CENACOLO DEI COGITANTI |
Documento d’interesse Inserito
il 16-3-2009
DOCUMENTI CORRELATI |
|
Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
“Più tecnici, più sicurezza, più sviluppo”
“La formazione tecnica per lo sviluppo sociale e la competitività del Paese”
Intervento del Vice Direttore Generale della Banca
d’Italia
Anna Maria Tarantola
Roma, 3 marzo 2009
Ringrazio, anche a nome del Governatore, per l’invito rivolto alla Banca d’Italia a partecipare a questa importante manifestazione in cui si affronta, sotto diverse angolazioni, il tema del ruolo dell’istruzione tecnica come fattore di crescita e di benessere dei cittadini, tema rilevante non solo per il presente ma anche per il futuro economico, sociale e civile del nostro Paese.
L’istruzione, come unanimemente riconosciuto, è indispensabile ai fini della crescita economica, ne è il motore, senza un efficace ed efficiente sistema educativo è difficile realizzare un percorso di sviluppo duraturo.
Il seminario si tiene in coincidenza con l’emergere di una crisi economica globale che interessa paesi industrializzati ed economie emergenti e che, si teme, sarà lunga e profonda.
Anche il nostro paese è toccato dalla recessione: nel 2008 il PIL è calato di un punto percentuale a fronte di una crescita dello 0,7 per cento nell’area dell’euro.
In Italia l’attuale fase recessiva si innesta su una crisi di crescita che dura da circa un decennio, periodo in cui il tasso di sviluppo della nostra economia è stato sistematicamente inferiore a quello medio dei nostri vicini partner europei.
Molte le cause: una delle principali risiede nella stagnazione della produttività del lavoro ed in particolare della produttività totale dai fattori, cioè il contributo allo sviluppo dovuto all’efficienza nell’uso dei fattori della produzione e al progresso tecnico. Questa componente, che risente più immediatamente dei processi di innovazione che investono l’economia, è rimasta in Italia sostanzialmente invariata negli ultimi dieci anni a fronte di una crescita media annua di circa l’1 per cento negli altri paesi europei e dell’1,5 per cento negli Stati Uniti.
Il distacco dalle economie più dinamiche si è progressivamente ampliato a causa della difficoltà con la quale ci siamo adattati ad alcuni grandi fenomeni evolutivi, spesso tra loro collegati, che hanno interessato, pur se in misura diversa, tutti i paesi del mondo: la globalizzazione, con l’ingresso nel sistema degli scambi (non solo commerciali) di aree e grandi potenze prima autarchiche; lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con un impatto trasversale e crescente su tutti i settori economici e sulla società in generale; un quadro di grandi scompensi demografici tra le diverse aree del pianeta, con
un’accentuata tendenza all’aumento della longevità, associata a un calo della fertilità nei paesi avanzati e all’aumento dei flussi migratori.
I paesi che meglio e più rapidamente hanno assorbito questi grandi cambiamenti, cogliendone a pieno le opportunità per lo sviluppo del benessere dei loro cittadini, lo hanno fatto puntando prima di tutto sull’accumulazione di capitale umano.
L’associazione positiva tra il tasso di crescita o il livello del PIL pro capite con il livello di capitale umano disponibile in un paese è stata ampiamente documentata nella letteratura economica. Le più recenti analisi basate su confronti internazionali indicano che l’aumento di un anno del livello medio d'istruzione della popolazione in età da lavoro si associa nel lungo periodo ad aumenti del PIL pro capite di circa il 10 per cento.
Una forza lavoro più istruita, con un ampio patrimonio di conoscenze, ha una maggiore capacità di elaborare l’informazione; utilizza con maggiore efficacia le competenze linguistiche e di analisi quantitativa; opera più agevolmente con particolari tecnologie; ricorre più facilmente all’utilizzo di un corpo organizzato di conoscenze in campi rilevanti per il progresso scientifico e tecnologico.
Queste caratteristiche dei lavoratori accrescono il prodotto pro-capite attraverso due canali: uno diretto sulla quantità di beni e servizi prodotta da ogni lavoratore e uno indiretto, che si realizza nel tempo attraverso la crescita dell’efficienza complessiva; essa riflette il contributo del capitale umano alla capacità di innovare, di adottare metodi di produzione più efficienti, di sperimentare miglioramenti organizzativi.
Secondo analisi della Commissione Europea questi due canali contribuiscono in misura analoga alla relazione tra livello di istruzione e Pil pro-capite, per un valore intorno al 5 per cento.
Tuttavia queste stime riguardano il passato; per il futuro è facile immaginare che l’effetto indiretto legato alla tecnologia, alla organizzazione, alla capacità di innovazione e di adozione di metodi di produzione più efficienti diverrà ancora più importante.
La tecnologia è divenuta parte integrante della quotidianità, condizionando qualunque attività umana e, in particolare, quella di produzione di beni e servizi. Il ritmo di crescita di un paese
dipende sempre più dalla capacità dei suoi cittadini di sfruttare le potenzialità della tecnologia in tutti gli ambiti della vita ed in particolare per inventare, adottare e utilizzare a pieno nuovi e più efficienti metodi di produzione.
Gli economisti pensano che la crescita economica di lungo periodo si basi sostanzialmente su due meccanismi: l’imitazione di cosa hanno fatto altri e l’invenzione di nuovi prodotti e nuovi metodi di produzione.
Per i paesi tecnologicamente più arretrati, il ritmo di crescita è legato alla rapidità con la quale sono in grado di adottare, tramite imitazione o trasferimento, le tecnologie più avanzate. E’ questa la strategia che il nostro paese ha seguito nell’immediato dopoguerra e che ha dato vita al miracolo economico.
Per i paesi che invece già si trovano sulla frontiera tecnologica, la possibilità di crescita è legata alla capacità di mantenere questa posizione di preminenza attraverso l’invenzione di nuovi beni e servizi e nuovi modi per produrli. Questa è la sfida che deve affrontare oggi il nostro Paese. Esauriti i margini di crescita impliciti nella strategia di imitazione, si tratta, per l’Italia, di mettere in campo le azioni per raggiungere e mantenere la leadership tecnologica in alcuni segmenti chiave della nostra economia.
Queste strategie di crescita non possono essere credibilmente adottate in presenza di una forza lavoro con scarse competenze scientifiche e tecnologiche.
Le scuole e le università sono le istituzioni deputate alla formazione di queste competenze: sia direttamente, dotando i giovani di un adeguato e aggiornato bagaglio culturale e trasmettendo lo stock di conoscenze ereditato dalle precedenti generazioni; sia indirettamente, stimolando la capacità dei giovani di apprendere, educandone i comportamenti, dirigendone le motivazioni verso obiettivi socialmente condivisi.
Un sistema di istruzione e formazione, in particolare quella tecnica, che non fosse in grado di modellare la propria offerta alla sfide della modernità fallirebbe la propria missione.
Il nostro sistema di istruzione e formazione tecnica presenta ampi spazi di miglioramento per essere in grado di accompagnare la crescita economica del paese e la sua capacità competitiva.
In passato la scuola italiana ha svolto un ruolo importante con l’alfabetizzazione di massa aiutando il Paese ad uscire dall’arretratezza.
Secondo il censimento della popolazione del 1951 il 13% della popolazione italiana di età superiore a 6 anni era analfabeta (nel 1901 si trattava addirittura del 48%). Il fenomeno è pressoché scomparso nel censimento del 2001 (1,5 per cento). Il risultato è il frutto della crescita della scolarizzazione, che nell’ultimo dopoguerra ha visto il completamento della partecipazione universale alla scuola elementare, l’effettività dell’obbligo prima a 8 anni di istruzione con la creazione della scuola media unica e poi a 10, il significativo aumento, nell’ultimo trentennio del secolo scorso, degli studi superiori ed universitari.
Oggi però si chiedono ben altre competenze: conoscenze ampie, trasversali, costantemente aggiornate per essere in grado di utilizzare la tecnologia prevalente.
A sottolineare l’importanza che i giovani siano dotati di strumenti nuovi per affrontare il futuro con successo, il parlamento e il Consiglio Europeo alla fine del 2006 hanno emanato una raccomandazione che definisce le competenze chiave per l’apprendimento permanente. Tra queste figurano in modo preminente competenze matematiche, in scienza e tecnologia, nel campo digitale.
Si tratta di valutare in che misura esse siano oggi disponibili in Italia.
Secondo quanto emerge da uno studio condotto della Banca d’Italia nella seconda metà del 2007 su un campione di oltre 4200 imprese, gli imprenditori giudicano in generale soddisfacente la qualità dei laureati, soprattutto quelli delle materie scientifiche di alcune università. Alcune importanti imprese raccontano di essere cresciute in stretto collegamento con le facoltà di ingegneria; altre testimoniano come la collaborazione con le università sia stata essenziale per il loro decollo sui mercati internazionali.
Meno positivo appare invece il giudizio in merito alla scuola secondaria superiore e, in particolare, sui diplomati degli istituti tecnici e professionali. Molti imprenditori valutano gli apprendimenti di questi giovani assolutamente insufficienti.
In effetti se si guarda alle competenze dei ragazzi di 15 anni che frequentano i nostri istituti tecnici, così come rilevate dall’indagine OCSE-PISA, questi giudizi non appaiono troppo severi. Secondo le risultanze dell’edizione del 2006, le competenze in materie scientifiche dei ragazzi che frequentano gli istituti tecnici sono molto modeste nel confronto internazionale: si attestano a 475 punti rispetto ad una media dei paesi OCSE di 500. Si tratta di un divario tutt’altro che trascurabile (ancorché questo divario si rapporti a dati medi, non a posizioni apicali); questi 25 punti di differenza rappresentano quanto si impara in poco meno di un anno di scuola. Divari anche più ampi, intorno ai 30 punti, si riscontrano nella competenze in matematica e nella lettura e comprensione dei testi.
Preoccupa in particolare il
fatto che nel nostro Paese sono numerosi i quindicenni che non raggiungono un
livello di competenza giudicato sufficiente secondo gli standard dell’OCSE: si
tratta del 22,5 per cento nel caso delle scienze; del 28,7 per cento in
matematica e
Tale povertà di conoscenze può predestinare questi giovani a non integrarsi pienamente nella società, a trovarsi in condizioni di precaria stabilità economica, senza poter godere a pieno dei diritti di cittadinanza.
La capacità della scuola di fornire adeguate risposte alle esigenze dei nostri giovani appare diversificata nei diversi livelli di istruzione.
L’entità del ritardo dei nostri adolescenti risulta, infatti, particolarmente grave alla luce del fatto che le competenze scientifiche degli allievi delle scuole elementari risultano invece molto elevate anche secondo gli standard internazionali. Sulla base dei dati dell’ultima edizione dell’indagine TIMSS (Trends in International Mathematics and Science Study) rilasciati lo scorso dicembre, le conoscenze scientifiche degli allievi della quarta classe della scuola primaria risultano tra le primissime posizioni nel panorama internazionale, statisticamente inferiori solo a quelle dei 4 paesi asiatici che hanno ottenuto i migliori punteggi in assoluto (Singapore, Taiwan, Hong Kong e Giappone), e superiori a quelle di molti importanti paesi europei quali l’Austria, i Paesi Bassi e la Svezia.
Si evidenzia perciò un chiaro deficit nel passaggio dalla scuola primaria alla secondaria di primo e secondo grado.
Esistono tuttavia delle importanti aree del Paese, come il Nord-Est, dove il livello di competenza scientifica dei ragazzi che frequentano gli istituti tecnici è ampiamente superiore alla media dell’OCSE, si colloca sui livelli medi degli studenti australiani, coreani, giapponesi e risulta tra i migliori in Europa.
Questi lusinghieri risultati non sono indipendenti dall’esistenza di un legame molto stretto tra un tessuto industriale vitale e scuole tecniche di qualità: in questa area la quota dei dirigenti scolastici che dichiara che il mondo del lavoro ha una considerevole influenza sul curricolo della propria scuola è quasi doppia rispetto al dato nazionale.
In queste scuole è smentito lo stereotipo della scuola tecnica come un indirizzo di serie B, frequentata solo da studenti non molto motivati. Gli effetti negativi di una canalizzazione precoce degli allievi sembrano attenuati. Si intravede invece il profilo di una scuola di pari dignità scelta per vocazione e interesse specifico. Viene evocata una scuola tecnica che il nostro paese ha già sperimentato con successo almeno fino alla riforma del 1974.
Bisogna lavorare su questi modelli per trasformare le eccezioni in norma; è questa la via per fornire al mondo del lavoro tecnici all’altezza delle sfide del domani.
Le interviste con gli imprenditori sopra richiamate sembrano suggerire come la competitività delle imprese dipenda sempre meno dal fronte strettamente produttivo e sempre più dalle attività a monte e a valle della produzione: la creazione del prodotto (R&S, design) e del marchio (pubblicità e marketing), l’organizzazione della produzione, la commercializzazione (rete di vendita), l’assistenza post-vendita.
Queste attività “terziarie” permettono alle imprese di andare oltre la pura concorrenza di costo, terreno sul quale la sfida con i paesi di nuova industrializzazione sarebbe altrimenti impossibile, e di fornire un prodotto caratterizzato e differenziato, condizione per acquisire un vantaggio competitivo durevole.
La tendenza alla “terziarizzazione” sta profondamente mutando la domanda di lavoro da parte dell’industria manifatturiera. La quota degli artigiani, degli operai e degli addetti non qualificati è in continua discesa dai primi anni novanta, stabile quella degli impiegati.
All’opposto è in costante
aumento la quota degli occupati nelle professioni qualificate; la quota dei
tecnici, in particolare, è cresciuta da meno del 12 per cento nel
A fronte di questa accresciuta domanda di tecnici, l’offerta non ha tenuto il passo, sia per quantità che per qualità. Tra il 1991 e il 2007 la quota degli iscritti negli istituti tecnici sul totale degli alunni della secondaria superiore è scesa dal 45,5 per cento al 33,4 per cento, nonostante tutti i costosi sforzi compiuti per aumentare l’attrattività dell’offerta formativa ampliando notevolmente il numero degli indirizzi. Le competenze in lettura e comprensione dei testi dei ragazzi frequentanti gli istituti tecnici, le uniche su cui è possibile tracciare un confronto temporale di media durata, sono calate sensibilmente tra il 2000 e il 2006; anche le competenze in matematica si sono ridotte tra il 2003 e il 2006.
L’attuale fase recessiva sarà forse lunga; finita la crisi, la ripresa della crescita dipenderà dalla produttività, e questa per aumentare, richiede anche e soprattutto l’investimento in capitale umano. Il miglioramento delle competenze e delle conoscenze si può perseguire anche attraverso la riforma dell’intera filiera dell’istruzione tecnica. E’ necessario arrestare il suo declino e restituire ad essa quel ruolo di motore della crescita dell’industria del nostro Paese cui ha brillantemente assolto per molti anni. L’augurio è che essa costituisca uno dei punti di forza su cui costruire il nostro futuro.
Ho potuto constatare personalmente, nel condurre alcune delle interviste citate prima, che le imprese hanno grande nostalgia della qualità dei diplomati forniti un tempo dall’istruzione tecnica. Giovani di grande competenza portati alla risoluzione dei problemi.
Nell’esperienza della Banca d’Italia, il contributo di queste generazioni di tecnici è stato significativo, negli anni sessanta, in vari settori e in particolare nello svolgimento dell’attività di vigilanza sul sistema bancario.
Disporre di tecnici di elevata qualità non è comunque sufficiente; oggi, nel mondo del lavoro sono necessari anche laureati in materie scientifiche. Si tratta di figure complementari, che attraverso un’efficiente interazione e un opportuno accoppiamento di competenze possono contribuire a migliorare la produttività dell’impresa. Complementarietà, non sostituzione, per evitare l’utilizzo di laureati in ruoli tecnico-operativi che mal si adattano alla loro preparazione, con effetti negativi sul rendimento e sulla motivazione.
Occorre riqualificare l’offerta per eliminare questi squilibri. La riforma degli istituti tecnici si propone di rispondere alle criticità e alle necessità della società e del mondo del lavoro. Essa appare positiva sia nel merito che nel metodo. La razionalizzazione dell’offerta in due settori e undici indirizzi è coerente con le principali filiere produttive. Era necessario porre fine al disorientamento delle famiglie e degli studenti costretti a scegliere tra oltre 300 opzioni. Un analogo apprezzamento merita la revisione dei piani di studio, con una intensificazione dell’insegnamento della matematica, delle materie scientifiche e delle tecnologie, della lingua inglese, così come la definizione di nuovi modelli organizzativi che permetteranno una più intensa interazione tra la scuola e il mondo del lavoro. A questo fine particolarmente utile risulta la flessibilità riconosciuta ai singoli istituti nel definire il curricolo.
Anche il metodo seguito è efficace: condivisione degli obiettivi con tutte le forze interessate, serietà dei lavori preparatori affidati ad una commissione di grande autorevolezza, ampio processo di consultazione di tutte le parti coinvolte.
La Banca d’Italia segue con attenzione il processo di riforma di questo segmento della nostra scuola secondaria superiore. Questo interesse trova anche giustificazione nel ruolo istituzionale della Banca a difesa del risparmio delle famiglie.
In questa prospettiva riteniamo che una competenza da trasmettere nella istruzione tecnica, ma non solo, sia l’alfabetizzazione finanziaria quale strumento per corrette e consapevoli decisioni in campo finanziario.
Nei limiti delle proprie responsabilità la Banca d’Italia ha intrapreso una serie di azioni positive in questo campo, anche al fine migliorare le scarsissime conoscenze della popolazione italiana relativamente a concetti di base di economia e finanza che, secondo una recente indagine svolta dalla Banca d’Italia stessa, si configura come una vera emergenza nazionale. Si è cercato di
valutare la capacità delle famiglie di interpretare in modo rapido e corretto l’informazione economica sottesa alle scelte più comuni in campo finanziario: capacità di leggere un estratto conto, di calcolare variazioni nel potere di acquisto, di misurare il rendimento di un titolo, di calcolare gli interessi maturati in un conto corrente, di comprendere la relazione tra titoli e distinguere fra diverse tipologie di mutuo. I risultati indicano che circa la metà delle famiglie italiane non dispone delle nozioni indispensabili per effettuare con competenza le operazioni finanziarie più diffuse. Meno del 30 per cento delle famiglie è in grado di calcolare il rendimento di un titolo e solo il 40 per cento gli interessi maturati.
Per affrontare questo analfabetismo nelle più elementari nozioni tecniche, nel maggio del 2007, abbiamo inserito, nel sito internet della Banca, una sezione denominata “Formazione economica e finanziaria. Conoscere per decidere”, indirizzata ai cittadini interessati a sviluppare le loro conoscenze in campo economico e finanziario. In questa sezione sono state inserite informazioni di base sui principali prodotti bancari per mettere a disposizione di consumatori e risparmiatori documenti di facile comprensione, affiancati da lavori specialistici in materie economiche, bancarie, finanziarie. I contributi, proprio in considerazione dell’utenza non specializzata, hanno un taglio divulgativo, presentano un contenuto modulare con link ad altre informazioni più specialistiche e sono oggetto di costante aggiornamento.
La seconda linea di intervento è invece specificamente dedicata ai giovani. Nel novembre 2007 è stato siglato un Memorandum d’intesa con il Ministero della Pubblica Istruzione per l’avvio di un progetto che prevede uno specifico contributo della Banca per portare in modo stabile iniziative di formazione in materia economica e finanziaria nella scuola. In particolare, la Banca fornisce il possibile materiale didattico e contribuisce alla formazione dei professori che lo devono portare in aula.
Si tratta della prima esperienza del genere in Italia: in tale ambito il 27 e 28 gennaio uu.ss. si sono svolti a Roma, in collaborazione con il MIUR, incontri formativi finalizzati a consolidare le conoscenze degli insegnanti coinvolti nel progetto sul tema prescelto per i primi interventi in aula “La moneta e gli strumenti alternativi al contante”. A breve inizieranno le lezioni presso le scuole pilota delle tre regioni campione (Lazio, Veneto e Puglia); gli studenti effettueranno, sia prima sia dopo il ciclo di lezioni, un test di valutazione approntato da uno specifico gruppo di lavoro della Banca in collaborazione con l’INVALSI. Se l’esito dei test sarà soddisfacente, l’iniziativa potrà essere replicata su più larga scala il prossimo anno scolastico.
Al fine di premiare gli studenti più meritevoli la Banca ha deciso, a partire dal 2008, di assegnare annualmente 20 premi agli studenti delle scuole superiori che si sono dimostrati particolarmente meritevoli in matematica e informatica classificandosi nelle prime posizioni nelle rispettive olimpiadi. Queste borse si aggiungono alle tradizionali Stringher, Mortara e Menichella riservate ai laureati delle discipline economiche e giuridiche.
Con questi contributi la Banca intende concretamente dimostrare l’importanza che riserva al mondo della tecnica e della conoscenza scientifica.
È auspicabile che la riforma di questa importante parte della nostra scuola secondaria, che vedrà la luce il prossimo anno scolastico, costituisca la base per realizzare un’istruzione tecnica più moderna, adeguata ai tempi, attenta alle esigenze anche potenziali delle imprese. Ma in un mondo che cambia non ci si può fermare al diploma di scuola media secondaria, l’istituto tecnico può/deve anche essere un luogo di formazione adeguata per l’accesso all’istruzione universitaria. Gli istituti tecnici potranno così tornare a fornire un fattivo contributo, come è stato fino alla metà degli anni settanta, per aiutare il Paese a riprendere la strada di uno sviluppo rapido e duraturo, portatore di benessere e stabilità sociale.