro a tre con la Fiat in grado di allontanare i timori di chiusure di stabilimenti.

obama lancia la rivoluzione verde un tetto ai consumi di carburante - arturo zampaglione ( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Economia I vantaggi La svolta Il presidente americano detta nuove regole per ridurre la dipendenza dal petrolio e l´inquinamento Obama lancia la rivoluzione verde un tetto ai consumi di carburante Risparmieremo 1,8 miliardi di barili. Come togliere dalla strada per un anno 53 milioni di veicoli Si tratta di un´intesa importante, storica, che in passato sarebbe stata inimmaginabile.

le donne, lo strupro e l'aborto - corrado augias ( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Domenica scorsa il presidente Obama nel?l'universit? di "Notre Dame" ha detto tra le altre queste parole che faccio mie: ?Lavoriamo insieme per ridurre il numero delle donne che vogliono abortire diminuendo le gravidanze non volute?. Mi pare un approccio umanistico al problema.

è gelo tra israele e stati uniti "quel vertice è stato un fallimento" - alberto stabile ( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: E Hamas attacca Obama Disaccordo su tutti i temi in agenda Dal nucleare iraniano ai "due Stati" ALBERTO STABILE dal nostro corrispondente GERUSALEMME - "Disaccordo!" (Maariv). "Dopo tre ore di colloqui (Obama e Netanyahu) si sono ritrovati d´accordo quasi su niente" (Yediot Ahronot).

la terza vita di "bubba" costretto a salvare haiti - vittorio zucconi washington ( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: con l´avvento della amministrazione Obama e l´ascesa della moglie alla Segreteria di Stato si era parlato molto di incarichi solenni, addirittura di ambasciate alle Nazioni Unite, qualunque missione potesse utilizzare il suo carisma ancora immenso e lo tenesse lontano dalle tentazioni, pubbliche e private, di Washington.

Supercar addio, Obama converte l'America ai micro-consumi ( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Scompariranno 177 milioni di automobili Supercar addio, Obama converte l'America ai micro-consumi WASHINGTON Affiancato dai manager delle più grandi case automobilistiche, dai governatori degli Stati più potenti, dai leader sindacali e dagli ambientalisti, il presidente Obama ha ieri dato il via alla lunga marcia verso l'auto verde americana.

David cerca voti al mercato ( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la maglietta con la faccia di Obama e la scritta «Yes, we can». «Ero comunista da bambina, e sono comunista pure adesso. Ma il voto no, David mio, il voto non posso dartelo». Poi però glielo promettono in venti, trenta. «Senta, io la voto: ma non è che poi mi torna indietro da Strasburgo come la Gruber e Santoro, eh?

Napolitano a Londra: Europa marginale senza capacità militari ( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Anche quella svolta, seguita dall'arrivo di Obama alla Casa Bianca, ha aperto una «nuova fase» nei rapporti tra America, Russia ed Europa. Mentre incombe su tutti la minaccia del terrorismo. Ed è qui (tenendo sullo sfondo Afghanistan e Medio Oriente, dove sono attive «missioni di peacekeeping con 8.

Khalilzad: da uomo di Bush a di Obama nel governo in Afghanistan ( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: a Kabul Khalilzad: da uomo di Bush a «infiltrato» di Obama nel governo in Afghanistan DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Era l'ambasciatore di George W. Bush a Kabul e a Bagdad. Ora potrebbe diventare l'uomo di Barack Obama dentro il governo afghano, il garante di un'efficace lotta alla corruzione e al traffico di droga.

Dossier nucleare, Frattini a Teheran ( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Interessato a risultare utile all'Amministrazione di Barack Obama, che tuttora non ha accolto il presidente del Consiglio alla Casa Bianca e lo farà soltanto in vista del G8 a presidenza italiana, Frattini puntava già ad avere Mottaki a una conferenza sull'Afghanistan con i ministri del G8 convocata tra il 25 e il 27 giugno a Trieste.

"Mills mentì per conto di Berlusconi" ( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: un pessimo biglietto da visita in vista del G8 di luglio con Obama, Sarkozy e gli altri Grandi ospiti dell'Italia. Scrivono i magistrati nel motivare la condanna di Mills (4 anni e 6 mesi inflitti a febbraio) che l'avvocato britannico «agì da falso testimone per consentire a Silvio Berlusconi e al gruppo Fininvest l'impunità».

Prima dell'Iran, il Pakistan talebano Da lì arriva la minaccia nucleare ( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama abbia infine valutato la portata del pericolo è, naturalmente, una buona notizia. Che la Francia si sia dotata del «rappresentante speciale» Pierre Lellouche, noto, anch'egli, per la lucidità su tali problemi, è ugualmente confortante. Ma questo non ci dice, purtroppo, né quel che è bene fare né quel che è consentito sperare:

Il Senato Usa nega i fondi per chiudere Guantánamo ( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 19 Colpo a Obama Il Senato Usa nega i fondi per chiudere Guantánamo WASHINGTON Il Senato americano ha rifiutato di stanziare i fondi necessari alla chiusura del carcere di Guantánamo annunciata da Barack Obama. È stata la stessa maggioranza democratica alleata del presidente a negare gli 80 milioni di dollari richiesti,

INCONTRI Norberto Bobbio Alle 20,30, Alberto Papuzzi riflette sul tema Rileggere la prop... ( da "Stampa, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: piazza Castello Obama e la Cina Oggi (ore 16) Yu Shen, docente di Storia e studi internazionali alla Indiana University Southeast, tiene una conferenza sul tema: «Obama and China: new administration in search of new direction». Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, Sala Lauree, via Verdi 10 LIBRI Mafia Salvo Sottile,

"E' la fisica, Mister President" ( da "Stampaweb, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Perché Barack Obama dovrebbe aver perso il sonno dietro al suo libro? «Un amico ha dato una copia alla moglie Michelle e lei ha detto che il Presidente l?avrebbe letto di sicuro, perché ama i saggi scientifici. E chi meglio può convincerlo, se non un?entusiastica First Lady?

Frattini cancella la visita a Teheran ( da "Stampaweb, La" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: incontro tra Barack Obama e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, a Washington- è destinato a indebolire il fronte di coloro che, come il presidente americano, tentano di disinnescare la miccia di una prossima guerra tra Israele e Iran. Ahmadinejad, che il 12 giugno affronterà in patria la sfida politica dei moderati,

Il Senato dice no a Obama sui detenuti di Guantanamo ( da "Repubblica.it" del 20-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: vigilia del discorso che il presidente Obama pronuncerà sulla strategia della lotta al terrorismo. Il voto del Senato conferma lo scetticismo bipartisan verso il piano di Obama che punta a chiudere Guantanamo entro il gennaio del 2010. I timori sono soprattutto sul destino dei 241 detenuti: molti esponenti del Congresso temono possano essere portati o rilasciati negli Stati Uniti,


Articoli

Mentre a Notre Dame i cattolici contestano in piazza l' abortista Barack Obama, a Ro... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Mentre a Notre Dame i cattolici contestano in piazza l'«abortista» Barack Obama, a Roma il Vaticano detta la linea del silenzio. E intanto tesse la tela del rinnovato dialogo con la Casa Bianca. E' il Papa in persona a calibrare la strategia: collaboriamo con il presidente americano in politica estera, prendiamo le distanze dal finanziamento alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, sull'obiezione di coscienza dei medici per l'eutanasia e la legislazione abortista. Benedetto XVI, ricevendo nelle ultime settimane i superiori della Segreteria di Stato, ha espresso interesse verso l'operato del nuovo presidente Usa e il desiderio di conoscerlo personalmente. L'«ostpolitik» pontificia verso l'Amministrazione Usa non cancella i rilievi critici sulla bioetica, ma «punta su ciò che unisce più che su ciò che divide», evidenzia il cardinale Achille Silvestrini, ex ministro degli Esteri: «Per ora su Medio Oriente e distensione con l'Islam, il Papa e Obama fanno parallelamente discorsi analoghi. Il punto di contatto potrà avvenire sulle soluzioni concrete». Ai suoi interlocutori il Pontefice spiega che «pensa di poter collaborare bene con Obama» e nei Sacri Palazzi si sa che Benedetto XVI è interessato alla visita di luglio in Italia del presidente Usa per il G8, perché ritiene che ci sia la possibilità di una piattaforma di contatto a partire dalla mano tesa al mondo arabo e all'Iran. «La sua politica estera, l'idea di pacificazione e disarmo corrispondono a quanto pensiamo noi, quindi possiamo trovare punti di contatto su molti temi», ha argomentato nei giorni del viaggio in Medio Oriente il Papa coi suoi collaboratori. «In politica estera ci sono importanti consonanze, come la proposta dei due Stati per palestinesi e israeliani nella comune speranza di passi avanti verso la pace - precisa il portavoce papale, padre Federico Lombardi -. Sulle posizioni etiche interne, come testimoniato dall'episcopato Usa, restano divergenze. La possibilità di un incontro a luglio esiste, ma non c'è ancora un'agenda fissata». Per arrivare a un'udienza sono in corso trattative tra le diplomazie. Ora «soprattutto per la Terra Santa è più agevole una convergenza con la Santa Sede, perché Obama è meno sbilanciato a favore di Israele rispetto a Bush, responsabile del fallimento in Iraq - sottolinea il teologo Gianni Gennari -. A parte qualche attacco grossolano di singoli vescovi, toni, personalità, immagine nell'opinione pubblica mondiale favoriscono una prospettiva geopolitica nuova della Santa Sede verso la Casa Bianca». Non a caso all'università Notre Dame è stata frenata, nelle proteste anti-Obama, la «teocon» Mary Ann Glendon, ex ambasciatrice di Bush in Vaticano e presidente della Pontificia accademia delle Scienze sociali. Intanto alla Comunità di Sant'Egidio il governatore del New Mexico, Bill Richardson, ha appena proclamato che «le relazioni con il Vaticano saranno migliori dell'era Bush, perché ora gli Usa riconoscono l'esistenza di una comunità internazionale, vogliono aiutare il Terzo mondo, combattere la povertà, far cessare i conflitti. Proprio come il Papa». Anche sulla bioetica la Curia ha apprezzato il fatto che Obama abbia imposto paletti alla ricerca con fondi federali, limitandola agli embrioni in esubero delle cliniche della fertilità donati da genitori che non intendono usarli per avere figli e ha bloccato metodi sperimentali come la tecnica della partenogenesi, in cui gli embrioni si ricavano dagli ovuli. Da settimane l'«Osservatore romano» elogia Obama con continue citazioni («è dai valori che dipende la nostra possibilità di successo») e riconoscimenti («sulla bioetica non è così radicale ed è meglio delle attese, le nuove linee-guida non consentono di creare nuovi embrioni a scopi di ricerca o terapeutici per la clonazione o a fini riproduttivi e fondi federali potranno essere usati solo per la sperimentazione con embrioni in esubero»). Dieci giorni fa, a lodare Obama è stata, attraverso il Nobel Joseph Stiglitz, pure l'Accademia pontificia delle Sociali: «Per risolvere la crisi economica sta compiendo scelte giuste dal punto di vista della giustizia sociale». Sfumature mutate radicalmente da quando, a metà novembre, il cardinale James Stafford, capo della Penitenzieria apostolica e uno dei tre vescovi Usa che guidano un dicastero vaticano, lo condannava come «aggressivo, distruttivo e apocalittico», accusandolo di appoggiare «una piattaforma estremista contro la vita» e paragonando l'America dei prossimi anni al «giardino del Getsemani». Meno duri nel descrivere quasi come un «Anticristo» quello che adesso sta diventando il principale alleato del Papa sullo scacchiere planetario sono stati i vescovi americani che a marzo, attraverso il cardinale di Filadelfia, Justin Rigali, hanno bollato il sì della Casa Bianca alla ricerca sulle staminali come «una triste, tragica vittoria della politica sulla scienza e l'etica» e «un'azione moralmente sbagliata, perché incoraggia la distruzione di vite umane innocenti, trattando essere umani vulnerabili come meri prodotti da coltivare». www.lastampa.it/galeazzi

Torna all'inizio


CORRISPONDENTE DA NEW YORK (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Maurizio Molinari CORRISPONDENTE DA NEW YORK Cinquecento studenti riuniti in una messa antiabortista, la polizia che interrompe sit in di protesta arrestando decine di giovani, grandi striscioni per gridare «Shame Abortion» (Aborto vergogna) e mega-poster di feti morti affissi su autobus e cartelli stradali. E'così che il campus dell'Università di Notre Dame, a South Bend in Indiana, accoglie la carovana di auto del presidente degli Stati Uniti. L'invito rivolto a Barack Obama a parlare alla cerimonia annuale di laurea ha spaccato il campus in ragione delle sue posizioni a favore dell'aborto e della ricerca sulle cellule staminali. Quando Obama entra nel grande stadio dell'ateneo vestito con la toga giallo-blu il rettore John Jenkins lo accoglie consegnandogli la laurea honoris causa e pronuncia un discorso che invita «chiunque dissente» a «condividere i propri principi con gli altri» sostituendo il dialogo alla protesta. «Noi a Notre Dame seguiamo i principi della Chiesa cattolica, siamo contrari all'aborto e alla ricerca sulle cellule staminali - dice il rettore travolto dalle ovazioni - e per questo apprezziamo che lei abbia accettato il nostro invito». Come dire, confrontiamoci anche se siamo in disaccordo. Obama raccoglie la sfida. Prima abbraccia Jenkins dicendogli «ha spiegato più eloquentemente di me ciò che penso», poi riscalda la platea dei laureati lodando le locali squadre di basket e quando dagli spalti arrivano le proteste si ferma, aspettando con calma che i dimostranti vengano allontanati, e infine pronuncia il messaggio sull'aborto al quale ha lavorato di persona nell'ultima settimana, assieme allo speechwriter neanche trentenne Jon Favreau. Lo spunto è un aneddoto. «Durante la campagna elettorale un dottore mi scrisse che non avrebbe votato per me alle presidenziali perché sul mio sito Internet c'era scritto che ogni antiabortista è un ideologo ultraconservatore, e mi chiese di parlare con mente aperta sull'aborto». Allora Obama fece togliere quella scritta dal sito e oggi risponde alla sfida di affrontare con «mente aperta» la questione di valore che più spacca la società americana. «Anche se non andiamo d'accordo sull'aborto possiamo concordare sul fatto che è una decisione che contorce il cuore di ogni donna che lo compie, per ragioni morali e spirituali» dice il presidente, auspicando di «lavorare assieme» in una duplice direzione: «Per ridurre il numero di donne che ricorrono all'aborto contro le gravidanze indesiderate» e per «rendere le adozioni più accessibili, assicurando cure e sostegno alle donne che scelgono di partorire». E ancora: «Onoriamo la coscienza di coloro che sono in disaccordo con l'aborto e redigiamo una clausola di coscienza per assicurarci che tutte le nostre norme sanitarie siano basate su un'etica chiara e una scienza solida, così come sul rispetto per l'eguaglianza delle donne». Il pubblico tutto cattolico della Notre Dame University lo copre di applausi a ripetizione perché individua nella parole del presidente abortista un'apertura consistente alle posizioni pro-vita, quasi l'indicazione di un possibile compromesso fra i due fronti. E Obama va avanti: «Il dibattito sull'aborto non deve finire, sappiamo che le posizioni degli americani su questo argomento sono complesse e contraddittorie, in alcuni casi irriconciliabili, ma evitiamo di ridurre a caricature coloro con cui dissentiamo». È l'invito all'America a confrontarsi con le divisioni sull'aborto come finora non è avvenuto. «Con cuori aperti, menti aperte e parole giuste» conclude il presidente, riuscito a uscire indenne dalla prima sfida portata dal fronte conservatore sul terreno dei valori collettivi. Ma per gli studenti antiabortisti accampati dentro il campus è solo la fine del primo round: aspettano la nomina presidenziale del giudice candidato a sostituire David Souter alla Corte Suprema per tornare a mobilitarsi.

Torna all'inizio


Jacopo Iacoboni (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

REPORTAGE Jacopo Iacoboni TORINO La sintesi del Tonino Di Pietro show è sua. «In assenza della sinistra, ci sto io». Ma com'è potuto accadere? Una domenica al Salone del libro fornisce solo indizi, ma indizi sicuri e convergenti. Nella Sala dei cinquecento del Lingotto - una platea di insegnanti, impiegati, studenti, elettorato fin qui diviso tra Pd e Rifondazione - c'è un dibattito tra l'ex pm e l'ex subcomandante, due mondi che non potrebbero essere più distanti. Linguisticamente, concettualmente distanti. Bertinotti fa una lunga, novecentesca analisi sulla notte della sinistra. Parte del 17 ottobre e finisce con Jan Palach, il titolo del manifesto «Praga è sola», poi l'89, il muro di Berlino che cade, la globalizzazione che «ci ha spazzato via». Poi arriva il turno di Di Pietro, che c'azzecca Di Pietro con la sinistra?, e lui: «In assenza di sinistra, ci sto io». La sala, praticamente, cade giù. La sinistra viene messa all'angolo - qui dentro, almeno - dalla voglia di protesta, le folle per Marco Travaglio, l'entusiasmo in mattinata per Furio Colombo, gli applausi molto misurati che accolgono invece la tesi, esposta praticamente identica da D'Alema e Bertinotti, che «la crisi è della sinistra europea, se si guarda al resto del mondo non è così» (poi D'Alema cita Obama, Lula e l'India, Bertinotti ci infila anche Chávez; ma sono differenze da poco; e noi siamo in Europa). Insomma, per dirla in dipietrese: gli sta andando a fregare l'acqua nel loro vaso. Con invenzioni a loro modo memorabili, da consegnare al nuovo lessico politico. «E basta, con questa sinistra acculturata, sofisticata, prezzemolata», e la platea che ulula di godimento. «Fino a quando la sinistra si crogiola a chiedersi se io sono di sinistra o no mostra la sua faccia che tende a escludere chi non è acculturato come lei. Se non si cambia questa idea di sinistra diamo di sinistra un concetto... sinistro!!». Boato della folla. Bertinotti alquanto imbarazzato. E passi che poi c'è dell'incredibile sincretismo politico (a un certo punto si ode il Tonino dire: «Si sta producendo una nuova differenziazione di classe, da qui deriva una voglia di ricreare una lotta di classe»); la circostanza bizzarra è che a discutere su cosa sia sinistra sia lui. Ma è così, e non riuscendo a farci i conti i tanti dirigenti sconfitti si muovono come vasi incomunicanti, monadi che faticano a entrare in comunicazione con l'evento, che è poi il sempiterno evento della Protesta. Bertinotti lo fa ma quand'è giù dal palco, a tu per tu: «Ho osservato attentissimamente chi inneggiava, ho visto che erano quello che si sarebbe detto "ceto medio riflessivo", impiegati, anche sindacalizzati, che hanno applaudito molto anche il mio passaggio sul lavoro, e sui meriti degli operai Fiat». Aveva detto Fausto: «Se Marchionne riesce nelle sue operazioni è perché è bravo, ma anche perché a Torino e in Fiat c'è una cultura del lavoro, operaia, sindacale, che consente di cambiare il ciclo produttivo in tre mesi, mentre a Detroit ci vuole un anno e mezzo». Insomma, ragiona l'ex presidente della Camera, «questi sono nostri elettori, che vogliono protestare, gridare. Sentono che non abbiamo fatto abbastanza». Le distanze sono esemplificate dall'incomunicabilità delle due lingue. Un tale si alza e urla entusiasta, «Tonino, tu sei di sinistra!!». E lui: «E vabbuò, mica è un'offesa! Che devo fare, sono coinvolto». Le tirate propriamente antiberlusconiane del castigatore sono condite con dialetto e proverbi, «solo apparentemente c'è 'sto consenso al Cavaliere, ma gli italiani non so' tutti scemi, il problema è che c'è un nuovo fascismo fatto di veline e grande fratello... per cui non facciamo gli schizzinosi, non diciamo che se siamo antiberlusconiani gli facciamo un favore. Il lupo è lupo, non è che diventa agnello se io smetto di denunciarlo!». E ancora, «perché D'Alema non ha fatto il conflitto d'interessi? Tra un viaggio in barca e l'altro ci piace chiacchierare». Boato. «Spero che le due sinistre si ritrovano (sic) sulla via di Damasco». Oppure, «se non ci fossimo noi una parte importante della società non voterebbe più». Già, l'astensione. Non solo tra intellettuali. Bertinotti concede che «Di Pietro è efficace, coglie una frustrazione e un bisogno di opposizione al berlusconismo, ma una sinistra deve contenere una critica al capitalismo, non solo una critica a Berlusconi! Berlusconi è solo un'estremizzazione di una tendenza acutissima in Europa, che è la crisi delle democrazie». «Hai ragione da vendere sul conflitto d'interessi - gli dice Fausto - ma posso dire che per me ha la stessa influenza la mancata legge sui Dico?». E qui la sala s'infuria: ma nooooooo. Sostiene Fausto che «così si rischia di consegnare la sinistra al giustizialismo». Ma l'ora è fuggita, si muore disperati, e la risposta di Tonino contro la sinistra prezzemolata è, nel genere, da annali, «ci dicono populisti, massimalisti, giustizialisti, isti, isti isti, eh... isti siamo!». Isti sono. La fine della sinistra.

Torna all'inizio


LA RABBIA E LA FAVOLA (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Mario Deaglio LA RABBIA E LA FAVOLA Un declino annunciato: la scivolata dei salari medi italiani è un'ulteriore conferma del lento affondare della nostra economia, poco presente nei settori avanzati, dall'elevata produttività che consente alti salari, soffocata da una tassazione molto pesante, peraltro necessaria per far fronte all'elevato debito pubblico e da contributi sociali da record, indispensabili per pagare le pensioni a un Paese sempre più composto da vecchi. Questa situazione difficile si colloca su un contesto di tensioni e sfilacciamento sociale messo in luce dalle notizie degli ultimi due giorni. Sabato a Torino, di fronte alla storica palazzina del Lingotto, il segretario generale della Fiom veniva tirato giù dal palco da militanti dello Slai Cobas davanti a 15 mila operai - i quali, in tempi non lontani, avrebbero reagito vigorosamente - preoccupati per il loro posto di lavoro; poche ore più tardi, nella stessa Torino e nella centralissima e ancora più storica piazza San Carlo, una folla stimata in almeno tre volte tanto si accalcava a un «evento» di Mediaset realizzato per illustrare la nuova televisione digitale incentrata sul programma «Amici», una competizione in grado di aprire ai vincitori le porte del successo televisivo. Sempre nella stessa piazza, nella giornata di ieri coloro che aspiravano a partecipare alla trasmissione «Grande Fratello» (anch'essa considerata una scorciatoia a fama, celebrità e successo mediatico) formavano una coda lunga circa mezzo chilometro. Le vicende parallele e apparentemente diversissime del Lingotto e di piazza San Carlo rappresentano due facce della stessa moneta: si tratta di due risposte, irrazionali e prive di progettualità, a una crisi che, se raggiunge le sue punte più visibili nell'economia reale e nella finanza, si configura ogni giorno di più come crisi di valori e di sistema e contro la quale i rimedi razionali si sono sinora dimostrati inadeguati o insufficienti. Non si tratta, del resto, di un fenomeno soltanto italiano, anche se i dati salariali sull'Italia mostrano che proprio da noi raggiunge punte molto elevate. Di fronte alle prospettive sempre più incerte e alle minacce sempre più concrete di perdere il lavoro, in tutto l'Occidente le due risposte estreme sono quelle di un ricorso alla violenza e di un ricorso alla fortuna che porti un successo improvviso o, quanto meno, all'evasione in un mondo di favola, lontano dalle asprezze e dalle incertezze della vita di tutti i giorni. C'è chi reagisce cercando di buttar giù tutto con una spallata, magari anche il palco di una manifestazione sindacale, e chi cerca di reagire con una risata, che spesso suona un po' innaturale, a un evento televisivo o cerca l'onda della fortuna grazie a questo evento. In Francia, la protesta assume le forme, ormai note, del «sequestro dei manager»; ad Atene quelle della rottura delle vetrine dei negozi di lusso. Nello stesso giorno del Lingotto, a Berlino sono sfilati centomila manifestanti con striscioni su cui era scritto «Sozial statt Kapital!», ossia «Il sociale al posto del capitale!», un'evidente impossibilità economica ma un buon termometro delle istanze di chi vede a rischio non solo il proprio posto di lavoro ma anche il proprio modello di vita. Parallelamente cresce la popolarità di programmi che assicurano ai partecipanti notorietà e redditi elevati e continua la fortuna, anche su Internet, di chi costruisce mondi artificiali in cui evadere di fronte a una realtà che non si riesce più a sopportare. Coloro che cercano soluzioni efficaci di tipo razionale a una situazione economico-sociale che sembra scivolare fuori di ogni controllo devono tener conto di questi bisogni profondi, di quest'insoddisfazione radicale; non basta controllare i deficit pubblici, risanare i tessuti malati dell'economia, sfornare ricette teoriche di rilancio. Dai dati dell'Ocse si ricava che è indispensabile, ma non sufficiente, far sì che questo Paese sia in grado di pagare salari più elevati grazie ad attività più produttive. L'insoddisfazione, però, in Italia, ha radici più profonde e, se non se ne tiene conto, i rimedi dei tecnici paiono destinati al fallimento; ci vorrebbe una grande visione politica che, per il momento, proprio non si profila all'orizzonte non solo in Italia ma neppure nel resto del mondo (dopo la «fiammata» iniziale di Obama, ormai largamente esauritasi, come spiegava su queste colonne qualche giorno fa Enzo Bettiza) e una massa di persone incerte che si sentono trascurate dall'economia e ignorate dalla politica. E potrebbero risultare sempre più inclini a travolgere i palchi delle manifestazione serie e ad accalcarsi attorno a quelle che promettono facili evasioni. mario.deaglio@unito.it

Torna all'inizio


È stato fatto edificare da Cheney nel 2002 e nessuno sapeva della sua esistenza (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

È stato fatto edificare da Cheney nel 2002 e nessuno sapeva della sua esistenza [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Joe Biden non è nuovo alle gaffes ma una così non l'aveva mai fatta. Durante una cena di gala all'esclusivo Gridiron Club di Washington ha svelato ai presenti dove il trova il supersegreto bunker destinato a proteggere il vicepresidente degli Stati Uniti in caso di attacco nucleare. A raccontare quanto avvenuto fra i tavoli è stata Eleanor Clift, giornalista di Newsweek, incredula testimone della facilità con cui Biden ha spiegato alcuni dettagli del rifugio che venne costruito in gran fretta dai servizi segreti alla fine del 2002 per consentire alla leadership politica di sopravvivere se Al Qaeda dovesse riuscire a distruggere la Casa Bianca o a far esplodere un ordigno atomico, come Osama bin Laden ha minacciato di fare. «Joe Biden ha detto che la stanza-bunker si trova nell'Osservatorio navale di Washington», scrive Clift sul blog «The Gaggle», riferendosi alla residenza del vicepresidente dove Dick Cheney ha vissuto per otto anni e che ora ospita la famiglia del vice di Obama. Lo scivolone di Biden non è arrivato con una battuta ma esponendo un lungo pensiero ragionato che la giornalista descrive così: «Biden ha messo al corrente i suoi compagni di tavolo del fatto di essere stato accompagnato da un marine nel luogo segreto che si trova dietro una massiccia porta di acciaio chiusa con un lucchetto molto complicato e collegata a uno stretto corridoio lungo il quale vi sono librerie con scaffali colmi di sistemi per garantire comunicazioni protette». Incalzato dalla curiosità dei commensali, che evidentemente non si aspettavano tanto, Biden è andato oltre descrivendo la conversazione avuta dal marine che gli raccontò come «quando Cheney si chiudeva dentro» la stanza che gli aveva mostrato era il luogo dove «si trovavano i più stretti consiglieri». E ciò lascia intendere che dopo la porta d'acciaio e il corridoio vi sia un rifugio sotterraneo, probabilmente modellato su quello esistente sotto la Casa Bianca, da dove è possibile rimanere in contatto con i centri vitali della nazione, a cominciare dai comandi militari. Ma perché Biden ha svelato uno dei segreti più gelosamente custoditi a Washington? La tesi della giornalista è che voleva irridere il predecessore, per questo, a conclusione della lunga descrizione dell'accesso al bunker, Biden ricorse a un gioco di parole per dire che una persona come Cheney che si rinchiude in simili posti fa poi «naturalmente» delle dichiarazioni insensate, come quelle nelle quali ha accusato il presidente Barack Obama di aver «messo a rischio la sicurezza degli Stati Uniti» rendendo pubblici i memorandum della Cia sull'applicazione delle «tecniche rafforzate di interrogatorio» sui detenuti di Al Qaeda. La decisione di costruire la «secret location» di Washington risale all'indomani degli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 quando i servizi segreti si resero conto che se uno degli aerei-kamikaze di Al Qaeda avesse colpito la Casa Bianca il presidente o il vice avrebbero teoricamente rischiato di restare sotto le rovine. Si pose l'esigenza di identificare un nuovo luogo dove consentire alla leadership politica della nazione di sopravvivere. Non a caso è proprio in questa «secret location» che Dick Cheney si è più volte rifugiato durante esercitazioni su potenziali pericoli, e qui durante il discorso sullo Stato dell'Unione si trasferisce uno dei ministri del gabinetto - in genere il titolare della Difesa - per impedire che un possibile attacco contro il Campidoglio privi la nazione di una guida politica. Da qui l'importanza strategica di mantenere il più rigoroso top secret sul luogo del sito, che è però diventato adesso di pubblico dominio.

Torna all'inizio


Paula, la regina selvaggia del Potomac (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Personaggio Una leggenda della capitale Paula, la regina selvaggia del Potomac Un'ex tipografa è "l'elfo dei parchi federali" Veglia su cervi e anatre a due passi da Obama NICK MIROFF WASHINGTON Nella lunga tradizione dello spirito indipendente americano - che spinge a schivare le convenzioni sociali per una vita più semplice - la maggior parte dei fuggitivi si sono diretti verso gli spazi selvaggi. Henry David Thoreau andò sul lago Walden. John Muir nello Yosemite. E ora ecco Paula Smith, che arrivò a Washington circa 20 anni fa e ha praticamente sempre vissuto all'aria aperta da allora. Non che Paula Smith coltivi la terra, cacci o scrocchi i pasti in giro. No, Paula è una che raccoglie roba. E tra gli assortiti personaggi che vagano nella foresta e battono la regione di Washington e la valle del Potomac a nord di Georgetown - un posto più selvaggio di quanto si immagini - non c'è probabilmente un bipede più carino. Paula sa quando cercare frutti su un albero di papaia, dove si nascondono i migliori funghi orecchioni e quando i lamponi e i ribes selvatici sono più maturi. E anche la via più veloce per ottenere cacciagione senza fatica. «Credimi amore, mi sono presa la mia quota di animali schiacciati sulla strada - dice. Finché la carne è pulita, la puoi tagliare e mangiare». In una città conosciuta per i suoi doppi sensi, le sue risate dietro le spalle, Paula, 57 anni, è brutalmente diretta e non bada alle apparenze. Piccoletta, asciutta e dalle maniere brusche, porta occhiali spessi e stivaloni pesanti. Il suo linguaggio tagliente è leggendario sul fiume, come le sue tecniche per trovare i palchi dei cervi. Per molti è la custode non ufficiale del Potomac. Ripulire il fiume dalla spazzatura e dai rifiuti è stata per lungo tempo l'ossessione di Paula. Ma ultimamente ha una nuova preoccupazione: i cervi abbattuti illegalmente. «I cacciatori di frodo si stanno allargando anche all'area a Sud di Chain Bridge». Cacciatori di frodo, a Washington Dc? «Ora ti faccio vedere». Per i pescatori sul Potomac, e per tutti i turisti del weekend che hanno affittato una barca da Fletcher's, Paula è la «signora del molo» che gestisce la baracca di legno piena di remi e giubbotti di salvataggio. Lavora lì, come una cameriera a una stazione di servizio, fa battute, chiama i pescatori «baby», «amore» - quando non li insulta - mentre serve aringhe affumicate e consigli in cambio di un piccolo extra nella sua tazza da caffè per le mance. «La chiamiamo l'imperatrice dei moli», racconta Dan Ward, che lavora alla Fletcher's Boat House dal 1969. «A volte c'è qualcuno che si lamenta perché ha la cattiva abitudine di imprecare davanti ai bambini, ma vale il prezzo del biglietto». Le barche sono il lavoro part-time di Paula, pochi giorni alla settimana durante la stagione primaverile della pesca. Ma il suo lavoro a tempo pieno è la foresta. Palchi di cervi, vecchie bottiglie, cibo selvatico e teschi di animali sono l'obbiettivo di queste spedizioni che possono durare un giorno intero e portarla attraverso le terre del Park Service, terreni privati e parchi cittadini. Siccome i maschi di cervo perdono i palchi in tempi diversi durante la stagione degli amori, Paula prende appunti dettagliati per battere i posti giusti. «Il Maryland ha i cervi più grossi», dice. Anche Langley, ma Paula non oltrepassa mai i confini delle proprietà della Cia. Negli anni, dice, ha trovato magnifici palchi del valore di centinaia, anche migliaia, di dollari, assieme a bottiglie di whisky dell'Ottocento, monete rare e anche cose non molto piacevoli. Per due volte, racconta, ha dovuto chiamare la polizia dopo aver trovato resti umani: una volta di un ragazzo che andava in kayak, un'altra di una ragazzina annegata. Paula non ha famigliari nella zona, ma vive nella contea di Arlington, con Gordon Leisch, un suo amico che aiutò a curare il padre morente. Washington può sembrare un posto facile per un tipo di frontiera, ma Paula non ha mai preso la patente e per lei non è facile muoversi. Usa il Metrobus per arrivare nei parchi e gli altri posti dove ama vagare; la maggior parte dei giorni significa salire sull'autobus alle cinque del mattino. Paula è cresciuta nei dintorni di Chicago, e il padre, alcolizzato, aveva lavorato per un periodo in un parco, racconta. Quand'era bambina, il nonno la portò una volta a camminare nei boschi: «Conosceva ogni pianta, ogni uccello». Poi scappò di casa per andare a New York prima di finire il liceo, e per quasi 25 anni ha lavorato in una stamperia, prima di gestirne una in proprio. Ma per problemi con le tasse fu costretta a chiudere. Perse tutto e venne a vivere con una amica nel Distretto Federale. Non ha figli e non si è mai sposata: «L'unico errore che ho fatto». E si è ritrovata un giorno sui moli di Fletcher's come un naufrago sbattuto dalle onde su una spiaggia. «Chiese un lavoro e all'inizio dubitavo che potesse farcela fisicamente», racconta Ward, il suo compagno di lavoro da Fletcher's. Ma Paula dimostrò rapidamente che si sbagliava: «È l'unica dipendente al quale bisogna dire di non lavorare troppo». Anche se è con gli animali, non gli umani che preferisce vivere. Ce ne sono pochi che non le piacciono: cormorani, che secondo lei mangiano troppe aringhe, i pesce gatto, «cattivi», e gli yuppies, che arrivano con i loro cani e «tartassano la foresta e gli animali». Tra i preferiti, invece, ci sono naturalmente i cervi, ma anche serpenti, tartarughe e avvoltoi, dal momento che Paula è interessata tanto a quello che vive nella foresta quanto a quello che ci muore. «Vedi questo casino?», dice con rabbia, rovistando con un bastone un groviglio di interiora: «Da ottobre ho trovato 20 cervi morti in questa zona. Negli altri anni al massimo sei. Credo che i cacciatori se li portino via e vendano la carne». Due tacchini selvatici compaiono sulla strada per tornare da Fletcher's, e Smith li insegue per un po' nella boscaglia. Dice che i cacciatori di frodo spareranno a quelle facili prede prima della fine dell'estate. Anche se, naturalmente, non usa esattamente quelle parole. Copyright Washington Post

Torna all'inizio


Ho cominciato a scrivere quando ho capito che non avrei mai guidato un aereo della Palestinian Airfo... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Ho cominciato a scrivere quando ho capito che non avrei mai guidato un aereo della Palestinian Airforce». Sayed Kashua, uno dei maggiori autori arabo-israeliani, scherza sulle speranze del padre patriota, sulle sue che in realtà ha una paura terribile di volare, sulla pace che «si farà attendere parecchio» nonostante le preghiere del Papa e la buona volontà del presidente americano Obama. Trentatré anni, 2 figli, il passaporto blu con cui è arrivato alla Fiera del Libro di Torino che gli consente di votare alla Knesset ma lo esclude dalla leva, Kashua traduce in ebraico la lingua dei palestinesi. Potrebbe essere un ponte, dice, se ci fosse un cantiere aperto tra due popoli condannati alla reciproca distruzione. Invece, guardato con sospetto dagli uni e disprezzato dagli altri, fluttua nella terra di nessuno in cui vive un quinto della popolazione israeliana, arabo danzante come il protagonista del suo primo libro tradotto in Italia da Guanda. Stasera il presidente americano Obama incontra il premier israeliano Netanyahu: cosa si aspetta? «Obama mi piace, dopo Bush apprezzerei chiunque. Ma i palestinesi sanno che l'America non li ha mai veramente sostenuti. Sono scettico: la costruzione delle colonie ebraiche continua, le case palestinesi vengono demolite, il ministro degli Esteri Liberman vorrebbe sbarazzarsi anche di noi arabi-israeliani, la bomba demografica che minaccia lo Stato ebraico. A meno d'essere forzato Netanyahu non acconsentirà alla nascita di uno Stato palestinese». Che impressione ha avuto delle parole del Papa a Gerusalemme? «Benedetto XVI ha parlato di uno Stato palestinese, sembra una buona chance. Ma la routine di controlli e diffidenza che sperimento ogni giorno mi ricorda che gli israeliani non sono pronti alla pace, la vittoria elettorale della destra lo prova». I personaggi dei suoi libri sembrano sempre nel posto sbagliato, che lavorino in Israele o vivano tra i palestinesi. Perché? «Nella mia terra non c'è posto per l'individuo. Le uniche identità possibili sono collettive: qualsiasi scelta, compreso dove vivi, è politica. I palestinesi mi e ci considerano amici del giaguaro, venduti. Gli israeliani si proclamano democratici ma non accetteranno mai di mescolarsi con la minoranza araba-israeliana». Per questo scrive? «Scrivo per sopravvivere, per spiegare ai miei connazionali che sono come loro, ho una storia. I miei libri in ebraico vendono. Adesso alcuni romanzi saranno tradotti in arabo a Beirut: tratto argomenti sensibili, non so come verranno letti. La migliore accoglienza che abbia ricevuto è stata all'estero». La letteratura come la vita. «I palestinesi sono un problema per il mondo. Non se ne parla mai in termini di diritto ma come un problema da risolvere». Come mai lo scorso anno ha rifiutato di partecipare alla Fiera del libro di Torino dedicato a Israele e quest'anno invece è qui? «Dopo la polemica sul boicottaggio, non volevo essere usato. Non ho avuto invece alcun problema a parlare tra le bandiere israeliane alla Fiera di Parigi. Detesto i boicottaggi culturali. Sono cresciuto leggendo autori arabi come Barakat e Naghib Mahfuz ma anche gli israeliani Oz, Yehoshua, Edgar Keret e Yoel Hoffman. Gli scrittori non sono bandiere. Senza i libri di Natalia Ginzburg non avrei mai intrapreso la carriera letteraria. Gli unici ponti possibili sono quelli che costruiscono gli scrittori, il Medio Oriente farebbe bene a pensarci su».

Torna all'inizio


Sono capaci di mescolare l'alto e il basso: l'esempio di Pertini al Mundial '82 (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

GLI AUTENTICI «POPOLARI» Sono capaci di mescolare l'alto e il basso: l'esempio di Pertini al Mundial '82 [FIRMA]MAURIZIO ASSALTO Pop o papi? Potrebbe diventare il nuovo tormentone, sulla falsariga del giochino disgiuntivo «rock o lento» di celentanesca memoria. Umberto Eco è pop, le veline sono papi. Papi è papi (va da sé). A riflettere su «Filosofia pop: alto e basso, vero e falso» sarà oggi, in Fiera, Maurizio Ferraris, un pensatore che della mescolanza e feconda contaminazione tra alto e basso ha fatto la cifra del proprio lavoro teoretico. Come è evidente anche nel libro che ha appena pubblicato dal Melangolo, Piangere e ridere davvero. Feuilleton, dove passa dal fenomeno delle lacrime per Anna Karenina a quelle per Lady D., dalle risate preregistrate delle sit-com a quelle provocate dalle barzellette. E rieccolo... Allora non potrebbe essere lui, papi, l'eroe culturale della filosofia pop? «Lui incarna con istinto infallibile l'essenza del postmoderno, cioè l'indistinzione tra realtà e finzione e la tendenza a portare in basso tutto ciò che è alto. Ma questo non è pop: intanto non c'è il movimento dal basso verso l'alto, e poi io dico che la distinzione tra realtà e finzione deve essere analizzata, articolata, ma è una distinzione senza la quale non si può vivere. Invece: "Non è vero, non l'ho mai detto, sono stato frainteso...". È come se chi parla così pensasse che non c'è una verità, ma soltanto favole che si possono raccontare al pubblico». Favole. E barzellette... «Le battute sono un modo di sostituire la responsabilità verso il vero. Il fenomeno ha assunto una dimensione mondiale, da Rachida Dati che arriva tardi sul palco e si mette a scherzare con il suo vicino, a Sarkozy, allo stesso Obama che qualche giorno fa, in un incontro con i giornalisti, ha infilato una battuta dietro l'altra, sul suo vice Joe Biden, su Hillary Clinton, su se stesso. Sono atteggiamenti che solo apparentemente mescolano alto e basso: in effetti eludono ogni comprensione critica, sono piuttosto profanazioni. Fare le corna in una foto ufficiale vuol dire profanare l'essenza del politico, quel po' di sacralità che dovrebbe includere. Quindi papi non è pop». Nella realtà d'oggi prevale l'aspetto papi o quello pop? «Prevale senz'altro l'aspetto papi». C'è un papi in ognuno di noi? «Non mi spingerei a tanto, ma sì, sembrerebbe che lo spirito del tempo inclini pericolosamente verso papi. Per esempio, non vediamo persone che proclamano la propria fede cattolica e contemporaneamente si comportano in modi che in apparenza hanno ben poco a che fare con questa fede? C'è tutto uno sventolare di valori - nei manifesti elettorali non se ne sono mai visti tanti - e contemporaneamente una totale indifferenza a qualunque valore. Se il marchese de Sade rinascesse, avrebbe davanti a sé una realtà che supera le sue più ardite finzioni». Lo spirito del tempo, appunto. «Sì, e ci insegna a riflettere che lo spirito del tempo non è necessariamente buono. Ci possono essere epoche che sbagliano radicalmente». Se dovesse indicare qualche autentico personaggio pop? «Uno è Umberto Eco: un uomo che ha rivelato grandissima sensibilità per la cultura popolare pur avendo avuto tutta una vita orientata verso la cultura alta. Un altro era Jacques Derrida, capace di un'attenzione spasmodica verso il presente ma nello stesso tempo in grado di mantenere distacco e capacità critica». Proviamo a fare il giochino. Il predecessore di papi, Prodi, che cos'è? «Prodi è pop». Un politico del passato: Pertini? «Lui che esulta sugli spalti del Bernabeu, accanto al re Juan Carlos, nella finale del Mundial '82: è un tipico, grande esempio di politico pop. Traghettava se stesso dalla lotta partigiana ai campionati di calcio». E Napolitano? «È pop in maniera sublime. Paradossalmente, per un uomo della sua età. Quella di far incontrare la vedova Calabresi e la vedova Pinelli è una grande idea pop». Di Pietro? «La versione populista del pop». Bossi? «Bossi è pop, mentre Maroni è papi». Maurizio Ferraris? «Spero di essere pop, ma temo di essere a volte anche un po' papi. Per quanto ci sforziamo di essere distaccati e autocritici, possiamo facilmente cadere vittime del narcisismo, avere atteggiamenti arroganti e prepotenti. È umano, succede a tutti».

Torna all'inizio


Se è vero che, come dice lo psicologo Arthur Fischer, i giovani sono tutti giovani; per i... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Se è vero che, come dice lo psicologo Arthur Fischer, «i giovani sono tutti giovani; per il resto sono molto diversi tra di loro», è anche vero che è possibile trovare un punto che accomuna i ragazzi della provincia bavarese e quelli di Monaco, le diciottenni di Berlino e quelle del vicino Brandeburgo. E non è solo l'ammirazione per Obama, spiccata anche in Germania. Bensì la scelta di un canale tv: ProSieben, una sorta di Canale 5 tedesca. Perché? «In televisione cerco anche reportage e sport, ma soprattutto intrattenimento», spiega Florian, un ventunenne di Monaco. E ProSieben è un concentrato di intrattenimento. Nel palinsesto spiccano alcuni dei programmi più seguiti dai giovani tedeschi: dagli immortali Simpson a Popstars, fino a Germany's Next Top Model, la trasmissione di Heidi Klum. Anche se poi, grazie pure a una diffusione di Internet a banda larga molto più capillare che in Italia, sempre più ragazzi migrano sul web. «Tra i più giovani Internet sta superando la tv, se non l'ha già superata», sostiene Wolfgang Hertel, redattore culturale del magazine femminile Glamour. E qui un nome è d'obbligo: StudiVZ, un portale tedesco di social networking con oltre 13 milioni di iscritti che ricorda da vicino Facebook (la piattaforma statunitense l'ha citato in giudizio per plagio). Molto meno omogeneo, invece, il panorama musicale e cinematografico. Se da un lato anche nella Repubblica federale hanno fatto breccia pellicole come «Twilight» o «X-Men le origini: Wolverine» e le classifiche degli album più scaricati sono dominate da artisti statunitensi come Lady GaGa e P!nk, dall'altro resiste l'elettronica dei Depeche Mode o, per restare in Germania, il punk-rock di una band storica come Die Ärzte. In ogni caso «la popolarità della scena musicale tedesca è cresciuta tra i giovani: non c'è più, come fino a un paio di anni fa, un'accettazione assoluta di quello che arriva da Usa o Gran Bretagna, ma hanno sempre più successo gruppi tedeschi come Silbermond o Wir sind Helden», spiega Hertel. I politici tedeschi non sfondano invece tra i più giovani, giudicati poco carismatici; per trovare delle figure simbolo bisogna spostarsi nella moda (Heidi Klum o Julia Stegner) o nello sport (Lukas Podolski). \

Torna all'inizio


"Dai tempi di Bush il rapporto si è rovesciato" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Intervista John Allen "Dai tempi di Bush il rapporto si è rovesciato" GLAUCO MAGGI NEW YORK Prudente, bilanciato, pronto a cogliere tutto il buono che la nuova amministrazione democratica può produrre per l'intera agenda politica del Papa. Ma attento a che l'ala radicale del fronte di Obama non passi il segno e non costringa Roma allo scontro indesiderato. E' l'attuale atteggiamento del Papa verso Obama secondo John L. Allen, corrispondente dall'Italia per National Catholic Reporter e principale analista del Vaticano per la Cnn, il giornalista americano più addentro ai segreti d'Oltretevere. Che giudizio è maturato in Vaticano su Obama dopo i primi cento giorni? «Stanno cercando una linea equilibrata. Da un lato ci sono i problemi sulla vita - aborto, cellule staminali - che non possono essere nascosti. Ma gli altri temi - Medio Oriente e immigrazione, povertà e riscaldamento globale, ossia il resto della dottrina sociale della Chiesa -, sono terreni su cui ci sono possono essere convergenze con Obama e il Vaticano punta a perseguirle». Sono anche ipotizzabili contatti diretti per strategie comuni? «Il Vaticano è molto delicato nel dare giudizi proprio perché il prossimo G8 in Italia potrà essere l'occasione per un incontro utile tra Papa Ratzinger e Barack Obama». Visto dall'America, il rapporto tra i cattolici di qui e il governo Usa è però molto meno amichevole: il presidente della Conferenza episcopale americana, cardinale Francis George, ha condannato l'invito a Obama di Notre Dame. «E' vero. E ciò rispecchia la differenza tra la cultura cattolica negli Usa, dove la questione dell'aborto è un nodo assoluto, e la sensibilità che c'è in Europa, dove la sacralità della vita non è così drammaticamente centrale come negli Usa». Neanche in Vaticano? «A Roma i temi della vita ovviamente pesano molto, ma rientrano in un giudizio complessivo. Certo, se Obama sarà radicale nel trattarli, il Vaticano si opporrà frontalmente. Ma se seguirà una linea più moderata e, contemporaneamente, farà bene su povertà, immigrazione e gli altri aspetti sociali che stanno a cuore al Vaticano, mi aspetto un approccio aperto verso Washington». Il clima tra Tevere e Potomac, insomma, è disteso e positivo malgrado Notre Dame? «Lo è. Una prova è che quando era girata voce che il Vaticano avesse posto il veto a Caroline Kennedy quale ambasciatore Usa presso la Santa Sede, il portavoce del Papa aveva negato che ci fosse alcun no. Tale è la cura nel non guastare un rapporto ritenuto interessante». Migliore o peggiore di quello che c'era con Bush? «L'inverso esatto. Con Bush e i repubblicani conservatori sui temi della vita c'era identità di toni e spirito, mentre su altre questioni, immigrazione povertà e guerra per esempio, le cose non andavano bene. Con Obama è il contrario. E' la natura della politica americana: il destino del Vaticano è di avere sempre a che fare, a Washington, con partner perfetti... a metà. Con un paradosso: i progressisti cattolici americani, che sono sempre stati i più accesi critici del Vaticano romano, oggi sono più vicini al Papa che apre a Obama».

Torna all'inizio


Il caso Fiom ricompatta il sindacato (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Violenza riprovevole. Spero che il Lingotto conquisti Opel LA GRANDE CRISI 100 15 mila 50 Hanno detto Claudio Scajola Bonanni (Cisl): «Azione squadrista» Epifani: «Il conflitto si può aggravare» Il caso Fiom ricompatta il sindacato LO SCONTRO DI TORINO i Cobas in piazza i pullman Ministro delle Attività produttive Cgil, Cisl e Uil condannano l'aggressione D'Alema: il governo apra un dossier auto [FIRMA]GIANLUCA PAOLUCCI TORINO Unanime condanna agli atti di violenza e solidarietà al segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini, dopo la manifestazione di Torino e i tafferugli che hanno visto protagonisti i Cobas. Intorno a Rinaldini si ricompatta anche il mondo sindacale, con le confederazioni mettono per un giorno da parte le divisioni scoppiate con il no della Cgil al nuovo modello contrattuale. Mentre sul fronte politico, maggioranza e opposizione si ritrovano unite nella condanna e divise sull'analisi di motivazioni e conseguenze. Il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto accusa la Fiom di aver «portato avanti una linea estremista». Per Maurizio Gasparri, gli episodi di violenza «sono conseguenza del "santorismo", l'odio seminato da chi fomenta lo scontro». Più cauto il ministro Claudio Scajola: «Le forze sindacali contribuiscono alla gestione delle aree di crisi - dice - ogni atto di violenza verso la Cgil e Rinaldini è riprovevole». Dall'opposizione, duro il giudizio di Massimo D'Alema che indica come «un atto di teppismo» l'episodio, ma sollecita il governo ad aprire il dossier Fiat, come fatto Barack Obama negli Usa e Angela Merkel in Germania. Guglielmo Epifani lancia l'allarme sul conflitto sociale che «si può aggravare, soprattutto se non si fa nulla». Idea condivisa dalla Cisl con Raffaele Bonanni che definisce l'aggressione «un'azione squadristica». Renata Polverini, segretario dell'Ugl, fa appello all'unità dei lavoratori e chiede al governo di «uscire dall'immobilismo». Lo Slai-Cobas respinge le accuse e afferma che «non c'è stata nessuna aggressione». Piuttosto, scrive in una nota, si vuole «impedire ai lavoratori di prendere direttamente la parola» per farli restare «succubi di accordi concertativi». Il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, parla di «un episodio grave di intolleranza che ci riporta indietro negli anni» e lancia un appello alla pace sociale. Al quale lo stesso Rinaldini risponde netto che fare un appello del genere «il giorno dopo aver fatto un accordo che esclude Cgil e Fiom mi sembra un pò beffardo».

Torna all'inizio


"Creiamo un network dei progressisti" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Intervista John Podesta Il capo del team Obama MAURIZIO MOLINARI "Creiamo un network dei progressisti" CORRISPONDENTE DA NEW YORK Più energia pulita e più impegno in Afghanistan: sono le due priorità dei democratici che John Podesta porta alla riunione dell'«Alleanza dei democratici» che si svolge oggi in Parlamento a Roma con la partecipazione di partiti progressisti di cinque continenti. Direttore del «Center for American Progress» di Washington, ex capo di gabinetto di Clinton e designato da Obama alla guida del team di transizione, Podesta è l'uomo sul quale i liberal Usa contano per costruire un network di alleati. Cosa accomuna i progressisti che si incontrano a Roma? «Il valore centrale è l'impegno a garantire opportunità per tutti e a sostenere politiche che le rendano possibili. I progressisti credono nel perseguimento del bene comune al posto della difesa degli interessi di élites privilegiate. Crediamo in investimenti di lungo termine per migliorare la vita di tutti: su educazione, sanità, previdenza e energia pulita. Sosteniamo la cooperazione internazionale come strumento per risolvere i problemi comuni, come la sfida del clima e la crisi finanziaria. Sviluppo economico equo, opportunità per tutti e approccio pragmatico sono i valori che Obama ha portato a Washington e sono condivisi dai maggiori partiti progressisti d'Europa». Qual è la sfida più difficile che avete davanti? «Ridefinire il capitalismo in maniera che garantisca giovamenti a tutti senza sfruttare il Pianeta e senza creare élites finanziarie che non devono rispondere a nessuno. In tale cornice fondamentale rientra la riforma del governo, anche in Italia, per assicurarsi che serva gli interessi della gente senza generare uno Stato burocratico facile preda degli interessi corrotti». Quali obiettivi vi date in tempi brevi? «Dobbiamo impegnarci a creare coalizioni. L'elezione del presidente Clinton agli inizi degli Anni 90 innescò una fase di rinascita del centrosinistra nel mondo. Ora è il momento di riaccendere un simile scambio di idee. L'obiettivo è di lavorare assieme, apprendere l'uno dall'altro, per arrivare a governare o per governare con successo». Al G8 dell'Aquila Obama presiederà una riunione del Forum su energia e clima. Cosa si attende Obama dall'Europa? «Il Forum serve a compiere progressi in vista della Conferenza di Copenhagen di dicembre. L'incontro di aprile è stato positivo. Siamo in un momento economico difficile e molte nazioni sono alle prese con gli stessi problemi che abbiamo noi. Ma dobbiamo affrontare i cambiamenti climatici non solo per scongiurare i terribili costi che comportano ma anche per cogliere le opportunità che si presentano. Andando verso un'era di energia sostenibile, e non basata su carburanti fossili, possiamo creare lavoro, crescita e progressi tecnologici». L'Europa è timida nel sostenere le politiche di Obama sull'efficienza energetica. Come superare l'ostacolo? «Il G20 ha testimoniato quanto difficile sia il dibattito Usa-Europa sugli stimoli all'economia. Il punto è come articolare la spesa pubblica fra investimenti nell'energia pulita, infrastrutture e riduzioni fiscali. La strategia di Obama, che il Center for American Progress ha contribuito a delineare, è solo l'inizio. L'Europa è in una situazione diversa perché molti Paesi hanno già investito nell'energia pulita. Tutti però dobbiamo lavorare per trasformare i sistemi energetici». Obama chiede più truppe per l'Afghanistan ma l'Europa tentenna. Come si può costruire un comune approccio contro Al Qaeda? «Chiedendo più truppe per l'Afghanistan Obama dimostra di comprendere ciò che Bush ignorava: vincere questa guerra è cruciale per la nostra sicurezza nazionale. Negli ultimi otto anni l'impegno americano in Afghanistan e Pakistan è stato carente e ciò ha consentito ad Al Qaeda di risorgere. La volontà europea di mandare truppe è scesa a causa degli errori di Bush. Ma ora Obama ha disegnato una nuova strategia Nato, civile e militare, facendo proprio un approccio da tempo sostenuto da molti europei. E' combinando attività di combattimento e non militari che il governo afghano può rafforzarsi e diventare più credibile, ed è sviluppando le economie locali che possiamo prevenire l'arruolamento di afghani e pakistani fra i taleban».

Torna all'inizio


"Non sarei scrittore senza i libri della Ginzburg" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

"Non sarei scrittore senza i libri della Ginzburg" Ho cominciato a scrivere quando ho capito che non avrei mai guidato un aereo della Palestinian Airforce». Sayed Kashua, uno dei maggiori autori arabo-israeliani, scherza sulle speranze del padre patriota, sulle sue che in realtà ha una paura terribile di volare, sulla pace che «si farà attendere parecchio» nonostante le preghiere del Papa e la buona volontà del presidente americano Obama. Trentatré anni, 2 figli, il passaporto blu con cui è arrivato alla Fiera del Libro di Torino che gli consente di votare alla Knesset ma lo esclude dalla leva, Kashua traduce in ebraico la lingua dei palestinesi. Potrebbe essere un ponte, dice, se ci fosse un cantiere aperto tra due popoli condannati alla reciproca distruzione. Invece, guardato con sospetto dagli uni e disprezzato dagli altri, fluttua nella terra di nessuno in cui vive un quinto della popolazione israeliana, arabo danzante come il protagonista del suo primo libro tradotto in Italia da Guanda. Stasera il presidente americano Obama incontra il premier israeliano Netanyahu: cosa si aspetta? «Obama mi piace, dopo Bush apprezzerei chiunque. Ma i palestinesi sanno che l'America non li ha mai veramente sostenuti. Sono scettico: la costruzione delle colonie ebraiche continua, le case palestinesi vengono demolite, il ministro degli Esteri Liberman vorrebbe sbarazzarsi anche di noi arabi-israeliani, la bomba demografica che minaccia lo Stato ebraico. A meno d'essere forzato Netanyahu non acconsentirà alla nascita di uno Stato palestinese». Che impressione ha avuto delle parole del Papa a Gerusalemme? «Benedetto XVI ha parlato di uno Stato palestinese, sembra una buona chance. Ma la routine di controlli e diffidenza che sperimento ogni giorno mi ricorda che gli israeliani non sono pronti alla pace, la vittoria elettorale della destra lo prova». I personaggi dei suoi libri sembrano sempre nel posto sbagliato, che lavorino in Israele o vivano tra i palestinesi. Perché? «Nella mia terra non c'è posto per l'individuo. Le uniche identità possibili sono collettive: qualsiasi scelta, compreso dove vivi, è politica. I palestinesi mi e ci considerano amici del giaguaro, venduti. Gli israeliani si proclamano democratici ma non accetteranno mai di mescolarsi con la minoranza araba-israeliana». Per questo scrive? «Scrivo per sopravvivere, per spiegare ai miei connazionali che sono come loro, ho una storia. I miei libri in ebraico vendono. Adesso alcuni romanzi saranno tradotti in arabo a Beirut: tratto argomenti sensibili, non so come verranno letti. La migliore accoglienza che abbia ricevuto è stata all'estero». La letteratura come la vita. «I palestinesi sono un problema per il mondo. Non se ne parla mai in termini di diritto ma come un problema da risolvere». Come mai lo scorso anno ha rifiutato di partecipare alla Fiera del libro di Torino dedicato a Israele e quest'anno invece è qui? «Dopo la polemica sul boicottaggio, non volevo essere usato. Non ho avuto invece alcun problema a parlare tra le bandiere israeliane alla Fiera di Parigi. Detesto i boicottaggi culturali. Sono cresciuto leggendo autori arabi come Barakat e Naghib Mahfuz ma anche gli israeliani Oz, Yehoshua, Edgar Keret e Yoel Hoffman. Gli scrittori non sono bandiere. Senza i libri di Natalia Ginzburg non avrei mai intrapreso la carriera letteraria. Gli unici ponti possibili sono quelli che costruiscono gli scrittori, il Medio Oriente farebbe bene a pensarci su».

Torna all'inizio


Pop o papi, questo è il problema (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Maurizio Ferraris NON L'HO MAI DETTO... FENOMENO MONDIALE Pop o papi, questo è il problema Un filosofo davanti all'irresistibile tendenza d'oggi: realtà e finzione sono diventate una cosa sola «Chi parla così pensa che non c'è una verità ma soltanto favole» Da Obama alla Dati: battute per eludere le responsabilità [FIRMA]MAURIZIO ASSALTO Pop o papi? Potrebbe diventare il nuovo tormentone, sulla falsariga del giochino disgiuntivo «rock o lento» di celentanesca memoria. Umberto Eco è pop, le veline sono papi. Papi è papi (va da sé). A riflettere su «Filosofia pop: alto e basso, vero e falso» sarà oggi, in Fiera, Maurizio Ferraris, un pensatore che della mescolanza e feconda contaminazione tra alto e basso ha fatto la cifra del proprio lavoro teoretico. Come è evidente anche nel libro che ha appena pubblicato dal Melangolo, Piangere e ridere davvero. Feuilleton, dove passa dal fenomeno delle lacrime per Anna Karenina a quelle per Lady D., dalle risate preregistrate delle sit-com a quelle provocate dalle barzellette. E rieccolo... Allora non potrebbe essere lui, papi, l'eroe culturale della filosofia pop? «Lui incarna con istinto infallibile l'essenza del postmoderno, cioè l'indistinzione tra realtà e finzione e la tendenza a portare in basso tutto ciò che è alto. Ma questo non è pop: intanto non c'è il movimento dal basso verso l'alto, e poi io dico che la distinzione tra realtà e finzione deve essere analizzata, articolata, ma è una distinzione senza la quale non si può vivere. Invece: "Non è vero, non l'ho mai detto, sono stato frainteso...". È come se chi parla così pensasse che non c'è una verità, ma soltanto favole che si possono raccontare al pubblico». Favole. E barzellette... «Le battute sono un modo di sostituire la responsabilità verso il vero. Il fenomeno ha assunto una dimensione mondiale, da Rachida Dati che arriva tardi sul palco e si mette a scherzare con il suo vicino, a Sarkozy, allo stesso Obama che qualche giorno fa, in un incontro con i giornalisti, ha infilato una battuta dietro l'altra, sul suo vice Joe Biden, su Hillary Clinton, su se stesso. Sono atteggiamenti che solo apparentemente mescolano alto e basso: in effetti eludono ogni comprensione critica, sono piuttosto profanazioni. Fare le corna in una foto ufficiale vuol dire profanare l'essenza del politico, quel po' di sacralità che dovrebbe includere. Quindi papi non è pop». Nella realtà d'oggi prevale l'aspetto papi o quello pop? «Prevale senz'altro l'aspetto papi». C'è un papi in ognuno di noi? «Non mi spingerei a tanto, ma sì, sembrerebbe che lo spirito del tempo inclini pericolosamente verso papi. Per esempio, non vediamo persone che proclamano la propria fede cattolica e contemporaneamente si comportano in modi che in apparenza hanno ben poco a che fare con questa fede? C'è tutto uno sventolare di valori - nei manifesti elettorali non se ne sono mai visti tanti - e contemporaneamente una totale indifferenza a qualunque valore. Se il marchese de Sade rinascesse, avrebbe davanti a sé una realtà che supera le sue più ardite finzioni». Lo spirito del tempo, appunto. «Sì, e ci insegna a riflettere che lo spirito del tempo non è necessariamente buono. Ci possono essere epoche che sbagliano radicalmente». Se dovesse indicare qualche autentico personaggio pop? «Uno è Umberto Eco: un uomo che ha rivelato grandissima sensibilità per la cultura popolare pur avendo avuto tutta una vita orientata verso la cultura alta. Un altro era Jacques Derrida, capace di un'attenzione spasmodica verso il presente ma nello stesso tempo in grado di mantenere distacco e capacità critica». Proviamo a fare il giochino. Il predecessore di papi, Prodi, che cos'è? «Prodi è pop». Un politico del passato: Pertini? «Lui che esulta sugli spalti del Bernabeu, accanto al re Juan Carlos, nella finale del Mundial '82: è un tipico, grande esempio di politico pop. Traghettava se stesso dalla lotta partigiana ai campionati di calcio». E Napolitano? «È pop in maniera sublime. Paradossalmente, per un uomo della sua età. Quella di far incontrare la vedova Calabresi e la vedova Pinelli è una grande idea pop». Di Pietro? «La versione populista del pop». Bossi? «Bossi è pop, mentre Maroni è papi». Maurizio Ferraris? «Spero di essere pop, ma temo di essere a volte anche un po' papi. Per quanto ci sforziamo di essere distaccati e autocritici, possiamo facilmente cadere vittime del narcisismo, avere atteggiamenti arroganti e prepotenti. È umano, succede a tutti».

Torna all'inizio


Obama nell'università cattolica Gli antiabortisti lo fischiano (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

NOTRE DAME (Indiana) - Barack Obama fischiato all'università cattolica di Notre Dame nell'Indiana, la prima vera contestazione pubblica della sua recente presidenza. I cattolici contestano al presidente la sua politica favorevole all'aborto e alla ricerca sulle staminali. Barack Obama non si è scomposto: ha ricevuto la laurea honoris causa in legge che l'università promette ai presidenti degli Stati Uniti, e al termine della replica dei suoi fan ha detto: "Va tutto bene, nessun problema". Nonostante le contestazioni, il discorso del presidente ha teso la mano verso i conservatori religiosi invitando americani di ogni fede e convinzione ideologica "in uno sforzo comune" per ridurre il numero degli aborti: "Non voglio dire che il dibattito sull'aborto sia destinato a scomparire", ha detto Obama. "Le opinioni degli americani al riguardo sono complesse e contraddittorie, e il fatto è che a certi livelli sono inconciliabili. Difendiamo pure le nostre opinioni con passione e convinzione, ma senza ridurre a caricatura chi non la pensa come noi". Assiepati nello stadio di basket, tra gli 11mila ospiti, migliaia di studenti indossavano un berretto di protesta: il classico "tocco" nero dell'uniforme dei laureati su cui era stampata in giallo una croce e la sagoma dei piedini di un feto. I manifestanti che hanno inscenato la rumorosa contestazione al presidente americano non erano più di una ventina, e sono stati subito allontanati dal servizio d'ordine. Il discorso del presidente era stato preceduto da dure proteste fuori dall'università già nei giorni scorsi. Almeno 19 persone sono state arrestate ieri mentre per la città sfilavano tre camion con foto di feti abortiti e dinanzi all'entrata del campus sfilavano attivisti con insegne del tipo "Obama=aborto". Tra i fermati, anche il reverendo Norman Weslin, fondatore del gruppo antiabortista "Agnelli di Cristi" eNorma McCorvey, anti-abortista dichiarata, protagonista del caso Roe contro Wade che nel 1973 aveva portato alla legalizzazione dell'aborto. OAS_RICH('Middle'); (17 maggio 2009

Torna all'inizio


sull'aborto obama sfida i fischi - washington (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Sull´aborto Obama sfida i fischi WASHINGTON Il piano della destra americana e dei cristiani intolleranti per rilanciare la "guerra dei valori" sull´aborto contro Barack Obama, credeva di avere trovato nella cattolicissima università di Notre Dame il Piave dal quale muovere per attaccarlo. SEGUE A PAGINA 13

Torna all'inizio


la trappola dei conservatori - (segue dalla prima pagina) vittorio zucconi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 13 - Esteri LA TRAPPOLA DEI CONSERVATORI (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) VITTORIO ZUCCONI Il piano non è riuscito, non soltanto perché il trucco del neonato piangente era troppo osceno anche per i militanti della destra cristiana e i disturbatori organizzati in loggione erano troppo pochi, ma semplicemente perché Obama non si è presentato come "il dottor aborto", ma come qualcuno che vuole ascoltare anche le opinioni degli altri. Che vuole rispettare i diritti senza imporli come doveri e soprattutto battersi - ed è questo il tallone d´Achille dell´intransigenza dottrinale - per ridurre le gravidanze non desiderate. Un concetto che ha scatenato le ovazioni degli studenti, e soprattutto delle studentesse, raccolte per ricevere i loro diplomi e per ascoltarlo. A pochi giorni dalla scelta della persona, molto probabilmente una donna che già, senza conoscerne il nome, i media conservatori attaccano preventivamente e che dovrà sostituire uno dei nove giudici della Corte Suprema, questo appuntamento nell´università americana "più cattolica del Papa", per ricevere un dottorato in legge honoris causa era il trabocchetto che la parte più intransigente della gerarchia - un terzo circa dei vescovi - e i resti del partito Repubblicano, avevano scelto per farlo inciampare. Se il piano è fallito, di fronte all´accoglienza dei duemila seicento laureati, alla fermezza del rettore, un sacerdote lui stesso, e al suo elegante, equilibrato discorso, è fallito, è perché troppo ovvio era stato il tentativo di sfruttamento politico dell´evento. Ma la faglia, la linea sismica fra "pro vita" e "pro scelta", rimane profonda. Il calcolo dell´opposizione che aveva montato la cerimonia nell´università fondata da un missionario dell´ordine dei "Crugigeri", i sacerdoti della Santa Croce 167 anni or sono, era, e rimane, quello di dissotterrare le armi della Kulturkampf, della guerra di valori, che tanto abilmente la destra aveva usato per vincere due elezioni presidenziali. Ma il vecchio meccanismo della intolleranza e della demonizzazione dell´avversario, parola usata da Obama, scivola sulla schiena di un uomo che incarna la speranza della conciliazione nazionale, che come ha detto padre Jenkins presidente di Notre Dame, «ha vinto la battaglia del pregiudizio razziale che opprimeva l´America dalle sue origini». Nessuno ha cambiato opinione, né poteva cambiarla su un tema come l´aborto che lo stesso Rettore, accusato di tradimento dai fanatici, ha ripetuto essere «un principio inviolabile e fondamentale» per la sua fede. Ma il diritto delle donne a scegliere la maternità resta appeso negli Stati Uniti al filo sottile dell´interpretazione sul "diritto alla privacy" costituzionale data dalla Corte Suprema nel 1973, dunque al voto di cinque sui nove magistrati. E sarà, per un presidente che da candidato aveva promesso di solidificare definitivamente questo diritto, che ha già irritato molto cristiani, cattolici e non cattolici, rifinanziando la ricerca sulle staminali e riaprendo i fondi per le organizzazioni che nel Terzo Mondo promuovono la contraccezione e praticano aborti, uno di quei fili di lama sui quali anche la sua abilità di acrobata sarà messa a dura prova. La sua storia, espressa in un´eloquenza che la sua persona riesce non rendere retorica, ha saputo ricordare a questi futuri medici, avvocati, insegnanti, funzionari, commercianti, madri e padri di famiglia, che 55 anni or sono appena una Corte Suprema dovette mettere fine all´apartheid del "separati ma uguali". Agli americani di due generazioni or sono, la prospettiva di ristoranti aperti a tutti, di mezzi di trasporto dove nessuno fosse costretto a sedere in posti riservati per colore o passaporto, sarebbe apparsa impossibile come oggi può sembrare inimmaginabile un compromesso umano, morale e civile sull´obbligo e la libertà di portare a termine anche gravidanze subite nella violenza. «Non dobbiamo demonizzarci soltanto perchè abbiamo convinzioni morali diverse». L´aborto, lo sa bene, è, e resterà, una contraddizione profonda e tale resterà e dovrà essere dibattuto, pur sapendo che «è irriconciliabile». E´ lo sfruttamento a fini politici ed elettorali , il chiudere "cuori e menti", il rifiuto delle libertà anche di sbagliare, quello che Obama invita a rigettare e che anche questa generazione di laureati di un´università cattolica hanno voluto, proprio perché sono cristiani, applaudire.

Torna all'inizio


aborto, obama sfida i fischi nel campus di "notre dame" - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 13 - Esteri Aborto, Obama sfida i fischi nel campus di "Notre Dame" Il presidente apre alla destra religiosa: "Dialoghiamo" Il discorso è stato interrotto più volte ma alla fine il presidente ha sedotto la platea. Venti fermi fra le centinaia di contestatori ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - «Forse non saremo d´accordo sull´aborto, ma possiamo esserlo sul fatto che è una decisione che spezza il cuore a ogni donna, sia per la sua dimensione morale che spirituale. Allora lavoriamo insieme per ridurre il numero di donne che abortiscono, rendendo più facili le adozioni e dando aiuto alle donne che vogliono tenere il proprio figlio». Il presidente degli Stati Uniti raccoglie qualche timido applauso ma deve incassare anche i primi fischi - probabilmente messi in conto - del suo mandato. Accolto da centinaia di contestatori e venti fermi, da slogan contro «gli abortisti assassini», da cartelli con foto giganti di feti e da una "contro-laurea" religiosa di studenti e genitori "per la vita", Barack Obama non si è certo tirato indietro. Davanti ai duemila studenti laureandi di Notre Dame (Indiana), università che è il bastione del cattolicesimo accademico, ha affrontato il tema che nell´America del primo presidente afro-americano è forse quello che più divide il paese. L´invito a Obama per il giorno delle graduation (e per ricevere lui stesso una laurea honoris causa in diritto) nella cattolica Notre Dame aveva fin dal marzo scorso creato non poche polemiche. Le sue decisioni sulle staminali e la sua posizione favorevole all´aborto ribadita in campagna elettorale, avevano spaccato il mondo non solo cattolico. Il presidente di Notre Dame, reverendo John Jenskins, aveva confermato la decisione presa dall´ateneo cattolico ricevendo il sostegno della grande maggioranza del corpo accademico: «Rispetta chi non è d´accordo ma ha preso una decisione in base alla sua coscienza ed ha il nostro pieno sostegno». Ma Francis George, cardinale di Chicago, per protesta aveva rifiutato la "laetare medal", la più prestigiosa onorificenza offerta dal college sostenendo che invitare Obama «significa non capire cosa vuol dire essere cattolici». «Onoriamo la coscienza di chi non è d´accordo con l´aborto», ha detto Obama malgrado il suo discorso sia stato interrotto più volte dai contestatori. «Vi ringrazio per questo diploma onorario, so che è stata una scelta controversa». Ha parlato dell´ambiente («dobbiamo decidere come salvare la creazione di Dio dal cambio climatico che minaccia di distruggerla»), di guerra e terrorismo («dobbiamo cercare la pace in un tempo in cui c´è chi non si ferma davanti a nulla pur di colpirci»), ha invitato tutti a «trovare la strada per vivere insieme come un´unica famiglia. Non una persona, non una religione, non una nazione può affrontare queste sfide da sola. Mai come oggi la nostra sopravvivenza richiede la più grande cooperazione e la comprensione di tutti i popoli». Agli studenti e soprattutto ai contestatori ha ricordato che «trovare un terreno comune non è facile», dipende dall´imperfezione dell´essere umano, dal «nostro orgoglio», dalle insicurezze e dagli egoismi «tutti peccati che secondo la tradizione cristiana hanno radici nel peccato originale». Ci sono tanti conflitti: quelli tra i «soldati e gli uomini di diritto che possono amare questo paese con la stessa passione ma arrivare a differenti conclusioni» sul modo di proteggerlo; quelli tra «gli attivisti gay e i pastori evangelici che deplorano entrambi il dramma dell´Aids ma sono incapaci di trovare un ponte per unire i propri sforzi»; tra chi è contrario alle cellule staminali, «motivato dall´ammirabile convinzione per la sacralità della vita» e quei genitori che hanno un figli diabetici e sperano che vengano guariti. In tutti questi conflitti, come in quello sull´aborto la questione, dice il presidente americano è sempre la stessa: «Trovare il modo di restare fermi nelle proprie convinzioni e lottare per quello che riteniamo giusto senza demonizzare chi la pensa diversamente da noi». Come aveva fatto in campagna elettorale, nel faccia a faccia con il telepredicatore Rick Warren, Obama a Notre Dame ha dunque teso la mano alla destra religiosa. Ma è da sinistra, dalla sua base elettorale, che si sta preparando una pericolosa minaccia politica alla nuova presidenza. Per i liberal, infatti, con le prime decisioni sul fronte della tortura, di Guantanamo, dell´immigrazione, dei diritti dei gay, Obama sta tradendo le loro cause. Intanto un sondaggio sostiene che il 51 per cento degli americani si dice, oggi, contrario all´aborto; la prima volta che gli anti-abortisti diventano maggioranza da quando la Gallup ha iniziato a porre la domanda. Il tema è anche centrale nella nomina del prossimo giudice della Corte Suprema che Obama dovrà scegliere nei prossimi mesi.

Torna all'inizio


e dopo i giochi proibiti l'uomo dell'anno di time adesso si dà al far west - jaime d'alessandro new york (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 28 - Cronaca Dan Houser, l´inventore di "Grand Theft Auto", è stato "eletto" tra le 100 persone più influenti del mondo Passate le polemiche per le violenze del gioco cult, ora stupisce di nuovo: raccontando le gesta dei cowboy E dopo i giochi proibiti l´uomo dell´anno di Time adesso si dà al Far West Ha stravolto il settore abolendo marziani e principesse da salvare JAIME D´ALESSANDRO NEW YORK Dan Houser cammina veloce per gli uffici della Rockstar Games, un open space tutto bianco sulla Broadway Avenue, in maglietta nera e jeans. Stretta di mano decisa, modi cordiali. A prima vista sembra uno qualunque, solo un po´ indaffarato. Eppure insieme al fratello Sam, 35 anni il primo e 37 il secondo, è - secondo Time Magazine - tra i 100 personaggi più influenti del mondo. Forse il nome, a differenza di quello di Barack Obama, Angela Merkel, o Brad Pitt, non dice molto ai più, eppure tutti conoscono i videogame prodotti dai due fratelli, cominciando dalla serie di Grand Theft Auto venduta in oltre 70 milioni di copie. Ritratto violento e dissacrante dell´America contemporanea che Matt Selman, sceneggiatore dei Simpson, ha paragonato ai romanzi di Tom Wolf. Due ragazzi terribili, gli Houser, cresciuti a Londra sognando di diventare delle rockstar (di qui il nome della loro software house), capaci di stravolgere il settore dei giochi elettronici. Al posto di marziani da sterminare o principesse da portare in salvo, mettono in scena personaggi degni di un film, dialoghi ironici, taglienti, e sullo sfondo un´umanità allo sbando che vive in una società senza regole. «L´equilibrio fra narrazione e mondo digitale interattivo è l´anima dei nostri videogame», spiega Dan, «alla fine sono come dei dipinti nei quali immergersi. Tutto sta nel dare al giocatore il più alto grado di libertà possibile, portandolo però a fare cose che non entrino in conflitto con la trama». Un´arte sottile nella quel i due Houser unici veri maestri. «E pensare che ai videogame siamo arrivati quasi per caso», racconta, «lavoravano in un´etichetta discografica, la Bmg, che aveva una sua divisione giochi. Poi alla Bmg decidono di disfarsi dei videogame pensando che il futuro sia nel business della musica. Così ci siamo trasferiti a New York. Io avevo 25 anni, Sam, 27. Mai avremmo immaginato che di lì a poco, nel 2001, un nostro titolo avrebbe venduto ben 15 milioni di copie». Ora, ormai ai vertici, i due fratelli hanno una nuova sfida che si chiama vecchio West. Red Dead Redemption, il gioco in arrivo entro fine anno, sarà infatti ambientato nel 1910 quando la frontiera cara a registi come John Ford, Sam Peckinpah, Sergio Leone era ormai quasi scomparsa. «è un´epoca strana», dice, «A quei tempi alcuni pistoleri erano già leggenda. Ma il West stava morendo proprio mentre diventava mito, scacciato dalla ferrovia, dal telegrafo, dall´industrializzazione. Se l´ultimo Gta parlava del declino del sogno americano, qui al centro c´è l´idea stessa di America: il conflitto permanente fra libertà assoluta e natura incontaminata da una parte, progresso e capitalismo dall´altra». Di qui il lungo viaggio sanguinario del protagonista, John Marston, ex fuorilegge costretto ad entrare nel Bureau of Investigation, che più tardi diventerà l´Fbi. Ancora una volta niente buoni né cattivi. Solo persone che tentano di non restare ai margini di un mondo che sta cambiando troppo velocemente.

Torna all'inizio


L'assalto di Torino Marcegaglia: evitare il conflitto sociale (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 18/05/2009 - pag: 5 L'assalto di Torino Marcegaglia: evitare il conflitto sociale La solidarietà a Rinaldini: no alla violenza MILANO Il giorno della solidarietà e della condanna alla violenza. A 24 ore dall'aggressione al segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini durante la manifestazione dei lavoratori Fiat di Torino, che tra l'altro ha visto anche la presenza, insieme ad alcuni esponenti del Pd, dell'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, sindacati e mondo politico si uniscono. Lo stesso Rinaldini puntualizza: «L'aggressione di ieri è stata solo un'azione teppistica, ma altra cosa è il disagio sociale. E se si annunceranno chiusure di stabilimenti si rischia una tensione sociale a livelli molto elevati». Puntualizza anche lo Slai Cobas, additato come responsabile dei tafferugli, che respinge ogni accusa: «È stata falsificata la realtà, Rinaldini è scivolato. Non c'è stata nessuna aggressione», ha commentato ieri Francesco Rizzo dell'esecutivo nazionale. Tutti gli altri sindacati, invece, solidarizzano con la Fiom. Il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani attacca «un certo modo di fare estremismo» e lancia l'allarme sul conflitto sociale che «si può aggravare, soprattutto se non si fa nulla». Un'idea, questa, condivisa da Raffaele Bonanni, della Cisl, che taglia corto sulla matrice dell'aggressione: «Non è stata una contestazione politica, ma un'azione squadristica». Solidarietà anche dal segretario generale dell'Ugl, Renata Polverini: «Bisogna tenere i lavoratori uniti ed evitare che la crisi surriscaldi il clima sociale». Per il presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, quello di sabato davanti ai cancelli della Fiat è stato «un episodio grave di intolleranza, che ci riporta indietro negli anni, a stagioni che speravamo dimenticate ». E ieri sera, davanti alle telecamere del Tg1, ha lanciato «un appello » per «evitare che si inneschi il conflitto sociale. Bisogna isolare le frange violente e lavorare tutti» per evitare che si inneschi il conflitto, anche «aumentando la durata della cassa integrazione». Sul versante politico, unica voce fuori dal coro, è il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto, che accusa la Fiom di aver «portato avanti una linea estremista. E chi semina vento raccoglie tempesta ». Poi lancia un avvertimento alla Cgil: «Ritrovi l'unità con Cisl, Uil e Ugl, a partire dalle nuove regole di contrattazione, o sarà costretta a inseguire i Cobas con effetti disastrosi». Di diverso tono il commento del ministro del Welfare Maurizio Sacconi, secondo il quale l'aggressione a Rinaldini fa parte di «comportamenti violenti di un ben noto, piccolissimo gruppo sindacale in Fiat». Mentre Altero Matteoli sottolinea che «la spaccatura sindacale rischia di fare vincere gli estremismi». Secondo Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione e coordinatore delle segreterie della Lega Nord, l'episodio di Torino è «un brutto segnale che fa temere pericolosi rigurgiti o peggio ancora il nascere di germogli di neobrigatismi, che fino a ieri sembravano emarginati, schiacciati o spersi». L'opposizione si stringe attorno al sindacato. Il segretario del Pd Dario Franceschini ha telefonato a Epifani per esprimere solidarietà e attacca il governo: «L'unico modo per prevenire le tensioni sociali è intervenire con misure concrete e efficaci». Duro il giudizio di Massimo D'Alema, che bolla come «un atto di teppismo» l'episodio di Torino, ma sollecita il governo ad aprire il dossier Fiat, come hanno fatto Barack Obama negli Usa e Angela Merkel in Germania. Gabriele Dossena

Torna all'inizio


Fischi dai cattolici Ma Obama invita al dialogo sull'aborto (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 18/05/2009 - pag: 17 America divisa Laurea «honoris causa» nell'Indiana Fischi dai cattolici Ma Obama invita al dialogo sull'aborto Il presidente: «Aprite il cuore» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON E' andato nel cuore cattolico dell'America, portando un messaggio di dialogo, tolleranza e riconciliazione. E' andato alla Notre Dame University, squassata dalle critiche e dalle diatribe per la sua presenza, per spiegare che l'aborto non dev'essere un tema sul quale le due parti devono demonizzarsi a vicenda. Nella più prestigiosa istituzione della cristianità romana in America, Barack Obama ha pienamente superato uno degli esami più difficili e controversi della sua presidenza. Ci sono state dimostrazioni, c'è state qualche fischio isolato durante il suo discorso, ma il leader della Casa Bianca ha saputo toccare le note giuste, quelle che gli sono valse l'ovazione della stragrande maggioranza degli studenti, nella cerimonia di chiusura dell'anno accademico. Obama ha preso di petto il tema della discordia, riconoscendo «l'irriconciliabilità» dei due campi sull'aborto. Ma ha implorato i laureandi e tutti gli americani «a non ridurre a caricatura punti di vista diversi». «Io non ho cambiato la mia posizione ha detto il presidente ma cominciamo a dire che se non siamo d'accordo sull'aborto, possiamo concordare che sia una decisione lacerante per qualsiasi donna, con dimensioni morali e spirituali. Quindi lavoriamo insieme per ridurre il numero delle donne che vogliono abortire, diminuendo le gravidanze non volute, facilitando le adozioni, assicurando assistenza e sostegno a chi decida di tenersi il bambino». Obama ha chiesto di «onorare la coscienza di chi si opponga all'aborto» e ha offerto «una clausola di coscienza » a medici e paramedici che si rifiutano di fornire l'interruzione di gravidanza. Ma, ha aggiunto, «facciamo sì che le nostre politiche sanitarie siano fondate su criteri scientifici ed etici chiari, così come sul rispetto dell'eguaglianza delle donne ». «Cuori aperti, menti aperte, parole intellettualmente oneste », così Obama ha riassunto il suo approccio. Centinaia di dimostranti si erano ritrovati all'alba fuori dai cancelli del campus. La sera prima una trentina di persone erano state arrestate, fra queste anche un prete, per aver tentato di penetrare nel territorio del college (che in quanto istituzione privata ha il diritto di limitare l'accesso) o per aver opposto resistenza agli agenti. Ma la protesta ha trovato solo appoggi isolati durante la cerimonia, fra le 12 mila persone che vi hanno preso parte. Quando un paio di studenti hanno gridato «Vergogna su Notre Dame» e «Stop all'uccisione dei nostri bambini», dal parterre si è levato lo slogan «Yes, we can», il grido di battaglia della campagna di Obama. Il rettore di Notre Dame, John Jenkins, che in queste settimane ha dovuto fronteggiare le proteste di docenti, allievi e di gran parte della gerarchia ecclesiastica per l'invito rivolto a Obama, ha elogiato il presidente per la sua «disponibilità al dialogo con chi non la pensa come lui». E ne ha sottolineato l'umanesimo nel suo approccio ai problemi del mondo. Jenkins ha consegnato a Barack Obama la laurea honoris causa in legge, che per alcuni membri del corpo accademico è stata la vera ragione del dissenso. Obama nel suo discorso ha anche avuto l'accortezza di evocare la figura dell'ex arcivescovo di Chicago, il cardinale Bernardin e la sua massima: «Non si può pensare di predicare il Vangelo, se prima non si toccano le menti e i cuori delle persone». Paolo Valentino Onore Il presidente Usa Barack Obama riceve una laurea honoris causa all'Università di Notre Dame, a South Bend, Indiana (Reuters/ Jason Reed)

Torna all'inizio


L'ombra delle torture insegue il generale dell'Afghanistan (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 18/05/2009 - pag: 17 Le accuse L'ombra delle torture insegue il generale dell'Afghanistan WASHINGTON Le foto con le umiliazioni inflitte ai detenuti di Abu Ghraib, in Iraq, pubblicate in Australia nonostante il veto americano. Il dossier di Human Rights Watch che insegue come un fantasma il nuovo comandante statunitense in Afghanistan, Stanley McChrystal. E' il passato che ritorna e crea imbarazzo alla Casa Bianca, proiettata a concepire una nuova strategia contro estremismo e talebani. A Washington si guarda con una certa inquietudine alle accuse mosse nei confronti del generale che, tra qualche giorno, dovrà superare l'esame del Senato. E chi cerca di impallinarlo non ha dovuto scavare troppo per procurarsi le munizioni. Già in passato, la stampa aveva pubblicato racconti dettagliati su quanto era avvenuto in Iraq nel periodo 2003-2004 in Iraq. All'epoca McChrystal coordinava le operazioni delle unità speciali e tra queste vi era la famosa Task Force 6-26. Il reparto, al quale sono stati accreditati molti successi nell'azione di controguerriglia, aveva creato nella propria base di Camp Nama un carcere speciale dove secondo le accuse sono stati compiute torture e violenze. In un rapporto presentato da Marc Garlasco, ex ufficiale dell'intelligence passato a lavorare con Human Rights Watch, si raccontano di prigionieri tenuti nudi, privati del sonno, picchiati, tenuti in posizioni estreme, esposti alla tecnica caldo-freddo. Sempre secondo la denuncia McChrystal avrebbe favorito un clima di immunità lasciando carta bianca agli uomini che tenevano i sospetti in una serie di celle, chiamate «Motel 6» e «Hotel California ». Un'area che sarebbe stata preclusa alle ispezioni della Croce Rossa. Quanti difendono McChrystal ricordano l'alto numero di terroristi eliminati, compreso Abu Musab Al Zarkawi. Un piano che, secondo le rivelazioni del celebre giornalista Bob Woodward, può essere paragonato a quello che ha portato alla messa a punto dell'atomica. E per questo coperto dalla segretezza. Le polemiche si sono poi legate a quelle sulla possibile divulgazione di foto che mostrano gli abusi dei soldati in Iraq. Il presidente Obama si è opposto ma alcune immagini sono comparse in Australia e sono state pubblicate. Una «fuga» che potrebbe essere seguita da altre creando imbarazzi e contrasti. La Casa Bianca, mostrando pragmatismo, cerca di guardare avanti ma deve fare i conti con un passato scritto da altri. G.O. GUARDA nuove immagini, diffuse su Internet, di torture dei militari Usa ai danni di prigionieri iracheni ad Abu Ghraib su www.corriere.it Sul web Prigionieri seviziati ad Abu Ghraib, Iraq

Torna all'inizio


insulti (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 18/05/2009 - pag: 17 Urla e insulti Un militante anti-abortista contesta Obama durante il discorso alla Notre Dame. Viene portato via (Reuters/Jason Reed)

Torna all'inizio


La trappola dei conservatori (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON - Il piano della destra americana e dei cristiani intolleranti per rilanciare la "guerra dei valori" sull'aborto contro Barack Obama, credeva di avere trovato nella cattolicissima università di Notre Dame il Piave dal quale muovere per attaccarlo. Il piano non è riuscito, non soltanto perché il trucco del neonato piangente era troppo osceno anche per i militanti della destra cristiana e i disturbatori organizzati in loggione erano troppo pochi, ma semplicemente perché Obama non si è presentato come "il dottor aborto", ma come qualcuno che vuole ascoltare anche le opinioni degli altri. Che vuole rispettare i diritti senza imporli come doveri e soprattutto battersi - ed è questo il tallone d'Achille dell'intransigenza dottrinale - per ridurre le gravidanze non desiderate. Un concetto che ha scatenato le ovazioni degli studenti, e soprattutto delle studentesse, raccolte per ricevere i loro diplomi e per ascoltarlo. A pochi giorni dalla scelta della persona, molto probabilmente una donna che già, senza conoscerne il nome, i media conservatori attaccano preventivamente e che dovrà sostituire uno dei nove giudici della Corte Suprema, questo appuntamento nell'università americana "più cattolica del Papa", per ricevere un dottorato in legge honoris causa era il trabocchetto che la parte più intransigente della gerarchia - un terzo circa dei vescovi - e i resti del partito Repubblicano, avevano scelto per farlo inciampare. Se il piano è fallito, di fronte all'accoglienza dei duemila seicento laureati, alla fermezza del rettore, un sacerdote lui stesso, e al suo elegante, equilibrato discorso, è fallito, è perché troppo ovvio era stato il tentativo di sfruttamento politico dell'evento. Ma la faglia, la linea sismica fra "pro vita" e "pro scelta", rimane profonda. OAS_RICH('Middle'); Il calcolo dell'opposizione che aveva montato la cerimonia nell'università fondata da un missionario dell'ordine dei "Crugigeri", i sacerdoti della Santa Croce 167 anni or sono, era, e rimane, quello di dissotterrare le armi della Kulturkampf, della guerra di valori, che tanto abilmente la destra aveva usato per vincere due elezioni presidenziali. Ma il vecchio meccanismo della intolleranza e della demonizzazione dell'avversario, parola usata da Obama, scivola sulla schiena di un uomo che incarna la speranza della conciliazione nazionale, che come ha detto padre Jenkins presidente di Notre Dame, "ha vinto la battaglia del pregiudizio razziale che opprimeva l'America dalle sue origini". Nessuno ha cambiato opinione, né poteva cambiarla su un tema come l'aborto che lo stesso Rettore, accusato di tradimento dai fanatici, ha ripetuto essere "un principio inviolabile e fondamentale" per la sua fede. Ma il diritto delle donne a scegliere la maternità resta appeso negli Stati Uniti al filo sottile dell'interpretazione sul "diritto alla privacy" costituzionale data dalla Corte Suprema nel 1973, dunque al voto di cinque sui nove magistrati. E sarà, per un presidente che da candidato aveva promesso di solidificare definitivamente questo diritto, che ha già irritato molto cristiani, cattolici e non cattolici, rifinanziando la ricerca sulle staminali e riaprendo i fondi per le organizzazioni che nel Terzo Mondo promuovono la contraccezione e praticano aborti, uno di quei fili di lama sui quali anche la sua abilità di acrobata sarà messa a dura prova. La sua storia, espressa in un'eloquenza che la sua persona riesce non rendere retorica, ha saputo ricordare a questi futuri medici, avvocati, insegnanti, funzionari, commercianti, madri e padri di famiglia, che 55 anni or sono appena una Corte Suprema dovette mettere fine all'apartheid del "separati ma uguali". Agli americani di due generazioni or sono, la prospettiva di ristoranti aperti a tutti, di mezzi di trasporto dove nessuno fosse costretto a sedere in posti riservati per colore o passaporto, sarebbe apparsa impossibile come oggi può sembrare inimmaginabile un compromesso umano, morale e civile sull'obbligo e la libertà di portare a termine anche gravidanze subite nella violenza. "Non dobbiamo demonizzarci soltanto perché abbiamo convinzioni morali diverse". L'aborto, lo sa bene, è, e resterà, una contraddizione profonda e tale resterà e dovrà essere dibattuto, pur sapendo che "è irriconciliabile". E' lo sfruttamento a fini politici ed elettorali , il chiudere "cuori e menti", il rifiuto delle libertà anche di sbagliare, quello che Obama invita a rigettare e che anche questa generazione di laureati di un'università cattolica hanno voluto, proprio perché sono cristiani, applaudire. (18 maggio 2009

Torna all'inizio


La bomba di Teheran voto all'ombra del nucleare (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

TEHERAN - La bomba, quella atomica, è sempre presente. Anche se non la nomini ci pensi. E questo vale anche per il tuo interlocutore, il quale si aspetta che a un certo punto la tirerai in ballo. E' sottintesa. E' un fantasma, una minaccia, un miraggio. Un'arma politica per chi la denuncia come per chi la nega ma lascia credere che sia possibile. Sotto il tendone di un ristorante, ai piedi del monte Alborz, i cui pendii innevati la sera mandano folate di vento gelido, dopo una giornata primaverile, un critico letterario e professore universitario mi dice: "Lei mi chiede se voglio l'arma nucleare? Certo che la voglio, perché dovrebbero averla Israele, il Pakistan, l'India e non noi, che abbiamo alle spalle millenni di civiltà? Ma non voglio che l'abbiano tra le mani quei matti che ci governano". Insomma il professore è favorevole ma non si fida dell'uso che potrebbero farne gli ayatollah al potere. E' evidente: non li ama. Ma è un nazionalista o, più semplicemente, un iraniano orgoglioso. Quando a Sud di Teheran, nel quartiere popolare del Bazar, pongo la stessa domanda a un commerciante, con il quale ho avviato una conversazione col pretesto di voler comperare un tappetino, ricevo una risposta che sembra uscita dal cuore: "Ahmadinejad ha ragione a volerla, ma prima dovrebbe contenere l'inflazione che ci mangia i soldi e che per noi è quello che conta". Al livello di funzionari l'argomento più usato è che a israeliani e americani fa comodo demonizzare la Repubblica Islamica, presentandola come una imminente minaccia nucleare. Nella realtà, il presidente Ahmadinejad non ha mai detto di volere l'arma nucleare, ma i suoi discorsi provocatori hanno consentito tutte le ipotesi. Pare che il defunto ayatollah Khomeini, ai tempi della guerra con l'Iraq, negli anni Ottanta, abbia detto che il Paese doveva possederla per difendersi dai tanti nemici. OAS_RICH('Middle'); Adesso Israele giura che l'Iran l'avrà entro il 2010, e i suoi esperti militari (come descrive con dovizia di particolari lo studio di Abdullah Toukan e Anthony Cordesman del Centro studi strategici e internazionali di Washington) si danno da fare per studiare come annientare in tempo i centri di ricerca nucleari iraniani, calcolando i rischi di tale azione. Azione giudicata dagli americani (dopo Bush) gravida di conseguenze non soltanto per la regione. E infatti il neo presidente degli Stati Uniti ha teso la mano ai dirigenti iraniani, invitandoli ad "aprire il pugno", ossia a dimostrare migliori intenzioni di quelle che gli vengono attribuite. Il pugno potrebbe aprirsi, o dischiudersi, con le elezioni del 12 giugno. Elezioni su cui pesa il dilemma Obama. Dilemma che angoscia e divide più che mai, in questi giorni, i già litigiosi, cavillosi teologi che sovrastano e regolano la vita della Repubblica Islamica. I dibattiti, le disquisizioni sui principi, i paralleli con le filosofie occidentali, sono nella tradizione secolare sciita. Agli alti livelli è una religione dotta. Entro il 21 maggio il Consiglio dei Guardiani, composto da dodici giuristi (sei religiosi e sei laici), il cui compito è di vegliare sul rispetto della sharia, la legge islamica, dovrà decidere quali dei 433 uomini e delle 42 donne iscrittisi come candidati sono degni di partecipare alla gara presidenziale del 12 giugno. Il numeroso plotone sarà severamente sfoltito, e coloro che resteranno in lizza con la possibilità di avere un ruolo nella partita elettorale non saranno più di quattro. Tra questi Mahmud Ahmadinejad, che concorre per un secondo mandato e suscita accesi consensi e altrettante perplessità. Quindi domina la scena elettorale ponendo un interrogativo essenziale: è lui il più idoneo ad affrontare il nuovo atteggiamento della superpotenza, che, con l'avvento di Barack Obama, tende la mano, sia pur con tante riserve, alla Repubblica islamica? E tenendo conto che respinta quella mano tutto può accadere? Un murale a Teheran Questo è il dilemma. E a porselo non sono soltanto i teologi, sui quali domina la Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, ma anche gli iraniani in generale. Comunque quelli, attorno al trenta per cento, che pensano valga la pena votare. Gli altri lo giudicano inutile, per indifferenza o perché rifiutano la Repubblica Islamica. E quindi potrebbero non andare alle urne. Con Bush junior al potere a Washington le provocazioni di Mahmud Ahmadinejad, animate da propositi antiamericani e antisemiti, potevano essere interpretate come una risposta all'aperta ostilità della superpotenza e del suo alleato israeliano. Potevano appagare per certi aspetti il forte orgoglio nazionale, anche quando era sul tappeto il problema nucleare. Il clima da "guerra fredda" serviva alla corrente più conservatrice del regime clericale al potere per giustificare il rigore all'interno e l'intransigenza nei confronti dei nemici esterni. La mano tesa di Obama rende molto più problematica la situazione. E conferisce al voto un'importanza eccezionale. Il risultato peserà su tutto il Medio Oriente. E conterà per l'Occidente. Benché dipenda in buona parte dalla volontà delle autorità religiose, che possono condizionarlo, l'esito è tutt'altro che scontato. Conserva una forte dose di suspense. Si può classificare la Repubblica islamica tra i regimi autoritari, se si considera il controllo sui media e il sistema educativo, e naturalmente la repressione fisica e psicologica contro coloro che non rispettano le norme islamiche e gli ideali della rivoluzione. Ma a rendere incerto o impreciso il giudizio è l'assenza di un partito unico, il quale è stato abolito perché non c'è un accordo all'interno delle forze politiche fedeli a Khomeini per quel che riguarda il modello di società islamica da adottare. Da questo disaccordo, che permane, dipende una dialettica politica e una pratica definita da alcuni "democrazia sorvegliata". O "limitata", come si dice a Teheran. Hussein Moussavi Queste definizioni possono apparire generose, e in effetti lo sono. Il fatto di non sapere con esattezza quel che vuol essere, trent'anni dopo la rivoluzione, e di conoscere uno scontro politico-teologico sulla questione, rende tuttavia il regime disponibile a un dibattito impensabile in tanti altri paesi nella regione. Si pensi all'Arabia Saudita. L'elezione non va scambiata, ben inteso, con un referendum sul rifiuto o l'accettazione della mano tesa di Obama. O addirittura dell'arma nucleare di cui neppure si è parlato e si parla, anche se è nei cervelli. La questione dell'apertura all'America di Obama, con tutte le sue conseguenze, non viene affrontata, resta nel sottofondo. E' sottintesa come tanti altri problemi nella Repubblica Islamica. E' implicita nel confronto tra conservatori e riformatori, ben lontani dal rappresentare due schieramenti compatti. In un sistema dominato da un cocktail in cui sono mischiate politica e teologia, la prima, ossia la politica, quindi il compromesso, finisce col prevalere. Ad esempio il principale antagonista di Ahmedinajad è un esponente dall'ala riformista islamica, il quale conferma la sua appartenenza a quella corrente ma precisa al tempo stesso di essere uno "che insiste sui principi". Vale a dire che non è del tutto contrario al "fronte dei principi" che è quello dei conservatori. Insomma Mir-Hussein Moussavi, questo il nome dell'avversario di Ahmedinejad, cerca di stare a cavallo dei due schieramenti. Non vuole incorrere in scomuniche e si dichiara un riformatore fedele ai principi della Repubblica Islamica. Entro questi limiti si può discutere e criticare. Molti, a Teheran, tra le persone che uno straniero incontra, si dichiarano in favore del colto Moussavi e si augurano che il rozzo Ahmadinejad esca di scena, non ritenendolo un personaggio "degno della tradizione iraniana". Ahmadinejad è un populista di tipo sudamericano, che avvolge i suoi discorsi con citazioni coraniche. Si presenta come un uomo semplice, che detesta il lusso, le raffinatezze dei ricchi, e che per questo non abita nei palazzi ufficiali, ma nella modesta abitazione di sempre. La sua giacca sgualcita è diventata un simbolo. Mi dice il funzionario di un ministero che un tempo lo avrebbe fatto aspettare almeno mezz'ora fuori dalla porta prima di riceverlo. Il clima elettorale scioglie le lingue. Moussavi viene presentato come l'esatto contrario. Il suo linguaggio è forbito, i suoi discorsi argomentati. E, quando ha governato, ha dimostrato di essere un uomo di polso ed equilibrato, esperto anche in campo economico. E' stato primo ministro durante la guerra con l'Iraq ('81-'89), ma poi è scomparso volontariamente dalla scena, e in un Paese dove il settanta per cento della popolazione ha meno di venticinque anni, i testimoni di quel lontano passato sono pochi. I più ignorano il nome e la figura di Moussavi. Con il suo linguaggio populista e (sia pur goffamente) ispirato, Ahmadinejad è invece quotidianamente presente sugli schermi della televisione. E se nelle popolazioni urbane educate suscita reazioni negative, o addirittura di rigetto ("può guidare greggi di montoni non un Paese civile"); nelle campagne, tra i militari e tra i religiosi può raccogliere larghi consensi. In particolare se sollecitati o ordinati dalla Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, il quale non si è pronunciato, non ancora, ma del quale sono note le idee conservatrici. Inoltre Ahmadinejad, pasdaran della prima ora, ha l'appoggio delle milizie, alle quali ha elargito prebende non lesinando ai loro capi incarichi molto redditizi. Il discorso di Moussavi può apparire moderato, ma urta la sensibilità dei super conservatori. Promette un Iran "sviluppato, libero, giusto, basato sullo stato di diritto". Chiede la competenza e la trasparenza dell'amministrazione (la corruzione è cresciuta negli anni di Ahmadinejad), il rispetto della Costituzione, la libertà di stampa. Si dichiara in favore degli investimenti privati, promette di non trascurare l'esperienza dei ministri conservatori, chiede una politica estera indipendente e un adeguamento del paese alla globalizzazione. Per lui l'Iran dovrebbe infine entrare nell'Organizzazione mondiale del Commercio. Ossia "ritornare in società". Le parole di Moussavi sono senz'altro più gradite all'Occidente, ma sul problema nucleare e sui rapporti con gli Stati Uniti è tutt'altro che docile. Non può esserlo. Ha escluso con fermezza la sospensione dell'arricchimento dell'uranio, ha definito strategica "l'acquisizione della tecnologia per il nucleare pacifico, senza che questo diventi una minaccia per il mondo". La precisazione è comunque rassicurante. In quanto ai rapporti con gli Stati Uniti "aspetta gesti concreti da parte di Obama prima di giudicare quel che vale l'offerta di dialogo". E' la posizione di Khamenei, dal quale spera di essere sostenuto. L'ex presidente riformista Mohammed Khatami, sconfitto da Ahmedinejad nel 2005 (dopo anni di governo durante i quali l'Iran si è modernizzato e liberalizzato), ha dato il suo appoggio a Moussavi. Gli ha lasciato il posto. Ha preferito non ripresentarsi, forse temendo che l'ostilità nei suoi confronti dimostrata nelle precedenti elezioni dal conservatore Khamenei potesse impedire ancora una volta un successo dei riformisti. Khatami era a fianco di Moussavi durante il comizio nel Centro congressi di Teheran, la settimana scorsa. La sala era stracolma di giovani che scandivano "libertà". Moussavi ha dato a questa invocazione un significato pratico. Ha detto che una famiglia o un individuo non può aspirare alla libertà se non ha un lavoro. E ha attaccato la politica economica del governo che ha trascinato il paese in una crisi disastrosa. L'inflazione supera il 30 per cento e l'industria del petrolio non ha i mezzi (anche a causa delle sanzioni) di rinnovare gli impianti. Ha inoltre rimproverato ad Ahmadinejad di avere creato pericolose tensioni nazionali e internazionali. Lui si impegna a spegnerle. Ma non è detto che il superpotere, quello della Guida suprema, il quale non dipende dalle elezioni, abbia lo stesso obiettivo. (18 maggio 2009

Torna all'inizio


Tonino, il castigatore show (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

TORINO La sintesi del Tonino Di Pietro show è sua. «In assenza della sinistra, ci sto io». Ma com’è potuto accadere? Una domenica al Salone del libro fornisce solo indizi, ma indizi sicuri e convergenti. Nella Sala dei cinquecento del Lingotto - una platea di insegnanti, impiegati, studenti, elettorato fin qui diviso tra Pd e Rifondazione - c’è un dibattito tra l’ex pm e l’ex subcomandante, due mondi che non potrebbero essere più distanti. Linguisticamente, concettualmente distanti. Bertinotti fa una lunga, novecentesca analisi sulla notte della sinistra. Parte del 17 ottobre e finisce con Jan Palach, il titolo del manifesto «Praga è sola», poi l’89, il muro di Berlino che cade, la globalizzazione che «ci ha spazzato via». Poi arriva il turno di Di Pietro, che c’azzecca Di Pietro con la sinistra?, e lui: «In assenza di sinistra, ci sto io». La sala, praticamente, cade giù. La sinistra viene messa all’angolo - qui dentro, almeno - dalla voglia di protesta, le folle per Marco Travaglio, l’entusiasmo in mattinata per Furio Colombo, gli applausi molto misurati che accolgono invece la tesi, esposta praticamente identica da D’Alema e Bertinotti, che «la crisi è della sinistra europea, se si guarda al resto del mondo non è così» (poi D’Alema cita Obama, Lula e l’India, Bertinotti ci infila anche Chávez; ma sono differenze da poco; e noi siamo in Europa). Insomma, per dirla in dipietrese: gli sta andando a fregare l’acqua nel loro vaso. Con invenzioni a loro modo memorabili, da consegnare al nuovo lessico politico. «E basta, con questa sinistra acculturata, sofisticata, prezzemolata», e la platea che ulula di godimento. «Fino a quando la sinistra si crogiola a chiedersi se io sono di sinistra o no mostra la sua faccia che tende a escludere chi non è acculturato come lei. Se non si cambia questa idea di sinistra diamo di sinistra un concetto... sinistro!!». Boato della folla. Bertinotti alquanto imbarazzato. E passi che poi c’è dell’incredibile sincretismo politico (a un certo punto si ode il Tonino dire: «Si sta producendo una nuova differenziazione di classe, da qui deriva una voglia di ricreare una lotta di classe»); la circostanza bizzarra è che a discutere su cosa sia sinistra sia lui. Ma è così, e non riuscendo a farci i conti i tanti dirigenti sconfitti si muovono come vasi incomunicanti, monadi che faticano a entrare in comunicazione con l’evento, che è poi il sempiterno evento della Protesta. Bertinotti lo fa ma quand’è giù dal palco, a tu per tu: «Ho osservato attentissimamente chi inneggiava, ho visto che erano quello che si sarebbe detto “ceto medio riflessivo”, impiegati, anche sindacalizzati, che hanno applaudito molto anche il mio passaggio sul lavoro, e sui meriti degli operai Fiat». Aveva detto Fausto: «Se Marchionne riesce nelle sue operazioni è perché è bravo, ma anche perché a Torino e in Fiat c’è una cultura del lavoro, operaia, sindacale, che consente di cambiare il ciclo produttivo in tre mesi, mentre a Detroit ci vuole un anno e mezzo». Insomma, ragiona l’ex presidente della Camera, «questi sono nostri elettori, che vogliono protestare, gridare. Sentono che non abbiamo fatto abbastanza». Le distanze sono esemplificate dall’incomunicabilità delle due lingue. Un tale si alza e urla entusiasta, «Tonino, tu sei di sinistra!!». E lui: «E vabbuò, mica è un’offesa! Che devo fare, sono coinvolto». Le tirate propriamente antiberlusconiane del castigatore sono condite con dialetto e proverbi, «solo apparentemente c’è ’sto consenso al Cavaliere, ma gli italiani non so’ tutti scemi, il problema è che c’è un nuovo fascismo fatto di veline e grande fratello... per cui non facciamo gli schizzinosi, non diciamo che se siamo antiberlusconiani gli facciamo un favore. Il lupo è lupo, non è che diventa agnello se io smetto di denunciarlo!». E ancora, «perché D’Alema non ha fatto il conflitto d’interessi? Tra un viaggio in barca e l’altro ci piace chiacchierare». Boato. «Spero che le due sinistre si ritrovano (sic) sulla via di Damasco». Oppure, «se non ci fossimo noi una parte importante della società non voterebbe più». Già, l'astensione. Non solo tra intellettuali. Bertinotti concede che «Di Pietro è efficace, coglie una frustrazione e un bisogno di opposizione al berlusconismo, ma una sinistra deve contenere una critica al capitalismo, non solo una critica a Berlusconi! Berlusconi è solo un’estremizzazione di una tendenza acutissima in Europa, che è la crisi delle democrazie». «Hai ragione da vendere sul conflitto d’interessi - gli dice Fausto - ma posso dire che per me ha la stessa influenza la mancata legge sui Dico?». E qui la sala s’infuria: ma nooooooo. Sostiene Fausto che «così si rischia di consegnare la sinistra al giustizialismo». Ma l’ora è fuggita, si muore disperati, e la risposta di Tonino contro la sinistra prezzemolata è, nel genere, da annali, «ci dicono populisti, massimalisti, giustizialisti, isti, isti isti, eh... isti siamo!». Isti sono. La fine della sinistra.

Torna all'inizio


E dopo i giochi proibiti Dan Houser si dà al Far West (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - Dan Houser cammina veloce per gli uffici della Rockstar Games, un open space tutto bianco sulla Broadway Avenue, in maglietta nera e jeans. Stretta di mano decisa, modi cordiali. A prima vista sembra uno qualunque, solo un po' indaffarato. Eppure insieme al fratello Sam, 35 anni il primo e 37 il secondo, è - secondo Time Magazine - tra i 100 personaggi più influenti del mondo. Forse il nome, a differenza di quello di Barack Obama, Angela Merkel, o Brad Pitt, non dice molto ai più, eppure tutti conoscono i videogame prodotti dai due fratelli, cominciando dalla serie di Grand Theft Auto venduta in oltre 70 milioni di copie. Ritratto violento e dissacrante dell'America contemporanea che Matt Selman, sceneggiatore dei Simpson, ha paragonato ai romanzi di Tom Wolf. Due ragazzi terribili, gli Houser, cresciuti a Londra sognando di diventare delle rockstar (di qui il nome della loro software house), capaci di stravolgere il settore dei giochi elettronici. Al posto di marziani da sterminare o principesse da portare in salvo, mettono in scena personaggi degni di un film, dialoghi ironici, taglienti, e sullo sfondo un'umanità allo sbando che vive in una società senza regole. "L'equilibrio fra narrazione e mondo digitale interattivo è l'anima dei nostri videogame", spiega Dan, "alla fine sono come dei dipinti nei quali immergersi. Tutto sta nel dare al giocatore il più alto grado di libertà possibile, portandolo però a fare cose che non entrino in conflitto con la trama". Un'arte sottile nella quel i due Houser unici veri maestri. "E pensare che ai videogame siamo arrivati quasi per caso", racconta, "lavoravano in un'etichetta discografica, la Bmg, che aveva una sua divisione giochi. Poi alla Bmg decidono di disfarsi dei videogame pensando che il futuro sia nel business della musica. Così ci siamo trasferiti a New York. Io avevo 25 anni, Sam, 27. Mai avremmo immaginato che di lì a poco, nel 2001, un nostro titolo avrebbe venduto ben 15 milioni di copie". OAS_RICH('Middle'); Ora, ormai ai vertici, i due fratelli hanno una nuova sfida che si chiama vecchio West. Red Dead Redemption, il gioco in arrivo entro fine anno, sarà infatti ambientato nel 1910 quando la frontiera cara a registi come John Ford, Sam Peckinpah, Sergio Leone era ormai quasi scomparsa. "È un'epoca strana", dice, "A quei tempi alcuni pistoleri erano già leggenda. Ma il West stava morendo proprio mentre diventava mito, scacciato dalla ferrovia, dal telegrafo, dall'industrializzazione. Se l'ultimo Gta parlava del declino del sogno americano, qui al centro c'è l'idea stessa di America: il conflitto permanente fra libertà assoluta e natura incontaminata da una parte, progresso e capitalismo dall'altra". Di qui il lungo viaggio sanguinario del protagonista, John Marston, ex fuorilegge costretto ad entrare nel Bureau of Investigation, che più tardi diventerà l'Fbi. Ancora una volta niente buoni né cattivi. Solo persone che tentano di non restare ai margini di un mondo che sta cambiando troppo velocemente. (18 maggio 2009

Torna all'inizio


Obama-Netanyahu, primo faccia a faccia nell'agenda l'ipotesi "due Stati" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON - E' un test di alta diplomazia quello di oggi, per il presidente Usa Barack Obama e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, al loro primo incontro alla Casa Bianca. Un faccia a faccia che si prevede impegnativo per i due leader che devono confrontare diverse volontà e superare i nodi sulla questione dello Stato palestinese e sui progetti nucleari iraniani. Nuove difficoltà: da Tel Aviv arriva la notizia di una gara di appalto indetta per espandere l'insediamento nel nord della Cisgiordania. Netanyahu è arrivato ieri mattina a Washington portando con sé quello che lui stesso ha definito "un nuovo approccio" al problema palestinese. "Sarà la missione della mia vita", ha detto il premier al giornale Maariv. "Se mettiamo sul tavolo un nuovo piano - ha spiegato poi un alto consigliere israeliano - gli americani non lo respingeranno". E Obama non aspetta altro che sentire dalla bocca del "falco" un nuovo impegno per la pace dopo le posizioni rigide assunte dal premier israeliano dal primo momento del suo mandato. Il problema è il riconoscimento di Israele. Proprio su questo Netanyahu, stretto tra il pressing di Obama per la formazione dei due Stati e l'appoggio delle fasce più oltranziste al suo governo appena formato, dovrà mettere a frutto tutta la sua diplomazia. Un possibile terreno di contrasto può essere anche la questione iraniana, che Netanyahu vuole mettere al centro dei colloqui, mentre Obama insiste per un approccio "soft", dopo aver assunto in prima persona il ruolo di promotore di una nuova era di disgelo verso Teheran. OAS_RICH('Middle'); Secondo quanto riportano i giornali israeliani l'incontro tra Netanyahu e Obama sarebbe stato intanto preparato da "discreti contatti" nei giorni scorsi tra Israele e le autorità palestinesi. Lo stesso presidente Shimon Peres, che ha incontrato ieri il re di Giordania, ha affermato che Israele è interessata a ripristinare i colloqui di pace immediatamente. Sempre secondo l'Haaretz Netanyahu dirà a Obama che "il tempo corre" e che bisogna al più presto interrompere il programma nucleare iraniano dando a Obama solo qualche mese per risolvere con diplomazia la questione iraniana. Secondo Israele il dialogo con Teheran dovrà andare avanti con "condizioni chiare" che mettano un limite al programma di circa tre mesi. Una visione condivisa comunque anche dall'inviato speciale Usa in Iran, Dennis Ross. Per quanto riguarda il Medio Oriente Netanyahu presenterà una serie di richieste orientate a una maggiore sicurezza tra cui la smilitarizzazione della Cisgiordania e il controllo di Israele del suo spazio aereo. Al di là delle buone intenzioni però restano alcuni fatti che potrebbero comprometter il buon andamento dei colloqui nonostante. Proprio oggi, Tel Aviv ha deciso di indire una gara di appalto per espandere l'insediamento in Cisgiordania settentrionale, a Maskiot, nonostante il fatto che l'inquilino della Casa Bianca che ha sempre considerato l'insediamento un ostacolo al processo di pace. Per il premier è importante anche la percezione che il suo popolo ha della controparte americana con la nuova presidenza. In Israele circola in queste ore un sondaggio, realizzato dall'autorevole istituto demoscopico Smith per conto del giornale Yediot Ahronot. Dal sondaggio risulta che solo il 31 per cento degli israeliani guarda con simpatia a Obama e lo ritiene un leader amico d'Israele. Un 14 per cento arriva addirittura a qualificarlo come "filo-palestinese", mentre un buon 40 per cento lo giudica neutrale nel conflitto mediorientale. Addirittura l'88 per cento ritiene Obama meno filo-israeliano del suo predecessore, George W. Bush. Unica copnsolazione per il presidente Usa arriva, comunque, dalla constatazione che Washington resta, a parere degli israeliani, di gran lunga il partner più fedele, con ampio margine su Unione Europea e Russia. (18 maggio 2009

Torna all'inizio


L'Ue si prepara al vertice di giugno (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

Continua il pressing italiano per inserire nell’agenda del prossimo vertice Ue, previsto per il 18 e 19 giugno, il tema dell’immigrazione clandestina nel Mediterraneo. è questa la linea scelta da Roma dopo che l’appello del ministro degli esteri Frattini di convocare una riunione speciale a livello di capi di stato e di governo sul tema sembra essere caduto nel vuoto. Oggi, al consiglio esteri e difesa, l’Italia, rappresentata rispettivamente dai sottosegretari Scotti e Cossiga, ha ribadito l’intenzione di porre la questione ai massimi livelli istituzionali europei. Raccogliendo, strada facendo, consensi inaspettati. Oltre all’adesione di Spagna, Malta e degli altri paesi Ue del Mediterraneo, la proposta di Roma non dispiacerebbe troppo nemmeno alla Francia ed è vista di buon occhio da Svezia e Finlandia. Per ora il sasso è stato gettato, fa capire il sottosegretario agli Esteri, Vincenzo Scotti, che non nasconde il braccio. Anzi, ribadisce nel corso di una conferenza stampa al termine dei lavori che “non è possibile chiudere gli occhi di fronte all'attuale situazione né immaginare che l'Italia non sia una frontiera europea. Per l'Italia non è una questione marginale né congiunturale, ma qualcosa che va affrontato e approfondito da parte del Consiglio Europeo con qualche azione comune e coinvolgendo i Paesi terzi”. Cauta la presidenza di turno ceca, che ha detto di valutare con attenzione "valore aggiunto" del contenuto della proposta italiana. "Non posso fare promesse, vedremo - ha detto il ministro degli Esteri ceco Jan Kohout -. Oggi sono state proposte idee interessanti ma ci dobbiamo riflettere per evitare che siano ripetute posizioni già prese in passato. Dobbiamo insomma valutarne il valore aggiunto". All’Italia per ora basta e Scotti si dichiara “fiducioso”. “La presidenza - ha continuato – si è riservata di decidere, ma noi continueremo a fare pressioni anche perché pur se ora siamo di fronte ad una emergenza, il problema non è congiunturale, ma tenderà a restare nel tempo, quindi va affrontato ed approfondito”. Di sicuro il tema sarà sul tavolo del prossimo Consiglio interni e giustizia in programma per il 4 e 5 giugno prossimi a Lussemburgo. In quella sede, ha ricordato il rappresentante permanente dell'Italia presso le istituzioni Ue, l'ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, la Commissione europea metterà sul tavolo dei 27 proposte concrete. Al di là dell’immigrazione il Consiglio esteri dell’Ue ha poi deciso di esprimere una “forte condanna” nei confronti del regime birmano rispetto agli ultimi sviluppi del processo al premio nobel per la pace Saan Suu Kyi. “Attenta valutazione” è invece quella che i ministri degli esteri dei Ventisette continuano a rivolgere alla situazione in Moldovia e Sri Lanka, mentre per l’Iran si è deciso di attendere le prossime mosse di Teheran dopo l’apertura di Obama al paese, anche se Scotti ha ribadito l’intenzione di “invitare Teheran a Trieste, quando sotto la presidenza del G8, si discuterà della situazione in Afghanista”. commenti (0) scrivi

Torna all'inizio


E' online la ricerca semantica di Wolfram Alpha (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

TORINO Wolfram Alpha, il reclamizzato motore di ricerca che promette di rivoluzionare il web e di sfidare i big di Internet, Google, Yahoo!, Microsoft e Ask.com, ha ricevuto il battesimo ufficiale ed è ora online, pronto a ricevere le richieste degli utenti. Il nuovo strumento, ideato da Stephen Wolfram, già padre del software di simulazione matematica, dovrebbe riuscire, grazie ad un algoritmo che unisce il linguaggio naturale con quello informatico, a visualizzare una serie di link pertinenti in risposta alle interrogazioni. L'esperimento è interessante perchè si addentra nell'ambito della semantica applicata alle macchine, alla ricerca di codici comunicativi più simili a quelli umani, che perfezionino i computer tanto da renderli capaci di capire il significato di ciò che viene richiesto. Cioè senza spezzare l'informazione in vocaboli distinti a cui far corrispondere i documenti rintracciati o scartati in base alla presenza o meno delle chiavi di ricerca. Tuttavia, chi si è lanciato nei primi test non si definisce ancora entusiasta e commenta dicendo che il progetto ha più che altro rilevanza accademica, almeno allo stato attuale. Secondo altri, invece, il primo importante passo è stato compiuto nella direzione giusta, scostando i problemi di computazione dai solchi tradizionali, con risultati già apprezzabili, seppure sperimentali. Provare per credere: www66.wolframalpha.com. Va ricordato che c'è già chi lavora da tempo a un motore semantico ed è italiano, Expert System. + Obama vuole ascoltare i cittadini J. BROOKE AKER e LUCA SCAGLIARINI + "Wolfram Alpha" il software che risponde alle domande FRANCESCO SEMPRINI + Per il Web profondo a cui non arriva Google, ecco nuove tecnologie + Software italiano vince l'Oscar della telefonia mobile + I vantaggi della tecnologia semantica

Torna all'inizio


Obama-Netanyahu, primo faccia a faccia non si scioglie il nodo dei Territori (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON - E' stato un test di alta diplomazia quello di oggi, per il presidente Usa Barack Obama e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, al loro primo incontro alla Casa Bianca. E se gli Stati Uniti ribadiscono che per la pace in Medio Oriente serve la soluzione due Stati due popoli, Nethanyahu non prende in considerazione lo spazio politico e territoriale per la nascita di uno Stato palestinese. Limitandosi a dare il via libera ad una forma di autogoverno dei palestinesi. Parole che Obama accoglie chiedendo ad Israele "di fermare gli insediamenti dei coloni". Per quanto riguarda il dialogo con l'Iran, Obama dice di non voler fissare scadenze artificiali. Parole che confermano l' approccio "soft" del presidente Usa, che ha assunto in prima persona il ruolo di promotore di una nuova era di disgelo verso Teheran. Obama ha comunque aggiunto che gli Stati Uniti gradirebbero vedere alcuni progressi nel loro dialogo con Teheran "entro la fine dell'anno". Netanyahu è arrivato ieri mattina a Washington portando con sé quello che lui stesso ha definito "un nuovo approccio" al problema palestinese. "Sarà la missione della mia vita", ha detto il premier al giornale Maariv. "Se mettiamo sul tavolo un nuovo piano - ha spiegato poi un alto consigliere israeliano - gli americani non lo respingeranno". Secondo quanto riportano i giornali israeliani l'incontro tra Netanyahu e Obama sarebbe stato intanto preparato da "discreti contatti" nei giorni scorsi tra Israele e le autorità palestinesi. Lo stesso presidente Shimon Peres, che ha incontrato ieri il re di Giordania, ha affermato che Israele è interessata a ripristinare i colloqui di pace immediatamente. Sempre secondo l'Haaretz Netanyahu dirà a Obama che "il tempo corre" e che bisogna al più presto interrompere il programma nucleare iraniano dando a Obama solo qualche mese per risolvere con diplomazia la questione iraniana. OAS_RICH('Middle'); Secondo Israele il dialogo con Teheran dovrà andare avanti con "condizioni chiare" che mettano un limite al programma di circa tre mesi. Una visione condivisa comunque anche dall'inviato speciale Usa in Iran, Dennis Ross. Per quanto riguarda il Medio Oriente Netanyahu presenterà una serie di richieste orientate a una maggiore sicurezza tra cui la smilitarizzazione della Cisgiordania e il controllo di Israele del suo spazio aereo. Al di là delle buone intenzioni però restano alcuni fatti che potrebbero comprometter il buon andamento dei colloqui. Proprio oggi, Tel Aviv ha deciso di indire una gara di appalto per espandere l'insediamento in Cisgiordania settentrionale, a Maskiot, nonostante il fatto che l'inquilino della Casa Bianca che ha sempre considerato l'insediamento un ostacolo al processo di pace. Per il premier è importante anche la percezione che il suo popolo ha della controparte americana con la nuova presidenza. In Israele circola in queste ore un sondaggio, realizzato dall'autorevole istituto demoscopico Smith per conto del giornale Yediot Ahronot. Dal sondaggio risulta che solo il 31 per cento degli israeliani guarda con simpatia a Obama e lo ritiene un leader amico d'Israele. Un 14 per cento arriva addirittura a qualificarlo come "filo-palestinese", mentre un buon 40 per cento lo giudica neutrale nel conflitto mediorientale. Addirittura l'88 per cento ritiene Obama meno filo-israeliano del suo predecessore, George W. Bush. Unica consolazione per il presidente Usa arriva, comunque, dalla constatazione che Washington resta, a parere degli israeliani, di gran lunga il partner più fedele, con ampio margine su Unione Europea e Russia. (18 maggio 2009

Torna all'inizio


Faccia a faccia Obama-Netanyahu (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 18-05-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON È un test di alta diplomazia quello tra il presidente Usa, Barack Obama, e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, al loro primo incontro alla Casa Bianca. Un faccia a faccia impegnativo nel confronto-scontro tra due diverse volontà nel superare i nodi sulla questione dello Stato palestinese e sui progetti nucleari iraniani. Netanyahu è arrivato ieri mattina a Washington portando in valigia quello che lui stesso ha definito «un nuovo approccio» al problema palestinese. «Sarà la missione della mia vita» ha detto il premier al giornale Maariv. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha rinnovato il suo appello alla creazione di uno stato palestinese, confermando al premier israeliano Benjamin Netanyahu che gli Usa sono impegnati a una soluzione «a due stati» Obama si è rivolto a Netanyahu parlando della necessità di capitalizzare la «storica opportunità» di riavviare le trattative di pace in Medio Oriente. Obama e Netanyahu si sono incontrati oggi per la prima volta nella Casa Bianca, in una colloquio durato oltre due ore. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha detto oggi alla Casa Bianca che Tel Aviv desidera che i palestinesi «si autogovernino». Netanyau ha detto che è possibile vedere un futuro dove israeliani e palestinesi potranno vivere fianco a fianco. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha detto che desidera vedere una risposta positiva dall’Iran relativamente al suo programma nucleare entro la fine dell’anno. «Non c’è bisogno di una scadenza artificiale», ha precisato Obama, in una conferenza stampa congiunta con il premier israeliano Benjamin Netanyahu.Il riferimento è alla richiesta di un vero e proprio «ultimatum» attribuita al governo israeliano. Obama ha affermato anche di non escludere l’adozione di «alcune manovre» nei confronti dell’Iran, e non ha escluso il possibile utilizzo delle sanzioni.

Torna all'inizio


Navajo, la tribù indiana che resiste alla recessione (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

La storia La riserva in Arizona ha un'economia intatta basata sui commerci Navajo, la tribù indiana che resiste alla recessione FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK QUOTAZIONE REND. Utlima Prec 12 mesi Come superare la crisi? Prendere lezioni dalle tribù Navajo. Paralisi del credito, recessione e disoccupazione sembrano aver solo sfiorato la riserva che si estende tra Arizona, New Mexico e Utah, abitata dai discendenti di una delle più antiche e nobili tribù della Grande Nazione. La maggior parte della gente è proprietaria di casa, c'è una generale riluttanza a investire in azioni, e le attività di prestito sono limitate allo stretto necessario. In altri tempi si sarebbe parlato di realtà retrograda o di iniqua autarchia, ma da quando il terremoto di Wall Street ha causato devastanti conseguenze economiche e sociali in tutto il mondo, la riserva è considerata una sorta di bastione antisismico. Del resto il tasso di disoccupazione tra i Navajo è cronicamente fermo al 50% e per questo non ci sono timori che la situazione occupazionale possa peggiorare ulteriormente. «Le grandi economie sono alle prese con problemi che per noi sono all'ordine del giorno», spiega John Whiterock, un giovane pastore Navajo. Per i 200 mila discendenti delle antiche genti, le difficoltà non sono solo subprime e derivati: in questi giorni i capi tribù devono decidere come far fronte al buco da 25 milioni di dollari che grava sul bilancio della comunità, mentre la popolazione chiede maggiore assistenza e più servizi sociali. Per i Navajo la ricchezza non si misura in dollari bensì in termini di tradizione, terra e legami di sangue. Un tramonto tra le montagne rocciose può valere per loro più di un rally di borsa in tempi di crisi per un broker. Delores Claw quest'anno non ha venduto neanche un capo di bestiame e ha iniziato a coltivare granturco per far fronte all'aumento dei prezzi alimentari e nonostante abbia perso il lavoro di insegnante, non ha mai fatto mancare tre pasti al giorni suoi figli. La ricetta anti-crisi passa anche attraverso il piccolo commercio: tappeti, gioielli artigianali e frutti della natura venduti agli angoli delle strade o nei mercatini stagionali, quest'anno particolarmente animati. La forza di rimanere a galla quando tutti gli altri vanno a fondo è motivo di orgoglio specie per gli anziani. «Il nostro patrimonio spirituale è il più grande investimento», spiega Wilson Aronlith, professore di storia e cultura Navajo al Dine College. Il vademecum anti-crisi arriva del resto da una comunità che soffre un tasso di povertà del 38,5% e con un reddito pro-capite annuo di 7500 dollari. Per invertire il trend occupazionale sarebbe necessario creare 3500 posti di lavoro ogni anno, ma per ora si arriva a malapena a 200, e i giovani sono costretti a lasciare le riserve. Ecco perché i Navajo come tante altre tribù della Grande Nazione si sentono abbandonate. Il progetto di costruire casinò non sembra sortire gli effetti sperati e con Barack Obama si puntava a una rinascita verde in linea con le tradizioni locali. Ma dei 787 miliardi di dollari stanziati per rilanciare l'economia solo 2,5 milioni sono destinati alle riserve. «Basta vedere la crisi in cui si trova il Paese intero per capire quello che noi viviamo da sempre - dice Dante Desiderio del National Congress of American Indians - L'America ha imparato, ora non può più ignorarci».

Torna all'inizio


"Per l'Anp la soluzione è unirsi alla Giordania" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Intervista Meyrav Wurmster "Per l'Anp la soluzione è unirsi alla Giordania" DALL'INVIATO A WASHINGTON Netanyahu ha spiegato a Obama che Israele rischia un secondo Olocausto». Così Meyrav Wurmster, titolare degli Studi mediorientali dell'Hudson Institute, riassume che cosa è avvenuto fra i due leader nello Studio Ovale. Perché Obama ha indurito i toni con l'Iran? «Fra Obama e Netanyahu restano delle importanti differenze perché Netanyahu considera il nucleare iraniano una minaccia esistenziale per lo Stato ebraico, mentre Obama crede nel negoziato con la Repubblica islamica e chiede a Israele di non condurre attacchi militari. Israele minaccia l'uso della forza e Obama non vuole che la usi. Ma nel colloquio c'è stato un avvicinamento, perché Netanyahu aveva dato un limite massimo di tre mesi per i negoziati, mentre adesso Obama dice che auspica un risultato positivo delle trattative sul nucleare entro la fine dell'anno, pur sottolineando che non esistono scadenze artificiali». Che cosa è avvenuto fra il premier israeliano e il presidente degli Stati Uniti? «Netanyahu ha spiegato a Obama con estrema chiarezza ciò che gli israeliani sentono: la minaccia di un secondo Olocausto di sei milioni di ebrei, che potrebbe avvenire se l'Iran arrivasse all'atomica. Non sappiamo quali informazioni gli israeliani abbiano sul nucleare iraniano e neanche se i due leader ne abbiano discusso ma dal punto di vista di Israele ci troviamo in una situazione analoga agli Anni 30, quando Hitler preparava l'Olocausto e il mondo occidentale si voltava dall'altra parte per non vedere». Sulla composizione del conflitto con i palestinesi restano invece tutte le differenze... «Obama crede nella soluzione dei due Stati mentre Netanyahu obietta che al momento non è possibile, in quanto attualmente c'è uno Stato palestinese a Gaza in mano a Hamas e uno in Cisgiordania governato da Abu Mazen. Di Stati al momento ve ne sono tre, non due, e da oltre 24 mesi gli egiziani stanno mediando senza successo per riuscire a far nascere un governo di unità nazionale fra i palestinesi. Netanyahu vuole un accordo di pace stabile con i palestinesi ma non crede che si possano avere tre Stati». Visto che gran parte della comunità internazionale ritiene fattibili i due Stati, quali sono le «nuove idee» con cui Netanyahu pensa di uscire dallo stallo diplomatico? «La prima, e più immediata da realizzare, riguarda la creazione di una commissione mista israelo-americana per verificare quanto e come è stata applicata la Road Map israelo-palestinese. Poiché la soluzione dei due Stati si basa sulla Road Map, Netanyahu vuole accertare che cosa è stato fatto negli ultimi anni, e vuole farlo assieme all'amministrazione di Washington». E sulla Cisgiordania, cosa ha in mente? «In attesa di una soluzione della disputa tra Hamas e Al Fatah pensa a un regime di autonomia». Come proponeva il suo predecessore Itzhak Shamir a metà degli Anni 80... «Esatto». Non è una scorciatoia verso l'opzione giordana, la creazione di una confederazione giordano-palestinese? «Potrebbe esserlo. Per arrivare a questo serve però l'assenso del re giordano Abdallah, dal quale Netanyahu è stato solo pochi giorni fa. Di quei colloqui non è trapelato nulla. Certo, se Hamas dovesse continuare a tenere Gaza, l'intesa Al Fatah-Giordania potrebbe evitare il rovesciamento di Abu Mazen, visto che anche in Cisgiordania Hamas si sta rafforzando molto». \

Torna all'inizio


Iran, Obama rassicura Israele (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Iran, Obama rassicura Israele [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI INVIATO A WASHINGTON Barack Obama chiede all'Iran di bloccare il programma nucleare «entro la fine dell'anno» e Benjamin Netanyahu è pronto a «riprendere immediatamente» i colloqui di pace con i palestinesi, mentre tace sull'ipotesi dei due Stati appoggiata da Washington: le dichiarazioni dei due leader al termine di un colloquio alla Casa Bianca durato due ore - mezz'ora più del previsto - riflettono il compromesso raggiunto fra i Paesi alleati che nelle ultime settimane avevano accumulato tensioni. Per Obama l'incontro di ieri è stato l'inizio del coinvolgimento diretto nel negoziato di pace che punta alla creazione di uno Stato di Palestina a fianco di Israele: entro fine mese accoglierà nello Studio Ovale anche il palestinese Abu Mazen e l'egiziano Hosni Mubarak, e dunque aveva bisogno di un esordio positivo con l'israeliano Netanyahu, molto scettico sulla soluzione dei «due Stati». «I progressi si sono fermati sul fronte del negoziato - ha detto Obama, vestendo i panni del mediatore - e il premier israeliano ha l'opportunità storica di metterli seriamente in moto. Questo significa che tutte le parti devono prendere sul serio gli obblighi sottoscritti» e per il governo di Gerusalemme vuol dire fermare la costruzione degli insediamenti in Cisgiordania. Netanyahu ha reagito dando a Obama la risposta che cercava: «Sono pronto da subito a riprendere i negoziati di pace con i palestinesi». Aggiungendo però una condizione: «Devono accettare l'esistenza di Israele come Stato ebraico». Una formulazione, ripetuta anche da Obama, che esclude il ritorno dei profughi entro le frontiere del 1967. Netanyahu si è comunque detto ottimista quanto il presidente americano sulla possibilità di un accordo, perché «mai come oggi israeliani e arabi sono concordi nella definizione della minaccia comune», cioè l'Iran che persegue il nucleare. E' proprio su questo terreno che l'ospite israeliano ha chiesto a Obama la contropartita per il passo compiuto sul negoziato. E la risposta del presidente è stata: «Nelle trattative sul nucleare iraniano è importante che ci sia un chiaro calendario di scadenze, anche perché questi colloqui al momento non stanno facendo chiari progressi». «Non condurremo negoziati all'infinito e, pur non essendoci scadenze artificiali, mi aspetto progressi entro la fine dell'anno. Se non avverranno, sarà la comunità internazionale a prendere atto che l'Iran si sta isolando» ha aggiunto, accennando all'ipotesi di nuove sanzioni dell'Onu. Durante il colloquio nello Studio Ovale Obama ha avuto a fianco l'inviato per il Medio Oriente George Mitchell e il capo di gabinetto Rahm Emanuel, lasciando intendere che sono il team ristretto che lo affiancherà nel prosieguo dei negoziati, che si annunciano tesi. A confermarlo sono le reazioni dell'Autorità palestinese. «Netanyahu non ha detto di sostenere la soluzione dei due Stati - ha commentato il negoziatore Saeb Erakat - e ci aspettiamo che l'America agisca contro tale approccio». Netanyahu è arrivato alla Casa Bianca alle 8.30 del mattino, portando in regalo al presidente un'antica Bibbia e un libro contemporaneo dal forte valore simbolico: una copia di «Pleasure Excursion to the Holy Land», (Viaggio in Terra Santa», il libro nel quale Mark Twain racconta il viaggio fatto nel 1867 in una «Terra di Israele» che, alla vigilia dell'immigrazione sionista, era «un luogo remoto, desolato, privo di cultura e di legge». Come dire: meno di 150 anni fa al posto dello Stato di Israele non c'era altro che sabbia.

Torna all'inizio


netanyahu gela obama "niente stato palestinese" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Incontro alla Casa Bianca, il leader Usa insiste: unica strada per la pace. Timori per l´atomica iraniana Netanyahu gela Obama "Niente stato palestinese" WASHINGTON - Il premier israeliano Netanyahu gela Obama nell´incontro alla Casa Bianca, rifiutandosi di usare il termine "due Stati" parlando della questione tra palestinesi e israeliani. Netanyahu si è spinto solo a dichiarare di essere favorevole «all´autogoverno» dei palestinesi e di essere pronto a far ripartire subito i negoziati, a patto che i palestinesi riconoscano Israele come stato ebraico. Ancora timori per l´atomica iraniana. FLORES D´ARCAIS A PAGINA 11

Torna all'inizio


palestina, netanyahu gela obama - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 11 - Esteri Il premier Il presidente Palestina, Netanyahu gela Obama Solo autogoverno per Israele, ignorata la proposta Usa di "due Stati" Sull´Iran niente ultimatum come voleva Bibi, l´America pronta a nuove sanzioni Sarà possibile vivere fianco a fianco solo in condizioni di sicurezza e se verrà riconosciuta la legittimità di Israele La soluzione dei due Stati è nell´interesse di palestinesi, israeliani, Stati Uniti e comunità internazionale ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato new york - Obama è per la soluzione «due Stati», Netanyahu si limita a parlare di «autogoverno dei palestinesi». Non è una differenza da poco e su questo punto, come anche sulla questione del nucleare iraniano («nessun ultimatum», ha detto il presidente Usa, «abbiamo il diritto di difenderci», ha risposto il suo ospite) il vertice alla Casa Bianca tra Obama e il nuovo premier israeliano è stata la dimostrazione di quanto siano ancora distanti le posizioni tra gli Stati Uniti e il suo più fedele alleato in Medio Oriente. Il colloquio è stato molto più lungo del previsto (oltre due ore) ma al di là delle dichiarazioni finali di rispetto e stima reciproca («lei è un grande leader», ha detto Natanyahu) resta un disaccordo di fondo sull´approccio ai due temi decisivi: pace e Iran. Per cambiare le cose ed anche per evitare che gli incontri della prossima settimana con il leader palestinese Abbas («Incoraggianti le parole di Obama, deludente Netanyahu» ha commentato ieri) e con il presidente egiziano Mubarak diventino pura facciata, la Casa Bianca dovrà, come minimo, lavorare ancora molto. Da Netanyahu, Obama ha ottenuto il sì ad «immediati» colloqui di pace tra israeliani e palestinesi ma le condizioni dettate dal premier israeliano rendono l´ipotesi poco probabile. «Credo che sia nell´interesse non solo dei palestinesi, ma anche degli israeliani, degli Stati Uniti e della comunità internazionale arrivare ad una soluzione che preveda due Stati, dobbiamo rimboccarci le maniche ed essere un partner-chiave nel processo di pace», ha sostenuto il presidente Usa secondo una linea che era anche quella dell´amministrazione Bush e (in parte) del precedente governo di Gerusalemme. D´accordo, risponde il premier israeliano, a patto che i palestinesi riconoscano il diritto di Israele ad esistere in quanto «Stato ebraico»: «Voglio dire chiaramente che noi non vogliamo governare i palestinesi; se la sicurezza di Israele verrà garantita e se i palestinesi riconosceranno Israele come Stato Ebraico, credo che potremo individuare un quadro nel quale palestinesi e israeliani vivano fianco a fianco in dignità, sicurezza e pace». Obama ha chiesto a Netanyahu di capitalizzare la «storica opportunità» che oggi viene offerta alle parti in conflitto, ha confermato che Gerusalemme deve «bloccare» gli insediamenti, che «i problemi umanitari a Gaza devono essere affrontati», che «Israele dovrà prendere alcune decisioni difficili». Ma su questi punti non ha ottenuto in realtà alcuna risposta. Più che la questione palestinese a Natanyahu il vertice alla Casa Bianca interessava per via dell´Iran ed è su questo punto che il premier israeliano ha insistito sia nel lungo faccia a faccia, sia nel più breve incontro con i giornalisti. Il presidente americano ha definito l´Iran «una paese dal grande potenziale» ed ha escluso (cosa che chiedeva invece Gerusalemme) un ultimatum nei confronti del regime degli ayatollah. Gli Stati Uniti intendono (per il momento) proseguire la strada del dialogo, una scelta che sarà però «condizionata» ai risultati: «Non voglio stabilire scadenze artificiali, ma voglio ottenere progressi entro la fine dell´anno». Per la Casa Bianca sul tavolo restano aperte «tutte le opzioni», compresa quella di «inasprire le sanzioni». Non è esattamente quanto voleva ottenere Netanyahu, giunto a Washington con la speranza di convincere Obama a minacciare un ultimatum all´Iran di tre-sei mesi. Il «tempo corre» ha detto al presidente degli Stati Uniti, occorre «interrompere al più presto» il programma nucleare iraniano. Il premier israeliano ha ricordato come l´Iran chieda «la nostra distruzione» e si è detto «incoraggiato dalle parole di Obama («Se l´Iran ottenesse l´arma atomica sarebbe una minaccia non solo per Israele e per gli Stati Uniti ma anche per tutto il mondo»). Se però la diplomazia della Casa Bianca non dovesse ottenere alcun risultato Israele è pronto «a difendersi da solo». Nei prossimi mesi vedremo se (e come) il presidente americano sarà in grado di ottenere gli appoggi necessari, in primo luogo dal mondo arabo, per convincere Natanyahu a un impegno preciso sulla pace. La Casa Bianca ha tentato di legare in modo diretto il dialogo tra israeliani e palestinesi alla questione Iran, ma Netanyahu ha voluto precisare che i due punti sono solo «indirettamente» legati. Del resto sa che anche per gli Stati Uniti, già alle prese con la guerra in Afghanistan e la crisi in Pakistan, il nucleare iraniano conta oggi più del futuro dei palestinesi. E che (stando ad un sondaggio del quotidiano Yediot Ahronot) solo il 31% degli israeliani guarda con simpatia Obama e lo ritiene un leader amico d´Israele.

Torna all'inizio


partita a scacchi - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 33 - Commenti PARTITA A SCACCHI (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Tradotto dal «diplomatese», la lingua delle menzogne e degli eufemismi diplomatici, la frase significa che questo, avviato a spinta da Obama, sarà l´utimo treno della notte, prima che ogni ipotesi di pace svanisca per generazioni in nuovi bagni di sangue ebreo e arabo. Se è certamente sempre più facile pensare e invocare la pace stando a novemila e 400 chilometri da Gerusalemme o da Gaza, piuttosto che sotto la pioggia dei razzi di Hamas o sotto la quotidiana moltiplicazione di insediamenti ebraici illegali, questo primo assaggio di una tragedia continua ha avuto, per Obama, il sapore della disperazione. La risposta di Netanyahu, divenuto primo ministro dopo una campagna elettorale condotta nell´avversione radicale alla tesi dei «due popoli, due Stati» è stata prevedibile, si potrebbe dire rituale per chi non poteva certo rinnegare la propria piattaforma elettorale e le tesi del suo principale alleato, quel ministro degli Esteri Avigdor Lieberman che ha pubblicamente annunciato il «cambiamento di rotta» e la rinuncia agli accordi raggiunti ad Annapolis nel 2007. Fu al termine di quell´incontro di due anni or sono, sponsorizzato da George Bush e guidato da Condoleezza Rice, contro lo scetticismo dei paese arabi, che tutte le parti riconobbero finalmente «Israele come la patria del popolo ebraico» e il governo israeliano di Olmert accettò formalmente la soluzione dei «due Stati». Quella che ieri Netanyahu ha rifiutato di sottoscrivere, giustificandosi con la mancata ratifica da parte della Knesset, del parlamento di Gerusalemme. Dal «ground zero», dal cratere aperto dal doppio fallimento della opzione militare voluta da Bush e dai suoi teorici del cambio di regime in Iraq che avrebbe dovuto produrre un effetto virtuoso a cascata anche in Palestina e poi dalla violenta rappresaglia israeliana contro gli attacchi di Hamas, a Gaza nella operazione «Piombo Fuso», cerca di ripartire Barack Obama nella speranza, per molti ingenua, che la sua mediazione, la forza del suo carisma, il senso di una nuova stagione americana possano smuovere il macigno contro il quale si sono infrante tutte le presidenze americane. Per lui, che crede nella forza risolutiva del dialogo e della affabulazione, che ha fatto della mistica del «tavolo», come si direbbe nel gergo italiano, la pietra filosofale del proprio messaggio, il Medio Oriente rappresenta insieme la possibilità del successo più sensazionale come quella del fallimento più, appunto, «storico». Per questo, dopo l´iniziale e scontato, arroccamento di «Bibi il Duro», idolo indiscusso dei falchi nella comunità israelita americana che tanto condiziona i governi, riceverà nei prossimi giorni il presidente egiziano Hosni Mubarak, il leader egiziano e il presidente di quella che ormai è la «mezza Palestina» tagliata in due da Hamas a Gaza e sminuzzata quotidianamente da quei villaggi fortificati israeliani che anche ieri, mentre «Bibi» era nello Studio Ovale, hanno visto l´apertura di un altro cantiere nella presunta Palestina al posto di un campo militare, secondo un progetto già approvato nel 2008. La speranza di Obama, la stessa che già era stata espressa con il primo governo Netanyahu fra il 96 e il ´99 è che questi atteggiamenti di chiusura e di sfida all´opinione pubblica internazionale e allo stesso governo americano che considera quest´ultimo, come molti altri, «insediamenti illegali», siano pedine di scambio. Che siano mosse fatte per coprire agli occhi della destra israeliana più intransigente come quella rappresentata da Lieberman il ritorno a quella «road map» mappa stradale verso la pace che Israele dice di voler rispettare. Gli ottimisti ricordano che è un classico della politica questo gioco di copertura ideologica fatto per coprire scelte razionali, come lo fu per il Nixon feroce anticomunista che riconobbe la Cina o per il Reagan predicatore contro l´Impero del Male sovietico, poi divenuto il cordiale interlocutore dell´ultimo imperatore rosso, Mikhail Gorbaciov. I pessimisti, o gli ottimisti non sofferenti di amnesia, continuano invece a porsi la domanda contro la quale si sono infrante in 60 anni tutte le speranze di soluzione giusta e definitiva in Medio Oriente: chi ha davvero interesse a fare la pace, oltre a coloro che, nel ghetto di Gaza o nello spezzatino della Cisgordiana, sono quelli che contano di meno, nella ricca partita della guerra?

Torna all'inizio


la scomparsa della socialdemocrazia - massimo l. salvadori (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 33 - Commenti LA SCOMPARSA della socialdemocrazia MASSIMO L. SALVADORI In un recente articolo su questo giornale Timothy Garton Ash ha auspicato l´avvento di una «versione modernizzata» dell´«economia sociale di mercato», fondata sulla creazione da parte dello Stato di «un forte quadro giuridico e normativo per l´impresa privata», sull´impegno «a garantire un minimo sociale a tutti i cittadini» e sulla lotta all´accumulo dei «grandi guadagni dei capitalisti» legittimati col richiamo ad un rischio imprenditoriale fatto in realtà gravare sulle spalle dei lavoratori subalterni. Sennonché qui si pone il problema: esiste in Europa una forza politica in grado di farsi carico di un tale obiettivo? Di primo acchito la risposta parrebbe scontata: la socialdemocrazia. Ma ecco che ci si trova a dover constatare che i partiti che ad essa si richiamano sembrano ormai più «cavalieri inesistenti» che non cavalieri con la corazza. Non molto tempo fa osservai che facevano riflettere «il silenzio della socialdemocrazia» e la mancanza di un suo protagonismo politico di fronte alla attuale pesante crisi economica. è quindi comprensibile che si possa parlare, come fa Giuseppe Berta, di Eclisse della socialdemocrazia (è questo il titolo di un suo breve saggio appena apparso presso il Mulino). Nell´analizzare i fattori del declino socialdemocratico, Berta centra nel segno. La socialdemocrazia nelle sue molteplici varianti non ha retto all´urto con il «turbocapitalismo» globale. E non ha tanto piegato le ginocchia di fronte ad un avversario più forte, quanto è andata piuttosto essa stessa attivamente inserendosi in quel tipo di sviluppo, giudicato la tendenza vincente. «La socialdemocrazia al governo ? osserva Berta ? ha scoperto di dover aderire quasi plasticamente» ai caratteri del nuovo capitalismo, «abbandonando la pretesa di trasformarli». Nel caso poi dei Blair e anche degli Schroeder, si è voluto persino cavalcare la tendenza. Si è così esaurito il cammino che aveva dato vigore alla socialdemocrazia a partire dal 1945 fino agli anni ?70, quando è esplosa la crisi dei fattori che ne avevano determinato l´ascesa: la forza organizzativa dei partiti socialisti, la centralità dei sindacati, l´ancoraggio ad una robusta classe operaia, la capacità di affermare la propria identità, il ruolo del «sistema misto» privato-pubblico, le istituzioni del welfare. Secondo l´autore, lo sviluppo economico e sociale ha disintegrato a mano a mano tutti questi fattori e conferito alle resistenze a siffatto processo i tratti di un discorso meramente retorico. Dallo svuotamento della socialdemocrazia Berta deduce, portando alla ribalta il caso dell´Italia dove la socialdemocrazia più che esausta non è mai nata, che sia venuta l´ora del «centrosinistra», dei «democratici», del «liberalismo sociale»; cui spetta di incorporare quei caratteri della avanzante modernità che in primo luogo il Labour, sotto la spinta di incoercibili esigenze dovute alle trasformazioni della società, ha fatto propri con entusiasmo al prezzo di favorire il progressivo vanificarsi del discorso socialdemocratico: il fare appello all´elettorato in generale, alla responsabilità dei singoli, ai doveri e ai diritti individuali, il puntare per contrastare le diseguaglianze sociali sulle opportunità offerte dalla formazione e dall´esercizio delle competenze nel quadro del mercato aperto. E in questo contesto evoca il messaggio di Obama, la sua entrata in campo a «difesa del principio di una più ampia libertà di scelta individuale sulle questioni della vita» e di altri principi «in linea con le tendenze del centrosinistra». Se concordo con Berta sul dato incontrovertibile dell´eclisse della socialdemocrazia (che per lui in realtà più che un eclisse è un inarrestabile tramonto e per me un serio rischio di tramonto), ne traggo una diversa lezione. Che oggi ci troviamo nel pieno della crisi congiunta e del «turbocapitalismo» e del socialismo europeo. Che la crisi del secondo è una conseguenza del suo essersi adagiato sul primo, nella convinzione, massima nel nuovo laburismo di Blair, che questo rappresentasse tout court l´economia dell´avvenire e perciò occorresse addirittura favorirlo. Che la crisi scoppiata nell´autunno del 2008 rivela palesemente che l´insufficiente difesa delle condizioni di vita degli strati inferiori ? i quali, se non più in prevalenza dagli operai di fabbrica, sono formati dall´esercito dei lavoratori dipendenti a basso reddito, dei precari e dei senza lavoro ? a cui si chiedeva di trovare una strada che non hanno affatto trovato nel mondo dell´iniziativa individuale e delle opportunità create da uno sviluppo sfociato nella grande depressione, ha avuto come risultato di causare il sempre maggiore arricchimento dei pochi e impoverimento dei molti. Che la crisi dimostra ? questo ha in effetti detto chiaro e forte Obama ? che si è riprodotta la perversione per cui i plutocrati incontrastati hanno dato con successo l´assalto ai governi, sicché è ora necessario che il potere pubblico ristabilisca regole in grado di impedire un ritorno al turbocapitalismo, che si ricostituisca una rete di protezione a favore degli strati rimasti vittime delle oligarchie dominanti, che si torni a rendere efficace il welfare, anche grazie al rilancio del ruolo dei sindacati. In Europa quale il soggetto politico organizzato in grado di dare senso, di interpretare un simile indirizzo? Il centrosinistra? Ma nel nostro continente il centrosinistra non esiste, salvo che in Italia, dove esso si presenta con grandi ambizioni, ma in passato altro non è stato se non un´alleanza debole di vari partiti privi di omogeneità e nel presente, incarnato nel maggiore partito di opposizione, non mostra di avere un sufficiente collante e all´interno del quale non manca chi di centro subisce il richiamo di altri centri e chi di sinistra non sa a che santo votarsi. L´eclisse della socialdemocrazia europea è un innegabile dato di fatto e il test a cui essa si trova sottoposta è storicamente decisivo. Ma se l´eclisse dovesse preludere, per una inadeguata capacità di reazione, a un definitivo tramonto, allora vi è da dubitare fortemente che lo scenario del futuro sia l´emergere del centrosinistra internazionale e non piuttosto per un verso il rafforzamento della destra e del centro, rimasti unici contendenti del governo della società, e per l´altro il sopravvivere di una sinistra minoritaria, emarginata, protestataria e impotente. Sono possibili una «economia sociale di mercato» e «un forte quadro giuridico e normativo per l´impresa privata» fatto valere dallo Stato senza la socialdemocrazia?

Torna all'inizio


"Il Pakistan prepara nuove atomiche" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

COSTRUITE NUMEROSE CENTRIFUGHE PER L'ARRICCHIMENTO DELL'URANIO Il ministro della Difesa Gates e l'ammiraglio Mullen ammettono «Arsenali accresciuti» Washington studia il blitz: testate al sicuro se i taleban dovessero prendere il potere "Il Pakistan prepara nuove atomiche" [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Il Pakistan sta rafforzando i propri arsenali nucleari usando i soldi degli americani. È l'allarme lanciato dal Congresso degli Stati Uniti secondo cui Islamabad si starebbe dotando di nuove e più moderne testate atomiche. L'indicazione contenuta in un dossier riservato conferma quanto detto giorni fa dal capo di stato maggiore Mike Mullen nel corso di un'audizione congiunta con il segretario alla Difesa Robert Gates. «Avete prove di un rafforzamento degli arsenali nucleari da parte del Pakistan?» ha chiesto loro la commissione del Senato. «Sì», ha risposto categorico l'ammiraglio. Capitol Hill teme che i soldi stanziati da Washington in favore del presidente Asif Ali Zardari possano così essere usati per produrre bombe ad alto contenuto di uranio. Inoltre, secondo il dossier Islamabad starebbe mettendo a punto una serie di reattori destinati a fabbricare una nuova generazione di testate al plutonio. Bruce Riedel, esperto di Brookings Institution e uno degli autori del rapporto sulla nuova strategia in Afghanistan e Pakistan commissionato da Barack Obama, sostiene che il Pakistan «ha la maggiore concentrazione mondiale di terroristi per metro quadrato, mentre il suo programma nucleare sta crescendo a una velocità che non ha eguali altrove». Il timore che le atomiche di Islamabad finiscano nelle mani sbagliate ha spinto gli Usa a stanziare cento milioni di dollari per garantire la messa in sicurezza degli arsenali (dalle 80 alle 100 testate, secondo l'intelligence). Il pericolo è rappresentato non solo dalle forze talebane, protagoniste di una minacciosa avanzata verso la capitale dalla valle dello Swat, ma anche da Al Qaeda e dalle cellule jihadiste infiltrate negli apparati statali deviati. Il Congresso inoltre sta considerando di inviare tre miliardi di dollari nei prossimi cinque anni per addestrare e armare i militari pakistani contro i movimenti ribelli, mentre sono previsti aiuti alla popolazione civile per 7,5 miliardi. Il timore è che i fondi destinati alle attività di anti-terrorismo siano invece dirottati verso i programmi nucleari su cui già lavora Islamabad. La dimensione e la velocità alla quale il Pakistan sta rafforzando gli arsenali atomici non son chiare: «Abbiamo però riscontrato un ampliamento numerico delle centrifughe», avverte David Albright, direttore dell'Institute for Science and International Security. «L'amministrazione Bush - prosegue - ha voluto chiudere un occhio su un rischio che poteva essere evitato». Obama da parte sua punta alla riduzione delle armi nucleari nel mondo attraverso l'ampliamento del trattato di non proliferazione al quale però Pakistan, India - grande rivale di Islamabad - e Israele non hanno mai aderito. Ecco perché gli Stati Uniti si starebbero preparando al peggio, ovvero a un blitz di precisione per mettere al sicuro gli arsenali atomici nel caso in cui il Paese rischi di cadere sotto il controllo degli estremisti. Secondo l'intelligence la missione è affidata al Joint Special Operations Command con base a Fort Bragg, in North Carolina. Ogni unità, composta da elementi selezionatissimi, dovrebbe disinnescare un ordigno, per poi radunarli tutti in un luogo sicuro prima che le forze ostili assumano il controllo del Paese.

Torna all'inizio


I RISCHI DEL NUOVO DISGELO (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Arrigo Levi I RISCHI DEL NUOVO DISGELO La prima decade di maggio è stata caratterizzata da una serie di singolari ricorrenze, e di alti e bassi, nella storia delle relazioni fra la Russia e l'Occidente. Il 7 maggio si compiva un anno dall'assunzione da parte di Dmitry Medvedev (vincitore delle elezioni presidenziali del 7 marzo) della carica di terzo Presidente della Russia, dopo Eltsin e Putin. Il giorno prima la Nato aveva pensato bene di dare inizio ad esercitazioni militari congiunte in Georgia, decise da tempo in base al suo programma «Partenariato per la Pace», e alle quali la Russia stessa era stata invitata a partecipare. «Piccole» esercitazioni, è stato detto. Quanto opportune è per lo meno discutibile, visto che il 5 vi era stato un ammutinamento (fallito) presso Tbilisi in una base militare georgiana: ispirato dai russi (secondo i georgiani) per rovesciare il presidente Saakashvili. Medvedev ha definito le esercitazioni «una provocazione». Sempre il 7 maggio, è stato lanciato a Praga (capitale di turno dell'Unione Europea) il programma dell'Unione di «Partenariato per la Pace» con sei repubbliche ex sovietiche: Georgia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Azerbaigian e Armenia. Questo Partenariato mira a liberalizzare gli scambi commerciali e il regime dei visti. I Sei sperano anche di negoziare accordi di associazione con l'Unione. Il ministro russo degli Esteri, Sergei Lavrov, ha subito accusato il «Partenariato» di «intrusione», e di voler «disegnare nuove linee di divisione nel continente»: una minaccia, in parole povere, al predominio russo in quello che Mosca ha definito «l'estero vicino». Intanto c'era stata l'espulsione, alquanto reclamizzata, di due diplomatici russi accreditati presso la Nato e accusati di spionaggio, e la controespulsione di due diplomatici della Nato accreditati a Mosca. In un articolo, piuttosto aggressivo, pubblicato dal New York Times, l'ambasciatore russo alla Nato, Dmitry Rogozin (l'Economist lo definisce di temperamento «irascibile»), aveva accusato la Nato, e in particolar modo l'America, di «grossolane violazioni di interessi di sicurezza nazionale della Russia», in quanto verrebbero minacciati, ai confini russi, spazi che «sono una pietra angolare della politica estera russa». E veniamo al 9 maggio, quando nella Piazza Rossa, col mausoleo di Lenin ricoperto, fra le proteste dei vecchi comunisti, da un'immensa bandiera russa, si è svolta una parata militare «monstre», nell'anniversario della vittoria sovietica nella «Grande Guerra Patriottica». Si è assistito a un formidabile sfoggio di armamenti vecchi e nuovi, e Medvedev ha colto l'occasione per rinnovare le sue proposte di un nuovo trattato per la sicurezza europea, aggiungendo però subito: «Oggi, quando ci sono coloro che ancora si affidano all'avventurismo militare» (il riferimento era presumibilmente alla Georgia), «si ricordi che qualsiasi aggressione contro cittadini russi sarà sempre respinta». A questo punto, tenendo presente che Obama e Medvedev si erano detti convinti, nel loro recente, felice incontro, del successo dei negoziati (inizio previsto per questo mese) per il rinnovo del Trattato Start sulla riduzione delle armi strategiche in scadenza a dicembre, dall'una e dall'altra parte si è forse pensato che fosse il caso di cambiare i toni. Fatto sta che il ministro Lavrov è volato a Washington e ha avuto col presidente Obama un incontro che questi ha definito «eccellente». Perfino l'«irascibile» Rogozin ha espresso la speranza che il processo di disgelo «non si sia interrotto». È dunque tornato il sereno fra le due «superpotenze»? È presto per dirlo. È chiaro che, vuoi dall'una vuoi dall'altra parte, il nuovo disgelo rischia diversi incidenti di percorso. E qui si pone il problema di chi comandi veramente a Mosca: Medvedev, o Putin? E qual è la vera linea politica di Medvedev? I molti commenti di esperti occidentali sul suo primo anno di presidenza hanno messo giustamente in luce le sue prese di posizione «liberali» e riformatrici: fra queste, l'incontro avuto con gli esponenti delle organizzazioni russe per i diritti umani, nel corso del quale ha condannato quei «molti funzionari» che ritengono tutte le organizzazioni non governative «nemiche dello Stato e tali da essere combattute». Ma non sempre alle belle parole seguono i fatti. O forse, vi è una «linea Medvedev» diversa dalla «linea Putin». E comunque appare forte, a Mosca, una visione nazionalista della politica estera che non è facile giustificare. Possiamo ben comprendere che la perdita della sovranità di fatto su immense estensioni di territorio continui a non dar pace a molti russi. Ma come possono i russi non capire che, dopo l'implosione del potere sovietico, proprio l'adesione di alcune repubbliche ex sovietiche e di alcuni Paesi ex satelliti dell'Urss all'Unione Europea o alla Nato, con le rigide regole di comportamento che ciò comporta, ha creato condizioni di assoluta sicurezza per la Russia, mai conosciute prima nella storia, alle sue frontiere occidentali? La Nato e l'Unione Europea sono per la Russia non minacce, ma garanzie di pace. (Ma anche da parte occidentale, sarebbe forse utile un po' più di prudenza). CONTINUA A PAGINA 39

Torna all'inizio


Obama concede sei mesi all'Iran (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Barack incontra Netanyahu: stop agli insediamenti Obama concede sei mesi all'Iran "Non negozieremo all'infinito" Obama chiede all'Iran di bloccare il programma nucleare «entro la fine dell'anno» e Benjamin Netanyahu è pronto a «riprendere immediatamente» i colloqui di pace con i palestinesi, mentre tace sull'ipotesi dei due Stati appoggiata da Washington. Sono questi i punti chiave del colloquio di due ore che i due leader hanno avuto alla Casa Bianca. Molinari A PAG. 11

Torna all'inizio


"Sms, blog, social e network così ho fatto vincere Obama" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Joe Rospars ha trentacinque anni e l'aria di un ragazzo tutto casa e computer, uno di quelli che non noti nemmeno se è tuo compagno di classe. Eppure questo signore con gli occhiali, tranquillo e calmo, che affabilmente saluta tutti nella grande sala della Verkehrshaus di Lucerna, dove ha appena finito di parlare ai partecipanti all'Eurovision Tv Summit organizzato dall'Ebu, è uno degli uomini del momento, colui che ha messo in moto la campagna elettorale online di Barack Obama, è il deus ex machina di un movimento nato sfruttando email, blog, social community, sms e cellulari, tutto l'armamentario dei nuovi media di cui lui era responsabile. Il primo "new media director" di una campagna elettorale americana, conclusasi con un successo. "Sì, era la prima volta che esisteva un simile incarico", dice sorridendo. Rospars, a capo della sua Blue State Digital, aveva già firmato delle iniziative di successo, ma a credere nelle sue doti è stato soprattutto David Plouffe, il responsabile della campagna elettorale di Obama, che prima di altri ha capito che il web poteva essere utilizzato in maniera nuova. "Mi ha chiamato lui - ricorda Rospars - mi ha detto che se la gente voleva delle voci nuove, se voleva che qualcosa accadesse, la sfida era quella di farla accadere davvero, costruire un movimento nuovo in un insieme di istituzioni arcaiche". E Barack Obama? "L'ho incontrato subito dopo e abbiamo parlato dell'America, di quello che voleva fare. Gli ho chiesto cosa sarebbe accaduto se avessimo perso, e lui mi ha risposto che l'importante era la campagna elettorale, che l'obiettivo era quello di migliorare il processo politico nel Paese, di coinvolgere la gente. Mi spiegò che voleva costruire una relazione con i suoi sostenitori e che anche tra di loro nascesse una relazione. Mi disse che se ci fossimo riusciti tutto questo non si sarebbe fermato alle elezioni, che quello che saremmo stati in grado di costruire avrebbe resistito anche dopo. E aveva ragione". OAS_RICH('Middle'); Qual è stato il vostro punto di partenza? "Il 1989, quando la gente, specialmente nell'est europeo, si è messa in movimento per cambiare. La gente non andava solo a comprare i giornali illegali ma ne faceva fotocopie per farli leggere ad altri, non si limitava a leggere i volantini, li riproduceva per convincere i vicini di casa. Si metteva insieme per essere parte di un processo politico che fino a quel momento li aveva esclusi, costruiva una società civile nuova, creava la partecipazione democratica. Oggi tutto questo continua, invece delle pubblicazioni illegali ci sono i giornali sul web, i volantini sostituiti dai cd". Molti pensano che gli strumenti del web siano freddi, impersonali, che Internet isoli la gente invece di unirla. "Potrebbe essere se si pensasse agli strumenti dei nuovi media come a una sostituzione dei rapporti umani diretti. Ma non è stato così. Il web ci ha dato modo di avere più gente nelle strade, più sostenitori che hanno fisicamente bussato a un numero molto maggiore di porte e parlato davvero a un numero molto più grande di persone. Il nostro obiettivo non era quello di trasmettere un messaggio dal vertice alla base in modo nuovo, ma quello di creare, come voleva Obama, una relazione con i supporter e dei supporter tra loro, mettere le persone al lavoro, non con gli ordini, ma con gli stimoli, dando ad ognuno tutto il materiale necessario online affinché ognuno si sentisse libero di fare quello che sapeva fare meglio. Nei nostri video, nei nostri messaggi, Barack Obama appariva poco, il nostro messaggio non era "votate Obama" ma "fate sentire la vostra voce"". Il web sta cambiando la politica in America? "Non si può dire ancora, diciamo che si è messo in moto un cambiamento. Si è chiarito soprattutto un equivoco riguardo ai nuovi media. Non sono il messaggio, sono lo strumento per agevolare l'accesso alla politica. E se ne dovranno rendere conto anche i repubblicani, magari perdendo un altro paio di elezioni. Loro hanno ragionato alla vecchia maniera, con una campagna elettorale dal basso verso l'alto. Noi abbiamo rovesciato questo meccanismo, senza la collaborazione della gente non avremmo potuto vincere". Quello della vostra campagna elettorale è un modello che può essere esportato altrove? "Non penso che possa essere esportato così com'è. Ma penso che sarà difficile non tenere conto di quello che è successo in questa campagna elettorale. Anche perché chi ha partecipato a questa campagna sta continuando a partecipare alla vita della propria comunità e non è disposto a tornare indietro". (19 maggio 2009

Torna all'inizio


"sms, blog, social e network così ho fatto vincere obama" - ernesto assante (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 38 - Esteri Joe Rospars artefice della campagna elettorale telematica "Volevamo creare un nuovo movimento. E ci siamo riusciti" "Sms, blog, social e network così ho fatto vincere Obama" "Il presidente ha capito che grazie alla Rete poteva coinvolgere gli elettori. E poteva costruire una relazione con loro" "I nuovi media non sono il messaggio, sono lo strumento per agevolare l´accesso alla politica. Ormai è un dato di fatto" ERNESTO ASSANTE Joe Rospars ha trentacinque anni e l´aria di un ragazzo tutto casa e computer, uno di quelli che non noti nemmeno se è tuo compagno di classe. Eppure questo signore con gli occhiali, tranquillo e calmo, che affabilmente saluta tutti nella grande sala della Verkehrshaus di Lucerna, dove ha appena finito di parlare ai partecipanti all´Eurovision Tv Summit organizzato dall´Ebu, è uno degli uomini del momento, colui che ha messo in moto la campagna elettorale online di Barack Obama, è il deus ex machina di un movimento nato sfruttando email, blog, social community, sms e cellulari, tutto l´armamentario dei nuovi media di cui lui era responsabile. Il primo "new media director" di una campagna elettorale americana, conclusasi con un successo. «Sì, era la prima volta che esisteva un simile incarico», dice sorridendo. Rospars, a capo della sua Blue State Digital, aveva già firmato delle iniziative di successo, ma a credere nelle sue doti è stato soprattutto David Plouffe, il responsabile della campagna elettorale di Obama, che prima di altri ha capito che il web poteva essere utilizzato in maniera nuova. «Mi ha chiamato lui - ricorda Rospars - mi ha detto che se la gente voleva delle voci nuove, se voleva che qualcosa accadesse, la sfida era quella di farla accadere davvero, costruire un movimento nuovo in un insieme di istituzioni arcaiche». E Barack Obama? «L´ho incontrato subito dopo e abbiamo parlato dell´America, di quello che voleva fare. Gli ho chiesto cosa sarebbe accaduto se avessimo perso, e lui mi ha risposto che l´importante era la campagna elettorale, che l´obiettivo era quello di migliorare il processo politico nel Paese, di coinvolgere la gente. Mi spiegò che voleva costruire una relazione con i suoi sostenitori e che anche tra di loro nascesse una relazione. Mi disse che se ci fossimo riusciti tutto questo non si sarebbe fermato alle elezioni, che quello che saremmo stati in grado di costruire avrebbe resistito anche dopo. E aveva ragione». Qual è stato il vostro punto di partenza? «Il 1989, quando la gente, specialmente nell´est europeo, si è messa in movimento per cambiare. La gente non andava solo a comprare i giornali illegali ma ne faceva fotocopie per farli leggere ad altri, non si limitava a leggere i volantini, li riproduceva per convincere i vicini di casa. Si metteva insieme per essere parte di un processo politico che fino a quel momento li aveva esclusi, costruiva una società civile nuova, creava la partecipazione democratica. Oggi tutto questo continua, invece delle pubblicazioni illegali ci sono i giornali sul web, i volantini sostituiti dai cd». Molti pensano che gli strumenti del web siano freddi, impersonali, che Internet isoli la gente invece di unirla. «Potrebbe essere se si pensasse agli strumenti dei nuovi media come a una sostituzione dei rapporti umani diretti. Ma non è stato così. Il web ci ha dato modo di avere più gente nelle strade, più sostenitori che hanno fisicamente bussato a un numero molto maggiore di porte e parlato davvero a un numero molto più grande di persone. Il nostro obiettivo non era quello di trasmettere un messaggio dal vertice alla base in modo nuovo, ma quello di creare, come voleva Obama, una relazione con i supporter e dei supporter tra loro, mettere le persone al lavoro, non con gli ordini, ma con gli stimoli, dando ad ognuno tutto il materiale necessario online affinché ognuno si sentisse libero di fare quello che sapeva fare meglio. Nei nostri video, nei nostri messaggi, Barack Obama appariva poco, il nostro messaggio non era "votate Obama" ma "fate sentire la vostra voce"». Il web sta cambiando la politica in America? «Non si può dire ancora, diciamo che si è messo in moto un cambiamento. Si è chiarito soprattutto un equivoco riguardo ai nuovi media. Non sono il messaggio, sono lo strumento per agevolare l´accesso alla politica. E se ne dovranno rendere conto anche i repubblicani, magari perdendo un altro paio di elezioni. Loro hanno ragionato alla vecchia maniera, con una campagna elettorale dal basso verso l´alto. Noi abbiamo rovesciato questo meccanismo, senza la collaborazione della gente non avremmo potuto vincere». Quello della vostra campagna elettorale è un modello che può essere esportato altrove? «Non penso che possa essere esportato così com´è. Ma penso che sarà difficile non tenere conto di quello che è successo in questa campagna elettorale. Anche perché chi ha partecipato a questa campagna sta continuando a partecipare alla vita della propria comunità e non è disposto a tornare indietro».

Torna all'inizio


Il governo Usa ha troppi debiti Basta sprecare soldi per le agenzie Fannie e Freddie (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Il governo Usa ha troppi debiti Basta sprecare soldi per le agenzie Fannie e Freddie Nella fusione con la Porsche Volkswagen ha l'ultima parola Con una partecipazione del 51% non si ottiene molto in questi giorni in Germania, come Porsche sta scoprendo. Il produttore di vetture di lusso si è eccessivamente indebitato per creare la sua proprietà di maggioranza di Volkswagen, il suo concorrente tedesco più importante. Le due società - ognuna diretta da uno dei rami antagonisti della famiglia che controlla Porsche - all'inizio di questo mese hanno deciso una fusione. Ma Volkswagen ha il sopravvento nelle trattative. Per mettere in chiaro la questione, ha per l'appunto deciso di abbandonare le trattative. Ferdinand Piëch, il presidente di Volkswagen che, sulla questione, si è dissociato dai suoi cugini, vuole che Porsche dica la verità sullo stato reale della sua situazione finanziaria - soprattutto sui costi delle opzioni per l'acquisto di circa il 20% in più di VW che sono ancora sul suo bilancio. Porsche, dall'altro lato non vuole diventare soltanto un altro dei dieci marchi sotto l'ombrello di VW. Ma il suo management sta confluendo in una potente alleanza: il management di VW, i suoi sindacati e uno degli Stati federali della Germania. Lo Stato federale della Bassa Sassonia ha una partecipazione del 20% in Volkswagen che gli consente di bloccare qualsiasi decisione strategica. Fin da quando Porsche è stata presa dalla frenesia degli acquisti, Piëch ha sfruttato abilmente questa pillola avvelenata, ottenendo supporto dai potenti sindacati. Questi alleati gli hanno conferito l'autorità di dettare le sue condizioni per una fusione: la località delle sedi centrali (Wolfsburg, dove Volkswagen ha la sede), il direttore (il chief executive di VW) e il valore di Porsche (non troppo elevato). Tutte le esigenze di Piëch sono una chiara fotografia della situazione finanziaria di Porsche. Ciò determinerà in gran parte i meccanismi della fusione. Piëch preferirebbe una forma semplice - Volkswagen acquista la divisione auto di Porsche Se, la holding quotata in Borsa. La principale ossessione del management di Porsche sembra essere quella di evitare di perdere la faccia. A meno che il rifiuto di dire la verità sulle opzioni significhi che ha qualcosa da nascondere. \ L'amministrazione Obama vuole mantenere fuori bilancio alcune spese per il salvataggio. Si tratta di oltre 500 miliardi di dollari per il Fondo Monetario Internazionale, di parte del Tarp, il programma di aiuti per gli asset tossici e dei salvataggi di Fannie Mae e Freddie Mac. Questo provvedimento potrebbe migliorare l'aspetto del disavanzo di bilancio ma non cambierà la necessità d'indebitamento dell'America e questo è il test vero e proprio. L'amministrazione Bush ha finanziato gran parte della guerra in Iraq attraverso stanziamenti di bilancio supplementari. Il presidente Barack Obama sta continuando questa prassi, aggiungendo al suo bilancio supplementare 108 miliardi di dollari di finanziamenti statunitensi per il Fmi. Una consistente parte dei 700 miliardi del Tarp e l'intera quota di capitali per Fannie e Freddie (85 miliardi finora e fino a 400 miliardi impegnati) sono stati esclusi dal bilancio. Anche gli investimenti della Federal Reserve negli asset tossici non sono stati inclusi nei dati del disavanzo, sebbene ci sia un dato complessivo "tampone" di 250 miliardi nel bilancio 2009 per i salvataggi del settore finanziario. Da un punto di vista economico, la contabilità del Tarp dell'amministrazione è tollerabile ma la gestione degli investimenti per Fannie e Freddie non lo è: le due società stanno realizzando enormi perdite e non possono sopravvivere da sole. In ogni caso, tutti questi investimenti richiedono liquidità che, a sua volta, deve essere raccolta sui mercati del debito pubblico, che stanno già mostrando alcuni segnali d'indigestione. Con i disavanzi di bilancio dei prossimi due anni, che raggiungono assieme più di 3 trilioni di dollari, il bruciore di stomaco dei mercati può solo peggiorare. Attualmente, al fabbisogno di prestiti degli Stati Uniti è dedicata meno attenzione che ai suoi disavanzi di bilancio. Ma con le sue esigenze di finanziamento che probabilmente influenzeranno molto negativamente il mercato dei buoni del Tesoro, questa enfasi deve cambiare direzione. \

Torna all'inizio


fiat stringe su opel. merkel: fase decisiva - salvatore tropea (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 9 - Economia Fiat stringe su Opel. Merkel: fase decisiva Marchionne, valzer di vertici in Germania: non chiuderemo stabilimenti tedeschi Con Ig Metall in discussione la partecipazione di sindacati e concessionari Ancora un balzo in Borsa: il titolo del Lingotto ha guadagnato oltre il 4 per cento SALVATORE TROPEA TORINO - Sergio Marchionne prova a convincere Berlino e Berlino prova a fare altrettanto con Washington e Detroit. Quando mancano due giorni alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte su Opel, l´ad del Lingotto è impegnato in un tour de force in Germania per rassicurare i tedeschi sulla sorte degli stabilimenti del loro paese, mentre il ministro dell´economia Karl-Theodor zu Guttnberg è pronto a volare America per sottoporre il piano alla Gm e alla task force di Obama o, più realisticamente, per sollecitare un extra time rispetto alla scadenza del 31 maggio allo scopo di evitare che la Opel finisca come la casa madre sul terreno del fallimento senza avere però il paracadute del Chapter 11. In questa concitata vigilia continuano a circolare indiscrezioni vecchie e nuove sull´operazione Opel e sugli effetti collaterali che interesserebbero anche gli impianti italiani della Fiat. La chiusura di Pomigliano d´Arco e di Termini Imerese con la perdita di 6 mila 500 posti di lavoro è stata rilanciata ieri dal sito on line Affari Italiani, riaccendendo i timori del mondo politico e sindacale e la richiesta di intervento da parte del governo italiano. «Sarebbe contraddittorio mantenere gli impianti esteri e ridimensionare quelli italiani» ha commentato Cesare Damiano responsabile Lavoro del Pd, chiamando appunto in causa il governo. Con riferimento a queste voci, in serata, il Lingotto ha precisato che «si tratta di informazioni che non fanno parte di alcun piano operativo dell´Azienda». Sempre ieri, il settimanale tedesco Automobilewoche si è spinto fino a ipotizzare la soppressione del marchio Lancia e la fusione di Saab con Chrysler. Tutto questo conferma la tensione che si sta creando attorno al caso Opel mentre Marchionne intensifica i suoi incontri con i governatori dei lander, dalla Turingia e al Nord Reno Westfalia, per convincerli che il piano Fiat non «cancellerà» gli impianti di Bochum e Eisenach. Il quotidiano Handelsblatt ha scritto che oggi l´ad del Lingotto incontrerà a Francoforte Berthold Huber, leader del potente sindacato dei metalmeccanici tedeschi (Ig Metall). Non è escluso che in questo colloquio abbia come tema l´ipotesi di una partecipazione dei sindacati e dei concessionari alla nuova società con una quota che si aggirerebbe sul 25 per cento. I tedeschi dunque accelerano perché temono lo sbocco del fallimento. Ciò spiega anche perché Angela Merkel, per la quale ormai «si è entrati nella fase decisiva dell´operazione», continui a ribadire l´intenzione del suo governo di mantenere l´opzione di un´amministrazione fiduciaria di Opel qualora la Gm dovesse imboccare la strada della bancarotta controllata prevista dal Chapter 11. Questo ricorso al «fiduciario», come soluzione provvisoria peraltro non gradita alla Gm, e che comunque richiederebbe l´intervento di alcune banche, è stato confermato dal ministro dell´Economia. «Se le offerte avanzate non fossero valide e Opel dovesse avere problemi di liquidità» ha detto zu Guttenberg «non vedrei come altra soluzione che quella di un´insolvenza regolata». Le ultime ventiquattro ore dovranno anche dire se la Fiat, che tra l´altro ieri ha chiuso la giornata borsistica con un aumento del 4,12%, è la sola candidata alla conquista della Opel o se sulla sua strada non ci sia ancora l´austro-canadese Magna la cui offerta, secondo la stampa tedesca, non prevederebbe chiusura di impianti. E secondo alcune fonti industriali potrebbe produrre a Russelsheim oltre alle Opel anche vetture di altri marchi. Una terza proposta potrebbe infine arrivare dal fondo Ripplewood.

Torna all'inizio


Obama a Netanyahu (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 19/05/2009 - pag: 1 Incontro alla Casa Bianca Obama a Netanyahu «Uno Stato palestinese» Incontro alla Casa Bianca tra Obama e Netanyahu. Il presidente Usa chiede «uno Stato palestinese». Il premier israeliano ignora la proposta. Monito all'Iran sul nucleare. A PAGINA 16 Valentino

Torna all'inizio


Obama accelera sulle auto verdi (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 19/05/2009 - pag: 7 Meno consumi Obama accelera sulle auto verdi NEW YORK - (m.ga.) Un'altra mossa audace di Obama che, dopo aver deciso di salvare, almeno in parte, l'industria automobilistica Usa sprofondata in una grave crisi, ora le impone di perseguire obiettivi di risparmio energetico e riduzione dell'inquinamento più ambiziosi di quelli votati dal Congresso. Oggi il presidente americano renderà note nuove direttive in materia di riduzione delle emissioni e dei consumi di energia, che di fatto allineano tutto il Paese agli standard a suo tempo fissati dalla California, lo Stato che si era autonomamente dato gli obiettivi più ambiziosi. Il piano energetico approvato lo scorso anno puntava a passare dalla media di consumo attuale di 27,5 miglia per gallone (meno di 12 chilometri al litro) a 35 (15 km/litro) entro il 2020. Troppo presto, troppo onerosi gli investimenti necessari, avevano obiettato i costruttori. Ma ora che la Chrysler sta affrontando le procedure della bancarotta, la General Motors sta scivolando verso una situazione dello stesso tipo e tutti si chiedono cosa resterà di queste aziende dopo la necessaria ristrutturazione, Obama ha deciso di imprimere un'ulteriore accelerazione: il governo vuole che Chrysler e GM riemergano capaci di produrre già nel 2016 cioè domani dal punto di vista della di programmazione industriale vetture che dovranno avere un consumo medio di 42 miglia al gallone (quasi 18 km/lt), mentre per i camioncini (i celebri 'pick up') basterà un progresso più limitato: dalle attuali 24 a 27,5 miglia per gallone. Una scelta, quella di Obama, che rende sempre più cruciale il ruolo di Fiat: il partner al quale Chrysler affida le sue speranze di diventare competitiva nell'area dei veicoli a basso consumo.

Torna all'inizio


Obama a Netanyahu: (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 19/05/2009 - pag: 16 Diplomazia La Casa Bianca avverte l'Iran: non negozieremo in eterno. Il leader ebraico: Teheran pericolo anche per gli arabi Obama a Netanyahu: «Uno Stato palestinese» Il premier israeliano ignora la proposta e promette una «ripresa dei negoziati» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Hanno parlato per più di due ore, ben oltre il tempo previsto. E alla fine hanno detto entrambi le cose che ci si aspettava dicessero, divergenze comprese. Eppure la prima visita americana di Benjamin Netanyahu apre comunque un nuovo capitolo nei rapporti di Israele con Washington, promettente ma dagli esiti oggi impossibili da prevedere. Chiaro è che i due alleati abbiano voglia di non deludersi a vicenda e siano disposti a fare degli sforzi per avvicinare due posizioni che il doppio cambio della guardia a Washington e Gerusalemme hanno fatto apparire più distanti e problematiche. A Barack Obama che lo esortava, con parole garbate ma nette, a tornare a «negoziati seri» con i palestinesi, Netanyahu ha risposto di essere pronto a farlo «immediatamente », ma che ogni accordo non potrà prescindere dal «riconoscimento da parte palestinese del diritto di Israele a esistere in quanto Stato ebraico». Al presidente, che ha ricordato come «la soluzione due Stati-due popoli sia nell'interesse di tutti», il premier israeliano ha ribattuto ignorando la formula e limitandosi a parlare di autonomia amministrativa: «Non vogliamo governare i palestinesi, vogliamo lo facciano da soli». Obama ha concesso parole rassicuranti sull'Iran, temperando l'ottimismo per una risposta positiva da parte di Teheran alle sue aperture diplomatiche, con un chiaro avvertimento agli ayatollah: «Non potremo negoziare in eterno», ha detto, indicando la fine dell'anno come data ultima per capire la disponibilità iraniana a porre veramente fine al programma nucleare. Dopo l'Amministrazione si riserva un «ventaglio di possibilità, incluse più forti sanzioni internazionali». Ma il capo della Casa Bianca è stato chiaro, quasi brutale, nel ricordare a Netanyahu cosa si aspetti da lui: «Abbiamo visto uno stallo sul fronte della trattativa con i palestinesi. Ho suggerito al primo ministro che ha l'opportunità storica, per fare un serio passo in avanti durante il suo mandato. Non c'è alcuna ragione per cui non dovremmo coglierla». Questo comporta «scelte difficili» da ambedue le parti. I palestinesi devono cessare una volta per tutte gli attacchi, gli israeliani devono «fermare i nuovi insediamenti nei territori». Netanyahu non si è sbilanciato, limitandosi a dire che Gerusalemme è pronta «a fare la sua parte» e spera che «i palestinesi facciano la loro». La sua formulazione del riconoscimento di Israele in quanto Stato ebraico da parte palestinese, è rimasta ambigua, non chiarendo se sia una pre-condizione per tornare a trattare o meno. Però, ha aggiunto, se il riconoscimento avvenisse «si può immaginare un accordo, dove israeliani e palestinesi possano vivere fianco a fianco». Il premier ha taciuto sugli insediamenti. Ma ha concordato con Obama sull'urgenza, anche se per lui è tutta data dal dossier iraniano: «Non c'è mai stato un tempo in cui arabi e israeliani abbiano avvertito un pericolo comune come in questo momento». E' proprio sul coinvolgimento del mondo musulmano moderato Giordania, Egitto e Arabia Saudita in testa che la nuova Amministrazione e il governo d'Israele sembrano trovare il più vasto terreno d'azione comune. La differenza è che Obama vede i progressi sul fronte israelo-palestinese come determinanti per convincere i Paesi arabi a unirsi alle pressioni della comunità internazionale sull'Iran. Il «Grande Gioco» in ogni caso sembra ripartire. La prossima settimana tocca al leader egiziano Mubarak, su cui Obama conta molto per convincere tutti gli Stati arabi a riconoscere Israele, giusta la proposta saudita del 2002. Poi sarà la volta del presidente al Cairo, per un discorso al mondo islamico che potrebbe rivelarsi decisivo. Paolo Valentino Ospite Barack Obama ascolta il primo ministro Benjamin Netanyahu che risponde ai giornalisti (Ap/Charles Dharapak)

Torna all'inizio


E il ragazzo prodigio scrive il discorso-chiave (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 19/05/2009 - pag: 16 Dietro le quinte Ben Rhodes e il messaggio all'Islam E il ragazzo prodigio scrive il discorso-chiave DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Sull'Air Force One, di ritorno dall'Europa, Barack Obama lo ha indicato a tutto lo staff, facendo partire un applauso. Da Praga a Istanbul, Ben Rhodes non aveva sbagliato nulla. Non che avesse bisogno di conferme, da parte del presidente. A 31 anni, laureato in fiction writing, scrittura narrativa alla New York University, è il solo speech-writer di politica estera di Obama, che di lui si fida ciecamente. Ben Rhodes non è celebre come Jon Favreau, il geniale ventisettenne beniamino del gossip mediatico per via della fama da sciupafemmine, che è dietro i discorsi d'indirizzo generale del presidente e che Time magazine ha consacrato tra le 100 persone più influenti degli Stati Uniti. Ma dal punto di vista del ruolo e dell'immagine dell'America nel mondo Rhodes occupa un posto cruciale, tanto più che nella squadra di Obama ha mantenuto anche il ruolo di consigliere di politica internazionale, già occupato in campagna elettorale. Partecipa infatti a tutte le riunioni sulla sicurezza nazionale, durante le quali il presidente spesso chiede la sua opinione. Fra pochi giorni, comincerà a lavorare al discorso che Barack Obama considera fondamentale per la sua presidenza, quello dedicato al mondo islamico, in programma al Cairo il 4 giugno prossimo. Come rivela Rhodes al sito web Politico, il primo atto del processo sarà una riunione a quattro alla Casa Bianca, con il presidente, il suo primo consigliere David Axelrod, il numero due della Sicurezza nazionale Dennis McDonough e lui stesso. Sarà lì che Obama farà il suo abituale download, parlando a ruota libera per mezz'ora circa e spiegando cosa vuole esattamente dire nel discorso. Rhodes prenderà appunti e farà una prima stesura, lavorando in un ufficio segreto accanto alla Casa Bianca. Obama correggerà le bozze a mano tre o anche quattro volte, prima di dirsi soddisfatto: «Le sue osservazioni sono in genere: no, quello che voglio dire qui è questo e bisogna renderlo meglio». Ma se le passate esperienze servono da guida, il lavoro di rifinitura continuerà fino alla fine, magari nell'auto del servizio segreto che porta il corteo presidenziale fino al luogo dell'evento: «E' un perfezionista. Fa modifiche anche negli ultimi minuti», dice Rhodes. «Qui viviamo tutti con la realtà di fatto, che il presidente sia il miglior speech- writer del gruppo», spiega David Axelrod. Assunto nel 2007, per entrare in sintonia con Obama Ben Rhodes lo ha studiato e continua a studiarlo in ogni dettaglio. Ne rivede in video tutte le conferenze stampa, le uscite pubbliche dove parla a braccio, sta attento al suo tono di voce e soprattutto consulta continuamente tutta la squadra della sicurezza nazionale, per essere al passo con ogni sfumatura delle posizioni in politica estera. «Capisce alla perfezione il presidente spiega Axelrod e fra di loro c'è una grande intesa». P.Val. Penne Squadra Gli «speech-writer» che collaborano alla stesura dei discorsi del presidente Obama: l'ultimo a destra è il leader, Jon Favreau (detto Fav, 28 anni, laurea alla Holy Cross, università dei gesuiti). Accanto a lui Ben Rhodes, 31, specializzato in politica estera (lavora al discorso ai musulmani che Obama farà al Cairo). Sarah Hurwitz è stata la speech-writer di Hillary Clinton. Adam Frankel, 24 anni (primo a sinistra) è il più giovane.

Torna all'inizio


Norma, l'eroina abortista che ora fischia il presidente (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 19/05/2009 - pag: 17 Il caso L' ex femminista Usa della sentenza storica «Roe vs Wade» Norma, l'eroina abortista che ora fischia il presidente Nel 1973 la causa per interrompere la gravidanza. Poi si è pentita DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK All'inizio del 1970 Norma McCorvey era troppo povera per ottenere un aborto illegale in Texas o per andare in California a procurarsene uno legale. Fu allora che la 21enne squattrinata con in tasca solo la licenza media decise di querelare il Texas, determinando, tre anni dopo, la storica sentenza della Corte Suprema Roe vs. Wade che dal '73 ha reso l'aborto legale nei 50 stati dell'Unione. Trentasei anni più tardi l'ex eroina delle femministe è tra i 37 manifestanti fermati domenica dalla polizia all'esterno dell'università cattolica di Notre Dame, durante il discorso di Barack Obama. «È scandaloso che una istituzione cattolica inviti a parlare un presidente pro-aborto che vuole allargare la ricerca sulle cellule staminali embrionali», spiega al Corriere la Mc- Corvey, che dopo la conversione al cattolicesimo e al partito repubblicano è diventata una delle più ferventi esponenti del movimento pro-life. In realtà lei quell'aborto non l'ha mai ottenuto. «Quando l'iter giudiziario arrivò a conclusione era troppo tardi e avevo già partorito Mariah», racconta la donna, oggi leader del gruppo anti-abortista «Roe No More» di Dallas. La bimba la sua terza dopo Melissa e Paige che oggi hanno, rispettivamente, 44 e 42 anni venne subito data in adozione. Da allora non l'ha più rivista. «Negli ultimi 30 anni sono stata contattata da almeno 35 donne che sostengono di essere Mariah. Ma hanno tutte il compleanno sbagliato. Una era addirittura cinese». Durante il processo Roe Vs Wade, Norma sostenne di essere stata violentata. «Lo feci perché pensavo che avrebbe aiutato la mia causa spiega adesso ma non era vero: ho mentito». Oggi afferma di essere stata «la pedina nelle mani di due avvocatesse attiviste senza scrupoli, Sarah Weddington e Linda Coffee», che l'hanno usata «per la loro crociata abortista». Durante il tour letterario per il suo primo libro I Am Roe , nel 1994, Mc- Corvey conobbe l'attivista pro-life Flip Benham. Un anno più tardi si convertì al cattolicesimo dopo una vita come testimone di Geova. Il suo battesimo, nella piscina di Benham a Dallas, fu mandato in onda dai Tg nazionali. Due giorni dopo annunciò di aver «sposato interamente» le tesi del movimento pro-life. Una scelta difficile per una donna apertamente lesbica che aveva condiviso ben 25 anni con un'altra donna, Connie Gonzales, ex operaia in una fabbrica di Dallas. «Connie ed io ci siamo lasciate nel '90, prima che io diventassi cristiana precisa adesso restiamo ancora ottime amiche anche se oggi condivido le tesi della Chiesa Cattolica e sono completamente contraria all'omosessualità». Un'abdicazione difficile quanto obbligatoria: il 17 agosto 1998 Norma è stata ufficialmente accettata in seno alla Chiesa Cattolica da Padre Frank Pavone, direttore di Priests for Life, una delle massime organizzazioni pro-life del paese. Nel 2005, la McCorvey ha presentato una petizione alla Corte Suprema dove chiedeva la revoca della legge del '73. «Anche se non ho avuto successo avverte mi batterò fino alla fine per raddrizzare un torto che io stessa ho aiutato a creare ». Alessandra Farkas

Torna all'inizio


Territori, Hamas all'attacco di Obama "Vuole fuorviare opinione pubblica" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

GERUSALEMME - Esponenti di Hamas molto scettici sulle concrete possibilità di pace in Medio Oriente aperte dalla visita del presidente degli Stati Uniti Barak Obama, all'indomani dell'incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. "Le affermazioni e le manifestazioni di speranza del presidente statunitense Barack Obama hanno l'unico obiettivo di ingannare la comunità internazionale in merito a qualsiasi questione legata ai comportamenti e all'esistenza dell'entità sionista razzista e radicale", scrive in una nota pubblicata dal quotidiano israeliano The Jerusalem Post il portavoce di Hamas a Gaza Fawzi Barhoum. Secondo il movimento di resistenza islamico, Obama vuole "fuorviare l'opinione pubblica mondiale in merito al ruolo americano a sostegno dell'esistenza di questa entità sionista fanatica". Per Barhum le affermazioni del presidente statunitense "non danno speranza per un futuro migliore per la nostra popolazione e per il sostegno alla sua giusta causa, mentre crescono i rapporti tra sionisti e americani alle spese dei principali diritti dei palestinesi". "Uno stato sionista razzista ed estremista - conclude il comunicato - rappresenta un vero pericolo per la popolazione palestinese". Appare invece più ottimista Ahmed Yussef, consigliere diplomatico del leader locale di Hamas Ismail Haniyeh. "Obama è stato molto chiaro sulla formula dei due Stati. - ha rilevato Yussef in un colloquio con l'agenzia Ansa - Obama è un uomo politico saggio ed onesto, assistito da una squadra di consiglieri che ben comprendono le radici del conflitto mediorientale ed in particolare che la causa palestinese è "la madre" di tutte le cause in questa Regione". OAS_RICH('Middle'); Yussef ha giudicato positivamente anche la prossima missione di Obama al Cairo che rappresenta "un ulteriore tentativo degli Stati Uniti di riconciliarsi con il mondo islamico, allo scopo di ridurre le tensioni suscitate dai conflitti in Iraq ed Afghanistan". (19 maggio 2009

Torna all'inizio


Obama: "Storico piano per taglio emissioni" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 19-05-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON - "E' arrivata l'ora di mettere fine alla nostra dipendenza dal petrolio", ma per raggiungere l'obiettivo "ci vorranno tempo, voglia e sforzi". Lo dice a Washington il presidente Barack Obama nella conferenza stampa in cui ha annunciato nuove misure per produrre e commercializzare in futuro negli Stati Uniti solo autovetture a maggiore risparmio energetico. L'amministrazione propone di fissare uno standard nazionale sui consumi e sulle emissioni delle auto, superando così le divergenze eistenti a livello statale, soprattutto con la California, lo Stato che finora ha imposto i limiti più rigidi. Un piano che permetterà di ridurre di 900 milioni di tonnellate le emissioni di gas serra. "Qui al mio fianco ci sono oggi i produttori di auto, i sindacati e gli ambientalisti - afferma il capo della Casa Bianca - gente che in passato ha spesso litigato, che si è portata in tribunale a vicenda ma che oggi è qui unita per il bene comune. Questo fatto da solo è straordinario". I nuovi standard riguarderanno le auto prodotte a partire dal 2012 e dovranno entrare in vigore in tutto il Paese entro il 2016. I consumi previsti per quell'anno dalla Casa Bianca sono di 35,5 miglia (circa 57,13 chilometri) al gallone (più o meno 3,8 litri), in linea con quanto già stabilito dalle norme californiane: la differenza sta nel raggiungimento dell'obiettivo, al quale il piano Obama prevede di giungere più lentamente, in modo più graduale di quanto stimato al momento dalla California. La gran parte dei veicoli passeggeri dovranno raggiungere il livello di 39 miglia per gallone, mentre per i camion leggeri la media dovrà essere di 30 miglia. OAS_RICH('Middle'); Sarà come aver tolto dalle strade 177 milioni di auto o aver chiuso 194 centrali a carbone: i nuovi standard consentiranno infatti di risparmiare 1,8 miliardi di barili di petrolio entro il 2016 e di ridurre di 900 milioni di tonnellate le emissioni di gas serra. Secondo i calcoli della Casa Bianca, ogni singolo automobilista risparmierà fino a 2800 dollari l'anno in minori consumi di benzina a fronte di un aumento iniziale del costo delle auto di circa 600 dollari. "Fino a ora è stato fatto poco per aumentare l'efficienza dei veicoli", ha aggiunto il presidente osservando che proprio questo fa dell'accordo una svolta "storica" che "rappresenta non solo un cambiamento della politica a Washington ma anche un cambiamento nel modo di stare sul mercato". E ancora: "La situazione attuale non è più accettabile. Per decenni abbiamo fatto poco per migliorare l'efficienza energetica delle automobili americane". (19 maggio 2009

Torna all'inizio


Napolitano: più Europa a Kabul (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

DISCORSO SULLA SICUREZZA GLOBALE ALL'ISTITUTO DI STUDI STRATEGICI, POI A COLAZIONE DALLA REGINA Napolitano: più Europa a Kabul [FIRMA]PAOLO PASSARINI LONDRA In un lungo e articolato discorso dal taglio dichiaratamente obamiano, pronunciato ieri nella sede dell'Istituto Internazionale di Studi Strategici, Giorgio Napolitano si è detto convinto che occorra un maggiore impegno europeo, e quindi anche italiano, in Afghanistan. «Sono fermamente convinto - ha sostenuto il presidente della Repubblica - che una partecipazione europea più attiva nelle operazioni di mantenimento e ristabilimento della pace in Afghanistan, come energicamente suggerito dall'amministrazione americana, dovrebbe essere seriamente presa in considerazione». Si è trattato di una presa di posizione insolitamente netta, poiché riguarda una materia delicata come la politica estera, costituzionalmente preclusa al presidente; e rafforzata dall'uso di quei due avverbi («energicamente» e «seriamente»), il primo per sottolineare quanto sia forte la pressione americana al riguardo e il secondo per significare il carattere quasi imperativo della sua raccomandazione. Conoscendo lo scrupoloso stile di lavoro di Napolitano, si tratta certamente di una posizione concordata con il governo e quindi destinata ad avere un seguito operativo. Del resto, anche il ministro degli Esteri Franco Frattini si era più volte pronunciato in questo senso. Napolitano ha parlato della situazione in Afghanistan come di una delle «tre cruciali aree di crisi» da cui provengono attualmente le maggiori minacce per la sicurezza mondiale, le altre due essendo il Medio Oriente («allargato», ha aggiunto per includere l'Iran) e il Corno d'Africa (focolaio, tra l'altro, della pirateria navale). Dopo aver definito poco «incoraggiante» l'andamento delle operazioni in Afghanistan, Napolitano ha motivato l'invito a un maggior impegno europeo facendo proprio «il monito del presidente Obama, secondo il quale l'Europa potrebbe trovarsi sotto una minaccia di terrorismo più grave rispetto a quella che incombe sugli stessi Stati Uniti». Un maggior impegno europeo in quell'area è dunque «innanzitutto nel nostro interesse». Più in generale, secondo il presidente italiano, «il nuovo corso politico» avviatosi negli Stati Uniti con l'elezione di Barack Obama è stato senz'altro uno dei tre più «importanti» eventi mondiali dell'ultimo anno. Ed l'unico positivo, poiché gli altri due sono stati il rischio di un riaprirsi della Guerra Fredda (a causa soprattutto della decisione di George Bush di creare nuove basi per la difesa missilistica in Polonia e Repubblica ceca, cui sono seguite «avventate minacce» da parte della Federazione russa) e l'esplodere della crisi economico-finanziaria mondiale. Ma fortunatamente l'elezione di Obama si è subito materializzata in «risolute e innovative iniziative in politica estera» che «sembrano aprire nuove prospettive». Quest'ultima visita del presidente nel Regno Unito non aveva alcun carattere ufficiale ed è stato quindi un segno di notevole considerazione (e di «cordialità») l'invito a colazione a Buckingham Palace rivolto dalla regina Elisabetta II a lui e alla signora Clio. Nel corso del pranzo, rallegrato dalle evoluzioni dei «corgys» reali, i cagnolini prediletti dalla Regina, Elisabetta ha espresso, oltre che profonda solidarietà per l'Abruzzo, un sincero apprezzamento per la decisione di spostare il prossimo G8 da Roma a L'Aquila, decisione che anche il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha detto ieri di condividere, definendola «importante».

Torna all'inizio


Franceschini: "Tutti i giorni mettete i politici ai raggi x" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

NOVARA.CAFFE' CON IL LEADER DEL PD Franceschini: "Tutti i giorni mettete i politici ai raggi x" Ieri mattina in Piazza delle Erbe, prima di partire per Vercelli [FIRMA]GIANFRANCO QUAGLIA NOVARA Un caffè e un cornetto veloci serviti in piazza delle Erbe anche ai passanti. Poi, nel dehor del bar, Dario Franceschini parla ai novaresi del «nuovo modo di fare politica» di crisi economica e della «serietà come parola d'ordine». E' cominciata così, poco dopo le 8,30, la giornata piemontese del leader del Pd. Era arrivato in città nella tarda serata di lunedì, dopo la partecipazione alla tramissione televisiva «L'infedele» di Gad Lerner. Dagli studi Rai di corso Sempione di Milano era arrivato all'Albergo Italia di Novara, dove ieri mattina ad attenderlo c'erano il presidente uscente della Provincia, Sergio Vedovato e la coordinatrice provinciale Pd Paola Turchelli. E con loro il candidato alle europee Gianluca Susta, il segretario regionale del Pd Gianfranco Morgando, l'on. Elisabetta Rampi, l'assessore regionale al turismo Giuliana Manica, il consigliere regionale Paolo Cattaneo, Sara Paladini segretario cittadino del Pd. «Non possiamo più accettare un sistema in cui personalità importanti possono dire un giorno una cosa e il giorno dopo il contrario - dice Franceschini - senza che nessuno li sbugiardi. I politici devono essere messi tutti i giorni ai raggi x. Questo è il criterio che abbiamo seguito nella scelta dei nostri candidati per europee e amministrative. C'è gente, invece, che vuole imbrogliare gli elettori candidandosi al Parlamento europeo già sapendo di non aver diritto di essere eletto». Poi il tema dei valori, che rappresenta la sfida di questa tornata elettorale. «Obama non ha vinto contrapponendosi alla politica di Bush ma mettendo in campo una gerarchia di valori completamente opposta. Anche in Italia dobbiamo portare la sfida sui valori, perché è lì che siamo più forti. E sarà una sfida lunga nel tempo ma piena di fascino, perché un conto è fare un partito nuovo in un tempo immobile, come un passato, un conto è farlo in un periodo di grandi mutazioni, come l'attuale». Sulla crisi. «Le persone chiedono di non essere dimenticate, mentre il governo gira la testa dall'altra parte pensando che, poichè la crisi è globale, le risposte arriveranno dall'esterno e che ognuno se la deve cavare da solo».

Torna all'inizio


GABRIELE BECCARIA Perché Barack Obama dovrebbe aver perso il sonno dietro al suo libro?<... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

GABRIELE BECCARIA Perché Barack Obama dovrebbe aver perso il sonno dietro al suo libro? «Un amico ha dato una copia alla moglie Michelle e lei ha detto che il Presidente l'avrebbe letto di sicuro, perché ama i saggi scientifici. E chi meglio può convincerlo, se non un'entusiastica First Lady?». Provate a farvi ricevere dal simpatico professor Richard Muller e nell'ufficio all'Università di Berkeley, California, potrete giocare al Presidente degli Stati Uniti. Avrete di fronte i problemi planetari del momento e le loro caratteristiche, soprattutto le informazioni-base che non avete mai osato chiedere su Al Qaeda, armi nucleari e biologiche, petrolio, fotovoltaico ed economia dell'idrogeno, più riscaldamento globale e corsa alla Luna e a Marte (e altro ancora). Un magnifico Risiko del XXI secolo traboccante di dati e suggerimenti, nato come ciclo di lezioni per capire «come funziona il mondo» e che si è trasformato in un libro, appena tradotto. Si chiama «Fisica per i presidenti del futuro» e anche chi non ha mai sognato la Casa Bianca, nemmeno per scherzo, si troverà con il cervello sottosopra. Professore, lei è di casa a Washington: è consigliere per i dipartimenti della Difesa e dell'Energia oltre che della Nasa e la sua società GreenGov offre consulenze a molti Paesi. Come si comporta Obama? «Spero di vederlo presto con il mio libro sottobraccio. Intanto l'inizio è incoraggiante, ma lo scopo del saggio non è imporre consigli: prima di tutto è informare a fondo. Così chi ha grandi responsabilità può prendere decisioni migliori». E' una pretesa ambiziosa: che cosa significa in concreto? «Un esempio: non importa se si è a favore o contro il nucleare. Il punto è che si deve capire che cos'è. Poi le opinioni possono cambiare, ma solo quando si ha il quadro complessivo». Lei dedica un capitolo alle «false soluzioni» e un altro alle «soluzioni a portata di mano». Tra le prime mette l'idrogeno, le auto elettriche e la fusione nucleare: così ridimensiona alcune tra le speranze più grandi. Le piace la parte del provocatore? «Spiego che l'errore di molti è sostenere che un tipo di energia - quella che preferiscono - debba essere usata a discapito delle altre. Chi è a favore del solare nega il ruolo del vento o del nucleare e chi è nuclearista - e si tratta di un'energia fondamentalmente pulita, perché i pericoli delle radiazioni vengono esagerati - sbeffeggiano il solare, cadendo nello stesso equivoco». Nell'elenco «cattivo» mette il Protocollo di Kyoto e anche Bush la pensava così: non è in imbarazzo? «Ci sono ottimi venditori, che strappano l'attenzione dell'opinione pubblica e finiscono per credere alla loro stessa pubblicità. L'errore più grave è proprio l'idea che il mondo avanzato possa ridurre le emissioni di CO2. Solo allora - prosegue il ragionamento - gli "altri" seguiranno l'esempio e il riscaldamento globale si arresterà. Ma non è così: sarebbe vero se tagliassimo le emissioni con tecnologie economiche. Le proposte attuali, invece, sono troppo costose e per di più molti fingono di ignorare le proiezioni dell'Ipcc, l'International panel on climate change dell'Onu: la causa dell'aumento dei gas serra - rivelano - sono Cina e India, non Usa ed Europa. Conclusione: qualunque soluzione costosa non colpirà mai al cuore il problema». A proposito di soluzioni possibili, lei si dilunga su quella che sembra un'ovvietà: il risparmio energetico. «Invece è il metodo più importante, più pratico e più economico». Poi incombe il terrorismo: lei sostiene che non ci sarà un altro 11 settembre, ma che bisogna prepararsi a scenari meno spettacolari ma più insidiosi. «Sono convinto che il pericolo provenga da tecnologie semplici e a basso prezzo, come esplosivi e benzina, e non da armi nucleari "sporche", come si teme a Washington. Il futuro è degli attacchi low tech». Perché considera la fisica così fondamentale per capire il mondo? E le altre discipline? «Tutte le discipline scientifiche sono importanti, ma la fisica è quella che conosco meglio e che, comunque, è legata a 5 tra le questioni che sono percepite come le più urgenti: il terrorismo - come ho detto - e poi energia, nucleare, spazio e mutamenti climatici. La fisica la fa sempre da padrona». Non sopravvaluta i politici? Chi ha detto che devono sapere tutto? Sono circondati da consiglieri proprio per questo, a cominciare da Obama. «Pensiamo che siano molte le cose che un Presidente debba sapere, per esempio la differenza tra gli sciiti e i sunniti: non può certo chiederlo al segretario di Stato, perché diventerebbe immediatamente ridicolo».

Torna all'inizio


I leader devono studiare Ora o mai più (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Intervista Richard Muller «I leader devono studiare Ora o mai più» GABRIELE BECCARIA Allo stesso modo deve conoscere la fisica delle bombe atomiche e dei reattori nucleari e sapere che cos'è il carbone pulito. E anche il riscaldamento globale: alcuni dicono che sia il problema più grave e altri ribattono che è un non-senso. Come può un Presidente decidere, limitandosi ad ascoltare i consiglieri che lui stesso ha scelto? Ecco perché deve conoscere i fondamenti. Vi convincerò con un aneddoto». Lo racconti. «Una studentessa mi dice di una cena con un famoso fisico, che parla della fusione nucleare. Tutti lo ascoltano, finché lei vince la timidezza: "Anche l'energia solare ha un futuro". Il fisico ribatte: "Impossibile. Solo per la California si dovrebbe tappezzare di celle tutto lo Stato". Ma lei non si scoraggia: "Non è vero. Basta 1 km quadrato per produrre un gigawatt". Lui sbianca: "Controllerò!". Naturalmente aveva ragione la ragazza. Lo stesso deve fare il Presidente: sfidare i consiglieri. Anche per la fisica si deve dire "Yes, you can!"». Obama ha lanciato un programma di maxi-investimenti nella ricerca, ma la scienza non è popolare tra i politici. Fa eccezione il cancelliere tedesco Angela Merkel, che è laureata in fisica. Come crede di convincere i leader a prendere lezioni? «Angela Merkel spicca in Occidente, ma in Cina molti top leader sono ingegneri, a differenza di Usa ed Europa, dove la maggior parte è composta da avvocati. E' chiaro che dovranno fondare sempre di più le decisioni sulle idee della scienza e non sulle idee sbagliate che si hanno della scienza stessa. L'esempio sono le scorie atomiche: circolano più storie horror che dati reali». Comunque, ammetterà che, se i politici non le cavano troppo bene, spesso gli scienziati non sono d'accordo e disegnano scenari contraddittori. «Molti scienziati scelgono solo alcuni fatti e li utilizzano per arrivare a conclusioni specifiche, ma in questi casi non sono più bravi ricercatori. Io, invece, sono tra chi si impegna a presentare tutta la storia». Sul riscaldamento globale ci sono idee opposte e lei le analizza, ma da che parte sta? «Spiego le teorie degli allarmisti e dei critici. Analizzo anche il successo di Al Gore, il quale sostiene che la situazione è gravissima, e dimostro ciò che è accurato e ciò che è un'esagerazione. La mia conclusione è che, quando si scoprirà che l'ex vicepresidente ha amplificato il caso, la gente potrebbe respingere la reale questione del riscaldamento globale. Temo che getterà via il bambino con l'acqua sporca». Si troverà un terreno comune? «Nella scienza sì, non nelle opinioni. Solo allora si discuterà che cosa fare».

Torna all'inizio


I cervelloni del piano sono tre studiosi di fama mondiale tra cui un Nobel (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

I cervelloni del piano sono tre studiosi di fama mondiale tra cui un Nobel GIORDANO STABILE Un piano Manhattan sommato a un progetto Apollo e moltiplicato per due. Nelle pieghe del primo bilancio dell'amministrazione Obama si nasconde il più grande investimento nella scienza nella storia Usa. Su questo il Presidente è stato di parola. E la comunità scientifica applaude. Sia l'afflusso di investimenti (che, è vero, vanno a pescare in un deficit enorme in viaggio verso il 12% del Pil) sia la scelta del dream team che dovrà governare questa massa di denaro. Una comunità già deliziata dalla parola «scienza», pronunciata allo storico discorso di insediamento alle presidenza il 20 gennaio, e ancor di più dalle frasi appassionate dette davanti alla National Academy of Science, lo scorso 27 aprile: «La scienza è ora più che mai essenziale per la nostra futura prosperità, la nostra sicurezza, il nostro ambiente e la nostra qualità della vita». Obama era il quarto Presidente a parlare alla National Academy, a 45 anni di distanza dall'ultimo a presentarsi lì, un certo John Fitzgerald Kennedy. Non a caso Obama ha sottolineato che dopo il balzo degli Anni 60, al momento della corsa allo spazio e alla Luna, la percentuale di Pil dedicata alla ricerca e sviluppo non ha fatto che calare e si è «dimezzata nell'ultimo quarto di secolo». Gli Usa sono scesi nel 2007 al 2,6%, contro il 3,3 del Giappone e il 4 della Cina: di poco sopra alla Francia (2,1), ma il doppio dell'Italia (1,3). Obama ha detto di voler riportare la quota sopra il 3 «nel corso» della Presidenza. Sono in ballo cifre enormi. Solo con il «pacchetto di stimolo», nelle fonti energetiche rinnovabili saranno investiti 50 miliardi ogni anno, con fondi già garantiti per due. Altri 20 all'anno andranno alla ricerca «di base», la cenerentola nelle nazioni occidentali. Per fare un paragone, in dollari attuali, il programma Apollo costò 200 miliardi spalmati su 11 anni, il progetto Manhattan per costruire la prima bomba atomica 35 in cinque. «Per la prima volta hanno messo i soldi dove c'è più fame», ha commentato Lesley Stone, del gruppo lobbista «Scientists and Engineers of America». Obama ha detto, ed è stata musica per le sue orecchie, che «una ricerca in settori della fisica, chimica o biologia può non essere redditizia per un anno, un decennio, o mai. Ma, quando ha successo, i vantaggi sono per tutti». Più soldi nella ricerca di base, quindi, ma soprattutto nel settore energetico, quello che sarà la più grande fonte di nuovi posti di lavoro. Obama vuole ridurre le emissioni di CO2 «dell'80% da qui al 2050». Tutte le fonti rinnovabili andranno esplorate, con grande attenzione a vento, sole, geotermico, ma senza mettere in soffitta il nucleare, che in questa fase di transizione serve a non pompare gas serra nell'atmosfera. In 10 anni saranno spesi 150 miliardi di dollari per sviluppare un'infrastruttura energetica pulita. L'altro settore che sarà, anzi, è già stato investito dopo soli 100 giorni dalla rivoluzione scientifica obamiana, è quello dei trasporti. Ridurre la dipendenza dal petrolio è una delle promesse del Presidente. La volontà di superare la mania dei motori «gas guzzler» è già nei fatti e l'auto elettrica, alimentata da fonti di energia verdi, è l'obbiettivo finale. Poi c'è la Sanità. È significativo che nel bilancio per il 2010 oltre un miliardo di dollari sia stanziato per lo studio comparato dell'efficacia dei farmaci e il National Institute of Health è stato incaricato di svolgere un titanico lavoro di «screening» per identificare le cure meno costose. Dietro l'idea della terapia-choc c'è un trio di ricercatori di fama mondiali scelti dall'Amministrazione per dare uno scossone a uno schema basato soprattutto sulla ricerca militare. A capo del team il Nobel per la fisica Steve Chu, affiancato dall'altro fisico John Holdren (che nel 1970 scrisse il libro dal titolo profetico «Ecoscience»), e dal biologo Heric Lander (un guru del Dna che ha spinto per il rilancio della ricerca con le cellule staminali embrionali).

Torna all'inizio


Ricerca. Il primo budget federale dell'era Obama mantiene le promesse: 450 miliardi in 5 anni per i laboratori La maggior parte degli investimenti andranno nell'energia pulita, ma (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Ricerca. Il primo budget federale dell'era Obama mantiene le promesse: 450 miliardi in 5 anni per i laboratori La maggior parte degli investimenti andranno nell'energia pulita, ma anche alla scienza di base, fisica in testa

Torna all'inizio


Carte di credito Usa sì alla ricetta di Obama (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

il caso Una stretta su interessi e commissioni TRASPARENZA Carte di credito Usa sì alla ricetta di Obama FRANCESCO SEMPRINI Variare le condizioni del credito sarà più difficile NEW YORK Il Senato americano approva con voto plebiscitario il progetto di legge sulle carte di credito consentendo di compiere un altro passo in avanti alla riforma del settore voluta da Barack Obama. Il via libera, con 90 voti a favore e cinque contrari, consente di rinviare la legge alla Camera, dove era stata approvata ad inizio mese, per l'armonizzazione dei testi prima della firma del presidente prevista nel fine settimana. L'obiettivo è tutelare il consumatore dai rischi legati a rimbalzi dei tassi d'interesse o da commissioni esorbitanti spesso applicati senza il necessario preavviso o la dovuta trasparenza. In un sistema dove i consumi rappresentano il 70% del Pil, Casa Bianca e Congresso sono stati costretti a intervenire sulla scia dei segnali preoccupanti legati all'uso spregiudicato del credito rinnovabile - trasferibile cioè da un mese all'altro senza limiti ma a costi elevatissimi - e all'applicazione di interessi maggiorati a causa di intenti speculativi e dell'erosione dei prestiti. Tra le misure contenute nel provvedimento ce ne sono alcune operative come i 45 giorni di preavviso per modifiche sui tassi d'interesse. O l'ammissione di aumenti delle aliquote solo se il titolare è indietro di almeno 60 giorni nei pagamenti, con l'opzione di ripristino dei livelli originari se nei sei mesi successivi i pagamenti sono regolari. E' previsto inoltre un esonero da penali nel caso venga superato il limite massimo di spesa per la prima volta o per un numero limitato di volte. Sul piano procedurale invece c'è l'obbligo per le società di pubblicare su Internet le condizioni contrattuali e il diritto per i titolari di carta di pagare le bollette online o per telefono senza commissioni aggiuntive. La legge prevede infine maggiori restrizioni sull'accesso al credito, ad esempio da parte dei minori di 21 anni che dovranno dar prova di poter ripagare i debiti o di avere la garanzia di un genitore o di un adulto qualificato. Nel caso di trasformazione in legge le società come Citibank, American Express o Bank of America avranno nove mesi di tempo per adeguarsi. La manovra è stata recepita dalle banche e da una parte dell'opposizione come un pericoloso giro di vite che in ultima istanza rischia di ricadere sui clienti più virtuosi. Interessi e commissioni «punitive» sono infatti tra le fonti di entrata principali per le società erogatrici che vedendole decurtate si rifaranno in altro modo. Da una parte scaricando i clienti più a rischio, dall'altra tagliando gli incentivi concessi ai più responsabili, come punti-miglia, interessi agevolati, sconti e buoni. «Sarà un nuovo modo di fare business», spiega Edward L. Yingling, direttore dell'American Bankers Association - I clienti virtuosi si troveranno a sostenere economicamente chi mal gestisce le proprie finanze». Il provvedimento del Senato non pone limiti ai tassi di'interesse, precisa la Casa Bianca, ma ne regolarizza i corsi e ne garantisce la trasparenza. «La riforma serve a riportare il senso della misura» avverte Obama la cui operazione «credit-card» rientra nella strategia contro la finanza selvaggia, quella che tra subprime e derivati ha messo in ginocchio Wall Street. Gli analisti da mesi mettono in guardia sul rischio di un collasso come avvenuto per il credito immobiliare: una buona parte dei 950 miliardi di dollari di esposizione delle carte è considerata «tossica», spiega Moody's Investors Service. Lo stato di salute precario è confermato dal taglio di 4 mila posti - il 6% del totale - da parte di American Express. Che l'ad Kenneth Chenault spiega così: «La società è in positivo, ma le prospettive economiche ci impongono cautela».

Torna all'inizio


IL TIFOSO DI OBAMA VENDE VINI E STORIE (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Giro di vite IL TIFOSO DI OBAMA VENDE VINI E STORIE Sergio Miravalle Lorenzo non vede l'ora di poter girare per la «sua» California con un'Alfa Romeo o una Fiat. E' tra i fans di Obama e ha seguito con estremo interesse, come tantissimi in America, le trattative Fiat-Chrysler. «Gli italo-americani hanno fatto tutti il tifo per Marchionne che ha conosciuto l'emigrazione come noi». Ma Lorenzo Scarpone, 48 anni, è anche abruzzese di Teramo e dal giorno del terremoto ha in mente un progetto: una cena organizzata in contemporanea nei ristoranti dei 34 stati Usa dove la sua società vende vino italiano. Molti di questi locali hanno l'insegna italiana, ma i gestori sono sempre più spesso di altre nazionalità. «La solidarietà non conosce confini - racconta convinto - Sarà un'occasione per raccogliere denaro e destinarlo ad azioni concrete verso la gente che ha patito il sisma. «Gli americani sono rimasti colpiti, l'Abruzzo era una delle regioni italiane meno conosciute, il terremoto pur nella sua tragicità ha contributo a creare interesse e può diventare grande occasione per creare un mercato stabile dei nostri prodotti». Lorenzo negli States c'e arrivato nel 1987, dopo aver studiato alla scuola alberghiera in Italia e poi, da imbarcato sulle navi da crociera aver toccato 68 Paesi del mondo. In California ha messo radici, è diventato «governatore» di Slow Food e l'altra sera a Pollenzo è venuto a raccontare agli studenti dell'Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo squarci della sua vita. «Ho detto ai ragazzi che il vino si vende con il cuore prima che con le analisi organolettiche, con le storie vere dei produttori, con la loro autenticità di uomini che lavorano e credono in quello che fanno, raccontando la loro terra». Tra i piemontesi della sua «scuderia» i roerini Filippo Gallino e Monchiero Carbone e le grappe di Elena Borra del Vieux Moulin di Motta di Costigliole.

Torna all'inizio


Il motore pulito è la carta segreta del Lingotto (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

SULLA MITO La storia L'innovativo Multiair migliora i parametri decisi da Barack Il motore pulito è la carta segreta del Lingotto Il nuovo propulsore verrà montato sulla piccola Alfa che sarà venduta negli Usa PIERO BIANCO TORINO Il motore che vuole Obama è già pronto. È il Multiair 1.4 che debutterà a metà settembre sull'Alfa Romeo MiTo e progressivamente (con diverse cilindrate) sugli altri modelli del gruppo, a cominciare dalla 500 per cui è pronto un bicilindrico turbo di 900 cc dalle prestazioni straordinarie. Una rivoluzione tecnologica figlia del concetto di downsizing, cioè la riduzione intelligente di dimensioni e peso, che limita notevolmente consumi ed emissioni però aumenta la potenza. Se la MiTo con l'attuale 1.4 a benzina garantisce una percorrenza media rilevante (15,4 km con un litro: perfetta sintonia con la «eco-tabella» Usa), grazie al Multiair supererà i 16 chilometri. Agli americani può sembrare un miracolo, abituati come sono a propulsori voraci dalle enormi cilindrate. Ma è proprio l'anacronistica grandeur ad aver ridotto sul lastrico i colossi di Detroit, che oggi chiedono aiuto alla tecnologia europa, quella italiana in particolare. Dovranno adeguarsi a realtà più sostenibili: nelle dimensioni dei veicoli e nella riduzione dei loro motori. Anche a diversi sistemi di alimentazione. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno sempre messo al bando il diesel considerandolo «carburante da camion» e nemmeno la massiccia campagna ecologica dei costruttori tedeschi (su tutti Mercedes con il suo BlueTec) è riuscita finora a convertirli. Eppure uno qualsiasi dei Multijet a gasolio made in Fiat e commercializzati in Europa risolverebbe all'origine parecchi dei problemi evidenziati ieri da Obama. Nella corsa alla motorizzazione pulita Chrysler riparte con un evidente vantaggio, grazie al gemellaggio con Fiat. «Stiamo lavorando per adattare ai suoi modelli i nostri moderni motori, compreso il Multiair», spiegano alla Fiat Powertrain Technologies, cuore pulsante della ricerca e dell'industrializzazione dei più avanzati propulsori compatti al mondo. Il Multiair schiude orizzonti spettacolari, annunciando la stessa svolta epocale che realizzò l'iniezione diretta common rail a controllo elettronico per il gasolio. La nuova famiglia di motori, già utilizzata come arma da Marchionne nell'acquisizione di Chrysler, è costata 100 milioni di investimenti. «Questa tecnologia - ha spiegato Alfredo Altavilla, responsabile della Powertrain e delle alleanze strategiche presentando a Ginevra la grande novità - sarà disponibile per tutti i nostri partner e potenziali partner, anche se ovviamente noi manterremo i diritti». Produzione iniziale a Termoli. «Ma tutte le fabbriche sono attrezzate per realizzare un mix fino al 100% di Multiair. La capacità potenziale arriva a 3.800 motori al giorno, tra Italia e India, a cui potrebbero aggiungersi altri 600 mila pezzi l'anno prodotti in Brasile, se il Paese lo richiederà». Il sistema consente infatti di «digerire» qualsiasi tipo di carburante, dunque anche etanolo, metano, dal 2011 il gasolio. E non ci sono limiti di cilindrata, né di cavalli. Segreto del MultiAir è il dispositivo elettro-idraulico di gestione delle valvole che controlla l'aria e la combustione. Tra i vantaggi, l'aumento della potenza massima del 10%, il miglioramento della coppia a basso regime del 15%, la riduzione del consumo e delle emissioni di Co2 del 10% e una maggiore efficienza complessiva della combustione intorno al 25%. Quanto basta per farne un gioiello tecnologico assoluto, ideale per una motorizzazione eco-friendly. Anche negli Usa.

Torna all'inizio


Usa, addio alle auto inquinanti (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

il caso La svolta verde della Casa Bianca Le nuove regole 900 IL PRESIDENTE Usa, addio alle auto inquinanti Obama invia la legge al Congresso Taglio radicale alle emissioni nocive MAURIZIO MOLINARI In vigore la legge di Schwarzenegger milioni di tonnellate «In 5 anni risparmieremo 1,8 miliardi di barili di petrolio sui consumi nazionali» CORRISPONDENTE DA NEW YORK Barack Obama taglia le emissioni nocive delle autovetture richiamandosi alle severe norme della California facendo compiere agli Stati Uniti un balzo in avanti nella lotta al surriscaldamento del clima. Parlando dal Giardino delle Rose della Casa Bianca il presidente illustra l'accordo raggiunto grazie all'impegno convergente di legislatori, produttori di auto, sindacati di categoria e Stati: «Risparmieremo 1,8 miliardi di barili di greggio sui consumi di greggio delle auto che saranno vendute nei prossimi cinque anni ovvero l'equivalente della somma del greggio importato nel 2008 da Arabia Saudita, Venezuela, Libia e Nigeria». Se durante la campagna elettorale Obama aveva promesso di voler «ridurre la dipendenza energetica dai Paesi instabili» e di impegnarsi per la «difesa del Pianeta» ora mantiene l'impegno trasformando in standard nazionali i tagli alle emissioni varati nel 2004 dalla California: ogni nuova auto dovrà avere un motore in grado di fare 35,5 miglia per ogni gallone - l'equivalente di 57,13 km con 3,87 litri - con il risultato di ridurre di 900 milioni di tonnellate i gas nocivi immessi nell'atmosfera che causano il surriscaldamento del clima. «È un accordo storico che spezza da dipendenza dal greggio straniero, riduce l'inquinamento nocivo e dà inizo alla transizone verso l'energia pulita» riassume il presidente. Quando Arnold Schwarzenegger, governatore repubblicano della California, varò queste norme si trovò a duellare in tribunale contro i ricorsi presentati dall'amministrazione Bush ed oggi vince la battaglia legale e politica grazie alla decisione del presidente democratico di dare ragione a lui e agli altri 13 Stati che nel frattempo l'avevano seguito. «Vi sono delle cause legali da chiudere in fretta» dice Obama, sottolineando che la difesa a oltranza dei produttori di greggio da parte della Casa Bianca è oramai archiviata perché «inizia un modo nuovo di fare business in America». Nuovi motori e tecnologia verde sono le innovazioni che rendono possibile la svolta nel settore auto e per sottolinearlo Obama ricorda di avere «parcheggiato sotto casa a Chicago una Ford ibrida simile a modelli analoghi di altre case costruttrici». Per i consumatori i tagli alle emissioni comporteranno maggiori spese: dal 2012 al 2016 ogni auto costerà 1300 dollari in più che ricadranno quasi a metà sulle spalle di costruttori e consumatori ma la Casa Bianca ritiene che «questo aumento sarà inferiore ai riparmi energetici» che ogni famiglia farà acquistando meno benzina. Il maggior peso economico del piano di Obama ricade sull'industria automoblistica che, secondo uno studio del Dipartimento dei Trasporti dovrà investire entro il 2015 almeno 47 miliardi di dollari per costruire i nuovi motori, ma i leader degli undici maggiori produttori - da Gm a Toyota, da Ford a Chrysler - sono in piedi alle spalle del presidente ad applaudire la svolta perché è una delle condizioni alle quali il governo ha legato l'elargizione degli aiuti pubblici. «Abbiamo deciso tutti assieme di lavorare per realizzare questo programma nazionale» spiega Dave McCurdy, presidente dell'«Alliance of Automobile Manufactures» che riunisce i produttori, trovando il consenso anche di Ron Gettlefinger, il leader dell'Uaw, il più importante sindacato del settore. Inviando il progetto di legge al Congresso, Obama parla di «un piano nel quale vincono tutti» perché «i cittadini spenderanno meno per la benzina, le importazioni di greggio straniero diminuiranno a beneficio dell'economia, l'inquinamento nell'atmosferà si ridurrà e le aziende saranno incentivate a creare nuove tecnologie e di conseguenza nuovi posti di lavoro». È la sintesi della ricetta a cui il presidente si affida per rilanciare la crescita come anche per fare degli Stati Uniti la nazione leader della difesa del clima in vista della conferenza Onu che si svolgerà a Copenhagen in gennaio con il compito di varare gli accordi del dopo-Protocollo di Kyoto. «Noi americani siamo appena il 5 per cento della popolazione del Pianeta ma sommiamo un quarto del fabbisogno di greggio, è un appetito costoso che da oggi cominciamo a ridurre» conclude il presidente facendo capire che la maggiore riscrittura dei regolamenti dell'industria automobilistica degli ultimi decenni solo l'inizio della «Green Economy». Efficienza minima A partire dal 2012 ed entro il 2016 i modelli di auto dovranno arrivare a percorrere almeno 35,5 miglia (l'equivalente di 57,13 chilometri) con 1 gallone (l'equivalente di 3,87 litri) di benzina. Il risparmio Il risultato dei nuovi standard di consumo sarà di risparmiare 1,8 miliardi di barili di greggio l'anno, garantendo contemporaneamente una riduzione di 900 milioni di tonnellate delle emissioni di gas nocivi nell'atmosfera. Energia pulita L'efficienza energetica degli Stati Uniti, quando il provvedimento deciso dall'amministrazione Obama andrà a regime aumenterà di circa il 5 per cento. Standard californiano Gli Stati Uniti adottano su scala nazionale lo standard della California, già fatto proprio da altri 13 Stati. Chi paga Ogni auto avrà costi maggiorati per 1300 dollari, che saranno suddivisi fra consumatori e produttori.

Torna all'inizio


napolitano: "non lasciamo sola l'america" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri Il presidente dalla Regina d´Inghilterra: "L´Europa si impegni per la sicurezza nel mondo" Napolitano: "Non lasciamo sola l´America" DAL NOSTRO INVIATO LONDRA - Napolitano a Buckingham Palace. Una colazione privata (accompagnato dalla moglie Clio) con la regina Elisabetta e il principe Filippo a Palazzo Reale, circondati dagli amati cani corgie. «La regina era molto interessata alle conseguenze e all´entità del recente terremoto in Abruzzo», ha detto il presidente all´ambasciata d´Italia, prima di tenere una conferenza all´Istituto internazionale per gli studi strategici su "l´Europa nel mondo globalizzato". Ed è stata, la regina d´Inghilterra, «d´accordo con la scelta di trasferire all´Aquila il G8 inizialmente previsto alla Maddalena». A Londra il presidente italiano è arrivato per tenere una conferenza sull´Europa e per capire se «sarà all´altezza delle proprie responsabilità in un mondo globalizzato». L´interrogativo da cui parte Napolitano è all´insegna del rischio che «il ruolo dell´Europa nel mondo sia destinato a diventare marginale». Un ruolo che tuttavia non è inevitabile. Un anno eccezionale, quello alle spalle. Con la «peggior crisi economica e finanziaria dal ?29», con la guerra in Georgia che ha fatto rischiare una «nuova guerra fredda», con l´elezione di Obama alla guida dell´America. L´Unione europea, secondo il capo dello Stato, ha «fatto non poco» per un «nuovo concetto di sicurezza». Ora però il proposito di «arricchire» la sicurezza «non è una buona ragione per sfuggire a una valutazione degli aspetti militari e a un impegno congiunto di difesa collettiva». Nei suoi rapporti con gli Usa l´Europa infatti, accusa il presidente italiano, «risente ancora del sospetto di voler lasciare responsabilità ed oneri della propria difesa sulle spalle degli alleati americani». (g. batt.)

Torna all'inizio


"gli impianti fiat in italia non si toccano" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Economia "Gli impianti Fiat in Italia non si toccano" Monito di Scajola. Marchionne su Opel: dai governi 7 miliardi. Fumata grigia con IgMetell Il titolo decolla e sfiora 8 euro. Intanto scattano quattro settimane di cassa integrazione a Pomigliano TORINO - Alla vigilia della presentazione dell´offerta per la Opel la Borsa ci crede e il titolo vola fino a sfiorare gli 8 euro. Si vedrà oggi se il Lingotto sarà il solo concorrente o se, com´è quasi scontato sul tavolo del governo di Berlino ci sarà anche una lettera del gruppo austro-canadese Magna e forse anche una del fondo Ripplewood. Un fatto è certo: per la casa di Russelsheim è una giornata decisiva poiché di fronte ha due strade: entrare in un grande gruppo mondiale dell´auto oppure andare diritta verso il fallimento. Allo scopo di evitare questa seconda ipotesi, o comunque allontanarla nel tempo in modo da poterla cancellare del tutto, il governo tedesco è pronto a giocare la carta del finanziamento-ponte. In questa prospettiva i rappresentanti del governo e delle banche hanno concordato ieri, secondo quanto scrive l´agenzia di stampa Dpa, una soluzione provvisoria e comunque tale da non interrompere l´attività dell´azienda. Su un altro fronte, sempre ieri, Sergio Marchionne a conclusione della sua maratona tedesca, ha cercato di spianare la strada al Lingotto nell´incontro con il leader del potente sindacato dei metalmeccanici (Ig Metall), Berthold Huber. Al termine del colloquio, Huber ha ribadito le preoccupazioni dei lavoratori tedeschi, facendo presente che il sindacato «è aperto a colloqui anche con altri investitori, che si chiamino Magna o in altro modo». La sovrapposizione di modelli tra Fiat e Opel sembra essere la preoccupazione maggiore di Huber il quale non ha tuttavia escluso la possibilità di trovare «vie comuni» con Fiat, pur in presenza di quelle che ha definito «differenze culturali» con riferimento alla partecipazione e cogestione aziendale da parte dei lavoratori della Opel. La partita tedesca è seguita sia dall´Italia sia dall´America dove a dire l´ultima parola sarà la casa madre Gm che di suo è alle prese con la task force di Obama ed ha come termine ultimo Il 31 maggio per la presentazione di un piano salvataggio al quale sono condizionati i finanziamenti pubblici necessari ad evitare il peggio. In Italia i sindacati continuano a sollecitare al governo un incontro a tre con la Fiat in grado di allontanare i timori di chiusure di stabilimenti. A questo proposito ieri è nuovamente intervenuto il ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola, per il quale «è inderogabile il mantenimento dei cinque stabilimento Fiat in Italia». «Alla fine della trattativa tra Fiat e Opel che ci auguriamo si concluda positivamente» ha detto «ci sarà un incontro per conoscere il piano industriale». Le «zone calde» dell´Italia restano Pomigliano d´Arco e Termini Imerese, ma nel generale rimescolamento di carte che seguirà a un eventuale accordo potrebbero essere interessati altri pezzi della Fiat. Contro le ipotesi di tagli si è espresso il segretario del Prc, Paolo Ferrero, sollecitando «un intervento immediato del governo» capace di evitarli. Ma a riaccendere i timori del sindacato si è aggiunta la decisione di altre quattro settimane di cassa integrazione (dal 27 maggio al 28 giugno) per i lavoratori di Pomigliano che proprio ieri sono rientrati in fabbrica. (s.t.)

Torna all'inizio


obama lancia la rivoluzione verde un tetto ai consumi di carburante - arturo zampaglione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Economia I vantaggi La svolta Il presidente americano detta nuove regole per ridurre la dipendenza dal petrolio e l´inquinamento Obama lancia la rivoluzione verde un tetto ai consumi di carburante Risparmieremo 1,8 miliardi di barili. Come togliere dalla strada per un anno 53 milioni di veicoli Si tratta di un´intesa importante, storica, che in passato sarebbe stata inimmaginabile. Una svolta per l´ambiente ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - Con un sorriso ammiccante a Arnold Schwarzenegger, il governatore repubblicano della California che per primo cercò di limitare i consumi di carburante, Barack Obama ha annunciato ieri una rivoluzione nei rapporti tra gli americani e le loro auto. Entro il 2016 le vetture vendute negli Stati Uniti non potranno consumare in media più di un litro di benzina per 14,4 chilometri (un gallone per 35,5 miglia), un miglioramento del 40 per cento rispetto agli standard attuali. Gli obiettivi del presidente sono chiari: ridurre le emissioni nocive, contenere i danni climatici dei gas-serra e diminuire la dipendenza dalle importazioni petrolifere. «Lo status quo non era più accettabile», ha ricordato Obama in una cerimonia alla Casa Bianca in cui erano presenti, oltre a Schwarzenegger, alcuni ministri, gli executives di Detroit e il capo del sindacato dell´auto Ron Gettelfinger. «Per troppo tempo non abbiamo fatto nulla per migliorare il nostro parco auto; ora invece, per la prima volta nella storia, avviamo un processo che aiuterà gli automobilisti, l´ambiente, la sicurezza nazionale e le stesse industrie, che potranno contare su un quadro di riferimento sicuro per i modelli del futuro». Gli americani hanno sempre avuto un atteggiamento anomalo rispetto ai consumi di carburante: incoraggiati dai bassi costi della benzina, che praticamente non viene tassata, hanno preferito le auto immense e appariscenti, a cominciare dalle suv, piuttosto che quelle più efficienti. E non hanno mai badato troppo alle conseguenze sull´ambiente. Influenzato dall´intensa lobby di Detroit, il mondo politico ha assecondato questo trend: George Bush, ad esempio, si oppose ai tentativi californiani di ridurre i consumi e i gas inquinanti. Risultato: con appena il 5 per cento della popolazione mondiale gli Stati Uniti alimentano un quarto della domanda mondiale di petrolio, comprandolo da paesi «non amici» come Il Venezuela e aggravando la bilancia commerciale. Ma l´impennata del barile, la Grande recessione e soprattutto l´arrivo alla Casa Bianca di Obama e delle sue politiche «verdi» hanno cambiato gli scenari. E la conferma è venuta ieri con l´annuncio delle nuove regole condivise da produttori d´auto e ambientalisti che fino a qualche settimana fa litigavano nelle aule dei tribunali. «E´ una svolta storica nell´azione del paese per limitare le emissioni di gas-serra», ha esultato Daniel Becker, direttore della organizzazione verde Safe climate campaign. «Finalmente abbiamo un piano nazionale», ha detto Dave McCurdy, presidente dell´associazione dell´industria dell´auto, di cui fanno parte Gm e Chrysler, che negli anni scorsi guidavano l´offensiva contro le norme sui consumi e che ora, travolte da errori e debiti, sono in pratica nella mani del governo. Messe a punto dal capo dell´agenzia ambientale Epa, Lisa Jackson, e dal ministero dei trasporti, le nuove norme unificheranno la materia e riguarderanno le auto prodotte a partire dal 2012, le cui emissioni saranno poste sotto controllo e i cui consumi medi dovranno diminuire gradualmente fino a raggiungere nel 2016 i limiti di 39 miglia al gallone per le auto e 30 per i camioncini, che sono più o meno quelli stabiliti in California e poi da altri 13 stati. Le nuove auto costeranno in media 600 dollari in più, ma permetteranno di risparmiare 2800 dollari nell´acquisto di carburante, e forse anche di più se sarà introdotta - come molti prevedono - una tassa sulla benzina. E´ anche possibile che il Congresso vari una legge per la rottamazione delle vecchie auto al duplice scopo di rivitalizzare il mercato e superare gli ostacoli dei maggiori costi. Nel complesso gli Stati Uniti potranno ridurre le importazioni di petrolio per 1,8 miliardi di barili: «L´equivalente - ha precisato Obama - di 58milioni di vetture tolte dalla circolazione per un anno».

Torna all'inizio


le donne, lo strupro e l'aborto - corrado augias (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

D ottor Augias, giorni fa lei si ? espresso in termini polemici sul divieto di aborto della Chiesa catto?lica anche in caso di donne rimaste incinta dopo una violenza. Da cattolico non ci sto. Non ? one?sto intellettualmente riportare casi estremi, di non facile soluzione e operare riduzioni concettuali e culturali. Perch? non dire invece che a livello mondiale la dottrina cattolica ? rimasta l'unica morale "nel senso pi? elevato" che in tale ambito promuove una cultura dell'amore, del rispetto integrale della per?sona, mettendo in secondo piano tecnicismi e abbreviazioni etiche. Qualche contraccolpo si sar? verifi?cato (uomini si ?), ma l'impianto generale ? questo: amore verso la madre, amore verso il nascituro. So che Repubblica , e lei personalmente, non siete d'accordo, ma questo ? il dato certo. Sergio Benetti sergiobenny@virgilio.it A ffrontata in questi termini la discussione su un tema non solo drammatico ma molto controverso come l'aborto, soprattutto nel caso di vittime di stupro, non porta da nessuna par?te. La posizione non di tutta la Chiesa ma delle ge?rarchie vaticane e di alcuni vescovi ? purtroppo quella che la lettera del signor Benetti rispecchia. Poche settimane fa ha suscitato scandalo nel mon?do la scomunica inflitta dall'arcivescovo brasilia?no Jos? Cardoso Sobrinho al medico che aveva fat?to abortire una bambina di 9 anni (del peso di 33 chili!) violentata e messa incinta dal patrigno. An?che il Primo Ministro vaticano, cardinal Bertone, ? di quel parere avendo condannato la decisione di Amnesty International d'inserire tra i diritti umani l'interruzione di gravidanza per le donne violenta?te. Per contro si pu? segnalare, sempre in ambito cattolico, la posizione molto pi? tollerante (potrei dire pi? "umana") di alcuni vescovi francesi. Per esempio Norbert Turini, vescovo di Cahors, che a proposito della povera bambina brasiliana ha det?to: ?In questo mondo ferito il nostro dovere ? rafforzare la speranza, non chiuderci in condanne che trascurano i sentieri dell'amore misericordio?so?. Meno dottrina, insomma, e pi? misericordia, pi? comprensione per le condizioni reali di un'esi?stenza. Domenica scorsa il presidente Obama nel?l'universit? di "Notre Dame" ha detto tra le altre queste parole che faccio mie: ?Lavoriamo insieme per ridurre il numero delle donne che vogliono abortire diminuendo le gravidanze non volute?. Mi pare un approccio umanistico al problema. Chiudere all'aborto e chiudere alla contraccezione (preventiva o del giorno dopo), mi pare invece so?lo ideologia non dissimile da ogni altra disumana ideologia che abbiamo conosciuto nel Novecento.

Torna all'inizio


è gelo tra israele e stati uniti "quel vertice è stato un fallimento" - alberto stabile (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 19 - Esteri è gelo tra Israele e Stati Uniti "Quel vertice è stato un fallimento" Tel Aviv, stampa sotto shock. E Hamas attacca Obama Disaccordo su tutti i temi in agenda Dal nucleare iraniano ai "due Stati" ALBERTO STABILE dal nostro corrispondente GERUSALEMME - "Disaccordo!" (Maariv). "Dopo tre ore di colloqui (Obama e Netanyahu) si sono ritrovati d´accordo quasi su niente" (Yediot Ahronot). Non è un giudizio, quello espresso concordemente nei titoli dei maggiori giornali israeliani, ma una constatazione obiettiva. Ed inevitabile. Cos´altro ci si poteva aspettare dall´incontro tra un presidente americano considerato eccentrico rispetto agli "interessi israeliani" e un primo ministro che secondo la tradizione della destra israeliana non vuol sentir parlare di Stato palestinese? Ma il dissenso non si limita alla mancata adozione da parte di Netanyahu della ipotesi dei "due Stati" per porre fine ad un conflitto che dura da 60 anni. Tre temi spiccavano nell´agenda del faccia a faccia: il nucleare iraniano, il congelamento degli insediamenti nei Territori occupati, la ripresa del negoziato. E su nessuno di questi argomenti s´è registrata un´intesa significativa. Prendiamo l´Iran, che è il cardine su cui ruota e da cui dipende la strategia israeliana. Netanyahu non è riuscito a trasmettere ad Obama quel senso di urgenza che promana dalle prese di posizione del vertice israeliano quando si affronta il nodo iraniano. Il premier avrebbe voluto imporre un limite di tre mesi al dialogo che Obama vuole intavolare con gli iraniani per cercare di dissuaderli dal perseguire il loro disegno. Ma Obama s´è detto contrario a imporre "limiti artificiali" al confronto, riservandosi un riesame verso la fine dell´anno. Al contrario, parlando del processo di pace, è stato Obama ad avvertire che non ha senso sprecare parole e che, invece, per israeliani e palestinesi è arrivato il momento di "rimboccarsi le maniche" per riprendere il negoziato. Netanyahu, richiamato al dovere, ha risposto: «Sono pronto». Ma pronto a discutere di che cosa? Naturalmente, le aperte divergenze emerse dal vertice di Washington, sono musica per le orecchie dei palestinesi moderati la cui reiterata disponibilità a riprendere il negoziato non ha quasi trovato audience nel nuovo governo israeliano. Il capo negoziatore Saeb Erekat avverte che soltanto «un capovolgimento delle politiche condotte da Israele sul terreno può ridare credibilità al processo di pace». Il che vuol dire: immediato congelamento degli insediamenti, ristabilimento della libera circolazione all´interno dei Territori, apertura dei valichi e fine dell´"assedio" di Gaza. Congelare degli insediamenti? La risposta dei coloni suona come una minaccia politica. «L´elettorato - ha detto il portavoce del Consiglio degli insediamenti - ha posto delle linee chiare a questo governo. Le cose che sentiamo alla Knesset ci incoraggiano a pensare che, se Netanyahu bloccherà gli insediamenti, il Parlamento sarà con noi». Ma se non accetta lo Stato palestinese ai confini d´Israele, perché teme che possa cadere nelle mani di Hamas - che continua a non fidarsi di Obama e bolla le su dichiarazioni come un «tentativo di ingannare l´opinione pubblica» - di che cosa è disposto a discutere Netanyahu? «Vogliamo parlare su tutto - dice il vicepremier e ministro per i Servizi Segreti, Dan Meridor - e in tutte le direzioni. Come abbiamo fatto finora. Non so se Netanyahu ha un sistema brevettato per convincere Abu Mazen a rinunciare al diritto al ritorno o alla divisione di Gerusalemme. Vogliamo però proseguire perché lo status quo non è un´alternativa».

Torna all'inizio


la terza vita di "bubba" costretto a salvare haiti - vittorio zucconi washington (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 39 - Esteri Nel 1994 cercò di esportare la democrazia con le armi, ma fallì oggi è chiamato dall´Onu a ridare speranza all´isola dei Caraibi La terza vita di "Bubba" costretto a salvare Haiti L´ascesa al potere di Aristide finì in un bagno di sangue e con decine di migliaia di profughi in fuga da terrore e miseria Oggi il Paese è tra i più disastrati dell´emisfero occidentale: l´80 per cento della popolazione vive in povertà VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON La sua testa candida galleggia nelle foto sopra il mare nero che lo stringe e lo assedia, per sfiorare il dio della speranza che ritorna dal mare promettendo di salvarli. Nella sua terza reincarnazione a 63 anni, governatore, presidente, ora ambasciatore, William Jefferson Clinton, colui che sempre ritorna, è diventato per conto delle Nazioni Unite il lord protettore di Haiti, il messia di quella disperata folla di dieci milioni che da presidente s´illuse di salvare con la forza, sprofondandola invece in un girone ancora più profondo. Ma la promessa di quei capelli bianchi sul mare nero è più forte del ricordo, per chi non ha altro in cui sperare. Per "Bubba", per l´ex presidente nel suo nomignolo familiare, con l´avvento della amministrazione Obama e l´ascesa della moglie alla Segreteria di Stato si era parlato molto di incarichi solenni, addirittura di ambasciate alle Nazioni Unite, qualunque missione potesse utilizzare il suo carisma ancora immenso e lo tenesse lontano dalle tentazioni, pubbliche e private, di Washington. E dalla consorte. L´incarico di "ambasciatore speciale" dell´Onu ad Haiti è certamente una piccola cosa spinosa per qualcuno che era uscito dalla Casa Bianca con il più alto gradimento mai registrato dalla fine della Seconda Guerra - il 66%, più del doppio del successore Bush - e che si era speso molto per far eleggere la moglie Hillary e tornare, come First Gentleman, nella casa dei trionfi e dei peccati. Ma se ha accettato l´offerta di di Ban Ki-Moon, del segretario generale, è perché lui è Clinton, l´uomo delle resurrezioni. Che vuole tentare di guarire quella piaga dell´umanità chiamata Haiti, che lui stesso aveva reso ancor più infetta e che rimane, insieme con la catastrofe in Somalia, la macchia peggiore sulla sua biografia. Non ha niente da guadagnare, certamente non in danaro essendo ormai ricchissimo, se non la propria reputazione, facendo revisionismo reale della propria storia. Nella fase della vita in cui i bilanci consuntivi contano più dei bilanci preventivi, "Bubba" dai bianchi capelli sa che il suo intervento militare sull´isola di Hispaniola, che ha il record della miseria nell´emisfero occidentale (110 dollari mensili di reddito medio pro-capite) fu un disastro. Il suo tentativo di "cambiare regime" a Port-Au-Prince con strumenti di pressione diplomatica «coercitiva», come si diceva allora, e infine militari, portò al potere quell´ex prete amatissimo, Bertrand Aristide, che sembrava promettere democrazia e aprì un altro capitolo di orrori degno degli anni di Papà Doc e Baby Doc Duvalier, i dittatori che avevano imposto la legge dei "Tonton Macoute" e del machete. Alla decapitazione, il breve regno di Aristide, presto defenestrato da un golpe militare, aveva preferito quello che gli haitiani avevano ribattezzato «Père Lebroun», i copertoni di auto intrisi di benzina, messi attorno al collo delle vittime e incendiati. Sono quelle immagini e l´allarme lanciato dalla ricognizione americana che aveva contato mille imbarcazioni di profughi pronte a salpare dall´isola verso il largo per essere raccolti dalle unità americane quando lo stesso Clinton aveva rinnegato la strategia dei "respingimenti" voluta da Bush Primo, a perseguitarlo. Sono i 30 mila immigrati senza documenti parcheggiati in Florida dal 2004 dopo l´uragano Jeannie che annegò 3 mila persone, a pesare su di lui. Come lo tormentano, confessò lui stesso, i corpi dei 18 Marines uccisi nel disastro dei Black Hawk a Mogadiscio, nel 1993. Fu in Somalia, poi a Haiti l´anno successivo, il 1994, e quattro anni dopo nella ex Jugoslavia, che la politica dell´intervento militare umanitario conobbe i suoi pochi successi e le sue disfatte. Ma è Haiti, la prima nazione indipendente post-coloniale del Caribe, il rimorso che punge questo ex presidente puntiglioso che sa trovare le parole che cantano sulle orecchie di chi lo ascolta, come ha fatto invitando a smetterla di considerare la tragedia haitiana come «prodotto di misticismi» e guardare invece all´economia dello sfruttamento, alla brutalità delle oligarchie. Non sono il "voodoo" e il "Baron Samedi" a tenere l´isola prigioniera, dice, ma i baroni delle manifatture di magliette e tomaie, locali e americani. L´idea è stata della stessa Hillary, che aveva già visitato l´isola sulla quale ancora bivaccano 500 soldati americani. Per lui, che fu definito «il primo presidente nero», aiutare Haiti a vincere il maleficio della miseria e della brutalità, sarebbe il miglior regalo al primo presidente realmente nero, Barack Obama.

Torna all'inizio


Supercar addio, Obama converte l'America ai micro-consumi (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 20/05/2009 - pag: 7 Svolta verde La Casa Bianca: l'obiettivo per il 2016 sono consumi pari a 15 chilometri al litro. Scompariranno 177 milioni di automobili Supercar addio, Obama converte l'America ai micro-consumi WASHINGTON Affiancato dai manager delle più grandi case automobilistiche, dai governatori degli Stati più potenti, dai leader sindacali e dagli ambientalisti, il presidente Obama ha ieri dato il via alla lunga marcia verso l'auto verde americana. Una svolta storica, ha detto, che ci consentirà di ridurre di quasi un terzo il consumo di carburante e le emissioni di gas delle vetture in poco più di sei anni e mezzo, e che ci aprirà la strada delle energie pulite e rinnovabili. Il presidente ha precisato che entro il 2016 con un solo gallone di benzina le auto americane dovranno percorrere in media 35 miglia e mezzo, ossia 56,8 chilometri, circa 15 chilometri al litro, contro le 25 miglia di oggi. Ciò equivarrà a rimuovere dalle strade 177 milioni di veicoli e a risparmiare tutto il greggio importato dall'Arabia Saudita, dal Venezuela, dalla Libia e dalla Nigeria nel 2008. Rifacendosi all'attuale crisi dell'auto e all'ingresso sulla scena americana della Fiat, che segnala la fine della età dei gas guzzler, i fuoristrada «ingoia benzina» degli ultimi decenni, Obama ha ringraziato «tutte le parti al mio fianco », ha asserito «che hanno raggiunto un accordo sinora ritenuto impossibile». L'America conta il 5 per cento della popolazione mondiale, ha spiegato, ma consuma un quarto del petrolio prodotto annualmente: bisogna che sia indipendente dal petrolio straniero, ha ammonito, «e produca le auto del XXI secolo, non di quello passato »: unico modo per uscire dalla crisi, creare occupazione e promuovere il boom. Per il presidente, con le nuove auto l'America tornerà all'avanguardia del settore in un quinquennio. Con il Piano auto verde anche se l'auto verde vera e propria è ancora lontana Obama ha chiuso l'era del predecessore Bush che, scettico del surriscaldamento del globo, aveva rifiutato o posticipato misure analoghe, e ha risolto il confronto tra l'industria automobilistica e i governatori come Arnold Schwarzenegger della California che volevano regolamentarla più rigidamente. Dave McCurdy, il capo della Alleanza dei costruttori di auto, lo ha elogiato impegnandosi a cercare investimenti: dal 2010 al 2015, il settore avrà infatti bisogno di 47 miliardi di dollari. Il Piano verrà messo a punto congiuntamente da Ministero dei trasporti e dall'Agenzia della difesa dell' ambiente. Le auto a basso consumo costeranno inizialmente 1.300 dollari in media in più agli americani, ma il rincaro verrà ammortizzato in tre anni, e nel corso della loro vita le vetture finiranno per costare 2.800 dollari di meno delle attuali. Una rivoluzione a cui si assommerà quella delle auto elettriche e a carburanti alterativi, la prossima scommessa di Obama. Una delle sue prime decisioni è stata di ordinarne 2.500 a Detroit per la burocrazia di Stato, insieme a 75 mila vetture ibride. Ennio Caretto

Torna all'inizio


David cerca voti al mercato (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Politica data: 20/05/2009 - pag: 14 Verso il voto Europee / I protagonisti David «il bello» cerca voti al mercato «Mai più tv, la politica è la mia vita» Sassoli: se eletto, mi dimetterò. I baci delle signore? Affettuosità ROMA « Viè quà, Daviduccio mio... fatté dà un bacetto da zia... lo sai che te potrei esse zia? Tiè, assaggia na' ciliegia... ». Quando i giornalisti decidono di mettersi a fare politica, è chiaro che già conoscono un bel po' di trucchi; sanno ad esempio che in campagna elettorale è sempre molto efficace convocare un cronista nel bel mezzo di un mercato rionale. Nei mercati non si può mai apparecchiare niente, è un salto nel vuoto, tra gli umori della gente. Certo bisogna essere molto sicuri di sè. Ma David Sassoli, nato a Firenze 53 anni fa, epperò ormai romano, una moglie (Sandra) conosciuta al liceo Virgilio e due figli, sa di piacere, piaceva da matti alle folle quando (appena un mese fa) ancora conduceva il Tg1 delle 20, con qualifica di vice-direttore e ambizioni da direttore del Tg3, e piace molto anche adesso, qui, sotto il sole a picco, tra i banchi di Campo de' Fiori, cicorietta da mangiare cruda, ciliege come squisite primizie, e appunto clienti e venditori che si mettono in fila, prima sorpresi e poi subito adoranti, perché il capolista del Pd alle europee per il Centro è venuto proprio per sorridergli in diretta, e farsi abbracciare dal vivo. Poi qualche signora esagera. E Gianna Pieragostini, un pacco di volantini in mano, volontaria-militante della sezione di via dei Giubbonari, storica sezione del Pci ceduta alla causa del Pd ci andremo tra un po' ad un certo punto sbotta: «Ma no, ma non potete baciarvelo sul collo...». Lui si volta, alza gli occhi al cielo (conoscete le sue espressioni, l'avete visto mille volte alla tivù). «Che devo fare? Sono affettuosità politiche...». Affettuosità, non sempre voti. Sonia Proietta, 49 anni, la maglietta con la faccia di Obama e la scritta «Yes, we can». «Ero comunista da bambina, e sono comunista pure adesso. Ma il voto no, David mio, il voto non posso dartelo». Poi però glielo promettono in venti, trenta. «Senta, io la voto: ma non è che poi mi torna indietro da Strasburgo come la Gruber e Santoro, eh?». «No, io ho fatto una scelta di vita », dice David Sassoli mentre camminiamo dentro via de' Giubbonari. «Michele capì subito che la sua passione era un'altra. Io ho deciso di cambiare vita». Quando hai deciso? (è inutile fingere di darsi del lei, ci conosciamo da vent'anni, e quant'era bravo e meticoloso il Sassoli inviato del Giorno, in quei primi giorni di marzo del 1991, quando sul molo di Brindisi aspettavamo le rugginose navi cariche di immigrati albanesi). «Quando ho deciso? Franceschini mi telefonò mentre ero all'Aquila, tra le macerie, per il Tg1. Mi chiese di pensarci». E tu? Ti sei sentito un «velino? «Ma dai... Tornai a Roma, mi chiusi in casa con Sandra, mia moglie. E decidemmo sentendo ciò che mi diceva la pancia». E che diceva? «Che avevo voglia di mettermi a fare una cosa utile per l'Italia». Generoso: rischiavi di diventare direttore di qualcosa, in Rai. «Lo so. Ma io, se verrò eletto, dall'azienda mi dimetterò. La politica, a questo punto della mia vita, è una vocazione». Usa termini non casuali. Suo padre Mimmo, direttore del Popolo e della Discussione, personaggio di leggendaria riservatezza, democristiano fiorentino, era nel gruppo raccolto intorno a Giorgio La Pira. Lui, David, suo figlio, fu però tra i fondatori del Pdup al liceo Virgilio di Roma. «Ma ben presto capii che la violenza non era nelle mie corde... ». Così dette vita a una lista che univa cattolici e figgicciotti, e «la loro leader era Franca Chiaromonte». Adesso, mentre entriamo nella sezione di via dei Giubbonari, e si siede sotto alle foto di Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, gli scappa la battuta: «Al Pd, per primo, pensai io...». Mediamente ironico, molto sicuro di sé, furbo. Gli piace ricordare che fu «tra i ragazzi di Zaccagnini», sorvola sugli anni in cui collaborò con l'ufficio stampa di Ciriaco De Mita. Non ricorda se fu Clemente Mastella, demitiano uomo-stampa, a farlo assumere al Giorno. Parla bene di tutti: Veltroni, Bettini («ha avuto problemi, lo so, ma io sono arrivato dopo») D'Alema («Con Massimo ho fatto un comizio a Orte: pazzesco, nella piazza gremita c'era un silenzio assoluto»). Entriamo al Ghetto, Portico d'Ottavia, entriamo nella pasticceria kosher Boccione. «Signor Sassoli, vorrei darle la mano ma è sporca di farina... ». E lui (un po' piacione): «Ma signora... la farina è vita». In lizza Il candidato pd David Sassoli con il leader del Partito democratico Dario Franceschini. A destra, Sassoli davanti a uno stand di un mercato rionale romano Fabrizio Roncone

Torna all'inizio


Napolitano a Londra: Europa marginale senza capacità militari (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 20/05/2009 - pag: 16 La visita Napolitano a Londra: Europa marginale senza capacità militari DAL NOSTRO INVIATO LONDRA E' una domanda che dovrebbe alimentare almeno le ultime battute di una campagna elettorale troppo dominata dalle angustie nazionali: «L'Europa sarà all'altezza delle proprie responsabilità in un mondo globalizzato?» A proporla è Giorgio Napolitano, che su questo interrogativo sviluppa una densa riflessione all'International Institute for Strategic Studies, massimo foro planetario sui conflitti politico-militari. La risposta, per il presidente, è un doppio sì. Ma condizionato, nel senso che se non ci impegneremo appunto su un doppio fronte il nostro destino rischierà d'essere «marginale». Cioè sì spiega a patto che l'Ue, consapevole che «nessuno Stato può fronteggiare da solo» la complessità del rivoluzionato atlante geopolitico, «rafforzi istituzioni e ruolo in quanto Unione». E sì, a patto che sgombri «il sospetto di voler scaricare responsabilità e oneri della sua difesa e sicurezza sulle spalle dell'America». Un punto, questo, sul quale il capo dello Stato si concentra, dato il contesto in cui parla. Rievoca le profezie di «scontro tra civiltà» e «mondo fuori controllo» lanciate dopo la caduta dell'ordine bipolare Usa-Urss. E ricorda le previsioni sulla «perdita di peso» dell'Europa, dopo che si è spostato il centro di gravità delle relazioni internazionali. Uno scenario cui bisogna aggiungere «la peggiore crisi economico finanziaria dal 1929», mentre altri «eventi fatali e difficili sfide» incalzavano. Come la guerra in Georgia, che «avrebbe potuto avere conseguenze disastrose» mentre è stata invece superata grazie alle iniziative dell'Ue. Anche quella svolta, seguita dall'arrivo di Obama alla Casa Bianca, ha aperto una «nuova fase» nei rapporti tra America, Russia ed Europa. Mentre incombe su tutti la minaccia del terrorismo. Ed è qui (tenendo sullo sfondo Afghanistan e Medio Oriente, dove sono attive «missioni di peacekeeping con 8.500 soldati italiani») che il presidente inserisce il problema di una diversa «capacità militare» e di un «nuovo, più ampio e multidimensionale concetto di sicurezza» al quale dovrebbe ispirarsi l'Ue. Un paio i punti critici da superare: 1) «La spesa della difesa, per la quale andrebbe studiato un approccio tale da massimizzare il rendimento»; 2) «lo scarso livello di efficacia e coordinamento» che imporrebbe di «potenziare uno strumento cruciale come l'agenzia europea di difesa». Conferenza a parte, il viaggio non ufficiale di Napolitano ha contemplato ieri una colazione a Buckingham Palace. Racconta laconico: «Un segno della cordialità con cui qui si guarda all'Italia». Aggiungendo che la regina, magari per distrarsi dalle tensioni politiche inglesi, «si è molto interessata del terremoto in Abruzzo». Elisabetta II Il presidente ha incontrato la regina: «Si è molto interessata al terremoto in Abruzzo» Discorso Napolitano all'Istituto per gli Studi Strategici Marzio Breda

Torna all'inizio


Khalilzad: da uomo di Bush a di Obama nel governo in Afghanistan (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 20/05/2009 - pag: 17 Ritorni L'ex inviato Usa «superministro» a Kabul Khalilzad: da uomo di Bush a «infiltrato» di Obama nel governo in Afghanistan DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Era l'ambasciatore di George W. Bush a Kabul e a Bagdad. Ora potrebbe diventare l'uomo di Barack Obama dentro il governo afghano, il garante di un'efficace lotta alla corruzione e al traffico di droga. Sarebbe Zalmay Khalilzad, 58 anni,l'ex diplomatico americano nato in Afghanistan, il deus ex machina nel più difficile teatro medioorientale, la soluzione in grado di ridare un minimo di stabilità allo screditato regime di Hamid Kharzai. Come hanno confermato fonti diplomatiche di Washington e Kabul al New York Times e all'Associated Press, Khalilzad sarebbe da diverse settimane in avanzate discussioni con lo stesso presidente afghano, per assumere una posizione di rilievo nell'esecutivo del Paese, un incarico che entrambi avrebbero descritto come quello di «amministratore delegato» dell'Afghanistan. Lanciata dal primo ministro britannico Gordon Brown, l'idea sarebbe stata fatta propria da Kharzai, che l'avrebbe menzionata nei colloqui con l'amministrazione Obama durante una recente visita a Washington dove i due avrebbero avuto un colloquio segreto. Khalilzad sarebbe poi volato a Kabul, dove la trattativa avrebbe fatto notevoli progressi. Il nome dell'ex diplomatico, che arrivò in America da studente alla fine degli anni '60 con un programma di scambi culturali e poi prese la cittadinanza Usa, era circolato nei mesi scorsi come possibile sfidante di Kharzai alle elezioni presidenziali del prossimo agosto. Ma la scadenza dell' 8 maggio, ultima data utile per presentare una candidatura, è passata senza che nulla accadesse. L'ipotesi sembra mettere tutti d'accordo. Eliminerebbe un potenziale avversario per Kharzai. E allo stesso tempo gli affiancherebbe una personalità forte e competente, rassicurando gli americani che non ripongono più alcuna fiducia nell'attuale leader, considerato quanto meno tollerante verso la corruzione diffusa. Ma la Casa Bianca è attenta a non apparire coinvolta, preoccupata che l'impressione di una sua regia occulta possa minarne le possibilità di successo all'interno dell'Afghanistan. «La sola idea di un americano in un ruolo di primo piano nel governo di Kabul è rischiosa, sia per Kharzai che per la persona in questione», ha detto al New York Times Teresita Schaffer, del Centro Internazionale di Studi Strategici. Ma la studiosa si è detta d'accordo che Khalilzad abbia «una conoscenza profonda del Paese e un coinvolgimento senza eguali», qualità indispensabili per governarlo. Sotto l'amministrazione Bush Zalmay Khalilzad fu inviato a Kabul dal 2003 al 2005, prima di servire come ambasciatore in Iraq e poi all'Onu. Si segnalò spesso per l'autonomia e l'indipendenza di giudizio, che lo portarono a scontri aperti con l'allora segretario di Stato Condoleezza Rice. Venne fra l'altro censurato apertamente dalla Casa Bianca, quando partecipò a un dibattito con il ministro degli Esteri iraniano, senza aver chiesto l'autorizzazione di Washington. Dopo l'insediamento della nuova amministrazione, Khalilzad si è già incontrato due volte con Richard Holbrooke, il rappresentante speciale di Obama per Afghanistan e Pakistan. Strana coppia Zalmay Khalilzad, 58 anni: arrivò negli Usa dall'Afghanistan per motivi di studio. Sotto, Hamid Karzai, 51: si ricandida alle presidenziali d'agosto Paolo Valentino

Torna all'inizio


Dossier nucleare, Frattini a Teheran (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 20/05/2009 - pag: 17 Diplomazia Il ministro degli Esteri incontra il collega Mottaki, il pragmatico Larijani e il riformista Khatami Dossier nucleare, Frattini a Teheran L'Italia con la sua mediazione punta a un maggior ruolo di fronte al 5+1 ROMA Il ministro degli Esteri Franco Frattini parte oggi per Teheran. Salvo imprevisti, entro domani in questa visita rimandata più volte a causa delle obiezioni di Israele e dell'iniziale scarso entusiasmo degli Stati Uniti il titolare della Farnesina sarà ricevuto dal suo collega della Repubblica islamica dell'Iran Manoucher Mottaki, dal presidente del Parlamento Ali Larijani (conservatore pragmatico che fu negoziatore sui programmi nucleari prima di essere rimosso dal presidente Mahmoud Ahmadinejad) e dal riformista Mohammed Khatami che fu capo di Stato dal 1997 al 2005. Secondo la versione ufficiale italiana, Frattini cercherà soprattutto di guadagnare l'appoggio dell'Iran negli sforzi occidentali di stabilizzare Afghanistan e Pakistan. Sui piani nucleari di Teheran, ancora secondo la versione ufficiale, il ministro confermerà di condividere la linea americana che offre trattative in grado di dare risultati entro l'anno senza escludere sanzioni ulteriori. Sul Medio Oriente, Frattini ribadirà la posizione italiana del sostegno alla formula «due popoli, due Stati» e definirà non negoziabile la sicurezza di Israele. Dietro alla facciata, però, c'è anche altro. L'invito in Iran fu rivolto a Frattini dal direttore generale degli Affari europei della diplomazia di Teheran, Mostafa Doulatyar . Era il 25 febbraio scorso. Interessato a risultare utile all'Amministrazione di Barack Obama, che tuttora non ha accolto il presidente del Consiglio alla Casa Bianca e lo farà soltanto in vista del G8 a presidenza italiana, Frattini puntava già ad avere Mottaki a una conferenza sull'Afghanistan con i ministri del G8 convocata tra il 25 e il 27 giugno a Trieste. La Farnesina fece sapere che coinvolgere l'Iran su due obiettivi dai quali ricaverebbe vantaggi - contenere i talebani e il traffico di oppio - serviva ad aprire una strada. Meta: portare il Paese che non smette di arricchire uranio, e il cui presidente minaccia Israele, a percepire quali vantaggi incasserebbe dal riconoscimento di uno status di potenza regionale. Ruolo da assicurare a Teheran in cambio di disponibilità a trattare sui piani nucleari sospettati di avere come fine la bomba atomica. Silvio Berlusconi, che nel 2003 rinunciò a inserire l'Italia tra i Paesi tenuti a negoziare con l'Iran sul dossier atomico, ne avrebbe ricavato peso davanti al «5+1», il comitato con questo compito formato dai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu e la Germania. L'Italia avrebbe avuto più voce nel dosaggio delle sanzioni verso uno Stato, l'Iran, del quale è il primo partner commerciale per effetto di un'interscambio notevole, quasi sei milioni di euro nel 2006. Annunciata da Frattini il 27 febbraio prevedendola «presto, entro marzo», la visita a Teheran è stata guardata con fastidio a Gerusalemme. Il 5 marzo, in vista di un incontro con l'allora ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni, Frattini ha sia dichiarato il ritiro del-- l'Italia dalla conferenza dell'Onu sul razzismo (già giudicata in Israeliani e Usa strumentalizzabile da antisemiti) sia rinviato il viaggio. Hillary Clinton ha proposto di invitare l'Iran a una conferenza sull'Afghanistan all'Aja, appuntamento che ha ridotto la novità di Trieste . Oggi Frattini a Teheran ci va. Gli scopi, benché si neghino i nessi con il nucleare, restano quelli di prima. E oggi a Roma va da Berlusconi una delegazione ebraica con il presidente del World Jewish Congress, Ronald Lauder, accompagnata dal deputato Alessandro Ruben, Pdl. Non è azzardato prevedere che si parlerà anche lì di Frattini in Iran. Sul tavolo Al centro della missione il piano per stabilizzare Afghanistan e Pakistan Dietro le quinte Tra gli obiettivi italiani: più voce sulle sanzioni contro l'Iran, nostro partner commerciale Documenti Presidente Mahmud Ahmadinejad, 52 anni, mostra i documenti nel corso della procedura per ricandidarsi alle elezioni di giugno Maurizio Caprara

Torna all'inizio


"Mills mentì per conto di Berlusconi" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

"Mills mentì per conto di Berlusconi" Pubblicate le motivazioni della sentenza L'avvocato inglese era imputato col premier [FIRMA]UGO MAGRI ROMA Berlusconi torna a far parlare il mondo di sé, stavolta non per divorzi e veline, ma per l'etichetta di corruttore che gli viene appioppata dal Tribunale di Milano: un pessimo biglietto da visita in vista del G8 di luglio con Obama, Sarkozy e gli altri Grandi ospiti dell'Italia. Scrivono i magistrati nel motivare la condanna di Mills (4 anni e 6 mesi inflitti a febbraio) che l'avvocato britannico «agì da falso testimone per consentire a Silvio Berlusconi e al gruppo Fininvest l'impunità». Se non ci fosse stato il famoso Lodo Alfano, che fa scudo alle quattro massime cariche della Repubblica, il presidente del Consiglio sarebbe condannato anche lui. Sul piano giuridico l'ultima parola è di là da venire: bisogna aspettare l'appello, e pure il parere della Consulta sul Lodo non è previsto prima dell'autunno. Ma le conseguenze politiche sono immediate. Berlusconi è tentato dal costruirci sopra la campagna elettorale. Nemmeno il tempo di apprendere la notizia da Milano, ed ecco la mossa del premier. Fulminea: «Riferirò in Parlamento». Si annunciano randellate a ridosso del voto, con l'aiuto delle tivù. Forte è la voglia di mettere tutto in conto all'opposizione: sentenze, scandali, giornali ostili. Lo sfogo furibondo a L'Aquila è solo un assaggio ben calcolato. Tatticamente il corpo-a-corpo conviene al premier. Secondo Bonaiuti (il portavoce) Silvio è lanciatissimo, si tratta solo di concordare la data delle Camere coi presidenti Fini e Schifani. Qualcuno dei suoi tuttavia frena, va bene denunciare il complotto, la giustizia a orologeria e i perfidi avversari, però magari su un altro argomento meno imbarazzante del caso Mills, perché altrimenti si aggiungono tossine a tossine, dopo le minorenni la corruzione, un bel giorno d'improvviso l'Italia ne sarà sazia. E poi, obiettano i saggi dell'entourage, «che senso avrebbe scatenare la canea giustizialista» e favorire Di Pietro? Già, perché l'ex pm non aspetta di meglio, pure lui mette le vele al vento, dopo lo show alla Fiera del libro punta al trionfo nelle urne. La sentenza milanese è quanto di meglio poteva augurarsi. Se poi il premier cercherà lo scontro... Il bersaglio vero è il Pd, per quanti sforzi faccia Franceschini di alzare la voce, Tonino ha sempre un'ottava in più. Così pure stavolta, con il segretario democratico surclassato nonostante una pronta dichiarazione che raccoglie il guanto del Cavaliere: «Berlusconi venga in Parlamento ma a dire: io rinuncio ai privilegi del Lodo Alfano, e mi sottopongo al giudizio come tutti i normali cittadini». Franceschini si spinge dove mai né Fassino né Veltroni avevano osato. Arriva a considerare la sentenza di primo grado su Mills come una condanna finale, «dimostra in modo purtroppo incontestabile il coinvolgimento del premier»: un addio garantismo che mette il berlusconiano Cicchitto in grado di vincere facile («Non la pensavate così quando vi arrestavano in Campania, Basilicata, Toscana e Calabria...»). Eppure non basta. Di Pietro è oltre, inarrivabile. Si scatena contro Berlusconi «xenofobo, piduista, fascista e, adesso, anche corruttore». Si dimetta o «altrimenti andremo avanti con una richiesta di impeachment». Lo aizza, i rispettivi interessi convergono. Bersani fiuta la trappola e prova a frenare: «Se Berlusconi viene a propinarci il solito spot, si risparmi pure il viaggio...». D'Alema concorda, «invece che alle Camere si rechi in Tribunale». Ma il dado è tratto. E Verdini, coordinatore Pdl, già si frega le mani: «Non possiamo che prendere atto con gratitudine del consueto e puntuale contributo della magistratura alla causa elettorale di Berlusconi, e prepararci a un successo trionfale...».

Torna all'inizio


Prima dell'Iran, il Pakistan talebano Da lì arriva la minaccia nucleare (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 20/05/2009 - pag: 10 ISLAM E OCCIDENTE Prima dell'Iran, il Pakistan talebano Da lì arriva la minaccia nucleare di BERNARD-HENRI LÉVY I l Pakistan è la polveriera del mondo contemporaneo. L'ho scritto sei anni fa nell'inchiesta sulla morte di Daniel Pearl. L'ho ribadito il 12 settembre 2003 in un testo pubblicato sul Washington Post e la cui tesi era che la guerra in Iraq, per questo, per aver grossolanamente sbagliato bersaglio, sarebbe rimasta nelle memorie come uno dei peggiori errori strategici commessi da molto tempo a questa parte dall'amministrazione americana. L'ho ripetuto ogni volta che il governo pachistano, in linea di principio nostro alleato, faceva di tutto per attirare l'attenzione sull'arresto di questo o quell'alto dirigente di Al Qaeda (Khalid Sheikh Mohammed, Yasser Jazeeri, Abu Zubeida, Ramzi Binalshibh, Abu Faraj Libbi.) confessando così, in maniera implicita, di tenerli gelosamente a portata di mano in attesa del momento propizio per ricavarne il prezzo migliore (la concessione di un prestito dal Congresso, una visita di Stato a Washington, l'autorizzazione a dare un voto sfavorevole al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.). Non posso che confermarlo, ora più che mai, mentre è in pieno svolgimento l'offensiva dell'esercito di Islamabad, nella valle di Swat, contro gli insorti talebani, più coriacei di quanto sembrasse, di cui nessuno può prevedere dove e quando si fermeranno. Infatti, di cosa si tratta? E come mai la situazione pakistana è oggi così angosciante? Innanzitutto, quando in Pakistan si parla di «talebani», è come parlare di Al Qaeda, letteralmente Al Qaeda, poiché gli elementi costitutivi di questo movimento, i gruppi come Lashkar-e-Toïba, Lashkar-e-Janghvi o Jaish e Mohammed, costituiscono il nucleo centrale dell'organizzazione stessa di Bin Laden. Inoltre, questi gruppi, anche se sembrano minoritari in seno a una società che in linea di principio è più moderata, sanno di poter contare sull'appoggio di organizzazioni di massa come la Al-Rashid Trust, di cui avevo rivelato il ruolo nel rapimento di Daniel Pearl e che troviamo di nuovo come del resto all'epoca del terremoto dell'ottobre 2005 in prima fila fra gli assistenti «umanitari» che portano acqua, viveri e buone parole alle centinaia di migliaia di civili che fuggono dalle zone di combattimento. Infine, malgrado le gentili menzogne con cui si tenta d'incantarci, tutta questa brava gente gruppi militari più associazioni «umanitarie» non opera soltanto nella valle di Swat o, in maniera generale, in quelle che pudicamente son chiamate «zone tribali» di frontiera con l'Afghanistan, ma è presente in tutto il Paese, nel cuore delle sue grandi città, a poche centinaia di metri (la Moschea Rossa) da un'ambasciata, a un chilometro appena dal Consolato americano di Karachi (la madrasa di Binori Town che, quando la visitai, funzionava anche come area di addestramento militare e come ospedale da campo, dove lo stesso Osama Bin Laden veniva indisturbato a farsi curare e forse operare). A questo si aggiunge il problema dell'arsenale nucleare pachistano. Si aggiunge il fatto che il Paese, corrotto dall'integralismo islamico, non è, diversamente dall'Iran, sul punto di dotarsi della bomba atomica, ma ne è già dotato. E questa, in Pakistan, non è una faccenda soltanto militare, ma è una vera causa nazionale, quasi santa, sostenuta da un movimento popolare in cui si ritiene del tutto normale che i missili appartengano non solo al Paese dei Puri, ma all'Umma, all'intera comunità dei Credenti. Possiamo sempre dire, per rassicurarci, che tali arsenali sono sotto controllo. Intanto, nessuno sa niente. Nessun responsabile può dire con certezza, e in coscienza, dove si trovino esattamente le sessanta testate di missili registrate né, ancor meno, cosa sia il famoso sistema della «doppia chiave» che sarebbe stato imposto agli apprendisti stregoni dell'Isi (Inter-Services Intelligence). Ma soprattutto non dobbiamo dimenticare il caso di Abdul Qadeer Khan il dottor Stranamore, padre della bomba atomica, che Daniel Pearl stava per smascherare sul cui conto oggi sappiamo che stava per svelare i propri segreti non solo alla Corea del Nord e all'Iran, ma a gruppi afghano-pachistani legati all'organizzazione Al-Rashid Trust. E io comunque ricordo la manifestazione popolare alla quale assistetti a Karachi, con migliaia di uomini che sfilavano con striscioni su cui non appariva il volto di un leader, né il nome di un martire e nemmeno il testo di uno slogan, ma il ritratto del dottor Khan, con il disegno gigantesco di un missile che, secondo la gente venuta a manifestare, era l'inalienabile proprietà della comunità musulmana nel suo insieme, compresi i commando della jihad. Che l'amministrazione Obama abbia infine valutato la portata del pericolo è, naturalmente, una buona notizia. Che la Francia si sia dotata del «rappresentante speciale» Pierre Lellouche, noto, anch'egli, per la lucidità su tali problemi, è ugualmente confortante. Ma questo non ci dice, purtroppo, né quel che è bene fare né quel che è consentito sperare: in Pakistan, è la mezzanotte del secolo. Bisogna rendersene conto al più presto. GIACOBBE traduzione di Daniela Maggioni

Torna all'inizio


Il Senato Usa nega i fondi per chiudere Guantánamo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 20/05/2009 - pag: 19 Colpo a Obama Il Senato Usa nega i fondi per chiudere Guantánamo WASHINGTON Il Senato americano ha rifiutato di stanziare i fondi necessari alla chiusura del carcere di Guantánamo annunciata da Barack Obama. È stata la stessa maggioranza democratica alleata del presidente a negare gli 80 milioni di dollari richiesti, assestando un duro colpo alla nuova Amministrazione. Malgrado il Pentagono sia certo di poter portare a termine il compito entro il 22 gennaio 2010, i democratici hanno sposato la posizione dei repubblicani accusando la Casa Bianca di non aver ancora indicato una sistemazione alternativa per i 240 prigionieri rinchiusi sull'isola di Cuba. «Il denaro è stato chiesto prematuramente», ha dichiarato la senatrice democratica Diana Feinstein, presidente della commissione Servizi Segreti. Sulla stessa linea il capo della maggioranza al Senato, Harry Reid: «Non permetteremo mai che un terrorista sia rilasciato sul suolo statunitense». La Casa Bianca ha tentato di minimizzare il colpo: «Concordiamo con il Congresso che prima di ottenere le risorse sia necessario un piano più dettagliato», ha detto il portavoce Robert Gibbs. La settimana scorsa era stata la Camera dei Rappresentanti a negare il via libera (nella foto Ap un detenuto a Guantánamo).

Torna all'inizio


INCONTRI Norberto Bobbio Alle 20,30, Alberto Papuzzi riflette sul tema Rileggere la prop... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

INCONTRI Norberto Bobbio Alle 20,30, Alberto Papuzzi riflette sul tema «Rileggere la propria vita. Norberto Bobbio e la sua autobiografia». L'incontro è organizzato, in occasione del centenario della nascita del filosofo, dall'associazione per Via Sacchi per ricordare la figura del grande uomo, il suo legame con la città, il suo rapporto con il quartiere e con la via. Dopolavoro Ferroviario, via Sacchi 63 Ritratti femminili Conferenza (ore 17) di Paola Venturelli, docente Università degli Studi dell'Insubria - Como, sul tema «Quadri svelati. Gioielli e abiti di dame. Tra Piemonte, Lombardia, Spagna». Ingresso libero, prenotare: tel. 011/837688 int. 3. Museo Accorsi, via Po 55 Gli Appuntamenti Stamane alle 10, ci si interroga sul tema «Dalla malattia mentale si può guarire?» con lo psichiatra Franco La Spina e Gabriele Beccaria, responsabile di TuttoScienze de La Stampa. Unione Industriale via Fanti 17 L'universo Conferenza (ore 17,30) di Alessandro Bottino, docente di fisica teorica all'Università di Torino, sul tema «Universo e materia oscura». Circolo dei Lettori via Bogino 9 Glocalizzazione Incontro (ore 17) dal titolo «Globus et Locus. Dieci anni di Idee e Pratiche. 1998-2008»: presentazione dei dieci anni di attività di Globus et Locus, un'associazione di istituzioni del Nord Italia e della Svizzera italiana, presieduta da Piero Bassetti, il cui lavoro si ispira al concetto del glocal come impatto delle dinamiche globali sui livelli locali. Intervengono Mario Deaglio, Maddalena Tirabassi, François Trémeaud e Angelo Pichierri. Torino Incontra, via Nino Costa 8 Astronomia Conferenza (ore 19) di Piero Galeotti, ordinario di Fisica sperimentale all'Università di Torino, sul tema «Le stelle, fucine della vita». Parco Astronomico «Infini-To», via Osservatorio, Pino Torinese Psicofarmaci ai bimbi L'associazione Alice promuove (ore 21) l'incontro dal titolo «"Salviamo Gianburrasca"... in Italia ed in Europa per la protezione dei bambini contro l'abuso di psicofarmaci ed anfetamine somministrati in età pediatrica». Auditorium dell'Educatorio della Provvidenza, corso Govone 16/A Conferenze del Regio Per il ciclo «Incontro con l'Opera», alle 17 si tiene una conversazione e ascolti discografici a cura di Giorgio Pestelli, in occasione della messa in scena de «La dama di picche» di Ciaikovskij, al Regio dal 21 al 31 maggio. Teatro Regio, piazza Castello Obama e la Cina Oggi (ore 16) Yu Shen, docente di Storia e studi internazionali alla Indiana University Southeast, tiene una conferenza sul tema: «Obama and China: new administration in search of new direction». Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, Sala Lauree, via Verdi 10 LIBRI Mafia Salvo Sottile, giornalista del Tg5, presenta (ore 18,30) il suo romanzo «Più scuro di mezzanotte». Con Beppe Gandolfo e Alessandra Comazzi. La Feltrinelli, piazza Cln 251 Ciclismo In occasione della partenza dell'11ª tappa del Giro d'Italia, alle 18,30 lo scrittore e giornalista Giampaolo Ormezzano presenta «Giro d'Italia con delitto» e «Coppi&Bartali». Con il giornalista Marco Mathieu. Libreria Coop piazza Castello 113 Antisemitismo Presentazione (ore 17,30) del libro «La notte dei poeti assassinati. Antisemitismo nella Russia di Stalin» realizzato con lo United States Holocaust Memorial Museum di Washington e curato, nell'edizione italiana, da Francesco Maria Feltri. Partecipano con il curatore: Marco Brunazzi, direttore dell'Istituto di studi storici «Gaetano Salvemini»; Marco Scavino, Università di Torino. Museo della Resistenza, corso Valdocco 4/a CONVEGNI Digitale terrestre Nel giorno del passaggio al digitale terrestre di Rai 2 e Rete 4, è in programma (dalle ore 14) un convegno dal titolo «La tv digitale terrestre è arrivata a Torino. Istruzioni per l'uso e prospettive». Politecnico, corso Duca degli Abruzzi 24 SPETTACOLI Gioconda Belli Alle 21, reading-spettacolo tratto dall'ultimo romanzo della poetessa, giornalista e scrittrice nicaraguense, intitolato «L'infinito nel palmo della mano». Con letture e canzoni a cura di Grazia Verasani, accompagnata al pianoforte da Arturo Stàlteri. Circolo dei Lettori via Bogino 9 Interplay/09 Il festival internazionale di danza contemporanea dedica un'intera serata alla giovane danza d'autore: apre, ore 21, la coreografa Chiara Frigo con «Takeya Female Version». Seguono: lo spettacolo «YY» di Aldo Torta e Stefano Botti della compagnia Tecnologia Filosofica di Torino, e «Untlided# 425» di Luca Nava. Teatro Astra, via Rosolino Pilo 6 VARIE Fiori e aromi Incontro (ore 17,30) su «Giardino aromatico, giardino ornamentale» a cura di Edoardo Santoro, agronomo e curatore del giardino del Borgo Medievale. Borgo Medievale, Parco del Valentino a cura di Elena Del Santo giornonotte@lastampa.it

Torna all'inizio


"E' la fisica, Mister President" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

Perché Barack Obama dovrebbe aver perso il sonno dietro al suo libro? «Un amico ha dato una copia alla moglie Michelle e lei ha detto che il Presidente l’avrebbe letto di sicuro, perché ama i saggi scientifici. E chi meglio può convincerlo, se non un’entusiastica First Lady?». Provate a farvi ricevere dal simpatico professor Richard Muller e nell’ufficio all’Università di Berkeley, California, potrete giocare al Presidente degli Stati Uniti. Avrete di fronte i problemi planetari del momento e le loro caratteristiche, soprattutto le informazioni-base che non avete mai osato chiedere su Al Qaeda, armi nucleari e biologiche, petrolio, fotovoltaico ed economia dell’idrogeno, più riscaldamento globale e corsa alla Luna e a Marte (e altro ancora). Un magnifico Risiko del XXI secolo traboccante di dati e suggerimenti, nato come ciclo di lezioni per capire «come funziona il mondo» e che si è trasformato in un libro, appena tradotto. Si chiama «Fisica per i presidenti del futuro» e anche chi non ha mai sognato la Casa Bianca, nemmeno per scherzo, si troverà con il cervello sottosopra. Professore, lei è di casa a Washington: è consigliere per i dipartimenti della Difesa e dell’Energia oltre che della Nasa e la sua società GreenGov offre consulenze a molti Paesi. Come si comporta Obama? «Spero di vederlo presto con il mio libro sottobraccio. Intanto l’inizio è incoraggiante, ma lo scopo del saggio non è imporre consigli: prima di tutto è informare a fondo. Così chi ha grandi responsabilità può prendere decisioni migliori». E’ una pretesa ambiziosa: che cosa significa in concreto? «Un esempio: non importa se si è a favore o contro il nucleare. Il punto è che si deve capire che cos’è. Poi le opinioni possono cambiare, ma solo quando si ha il quadro complessivo». Lei dedica un capitolo alle «false soluzioni» e un altro alle «soluzioni a portata di mano». Tra le prime mette l’idrogeno, le auto elettriche e la fusione nucleare: così ridimensiona alcune tra le speranze più grandi. Le piace la parte del provocatore? «Spiego che l’errore di molti è sostenere che un tipo di energia - quella che preferiscono - debba essere usata a discapito delle altre. Chi è a favore del solare nega il ruolo del vento o del nucleare e chi è nuclearista - e si tratta di un’energia fondamentalmente pulita, perché i pericoli delle radiazioni vengono esagerati - sbeffeggiano il solare, cadendo nello stesso equivoco». Nell’elenco «cattivo» mette il Protocollo di Kyoto e anche Bush la pensava così: non è in imbarazzo? «Ci sono ottimi venditori, che strappano l’attenzione dell’opinione pubblica e finiscono per credere alla loro stessa pubblicità. L’errore più grave è proprio l’idea che il mondo avanzato possa ridurre le emissioni di CO2. Solo allora - prosegue il ragionamento - gli “altri” seguiranno l’esempio e il riscaldamento globale si arresterà. Ma non è così: sarebbe vero se tagliassimo le emissioni con tecnologie economiche. Le proposte attuali, invece, sono troppo costose e per di più molti fingono di ignorare le proiezioni dell’Ipcc, l’International panel on climate change dell’Onu: la causa dell’aumento dei gas serra - rivelano - sono Cina e India, non Usa ed Europa. Conclusione: qualunque soluzione costosa non colpirà mai al cuore il problema». A proposito di soluzioni possibili, lei si dilunga su quella che sembra un’ovvietà: il risparmio energetico. «Invece è il metodo più importante, più pratico e più economico». Poi incombe il terrorismo: lei sostiene che non ci sarà un altro 11 settembre, ma che bisogna prepararsi a scenari meno spettacolari ma più insidiosi. «Sono convinto che il pericolo provenga da tecnologie semplici e a basso prezzo, come esplosivi e benzina, e non da armi nucleari “sporche”, come si teme a Washington. Il futuro è degli attacchi low tech». Perché considera la fisica così fondamentale per capire il mondo? E le altre discipline? «Tutte le discipline scientifiche sono importanti, ma la fisica è quella che conosco meglio e che, comunque, è legata a 5 tra le questioni che sono percepite come le più urgenti: il terrorismo - come ho detto - e poi energia, nucleare, spazio e mutamenti climatici. La fisica la fa sempre da padrona». Non sopravvaluta i politici? Chi ha detto che devono sapere tutto? Sono circondati da consiglieri proprio per questo, a cominciare da Obama. «Pensiamo che siano molte le cose che un Presidente debba sapere, per esempio la differenza tra gli sciiti e i sunniti: non può certo chiederlo al segretario di Stato, perché diventerebbe immediatamente ridicolo». Allo stesso modo deve conoscere la fisica delle bombe atomiche e dei reattori nucleari e sapere che cos’è il carbone pulito. E anche il riscaldamento globale: alcuni dicono che sia il problema più grave e altri ribattono che è un non-senso. Come può un Presidente decidere, limitandosi ad ascoltare i consiglieri che lui stesso ha scelto? Ecco perché deve conoscere i fondamenti. Vi convincerò con un aneddoto». Lo racconti. «Una studentessa mi dice di una cena con un famoso fisico, che parla della fusione nucleare. Tutti lo ascoltano, finché lei vince la timidezza: “Anche l’energia solare ha un futuro”. Il fisico ribatte: “Impossibile. Solo per la California si dovrebbe tappezzare di celle tutto lo Stato”. Ma lei non si scoraggia: “Non è vero. Basta 1 km quadrato per produrre un gigawatt”. Lui sbianca: “Controllerò!”. Naturalmente aveva ragione la ragazza. Lo stesso deve fare il Presidente: sfidare i consiglieri. Anche per la fisica si deve dire “Yes, you can!”». Obama ha lanciato un programma di maxi-investimenti nella ricerca, ma la scienza non è popolare tra i politici. Fa eccezione il cancelliere tedesco Angela Merkel, che è laureata in fisica. Come crede di convincere i leader a prendere lezioni? «Angela Merkel spicca in Occidente, ma in Cina molti top leader sono ingegneri, a differenza di Usa ed Europa, dove la maggior parte è composta da avvocati. E’ chiaro che dovranno fondare sempre di più le decisioni sulle idee della scienza e non sulle idee sbagliate che si hanno della scienza stessa. L’esempio sono le scorie atomiche: circolano più storie horror che dati reali». Comunque, ammetterà che, se i politici non le cavano troppo bene, spesso gli scienziati non sono d’accordo e disegnano scenari contraddittori. «Molti scienziati scelgono solo alcuni fatti e li utilizzano per arrivare a conclusioni specifiche, ma in questi casi non sono più bravi ricercatori. Io, invece, sono tra chi si impegna a presentare tutta la storia». Sul riscaldamento globale ci sono idee opposte e lei le analizza, ma da che parte sta? «Spiego le teorie degli allarmisti e dei critici. Analizzo anche il successo di Al Gore, il quale sostiene che la situazione è gravissima, e dimostro ciò che è accurato e ciò che è un’esagerazione. La mia conclusione è che, quando si scoprirà che l’ex vicepresidente ha amplificato il caso, la gente potrebbe respingere la reale questione del riscaldamento globale. Temo che getterà via il bambino con l’acqua sporca». Si troverà un terreno comune? «Nella scienza sì, non nelle opinioni. Solo allora si discuterà che cosa fare». Chi è Muller Fisico RUOLO: E’ PROFESSORE DI FISICA ALLA UNIVERSITYO F CALIFORNIA AT BERKELEY E RICERCATORE AL «LAWRENCE BERKELEY LABORATORY» - USA IL LIBRO: «FISICA PER I PRESIDENTI DEL FUTURO» - CODICE EDIZIONI + TuttoScienze

Torna all'inizio


Frattini cancella la visita a Teheran (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

ROMA La visita del Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini in Iran non avrà luogo a seguito della richiesta condizionante di Teheran di prevedere l’incontro protocollare con il Presidente iraniano in una località diversa dalla capitale, a Semnan. Tale richiesta giunta stamane -scrive la Farnesina in una nota- non è stata accolta dal ministro degli Esteri, che ha inteso esprimere il suo forte rammarico per un'occasione perduta di approfondimento della possibilità e delle modalità di coinvolgimento dellIran per la stabilizzazione di Afghanistan e Pakistan. Il ministro degli Esteri sarebbe dovuto arrivare in giornata nella capitale iraniana per invitare il suo omologo iraniano, Manouchehr Mottaki, al G-8 dei ministri degli Esteri, a Trieste dal 27 al 27 giugno prossimi. La visita non era stata accolta con favore negli ambienti diplomatici europei. Il Financial Times ha sottolineato che Roma sarebbe stato il primo Paese a rompere il fronte europeo che dall’elezione di Mahmoud Ahmadinejad alla presidenza, e dall’inizio della crisi sul nucleare, ha affidato al responsabile della politica estera europea, Javier Solana, il compito di tenere ufficialmente le relazioni con il regime degli ayatollah. Negli ambienti diplomatici occidentali Financial Times ha registrato sbigottimento per l’iniziativa di Frattini. Il capo della Farnesina, inoltre, non avrebbe avuto ricevuto «luce verde» da Washington e un gesto unilaterale dell’Italia- ha spiegato il quotidiano economico- avrebbe solo l’effetto di rafforzare Mahmoud Ahmadinejad a meno di un mese dalle elezioni presidenziali. Intanto l’Iran oggi ha testato un nuovo missile terra-terra, il Sejil-2, con un range di 2000 chilometri, ha detto il presidente Mahmoud Ahmadinejad. «Il missile - ha riferito l’agenzia Irna- ha centrato il bersaglio». Il missile in questione -che va a carburante solido ed appartiene ad una generazione avanzata di missili terra-terra- fu testato una prima volta nel novembre del 2008. L’iniziativa iraniana -che arriva due giorni dopo l’incontro tra Barack Obama e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, a Washington- è destinato a indebolire il fronte di coloro che, come il presidente americano, tentano di disinnescare la miccia di una prossima guerra tra Israele e Iran. Ahmadinejad, che il 12 giugno affronterà in patria la sfida politica dei moderati, ha rivolto al «regime sionista» la consueta minaccia: «Manderemo all’inferno chiunque ci attacchi». Lunedì a Washington Netanyahu aveva preso atto della posizione attendista dell’amministrazione americana ma non aveva rinunciato a sottolineare che Israele ha il «diritto di difendersi», facendo intendere che le forze armate con la Stella di David potrebbero lanciare un attacco preventivo e solitario all’Iran. Cosa che, ha spiegato oggi Leon Panetta, capo della Cia, sarebbe per tutti «un gran guaio».

Torna all'inizio


Il Senato dice no a Obama sui detenuti di Guantanamo (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 20-05-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON - Il Senato Usa ha bocciato uno stanziamento di 80 milioni di dollari per il trasferimento dei detenuti di Guantanamo negli States. La proposta è passata con 90 voti favorevoli e 6 contrari, ed è stata votata alla vigilia del discorso che il presidente Obama pronuncerà sulla strategia della lotta al terrorismo. Il voto del Senato conferma lo scetticismo bipartisan verso il piano di Obama che punta a chiudere Guantanamo entro il gennaio del 2010. I timori sono soprattutto sul destino dei 241 detenuti: molti esponenti del Congresso temono possano essere portati o rilasciati negli Stati Uniti, rappresentando così una minaccia per la sicurezza del paese. Sia i democratici che i repubblicani chiedono al presidente Usa un piano più completo che indichi soprattutto in che modo sarà gestito il problema dei prigionieri, una volta che Guantanamo sarà chiusa. Fino a quando Obama non sarà più preciso, il Congresso - hanno minacciato ieri gli stessi democratici - non approverà la richiesta di finanziamenti da 80 milioni di dollari da destinare alla chiusura del centro, presentata dallo stesso presidente. (20 maggio 2009

Torna all'inizio