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Documento d’interesse Inserito
il 10-3-2009
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La Repubblica
9-3-2009
La Chiesa e la
bioetica non c' è fede senza libertà
Vito Mancuso
9-3-2009
LE GERARCHIE cattoliche sottolineano spesso chei
loro interventi sui temi bioetici sono condotti sulla base della ragione e
riguardano temi di pertinenza della ragione, legati alla vita di ognuno, non
dei soli cristiani. Per questo, aggiungono, tali interventi non costituiscono
un' ingerenza negli affari dello stato laico. Scrive per esempio il recente
documento Dignitas personae che la sua affermazione a proposito dello statuto
dell' embrione è «riconoscibile come vera e conforme alla legge morale naturale
dalla stessa ragione» e che quindi, in quanto tale, «dovrebbe essere alla base
di ogni ordinamento giuridico». Allo stesso modo molti politici cattolici
rimarcano nei loro interventi sulle questioni bioetiche che parlano non in
quanto cattolici ma in quanto cittadini. Va quindi preso atto che le posizioni
cattoliche sulla bioetica, sia nel metodo sia nel contenuto, si propongono all'
insegna della razionalità. Se questo è vero, se si tratta davvero di argomenti
di ragione per i quali «mestier non era parturir Maria» ( Purgatorio III,39),
allora le posizioni della Chiesa gerarchica sulla bioetica sono perfettamente
criticabili da ogni credente. L' esercizio della ragione è per definizione
laico, non ha a che fare con l' obbedienza della fedee il principio di
autorità. Chi ragiona, convince o non convince per la forza delle
argomentazioni, non per altro. Per questo vi sono non-credenti che approvano
gli argomenti razionali delle gerarchie convinti dalla coerenza del ragionamento,
per esempio gli atei devoti. Ma sempre per questo vi sono credenti che, non
convinti dal ragionamento, non approvano tutti gli argomenti razionali delle
gerarchie in materia di bioetica. Deve essere chiaro quindi (se davvero la base
dell' argomentazione magisteriale è la ragione) che la posizione critica di
alcuni credenti verso il magistero bioetico è del tutto legittima. Se la
gerarchia gradisce la convergenza degli atei devoti in base alla sola ragione,
allo stesso modo, sempre in base alla sola ragione, deve accettare (se non
proprio gradire) la divergenza di alcuni credenti, peraltro non così pochi e
privi di autorevolezza. Sempre che, ovviamente, le gerarchie non pensino che la
razionalità valga solo "fuori" dalla Chiesa e non anche al suo
interno, dove vale invece solo l' autorità, istituendo una specie di disciplina
della doppia verità.E sempre che le medesime gerarchie amino davvero la
razionalità e che il richiamarsi ad essa non sia invece un trucco tattico (come
io credo non sia). In realtà nessuno può chiedere obbedienza sugli argomenti di
ragione perché l' obbedienza viene da sé, come di fronte a un risultato di
aritmetica o a una norma morale fondamentale. Per questo io penso che agli
argomenti di ragione occorrerebbe lasciare maggiore duttilità, visto che la
ragione, da che mondo è mondo, esercita il dubbio, soppesa i pro e i contro, e
per questo vede grigio laddove invece altri (che non amano la calma della
ragione ma forme più nervose di autorità) vedono solo bianco o solo nero.
Intendo dire che proprio il richiamo alla ragione da parte delle gerarchie
cattoliche dovrebbe indurre a una maggiore relatività del proprio punto di
vista di fronte alla complessità dell' inizio e della fine della vita alle
prese con le possibilità aperte dal progresso scientifico. La cautela è tanto
più auspicabile se si prende atto della storia. La Chiesa dei secoli scorsi
infatti non è stata in grado di interpretare sapientemente l' evoluzione
sociale e politica dell' occidente, finendo per condannare pressoché tutte
quelle libertà democratiche che ora, invece, essa stessa riconosce: libertà di
stampa, libertà di coscienza, libertà religiosa e in genere i diritti delle
democrazie liberali. Allo stesso modo, a mio avviso, le odierne posizioni della
gerarchia corrono il rischio di non capire la rivoluzione in attoa livello
biologico, respinta con una serie di intransigenti no, pericolosamente simili a
quelli pronunciati in epoca preconciliare contro le libertà democratiche. Ora
io mi chiedo se tra cento anni i principi bioetici affermati oggi con granitica
sicurezza dalla Chiesa saranno i medesimi, o se invece finiranno per essere
rivisti come lo sono stati i principi della morale sociale. Siamo sicuri che la
fecondazione assistita (grazie alla quale sono venuti al mondo fino ad oggi più
di 3 milioni di bambini, di cui centomila in Italia) sia contraria al volere di
Dio? Siamo sicuri che l' uso del preservativo (grazie al quale ci si protegge
dalle malattie infettive e si evitano aborti) sia contrario al volere di Dio? Siamo
sicuri che il voler morire in modo naturale senza prolungate dipendenze da
macchinari, compresi sondini nasogastrico, sia contrario al volere di Dio? E
per fare due esempi concreti legati a precise persone: siamo sicuri che si sia
interpretato bene il volere di Dio negando i funerali religiosi a Piergiorgio
Welby perché rifiutatosi di continuare a vivere dopo anni legatoa una
macchina?E siamo sicuri che si sia interpretato il volere di Dio chiamando
"boia" e "assassino" il signor Englaro, salvo poi aggiungere,
non so con quale dignità, di pregare per lui? Mi chiedo se tra cento anni (e
spero anche prima) i papi difenderanno il principio di autodeterminazione del
singolo sulla propria vita biologica, così come oggi difendono il principio di
autodeterminazione del singolo sulla propria vita di fede (la quale peraltro
per la dottrina cattolica è sempre stata più importante della vita biologica).
Se si riconosce alla persona la libertà di autodeterminarsi nel rapporto con
Dio, come fa la Chiesa cattolica a partire dal Vaticano II, quale altro ambito
si sottrae legittimamente al principio di autodeterminazione? Non ci possono
essere dubbia mio avviso che questo principio vada esteso anche al rapporto del
singolo con la sua biologia. I cattolici intransigenti che oggi parlano della
libertà di autodeterminazione definendola "relativismo cristiano"
dovrebbero estendere l' accusa al Vaticano II il quale afferma che «l' uomo può
volgersi al bene soltanto nella libertà» ( Gaudium et spes 17). La realtà è che
non è possibile nessuna adesione alla verità se non passando per la libertà.È
del tutto chiaro per ogni credente che la libertà non è fine a se stessa, ma
all' adesione al bene e al vero; ma è altrettanto chiaro che non si può dare
adesione umana se non libera. Dalla libertà che decide non è possibile
esimersi, e questo non è relativismo, ma è il cuore del giudizio morale. - VITO
MANCUSO