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Report "Diritti umani"   18-23 aprile 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Diritti umani

[FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Fame, insetti e annegamenti simulati. Questi e molti altri ... ( da "Stampa, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: I particolari degli interrogatori al limite della tortura sono stati resi pubblici con la divulgazione di quattro memo che portano in calce la firma dei funzionari del governo di George W. Bush. Una decisione voluta da Barack Obama ma che lo ha spinto sotto il fuoco incrociato di destra e sinistra.

[FIRMA]EMANUELE NOVAZIO ROMA A meno di cambiamenti dell'ultima ora nella bozza di risoluz... ( da "Stampa, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: ha dichiarato il segretario di Stato per i diritti umani Rama Yade. Finora, soltanto 40 Paesi su oltre 160 hanno confermato la loro presenza alla Conferenza, che si chiuderà il 24. Secondo un portavoce del Dipartimento di Stato americano, tuttavia, gli Stati Uniti potrebbero rivedere la propria posizione se i «timori restanti fossero cancellati» e ci si accordasse su un «

Immunità Cia, critiche su Obama ( da "Corriere delle Alpi" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: con scetticismo la decisione del presidente Barack Obama di garantire l'immunità agli agenti della Cia responsabili di avere torturato presunti terroristi di Al Qaeda. La sinistra ha criticato il presidente degli Stati Uniti per avere lanciato un messaggio contraddittorio: da una parte dice no alle torture e si impegna a chiudere questo capitolo nero della recente storia americana.

Razzismo, l'Italia fuori dal vertice ( da "Corriere delle Alpi" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: una riaffermazione osteggiata dagli Usa che avevano abbandonato insieme a Israele la conferenza del 2001 per i toni antisemiti. Le organizzazioni di difesa dei diritti umani Human Rights Watch (Hrw) e Federazione internazionale della Lega dei diritti umani (Fidh), hanno esortato ieri i Paesi a partecipare alla Conferenza.

Raul Castro, sì al dialogo ma a parità di condizioni ( da "Corriere delle Alpi" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Il presidente cubano Raul Castro è disponibile a dialogare con gli Stati Uniti di democrazia, libertà e diritti umani e qualunque altro tema, compreso lo scambio di prigionieri, purchè a parità di condizioni. «Abbiamo mandato a dire al governo nordamericano, in privato e in pubblico, che quando loro vorranno, potremo discutere tutto», ha detto Castro.

L'Iran di Delara attesa dal boia Scrivo sull'onda della mia commozione per aver ... ( da "Stampa, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Se dobbiamo parlare di diritti umani forse val la pena ogni tanto di alzare la testa dalle questioni di casa nostra. Per favore, dopo tante discussioni sulle donne, potete mantenere aperta una campagna per questa ragazzina? MARILISA TREVI, CUNEO Non so se a questo punto si possa fare più niente per questa ragazzina, come la chiama lei.

"un conflitto con uno stato sovrano è un colpo al dialogo con i laici" - michele smargiassi ( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: ma se parliamo di diritti umani, siamo ben lontani dall´averli raggiunti. Ora dobbiamo tutti accettare i metodi che possiede la democrazia per giungere alle decisioni. Possono uscirne scelte non condivise, ma accettabili. Per quelle non accettabili, il cristiano sa da sempre che può invocare il diritto di dire non possumus».

Fra Cuba e Usa è scoccata l'ora del dialogo ( da "Arena, L'" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Disponibili a parlare di diritti umani» PORT OF SPAIN Barack Obama arriva al Vertice delle Americhe, a Trinidad, seguito dalle polemiche per il suo ennesimo gesto rivoluzionario: la pubblicazione dei memoriali sull'uso della tortura negli anni di Bush, la promessa di bandire quelle tecniche e al tempo stesso l'assoluzione degli agenti e militari che hanno operato.

L'isola inumana nel rapporto di Msf ( da "Manifesto, Il" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: proviene infatti da «paesi colpiti da conflitti o segnati da profonde violazioni dei diritti umani», come Somalia (la metà del totale), Eritrea, Sudan e Nigeria. A poco più della metà degli arrivati, lo stato garantisce protezione umanitaria, mentre lo status di rifugiato viene concesso solo con il contagocce: appena allo 0,52% del totale.

Obama, ovvero dell'incoerenza e dell' oblio ( da "Manifesto, Il" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: o che parlino di diritti umani quelli che hanno reso legale la tortura e sono stati gli attori protagonisti o di spalla delle maggiori violazioni dei diritti umani del secolo XX, dimostra che né la buona memoria né la coerenza argomentativa sono arrivate alla Casa bianca.

Tortura, Obama svela le carte E tutti si arrabbiano ( da "Manifesto, Il" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: amnistia decretata per gli agenti responsabili Tortura, Obama svela le carte E tutti si arrabbiano Marco d'Eramo Ieri il presidente degli Stati uniti Barack Obama ha ordinato la diffusione di quattro memorandum sulla legalità delle tecniche di tortura che il ministero della giustizia aveva preparato durante l'amministrazione Bush su richiesta della Central Intelligence Agency (

L'unico sospetto: Costretto a confessare ( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: stata strappata dalla polizia con la tortura. Qasab, l'unico sospetto sopravvissuto, è accusato di essere responsabile dell'assassinio di 166 persone nel procedimento che si è aperto ieri dopo numerosi rinvii procedurali. L'ultimo, giovedì, quando il primo legale dell'imputato è stato sollevato dall'incarico con l'accusa di aver accettato di rappresentare anche una delle vittime.

Durban II, l'Italia conferma il no ( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: dalle dichiarazioni del viceministro per i diritti umani, Rama Yade. La Santa Sede conferma che parteciperà alla Conferenza: «L'ultimo versione della bozza è decisamente migliorativa rispetto a quella di due giorni fa - ha dichiarato il nunzio apostolico presso l'Onu di Ginevra, monsignor Silvano Maria Tomasi - è certamente un documento su cui non tutti possono essere pienamente d'

Canone Rai promosso anchea Strasburgo ( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: 28 autore: Diritti umani Canone Rai promosso anchea Strasburgo Samantha Agrò Si infrange contro una decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo la speranza degli italiani che vorrebbero smettere di pagare il canone Rai. Ieri, all'unanimità, i giudici di Strasburgo hanno ri-gettato, ritenendolo «palesemente infondato»,

torture, polemiche sul "perdono" di obama ( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Pagina 15 - Esteri Torture, polemiche sul "perdono" di Obama La destra: "Folle pubblicare le carte di Bush". E da sinistra: "No all´amnistia" Il capo della Cia, Leon Panetta, aveva cercato di dissuadere il presidente DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Critiche da destra e da sinistra, il plauso (con qualche distinguo) dei media,

"ha paura degli insetti chiudetelo in uno scatolone e metteteci dentro un bruco" - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: intelligence per le torture ai prigionieri "Ha paura degli insetti chiudetelo in uno scatolone e metteteci dentro un bruco" "Il prigioniero viene chiuso al buio in un container di un metro: così perderà i sensi" "Nudità totale fino a quando le temperature e la salute del detenuto lo permettono" ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato new york -

raul tende la mano a obama "cuba pronta a trattare su tutto" - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: anche sui diritti umani» - e la Casa Bianca risponde positivamente: «Prendiamo molto sul serio le sue parole». Poche ore prima dell´arrivo di Barack Obama a Port of Spain, la capitale di Trinidad & Tobago dove si svolge il vertice delle Americhe, il leader cubano - che al summit è il grande assente - è riuscito a mettere Cuba al primo posto dell´

Impunità ai torturatori Cia Obama delude sui diritti ( da "Unita, L'" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: diritti umani: «Il Dipartimento della Giustizia offre l'impunità a individui che, secondo lo stesso ministro della giustizia Eric Holder, hanno torturato prigionieri», ha protestato Larry Cox di Amnesty, International, mentre Anthony Romero della Aclu (l'associazione libertaria American Civil Liberties Union) ha chiesto a Obama di affidare a un magistrato indipendente il compito

Insetti Tra le dieci tecniche di interrogatorio svelate dai memorandum uno prevedeva che il prigioni... ( da "Unita, L'" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Privazione del sonno tra le altre tecniche di tortura, oltre alla privazione del sonno, le posizioni scomode, gli schiaffi in faccia e l'uso dei cani come «pressione psicologica» verso il presunto jihadista. A ciò vanno aggiunte le minaccia di esecuzione sommaria, la negazione di cibo, acqua e degli anestetici se sono feriti.

La luna di miele rischia di consumarsi sulle torture impunite della Cia. Fuo... ( da "Unita, L'" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: diritti umani: «Il Dipartimento della Giustizia offre l'impunità a individui che, secondo lo stesso ministro della giustizia Eric Holder, hanno torturato prigionieri», ha protestato Larry Cox di Amnesty, International, mentre Anthony Romero della Aclu (l'associazione libertaria American Civil Liberties Union) ha chiesto a Obama di affidare a un magistrato indipendente il compito

Cuba agli Usa: discutiamo anche di diritti umani ( da "Unita, L'" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: discutiamo anche di diritti umani Prove di disgelo tra l'Avana e Washington. Poche ore prima dell'avvio a Trinidad e Tobago del vertice delle Americhe, Raul Castro ha accolto positivamente le misure annunciate su Cuba dal capo della Casa Bianca Barack Obama, precisando di essere pronto a parlare «su tutto», anche sui «diritti umani».

Conferenza Onu sul razzismo il governo italiano verso un altro no ( da "Unita, L'" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: sottolineano da Ginevra le organizzazioni di difesa dei diritti umani Human Rights Watch (Hrw) e Federazione internazionale della Lega dei diritti umani (Fidh), esortando i Paesi a partecipare alla Conferenza. Il documento, secondo le due organizzazioni, non contiene più riferimenti ad Israele ed anche il concetto di diffamazione delle religioni è stato eliminato.

NEW YORK - Fuoco incrociato su Barack Obama dopo la pubblicazione dei memorandum sulle torture permesse alla Cia di George W ( da "Adige, L'" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Ma sui diritti umani, su un altro versante, quello con Cuba, si aprono spiragli di dialogo. Poche ore prima dell'avvio a Trinidad e Tobago del vertice delle Americhe, Raul Castro ha accolto positivamente le misure annunciate su Cuba da Barack Obama, precisando di essere pronto a parlare «su tutto», anche sui «diritti umani».

BANGKOK, FERITO CAPO RIVOLTA È stato operato e non è in pericolo di vita il fondatore del ... ( da "Unita, L'" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Il legale del pachistano Mohammed Ajmal Kasab ha presentato una domanda di ritrattazione della confessione, sostenendo che è stata estorta sotto tortura. Negli attentati che insanguinarono per 60 ore di fila la città indiana furono registrati 195 morti, di cui 22 stranieri. In pillole

Cuba Raul Castro: ( da "Giornale.it, Il" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: 18 pagina 16 Cuba Raul Castro: «Pronti a dialogare con Washington sui diritti umani» di Redazione Il presidente cubano Raul Castro accoglie le aperture del presidente americano Barack Obama e si dice disposto a dialogare «su tutto» con gli Stati Uniti a patto il rapporto sia tra pari e che si rispetti la sovranità di Cuba.

Obama come Bush: Cia assolta per le torture ( da "Giornale.it, Il" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Cia assolta per le torture di Marcello Foa Ora l'America sa: per circa quattro anni la Cia ha torturato sospetti terroristi di Al Qaida violando sia le leggi americane che quelle internazionali. E che torture: detenuti lasciati undici giorni senza dormire oppure rannicchiati in una gabbia nel buio totale o in mezzo a una moltitudine di insetti o sottoposti al waterboarding,

Raul tende la mano a Obama "Cuba pronta a trattare su tutto" ( da "Repubblica.it" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: anche sui diritti umani" - e la Casa Bianca risponde positivamente: "Prendiamo molto sul serio le sue parole". Poche ore prima dell'arrivo di Barack Obama a Port of Spain, la capitale di Trinidad & Tobago dove si svolge il vertice delle Americhe, il leader cubano - che al summit è il grande assente - è riuscito a mettere Cuba al primo posto dell'

USA-Cuba. Un nuovo inizio con Obama ( da "AmericaOggi Online" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: i diritti umani, la liberta' d'espressione e la riforma democratica'', ha detto Obama in uno dei passaggi centrali del suo intervento, ricordando anche i ''problemi della droga, l'immigrazione e gli affari economici''. ''So che e' necessario intraprendere un viaggio piu' lungo dopo decenni di sfiducia, ma vi sono alcuni passi chiave che possiamo fare verso un nuovo giorno'

Obama: "Cuba, nuovo inizio" Stretta di mano con Chavez ( da "Corriere.it" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: coinvolgimento della mia amministrazione con il governo cubano su un ampio spettro di questioni, i diritti umani, la libertà d'espressione e la riforma democratica», ha detto Obama in uno dei passaggi centrali del suo intervento, ricordando anche i «problemi della droga, l'immigrazione e gli affari economici. Lasciatemi essere chiaro, non sono interessato a parlare per il gusto di parlare.

Editoriale - Le scomode verità di Guido Olimpio ( da "Corriere.it" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Obama, la CIa e le torture Le scomode verità I memo della Cia costi­tuiscono la sintesi brutale degli anni più duri della lotta al terrorismo. Un piccolo manuale della tortura re­datto dai burocrati della sicurezza. Un documento che illumina il «lato oscu­ro » della guerra ad Al Qa­eda.

L'isola nel rapporto di Msf ( da "Manifesto, Il" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: proviene infatti da «paesi colpiti da conflitti o segnati da profonde violazioni dei diritti umani», come Somalia (la metà del totale), Eritrea, Sudan e Nigeria. A poco più della metà degli arrivati, lo stato garantisce protezione umanitaria, mentre lo status di rifugiato viene concesso solo con il contagocce: appena allo 0,52% del totale.

Teheran condanna la giornalista Saberi a 8 anni di carcere. L'Onu premia Ahmadinejad con un invito a parlare di diritti umani ( da "Articolo21.com" del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: per parlare alle Nazioni Unite dei diritti umani, nell?ambito della seconda conferenza sul razzismo. C?è qualcosa che non quadra. Pochi sono i dubbi che nella Repubblica Islamica i diritti umani siano rispettati. Se questa teoria è confermata dai fatti, e credo che lo sia, allora mi sembra legittimo chiedere ai vertici delle Nazioni Unite e al Segretario Generale in prima persona,

MERCOLEDÌ 22 APRILE Teatro Regio Alle 18 inaugurazione con il Presidente della Repubblica... ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: 30 «Democrazia e diritti umani: il caso del Tibet» con Dolma Gyari, vicepresidente del Parlamento tibetano, Giampiero Leo e Mariacristina Spinosa. Fondazione Einaudi Alle 10 «Tribunali e politica». Alle 15 «La democrazia in Italia. Da Mazzini all'antipolitica» con Giuseppe Bedeschi, Dino Cofrancesco, Massimo Salvadori,

Festa della solidarietà celebra i diritti umani ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: VOLONTARIATO Festa della solidarietà celebra i diritti umani [FIRMA]PIERO BERTOGLIO SAVIGLIANO Sarà dedicata al tema «Tutti i diritti umani per tutti» la Festa della solidarietà che animerà oggi, dalle 10 alle 18, il centro storico. Le 25 associazioni di volontariato aderenti alla manifestazione, organizzata dalla Consulta comunale della solidarietà,

"La Saberi è una spia" Dovrà scontare 8 anni ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: montava la protesta degli attivisti dei diritti umani che chiedevano il suo rilascio. Roxana, in un primo tempo, aveva fatto sapere al papà in America di essere finita in prigione per aver comprato una bottiglia di vino (che a Teheran è un crimine). Poi le autorità avevano lanciato un'accusa speciosa, e comunque non tale da meritare la galera: che Roxana stava facendo servizi radio-

A Novi le denunce sono più che raddoppiate ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Abbiamo ripetuto per il secondo anno interventi nelle scuole superiori, a 540 studenti e studentesse, a cui sono stati proposti elementi di cultura di genere, diritti umani e dei minori, riflessioni violenza di genere e sulla violenza domestica».

"La mossa vincente? Aprire all'Avana diffidare di Caracas" ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Peserà la questione del rispetto dei diritti umani a Cuba? «Certo, c'è da sciogliere il nodo dei prigionieri politici a Cuba, il cui numero peraltro è oggetto di costante discussione. Il rispetto dei diritti umani resta una debolezza dell'Avana ma è anche vero che gli Stati Uniti hanno solidi rapporti con la Cina, che è assai carente sotto questo profilo».

Oggi lo Zonta premia tre donne in carriera ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: assistenza sanitaria e i diritti umani, con programmi di ricerca fondi e per tramite di programmi per l'educazione, servizi ed assistenza legale», spiega il presidente Margherita Gallo. Domenica presso l'Auditorium saranno premiate Laura Chiesa (imprenditrice e commerciante storica di Finalmarina), Mafalda Mazzoni (insegnante,

No di Washington alla conferenza sul razzzismo ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: al Consiglio per i Diritti Umani. Con questa decisione gli Stati Uniti si affiancano all'Italia e ad altri Paesi europei che, per non discriminare Israele, avevano già dato forfait. Sarà invece presente a Ginevra il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che in passato ha negato che la Shoà sia avvenuta e si è detto a favore della cancellazione di Israele dalla carta geografica.

Teheran, otto anni alla giornalista arrestata ( da "Corriere della Sera" del 19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: 16 Diritti umani Roxana Saberi è rinchiusa nella prigione di Evin Teheran, otto anni alla giornalista arrestata Accusata di «spionaggio». Obama «deluso» Prevista domani l'esecuzione della pittrice Delara. Lettera dei genitori ai parenti della vittima: «Perdonatela» Da due mesi e 19 giorni Roxana Saberi, giornalista americanairaniana di 31 anni,

Vertice delle Americhe. Barack Obama: "Punto ad un nuovo inizio con Cuba" ( da "AmericaOggi Online" del 19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: i diritti umani, la libertà d'espressione e la riforma democratica", ha detto Obama in uno dei passaggi centrali del suo intervento, ricordando anche i "problemi della droga, l'immigrazione e gli affari economici". "So che è necessario intraprendere un viaggio più lungo dopo decenni di sfiducia, ma vi sono alcuni passi chiave che possiamo fare verso un nuovo giorno"

L'albero E LA MEMORIA ( da "Manifesto, Il" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: ambiente e diritti umani, il progetto internazionale Ecomemoria ogni anno estende la sua «foresta virtuale» come le radici aeree delle mangrovie: dal Cile all'Australia, dall'Argentina alla Nuova Zelanda, dal Brasile all'Europa. Un albero per ogni oppositore cileno scomparso o ucciso durante la dittatura di Augusto Pinochet che stritolò il paese dal 1973 al 1990.

Jackie Chan, un calcio alla democrazia "Porta soltanto caos" ( da "Stampa, La" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: nonostante il governo soltanto qualche giorno fa abbia pubblicato un piano di azione sui diritti umani. In sintonia con la gente comune è anche la superstar cinese, Jackie Chan: «Noi cinesi abbiamo bisogno di essere controllati», ha detto provocatoriamente. E si è aperto il dibattito. Jackie, 55 anni, è cittadino di Hong Kong, territorio con piena libertà di espressione e stampa.

Teheran condanna la giornalista Roxana Saberi a 8 anni di carcere ( da "Articolo21.com" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: per parlare alle Nazioni Unite dei diritti umani, nell?ambito della seconda conferenza sul razzismo. C?è qualcosa che non quadra. Pochi sono i dubbi che nella Repubblica Islamica i diritti umani siano rispettati. Se questa teoria è confermata dai fatti, e credo che lo sia, allora mi sembra legittimo chiedere ai vertici delle Nazioni Unite e al Segretario Generale in prima persona,

Durban, rinuncia anche la Germania il summit verso il fallimento ( da "Repubblica.it" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: agenzie Onu e le Ong interessate al tema dei diritti umani, dell'uguaglianza fra i popoli. Per mesi è stata negoziata una Dichiarazione Finale da cui progressivamente sono stati emendati i riferimenti aggressivi per Israele. Su un punto però gli anti-israeliani hanno fatto muro: nel progetto di "Dichiarazione Finale" è stato lasciato un esplicito richiamo alle conclusioni di Durban 1,

la politica equilibrista - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: che bizzarramente fanno parte della commissione Onu per «i diritti umani», e usano il Palazzo di Vetro come megafono anti israeliano, mentre al proprio interno calpestano proprio quei diritti civili e individuali che domandano agli altri di rispettare. Ma se il rifiuto di partecipare è stato più facile per i governi che hanno detto "no", come l´Australia, la Francia,

La tortura non semina democrazia PAOLO GHEZZI ( da "Adige, L'" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: sotto tortura (e basta immaginare di essere trapanati su un dente dolente senza anestesia). Perché non sappiamo se riusciremmo a resistere, a non tradire gli amici, a non rinnegare ciò in cui crediamo, sotto tortura. Lo Stato totalitario del Grande Fratello, nel «1984» orwelliano, aveva raggiunto il massimo della raffinatezza,

L'Fbi sfida la privacy: via alla raccolta del Dna ( da "Corriere delle Alpi" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Ma il programma di raccolta britannico è già finito nel mirino della Corte europea per i diritti umani. L'Fbi difende la necessità di percorrere con sempre più decisione la strada dei profili genetici, sottolineando come il Dna sia servito a condannare ormai migliaia di criminali in anni recenti e anche a scagionare oltre 200 persone in molti casi condannate a morte.

Torturato dagli agenti Cia anche dopo le confessioni ( da "Sole 24 Ore, Il" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: avvocato di New York che si occupa di diritti umani. «Come si può adesso incriminare chi ha condotto interrogatori con metodi che lo stesso dipartimento della Giustizia aveva formalmente autorizzato? E non sarà neppure facile individuare il reato commesso da chi ha semplicemente espresso un parere legale.

CHI È PRESENTE STAVOLTA HA TORTO ( da "Corriere della Sera" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: presenza contribuisca a dare legittimazione internazionale a regimi politici che fanno quotidianamente strage di diritti umani a casa loro e che non hanno le carte in regola neppure in materia di razzismo essendo noti campioni di propaganda antisemita. La seconda lezione è che i diritti umani non possono essere facilmente separati dal contesto culturale occidentale che li ha generati.

Durban II: gli Usa non vanno, Europa divisa ( da "Corriere della Sera" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: alto commissario per i Diritti umani, che organizza il vertice. «Qui vogliamo affrontare e combattere il razzismo, la xenofobia e altre forme di intolleranza in tutto il mondo. Non riesco a capire: il Medio Oriente non è nominato nel testo, eppure la questione continua a intromettersi nel dibattito».

( da "Corriere della Sera" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: efficacia di simili iniziative: «Il rispetto dei diritti umani si impone solo con risoluzioni vincolanti. C'è da chiedersi chi e quanti le vorrebbero veramente perché la sede adatta non è certo questa conferenza. Inoltre c'è il pericolo che essa assuma un tono antisemita». Lei è pro o contro il boicottaggio di Durban II, a Ginevra?

Gli intellettuali avvertono: ( da "Corriere della Sera" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: le relazioni torneranno normali solo con una apertura politica sull'isola e il rispetto dei diritti umani». Per Richard Feinberg, ex consigliere di Bill Clinton, il nulla di nuovo riguarda invece le parole dell'Avana: «I fratelli Castro hanno detto centinaia di volte che devono rettificare gli errori del passato, ma non l'hanno mai fatto».

Chi c'è ha torto ( da "Corriere della Sera" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: ad esempio, su quale compatibilità possa mai esserci fra i diritti umani nel modo in cui li intendono gli occidentali e la sharia, la tradizionale legge islamica. La terza lezione che si può trarre dal pasticcio della Conferenza di Ginevra riguarda l'impossibilità di separare diritti umani e politica.

"Azioni ferme contro l'intolleranza" ( da "Giornale.it, Il" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Tant'è che l'alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay, sudafricana di origine Tamil, si è detta ieri «scioccata e profondamente delusa» dalla conferma della diserzione degli Stati Uniti all'appuntamento. © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

La politica equilibrista ( da "Repubblica.it" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: che ammorbidisce l'embargo anti cubano ma non lo cancella, che condanna la tortura ma non i torturatori, che fustiga i bonus e i profitti dei finanzieri ma poi puntella le loro banche agonizzanti, non poteva funzionare di fronte a una conferenza che esalta e sancisce il razzismo mentre dichiara di volerlo estirpare.

Il Papa benedice il vertice dell'Onu Ebrei infuriati, e l'Europa si spacca ( da "Stampaweb, La" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Il commissario per i diritti umani del Consiglio d?Europa, Thomas Hammarberg, lancia un appello a «partecipare al meeting e avere un atteggiamento costruttivo in nome della lotta alla xenofobia» e anche Benedetto XVI attribuisce alla dichiarazione di Durban il merito di «riconoscere che tutti i popoli e le persone formano una famiglia umana,

Global Day Darfur, la testimonianza di Mohamed: io unico sopravvissuto della mia famiglia ( da "Articolo21.com" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: monumento simbolo dei diritti umani, con centinaia di persone presenti. L?iniziativa organizzata da Italians for Darfur e supportata da Articolo 21. attraverso la presenza del segretario generale, Tommaso Fuffaro, ha visto l?adesione di numerose associazioni, tra cui Amnesty Italia, La Tavola della Pace, Ugei e l?

I casi Gabanelli-Report, Santoro-Vauro e Berlusconi-Rai al Consiglio d'Europa ( da "Articolo21.com" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Diritti dell'Uomo, Commissario per i diritti umani - da due ex deputati del Parlamento italiano ed europeo Lucio Manisco,Giuseppe Di Lello e dal giornalista Alessandro Cisilin, che hanno motivato il loro esposto con le misure censorie e disciplinari adottate nei confronti dei due programmi di giornalismo investigativo condotti da Milena Gabanelli e da Michele Santoro e con quanto

Durban, via al summit Onu: polemiche Ahmadinejad: Israele orribile razzista ( da "Giornale.it, Il" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: agenzia iraniana Fars Ahmadinejad ha sottolineato anche la politica di "due pesi e due misure sui diritti umani e la violazione degli stessi diritti umani negli Usa e in Europa". Bruxelles: "Pronti a reagire" La Commissione europea è pronta a reagire "in modo appropriato" qualora alla conferenza Durban II sul razzismo si arrivasse a dichiarazioni "inaccettabili".

Ahmadinejad all'Onu: Israele razzista I delegati Ue abbandonano il vertice ( da "Repubblica.it" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: due pesi e due misure sui diritti umani e la violazione degli stessi negli Usa e in Europa". A margine della conferenza anche il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha avuto un colloquio con il presidente iraniano. L'intervento di Ban Ki-moon. Delle tensioni che accompagnano il vertice Ban è pienamente consapevole, tanto che prima di dare il via ai lavori ha condannato "

Onu, Ahmadinejad incendia il summit. La Ue lo contesta ( da "Corriere.it" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: aveva sottolineato anche la politica di «due pesi e due misure sui diritti umani e la violazione degli stessi diritti umani negli Usa e in Europa». Il presidente elvetico, secondo l'agenzia iraniana, avrebbe detto tra l'altro che «la Svizzera non seguirà le minacce unilaterali degli Usa e della Ue nelle sue relazioni con la Repubblica islamica dell'Iran».

Padura Fuentes: A.Coppola ( da "Corriere.it" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: In effetti la Casa Bianca ha già annunciato di voler affrontare «un'ampia gamma di temi: dai diritti umani alla libertà di espressione, le riforme democratiche, la droga e le questioni economiche»... «Possono essere infinite le questioni che il governo cubano non è disposto ad accettare. Del resto L'Avana non pretende da Obama dei cambiamenti nella politica interna Usa.

Onu, Ahmadinejad: "Israele è razzista" Contestazione e fischi, via i delegati Ue ( da "Giornale.it, Il" del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: agenzia iraniana Fars Ahmadinejad ha sottolineato anche la politica di "due pesi e due misure sui diritti umani e la violazione degli stessi diritti umani negli Usa e in Europa". Bruxelles: "Pronti a reagire" La Commissione europea è pronta a reagire "in modo appropriato" qualora alla conferenza Durban II sul razzismo si arrivasse a dichiarazioni "inaccettabili".

Al termine del discorso interviene su Gaza Applausi da parte dei soli leader arabi ( da "Stampa, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay. «Dichiarazioni inaccettabili», scandiscono i 23 Paesi dell'Unione europea che hanno lasciato l'assemblea per protesta contro le affermazioni del presidente iraniano, ma non la Conferenza: perché - sottolineano in 22, dopo l'abbandono serale della Repubblica ceca - a Ginevra si è messo a punto un «>

Vespa: ( da "Corriere.it" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Diritti dell'Uomo, Commissario per i diritti umani. I tre denunciano il «devastante degrado» della libertà di informazione e di critica nel settore televisivo e «il controllo del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sul servizio pubblico Rai Tv» motivando il loro esposto con «le misure censorie e disciplinari adottate nei confronti dei due programmi di giornalismo investigativo

( da "Corriere.it" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Anche Stalin firmò per i diritti umani» Lo storico Paul Kennedy: «Durban II è un vertice simbolo dell'ipocrisia dell'Onu. Consiglio bloccato da 5 potenze» WASHINGTON - Per lo storico Paul Kennedy, autore di Ascesa e de­clino delle grandi potenze e de Il Par­lamento dell'uomo (l'Onu), la Confe­renza sul razzismo non segnerà una svolta storica: «Dopo accuse e con­

"sarkozy non m'ha ascoltato non bisognava partecipare" - pietro del re ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: è necessario che i cittadini iraniani, cinesi, russi e di tutti i paesi in cui i diritti umani sono calpestati vedano che la sala si svuota quando i loro leader salgono in cattedra. Oggi, grazie a internet chiunque può assistere a quanto accade a migliaia di chilometri da casa, che si trovi in Siberia o in Arabia Saudita».

torture, obama fa pace con la cia - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Pagina 14 - Esteri Torture, Obama fa pace con la Cia Missione a Langley: "Abbiamo fatto errori ma saremo più forti rispettando le regole" Nuove polemiche sul waterboarding: contro un terrorista utilizzato 183 volte, sei al giorno ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - «La Cia ha il mio pieno sostegno.

la memoria - vittorio foa ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Io credo profondamente nella possibilità per la mente umana di scegliere delle vie positive e non soltanto la via dell´egoismo. Possiamo aiutare questo sviluppo dell´umanità? C´è chi dice che potremmo utilizzare altri parametri, per esempio quello dei diritti umani, che è indipendente dalle nazioni, dalle religioni e dai partiti.

viaggio nell'isola caraibica dopo le aperture del presidente usa. tra i giovani che sperano nella fine dell'embargo e tifano per barack - fabrizio ravelli l'avana ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: apertura dichiarata da Raul Castro a discutere con gli Usa di tutto, compresi i fin qui innominati «diritti umani». La reflexion resta molto al di sotto delle aspettative, perché a Cuba - aggiunge la Sanchez - «stiamo tutti aspettando, e ora la palla è nelle mani del governo». SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE SEGUE A PAGINA 28

Le assenze di Obama ( da "Manifesto, Il" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: il doppio standard su temi quali i diritti umani e il razzismo, indissolubili. Ci sarebbe già da discutere sull'aministia preventiva che Obama ha regalato ai torturatori della Cia, sulla base dell'obbedienza dovuta - di sinistra memoria argentina - a ordini superiori. Forse - realismo politico oblige - non era consigliabile fare di più,

Domani il cda decide su Annozero Maggioranza divisa ( da "Manifesto, Il" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: diritti dell'uomo, Commissario per i diritti umani - sul «devastante degrado» della libertà di informazione e di critica nel settore televisivo e «il controllo del presidente del consiglio Silvio Berlusconi sul servizio pubblico Rai tv». Alla base dell'esposto, «le misure censorie e disciplinari adottate nei confronti dei due programmi di giornalismo investigativo condotti da Milena

Si chiama sete l'ultima tortura per la Palestina ( da "Manifesto, Il" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: ogni israeliano consuma acqua come quattro palestinesi Si chiama sete l'ultima tortura per la Palestina Michele Giorgio GERUSALEMME La distribuzione dell'acqua tra israeliani e palestinesi, decisa con gli accordi di Oslo II del 1995, deve essere modificata immediatamente se si vuole mettere fine ad una discriminazione che sta per provocare una catastrofe nei Territori occupati.

Ahmadinejad spacca la conferenza Onu ( da "Manifesto, Il" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: DIRITTI UMANI Ahmadinejad spacca la conferenza Onu Il presidente iraniano apre «Durban II» con un attacco durissimo contro lo Stato ebraico. Il segretario generale Ban ki-Moon: sbagliato politicizzare l'incontro «Israele razzista», decine di delegati lasciano il summit contro la xenofobia.

Torturati 266 volte con il waterboarding ( da "Manifesto, Il" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: USA Mentre Obama visita la sede della Cia «Torturati 266 volte con il waterboarding» Matteo Bosco Bortolaso Ieri il presidente Barack Obama ha parlato per la prima volta ai funzionari della Cia proprio mentre emergeva uno dei particolari più raccapriccianti sul recente passato dell'agenzia: sotto George W.

E l'anti-razzismo? È finito ostaggio dello scontro tra Israele e Iran ( da "Manifesto, Il" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Alta commissaria dell'Onu per i diritti umani Navi Pillay, salvare il salvabile, che in fondo è una dichiarazione univoca ed universale contro razzismo, xenofobia, islamofobia e antisemitismo. Un testo, o meglio, ancora una bozza di conclusioni, finita ormai ostaggio di due mondi che si fanno la guerra sulla pelle di chi il razzismo,

Obama alla Cia: vi proteggerò ( da "Sole 24 Ore, Il" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: ieri ha negato che le torture, il cosiddetto "waterboarding" ad esempio, siano state efficaci: «Non mi risulta che quel che sapevamo lo abbiamo ottenuto grazie alla tortura. Anzi se prendiamo il caso di Abu Zubaydah, ha rivelato tutto quasi subito e poi è stato torturato innumerevoli volte ma non aveva più niente da dire».

Il detenuto Britel, torturato e ignorato ( da "Sole 24 Ore, Il" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: torturato e ignorato Claudio Gatti NEW YORK. Dal nostro inviato Torture e ingiustizie sulle prime pagine dei giornali. Negli ultimi giorni,in Italia come nel resto del mondo, si è letto di Roxana Saberi, la giornalista persianoamericana condannata dal governo iraniano a 8 anni di reclusione dopo un processo a porte chiuse alla cui legittimità hanno creduto pochi.

Il tiranno oscura il summit ( da "Unita, L'" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: fatti nella lotta al razzismo e alla xenofobia, e nel rispetto dei diritti umani. Se i media avranno spazio residuo per parlare di quanto accade a Ginevra, si interrogheranno sull'opportunità di questo summit, o più probabilmente sulla scelta di partecipare operata dalla Ue, dall'Inghilterra, dalla Francia, da Benedetto XVI.

Annegamento, la tortura usata dalla Cia per 266 volte su due presunti terroristi ( da "Unita, L'" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: la tortura usata dalla Cia per 266 volte su due presunti terroristi RACHELE GONNELLI Acqua versata a forza in bocca e nel naso fino a provocare una sensazione di annegamento. La tecnica del waterboarding, una tortura che arriva a simulare e a sfiorare la morte del prigioniero, è stata applicata per ben 266 volte su due soli detenuti speciali in mano agli uomini della Cia.

L'orrore e la rabbia di Wiesel ( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: L'intellettuale francese invita a non cadere nella trappola di un concetto «vuoto di sofferenza»: «Dove si possono infilare un incidente, l'Olocausto, il genocidio dei Tutsi, un omicidio dall'altra parte della strada. Ogni violazione dei diritti umani dev'essere analizzata e sviscerata da sola». Davide Frattini

4 500 ( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 21/04/2009 - pag: 3 delegati di Ong, gruppi antirazzismo e associazioni per i diritti umani si sono registrati a Durban II. Alla prima conferenza in Sudafrica nel 2001 erano oltre 10 mila 4 500

( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Tutti interessati a proteggere diritti umani dimenticati per quei quattro giorni passati da Ekos guardando un sacco di plastica bianca. Il racconto di Ekos «Abbiamo cercato di salvarla, ma le onde la portavano via... Adesso dovete farmi parlare con la mia famiglia e farmela vedere» L'amico Ibet «Ci lanciavano delle funi, noi ci aggrappavamo,

Kabul e il silenzio delle femministe ( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: femministe in molti Paesi musulmani stanno spesso attente a dire che Islam e diritti umani sono conciliabili, per ottenere legittimità e sperando di rafforzare i moderati. Chi le appoggia davvero all'estero fa lo stesso. E' una strategia. Funzionerà? Non so. Forse solo nel breve periodo ». Sciite Donne sciite manifestano a Kabul lo scorso 15 aprile contro la legge che, tra l'altro,

Cia in rivolta, arriva Obama ( da "Stampa, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: TORTURA Il generale Hayden «Si è messa in difficoltà un'Agenzia in guerra per difendere i cittadini» Chi negli interrogatori adoperò i sistemi ora vietati teme un'indagine federale Cia in rivolta, arriva Obama [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEWYORK La pubblicazione dei memo della Cia causa scompiglio fra gli 007 e Barack Obama arriva nel quartier generale di Langley per

Presunto terrorista torturato 183 volte ( da "Corriere delle Alpi" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Presunto terrorista torturato 183 volte La Cia sempre più in difficoltà dopo le rivelazioni della Casa Bianca DAL CORRISPONDENTE Andrea Visconti NEW YORK. Un presunto terrorista detenuto dagli Usa fu sottoposto alle torture di waterboarding per ben 183 volte. Nel marzo 2003 Khalid Sheikh Mohammed fu messo sotto enorme pressione dagli agenti della Cia che,

Ahmadinejad, un uomo belva.... ( da "Giornale.it, Il" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: per i violatori seriali di diritti umani Iran e Libia, il razzismo era una pura scusa, come lo era stato ai tempi di Durban 1. Noi che ci crediamo, che viviamo nelle democrazie, che davvero pensiamo che il diritto e l?integrità morale debbano illuminare la strada, volevamo una conferenza contro il razzismo, condivisa anche dal resto del mondo,

Mantovano: "L'Europa dia più fondi all'Italia" ( da "Giornale.it, Il" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: dobbiamo pure subire le cialtronerie del Commissario per i diritti umani del Consiglio d?Europa, Thomas Hammarberg, che racconta cose non vere sulla situazione degli immigrati nel nostro Paese». Quanto contano agli occhi della Ue le polemiche e le critiche dell?opposizione? «Pesano molto. Noi tutti, maggioranza ed opposizione, dovremmo essere orgogliosi di quanto l?

I protagonisti La passerella degli ipocriti: Cuba e Libia insegnano i diritti umani ( da "Giornale.it, Il" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Alla terza interruzione e con l'accusa di «uscire dal tema» (i diritti umani) l'ambasciatrice ha passato la parola nientemeno che al delegato libico censurando la denuncia. Presidente del Consiglio per i diritti umani, uno delle costole dell'Onu, che di più si è battuta per Durban II, è invece dallo scorso anno il cubano Miguel Alfonso Martinez.

Censura Per i giornali di Teheran lo show è stato ( da "Giornale.it, Il" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: ha tentato di «lanciare un oggetto» contro il presidente che, nonostante i tentativi di sabotaggio, è stato incitato a proseguire dai 4.500 rappresentanti di Ong e da numerosi attivisti per i diritti umani che lo hanno ripetutamente applaudito. © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

Cheney difende le torture della Cia ( da "Stampaweb, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: tecniche che critici in tutto il mondo hanno descritto spesso con il termine tortura. Secondo The New York Times, una delle tecniche più atroci, il water-boarding (annegamento simulato), sarebbe stata utilizzata fino a 266 volte su due presunti membri di al Qaida.

Ahmadinejad: "Razzisti sono i sionisti" ( da "Stampaweb, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay. «Dichiarazioni inaccettabili», scandiscono i 23 Paesi dell?Unione europea che hanno lasciato l?assemblea per protesta contro le affermazioni del presidente iraniano, ma non la Conferenza: perché - sottolineano in 22, dopo l?

Kabul e il silenzio delle femministe ( da "Corriere.it" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Oggi le femministe in molti Paesi mu­sulmani stanno spesso attente a dire che Islam e diritti umani sono conciliabili, per ottenere legittimità e sperando di raffor­zare i moderati. Chi le appoggia davvero all'estero fa lo stesso. E' una strategia. Funzionerà? Non so. Forse solo nel breve pe­riodo ». Viviana Mazza stampa |

Conferenza sul razzismo. Ahmadinejad attacca israele. I rappresentati dell'Europa lasciano la sala ( da "AmericaOggi Online" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Navi Pillay che avevano aperto in mattinata i lavori della Conferenza. Il segretario generale ha deplorato l'uso della piattaforma dell'Onu per "accusare, dividere e incitaré all'odio. Anche Pillay ha criticato l'intervento del leader iraniano, ma la "migliore replica è di rispondere e correggere,

Fallimento annunciato. Razzismo/La Conferenza bloccata dai veti e dai compromessi ( da "AmericaOggi Online" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: nuovi e vecchi blocchi e alleanze condizionano le risoluzioni che spesso hanno poco a che vedere con la tutela dei diritti umani. Tuttavia, è all'interno di quest'organismo, più che in un'ennesima conferenza controversa, che si dovrà tentare di trovare un minimo comun denominatore per definire il concetto di "diritti umani " e per staccarli dagli interessi particolari.

Durban II: solo i timori antisemiti dietro il boicottaggio? ( da "Articolo21.com" del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: a non avallare politiche migratorie incompatibili con il rispetto dei diritti umani... si fa appello alle parternership da stabilire con i paesi di proveninenza o di transito ma sempre purchè si rispettino i diritti succitati ( forse il patto bilaterale con la Libia stretto dall'Italia non rientrerebbe in una simile definizione).

Israele: "Ahmadinejad nuovo Hitler" Onu, approvata dichiarazione sui diritti umani ( da "Repubblica.it" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: dei diritti delle donne, della tratta degli esseri umani, degli ammalati di Aids e delle persone handicappate", sottolinea. Il Vaticano. La Santa Sede, afferma una nota diffusa dalla sala stampa, "deplora l'utilizzazione del forum dell'Onu sul razzismo per assumere posizioni politiche, estremiste e offensive,

Quanti ostacoli per un'azione anti-razzismo dell'Onu ( da "Arena, L'" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: incentrata sui diritti umani. L'estremismo del leader dell'Iran non è nuovo. Ma hanno fatto discutere anche i veti della Russia, della Cina o anche degli Stati Uniti su specifici fatti di violazione di alcuni diritti fondamentali. Il fatto è che attorno al tema dei diritti umani vi è certamente consonanza nel mondo occidentale.

torture, vittoria liberal: "sì alle incriminazioni" ( da "Repubblica, La" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: America meno sicura" Torture, vittoria liberal: "Sì alle incriminazioni" DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Gli avvocati dell´amministrazione Bush che hanno dato il via libera alle «tecniche brutali» di interrogatorio usate dagli agenti della Cia contro i terroristi di Al Qaeda catturati dagli Usa, potrebbero rischiare l´incriminazione.

LIBRI Gli orti felici Luciana Littizzetto e Paolo Pejrone improvvisano alle 18,30 un Due... ( da "Stampa, La" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Teatro Espace via Mantova 38 CINEMA Diritti umani Per il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, alle 20,30 proiezione del film «Stories on Human Rights». Gratuito. Unione Industriale, via Fanti 17 Flores Alle 21,15 il film «Signori professori» di Maura Delpero, diventa occasione per approfondire il tema «La scuola malata: insegnanti allo sbaraglio»

"la francia ha fatto bene ad andare anche così si contrasta il razzismo" - anais ginori ( da "Repubblica, La" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: sottosegretario al ministero degli Esteri per i diritti umani, è uno dei personaggi politici più popolari del momento. I francesi apprezzano la schiettezza e una certa dose di ribellione di questa giovane donna nata in Senegal 33 anni fa. Perché la Francia ha deciso di rimanere alla conferenza anche dopo le dichiarazioni di Ahmadinejad?

approvata in tutta fretta la dichiarazione finale il vaticano: "passi avanti" ( da "Repubblica, La" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: aperte nuove prospettive per i diritti umani Approvata in tutta fretta la Dichiarazione finale il Vaticano: "Passi avanti" GINEVRA - Grazie anche al discorso di Ahmadinejad, il vertice Onu di Ginevra sul razzismo ieri ha accelerato i suoi lavori: i delegati hanno approvato la Dichiarazione Finale, che era stata scritta e negoziata da giorni.

mosca, scarcerata la legale dei nemici di putin - leonardo coen ( da "Repubblica, La" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Il no di quei giudici scatenò l´indignazione dei difensori dei diritti umani e dell´opinione pubblica: la compagna di scuola Olga Kalashnikova scrisse a Medvedev una lettera aperta che finì poi sul sito www. bakhmina. ru. Nel giro di poche settimane vennero raccolte 90mila firme. Il Cremlino rimase sordo a ogni appello.

Razzismo, intesa all'Onu (in anticipo) ( da "Corriere della Sera" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Navi Pillay, alto commissario per i Diritti umani, assicura che la fretta non nasce dalla paura di altre defezioni. La conferenza sul razzismo è stata boicottata da dieci Paesi (tra cui Stati Uniti, Israele e Italia) e «sono gli unici a non aver adottato il testo». Chi è rimasto, ha detto sì.

Caccia ai gay a Baghdad ( da "Sole 24 Ore, Il" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: MONDO data: 2009-04-22 - pag: 10 autore: Diritti umani Caccia ai gay a Baghdad Braccati. I loro nomi affissi sui muri, come pericolosi ricercati. E sotto, la scritta «cagne sarete giustiziate». Sono solo "jarwa", in arabo cagna. Li torturano, li seviziano e poi abbandonano i cadaveri davanti agli ospedali o nelle strade.

Obama apre alle indagini sulle torture degli agenti Cia ( da "Sole 24 Ore, Il" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Obama apre alle indagini sulle torture degli agenti Cia Mario Platero NEW YORK. Dal nostro corrispondente Barack Obama ci ha ripensato: non si potrà escludere la formazione di una commissione di inchiesta o di un processo speciale contro coloro che hanno formulato gli ordini e fornito il contesto giuridico per autorizzare le torture sui sospetti di terrorismo detenuti dalla Cia.

Teatro itinerante nelle periferie ( da "Sole 24 Ore, Il" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: esperienza Rosa nel suo futuro vedeva un lavoro per un'organizzazione di diritti umani. In mente aveva Amnesty international. Poi però «ho capito che avrei potuto usare il teatro per lavorare con i giovani e i bambini. è un teatro il mio che non si basa fortemente sul parlato, ma sulle figure e sulla fisicità che vanno al di là delle parole».

Hanno avuto torto gli assenti e i preveggenti ( da "Manifesto, Il" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: il paragrafo fa esplicito riferimento «ad una situazione molto specifica dell'Europa». Per Navi Pillay, l'Alta Commissaria per i diritti umani dell'Onu, la necessità di agire è chiara: «dal 2001 ad oggi la situazione dei gruppi più vulnerabili è solo peggiorata». Un'altra ragione per esserci. alberto d'argenzio

Obama apre la porta al processo alle torture ( da "Manifesto, Il" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: inchiesta sugli «interrogatori» Obama apre la porta al processo alle torture Matteo Bosco Bortolaso Il processo alle torture dell'era Bush si farà. Ieri il presidente Barack Obama ha aperto la porta all'idea di una commissione speciale per indagare - ed eventualmente punire - i responsabili di metodi di interrogatorio inumani.

I suicidi in carcere e l'etica della responsabilità ( da "Manifesto, Il" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Il Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio di Europa (Cpt), ha considerato la situazione di sovraffollamento in carcere, come «trattamento inumano e degradante». Tanto maggiore sarà la invivibilità quanto più si accompagnerà alle lunghe permanenze in cella, a fare della cella il luogo di una vita invivibile.

Obama non chiude con l'Iran Israele: Ahmadinejad è Hitler ( da "Unita, L'" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Onu per i diritti umani Navi Pillay. L'Alto commissario sottolinea che il testo approvato ricorda tra l'altro che l'Olocausto «non dovrà mai essere dimenticato». Per Pilay l'approvazione del testo è un successo. «Il fatto che il documento sia stato adottato da tutti gli Stati (membri dell'Onu) tranne nove è la nostra risposta,

Bolla come incredibili e false le accuse di Mahmoud Ahmadinejad a Israele. Nello stesso ... ( da "Unita, L'" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Onu per i diritti umani Navi Pillay. L'Alto commissario sottolinea che il testo approvato ricorda tra l'altro che l'Olocausto «non dovrà mai essere dimenticato». Per Pilay l'approvazione del testo è un successo. «Il fatto che il documento sia stato adottato da tutti gli Stati (membri dell'Onu) tranne nove è la nostra risposta,

I cento anni di Rita. Auguri! ( da "Unita, L'" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: IL COMPLEANNOLa senatrice a vita Rita Levi Montalcini compie oggi cento anni. Nota in tutto il mondo per aver vinto il Nobel per la Medicina nel 1986, la scienziata piemontese si batte da anni per i diritti umani e l'emancipazione femminile. Tanti auguri da «l'Unità».

La politica della paura che rende rigida l'Europa ( da "Unita, L'" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: è una questione che attiene ai diritti umani e alla difesa nazionale. Mentre proliferano rimedi new age di ogni sorta e si diffonde lo yoga planetario, la nostra sensibilità ha imboccato una strada che definisco da «medicina legale»: la «nuda vita», come sostiene Agamben, segna i confini liminali di una probabile privazione - infiniti gradi di avvicinamento alla morte.

Alla fine ufficiale del postmodernismo, nessuna concezione è più contestata di quella dell... ( da "Unita, L'" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: è una questione che attiene ai diritti umani e alla difesa nazionale. Mentre proliferano rimedi new age di ogni sorta e si diffonde lo yoga planetario, la nostra sensibilità ha imboccato una strada che definisco da «medicina legale»: la «nuda vita», come sostiene Agamben, segna i confini liminali di una probabile privazione - infiniti gradi di avvicinamento alla morte.

La Casa Bianca "Un'inchiesta sulle torture Cia" ( da "Stampa, La" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: inchiesta sulle torture Cia" FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Barack Obama apre all'ipotesi di istituire commissioni di inchiesta bipartisan per valutare l'operato dei funzionari dell'amministrazione Bush che diedero il via libera all'uso di metodi di interrogatorio al limite della tortura sui presunti affiliati alla rete terroristica di Al Qaeda.

Il rebus iraniano ( da "AprileOnline.info" del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: Nei delicatissimi rapporti futuri casi relativi ai diritti umani come quello della giornalista (o spia) iraniano-americana Roxana Saberi, condannata dopo un processo a porte chiuse a otto anni di carcere, costituiscono emblematici momenti che possono favorire avvicinamenti o decretare nuove fratture.

Cuneo, quattro lapidi per non dimenticare ( da "Stampa, La" del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: quattro lapidi per non dimenticare Nei luoghi della tortura e delle fucilazioni eseguite dai fascisti Colpi simili a picconate ci hanno costretti ad uscire in giardino per capire cos'era successo. I muri vibravano, sembrava un terremoto. Poi l'amara sorpresa: la targa di marmo che avevamo acquistato in onore dei partigiani che si rifocillavano nel nostro locale era in frantumi»

Anatomia di uno scandalo Parigi chiude la mostra-choc ( da "Stampa, La" del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: per ricercare con le autorità pubbliche francesi una soluzione che sia conforme ai diritti della inumazione». Esultano le due associazioni per la difesa dei diritti umani che hanno presentato la denuncia; perché secondo loro c'era il sospetto che i cadaveri siano in realtà di prigionieri e di condannati a morte venduti con losco traffico della stessa polizia cinese.

La memoria CONTRO IL MURO ( da "Manifesto, Il" del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: organizzazione per i diritti umani Yesh Din - di ordinare la restituzione di 13 ettari di terra del villaggio, dichiarati area chiusa dell'esercito all'inizio della seconda Intifada (2000) e trasformati in un parco dai coloni di Modiin Illit. Foto: RAMLE, GIOVANE ARABO-ISRAELIANA A UNA MOSTRA FOTOGRAFICA SUI MUSULMANI CHE SALVARONO VITE DI EBREI DURANTE L'

Piombo fuso, a Gaza 1417 morti a norma di legge ( da "Manifesto, Il" del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: incaricato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di condurre a Gaza una squadra d'investigatori - che Tel Aviv non collaborerà alla sua inchiesta. Ci sono poi le centinaia di denunce per «crimini di guerra» e «crimini contro l'umanità» messe sul tavolo del procuratore capo della Corte penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo,

Libri, cerimonie, tesi di laurea ( da "Corriere delle Alpi" del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: tesi di laurea Il corteo parte dalla caserma Tasso che fu luogo di tortura BELLUNO. Si terrà domani alle 18, nella sala Affreschi di Palazzo Piloni (e non in Auditorium, come indicato nell'invito), il primo appuntamento del programma di celebrazioni organizzate per la ricorrenza del 64º anniversario della Liberazione.

Usa, un dossier inchioda la Rice ( da "Corriere.it" del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: utilizzo di tortura negli interrogatori da parte di agenti americani si arricchisce di nuovi particolari e di una protagonista illustre, Condoleezza Rice. Nel luglio del 2002 la Rice, allora consigliere per la Sicurezza nazionale, approvò verbalmente la richiesta della Cia di utilizzare la tecnica del waterboarding (annegamento simulato)

"La Rice autorizzò le torture della Cia" ( da "Stampaweb, La" del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: utilizzo di tortura negli interrogatori da parte di agenti americani si arricchisce di nuovi particolari e di una protagonista illustre, Condoleezza Rice. Nel luglio del 2002 la Rice, allora consigliere per la Sicurezza nazionale, approvò verbalmente la richiesta della Cia di utilizzare la tecnica del waterboarding (annegamento simulato)

Una ong accusa: l'esercito messicano usa la tortura ( da "Stampaweb, La" del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani

Abstract: diritti umani (Cndh), un'ong messicana, ha denunciato l'utilizzo sistematico della tortura e di metodi disumani da parte dell'esercito messicano nella guerra contro i narcotrafficati alla frontiera con gli Stati Uniti. Secondo l'organizzazione, scrive il quotidiano spagnolo El Pais, le denunce di abusi sono in aumento da quando il presidente messicano Felipe CalderÓn ha mandato diecimila


Articoli

[FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Fame, insetti e annegamenti simulati. Questi e molti altri ... (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

[FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Fame, insetti e annegamenti simulati. Questi e molti altri sono gli strumenti utilizzati dalla Cia per ottenere informazioni da presunti terroristi affiliati ad al Qaeda e dai nemici combattenti degli Stati Uniti. I particolari degli interrogatori al limite della tortura sono stati resi pubblici con la divulgazione di quattro memo che portano in calce la firma dei funzionari del governo di George W. Bush. Una decisione voluta da Barack Obama ma che lo ha spinto sotto il fuoco incrociato di destra e sinistra. Sono una decina le tecniche approvate nei memo, il primo dei quali risale all'agosto del 2002 ed è siglato dal vice ministro della giustizia Jay Baybee, con l'obiettivo di «terrorizzare» il detenuto, come spiega una nota a piè di pagina. In quel caso il documento si riferiva ad Abu Zubaydah, affiliato di al Qaeda per il quale la Cia puntava in particolare sulla pratica numero nove, ovvero infilarlo in una scatola liberando al suo interno uno o più insetti. «Innocui», dice il memo, ma Zubaydah che «ha una forte paura degli insetti», non doveva saperlo. Da allora gli ordini si sono ripetuti altre tre volte, l'ultima delle quali reca la data del 10 maggio 2005 e la firma di Steven G. Bradbury, capo dell'ufficio di consulenza legale della Giustizia, ma le tecniche sono le stesse. Per causare «sconforto psicologico nel terrorista», si poteva denudarlo oppure usare la manipolazione dietetica sostituendo i cibi solidi con alimenti liquidi. C'erano poi il Walling, ovvero lo sbattere il prigioniero contro un muro simulando una sorta di scossa sismica, gli schiaffi in faccia con le dita della mano leggermente divaricate, da alternare agli schiaffi addominali, usando il dorso della mano sulla pancia. Il Wall Standing era una delle tecniche più raffinate dal punto di vista psico-fisico: si forzava il detenuto a stare in piedi con i piedi allargati, le braccia stese, le dita posate su un muro, senza permettergli di muoversi fino a quando cede o il fisico o i nervi. C'erano poi la privazione del sonno e il Water Dousing, ovvero getti di aria fredda sul corpo. Un posto particolare infine lo occupava il Waterboarding - acqua sul volto coperto da un panno sul detenuto che veniva steso sulla schiena con la testa in basso - la tecnica più famigerata e più usata per la sua efficacia. Il «panico da annegamento», secondo il memorandum non infliggeva gravi dolori, sofferenze o danni fisici, ma «funzionava bene». Sono almeno quattordici i prigionieri sui quali sono state sperimentate queste tecniche, singolarmente o combinate, perché considerati più pericolosi e in possesso di informazioni cruciali. Obama tuttavia conferma l'immunità agli agenti della Cia, ma solo se non sono andati oltre le disposizioni previste nei memo. «Sei come Bush», è l'accusa che le associazioni liberal rivolgono al presidente considerato per questo un «complice» dei torturatori. Ma a far fuoco su Obama sono anche gli ex funzionari del governo repubblicano come l'ex capo della Cia, Michael Hayden, e l'ex segretario alla Giustizia, Michael Mukasey, che lo accusano di «aiutare i terroristi facendo conoscere le nostre tecniche» e «di creare un clima di sfiducia istituzionale simile a quello che indebolì l'intelligence prima dell'11 settembre».

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[FIRMA]EMANUELE NOVAZIO ROMA A meno di cambiamenti dell'ultima ora nella bozza di risoluz... (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

[FIRMA]EMANUELE NOVAZIO ROMA A meno di cambiamenti dell'ultima ora nella bozza di risoluzione finale, sulla quale il comitato preparatorio ha trovato un'intesa ieri sera, l'Italia continuerà a boicottare la Conferenza Onu sul razzismo che si aprirà lunedì a Ginevra, la cosiddetta «Durban 2». Le condizioni per una nostra presenza «ancora non ci sono» - conferma Franco Frattini - nonostante i cambiamenti intervenuti grazie alla mediazione russa dopo un duro intervento italiano, il mese scorso. Secondo il ministro degli Esteri la bozza contiene troppi riferimenti al documento conclusivo di «Durban 1», la Conferenza svoltasi nella città sudafricana nel 2001: in particolare, Roma denuncia la presenza di «inaccettabili» elementi antisemiti e razzisti nella parte che riguarda l'Olocausto, la mancanza di «garanzie significative» alla libertà di espressione, e lo spazio all'incitamento all'odio interrazziale e religioso. Anche se - precisa Frattini - «siamo impegnati con i colleghi europei fino all'ultima ora», l'Italia mantiene dunque «un atteggiamento di disimpegno anche dal negoziato». Come Stati Uniti, Canada e Israele. A Roma si teme inoltre «il clima della Conferenza». In particolare, confidano fonti diplomatiche, «preoccupa» l'annunciata partecipazione di Ahmadinejad: il presidente iraniano potrebbe approfittare della tribuna Onu per lanciare nuovi proclami antisemiti e anti-israeliani. Secondo indiscrezioni non smentite da Berlino, anche la Germania non sarà presente. Forti dubbi hanno Gran Bretagna, Olanda e Danimarca, mentre le posizioni di Spagna e Francia sono più possibiliste. Parigi, in particolare, ieri sembrava orientata a un sì: «L'ho sempre pensato: partecipiamo per batterci in favore dei nostri valori, per difendere la lotta al razzismo, l'uguaglianza fra uomo e donna, contro le discriminazioni», ha dichiarato il segretario di Stato per i diritti umani Rama Yade. Finora, soltanto 40 Paesi su oltre 160 hanno confermato la loro presenza alla Conferenza, che si chiuderà il 24. Secondo un portavoce del Dipartimento di Stato americano, tuttavia, gli Stati Uniti potrebbero rivedere la propria posizione se i «timori restanti fossero cancellati» e ci si accordasse su un «testo sostenibile»: secondo il Washington Post, Obama deciderà solo all'ultimo momento. Altre fonti americane sottolineano l'importante operazione di lobby di numerose Ong, secondo le quali «gli Usa devono unirsi alla lotta globale contro il razzismo, una battaglia che l'amministrazione Bush ha abbandonato». Ieri l'Alto commissario Onu per i diritti umani, Navanethem Pillay, ha lanciato un appello ai Paesi membri perchè «superino le divergenze e trovino un consenso». Anche il Consiglio d'Europa ha invitato a un «approccio costruttivo» in nome della lotta al razzismo, alla xenofobia e all'intolleranza. Ma l'incertezza durerà fino all'ultimo.

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Immunità Cia, critiche su Obama (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere delle Alpi" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

dal corrispondente Andrea Visconti Immunità Cia, critiche su Obama Torture Usa: fuoco incrociato sulla decisione del presidente NEW YORK. Sono soprattutto i liberal e i progressisti americani ad avere accolto con scetticismo la decisione del presidente Barack Obama di garantire l'immunità agli agenti della Cia responsabili di avere torturato presunti terroristi di Al Qaeda. La sinistra ha criticato il presidente degli Stati Uniti per avere lanciato un messaggio contraddittorio: da una parte dice no alle torture e si impegna a chiudere questo capitolo nero della recente storia americana. Dall'altra fa andare impunite le persone stesse che sono ricorse a privazione del sonno, docce gelate, sensazione di affogamento e umiliazione per far parlare prigionieri presi in Afghanistan o Iraq che potrebbero avere avuto informazioni sulla rete del terrore che fa capo a Bin Laden. Dietro alla decisione ambigua di Obama c'è stato una sorta di patteggiamento con la Cia: la Casa Bianca avrebbe reso pubblici i memorandum dell'amministrazione Bush relativi alle torture dei prigionieri ma in cambio si sarebbe impegnato a non mettere sotto processo gli agenti della Cia. Secondo Obama questi ultimi non stavano facendo altro che eseguire gli ordini. Come dimostrano i memorandum resi pubblici questa settimana erano stati i più alti vertici del dipartimento della giustizia a dare l'okay a metodi di interrogatori inaccettabili. Torture così pesanti che il New York Times ricordava che dopo la Seconda Guerra Mondiale gli americani misero sotto processo i giapponesi per essere ricorsi agli stessi metodi usati dagli Usa sessant'anni dopo. «Gli agenti della Cia facevano il loro dovere contando in buona fede sulle rassicurazioni legali che ricevevano dal dipartimento di Giustizia», ha detto il capo della Casa Bianca impegnandosi a fare luce su quali furono le circostanze che portarono a ricorrere a metodi di tortura. «Si deve fare luce su come e perché furono prese quelle decisioni e chi prese la decisione finale di autorizzare l'uso di tecniche di interrogatorio in violazione delle leggi americane e internazionali». Che gli agenti della Cia sotto Bush fossero ricorsi al waterboarding, cioè la sensazione di affogamento del prigioniero, era già venuto fuori. Ma ora si apprende di altri tipi di tortura. Uno di questi è l'uso di insetti per terrorizzare il detenuto chiuso in uno scatolone. Un'altra forma di tortura è la privazione del sonno fino a undici giorni consecutivi con gli aguzzini che non appena il prigioniero accenna ad addormentarsi lo svegliano. Emerge anche l'uso di canne che spruzzano acqua gelata. Tutti metodi che secondo il ministro della Giustizia di Bush fu legale impiegare fra il 2002 e il 2005. Ma l'inchiesta per fare luce su quegli anni non si ferma qui. La Casa Bianca intende chiarire se anche la National Security Agency (l'agenzia di controspionaggio) si è resa responsabile di dare il via libera a metodi di tortura. Obama ha promesso grande trasparenza ma allo stesso tempo si muove con cautela per evitare critiche dalla destra di mettere a rischio in questo modo la sicurezza nazionale.

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Razzismo, l'Italia fuori dal vertice (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere delle Alpi" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Razzismo, l'Italia fuori dal vertice L'Onu cerca un compromesso, ma c'è poco tempo GINEVRA. Compromesso a Ginevra sulla bozza di dichiarazione finale della Conferenza mondiale sul razzismo (Durban II). In extremis, i delegati - mancano gli Stati Uniti, l'Italia, il Canada e Israele - hanno raggiunto un accordo sul testo da trasmettere «per esame e adozione» alla Conferenza sul razzismo, in programma dal 20 al 24 aprile prossimi a Ginevra. La bozza di dichiarazione è stata sostanzialmente ripulita dai principali punti di discordia, in particolare la stigmatizzazione di Israele e la diffamazione delle religioni. Il testo ora deve essere esaminata dalla capitali, ed in particolare dai Paesi europei e dagli Usa che devono ancora pronunciarsi sulla loro partecipazione all'evento. Italia e Stati Uniti (che si erano già ritirati dai lavori preparatori della Conferenza), Israele e Canada (che hanno da tempo annunciato che boicotteranno l'evento) non hanno partecipato ai lavori del comitato preparatorio. Frutto di un difficile compromesso la bozza di dichiarazione è stata negoziata fino all'ultimo: «sono molto felice di annunciarvi la decisione del Comitato preparatorio di trasmettere il documento alla Conferenza per esame ed adozione», ha annunciato ieri in serata l'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani Navi Pillay. «Non è stato facile, ma è importante che i delegati abbiano raggiunto un'intesa sulle questioni chiave», ha aggiunto. L'Alto commissario si è detta convinta che il documento non sarà rimesso in causa dalla Conferenza. Pillay ha inoltre espresso l'auspicio di un'ampia partecipazione dei Paesi alla Conferenza. Ma a 48 ore dell'evento molti Paesi non hanno ancora fatto sapere se saranno presenti. Anche il livello di partecipazione è all'esame ed il numero di ministri attesi è per ora fermo a 32. E' stata invece confermata la presenza a Ginevra del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, noto per i virulenti attacchi verbali a Israele. Il progetto di dichiarazione ribadisce l'impegno a «prevenire, combattere e debellare il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l'intolleranza», ma riafferma la Dichiarazione e il piano d'azione approvati a Durban nel 2001, in occasione della Conferenza dell'Onu contro il razzismo (Durban I), una riaffermazione osteggiata dagli Usa che avevano abbandonato insieme a Israele la conferenza del 2001 per i toni antisemiti. Le organizzazioni di difesa dei diritti umani Human Rights Watch (Hrw) e Federazione internazionale della Lega dei diritti umani (Fidh), hanno esortato ieri i Paesi a partecipare alla Conferenza.

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Raul Castro, sì al dialogo ma a parità di condizioni (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere delle Alpi" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il presidente cubano pronto a trattare con gli Stati Uniti Raul Castro, sì al dialogo ma a parità di condizioni L'AVANA. Il presidente cubano Raul Castro è disponibile a dialogare con gli Stati Uniti di democrazia, libertà e diritti umani e qualunque altro tema, compreso lo scambio di prigionieri, purchè a parità di condizioni. «Abbiamo mandato a dire al governo nordamericano, in privato e in pubblico, che quando loro vorranno, potremo discutere tutto», ha detto Castro. Già nel dicembre scorso, durante una visita ufficiale in Brasile, il presidente cubano aveva lasciato capire che era disposto a scambiare con Barack Obama i prigionieri dissidenti rinchiusi nelle carceri dell'isola, in cambio dei «cinque eroi» dell'Avana, gli agenti cubani detenuti negli Stati Uniti. «Se vogliono i dissidenti, li mandiamo domani, con le famiglie e tutto, però devono restituirci i nostri cinque eroi», aveva detto alludendo a Gerardo Hernandez, Rene Gonzalez, Antonio Guerrero, Ramon Labaino e Fernando Gonzalez, arrestati in Florida il 12 settembre 1998. Il presidente cubano ha detto che il dialogo con gli Stati Uniti deve avvenire»in eguaglianza di condizioni, senza la benchè minima violazione al diritto all'autodeterminazione del popolo cubano».

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L'Iran di Delara attesa dal boia Scrivo sull'onda della mia commozione per aver ... (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

L'Iran di Delara attesa dal boia Scrivo sull'onda della mia commozione per aver appena letto della morte che sta per ghermire Delara Darabi, iraniana di 23 anni, che sarà impiccata fra poche ore. Possiamo fare qualcosa per lei? Se dobbiamo parlare di diritti umani forse val la pena ogni tanto di alzare la testa dalle questioni di casa nostra. Per favore, dopo tante discussioni sulle donne, potete mantenere aperta una campagna per questa ragazzina? MARILISA TREVI, CUNEO Non so se a questo punto si possa fare più niente per questa ragazzina, come la chiama lei. Nel 2003, a 17 anni, Delara Darabi partecipò a una rapina a casa della cugina del padre, con quello che allora era il suo fidanzato. La cugina, 58 anni, fu pugnalata a morte. Delara si dichiarò colpevole per coprire - ha detto più tardi - il fidanzato: sperava che, essendo lei minorenne, non sarebbe stata condannata a morte. Fu il padre a consegnarla alla polizia. È stata condannata a morte per omicidio nel 2005, e il verdetto è stato confermato dalla Corte Suprema nel 2007. Nella prigione di Rasht, dove vive da anni, c'è un bagno per 100 persone, le visite sono limitatissime. Delara si è tagliata le vene nel 2007. L'hanno salvata. Ora è alla vigilia della esecuzione. L'Iran è il secondo Paese dopo la Cina per numero di esecuzioni. In ogni caso, come sottolineano le associazioni per i diritti umani, la condanna a morte di una minorenne in sé viola le leggi internazionali. L'anno scorso è stato l'unico Paese a mandare a morte dei minorenni: almeno 8; quest'anno un ragazzo 17enne. Ci sono poi in attesa 150 bambini nel braccio della morte. La pena capitale può essere revocata se i parenti della vittima accettano del denaro in cambio della vita del condannato: nel caso di Delara si tratta della sua famiglia allargata, ma hanno rifiutato Vorrei ricordare anche un'altra donna in carcere in Iran, accusata di spionaggio. È Roxana Saberi, iraniana-americana, di 31 anni, da sei in Iran, dove ha lavorato per diverse testate giornalistiche internazionali. Secondo le autorità iraniane la donna lavorava «illegalmente» nel Paese e ha continuato anche dopo che il governo le aveva ritirato il tesserino giornalistico. Non è un caso isolato. Almeno 14 giornalisti sono stati incarcerati in Iran e 34 testate sono state messe al bando nell'ultimo anno (concluso il 20 marzo) secondo un rapporto dell'Associazione dei giornalisti iraniani di cui dà notizia il quotidiano riformista «Sarmayeh». Il rapporto non cita i nomi dei giornalisti né quelli delle testate. Secondo questa stessa fonte, ci sono altre 30 testate sotto processo ma non hanno perso l'autorizzazione a pubblicare, e altre 39 sono sotto inchiesta. Anche l'Associazione è oggetto di pressioni da parte del governo; il ministero del Lavoro iraniano ha recentemente affermato che non ha l'autorizzazione per condurre le sue attività. Sono sotto controllo anche i siti Internet e le agenzie di stampa.

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"un conflitto con uno stato sovrano è un colpo al dialogo con i laici" - michele smargiassi (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Pagina 7 - Esteri Parla Padre Enzo Bianchi: a volte l´intransigenza cattolica può alimentare l´anticlericalismo "Un conflitto con uno Stato sovrano è un colpo al dialogo con i laici" Spesso noi credenti fatichiamo a spiegarci sui temi dell´etica. Ma qui vedo una sordità precostituita MICHELE SMARGIASSI «I "giorni cattivi" del dialogo diventano più cattivi�». Non è il momento giusto per parlare con padre Enzo Bianchi del suo ultimo libro, Per un´etica condivisa, lamento sull´agonia del dialogo tra credenti e non, ma anche profezia della sua rinascita. «Quando il conflitto si istituzionalizza a questi livelli, tra Vaticano e stati sovrani, rischia di non chiudersi più», sospira deluso il priore della comunità di Bose. «Spesso noi cattolici fatichiamo a spiegarci. Ma qui vedo una sordità precostituita. Il discorso del papa sull´Aids era colmo di intenzioni umanizzanti. Ma ormai quando la Chiesa parla di etica le orecchie si chiudono automaticamente». Per la verità il suo libro sembra un monito ai credenti più che ai laici. «Essendo cattolico, sento la responsabilità di rendere un servizio di verità ai cattolici. Del resto tendere la mano per primi, senza garanzia di ricambio, a noi è dato come un dovere». Però lei sembra attribuire ai cattolici la responsabilità prima dei litigi, ai laici soprattutto "falli di reazione". «Nei due ultimi decenni molti cattolici con forte senso di militanza - non la Chiesa in sé � hanno cercato di imporre le proprie opzioni attraverso l´occupazione dello spazio pubblico. La reazione è stata un´onda di anticlericalismo che, confermo, è sempre una reazione a un clericalismo percepito come intransigente e irrispettoso. A sua volta, l´anticlericalismo alimenta le intransigenze cattoliche, e il circolo vizioso finisce in chiasso e barbarie». Eppure la Chiesa italiana dialoga volentieri con la classe politica al governo. «E´ seducente l´offerta del potere: un patto fondato sulla "religione civile" da imporre con le leggi. Il Cristianesimo nacque eversivo, poi spesso accettò il patto. Oggi però questa scelta è pericolosa per la sopravvivenza stessa del Cristianesimo: negli Usa, dove la religione civile è in pieno vigore, non si sa a chi si riferiscono i politici quando invocano Dio. Per fortuna, da noi questa prospettiva è ormai perdente». Ne è sicuro? Nel caso Englaro la Chiesa ha invocato leggi per imporre la propria visione dell´uomo. «Conoscendo cosa si muove nelle chiese locali, nelle comunità, so che le aspettative dei credenti sono diverse: che la Chiesa non si appiattisca più sul neo-liberismo, prenda le distanze da chi la usa come strumento, si cali nella storia con lo spirito dello "straniero pellegrino", cosciente di essere una fertile minoranza». Non sembra che le gerarchie abbiano elaborato il lutto da egemonia perduta. «Accettare di essere minoranza è necessario come elaborare un lutto. Dopo, puoi raggiungere persone che non appartengono alla tua tradizione, e averle con te in un percorso di umanizzazione sociale». Ma quanta strada possono fare assieme credenti e non? Don Milani avvertì l´amico ateo: non ti fidare di me, un giorno io ti tradirò� «Non non è detto che accada, o che il tradimento sia così drammatico. Certo, parlando di Cristo, resurrezione e vita eterna, è ovvio che io e l´ateo ci divideremo, ma non significa distruggere il cammino fatto assieme». I "valori non negoziabili" non sono il limite dell´"etica condivisa"? «Ogni dialogo ha limiti, ma se parliamo di diritti umani, siamo ben lontani dall´averli raggiunti. Ora dobbiamo tutti accettare i metodi che possiede la democrazia per giungere alle decisioni. Possono uscirne scelte non condivise, ma accettabili. Per quelle non accettabili, il cristiano sa da sempre che può invocare il diritto di dire non possumus». L´obiezione di coscienza non è un grimaldello per scardinare decisioni democratiche? «No, se chi la invoca mette in conto di pagare per la sua "eversione", per il diritto di dire di no alla polis in certi particolari casi. Accettandone le conseguenze, dimostrerà di non avere altri interessi oltre la coscienza e la verità». Vale anche quando la Chiesa invita a boicottare un referendum? Capitò con la legge 40, può accadere di nuovo sul testamento biologico. «L´iniziativa fu di alcune componenti ecclesiali, più che della Chiesa come tale. In ogni caso, queste battaglie devono farle i credenti come cittadini, non i vescovi. Le figure rappresentative della Chiesa devono fermarsi sulla soglia del pre-politico». Ai cattolici lei chiede di abbandonare il vittimismo. Agli "ateologi autodidatti", cosa chiede? «Di abbandonare una lettura vecchia e comoda della Chiesa, in cui il male è la fede e non il suo uso nella storia. E di smettere il tentativo di renderci ridicoli. E´ un obiettivo poco onesto: si abbassa arbitrariamente il bersaglio per colpirlo meglio. Chi deforma non ascolta, chi non ascolta non capisce che c´è già una Chiesa che sa declinare l´insegnamento di Cristo nell´arena della polis». Cosa succede se l´etica non si condivide? Tra i due litiganti, chi gode? «Il potere, è ovvio. Ad ogni potere fa piacere veder sperperare una profezia di speranza. Ogni potere cerca di evitare sinergie tra buone volontà. Se continuiamo a non ascoltarci, il potere ce ne sarà grato».

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Fra Cuba e Usa è scoccata l'ora del dialogo (sezione: Diritti umani)

( da "Arena, L'" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Sabato 18 Aprile 2009 NAZIONALE Pagina 6 WASHINGTON. Torture Cia, critiche a Obama Fra Cuba e Usa è scoccata l'ora del dialogo Raul Castro: «Disponibili a parlare di diritti umani» PORT OF SPAIN Barack Obama arriva al Vertice delle Americhe, a Trinidad, seguito dalle polemiche per il suo ennesimo gesto rivoluzionario: la pubblicazione dei memoriali sull'uso della tortura negli anni di Bush, la promessa di bandire quelle tecniche e al tempo stesso l'assoluzione degli agenti e militari che hanno operato. L'equilibrio del presidente attira strali da sponde opposte. Le organizzazioni per i diritti umani criticano il perdono per i torturatori, e la mancata nomina di un magistrato indipendente che indaghi sull'intera vicenda. Dall'altra, l'ex capo della Cia, Michael Hayden, e l'ex procuratore generale, Michael Mukasey, lo accusano di «legarsi le mani nella guerra al terrorismo». Quanto al «caso cubano», la posizione di Obama è anche qui equilibrata. Revoca dell'embargo graduale e commisurata ai progressi e ai segnali di cambiamento che arrivano dall'Avana. Ma i leader dell'America Latina riuniti a Trinidad chiedono la fine immediata del blocco. «Vogliamo essere aperti nei confronti di Cuba e impegnarci per una nuova fase dei rapporti», ha detto Obama. Immediata la risposta di Raul Castro, presidente cubano: «Abbiamo detto al governo americano, in pubblico e in privato, che siamo aperti al dialogo su tutto, compresi i diritti umani, la libertà di stampa e i prigionieri politici». E il segretario di stato Hillary Clinton sottolinea subito «le aperture» di Castro, ammettendo anche che la «vecchia politica Usa», quella dell'embargo, «ha fallito». Mentre il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, ha detto che «vi sono azioni che il governo cubano può adottare se vuole avviare un dialogo con il governo Usa», come il rilascio dei prigionieri politici e più libertà ai media.  

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L'isola inumana nel rapporto di Msf (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

LA DENUNCIA Detenuti malati e denutriti L'isola «inumana» nel rapporto di Msf Alberto D'Argenzio BRUXELLES Sovraffollamento, sporcizia, cibo inadeguato, mancanza di indumenti ed epidemie difficilmente controllabili, le condizioni di vita nei tre centri di detenzioni per migranti di Malta sono «inaccettabili ed inumane». Lo dice Medici senza frontiere nel rapporto Not Criminals presentato ieri a Bruxelles, 32 pagine in cui non si trova spazio per i dubbi e tanto meno per i giri di parole nella descrizione del quotidiano dei migranti che lasciano dietro di loro l'Africa e hanno la sorte di approdare nel piccolo Stato mediterraneo. A Lyster Barracks, Safi e Ta'kandja, centri in cui Msf lavora dall'agosto 2008, la situazione è «sconvolgente», assicura la Ong, con degli standard di vita che minano la «salute fisica e mentale» dei migranti. Se è vero che le condizioni di accoglienza sono «terribili», è anche vero che non sembrano per nulla casuali. «La politica di detenzione sistematica - assicura il rapporto di Msf - mira a dissuadere le persone dall'entrare irregolarmente nel territorio». Un ragionamento che è alla base anche della trasformazione, voluta da Roberto Maroni, di Lampedusa da un luogo di transito a un'isola di confinamento ed espulsione dei migranti. Un ragionamento miope. Il caso di Malta insegna infatti insegna come, pur inasprendo le condizioni di accoglienza e rafforzando le politiche di contrasto al traffico di esseri umani, il flusso migratorio non accenni per nulla ad arrestarsi e nemmeno a ridursi. Nel 2008, dice il rapporto, ci sono stati 2.704 arrivi nel piccolo stato mediterraneo, contro i 1.694 registrati nel 2007. La tendenza al rialzo viene confermata in questo inizio di 2009, con 759 persone giunte a Malta tra gennaio e febbraio, praticamente tutti salpati dalle coste libiche, ma il più delle volte provenienti dal Corno d'Africa, in sostanza in fuga dall'instabilità, dalla violenza, dalle persecuzioni e, solo nel migliore dei casi, unicamente dalla fame. Il 60% dei migranti giunti negli ultimi sei mesi, dice Msf, proviene infatti da «paesi colpiti da conflitti o segnati da profonde violazioni dei diritti umani», come Somalia (la metà del totale), Eritrea, Sudan e Nigeria. A poco più della metà degli arrivati, lo stato garantisce protezione umanitaria, mentre lo status di rifugiato viene concesso solo con il contagocce: appena allo 0,52% del totale. Comunque sia, indipendentemente dalla condizione giuridica a cui aspirano e a cui avrebbero diritto, tutti i migranti sono obbligati a rimanere per mesi e mesi nei centri di detenzione. La legge maltese prevede infatti fin dal 2005 la detenzione con durata massima 18 mesi, un tetto diventato europeo (per quanto non obbligatoriamente) con la direttiva ritorno approvata l'anno scorso dai 27. Il problema è che nel caso maltese la lunga detenzione si somma a condizioni di vita «inumane», tali da rendere «frustrante» il lavoro di medico, assicura Philippa Farrugia di Msf. La testimonianza di una donna eritrea, contenuta nel rapporto, si apre con l'indicativo titolo «Da una prigione a una prigione a una prigione», in cui l'ultima è quella maltese che le ha creato problemi gastrici, cardiaci e psicologici. Solo dopo un collasso e la detenzione di 20 giorni in un ospedale psichiatrico, questa donna scappata dalla carcere e dalla schiavitù in Eritrea è stata trasferita in uno dei due centri aperti organizzati dal governo maltese. Secondo Msf solo il 32% dei migranti giunti dall'agosto scorso gode di buona salute, agli altri sono stati rilevati problemi respiratori, gastrici, dermatologici, mentali, infezioni e traumi. Il 38% si ammala durante il viaggio, per le condizioni della traversata, la scarsità di cibo ed il freddo, ma poi vengono le condizioni inumane rilevate nei centri che favoriscono il propagarsi di infezioni, come la scabbia, gastroenteriti ed infezioni respiratorie, tra cui la tubercolosi, e determinano il sorgere di diversi problemi psicologici. Eppure, il governo ha assicurato a più riprese che gli standard di trattamento nei centri sono «buoni».

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Obama, ovvero dell'incoerenza e dell' oblio (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

COMMENTO > Obama, ovvero dell'incoerenza e dell' oblio Atilio Borón Nel suo messaggio diffuso ai quattro venti in vista del vertice di Trinidad e Tobago, il presidente Barack Obama ha fatto sapere come secondo lui si potrà arrivare a un futuro migliore per le Americhe. Si tratta di una visione sorprendente per la sua notevole incoerenza interna, al di là delle critiche per la sua molto unilaterale concezione su ciò che sarebbe buono o cattivo per questa nostra parte di mondo. Nel suo scritto Obama esorta i governi della regione a non continuare a «impelagarsi sui triti dibattiti del passato» e a guardare il futuro. Aggiunge anche che il rapporto fra Usa e Cuba è l'esempio di un dibattito «che non riesce a uscire dal secolo XX». Ha ragione. Però per la delusione di un lettore speranzoso, nell'ultimo paragrafo del suo messaggio si conferma una volta di più il giudizio che «la tradizione di tutte le generazioni morte opprime come un incubo il cervello dei vivi», secondo le parole del filosofo di Treviri a proposito di Luigi Bonaparte. E' quella tradizione delle generazioni morte che porta Obama a ricadere nella retorica della guerra fredda e ad affermare la necessità che i governi della regione si pieghino ai suoi sforzi per «appoggiare la libertà, l'eguaglianza e i diritti umani di tutti i cubani». Che pretenda di dar lezioni di uguaglianza un governante che guida la società più diseguale e ingiusta del mondo sviluppato e che priva circa 50 milioni di suoi cittadini dell'accesso alla salute; o che parlino di diritti umani quelli che hanno reso legale la tortura e sono stati gli attori protagonisti o di spalla delle maggiori violazioni dei diritti umani del secolo XX, dimostra che né la buona memoria né la coerenza argomentativa sono arrivate alla Casa bianca. La sua esortazione a guardare al futuro Obama dovrebbe dirigerla a se stesso, inviando al museo delle antichità un discorso anti-cubano proprio della metà del secolo XX, che lo mette in ridicolo agli occhi del mondo intero. * Politologo e sociologo argentino

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Tortura, Obama svela le carte E tutti si arrabbiano (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

USA Furiosa la Cia. Critici i liberal per l'amnistia decretata per gli agenti responsabili Tortura, Obama svela le carte E tutti si arrabbiano Marco d'Eramo Ieri il presidente degli Stati uniti Barack Obama ha ordinato la diffusione di quattro memorandum sulla legalità delle tecniche di tortura che il ministero della giustizia aveva preparato durante l'amministrazione Bush su richiesta della Central Intelligence Agency (Cia). I quattro documenti risalgono uno al 2002 e tre al 2005. La pubblicazione avviene dopo una fiera opposizione da parte della Cia. I testi dettagliano almeno quattordici tecniche di «interrogatorio spinto», tra cui: strattonamento, sbattere il soggetto contro la parete (walling), immobilizzazione facciale, sberle, reclusione in uno spazio angusto senza possibilità di alzarsi, privazione del sonno (fino a 11 giorni consecutivi), privazione del cibo, porre in una cella d'isolamento insetti ritenuti pericolosi dal detenuto, e naturalmente il waterboarding, così descritto: «L'individuo è legato saldamente a una panca inclinata, di circa 1,2 per 2,1 metri. I piedi dell'individuo sono in genere in alto. Un panno è posto sul viso e sugli occhi. Quindi l'acqua è applicata al panno in modo controllato ... produce la percezione 'di soffocamento e incipiente panico'». Il walling implicava l'uso di un collare di plastica per sbattere i sospetti contro una parete appositamente costruita che, secondo la Cia, faceva sembrare l'impatto peggiore di quanto fosse. Da notare che, dopo la seconda guerra mondiale, i prigionieri giapponesi furono condannati per crimini di guerra per avere usato alcune di queste tecniche d'interrogatorio. Secondo il consigliere speciale della Casa bianca, David Axelrod, Obama ha soppesato per un mese i pro e i contro prima di approvare la pubblicazione di questi documenti, che ha subito suscitato reazioni estreme. «Atto irresponsabile» che dà via libera ai terroristi, secondo esponenti della passata amministrazione repubblicana. Per il senatore democratico del Vermont Pat Lehay, presidente della commissione Giustizia del senato, le rivelazioni di questi memorandum rendono urgente una commissione d'inchiesta sugli eccessi e gli abusi nella «guerra al terrore», idea che Obama rifiuta con l'argomento che «non si guadagnerà nulla a spendere tempo ed energia a addossare colpe per il passato». La Cia si è opposta allo stremo alla pubblicazione, nel timore che le rivelazioni possano far incriminare i suoi agenti e anche i suoi dirigenti. Il malcontento nell'agenzia di spionaggio deve essere stato fortissimo se alla pubblicazione si è opposto persino il nuovo direttore della Cia, quel Leon Panetta che Obama aveva scelto proprio contro il mondo dell'intelligence e proprio perché non poteva scegliere un direttore «interno» che fosse contrario all'uso della tortura. Obama si trova quindi in una situazione assai delicata, poiché il suo futuro politico (e fisico) è messo in pericolo da un muro contro muro col mondo dello spionaggio statunitense. Per questo motivo, Obama ha subito dichiarato che non sarà incriminato nessun agente Cia che abbia agito in base al parere degli avvocati di stato: «Rendendo pubblici questi memorandum è nostra intenzione assicurare coloro che hanno assolto ai propri doveri basandosi in buona fede sul parere legale del ministero della Giustizia che non saranno perseguiti». Quest'affermazione ha subito suscitato indignazione nella base liberal del presidente. Il direttore esecutivo dell'American Civil Liberties Union, Anthony Romero, ha detto: «È semplicemente insostenibile l'affermazione del presidente Obama secondo cui non dovrebbero essere incriminati funzionari che possono aver commesso crimini». Obama sembra così aver fatto il pieno dello scontento, da destra per aver reso pubbliche le nefandezze dell'era Bush, da sinistra per aver graziato i torturatori. In realtà, Obama ha lasciato aperta la possibilità di accusare non tanto gli agenti, quanto gli avvocati che hanno fornito base legale alla tortura. E la posizione del presidente sull'argomento sembra chiara: segno ne sarebbe, secondo il New York Times, la scarsissima censura che hanno subito i testi diffusi prima della loro pubblicazione. Da più parti infatti si continua a chiedere che sia processato l'ex ministro della giustizia di Gorge Bush, Alberto Gonzales che era stato l'ispiratore di tutti i beneplaciti alla tortura. Foto: TORTURE AD ABU GHRAIB /FOTO AP

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L'unico sospetto: Costretto a confessare (sezione: Diritti umani)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-04-18 - pag: 10 autore: ATTENTATI IN INDIA L'unico sospetto: «Costretto a confessare» Il principale sospettato degli attentati terroristici di Mumbai ha ritrattato la confessione. Nel processo per le stragi, l'avvocato del pachistano Mohammed Ajmal Amir Qasab (21 anni)ha affermato che l'ammissione di colpa gli è stata strappata dalla polizia con la tortura. Qasab, l'unico sospetto sopravvissuto, è accusato di essere responsabile dell'assassinio di 166 persone nel procedimento che si è aperto ieri dopo numerosi rinvii procedurali. L'ultimo, giovedì, quando il primo legale dell'imputato è stato sollevato dall'incarico con l'accusa di aver accettato di rappresentare anche una delle vittime. Qasab, che rischia la pena di morte, è stato arrestato e incarcerato il giorno stesso degli attacchi e deve sostenere anche il capo d'imputazione di atti di guerra contro l'India. In apertura di udienza, il pubblico ministero, Ujwal Nikam, ha sostenuto che gli attentati dello scorso novembre fanno parte di una cospirazione nata in Pakistan per destabilizzare l'India. Negli attacchi sono rimaste uccise più di 170 persone, inclusi nove terroristi. Alla sbarra ci sono anche due indiani, accusati di aver fatto da avanguardie per gli attacchi e di appartenere al gruppo Lashkar-e-Taiba, un'organizzazione terroristica con base in Pakistan.

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Durban II, l'Italia conferma il no (sezione: Diritti umani)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-04-18 - pag: 11 autore: Conferenza Onu sul razzismo. Preparata una nuova bozza di testo, però a Ginevra si rischia il fallimento Durban II, l'Italia conferma il no Paesi Ue in ordine sparso ma pronti al boicottaggio, sì del Vaticano Carlo Marroni ROMA Sembra avviarsi al fallimento prima ancora di iniziare. La seconda conferenza Onu sul razzismo e xenofobia che partirà a Ginevra lunedì prossimo, detta Durban II, vedrà il boicottaggio dei Paesi europei (anche se una linea ufficiale Ue ancora non è stata espressa e le varie posizioni emergono in maniera del tutto scollegata), oltre che di Usa e Canada. E naturalmente di Israele: gli attacchi diretti e indiretti allo Stato ebraico sono al centro di una protesta dei paesi occidentali senza precedenti per una conferenza dell'Onu. Ieri l'Italia ha confermato la decisione "politica" di non andare all'appuntamento, mentre al Palazzo delle Nazioni di Ginevra - sede europea dell'Onu - si continua a trattare a livello diplomatico: ieri sera è stata approvata una nuova bozza che, secondo alcune fonti, potrebbe ammorbidire le posizioni europee, ferme su una linea di condanna di un documento giudicato in linea con la contestata conferenza di Durban, in Sudafrica, del 2001. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini ha confermato ieri che il Governo ritiene che «non vi siano le condizioni per rientrare nel negoziato». Nel corso di una conferenza stampa a Roma sulla minaccia nucleare, Frattini ha spiegato di averne parlato con i colleghi di Gran Bretagna, Francia, Germania, Danimarca e Olanda e di aver tenuto fermo il punto sulle «conclusioni inaccettabili » di Durban I, soprattutto in riferimento all'Olocausto e alla «libertà di espressione, che non è sufficientemente garantita». Il capo della diplomazia italiana ha assicurato che resta «impegnato con i colleghi europei fino all'ultima ora per possibili modifiche » nella bozza, ma ha aggiunto che «non vi sono ad oggi le condizioni per rientrare nel negoziato ». Intanto ieri il quotidiano Die Welt ha riferito che anche il Governo tedesco sarebbe intenzionato a non partecipare: sarebbe la prima volta che Berlino disdetta la sua presenza a una conferenza delle Nazioni Unite, anche se un portavoce del ministero degli Esteri ha spiegato che la decisione ufficiale deve ancora essere presa. Ma è certo che «senza il rispetto delle cosiddette linee rosse una partecipazione non sarà possibile ». In particolare il ministero degli Esteri tedesco respinge prese di posizione unilaterali contro Israele e l'Occidente. Anche la Francia è orientata a non partecipare, come emerso dalle dichiarazioni del viceministro per i diritti umani, Rama Yade. La Santa Sede conferma che parteciperà alla Conferenza: «L'ultimo versione della bozza è decisamente migliorativa rispetto a quella di due giorni fa - ha dichiarato il nunzio apostolico presso l'Onu di Ginevra, monsignor Silvano Maria Tomasi - è certamente un documento su cui non tutti possono essere pienamente d'accordo, ma può rappresentare un punto da cui partire per discutere. L'obiettivo è parlare di razzismo per condannarlo, e con il boicottaggio non può essere perseguito». A Ginevra insomma si continua a trattare. Una nuova bozza di dichiarazione finale (di 143 paragrafi) è stata scritta ieri sera dal Comitato preparatorio - di cui l'Italia non fa parte dal 5 marzo- e subito inoltrata alle cancellerie: domani sera si riunirà anche il gruppo dei rappresentanti diplomatici dei 27 Paesi europei (per l'Italia l'ambasciatore Giovanni Caracciolo) per la decisione finale, che al momento appare scontata. Tre giorni fa era uscita un'altra bozza, che è stata continuamente cambiata, soprattutto per le pressioni dei Paesi islamici, tra cui l'Iran (tra l'altro il presidente Mahmoud Ahmadinejad sarà a Ginevra). «Sono molto felice di annunciarvi la decisione del Comitato preparatorio di trasmettere il documento alla Conferenza per esame ed adozione», ha annunciato ottimista ieri sera l'Alto commissario dell'Onu per idiritti umani Navi Pillay. La realtà è che non si può parlare di accordo, e restano i punti di contrasto: il richiamo a Durban I (dove il documento finale approvato all'unanimità tra l'altro definiva Israele «Stato razzista»), la diffamazione religiosa (giudicata contro la libertà di espressione, ma questo passaggio sarebbe stato tolto nell'ultima versione), la permanenza del riferimento esplicito alla Shoa in uno specifico paragrafo e il capitolo in cui si parla di presenza militare in "territori occupati" (chiaro il riferimento a Israele). Ad oggi soltanto 40 Paesi (su 160 attesi) hanno confermato la loro presenza. carlo.marroni@ilsole24ore.com © RIPRODUZIONE RISERVATA L'ULTIMO COMPROMESSO Nel documento rimarrebbe il riferimento alla Shoah, non la diffamazione religiosa, interpretata come un limite alla libertà di espressione Anche Parigi resta critica. Il vice ministro francese per i Diritti umani Rama Yade

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Canone Rai promosso anchea Strasburgo (sezione: Diritti umani)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-04-18 - pag: 28 autore: Diritti umani Canone Rai promosso anchea Strasburgo Samantha Agrò Si infrange contro una decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo la speranza degli italiani che vorrebbero smettere di pagare il canone Rai. Ieri, all'unanimità, i giudici di Strasburgo hanno ri-gettato, ritenendolo «palesemente infondato», il ricorso di un cittadino italiano che, non volendo più pagare l'abbonamento per il servizio pubblico, si è visto sigillare in una busta di plastica il televisore dalla Guardia di Finanza. Non avendo la possibilità di ricorrere in Italia, l'uomo si è rivolto alla Corte di Strasburgo: ha sostenuto che, nel rendere inutilizzabile la sua televisione, le autorità italiane hanno violato tre articoli della Convenzione europea dei diritti dell'uomo: l'articolo 10, che sancisce il diritto all'informazione; l'8, che impone il rispetto per la vita privata, violato, secondo il ricorrente, quando la guardia di Finanza è entrata in casa sua, e l'articolo 1 del primo protocollo, che garantisce la protezione della proprietà privata. Le misure adottate delle autorità italiane sono sì «un'ingerenza nei diritti del ricorrente » ma - spiega la Corte hanno «perseguito un obiettivo legittimo: persuadere gli individui a pagare una tassa ». In base agli articoli 1 e 10 del Regio decreto n.246 del 21 febbraio 1938, il cittadino italiano era ed è tenuto a pagare il canone Rai anche se non desidera più guardare la televisione pubblica (è una tassa dovuta per il solo fatto di possedere una televisione). L'ammontare dell'abbonamento, definito ragionevole, è «un contributo a un servizio per la comunità». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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torture, polemiche sul "perdono" di obama (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Pagina 15 - Esteri Torture, polemiche sul "perdono" di Obama La destra: "Folle pubblicare le carte di Bush". E da sinistra: "No all´amnistia" Il capo della Cia, Leon Panetta, aveva cercato di dissuadere il presidente DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Critiche da destra e da sinistra, il plauso (con qualche distinguo) dei media, la richiesta di una commissione d´inchiesta del Senato. La decisione di Barack Obama di pubblicare i memo sulle "tecniche di tortura" usate dall´Intelligence Usa nella guerra al terrorismo e la scelta di garantire l´immunità agli agenti della Cia coinvolti negli interrogatori, ha provocato una pioggia di reazioni. Il nuovo capo della Cia Leon Panetta si era opposto fino all´ultimo alla decisione, e contro la scelta di Obama di rendere pubblici i documenti dell´amministrazione Bush si era schierato anche Dennis Blair, direttore dell´Intelligence. Di diverso avviso Patrick Leahy, il democratico che guida la commisisone Giustizia del Senato, che ha rinnovato la richiesta di una commissione d´inchiesta indipendente che possa garantire l´immunità a chi accetta di collaborare. Ricevendo dalla casa Bianca un altro no. Gli uomini di George Bush e i blog della destra conservatrice si ritrovano accomunati negli attacchi alla Casa Bianca con i leader dell´American Civil Liberties Union, loro nemici giurati, e con Amnesty International. Ovviamente con motivazioni molto diverse. Obama «si lega le mani nella guerra al terrorismo», scrivono sul Wall Street Journal Michael Hayden (capo della Cia dal 2006 al 2009) e Michael Mukasey (ministro della Giustizia dal 2007 al 2009): «La pubblicazione non era necessaria dal punto di vista legale ed è stata poco saggia dal punto di vista politico: il suo effetto sarà di evocare quella forma di paura istituzionale che indebolì le operazioni dell´Intelligence prima dell´11 settembre». Di tono opposto le critiche delle organizzazioni per i diritti umani, che contestano alla Casa Bianca l´assenza di azioni legali nei confronti di chi ha autorizzato le tecniche di tortura. L´Aclu, che aveva iniziato il procedimento legale per ottenere la pubblicazione dei documenti, chiede ora ad Obama di nominare un procuratore speciale che indaghi sui responsabili degli ordini dati all´Intelligence: «I memorandum forniscono la prova irrefutabile che responsabili dell´amministrazione Bush hanno autorizzato e dato la benedizione legale ad atti di tortura che violano le leggi internazionali e nazionali». Dello stesso tenore il Center for Constitutional Rights e Amnesty International: «Il ministero della Giustizia offre un lasciapassare gratis per la libertà a persone che secondo lo stesso ministro Eric Holder sono coinvolte in atti di tortura». (a.f.d´a.)

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"ha paura degli insetti chiudetelo in uno scatolone e metteteci dentro un bruco" - alberto flores d'arcais (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Pagina 15 - Esteri Le istruzioni dell´intelligence per le torture ai prigionieri "Ha paura degli insetti chiudetelo in uno scatolone e metteteci dentro un bruco" "Il prigioniero viene chiuso al buio in un container di un metro: così perderà i sensi" "Nudità totale fino a quando le temperature e la salute del detenuto lo permettono" ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato new york - «Volete chiudere Zubaydah, uno dei membri più importanti dell´organizzazione terroristica Al Qaeda, rannicchiato in uno scatolone con dentro un insetto. Ci avete informato che lui sembra avere paura degli insetti e in particolare volete dirgli che lo chiuderete con un insetto pronto a pungerlo, anche se in realtà sarà un insetto innocuo, ad esempio un bruco». E´ questo uno dei passi del memorandum (1 agosto 2002) con cui Jay Baybee, vice ministro della Giustizia della Casa Bianca di Bush, autorizza John Rizzo - facente funzione di avvocato generale della Central Intelligence Agency - a dare il via libera agli agenti della Cia per usare dieci diversi tipi di «interrogatori pesanti» contro Zubaydah e altri uomini di Bin Laden catturati dopo l´11 settembre 2001. I memo descrivono queste tecniche in modo diffuso e dettagliato (in totale 80 pagine). Per costringere Zubaydah a parlare il «memo» - il primo dei quattro resi pubblici - elenca con dovizia di particolari tutte e dieci le «tecniche» autorizzate. Dalle più classiche come la privazione del sonno (il detenuto «viene incatenato in piedi con le mani davanti al corpo per impedirgli di addormentarsi», si consiglia di usarla solo per «periodi limitati»), la nudità totale («fino a quando le temperature e la sua salute lo permettono»), l´isolamento («il detenuto viene chiuso in un container di circa un metro per due di altezza, al buio, in modo che perda i sensi») fino al tristemente famoso «waterboarding», l´annegamento simulato con il detenuto «legato su un piano inclinato con il naso e la bocca coperti» mentre gli viene versata acqua attraverso un panno creando «un panico da soffocamento». Tecnica considerata dagli organismi internazionali una vera e propria tortura anche se secondo il memorandum «non infligge danni fisici o mentali, come hanno dimostrato i nostri agenti che sono stati addestrati a resistere a queste metodi». La sensazione dell´annegamento, spiega il documento, «cessa immediatamente quando viene rimosso il panno, quindi la procedura potrà essere ripetuta». Ogni sessione non potrà però durare «più di due ore» e l´acqua potrà essere «per un totale non superiore ai dodici minuti ogni ventiquattro ore». Limitazioni sono previste anche per la privazione del sonno, usata «su una dozzina di detenuti per 48 ore, su tre detenuti per 96 ore e su uno per un massimo di 180 ore». Altre tecniche usate dagli agenti della Cia sono quelle dello «schiaffo addominale» - il detenuto viene colpito a intervalli regolari con il dorso della mano - che ha «maggiore effetto se viene combinato» con il «wall standing»: il detenuto viene appoggiato con le mani aperte contro un muro con i piedi a circa un metro e mezzo, in modo che «tutto il peso del corpo venga tenuto dalle dita». Si tratta di una «fatica muscolare prolungata che non può essere definita sofferenza». Diverso invece il «walling», dove il "muro" è «finto e flessibile». Il detenuto viene spinto brutalmente contro questa falsa parete «per creare un rumore assordante e scioccarlo». Può essere usata «una volta» oppure «da venti a trenta quando si vuole ottenere una risposta più precisa alle domande». Gli altri tre memo sono tutti del 2005, quando già erano scoppiati scandali tipo Abu Grahib e sui giornali americani iniziavano ad uscire (con cautela) alcuni documenti riservati di Cia e Pentagono sugli interrogatori. Nell´ultimo (30 maggio 2005) al solito John Rizzo - nel frattempo diventato vice avvocato generale della Cia - il Dipartimento di Giustizia spiega perché gli «interrogatori pesanti» non rientrino tra le pratiche di tortura vietate dall´articolo 16 della Convenzione di Ginevra. «L´uso di queste tecniche, soggetto ai criteri di attento controllo della Cia e alle limitazioni mediche, è coerente con i doveri cui sono tenuti gli Stati Uniti dall´articolo 16. Questo articolo riguarda ciò che avviene all´interno dei territori degli Stati Uniti o dove gli Stati Uniti esercitano una giurisdizione come autorità di governo de facto. Basandoci sulle assicurazioni della Cia riteniamo che questi interrogatori non hanno luogo in nessuna di queste aree. Pertanto il divieto dell´articolo 16 non é applicabile».

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raul tende la mano a obama "cuba pronta a trattare su tutto" - alberto flores d'arcais (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Pagina 16 - Esteri Raul tende la mano a Obama "Cuba pronta a trattare su tutto" Oggi il vertice delle Americhe. Hillary: la nostra una politica fallimentare Anche senza i leader dell´Avana, i rapporti tra gli Stati Uniti e lo storico avversario saranno al centro del summit ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - Raul Castro apre all´America - «Siamo disposti a parlare su tutto, anche sui diritti umani» - e la Casa Bianca risponde positivamente: «Prendiamo molto sul serio le sue parole». Poche ore prima dell´arrivo di Barack Obama a Port of Spain, la capitale di Trinidad & Tobago dove si svolge il vertice delle Americhe, il leader cubano - che al summit è il grande assente - è riuscito a mettere Cuba al primo posto dell´agenda. Lo ha fatto da Cumana, cittadina costiera del Venezuela, il Paese dell´amico Chavez, che si trova a poche decine di miglia da Trinidad e dove si è recato in concomitanza del vertice proprio per fare sentire il fiato sul collo ai capi di Stato latino-americani. «Abbiamo mandato a dire al governo nordamericano, in privato e in pubblico, che quando loro vorranno potremo discutere tutto: diritti umani, libertà di stampa, prigionieri politici, qualunque cosa, qualunque cosa di cui vogliano parlare». Una risposta alle dichiarazioni che Obama aveva fatto giovedì in Messico («Prima di prendere nuove misure vediamo se anche Cuba è pronta a cambiare») manifestando qualche dubbio sulla possibilità che ciò possa avvenire in tempi stretti: «Non ci aspettiamo da parte loro che cambino dall´oggi al domani, non sarebbe realistico». Colta di sorpresa dal colpo di scena di Raul, la Casa Bianca ha affidato una pronta (e positiva) risposta al Segretario di Stato. Da Santo Domingo (anche per lei tappa di avvicinamento al vertice) Hillary Clinton ha «accolto positivamente» le parole del "sub lider maximo" ricodando come «il dialogo sia strumento per la pace, la prosperità e il progresso. Abbiamo visto i commenti del presidente Raul Castro e salutiamo le sue dichiarazioni e l´apertura che rappresentano. Stiamo studiando molto seriamente quella che sarà la nostra risposta». Non sarà facile. I fratelli Castro (Fidel ha una sorta di tutela "ideologica" nei confronti di Raul) sanno che Obama alla Casa Bianca può rappresentare lo sdoganamento di Cuba con il "comunismo caraibico" ancora in vita, un risultato che sarebbe propagandato (in questo caso con una certa ragione) come una vittoria del David latino-americano contro il Golia imperialista dopo cinquant´anni di guerra fredda e di embargo. In cambio, però, devono cedere sul terreno delle libertà fondamentali (diritti umani, stampa, prigionieri politici) dando una sterzata che potrebbe compromettere l´esistenza stessa dell´attuale regime. Sarà, almeno inizialmente, un dialogo di piccoli passi, ma il fatto stesso che Raul Castro abbia nominato i «prigionieri politici» (Cuba non ha mai ammesso di averne) è un segnale più che incoraggiante. Al centro del dialogo resta aperta la questione decisiva per i cubani, quella dell´embargo. Hillary Clinton ha ripetuto ieri - come aveva fatto anche Obama - le parole pronunciate ad inizio anno dal senatore repubblicano Richard Lugar («Dopo cinquanta anni possiamo dire che l´embargo è stato un fallimento») e ha detto che «continuiamo a cercare strade più produttive da seguire perché per il presidente Obama, per me e per la nostra amministrazione l´attuale politica su Cuba è fallimentare». A Port of Spain Obama non incontrerà Chavez, ma altri leader latino-americani si faranno carico di portare sul tavolo il dossier su Cuba. Alcuni paesi del gruppo Alba (Alternativa Bolivariana para America Latina y el Caribe), Venezuela, Nicaragua, Bolivia e Honduras hanno già fatto sapere che intendono bloccare la dichiarazione finale del vertice di Trinidad & Tobago («non dà risposte alla crisi globale ed esclude Cuba», ha detto Chavez) ed anche il presidente brasiliano Lula, pur con toni molto diversi, ha fatto sapere alla Casa Bianca che intende cogliere l´occasione offerta dal vertice delle Americhe per chiedere la fine dell´embargo.

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Impunità ai torturatori Cia Obama delude sui diritti (sezione: Diritti umani)

( da "Unita, L'" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Impunità ai torturatori Cia Obama delude sui diritti UMBERTO DE GIOVANNANGELI La «luna di miele» rischia di consumarsi sulle torture «impunite» della Cia. Fuoco incrociato su Barack Obama dopo la pubblicazione dei memorandum sulle torture permesse alla Cia di George W. Bush sugli uomini di Al Qaeda Il presidente degli Stati Uniti è stato criticato da destra, per aver svelato nei dettagli i metodi brutali usati negli interrogatori, e da sinistra, per aver garantito l'immunità agli 007 che «in buona fede» li hanno posti in atto. Il capo dell'intelligence nazionale Dennis Blair ha risposto alla raffica di critiche affermando che gli Stati Uniti »non utilizzeranno più queste tecniche in futuro. Ma sono determinati a difendere quanti si sono conformati alle direttive«. E lo stesso Obama non ha raccolto le accuse di aver scagionato chi, obbedendo agli ordini, ha eseguito atti che la sua stessa amministrazione ha giudicato »una pagina buia e dolorosa« nella storia d'America: »È gente che ha fatto il proprio dovere». CRITICHE INCROCIATE A sparare a zero su Obama per l'immunità agli agenti della Cia sono state le organizzazioni per i diritti umani: «Il Dipartimento della Giustizia offre l'impunità a individui che, secondo lo stesso ministro della giustizia Eric Holder, hanno torturato prigionieri», ha protestato Larry Cox di Amnesty, International, mentre Anthony Romero della Aclu (l'associazione libertaria American Civil Liberties Union) ha chiesto a Obama di affidare a un magistrato indipendente il compito di indagare e possibilmente ottenere il rinvio a giudizio di chi ha autorizzato e posto in atto metodi di tortura. Di tono opposto ma egualmente accese sono state le polemiche da destra: Obama »si lega le mani nella guerra al terrorismo», hanno sostenuto sul Wall Street Journal l'ex capo della Cia di Bush Michael Hayden e l'ex Attorney General della passata amministrazione Michael Mukasey. «La pubblicazione di queste opinioni non era necessaria dal punto di vista legale ed è stata poco saggia dal punto di vista politico: il suo effetto sarà di invitare quella forma di paura istituzionale di recriminazioni che indebolì le operazioni dell'intelligence prima dell'11 settembre«, hanno scritto Hayden, al timone dell'agenzia di Langley dal 2006 al 2009, e Mukasey, alla Giustizia dal 2007 all'insediamento di Holder. Presi nel loro insieme i quattro memorandum gettano luce non solo sui metodi della Cia ma sugli sforzi del Dipartimento della Giustizia di giustificarli alla luce del diritto nazionale e internazionale. Passaggi sulla nudità forzata, le docce gelate e le percosse si alternano con discettazioni giuridiche sulla Convenzione Internazionale contro la Tortura. OPERAZIONE TRASPARENZA I documenti sono stati resi pubblici con pochissime censure, segno che Obama ha preso le distanze dalle richieste della Cia di mantenere segreti i dettagli degli interrogatori. Lo stesso capo della Cia della nuova amministrazione, Leon Panetta, aveva sostenuto che, rivelando queste informazioni, si sarebbe creato un precedente per future pubblicazioni di metodi di raccolta dell'intelligence. e informazioni riservate vengono normalmente protette per ragioni di sicurezza, ma ho deciso di pubblicare questi memorandum perché credo fortemente nella trasparenza e nella responsabilità». Un sostegno «condizionato» a Obama viene dal Washington Post. Il giornale sottolinea come Obama abbia agito in modo «saggio e coraggioso» sulla questione, da una parte «perdonando gli agenti governativi che possono aver commesso atroci crimini perché gli era stato detto che era legale, ma dall'altro segnalando che queste azioni non saranno mai più perdonate dagli Stati Uniti». La decisione di non incriminare gli agenti non deve essere però un colpo di spugna, aggiunge il quotidiano di Washington che sottolinea come anzi debba «incoraggiare inchieste sulle circostanze che hanno portato a queste torture». «Si deve fare più luce - conclude il Post - su come le decisioni siano state prese e perché - e c'è bisogno di più informazioni su chi abbia preso la decisione finale per autorizzare l'uso di tecniche di interrogatorio che per molto tempo sono state considerate una tortura ed una violazione delle leggi americane ed internazionali». Le pratiche della vergogna rese pubbliche. Ma al prezzo di una impunità per chi le aveva praticate su ordine superiore. È la doppia scelta di Barack Obama. Al centro la Cia e la «guerra al terrorismo» di George W. Bush.

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Insetti Tra le dieci tecniche di interrogatorio svelate dai memorandum uno prevedeva che il prigioni... (sezione: Diritti umani)

( da "Unita, L'" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Insetti Tra le dieci tecniche di interrogatorio svelate dai memorandum uno prevedeva che il prigioniero venisse chiuso in una scatola in cui poi sarebbero stati immessi insetti. Waterboarding simula l'annegamento quando il detenuto è legato su un piano inclinato e un panno bagnato gli viene passato sulla faccia coprendo naso e bocca in modo da creare «panico da soffocamento». La sensazione dell'annegamento cessa immediatamente quando viene rimosso il panno. La procedura può essere ripetuta», si legge nel memorandum del 2002. Privazione del sonno tra le altre tecniche di tortura, oltre alla privazione del sonno, le posizioni scomode, gli schiaffi in faccia e l'uso dei cani come «pressione psicologica» verso il presunto jihadista. A ciò vanno aggiunte le minaccia di esecuzione sommaria, la negazione di cibo, acqua e degli anestetici se sono feriti.

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La luna di miele rischia di consumarsi sulle torture impunite della Cia. Fuo... (sezione: Diritti umani)

( da "Unita, L'" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

La «luna di miele» rischia di consumarsi sulle torture «impunite» della Cia. Fuoco incrociato su Barack Obama dopo la pubblicazione dei memorandum sulle torture permesse alla Cia di George W. Bush sugli uomini di Al Qaeda Il presidente degli Stati Uniti è stato criticato da destra, per aver svelato nei dettagli i metodi brutali usati negli interrogatori, e da sinistra, per aver garantito l'immunità agli 007 che «in buona fede» li hanno posti in atto. Il capo dell'intelligence nazionale Dennis Blair ha risposto alla raffica di critiche affermando che gli Stati Uniti »non utilizzeranno più queste tecniche in futuro. Ma sono determinati a difendere quanti si sono conformati alle direttive«. E lo stesso Obama non ha raccolto le accuse di aver scagionato chi, obbedendo agli ordini, ha eseguito atti che la sua stessa amministrazione ha giudicato »una pagina buia e dolorosa« nella storia d'America: »È gente che ha fatto il proprio dovere». CRITICHE INCROCIATE A sparare a zero su Obama per l'immunità agli agenti della Cia sono state le organizzazioni per i diritti umani: «Il Dipartimento della Giustizia offre l'impunità a individui che, secondo lo stesso ministro della giustizia Eric Holder, hanno torturato prigionieri», ha protestato Larry Cox di Amnesty, International, mentre Anthony Romero della Aclu (l'associazione libertaria American Civil Liberties Union) ha chiesto a Obama di affidare a un magistrato indipendente il compito di indagare e possibilmente ottenere il rinvio a giudizio di chi ha autorizzato e posto in atto metodi di tortura. Di tono opposto ma egualmente accese sono state le polemiche da destra: Obama »si lega le mani nella guerra al terrorismo», hanno sostenuto sul Wall Street Journal l'ex capo della Cia di Bush Michael Hayden e l'ex Attorney General della passata amministrazione Michael Mukasey. «La pubblicazione di queste opinioni non era necessaria dal punto di vista legale ed è stata poco saggia dal punto di vista politico: il suo effetto sarà di invitare quella forma di paura istituzionale di recriminazioni che indebolì le operazioni dell'intelligence prima dell'11 settembre«, hanno scritto Hayden, al timone dell'agenzia di Langley dal 2006 al 2009, e Mukasey, alla Giustizia dal 2007 all'insediamento di Holder. Presi nel loro insieme i quattro memorandum gettano luce non solo sui metodi della Cia ma sugli sforzi del Dipartimento della Giustizia di giustificarli alla luce del diritto nazionale e internazionale. Passaggi sulla nudità forzata, le docce gelate e le percosse si alternano con discettazioni giuridiche sulla Convenzione Internazionale contro la Tortura. OPERAZIONE TRASPARENZA I documenti sono stati resi pubblici con pochissime censure, segno che Obama ha preso le distanze dalle richieste della Cia di mantenere segreti i dettagli degli interrogatori. Lo stesso capo della Cia della nuova amministrazione, Leon Panetta, aveva sostenuto che, rivelando queste informazioni, si sarebbe creato un precedente per future pubblicazioni di metodi di raccolta dell'intelligence. e informazioni riservate vengono normalmente protette per ragioni di sicurezza, ma ho deciso di pubblicare questi memorandum perché credo fortemente nella trasparenza e nella responsabilità». Un sostegno «condizionato» a Obama viene dal Washington Post. Il giornale sottolinea come Obama abbia agito in modo «saggio e coraggioso» sulla questione, da una parte «perdonando gli agenti governativi che possono aver commesso atroci crimini perché gli era stato detto che era legale, ma dall'altro segnalando che queste azioni non saranno mai più perdonate dagli Stati Uniti». La decisione di non incriminare gli agenti non deve essere però un colpo di spugna, aggiunge il quotidiano di Washington che sottolinea come anzi debba «incoraggiare inchieste sulle circostanze che hanno portato a queste torture». «Si deve fare più luce - conclude il Post - su come le decisioni siano state prese e perché - e c'è bisogno di più informazioni su chi abbia preso la decisione finale per autorizzare l'uso di tecniche di interrogatorio che per molto tempo sono state considerate una tortura ed una violazione delle leggi americane ed internazionali».

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Cuba agli Usa: discutiamo anche di diritti umani (sezione: Diritti umani)

( da "Unita, L'" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Cuba agli Usa: discutiamo anche di diritti umani Prove di disgelo tra l'Avana e Washington. Poche ore prima dell'avvio a Trinidad e Tobago del vertice delle Americhe, Raul Castro ha accolto positivamente le misure annunciate su Cuba dal capo della Casa Bianca Barack Obama, precisando di essere pronto a parlare «su tutto», anche sui «diritti umani». Parole subito accolte molto positivamente dalla segretaria di Stato Usa Hillary Clinton, che ha sottolineato l'importanza di tali «aperture», ed ha aggiunto che sinora le politiche Usa verso Cuba «sono fallite». La dichiarazione del leader cubano rappresenta, di fatto, una risposta al presidente degli Stati Uniti, che giovedì durante una visita in Messico, aveva chiesto all'Avana un «gesto» di replica alle flessibilità annunciate lunedì dalla Casa Bianca nei rapporti Usa-Cuba. «Abbiamo detto al governo americano, in pubblico e in privato, che siamo aperti al dialogo su tutto, compresi i diritti umani, la libertà di stampa, i prigionieri politici», ha detto Castro a Cumanà, in Venezuela, durante un vertice organizzato dal presidente Hugo Chavez dei paesi Alba (Alternativa bolivariana per le Americhe), precisando che nessuno deve mettere in dubbio la «sovranità» di Cuba.

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Conferenza Onu sul razzismo il governo italiano verso un altro no (sezione: Diritti umani)

( da "Unita, L'" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Conferenza Onu sul razzismo il governo italiano verso un altro no U.D.G. Le condizioni per la partecipazione dell'Italia a Durban II «non ci sono». A soli tre giorni dall'apertura a Ginevra della conferenza Onu sul razzismo, il titolare della Farnesina Franco Frattini sembra non avere dubbi: la nuova bozza di dichiarazione finale contiene ancora punti «inaccettabili». Ma, anche se il tempo stringe, lascia ancora una porta aperta: «desideriamo -dice- una conferenza equilibrata e di successo e siamo impegnati con i colleghi europei fino all'ultim'ora». Si continua a lavorare, dunque, sulla nuova versione della bozza, la seconda, dopo il no di Israele e Canada, che boicotteranno l'evento, e il quasi «no» di Usa e Italia, che si sono ritirati dai lavori preparatori, ma non hanno escluso la loro partecipazione in caso di sostanziali modifiche al testo. E in serata da Ginevra viene inviata all'esame delle diverse cancellerie, non solo europee, una ulteriore versione della bozza di dichiarazione finale della Conferenza. TRATTATIVA AD OLTRANZA L'Italia, spiega Frattini «riteneva e ritiene inaccettabile» il «richiamo alle conclusioni della Conferenza Durban I», soprattutto in riferimento all'Olocausto, e la parte riguardante la libertà di espressione «non sufficientemente garantita». Per questo, ricorda il titolare della Farnesina, «l'Italia mantiene l'atteggiamento di disimpegno dal negoziato tenuto fino ad ora, come del resto hanno fatto anche gli Usa». Il nuovo testo ribadisce infatti l'impegno a «prevenire,combattere e debellare il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l'intolleranza», ma riafferma la Dichiarazione e il piano d'azione approvati a Durban nel 2001, in occasione della prima conferenza dell'Onu contro il razzismo, che gli Usa e Israele abbandonarono, denunciandone i toni antisemiti. Ad oggi, dunque, per Frattini «non ci sono le condizioni per un reimpegno dell'Italia nel negoziato», ma il lavoro prosegue. «Stamani (ieri, ndr.) -spiega- ho avuto colloqui telefonici con diversi colleghi europei». Ai ministri degli esteri inglese, francese, tedesco, danese e olandese, il titolare della Farnesina ha rappresentato i «dubbi italiani». E con loro intende lavorare «fino all'ultimo» per arrivare ad una modifica del testo. Modifica che in serata è arrivata anche se bisognerà vedere se passerà il vaglio dei Paesi che hanno annunciato la loro non partecipazione ai lavori di Ginevra. La bozza di dichiarazione finale non è antisemita e segna l'isolamento di Paesi come l'Iran nelle richieste più estremiste, sottolineano da Ginevra le organizzazioni di difesa dei diritti umani Human Rights Watch (Hrw) e Federazione internazionale della Lega dei diritti umani (Fidh), esortando i Paesi a partecipare alla Conferenza. Il documento, secondo le due organizzazioni, non contiene più riferimenti ad Israele ed anche il concetto di diffamazione delle religioni è stato eliminato. Il documento - secondo Hrw e Fidh non critica più gli stereotipi negativi delle religioni, ma gli stereotipi negativi di individui fondati sulla loro religione. È scontro aperto sulla Conferenza Onu. A Ginevra il comitato preparatorio licenzia una bozza di documento finale. A Roma, il titolare della Farnesina si mostra scettico. L'Europa si divide. Usa e Israele si chiamano fuori.

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NEW YORK - Fuoco incrociato su Barack Obama dopo la pubblicazione dei memorandum sulle torture permesse alla Cia di George W (sezione: Diritti umani)

( da "Adige, L'" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

NEW YORK - Fuoco incrociato su Barack Obama dopo la pubblicazione dei memorandum sulle torture permesse alla Cia di George W NEW YORK - Fuoco incrociato su Barack Obama dopo la pubblicazione dei memorandum sulle torture permesse alla Cia di George W. Bush sugli uomini di al Qaida. Il presidente degli Stati Uniti è stato criticato da destra, per aver svelato nei dettagli i metodi brutali usati negli interrogatori, e da sinistra, per aver garantito l'immunità agli 007 che «in buona fede» li hanno posti in atto. Il capo dell'intelligence nazionale Dennis Blair ha risposto alla raffica di critiche affermando che gli Stati Uniti «non utilizzeranno più queste tecniche in futuro. Ma sono determinati a difendere quanti si sono conformati alle direttive». E lo stesso Obama non ha raccolto le accuse di aver scagionato chi, obbedendo agli ordini, ha eseguito atti che la sua stessa amministrazione ha giudicato «una pagina buia e dolorosa» nella storia d'America: «È gente che ha fatto il proprio dovere». Ma sui diritti umani, su un altro versante, quello con Cuba, si aprono spiragli di dialogo. Poche ore prima dell'avvio a Trinidad e Tobago del vertice delle Americhe, Raul Castro ha accolto positivamente le misure annunciate su Cuba da Barack Obama, precisando di essere pronto a parlare «su tutto», anche sui «diritti umani». Parole subito accolte molto positivamente dal segretario di Stato Usa Hillary Clinton, che ha sottolineato l'importanza di tali «aperture». Intanto negli Usa A sparare a zero su Obama per l'immunità agli agenti della Cia sono state le organizzazioni per i diritti umani: «Il Dipartimento della Giustizia offre l'impunità a individui che, secondo lo stesso ministro della giustizia Eric Holder, hanno torturato prigionieri», ha protestato Larry Cox di Amnesty International, mentre Anthony Romero della Aclu (l'asssociazione libertaria American Civil Liberties Union) ha chiesto a Obama di affidare a un magistrato indipendente il compito di indagare. Di tono opposto ma egualmente accese sono state le polemiche da destra: Obama «si lega le mani nella guerra al terrorismo», hanno sostenuto l'ex capo della Cia di Bush Michael Hayden e l'ex Attorney General della passata amministrazione Michael Mukasey. «La pubblicazione di queste opinioni non era necessaria dal punto di vista legale ed è stata poco saggia dal punto di vista politico: il suo effetto sarà di invitare quella forma di paura istituzionale di recriminazioni che indebolì le operazioni dell'intelligence prima dell'11 settembre», hanno scritto Hayden, al timone dell'agenzia di Langley dal 2006 al 2009, e Mukasey, alla Giustizia dal 2007 all'insediamento di Holder. Molte le obiezioni dei due esponenti dell'amministrazione Bush: tra queste che i documenti rivelano ai terroristi cosa aspettarsi in un interrogatorio della Cia se questi metodi, tra cui il «waterboarding» che simula l'annegamento, dovessero essere di nuovo approvati. In tutto i memorandum rivelano 14 tecniche di interrogatorio su cui l'amministrazione Bush aveva dato luce verde: del waterboarding molto era noto, meno noti i particolari sulla privazione del sonno (per undici giorni di seguito) o il confinamento in una scatola buia dove venivano fatti entrare insetti sfruttando le fobie del detenuto. I quattro memorandum gettano luce non solo sui metodi della Cia ma sugli sforzi del Dipartimento della Giustizia di giustificarli. Passaggi sulla nudità forzata, le docce gelate e le percosse si alternano con discettazioni giuridiche sulla Convenzione Internazionale contro la Tortura. I documenti sono stati resi pubblici con pochissime censure, segno che Obama ha preso le distanze dalle richieste della Cia di mantenere segreti i dettagli degli interrogatori. Lo stesso capo della Cia della nuova amministrazione, Leon Panetta, aveva sostenuto che, rivelando queste informazioni, si sarebbe creato un precedente sui metodi dell'intelligence. 18/04/2009

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BANGKOK, FERITO CAPO RIVOLTA È stato operato e non è in pericolo di vita il fondatore del ... (sezione: Diritti umani)

( da "Unita, L'" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

BANGKOK, FERITO CAPO RIVOLTA È stato operato e non è in pericolo di vita il fondatore del movimento di protesta thailandese delle camicie gialle (contrarie all'ex premier Thaksin) e leader dell'Alleanza del popolo per la democrazia (Pad), Sondhi Limthongkul, ferito a colpi di arma da fuoco a Bangkok. Due sicari armati hanno crivellato di colpi l'auto di Sondhi ferma a un distributore, ferendo gravemente anche il suo autista e la sua guardia del corpo. MUMBAI, RITRATTA L'IMPUTATO Colpo di scena nel processo all'unico imputato per gli attentati di Mumbai. Il legale del pachistano Mohammed Ajmal Kasab ha presentato una domanda di ritrattazione della confessione, sostenendo che è stata estorta sotto tortura. Negli attentati che insanguinarono per 60 ore di fila la città indiana furono registrati 195 morti, di cui 22 stranieri. In pillole

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Cuba Raul Castro: (sezione: Diritti umani)

( da "Giornale.it, Il" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

n. 93 del 2009-04-18 pagina 16 Cuba Raul Castro: «Pronti a dialogare con Washington sui diritti umani» di Redazione Il presidente cubano Raul Castro accoglie le aperture del presidente americano Barack Obama e si dice disposto a dialogare «su tutto» con gli Stati Uniti a patto il rapporto sia tra pari e che si rispetti la sovranità di Cuba. «Abbiamo detto al governo americano, in pubblico e in privato, che siamo aperti al dialogo su tutto, compresi i diritti umani, la libertà di stampa i prigionieri politici», ha affermato Raul Castro parlando in Venezuela. Le dichiarazioni sono state salutate con soddisfazione dal segretario di Stato Usa, Hillary Clinton che, dopo aver ribadito proprio ieri di attendere segnali da L'Avana, ha risposto: «Prendiamo molto sul serio» queste parole. Le novità nel rapporto Usa-Cuba segnano l'apertura del quinto Vertice delle Americhe, avviato ieri a Trinidad e Tobago e in programma fino a domenica, È l'esordio del presidente Usa Barack Obama nel sud del Continente. © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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Obama come Bush: Cia assolta per le torture (sezione: Diritti umani)

( da "Giornale.it, Il" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

n. 93 del 2009-04-18 pagina 16 Obama come Bush: Cia assolta per le torture di Marcello Foa Ora l'America sa: per circa quattro anni la Cia ha torturato sospetti terroristi di Al Qaida violando sia le leggi americane che quelle internazionali. E che torture: detenuti lasciati undici giorni senza dormire oppure rannicchiati in una gabbia nel buio totale o in mezzo a una moltitudine di insetti o sottoposti al waterboarding, la simulazione della morte per annegamento. Sono quattro memorandum, pari ad appena dodici pagine. Agghiaccianti. Certificano le tecniche di interrogatorio approvate dall'Amministrazione Bush nel periodo 2002-2005. Ieri scadeva il termine fissato da un giudice in relazione a una causa intentata dall'Unione americana delle libertà civile. La Casa Bianca doveva decidere se consegnare i documenti o continuare a invocare il segreto di Stato. Il Dipartimento della Giustizia era favorevole alla pubblicazione; la Cia, sebbene guidata dal clintoniano e neo obamiano Leo Panetta contrarissima, ufficialmente nel timore che, costituendo un precedente, venissero poste le premesse per svelare altre operazioni segrete col rischio di compromettere agenti e strutture riservate. L'ultima parola spettava al presidente. E Barack ha deciso di far sapere la verità al popolo, in sintonia con i valori più autentici della Costituzione americana e che il suo predecessore aveva in parte eluso per una causa che, all'indomani dell'11 settembre riteneva prioritaria: la lotta al terrorismo fondamentalista islamico. Obama è stato coerente con le posizioni da lui sostenute in passato. Onore al merito, ma solo a metà; perché contemporaneamente ha assolto i peccatori. Nessuno degli agenti che ha torturato, nessuno degli alti funzionari che hanno preparato i memorandum verrà processato. E questo nonostante il presidente della Commissione giustizia del Senato, il democratico Patrick J. Lehay, abbia subito invocato un'inchiesta indipendente sull'Amministrazione Bush, garantendo l'immunità ai funzionari collaborativi. Insomma, una grande operazione-verità che avrebbe permesso di individuare i responsabili di grado più elevato, come i ministri e probabilmente lo stesso Bush. Obama non ha osato tanto. «Condanno con forza questo oscuro e doloroso capitolo della nostra storia», ha dichiarato ieri, promettendo che queste tecniche di interrogatorio non verranno usate mia più, ma ha ribadito la sua ostilità a passi ulteriori «perché non si otterrebbe nulla spendendo tempo ed energia cercando chi biasimare per le colpe del passato». La frase è confezionata bene, ma non è del tutto sincera. In realtà Obama ha dovuto piegarsi alle pressioni delle lobby, come già accaduto con le banche e l'industria delle armi; ora ha ceduto a un altro establishment, molto influente, quello legato alla Sicurezza nazionale. D'altronde nella storia recente, nessun presidente americano ha indagato su un predecessore per quanti errori possa aver commesso. È una regola non scritta che serve a salvaguardare la credibilità dell'istituzione e a garantire l'incolumità dei «comandanti in capo». Obama si è adeguato, sebbene condendosi la libertà, questa sì inconsueta, di far sapere. In quelle cartelle vengono elencate quattordici forme di tortura, tra cui detenuti sbattuti violentemente con la testa contro i muri o investiti a lungo da getti di acqua ghiacciata e costretti a rimanere nudi in mezzo agli altri, denutriti. Già, perché il rancio, nelle prigioni segrete all'estero, era di meno di mille chilocalorie al giorno. Senza assistenza medica, né legale e sovente, perlomeno a Guantanamo, senza colpe. La maggior parte dei detenuti è risultata innocente. © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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Raul tende la mano a Obama "Cuba pronta a trattare su tutto" (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica.it" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

NEW YORK - Raul Castro apre all'America - "Siamo disposti a parlare su tutto, anche sui diritti umani" - e la Casa Bianca risponde positivamente: "Prendiamo molto sul serio le sue parole". Poche ore prima dell'arrivo di Barack Obama a Port of Spain, la capitale di Trinidad & Tobago dove si svolge il vertice delle Americhe, il leader cubano - che al summit è il grande assente - è riuscito a mettere Cuba al primo posto dell'agenda. Lo ha fatto da Cumana, cittadina costiera del Venezuela, il Paese dell'amico Chavez, che si trova a poche decine di miglia da Trinidad e dove si è recato in concomitanza del vertice proprio per fare sentire il fiato sul collo ai capi di Stato latino-americani. "Abbiamo mandato a dire al governo nordamericano, in privato e in pubblico, che quando loro vorranno potremo discutere tutto: diritti umani, libertà di stampa, prigionieri politici, qualunque cosa, qualunque cosa di cui vogliano parlare". Una risposta alle dichiarazioni che Obama aveva fatto giovedì in Messico ("Prima di prendere nuove misure vediamo se anche Cuba è pronta a cambiare") manifestando qualche dubbio sulla possibilità che ciò possa avvenire in tempi stretti: "Non ci aspettiamo da parte loro che cambino dall'oggi al domani, non sarebbe realistico". Colta di sorpresa dal colpo di scena di Raul, la Casa Bianca ha affidato una pronta (e positiva) risposta al Segretario di Stato. Da Santo Domingo (anche per lei tappa di avvicinamento al vertice) Hillary Clinton ha "accolto positivamente" le parole del "sub lider maximo" ricodando come "il dialogo sia strumento per la pace, la prosperità e il progresso. Abbiamo visto i commenti del presidente Raul Castro e salutiamo le sue dichiarazioni e l'apertura che rappresentano. Stiamo studiando molto seriamente quella che sarà la nostra risposta". OAS_RICH('Middle'); Non sarà facile. I fratelli Castro (Fidel ha una sorta di tutela "ideologica" nei confronti di Raul) sanno che Obama alla Casa Bianca può rappresentare lo sdoganamento di Cuba con il "comunismo caraibico" ancora in vita, un risultato che sarebbe propagandato (in questo caso con una certa ragione) come una vittoria del David latino-americano contro il Golia imperialista dopo cinquant'anni di guerra fredda e di embargo. In cambio, però, devono cedere sul terreno delle libertà fondamentali (diritti umani, stampa, prigionieri politici) dando una sterzata che potrebbe compromettere l'esistenza stessa dell'attuale regime. Sarà, almeno inizialmente, un dialogo di piccoli passi, ma il fatto stesso che Raul Castro abbia nominato i "prigionieri politici" (Cuba non ha mai ammesso di averne) è un segnale più che incoraggiante. Al centro del dialogo resta aperta la questione decisiva per i cubani, quella dell'embargo. Hillary Clinton ha ripetuto ieri - come aveva fatto anche Obama - le parole pronunciate ad inizio anno dal senatore repubblicano Richard Lugar ("Dopo cinquanta anni possiamo dire che l'embargo è stato un fallimento") e ha detto che "continuiamo a cercare strade più produttive da seguire perché per il presidente Obama, per me e per la nostra amministrazione l'attuale politica su Cuba è fallimentare". A Port of Spain Obama non incontrerà Chavez, ma altri leader latino-americani si faranno carico di portare sul tavolo il dossier su Cuba. Alcuni paesi del gruppo Alba (Alternativa Bolivariana para America Latina y el Caribe), Venezuela, Nicaragua, Bolivia e Honduras hanno già fatto sapere che intendono bloccare la dichiarazione finale del vertice di Trinidad & Tobago ("non dà risposte alla crisi globale ed esclude Cuba", ha detto Chavez) ed anche il presidente brasiliano Lula, pur con toni molto diversi, ha fatto sapere alla Casa Bianca che intende cogliere l'occasione offerta dal vertice delle Americhe per chiedere la fine dell'embargo. (18 aprile 2009

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USA-Cuba. Un nuovo inizio con Obama (sezione: Diritti umani)

( da "AmericaOggi Online" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

USA-Cuba. Un nuovo inizio con Obama 18-04-2009 PORT OF SPAIN (TRINIDAD TOBAGO). Con Cuba gli Stati Uniti puntano a ''un nuovo inizio'': lo ha detto il presidente Barack Obama, intervenendo al quinto vertice delle Americhe aperto oggi a Trinidad Tobago, alla presenza di 33 leader del continente, tra i quali non figurava il presidente cubano, Raul Castro, in quanto non invitato come di consuetudine a questo tipo di summit. Nell'auspicare un contatto diretto con L'Avana, Obama ha rinnovato l'invito al governo di Castro a compiere dei ''passi'' in avanti, ribadendo la disponibilita' della Casa Bianca ad impegnarsi con il governo cubano ''su una serie di questioni''. Nel riconoscere quello che ha definito ''gli storici sospetti'' sull'interventismo di Washington nell'America Latina, Obama ha d'altra parte chiesto ai leader latinoamericani presenti - dal brasiliano Lula, al messicano Felipe Calderon e il venezuelano Hugo Chavez - di non incolpare gli Usa ''per ogni problema sorto nell'emisfero''. Non sono solo gli Stati Uniti ''a dover cambiare, tutti noi abbiamo delle responsabilita' rispetto al futuro'' - ha osservato Obama, offrendo nel contempo alla regione latino-americana ''un dialogo fondato sul rispetto reciproco di valori condivisi'' in cui non ci siano ''partner di prima o di seconda categoria''. Ma il tema chiave del discorso di Obama, e dell'intero 'summit' americano, e' proprio il nodo Cuba, anche perche' da piu' parti nelle ultime ore e' stata chiesta la fine dell'embargo commerciale Usa, tema che con ogni probabilita' sara' al centro degli interventi e contatti di domani. ''Sono pronto al coinvolgimento della mia amministrazione con il governo cubano su un ampio spettro di questioni, i diritti umani, la liberta' d'espressione e la riforma democratica'', ha detto Obama in uno dei passaggi centrali del suo intervento, ricordando anche i ''problemi della droga, l'immigrazione e gli affari economici''. ''So che e' necessario intraprendere un viaggio piu' lungo dopo decenni di sfiducia, ma vi sono alcuni passi chiave che possiamo fare verso un nuovo giorno'', ha proseguito, aggiungendo: ''Lasciatemi essere chiaro, non sono interessato a parlare per il gusto di parlare. Credo davvero che possiamo portare le relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti in una nuova direzione''. Con questo intervento, Obama ha chiuso una lunga settimana in cui non sono mancate le novita' nei rapporti Washington-L'Avana. Lunedi' la Casa Bianca ha annunciato la revoca di una serie di restrizioni con L'Avana (sul fronte dei viaggi dei cubanoamericani e delle rimesse), mentre ieri in Messico lo stesso Obama aveva chiesto ''un gesto'' a Raul Castro, che poche ore dopo ha in effetti replicato: ''siamo pronti a parlare su tutto, anche sui prigionieri politici ed i diritti umani''. La palla e' quindi ripassata nel campo degli Usa. E in effetti, poco dopo, il segretario di Stato Hillary Clinton ha elogiato i segnali di ''apertura'' provenienti dall'isola comunista, sottolineando che le politiche precedenti della Casa Bianca con L'Avana ''sono fallite''. Poco prima del suo intervento Obama ha salutato con una stretta di mano Chavez, che gli si e' rivolto sottolineando: ''voglio essere tuo amico''. Nel suo intervento Obama ha poi scherzato con un altro avversario di Washington, il capo dello stato nicaraguense Daniel Ortega, che aveva parlato poco prima di lui: ''la ringrazio per non avermi incolpato'' di fatti, quali appunto alcuni eventi della storia cubana, ''avvenuti quando avevo tre mesi di eta'''.

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Obama: "Cuba, nuovo inizio" Stretta di mano con Chavez (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere.it" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il Vertice delle Americhe a trinidad e tobago Obama: «Un nuovo inizio con Cuba» Sorrisi e stretta di mano con Chavez Il presidente Usa agli altri leader americani: «Ma non sono soltanto gli Stati Uniti a dover cambiare» Barack Obama e Hugo Chavez (Ansa) PORT OF SPAIN (Trinidiad & Tobago) - Con Cuba gli Stati Uniti puntano a «un nuovo inizio». Il presidente americano Barack Obama, ha apert così, confermando anche nel Nuovo continente la politica della «mano tesa», il quinto vertice delle Americhe aperto nel fine settimana a Trinidad & Tobago, alla presenza di 33 leader del continente, tra i quali non figurava il presidente cubano, Raul Castro, non invitato (come di consuetudine) a questo tipo di summit. Obama ha avuto parole distensive nei confronti del regime nemico storico degli Stati Uniti e ha scambiato una vigorosa stretta di mano, con tanto di sorrisi, con un altro leader che ha sovente attaccato il governo e le politiche di Washington: il presidente venezuelano Hugo Chavez. AMICIZIA - Chavez si è rivolto al presidente Usa sottolineando: «voglio essere tuo amico». Nel suo intervento Obama ha poi scherzato con un altro avversario di Washington, il capo dello stato nicaraguense Daniel Ortega, che aveva parlato poco prima di lui: «La ringrazio per non avermi incolpato» di fatti, quali appunto alcuni eventi della storia cubana, «avvenuti quando avevo tre mesi di età». CUBA - Nell'auspicare un contatto diretto con L'Avana, Obama ha rinnovato l'invito al governo di Castro a compiere dei «passi» in avanti, ribadendo la disponibilità della Casa Bianca ad impegnarsi con il governo cubano «su una serie di questioni». Obama ha anche chiesto ai leader latinoamericani presenti - dal brasiliano Lula, al messicano Felipe Calderon e lo stesso venezuelano Hugo Chavez - di non incolpare gli Usa «per ogni problema sorto nell'emisfero». Non sono solo gli Stati Uniti «a dover cambiare, tutti noi abbiamo delle responsabilità rispetto al futuro», ha osservato Obama. Ma il tema chiave del discorso di Obama, e dell'intero 'summit' americano, è proprio il nodo Cuba, anche perchè da più parti nelle ultime ore è stata chiesta la fine dell'embargo commerciale Usa, tema che con ogni probabilità sarà al centro degli interventi e contatti di questi giorni. «Sono pronto al coinvolgimento della mia amministrazione con il governo cubano su un ampio spettro di questioni, i diritti umani, la libertà d'espressione e la riforma democratica», ha detto Obama in uno dei passaggi centrali del suo intervento, ricordando anche i «problemi della droga, l'immigrazione e gli affari economici. Lasciatemi essere chiaro, non sono interessato a parlare per il gusto di parlare. Credo davvero che possiamo portare le relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti in una nuova direzione». DISTENSIONE - Lunedì la Casa Bianca ha annunciato la revoca di una serie di restrizioni con L'Avana (sul fronte dei viaggi dei cubanoamericani e delle rimesse), mentre venerdì in Messico lo stesso Obama aveva chiesto «un gesto» a Raul Castro, che poche ore dopo ha in effetti replicato: «Siamo pronti a parlare su tutto, anche sui prigionieri politici ed i diritti umani». stampa |

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Editoriale - Le scomode verità di Guido Olimpio (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere.it" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Obama, la CIa e le torture Le scomode verità I memo della Cia costi­tuiscono la sintesi brutale degli anni più duri della lotta al terrorismo. Un piccolo manuale della tortura re­datto dai burocrati della sicurezza. Un documento che illumina il «lato oscu­ro » della guerra ad Al Qa­eda. Operazioni clandesti­ne, violazioni dei diritti, rapimenti, prigioni segre­te. Comportamenti illega­li, a volte non ortodossi, ma che la Casa Bianca di George Bush ha trasfor­mato in «legali» per de­creto interno. E colpisce la cura con la quale i quat­tro esperti dell'ammini­strazione hanno prescrit­to i metodi da applicare nei confronti dei terrori­sti. Tabelle, tempi, dosi di dolore, misure, forza da impiegare. Parametri asettici che si sono tra­sformati in violenze inac­cettabili. I memo, ancora, sono la spia di come una demo­crazia e non è certo la prima volta possa ab­bassare i suoi standard morali. Per difendersi da un nemico assassino ritie­ne sia possibile ricorrere a qualsiasi mezzo. Perché come ha sottolineato un esperto «tra un cittadino e un terrorista è quest'ul­timo ad avere meno dirit­ti ». Al tempo stesso biso­gna ricordare il contesto temporale. Quei sistemi sono stati concepiti dopo un attacco terroristico senza precedenti. Oggi è facile dire che i seguaci di Osama fanno meno pau­ra e che forse il pericolo è stato esagerato o manipo­lato. Allora la maggioran­za della comunità interna­zionale era convinta sulla necessità di dover reagi­re ed era pronta a scende­re a compromessi pur di proteggersi. Ciò, ovvia­mente, non deve essere interpretato né come pre­testo né come giustifica­zione. Ma sarebbe disone­sto tacerlo. Ma la pubblicazione de­gli ordini riservati della Cia racchiude un altro si­gnificato per gli Stati Uni­ti. Ed è la forza della tra­sparenza, la capacità di af­frontare talvolta, sia ben chiaro verità sco­mode. Non è da tutti sve­lare materiale così riser­vato e imbarazzante, che fa litigare il Paese e forni­sce munizioni ai suoi molti avversari. Per i cinici si tratta di una mossa di facciata e ri­cordano quanti altri se­greti sono ancora chiusi in una cassaforte. Per i conservatori è un errore clamoroso, che espone ai rischi funzionari che han­no agito per mantenere si­cura l'America. Per gli ex agenti segreti può com­promettere la lotta agli estremisti e far trasparire un segnale di debolezza: loro, i cattivi, penseran­no che non abbiamo più «lo stomaco». Per i libe­ral, all'opposto, è addirit­tura troppo poco e invo­cano una commissione di inchiesta. Un dibattito acceso che ha reso insi­diosa e coraggiosa la deci­sione di Barack Obama. Si è preso una doppia re­sponsabilità. Quella di ri­velare un frammento im­portante di verità e di so­stenere che i tagliagole possono essere fermati con la legge e nella legge. Un principio sacrosanto che però sarà messo a du­ra prova, ogni giorno, dal­la realtà e da criminali che non hanno ancora de­posto le armi. Guido Olimpio stampa |

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L'isola nel rapporto di Msf (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

LA DENUNCIA L'isola «inumana» nel rapporto di Msf Detenuti malati e denutriti Alberto D'Argenzio BRUXELLES Sovraffollamento, sporcizia, cibo inadeguato, mancanza di indumenti ed epidemie difficilmente controllabili, le condizioni di vita nei tre centri di detenzioni per migranti di Malta sono «inaccettabili ed inumane». Lo dice Medici senza frontiere nel rapporto Not Criminals presentato ieri a Bruxelles, 32 pagine in cui non si trova spazio per i dubbi e tanto meno per i giri di parole nella descrizione del quotidiano dei migranti che lasciano dietro di loro l'Africa e hanno la sorte di approdare nel piccolo Stato mediterraneo. A Lyster Barracks, Safi e Ta'kandja, centri in cui Msf lavora dall'agosto 2008, la situazione è «sconvolgente», assicura la Ong, con degli standard di vita che minano la «salute fisica e mentale» dei migranti. Se è vero che le condizioni di accoglienza sono «terribili», è anche vero che non sembrano per nulla casuali. «La politica di detenzione sistematica - assicura il rapporto di Msf - mira a dissuadere le persone dall'entrare irregolarmente nel territorio». Un ragionamento che è alla base anche della trasformazione, voluta da Roberto Maroni, di Lampedusa da un luogo di transito a un'isola di confinamento ed espulsione dei migranti. Un ragionamento miope. Il caso di Malta insegna infatti insegna come, pur inasprendo le condizioni di accoglienza e rafforzando le politiche di contrasto al traffico di esseri umani, il flusso migratorio non accenni per nulla ad arrestarsi e nemmeno a ridursi. Nel 2008, dice il rapporto, ci sono stati 2.704 arrivi nel piccolo stato mediterraneo, contro i 1.694 registrati nel 2007. La tendenza al rialzo viene confermata in questo inizio di 2009, con 759 persone giunte a Malta tra gennaio e febbraio, praticamente tutti salpati dalle coste libiche, ma il più delle volte provenienti dal Corno d'Africa, in sostanza in fuga dall'instabilità, dalla violenza, dalle persecuzioni e, solo nel migliore dei casi, unicamente dalla fame. Il 60% dei migranti giunti negli ultimi sei mesi, dice Msf, proviene infatti da «paesi colpiti da conflitti o segnati da profonde violazioni dei diritti umani», come Somalia (la metà del totale), Eritrea, Sudan e Nigeria. A poco più della metà degli arrivati, lo stato garantisce protezione umanitaria, mentre lo status di rifugiato viene concesso solo con il contagocce: appena allo 0,52% del totale. Comunque sia, indipendentemente dalla condizione giuridica a cui aspirano e a cui avrebbero diritto, tutti i migranti sono obbligati a rimanere per mesi e mesi nei centri di detenzione. La legge maltese prevede infatti fin dal 2005 la detenzione con durata massima 18 mesi, un tetto diventato europeo (per quanto non obbligatoriamente) con la direttiva ritorno approvata l'anno scorso dai 27. Il problema è che nel caso maltese la lunga detenzione si somma a condizioni di vita «inumane», tali da rendere «frustrante» il lavoro di medico, assicura Philippa Farrugia di Msf. La testimonianza di una donna eritrea, contenuta nel rapporto, si apre con l'indicativo titolo «Da una prigione a una prigione a una prigione», in cui l'ultima è quella maltese che le ha creato problemi gastrici, cardiaci e psicologici. Solo dopo un collasso e la detenzione di 20 giorni in un ospedale psichiatrico, questa donna scappata dalla carcere e dalla schiavitù in Eritrea è stata trasferita in uno dei due centri aperti organizzati dal governo maltese. Secondo Msf solo il 32% dei migranti giunti dall'agosto scorso gode di buona salute, agli altri sono stati rilevati problemi respiratori, gastrici, dermatologici, mentali, infezioni e traumi. Il 38% si ammala durante il viaggio, per le condizioni della traversata, la scarsità di cibo ed il freddo, ma poi vengono le condizioni inumane rilevate nei centri che favoriscono il propagarsi di infezioni, come la scabbia, gastroenteriti ed infezioni respiratorie, tra cui la tubercolosi, e determinano il sorgere di diversi problemi psicologici. Eppure, il governo ha assicurato a più riprese che gli standard di trattamento nei centri sono «buoni».

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Teheran condanna la giornalista Saberi a 8 anni di carcere. L'Onu premia Ahmadinejad con un invito a parlare di diritti umani (sezione: Diritti umani)

( da "Articolo21.com" del 18-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Teheran condanna la giornalista Saberi a 8 anni di carcere. L’Onu premia Ahmadinejad con un invito a parlare di diritti umani di Ahmad Rafat* Roxana Saberi, la giornalista americana di padre iraniano e madre giapponese, è stata condannata sabato mattina a 8 anni di reclusione. Lunedì, arriva a Ginevra il presidente Mahmoud Ahmadinejad per parlare alle Nazioni Unite dei diritti umani, nell’ambito della seconda conferenza sul razzismo. C’è qualcosa che non quadra. Pochi sono i dubbi che nella Repubblica Islamica i diritti umani siano rispettati. Se questa teoria è confermata dai fatti, e credo che lo sia, allora mi sembra legittimo chiedere ai vertici delle Nazioni Unite e al Segretario Generale in prima persona, perché far parlare chi non rispetta i diritti umani sanciti nella carta dei Diritti dell’Uomo. Roxana Saberi, 31 anni, si era trasferita in Iran sei anni fa e da allora collabora come freelance con la BBC e la Public National Radio statunitense, nonché alcune emittenti televisive. Roxana è stata accusata di “spionaggio a favore di potenze straniere”. La notizia della condanna non è stata ancora confermata da fonti giudiziarie della Repubblica Islamica, ma comunicata in via confidenziale ai genitori della collega che si trovano da due settimane in Iran per assistere al processo della figlia. Roxana Saberi è giunta in Iran sei anni fa e immediatamente si è accreditata presso il Ministero per la Cultura e l’Orientamento Islamico. Due anni fa aveva presentato domanda per il rinnovo dell’accredito, senza ricevere mai una comunicazione di rifiuto o di approvazione. Roxana è stata fermata durante una ronda della polizia e, a quanto pare trovata in possesso di una bottiglia di bevanda alcolica. Trasferita per la solita multa ad un commissariato, il suo fermo è stato trasformato in arresto con l’accusa di spionaggio. Non è la prima volta, e sfortunatamente non sarà nemmeno l’ultima, che giornalisti, scrittori, professori o ricercatori iraniani con doppia cittadinanza vengono arrestati con l’accusa di spionaggio a favore del paese occidentale del quale hanno ottenuto la cittadinanza. Tutti ricordiamo il caso di Zahra Kazemi, la fotoreporter canadese di origini iraniane uccisa durante l’interrogatorio nel carcere di Evin. Hanno passato mesi in carcere anche la ricercatrice statunitense Haleh Esfandiari, il professore universitario canadese Ramin Jahanbeglu, la collega americana Nazi Azima, o la regista francese Mehrnoush Solouki. I fratelli Arash e Kamyar Alaii, ambedue medici, scontano in carcere a Teheran, una pena complessiva di 9 anni, perché curavano i malati di Aids. Sono stati riconosciuti “colpevoli” di voler “sabotare la sicurezza e la stabilità del paese”, diffondendo notizie sul numero reale dei malati colpiti dal virus Hiv. Pochi giorni fa parlando con l’avvocato di uno degli studenti del Politecnico di Teheran, (accusato di “attentato contro la sicurezza dello Stato”, per aver raccolto firme per la campagna delle donne che chiedono l’eguaglianza dei diritti tra i sessi), mi è stato chiesto di spiegare “a che gioco stanno giocando gli europei”. Non è comprensibile per i cittadini iraniani l’atteggiamento dell’Occidente, e soprattutto quello dell’Europa. A parole diceva il legale, condannano le violazioni dei diritti umani nella Repubblica Islamica, poi premono su Ahmadinejad per un dialogo senza condizioni. Non chiedere nemmeno il rispetto dei diritti umani come condizione previa per ogni trattativa con la Repubblica Islamica, diceva l’amico avvocato, è interpretato dai governanti iraniani come un incoraggiamento per continuare a violare in pace e senza impedimenti, anche i più elementari diritti degli essere umani. * membro del direttivo dell’Information, Safety & Freedom e portavoce dell’Iniziativa per la Libertà d’Espressione in Iran

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MERCOLEDÌ 22 APRILE Teatro Regio Alle 18 inaugurazione con il Presidente della Repubblica... (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

MERCOLEDÌ 22 APRILE Teatro Regio Alle 18 inaugurazione con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. GIOVEDÌ 23 APRILE Teatro Carignano Alle 10 «Sulla democrazia» con Gustavo Zagrebelsky. Introduce Fiorenzo Alfieri. Alle 14,30 «Obiezione di coscienza. Quando è accettabile?» con Emanuela Ceva, coordina Andrea Bajani. Alle 16 «Spirito e pratica della democrazia deliberativa» con Giuliano Amato, Jon Elster, John Gastil; coordina Giancarlo Bosetti. Alle 18,30 «Quale democrazia senza uguaglianza delle risorse?» con Alain Touraine; presenta Cesare Martinetti. Alle 22 «Dentro la fabbrica della satira» con Michele Serra, coordina Giovanna Zucconi. Palazzo Civico Alle 10 «Le belle tasse - Le tasse spiegate ai bambini». Teatro Gobetti Alle 11,30 «Le religioni nella società», coordina Valentino Castellani. Alle 16 «Educare alla democrazia». Alle 18 «La selezione delle classi dirigenti» con Guido Tabellini, Piero Gastaldo, Roberto Quaglia e Luca Savarino. Alle 21 «Il testamento biologico: tesi a confronto» con Francesco D'Agostino e Carlo Augusto Viano. Introduce Tullio Monti. Rettorato, Università 11,30 «Colloquio sulla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo», con Giuliano Amato. Politecnico 14,30 «Università aperta: il punto di vista degli studenti». Fondazione Einaudi Alle 15 «La democrazia degli altri» con Marcello Carmagnani, Adriano Favole, Davide Grassi, Michelguglielmo Torri e Francesco Remotti. Cavallerizza Reale Alle 18,30 «Viaggi verso la democrazia? Testimonianze di migrazione». Circolo dei Lettori Alle 17 «Islam e democrazia» letture da Fatima Mernissi, con Khaled Fouad Allam. Alle 17 «Un nemico del popolo» letture commentate di Henrik Ibsen. Alle 18 «La rivoluzione arancione tra Europa e Russia», con Pietro Marcenaro e Oxana Pachlovska, coordina Andrea Riscassi. Alle 19 aperitivo Birmano e «La Birmania sconosciuta: quale futuro?», con Marco Bertone, Marco Buemi, Alessandra Mancuso. Mood Libri & Caffè Alle 18,30 «I bar della democrazia» aperitivo con Pietro Garibaldi. Casa Circondariale Alle 22 «Dell'artificio il fuoco». Teatro Nuovo Alle 20,45 «La bella utopia, lavoratori di tutto il Mondo ridete», di e con Moni Ovadia. Hiroshima Mon Amour Alle 21,30 «Il Gran Galà TO&TU con il varietà della caduta». «Valentina Blues - Le voci del tempo» con Mao, Marco Peroni e Mario Congiu. VENERDÌ 24 APRILE Cavallerizza Reale Alle 10 «I nuovi poveri» con Pierluigi Dovis, Marco Revelli, Chiara Saraceno; coordina Paolo Griseri. Alle 16 «Il capitale sociale, una risorsa invisibile». Alle 17 «Arena pubblica degli atti democratici». Dalle 10 alle 17 «Unmasked», maratona di film in contestazione dei sistemi di regole. Alle 19 «Breath in, breat out» di Yingmei Duan&Luigi Coppola. Circolo dei Lettori Alle 15,30 «Teologia politica» con Alessandro Pizzorno e Paolo Prodi. Alle 17 «Democrazia e sviluppo» letture da Amartya Sen. Alle 17 «Nietzsche e la democrazia», letture commentate. Alle 18,30 «Democrazia e diritti umani: il caso del Tibet» con Dolma Gyari, vicepresidente del Parlamento tibetano, Giampiero Leo e Mariacristina Spinosa. Fondazione Einaudi Alle 10 «Tribunali e politica». Alle 15 «La democrazia in Italia. Da Mazzini all'antipolitica» con Giuseppe Bedeschi, Dino Cofrancesco, Massimo Salvadori, Franco Sbarberi Teatro Carignano Alle 10,30 «La democrazia degli antichi» con Luciano Canfora, introduce Sergio Roda. Alle 11 «Il matrimonio omosessuale» con Valeria Ottonelli, coordina Andrea Bajani. Alle 18,30 «Giovani e precari. Un contratto per tutti» con Tito Boeri e Pietro Garibaldi. Alle 23 «Dentro la fabbrica della satira» con Neri Marcorè, coordina Giovanna Zucconi. Cinema Massimo Alle 10,30 «Voto e cittadinanza: il punto sulle seconde generazioni» con Khaled Fouad Allam, Maurizio Ambrosini, coordina Giovanna Zincone. Teatro Gobetti Alle 11 «L'antidemocrazia. Mafia e Mafie». Alle 15 «Le belle tasse» con Franco Fichera e Gustavo Zagrebelsky. Alle 16,30 «La democrazia deliberativa fa bene alla democrazia?» con Luigi Bobbio e Nadia Urbinati. Alle 18,30 «Le trasformazioni di un sistema politico» con Giuseppe Bedeschi, Domenico Fisichella, Gianfranco Pasquino, Nadia Urbinati. (programma completo su www.biennaledemocrazia.it)

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Festa della solidarietà celebra i diritti umani (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

SAVIGLIANO. VOLONTARIATO Festa della solidarietà celebra i diritti umani [FIRMA]PIERO BERTOGLIO SAVIGLIANO Sarà dedicata al tema «Tutti i diritti umani per tutti» la Festa della solidarietà che animerà oggi, dalle 10 alle 18, il centro storico. Le 25 associazioni di volontariato aderenti alla manifestazione, organizzata dalla Consulta comunale della solidarietà, dall'assessorato ai Servizi sociali e dalla Pro loco, con il supporto del Centro servizi per il volontariato, presenteranno negli stand allestiti in piazza Santarosa le loro attività e i loro programmi. «Ogni associazione - spiegano gli organizzatori - avrà a disposizione un tabellone che caratterizzerà il proprio spazio con su riportato uno dei capitoli della Dichiarazione universale dei diritti umani firmata a Parigi il 10 dicembre 1948». Il programma prevede alle 10 l'inaugurazione, cui seguirà «Canto me stesso», esercizi di libera espressione a cura del laboratorio teatrale Itaca. Alle 11,30, dimostrazione delle attività di Protezione civile della Cri, cui seguiranno giochi e animazioni a cura dell'associazione «Bartalò». Poi musica con i gruppi «Reggaelyse» e «Una nota in più». Al termine testimonianze dal mondo del volontariato raccolte da Doriano Mandrile. Le associazioni aderenti sono: Abio, Acat, Aido, Anfass, Ashas, Pietà, Altalena, Papa Giovanni XXIII, Tam Tam, Auser, Avis, Cav, Cif, San Vincenzo, Monviso Solidale, Pari Opportunità, Cri, Emergency, Crosetto, Missione e Sviluppo, Mai+Sole, Noi con Voi, Oasi Giovani, Piccoli Passi, Protezione civile.

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"La Saberi è una spia" Dovrà scontare 8 anni (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

"La Saberi è una spia" Dovrà scontare 8 anni La free lance 31enne stava completando le ricerche per un libro sul Paese di suo padre [FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK La giornalista Roxana Saberi è stata condannata ad otto anni per spionaggio a favore del governo Obama, dopo un solo giorno di processo segreto in una «corte rivoluzionaria» di Teheran. Di doppia nazionalità americana e iraniana, nata e cresciuta in Nord Dakota da papà emigrato dall'Iran e mamma giapponese, la giovane free lance, 31 anni e una corona da Miss del suo Stato vinta nel 1997, stava completando un libro sulla vita e i costumi del Paese paterno quando è stata arrestata dalla polizia politica, pochi giorni dopo il giuramento di Obama presidente. Da allora, sono filtrate solo vaghe notizie sui motivi della detenzione, mentre montava la protesta degli attivisti dei diritti umani che chiedevano il suo rilascio. Roxana, in un primo tempo, aveva fatto sapere al papà in America di essere finita in prigione per aver comprato una bottiglia di vino (che a Teheran è un crimine). Poi le autorità avevano lanciato un'accusa speciosa, e comunque non tale da meritare la galera: che Roxana stava facendo servizi radio-televisivi per la National Public Radio americana e la Bbc inglese senza avere le credenziali professionali. Erano già tre anni che alla giornalista, arrivata in Iran sei anni fa, non era stato più rilasciato il tesserino ufficiale per l'attività di free lance, ma era subentrato un permesso di fatto, poiché la giovane donna operava alla luce del sole e non le era stata mai mossa alcuna contestazione. Ora, anziché «l'imminente liberazione» che era stata annunciata da un portavoce del tribunale ai primi di marzo, è arrivata la tegola della condanna. Perché, secondo quanto comunicato da un giudice investigativo, ci sarebbero le prove che la donna ha raccolto e passato informazioni coperte dal segreto di stato ai servizi di Obama. «Inoltrerò sicuramente un appello», ha detto alla Associated Press l'avvocato Abdolsamad Khorramshahi, che non ha potuto nemmeno prendere la parola in tribunale. Ma è evidente che il caso è tutto politico e niente giudiziario. Appena eletto, il presidente Usa fece il discorso della «mano tesa» ai leader islamici, per voltare la pagina della politica di Bush. La settimana scorsa la sua diplomazia è andata oltre. Pur di riprendere i contatti diretti e intavolare discussioni sul futuro delle relazioni tra Washington e Teheran, funzionari del dipartimento di Stato della Clinton hanno fatto filtrare una disponibilità che Bush aveva sempre negato: avviare colloqui senza la precondizione che l'Iran sospenda l'attività di arricchimento dell'uranio. Non è una concessione da poco: tutti sanno, in America e in Europa, che dietro al programma delle centrali a fini civili c'è l'ambizione di Ahmadinejad di dotarsi di bombe nucleari. La mossa iraniana di gettare la chiave della cella in cui Roxana è rinchiusa da tre mesi, in questo contesto, è una sfida sfacciata al presidente Usa. Forse l'Iran punta a qualche scambio di prigionieri. Forse le elezioni imminenti nel Paese, che è in grave crisi economica e sociale, consigliano al leader in carica, minacciato da un concorrente «riformista» e meno anti-americano, di fare il duro provocando platealmente l'amministrazione del buonista Obama. Certo, come sprezzo del nuovo clima di dialogo proposto dagli Usa non c'è male. Peraltro, tutto si può dire meno che sia una novità nel modus operandi del regime di Teheran. I sequestri violenti in piena regola e i processi farsa con le incarcerazioni di giornalisti e intellettuali occidentali si sono susseguiti dopo l'instaurazione della Repubblica Islamica. Su tutti, ci sono stati i 444 giorni dell'assedio dell'ambasciata americana durante la presidenza di Jimmy Carter. Ma anche recentemente, ricordava il New York Times nell'editoriale di venerdì, prima della condanna, «l'Iran ha giocato questo assurdo gioco». E ha citato il corrispondente di Radio Free Europe/Radio Liberty e un attivista pro-democrazia americano ingiustamente detenuti. In precedenza, ci fu nel 2003 il caso di Zahra Kazemi, fotografa canadese nata in Iran, accusata di spionaggio come Roxana. Morì sotto le torture nella galera famigerata di Evin, dove si crede sia detenuto dal 2007 anche l'uomo d'affari Robert Levinson, ex agente Fbi. Ora che Guantanamo smobilita, gli attivisti dei diritti umani di buona volontà, e di buona fede, hanno una nuova causa. Chiudere Evin.

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A Novi le denunce sono più che raddoppiate (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

IN UN ANNO A Novi le denunce sono più che raddoppiate L'inaugurazione del Centro ascolto ad Alessandria ha fatto emergere un dato preoccupante anche a Novi. Infatti sul totale dei dati raccolti, le rilevazioni all'ospedale San Giacomo corrispondono al 6,86%. Nel 2008 è stato registrato un aumento molto consistente del fenomeno, con il significativo incremento rispetto al 2007 del 110,8%. Il fenomeno è dunque più che raddoppiato. In particolare, risultano 78 segnalazioni, di cui 56 provenienti da donne italiane (71,79%) e 22 relative a donne straniere (28,21%). L'analisi rileva un aumento sostanziale del fenomeno rispetto all'anno precedente. L'unica constatazione positiva che si può formulare dalla scorta di queste informazioni è il «crollo» delle mura domestiche entro le quali gli episodi di violenza rimanevano circoscritti, per paure di scandali o per consuetudini culturali fortunatamente sempre meno radicate. I casi di violenza casalinga ora cominciano a venire alla luce, anche se ancora non nella loro intera dimensione. «Il Piano provinciale - spiega la vice presidente della Provincia, Maria Grazia Morando -, grazie alla sinergia tra istituzioni e associazioni, ha raggiunto importanti risultati. Abbiamo ripetuto per il secondo anno interventi nelle scuole superiori, a 540 studenti e studentesse, a cui sono stati proposti elementi di cultura di genere, diritti umani e dei minori, riflessioni violenza di genere e sulla violenza domestica».

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"La mossa vincente? Aprire all'Avana diffidare di Caracas" (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Intervista Moises Naim "La mossa vincente? Aprire all'Avana diffidare di Caracas" DAL CORRISPONDENTE DA NEW YORK Gli Stati Uniti avranno presto rapporti con Cuba come li hanno con il Vietnam mentre rispetto a Chavez la situazione è più incerta». È questa la previsione di Moises Naim, direttore del magazine "Foreign Policy" e noto analista dell'America Latina. Dove può portare il dialogo fra Barack Obama e Raul Castro? «Molto lontano perché non si tratta di un processo che incomincia ora ma del frutto delle novità in corso da tempo a Cuba, in Florida e nel mondo. Vi saranno presto degli incontri diretti a livello di funzionari, poi di tipo più politico, forse vi sarà spazio per un ruolo del brasiliano Lula o dello spagnolo Zapatero e tutto finirà con una foto di Raul Castro alla Casa Bianca. La normalizzazione dei rapporti fra Washington e l'Avana è già da tempo in corso, adesso sta accelerando e il risultato sarà che gli Usa avranno con Cuba un legame simile a quello con il Vietnam, che è una nazione ex nemica, retta da un partito comunista e con la quale hanno ottimi rapporti economici». Peserà la questione del rispetto dei diritti umani a Cuba? «Certo, c'è da sciogliere il nodo dei prigionieri politici a Cuba, il cui numero peraltro è oggetto di costante discussione. Il rispetto dei diritti umani resta una debolezza dell'Avana ma è anche vero che gli Stati Uniti hanno solidi rapporti con la Cina, che è assai carente sotto questo profilo». Che impatto avrà il dialogo fra Usa e Cuba su Chavez? «Il presidente venezuelano è destinato ad essere molto più isolato. Due anni fa al summit delle Americhe che si svolse in Argentina Chavez fu una vera star, ebbe facile gioco a fare leva sull'ostilità alle politiche di Bush per consolidare un proprio ruolo di leadership regionale, facendo leva su Kirchner. Ma ora tutto è diverso. Alla Casa Bianca non c'è Bush ma Obama e Cuba sta parlando con Washington. Per Chavez sarà difficile continuare a giocare la carta dell'antiamericanismo». La stretta di mano fra Chavez e Obama cosa le suggerisce? «È difficile dire, perché Chavez che stringe la mano a Obama è la stessa persona che negli ultimi tempi lo ha spesso attaccato ed è anche lo stesso che sta inasprendo la repressione contro gli oppositori. Le intenzioni di Chavez nei confronti di Obama non sono chiare come quelle di Raul Castro». Perché Chavez ha regalato a Obama il libro di Eduardo Galeano? «È un classico della sinistra latinoamericana. La tesi di Galeano è che i problemi di sviluppo del Sudamerica dipendono dall'essere stato sfruttato dagli Stati Uniti, che sono diventati proprio in questa maniera un gigante mondiale». Insomma, regalarlo a Obama è quasi una provocazione... «Questo è Chavez». Che impressione si è fatto del summit di Trinidad e Tobago? «Il vero tema del vertice non sono i rapporti fra Usa e Cuba e tantomeno la stretta di mano fra Chavez e Obama bensì la dura contrapposizione fra due gruppi di Paesi portatori di politiche economiche molto differenti. Brasile, Cile, Messico, Perù, Colombia, Uruguay e Costa Rica fanno scelte simili a quelle degli Usa mentre sul fronte opposto vi sono Venezuela, Nicaragua, Ecuador e Bolivia. La divisione fra i due gruppi è netta e le tensioni alte». \

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Oggi lo Zonta premia tre donne in carriera (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

FINALE LIGURE Oggi lo Zonta premia tre donne in carriera «Zonta rose day» (ore 16) a Finalborgo all'Auditorium di Santa Caterina. La giornata è dedicata alla donna lavoratrice e professionista, «alla quale vengono riconosciuti particolari meriti per essersi distinta nella sua attività e per aver promosso gli ideali zontiani». «Lo Zonta Club è un'associazione internazionale che si impegna sul fronte globale e locale al fine di superare le barriere poste contro un'educazione improntata all'eguaglianza, per garantire l'assistenza sanitaria e i diritti umani, con programmi di ricerca fondi e per tramite di programmi per l'educazione, servizi ed assistenza legale», spiega il presidente Margherita Gallo. Domenica presso l'Auditorium saranno premiate Laura Chiesa (imprenditrice e commerciante storica di Finalmarina), Mafalda Mazzoni (insegnante, fondatrice di Zonta Club e Università 3 Età di Finale), Nenne Sanguineti Poggi (pittrice). Nel corso della manifestazione la Compagnia del Barone Rampante, Associazione culturale onlus di Borgio Verezzi, presenterà all'Auditorium cinque pezzi tratti dallo spettacolo «Una serata fuori» (lo spettacolo sarà replicato a Santa Caterina sabato 25 aprile alle ore 21).\

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No di Washington alla conferenza sul razzzismo (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

No di Washington alla conferenza sul razzzismo NEW YORK Gli Stati Uniti non andranno alla conferenza dell'Onu contro il razzismo, in programma fra pochi giorni a Ginevra. La decisione è stata presa dall'Amministrazione Obama in ragione del testo della dichiarazione finale, che accusa Israele di «restringere la libertà di espressione». Gli Usa avevano già boicottato la prima conferenza sul razzismo, a Durban in Sudafrica nel 2001: per la forte ostilità degli organizzatori nei confronti dello Stato ebraico e perché anche in quell'occasione molti Paesi arabi e del Terzo Mondo avevano riproposto il paragone fra sionismo e razzismo. Dunque, il portavoce del Dipartimento di Stato, Robert Wood, ha fatto sapere «con rammarico» che «gli Stati Uniti non parteciperanno». Per evitare questa decisione le feluche di Washington nelle ultime settimane avevano profuso energie per emendare il testo dalle pesanti critiche a Israele e al sionismo ma le resistenze opposte da diversi Paesi musulmani l'hanno impedito. L'Amministrazione Obama voleva partecipare nell'ambito dei suoi sforzi per rilanciare il ruolo americano nelle organizzazioni internazionali, confermato dalla scelta di candidarsi al Consiglio per i Diritti Umani. Con questa decisione gli Stati Uniti si affiancano all'Italia e ad altri Paesi europei che, per non discriminare Israele, avevano già dato forfait. Sarà invece presente a Ginevra il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che in passato ha negato che la Shoà sia avvenuta e si è detto a favore della cancellazione di Israele dalla carta geografica. La scelta di Obama di non far partecipare gli Stati Uniti era stata auspicata da numerose associazioni ebraiche americane mentre a suggerire che sarebbe stato «comunque importante partecipare» era l'assemblea dei deputati afroamericani del Congresso e Human Rights Watch. \

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Teheran, otto anni alla giornalista arrestata (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere della Sera" del 19-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 19/04/2009 - pag: 16 Diritti umani Roxana Saberi è rinchiusa nella prigione di Evin Teheran, otto anni alla giornalista arrestata Accusata di «spionaggio». Obama «deluso» Prevista domani l'esecuzione della pittrice Delara. Lettera dei genitori ai parenti della vittima: «Perdonatela» Da due mesi e 19 giorni Roxana Saberi, giornalista americanairaniana di 31 anni, è nella prigione di Evin a Teheran, un carcere dove vengono spesso rinchiusi i prigionieri politici, lo stesso in cui nel 2003 morì di emorragia celebrale la fotoreporter canadese Zahra Kazemi e lo scorso mese, in circostanze misteriose, il blogger iraniano Omidreza Mirsayafi. Ieri Teheran ha reso noto che Roxana è stata condannata a restare a Evin per 8 anni. In un processo a porte chiuse, lunedì, una Corte rivoluzionaria (che giudica le questioni di sicurezza nazionale) ha dichiarato la giornalista colpevole di spionaggio. Avrebbe usato la sua professione come copertura per trasmettere informazioni all'intelligence Usa. L'avvocato Abdolsamad Khorramshahi farà ricorso. In attesa del giudizio d'appello, le è stata negata la libertà su cauzione. E' la prima volta che una giornalista americana viene condannata per spionaggio in Iran. Il presidente Usa Barack Obama e il segretario di Stato Hillary Clinton si sono detti «profondamente delusi». Dalla sua elezione, Obama ha dichiarato di voler scongelare i rapporti con Teheran, sospesi dopo la Rivoluzione Islamica nel 1979 e peggiorati per via delle ambizioni nucleari iraniane. Il caso di Saberi complica le cose. Roxana ha due passaporti, americano e iraniano. La mamma Akiko, giapponese, e il papà Reza, iraniano, vivono a Fargo, in North Dakota, dov'è cresciuta, diventando reginetta di bellezza nel 1998 e poi reporter tv, sognando di fare la corrispondente dall'estero. Nel 2002 l'agenzia «Feature Story News» che confeziona «storie » per le tv Usa l'ha scoperta e inviata in Iran. Tv, radio, online: sapeva fare tutto. E parlava il farsi. La Bbc inglese, la tv Fox e la radio Npr negli Usa l'hanno mandata in onda. Ma nel 2006 il ministero della «Cultura e della Guida Islamica» non le ha rinnovato l'accredito stampa. E' rimasta a Teheran. Scriveva un libro. Mandava ancora servizi a Npr (secondo la radio, col permesso alle autorità). Dal 31 gennaio non sono arrivate più telefonate né email a Fargo. Il 10 febbraio, una chiamata di 3-4 minuti da un luogo ignoto: «Mi hanno arrestata perché ho comprato una bottiglia di vino». Lo disse «con voce strana» al papà, raccomandò di non parlare alla stampa, perché sarebbe uscita presto. A marzo il ministero degli Esteri iraniano l'ha accusata di aver lavorato come giornalista senza autorizzazione. Reza e Akiko sono volati a Teheran, l'hanno vista una volta per 30 minuti, nel solo giorno della settimana concesso ai parenti: non era più in isolamento, stava abbastanza bene. L'8 aprile le autorità hanno cambiato versione: «Dicendo d'essere una reporter, conduceva attività di spionaggio». Il viceprocuratore della Corte ha detto che la ragazza si è dichiarata colpevole, il padre che l'hanno convinta a confessare in cambio della libertà, ignorando le successive dichiarazioni di innocenza. La condanna arriva in un momento delicatissimo. Alcuni esperti la leggono come un tentativo degli ultraconservatori in Iran di sabotare il dialogo con gli Usa: l'avversario del presidente Mahmoud Ahmadinejad alle elezioni di giugno, Mir Hossein Mousavi, vuole un avvicinamento. Altri osservano che Ahmadinejad si è recentemente mostrato più disponibile al dialogo. Negli ultimi anni ricercatori universitari con doppia nazionalità come Roxana sono stati incarcerati per mesi con l'accusa di spionaggio, ma poi liberati senza processo. Domani rischia di finire sul patibolo un'altra ragazza iraniana, la pittrice Delara Darabi, 23 anni, rinchiusa da 6 anni in un carcere di Rasht, nel nord del Paese. Delara è stata condannata a morte per l'omicidio di una cugina. Inizialmente si era detta colpevole, ritrattando in seguito. Il suo avvocato, Khorramshahi, lo stesso di Roxana Saberi, dichiara che le prove la scagionano ma i tribunali hanno rifiutato di esaminarle. Esaurite le vie legali, i genitori hanno inviato una lettera aperta a Hayedeh Amir-Eftekhari, una dei 5 figli della vittima, l'unica che finora ha rifiutato di concedere il perdono. Infatti i parenti della vittima possono salvare la vita della condannata. «Nostra figlia... ha fatto un errore», hanno ammesso i genitori della ragazza, ribadendo però la sua innocenza. Una manifestazione di artisti e attivisti è prevista per lei domani a Rasht. Ieri e oggi Roxana Saberi reginetta (Afp, sotto) e reporter (Afp, sopra) Viviana Mazza

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Vertice delle Americhe. Barack Obama: "Punto ad un nuovo inizio con Cuba" (sezione: Diritti umani)

( da "AmericaOggi Online" del 19-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Vertice delle Americhe. Barack Obama: "Punto ad un nuovo inizio con Cuba" 19-04-2009 PORT OF SPAIN. Con Cuba gli Stati Uniti puntano a "un nuovo inizio": lo ha detto il presidente Barack Obama, intervenendo al quinto vertice delle Americhe aperto ieri a Trinidad Tobago, alla presenza di 33 leader del continente, tra i quali non figurava il presidente cubano, Raul Castro, in quanto non invitato come di consuetudine a questo tipo di summit. Poco prima del suo intervento, Obama ha salutato con una stretta di mano con il presidente venezuelano Hugo Chavez, che gli si è rivolto sottolineando: "Voglio essere tuo amico". "Ci siamo stretti la mano come gentiluomini. Era ovvio che accadesse", ha detto Chavez dopo l'incontro con Obama. E ha aggiunto: "E' un uomo intelligente, diverso dal suo predecessore". Durante il suo discorso, nell'auspicare un contatto diretto con L'Avana, il presidente Obama ha rinnovato l'invito al governo di Castro a compiere dei "passi" in avanti, ribadendo la disponibilità della Casa Bianca ad impegnarsi con il governo cubano "su una serie di questioni". Nel riconoscere quello che ha definito "gli storici sospetti" sull'interventismo di Washington nell'America Latina, Obama ha d'altra parte chiesto ai leader latinoamericani presenti - dal brasiliano Lula, al messicano Felipe Calderon e il venezuelano Chavez - di non incolpare gli Usa "per ogni problema sorto nell'emisfero". Non sono solo gli Stati Uniti "a dover cambiare, tutti noi abbiamo delle responsabilità rispetto al futuro" - ha osservato Obama, offrendo nel contempo alla regione latino-americana "un dialogo fondato sul rispetto reciproco di valori condivisi" in cui non ci siano "partner di prima o di seconda categoria". Ma il tema chiave del discorso di Obama, e dell'intero 'summit' americano, è proprio il nodo Cuba, anche perché da più parti nelle ultime ore è stata chiesta la fine dell'embargo commerciale Usa, tema che con ogni probabilità sarà al centro degli interventi e contatti di oggi. "Sono pronto al coinvolgimento della mia amministrazione con il governo cubano su un ampio spettro di questioni, i diritti umani, la libertà d'espressione e la riforma democratica", ha detto Obama in uno dei passaggi centrali del suo intervento, ricordando anche i "problemi della droga, l'immigrazione e gli affari economici". "So che è necessario intraprendere un viaggio più lungo dopo decenni di sfiducia, ma vi sono alcuni passi chiave che possiamo fare verso un nuovo giorno", ha proseguito, aggiungendo: "Lasciatemi essere chiaro, non sono interessato a parlare per il gusto di parlare. Credo davvero che possiamo portare le relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti in una nuova direzione". Con questo intervento, Obama ha chiuso una lunga settimana in cui non sono mancate le novità nei rapporti Washington-L'Avana. Lunedì la Casa Bianca ha annunciato la revoca di una serie di restrizioni con L'Avana (sul fronte dei viaggi dei cubano-americani e delle rimesse), mentre venerdì in Messico lo stesso Obama aveva chiesto "un gesto" a Raul Castro, che poche ore dopo ha in effetti replicato: "Siamo pronti a parlare su tutto, anche sui prigionieri politici ed i diritti umani". La palla è quindi ripassata nel campo degli Usa. E in effetti, poco dopo, il segretario di Stato Hillary Clinton ha elogiato i segnali di "apertura" provenienti dall'isola comunista, sottolineando che le politiche precedenti della Casa Bianca con L'Avana "sono fallite". Nel suo intervento Obama ha poi scherzato con un altro avversario di Washington, il capo dello stato nicaraguense Daniel Ortega, che aveva parlato poco prima di lui: "La ringrazio per non avermi incolpato" di fatti, quali appunto alcuni eventi della storia cubana, "avvenuti quando avevo tre mesi di età".

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L'albero E LA MEMORIA (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

storie I GIORNI DEL CONDOR E LE RADICI DEL RICORDO L'albero E LA MEMORIA Un nuovo albero per ogni oppositore scomparso durante la dittatura di Pinochet. Oggi è il giorno della memoria che in Italia è tenuta viva dal Comitato dei lavoratori cileni esiliati, di Rivalta Bormida Geraldina Colotti «Un árbol por cada recuerdo, una vida en cada árbol» Un albero per ogni ricordo, una vita in ogni albero. Piantare un albero per non dimenticare. Coniugando storia, ambiente e diritti umani, il progetto internazionale Ecomemoria ogni anno estende la sua «foresta virtuale» come le radici aeree delle mangrovie: dal Cile all'Australia, dall'Argentina alla Nuova Zelanda, dal Brasile all'Europa. Un albero per ogni oppositore cileno scomparso o ucciso durante la dittatura di Augusto Pinochet che stritolò il paese dal 1973 al 1990. Un progetto internazionale contro le violazioni dei diritti umani e ambientali, ideato a Londra dalle associazioni dei cileni in esilio, nel 2003. In Italia, l'iniziativa è portata avanti dall'associazione Comitato lavoratori cileni esiliati, con sede a Rivalta Bormida, che ogni anno intreccia «memorie vive di resistenza» fra storia e presente sul territorio. Oggi Ecomemoria metterà radici nei comuni di Noli, Spotorno, Quiliano, Vado Ligure in collaborazione con i sindaci e con l'Istituto storico della resistenza. «Nel 2002 - spiega al manifesto Urbano Taquias Vicente, presidente dell'associazione Comitato lavoratori cileni esiliati - la Corte suprema in Cile archiviò il processo sulla Carovana della morte ritenendo Pinochet mentalmente incapace di difendersi. Di lì a poco, però, il dittatore si mostrò arrogante e in buona salute su una Tv di Miami. In Cile molti quadri di potere erano e sono rimasti al loro posto. Il rischio era l'oblio. Così, nel 2003, è nato il progetto Ecomemoria». Urbano, esiliato politico dal 1974, è un metalmeccanico che ha continuato anche in Italia la tradizione di resistenza operaia a cui ha partecipato nel suo paese. Nel '98, la procura spagnola chiede alla Gran Bretagna di estradare Pinochet, che in quel momento si trova a Londra in missione segreta, per crimini contro l'umanità. Dal 1989, il Cile è formalmente tornato alla democrazia per volontà popolare, ma l'ex dittatore ha conservato la carica di capo dell'esercito e di senatore a vita. Scoppia un caso internazionale che per 503 giorni porterà il Cile all'attenzione del mondo. Nell'ottobre '98, pochi giorni dopo l'arresto di Pinochet in Gran Bretagna, da una fossa comune furono riesumati i corpi di 15 persone considerate scomparse, uccise dai militari a Serena, in una tappa della Carovana della morte. L'inchiesta della giornalista Patrizia Verdugo su quelle tappe di morte decise in un vertice ristretto da Pinochet («Gli artigli del Puma», Sperling & Kupfer), non ha ancora avuto esito giuridico, ma ha già fatto storia. Quei 503 giorni di detenzione londinese - scrive Verdugo - «cambiarono il quadro politico del nostro paese». L'«intoccabile», l'uomo sembrato fino ad allora onnipotente, non era più tale. In Cile, cominciano ad arrivare le denunce contro l'ex dittatore. Anche in Italia, i parenti delle vittime con cittadinanza italiana presentano un loro fascicolo all'autorità giudiziaria e si costituiscono parte civile contro Pinochet. Urbano è il primo a denunciarlo presso la Procura di Milano, senza esito. Il comitato di Urbano stila una lista degli italo-cileni uccisi dalla dittatura (almeno trenta) e presenta denunce a varie procure. Alla fine, l'inchiesta aperta a Roma dal magistrato Giancarlo Capaldo riguarderà solo alcuni casi, fra cui quello di Omar Venturelli, e senza esito. L'ex sacerdote Venturelli fu ucciso nell'ambito dell'Operazione Condor, la multinazionale del terrore, voluta dagli Stati uniti e attuata congiuntamente dalle dittature sudamericane di allora (Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Brasile e Guatemala) per eliminare gli oppositori politici ovunque si trovassero. Anche in Europa. In Italia, a fare il lavoro sporco pensavano servizi segreti «deviati» e fascisti, i cui nomi compaiono tuttora nelle inchieste aperte. Oggi, a Noli, uno degli alberi verrà dedicato a Guillermo Tamburini, un medico di origine italoargentina che risiedeva in Cile, dove venne rapito dai militari insieme alla moglie Maria Cecilia Magnet Ferrero e fatto scomparire. Era un militante del Movimiento de Izquierda Revolucionaria, il Movimento di sinistra rivoluzionaria (Mir) che si oppose con le armi alla dittatura militare. E una ex dirigente del Mir, Ana Maria Taquia Vergara, rappresentante dei famigliari degli scomparsi cileni per l'Europa, arriverà da Londra per partecipare a Ecomemoria. Venne arrestata il 14 ottobre del '73 durante una delle prime ondate repressive messe in campo dalla dittatura, dopo il golpe che rovesciò il governo socialista di Allende l'11 settembre 1973. Si calcola che, solo nei primi mesi dopo ilcolpo di stato, i servizi di sicurezza arrestarono circa 45.000 persone. Ana Maria venne portata allo stadio nazionale di Santiago, uno dei 1168 luoghi pubblici usati come campo di concentramento da Pinochet. Nel frattempo, la macchina da guerra dei militari istituiva in tutto il paese altri luoghi segreti di tortura, come quello di Villa Grimaldi in cui vennero torturati centinaia di migliaia di oppositori. Circa 2.000 vi persero la vita e circa 1.200 vennero dichiarati «scomparsi»". Secondo le organizzazioni per i diritti umani che cercano ancora i resti degli scomparsi, furono oltre 3.000 le vittime di Pinochet, uccise nel paese oppure altrove, nel corso dell'Operazione Condor. Pinochet, tornato in patria nel 2000 per «motivi di salute», è morto nel suo letto nel 2006, lasciando molti conti aperti in un paese dai fragili equilibri democratici, che non ha ancora cambiato veramente pelle nemmeno con il governo di Michelle Bachelet. Uno di questi conti, riguarda anche l'Italia, e il processo per l'uccisione di cittadini italiani nell'ambito del Piano Condor. Il giudizio della storia, vale ricordarlo, non va confuso con quello della legge, ma se i 140 mandati di cattura emessi da Giancarlo Capaldo per le colpe del Condor nei sei paesi che ne fecero parte avessero un esito processuale, si aprirebbe una finestra ancora attuale sulle dinamiche del potere. OGGI ECOMEMORIA TORNA A METTERE LE SUE RADICI IN ITALIA Sono già quasi 60 gli alberi piantati in Italia del progetto internazionale Ecomemoria (HYPERLINK "http://www.memoriaviva.com" www.memoriaviva.com) che vuole raccogliere fondi per un parco in Cile dedicato alle vittime di Pinochet. Oggi gli alberi saranno a nome di Guillermo Tamburini, Jose Eugenio Monsalve Sandoval, Juan Angel Queda Aguayo, Juan Bosco Maino Canales, Miguel Cabrera Fernandez, Prospero del Carmen Guzman Soto, Raul Rodrigo Obregon. Appuntamenti oggi: Noli, Piazza della Chiesa di Voze ore 9,30; Spotorno, Parco Località Magiarda, ore 10,00; Quiliano, Parco San Pietro in Carpignano, ore 10,30; Vado Ligure, Chiesa M.S. Regina della Pace Valle di Vado, ore 11,00. Intervengono: Ana Maria Taquias Vergara, un familiare degli scomparsi Cileni; Urbano Taquias Vicente, pres. Comitato lavoratori cileni esiliati; i sindaci di Noli, Spotorno, Quiliano, Vado Ligure; l' Anpi e l'Isrec di Savona. Foto: ALBERO PIANTATO IN TOSCANA PER NELSON LINCOQUEO (FOTO A SINISTRA)

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Jackie Chan, un calcio alla democrazia "Porta soltanto caos" (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

LA STAR FA INFURIARE I DEMOCRATICI DI HONG KONG E TAIWAN Jackie Chan, un calcio alla democrazia "Porta soltanto caos" [FIRMA]FRANCESCO SISCI PECHINO Una società libera va davvero bene per i cinesi? La domanda che appare quasi assurda in Occidente, in Cina ha un suo perché tra la gente comune, nonostante il governo soltanto qualche giorno fa abbia pubblicato un piano di azione sui diritti umani. In sintonia con la gente comune è anche la superstar cinese, Jackie Chan: «Noi cinesi abbiamo bisogno di essere controllati», ha detto provocatoriamente. E si è aperto il dibattito. Jackie, 55 anni, è cittadino di Hong Kong, territorio con piena libertà di espressione e stampa. Lui, attore preferito del presidente Hu Jintao e di un miliardo di cinesi, era stato invitato a parlare all'annuale forum di Boao, nell'isola di Hainan: «Non sono sicuro che sia bene avere o meno libertà. Sono confuso. Se si è troppo liberi si diventa come Hong Kong o Taiwan: un caos». Jackie Chan non è sempre stato il beniamino del governo al potere. Venti anni fa era stato un sostenitore degli studenti di Tiananmen. Ma ora sembra aver cambiato idea: «Sto cominciando a pensare che noi cinesi dobbiamo essere sotto controllo - ha spiegato -. Altrimenti facciamo tutto quello che ci salta in mente». Qualcosa della sua antica fede libertaria si è spezzato. Colpa anche della deriva di Taiwan, l'isola di fatto indipendente ma di diritto parte della Cina. Il Partito democratico progressista (Dpp), dopo la sconfitta alle elezioni del 2008, ha cominciato una campagna di continue dimostrazioni e cortei che stanno bloccando l'isola. Taiwan era vista come un esperimento di democrazia per tutta la Cina. Ma oggi sta funzionando al contrario. Una democrazia così spaventa i cinesi e Jackie Chan dà voce a questo sentimento. L'attore è esploso al ricordo dello scandalo del latte alla melamina che ha ucciso decine di bambini e del problema annoso della qualità dei prodotti cinesi: «Se devo comprare un televisore ne compro uno giapponese. Uno cinese finisce che mi scoppia in faccia». Se democrazia dev'essere, almeno abbia la garanzia.

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Teheran condanna la giornalista Roxana Saberi a 8 anni di carcere (sezione: Diritti umani)

( da "Articolo21.com" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Teheran condanna la giornalista Roxana Saberi a 8 anni di carcere di Ahmad Rafat* Roxana Saberi, la giornalista americana di padre iraniano e madre giapponese, è stata condannata sabato mattina a 8 anni di reclusione. Lunedì, arriva a Ginevra il presidente Mahmoud Ahmadinejad per parlare alle Nazioni Unite dei diritti umani, nell’ambito della seconda conferenza sul razzismo. C’è qualcosa che non quadra. Pochi sono i dubbi che nella Repubblica Islamica i diritti umani siano rispettati. Se questa teoria è confermata dai fatti, e credo che lo sia, allora mi sembra legittimo chiedere ai vertici delle Nazioni Unite e al Segretario Generale in prima persona, perché far parlare chi non rispetta i diritti umani sanciti nella carta dei Diritti dell’Uomo. Roxana Saberi, 31 anni, si era trasferita in Iran sei anni fa e da allora collabora come freelance con la BBC e la Public National Radio statunitense, nonché alcune emittenti televisive. Roxana è stata accusata di “spionaggio a favore di potenze straniere”. La notizia della condanna non è stata ancora confermata da fonti giudiziarie della Repubblica Islamica, ma comunicata in via confidenziale ai genitori della collega che si trovano da due settimane in Iran per assistere al processo della figlia. Roxana Saberi è giunta in Iran sei anni fa e immediatamente si è accreditata presso il Ministero per la Cultura e l’Orientamento Islamico. Due anni fa aveva presentato domanda per il rinnovo dell’accredito, senza ricevere mai una comunicazione di rifiuto o di approvazione. Roxana è stata fermata durante una ronda della polizia e, a quanto pare trovata in possesso di una bottiglia di bevanda alcolica. Trasferita per la solita multa ad un commissariato, il suo fermo è stato trasformato in arresto con l’accusa di spionaggio. Non è la prima volta, e sfortunatamente non sarà nemmeno l’ultima, che giornalisti, scrittori, professori o ricercatori iraniani con doppia cittadinanza vengono arrestati con l’accusa di spionaggio a favore del paese occidentale del quale hanno ottenuto la cittadinanza. Tutti ricordiamo il caso di Zahra Kazemi, la fotoreporter canadese di origini iraniane uccisa durante l’interrogatorio nel carcere di Evin. Hanno passato mesi in carcere anche la ricercatrice statunitense Haleh Esfandiari, il professore universitario canadese Ramin Jahanbeglu, la collega americana Nazi Azima, o la regista francese Mehrnoush Solouki. I fratelli Arash e Kamyar Alaii, ambedue medici, scontano in carcere a Teheran, una pena complessiva di 9 anni, perché curavano i malati di Aids. Sono stati riconosciuti “colpevoli” di voler “sabotare la sicurezza e la stabilità del paese”, diffondendo notizie sul numero reale dei malati colpiti dal virus Hiv. Pochi giorni fa parlando con l’avvocato di uno degli studenti del Politecnico di Teheran, (accusato di “attentato contro la sicurezza dello Stato”, per aver raccolto firme per la campagna delle donne che chiedono l’eguaglianza dei diritti tra i sessi), mi è stato chiesto di spiegare “a che gioco stanno giocando gli europei”. Non è comprensibile per i cittadini iraniani l’atteggiamento dell’Occidente, e soprattutto quello dell’Europa. A parole diceva il legale, condannano le violazioni dei diritti umani nella Repubblica Islamica, poi premono su Ahmadinejad per un dialogo senza condizioni. Non chiedere nemmeno il rispetto dei diritti umani come condizione previa per ogni trattativa con la Repubblica Islamica, diceva l’amico avvocato, è interpretato dai governanti iraniani come un incoraggiamento per continuare a violare in pace e senza impedimenti, anche i più elementari diritti degli essere umani. * membro del direttivo dell’Information, Safety & Freedom e portavoce dell’Iniziativa per la Libertà d’Espressione in Iran

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Durban, rinuncia anche la Germania il summit verso il fallimento (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica.it" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

GINEVRA - "Uniti contro il razzismo": qualcuno ha scritto giustamente che sembra una beffa lo slogan scelto per la Conferenza dell'Onu sul razzismo (la cosiddetta Durban 2) che si apre a Ginevra. In serata è arrivata l'ultima rinuncia, pesante, quella della Germania. Dopo Stati Uniti, Israele, Canada, Italia, Olanda, il boicottaggio della Germania porta il peso della scelta di un paese guida nella Ue e nel mondo. Il vero timore è che la 4 giorni di Ginevra possa trasformarsi in una replica di "Durban 1", la conferenza Onu che nel 2001 mise nel mirino Israele accusandolo di essere l'unico paese al mondo titolare di politiche razziste e xenofobe. A Ginevra però ci sarà il Vaticano, ci saranno tutti i paesi arabi e quelli islamici che volevano Israele sul banco degli imputati. Con loro in prima fila il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Arriveranno alcuni paesi europei che non se la sono sentita di disertare una conferenza Onu, per esempio la Gran Bretagna di Gordon Brown (con una scelta quasi da doppiogioco: Londra sarà rappresentata solo dall'ambasciatore a Ginevra). Ci saranno tutte le agenzie Onu e le Ong interessate al tema dei diritti umani, dell'uguaglianza fra i popoli. Per mesi è stata negoziata una Dichiarazione Finale da cui progressivamente sono stati emendati i riferimenti aggressivi per Israele. Su un punto però gli anti-israeliani hanno fatto muro: nel progetto di "Dichiarazione Finale" è stato lasciato un esplicito richiamo alle conclusioni di Durban 1, in cui Israele veniva attaccato frontalmente. In questo modo quindi anche la conferenza di Ginevra si prepara a criticare Israele. OAS_RICH('Middle'); Ecco perché ieri Barack Obama in persona ha confermato il boicottaggio Usa, facendolo con un ragionamento politico consequenziale: "Io sono un presidente degli Usa che crede nel multilateralismo e nelle Nazioni Unite, ma non posso accettare un linguaggio controproducente come quello proposto. Ho detto al segretario Ban Ki Moon che siamo felici di aiutare l'Onu, ma questa non è l'opportunità giusta". Il Vaticano invece ha scelto di privilegiare il rapporto con gli altri paesi membri dell'Onu: sarà a Ginevra e l'ha fatto annunciare dal papa in persona. Benedetto all'Angelus ha invitato "tutte le delegazioni a lavorare insieme in uno spirito di dialogo e di reciproca accettazione per metter fine ad ogni forma di razzismo, discriminazione e intolleranza". Ahmadinejad , che in Svizzera è arrivato ieri sera, oggi parlerà al Palais Des Nations: unico capo di stato presente, ha anticipato il tono prevedibile del suo discorso con una dichiarazione poco equivoca. "Israele è il portabandiera del razzismo, i sionisti saccheggiano la ricchezza delle nazioni, controllano i centri di potere del mondo e hanno creato le condizioni perché non si parli di questo fenomeno". Ahmadinejad è un uomo politico abile ed esperto, nonostante i toni radicali della sua politica; vedremo se oggi adopererà le stesse parole usate ieri alla partenza da Teheran, ma sicuramente il summit di Ginevra questa mattina inizierà sotto il suo segno. Ieri sera l'Alto commissario per i diritti dell'uomo, la sudafricana Navy Pillay, diceva di essere "scioccata e profondamente delusa per la decisione degli Usa di non partecipare a una Conferenza dedicata alla lotta al razzismo e alla xenofobia". Il problema è capire davvero cosa sarà da oggi questa "Durban 2". (19 aprile 2009

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la politica equilibrista - (segue dalla prima pagina) (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica, La" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Pagina 19 - Commenti LA POLITICA EQUILIBRISTA (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Il rifiuto di Obama, e il ritiro della delegazione americana che pure fino a pochi giorni or sono aveva partecipato alla preparazione di questa "Durban 2", come si chiama perché è la continuazione della prima, organizzata nella città sudafricana di Durban nel 2001, vengono dopo settimane di esitazione, di "nì", di "forse" e di "ma", di sofferenze e di ambiguità che il Presidente stesso si è deciso a tagliare «con rammarico» per non offendere coloro, Israele e la comunità ebraica per prime, che leggono in questo incontro soltanto un´occasione di propaganda antisemita. E dunque una cassa di risonanza per quelle nazioni, come Iran e Libia, che bizzarramente fanno parte della commissione Onu per «i diritti umani», e usano il Palazzo di Vetro come megafono anti israeliano, mentre al proprio interno calpestano proprio quei diritti civili e individuali che domandano agli altri di rispettare. Ma se il rifiuto di partecipare è stato più facile per i governi che hanno detto "no", come l´Australia, la Francia, l´Olanda, che è agitata al proprio interno dalla più acuta "questione islamica" in tutta l´Europa o l´Italia, mentre il Vaticano, l´Inghilterra, la Spagna hanno accettato l´invito, l´assenza dell´uomo che incarna in questo momento la più alta speranza di superamento del razzismo sembra una contraddizione lancinante. Per questo, e fino all´ultimo, gli inviati americani a Ginevra, e la stessa Casa Bianca avevano tentato di lavorare per linee interne, di modificare dal di dentro quei documenti nei quali i promotori cercano di indicare nel "sionismo", sinonimo di Israele, il bastione del razzismo, che definiscono la barriera costruita dal governo ebraico «il muro dell´apartheid» e riconoscono soltanto nella "Nakba", nella catastrofe e nella diaspora palestinese, l´unico, autentico esempio di tentato genocidio. Di fronte alla nettezza inconciliabile di questa interpretazione del razzismo, che già aveva spinto George Bush a boicottare "Durban 1", neppure la consumata abilità obamiana di ricomporre gli opposti con il carisma o la sua capacità di fare annunci trancianti seguiti da azioni concrete molto più ambigue, sarebbe bastata. Benedetto XVI può, nel suo ruolo di pontefice di una confessione religiosa senza autentico potere politico, permettersi di sperare che questa conferenza sia «un passo fondamentale verso l´affermazione del valore universale della dignità dell´uomo, contro ogni forma di discriminazione», ma il Papa non deve vedersela con la comunità ebraica americana, con un governo di falchiestremisti come il neo insediato in Israele, con un capo di gabinetto come Rahm Emanuel già volontario con le forze armate israeliane, con lobbies che avrebbero considerato la sua presenza a Ginevra come assenso implicito alle tesi di chi nega l´Olocausto. La tecnica di governo di Barack Obama, quasi una edizione americana dei «due forni», il presidente che annuncia la chiusura di Guantanamo ma per il momento la lascia aperta, che ammorbidisce l´embargo anti cubano ma non lo cancella, che condanna la tortura ma non i torturatori, che fustiga i bonus e i profitti dei finanzieri ma poi puntella le loro banche agonizzanti, non poteva funzionare di fronte a una conferenza che esalta e sancisce il razzismo mentre dichiara di volerlo estirpare. E non è soltanto il nocciolo radioattivo dell´antisemitismo contenuto già nel primo documento approvato sette anni or sono a inquietare. C´è anche il tentativo di dichiarare ogni "discorso blasfemo" come proibito e di considerare "l´incitamento" alla critica antireligiosa come prova di discriminazione razziale, una tesi cara alle teocrazie fondamentaliste e integraliste che in sostanza sperano di avere il beneplacito dell´Onu alla loro «fatwa», alla persecuzione e repressione di ogni critica e di ogni opposizione vista come satanica. Il paradosso del presidente venuto dal Terzo Mondo, del primo capo di stato americano eletto "nonostante" la propria diversità e minorità etnica è dunque più apparente che reale. Questa volta, Obama il formidabile equilibrista che riesce a sembrare sempre troppo rivoluzionario ai conservatori e sempre troppo conservatore ai rivoluzionari, essendo tanto un centrista nell´azione quanto appare "estremista" nella parole, non ha potuto camminare sul filo dell´ambiguità. Obama, come gli rimproverano i delusi, è, prima di ogni altra cosa, un realista e lo ha dimostrato, con qualche imbarazzo, rifiutando di presentarsi a questo invito a cena. La realtà, oggi come negli ultimi 60 anni di politica estera americana, con presidenti democratici o repubblicani, insegna che, al momento delle strette, Washington, bianca o nera che sia, si collocherà sempre dalla parte di Israele.

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La tortura non semina democrazia PAOLO GHEZZI (sezione: Diritti umani)

( da "Adige, L'" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Cuori matti La tortura non semina democrazia PAOLO GHEZZI (segue dalla prima pagina) Al capo della grande democrazia nordamericana non sembrano più legittimabili le pratiche sadiche divenute famose per certe foto uscite dalla prigione irachena di Abu Ghraib e per certi racconti dal campo di Guantanamo. Certo, non incriminerà gli agenti della Cia che se ne sono resi responsabili, ma nessuno è perfetto. Chi dalla storia e dalla cultura degli Stati Uniti ha imparato molti valori civili, liberali e perfino libertari, oltre ad essersi abbeverato alla sua musica, alla sua letteratura e al suo cinema, non può non festeggiare il rinsavimento americano e magari può cominciare a sperare che tra una mezza dozzina di presidenti si possa discutere anche della pena di morte, un altro strumento «normale» per la maggior parte dell'opinione pubblica e per molti Stati dell'Unione. Ma la tortura, a ben guardare, è perfino peggiore della pena di morte, nel senso che non vuole solo eliminare l'avversario, che sia buono o cattivo (o il reo, vero o presunto), ma gli vuole strappare la libertà e il diritto di mentire, di tacere, di non confessare, di resistere al potere che lo tiene prigioniero e che ne vuole spremere i segreti, il passato, le colpe vere e quelle immaginarie, e che usa il suo corpo e i terminali del dolore fisico e psichico come materiale biologico di cui abusare, nella logica consolidata secondo cui il fine (il bene comune, la sicurezza, la verità) giustifica i mezzi (anche le scosse elettriche sui testicoli, anche le frustate, anche i semisoffocamenti o i quasi annegamenti, anche le raffinate tecniche coadiuvate da insetti mordaci e cani ringhiosi, per non parlare delle minacce, degli insulti sanguinosi e delle umiliazioni mortificanti). Strumento efficace e a buon mercato, la tortura ha sempre avuto una discreta popolarità perché è esperienza umana antica e quasi universale: molti bambini (poi diventati adulti più o meno normali) l'hanno praticata sui loro coetanei o sui fratellini più piccoli o sugli amichetti più grandi ma tonti, oltre che su formiche, talpe, gatti, lucertole, rondini (un mio amico oggi civilissimo buonissimo e mitissimo usava crocifiggerle per poi bersagliarle con le sue frecce) e ragni (parecchi di noi, da piccoli, hanno dato fuoco, per gioco, alle lunghe zampe sottili di quegli animaletti assolutamente innocui). Molti di noi l'hanno praticata (almeno nelle forme più impalpabili, come la crudeltà psicologica e il sarcasmo feroce contro il nostro prossimo), molti di noi l'hanno subìta: dai prepotenti, dai cattivi, dai superiori, dai colleghi, da certi mal-educatori. Si tratta di una pratica familiare, a portata di mano, di cui conosciamo personalmente gli effetti: perché abbiamo paura del dolore, oltre che dello scherno, perché abbiamo paura della paura, perché abbiamo paura di diventare qualcosa di diverso da quel che vorremmo essere, sotto tortura (e basta immaginare di essere trapanati su un dente dolente senza anestesia). Perché non sappiamo se riusciremmo a resistere, a non tradire gli amici, a non rinnegare ciò in cui crediamo, sotto tortura. Lo Stato totalitario del Grande Fratello, nel «1984» orwelliano, aveva raggiunto il massimo della raffinatezza, al riguardo: di ogni diversamente pensante da «rieducare», conosceva l'orrore più segreto e inconfessato. Nel caso del protagonista Winston Smith, erano i topi: e bastò applicare una gabbia al viso di Winston, con un portellino pronto ad aprirsi per lasciare libero accesso ai roditori, muso a viso, per ottenere la sua ritrattazione e la sua obbedienza. Con la goccia al naso e le vene inondate di pessimo gin, avrebbe smesso di contestare il potere, avrebbe amato il Grande Fratello. Che il nuovo inquilino della Casa Bianca, oggi, sconfessi la liceità della «tortura democratica» è davvero una buona notizia per il mondo, e per chi crede che lo Stato non possa e non debba terrorizzare né uccidere, nemmeno per difendersi da chi terrorizza e uccide. Perché le democrazie devono essere, sempre, moralmente migliori di chi le minaccia. Perché la giustizia non deve sporcarsi le mani di sangue. p.ghezzi@ladige.it 20/04/2009

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L'Fbi sfida la privacy: via alla raccolta del Dna (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere delle Alpi" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

L'Fbi sfida la privacy: via alla raccolta del Dna WASHINGTON. Nei posti di polizia e nelle prigioni americane, i tamponi per il prelievo della saliva negli ultimi tempi non bastano mai. L'Fbi e le forze dell'ordine locali hanno dato il via a una campagna di raccolta del Dna che sta rapidamente facendo diventare le impronte genetiche diffuse quasi quanto quelle digitali. E tra i difensori della privacy cresce l'inquietudine. Il timore è che l'America si trasformi in una società "a sorveglianza genetica". Il governo federale fino a ora ha raccolto negli Usa una banca dati di 6,7 milioni di profili genetici, prelevando campioni di Dna solo da detenuti già condannati. Ma nei prossimi giorni, rivela il New York Times, l'Fbi comincerà a collezionare impronte genetiche anche da persone arrestate e non processate - e quindi presunti innocenti - e da immigrati detenuti nei centri di raccolta. Il Bureau andrà così ad aggiungersi a 15 Stati che già lo fanno e il risultato sarà un progressivo aumento degli archivi genetici. Attualmente, la banca dati del Dna federale gestita dall'Fbi aumenta al ritmo di 80mila nuove persone all'anno, ma nel 2012 è previsto che il ritmo di incremento avrà raggiunto quota 1,2 milioni di profili genetici aggiunti ogni anno. Esperti di diritto ritengono che molte delle pratica attualmente in corso negli uffici di polizia, una volta che arriveranno all'esame della Corte Suprema, rischiano di venir considerate anticostituzionali, perché in violazione al Quarto emendamento che tutela il diritto alla privacy nei confronti delle attività investigative. I tamponi per prelevare campioni di Dna, però, continuano a moltiplicarsi. In 35 Stati l'impronta genetica è obbligatoria per i minori al momento della condanna e in molti casi anche al momento dell'arresto. «Il Dna salva la vita e aiuta a risolvere i casi», commenta il procuratore distrettuale di Denver, Mitch Morrissey, secondo il quale l'esempio da seguire è la Gran Bretagna, che ha 4,5 milioni di profili genetici su una popolazione di 61 milioni di persone. Ma il programma di raccolta britannico è già finito nel mirino della Corte europea per i diritti umani. L'Fbi difende la necessità di percorrere con sempre più decisione la strada dei profili genetici, sottolineando come il Dna sia servito a condannare ormai migliaia di criminali in anni recenti e anche a scagionare oltre 200 persone in molti casi condannate a morte. Ma il fronte degli attivisti per i diritti civili, come ha spiegato il legale Michael Risher non intende stare a guardare: «Il problema è l'ampliamento del potere del governo. Ciò a cui ci opponiamo, perché va contro la Costituzione, è la raccolta indiscriminata di Dna a persone che magari sono state arrestate per un assegno in bianco o piccoli furti».

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Torturato dagli agenti Cia anche dopo le confessioni (sezione: Diritti umani)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-04-19 - pag: 8 autore: Dai memoriali dei servizi emerge il caso di Abu Zubayadah Torturato dagli agenti Cia anche dopo le confessioni Claudio Gatti NEW YORK. Dal nostro inviato Continua negli Stati Uniti lo stillicidio di rivelazioni sulle torture ai sospetti membri di alQaida. E si scalda lo scontro tra chi accusa l'Amministrazione Obama di alimentare a fini politici vendette contro i «true patriots », i veri patrioti protagonisti del contrattacco ai terroristi dell'11 settembre, e chi invece vuole spingere il nuovo presidente a creare una commissione d'inchiesta sugli eccessi e i possibili crimini commessi durante la guerra al terrorismo. Ieri il New York Times ha rivelato che uno dei prigionieri più noti, Zen al-Abideen Moahmed Hussein, meglio noto col nome di Abu Zubayadah, sarebbe stato soggetto a varie forme di tortura dopo che aveva già confessato tutto quello che sapeva. «Temeva lo stessimo per uccidere, ma nonostante ciò non ha rivelato nulla di nuovo. Perché non aveva nulla da aggiungere a quello che ci aveva già detto», ha spiegato al giornale newyorkese un funzionario dell'intelligence americana coinvolto nella vicenda. Poco dopo il suo arresto, nel marzo 2002, Zubayadah sarebbe stato sottoposto a svariati interrogatori, prima in Pakistane poi in una prigione segreta in Thailandia, dove avrebbe cominciato a parlare senza che fosse fatto ricorso a forme di interrogatorio discutibili. «Ci ha dato tonnellate di informazioni », ha aggiunto il funzionario dell'intelligence. A forzare la mano agli stessi agenti sul campo, sarebbero stati i vertici della Cia, i quali erano apparentemente persuasi che il prigioniero dovesse «sapere altro». Sulla base di questa intuizione, la Cia chiese al Dipartimento di Giustizia l'autorizzazione legale a ricorrere a metodi forti. Da questa richiesta scaturirono poi i quattro memoranda resi pubblici questa settimana, nei quali prima vengono meticolosamente descritte tecniche di interrogatorio che andavano dalla privazione del sonno ( fino a un massimo di 11 giorni) all'uso di violenza fisica-dagli schiaffi in faccia alla testa sbattuta contro la parete per finire all'ormai noto waterboarding- e poi viene concessa l'autorizzazione a utilizzarle su specifici prigionieri. Con forzature logiche e giuridiche che hanno fatto inorridire molti esperti, i responsabili dell'Ufficio di consulenza legale del Dipartimento di Giustizia raggiunsero infatti la conclusione che non si sarebbero infrante né la legge americana né le convenzioni internazionali. «I memoranda resi pubblici dimostrano il tentativo da parte dell'Amministrazione Bush di creare una giustificazione legale, del tutto insostenibile e forzata, per procedere con metodi di tortura in chiara violazione della legge nazionale e internazionale », dice al Sole 24 Ore Donna Lieberman, direttore esecutivo della New York Civil Liberties Union, la filiale newyorkese dell'organizzazione per i diritti civili che con la sua azione legale ha ottenuto il rilascio dei memoranda. «Da Abu Ghraib a Guantanamo, finora sono stati indagati soltanto crimini commessi da chi stava sul campo. è ora invece che si affronti il problema dalla radice e si indaghi sulle responsabilità di chi era a Washington, ai vertici dell'amministrazione Bush. Perché le responsabilità primarie sono di chi detta la strategia e non di chi la adotta. Anche se a mio giudizio nessuno deve rimanere impunito», aggiunge Lieberman. «Non c'è dubbio che Bush e Cheney si siano mossi con astuzia », fa però notare Sig Sorenson, avvocato di New York che si occupa di diritti umani. «Come si può adesso incriminare chi ha condotto interrogatori con metodi che lo stesso dipartimento della Giustizia aveva formalmente autorizzato? E non sarà neppure facile individuare il reato commesso da chi ha semplicemente espresso un parere legale. Per questo ritengo che occorra innanzitutto avere un quadro completo. E il modo migliore è quello suggerito dal senatore Patrick Leahy, e cioè creare una Commissione per la verità come quella in Sudafrica». Cgatti@ilsole24ore.us © RIPRODUZIONE RISERVATA LA RIVELAZIONE «Temeva che lo stessimo per uccidere, eppure non ha detto nulla di nuovo perché non aveva nulla da aggiungere»

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CHI È PRESENTE STAVOLTA HA TORTO (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere della Sera" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 20/04/2009 - pag: 1 CONFERENZA DI GINEVRA CHI È PRESENTE STAVOLTA HA TORTO di ANGELO PANEBIANCO S i apre oggi a Ginevra, sotto i peggiori auspici, la Conferenza delle Nazioni Unite sul razzismo. Gli occidentali sono arrivati a questo appuntamento divisi. Gli Stati Uniti, Israele, il Canada, l'Australia e l'Italia hanno confermato che non parteciperanno non essendoci garanzie che la Conferenza, i cui lavori preparatori sono stati dominati dai Paesi islamici, non si risolva anche questa volta (come accadde nella precedente conferenza di Durban nel 2001) in un atto di accusa contro Israele e contro l'Occidente. Olanda e Germania hanno dato all'ultimo momento forfait. La Gran Bretagna e la Francia, invece, hanno scelto di essere presenti. Così come il Vaticano. Il presidente iraniano Ahmadinejad, già arrivato a Ginevra, è stato ricevuto con tutti gli onori dalle massime autorità elvetiche (il che ha suscitato una dura protesta di Israele) e sarà fra i primi a prendere la parola nella tribuna messagli a disposizione dall'Onu. Molte cose non vanno, evidentemente, se a una Conferenza sul razzismo, che dovrebbe essere espressione dell' impegno delle Nazioni Unite in difesa dei diritti umani, può impunemente prendere la parola un signore che ritiene la Shoah una «invenzione» e presiede un regime che ha al proprio attivo l'assassinio di centinaia di oppositori politici. Comunque vada a finire la Conferenza, tre lezioni si possono già trarre da questa vicenda. La prima è che se l'Occidente si divide, coloro che puntano a usare le istituzioni internazionali in chiave antioccidentale hanno facile gioco. Se ci fosse stato un blocco compatto dei Paesi occidentali a difesa di principi per essi irrinunciabili, quei Paesi islamici che giocano sulle divisioni dell'Occidente avrebbero dovuto tenerne conto, e la stessa Conferenza di Ginevra avrebbe forse avuto un diverso avvio. I Paesi europei che, insieme al Vaticano, hanno scelto comunque di andare alla Conferenza forse riusciranno a impedire che essa si risolva in una Durban bis ma corrono anche un rischio: il rischio che la loro presenza contribuisca a dare legittimazione internazionale a regimi politici che fanno quotidianamente strage di diritti umani a casa loro e che non hanno le carte in regola neppure in materia di razzismo essendo noti campioni di propaganda antisemita. La seconda lezione è che i diritti umani non possono essere facilmente separati dal contesto culturale occidentale che li ha generati. La dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948 e le tante altre dichiarazioni, convenzioni e istituzioni promotrici dei diritti umani che l'hanno seguita, erano espressioni della tradizione occidentale. Rispecchiavano il predominio politico-militare, economico e culturale, del mondo occidentale. Nel momento in cui l'Occidente perde peso politico, altri, con alle spalle altre e diverse tradizioni culturali, si impadroniscono di quelle istituzioni, e del connesso linguaggio dei diritti umani, cambiandone radicalmente l'ispirazione e il significato. CONTINUA A PAGINA 26

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Durban II: gli Usa non vanno, Europa divisa (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere della Sera" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 20/04/2009 - pag: 2 Durban II: gli Usa non vanno, Europa divisa Il Papa: «Importante esserci». Obama difende Israele. L'arrivo di Ahmadinejad: «Sionisti ladri» Si apre oggi a Ginevra la Conferenza sul razzismo tra accuse e rinunce. Vaticano, Gran Bretagna e Francia: noi andiamo DAL NOSTRO INVIATO GINEVRA Diciassette pagine. Parole da eliminare o limare. I diplomatici discutono da mesi per arrivare a un accordo sul documento finale. All'ospite più scomodo, bastano poche frasi ancora prima di salire sul podio per allontanare da Ginevra qualche altro Paese. «L'ideologia e il regime sionista sono i portabandiera del razzismo». Se il termine Israele è uscito dalla bozza, ci pensa Mahmoud Ahmadinejad a farlo rientrare e a metterlo al centro della conferenza, che in cinque giorni dovrebbe fare il punto a otto anni dal primo vertice sul razzismo. È chiamata Durban II e chi ha deciso di boicottarla (per ora Stati Uniti, Israele, Italia, Australia, Canada, Olanda, Germania e Nuova Zelanda) teme che in Svizzera vada in scena una replica del summit nella città sudafricana. «I sionisti saccheggiano le ricchezze mondiali controllando i centri di potere nel mondo. Hanno creato le condizioni perché non si possa dire nulla di questo fenomeno diabolico », ha continuato il leader iraniano. Che ieri sera ha visto a cena Hans-Rudolf Merz, presidente della Confederazione elvetica, e oggi parla al palazzo dell'Onu. Israele - «Non lo incontri, non gli stringa la mano», ha invocato Aharon Lechnoyaar, ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite a Ginevra. Da Gerusalemme, Avigdor Lieberman, neo-ministro degli Esteri, ha ricordato che dal tramonto viene commemorato Yom HaShoa: «Ahmadinejad nega l'Olocausto ed è stato invitato a tenere un discorso nel giorno in cui ricordiamo sei milioni di ebrei ammazzati dai nazisti e dai loro complici ». L'Ue - L'Unione europea non ha trovato una linea comune. Il Belgio ieri sera era ancora convinto che fosse possibile, i francesi avevano detto che era «fondamentale », ma poi sono arrivati il no tedesco e, subito dopo, l'annuncio dell'Eliseo che la Francia invece ci sarà. Il Vaticano ha deciso (parteciperà) e Benedetto XVI giudica la conferenza «un'iniziativa importante, perché ancora oggi, nonostante gli insegnamenti della Storia, si registrano tali deplorevoli fenomeni. Formulo i miei sinceri voti affinché i delegati lavorino insieme, con spirito di dialogo e di accoglienza reciproca, per mettere fine a ogni forma di razzismo, discriminazione e intolleranza, ». Anche la Gran Bretagna ha scelto di essere a Ginevra «per fare la guardia contro un inaccettabile tentativo di negare l'Olocausto» (l'Iran ha provato a cancellare qualunque accenno dal testo in discussione). Gli Usa - Il no americano è arrivato dopo che le modifiche alla bozza non sono state considerate «soddisfacenti»: tolti i riferimenti allo Stato ebraico e alla diffamazione delle religioni (voluti dalle nazioni musulmane), vengono riaffermate le conclusioni di Durban I, contestate da molti Paesi occidentali. «Sarei pronto a essere coinvolto in una conferenza che affronta in modo utile la discriminazione. Credo nell'Onu, ma non posso accettare un linguaggio controproducente e affermazioni ipocrite contro Israele», ha spiegato il presidente Barack Obama. L'Onu - «Sono scioccata e profondamente dispiaciuta dalla decisione degli Stati Uniti di non intervenire», ha commentato Navi Pillay, alto commissario per i Diritti umani, che organizza il vertice. «Qui vogliamo affrontare e combattere il razzismo, la xenofobia e altre forme di intolleranza in tutto il mondo. Non riesco a capire: il Medio Oriente non è nominato nel testo, eppure la questione continua a intromettersi nel dibattito». Davide Frattini Diplomazia dei sorrisi Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, al centro, accolto dall'omologo svizzero Hans-Rudolf Merz, a sinistra, ieri al suo arrivo a Ginevra

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(sezione: Diritti umani)

( da "Corriere della Sera" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 20/04/2009 - pag: 3 L'intervista Lo storico Paul Kennedy «Anche Stalin firmò per i diritti dell'uomo» «Un vertice simbolo dell'ipocrisia dell'Onu» WASHINGTON Per lo storico Paul Kennedy, autore di Ascesa e declino delle grandi potenze e de Il Parlamento dell'uomo (l'Onu), la Conferenza sul razzismo non segnerà una svolta storica: «Dopo accuse e contraccuse, propaganda e scontri, sfocerà in una di quelle dichiarazioni solenni che rappresentano in realtà dei modesti compromessi». Il docente dell'Università di Yale, che sta scrivendo un libro sulla Seconda guerra mondiale, è scettico sull'efficacia di simili iniziative: «Il rispetto dei diritti umani si impone solo con risoluzioni vincolanti. C'è da chiedersi chi e quanti le vorrebbero veramente perché la sede adatta non è certo questa conferenza. Inoltre c'è il pericolo che essa assuma un tono antisemita». Lei è pro o contro il boicottaggio di Durban II, a Ginevra? «È una questione di grigio, non di bianco e di nero. Io penso che i nostri governi si siano posti un interrogativo etico e uno politico. È giusto o ingiusto il boicottaggio, visto che una gran parte dei Paesi firmerà la dichiarazione senza alcuna intenzione di rispettarla? E in previsione di una denuncia di Israele che ha fornito l'occasione all'Islam con la sua sproporzionata reazione a Gaza è politicamente vantaggioso o svantaggioso parteciparvi?». Di qui le opposte decisioni degli alleati? «Esattamente. L'America e l'Italia si sono dette che il boicottaggio è giusto e partecipare alla Conferenza sarebbe dannoso. La Gran Bretagna e la Francia hanno invece concluso che, nonostante i dubbi e i rischi, conviene dimostrare di essere alla ricerca di un dialogo onesto. Su Obama, secondo me, ha pesato altresì il timore che una presenza americana a Ginevra gli alienasse l'opinione pubblica interna oltre che Israele, che diffida di lui». Una divisione inattesa tra Londra e Washington? «Diciamo una divisione in contrasto con la Storia. Circa 25 anni fa, il presidente Usa Ronald Reagan e la premier britannica Margaret Thatcher lasciarono all'unisono l'Unesco perché aveva equiparato il sionismo al razzismo». Perché è scettico su Durban II? «Lo sono stato anche su Durban I, nel 2001, manipolata e strumentalizzata da troppi Paesi. Io sono scettico sulla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, che proponeva anche il pieno impiego, l'assistenza sanitaria di Stato. Il presidente americano Truman la firmò perché sapeva che, a differenza delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, non aveva valore legale. La firmò persino Stalin, un violatore dei diritti >umani». Dovrebbe farsene carico il Consiglio di sicurezza? «Il Consiglio è bloccato da cinque potenze conservatrici che hanno macchie razziste, presenti o passate, da nascondere, l'America i neri, la Russia la Cecenia, la Cina il Tibet, la Francia gli arabi, l'Inghilterra il Kenya. E si trincera dietro il principio che deve decidere delle questioni di guerra e pace non delle libertà civili. Insomma, rifiuta di interessarsene se non in casi circoscritti ». Non c'è il Consiglio dei diritti umani dell'Onu? «Il Consiglio, come la precedente Commissione, a volte è ostaggio di Paesi che promuovono delle decisioni inique o che vanificano quelle eque. Invece di penalizzare sempre, come dovrebbe, quanti fanno del razzismo o peggio fanno del genocidio, in certi momenti li ignora o li nasconde ». Qual è il rimedio? «Bisogna martellare il messaggio antirazzista. Quando l'Onu fece la Dichiarazione universale sui diritti umani, l'impatto fu forte, creò grandi aspettative. Idem quando fu varato il protocollo di Kyoto contro l'emissione di gas serra. Le grandi potenze devono alimentare le aspettative e premere molto più fortemente sulle nazioni interessate alle buone relazioni con loro, ma che ancora violano i diritti umani. Se lo faranno, in futuro anche conferenze come quella di Ginevra produrranno frutti». Ennio Caretto Storico Paul Kennedy, docente a Yale: è scettico su Durban II

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Gli intellettuali avvertono: (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere della Sera" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 20/04/2009 - pag: 13 Il dibattito Analisti e esuli cubani negli Usa dopo le aperture della Casa Bianca Gli intellettuali avvertono: «E' Raúl che deve cambiare» C'è la storia mezzo secolo di ostilità non si cancella con due parole e il buon senso, che avverte quando è ora di cambiare. C'è la voglia di Obama di voler affermare il nuovo anche sulle questioni più antiche, e l'esigenza della diplomazia: basta un aggettivo in più per mandare un messaggio. Naturale che sulla svolta americana verso Cuba, e il parallelo raffreddamento delle ostilità con il Venezuela di Hugo Chávez, si sia scatenata ogni sorta di interpretazione. La soddisfazione unanime dell'America Latina in entrambe le anime di sinistra moderata e «bolivariana» nasconde qualche rammarico: al summit di Trinidad e Tobago si sarebbe dovuto anche parlare d'altro, crisi e commercio per esempio, ma va bene anche così. Il Brasile è un Paese dove Obama è talmente popolare che alle ultime amministrative una ventina di candidati scuri di pelle hanno assunto legalmente il suo nome e con Lula il feeling è forte: tutte le divergenze in questo incontro sono sparite tra gli abbracci e le strette di mano. Su Cuba, poi, l'intera America Latina è da sempre a favore dell'abolizione dell'embargo senza condizioni, ma stavolta nemmeno Chávez ha voluto spingere troppo. Venezuela e alleati si sono limitati a non firmare la dichiarazione finale perché i summit delle Americas escludono l'isola dal lontano 1963, ma senza polemiche. Tutto per mantenere un clima amichevole, e protocollare l'incontro come un grande successo, a differenza del precedente di quattro anni fa che fu un disastro per George W. Bush. Lontani da Trinidad, sono invece gli osservatori di cose cubane e i dissidenti all'estero a manifestare più dubbi sulla cosiddetta svolta. «Non credo che L'Avana sia sincera quando dice che vuole rapporti migliori con Washington scrive il noto columnist Andres Oppenheimer . La dittatura ha bisogno del confronto con gli Usa e negli ultimi 50 anni Fidel Castro ha sempre sabotato tutte le aperture ». Se la prende con gli altri Paesi latinoamericani lo scrittore dissidente Raúl Rivero, dalla Spagna: «Ora sono tutti insieme, radicali e moderati, a dipingere i repressori in vittime», scrive a proposito della grande solidarietà che Cuba riceve sulla questione dell'embargo. Scettico anche un altro scrittore in esilio, Carlos Alberto Montaner: «Obama ha assunto una posizione corretta, eliminando alcune restrizioni dell'era Bush. Ma non vedo nulla di diverso da quello che hanno detto ben dieci suoi predecessori: le relazioni torneranno normali solo con una apertura politica sull'isola e il rispetto dei diritti umani». Per Richard Feinberg, ex consigliere di Bill Clinton, il nulla di nuovo riguarda invece le parole dell'Avana: «I fratelli Castro hanno detto centinaia di volte che devono rettificare gli errori del passato, ma non l'hanno mai fatto». Non è una novità che la Miami della diaspora sia divisa rispetto ad un tempo tra falchi e colombe, ma stavolta la mano tesa di Washington ha creato una vera e propria frattura tra gli stessi parlamentari repubblicani di origine cubana: il senatore Mel Martinez sta con Obama, il deputato Mario Diaz-Balart contro. Sull'isola i dissidenti moderati in libertà come Elizardo Sanchez e Vladimiro Roca guardano con interesse all'apertura, mentre i parenti di quelli in carcere giurano che i loro congiunti non si faranno mai «scambiare» in un eventuale accordo con Washington (si parla del rilascio dalla Florida dei cinque cubani accusati di spionaggio). L'esercizio di interpretazione meno facile, come sempre, riguarda i messaggi che giungono dal regime cubano. Dopo un periodo di silenzio che aveva fatto scattare l'ennesimo campanello di allarme sulla sua salute, Fidel Castro è tornato a scrivere tutti i giorni e alcuni parlamentari Usa appena recatisi all'Avana l'hanno trovato in gran forma. Insiste sulla fine dell'embargo ma non accenna a monete di scambio, mentre il fratello Raúl, leader in carica, ammette che con Obama può discutere di tutto, senza condizioni. Ha addirittura pronunciato parole proibite finora, come «dissidenti» e «diritti umani». Il regime sa che con Obama è difficile vendere ai cubani l'immagine del «demonio», come invece veniva facile con Bush. Ecco allora che la tv si è spinta ieri a mandare in onda alcuni brani del suo discorso. Nelle prossime ore, forse, una risposta. Rocco Cotroneo Convinti Manifestazione castrista per l'anniversario dell'invasione della Baia dei Porci (Ap)

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Chi c'è ha torto (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere della Sera" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 20/04/2009 - pag: 26 CONFERENZA DI GINEVRA Chi c'è ha torto di ANGELO PANEBIANCO SEGUE DALLA PRIMA È proprio in nome dei «diritti umani» (nel senso che essi danno a queste parole) che i Paesi islamici cercano oggi di imporre a tutto l'Occidente una drastica limitazione della libertà di parola e della libertà di stampa, erigendo barriere giuridiche che rendano la religione islamica non criticabile. Hanno tentato di farlo con la risoluzione 62/154 dell'Assemblea delle Nazioni Unite. E sono tornati alla carica (salvo recedere a fronte delle proteste occidentali) nei lavori preparatori del documento che dovrà essere approvato dalla Conferenza di Ginevra. Chi pensa che i diritti umani siano «transculturali», anziché connotati culturalmente, che siano cioè un minimo comun denominatore potenzialmente in grado di essere condiviso da tutti, dovrebbe riflettere, ad esempio, su quale compatibilità possa mai esserci fra i diritti umani nel modo in cui li intendono gli occidentali e la sharia, la tradizionale legge islamica. La terza lezione che si può trarre dal pasticcio della Conferenza di Ginevra riguarda l'impossibilità di separare diritti umani e politica. A Ginevra «si fa» e «si farà» politica, ossia la questione del razzismo e dei diritti umani verrà usata come arma propagandistica ai fini della competizione di potenza e delle connesse negoziazioni politiche. Come è inevitabile che sia. La presenza di Ahmadinejad a Ginevra, in particolare, merita attenzione. Dal suo discorso, ovviamente, nessuna persona sana di mente si attende un contributo per la «lotta contro il razzismo». Si cercherà piuttosto di capire, leggendo tra le righe, se ci sarà o no qualche segnale di disponibilità alla trattativa sul nucleare iraniano e sugli altri dossier mediorientali da parte dei settori del regime che Ahmadinejad rappresenta o se la risposta alle aperture del presidente americano Obama sia già contenuta per intero nella condanna a otto anni per spionaggio appena inflitta alla giornalista americanairaniana Roxana Saberi. Sapendo, naturalmente, che Ahmadinejad è comunque un presidente in scadenza e che dovrà, nel giugno prossimo, affrontare il giudizio degli elettori. Un risultato (paradossale) la Conferenza sul razzismo lo ha comunque già ottenuto: ha offerto al presidente di un regime assai poco rispettoso dei diritti umani (comunque li si definisca) una tribuna internazionale da cui iniziare la sua personale campagna elettorale.

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"Azioni ferme contro l'intolleranza" (sezione: Diritti umani)

( da "Giornale.it, Il" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

n. 16 del 2009-04-20 pagina 9 Il Papa: «Azioni ferme contro l'intolleranza» di Redazione Quest'ultimo è rappresentato dalla possibilità che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, annunciato in arrivo già quest'oggi sulle rive del lago svizzero, trasformi la tribuna delle Nazioni Unite in un palco per un nuovo comizio anti-Israele. Non è un'ipotesi di pura retorica. Gli iraniani si sono opposti a lungo, nei lavori della commissione che ha predisposto i testi dell'appuntamento, a limare le posizioni fortemente anti-israeliane già varate a Durban. Tant'è che da Gerusalemme sono partite critiche vivacissime all'indirizzo del presidente svizzero Hans Rudolf Merz, il quale ha accettato di incontrare Ahmadinejad. E con la stessa forza Teheran ha cercato di impedire il «taglio» dei capitoli in cui l'intolleranza religiosa - soprattutto nei confronti dell'Islam - doveva essere equiparata a una forma di razzismo. Atteggiamento dunque da condannare e da reprimere. Proprio il dissidio nato su questi due temi, ha convinto alla fine tanto gli Usa di Obama che altri Paesi (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Italia e Olanda) a chiamarsi fuori dai lavori della conferenza. «Inaccettabile il progetto di dichiarazione finale in cui si vuol mettere la religione prima dei diritti dell'uomo, si negano le discriminazioni contro l'omosessualità e si mette Israele sul banco degli imputati» ha tagliato corto il ministro degli Esteri dell'Aia Maxime Verhagen. «Non abbiamo alcuna garanzia che la conferenza non sia utilizzata come un forum per esprimere opinioni ingiuriose, in particolare antisemite», gli ha fatto eco il suo collega australiano Stephen Smith. E ancora in parecchi (tra cui i cechi che avevano un appuntamento ieri sera a Praga) devono decidere se presenziare o meno a un summit che, comunque, ha perso peso rispetto a quanto previsto. Tant'è che l'alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay, sudafricana di origine Tamil, si è detta ieri «scioccata e profondamente delusa» dalla conferma della diserzione degli Stati Uniti all'appuntamento. © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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La politica equilibrista (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica.it" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

È con "great regrets", spiega il governo americano con l'eufemismo del "rammarico" con il quale ci si sgancia educatamente da un noioso invito a cena, che Barack Obama non parteciperà alla conferenza dell'Onu contro il razzismo da oggi a Ginevra, creando in apparenza un colossale paradosso: quello del primo presidente americano nero, eletto nel trionfo dell'antirazzismo, assente da un'iniziativa internazionale contro il razzismo. Il rifiuto di Obama, e il ritiro della delegazione americana che pure fino a pochi giorni or sono aveva partecipato alla preparazione di questa "Durban 2", come si chiama perché è la continuazione della prima, organizzata nella città sudafricana di Durban nel 2001, vengono dopo settimane di esitazione, di "nì", di "forse" e di "ma", di sofferenze e di ambiguità che il Presidente stesso si è deciso a tagliare "con rammarico" per non offendere coloro, Israele e la comunità ebraica per prime, che leggono in questo incontro soltanto un'occasione di propaganda antisemita. E dunque una cassa di risonanza per quelle nazioni, come Iran e Libia, che bizzarramente fanno parte della commissione Onu per "i diritti umani", e usano il Palazzo di Vetro come megafono anti israeliano, mentre al proprio interno calpestano proprio quei diritti civili e individuali che domandano agli altri di rispettare. Ma se il rifiuto di partecipare è stato più facile per i governi che hanno detto "no", come l'Australia, la Francia, l'Olanda, che è agitata al proprio interno dalla più acuta "questione islamica" in tutta l'Europa o l'Italia, mentre il Vaticano, l'Inghilterra, la Spagna hanno accettato l'invito, l'assenza dell'uomo che incarna in questo momento la più alta speranza di superamento del razzismo sembra una contraddizione lancinante. Per questo, e fino all'ultimo, gli inviati americani a Ginevra, e la stessa Casa Bianca avevano tentato di lavorare per linee interne, di modificare dal di dentro quei documenti nei quali i promotori cercano di indicare nel "sionismo", sinonimo di Israele, il bastione del razzismo, che definiscono la barriera costruita dal governo ebraico "il muro dell'apartheid" e riconoscono soltanto nella "Nakba", nella catastrofe e nella diaspora palestinese, l'unico, autentico esempio di tentato genocidio. OAS_RICH('Middle'); Di fronte alla nettezza inconciliabile di questa interpretazione del razzismo, che già aveva spinto George Bush a boicottare "Durban 1", neppure la consumata abilità obamiana di ricomporre gli opposti con il carisma o la sua capacità di fare annunci trancianti seguiti da azioni concrete molto più ambigue, sarebbe bastata. Benedetto XVI può, nel suo ruolo di pontefice di una confessione religiosa senza autentico potere politico, permettersi di sperare che questa conferenza sia "un passo fondamentale verso l'affermazione del valore universale della dignità dell'uomo, contro ogni forma di discriminazione", ma il Papa non deve vedersela con la comunità ebraica americana, con un governo di falchiestremisti come il neo insediato in Israele, con un capo di gabinetto come Rahm Emanuel già volontario con le forze armate israeliane, con lobbies che avrebbero considerato la sua presenza a Ginevra come assenso implicito alle tesi di chi nega l'Olocausto. La tecnica di governo di Barack Obama, quasi una edizione americana dei "due forni", il presidente che annuncia la chiusura di Guantanamo ma per il momento la lascia aperta, che ammorbidisce l'embargo anti cubano ma non lo cancella, che condanna la tortura ma non i torturatori, che fustiga i bonus e i profitti dei finanzieri ma poi puntella le loro banche agonizzanti, non poteva funzionare di fronte a una conferenza che esalta e sancisce il razzismo mentre dichiara di volerlo estirpare. E non è soltanto il nocciolo radioattivo dell'antisemitismo contenuto già nel primo documento approvato sette anni or sono a inquietare. C'è anche il tentativo di dichiarare ogni "discorso blasfemo" come proibito e di considerare "l'incitamento" alla critica antireligiosa come prova di discriminazione razziale, una tesi cara alle teocrazie fondamentaliste e integraliste che in sostanza sperano di avere il beneplacito dell'Onu alla loro "fatwa", alla persecuzione e repressione di ogni critica e di ogni opposizione vista come satanica. Il paradosso del presidente venuto dal Terzo Mondo, del primo capo di stato americano eletto "nonostante" la propria diversità e minorità etnica è dunque più apparente che reale. Questa volta, Obama il formidabile equilibrista che riesce a sembrare sempre troppo rivoluzionario ai conservatori e sempre troppo conservatore ai rivoluzionari, essendo tanto un centrista nell'azione quanto appare "estremista" nella parole, non ha potuto camminare sul filo dell'ambiguità. Obama, come gli rimproverano i delusi, è, prima di ogni altra cosa, un realista e lo ha dimostrato, con qualche imbarazzo, rifiutando di presentarsi a questo invito a cena. La realtà, oggi come negli ultimi 60 anni di politica estera americana, con presidenti democratici o repubblicani, insegna che, al momento delle strette, Washington, bianca o nera che sia, si collocherà sempre dalla parte di Israele. (20 aprile 2009

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Il Papa benedice il vertice dell'Onu Ebrei infuriati, e l'Europa si spacca (sezione: Diritti umani)

( da "Stampaweb, La" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

CITTA' DEL VATICANO Il Papa benedice la conferenza Onu sul razzismo («incontro importante», «azione ferma contro l’intolleranza per prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione»), mentre Obama la diserta perché «controproducente e inaccettabile per il suo linguaggio sbagliato su Israele». La Santa Sede si smarca dal boicottaggio degli Stati Uniti, dell’Italia e di altri Paesi contrari all’impostazione anti-israeliana di «Durban II», il vertice Onu che oggi si apre a Ginevra tra le polemiche per le pesanti critiche contro lo Stato d’Israele, accusato di razzismo verso i palestinesi («il sionismo è una ideologia razzista»). La commissione Onu ha in parte ripulito dai brani della discordia il testo che fino a sabato sarà in discussione a Ginevra, dove sarà presente la delegazione vaticana guidata da Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente presso le Nazioni Unite («è in gioco l’etica, sbagliato disertare»). Il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, lancia un appello a «partecipare al meeting e avere un atteggiamento costruttivo in nome della lotta alla xenofobia» e anche Benedetto XVI attribuisce alla dichiarazione di Durban il merito di «riconoscere che tutti i popoli e le persone formano una famiglia umana, ricca in diversità». Il livello di tensione attorno al summit Onu è altissimo. Ieri l’Iran ha inviato all’Interpol la richiesta di emettere mandati internazionali di arresto per 25 dirigenti israeliani, accusati di avere commesso «crimini di guerra» durante l’offensiva di 22 giorni condotta fra dicembre e gennaio nella Striscia di Gaza. E il governo israeliano ha criticato il presidente svizzero Hans Rudolf Herz per la sua decisione di ricevere il leader iraniano Mahmud Ahmadinejad. Venerdì è stata raggiunta l’intesa su una bozza finale, che elimina i controversi riferimenti a Israele e alla diffamazione delle religioni ma «riafferma» le conclusioni e il Programma d’azione di Durban-1, contestati da molti Paesi. Ai lavori del meeting (è prevista la presenza di una trentina di ministri degli Esteri e di almeno quattro capi di Stato) non parteciperanno Australia, Canada, Israele, Usa e alcuni Paesi Ue tra cui Italia, Olanda, Svezia e Germania. Il 5 marzo il ministro degli Esteri, Franco Frattini, aveva ritirato la delegazione italiana dai negoziati per le frasi antisemite contenute nella prima bozza. Gli Usanon ci saranno per il «linguaggio ipocrita e controproducente» su Israele. Obama spiega così i motivi del boicottaggio Usa: «Credo nelle Nazioni Unite, ho ribadito al segretario generale Ban Ki-Moon che aiuteremo l’Onu ma questa non è risultata l’opportunità giusta». Israele vede nella partecipazione di Ahmadinejad la conferma della correttezza della sua decisione di disertare il summit. Il capo della delegazione vaticana a Durban II, però, ribatte che «la Santa Sede sarà presente con la grande maggioranza degli Stati del mondo». Aggiunge l’arcivescovo Tomasi: «Abbiamo ragioni molto coerenti per esserci. Ogni persona ha la stessa dignità e non può essere oggetto di comportamenti discriminatori, quindi se non partecipiamo che messaggio diamo, ad esempio, ai Paesi africani?». Secondo la Santa Sede, «se si lascia che il messaggio di indifferenza prevalga su altre ragioni politiche finiamo per spingere le nazioni povere in una direzione che può favorire alleanze diverse, con conseguenze negative».

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Global Day Darfur, la testimonianza di Mohamed: io unico sopravvissuto della mia famiglia (sezione: Diritti umani)

( da "Articolo21.com" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Global Day Darfur, la testimonianza di Mohamed: io unico sopravvissuto della mia famiglia di redazione Nonostante una pioggia incessante anche quest’anno la Giornata mondiale per il Darfur si è svolta al Colosseo, monumento simbolo dei diritti umani, con centinaia di persone presenti. L’iniziativa organizzata da Italians for Darfur e supportata da Articolo 21. attraverso la presenza del segretario generale, Tommaso Fuffaro, ha visto l’adesione di numerose associazioni, tra cui Amnesty Italia, La Tavola della Pace, Ugei e l’Intergruppo parlamentare per il Darfur, rappresentato dal presidente, l’onorevole Gianni Vernetti. La giornata dedicata alla regione sudanese, da sei anni martoriata da una sanguinosa guerra, è stata celebrata in varie capitali europee e negli Stati Uniti. Il presidente dell’associazione che ha promosso l’iniziativa, Antonella Napoli, ha ricordato l’emergenza che vive la popolazione darfuriana e, in particolare, ha puntato l’attenzione sulle conseguenze post espulsione delle Organizzazioni non governative che garantivano assistenza a milioni di sfollati. Particolarmente toccanti gli interventi del presidente dell’Unione giovani ebrei d’Italia, Daniele Nahum, il quale ha sottolineato che non si deve ignorare quello che avviene in Darfur e che come ebrei è doveroso ricordare “perché altrimenti non avremmo compreso gli insegnamenti dei nostri nonni” e di Ambra, una giovane abruzzese di 21 anni che nonostante il dramma vissuto nella sua regione con il terremoto a L’Aquila non ha voluto mancare all’appuntamento con il Global Day for Darfur. Ha aderito alla manifestazione anche una delegazione radicale, rappresentata dall’onorevole Matteo Mecacci e dal presidente dei Radicali italiani Bruno Mellano. La giornata è stata occasione per raccogliere fondi, attraverso la vendita del libro “Volti e colori del Darfur” (il volume è in libreria dal 20 aprile e può essere acquistato online attraverso il sito www.edizionigoreée.it) di cui è autrice la stessa Antonella Napoli, a cui è collegata una mostra di foto realizzate nei campi profughi di Al Fasher, Nord Darfur. Alla manifestazione erano presenti molti rifugiati, che hanno manifestato contro il presidente sudanese Omar Al Bashir, nei cui confronti è stato spiccato un mandato di arresto della Corte penale internazionale per Crimini di guerra e contro lumanità. Particolarmente toccante la testimonianza di Mohamed, in Italia da quattro mesi. “Ho attraversato a piedi il deserto della Libia per poter fuggire dal Sudan. Poi ho viaggiato su un barcone che ha rischiato di affondare due volte e infine dalla Grecia sono arrivato in Italia nascosto sotto un camion. In Darfur non ho più niente. Nemmeno un parente… Io sono un sopravvissuto. Quando hanno attaccato il mio villaggio ero uscito dall’accampamento insieme a una decina di ragazzi per andare a raccogliere legna e radici, le nostre famiglie ne eravamo rimaste sprovvisti quasi del tutto. Eravamo appena arrivati nei pressi di un boschetto quando abbiamo sentito un rumore cupo che veniva dal cielo. Era un aereo governativo. Sono corso verso il primo albero e mi sono arrampicato per vedere dove andava a bombardare. E il terrore è stato grande quando ho capito che il bersaglio era il mio villaggio. Ma non potevo fare nulla. Solo nascondermi. L’attacco è durato qualche minuto, un inferno, solo a sentirlo dal mio nascondiglio tra i rami tremavo come una foglia. Quando gli scoppi e le urla sono finite, ho lasciato il mio rifugio. Mi sono avvicinato con cautela, ma sapevo già purtroppo quello che mi attendeva. Le capanne erano in fiamme, i miei parenti decimati, giacevano al suolo, qualcuno era irriconoscibile, esploso insieme alle bombe che erano piovute dal cielo. Io e gli altri sopravvissuti li abbiamo sepolti e siamo andati via”. Di storie come quella di Mohamed ne racconta tante nel suo libro il presidente di Italians for Darfur, che ha visitato la regione e ha raccolto le testimonianze di molte donne vittime di stupri, usati come ‘arma di guerra’ dalle milizie arabe dei janjaweed.

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I casi Gabanelli-Report, Santoro-Vauro e Berlusconi-Rai al Consiglio d'Europa (sezione: Diritti umani)

( da "Articolo21.com" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

I casi Gabanelli-Report, Santoro-Vauro e Berlusconi-Rai al Consiglio d'Europa di redazione Il "devastante degrado" della libertà di informazione e di critica nel settore televisivo e il controllo del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sul servizio pubblico Rai Tv sono stati portati all'attenzione del Consiglio d'Europa - Assemblea Parlamentare, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Commissario per i diritti umani - da due ex deputati del Parlamento italiano ed europeo Lucio Manisco,Giuseppe Di Lello e dal giornalista Alessandro Cisilin, che hanno motivato il loro esposto con le misure censorie e disciplinari adottate nei confronti dei due programmi di giornalismo investigativo condotti da Milena Gabanelli e da Michele Santoro e con quanto riferito dalla stampa italiana sulle interferenze dello stesso presidente del Consiglio sulle nomine dei vertici Rai, per statuto di competenza del suo consiglio di amministrazione. L'esposto, depositato al Consiglio d'Europa, si richiama all'articolo 11 della Carta dei Diritti Fondamentali, nonché a due risoluzioni, approvate a larghissima maggioranza nel 2004 dal Parlamento Europeo e dal Consiglio d'Europa, che avevano denunziato nel nostro paese il conflitto di interessi tra proprietà e controllo delle aziende televisive da parte di Silvio Berlusconi e le sue funzioni istituzionali di presidente del Consiglio. "I rilievi sono stati ignorati o disattesi negli ultimi cinque anni dai governi Prodi e Berlusconi", hanno sottolineato i promotori dell'esposto, che hanno poi documentato i provvedimenti promulgati dai vertici Rai contro "Report" e "Annozero" a seguito degli attacchi portati ai programmi stessi dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti e dallo stesso presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. L'esposto ha chiesto quindi agli organi competenti del Consiglio d'Europa il varo di una "indagine conoscitiva" e di un"monitoraggio di questi e prevedibili nuovi attacchi alla libertà di informazione in Italia", nonché un richiamo al governo e al Parlamento della Repubblica Italiana acciocché osservino i rilievi già avanzati dal Parlamento Europeo e dal Consiglio d'Europa. All'esposto sono stati allegati due recenti articoli della stampa britannica sul rischio di un'involuzione fascistica in Italia, nonché una pubblicazione redatta nel 2004 dagli stessi firmatari, tradotta in tre lingue, sull'informazione nel nostro paese dopo la "scesa in campo" di Silvio Berlusconi.

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Durban, via al summit Onu: polemiche Ahmadinejad: Israele orribile razzista (sezione: Diritti umani)

( da "Giornale.it, Il" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

n. 16 del 2009-04-20 pagina 0 Durban, via al summit Onu: polemiche Ahmadinejad: Israele orribile razzista di Redazione Usa, Italia, Israele e Germania non siedono al tavolo organizzato dall'Onu. L'Ue: "Reagiremo in caso di dichiarazioni inaccettabili". Il ministro Lieberman ritira il proprio ambasciatore dalla Svizzera che replica duramente: "Critiche ingiustificate". E il presidente iraniano attacca: "Israele incarna la più orribile manifestazione del razzismo" Ginevra - Con l’intervento inaugurale del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, si apre la conferenza sul razzismo, la discriminazione razziale e la xenofobia promossa dalle Nazioni Unite, meglio nota come "Durban 2". Ma nel parterre mancheranno, oltre all’Italia, una serie di nazioni che hanno deciso di boicottare il summit che rischia di mutarsi in un processo a distanza a Israele: ai lavori non partecipano infatti Stati Uniti, Germania, Australia, Canada, Olanda, Nuova Zelanda, Polonia e Israele. L’Italia, contraria sin dalla prima ora per gli accenti antisemiti presenti nella bozza del documento finale, aveva ritirato il 5 marzo la delegazione dai negoziati per le frasi antisemite contenute nella prima bozza. Sarkozy ci ripensa Ci sono invece la Gran Bretagna, che da tempo aveva confermato la presenza, e la Francia che domenica sera ha rotto gli indugi: "La Francia andrà a Ginevra per per difendere il suo punto di vista riguardo ai diritti umani" ha precisato una fonte anonima dell’Eliseo. Barack Obama ha difeso il no degli Usa ribadendo di essere un presidente che "crede nell’Onu", ma spiegando di non poter accettare il "linguaggio controproducente" contenuto nella bozza del documento finale. A Ginevra è presente la Santa Sede e da domenica notte è già arrivato il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che ha ribadito la sua ostilità verso lo Stato ebraico, definendolo "portabandiera del razzismo". Ma minaccia l'Iran La Francia, a differenza di altri grandi paesi occidentali, ha deciso di partecipare alla conferenza Onu, ma non a qualsiasi prezzo. Oggi il suo ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, ha messo in guardia l’Iran: "Bisogna essere chiari: non tollereremo nessuna sbavatura. Se il presidente Ahmadinejad vuole riaprire la bozza approvata con difficoltà o se proferisce accuse razziste o antisemite, lasceremo la sala immediatamente" ha detto il ministro. I timori di nuovi "show" antiebraici di Ahmadinejad sono aumentati dopo che il capo di Stato di Teheran, prima di partire per Ginevra, ha accusato ieri "l’ideologia e il regime sionista" di essere "i portabandiera del razzismo. Se è intelligente, non lo ripeterà nella sala: se lo farà, tutti gli ambasciatori europei in sala si alzeranno e usciranno". Israele richiama l'ambasciatore dalla Svizzera Il ministro degli esteri Avigdor Lieberman ha ordinato all’ambasciatore di Israele in Svizzera di rientrare in patria per consultazioni. Fonti del ministero degli esteri hanno spiegato al sito Ynet che il provvedimento rappresenta un gesto di protesta per l’incontro di ieri fra il presidente elvetico Hans Rudolf Merz e il presidente iraniano Ahmadinejad. Il presidente della Confederazione elvetica Hans-Rudolf Merz non condivide le critiche israeliane: "Le capisco ma sono ingiustificate". Ahmadinejad: "Israele è manifestazione del razzismo" Il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha definito Israele "la più orribile manifestazione del razzismo" durante un incontro avuto ieri sera a Ginevra con il presidente svizzero Hans Rudolf Merz. Secondo lagenzia iraniana Fars Ahmadinejad ha sottolineato anche la politica di "due pesi e due misure sui diritti umani e la violazione degli stessi diritti umani negli Usa e in Europa". Bruxelles: "Pronti a reagire" La Commissione europea è pronta a reagire "in modo appropriato" qualora alla conferenza Durban II sul razzismo si arrivasse a dichiarazioni "inaccettabili". La portavoce per le Relazioni esterne della Commissione europea, Christiane Hohmann, ha spiegato che l'Ue ha seguito molto da vicino la preparazione della conferenza, contribuendo a forgiare la posizione dell’Ue dall’inizio. "Il testo non è ideale, ne siamo consapevoli, ma è il risultato di un lungo compromesso", per Hohmann, che ha aggiunto: "Seguiremo molto da vicino gli sviluppi della conferenza, che corre il rischio di essere dirottata. Reagiremo in modo appropriato a qualunque dichiarazione inaccettabile fatta durante la conferenza". Tuttavia la portavoce ha sottolineato come la Commissione ritenga di poter trarre qualcosa dalla conferenza, concludendo: "Rimaniamo impegnati a fare tutto quello che possiamo". © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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Ahmadinejad all'Onu: Israele razzista I delegati Ue abbandonano il vertice (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica.it" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

GINEVRA - Si è aperta tra le polemiche a Ginevra la conferenza dell'Onu sul razzismo e la xenofobia, meglio nota come "Durban II". Molti i governi che hanno deciso di disertare l'appuntamento per timore che si trasformi in un processo a Israele. Non ci sono gli Stati Uniti, l'Italia, la Germania, la Polonia, l'Australia, il Canada, l'Olanda, la Nuova Zelanda e Israele. E tutti i Paesi europei hanno abbandonato i lavori non appena il presidente iraniano ha cominciato a parlare, definendo Israele - pur non nominandolo direttamente - "un governo razzista". Tre manifestanti travestiti da clown sono stati espulsi dall'aula quando hanno iniziato a urlare "razzista" all'indirizzo del leader iraniano. La Francia, a Ginevra rappresentata da un ambasciatore che, come gli esponenti degli altri Paesi europei presenti, aveva avvertito che avrebbe lasciato la sala se Ajmadinejad pronuncerà "accuse antisemite" nel suo discorso. Sulla stessa lunghezza d'onda la Commissione europea che intende "reagire in modo appropriato" a eventuali "dichiarazioni inaccettabili". L'irritazione di Israele. In questo clima, subito dopo l'inizio della conferenza, il governo israeliano ha richiamato per consultazioni il suo ambasciatore in Svizzera. Una decisione presa a seguito di un incontro tra il presidente elvetico Hans-Rudolf Merz e il leader iraniano Mahmoud Ahmadinejad. ''Non è una rottura delle relazioni, ma un'espressione del malcontento di Israele per l'atteggiamento lassista della Svizzera nei confronti dell'Iran'', ha spiegato un dirigente del ministero degli Esteri dello Stato ebraico. OAS_RICH('Middle'); L'agenzia iraniana Fars ha riferito che durante il colloquio il presidente iraniano ha definito Israele "la più orribile manifestazione del razzismo" e ha sostenuto che la comunità internazionale usa "due pesi e due misure sui diritti umani e la violazione degli stessi negli Usa e in Europa". A margine della conferenza anche il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha avuto un colloquio con il presidente iraniano. L'intervento di Ban Ki-moon. Delle tensioni che accompagnano il vertice Ban è pienamente consapevole, tanto che prima di dare il via ai lavori ha condannato "la negazione dell'Olocausto". Poi, nel discorso con cui ha aperto i lavori, ha difeso la contestata dichiarazione finale come un testo "attentamente bilanciato". "Sono profondamente dispiaciuto che alcuni Paesi abbiano deciso di rimanerne fuori - ha detto Ban - E spero che non lo faranno a lungo". Il razzismo non è scomparso e "può essere istituzionalizzato, come l'Olocausto. Ma può anche esprimersi in modo meno ufficiale, sotto forma di odio verso alcune classi o persone particolari come l'antisemitismo, o per esempio, la nuova islamofobia", ha affermato il numero uno del Palazzo di Vetro. Le vittime del razzismo "ci guardano, ma cosa vedono? - si è chiesto - Parliamo di tolleranza e mutuo rispetto, ma puntiamo l'indice gli uni contro gli altri e ci rivolgiamo gli uni agli altri le stesse accuse" del passato. Ban Ki-moon ha denunciato nuove minacce come il traffico di esseri umani. "Una nuova politica xenofoba è in aumento", ha poi ammonito. Per il capo dell'Onu, "la discrimnazione non sparisce da sola. Deve essere affrontata. Altrimenti può diventare causa di disordini e violenze sociali. Dobbiamo essere particolarmente vigilanti in questo periodo di difficoltà economica". Ban Ki-moon apre i lavori Il segretario generale dell'Onu ha quindi evocato i lavori che hanno preparato la conferenza di Ginevra e gli sforzi per giungere a un testo di consenso: "E' peccato che per alcuni non sia stato sufficiente. Ma possiamo superare le divergenze. Rivolgo un appello a tutti i Paesi a considerare questo processo come un inizio e non una fine". La posizione della Ue. La portavoce della Commissione europea Christiane Hohmann ha chiarito che l'esecutivo comunitario segue da vicino la conferenza dell'Onu e che il testo del documento "non è ideale ma è frutto di un compromesso". La Commissione intende comunque "reagire in modo appropriato" a eventuali "dichiarazioni inaccettabili". Dopo aver ricordato che "molti Stati membri hanno deciso di ritirarsi dalla conferenza. Ma una grande maggioranza - 23 su 27 - sono ancora impegnati nella conferenza", la portavoce ha sottolineato come Bruxelles ritenga di poter trarre qualcosa dalla conferenza e rimanga "impegnata a fare tutto il possibile". (20 aprile 2009

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Onu, Ahmadinejad incendia il summit. La Ue lo contesta (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere.it" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

ginevra, CONFERENZA SUL RAZZISMO. Ban Ki-moon: «Condanniamo l'Olocausto e islamofobia» Onu, Ahmadinejad scuote il summit «Israele razzista». E i delegati Ue escono Affondo del leader dell'Iran. Prima, la mossa di Gerusalemme: richiamato ambasciatore da Ginevra Ban Ki-moon (Reuters) GINEVRA - La presenza e le parole di Mahmoud Ahmadinejad scuotono la conferenza Onu sul razzismo a Ginevra. Nel suo intervento davanti ai partecipanti al summit, il presidente iraniano ha criticato l'insediamento di un «governo razzista» nel cuore del Medio Oriente dopo il 1945, alludendo chiaramente allo stato di Israele senza però mai nominarlo. Parole alle quali i delegati dell'Unione europea hanno reagito lasciano la conferenza, già disertata da molte delegazioni occidentali. Proprio la controversa presenza del presidente iraniano e le perplessità circa il documento finale della conferenza hanno spinto numerosi paesi a disertare questo appuntamento internazionale. IRAN ATTACCA ISRAELE - Ahmadinejad aveva già definito Israele «la più orribile manifestazione del razzismo» durante un incontro avuto domenica sera a Ginevra con il presidente svizzero Hans Rudolf Merz. Lo riferisce l'agenzia iraniana Fars. Ahmadinejad, aggiunge l'agenzia, aveva sottolineato anche la politica di «due pesi e due misure sui diritti umani e la violazione degli stessi diritti umani negli Usa e in Europa». Il presidente elvetico, secondo l'agenzia iraniana, avrebbe detto tra l'altro che «la Svizzera non seguirà le minacce unilaterali degli Usa e della Ue nelle sue relazioni con la Repubblica islamica dell'Iran». LA RISPOSTA DI ISRAELE - E proprio all'incontro tra Merz e Ahmadinejad hanno fatto riferimento fonti del ministero degli esteri per spiegare le motivazioni che hanno spinto Gerusalemme a richiamare l'ambasciatore israeliano in Svizzera. Il premier Benjamin Netanyahu ha fortemente critico l'invito rivolto al presidente iraniano, apostrofandolo come «razzista». LA REPLICA SVIZZERA - Il presidente svizzero non condivide le critiche israeliane con il presidente iraniano. «Le capisco ma sono ingiustificate», ha detto Merz ad una radio svizzera citato dall'agenzia elvetica Ats. Per Merz il dialogo con l'Iran è necessario. Il presidente svizzero non ha voluto esprimersi sul richiamo dell'ambasciatore israeliano a Berna. BAN KI-MOON - Aprendo i lavori della Durban II, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon (che a margine della conferenza il segretario delle Nazioni Unite ha poi incontrato Ahmadinejad) ha insistito sul fatto che tutte le forme di razzismo, incluse l'antisemitismo e l'«islamofobia», vanno combattute. Il numero uno delle Nazioni Unite ha anche criticato l'assenza di numerosi Paesi alla conferenza. «Sono profondamente deluso - ha detto. Rimpiango profondamente che alcuni abbiano scelto di farsi da parte. Spero che non duri a lungo». I PAESI ASSENTI E I PRESENTI- Israele, Canada, Stati Uniti, Italia, Germania, Olanda, Svezia ed Australia non partecipano ai lavori, temendo una replica delle manifestazioni antisemite che avevano contrassegnato la precedente riunione delle Nazioni Unite contro il razzismo, nel 2001 a Durban (Sudafrica). I Paesi assenti contestano il documento finale della conferenza e i controversi riferimenti a Israele e alla «diffamazione delle religioni». E certamente le defezioni sono state favorite anche dall'annunciata presenza del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, noto per le violente diatribe contro Israele e per aver definito l'Olocausto «un mito». Molti temono che il capo di Stato iraniano rinnovi i suoi violenti attacchi contro Israele. L'ONU CONDANNA I NEGAZIONISTI - Da parte sua, Ban Ki-moon tenta in extremis di salvare la conferenza voluta dalle Nazioni Unite sul razzismo, difendendo comunque la contestata dichiarazione finale come un testo «attentamente bilanciato» e ricordando che il summit di Ginevra punta proprio a sedare tensioni che potrebbero in altro modo esplodere. Poiché oggi ricorre la giornata della memoria, in Israele, Ban Ki-moon ha inoltre ripetuto la sua condanna per coloro che negano l'Olocausto. Il segretario generale dell'Onu, ha dello la sua portavoce, «condanna l'Olocausto e coloro che ne minimizzano l'importanza, ricordando che nel 2007 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione secondo cui 'ignorare il fatto storico di questi terribili eventi aumenta il rischio che essi si ripetano», ha detto la sua portavoce. UE: «REAGIREMO IN CASO DI DICHIARAZIONI INACCETTABILI» - Nel frattempo la Commissione europea ha fatto sapere che è pronta a reagire «in modo appropriato» qualora alla conferenza Durban II sul razzismo si arrivasse a dichiarazioni «inaccettabili». È quanto ha dichiarato la portavoce per le Relazioni esterne della Commissione europea, Christiane Hohmann. «La Ue - ha detto - ha seguito molto da vicino la preparazione della conferenza, contribuendo a forgiare la sua posizione dall'inizio. Ora partecipa in quanto osservatore». «Il testo non è ideale, ne siamo consapevoli, ma è il risultato di un lungo compromesso» per Hohmann, che ha aggiunto: «Seguiremo molto da vicino gli sviluppi della conferenza, che corre il rischio di essere dirottata. Reagiremo in modo appropriato a qualunque dichiarazione inaccettabile fatta durante la conferenza». Tuttavia la portavoce ha sottolineato come la Commissione ritenga di poter trarre qualcosa dalla conferenza, concludendo: «Rimaniamo impegnati a fare tutto quello che possiamo». stampa |

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Padura Fuentes: A.Coppola (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere.it" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Lo scrittore «Finita la stagione del dialogo tra sordi All'Avana si spera» Leonardo Padura Fuentes Buone notizie per il Conde: ci sono concrete speranze che per l'ex poliziotto ora venditore di libri usati in un futuro prossimo diventi meno complicato mangiare a pranzo e poi anche a cena. Con la cautela e il disincanto di un intellettuale che vive a Cuba, Leonardo Padura Fuentes, creatore del Conde e delle sue inchieste (tutte pubblicate in Italia da Marco Tropea), immagina che alla fine l'allentamento della tensione (e in prospettiva dell'embargo) porti un cambiamento positivo nella vita quotidiana dei suoi connazionali. Per una volta si può essere ottimisti: «Sono fiducioso», addirittura. Perché, dice, dopo decenni di «dialogo tra sordi», ora «Cuba e Stati Uniti cominciano ad ascoltarsi: e questo dà alla gente dell'isola la speranza che si normalizzi una situazione molto pesante...». Il presidente Usa Barack Obama ha detto di voler cercare «un nuovo inzio» con L'Avana. «L'importante è che sia realista: non pretendere dal governo cubano ciò che il governo cubano si sa che non concederà. Non porre condizioni, altrimenti si rischia di tornare indietro». >In effetti la Casa Bianca ha già annunciato di voler affrontare «un'ampia gamma di temi: dai diritti umani alla libertà di espressione, le riforme democratiche, la droga e le questioni economiche»... «Possono essere infinite le questioni che il governo cubano non è disposto ad accettare. Del resto L'Avana non pretende da Obama dei cambiamenti nella politica interna Usa. Il primo punto che Raúl Castro ha messo in chiaro è che bisogna rispettare la sovranità e i diritti di entrambe le parti per poter cominciare a costruire questo avvicinamento» Obama sembra aver già fatto un passo concreto, con l'annullamento delle restrizioni sui trasferimento di denaro e sulle visite ai parenti dei cubani emigrati negli Usa. «Un passo importante, ma in termini pratici molto piccolo: neanche arriva al tipo di relazioni dei tempi del presidente Clinton, quando c'era scambio accademico, culturale, sportivo... Siamo ancora al momento delle parole, seppur espressione di una volontà nuova di avvicinamento: ora, però, devono rivestirsi di realismo, da entrambe le parti». Da parte di Cuba, che cosa potrebbe fare Raúl Castro per mostrare volontà concreta di disgelo? «È un problema più complicato: sono gli Stati Uniti ad avere imposto l'embargo a Cuba, con la condanna dell'Onu. E ad aver sostenuto contro Cuba azioni violente, dalla Baia dei Porci in poi. L'Avana non deve dimostrare nulla. Certo, il governo Castro, indipendentemente dagli Usa, dovrà fare cambiamenti economici e sociali. C'è un fenomeno che mi preoccupa molto: l'emigrazione dei giovani professionisti. Il futuro scientifico e culturale del Paese se ne sta andando e bisogna evitare che questo dissanguamento continui. Altro esempio, la costruzione di case: nell'isola si calcola che manchi mezzo milione di alloggi» Cambiamenti, ma sempre all'interno del modello socialista? «Per il momento, credo di sì. Così come Obama sta facendo modifiche nel contesto del capitalismo...» La normalizzazione col Nord, e dunque la fine dell'embargo, darebbe impulso al cambiamento a Cuba? «La fine dell'embargo è qualcosa che deve accadere: sarebbe salutare per il mondo intero. È una questione che porta 40 anni di ritardo. Se si risolvesse, si potrebbe passare oltre ed entrare in altre discussioni. Certo, è l'elemento che più può favorire l'introduzione di cambiamenti economici a Cuba, perché produrrebbe un movimento nell'isola, non so se a lungo termine positivo o negativo, ma ad ogni modo un cambiamento. L'apertura di Cuba al turismo nordamericano, in particolare, avrebbe effetti sull'economia domestica, sulla vita quotidiana della gente. Durante l'Amministrazione Bush tutto quello che si è fatto per danneggiare il governo cubano alla fine l'ha rafforzato e a essere danneggiata è stata la gente comune. Personalmente ho fiducia che Obama abbia la chiarezza politica e mentale per superare i pregiudizi nordamericani». Gli sarà utile «Le vene aperte dell'America Latina», il libro che gli ha regalato Chávez? «Un libro è un buon regalo. Questo testo di Eduardo Galeano, poi, è un magnifico regalo. Chiunque lo legga può imparare molte cose della storia latinoamericana, ciò che ha significato il meticciato culturale, l'imposizione di una religione, il costante dissanguamento economico. Fondamentale». Alessandra Coppola stampa |

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Onu, Ahmadinejad: "Israele è razzista" Contestazione e fischi, via i delegati Ue (sezione: Diritti umani)

( da "Giornale.it, Il" del 20-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

n. 16 del 2009-04-20 pagina 0 Onu, Ahmadinejad: "Israele è razzista" Contestazione e fischi, via i delegati Ue di Redazione Usa, Italia, Israele e Germania non siedono al tavolo organizzato dall'Onu contro il razzismo. Il ministro Lieberman ritira il proprio ambasciatore dalla Svizzera che replica duramente: "Critiche ingiustificate". Il presidente iraniano attacca: "Israele, orribile razzista". I rappresentanti dei Paesi europei lasciano la sala Ginevra - Ci pensa Ahmadinejad. Il leader iraniano prende la parola e il vertice Onu di Ginevra diventa un pandemonio. Fischi, urla, contestazioni. Il presidente di Teheran taccia Israele di razzismo e gli Stati Uniti di complicità. E la platea si infiamma. I delegati dell’Unione europea e di altri Paesi occidentali hanno abbandonato la sala. Ahmadinejad ha criticato l’insediamento di un "governo razzista" nel cuore del Medio Oriente dopo il 1945, alludendo chiaramente allo stato di Israele senza però mai nominarlo nel suo discordo davanti i partecipanti alla conferenza dell’Onu sul razzismo. Poco prima, nel momento in cui il capo di stato iraniano ha preso la parola davanti ai delegati, almeno tre manifestanti con parrucche multicolori e nasi rossi da clown hanno gridato "razzista, razzista" all’indirizzo di Ahmadinejad. I tre sono stati espulsi dalla sala delle conferenze. Ban Ki-moon e gli assenti Con l’intervento inaugurale del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, si apre la conferenza sul razzismo, la discriminazione razziale e la xenofobia promossa dalle Nazioni Unite, meglio nota come "Durban 2". Ma nel parterre mancheranno, oltre all’Italia, una serie di nazioni che hanno deciso di boicottare il summit che rischia di mutarsi in un processo a distanza a Israele: ai lavori non partecipano infatti Stati Uniti, Germania, Australia, Canada, Olanda, Nuova Zelanda, Polonia e Israele. L’Italia, contraria sin dalla prima ora per gli accenti antisemiti presenti nella bozza del documento finale, aveva ritirato il 5 marzo la delegazione dai negoziati per le frasi antisemite contenute nella prima bozza. Sarkozy ci ripensa Ci sono invece la Gran Bretagna, che da tempo aveva confermato la presenza, e la Francia che domenica sera ha rotto gli indugi: "La Francia andrà a Ginevra per per difendere il suo punto di vista riguardo ai diritti umani" ha precisato una fonte anonima dell’Eliseo. Barack Obama ha difeso il no degli Usa ribadendo di essere un presidente che "crede nell’Onu", ma spiegando di non poter accettare il "linguaggio controproducente" contenuto nella bozza del documento finale. A Ginevra è presente la Santa Sede e da domenica notte è già arrivato il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che ha ribadito la sua ostilità verso lo Stato ebraico, definendolo "portabandiera del razzismo". Israele richiama l'ambasciatore dalla Svizzera Il ministro degli esteri Avigdor Lieberman ha ordinato all’ambasciatore di Israele in Svizzera di rientrare in patria per consultazioni. Fonti del ministero degli esteri hanno spiegato al sito Ynet che il provvedimento rappresenta un gesto di protesta per l’incontro di ieri fra il presidente elvetico Hans Rudolf Merz e il presidente iraniano Ahmadinejad. Il presidente della Confederazione elvetica Hans-Rudolf Merz non condivide le critiche israeliane: "Le capisco ma sono ingiustificate". Ahmadinejad: "Israele è manifestazione del razzismo" Il presidente iraniano Ahmadinejad ha definito Israele "la più orribile manifestazione del razzismo" durante un incontro avuto ieri sera a Ginevra con il presidente svizzero Hans Rudolf Merz. Secondo lagenzia iraniana Fars Ahmadinejad ha sottolineato anche la politica di "due pesi e due misure sui diritti umani e la violazione degli stessi diritti umani negli Usa e in Europa". Bruxelles: "Pronti a reagire" La Commissione europea è pronta a reagire "in modo appropriato" qualora alla conferenza Durban II sul razzismo si arrivasse a dichiarazioni "inaccettabili". La portavoce per le Relazioni esterne della Commissione europea, Christiane Hohmann, ha spiegato che l'Ue ha seguito molto da vicino la preparazione della conferenza, contribuendo a forgiare la posizione dell’Ue dall’inizio. "Il testo non è ideale, ne siamo consapevoli, ma è il risultato di un lungo compromesso", per Hohmann, che ha aggiunto: "Seguiremo molto da vicino gli sviluppi della conferenza, che corre il rischio di essere dirottata. Reagiremo in modo appropriato a qualunque dichiarazione inaccettabile fatta durante la conferenza". Tuttavia la portavoce ha sottolineato come la Commissione ritenga di poter trarre qualcosa dalla conferenza, concludendo: "Rimaniamo impegnati a fare tutto quello che possiamo". © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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Al termine del discorso interviene su Gaza Applausi da parte dei soli leader arabi (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Al termine del discorso interviene su Gaza Applausi da parte dei soli leader arabi [FIRMA]EMANUELE NOVAZIO INVIATO A GINEVRA Il caos comincia non appena Mahmoud Ahmadinejad sale sul podio, il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon alle spalle, una platea di delegati divisa e nervosa di fronte, le tv del mondo in attesa. È un caos auspicato: e difatti il presidente iraniano sorride paziente, quando tre giovani dell'«Unione studenti ebrei francesi» vestiti da clown corrono verso il palco, gli lanciano un naso da pagliaccio e gli urlano «razzista, razzista» mentre gli agenti li trascinano fuori dalla «Sala dell'assemblea» del Palais Des Nations affacciato al Parc de l'Ariana. Ahmadinejad interrompe il discorso appena iniziato. Ma è una pausa che - per l'unico Capo di stato presente alla «Conferenza sul razzismo» promossa dall'Onu 8 anni dopo quella di Durban trasformatasi in un carosello anti-israeliano - ha una forte valenza mediatica. Lo aiuta a introdurre la vera ragione della sua venuta a Ginevra. Ad accendere la miccia che in tanti, Italia e Stati Uniti in testa, avevano previsto e temuto: «Dopo la fine della Seconda guerra mondiale gli Alleati sono ricorsi all'aggressione militare per privare delle loro terre una nazione intera sotto il pretesto delle sofferenze degli ebrei. Hanno inviato migranti dall'Europa, dagli Stati Uniti e dal mondo per istituire un governo razzista nella Palestina occupata», dice a memoria, senza abbassare lo sguardo sul testo dattiloscritto, l'uomo che si è lucidamente attribuito il ruolo di profeta dell'antisionismo inteso - anche - come negazione dell'Olocausto e dello Stato ebraico. Sono le 15 e 30 passate da poco. L'attacco a Israele, mai nominato, va a segno, sia pure con toni meno veementi che in passato (nessun auspicio alla sua «cancellazione dalle carte geografiche»). I rappresentanti dei 23 Paesi dell'Unione europea che avevano scelto di non boicottare la Conferenza (fra loro Francia, Gran Bretagna e Spagna) si alzano e abbandonano l'Assemblea, come avevano annunciato in caso di deriva antisemita del presidente iraniano. Ahmadinejad, di nuovo, interrompe il discorso. Aspetta il silenzio e riprende: «È necessario mettere fine agli abusi dei sionisti e di chi li sostiene», dice leggendo dal testo, adesso. Ma è quando accusa «gli Stati occidentali di essere rimasti in silenzio di fronte ai crimini commessi a Gaza» che gran parte dell'assemblea - composta ormai in maggioranza da Paesi arabi e musulmani che volevano un processo a Israele - applaude. Prima di lasciare la Sala Ahmadinejad ringrazia, e ha ragione di farlo. Come l'anno scorso l'Assemblea della Fao a Roma, la Conferenza ginevrina gli ha consentito di confermarsi nel ruolo al quale più di ogni altro, nelle sue uscite all'estero, sembra affidare la dignità del suo ufficio di Presidente. Dietro di sé il leader della Repubblica islamica lascia dissociazioni e polemiche, indispensabile complemento del caos. A cominciare dai padroni di casa: «Deploriamo l'uso di questa piattaforma per accusare, dividere e incitare», recita il comunicato di Ban Ki-moon, che aprendo i lavori aveva lamentato l'assenza di una decina di Paesi, dagli Usa alla Germania, dall'Italia all'Australia, dall'Olanda alla Nuova Zelanda al Canada. «Deploriamo fortemente il linguaggio di Ahmadinejad, fuori luogo in una Conferenza che ha l'obiettivo di difendere la diversità e la tolleranza», gli fa eco l'Alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay. «Dichiarazioni inaccettabili», scandiscono i 23 Paesi dell'Unione europea che hanno lasciato l'assemblea per protesta contro le affermazioni del presidente iraniano, ma non la Conferenza: perché - sottolineano in 22, dopo l'abbandono serale della Repubblica ceca - a Ginevra si è messo a punto un «valido compromesso» nella bozza di dichiarazione finale. Che è frutto per giunta di un «negoziato intergovernativo» che esclude la responsabilità dell'Ue. Anche il Vaticano condanna, sia pure con qualche distinguo. «Siamo rimasti in sala per affermare il diritto della libertà d'espressione», avverte l'Osservatore permanente presso le Nazioni Unite monsignor Tomasi. Ma, puntualizza il direttore della Sala stampa padre Lombardi, quelle di Ahmadinejad sono «espressioni estremiste e inaccettabili», anche se «la conferenza è un'occasione importante». Lo si capirà presto, se davvero «Durban 2» avrà una sorte migliore della conferenza-madre che intende mondare: l'approvazione del documento finale, sul quale si comincerà a discutere da oggi, è prevista per venerdì.

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Vespa: (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere.it" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Lo ha detto rispondendo alle domande di Barbara Palombelli a «28 minuti» (Radio2) Vespa: «Santoro? Una spina per il Pd più che per la Pdl» «Non capisco perché io devo rispondere al Direttore di Rete, mentre lui soltanto al Direttore Generale» Bruno Vespa (Eidon) ROMA - Bruno Vespa è convinto che non ci sarà uno scontro continuo di Michele Santoro con questa nuova dirigenza Rai «perché tutto sommato alla fine fa comodo a tutti, nel senso che nessuno osa più toccarlo perché nessuno vuole farne un martire, io credo che il centrodestra abbia in Santoro un formidabile sostegno (...) perché non c'è dubbio che la spina di Santoro è più nel Partito democratico che non nel centrodestra». ALLA RADIO - Lo ha detto rispondendo alle domande di Barbara Palombelli nella puntata di «28 minuti» (Radio2) di lunedì. «Michele è un grandissimo uomo di televisione, ha una concezione del servizio pubblico molto diversa dalla mia. Io ho sempre detto - ha aggiunto Vespa - che certe cose sono state consentite solo a lui (..) il problema è che se la legge richiede il pluralismo questo deve valere per tutti (..) non capisco perché io devo rispondere, e lo faccio molto volentieri, al Direttore di Rete, mentre Santoro deve rispondere soltanto al Direttore Generale». QUERELA - Intanto una querela contro Michele Santoro e Sandro Ruotolo ha annunciato per martedì, ai carabinieri, un volontario della protezione civile di Teramo, Pino Urbani, ex dipendente del servizio 118, intervenuto all'Aquila fin dalla mattina del 6 aprile. L'iniziativa nasce dalle trasmissioni Annozero degli ultimi due giovedì. Urbani si è detto offeso dai temi sviluppati nelle due puntate: «I due giornalisti - ha detto - hanno diffamato in maniera molto profonda la protezione civile e quanti sono intervenuti prontamente per aiutare gli aquilani colpiti dal terremoto. Il sottoscritto alle 7 era già all'Aquila per scavare sotto le macerie di un palazzo di via XX Settembre. Mentre noi salvavamo Francesca - ha aggiunto - Santoro e Ruotolo erano nelle loro case a prendere il caffellatte e la cosa più grave è che si è organizzata una trasmissione senza alcun vero contraddittorio». ESPOSTO AL CONSIGLIO D'EUROPA - A difesa di Annozero, invece, c'è da registrare un esposto presentato da due ex deputati del Palamento italiano ed europeo, Lucio Manisco e Giuseppe Di Lello, e dal giornalista Alessandro Cisilin al Consiglio d'Europa - Assemblea Parlamentare, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Commissario per i diritti umani. I tre denunciano il «devastante degrado» della libertà di informazione e di critica nel settore televisivo e «il controllo del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sul servizio pubblico Rai Tv» motivando il loro esposto con «le misure censorie e disciplinari adottate nei confronti dei due programmi di giornalismo investigativo condotti da Milena Gabanelli e da Michele Santoro e con quanto riferito dalla stampa italiana sulle interferenze dello stesso presidente del Consiglio sulle nomine dei vertici Rai, per statuto di competenza del suo consiglio di amministrazione». L'esposto, depositato al Consiglio d'Europa, si richiama all'articolo 11 della Carta dei Diritti Fondamentali, nonchè a due risoluzioni, approvate a larghissima maggioranza nel 2004 dal Parlamento Europeo e dal Consiglio d'Europa, «che avevano denunziato nel nostro paese il conflitto di interessi tra proprietà e controllo delle aziende televisive da parte di Silvio Berlusconi e le sue funzioni istituzionali di presidente del Consiglio». stampa |

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(sezione: Diritti umani)

( da "Corriere.it" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

L'intervista «Anche Stalin firmò per i diritti umani» Lo storico Paul Kennedy: «Durban II è un vertice simbolo dell'ipocrisia dell'Onu. Consiglio bloccato da 5 potenze» WASHINGTON - Per lo storico Paul Kennedy, autore di Ascesa e de­clino delle grandi potenze e de Il Par­lamento dell'uomo (l'Onu), la Confe­renza sul razzismo non segnerà una svolta storica: «Dopo accuse e con­traccuse, propaganda e scontri, sfo­cerà in una di quelle dichiarazioni solenni che rappresentano in realtà dei modesti compromessi». Il do­cente dell'Università di Yale, che sta scrivendo un libro sulla Seconda guerra mondiale, è scettico sull'effi­cacia di simili iniziative: «Il rispetto dei diritti umani si impone solo con risoluzioni vincolanti. C'è da chie­dersi chi e quanti le vorrebbero vera­mente perché la sede adatta non è certo questa conferenza. Inoltre c'è il pericolo che essa assuma un tono antisemita». Lei è pro o contro il boicottag­gio di Durban II, a Ginevra? «È una questione di grigio, non di bianco e di nero. Io penso che i nostri governi si siano posti un in­terrogativo etico e uno politico. È giusto o ingiusto il boicottaggio, vi­sto che una gran parte dei Paesi fir­merà la dichiarazione senza alcuna intenzione di rispettarla? E in previ­sione di una denuncia di Israele - che ha fornito l'occasione al­l'Islam con la sua sproporzio­nata reazione a Gaza - è poli­ticamente vantaggioso o svantaggioso parteciparvi?». Di qui le opposte decisio­ni degli alleati? «Esattamente. L'America e l'Italia si sono dette che il boi­cottaggio è giusto e partecipa­re alla Conferenza sarebbe dannoso. La Gran Breta­gna e la Francia hanno invece concluso che, nonostante i dubbi e i rischi, conviene dimo­strare di essere alla ri­cerca di un dialogo onesto. Su Obama, secondo me, ha pe­sato altresì il timore che una presen­za americana a Ginevra gli alienasse l'opinione pubblica interna oltre che Israele, che diffida di lui». Una divisione inattesa tra Lon­dra e Washington? «Diciamo una divisione in contra­sto con la Storia. Circa 25 anni fa, il presidente Usa Ronald Reagan e la premier britannica Margaret Tha­tcher lasciarono all'unisono l'Une­sco perché aveva equiparato il sioni­smo al razzismo». Perché è scettico su Durban II? «Lo sono stato anche su Durban I, nel 2001, manipolata e strumentaliz­zata da troppi Paesi. Io sono scettico sulla Dichiarazione universale dei di­ritti dell'uomo del 1948, che propo­neva anche il pieno impiego, l'assi­stenza sanitaria di Stato. Il presiden­te americano Truman la firmò per­ché sapeva che, a differenza delle ri­soluzioni del Consiglio di sicurezza, non aveva valore legale. La firmò persino Stalin, un violatore dei dirit­ti umani». Dovrebbe farse­ne carico il Consi­glio di sicurezza? «Il Consiglio è bloccato da cinque potenze conserva­trici che hanno macchie razziste, presenti o passate, da nascondere, l'America i neri, la Russia la Cecenia, la Cina il Tibet, la Francia gli arabi, l'Inghilterra il Kenya. E si trincera dietro il principio che deve decidere delle questioni di guerra e pace non delle libertà civili. Insomma, rifiuta di interessarsene se non in casi cir­coscritti». Non c'è il Consiglio dei diritti umani dell'Onu? «Il Consiglio, come la precedente Commissione, a volte è ostaggio di Paesi che promuovono delle decisio­ni inique o che vanificano quelle eque. Invece di penalizzare sempre, come dovrebbe, quanti fanno del raz­zismo o peggio fanno del genocidio, in certi momenti li ignora o li na­sconde». Qual è il rimedio? «Bisogna martellare il messaggio antirazzista. Quando l'Onu fece la Di­chiarazione universale sui diritti umani, l'impatto fu forte, creò gran­di aspettative. Idem quando fu vara­to il protocollo di Kyoto contro l'emissione di gas serra. Le grandi po­tenze devono alimentare le aspettati­ve e premere molto più fortemente sulle nazioni interessate alle buone relazioni con loro, ma che ancora vio­lano i diritti umani. Se lo faranno, in futuro anche conferenze come quella di Ginevra produrranno frutti». Ennio Caretto stampa |

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"sarkozy non m'ha ascoltato non bisognava partecipare" - pietro del re (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Pagina 3 - Esteri Parla lo scrittore francese Marek Halter, che nel 1940 fuggì dal ghetto di Varsavia "Sarkozy non m´ha ascoltato non bisognava partecipare" PIETRO DEL RE «Al presidente Sarkozy avevo sconsigliato di andare a Ginevra, ma lui m´ha ascoltato solo a metà», dice lo scrittore francese Marek Halter, che da un mese fa campagna per boicottare Durban 2, come fece nel 1978 contro il Mundial nell´Argentina della giunta militare e, due anni dopo, contro i Giochi Olimpici nella Mosca sovietica. Figlio di una poetessa yiddish e di un tipografo, questo intellettuale engagé si oppone da decenni alle derive del razzismo e dell´antisemitismo. Marek Halter, che cosa ha detto a Nicolas Sarkozy? «Che non si deve partecipare a una conferenza organizzata da paesi anti-democratici, che è presieduta dalla Libia e alla quale è stato invitato anche quel presidente sudanese perseguito dal Tribunale internazionale. Gli ho anche detto che non dobbiamo subire la legge di coloro che vogliono riportarci all´epoca della schiavitù. Il presidente m´ha risposto: "Non possiamo mancare perché gli altri andranno". Alla fine, però, ha mandato solo il suo ambasciatore all´Onu». L´opzione francese non la soddisfa, dunque? «No, perché è una sorta di compromesso. E i compromessi si possono raggiungere su questioni economiche. Ma non è lecito farlo su fatti essenziali, quali i diritti dell´uomo, la giustizia o la riconoscenza del diverso da sé». Secondo lei, era prevedibile la sparata di Ahmadinejad? «Il problema con Ahmadinejad è che non mi sembra disponibile al dialogo. Se accettasse di discutere con me, gli direi che cosa penso della condizione delle donne in Iran e delle quotidiane impiccagioni nelle piazze del suo paese». Non le sembra che l´abbandono della sala da parte degli esponenti dell´Ue sia stato un segnale forte? «Sì, è necessario che i cittadini iraniani, cinesi, russi e di tutti i paesi in cui i diritti umani sono calpestati vedano che la sala si svuota quando i loro leader salgono in cattedra. Oggi, grazie a internet chiunque può assistere a quanto accade a migliaia di chilometri da casa, che si trovi in Siberia o in Arabia Saudita». Come giudica la posizione del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, il quale ha prima deplorato l´assenza di alcuni paesi, e poi le dichiarazioni del leader iraniano? «La sua è una posizione particolare, poiché esiste il presupposto che tutti i paesi del mondo debbano far parte dell´Onu: i buoni e i cattivi. è necessario che questa platea esista. Nell´antica agorà ateniese non c´erano solo persone per bene: c´erano anche tanti mascalzoni».

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torture, obama fa pace con la cia - alberto flores d'arcais (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Pagina 14 - Esteri Torture, Obama fa pace con la Cia Missione a Langley: "Abbiamo fatto errori ma saremo più forti rispettando le regole" Nuove polemiche sul waterboarding: contro un terrorista utilizzato 183 volte, sei al giorno ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - «La Cia ha il mio pieno sostegno. Non fatevi scoraggiare dal fatto che l´America ha potuto conoscere gli errori che sono stati fatti nel passato». Di fronte alle crescenti polemiche seguite alla pubblicazione dei quattro "memo" segreti della Cia, Barack Obama ha scelto la via più diretta: quella di parlare direttamente agli agenti dell´Intelligence. Così ieri alle 14,30 la limousine presidenziale ha varcato i cancelli di Langley, quartier generale dell´agenzia di spionaggio. Una visita inusuale, nel corso della quale prima ha incontrato il direttore Leon Panetta e il suo vice Stephen Kappes, poi ha avuto un meeting con i funzionari di rango elevato, e infine con gli agenti. Con un breve discorso sull´importanza «fondamentale» della missione della Cia. A Langley la pubblicazione dei memorandum sull´uso delle «tecniche brutali» negli interrogatori, non era piaciuta. Anche Leon Panetta, un liberal che Obama ha voluto a capo della Cia, aveva espresso le sue perplessità. Alla Casa Bianca lo scontro tra falchi e colombe in merito alla questione era durato a lungo, quasi un mese, e - a decisione presa - le critiche non erano mancate (da destra come da sinistra) con l´aggravante dei malumori nel mondo dell´Intelligence. Sintetizzati da Michael Hayden, ultimo capo della Cia di Bush: «Ci saranno nuove rivelazioni, nuove commissioni, nuove indagini, contro un´agenzia che è in guerra e in prima linea nel difendere l´America». Una tesi che Obama ha negato. Accolto da un grande e caloroso applauso dal personale della Cia, il presidente ha spiegato il perché della pubblicazione («la natura segreta delle informazioni era stata già compromessa»), ha confermato agli agenti l´immunità per gli atti del passato, e promesso che «i giorni migliori della Cia devono ancora arrivare». Ha ricordato come in passato «ho combattuto per proteggere la sicurezza delle informazioni segrete e così farò in futuro». Ha esortato a non scoraggiarsi dal fatto che «abbiamo commesso errori», perche è così che «si impara, e la nostra disponibilità a fare queste ammissioni dovrebbe renderci tutti più orgogliosi nella consapevolezza di essere dal lato giusto della Storia». Quanto alle tecniche di tortura usate durante l´amministrazione Bush, non ci sarà più spazio: «Gli Stati Uniti sono più forti quando possono esercitare la potenza dei loro valori, compreso il rispetto della legge». Anche quando ci si trova di fronte nemici come i terroristi di Al Qaeda «che non rispettano alcuna regola». Non si era mai visto un presidente costretto a correre al quartier general dell´Intelligence (in genere sono i loro capi che vanno alla Casa Bianca) ma Obama, che maneggia con cura anche i gesti simbolici, ha capito che era il momento di intervenire in prima persona. Non per fare ammenda sulla pubblicazione dei memorandum, ma per rassicurare gli agenti che eliminate le storture dell´era Bush la guerra al terrorismo continuerà come prima: «L´America apprezza i vostri sacrifici anche se il vostro coraggio è conosciuto da pochi e non potete avere, per motivi di segretezza, pubblici apprezzamenti». Il giorno dell´omaggio alla Cia era iniziato con nuove polemiche sul waterboarding, dopo che il New York Times aveva riferito quante volte questa tecnica di tortura - che Obama ha vietato con un ordine esecutivo - è stata usata nei confronti dei più pericolosi comandanti di Al Qaeda catturati dagli americani. Abu Zubaydah venne sottoposto all´annegamento simulato 83 volte. Nel marzo 2003 per fare parlare Khalid Shaikh Mohammed, l´ex numero tre di Al Qaeda considerato il «cervello» dell´attacco alle Torri Gemelle, i waterboarding furono addirittura 183: una media di sei al giorno.

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la memoria - vittorio foa (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Pagina 35 - Cultura LA MEMORIA la nuova introduzione a "Questo novecento" scritta prima della scomparsa Il testamento politico di foa e il futuro L´intellettuale "voce" della sinistra decise di fare l´ultima versione nel settembre 2008: qui ne anticipiamo un brano Il racconto, da protagonista e testimone della politica italiana, dall´inizio del secolo fino agli anni Novanta VITTORIO FOA Con la memoria della Shoah abbiamo imparato a celebrare non soltanto chi cade in guerra ma chi è vittima innocente, il civile. Possiamo ricordarne i nomi e le età e celebrare in una memoria carica di insegnamento la morte di chi non immaginava di morire. Con il 1945 abbiamo ricostruito il sistema dei partiti, per seguire l´esempio dei paesi vincitori e anche per riallacciarci al passato, dopo vent´anni di soppressione dei partiti. Ma successivamente i partiti hanno lasciato troppa insoddisfazione. Mi sembra che esista un fenomeno dai tempi lunghi: una destra profonda che prende le forme più varie, a volte persino forme di sinistra. Le forme della destra profonda possono essere nazionaliste, militariste, razziste, fasciste, o puramente liberistiche. In tutti questi casi la chiusura nel proprio particolare, nella famiglia e il proiettare il rapporto con il mondo sulla propria particolarità diventano dominanti. Le lotte politiche fra i partiti socialisti, comunisti e democristiani si susseguirono per anni, fin verso la fine del secolo, quella di cui stiamo ancora adesso vivendo gli esiti, che ha visto la fine dei partiti. Il partito socialista che aveva sperato di ereditare dai comunisti la loro base elettorale, è scomparso insieme con essi. L´Italia è l´unico paese in cui questo sia successo. Il socialismo è in declino in tutti i paesi europei e non esiste negli Stati Uniti. Cosa vuol dire, che il socialismo non ci sarà più? Questa è la mia previsione, almeno per i prossimi anni. Negli anni Sessanta, una parte dei sindacati lasciò la dipendenza dalle confederazioni e scelse la linea dell´unità sindacale: lavorare insieme estendeva le possibilità di ricerca e inoltre portava a comprendere che il conflitto non nasce dalla miseria ma soprattutto dagli sviluppi comparativi. La linea dell´unità sindacale fu troppo presto abbandonata. Adesso abbiamo un´occasione: liberiamoci finalmente delle ideologie anche nel campo del lavoro. Ho ricevuto la visita di una delegazione della Cisl di Padova e Lorenza Leonardi mi ha chiesto, a quanto ho capito, se ero d´accordo che nella linea dell´unità sindacale, svincolato il sindacato dai partiti, non ci fosse più solo il contratto, ma anche tutto il resto, cioè la nuova povertà. Evidentemente sono d´accordo. Alla fine del secolo ventesimo, i partiti politici che dal 1945 avevano sorretto la politica italiana sono scomparsi sotto un´accusa che era giusta, anche se non era sincera, cioè per il fatto che dipendevano da premesse ideologiche. La più profonda anomalia della situazione italiana è, a mio giudizio, quella della permanenza dei sindacati, ognuno dei quali riferito a una realtà che non esiste più: quella dei partiti con le loro ideologie. Possiamo sperare di unificare il lavoro superando le ideologie ormai vuote di significato dei vecchi partiti? Possiamo sognare un´unità sindacale nella quale tutti i lavoratori possano confrontare le loro idee, le loro speranze, le loro sofferenze? Non so perché, ma mi sembra che l´unità sindacale alla quale io penso non unificherebbe soltanto la tecnica sindacale, ma andrebbe oltre. Nessun contratto sindacale risolve i problemi della felicità, neanche accenna a risolverli. Eppure la ricerca delle nuove povertà vuol dire la ricerca da parte del nuovo sindacato sul modo di vivere, sul modo di migliorare sul serio la nostra vita collettiva. Pensare alla fine del secolo ci costringe a sentirci più responsabili di quello che eravamo anche in passato, tutto va ripensato insieme con gli altri, bisogna pensare al futuro senza pensare soltanto a noi stessi. Dobbiamo sentirci diversi dal passato, se non riusciamo a fare questo finiremo per essere ancora poveri oltre che nei fatti anche nelle idee rispetto agli altri. Ecco perché, nel campo del lavoro e delle infinite ingiustizie che la sua realtà ci rivela, io credo all´unità dei lavoratori, alla forza che può derivare dal sentirsi uniti. Nella seconda parte del secolo attraverso varie vicende ha prevalso la funzione centrista della politica. Voglio ricordare la figura emblematica di Togliatti, sinceramente doppia, come campione di difesa della democrazia italiana e come capo dell´Internazionale comunista. E poi quella di De Gasperi. Oggi non si parla più di politica, nessuno parla del futuro, tutto è una ricerca a sfruttare il presente. A volte ci sembra che la stessa politica sia fuori di ogni pratica possibilità, che non si possa più lavorare insieme per sé e per gli altri, per sé e per tutti. Si potrebbe invece pensare, per quel che riguarda il futuro, in relazione all´eventuale mutamento della direzione politica americana a una diversa distribuzione delle risorse a livello mondiale e quindi a un diverso livello dei prezzi: l´apertura di una fase di interventismo sui prezzi potrebbe cambiare il quadro. Torniamo dunque all´Italia, torniamo alle vicende di questo fine secolo che ha visto, a mio giudizio, la maggior parte delle persone ripiegarsi su se stesse: è possibile ricondurle ad un agire che abbia significato universale, a non pensare solo a se stessi e neppure solo agli altri, ma a pensare a se stessi insieme agli altri? Io credo profondamente nella possibilità per la mente umana di scegliere delle vie positive e non soltanto la via dell´egoismo. Possiamo aiutare questo sviluppo dell´umanità? C´è chi dice che potremmo utilizzare altri parametri, per esempio quello dei diritti umani, che è indipendente dalle nazioni, dalle religioni e dai partiti. è una prospettiva seducente, da approfondire. Vorrei fare delle osservazioni sul paradosso eleatico. Tutti sono convinti che Achille vince la corsa con la tartaruga, ma tutti sanno che nessuno è in condizione di dimostrare la vittoria di Achille. Vi sono delle ragioni numeriche, relative al calcolo dell´infinito, che nessuno è riuscito a risolvere. Ma vi può essere anche una ragione più profonda: Achille è la guerra e la guerra produce altra guerra. In ogni caso Achille, ovunque si presenta, uccide, annienta e vince. Tuttavia non c´è totalitarismo che possa coprire ogni evento storico: Achille può uccidere da tutte le parti, ma la tartaruga è sempre lì, raccolta nei suoi piccoli e lenti passi, a riflettere sulle vicende del mondo e a sognare che alla guerra assoluta si possa rispondere con la pace. Quando io sono nato, l´Europa era sul punto di scannarsi, divisa in nazionalismi contrapposti. Ed era al centro del mondo. La guerra ha significato anche l´inizio dell´abbandono della sua posizione centrale, con l´entrata dell´America in Europa. Oggi, non ci sono più frontiere e stiamo avviandoci verso l´unità. Ma l´Europa non è più centrale. Forse è un bene. Siccome credo profondamente nella libertà, non credo solo nella libertà di ciascuno di dire quello che pensa, ma credo anche nel fatto che le idee di ciascuno possano e debbano cambiare.

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viaggio nell'isola caraibica dopo le aperture del presidente usa. tra i giovani che sperano nella fine dell'embargo e tifano per barack - fabrizio ravelli l'avana (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Pagina 27 - R2 Viaggio nell´isola caraibica dopo le aperture del presidente Usa. Tra i giovani che sperano nella fine dell´embargo e tifano per Barack FABRIZIO RAVELLI L´AVANA dal nostro inviato C´è una sorta di diffidente speranza qui a Cuba, in questi giorni che annunciano l´avvio di una nuova epoca nei rapporti con il «diavolo» nordamericano. Qualcuno sogna il crollo del muro, dell´embargo che da quasi cinquant´anni strangola l´economia castrista e la condanna all´isolamento. Qualcuno diffida delle reali intenzioni di chi governa Cuba: «Il bloqueo è sempre stato utilizzato da Fidel Castro come il parafulmine di ogni responsabilità - dice Yoani Sanchez, la giovane blogger che è una delle voci più influenti della comunità cubana - Era sempre colpa dell´embargo, per il crollo dell´economia, le inefficienze, tutto. Se cadesse, in realtà per il governo sarebbe un colpo molto duro». E ieri Fidel in persona ha deciso di intervenire, con una delle sue ricorrenti reflexiones, sul giornale Granma e sul sito Cubadebate. Ha scritto che Barack Obama è stato «duro ed evasivo» sull´embargo: «Desidero ricordargli un principio etico di base per quanto riguarda Cuba: ogni ingiustizia, ogni crimine, non importa in quale epoca sia successo, non ha scuse; il blocco crudele contro Cuba ha come prezzo delle vite umane e delle sofferenze». Che è un modo per chiedere la revoca del bloqueo senza addentrarsi troppo in previsioni o proposte, restando aggrappati alla tradizionale propaganda dei murales. Molto meno di quanto lasci sperare l´apertura dichiarata da Raul Castro a discutere con gli Usa di tutto, compresi i fin qui innominati «diritti umani». La reflexion resta molto al di sotto delle aspettative, perché a Cuba - aggiunge la Sanchez - «stiamo tutti aspettando, e ora la palla è nelle mani del governo». SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE SEGUE A PAGINA 28

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Le assenze di Obama (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

COMMENTO Le assenze di Obama Maurizio Matteuzzi L'amministrazione Obama è nata, per sua stessa ammissione, (anche) per ridare all'etica un posto di prima fila nel teatro della politica, dopo le devastazioni morali e materiali degli anni di Bush. Etica, e coraggiosa, è stata la decisione di Obama di ordinare la pubblicazione dei 4 rapporti del ministero della giustizia sui «metodi di interrogatorio duri» - leggasi tortura - usati dalla Cia nella «guerra al terrorismo». Improntata all'etica anche la decisione, più volte ribadita dalla nuova amministrazione, di «rientrare» alle Nazioni unite, dopo gli anni dell'unilateralismo e dell'aperto disprezzo di Bush .Ma la spinta etica di Obama sembra, almeno per ora, esaurirsi qui. CONTINUA|PAGINA12 Privilegiando altri obiettivi che con l'etica hanno poco a che fare. Quali l'assenza - felici di essere smentiti - di un'azione giudiziaria contro i «mandanti» degli agenti torturatori e l'assenza da «Durban 2», la conferenza sul razzismo di Ginevra, che Obama ha deciso di boicottare. Come prima (come sempre?), la politica contro l'etica. La politica come Realpolitik. E, ancora una volta, il doppio standard su temi quali i diritti umani e il razzismo, indissolubili. Ci sarebbe già da discutere sull'aministia preventiva che Obama ha regalato ai torturatori della Cia, sulla base dell'obbedienza dovuta - di sinistra memoria argentina - a ordini superiori. Forse - realismo politico oblige - non era consigliabile fare di più, per non provocare l'ammutinamento della Compagnia. E non ricadere nella facile scappatoia della «mela marcia». A una condizione, però, come rilevava un editoriale del sovversivo New York Times di domenica: di risalire, e colpire, gli anelli superiori della catena di comando. Nella fattispecie personaggi come quel Jay Bybee, ex assistente ministro della giustizia ed estensore dei più «nauseanti passaggi» (NYT) del manuale di tortura, ora giudice federale. Ma sopra i Bybee e i tanti piccoli minuziosi Eichmann come lui, c'erano i Donald Rumsfeld alla difesa, gli Alberto Gonzalez alla giustizia, i Dick Cheney alla vicepresidenza. Anche senza volere o potere riesumare George Bush, la testa del serpente, è a quegli anelli che Obama deve arrivare se vuole coniugare l'etica alla politica. Lo stesso ragionamento vale anche, a nostro avviso, per il boicottaggio di Durban 2 sul razzismo proclamato da Obama, anticipato da Israele e seguito da un certo numero di paesi, fra cui l'Italia. Se per l'Italia con ogni probabilità la ragione vera sia il più che il giustificato timore di essere chiamata in causa per gli exploit razzisti nostrani, per gli Usa di Obama si deve parlare di automatica subalternità a Israele, indipendentemente dal governo in carica in quel paese. E quindi anche nel caso che quel governo sia il più di destra nella storia dello stato ebraico e il più antitetico rispetto alle intenzioni dell'amministrazione Usa sul conflitto. Durban 2 forse non è stata preparata nel migliore dei modi, forse sarebbe stato meglio non iniziare i lavori con l'attacco immediato e frontale a Israele di un Ahmadinejad. Forse e senza forse. Però chiunque non sia accecato sa bene che Israele in quanto stato ebraico è uno stato etnico-religioso e che razzista è il suo governo - specie adesso con quel tal ministro degli esteri. E sa che fra razzismo e diritti umani il legame è indissolubile.

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Domani il cda decide su Annozero Maggioranza divisa (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

INFORMAZIONE Domani il cda decide su «Annozero» Maggioranza divisa Micaela Bongi Le nomine Rai possono attendere. Il premier Silvio Berlusconi avrà una settimana di tempo in più per farcire il pacchetto confezionato venerdì a casa sua con i «volti nuovi» che ha promesso per reti e testate, perché domani il consiglio d'amministrazione di viale Mazzini dovrà occuparsi di Annozero. Della puntata sul terremoto che ha disturbato il Cavaliere - ma anche Gianfranco Fini - e ha fatto scattare il direttore generale Mauro Masi, pronto trasformare in provvedimenti censori le proteste del governo; e di quella di giovedì scorso, che secondo il dg avrebbe dovuto riparare al danno e tenere lontano dal piccolo schermo Vauro, sospeso da tutte le reti e i tg del servizio pubblico. Ma Santoro non ha «riparato» e Vauro è stato presente con le sue vignette. E così i consiglieri d'amministrazione del Pdl si preparano a sostenere la linea dura. Riprendendo un ritornello risuonato negli ultimi giorni nel Pdl, anche Bruno Vespa dice che «nessuno osa più toccare Santoro perché nessuno vuole farne un martire». Ma Santoro ha chiarito che Vauro è parte integrante di Annozero, assicurando che giovedì, cioè il giorno dopo la riunione del cda che potrebbe far scattare nuovi provvedimenti, sarà in trasmissione. Il dg, comunque - che in consiglio porterà una sua relazione - potrebbe anche evitare di calcare la mano per non esordire con una spaccatura nella maggioranza, visto che la consigliera leghista Giovanna Bianchi Clerici non si è finora unita al coro di chi invoca punizioni, e un flop. Ma i riflettori sono puntati anche sul «presidente di garanzia» Paolo Garimberti: anche lui presenterà una sua relazione, ma finora non ha voluto dire una parola né sulla censura né sulle nomine. A tutto il cda si rivolge l'Ordine dei giornalisti del Lazio, invitando il vertice Rai a «riflettere sulle libertà di espressione, di inchiesta e di critica che, se non ci fossero, negherebbero la validità stessa dell'informazione». Due ex parlamentari europei, Lucio Manisco e Giuseppe Di Lello, e il giornalista Alessandro Cislin hanno invece presentato un esposto al Consiglio d'Europa - Assemblea parlamentare, Corte europea dei diritti dell'uomo, Commissario per i diritti umani - sul «devastante degrado» della libertà di informazione e di critica nel settore televisivo e «il controllo del presidente del consiglio Silvio Berlusconi sul servizio pubblico Rai tv». Alla base dell'esposto, «le misure censorie e disciplinari adottate nei confronti dei due programmi di giornalismo investigativo condotti da Milena Gabanelli e da Michele Santoro» e le notizie sul vertice a palazzo Grazioli per decidere chi guiderà reti e testate della tv pubblica. Si chiede dunque agli organi competenti del Consiglio d'Europa di avviare un'indagine conoscitiva e un «monitoraggio di questi e di prevedibili nuovi attacchi alla libertà di informazione in Italia» e di richiamare il governo e il parlamento italiani a osservare i rilievi sul conflitto di interessi già avanzati. L'Associazione Articolo 21, poi, ha messo al lavoro i suoi giuristi perché chiedano alle autorità di garanzia, in sede internazionale e nazionale, «di aprire una formale istruttoria sulla gravissima situazione». Mentre la Federazione europea dei giornalisti ha chiesto alla Federazione nazionale della stampa italiana chiarimenti sulle nomine Rai. Lo ha riferito ieri il segretario della Fnsi Franco Siddi all'assemblea dell'Usigrai (sindacato dei giornalisti di Saxa Rubra). Al presidente del cda Paolo Garimberti Fnsi e Usigrai chiedono di essere «garante di criteri e motivazioni delle scelte che saranno fatte».

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Si chiama sete l'ultima tortura per la Palestina (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

ISRAELE Cifre della Banca Mondiale: ogni israeliano consuma acqua come quattro palestinesi Si chiama sete l'ultima tortura per la Palestina Michele Giorgio GERUSALEMME La distribuzione dell'acqua tra israeliani e palestinesi, decisa con gli accordi di Oslo II del 1995, deve essere modificata immediatamente se si vuole mettere fine ad una discriminazione che sta per provocare una catastrofe nei Territori occupati. A raccomandarlo con forza è la Banca mondiale che in un rapporto diffuso ieri riferisce che un israeliano ha a disposizione una quantità d'acqua quattro volte superiore a quella di un palestinese. L'accordo siglato dalle due parti ha messo in ginocchio i palestinesi, vittime di intese di 14 anni fa, frutto delle imposizioni della parte più forte, Israele, sulla debole Anp dello scomparso Arafat. E' la prima volta che la Banca mondiale produce un rapporto sulla distribuzione dell'acqua tra israeliani e palestinesi. Lo studio sottolinea che la divisione ineguale delle risorse idriche e la mancanza di informazioni precise sulle riserve di acqua, ha impedito ai palestinesi di poter accedere a nuove fonti. I palestinesi hanno diritto soltanto a un quinto delle riserve dell'acqua potabile. Il resto finisce nel sistema di distribuzione israeliano senza che il comitato congiunto incaricato dagli accordi di Oslo abbia la possibilità di riconsiderare l'assegnazione delle quote. In sostanza Tel Aviv si preoccupa di tenere la quantità d'acqua per la sua popolazione sugli standard stabiliti internazionalmente, senza preoccuparsi delle conseguenze per i palestinesi. E' da considerare anche il fatto che i rari nuovi pozzi che i palestinesi hanno potuto scavare nei 42 anni di occupazione, hanno garantito modeste quantità di acqua a differenza degli israeliani che, grazie alla loro tecnologia, possono arrivare a profondità maggiori. I problemi sono resi più acuti dall'inefficienza delle istituzioni dell'Anp. Israele ha respinto il rapporto sostenendo che il suo apparato industriale, ampiamente superiore a quello palestinese, richiede maggiore quantità d'acqua. Dopo l'occupazione di Cisgiordania e Gaza nel 1967, l'esercito israeliano trasferì il controllo delle risorse idriche palestinesi alla società Mekorot. Da allora i palestinesi hanno un controllo molto limitato delle proprie risorse idriche che, in buona parte, finiscono in Israele. Diversi villaggi della Cisgiordania inoltre non hanno acqua potabile per gran parte dell'anno e gli abitanti, paradossalmente, sono costretti in non pochi casi a comprarla dai coloni israeliani che occupano la loro terra.

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Ahmadinejad spacca la conferenza Onu (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

DIRITTI UMANI Ahmadinejad spacca la conferenza Onu Il presidente iraniano apre «Durban II» con un attacco durissimo contro lo Stato ebraico. Il segretario generale Ban ki-Moon: sbagliato politicizzare l'incontro «Israele razzista», decine di delegati lasciano il summit contro la xenofobia. Amnesty: un errore boicottarlo Michelangelo Cocco Alle parole «regime razzista crudele e repressivo» rivolte dal presidente iraniano all'indirizzo d'Israele, i rappresentanti di 23 paesi dell'Unione europea, sfilando platealmente davanti al podio di Ahmadinejad, hanno abbandonato la sala dove si stava svolgendo la prima giornata dell'incontro e per la Conferenza delle Nazioni Unite contro razzismo e xenofobia è stato un colpo durissimo. Un vero e proprio uno-due dopo il boicottaggio, formalizzato nelle ultime ore, da otto governi occidentali, tra cui quello italiano e statunitense, che hanno rinunciato a prendere parte al consesso apertosi ieri a Ginevra. Amnesty international ha condannato la decisione di Italia, Stati Uniti, Israele, Australia, Germania, Canada, Olanda e Polonia di non partecipare alla Conferenza. «Dopo la Seconda guerra mondiale (gli israeliani) sono ricorsi alle aggressioni militari per rendere senza tetto un'intera nazione (i palestinesi), grazie al pretesto della sofferenza degli ebrei - ha attaccato il presidente della Repubblica islamica -. E hanno spedito migranti dall'Europa, dagli Stati Uniti e altre parti del mondo per fondare un governo completamente razzista nella Palestina occupata». «E infatti - ha continuato Ahmadinejad - come compensazione per le atroci conseguenze del razzismo in Europa, hanno appoggiato l'ascesa al potere del regime razzista più crudele e repressivo in Palestina». Usciti per protesta molti diplomatici, tanti altri sono rimasti ad applaudire il leader sciita che tra poche settimane a Tehran cercherà di battere i riformisti ed essere rieletto. Durissime le proteste di Francia e Gran Bretagna. «Vergognoso» secondo Washington il discorso di Ahmadinejad. «Questo discorso è stato totalmente inappropriato in una conferenza che mira a promuovere la diversità e la tolleranza» ha fatto sapere Navi Pillay, l'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani che ha convocato l'incontro. Tel Aviv ha richiamato il suo ambasciatore in Svizzera e ha anche protestato per il faccia a faccia che il capo della confederazione elvetica Hans-Rudolf Merz ha concesso l'altro ieri al suo omologo iraniano. La condanna più dura al discorso di Ahmadinejad è arrivata da Ban Ki-moon, che nelle scorse settimane aveva fatto appello a non boicottare l'appuntamento. «Deploro l'uso di questo palco da parte del presidente iraniano per accusare, dividere e anche incitare - ha dichiarato il Segretario generale delle Nazioni Unite -. Tutti dobbiamo prendere le distanze da un messaggio simile, sia dalla sua forma sia dalla sua sostanza». Per Israele e le comunità ebraiche della diaspora ieri ricorreva il Giorno della memoria, quello in cui si ricordano i sei milioni di ebrei che - oltre a centinaia di migliaia di comunisti, zingari, omosessuali e disabili - furono sterminati dal regime nazista di Hitler. «Sei milioni di appartenenti al nostro popolo furono massacrati durante l'olocausto. Nessuno ha imparato la lezione, sfortunatamente», ha tuonato Benjamin Netanyahu. «Mentre li commemoriamo, una conferenza che dovrebbe essere contro il razzismo si svolgerà in svizzera. L'ospite d'onore è un razzista, un negazionista dell'Olocausto che non fa segreto della sua intenzione di spazzare via Israele dalla faccia della terra» ha dichiarato il premier israeliano. Il suo ufficio ha informato che il premier e il ministro degli esteri Avigdor Lieberman hanno deciso di richiamare l'ambasciatore Ilan Elgar da Berne «per consultazioni e in protesta contro la Conferenza a Ginevra». La bozza di documento preparata non prevede alcun riferimento specifico a Israele o al Medio Oriente, ma «riafferma» il testo approvato nel 2001 alla Conferenza di Durban, che affronta la questione in sei paragrafi. Nonostante i massacri di Gaza (1.417 palestinesi uccisi durante la recente operazione «Piombo fuso»), il perdurare dell'embargo contro la Striscia governata da Hamas e la colonizzazione senza sosta della Cisgiordania, la campagna di pubbliche relazioni iniziata nei mesi precedenti «Piombo fuso» e appoggiata dai principali gruppi di pressione (soprattutto quelli Usa) filo-israeliani ha avuto successo nel delegittimare Durban II come «un tribunale anti-israeliano». Fino alla conclusione della Conferenza, sabato prossimo, attivisti pro-Israele distribuiranno volantini sulle violazioni dei diritti dell'uomo in Iran, «con particolare enfasi sulle esecuzioni pubbliche e la violenza contro le donne» riferiva ieri Ha'aretz. In questo come altri casi (emblematica l'azione anti-boicottaggio del «britannico» Ron Prosor) la campagna sarà supervisionata da un diplomatico di Tel Aviv, Ronnie Lashno -Yaar. Il quotidiano israeliano ha raccontato che a Ginevra Tel Aviv ha approntato una sala stampa attrezzata per rispondere in tempo reale alle dichiarazioni anti-israeliane e spedito nella città svizzera una delegazione speciale di 14 studenti che hanno ricevuto un training presso il ministero degli esteri e il Congresso mondiale ebraico.

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Torturati 266 volte con il waterboarding (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

USA Mentre Obama visita la sede della Cia «Torturati 266 volte con il waterboarding» Matteo Bosco Bortolaso Ieri il presidente Barack Obama ha parlato per la prima volta ai funzionari della Cia proprio mentre emergeva uno dei particolari più raccapriccianti sul recente passato dell'agenzia: sotto George W. Bush, due sospetti di Al Qaeda sono stati sottoposti alla simulazione di annegamento, o waterboarding, per 266 volte. Nell'agosto 2002 Abu Zubaydah, considerato un uomo di bin Laden, sarebbe stato sottoposto al waterboarding per 83 volte. Nel marzo 2003, quella che viene considerata la mente dell'11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed (KSM nei documenti segreti) sarebbe stato torturato 183 volte (sei al giorno). Nel 2007 la versione di un ex agente della Cia, John Kiriakou, non dava il senso dell'orrore: allora si diceva che il sospettato veniva sottoposto a waterboarding «per 30, 35 secondi» ed era pronto a dire qualunque cosa. Le vere cifre dell'orrore sono uscite da un memorandum del ministero di giustizia americano datato 30 maggio 2005, uno dei quattro memo che il presidente Barack Obama ha voluto rendere pubblici. «Trattenerli - aveva detto - servirebbe soltanto a negare fatti che sono stati di pubblico dominio per diverso tempo» e alimenterebbe «assunti sbagliati e provocatorii su ciò che hanno fatto gli Stati Uniti». «La pubblicazione di questi numeri - scriveva ieri il New York Times - entrerà con ogni probabilità nel dibattito sulla moralità e sull'efficacia dei metodi di interrogatorio che il dipartimento di giustizia ha dichiarato legali sotto l'amministrazione Bush, anche se gli Stati Uniti li hanno considerati storicamente come tortura». Il dibattito era già parecchio aspro: alcuni agenti della Cia non volevano la pubblicazione dei memorandum. Ma lo stesso Obama ha assicurato che le spie che hanno fatto ricorso al waterboarding non saranno processate. Forse lo saranno gli autori dei documenti che hanno dato luce verde alla tortura. Ma non ci sarà, almeno per ora, nessuna «commissione per la verità», richiesta da più parti per processare le controverse scelte di Bush nel portare avanti la guerra ad Al Qaeda. Un'indagine, comunque, è stata aperta alla commissione intelligence del Senato, proprio sui metodi di interrogatorio più vicini alla tortura. I numeri pubblicati ieri dalla stampa sarebbero comparsi per la prima volta su alcuni blog - tra questi «Emptywheel» - e alcune versioni del memorandum reso pubblico dopo la richiesta di Obama avrebbero contenuto degli omissis, delle righe nere che coprivano alcuni dettagli, insomma sarebbero stati aggiustati, «redacted», che è anche il titolo di un film che racconta proprio le scelte sbagliate della guerra ad Al Qaeda. Quante volte sono stati torturati i sospetti? «Still classified», ancora segreto, ha detto l'ex direttore della Cia Michael Hayden al Fox News Sunday. Lo stesso Hayden si è lamentato della diffusione dei quattro memo, che secondo lui non dovevano essere resi pubblici perché «mostrano il limite estremo che un americano può raggiungere nell'interrogare i terroristi di Al Qaeda». Secondo Hayden, inoltre, le «tecniche» - l'ex direttore non è stato più specifico - usate su Zubaydah hanno portato all'arresto di un altro sospetto, Ramzi Binalshibh. Ma il New York Times sostiene che il prigioniero avesse già detto tutto in una prigione segreta in Thailandia e che il waterboarding non avrebbe aggiunto nulla. Il quotidiano sottolinea che pure uno dei memo, in una nota a più di pagina, sostiene che l'uso delle «tecniche più dure» non serva. Zubaydah e KSM non sono i soli ad essere stati sottoposti a waterboarding. La Cia ha ammesso che anche Abd al-Rahim al-Nashiri, considerato responsabile dell'attacco alla nave Uss Cole in un porto dello Yemen (17 marinai americani uccisi), è stato interrogato allo stesso modo. Ieri, tra l'altro, il numero due di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri, ha invitato i musulmani a non farsi ingannare dalla mano tesa di Obama. «L'America si è presentata con un nuovo volto col quale sta tentando di ingannarci - ha detto Zawahiri - invoca il cambiamento, ma l'obiettivo è quello di cambiarci facendoci abbandonare la nostra religione e i nostri diritti».

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E l'anti-razzismo? È finito ostaggio dello scontro tra Israele e Iran (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

IL VERTICE Dopo la «battaglia» di ieri a rischio la dichiarazione comune di condanna di razzismo e xenofobia E l'anti-razzismo? È finito ostaggio dello scontro tra Israele e Iran Alberto D'Argenzio BRUXELLES Di razzismo non si parla, almeno non a Ginevra e almeno non per ora. Le parole di Ahmadinejad, l'uscita dalla sala degli ambasciatori europei ed ancor prima il boicottaggio di Usa, Israele, Italia, Olanda, Polonia, Germania, Canada, Nuova Zelanda e Australia, rischiano di liquidare il vertice mondiale sul nascere. Sarà dura per Ban Ki-moon e soprattutto per l'anima di Durban II, l'Alta commissaria dell'Onu per i diritti umani Navi Pillay, salvare il salvabile, che in fondo è una dichiarazione univoca ed universale contro razzismo, xenofobia, islamofobia e antisemitismo. Un testo, o meglio, ancora una bozza di conclusioni, finita ormai ostaggio di due mondi che si fanno la guerra sulla pelle di chi il razzismo, nelle sue diverse declinazioni, lo vive in prima persona. E sono molti. «Sono profondamente deluso - ha detto ieri il Segretario generale delle Nazioni unite puntando il dito sul partito del boicottaggio - rimpiango profondamente che alcuni abbiano scelto di farsi da parte. Spero che non duri a lungo». Tra chi non va a Ginevra e chi ci va per dare battaglia, rimane ben poco sul tavolo e quel poco è un testo che nella sua ultima versione, decisa per consenso venerdì scorso, non menziona direttamente Israele e nemmeno i territori occupati (ma sì include un riferimento all'Olocausto ed alla necessità di non dimenticare quel genocidio). Mancano, insomma, quegli aspetti che avevano portato all'abbandono da parte di Stati uniti ed Israele della Conferenza di Durban del 2001. Il problema è che è comunque presente nel testo un richiamo proprio alle conclusioni della riunione in Sud Africa di otto anni fa, quelle dello scandalo e dell'abbandono. A questo, a un richiamo, si aggrappa il partito del boicottaggio, un partito che spacca l'Unione europea, anche se non in parte uguali. Ieri gli ambasciatori dei 23 paesi della Ue (su 27) che si sono recati a Ginevra hanno levato le tende alle parole di Ahmadinejad, ma solo per il suo intervento: non abbandoneranno la Conferenza. Almeno non per il momento. La Commissione Ue, presente come osservatrice, ha ricordato che il testo pur non essendo «ideale, ma il frutto di un compromesso», rispetta comunque «le linee rosse» fissate dai 27. L'esecutivo comunitario, ha affermato una portavoce, intende comunque «reagire in modo appropriato» a eventuali «dichiarazioni inaccettabili». Parole spese prima dell'intervento di Ahmadinejad. «Il documento finale - ha detto ancora Ban Ki-moon - è molto equilibrato e stabilisce un quadro concreto di azione in una campagna globale alla ricerca della giustizia per le vittime del razzismo nel mondo». Dal testo, oltre a mancare i riferimenti a Israele, è stato eliminato anche l'articolo sulla «diffamazione di religione», un punto reclamato da molti paesi musulmani ma condannato da quelli occidentali per i suoi possibili effetti sulla libertà di espressione. «La migliore replica a questo tipo di eventi - ha dichiarato ieri Pillay riferendosi a presenti ed assenti - è di rispondere e correggere, non di ritirarsi e boicottare la Conferenza». Anche perché, fa notare l'Alta commissaria per i diritti umani dell'Onu, chi non è d'accordo può sempre chiarire la propria posizione con una nota a pie di pagina, una pratica di routine nei negoziati internazionali. Evidentemente quando ci sono di mezzo Ahmadinejad e Israele la routine salta.

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Obama alla Cia: vi proteggerò (sezione: Diritti umani)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-04-21 - pag: 10 autore: Stati Uniti. La visita al quartier generale di Langley dopo le polemiche per i memorandum sulle violenze ai terroristi Obama alla Cia: vi proteggerò Il presidente si impegna a difendere l'identità e la sicurezza degli agenti Mario Platero NEW YORK. Dal nostro corrispondente di grande influenza nel partito che fu capo di gabinetto di Bill Clinton che il generale Hayden il responsabile della Cia sotto Bush avevano sconsigliato la diffusione dei memorandum Barack Obama ha difeso ieri la sua decisione di pubblicare i controversi memo sulle torture della Cia a Langley, in Virginia, ai quartieri generali della Central Intelligence Agency in un discorso davanti agli analisti dell'agenzia per il controspionaggio e agli agenti segreti: «Le circostanze attorno ai memorandum sulle tecniche della Cia erano in gran parte già note, sono informazioni che riguardano il passato e ho combattuto per tenere segreta l'indentità degli agenti, un ordine questo che resterà rigoroso- ha detto Obama - la verità in tutto questo è che ho messo fine alle tecniche di detenzione e di tortura negli interrogatori perché non ne abbiamo bisogno, perché la nostra Nazione è più forte e sicura quando schieriamo il nostro potere, ma anche il potere dei nostri valori». Obama ha raccolto applausi calorosi dagli agenti e dagli analisti della Cia che, occorre ricordarlo, in più occasioni si erano trovati in disaccordo con le politiche dell'amministrazione Bush. è chiaro tuttavia che Obama sta soffrendo molto per questa vicenda e continua a trovarsi preso fra due fuochi. Gli attacchi di destra, virulenti e aggressivi lo accusano di aver «umiliato agenti e una delle organizzazioni che meglio difende il Paese» e di aver messo a rischio la sicurezza degli Usa. Quelli di sinistra lo accusano di non essere andato fino in fondo perseguendo legalmente non solo gli agenti che hanno materialmente eseguito le torture, ma i funzionari del dipartimento della Giustizia e della Casa Bianca di Bush che avevano creato l'entroterra giuridico per autorizzarle. In effetti sia Leon Panetta, l'attuale capo della Cia, un democratico che risalgono al 2005 e che descrivono nel dettaglio le tecniche di tortura e quelle di detenzione dei sospetti di attività terroristica. Ieri Hayden ha criticato Obama per essere andato avanti con la sua decisione ed ha affermato che le tecniche di interrogatorio della Cia sono state «preziose per scongiurare un altro attacco contro gli Stati Uniti. Hanno funzionato e ci hanno dato molte rivelazioni importanti». Ma l'autore Ron Suskid, uno dei maggiori esperti americani in materia, ieri ha negato che le torture, il cosiddetto "waterboarding" ad esempio, siano state efficaci: «Non mi risulta che quel che sapevamo lo abbiamo ottenuto grazie alla tortura. Anzi se prendiamo il caso di Abu Zubaydah, ha rivelato tutto quasi subito e poi è stato torturato innumerevoli volte ma non aveva più niente da dire». Obama ha confermato che non autorizzerà le commissioni di inchiesta criminali contro chi ha "legalizzato" le torture. «è il momento di guardare avanti - ha detto ancora - non di pensare alle vendette o alle punizioni per il passato. Ho eliminato queste forme di tortura, ora dobbiamo voltare pagina, voglio ringraziare tutti voi che lavorate alla Cia perché difendete la libertà e il vostro lavoro sarà sempre più importante e prezioso per la sicurezza della Nazione». Ma le rivelazioni ormai non si fermano. Ieri il New York Times ha dato notizia che su due prigionieri - Kalhed Shaikh Mohammed e Abu Zubaydah, ideatori degli attentati dell'11 settembre- la tecnica del waterboarding che simula l'annegamento, è stata applicata ben 266 volte (183 al primo, 83 al secondo) in meno di due mesi. Le tecniche erano tanto dure, ha scritto il New York Times, che «gli agenti temevano di aver passato i limiti legali e che i prigionieri avrebbero potuto restare uccisi». © RIPRODUZIONE RISERVATA NUOVI DETTAGLI SHOCK Gli 007 dell'agenzia «lavorano per la libertà» Per i due ideatori dell'11 settembre in pochi mesi 266 annegamenti simulati

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Il detenuto Britel, torturato e ignorato (sezione: Diritti umani)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-04-21 - pag: 10 autore: Prigionieri di serieB Il detenuto Britel, torturato e ignorato Claudio Gatti NEW YORK. Dal nostro inviato Torture e ingiustizie sulle prime pagine dei giornali. Negli ultimi giorni,in Italia come nel resto del mondo, si è letto di Roxana Saberi, la giornalista persianoamericana condannata dal governo iraniano a 8 anni di reclusione dopo un processo a porte chiuse alla cui legittimità hanno creduto pochi. E si è scritto ancora di più di Abu Zubaydah,un saudita legato ad al-Qaida sottoposto per un centinaio di volte a varie forme di tortura durante gli interrogatori condotti dalla Cia. Insomma ingiustizie e torture fanno notizia. Ma evidentemente solo in modo selettivo. Perché c'è un cittadino italiano che da ben sette anni denuncia di essere vittima di abnormi ingiustizie e di torture sia psicologiche che fisiche. Eppure di lui (quasi) nessuno parla. Ci riferiamo ad Abou Elkassim Britel, un bergamasco con doppia cittadinanza, quella marocchina dalla nascita e quella italiana acquisita dopo 10 anni di soggior-no legale nel nostro Paese, che dopo essere stato arrestato in Pakistan, ingiustamente accusato di possedere un passaporto italiano falso,è stato a sua detta prima torturato a Lahore e poi trasportato in Marocco dagli americani in una delle cosiddette extraordinary rendition. In Marocco è stato nuovamente sottoposto a torture in un carcere segreto dei servizi locali e poi rinchiuso in prigione. Da allora è sempre rimasto in carcere in Marocco. Come Saberi anche Britel è stato condannato per reati di opinione dopo un processo di dubbia solidità giuridica. E come Zubaydah è stato sottoposto a torture. La differenza è che Britel non risulta aver mai fatto parte della rete di al-Qaida.Anzi,il 29 settembre 2006 il Gip del Tribunale di Brescia ha disposto l'archiviazione del procedimento che era stato aperto dalla Digos contro di lui. IL PERSONAGGIO Del dramma di Britel si sono occupati il Parlamento europeo e organizzazioni umanitarie di tutto il mondo, incluso l'americana Aclu,quella che la settimana scorsa ha spinto il presidente Obama a rendere pubblico il contenuto dei quattro memorandum del Dipartimento della Giustizia sulla tortura. Ma in Italia, pochi hanno risposto ai suoi ripetuti appelli. «Sono Abou Elkassim Britel, cittadino italiano, mi trovo ancora rinchiuso in carcere in Marocco... Sono stato abbandonato nella più completa indifferenza nonostante le molteplici prove delle ingiustizie che ho subito» ha scritto in una lettera inviata nel gennaio 2007 al presidente della Repubblica e ai ministri degli Esteri e della Giustizia. In altri memoriali che Britel è riuscito a far uscire dal Marocco, e di cui Il Sole-24 Ore ha copia, si parla di torture di ogni genere che hanno causato capogiri permanenti, diarrea cronica e la compromissione di un occhio, un orecchio ed entrambe le ginocchia. I segni di quelle torture sono stati visti da sua moglie, Anna Kadhija Pighizzini Britel, che lo ha incontrato in Marocco notando lividi e cicatrici ovunque nel corpo. Il suo avvocato, Francesca Longhi, al Parlamento europeo ha invece parlato di «interrogatori svolti mentre lui era sdraiato sulla rete in basso di un letto a castello, con i polsi amma-nettati a un montante della rete superiore e i piedi legati alla rete inferiore» e dei suoi «disperati tentativi di proteggersi dai colpi utilizzando le mani, ragione per cui non ha più la sensibilità negli arti superiori». © RIPRODUZIONE RISERVATA IL CASO L'uomo di cittadinanza italiana, prelevato con una extraordinary rendition, è in carcere in Marocco da oltre sette anni In galera. Abou Elkassim Britel ( nella foto), 42 anni,con doppia cittadinanza, italianae marocchina, è in carcere in Marocco per reati di opinione. Ha denunciato di essere stato più volte picchiato e torturato

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Il tiranno oscura il summit (sezione: Diritti umani)

( da "Unita, L'" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il tiranno oscura il summit SPACCATURA ALL'ONU Peccato che di razzismo, alla Conferenza di Ginevra, alla fine non si parlerà affatto. Ce ne sarebbe bisogno, dal momento che disuguaglianze e intolleranze nel mondo crescono. Eppure la nostra attenzione è interamente catturata, mentre si aprono i lavori, dalle sentenze minacciose di Ahmadinejad, terribili e ridicole al tempo stesso. Il tiranno che ha appena incriminato di spionaggio una giornalista, senza contare tutti gli oppositori gettati in galera, torturati, ammazzati. Proprio lui rimbalza sulle agenzie giornalistiche di tutto il mondo, nel giorno in cui ci si dovrebbe interrogare sui progressi (eventuali) fatti nella lotta al razzismo e alla xenofobia, e nel rispetto dei diritti umani. Se i media avranno spazio residuo per parlare di quanto accade a Ginevra, si interrogheranno sull'opportunità di questo summit, o più probabilmente sulla scelta di partecipare operata dalla Ue, dall'Inghilterra, dalla Francia, da Benedetto XVI. Per il razzismo globale non rimarrà neanche un trafiletto: non una parola sulle nuove forme di schiavitù, sulla tratta degli esseri umani, su società in cui censo e colore della pelle orientano l'appartenenza ad una casta, sulla discriminazione delle donne, sull'infanzia negata. Niente. Le Nazioni Unite hanno tutto l'interesse, giustificato, a rendere la partecipazione ai vertici la più ampia possibile. Per questo rincorrono il compromesso fino all'ultimo, nella speranza di tenere dentro tutti. Ma senza una riforma strutturale non possiamo attenderci nulla di buono. Non è semplice, perché i principi e i diritti democratici non sono in maggioranza tra gli Stati membri dell'Onu. Se però non riusciamo ad evitare il danno, almeno proviamo a liberarci della beffa. A che serve una Conferenza come questa, se non ad aprire la campagna elettorale del presidente iraniano?

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Annegamento, la tortura usata dalla Cia per 266 volte su due presunti terroristi (sezione: Diritti umani)

( da "Unita, L'" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Annegamento, la tortura usata dalla Cia per 266 volte su due presunti terroristi RACHELE GONNELLI Acqua versata a forza in bocca e nel naso fino a provocare una sensazione di annegamento. La tecnica del waterboarding, una tortura che arriva a simulare e a sfiorare la morte del prigioniero, è stata applicata per ben 266 volte su due soli detenuti speciali in mano agli uomini della Cia. I due erano ritenuti all'epoca tra i massimi dirigenti operativi di Al Qaeda. Si tratta di Abu Zubaydah e di Khalid Shaikh Mohamed, considerati le menti degli attentati alle Torri Gemelle. In base ad un rapporto redatto per il Dipartimento della Giustizia americano datato 2005 e pubblicato ieri dal New York Times, Zubaydah nella prigione segreta in Thailandia nell'agosto del 2002 fu sottoposto a 83 annegamenti simulati. Shaikh Mohammed addirittura a 183. MEDICI TORTURATORI Negli ultimi anni di Bush presidente, quando si scoprì l'uso di waterboarding su prigionieri sospettati di terrorismo internazionale, i responsabili provarono inizialmente a derubricare questa tecnica dai metodi di tortura, sostenendo che si trattava solo interrogatori un po' più duri degli altri ma utili a strappare informazioni necessarie alla difesa nazionale a imputati particolarmente ostinati. In realtà già nel 2007 in una intervista televisiva alla Abc News un ex ufficiale della Cia, John Kiriakou, proprio citando il caso dell'interrogatorio di Zubaydah, disse che il presunto capo di Al Qaeda aveva resistito appena 35 secondi prima di confessare tutto, nomi e particolari, tutto ciò che sapeva e - chissà - forse anche di più. Ma evidentemente non bastò. La simulazione dell'annegamento fu ripetuta infatti altre decine e decine di volte. Altre ottantadue, secondo quanto risulta nel rapporto Cia. Il trattamento duro non fornì altre informazioni ma andò lo stesso avanti. Zubaydah per mesi era stato tenuto al freddo legato a una sedia, nudo, in una musica assordante, privato del sonno, privato del cibo. Non bastava. Furono chiamati medici e psicologi per escogitare nuove efferatezze. Uno psicologo - il nome è tenuto segreto dalla Cia - scoprì la sua fobia per gli insetti e propose di rinchiuderlo dentro uno scatolone che ne fosse pieno. Poi si passò al waterboarding e fu addirittura chiamato un esperto supervisore dal quartier generale dell'intelligence. Alla fine, molto alla fine, non ottenendo altri risultati, le conclusioni del rapporto giudicarono «non necessarie» altre sedute di waterboarding. Michael Hayden, direttore della Cia negli ultimi due mesi dell'amministrazione Bush, non ha voluto commentare le nuove rivelazioni. Il presidente Obama ha decretato la fine di questi metodi. Ma recentemente ha anche garantito l'immunità e la segretezza agli uomini dell'Agenzia che li hanno praticati, mettendo anche un altolà a eventuali inchieste di giudici stranieri come quella che era stata avviata dal procuratore spagnolo Baltazar Garzon sui casi di cinque detenuti di Guantanamo con passaporto spagnolo. Ieri Obama è andato in visita nel quartier generale della Cia a Langley. Evidentemente i torturatori dell'era Bush chiedevano ulteriori rassicurazioni sulla loro non perseguibilità. Annegamento simulato, waterboarding: gli agenti Cia praticarono questa tortura per 266 volte su due prigionieri sospettati di essere le menti degli attentati dell'11 settembre. Ora sarebbe illegale ma non sarà perseguito.

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L'orrore e la rabbia di Wiesel (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 21/04/2009 - pag: 3 L'altro incontro Di fronte al palazzo dell'Onu, il premio Nobel interviene insieme con Lévy e Cotler L'orrore e la rabbia di Wiesel «Auschwitz, lezione ignorata» Choc alla cerimonia in ricordo della Shoah: «Una vergogna» Al tramonto, risuona la preghiera per l'inizio di Yom HaShoah: il leader iraniano ha parlato poche ore prima DAL NOSTRO INVIATO GINEVRA La fossa di Bogdanovka contiene oltre 40mila cadaveri. I corpi sono stati ritrovati, i proiettili identificati e archiviati. Balistica dell'Olocausto. Padre Patrick Desbois ha scoperto altre 850 voragini dell'orrore, tra la Bielorussia e l'Ucraina. Questo prete di cinquantaquattro anni tiene i rapporti con la comunità ebraica per i vescovi di Francia e con l'associazione Yahad-In Unum (Insieme) viaggia nell'Est per scovare le fosse che hanno accumunato nella morte ebrei e zingari. «Perché lo faccio?», chiede dal palco. «Sono stati uccisi come degli animali e seppelliti come delle bestie. Voglio ridare loro la dignità e la possibilità di ricevere un kaddish». La preghiera per il lutto risuona anche qui, quando il tramonto segna l'inizio di Yom HaShoah, il giorno dell'Olocausto. Le parole si intrecciano con la musica klezmer, i discorsi con la luce della fiamma della memoria. Senza applausi. Come in Israele dove i canali televisivi si spengono per ventiquattr'ore e si accendono le candele. Mahmoud Ahmadinejad, presidente iraniano, ha parlato nel palazzo di fronte. Le bandiere sventolano sulla piazza delle Nazioni. Ognuna per un Paese, ognuna per quei «cittadini del mondo», che vengono evocati da Irwin Cotler, ex ministro della Giustizia canadese. «È nostra responsabilità dare voce a chi non ce l'ha, potere a chi non lo detiene: donne vittime delle violenze o un bambino brutalizzato, i più vulnerabili dei vulnerabili». Eppure dice l'avvocato che ha difeso Nelson Mandela e Andrei Sakharov in questi giorni «stiamo assistendo ancora una volta all'incitamento, decretato da uno Stato, all'odio e al genocidio. L'epicentro è l'Iran di Ahmadinejad: nega l'Olocausto e ne invoca uno in Medio Oriente. E' anche un assalto alla carta dell'Onu». Elie Wiesel, premio Nobel per la pace, sopravvissuto all'Olocausto, definisce Ahmadinejad «primo negazionista al mondo». «È una vergogna per le Nazioni Unite, per la diplomazia, per l'umanità intera. L'Onu ha commesso un errore, gli ha permesso di dettare la linea a tutta la conferenza con il discorso di apertura». Dal podio, Wiesel ricorda perché continuare a ricordare: «Se avessimo imparato la lezione, non ci sarebbero stati i campi della Cambogia, il Ruanda o il Darfur. Neppure Auschwitz è riuscito a guarire il mondo dal male antico dell'antisemitismo ». La fatica di ricordare. «Avrei tutte le ragioni di dire: ho pagato quello che ho pagato. Adesso voglio mangiare il pane, bere il vino, amare le belle donne. Lasciatemi tranquillo. Ma bisogna rimanere attaccati a questa memoria». La cerimonia si chiude con le parole di Bernard-Henri Lévy. L'intellettuale francese invita a non cadere nella trappola di un concetto «vuoto di sofferenza»: «Dove si possono infilare un incidente, l'Olocausto, il genocidio dei Tutsi, un omicidio dall'altra parte della strada. Ogni violazione dei diritti umani dev'essere analizzata e sviscerata da sola». Davide Frattini

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4 500 (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 21/04/2009 - pag: 3 delegati di Ong, gruppi antirazzismo e associazioni per i diritti umani si sono registrati a Durban II. Alla prima conferenza in Sudafrica nel 2001 erano oltre 10 mila 4 500

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(sezione: Diritti umani)

( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 21/04/2009 - pag: 9 Il fratello della vittima «Vogliamo funerali cristiani» «Esceth era mia sorella. Lasciatemela seppellire» DAL NOSTRO INVIATO CALTANISSETTA Nello sfondo di un cielo opaco, stipati a poppa della corvetta militare, rannicchiati tutti vicini, fasciati da asciugamani avvolti come turbanti antigelo sono comparsi a metà mattinata sul mare di Porto Empedocle gli ultimi 95 «fantasmi» del Pinar. Stremati, incerti, spaventati, ma infine felici di toccare terra. Tutti, tranne uno, un ragazzo di vent'anni, un nigeriano immobile, imbambolato, zoppicante, gli occhi di carbone spenti, la pelle scura come quella di Esceth, la sorella di diciotto anni affogata cinque giorni fa nel trasbordo dal barcone in avaria alla scaletta del mercantile, nel salto verso una salvezza a lei negata. Nel lieto fine di questo tira e molla internazionale, di una storiaccia maturata nel Mediterraneo spesso trasformato in tomba di migranti perduti, campeggia la tristezza infinita di Ekos, come tutti lo chiamano leggendo il cognome sugli elenchi della polizia, prima del trasferimento diretto al Centro accoglienza di Caltanissetta dove con altri immigrati racconta le concitate fasi di una traversata culminata nel terrore e nel dolore. «Abbiamo cercato di salvare Esceth, ma le onde la portavano via...», balbetta questo sfortunato clandestino che ha pianto la sorella per quattro giorni sul Pinar, il corpo avvolto in un sacco per proteggerla da gabbiani trasformati in avvoltoi. E lui, approdando in Sicilia, cerca conforto negli occhi di una ragazza che ha la stessa età della sorella, Antonella Basilone, una sentinella dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati inviata qui da Laura Boldrini. Perché scattano le attenzioni internazionali. Bisogna capire da dove e da cosa fuggono questi disperati. Ma Ekos pensa solo alla sorella che i genitori gli avevano raccomandato di proteggere, muto quando gli chiedono di confermare se davvero fosse incinta: «Adesso dovete farmi parlare con la mia famiglia e farmi vedere Esceth per seppellirla con rito cristiano perché noi siamo cristiani...». È l'appello che rimbalza fra le quattro mura grezze di un magazzino del cimitero di Lampedusa dove la ragazza è stata trasportata con una motovedetta separandola dall'unica persona che avrebbe avuto diritto di accompagnarla. E lì, fino a ieri sera, non sapevano se calare la bara nell'area musulmana, accanto a tante, troppe tombe segnate da numeri perché si ignorano perfino i nomi. È proprio il racconto di Ekos ad aver convinto il procuratore di Agrigento Renato Di Natale a evitare l'ultima afflizione. E ha cassato la richiesta dell'autopsia: «Dall'esame esterno è chiara la causa della morte, l'annegamento, e alcune ricostruzioni incrociate hanno eliminato ogni dubbio». Sì, ci sono le parole di Mohameed, un nigeriano di ventiquattro anni che, dopo aver parlato dei quattro giorni di mare conclusi «con l'avaria del motore, la deriva e la paura di essere travolti da onde alte tre metri», ha ripetuto quanto riferito pure da Ekos: «Nel salto verso il mercantile che ci salvava, Esceth è finita in acqua. Ci siamo spinti per afferrarla, ma le mani sfuggivano, l'acqua sembrava olio...». E Ibet, altro nigeriano diciottenne, stesso villaggio, amico di famiglia, certo che attendesse un bimbo: «Ci lanciavano delle funi, noi ci aggrappavamo, ma Esceth non ha avuto la forza di resistere. L'abbiamo capito che rischiava di morire. E tre di noi si sono lanciati in acqua, rischiando pure loro di annegare. Ma quando l'hanno afferrata di nuovo era troppo tardi...». Sono spezzoni di ricostruzioni, tessere di un mosaico che oggi sarà ricomposto anche dai volontari dell'Oim, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni. Tutti interessati a proteggere diritti umani dimenticati per quei quattro giorni passati da Ekos guardando un sacco di plastica bianca. Il racconto di Ekos «Abbiamo cercato di salvarla, ma le onde la portavano via... Adesso dovete farmi parlare con la mia famiglia e farmela vedere» L'amico Ibet «Ci lanciavano delle funi, noi ci aggrappavamo, ma Esceth non ha avuto la forza di resistere Tre di noi si sono lanciati in acqua, ma era troppo tardi» In barella Un momento delle operazioni di sbarco dei feriti (Lannino/Ans) Felice Cavallaro

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Kabul e il silenzio delle femministe (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 21/04/2009 - pag: 16 Diritti delle donne Proteste in Afghanistan e in Pakistan, piazze vuote in Italia e negli altri Paesi occidentali Kabul e il silenzio delle femministe «Ormai siamo escluse dal dibattito» Camusso: «Non si parla per paura di criticare le religioni» Menapace: «Vengono interpellati solo i politici, non più le donne». Sarlo: «Ma c'è ancora attività, importanti le Ong» «Commentavo con un'amica le ultime vicende in Afghanistan. La consigliera assassinata, le sassaiole contro le manifestazioni di Kabul contro la legge che garantisce il diritto di stupro nel matrimonio sciita osserva la femminista Susanna Camusso, segretaria confederale della Cgil . Tra le tante cose che ci sono state raccontate quando siamo intervenuti nel Paese è che le donne sarebbero state liberate dal burqa». Le attiviste afghane hanno marciato per i diritti delle donne a Kabul. Le attiviste pachistane, sia laiche sia dei partiti islamici, hanno protestato a Lahore e Karachi dopo la diffusione di video di ragazze frustate o uccise nelle zone tribali per «relazioni illecite ». In Italia e nei Paesi occidentali si commenta e si riflette su queste notizie, c'è indignazione sul web, ma le femministe non sono scese in strada a mani-- festare, non hanno presidiato le ambasciate. Nè si è registrata una reazione forte e continua delle donne di sinistra, destra o centro. Viviamo una «stagione di silenzio», dice Camusso. «Il movimento femminista è come un movimento carsico: compare e scompare». La fase di scomparsa sembra durare da un po'. Camusso denunciò nel 2007 il silenzio delle femministe su Hina, la pachistana uccisa a Brescia dal padre perché voleva vivere «all'occidentale». Non parlarono perché «l'attacco all'immigrato non è politically correct », disse. «La penso come allora dice oggi . Anzi, se possibile, è ancora peggio: si è continuato a tacere anche delle violenze sulle donne italiane. Il tema della violenza sessuale è scomparso, rinchiuso dentro le mura domestiche. Lo si usa solo per gridare scandalo se a commettere lo stupro è un extracomunitario ». Se non ci si solleva per le violenze domestiche contro le italiane, figuriamoci nei casi delle donne all'estero. Lidia Menapace, ex senatrice di Rifondazione comunista, è d'accordo ma aggiunge che se le femministe non parlano è anche per via di «un'esclusione soft»: «E' difficile prendere la parola. Sulla sharia viene interpellato il politico, non le donne, che non sono più soggetto politico». Secondo Assunta Sarlo, che nel 2006 organizzò a Milano una spettacolare manifestazione per l'aborto, «pensare che l'unica modalità di espressione delle donne rispetto alle questioni dei diritti siano solo le manifestazioni è riduttivo. Ci sono molte modalità: ragionare, riunirsi. Ci sono siti, giornali, riviste in cui il dibattito continua sul multiculturalismo. E le organizzazioni non governative di donne, ce ne sono tantissime nei Paesi in via di sviluppo, pesano forse più delle manifestazioni ». Camusso però crede che il problema sia più profondo: «Chi teorizza il multiculturalismo tende ad escludersi dal dibattito. C'è una forte fatica a dire una cosa intuitiva: che il metro di misura della democrazia in Afghanistan, in Iran, in Somalia è che i diritti delle persone non siano violati. C'è un'ulteriore difficoltà: il silenzio nei confronti delle religioni. Io penso che esercitare la critica rispetto a una religione, nella logica della sharia che presuppone la sottomissione, non significa non essere rispettosi, ma saper individuare aspetti di inciviltà». Un'altra questione è se il movimento femminista nei Paesi musulmani apprezzi l'appoggio occidentale. «A volte se donne straniere appoggiano le femministe locali, queste ultime possono essere etichettate come anti-Islam da chi usa la religione a scopi politici», dice la scrittrice egiziana Saher El Mougy. «In ogni caso, possono fornirci un appoggio morale che però non cambia nulla sul terreno. La lotta più difficile è cambiare la cultura: ciò che le donne fanno contro se stesse e le figlie». L'avvocato Mehrangiz Kar, una delle più note femministe iraniane, crede invece che, benché non vi siano state grandi proteste di piazza, «le donne in Europa e in America siano molto sensibili al problema delle afghane. Detto ciò, benché il movimento femminista sia unico e lotti ovunque per l'uguaglianza, va capito che le priorità sono diverse. Oggi le femministe in molti Paesi musulmani stanno spesso attente a dire che Islam e diritti umani sono conciliabili, per ottenere legittimità e sperando di rafforzare i moderati. Chi le appoggia davvero all'estero fa lo stesso. E' una strategia. Funzionerà? Non so. Forse solo nel breve periodo ». Sciite Donne sciite manifestano a Kabul lo scorso 15 aprile contro la legge che, tra l'altro, legalizza lo stupro tra le mura domestiche Afp/Shah Marai Viviana Mazza

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Cia in rivolta, arriva Obama (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

GLI AGENTI PROTESTANO PER LA PUBBLICAZIONE DEI MEMO SULLE TECNICHE DI TORTURA Il generale Hayden «Si è messa in difficoltà un'Agenzia in guerra per difendere i cittadini» Chi negli interrogatori adoperò i sistemi ora vietati teme un'indagine federale Cia in rivolta, arriva Obama [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEWYORK La pubblicazione dei memo della Cia causa scompiglio fra gli 007 e Barack Obama arriva nel quartier generale di Langley per scongiurare una mezza rivolta nella «war room» che coordina le operazioni contro Al Qaeda, assicurando gli agenti: «Proteggerò le vostre identità e attività». La scelta di rendere note le tecniche di interrogatorio dei detenuti di Al Qaeda era stata a lungo dibattuta nell'amministrazione sin dall'indomani dell'insediamento del nuovo presidente e quando la Casa Bianca ha dato luce verde sono stati numerosi gli agenti che hanno fatto conoscere il proprio disappunto al nuovo capo della Cia, Leon Panetta. Poiché gli 007 per definizione non rilasciano dichiarazioni per conoscere i contenuti delle loro rimostranze bisogna leggere il ben informato blog di Jim Geraghty sul sito conservatore National Review Online, dove le riassume in due punti. Primo: la possibilità che un qualsiasi procuratore distrettuale inizi un'indagine contro gli agenti che applicarono le tecniche di interrogatorio equiparate alla tortura dall'amministrazione Obama. Secondo: l'eventualità che il Congresso possa varare una legge per istituire una «Commissione verità», sul modello di quella che operò in Sud Africa dopo l'apartheid, destinata a far trapelare le identità degli agenti in questione. Le assicurazioni finora date da Obama a Panetta sulla decisione di «non perseguire i responsabili perché quando eseguirono queste tecniche erano nella legalità» non hanno rassicurato gli agenti che si sentono ora in condizione di rischio fino al punto da far sapere proprio a Panetta di auspicare un impegno di Obama a garantirgli il perdono qualora la giustizia iniziasse a perseguirli per «atti di tortura». Il fatto che la commissione Intelligence del Senato abbia iniziato un'inchiesta a porte chiuse sull'operato della Cia negli anni di George W. Bush ha rafforzato tali preoccupazioni. A dar voce alla rabbia che cova nei corridoi di Langley è Michael Hayden, il generale che ha guidato la Cia negli ultimi anni dell'amministrazione Bush, secondo il quale «le rivelazioni fatte sono solo le prime, ve ne saranno altro, vi saranno commissioni di inchiesta e vi saranno indagini» con il risultato di «mettere in difficoltà un'Agenzia che si trova a condurre una guerra, in prima linea, per difendere la sicurezza dei cittadini americani». Il generale Hayden ha guidato in prima personale tali operazioni «di guerra» fino a pochi mesi fa e affida ai teleschermi di Fox un'aperta condanna per le scelte di Obama: «Credo che far conoscere ai nostri nemici quali sono i nostri limiti e rinunciare alle tecniche di interrogatorio rende assai più difficile agli agenti della Cia difendere la nazione, in molteplici circostanze». Prima di Hayden era stato l'ex vicepresidente Dick Cheney, due settimane fa, a sfruttare un'intervista alla Cnn per difendere la «legalità» dell'interrogatorio con il «waterboarding» - l'annegamento simulato - accusando Obama di «aver reso meno sicura l'America» rinunciando ad applicarlo. E ora Hayden ribadisce la tesi di Cheney sostenendo fra l'altro che «queste tecniche hanno davvero funzionato rendendo l'America più sicura e scongiurando nuovi attacchi terroristici». E' per rispondere a tali obiezioni e proteste, come per disinnescare lo scontento fra gli agenti della sezione «operazioni clandestine», che Obama sceglie di arrivare a Langley, in Virginia, incontra una cinquantina di agenti speciali a porte chiuse e poi parla ai dipendenti per rassicurarli. «Mi rendo conto che gli ultimi giorni sono stati difficili» dice, assicurando che «proteggerò la vostra identità e le vostre attività con la stessa determinazione con cui voi proteggete l'America». E poi ribadisce i motivi della declassificazione dei memo: «C'è chi può pensare che rispettare la Costituzione significa combattere contro Al Qaeda con una mano legata dietro la schiena, oppure essere ingenui, ma ciò che rende speciale l'America è la forza dei nostri valori e l'importanza di difenderli anche quando è più difficile farlo, è per questo che prevarremo contro i terroristi».

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Presunto terrorista torturato 183 volte (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere delle Alpi" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Presunto terrorista torturato 183 volte La Cia sempre più in difficoltà dopo le rivelazioni della Casa Bianca DAL CORRISPONDENTE Andrea Visconti NEW YORK. Un presunto terrorista detenuto dagli Usa fu sottoposto alle torture di waterboarding per ben 183 volte. Nel marzo 2003 Khalid Sheikh Mohammed fu messo sotto enorme pressione dagli agenti della Cia che, per farlo parlare, fecero ricorso a questa pratica di versare acqua giù per il naso e la gola dandogli la sensazione che stava affogando. Anche Abu Zubaydah fu sottoposto alla stessa tortura per ben 83 volte nell'agosto 2002. Questi dettagli, emersi ieri per la prima volta in tutta la loro gravità, hanno scatenato la rabbia dell'American Civil Liberties Union, una delle più potenti lobby dei diritti civili, che vorrebbe che Barack Obama mettesse sotto processo gli uomini della Cia che sono ricorsi al waterboarding. Il presidente invece ha garantito loro l'immunità sostenendo che non stavano facendo altro che seguire gli ordini che venivano dall'alto del dipartimento di giustizia. Ordini secondo i quali il finto affogamento non rientra nella definizione di tortura. Ma le rivelazioni stanno avendo un effetto pesante sulla Cia che si sente ora nel mirino dei progressisti che rivendicano giustizia. Obama invece vuole chiudere col passato promettendo che mai più si ricorrerà alle torture. E come primo passo ha annunciato che si recherà personalmente alla Cia, nel quartier generale di Langley, per parlare agli agenti dei servizi segreti nel tentativo di risollevare il morale dell'organizzazione. A demoralizzare gli 007 americani è stato il fatto stesso che, per due volte nel giro di dieci giorni, la Casa Bianca abbia reso noti memorandum interni del Dipartimento della Giustizia relativi alle torture. Obama è stato criticato per questo. Perché divulgare questo tipo di informazioni - dicono all'interno della Cia - mette a repentaglio la sicurezza nazionale. Ma il presidente ha scelto la strada della trasparenza e sta mettendo in luce le dichiarazioni contradditorie degli uomini di Bush. In un'intervista con la Fox, per esempio, l'ex direttore della Cia Michael Hayden affermò che Zubaydah fu sottoposto a waterboarding una volta sola per al massimo trenta secondi.

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Ahmadinejad, un uomo belva.... (sezione: Diritti umani)

( da "Giornale.it, Il" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

n. 95 del 2009-04-21 pagina 0 Ahmadinejad, un uomo belva. L’ha capito anche la Ue di Fiamma Nirenstein E adesso, per favore, non rientrate in quella sala, rappresentanti della Francia, della Norvegia, dell’Ungheria. Restate fuori dalla trappola antisemita di Durban 2, lasciate per sempre la marea nera delle parole di Ahmadinejad, che in apertura ha di nuovo predicato odio e distruzione. E perdonate, ma l’Italia non può che dirvi oggi: ve l’avevamo detto. E può anche aggiungere: non era facile superare il tabù dell’Onu, la vacca sacra che quando chiama a raccolta esige sempre una risposta conformista, uno scatto sull’attenti in nome della retorica universalista; e qui, l’Onu seguitava a suonare, per chiamare tutti a raccolta, il campanello della battaglia contro il razzismo, una battaglia così importante per tutti noi. Ma noi chi? Era chiaro che per le commissioni che preparavano il documento introduttivo, per i violatori seriali di diritti umani Iran e Libia, il razzismo era una pura scusa, come lo era stato ai tempi di Durban 1. Noi che ci crediamo, che viviamo nelle democrazie, che davvero pensiamo che il diritto e l’integrità morale debbano illuminare la strada, volevamo una conferenza contro il razzismo, condivisa anche dal resto del mondo, ma esso non ci crede. Quel mondo è infatti dominato da dittature e violenza e pratica il razzismo, sia etnico che religioso. L’Italia, però ha avuto coraggio. A Ginevra, che dal tempo del primo diritto internazionale umanitario del 1864 ha lavorato duro a tante convenzioni per aiutare a far luce nel mondo, si stava preparando una conferenza di confusione e di odio, contro Israele e anche contro gli Usa nonostante Obama, come si è visto ieri nel discorso di Ahmadinejad. La conferenza è in realtà, sia chiaro, una fanfara di guerra in favore del terrorismo, quello dell’era nuova di Ahmadinejad. L’Italia ha letto la storia e il presente, e ha compreso che andare a Ginevra era un grosso rischio morale e politico. A Durban 1 i cortei delle Ngo marciavano sotto l’effigie di Bin Laden. Quattro giorni dopo la sua conclusione ci fu l’attacco delle Twin Towers. Questa conferenza di Ginevra è di fatto cominciata domenica con una riunione di Ngo che programmavano un «movimento di resistenza europea» sulle tracce di Hezbollah e di Hamas. Poi, per la parte ufficiale è arrivato Ahmadinejad: a Ginevra come a Durban il programma è ambizioso. Ingenti forze vogliono aprire sotto l’egida dell’Onu una immensa campagna antisemita sullo sfondo della nuova ambizione atomica iraniana, così da fornire il crisma dell’Onu allo scopo di distruggere Israele. La fuoriuscita dell’Italia aveva portato al risultato di un documento di matrice soprattutto olandese che avrebbe potuto, con ancora un po’ di lavoro, essere accettato da tutti se solo l’Europa l’avesse sorretto all’unisono. Il documento non formulava criminali, univoche identificazioni fra Israele e il razzismo, non impediva la libertà di critica alla religione per difendere l’islamismo, non impediva la definizione di omofobia come di un pregiudizio razzista. Se solo l’Europa, che nelle sue assemblee, a Bruxelles, a Strasburgo, spacca il capello in quattro per i diritti umani di ogni minoranza, si fosse schierata compatta dietro il suo documento, forse la conferenza contro il razzismo avrebbe potuto avere luogo in quanto tale, e non sarebbe stato certo un male. Ma l’Europa ha avuto paura: così, da una parte, la recrudescenza delle posizioni della parte islamista o antioccidentale, l’Iran, la Libia, surreali parti diligenti, hanno reso il documento antirazzista impossibile anche per Obama; dall’altra la Francia e l’Inghilterra hanno tremato di fronte alla furia delle banlieue e delle corti islamiche londinesi, hanno pensato al grande giro d’affari con il mondo islamico. La Germania non a caso ce l’ha fatta, alla fine, ad approdare al rifiuto della conferenza: la presidenza Merkel porta buon consiglio, il rapporto con Israele la investe negli imi precordi e questo l’ha salvata. E qui si è compiuta la distruzione dell’illusione che il linguaggio dei diritti umani sia un linguaggio universale. Un importante elemento di speranza, si trova, ironia della sorte, nella coraggiosa decisione delle delegazioni giordana e marocchina, di uscire assieme ai Paesi europei. Una decisione anch’essa frutto di una paura, quella nei confronti di Teheran, questa sì profonda e motivata. © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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Mantovano: "L'Europa dia più fondi all'Italia" (sezione: Diritti umani)

( da "Giornale.it, Il" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

n. 95 del 2009-04-21 pagina 2 "Quest’Europa cialtrona dia più fondi all’Italia" di Francesca Angeli Il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano: "Bruxelles scarica su di noi le responsabilità di intervenire. E qualcuno ci critica anche..." Roma - Il commissario europeo alla Giustizia, Jacques Barrot, ringrazia l’Italia e chiede all’Europa di fare di più. Però, mentre navi militari e pescherecci italiani continuano a soccorrere centinaia di migranti disperati, il Consiglio d’Europa accusa il governo italiano di razzismo. Va bene così sottosegretario Mantovano? «Dico all’Europa: basta con i fiori, vogliamo opere di bene. Anche in questa occasione la Ue si è mostrata impotente, scaricando sull’Italia la responsabilità di prendere iniziative. E mentre il nostro Paese si fa carico dell’accoglienza morale e materiale di migranti che altri respingono senza scrupoli, dobbiamo pure subire le cialtronerie del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, che racconta cose non vere sulla situazione degli immigrati nel nostro Paese». Quanto contano agli occhi della Ue le polemiche e le critiche dell’opposizione? «Pesano molto. Noi tutti, maggioranza ed opposizione, dovremmo essere orgogliosi di quanto l’Italia fa da venti anni per quanti arrivano da disperati attraverso il mare. I parlamentari dell’opposizione che ci rappresentano nella Ue dipingono la nostra politica in modo cialtrone e non corretto. La verità è che mentre gli altri parlano, noi facciamo fronte alle emergenze. Tengo a sottolineare quanto ha detto Laura Boldrini, portavoce per l’Italia dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, che certo non può essere accusata di simpatizzare con il governo di centrodestra. La Boldrini è persona onesta e riconosce l’opera preziosa del nostro Paese». Insomma l’Europa ringrazia e l’Italia paga? «Anche questa volta abbiamo assistito al gioco di un’Europa delle convenienze. Certamente un Paese come la Svezia non sente la necessità di porre in primo piano la questione del soccorso e dell’accoglienza dei migranti perché non è sfiorata dal problema. I Paesi interessati sono Italia, Spagna, Grecia e per l’appunto Malta». Che fare allora? «Per superare questa situazione occorre convergere su due punti. I finanziamenti destinati a fronteggiare tali questioni non possono essere divisi semplicemente per 27 ma vanno distribuiti a seconda degli oneri affrontati da ciascuno. Il Paese che porta il peso maggiore deve avere il contributo maggiore. Chi si prende i vantaggi, ed è questo il secondo punto, deve però farsi anche carico delle responsabilità. Malta ha chiesto ed ottenuto una estensione della zona “sar”, cioè la zona di ricerca e soccorso ed ha ottenuto per questo un contributo più sostanzioso dalla Ue. Contributo molto vicino a quello dell’Italia. Malta non può incassare i fondi in più per affrontare i soccorsi e poi tirarsi indietro». Anche il ministro degli Esteri, Frattini, parla di mancato rispetto delle regole. «L’Italia in tutte le sedi europee farà valere con maggior forza del passato un principio: le regole se ci sono devono valere per tutti». Aiutare i profughi è un dovere umanitario. Dovere che però altri Paesi hanno ignorato senza problemi. E Malta ora minaccia pure l’incidente diplomatico... «La nostra posizione nel Mediterraneo ci rende protagonisti rispetto ai flussi migratori. Però stavolta le cose sono andate in modo diverso». Ovvero? «Il ministro Maroni ha raggiunto un risultato importante. L’aver puntato i piedi ha costretto la Ue a prendere coscienza del problema. E non c’è stato un gioco cinico con le vite umane perché dall’Italia è stata prestata immediata assistenza a bordo. Ora il problema è sul tavolo europeo. Bruxelles non può continuare a far finta di nulla». Si può pensare ad una direttiva europea vincolante per tutti i Paesi come propone la Boldrini? «Le leggi in realtà ci sono già e sono chiarissime. Ma ben venga anche una direttiva vincolante visto che altri governi quando arriva una nave carica di profughi continuano a guardare dall’altra parte». © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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I protagonisti La passerella degli ipocriti: Cuba e Libia insegnano i diritti umani (sezione: Diritti umani)

( da "Giornale.it, Il" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

n. 95 del 2009-04-21 pagina 4 I protagonisti La passerella degli ipocriti: Cuba e Libia insegnano i diritti umani di Fausto Biloslavo L'ambasciatrice libica che toglie la parola alla vittima delle torture o il rappresentante cubano che a suo tempo si era rifiutato di condannare Saddam quando «gasava» i curdi. Per non parlare dei sudanesi che lavorano dietro le quinte contro i tribunali delle stesse Nazioni Unite e il presidente di un'organizzazione non governativa palestinese accusato di collegamento con i terroristi. Durban II è un festival di gaffe, ipocrisie e personaggi impresentabili. Una conferenza dominata da paesi che fanno a pugni con i principi di libertà e diritti umani. Najjat al Hajjaji è la belloccia ambasciatrice libica, con un filo di trucco e senza velo, che presiede il Comitato preparatorio del vertice sul razzismo. Venerdì scorso, mentre si rappezzava all'ultimo minuto la bozza del testo finale della conferenza, ha superato se stessa. Durante le testimonianze di violazioni dei diritti umani ha preso la parola il medico palestinese Ashraf Ahmed El-Hojouj. Il poveretto era stato torturato, condannato a morte e sbattuto in una galera libica per anni assieme a cinque infermiere libiche con l'infondata accusa di aver infettato dei bimbi con l'Aids. I malcapitati erano il capro espiatorio che copriva le mancanze della sanità locale. Dopo anni sono stati liberati in cambio dell'intervento, anche finanziario, europeo. Lo stesso figlio del colonnello Gheddafi aveva fatto capire che erano innocenti. L'ambasciatrice al Hajjaji, invece, ha subito provato a togliere la parola alla povera vittima. Il poveretto seviziato dagli sgherri libici ha cercato ogni volta di riprendere il discorso. Alla terza interruzione e con l'accusa di «uscire dal tema» (i diritti umani) l'ambasciatrice ha passato la parola nientemeno che al delegato libico censurando la denuncia. Presidente del Consiglio per i diritti umani, uno delle costole dell'Onu, che di più si è battuta per Durban II, è invece dallo scorso anno il cubano Miguel Alfonso Martinez. Un campione dei diritti umani: fin dal 1988 era riuscito a boicottare una mozione di condanna contro Saddam Hussein che aveva appena sterminato col gas 5mila curdi a Halabja. Non a caso soprattutto i rappresentanti cubani si sono battuti per limare il più possibile i riferimenti nel testo finale all'inalienabile «libertà di espressione e opinione». La Siria ha invece spalleggiato l'Iran che voleva togliere del tutto la condanna dello sterminio degli ebrei. Il delegato di Damasco ha fatto presente che «non è chiaro quale sia l'esatto numero di ebrei uccisi nell'Olocausto». Un ruolo discreto, ma altrettanto sporco, lo ha giocato il Sudan. Omar al Bashir, presidente del Paese, è rincorso da un mandato di cattura internazionale della Corte penale, istituita dall'Onu, per i crimini di guerra in Darfur. Nonostante l'imbarazzante situazione è un ministro sudanese, Abdalmahmood Abdalhaleem Mohamad, che presiede da gennaio il potente Gruppo 77. Si tratta di un cartello di paesi del sud del mondo, che influenza pesantemente l'assemblea dell'Onu. I sudanesi sono riusciti a far cancellare il nome della Corte penale sulla bozza della Conferenza di Ginevra. Alla fine è rimasto solo un riferimento generico ai tribunali internazionali. Non basta. Le iscrizioni alla Conferenza delle organizzazioni non governative ebraiche casi sono state in qualche caso respinte. La palestinese Al Haq, invece, non ha avuto problemi. Peccato che il suo capoccia, Shawan Jabarin, sia sulla lista nera degli israeliani come "veterano" del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, considerata da molti un'organizzazione terroristica. © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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Censura Per i giornali di Teheran lo show è stato (sezione: Diritti umani)

( da "Giornale.it, Il" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

n. 95 del 2009-04-21 pagina 4 Censura Per i giornali di Teheran lo show è stato «un trionfo» di Redazione La conferenza Onu di Ginevra sul razzismo si è rivelata un grande successo per Mahmoud Ahmadinejad. Almeno questo è quanto riportato in Iran dall'agenzia d'informazione filogovernativa Fars, secondo la quale il discorso del presidente sarebbe stato accolto da applausi e manifestazioni di giubilo. La Fars, da cui ricavano le loro informazioni i giornali iraniani, rivela anche l'esistenza di un «complotto» sionista sventato da «migliaia di partecipanti alla conferenza», che hanno preservato Ahmadinejad dagli insulti e dall'essere interrotto. Chiaro il riferimento ai tre ragazzi ebrei francesi che, mascherati da clown, hanno tentato di fermare Ahmadinejad. La Fars rivela inoltre che un uomo, su indicazione della «lobby sionista», ha tentato di «lanciare un oggetto» contro il presidente che, nonostante i tentativi di sabotaggio, è stato incitato a proseguire dai 4.500 rappresentanti di Ong e da numerosi attivisti per i diritti umani che lo hanno ripetutamente applaudito. © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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Cheney difende le torture della Cia (sezione: Diritti umani)

( da "Stampaweb, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

ROMA Per l’ex vice presidente americano Dick Cheney la decisione di pubblicare i memo della Cia sulle tecniche di interrogatorio utilizzate contro presunti terroristi è stata un errore. Anzi, scrive la Bbc, per Cheney è stato fuorviante in quanto nei documenti non veniva riportato che queste pratiche hanno portato a importanti successi l’intelligence Usa. «Una delle cose che ho trovato irritanti in questa recente rivelazione è stata che questi memo legali non mostrano i successi di questi sforzi» ha detto Cheney alla Fox News citata dalla BBc. I successi «non sono stati declassificati. Per questo chiedo ufficialmente che vengano declassificati ora». Il commento dell’ex vice presidente segue la visita effettuata ier dal presidente Back Obama al quartier generale della Cia a Langley, in Virginia. Occasione in cui Obama ha ringraziato gli agenti per il loro lavoro volto «a proteggere la libertà» degli americani. Giovedì scorso il governo americano ha reso noti documenti scottanti che risalgono al 2002, e che sono stati di fatto la base legale che l’amministrazione di Bush ha utilizzato per giustificare l’adozione di tecniche di interrogatorio; tecniche che critici in tutto il mondo hanno descritto spesso con il termine tortura. Secondo The New York Times, una delle tecniche più atroci, il water-boarding (annegamento simulato), sarebbe stata utilizzata fino a 266 volte su due presunti membri di al Qaida.

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Ahmadinejad: "Razzisti sono i sionisti" (sezione: Diritti umani)

( da "Stampaweb, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

INVIATO A GINEVRA Il caos comincia non appena Mahmoud Ahmadinejad sale sul podio, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon alle spalle, una platea di delegati divisa e nervosa di fronte, le tv del mondo in attesa. È un caos auspicato: e difatti il presidente iraniano sorride paziente, quando tre giovani dell’«Unione studenti ebrei francesi» vestiti da clown corrono verso il palco, gli lanciano un naso da pagliaccio e gli urlano «razzista, razzista» mentre gli agenti li trascinano fuori dalla «Sala dell’assemblea» del Palais Des Nations affacciato al Parc de l’Ariana. Ahmadinejad interrompe il discorso appena iniziato. Ma è una pausa che - per l’unico Capo di stato presente alla «Conferenza sul razzismo» promossa dall’Onu 8 anni dopo quella di Durban trasformatasi in un carosello anti-israeliano - ha una forte valenza mediatica. Lo aiuta a introdurre la vera ragione della sua venuta a Ginevra. Ad accendere la miccia che in tanti, Italia e Stati Uniti in testa, avevano previsto e temuto: «Dopo la fine della Seconda guerra mondiale gli Alleati sono ricorsi all’aggressione militare per privare delle loro terre una nazione intera sotto il pretesto delle sofferenze degli ebrei. Hanno inviato migranti dall’Europa, dagli Stati Uniti e dal mondo per istituire un governo razzista nella Palestina occupata», dice a memoria, senza abbassare lo sguardo sul testo dattiloscritto, l’uomo che si è lucidamente attribuito il ruolo di profeta dell’antisionismo inteso - anche - come negazione dell’Olocausto e dello Stato ebraico. Sono le 15 e 30 passate da poco. L’attacco a Israele, mai nominato, va a segno, sia pure con toni meno veementi che in passato (nessun auspicio alla sua «cancellazione dalle carte geografiche»). I rappresentanti dei 23 Paesi dell’Unione europea che avevano scelto di non boicottare la Conferenza (fra loro Francia, Gran Bretagna e Spagna) si alzano e abbandonano l’Assemblea, come avevano annunciato in caso di deriva antisemita del presidente iraniano. Ahmadinejad, di nuovo, interrompe il discorso. Aspetta il silenzio e riprende: «È necessario mettere fine agli abusi dei sionisti e di chi li sostiene», dice leggendo dal testo, adesso. Ma è quando accusa «gli Stati occidentali di essere rimasti in silenzio di fronte ai crimini commessi a Gaza» che gran parte dell’assemblea - composta ormai in maggioranza da Paesi arabi e musulmani che volevano un processo a Israele - applaude. Prima di lasciare la Sala Ahmadinejad ringrazia, e ha ragione di farlo. Come l’anno scorso l’Assemblea della Fao a Roma, la Conferenza ginevrina gli ha consentito di confermarsi nel ruolo al quale più di ogni altro, nelle sue uscite all’estero, sembra affidare la dignità del suo ufficio di Presidente. Dietro di sé il leader della Repubblica islamica lascia dissociazioni e polemiche, indispensabile complemento del caos. A cominciare dai padroni di casa: «Deploriamo l’uso di questa piattaforma per accusare, dividere e incitare», recita il comunicato di Ban Ki-moon, che aprendo i lavori aveva lamentato l’assenza di una decina di Paesi, dagli Usa alla Germania, dall’Italia all’Australia, dall’Olanda alla Nuova Zelanda al Canada. «Deploriamo fortemente il linguaggio di Ahmadinejad, fuori luogo in una Conferenza che ha l’obiettivo di difendere la diversità e la tolleranza», gli fa eco l’Alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay. «Dichiarazioni inaccettabili», scandiscono i 23 Paesi dell’Unione europea che hanno lasciato l’assemblea per protesta contro le affermazioni del presidente iraniano, ma non la Conferenza: perché - sottolineano in 22, dopo l’abbandono serale della Repubblica ceca - a Ginevra si è messo a punto un «valido compromesso» nella bozza di dichiarazione finale. Che è frutto per giunta di un «negoziato intergovernativo» che esclude la responsabilità dell’Ue. Anche il Vaticano condanna, sia pure con qualche distinguo. «Siamo rimasti in sala per affermare il diritto della libertà d’espressione», avverte l’Osservatore permanente presso le Nazioni Unite monsignor Tomasi. Ma, puntualizza il direttore della Sala stampa padre Lombardi, quelle di Ahmadinejad sono «espressioni estremiste e inaccettabili», anche se «la conferenza è un’occasione importante». Lo si capirà presto, se davvero «Durban 2» avrà una sorte migliore della conferenza-madre che intende mondare: l’approvazione del documento finale, sul quale si comincerà a discutere da oggi, è prevista per venerdì.

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Kabul e il silenzio delle femministe (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere.it" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Diritti delle donne Proteste in Afghanistan e in Pakistan, piazze vuote in Italia e negli altri Paesi occidentali Kabul e il silenzio delle femministe «Ormai siamo escluse dal dibattito» Camusso: «Non si parla per paura di criticare le religioni» «Commentavo con un'amica le ultime vicende in Afghani­stan. La consigliera assassinata, le sassaiole contro le manifesta­zioni di Kabul contro la legge che garantisce il diritto di stu­pro nel matrimonio sciita os­serva la femminista Susanna Ca­musso, segretaria confederale della Cgil . Tra le tante cose che ci sono state raccontate quando siamo intervenuti nel Paese è che le donne sarebbero state liberate dal burqa». Le atti­viste afghane hanno marciato per i diritti delle donne a Kabul. Le attiviste pachistane, sia lai­che sia dei partiti islamici, han­no protestato a Lahore e Kara­chi dopo la diffusione di video di ragazze frustate o uccise nel­le zone tribali per «relazioni ille­cite ». In Italia e nei Paesi occi­dentali si commenta e si riflette su queste notizie, c'è indignazio­ne sul web, ma le femministe non sono scese in strada a mani­­festare, non hanno presidiato le ambasciate. Nè si è registrata una reazione forte e continua delle donne di sinistra, destra o centro. Viviamo una «stagione di silenzio», dice Camusso. «Il movimento femminista è come un movimento carsico: compa­re e scompare». La fase di scom­parsa sembra durare da un po'. Camusso denunciò nel 2007 il silenzio delle femministe su Hina, la pachistana uccisa a Bre­scia dal padre perché voleva vi­vere «all'occidentale». Non par­larono perché «l'attacco all'im­migrato non è politically cor­rect», disse. «La penso come al­lora dice oggi . Anzi, se possibile, è ancora peggio: si è continuato a tacere anche delle violenze sulle donne italiane. Il tema della violenza sessuale è scomparso, rinchiuso dentro le mura domestiche. Lo si usa solo per gridare scandalo se a com­mettere lo stupro è un extraco­munitario ». Se non ci si solleva per le violenze domestiche con­tro le italiane, figuriamoci nei casi delle donne all'estero. Lidia Menapace, ex senatrice di Rifon­dazione comunista, è d'accordo ma aggiunge che se le femmini­ste non parlano è anche per via di «un'esclusione soft»: «E' diffi­cile prendere la parola. Sulla sharia viene interpellato il politi­co, non le donne, che non sono più soggetto politico». Secondo Assunta Sarlo, che nel 2006 organizzò a Milano una spettacolare manifestazio­ne per l'aborto, «pensare che l'unica modalità di espressione delle donne rispetto alle que­stioni dei diritti siano solo le manifestazioni è riduttivo. Ci sono molte modalità: ragiona­re, riunirsi. Ci sono siti, giorna­li, riviste in cui il dibattito con­tinua sul multiculturalismo. E le organizzazioni non governa­tive di donne, ce ne sono tantis­sime nei Paesi in via di svilup­po, pesano forse più delle mani­festazioni ». Camusso però cre­de che il problema sia più pro­fondo: «Chi teorizza il multicul­turalismo tende ad escludersi dal dibattito. C'è una forte fati­ca a dire una cosa intuitiva: che il metro di misura della demo­crazia in Afghanistan, in Iran, in Somalia è che i diritti delle persone non siano violati. C'è un'ulteriore difficoltà: il silen­zio nei confronti delle religio­ni. Io penso che esercitare la cri­tica rispetto a una religione, nella logica della sharia che pre­suppone la sottomissione, non significa non essere rispettosi, ma saper individuare aspetti di inciviltà». Un'altra questione è se il mo­vimento femminista nei Paesi musulmani apprezzi l'appog­gio occidentale. «A volte se don­ne straniere appoggiano le fem­ministe locali, queste ultime possono essere etichettate co­me anti-Islam da chi usa la reli­gione a scopi politici», dice la scrittrice egiziana Saher El Mougy. «In ogni caso, possono fornirci un appoggio morale che però non cambia nulla sul terreno. La lotta più difficile è cambiare la cultura: ciò che le donne fanno contro se stesse e le figlie». L'avvocato Mehran­giz Kar, una delle più note fem­ministe iraniane, crede invece che, benché non vi siano state grandi proteste di piazza, «le donne in Europa e in America siano molto sensibili al proble­ma delle afghane. Detto ciò, benché il movimento femmini­sta sia unico e lotti ovunque per l'uguaglianza, va capito che le priorità sono diverse. Oggi le femministe in molti Paesi mu­sulmani stanno spesso attente a dire che Islam e diritti umani sono conciliabili, per ottenere legittimità e sperando di raffor­zare i moderati. Chi le appoggia davvero all'estero fa lo stesso. E' una strategia. Funzionerà? Non so. Forse solo nel breve pe­riodo ». Viviana Mazza stampa |

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Conferenza sul razzismo. Ahmadinejad attacca israele. I rappresentati dell'Europa lasciano la sala (sezione: Diritti umani)

( da "AmericaOggi Online" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Conferenza sul razzismo. Ahmadinejad attacca israele. I rappresentati dell'Europa lasciano la sala 21-04-2009 Normal 0 false false false MicrosoftInternetExplorer4 GINEVRA. È cominciata male, anzi malissimo, la Conferenza dell'Onu contro il razzismo (Durban 2): come temuto, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinjad ha rinnovato le accuse di razzismo ad Israele in totale disprezzo dei moniti delle Nazioni Unite e della comunità internazionale. Dalla tribuna dell'Onu, Ahmadinjad ha accusato i Paesi occidentali di aver usato il pretesto dell'Olocausto per creare un "regime razzista" in Palestina provocando l'immediato abbandono della sala dei diplomatici dei 23 Paesi europei che avevano scelto di partecipare alla Conferenza. Immediate le condanne dell'Onu, delle diplomazie occidentali e di Israele. Il "sionismo mondiale personifica il razzismo", ha affermato il presidente dell'Iran applaudito a più riprese da alcuni, ma non certo dai delegati occidentali. Alla fine della seconda guerra mondiale con il "pretesto della sofferenza degli ebrei", si è stabilito nel cuore del Medio Oriente "un governo completamente razzista", ha rincarato senza mai citare il nome di Israele. Inoltre, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha sostenuto negli ultimi 60 anni l'occupazione del "regime sionista", dandogli "piena libertà di commettere qualsiasi crimine". Nel suo discorso di oltre 30 minuti, Ahmandinejad ha anche sferrato attacchi contro il diritto di veto al Consiglio di sicurezza e contro gli Usa. Unico capo di Stato alla Conferenza, al suo arrivo nella sala delle Assemblee del Palais des Nations, Ahmadinejad è stato accolto da un applauso, ma il suo intervento è stato brevemente interrotto dalle grida "razzista, razzista", lanciate da un piccolo gruppo di contestatori che indossavano parrucche colorate da pagliacci. Da sotto il palco, un giovane ebreo francese gli ha lanciato, sfiorandolo, un naso rosso da pagliaccio. Severissimo il commento degli Usa che, come l'Italia ed altri Paesi avevano deciso di non partecipare ala Conferenza. Il discorso del presidente iraniano è stato "vile" e odioso'', hanno osservato. Indignate le reazioni anche di Paesi quali Gran Bretagna e Francia, pur presenti all'evento.. La Repubblica Ceca ha deciso di abbandonare definitivamente la riunione, in programma fino al prossimo 24 aprile. Ma il rammarico più forte per le parole del presidente iraniano lo hanno espresso il Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon e l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Navi Pillay che avevano aperto in mattinata i lavori della Conferenza. Il segretario generale ha deplorato l'uso della piattaforma dell'Onu per "accusare, dividere e incitaré all'odio. Anche Pillay ha criticato l'intervento del leader iraniano, ma la "migliore replica è di rispondere e correggere, non di ritirarsi e boicottare la Conferenza", ha aggiunto. Durban 2 si era aperta in un clima di incertezza e divisione, sottolineato dal boicottaggio di numerosi Paesi occidentali. Dopo Israele e Canada, anche Usa, Italia, Olanda, Germania, Polonia ed altri non hanno inviato rappresentanti alla Conferenza, temendo una replica delle manifestazioni antisemite che avevano contrassegnato la precedente riunione dell'Onu il razzismo, nel 2001 a Durban, in Sudafrica. A margine della Conferenza, Ahmadinajad ha incontrato il presidente svizzero Hans. Rudlf Merz ed il segretario generale dell'Onu. In segno di protesta contro Berna, il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman ha ordinato all'ambasciatore di Israele in Svizzera di rientrare in patria per consultazioni.

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Fallimento annunciato. Razzismo/La Conferenza bloccata dai veti e dai compromessi (sezione: Diritti umani)

( da "AmericaOggi Online" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Fallimento annunciato. Razzismo/La Conferenza bloccata dai veti e dai compromessi di Marta Teitelbaum 21-04-2009 Normal 0 false false false MicrosoftInternetExplorer4 La Conferenza mondiale delle Nazioni Unite contro il razzismo, la xenofobia e le discriminazioni si è aperta ieri a Ginevra sotto l'ingombrante ombra della Conferenza precedente, tenutasi in Sudafrica nel 2001 e nota come Durban I dal nome della città che l'aveva accolta. Allora, i dibattiti sulle questioni riguardanti il razzismo e le discriminazioni erano stati totalmente trascurati in favore di manifestazioni e dichiarazioni a carattere antisemita, anti-israeliano e antiamericano orchestrate da una parte dalle Ong presenti come rappresentanti della società civile. Il testo finale da loro proposto all'Assemblea non era stato approvato, ma i contraccolpi delle durissime condanne contro Israele, diventato in quell'occasione il simbolo del razzismo, della discriminazione e di tutti gli altri mali, si fanno sentire ancora. Secondo gli organizzatori, questo summit noto come Durban II doveva far dimenticare le aberrazioni di Durban I. La cosa è stata resa impossibile dalle parole del presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad che ha attaccato Israele senza nominarlo, visto che non lo riconosce. 'Hanno mandato immigrati dall'Europa e dagli Stati Uniti per formare un governo razzista nella Palestina occupata'', ha denunciato Ahmadinejad. Ironia della sorte, la Conferenza si è aperta alla vigilia della "Giornata dell'Olocausto" e il primo discorso, dopo quello del segretario dell'Onu Ban Ki Moon, è stato quello del presidente iraniano che finora non ha mancato nessuna occasione per negare l'esistenza della Shoah. Al discorso di Ahmadinejad, le delegazioni dei Paesi europei e Occidentali presenti hanno reagito abbandonando la sala in segno di protesta. L'assenza di alcuni Paesi importanti non convinti da diversi aspetti della dichiarazione finale, preparata in anticipo, la protesta dei Paesi presenti contro Ahmadinejad, i lunghi negoziati a cui è stato sottoposto il testo finale, negoziati che riguardano proprio l'essenza della Conferenza, cioè il razzismo e la xenofobia, i patteggiamenti che hanno visto scomparire dall'ordine del giorno questioni importanti come la discriminazioni contro le donne o gli omosessuali, portano a chiedersi quale sia il senso di questo summit. Sembra che il suo significato sia stato svuotato a colpi di compromessi, di polemiche e di negoziati e che la realpolitik abbia preso il sopravvento sui principi. Durban II è la quarta Conferenza contro il razzismo, e come tutte le altre avrebbe dovuto essere una tribuna per misurare i progressi in materia di diritti dell'Uomo nel mondo e per ripensare le strategie per migliorarli ancora. In realtà, questa Conferenza e il suo fallimento annunciato, riflettono il funzionamento dell'organismo che sta dietro quest'iniziativa, cioè il Consiglio dei Diritti dell'Uomo dell'Onu, nato nel 2006 sulle ceneri della Commissione che portava lo stesso nome. L'allora segretario generale dell'Onu Kofi Annan aveva avvertito i suoi 47 membri di "non permettere mai al Consiglio di imbarcarsi in lotte politiche e di non far mai ricorso a manovre basse". All'interno del Consiglio, la politica però è prevalsa, nuovi e vecchi blocchi e alleanze condizionano le risoluzioni che spesso hanno poco a che vedere con la tutela dei diritti umani. Tuttavia, è all'interno di quest'organismo, più che in un'ennesima conferenza controversa, che si dovrà tentare di trovare un minimo comun denominatore per definire il concetto di "diritti umani " e per staccarli dagli interessi particolari.

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Durban II: solo i timori antisemiti dietro il boicottaggio? (sezione: Diritti umani)

( da "Articolo21.com" del 21-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Durban II: solo i timori antisemiti dietro il boicottaggio? di Bruna Iacopino Scorrazzando tra testate nazionali e internazionali (versione on-line), il discorso del presidente iraniano Ahmadinejad, sembra tener intensamente banco solo presso quelli italiani. Si sprecano commenti e condanne, da chi afferma senza ombra di dubbio che l'Italia ha fatto bene a non partecipare alla conferenza internazionale Durban II a chi invece non fa altro che condannare le parole del presidente iraniano tributando immutata solidarietà all'amico Israele. Tuttavia, a guardare le riprese effettuate durante l'uscita per protesta da parte dei delegati della UE, non si può ignorare che le parole di Ahmadinejad siano state accompagnate anche da calorosi applausi e dunque non abbiano sconvolto più di tanto la maggior parte dei presenti, che evidentemente non ha ritenuto completamente visionarie e illogiche le invettive rivolte contro le politiche razziste attuate da Israele nei confronti del popolo palestinese. Il riferimento a Gaza è stato oltremodo esplicitato in un ulteriore passaggio, in cui si sottolineava il silenzio complice e colpevole della Comunità internazionale. Dato questo assolutamente inconfutabile: ci sono volute settimane perchè si registrasse una timida e inefficace condanna rispetto alla sanguinosa offensiva denominato Piombo fuso. Il presidente iraniano pur non citando mai nello specifico lo stato in questione, ha invece tirato in ballo il sionismo, e contrariamente a quanto era circolato sui media subito dopo, non ha mai fatto riferimento alla distruzione dello stato di Israele e tanto meno ha fatto riferimento, anche solo velatamente a teorie di carattere negazionista rispetto all'Olocausto. Passaggio sottolineato in una nota ufficiale dalla stessa Santa sede, che al contrario di molti altri ha deciso di non abbandonare la sala durante il discorso di Ahmadinejad. “ Il punto che il Presidente dell'Iran ha affrontato - ha spiegato mons. Tomasi - e' quello del razzismo dello stato d'Israele verso i palestinesi, ma egli non si e' espresso contro l'Olocausto, non ha negato questo fenomeno storico tragico, non ha menzionato la distruzione d'Israele o l'eliminazione di questo Stato. Per questa ragione abbiamo deciso con altri Paesi europei, tutti i Paesi dell'America Latina con la totalita' dei Paesi africani e asiatici, di restare nella Sala per affermare questo diritto della liberta' d'espressione che e' parte della battaglia che noi abbiamo combattuto qui per cambiare il documento finale di questa conferenza di Durban 2.” Libertà di espressione, e necessità di non chiudere il dialogo, anche di fronte a dichiarazioni di carattere estremista, questa la motivazione addotta anche dalla Francia che dall'inizio non ha voluto far parte del clan del boicottaggio, ma per voce del suo ministro degli esteri, Kouchner, ha anzi sottolineato come loro rimarranno fino alla fine, fino al voto della bozza di documento preparato e che risponde in pieno ai convincimenti e agli sforzi maturati finora nella lotta contro il razzismo. “... ci sono 192 paesi all'interno dell'ONU- ha dichiarato Kouchner su Le Monde- non gli si può impedire di parlare.” E la stessa amministrazione americana, pur rigettando le dichiarazioni anti-sioniste non ha voluto chiudere i canali diplomatici con Teheran, segno del deciso cambiamento di strategia messo in atto da Obama. Nel complesso il documento che Durban II si prepara a ratificare ha accolto le richieste di paesi come Israele, gli USA, la Germania, l'Italia eliminando lo specifico riferimento al contesto mediorientale e alla situazione palestinese, ma non ha potuto evitare che essa venisse tirata in ballo durante uno degli interventi, cosa non solo prevedibile, a dir poco scontata. Ma c'è forse dell'altro. L'ipotesi, avanzata da qualche testata, e non priva di fondamento, è relativa agli altri contenuti della bozza: la reale motivazine che avrebbe spinto diversi paesi fra cui il nostro a boicottare la conferenza sul razzismo potrebbe essere dovuto non tanto e non solo a una spiccata solidarietà con l'amico israeliano, quanto piuttosto a quell'ampia e articolata Quinta sezione ( la più vasta nel documento) che fa specifico riferimento alle nuove forme di razzismo, anche legalizzate, che coinvolgono migranti, richiedenti asilo, minoranze etniche, linguistiche, o religiose, popolazioni indigene. La quinta sezione che va dal paragrafo 51 al 143 invita esplicitamente i singoli paesi a fare attenzione all'insorgere di nuove forme di razzismo nei confronti degli immigrati, condanna la xenofobia e la discriminazione qualora essa sia avallata anche da leggi dello stato e auspica dunque che le suddette leggi vengano annullate o quanto meno riviste in nome dell'implementazione dei diritti da parte di categorie a rischio. Il paragrafo 60 invita gli stati a punire le pratiche razziste di gruppi neo-fascisti o neonazisti. Il 67 fa appello affinchè la guerra al terrorismo non si trasformi in una palese violazione dei diritti umani ( come non cogliere gli evidenti riferimenti alla politica finora adottata dagli States?). Il 70 invita ad abbattere le barriere che impediscono una reale partecipazione da parte delle minoranze e delle popolazioni indigene alla vita politica e sociale del paese in cui vivono ( qui è d'obbligo invece richiamare l'attenzione sulle discriminazioni subite dagli aborigeni in Australia, paese che ha disertato la conferenza). Si va avanti su questa scia, invitando i singoli stati a non utilizzare atteggiamenti discriminatori e a impedirli qualora questi si verifichino in ambito politico o anche mediatico, a non avallare politiche migratorie incompatibili con il rispetto dei diritti umani... si fa appello alle parternership da stabilire con i paesi di proveninenza o di transito ma sempre purchè si rispettino i diritti succitati ( forse il patto bilaterale con la Libia stretto dall'Italia non rientrerebbe in una simile definizione). Il paragrafo 84 è invece dedicato alle discriminazioni che continuano ad essere subite da parte di Sinti, Rom, Gypsi e Camminanti, con un invito esplicito a fornire “una speciale protezione alle vittime”. Ma si parla anche delle discriminazioni femminili, dello sfruttamento sessuale a carico di donne e bambini, di lavoro minorile, di dicriminazioni che colpiscono malati di AIDS e della necessità di estendere il diritto alle cure mediche in ogni parte del mondo. Di particolare interesse il paragrafo 99 in cui invece ad essere condannato è qualsiasi gruppo o organizzazioone che inciti all'odio, alla superiorità di razza, o gruppo, o colore o etnia spingendo all'odio razziale o religioso. Un simile gruppo dev'essere dichiarato illegale. La domanda a questo punto sorge spontanea: come la metteremmo con la Lega e con le sue manifestazioni anti-Islam? Altra nota interessante è la condanna della pratica di “profiling” su base etnica. La storia delle impronte digitali non è troppo lontana. Insomma di elementi tali da far sorgere un po' di mal di pancia anche all'interno del nostro Governo ce ne stanno, anche tenendo conto di questa breve ( e assolutamente sommaria) panoramica all'interno della bozza di documento presentata a Durban II, che, pur non avendo natura vincolante rappresenta comunque un impegno da parte dei singoli stati firmatari. Se si vuol andare avanti con la storia dell'antisemistimo, quale “paravento” per giustificare la defezione, si faccia pure, sebbene esso venga duramente condannato nella bozza e ampio risalto venga dato alla memoria dell'olocausto ( unico genocidio citato)... un confronto reale col testo fornisce invece chiavi di lettura decisamente altre.

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Israele: "Ahmadinejad nuovo Hitler" Onu, approvata dichiarazione sui diritti umani (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica.it" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

GINEVRA - "Il mondo ha visto ieri il ritorno di Adolf Hitler, che questa volta ha la barba e si esprime in Farsi". Gerusalemme non abbassa il tono delle polemiche dopo le frasi contro Israele pronunciate dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad alla conferenza Onu sul razzismo (Durban 2) in corso a Ginevra. Le parole del leader di Teheran hanno suscitato durissime reazioni da parte del Vaticano, dell'Unione europea, della Casa Bianca che tuttavia annuncia che il dialogo con l'Iran va avanti. Il forum delle Nazioni Unite prosegue quindi tra le polemiche e nel pomeriggio ha approvato la dichiarazione finale. Obama. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha criticato le affermazioni fatte ieri da Ahmadinejad su Israele definendole "orrende e discutibili". Tuttavia, ha aggiunto, gli Usa vogliono continuare a tenere un dialogo "diretto" con Teheran con cui "tutte le opzioni restano sul tavolo". La dichiarazione finale. Nel pomeriggio la conferenza di Ginevra ha approvato per acclamazione la dichiarazione finale, con tre giorni d'anticipo rispetto al calendario del forum che proseguirà fino a venerdì. ''Signore e signori, avete preso una decisione importante adottando il documento'', ha dichiarato il presidente della conferenza, Amos Wako, definendo il testo un ''risultato storico''. Il testo finale è stato al centro di un braccio di ferro tra il gruppo dei Paesi musulmani e i Paesi occidentali, a causa delle divergenze sulla questione medio-orientale e la diffamazione delle religioni. Come chiedevano gli occidentali, il testo adottato non menziona Israele né il concetto di diffamazione delle religioni. Il paragrafo sull'Olocausto è stato invece mantenuto malgrado le richieste dell'Iran. OAS_RICH('Middle'); L'Unione europea. A Ginevra c'erano anche i rappresentanti di 23 Paesi dell'Unione europea (gli altri, tra i quali l'Italia, hanno boicottato la conferenza e ora Berlusconi dice: "Avevamo previsto tutto"). Ieri durante l'intervento di Ahmadinejad sono usciti in segno di protesta ma non hanno abbandonato i lavori. E oggi hanno adottato il documento finale. "E' stata tutt'altro che una sconfitta, piuttosto è stato l'inizio di un successo", dice il ministro degli esteri francese, Bernard Kouchner spiegando che la scelta di non boicottare la conferenza è stata compiuta in apprezzamento delle frasi contenute nella dichiarazione finale. Nel testo "figura tutto quello che desideriamo, tutto quello che i paesi occidentali vogliono", aggiunge Kouchner, citando l'antisemitismo, la discriminazione delle persone, la libertà d'espressione. "Si parla del genocidio, dell'olocausto, dei diritti delle donne, della tratta degli esseri umani, degli ammalati di Aids e delle persone handicappate", sottolinea. Il Vaticano. La Santa Sede, afferma una nota diffusa dalla sala stampa, "deplora l'utilizzazione del forum dell'Onu sul razzismo per assumere posizioni politiche, estremiste e offensive, contro qualsiasi Stato". Un tale atteggiamento, spiega la nota, "non contribuisce al dialogo e provoca una conflittualità inaccettabile". Rimane però la posizione del Vaticano, che ha deciso di non partecipare alla protesta e di lasciare il suo rappresentante nella sala durante il discorso di Ahmadinejad. Al termine della conferenza, l'osservatore della Santa Sede all'Onu, monsignor Silvano Tomasi, parla della dichiarazione finale come di un testo "non perfetto" ma che comunque "rispetta i punti sostanziali dei diritti umani, apre la strada a continuare a negoziare in futuro su alcuni temi che, per la prima volta, sono stati accettati universalmente''. Per il Vaticano sono stati quindi fatti dei passi avanti. L'abbandono della sala di numerosi delegati ieri durante il discorso di Ahmadinejad Il giorno della Shoah. Il suono delle sirene ha fermato per due minuti gli israeliani alle nove di mattina, ora locale, in ricordo dei sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti durante la Seconda Guerra mondiale. Nel Paese è ancora forte lo sdegno causato dalle dichiarazioni del presidente iraniano. "Il mondo ha visto ieri il ritorno di Adolf Hitler, che questa volta ha la barba e si esprime in Farsi": ha affermato il presidente della Knesset (parlamento) Reuven Rivlin, un dirigente del Likud, durante una cerimonia. "Le sue parole sono le stesse, le aspirazioni sono le stesse, la determinazione di dotarsi dei mezzi per realizzarle è la stessa determinazione minacciosa". Rivlin ha anche biasimato la Svizzera per l'accoglienza riservata ad Ahmadinejad "nel nome della neutralità ". Il presidente Shimon Peres ha ringraziato i Paesi che hanno deciso di boicottare la conferenza: "Le camere a gas sono sparite, ma i veleni rimangono". Il ritorno di Ahmadinejad. Al suo ritorno a Teheran Ahmadinejad ha avuto un'accoglienza da eroe. Al presidente sono stati offerti fiori e una folla di studenti militanti fondamentalisti ha gridato ripetutamente lo slogan "Morte all'America". "Prenderò parte a tutte le conferenze internazionali - ha affermato Ahmadinejad - nonostante il volere dell'Occidente". Il leader iraniano, si è appreso oggi, ha rinunciato a pronunciare una frase che definiva l'Olocausto, "questione ambigua e dubbia", contenuta nella versione in inglese e scritta del discorso. Nel suo intervento, in farsi, Ahmadinejad ha parlato "dell'abuso della questione dell'Olocausto. (21 aprile 2009

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Quanti ostacoli per un'azione anti-razzismo dell'Onu (sezione: Diritti umani)

( da "Arena, L'" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Mercoledì 22 Aprile 2009 PRIMAPAGINA Pagina 1 L'EDITORIALE Quanti ostacoli per un'azione anti-razzismo dell'Onu Bruno Cescon Razzismo. Il vocabolo non perde drammaticamente d'attualità. E non cessa di essere attuale come peccato, come incarnazione di incitamento all'odio, come male endemico di popoli e singoli, di governi e di gruppi di esagitati. Alla Conferenza Onu di Ginevra lo ha impersonato Ahmadinejad. È del resto «naturale» che all'Onu, sede di incontro di tutti i governi del mondo, le differenze politiche, ideologiche, religiose trovino eclatante cassa di risonanza. Le Nazioni Unite, nate dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, rispecchiano il mondo attuale. Con tutte le sue contraddizioni. Talvolta appaiono assolutamente inefficaci, altre volte ostaggio di potenze che difendono i loro interessi o di governi che nulla hanno di democratico. Eppure oggi il nostro mondo, nonostante la globalizzazione e l'urgenza di integrazione e di politiche comuni, non è riuscito ad inventarsi nessuna altra palestra, così universale, di incontro tra «diversi». Che cosa sta alla base del razzismo e del non riconoscimento dell'Olocausto? Certamente delle ragioni politiche, storiche. Ma soprattutto la difficoltà di accettare la famosa Magna Charta dell'Onu, incentrata sui diritti umani. L'estremismo del leader dell'Iran non è nuovo. Ma hanno fatto discutere anche i veti della Russia, della Cina o anche degli Stati Uniti su specifici fatti di violazione di alcuni diritti fondamentali. Il fatto è che attorno al tema dei diritti umani vi è certamente consonanza nel mondo occidentale. In fondo la loro formulazione nasce all'interno del pensiero occidentale. E sono stati pensati come valori universali attinenti alla stessa natura umana. Ma già nel nostro Occidente non vi è accordo quando sono inclusi nell'alveo dei diritti umani anche i diritti civili, oggetto invece di disputa. Ma soprattutto sono altre civiltà che non si ritrovano in essi, pur riconoscendoli formalmente. Tutto ruota attorno al concetto di persona, che non è concetto condiviso nell'Islam, né appartiene alla concezione induista, buddista, confuciana, animista dell'uomo. Difatti ad ogni Conferenza Onu su temi di rilevanza umana ed etica emergono le differenze, prima all'interno dello stesso Occidente e poi dell'Occidente con altre culture. 2  

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torture, vittoria liberal: "sì alle incriminazioni" (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica, La" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Pagina 3 - Esteri Ma solo nei confronti dei legali che le hanno avallate. Cheney: "America meno sicura" Torture, vittoria liberal: "Sì alle incriminazioni" DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Gli avvocati dell´amministrazione Bush che hanno dato il via libera alle «tecniche brutali» di interrogatorio usate dagli agenti della Cia contro i terroristi di Al Qaeda catturati dagli Usa, potrebbero rischiare l´incriminazione. Sotto la pressione dell´ala liberal del partito, delle organizzazioni per i diritti umani e dei blog di sinistra, Barack Obama ha lasciato aperto uno spiraglio a condizione però che si tratti di un´iniziativa rigorosamente «bipartisan» e che le eventuali indagini (di un procuratore speciale e del Congresso) non siano «eccessivamente politicizzate». Obama, che nei giorni scorsi aveva ripetuto (l´ultima volta lunedì nel suo incontro con gli agenti Cia nel quartier generale di Langley) che «occorre guardare avanti e mettersi il passato alle spalle» dice adesso che i quattro memo sull´Intelligence «riflettono il modo in cui l´America ha perso la sua statura morale». Ha precisato che lui «non sta suggerendo» la creazione di una commisisone d´indagine ma rispondendo a una domanda dei giornalisti nello Studio Ovale della Casa Bianca ha detto che l´ipotesi è possibile «se e quando ci sarà la necessità di un approfondimento». Confermata in toto invece l´amnistia per gli agenti responsabili delle «tecniche» di tortura. Hanno agito «in buona fede» obbedendo agli ordini della Casa Bianca (di Bush) e non finiranno mai sotto processo. Tanto basta perché i liberal esultino (in prima fila il presidente della commissione Intelligence, senatrice Dianne Feinstein) e i conservatori ripartano all´attacco dopo una decisione (quella di pubblicare i memo) che, dicono, renderà «l´America meno sicura». Capofila della contestazione l´ex vice - presidente Cheney secondo cui il presidente - se proprio doveva render pubblici i memorandum - avrebbe dovuto rendere noti anche i documenti che elencavano i fatti positivi, ovvero «le informazioni ottenute con questi metodi», che hanno salvato «molte vite» americane. Accuse cui il presidente ha replicato: «Non sono un ingenuo: vado a letto tutte le sere preoccupandomi della sicurezza dell´America». Dopo la cauta apertura di Obama spetterà adesso al ministro della Giustizia Eric Holder decidere se aprire azioni legali contro gli avvocati della Casa Bianca responsabili. Sotto accusa potrebbero finire Jay Bybee, Steven Bradbury e John Yoo, coloro cioè che hanno firmato i quattro memo. (a. f. d´a.)

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LIBRI Gli orti felici Luciana Littizzetto e Paolo Pejrone improvvisano alle 18,30 un Due... (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

LIBRI Gli orti felici Luciana Littizzetto e Paolo Pejrone improvvisano alle 18,30 un «Duetto su sedani, piselli e melanzane», per l'uscita del volume «Gli orti felici» di Pejrone. Ikebò - Libreria Druetto, piazza Cavour 2 Incontri con l'autore La scrittrice Margherita Oggero presenta (ore 18) il suo ultimo libro «Il rosso attira lo sguardo. Quattro stagioni di relazioni pericolose». Fondazione Paolo Ferraris, via Andorno 2 Facebook Giuseppe Civati e Mattia Carzaniga presentano (ore 18) «L'amore ai tempi di Facebook». La Feltrinelli, piazza Cln 251 INCONTRI Solakov Oggi alle 11, incontro con l'artista bulgaro Nedko Solakov. Lo presentano Maria Teresa Roberto e Massimo Melotti. Accademia di Belle Arti, via Accademia Albertina 2 Egitto Conferenza (ore 17,30) sui temi della mostra «Egitto. Tesori sommersi» a cura di Alessandro Roccati. Circolo dei Lettori, via Bogino 9 Risorgimento Per il ciclo di conferenze organizzate dall'Associazione Mazziniana Italiana, alle 17 Aldo Salassa interviene sul tema «1859: il Piemonte alla ribalta europea». Ingresso libero. Convitto Nazionale Umberto I, via Bligny 1 bis Conferenze al Museo Luisa Morozzi, storico dell'arte e direttore del ministero per i Beni e le Attività Culturali, illustra alle 17 «Le collezioni d'arte piemontese al Quirinale». Gratis, prenotazione obbligatoria, tel. 011/837688 int. 3. Museo Accorsi, via Po 55 Letture Oggi (ore 17,30), lettura interpretativa multimediale sul tema «Deus absconditus. La rivelazione del "divino" nella poesia pensante dell'800 e del '900: Leopardi, Pessoa e Rilke» a cura del Collettivo di voci Woochie. Introduce Giovanni Ramella. Organizza il Centro Pannunzio. Circolo dei Lettori, via Bogino 9 Dolma Gyari La vicepresidente del Parlamento tibetano in esilio porta (ore 21) la sua testimonianza sulle violazioni dei diritti umani in Tibet. Ciriè, Villa Remmert, via Rosmini 1 Globalizzazione Alle 21, il Generale Carlo Cabigiosu parla sul tema «Fattori di instabilità nel mondo globalizzato». Ingresso libero. Circolo Ufficiali, corso Vinzaglio 6 Avventura Evento letterario (ore 21,30) dal titolo «Il libro dei viaggi - Itinerari tra le pagine di Giovanni Battista Ramusio», di Bruno Burdizzo. Con i Narratori di Macondo. Sermig, via Borgodora 61 Incontri stuzzicanti Esperti e giovani si confrontano (ore 18-19,30) su «Il lavoro stagionale, alla ricerca di un lavoro estivo». Con aperitivo. Rivoli, Informagiovani, corso Susa 128 Laghi del Piemonte La Biblioteca della Regione organizza (ore 17) la conferenza «L'altro lago - Parchi e riserve naturali del Lago Maggiore». Palazzo Lascaris, via Alfieri 15 Motori Alle 17, la Fondazione Barsanti e Matteucci di Lucca dona al museo un modello del primo motore Barsanti e Matteucci. Alla cerimonia interviene il presidente della Fondazione Pierluigi Lazzerini. Museo Nazionale dell'Automobile, Torino Esposizioni, corso Massimo d'Azeglio 15 SPETTACOLI Marginalia Stasera e domani (ore 21) la compagnia Lontani dal Centro porta in scena «Pia De' Tolomei», con Erika Fundone. Teatro Espace via Mantova 38 CINEMA Diritti umani Per il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, alle 20,30 proiezione del film «Stories on Human Rights». Gratuito. Unione Industriale, via Fanti 17 Flores Alle 21,15 il film «Signori professori» di Maura Delpero, diventa occasione per approfondire il tema «La scuola malata: insegnanti allo sbaraglio» con l'intervento della regista. CineTeatro Baretti, via Baretti 4 Artintowns Movies Doppia proiezione: alle 20,30, «All human right for all - Sguardi del cinema italiano sui diritti umani»; ore 22,30, «La classe dei gialli» di Daniele Gaglianone. Artintown, via Berthollet 25 Corti L'associazione Chicca Richelmy propone (ore 21) cortometraggi di eclettici creativi torinesi. Centro Interculturale delle donne «Alma Mater», via Norberto Rosa 13/a MOSTRE Le nuvole S'inaugura (ore 18) la mostra fotografica «Cosa sono le nuvole» di Dario Lanzardo. Fino al 31 maggio. Museo Regionale di Scienze Naturali, via Giolitti 36 VARIE Sfilata di beneficenza Lo stilista Walter Dang presenta (ore 21) la nuova linea «Catharis», omaggio alla sua regione di provenienza, l'Ariège, dove si commemorano gli 800 anni dal primo massacro dei Catari. Su invito, tel. 011/884123. Iniziativa a favore di Abibi «Amici Bimbi». Ex Tempio metodista, via Lagrange 13 a cura di Elena Del Santo giornonotte@lastampa.it

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"la francia ha fatto bene ad andare anche così si contrasta il razzismo" - anais ginori (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica, La" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Pagina 4 - Esteri L´Olocausto Gli estremisti Parla Rama Yade, sottosegretario al ministero degli Esteri: "Ottenuta una buona Dichiarazione finale" "La Francia ha fatto bene ad andare anche così si contrasta il razzismo" Nel testo approvato è stato mantenuto il paragrafo sulla Shoah è la migliore dimostrazione dell´isolamento dell´Iran Bisognava essere presenti per contraddire immediatamente gli estremisti e manifestare la nostra disapprovazione ANAIS GINORI DAL NOSTRO INVIATO PARIGI - Nessun pentimento. «Non si doveva abbandonare la tribuna dell´Onu agli estremisti. La Francia ha fatto bene a partecipare alla Conferenza per difendere i valori universali». Rama Yade, sottosegretario al ministero degli Esteri per i diritti umani, è uno dei personaggi politici più popolari del momento. I francesi apprezzano la schiettezza e una certa dose di ribellione di questa giovane donna nata in Senegal 33 anni fa. Perché la Francia ha deciso di rimanere alla conferenza anche dopo le dichiarazioni di Ahmadinejad? «Non potevamo disertare la battaglia contro il razzismo e le discriminazioni. Bisognava essere presenti per contraddire immediatamente gli estremisti e manifestare la nostra disapprovazione, come abbiamo fatto lasciando la sala durante il discorso del presidente iraniano. Ma era doveroso mantenere la nostra partecipazione alla Conferenza per difendere le nostre convinzioni e fare pressioni su chi voleva rimettere in discussione il carattere universale dei diritti umani». E´ soddisfatta del documento approvato? «Dopo aspre trattative, il testo adottato mi pare equilibrato: non supera le "linee rosse" fissate dalla Francia e dalla Ue ed è stato purgato da dichiarazioni antisemite. E´ stato cancellato anche il concetto di diffamazione delle religioni. Rispettiamo le credenze di ognuno, ma nel paese di Voltaire la critica delle religioni non deve essere un reato». Eppure molti osservatori parlano di un fallimento. «Nella dichiarazione finale ci sono invece molti punti positivi, soprattutto riguardo al tema della libertà di espressione. Nel testo si parla anche della condizione dei migranti, delle donne vittime di violenza o di tratte, vengono evocate le forme più umilianti dello sfruttamento. Faccio notare che la Dichiarazione richiama gli Stati anche a vigilare sulla condizione delle donne nel mondo del lavoro. Infine il paragrafo specifico sulla memoria dell´Olocausto è stato completamente mantenuto. Ventiquattro ore dopo l´intervento di Ahmadinejad, è questa la migliore dimostrazione dell´isolamento dell´Iran». Resta il fatto che ha usato la Conferenza per esternare al mondo dichiarazioni antisemite. «Quello che ha detto Ahmadinejad è intollerabile. Durante il suo discorso, la Francia ha subito protestato ordinando alla nostra delegazione di abbandonare la sala. E´ stato un segnale morale in una conferenza che ha, ricordiamolo, una dimensione soprattutto morale». Gli Stati Uniti, come l´Italia, rimangono convinti che fosse necessario boicottare la Conferenza. «E´ una scelta che rispetto. In questo caso, abbiamo pensato che la politica della "sedia vuota" non fosse un modo appropriato di difendere i nostri valori universali. Di fronte al rischio di manipolazioni e strumentalizzazioni era importante essere presenti per riaffermare quello in cui crediamo: la democrazia, lo Stato di diritto, la libertà di espressione, l´uguaglianza tra uomo e donna, la lotta contro l´impunità. E credo sinceramente che abbiamo raggiunto il nostro obiettivo».

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approvata in tutta fretta la dichiarazione finale il vaticano: "passi avanti" (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica, La" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Pagina 4 - Esteri Il nunzio: aperte nuove prospettive per i diritti umani Approvata in tutta fretta la Dichiarazione finale il Vaticano: "Passi avanti" GINEVRA - Grazie anche al discorso di Ahmadinejad, il vertice Onu di Ginevra sul razzismo ieri ha accelerato i suoi lavori: i delegati hanno approvato la Dichiarazione Finale, che era stata scritta e negoziata da giorni. Il testo è quello ampiamente anticipato: non contiene riferimenti espliciti ad Israele, ma si richiama alla «Durban 1», la conferenza sul razzismo del 2001 che invece indicò Israele - unico Stato fra tutti i membri dell´Onu - come autore di politiche razziste nei confronti dei palestinesi. Da registrare la poca sintonia che ancora una volta hanno espresso diverse fonti vaticane su una questione che riguarda Israele. Ieri mattina padre Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, con una lunga dichiarazione aveva rafforzato le critiche all´intervento di lunedì di Ahmadinejad. Anche l´Osservatore Romano aveva indurito la linea di commento contro Ahmadinejad, arrivando a scrivere che la conferenza «rischia di veder vanificati i suoi scopi, dopo il nuovo inaccettabile attacco a Israele». Per il nunzio vaticano a Ginevra, Silvano Tomasi, invece «il documento non è perfetto, però rispetta i punti sostanziali dei diritti umani, apre la strada a continuare a negoziare in futuro su alcuni temi che, per la prima volta, sono stati accettati universalmente». Il capo della delegazione vaticana all´Onu, che non ha abbandonato i lavori dopo l´attacco di Ahmadinejad, sostiene che «si possono migliorare certamente le condizioni per continuare a combattere contro ogni forma e manifestazione di razzismo».

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mosca, scarcerata la legale dei nemici di putin - leonardo coen (sezione: Diritti umani)

( da "Repubblica, La" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Pagina 18 - Esteri Mosca, scarcerata la legale dei nemici di Putin Svolta nel processo agli oligarchi della Yukos, accolta la richiesta di clemenza Ma l´ex patron Khodorkovskij rischia altri 20 anni di galera in un nuovo processo LEONARDO COEN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA - Il tribunale Preobrazhenski di Mosca ha ordinato la scarcerazione anticipata di Svetlana Bakhmina, ex legale della Yukos condannata il 19 aprile del 2006 a sei anni e mezzo di prigione per sottrazione di azioni della compagnia petrolifera Tomskneft e per evasione fiscale. Una decisione inattesa. Perché il 27 maggio del 2008, il tribunale distrettuale Zubovo-Polijanski della repubblica di Mordovia, dove la donna scontava la pena, aveva respinto la richiesta di liberazione anticipata: eppure aveva già scontato più di metà della pena, aveva note positive di buona condotta, e si era persino pentita. Soprattutto, madre già di due bimbi, era rimasta incinta per la terza volta. Il no di quei giudici scatenò l´indignazione dei difensori dei diritti umani e dell´opinione pubblica: la compagna di scuola Olga Kalashnikova scrisse a Medvedev una lettera aperta che finì poi sul sito www. bakhmina. ru. Nel giro di poche settimane vennero raccolte 90mila firme. Il Cremlino rimase sordo a ogni appello. Anche a quello di Mikhail Gorbaciov. Il 10 settembre del 2008, lo stesso tribunale di maggio negò ancora una nuova richiesta di scarcerazione. Il caso Bakhmina è collegato a quello ben più clamoroso, di Mikhail Khodorkovskij, patron della Yukos - la più grossa società petrolifera russa - e del suo socio Platon Lebedev, sbattuti in una galera siberiana per truffe varie ed evasione fiscale. Accuse che Khodorkovskij ha sempre contestato, «è una congiura, per smembrare la Yukos e favorire l´arricchimento di certi burocrati», e le allusioni portavano diritto al Cremlino. In effetti, il primo processo contro l´ex oligarca si è dimostrato piuttosto una resa dei conti tra fazioni avverse, con quella putiniana decisa a sbarazzarsi di un pericoloso «nemico». E proprio in questi giorni si celebra un secondo processo contro Khodorkovskij e Lebedev, in cui loro rischiano altri vent´anni di reclusione. La posta in gioco è tuttavia ben altra. Il processo Yukos è diventato ormai un test cruciale per Medvedev che ha sempre affermato il primato dello stato di diritto e ha sempre detto di voler difendere la giustizia. Forse Medvedev ha deciso che è venuto il momento di riportare le cose su un piano meno spregiudicato. La scarcerazione di un personaggio chiave come la Bakhmina apre prospettive nuove. Per capire quali, bisogna ripercorrere gli avvenimenti di questi ultimi giorni. Per tutta la settimana che ha preceduto la Pasqua ortodossa, Medvedev ha infatti dato piccoli, ma significativi segnali di distacco dalla linea «dura» che aveva invece caratterizzato i due mandati presidenziali di Putin, fiero avversario di Khodorkovskij. Disgelo nei confronti dell´opposizione - l´intervista al giornale della Politkovskaja - apertura verso le ong che si occupano di diritti umani. Dulcis in fundo, ieri il Cremlino ha annunciato che Medvedev terrà un videoblog sul sito russo di LiveJournal, la principale piattaforma utilizzata dai blogger russi, il territorio virtuale della libertà, almeno di quello che resta della libertà in Russia. «Sono indipendente», ha detto Medvedev a Dmitrij Muratov, direttore di Novaja Gazeta, quasi a ufficializzare la presa di distanza dai clan dei siloviki, gli uomini del potere «forte», che hanno in Putin il loro mentore. E tuttavia, sul delicato problema del processo Yukos, Medvedev era stato evasivo, spiegando che non era compito suo interferire. E alla presentatrice tv Svetlana Sorokina, che gli aveva chiesto di intervenire a favore della Bakhmina, il capo del Cremlino non aveva dato alcuna risposta: «Dalla sua faccia non si poteva capir proprio niente. Ha già imparato a tenere il volto impassibile. Però mi ha ascoltato con molta attenzione». Appunto. Qualcosa sta cambiando, dalle parti della Piazza Rossa.

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Razzismo, intesa all'Onu (in anticipo) (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere della Sera" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Corriere della Sera sezione: Politica data: 22/04/2009 - pag: 12 Durban II Accelerazione dei lavori, documento finale votato tre giorni prima. Sì della Francia, critici gli Usa Razzismo, intesa all'Onu (in anticipo) Israele attacca Ahmadinejad: «A Ginevra è ricomparso Hitler» Le 16 pagine richiamano la dichiarazione e il piano delineato dall'Onu a Durban otto anni fa DAL NOSTRO INVIATO GINEVRA Applausi, nessuna obiezione. Dopo mesi di negoziati, i 143 punti del documento finale sono stati approvati con tre giorni di anticipo. Navi Pillay, alto commissario per i Diritti umani, assicura che la fretta non nasce dalla paura di altre defezioni. La conferenza sul razzismo è stata boicottata da dieci Paesi (tra cui Stati Uniti, Israele e Italia) e «sono gli unici a non aver adottato il testo». Chi è rimasto, ha detto sì. I delegati europei sono tornati in sala e al tavolo delle trattative, dopo l'esodo dei ventitré diplomatici durante il discorso di Mahmoud Ahmadinejad, presidente iraniano. Le 16 pagine richiamano la dichiarazione e il piano delineato dall'Onu a Durban otto anni fa. Gli americani e gli israeliani avevano abbandonato il summit sudafricano, dopo che le nazioni arabe avevano tentato di definire il sionismo come razzista. «Anche questa volta non potevamo partecipare - ribadisce Barack Obama - Nel nuovo testo è stata incorporata una conferenza che abbiamo criticato e che aveva prodotto conclusioni contestabili». Il presidente americano attacca Ahmadinejad («parole spaventose ») e lascia aperta la possibilità del dialogo diretto con Teheran («è quello che cercheremo di ottenere»). La strategia di Washington è un «paradosso» per Benard Kouchner, ministro degli Esteri francese. «Non ha senso sabotare il vertice sul razzismo, dopo aver detto di essere pronti a negoziare con l'Iran sul nucleare. Non vogliono ascoltare Ahmadinejad a Ginevra, ma vogliono parlarci. Non è solo un paradosso, rischia di essere un errore ». Parigi considera il summit un successo: «Nel testo adottato c'è tutto quello che volevamo menzionare: l'antisemitismo, la discriminazione, la libertà d'espressione. Si parla del genocidio, dell'Olocausto, dei diritti delle donne, della tratta degli esseri umani, degli ammalati di Aids e delle persone handicappate ». Ahmadinejad è tornato a Teheran ed è stato accolto da trionfatore. Militanti all'aeroporto hanno gridato gli slogan «morte all'America» e «il regime sionista va sradicato ». Il leader iraniano ha accusato i Paesi occidentali, perché «proclamano di difendere la libertà di parola e poi non tollerano chi si oppone loro. Sarò presente a tutte le conferenze internazionali, anche se non mi vogliono». La televisione di Stato ha mostrato a ripetizione le immagini del ritorno e del discorso a Ginevra, ma ha tagliato le contestazioni e l'abbandono dell'aula da parte dei rappresentanti dei Paesi europei. I funzionari delle Nazioni Unite si sono resi conto ieri che Ahmadinejad ha modificato sul podio le frasi originali del discorso. Il testo scritto, fatto circolare dai diplomatici iraniani, definiva l'Olocausto «dubbio e ambiguo», un passaggio che il presidente ha lasciato cadere, quando ha accusato l'Occidente di aver sfruttato la Shoah come «pretesto per l'aggressione contro i palestinesi». Nel giorno dell'Olocausto, quando tutta Israele si ferma in silenzio per due minuti, il governo ha reagito alle parole del leader iraniano. Il premier Benyamin Netanyahu ha proclamato che «un nuovo sterminio non ci sarà» e Reuven Rivlin, presidente del Parlamento, ha paragonato Ahmadinejad a Hitler: «Abbiamo assistito alla sua ricomparsa, solo che questa volta ha la barba e si esprime in Farsi ». Davide Frattini

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Caccia ai gay a Baghdad (sezione: Diritti umani)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-04-22 - pag: 10 autore: Diritti umani Caccia ai gay a Baghdad Braccati. I loro nomi affissi sui muri, come pericolosi ricercati. E sotto, la scritta «cagne sarete giustiziate». Sono solo "jarwa", in arabo cagna. Li torturano, li seviziano e poi abbandonano i cadaveri davanti agli ospedali o nelle strade. Affinché siano visti da tutti, affinché gli iracheni conoscano il destino riservato a chi si è macchiato della peggiore delle colpe: l'omosessualità. La guerra dichiarata dalle milizie islamiche irachene, soprattutto quelle sciite, contro i gay è ormai senza quartiere. Secondo l'emittente araba al–Arabiya i corpi di altri sette gay sono stati abbandonati davanti all'obitorio negli ultimi giorni. Gli omicidi avvengono soprattutto a Sadr City, una misera propaggine alle porte di Baghdad abitata dalla comunità sciita. Negli ultimi due mesi la polizia ha rinvenuto oltre 30 cadaveri. Ma potrebbero essere molti di più. I carnefici non sono solo le milizie. A volte sono anche i familiari o i membri dello stesso clan. Ai loro occhi la soluzione è punirli con la morte per allontanare il disonore. Al-Arabya ha rivelato particolari raccapriccianti. L'ultima tortura inflitta ad almeno 63 gay è stata battezzata«l'adesivo dell'emiro». Alle vittime viene otturato lo sfintere anale con una colla che si può rimuovere solo in ospedale. Poi viene fatto loro ingerire un potente lassativo. La morte che sopraggiunge è dolorosissima. Sui cellulari circola già un video che mostra il supplizio. La caccia rischia di assumere proporzioni ancor più preoccupanti. Secondo un'attivista iracheno, gli omosessuali in Iraq sarebbero anche il 10% della popolazione. Anche gli imam moderati bollano come deviazione o malattia l'omosessualità. Chi è gay deve essere curato, curato per guarire. R.Bon.

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Obama apre alle indagini sulle torture degli agenti Cia (sezione: Diritti umani)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-04-22 - pag: 10 autore: Possibili incriminazioni per alti funzionari del Governo Bush Obama apre alle indagini sulle torture degli agenti Cia Mario Platero NEW YORK. Dal nostro corrispondente Barack Obama ci ha ripensato: non si potrà escludere la formazione di una commissione di inchiesta o di un processo speciale contro coloro che hanno formulato gli ordini e fornito il contesto giuridico per autorizzare le torture sui sospetti di terrorismo detenuti dalla Cia. Il cambiamento di posizione di Obama giunge dopo una serie di duri attacchi da parte dell'ala sinistra del partito democratico e dopo alcuni editoriali durissimi, fra cui uno dei New York Times di ieri mattina, contro la promessa del presidente di voler «guardare in avanti e non indietro», promessa formulata durante il suo viaggio a Langley, in Virginia, per una visita ai quartieri generali della Cia dove ha cercato di galvanizzare gli agenti e gli analisti dell'agenzia per il controspionaggio americano. Obama ha detto che un'indagine potrebbe essere possibile «al di fuori del tradizionale sistema processuale» e con la partecipazione di «personalità indipendenti al di sopra di ogni sospetto » affermando che questo «potrebbe essere il modo migliore di affrontare la cosa». «Non sto dicendo che un processo vada fatto, ma che c'è la possibilità di farlo, anche se, in generale, continuo a credere dovremmo guardare avanti piuttosto che indietro - ha ripetuto Obama durante una conferenza stampa ieri mattina con il Re di Giordania Abdullah - mi preoccupa però - ha continuato - che tutto ciò diventi un tema talmente politicizzato da farci perdere di vista quel che è realmente importante, e cioè il futuro; e che possano sorgere da nuove polemiche, degli ostacoli per la nostra capacità di portare avanti le operazioni di sicurezza nazionale». Oltre alle reazioni durissime della sua base elettorale e dell'opposizione, infuriata per la decisione iniziale di Obama di rendere pubblici documenti che avrebbero comunque aperto un vaso di Pandora, Obama si deve anche confrontare con il pericolo che parlamentari possano avviare commissioni di inchiesta autonome. Il senatore della California Dianne Feinstein ad esempio, ha già anticipato che costituirà una commissione per verificare se davvero le torture della Cia hanno portato dei risultati tangibili per migliorare la sicurezza del Paese o se i vantaggi sono stati minimi. Il presidente ha poi detto di non aver cambiato idea ma di essere semper stato "aperto" alla possibilità di indagare sui funzionari che hanno autorizzato «dall'alto» l'uso di tecniche di tortura come il waterboarding. Sotto inchiesta cioè, non finirebbero gli agenti che hanno materialmente condotto gli interrogatori, ma i funzionari della Casa Bianca o del dipartimento per la Giustizia che li hanno autorizzati. Tra questi potrebbe esserci anche lo stesso ministro della Giustizia di Bush, Alberto Gonzales, contro il quale le autorità di Madrid hanno già aperto un'istruttoria a seguito delle violenze subite da cittadini spagnoli nella base di Guantanamo. Alle richieste di «chiarezza» e «trasparenza» si era aggiunta nelle ultime ore anche l'Onu, chiarendo che gli Stati Uniti dovranno sottostare alle regole della convenzione contro la tortura esattamente come gli altri Paesi firmatari. © RIPRODUZIONE RISERVATA CEDIMENTO ALLE CRITICHE Il ministro della Giustizia deciderà se perseguire i legali autori dei pareri che consentirono il ricorso all'annegamento simulato

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Teatro itinerante nelle periferie (sezione: Diritti umani)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il Sole-24 Ore sezione: JOB 24 data: 2009-04-22 - pag: 29 autore: Arte. Rosa Stourac McCreery Teatro itinerante nelle periferie Il viaggio in giro per il mondo di Rosa Stourac McCreery si è fermato a Newcastle Upon Tyne, anonima cittadina nel nord dell'Inghilterra. Qui questa giovane artista, nata a Londra nel 1980, ha trovato il terreno giusto per la sua creazione più importante, il National Urban circus theatre attraverso cui lavora «per far avere ai giovani facilitazioni e servizi per praticare e sviluppare il circo e il teatro urbano. Per ora abbiamo il più grande skate park indoor del Nord est dell'Inghilterra – racconta – e progetti con gruppi al cui interno si trovano dai rifugiati a coloro che cercano asilo politico ai giovani emarginati». La creatività è un approccio alla vita che può esprimersi in forme diverse. «Per fare il teatro urbano servivano strutture, una parte, per esempio, le abbiamo costruite con materiali di scarto e di riciclo, cercando di portarei ragazzi a mettere tutta la loro passione nel progetto». è un lavoro difficile perché non sempre riesce ad avere la stabilità e il supporto economico di cui ha bisogno, spesso per via dell'ottusità del dipartimento per i giovani del Comune della città dove vive. Nel progetto che ha messo in piedi crede fortemente perché «i giovani sono dopotutto i principali esperti di che cosa significhi essere giovani e possono prendere decisioni su questioni che riguardano loro stessi e dopotutto anche il futuro delle comunità. Il teatro si può usare per lavorare con persone giovani, dagli interessi diversi, anche marginalizzate, per aiutare le comunità ad esprimere il loro potenziale e a trovare soluzioni ai problemi. Anche sociali. Rosa Stourac McCreery questo lo sa bane. Ha passato la maggior parte della sua vita al seguito del padre e della madre che nella Londra degli anni '70 hanno fondato due compagnie "politiche", come lei stessa le definisce. «Lavoravano con il sindacato, recitavano nelle fabbriche occupate, con i gruppi di immigrati e di emarginati »,racconta.In Inghilterra,ma anche in giro per il mondo, in paesi difficili dove è arrivata la svolta. «Ero ancora una ragazzina quando mia madre mi portò in Zimbabwe ad uno dei workshop. Era in una missione di recupero per giovani emarginati, responsabili di piccoli crimini», continua. Prima di quell'esperienza Rosa nel suo futuro vedeva un lavoro per un'organizzazione di diritti umani. In mente aveva Amnesty international. Poi però «ho capito che avrei potuto usare il teatro per lavorare con i giovani e i bambini. è un teatro il mio che non si basa fortemente sul parlato, ma sulle figure e sulla fisicità che vanno al di là delle parole». Dopo aver studiato Performing arts alla Middlesex University, alla Resad theatre school di Madrid,all'International theatre school, Jacques Lecoq di Parigi, adesso Rosa vive a Newcastle Upon Tyne dove porta avanti il National Urban circus theatre. Con il sogno che possadiventare un modello per un futuro più umano e sostenibile anche per i giovani. © RIPRODUZIONE RISERVATA In scena. Rosa Stourac McCreery

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Hanno avuto torto gli assenti e i preveggenti (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

DURBAN II Hanno avuto torto gli assenti e i preveggenti Alberto D'Argenzio BRUXELLES BRUXELLES Gli assenti hanno sempre torto, si dice. A volte anche i preveggenti, soprattutto quelli che pre-vedono ciò che dicono gli altri, ma non vedono ciò che succede in casa loro. Ieri i delegati di oltre cento paesi presenti a Ginevra per la Conferenza della Nazioni unite hanno approvato per acclamazione la travagliata e discussa dichiarazione Durban II contro il razzismo e la discriminazione (in quasi tutte le sue forme). CONTINUA|PAGINA11 Mancavano, e si sapeva da giorni, Stati uniti, Israele, Italia, Olanda, Polonia, Germania, Canada, Australia, Nuova Zelanda e ieri, dopo il discorso incendiario di Ahmadinejad, si è ritirata anche la Repubblica Ceca. «Siamo stati preveggenti», ha detto Berlusconi puntando il dito sulle parole di fuoco dell'iraniano. «La Conferenza non è stata assolutamente un fallimento, ma l'inizio di un successo», ribatte il ministro degli esteri francesi Bernard Kouchner. Nel testo si parla di razzismo, anche contro Rom e migranti, temi su cui l'Italia è stata ripresa la settimana scorsa dal Consiglio d'Europa. Il fallimento è stato in primis di Ahmadinejad, che con le sue parole ha mosso cumuli di indignazione, ha fatto uscire 30 delegazioni dalla sala, si è guadagnato le critiche di oltre mezzo mondo, ma non ha cambiato poi molto sul campo, se si eccettua la diserzione di Praga, Presidente di turno della Ue, e l'accelerazione dei lavori. Per evitare nuovi ripensamenti e soprattutto nuove strumentalizzazioni, l'approvazione è stata infatti anticipata da venerdì a ieri, d'altronde il testo era già stato negoziato palmo a palmo la settimana scorsa. Certo al testo qualcosa manca, come il riferimento alla discriminazione verso gli omosessuali, un tema scomodo tanto per i paesi musulmani quanto per il Vaticano (e non solo). Ma comunque la Conferenza segna un prima e un dopo, non solo per quello che dice ma anche perché Occidente (quello che ha partecipato ai lavori) e paesi islamici sono riusciti in un complesso lavoro di sintesi e mediazione che condanna il razzismo quasi a tutto campo e che ha di fatto lasciato il partito degli assenti praticamente senza argomenti, appeso solo ad un riferimento nel testo a Durban I, in cui allora sì, si bollava Israele come Stato razzista. «L'Italia - diceva ancora ieri il ministro degli esteri Franco Frattini - si rallegrerebbe se le conclusioni cancellassero quelle della conferenza precedente, dicessero che l'Olocausto è la più grande tragedia del ventesimo secolo e non parlasse di razzismo in riferimento a Israele. La speranza è l'ultima a morire». Dopo la ragione. Nel paragrafo 66 si parla dell'Olocausto, che «non deve mai essere dimenticato» (e anche così la dichiarazione è stata firmata anche dall'Iran) mentre dal testo è sparito il riferimento alle politiche di Israele nei Territori occupati e anche quello alla recente invasione di Gaza. Rimane sì il riferimento a Durban I, a quello pensano i nove paesi che sono rimasti a casa a guardare. A quello, e alle parole del Presidente iraniano. Il che nasconde anche un certo paradosso, se non un «errore» politico, sottolinea ancora Kouchner. Washington, la tesi del francese, vuole da un lato riannodare il dialogo diplomatico con Teheran e dall'altro diserta la Conferenza di Ginevra, in cui si parla di dialogo. Un discorso che vale anche per il preveggente governo italiano, che da mesi cerca di entrare nel gruppo di contatto europeo con l'Iran, dopo che già ne è già il primo partner commerciale tra i 27, ma che poi fa riferimento a parole e frasi del Presidente iraniano, peraltro non certo nuove, per motivare un'assenza che puzza di torto. Nel testo si parla di relazione «tra povertà e razzismo», di necessità, da parte «degli Stati, di prendere urgenti misure per combattere la persistenza di attitudini xenofobe», vengono condannati le violenze e gli stereotipi sui migranti, anche quelli espressi dai politici. E c'è spazio per la protezione di chi chiede asilo e di chi emigra, come per la condanna della schiavitù e della tratta di esseri umani. Ci sono articoli contro la discriminazione sulla donna e per la prima volta a questo livello si citano i malati di Aids e i disabili mentre non vi è traccia della «diffamazione di religione», un passaggio invocato dal mondo islamico ma sforbiciato dall'occidente per le sue possibili ricadute sulla libertà di espressione. E per la prima volta si parla di Rom e Sinti, della «violenza che ancora colpisce profondamente» queste comunità. Secondo il diplomatico russo Yuri Boychenko, uno degli uomini chiavi per arrivare alla quadratura del cerchio, il paragrafo fa esplicito riferimento «ad una situazione molto specifica dell'Europa». Per Navi Pillay, l'Alta Commissaria per i diritti umani dell'Onu, la necessità di agire è chiara: «dal 2001 ad oggi la situazione dei gruppi più vulnerabili è solo peggiorata». Un'altra ragione per esserci. alberto d'argenzio

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Obama apre la porta al processo alle torture (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

USA Il presidente non scarta un'inchiesta sugli «interrogatori» Obama apre la porta al processo alle torture Matteo Bosco Bortolaso Il processo alle torture dell'era Bush si farà. Ieri il presidente Barack Obama ha aperto la porta all'idea di una commissione speciale per indagare - ed eventualmente punire - i responsabili di metodi di interrogatorio inumani. «Se e quando servirà un resoconto più completo dell'accaduto, penso che il Congresso ne dovrà esaminare le modalità, in maniera bipartisan», ha detto Obama rispondendo alle domande dei giornalisti durante una mini-conferenza stampa seguita all'incontro con il re Abdullah di Giordania, che ieri era in visita a Washington. Il presidente ha precisato che il Congresso dovrà evitare lo stile «da udienza», che spesso «corre lungo le linee di partito». Bisogna invece «adottare un approccio più assennato». Obama ha misurato accuratamente quel che diceva: non si deve «dare ad una parte o all'altra il vantaggio politico, si deve invece imparare le lezioni dal passato e andare avanti in maniera efficace». Il problema, continua il presidente, è spinoso: portare le torture sotto i rifettori rischia di creare un dibattito «così politicizzato che potremmo ritrovarci bloccati, impossibilitati ad andare avanti in maniera efficace, ostacolati in operazioni critiche per la sicurezza nazionale». E' perciò improbabile che la Casa Bianca adotti l'idea di una «commissione per la verità», propugnata nei mesi scorsi da due parlamentari democratici, il senatore Patrick Leahy del Vermont e il deputato John Conyers del Michigan. Comunque, annotano i giornalisti del sito Politico.com, «i commenti di Obama erano nettamente più positivi nei confronti di questa idea rispetto alle reazioni di altri funzionari alla Casa Bianca, che avevano bocciato ripetutamente la proposta» della commissione. Il presidente ha già detto altre volte che le spie responsabili delle torture non saranno processate. Diversa, invece, la situazione per gli esperti di diritto che hanno scritto i documenti che hanno reso legali le torture. In altre parole: va punito il cervello, non il braccio. Ieri il presidente ha comunque precisato che a decidere sarà «il ministro della giustizia, soppesando i parametri di varie leggi, e non voglio pregiudicare questo processo» perché «stiamo parlando di argomenti molto complicati». Gli autori delle carte della tortura sono John Yoo, Jay Bybee e Steven Bradbury, che - non a caso - sono pure i protagonisti di un rapporto che l'ufficio etico del dipartimento di giustizia sta preparando. Gli insider dicono che il documento è fortemente critico nei confronti del terzetto, che potrebbe andar contro a sanzioni. Forse anche accuse per crimini, ma è improbabile. Sempre secondo i ben informati, a dirigere l'indagine potrebbe essere John Durham, magistrato che ha passato oltre un anno indagando sulla distruzione dei nastri della Cia che provano gli interrogatori più raccapriccianti. Il dibattito politico sulle torture, naturalmente, è già esploso. Anche Dick Cheney, ex numero due alla Casa Bianca di George W. Bush, ha detto la sua. Parlando con Fox News, il vicepresidente dell'era repubblicana ha rivendicato l'efficacia del waterboarding, la simulazione dell'annegamento, e delle altre tecniche utilizzate dalle spie Usa contro i presunti terroristi. Il falco, vero e proprio architetto della guerra al terrore targata Bush, ha chiesto alla Cia di declassificare nuovi documenti che, a suo dire, proverebbero che la tortura dà buoni risultati. La tesi di Cheney è contestata dal New York Times, giornale che a più riprese ha scritto dell'inefficacia del waterboarding. La posizione dell'ex numero due è attaccata da Obama a livello filosofico: durante il suo discorso di insediamento, il presidente aveva detto che quella tra i valori («non si tortura») e la sicurezza («ma dobbiamo evitare un nuovo 11 settembre») è una «falsa scelta». Da sinistra, invece, Dianne Feinstein, una democratica californiana che guida la commissione intelligence del Senato, chiede a Obama di aspettare i risultati di un'indagine che la stessa commissione ha avviato. Ci vorranno altri sei o otto mesi. Pure la commissione per i servizi armati sta preparando un rapporto sulle tecniche di interrogatorio. Il processo all'era Bush, insomma, andrà avanti a lungo.

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I suicidi in carcere e l'etica della responsabilità (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

FUORILUOGO I suicidi in carcere e l'etica della responsabilità Sandro Margara La metto così: il carcere è, e in sostanza è sempre stato, una questione totale: cioè, una questione in ogni suo aspetto, un continuum di criticità, che si tengono tutte fra loro. La questione dei suicidi in carcere, a mio avviso, va letta così. Nel contesto del carcere, per dire una cosa ovvia, tutto quello che dovrebbe rilevare sul nostro tema è la sua vivibilità o la sua invivibilità. Il discorso potrebbe allora svilupparsi nella ricostruzione di tutti i fattori e dinamiche di invivibilità, non pochi e non leggeri. Poi, bisognerebbe attuare una strategia dell'attenzione nei confronti di coloro che soffrono in modo speciale la invivibilità. Ma c'è, indubbiamente, a monte di questi aspetti, un primo punto che non può essere ignorato: ed è quella che potrebbe essere chiamato la «vivibilità dell'arresto», che ha un proprio rilievo, provato dal dato statistico (ricavato dal libro di Baccaro e Morelli: «Il carcere: del suicidio e di altre fughe», letto in bozza) che il 28% dei suicidi in carcere si verificano entro i primi dieci giorni e il 34% entro il primo mese. Sotto questo profilo del «tintinnio delle manette», il carcere fa solo da cornice al precipitare di vicende individuali, rispetto alle quali un sistema di attenzione degli operatori non è facile, specie in presenza di certe strategie processuali. Naturalmente, c'è chi dirà: «Non vorrai mica che il carcere non faccia paura?». Ma veniamo ai fattori di invivibilità del carcere, subìti e sofferti da tutti e da alcuni fino a rinunciare alla vita. Il primo è quello legato al sovraffollamento, che ha due aspetti a cominciare dal fatto di vivere a ridosso immediato di altre vite, il levarsi reciprocamente l'aria, il che non è affatto poco (gli esperimenti per le scimmie dicono che diventano nervose: e gli uomini?). Ma poi, in una struttura sovraffollata, inevitabilmente le disfunzioni sono infinite. Si lotta per sopravvivere a livelli minimi. Il Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio di Europa (Cpt), ha considerato la situazione di sovraffollamento in carcere, come «trattamento inumano e degradante». Tanto maggiore sarà la invivibilità quanto più si accompagnerà alle lunghe permanenze in cella, a fare della cella il luogo di una vita invivibile. E la normalità, in situazioni del genere, è che dalla cella si esce solo per brevi periodi «d'aria», ma non per lavorare o per altre attività né, per molti dei detenuti (stranieri, persone sbandate per le ragioni più varie, etc.), per avere colloqui con i familiari. E' possibile costruire prospettive di uscita da queste situazioni? Lo impediscono: la povertà delle risorse organizzative del carcere su questo versante, le risposte sempre più difficili e spesso negative della magistratura, lo stesso ridursi delle possibilità o la mancanza di queste per la fascia sempre più numerosa degli stranieri, che attendono solo l'espulsione (nei grandi carceri metropolitani sono ormai ben oltre il 50%, ma anche la media nazionale si avvicina al 40%). C'era una volta un Ordinamento penitenziario che dava delle speranze di permessi di uscita, di misure alternative, ma anche questi spazi si sono sempre più ristretti - per leggi forcaiole e per magistrati condizionati dal clima sociale che le produce - e le speranze si sono trasformate in delusioni. D'altronde, il suicidio non è l'unico prodotto della invivibilità delle carceri: lo sono anche i tentati suicidi, come pure, spesso difficili da distinguere dai primi, i gesti autolesionistici. Tutto insieme, si arriva vicini all'inferno. C'è, comunque, una campagna della amministrazione penitenziaria per individuare e agire a sostegno dei soggetti più a rischio. Ma non si può sperare che questo serva quando gli sforzi necessari sono limitati da poche risorse, destinati a durare per poco tempo, come accaduto in passato, affidati ad un sistema di sorveglianza psicologica e psichiatrica mai costruito adeguatamente: il tutto sempre dentro quelle condizioni di invivibilità che si mantengono e si concorre anzi ad aggravare, come dimostra l'accelerazione delle dinamiche di sovraffollamento. Tento una conclusione. Sentire, tutti, la responsabilità di questi morti e del carcere che li produce è una scelta etica desueta.

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Obama non chiude con l'Iran Israele: Ahmadinejad è Hitler (sezione: Diritti umani)

( da "Unita, L'" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Obama non chiude con l'Iran Israele: Ahmadinejad è Hitler UMBERTO DE GIOVANNANGELI Bolla come «incredibili e false» le accuse di Mahmoud Ahmadinejad a Israele. Nello stesso tempo, però, ribadisce la sua intenzione di «portare avanti il dialogo» con Teheran. Barack Obama «usa» l'incontro alla Casa Bianca con il re di Giordania Abdallah II per tornare sullo «show» di Ahmadinejad alla Conferenza Onu sul razzismo. Il presidente Usa sottolinea che questo tipo di dichiarazioni - «spaventose e criticabili» - ha solo l'effetto di «danneggiare ulteriormente» il ruolo dell'Iran nella comunità internazionale. CONDANNA E Aperture Quelle accuse a Israele, sottolinea Obama, sono «incredibili e false», da condannare con la massima fermezza. Obama ricorda che i delegati di diverse nazioni sono usciti dalla sala di Ginevra durante il discorso del presidente iraniano. La condanna di quel discorso è netta, dura, senza sconti. Ma questo non pone fine alla strategia del dialogo con Teheran che connota l'Amministrazione democratica Usa. Il giorno della condanna è anche il giorno del rilancio dell'impegno americano nell'imprimere una svolta strategica nel processo di pace Israele-palestinese. In questa ottica, il presidente Usa annuncia la sua intenzione di invitare alla Casa Bianca presto i leader di Israele, dell'Autorità nazionale palestinese e dell'Egitto per colloqui separati sul processo di pace. «Con ciascuno di loro il presidente Obama discuterà come gli Stati Uniti possono rafforzare la nostra partnership con loro - spiega il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs- così come le iniziative che le parti dovranno adottare per raggiungere la pace tra Israele ed i palestinesi e tra Israele ed i Paesi arabi». Da Washington a Ginevra. Alla Conferenza dell'Onu sul razzismo è approvato per acclamazione il documento finale che non presenta modifiche rispetto al testo concordato dai negoziatori venerdì scorso. Nel prendere atto del via libera al documento, il presidente della Conferenza, il ministro della Giustizia keniano, Amos Wako, lo ha definito «un risultato storico» che dimostra come «si possa partecipare costruttivamente e raggiungere un accordo». GINEVRA APPROVA L'adozione della dichiarazione finale da parte della Conferenza dell'Onu sul razzismo costituisce la «risposta giusta» alle polemiche - anche alla luce dell'intervento del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad - suscitate dalla conferenza, ha affermato Ginevra l'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani Navi Pillay. L'Alto commissario sottolinea che il testo approvato ricorda tra l'altro che l'Olocausto «non dovrà mai essere dimenticato». Per Pilay l'approvazione del testo è un successo. «Il fatto che il documento sia stato adottato da tutti gli Stati (membri dell'Onu) tranne nove è la nostra risposta, quello che chiamerei un successo», in una conferenza stampa. «Il documento non è perfetto, però rispetta i punti sostanziali dei diritti umani, apre la strada a continuare a negoziare in futuro su alcuni temi che, per la prima volta, sono stati accettati universalmente». È questo il commento sostanzialmente positivo di mons. Silvano Tomasi osservatore permanente della Santa Sede all'Onu di Ginevra e capo delegazione vaticano alla conferenza sul razzismo, al documento approvato oggi al forum in Svizzera. «Se si continua su questa buona volontà di negoziare e - sottolinea Tomasi ai microfoni della Radio Vaticana - di non entrare in formule particolari di pregiudizi verso uno Stato o l'altro, o discriminazioni verso un gruppo religioso o l'altro, si possono migliorare certamente le condizioni per continuare a combattere contro ogni forma e manifestazione di razzismo». ISRAELE SOTTO CHOC A capo chino, immobili per due minuti all'ululato delle sirene, gli israeliani hanno sospeso ieri le loro attività per rendere omaggio ai sei milioni di ebrei trucidati dai nazisti nella seconda guerra mondiale. Come ogni anno nel 27° giorno del mese ebraico di Nissan i dirigenti del Paese si sono presentati nei luoghi-simbolo dello Stato: la Knesset (parlamento), dove hanno rievocato i parenti sterminati nei lager, e il museo dell'Olocausto Yad va-Shem, da dove hanno lanciato messaggi di carattere generale. Centrati quest'anno sulla Conferenza sul razzismo Durban-2 di Ginevra e sull'incendiario intervento del presidente dell'Iran. Per il suo odio viscerale verso Israele, ha detto il capo dello Stato Shimon Peres, Ahmadinejad ricorda da vicino Adolf Hitler e Joseph Stalin. «Le camere a gas sono scomparse, ma il veleno (dei sentimenti antiebraici) continua a propagarsi», denuncia Peres. «Ieri (lunedì, ndr.) abbiamo visto il ritorno di Hitler, solo che questa volta ha la barba e si esprime in Farsi», ha esclamato il presidente della Knesset Reuven Rivlin (Likud). Identica la sensazione del caricaturista di Haaretz che ha mostrato ieri il presidente iraniano in divisa militare, incorniciato da un panorama decisamente alpino: al posto della croce uncinata, su un braccio, ostenta la bandiera svizzera. Condanna e dialogo. Così Barack Obama risponde all'intervento di Ahmadinejad alla Conferenza Onu sul razzismo. Nel giorno della Memoria, lo Stato ebraico rilancia la sua accusa: in Iran governa il nuovo Hitler.

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Bolla come incredibili e false le accuse di Mahmoud Ahmadinejad a Israele. Nello stesso ... (sezione: Diritti umani)

( da "Unita, L'" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Bolla come «incredibili e false» le accuse di Mahmoud Ahmadinejad a Israele. Nello stesso tempo, però, ribadisce la sua intenzione di «portare avanti il dialogo» con Teheran. Barack Obama «usa» l'incontro alla Casa Bianca con il re di Giordania Abdallah II per tornare sullo «show» di Ahmadinejad alla Conferenza Onu sul razzismo. Il presidente Usa sottolinea che questo tipo di dichiarazioni - «spaventose e criticabili» - ha solo l'effetto di «danneggiare ulteriormente» il ruolo dell'Iran nella comunità internazionale. CONDANNA E Aperture Quelle accuse a Israele, sottolinea Obama, sono «incredibili e false», da condannare con la massima fermezza. Obama ricorda che i delegati di diverse nazioni sono usciti dalla sala di Ginevra durante il discorso del presidente iraniano. La condanna di quel discorso è netta, dura, senza sconti. Ma questo non pone fine alla strategia del dialogo con Teheran che connota l'Amministrazione democratica Usa. Il giorno della condanna è anche il giorno del rilancio dell'impegno americano nell'imprimere una svolta strategica nel processo di pace Israele-palestinese. In questa ottica, il presidente Usa annuncia la sua intenzione di invitare alla Casa Bianca presto i leader di Israele, dell'Autorità nazionale palestinese e dell'Egitto per colloqui separati sul processo di pace. «Con ciascuno di loro il presidente Obama discuterà come gli Stati Uniti possono rafforzare la nostra partnership con loro - spiega il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs- così come le iniziative che le parti dovranno adottare per raggiungere la pace tra Israele ed i palestinesi e tra Israele ed i Paesi arabi». Da Washington a Ginevra. Alla Conferenza dell'Onu sul razzismo è approvato per acclamazione il documento finale che non presenta modifiche rispetto al testo concordato dai negoziatori venerdì scorso. Nel prendere atto del via libera al documento, il presidente della Conferenza, il ministro della Giustizia keniano, Amos Wako, lo ha definito «un risultato storico» che dimostra come «si possa partecipare costruttivamente e raggiungere un accordo». GINEVRA APPROVA L'adozione della dichiarazione finale da parte della Conferenza dell'Onu sul razzismo costituisce la «risposta giusta» alle polemiche - anche alla luce dell'intervento del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad - suscitate dalla conferenza, ha affermato Ginevra l'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani Navi Pillay. L'Alto commissario sottolinea che il testo approvato ricorda tra l'altro che l'Olocausto «non dovrà mai essere dimenticato». Per Pilay l'approvazione del testo è un successo. «Il fatto che il documento sia stato adottato da tutti gli Stati (membri dell'Onu) tranne nove è la nostra risposta, quello che chiamerei un successo», in una conferenza stampa. «Il documento non è perfetto, però rispetta i punti sostanziali dei diritti umani, apre la strada a continuare a negoziare in futuro su alcuni temi che, per la prima volta, sono stati accettati universalmente». È questo il commento sostanzialmente positivo di mons. Silvano Tomasi osservatore permanente della Santa Sede all'Onu di Ginevra e capo delegazione vaticano alla conferenza sul razzismo, al documento approvato oggi al forum in Svizzera. «Se si continua su questa buona volontà di negoziare e - sottolinea Tomasi ai microfoni della Radio Vaticana - di non entrare in formule particolari di pregiudizi verso uno Stato o l'altro, o discriminazioni verso un gruppo religioso o l'altro, si possono migliorare certamente le condizioni per continuare a combattere contro ogni forma e manifestazione di razzismo». ISRAELE SOTTO CHOC A capo chino, immobili per due minuti all'ululato delle sirene, gli israeliani hanno sospeso ieri le loro attività per rendere omaggio ai sei milioni di ebrei trucidati dai nazisti nella seconda guerra mondiale. Come ogni anno nel 27° giorno del mese ebraico di Nissan i dirigenti del Paese si sono presentati nei luoghi-simbolo dello Stato: la Knesset (parlamento), dove hanno rievocato i parenti sterminati nei lager, e il museo dell'Olocausto Yad va-Shem, da dove hanno lanciato messaggi di carattere generale. Centrati quest'anno sulla Conferenza sul razzismo Durban-2 di Ginevra e sull'incendiario intervento del presidente dell'Iran. Per il suo odio viscerale verso Israele, ha detto il capo dello Stato Shimon Peres, Ahmadinejad ricorda da vicino Adolf Hitler e Joseph Stalin. «Le camere a gas sono scomparse, ma il veleno (dei sentimenti antiebraici) continua a propagarsi», denuncia Peres. «Ieri (lunedì, ndr.) abbiamo visto il ritorno di Hitler, solo che questa volta ha la barba e si esprime in Farsi», ha esclamato il presidente della Knesset Reuven Rivlin (Likud). Identica la sensazione del caricaturista di Haaretz che ha mostrato ieri il presidente iraniano in divisa militare, incorniciato da un panorama decisamente alpino: al posto della croce uncinata, su un braccio, ostenta la bandiera svizzera.

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I cento anni di Rita. Auguri! (sezione: Diritti umani)

( da "Unita, L'" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

I cento anni di Rita. Auguri! IL COMPLEANNOLa senatrice a vita Rita Levi Montalcini compie oggi cento anni. Nota in tutto il mondo per aver vinto il Nobel per la Medicina nel 1986, la scienziata piemontese si batte da anni per i diritti umani e l'emancipazione femminile. Tanti auguri da «l'Unità».

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La politica della paura che rende rigida l'Europa (sezione: Diritti umani)

( da "Unita, L'" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

La politica della paura che rende «rigida» l'Europa ROSI BRAIDOTTI Alla fine ufficiale del postmodernismo, nessuna concezione è più contestata di quella delle identità multiple e complesse. Questa estrema difficoltà con la complessità ovvero il ritorno a modalità di appartenenza stabili e precise si deve in larga misura al nostro contesto storico. Viviamo oggi in uno spazio sociale molto ansioso, in un mondo preso nella spirale di violenza delle guerre di civiltà. Non è il momento adatto per guardarsi dentro e riflettere e per porsi degli interrogativi, ma siamo piuttosto incoraggiati a schierarci e a dire ad alta voce e in modo chiaro da che parte stiamo. A chiunque ci guardasse dall'esterno sembreremmo inevitabilmente una combriccola alquanto buffa in precario equilibrio sull'orlo di continue esplosioni di nazionalismo ed espansionismo. Non diversamente dai personaggi del film di Woody Allen potremmo dire: «ogni volta che ascoltiamo la Nona sinfonia di Beethoven ci viene voglia di invadere la Polonia» (la citazione giusta in Misterioso omicidio a Manhattan è: «Ogni volta che ascolto Wagner mi viene l'impulso di invadere la Polonia», NdT) - ed eccoci pronti a difendere i nostri confini varcando quelli degli altri. La profondità del senso di spossessamento cognitivo ed emotivo che sembra colpire persone altrimenti normali e dotate di un buon equilibrio al minimo accenno alle complessità e magari alle lievi contraddizioni del loro senso di identità è stato esemplificato come meglio non si poteva nelle ultime settimane e negli ultimi mesi dalle polemiche sulla nostra molto postmoderna famiglia reale. Il commento di Sua Altezza Reale, la Principessa Maxima, sul rapporto della «Wetenschappelijke Raad voor het Regeringsbeleid» secondo cui forse potrebbe non esistere una identità olandese completamente autonoma, unitaria e sempre ovvia, ha suscitato la rabbia e la delusa disapprovazione del 75% della popolazione olandese - la maggior parte dei quali non hanno letto nemmeno una riga del rapporto in questione. Attualmente circola nella nostra società un profondo senso di paura e insicurezza: di cosa esattamente abbiamo paura? UNA NUOVA ECONOMIA POLITICA Viviamo in realtà in tempi strani e strane cose stanno accadendo! Circolano alcune vulgate che ripetono temi familiari: uno è l'inevitabilità delle economie capitalistiche di mercato quale forma storicamente dominante del progresso umano (Fukuyama, 1989, 2002). Un'altra è un marchio contemporaneo di essenzialismo biologico sotto il manto del «gene egoista» (Dawkins, 1976) e della nuova psicologia evoluzionistica. Un altro rimbombante ritornello è che Dio non è morto. La frase di Nietzsche suona vuota nello spettro della politica globale contemporanea. Viviamo ora in uno spazio sociale militarizzato sotto la pressione di crescenti misure di sicurezza e di una escalation di stati di emergenza. La dottrina della Guerra fredda, della Distruzione Reciproca Concordata (Mad) si e' andata trasformando nel concetto globale di Distruzione Garantita (Sad). La paranoia nucleare ha lasciato il passo alla politica virale; di qui la necessità di cautelarsi rispetto a tutte le eventualità: gli incidenti sono imminenti e certi - le armi di contaminazione di massa sono immagazzinate dappertutto, a partire dal cibo che mangiamo. È solo una questione di tempo: l'epidemia, o catastrofe, scoppierà certamente. I graffiti sui muri della Tate Modern Gallery a Londra sono eloquenti: «dopo la guerra fredda il riscaldamento globale!». In questo contesto l'attivismo politico di massa è stato sostituito, specialmente dopo l'11 settembre 2001, dal lutto collettivo pubblico. La politica della malinconia è diventata dominante: dopo essere stati Mad («Matti»), ora siamo tutti Sad («Tristi»). O, per dirla con le parole di un altro detto popolare: «Dio è morto, Marx è morto e anche io non mi sento tanto bene!» (ancora una citazione di Woody Allen, «Io e Annie», NdT). Ovviamente ci sono molte cose per cui sentirsi in lutto considerato il pathos della nostra politica globale: il nostro orizzonte sociale è offuscato dalla guerra e destinato alla morte. Viviamo in una cultura in cui gente che si dice religiosa uccide per il «diritto alla vita». Inoltre la vulnerabilità del corpo è aggravata dalle grandi epidemie: Hiv, Ebola, Sars o influenza aviaria o altre malattie più tradizionali quali la tubercolosi e la malaria. La salute è diventata qualcosa di più di una questione di politica pubblica: è una questione che attiene ai diritti umani e alla difesa nazionale. Mentre proliferano rimedi new age di ogni sorta e si diffonde lo yoga planetario, la nostra sensibilità ha imboccato una strada che definisco da «medicina legale»: la «nuda vita», come sostiene Agamben, segna i confini liminali di una probabile privazione - infiniti gradi di avvicinamento alla morte. Hal Foster descrive la nostra politica culturale schizoide come «realismo traumatico» - ossessione delle ferite, del dolore e della sofferenza. Il proliferare del Panocticon medico produce una patografia globale (Seltzer, 1997). La filosofia politica riflette questo stato d'animo - sia riscoprendo con Derrida (2002) i fondamenti mistici del Diritto e dell'autorità politica che rivolgendoci alla teologia politica di Schmidt (Schmidt, 1996), ci siamo definitivamente allontanati dal secolarismo «alto». Preferisco sorvolare sulla popolarità di Leo Strauss (Norton, 2004) nel pensiero politico conservatore, neo-teologico americano. Ora che persino Francis Fukuyama si è dichiarato «ex neo-con», la questione sembra superata. La cultura del lutto e l'economia politica della malinconia sono dominanti - non sono né reattive né necessariamente negative. Diversi teorici critici sostengono con forza l'ipotesi della natura produttiva della malinconia e della sua potenziale capacità di creare solidarietà (Gilroy, 2004; Butler, 2004a). Sono anche convinta che la malinconia esprime una forma di lealtà attraverso l'identificazione con la ferita degli altri e quindi promuove l'ecologia dell'appartenenza sostenendo la memoria collettiva del trauma o del dolore. Credo piuttosto che la politica della malinconia sia diventata talmente dominante nella nostra cultura da finire per assumere le sembianze di una profezia che si auto-avvera e che, quindi, lascia margini esigui ad approcci alternativi. Traduzione di Carlo Antonio Biscotto La filosofa Rosi Braidotti, docente di Women's Studies all'Università di Utrecht e ospite della Biennale democrazia, sferra un attacco all'eurocentrismo e alle identità «rigide» dei paesi dell'Unione.

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Alla fine ufficiale del postmodernismo, nessuna concezione è più contestata di quella dell... (sezione: Diritti umani)

( da "Unita, L'" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Alla fine ufficiale del postmodernismo, nessuna concezione è più contestata di quella delle identità multiple e complesse. Questa estrema difficoltà con la complessità ovvero il ritorno a modalità di appartenenza stabili e precise si deve in larga misura al nostro contesto storico. Viviamo oggi in uno spazio sociale molto ansioso, in un mondo preso nella spirale di violenza delle guerre di civiltà. Non è il momento adatto per guardarsi dentro e riflettere e per porsi degli interrogativi, ma siamo piuttosto incoraggiati a schierarci e a dire ad alta voce e in modo chiaro da che parte stiamo. A chiunque ci guardasse dall'esterno sembreremmo inevitabilmente una combriccola alquanto buffa in precario equilibrio sull'orlo di continue esplosioni di nazionalismo ed espansionismo. Non diversamente dai personaggi del film di Woody Allen potremmo dire: «ogni volta che ascoltiamo la Nona sinfonia di Beethoven ci viene voglia di invadere la Polonia» (la citazione giusta in Misterioso omicidio a Manhattan è: «Ogni volta che ascolto Wagner mi viene l'impulso di invadere la Polonia», NdT) - ed eccoci pronti a difendere i nostri confini varcando quelli degli altri. La profondità del senso di spossessamento cognitivo ed emotivo che sembra colpire persone altrimenti normali e dotate di un buon equilibrio al minimo accenno alle complessità e magari alle lievi contraddizioni del loro senso di identità è stato esemplificato come meglio non si poteva nelle ultime settimane e negli ultimi mesi dalle polemiche sulla nostra molto postmoderna famiglia reale. Il commento di Sua Altezza Reale, la Principessa Maxima, sul rapporto della «Wetenschappelijke Raad voor het Regeringsbeleid» secondo cui forse potrebbe non esistere una identità olandese completamente autonoma, unitaria e sempre ovvia, ha suscitato la rabbia e la delusa disapprovazione del 75% della popolazione olandese - la maggior parte dei quali non hanno letto nemmeno una riga del rapporto in questione. Attualmente circola nella nostra società un profondo senso di paura e insicurezza: di cosa esattamente abbiamo paura? UNA NUOVA ECONOMIA POLITICA Viviamo in realtà in tempi strani e strane cose stanno accadendo! Circolano alcune vulgate che ripetono temi familiari: uno è l'inevitabilità delle economie capitalistiche di mercato quale forma storicamente dominante del progresso umano (Fukuyama, 1989, 2002). Un'altra è un marchio contemporaneo di essenzialismo biologico sotto il manto del «gene egoista» (Dawkins, 1976) e della nuova psicologia evoluzionistica. Un altro rimbombante ritornello è che Dio non è morto. La frase di Nietzsche suona vuota nello spettro della politica globale contemporanea. Viviamo ora in uno spazio sociale militarizzato sotto la pressione di crescenti misure di sicurezza e di una escalation di stati di emergenza. La dottrina della Guerra fredda, della Distruzione Reciproca Concordata (Mad) si e' andata trasformando nel concetto globale di Distruzione Garantita (Sad). La paranoia nucleare ha lasciato il passo alla politica virale; di qui la necessità di cautelarsi rispetto a tutte le eventualità: gli incidenti sono imminenti e certi - le armi di contaminazione di massa sono immagazzinate dappertutto, a partire dal cibo che mangiamo. È solo una questione di tempo: l'epidemia, o catastrofe, scoppierà certamente. I graffiti sui muri della Tate Modern Gallery a Londra sono eloquenti: «dopo la guerra fredda il riscaldamento globale!». In questo contesto l'attivismo politico di massa è stato sostituito, specialmente dopo l'11 settembre 2001, dal lutto collettivo pubblico. La politica della malinconia è diventata dominante: dopo essere stati Mad («Matti»), ora siamo tutti Sad («Tristi»). O, per dirla con le parole di un altro detto popolare: «Dio è morto, Marx è morto e anche io non mi sento tanto bene!» (ancora una citazione di Woody Allen, «Io e Annie», NdT). Ovviamente ci sono molte cose per cui sentirsi in lutto considerato il pathos della nostra politica globale: il nostro orizzonte sociale è offuscato dalla guerra e destinato alla morte. Viviamo in una cultura in cui gente che si dice religiosa uccide per il «diritto alla vita». Inoltre la vulnerabilità del corpo è aggravata dalle grandi epidemie: Hiv, Ebola, Sars o influenza aviaria o altre malattie più tradizionali quali la tubercolosi e la malaria. La salute è diventata qualcosa di più di una questione di politica pubblica: è una questione che attiene ai diritti umani e alla difesa nazionale. Mentre proliferano rimedi new age di ogni sorta e si diffonde lo yoga planetario, la nostra sensibilità ha imboccato una strada che definisco da «medicina legale»: la «nuda vita», come sostiene Agamben, segna i confini liminali di una probabile privazione - infiniti gradi di avvicinamento alla morte. Hal Foster descrive la nostra politica culturale schizoide come «realismo traumatico» - ossessione delle ferite, del dolore e della sofferenza. Il proliferare del Panocticon medico produce una patografia globale (Seltzer, 1997). La filosofia politica riflette questo stato d'animo - sia riscoprendo con Derrida (2002) i fondamenti mistici del Diritto e dell'autorità politica che rivolgendoci alla teologia politica di Schmidt (Schmidt, 1996), ci siamo definitivamente allontanati dal secolarismo «alto». Preferisco sorvolare sulla popolarità di Leo Strauss (Norton, 2004) nel pensiero politico conservatore, neo-teologico americano. Ora che persino Francis Fukuyama si è dichiarato «ex neo-con», la questione sembra superata. La cultura del lutto e l'economia politica della malinconia sono dominanti - non sono né reattive né necessariamente negative. Diversi teorici critici sostengono con forza l'ipotesi della natura produttiva della malinconia e della sua potenziale capacità di creare solidarietà (Gilroy, 2004; Butler, 2004a). Sono anche convinta che la malinconia esprime una forma di lealtà attraverso l'identificazione con la ferita degli altri e quindi promuove l'ecologia dell'appartenenza sostenendo la memoria collettiva del trauma o del dolore. Credo piuttosto che la politica della malinconia sia diventata talmente dominante nella nostra cultura da finire per assumere le sembianze di una profezia che si auto-avvera e che, quindi, lascia margini esigui ad approcci alternativi. Traduzione di Carlo Antonio Biscotto

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La Casa Bianca "Un'inchiesta sulle torture Cia" (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

il caso «Con quei metodi il Paese ha perso la dignità morale» La Casa Bianca "Un'inchiesta sulle torture Cia" FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Barack Obama apre all'ipotesi di istituire commissioni di inchiesta bipartisan per valutare l'operato dei funzionari dell'amministrazione Bush che diedero il via libera all'uso di metodi di interrogatorio al limite della tortura sui presunti affiliati alla rete terroristica di Al Qaeda. Il Paese «ha perso la sua dignità morale» con quegli ordini, spiega l'inquilino della Casa Bianca cedendo così alle pressioni della sinistra che lo aveva accusato di essere «complice di Bush» per aver garantito l'immunità agli agenti della Cia coinvolti nella vicenda. L'ira dei liberal si era scatenata dopo la pubblicazione dei quattro memorandum firmati da funzionari della Giustizia, dal 2002 al 2005, nei quali veniva data luce verde al ricorso a dieci metodi di interrogatorio violento, tra cui il famigerato waterboarding. Obama tuttavia aveva assicurato agli agenti della Cia l'immunità purché non fossero andati oltre gli ordini contenuti nei memo. La posizione è stata ribadita anche ieri dal presidente che però ha dato il suo assenso a inchieste parlamentari nei confronti dei funzionari responsabili a patto però che si tratti di indagini non «politicizzate». Una decisione questa che lascia la porta aperta a possibili incriminazioni, in particolare dei funzionari del dipartimento di Giustizia, che apposero la loro firma in calce ai memorandum. Tra questi l'ex vice ministro Jay Baybee, o Steven G. Bradbury, ex capo dell'ufficio di consulenza legale del ministero, e tutti quelli che, dopo le stragi dell'11 settembre, hanno dato il loro assenso a tecniche come la privazione del sonno o l'uso di insetti per «terrorizzare il terrorista». Finora la Casa Bianca aveva escluso l'ipotesi di incriminazioni per queste persone, tuttavia le pressioni delle organizzazioni per i diritti civili e delle frange liberal lo hanno spinto a un repentino dietro-front. «E' importante - precisa il presidente - se si commettomo errori fare un esame di coscienza e di correggerli». La decisione, d'altra parte, è destinata ad alimentare le polemiche della destra, in particolare degli ex membri del governo Bush, come l'ex capo della Cia, Michael Hayden, di «aver messo, in difficoltà un'agenzia che si trova a condurre una guerra per difendere la sicurezza degli americani». Le accuse sono state respinte dall'inquilino della Casa Bianca: «Vado a letto tutte le sere preoccupandomi della sicurezza dell'America». Ma intanto lunedì il presidente si è recato nel quartier generale di Langley per rassicurare gli agenti: «Proteggerò le vostre identità e attività». Dick Cheney che dagli schermi di Fox tv, imputa a Obama di aver sbagliato a stringere la mano a Chavez «perché ha dato ai nostri nemici l'impressione di un'America debole», e accusa la Casa Bianca di «aver declassificato solo i memo sugli interrogatori e non quelli sulle informazioni ottenute da quegli interrogatori» con scelta faziosa. Per alcuni è una tattica preventiva contro il rischio di essere incriminato.

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Il rebus iraniano (sezione: Diritti umani)

( da "AprileOnline.info" del 22-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il rebus iraniano Enrico Campofreda, 22 aprile 2009, 18:12 L'analisi Teheran da un lato non abbandona la violenta retorica anti - israeliana, dall'altro si dichiara disponibile a collaborare sul programma nucleare con l'Occidente. Le mosse tattiche sullo scacchiere internazionale celano la realtà di un paese davanti a un bivio importante, quello delle elezioni politiche. L'impressione, tuttavia, è che se dovesse tramontare un astro del fondamentalismo laico come l'attuale presidente anche l'eventuale tecnocrate suo concorrente, Moussavi, non sposterebbe orientamenti e valori verso l'occidente C'è l'Iran che accusa, come nelle schermaglie sul razzismo a Durban 2 (anche oggi Ahmadinejad da Teheran ha rincarato la dose su Israele ricordandone i crimini di guerra a Gaza e parlando della sua pulizia etnica), e l'Iran che dialoga per bocca del capo negoziatore della Repubblica islamica Said Jalili, che ha annunciato la piena disponibilità alla collaborazione per il programma nucleare col gruppo dei cosiddetti Paesi "cinque più uno" (Stati Uniti, Francia, Russia, Cina, Gran Bretagna e Germania). L'avvicinamento già apparso lo scorso 8 aprile, con gli Usa aperti da Obama al dialogo anche con Teheran, pur escludendone dotazioni nucleari belliche, potrà continuare se si riscontrerà reciproca fiducia su esigenze e limiti del piano nucleare. Il Consiglio Supremo per la Sicurezza iraniano, come aveva già recentemente annunciato proprio Ahmadinejad, presenterà alle potenze mondiali un piano nucleare. Sarebbe un aggiornamento di quello già mostrato un anno fa e giudicato inadeguato dalle stesse. Il rischio dell'impasse c'è, soprattutto se l'attuale Capo di Stato venisse riconfermato dopo il 12 giugno. Ma non è detto, le stesse aperture iraniane vanno ben oltre la figura presidenziale, rappresentativa più che decisionale. Certo la diplomazia mondiale guarda con interesse a un eventuale ricambio al vertice d'una nazione che conserva nel clero sciita e nella Suprema Guida Khamenei, a loro dire, le garanzie di un'emancipazione dall'imperialismo. Ma se dovesse tramontare un astro del fondamentalismo laico come l'attuale presidente anche l'eventuale tecnocrate suo concorrente, Moussavi, non sposterebbe orientamenti e valori verso l'occidente. Negli anni passati la gestione riformista dell'illuminato teologo Khatami ha gradualmente introdotto nella società iraniana il distacco dal cupo conservatorismo degli ayatollah ipertradizionalisti come Khamenei, e più di lui Mesbah-Yazdi difensore del principio del governo del clero, ma non a vantaggio dell'occidentalizzazione delle usanze. Gli stessi universitari contestatori del rude Ahmadinejad, coloro che si scontrarono coi militanti basij, solo in qualche caso sporadico aprono indiscriminatamente all'Occidente. L'islamizzazione è diffusamente sentita ed è fieramente un simbolo, che va oltre il fanatismo religioso, coinvolge comportamenti e costumi sociali. Ne sono un esempio proprio le donne - trent'anni fa vittime delle repressioni delle truppe khomeiniste - che attraverso il velo, inizialmente imposto in maniera ferrea dagli ayatollah, manifestano un'appartenenza che ha modificato nel tempo molti aspetti sia della sedicente emancipazione dell'era dello Shah sia i tradizionali costumi maschilisti (poligamia), la subalternità assoluta della donna al marito e la sua assenza dalla vita pubblica. Proprio nel decennio scorso il movimento per i diritti delle donne esprimeva esigenze talmente diffuse su cui il Potere ha, pur forzatamente, piegato il turbante. Naturalmente il fronte dei diritti civili deve ancora raggiungere parecchi obiettivi, però proprio la vicinanza che si è creata in questi anni fra le islamiste aperte, definite moderniste, e quelle laiche può rappresentare una tendenza capace di avere la meglio su ritorni di conservatorismo talebano e occidentalizzazione forzata. Naturalmente i leader, a cominciare da Ahmadinejad, sanno che non possono prescindere dai rapporti con l'Occidente per non rivivere gli anni bui dell'isolamento. Perciò nei mesi a venire - ben oltre le elezioni presidenziali - questioni come il nucleare e i rapporti internazionali nel Grande Medio Oriente terranno sulla scena mondiale la popolosa nazione islamica e la sua leadership. A smorzare i furori antiamericani potrà contribuire la crisi economica che pone il Paese in una condizione di bisogno di svincolarsi dai vecchi embarghi e cercare scambi commerciali al di là della sicurezza fornita dalle riserve petrolifere. Ma anche gli Usa dovranno fare dei passi, uscire dalla "Guerra fredda del Terzo Millennio" gonfiata ad arte dalla gestione Bush, comprendere come altre potenze collocate a est sono interessate a tessere buoni rapporti col Paese degli ayatollah, in un'area che con Iraq, Afghanistan e Pakistan rappresenta l'attuale polveriera del globo. Nei delicatissimi rapporti futuri casi relativi ai diritti umani come quello della giornalista (o spia) iraniano-americana Roxana Saberi, condannata dopo un processo a porte chiuse a otto anni di carcere, costituiscono emblematici momenti che possono favorire avvicinamenti o decretare nuove fratture. Le mosse d'un ayatollah, Mahmoud Hashemi Shahroudi, che giudica di valutare la vicenda con un equo esame dei fatti (ci sarà Appello), paiono segnali di maggior attenzione ai rapporti da riallacciare con la Satanica nazione d'un tempo. Ben altre grane attendono gli inquilini di Washington e Teheran.

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Cuneo, quattro lapidi per non dimenticare (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 23-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

25 Aprile Celebrazioni Cuneo, quattro lapidi per non dimenticare Nei luoghi della tortura e delle fucilazioni eseguite dai fascisti Colpi simili a picconate ci hanno costretti ad uscire in giardino per capire cos'era successo. I muri vibravano, sembrava un terremoto. Poi l'amara sorpresa: la targa di marmo che avevamo acquistato in onore dei partigiani che si rifocillavano nel nostro locale era in frantumi». Romano ed Antonella Zailo, titolari dell'antica osteria della Vittoria di Cortemilia, sono ancora scossi. Intorno alle 23 di martedì qualcuno ha fatto irruzione nel parcheggio del ristorante ed ha distrutto la targa muraria che commemorava le gesta dei compagni Scamanghen, Bomba, Vipera, Zambo, appartenenti alla brigata «Uzzone». «Non abbiamo parole - continuano i Zailo - la delusione è tanta. Ci sembra impossibile che al giorno d'oggi ci siano ancora persone piene di odio capaci di fare gesti simili». La targa era stata inaugurata lo scorso 25 aprile alla presenza del comandante partigiano Lelio Speranza, oggi presidente del Coni di Savona. Un grave episodio alla vigilia delle celebrazioni per l'anniversario della Liberazione. Tante, come sempre, le iniziative nella Granda che culmineranno nella giornata di sabato. Oggi Quattro lapidi per ricordare i luoghi della tortura e delle fucilazioni eseguite dai fascisti a Cuneo durante i venti mesi di lotta partigiana. Lo scoprimento avverrà oggi, ore 15,30, alla scuola di corso Soleri; alle 16, al cinema Monviso; alle 16,30, in piazza della Stazione (dove il 26 novembre '44 furono fucilati 5 partigiani); alle 17, in corso IV Novembre, dove c'è la sede della Confartigianato. Alla cerimonia parteciperà anche Khosro Nikzat, rappresentante del Consiglio nazionale della resistenza iraniana, per sottolineare il legame tra la lotta per la libertà combattuta in Italia 64 anni fa e quella che attualmente vede coinvolto il popolo iraniano. Domani Nell'ambito delle celebrazioni per l'anniversario della Liberazione, nella sala conferenze del Museo Civico di Savigliano alle 10 per gli studenti proiezione del film-documentario con testimonianze di partigiani del cuneese dal titolo «Ma l'amor mio non muore». Apertura della mostra fotografica «Ritratti partigiani» a cura di Luca Prestia. Alle 21 per la cittadinanza ripetizione della proiezione con ingresso gratuito. Doppio appuntamento a Fossano in occasione de 64° anniversario della Liberazione. Domani alle 17 è prevista una cerimonia di fronte al cippo di via San Giuseppe che ricorda la morte di Andrea Paglieri, Biagio Barbero e Giuseppe Priola. I tre fossanesi facevano parte di un nucleo della XX Brigata di Giustizia e Libertà che operava nel Fossanese, di cui Paglieri era il responsabile. A Mondovì, dalle 14,30, ci sarà la deposizione di un omaggio floreale ai cippi ed alle stele presenti nella città di Mondovì di fronte all'ingresso del municipio. Iniziate il 15 aprile con il ricordo della battaglia di Alba e del comandante partigiano Paolo Farinetti, le manifestazioni per il 25 aprile nell'Albese si avviano ormai verso la conclusione. Domani, il gruppo albese delle Donne in nero contro la guerra manifesterà dalle 18 alle 19 in via Maestra per ricordare la Liberazione e per «rinnovare l'impegno di opporci al sistema di guerra nel quale ancora il nostro paese è coinvolto». A Saluzzo domani sera «Testimoni di Libertà», fiaccolata per i diritti che coinvolge i Comuni di Saluzzo, Manta e Verzuolo. La partenza del corteo è alle 19,30 da piazza Cavour. L'arrivo è previsto per le 21,15 a Palazzo Drago di Verzuolo dove alle 22,15 si terrà «Mucche ballerine», spettacolo teatrale di Marco Bosonetto. E' previsto un servizio navetta gratuito per il rientro a Saluzzo. Ieri intanto si è intitolata a Giovanni e Francesco Lattanzi una via nella nuova area artigianale Pignari (un'altra è stata dedicata al fondatore dell'Associazione commercianti ed esponente politico cittadino nel Dopoguerra Mario Bovo, anch'egli partigiano e deportato in Germania). I due, padre e figlio, furono entrambi protagonisti della lotta partigiana nel Saluzzese. Recital All'Ufficio turistico di via Roma, a Cuneo, si possono ritirare gli inviti per il recital di domenica, ore 16, al teatro Toselli «Le canzoni della Resistenza». Presenterà Michele Mirabella. Protagonisti la vocalist Valeria Arpino, il tenore Michelangelo Pepino, e il duo di violino e arpa composto da Vera Anfossi ed Eleonora Perolini.

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Anatomia di uno scandalo Parigi chiude la mostra-choc (sezione: Diritti umani)

( da "Stampa, La" del 23-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

il caso MEDICINA E ARTE SUCCESSO DI PUBBLICO L'evento MUSEO DEGLI ORRORI DUBBIA PEDAGOGIA Lo spettacolo della medicina Anatomia di uno scandalo Parigi chiude la mostra-choc L'accusa L'associazione per la difesa dei diritti umani: indecente esporli, sono tutti condannati a morte L'organizzatore «Censura e accuse immotivate, tutto è stato fatto nel rispetto delle leggi internazionali» Il giudice contro i cadaveri cinesi spogliati della pelle: offendono la decenza DOMENICO QUIRICO Nelle sale una commistione ambigua, capace di unire fascino e repulsione Nella capitale francese già staccati 120 mila biglietti da 15 euro l'uno Doveva chiudere il 10 maggio Il magistrato: «Pregiudicato il rispetto che si deve a chi non è più in vita» Due istituzioni si erano rifiutate di accogliere l'iniziativa per senso etico CORRISPONDENTE DA PARIGI Il posto assegnato dalla legge ai cadaveri è il cimitero»: poco giuridico; certamente efficace. Il giudice parigino, Louis-Marie Raingeard, non ha dubbi. La mostra «Our body, a corpo aperto», 17 cadaveri di cinesi spogliati della pelle e perfettamente conservati in base al procedimento di impregnazione polimerica, che fa furore da due mesi a l'Espace Madeleine, deve essere immediatamente chiusa. Nessuno dovrà più posare lo sguardo a pagamento su ciò che una volta era riservato al mondo medico, ovvero muscoli, arterie, vasi sanguigni viscere, tutto perfetto e vero. Come fantasmi I cadaveri escono da una messa in scena che gioca sul buio e la luce e li fa sorgere come fantasmi. Ecco uno scorticato che pedala sconciamente su una bicicletta; ecco un funebre giocatore di scacchi. Poi un corpo dal cranio scoperchiato con la colonna vertebrale aperta per far apparire il midollo spinale. E ancora, posata su una tavola come un tappeto la pelle, solo la pelle. E avanti sala dopo sala, senza pietà, a scoprire il cervelletto la vescica biliare la carotide le valvole cardiache i reni un polmone sano e uno roso dal cancro: certo hanno ragione gli organizzatori, qui si può ben capire come siamo fatti e come funzioniamo, si scoperchia come in un incubo barocco l'anatomia in tutto il suo splendore, «nel suo valore estetico». Sì, il corpo diventa spettacolo e «vederlo, ammirarlo può essere un modo per salvarlo difenderlo»: forse. Difficile però sfuggire a una ambigua commistione di fascino e di repulsione, camminiamo sulla linea sottile che divide o congiunge medicina e arte: dall'antico Egitto al Cavaliere di Fragonard non è difficile citare i legami tortuosi che corrono tra i due campi. Ma il giudice non ha avuto esitazioni. Pazienza se questo è un museo degli orrori con un successo planetario: l'hanno già visitato nella capitale 120 mila persone disposte a sborsare 15 euro e cinquanta; ha già totalizzato centomila visitatori a Lione, 15 mila a Marsiglia e trenta milioni negli Stati Uniti e in Asia. Pazienza se ora si strilla a un rarissimo caso di censura. «La commercializzazione dei corpi porta pregiudizio manifesto al rispetto che è loro dovuto» ha detto il giudice. Quindi 24 ore di tempo per chiudere la mostra pena 50 mila euro al giorno di multa per il ritardo. Di più: i 17 cadaveri di uomini e di donne interi o dissecati sono posti sotto sequestro «per ricercare con le autorità pubbliche francesi una soluzione che sia conforme ai diritti della inumazione». Esultano le due associazioni per la difesa dei diritti umani che hanno presentato la denuncia; perché secondo loro c'era il sospetto che i cadaveri siano in realtà di prigionieri e di condannati a morte venduti con losco traffico della stessa polizia cinese. Ma il giudice non si è avviato su questa strada politica: il concetto invocato è assai più semplice e discutibile, è quello della «decenza»: «La presentazione di cadaveri e organi mette in opera delle decomposizioni che non sono scientificamente legittime, colorazioni arbitrarie, una messa in scena che toglie spessore alla realtà, che manifestamente mancano di decenza». Il sospetto Insomma, lo scopo pedagogico anche se esiste non permette tutto. Erano sospetti che avevano colto anche la Cité des sciences e le Musée de l'homme che hanno rifiutato di accogliere l'esposizione dopo il parere sfavorevole del comitato etico. A protestare adesso è l'organizzatore, Pascal Bernardin. Con la medicina non ha alcun rapporto, lui che produce anche gli spettacoli degli U2 e dei Police; e ha scoperto «Body» al «Science center» di Orlando in Florida, subito attratto dal profumo di quattrini. Aveva appena annunciato di voler prolungare la mostra visto il successo fino al 12 maggio. Adesso grida alla censura: «Ma è incredibile! La mostra appartiene a una società di Hong Kong che lavora con una fondazione di anatomia e garantisce che i corpi provengono da donazioni nel rispetto delle leggi cinesi. Ho i documenti in regola io! Non c'è alcun pregiudizio al rispetto dei morti, non è una esposizione artistica, è una esposizione anatomica, pedagogica». Per cautela aveva rinunciato ad esporre embrioni e feti in vari stati di sviluppo: «Non vogliamo choccare», aveva detto. Non è bastato. Il procedimento di conservazione è stato inventato negli Anni Settanta da un contestato anatomista tedesco, Gunther von Hagens; consiste nell'immergere i cadaveri in un bagno di formalina e poi di acetone per sostituire tutti i grassi e i liquidi con il silicone. Mille ore di lavoro per ottenere un corpo solido, eterno e senza odori. Lo stesso von Hagens ha riconosciuto che alcuni dei cadaveri su cui ha lavorato presentavano il segno di una pallottola nella nuca. Il modo con cui in Cina si eseguono le condanne a morte. La decisione della magistratura parigina anticipa di oltre due settimane la chiusura ufficiale della mostra, fissata per il 10 maggio. L'esposizione «A corpo aperto» era allestita nelle sale dell'Espace Madeleine, dopo che altri due musei della capitale francese avevano rifiutato, sentito il parere del loro comitato etico, la sequenza di corpi umani presentati al pubblico come in un esame di anatomia. La mostra aveva in precedenza suscitato polemiche in tutta Europa. 1. Pascal Bernardin, che ha organizzato la mostra sul corpo umano, fotografato accanto ai cadaveri di un uomo e di una donna esposti a Parigi. 2. Un corpo spogliato della pelle e ricomposto nel gesto sportivo di un calciatore: secondo le associazioni per la difesa dei diritti umani, i protagonisti della mostra sono vittime del regime cinese. 3. Il pubblico ha affollato le sale: oltre 120 mila tagliandi staccati fino al momento della chiusura.

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La memoria CONTRO IL MURO (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 23-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Un museo dell'Olocausto inaugurato in uno dei villaggi simbolo della lotta non violenta contro l'occupazione. I palestinesi riflettono sulle sofferenze passate del «nemico» e aspettano che gli israeliani facciano altrettanto La memoria CONTRO IL MURO NAALIN, PROVE DI CONVIVENZA E RESISTENZA Michele Giorgio INVIATO A NAALIN (CISGIORDANIA) INVIATO A NAALIN (CISGIORDANIA) Naalin era un nome sconosciuto al resto del mondo. Poi, circa un anno fa, questo villaggio palestinese a venti chilometri da Ramallah, a ridosso della Linea verde tra la Cisgiordania e Israele, fece la sua improvvisa apparizione sulle pagine dei giornali. I suoi 4.700 abitanti, assieme ad attivisti internazionali e ad alcune decine di anarchici israeliani, iniziarono una campagna di manifestazioni non violente per fermare la costruzione del muro di separazione sulle loro terre. Una battaglia simile a quella del non lontano villaggio di Bilin dove ieri si è aperta la Conferenza annuale sulla resistenza popolare e pacifica. Martedì Naalin è tornato a far titolo, quando, in occasione delle commemorazioni per la giornata della memoria dell'Olocausto, il sindaco Ayman Nafaa ha inaugurato il primo museo della Shoah nei Territori occupati, in un edificio a poche decine di metri dalla casa dove un tempo viveva Ahmad Musa, 10 anni, ucciso dai colpi sparati dall'esercito israeliano durante una manifestazione di protesta contro il muro. Stessa sorte toccata a un altro bambino di Naalin, Yusef Amira, 11 anni. «Più precisamente si tratta di una mostra di fotografie dell'Olocausto che rimarrà aperta per qualche mese, non sappiamo ancora se diventerà un museo vero e proprio», ci spiega Hassan Musa, uno dei promotori del progetto e zio di Ahmad Musa. Le foto, con didascalie in lingua araba, mostrano campi di concentramento, corpi ammassati, volti di bambini paralizzati dalla paura, adulti seminudi o con le uniformi con la stella gialla imposta dai nazisti agli ebrei. Sui tavoli sono disponibili libri e documenti sull'Olocausto. Ma non mancano anche immagini dell'occupazione israeliana, delle confische delle terre palestinesi, di giovani arrestati, della gente di Naalin impegnata nella sua lotta contro il muro. «Non abbiamo voluto mettere sullo stesso piano l'occupazione (israeliana) e la Shoah ma esprimere la nostra condanna di qualsiasi forma di brutale aggressione all'essere umano - aggiunge Hassan Musa -. Penso che sia importante che gli abitanti di Naalin e tutti i palestinesi conoscano cosa è accaduto al popolo ebraico durante il nazismo, così come è importante che gli israeliani comprendano che non possono negarci i nostri diritti e continuare a occupare la nostra terra». L'esibizione non è affollata ma non mancano i visitatori, in maggioranza giovani. Alcuni, oltre a guardare le foto, leggono con attenzione i documenti disponibili. «Con questa mostra - conclude Musa - Naalin si rivolge anche al resto del mondo e chiede: fino a quando i palestinesi dovranno attendere per realizzare i loro diritti? Abbiamo sofferto abbastanza». Jonatan Pollack, uno dei leader dei «Anarchici contro il muro» e tra gli israeliani più presenti alla battaglia di Naalin contro la barriera, considera la mostra «una scelta molto coraggiosa». «Questo villaggio - dice - soffre l'ingiustizia israeliana, si è visto confiscare 270 ettari di terre coltivabili che finiranno alle colonie ebraiche circostanti, verrà circondato da tre lati, i suoi abitanti verranno costantemente controllati da un posto di blocco militare e non dimentichiamo che Naalin ha avuto due bambini uccisi e un giovane (Ashraf Abu Rahma) ferito a sangue freddo ad una gamba da un poliziotto israeliano». «Eppure - prosegue Pollack - la gente di Naalin dimostra un'eccezionale capacità di voler comprendere la sofferenza subita in passato dal popolo che oggi manda i bulldozer ad occupare le sue terre e a costruire il muro. Naalin sta dicendo agli israeliani: smettetela con la repressione e l'occupazione, la memoria dell'Olocausto serve per lottare affinché la giustizia prevalga ovunque, a favore di tutti, nessuno escluso». L'avvocato Khaled Mahamid, un palestinese con cittadinanza israeliana residente a Umm al Fahem (Galilea) - dove qualche settimana fa si è svolta una marcia di un centinaio di coloni ed estremisti di destra che ha causato tafferugli e diversi feriti - è stato il principale promotore della mostra sull'Olocausto a Naalin. Quattro anni fa divenne noto per aver aperto un museo della Shoah nella sua città. Mahamid è convinto che una maggiore comprensione del significato della Shoah può contribuire ad avvicinare le due parti, così come una maggiore consapevolezza da parte degli israeliani della Nakba (Catastrofe) - il termine con cui i palestinesi indicano la perdita della loro terra nel 1948 e l'inizio dell'esilio per circa 800mila uomini, donne e bambini, fuggiti o cacciati dagli israeliani (oggi i profughi sono quasi quattro milioni e continuano a vedersi negato il diritto al ritorno sancito da una risoluzione dell'Onu, la 194) - favorirebbe il raggiungimento della pace tra i due popoli. «Nei mesi scorsi ho incontrato il sindaco di Naalin, gli ho parlato dell'Olocausto e gli ho spiegato il trauma profondo che ogni ebreo si porta dentro da quando i nazisti hanno attuato lo sterminio - ha raccontato Mahamid al sito israeliano Ynet - Il sindaco non sapeva che sei milioni di ebrei sono morti nell'Olocausto e ha chiesto spiegazioni. Subito dopo ad entrambi è venuta l'idea di aprire un museo della Shoah nel villaggio». Ad aiutare l'avvocato di Umm el Fahem è stata la direzione del memoriale dell'Olocausto «Yad Vashem» di Gerusalemme che ha messo a disposizione foto e materiali in lingua araba. La mostra sulla Shoah tuttavia lascia perplessa una parte consistente degli abitanti di Naalin, ai quali l'iniziativa appare una sorta di «concessione» agli israeliani, destinata a non produrre risultati apprezzabili sul terreno mentre le politiche dell'occupazione proseguono e tante abitanti hanno perduto il lavoro e i mezzi per sostenere le proprie famiglie a causa della confisca dei terreni coltivabili. «Non sono contrario all'approfondimento dell'Olocausto da parte palestinese ma mi domando se tutto ciò favorirà davvero la comprensione tra i due popoli e, soprattutto, aiuterà a porre fine all'occupazione israeliana della nostra terra», spiega Hindi Mesleh, uno dei leader della lotta non violenta contro il muro. «C'è anche una questione di principio da tenere presente - aggiunge - la nostra indipendenza, il nostro diritto ad essere liberi, non possono essere collegati ad un riconoscimento palestinese dell'Olocausto che peraltro c'è, già esiste. Sono questioni nettamente distinte. I palestinesi non devono ignorare la Shoah ma, non dimentichiamolo, gli europei hanno storicamente perseguitato il popolo ebraico e i nazisti tedeschi hanno sterminato sei milioni di ebrei». Jonatan Pollack da parte sua lancia un messaggio alla popolazione israeliana che definisce «in gran parte cieca e sorda alla condizione palestinese». «Cogliamo il magnifico esempio di Naalin e - propone - studiamo la Nakba, dobbiamo capire, finalmente, che cosa ha significato per i palestinesi il 1948. E soprattutto mettiamo fine all'ingiustizia e all'occupazione». La gente di Naalin intanto attende un «primo segnale» dalla Corte Suprema israeliana alla quale ha chiesto - attraverso l'organizzazione per i diritti umani Yesh Din - di ordinare la restituzione di 13 ettari di terra del villaggio, dichiarati area chiusa dell'esercito all'inizio della seconda Intifada (2000) e trasformati in un parco dai coloni di Modiin Illit. Foto: RAMLE, GIOVANE ARABO-ISRAELIANA A UNA MOSTRA FOTOGRAFICA SUI MUSULMANI CHE SALVARONO VITE DI EBREI DURANTE L'OLOCAUSTO. A SINISTRA, IL FUNERALE DI AHMED MOUSSA, 10 ANNI, UCCISO NEL 2008 DALL'ESERCITO ISRAELIANO DURANTE UNA MANIFESTAZIONE CONTRO IL MURO A NAALIN /FOTO AP

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Piombo fuso, a Gaza 1417 morti a norma di legge (sezione: Diritti umani)

( da "Manifesto, Il" del 23-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

L'INCHIESTA UFFICIALE Piombo fuso, a Gaza 1417 morti «a norma di legge» Michelangelo Cocco Massacrati a norma di legge. È il destino toccato ai 1.417 palestinesi di Gaza uccisi dalle forze armate israeliane durante l'operazione «Piombo fuso», almeno secondo le conclusioni di cinque inchieste dell'esercito di Tel Aviv. Nessun crimine di guerra dunque e anche le munizioni al fosforo bianco sarebbero state utilizzate in accordo con quanto prescritto dai regolamenti internazionali. Il vice capo di stato maggiore Dan Harel ha dichiarato che nelle decine di casi esaminati è stato riscontrato che, tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009, le truppe «hanno rispettato le norme internazionali e mantenuto un alto livello di professionalità e moralità». «Non abbiamo trovato nessun incidente nel quale un soldato israeliano abbia fatto del male intenzionalmente a civili innocenti», ha aggiunto Harel presentando ieri le conclusioni delle indagini interne. Dopo le proteste internazionali per l'offensiva di 22 giorni contro la Striscia, il capo di stato maggiore Gabi Ashkenazi aveva incaricato cinque colonnelli d'indagare su tutti gli episodi più eclatanti: dal bombardamento nel quartiere Zeitoun di Gaza city in cui furono uccisi 21 membri della famiglia Al-Dahiyeh; all'attacco dell'aviazione contro un presunto carico di armi di Hamas che si rivelò un trasporto di bombole di gas e fece otto vittime; ai 30 civili sterminati dall'artiglieria israeliana dopo che era stato ordinato loro di ripararsi nel ricovero in seguito colpito; al bombardamento contro la scuola-rifugio delle Nazioni Unite (42 morti). Le vittime civili (926 secondo fonti ospedaliere e ong palestinesi) sono per le Tsahal - le forze di difesa israeliane - il risultato di «errori operativi e d'intelligence», «casi sfortunati ma inevitabili durante un conflitto - secondo le parole di Harel-. Soprattutto nel tipo di combattimenti a cui Hamas ha costretto l'esercito israeliano quando ha scelto di trovare rifugio e combattere in mezzo a una popolazione civile». Riguardo al fosforo bianco - che produce bruciature profonde fino alle ossa e il cui impiego è vietato sui centri abitati - l'esercito, che a combattimenti in corso aveva negato di averlo utilizzato, ha stabilito che tutte le volte che ne ha fatto ricorso, è stato sempre a norma di legge, dunque solo in campo aperto e mai contro i civili. Secondo B'Tselem - l'ong israeliana che difende i diritti umani dei palestinesi nei Territori occupati - le inchieste interne pubblicate dall'esercito sono «viziate». Scettica anche Human rights watch: «Siamo molto preoccupati che (queste indagini) finiscano per essere un insabbiamento» ha dichiarato il portavoce dell'organizzazione Bill Van Esveld. La Comunità internazionale ha sollecitato lo Stato ebraico a permettere lo svolgimento d'indagini indipendenti su «Piombo fuso». Ma nei giorni scorsi, secondo quanto riferito dalla stampa israeliana, il governo ha già detto al giudice Richard Goldstone - incaricato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di condurre a Gaza una squadra d'investigatori - che Tel Aviv non collaborerà alla sua inchiesta. Ci sono poi le centinaia di denunce per «crimini di guerra» e «crimini contro l'umanità» messe sul tavolo del procuratore capo della Corte penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo, che non ha ancora scartato l'ipotesi di aprire un'indagine contro Israele per questi reati. Procedono inoltre le iniziative «individuali», in quei paesi in cui la legislazione lo permette. Un gruppo di avvocati norvegesi ha deciso di intentare una causa contro l'ex primo ministro Ehud Olmert, l'ex titolare degli esteri Tzipi Livni, il suo collega della difesa Ehud Barak e altri sette alti responsabili israeliani e ha depositato ieri a Oslo una denuncia per «crimini di guerra» a loro carico. «Abbiamo ricevuto la denuncia. Procederemo a esaminarla e valutarla prima di eventualmente trasmetterla alla polizia» alla quale spetterebbe condurre un'inchiesta, ha detto il procuratore generale, Siri Frigaard. I sei avvocati rappresentano «tre persone di origine palestinese residenti in Norvegia e venti famiglie che hanno perso i loro cari o proprietà», ha spiegato alla France presse Kjell Brygfjeld, uno dei legali, che accusano Tel Aviv di «massicci attacchi terroristici». I legali hanno sfruttato una legge norvegese in base alla quale si può essere incriminati per «crimini di guerra» e «crimini contro l'umanità» anche se i reati sono stati commessi al di fuori del paese scandinavo.

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Libri, cerimonie, tesi di laurea (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere delle Alpi" del 23-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Libri, cerimonie, tesi di laurea Il corteo parte dalla caserma Tasso che fu luogo di tortura BELLUNO. Si terrà domani alle 18, nella sala Affreschi di Palazzo Piloni (e non in Auditorium, come indicato nell'invito), il primo appuntamento del programma di celebrazioni organizzate per la ricorrenza del 64º anniversario della Liberazione. La tradizionale conferenza culturale proposta dall'Isbrec, che, assieme all'Anpi, alla Federazione italiana volontari della libertà, al Comitato onoranze caduti dell'Oltrardo e all'Associazione nazionale Famiglie caduti e dispersi in guerra, collabora alla programmazione del calendario di eventi, sarà dedicata alla presentazione degli atti del convegno "La zona d'Operazioni delle Prealpi nella Seconda Guerra mondiale". Sabato si entrerà nel vivo delle celebrazioni, con l'alzabandiera e la deposizione di una corona al monumento alla resistenza di piazza dei Martiri. Quest'anno il corteo partirà dal cortile interno della caserma Tasso, con ingresso in via Tissi. La caserma, rientrata da poco nella disponibilità del Comune, era all'epoca sede della gendarmeria tedesca e luogo di tortura: sarà, quindi, particolarmente significativo partire proprio da lì per dirigersi verso piazza dei Martiri. Il ritrovo nel cortile è fissato per le 9.30. Toccherà alla banda cittadina aprire il corteo, dirigendosi verso piazza dei Martiri per l'alzabandiera e poi per la deposizione di una corona al monumento alla resistenza. Seguiranno l'intervento delle autorità civili cittadine e il saluto del presidente dell'Anpi. Alle 10.30 all'Auditorium si terrà la premiazione della tesi di laurea vincitrice della borsa di studio dell'Isbrec intitolata a "Aldo e Albina Praloran". A completare le celebrazioni, venerdì 1º maggio, ci saranno due importanti appuntamenti: alle 8.30, ci sarà la deposizione di una corona d'alloro presso la lapide di piazzale Marconi, a ricordo dei caduti, in collaborazione con l'Associazione famiglie caduti e dispersi in Guerra, cui seguirà la messa nella chiesetta dell'Istituto Sperti. A seguire, alle 9.30, in località "La Rossa", ci sarà la celebrazione della messa nella locale chiesetta, la deposizione di una corona d'alloro a ricordo dei caduti dell'Oltrardo, a nome del Comitato locale, con il saluto del sindaco. Concluderà le celebrazioni un momento commemorativo nelle scuole elementari di Fiammoi, con l'intervento di Massimo Facchin, reduce di guerra, e con una recita a cura degli studenti della classe III della Scuola Media "I. Nievo" e della classe V elementare della scuola di Fiammoi.

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Usa, un dossier inchioda la Rice (sezione: Diritti umani)

( da "Corriere.it" del 23-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Un memo rivelerebbe il ruolo diretto dell'ex Segretario di Stato Usa, la Rice autorizzò l'utilizzo del «waterboarding» a Guantanamo Secondo Ap approvò verbalmente la richiesta della Cia di utilizzare la tecnica dell'annegamento simulato Condoleezza Rice (Ap) WASHINGTON - Il capitolo oscuro sull'utilizzo di tortura negli interrogatori da parte di agenti americani si arricchisce di nuovi particolari e di una protagonista illustre, Condoleezza Rice. Nel luglio del 2002 la Rice, allora consigliere per la Sicurezza nazionale, approvò verbalmente la richiesta della Cia di utilizzare la tecnica del waterboarding (annegamento simulato) sul presunto terrorista di al Qaida Abu Zubaydah. Pochi giorni dopo, il Dipartimento di Giustizia approvò l'utilizzo di questa tecnica, come riportano i memo segreti che l'amministrazione Obama ha reso pubblici, tra mille polemiche, la settimana scorsa. Il ruolo dell'ex Segretario di Stato viene descritto in un rapporto mostrato mercoledì dalla Commissione per l'intelligence del Senato. LA TESTIMONIANZA - In questo documento vengono riportati nel dettaglio i passaggi con cui le pratiche più dure e crudeli utilizzate dalla Cia furono ideate e approvate ai più alti livelli della Casa Bianca nell'era di George W. Bush. In questa cronologia appare chiaro come il ruolo rivestito dalla Rice fu molto più importante di quello da lei ammesso lo scorso autunno in una testimonianza scritta presentata alla Commissione armamenti del Senato. Nella sua testimonianza l'ex Segretario di Stato sostiene di aver solo preso parte a riunioni in cui si era discusso sulle richieste di interrogatorio della Cia, ma si era poi deciso di chiedere una valutazione legale al ministro della Giustizia. La Rice aveva detto di non ricordare i dettagli delle riunioni. Invece, il braccio destro di Bush ebbe un ruolo diretto nella vicenda dando per prima il via libera all'allora direttore della Cia George Tenet. Pochi giorni dopo, e dopo l'approvazione del ministero della Giustizia, come si legge nel memorandum segreto del 1 agosto 2002, il detenuto Zubaydah veniva sottoposto a waterboarding almeno 83 volte nel solo mese di agosto. Un portavoce della Rice, contattato dalla Ap, si è rifiutato di commentare la notizia. Nel documento reso pubblico mercoledì appare inoltre evidente come i pareri negativi di alcuni legali dell'amministrazione Bush su queste pratiche furono repentinamente accantonati. Questo documento del Comitato per l'Intelligence è stato rivelato pochi giorni dopo che la Commissione armamenti del Senato ha realizzato un esaustivo rapporto in cui vengono descritti minuziosamente i legami tra gli interrogatori brutali della Cia e gli abusi ai prigionieri di Guantanamo, a Cuba, ma anche in Afghanistan e nel carcere di Abu Ghraib in Iraq. stampa |

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"La Rice autorizzò le torture della Cia" (sezione: Diritti umani)

( da "Stampaweb, La" del 23-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

Il capitolo oscuro sullutilizzo di tortura negli interrogatori da parte di agenti americani si arricchisce di nuovi particolari e di una protagonista illustre, Condoleezza Rice. Nel luglio del 2002 la Rice, allora consigliere per la Sicurezza nazionale, approvò verbalmente la richiesta della Cia di utilizzare la tecnica del waterboarding (annegamento simulato) sul presunto terrorista di al Qaida Abu Zubaydah. Pochi giorni dopo, il Dipartimento di Giustizia approvò l’utilizzo di questa tecnica, come riportano i memo segreti che l’amministrazione Obama ha reso pubblici, tra mille polemiche, la settimana scorsa. Il ruolo dell’ex Segretario di Stato viene descritto in un rapporto mostrato ieri dalla Commissione per l’intelligence del Senato. In questo documento vengono riportati nel dettaglio i passaggi con cui le pratiche più dure e crudeli utilizzate dalla Cia furono ideate e approvate ai più alti livelli della Casa Bianca nell’era di George W. Bush. In questa cronologia appare chiaro come il ruolo rivestito dalla Rice fu molto più importante di quello da lei ammesso lo scorso autunno in una testimonianza scritta presentata alla Commissione armamenti del Senato. Nella sua testimonianza l’ex Segretario di Stato sostiene di aver solo preso parte a riunioni in cui si era discusso sulle richieste di interrogatorio della Cia, ma si era poi deciso di chiedere una valutazione legale al ministro della Giustizia. La Rice aveva detto di non ricordare i dettagli delle riunioni. Invece, il braccio destro di Bush ebbe un ruolo diretto nella vicenda dando per prima il via libera all’allora direttore della Cia George Tenet. Pochi giorni dopo, e dopo l’approvazione del ministero della Giustizia, come si legge nel memorandum segreto del 1 agosto 2002, il detenuto Zubaydah veniva sottoposto a waterboarding almeno 83 volte nel solo mese di agosto. Un portavoce della Rice, contattato dalla Ap, si è rifiutato di commentare la notizia. Nel documento reso pubblico ieri appare inoltre evidente come i pareri negativi di alcuni legali dell’amministrazione Bush su queste pratiche furono repentinamente accantonati. Questo documento del Comitato per l’Intelligence è stato rivelato pochi giorni dopo che la Commissione armamenti del Senato ha realizzato un esaustivo rapporto in cui vengono descritti minuziosamente i legami tra gli interrogatori brutali della Cia e gli abusi ai prigionieri di Guantanamo, a Cuba, ma anche in Afghanistan e nel carcere di Abu Ghraib in Iraq.

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Una ong accusa: l'esercito messicano usa la tortura (sezione: Diritti umani)

( da "Stampaweb, La" del 23-04-2009)

Argomenti: Diritti umani

La Commissione nazionale dei diritti umani (Cndh), un'ong messicana, ha denunciato l'utilizzo sistematico della tortura e di metodi disumani da parte dell'esercito messicano nella guerra contro i narcotrafficati alla frontiera con gli Stati Uniti. Secondo l'organizzazione, scrive il quotidiano spagnolo El Pais, le denunce di abusi sono in aumento da quando il presidente messicano Felipe CalderÓn ha mandato diecimila soldati a Ciudad JuÁrez, una delle città chiave per il narcotraffico. Detenzione arbitraria, metodi d'interrogatorio disumani con l'uso di scosse elettriche sono alcune delle violazioni denunciate da Cndh.www.elpais.com/

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