Al termine del discorso interviene su Gaza Applausi da parte dei soli leader arabi
(
da "Stampa, La"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umaniAbstract: Alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay. «Dichiarazioni inaccettabili», scandiscono i 23 Paesi dell'Unione europea che hanno lasciato l'assemblea per protesta contro le affermazioni del presidente iraniano, ma non la Conferenza: perché - sottolineano in 22, dopo l'abbandono serale della Repubblica ceca - a Ginevra si è messo a punto un «>
Vespa: (
da "Corriere.it"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Diritti dell'Uomo, Commissario per
i diritti umani. I tre denunciano il «devastante degrado» della libertà di
informazione e di critica nel settore televisivo e «il controllo del presidente
del Consiglio Silvio Berlusconi sul servizio pubblico Rai Tv» motivando il loro
esposto con «le misure censorie e disciplinari adottate nei confronti dei due
programmi di giornalismo investigativo
(
da "Corriere.it"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Anche Stalin firmò per i diritti
umani» Lo storico Paul Kennedy: «Durban II è un vertice simbolo dell'ipocrisia
dell'Onu. Consiglio bloccato da 5 potenze» WASHINGTON - Per lo storico Paul
Kennedy, autore di Ascesa e declino delle grandi potenze e de Il Parlamento
dell'uomo (l'Onu), la Conferenza sul razzismo non segnerà una svolta storica:
«Dopo accuse e con
"sarkozy non m'ha
ascoltato non bisognava partecipare" - pietro del re
( da "Repubblica, La"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: è necessario che i cittadini
iraniani, cinesi, russi e di tutti i paesi in cui i diritti umani sono
calpestati vedano che la sala si svuota quando i loro leader salgono in
cattedra. Oggi, grazie a internet chiunque può assistere a quanto accade a
migliaia di chilometri da casa, che si trovi in Siberia o in Arabia Saudita».
torture, obama fa pace con
la cia - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica,
La" del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Pagina 14 - Esteri Torture, Obama
fa pace con la Cia Missione a Langley: "Abbiamo fatto errori ma saremo più
forti rispettando le regole" Nuove polemiche sul waterboarding: contro un
terrorista utilizzato 183 volte, sei al giorno ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal
nostro inviato NEW YORK - «La Cia ha il mio pieno sostegno.
la memoria - vittorio foa
( da "Repubblica, La"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Io credo profondamente nella
possibilità per la mente umana di scegliere delle vie positive e non soltanto
la via dell´egoismo. Possiamo aiutare questo sviluppo dell´umanità? C´è chi
dice che potremmo utilizzare altri parametri, per esempio quello dei diritti
umani, che è indipendente dalle nazioni, dalle religioni e dai partiti.
viaggio nell'isola
caraibica dopo le aperture del presidente usa. tra i giovani che sperano nella
fine dell'embargo e tifano per barack - fabrizio ravelli l'avana
( da "Repubblica, La"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: apertura dichiarata da Raul Castro
a discutere con gli Usa di tutto, compresi i fin qui innominati «diritti
umani». La reflexion resta molto al di sotto delle aspettative, perché a Cuba -
aggiunge la Sanchez - «stiamo tutti aspettando, e ora la palla è nelle mani del
governo». SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE SEGUE A PAGINA 28
Le assenze di Obama
( da "Manifesto, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: il doppio standard su temi quali i
diritti umani e il razzismo, indissolubili. Ci sarebbe già da discutere
sull'aministia preventiva che Obama ha regalato ai torturatori della Cia, sulla
base dell'obbedienza dovuta - di sinistra memoria argentina - a ordini
superiori. Forse - realismo politico oblige - non era consigliabile fare di
più,
Domani il cda decide su
Annozero Maggioranza divisa ( da "Manifesto,
Il" del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: diritti dell'uomo, Commissario per
i diritti umani - sul «devastante degrado» della libertà di informazione e di
critica nel settore televisivo e «il controllo del presidente del consiglio
Silvio Berlusconi sul servizio pubblico Rai tv». Alla base dell'esposto, «le
misure censorie e disciplinari adottate nei confronti dei due programmi di
giornalismo investigativo condotti da Milena
Si chiama sete l'ultima
tortura per la Palestina ( da "Manifesto,
Il" del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: ogni israeliano consuma acqua come
quattro palestinesi Si chiama sete l'ultima tortura per la Palestina Michele
Giorgio GERUSALEMME La distribuzione dell'acqua tra israeliani e palestinesi,
decisa con gli accordi di Oslo II del 1995, deve essere modificata
immediatamente se si vuole mettere fine ad una discriminazione che sta per
provocare una catastrofe nei Territori occupati.
Ahmadinejad spacca la
conferenza Onu ( da "Manifesto,
Il" del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: DIRITTI UMANI Ahmadinejad spacca la
conferenza Onu Il presidente iraniano apre «Durban II» con un attacco durissimo
contro lo Stato ebraico. Il segretario generale Ban ki-Moon: sbagliato
politicizzare l'incontro «Israele razzista», decine di delegati lasciano il
summit contro la xenofobia.
Torturati 266 volte con il
waterboarding ( da "Manifesto,
Il" del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: USA Mentre Obama visita la sede
della Cia «Torturati 266 volte con il waterboarding» Matteo Bosco Bortolaso
Ieri il presidente Barack Obama ha parlato per la prima volta ai funzionari
della Cia proprio mentre emergeva uno dei particolari più raccapriccianti sul
recente passato dell'agenzia: sotto George W.
E l'anti-razzismo? È
finito ostaggio dello scontro tra Israele e Iran
( da "Manifesto, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Alta commissaria dell'Onu per i
diritti umani Navi Pillay, salvare il salvabile, che in fondo è una
dichiarazione univoca ed universale contro razzismo, xenofobia, islamofobia e
antisemitismo. Un testo, o meglio, ancora una bozza di conclusioni, finita ormai
ostaggio di due mondi che si fanno la guerra sulla pelle di chi il razzismo,
Obama alla Cia: vi
proteggerò ( da "Sole
24 Ore, Il" del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: ieri ha negato che le torture, il cosiddetto
"waterboarding" ad esempio, siano state efficaci: «Non mi risulta che
quel che sapevamo lo abbiamo ottenuto grazie alla tortura. Anzi se prendiamo il
caso di Abu Zubaydah, ha rivelato tutto quasi subito e poi è stato torturato
innumerevoli volte ma non aveva più niente da dire».
Il detenuto Britel,
torturato e ignorato ( da "Sole
24 Ore, Il" del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: torturato e ignorato Claudio Gatti
NEW YORK. Dal nostro inviato Torture e ingiustizie sulle prime pagine dei
giornali. Negli ultimi giorni,in Italia come nel resto del mondo, si è letto di
Roxana Saberi, la giornalista persianoamericana condannata dal governo iraniano
a 8 anni di reclusione dopo un processo a porte chiuse alla cui legittimità
hanno creduto pochi.
Il tiranno oscura il
summit ( da "Unita,
L'" del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: fatti nella lotta al razzismo e
alla xenofobia, e nel rispetto dei diritti umani. Se i media avranno spazio
residuo per parlare di quanto accade a Ginevra, si interrogheranno
sull'opportunità di questo summit, o più probabilmente sulla scelta di
partecipare operata dalla Ue, dall'Inghilterra, dalla Francia, da Benedetto
XVI.
Annegamento, la tortura
usata dalla Cia per 266 volte su due presunti terroristi
( da "Unita, L'"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: la tortura usata dalla Cia per 266
volte su due presunti terroristi RACHELE GONNELLI Acqua versata a forza in
bocca e nel naso fino a provocare una sensazione di annegamento. La tecnica del
waterboarding, una tortura che arriva a simulare e a sfiorare la morte del prigioniero,
è stata applicata per ben 266 volte su due soli detenuti speciali in mano agli
uomini della Cia.
L'orrore e la rabbia di
Wiesel (
da "Corriere della Sera"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: L'intellettuale francese invita a
non cadere nella trappola di un concetto «vuoto di sofferenza»: «Dove si
possono infilare un incidente, l'Olocausto, il genocidio dei Tutsi, un omicidio
dall'altra parte della strada. Ogni violazione dei diritti umani dev'essere
analizzata e sviscerata da sola». Davide Frattini
4 500
( da "Corriere della Sera"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Corriere della Sera sezione: Primo
Piano data: 21/04/2009 - pag: 3 delegati di Ong, gruppi antirazzismo e
associazioni per i diritti umani si sono registrati a Durban II. Alla prima
conferenza in Sudafrica nel 2001 erano oltre 10 mila 4 500
(
da "Corriere della Sera"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Tutti interessati a proteggere
diritti umani dimenticati per quei quattro giorni passati da Ekos guardando un
sacco di plastica bianca. Il racconto di Ekos «Abbiamo cercato di salvarla, ma
le onde la portavano via... Adesso dovete farmi parlare con la mia famiglia e
farmela vedere» L'amico Ibet «Ci lanciavano delle funi, noi ci aggrappavamo,
Kabul e il silenzio delle
femministe (
da "Corriere della Sera"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: femministe in molti Paesi musulmani
stanno spesso attente a dire che Islam e diritti umani sono conciliabili, per
ottenere legittimità e sperando di rafforzare i moderati. Chi le appoggia
davvero all'estero fa lo stesso. E' una strategia. Funzionerà? Non so. Forse
solo nel breve periodo ». Sciite Donne sciite manifestano a Kabul lo scorso 15
aprile contro la legge che, tra l'altro,
Cia in rivolta, arriva
Obama ( da "Stampa,
La" del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: TORTURA Il generale Hayden «Si è
messa in difficoltà un'Agenzia in guerra per difendere i cittadini» Chi negli
interrogatori adoperò i sistemi ora vietati teme un'indagine federale Cia in
rivolta, arriva Obama [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEWYORK La
pubblicazione dei memo della Cia causa scompiglio fra gli 007 e Barack Obama
arriva nel quartier generale di Langley per
Presunto terrorista
torturato 183 volte ( da "Corriere
delle Alpi" del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Presunto terrorista torturato 183
volte La Cia sempre più in difficoltà dopo le rivelazioni della Casa Bianca DAL
CORRISPONDENTE Andrea Visconti NEW YORK. Un presunto terrorista detenuto dagli
Usa fu sottoposto alle torture di waterboarding per ben 183 volte. Nel marzo
2003 Khalid Sheikh Mohammed fu messo sotto enorme pressione dagli agenti della
Cia che,
Ahmadinejad, un uomo
belva.... ( da "Giornale.it,
Il" del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: per i violatori seriali di diritti
umani Iran e Libia, il razzismo era una pura scusa, come lo era stato ai tempi
di Durban 1. Noi che ci crediamo, che viviamo nelle democrazie, che davvero
pensiamo che il diritto e l?integrità morale debbano illuminare la strada,
volevamo una conferenza contro il razzismo, condivisa anche dal resto del
mondo,
Mantovano: "L'Europa
dia più fondi all'Italia" ( da "Giornale.it,
Il" del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: dobbiamo pure subire le
cialtronerie del Commissario per i diritti umani del Consiglio d?Europa, Thomas
Hammarberg, che racconta cose non vere sulla situazione degli immigrati nel
nostro Paese». Quanto contano agli occhi della Ue le polemiche e le critiche
dell?opposizione? «Pesano molto. Noi tutti, maggioranza ed opposizione,
dovremmo essere orgogliosi di quanto l?
I protagonisti La
passerella degli ipocriti: Cuba e Libia insegnano i diritti umani
( da "Giornale.it, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Alla terza interruzione e con
l'accusa di «uscire dal tema» (i diritti umani) l'ambasciatrice ha passato la
parola nientemeno che al delegato libico censurando la denuncia. Presidente del
Consiglio per i diritti umani, uno delle costole dell'Onu, che di più si è
battuta per Durban II, è invece dallo scorso anno il cubano Miguel Alfonso
Martinez.
Censura Per i giornali di
Teheran lo show è stato (
da "Giornale.it, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: ha tentato di «lanciare un oggetto»
contro il presidente che, nonostante i tentativi di sabotaggio, è stato
incitato a proseguire dai 4.500 rappresentanti di Ong e da numerosi attivisti
per i diritti umani che lo hanno ripetutamente applaudito. © SOCIETà EUROPEA DI
EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano
Cheney difende le torture
della Cia ( da "Stampaweb,
La" del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: tecniche che critici in tutto il
mondo hanno descritto spesso con il termine tortura. Secondo The New York
Times, una delle tecniche più atroci, il water-boarding (annegamento simulato),
sarebbe stata utilizzata fino a 266 volte su due presunti membri di al Qaida.
Ahmadinejad:
"Razzisti sono i sionisti"
( da "Stampaweb, La"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Alto commissario Onu per i diritti
umani Navi Pillay. «Dichiarazioni inaccettabili», scandiscono i 23 Paesi
dell?Unione europea che hanno lasciato l?assemblea per protesta contro le
affermazioni del presidente iraniano, ma non la Conferenza: perché -
sottolineano in 22, dopo l?
Kabul e il silenzio delle
femministe (
da "Corriere.it"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Oggi le femministe in molti Paesi
musulmani stanno spesso attente a dire che Islam e diritti umani sono
conciliabili, per ottenere legittimità e sperando di rafforzare i moderati.
Chi le appoggia davvero all'estero fa lo stesso. E' una strategia. Funzionerà?
Non so. Forse solo nel breve periodo ». Viviana Mazza stampa |
Conferenza sul razzismo.
Ahmadinejad attacca israele. I rappresentati dell'Europa lasciano la sala
( da "AmericaOggi Online"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Alto commissario delle Nazioni
Unite per i diritti umani Navi Pillay che avevano aperto in mattinata i lavori
della Conferenza. Il segretario generale ha deplorato l'uso della piattaforma
dell'Onu per "accusare, dividere e incitaré all'odio. Anche Pillay ha
criticato l'intervento del leader iraniano, ma la "migliore replica è di
rispondere e correggere,
Fallimento annunciato.
Razzismo/La Conferenza bloccata dai veti e dai compromessi
( da "AmericaOggi Online"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: nuovi e vecchi blocchi e alleanze
condizionano le risoluzioni che spesso hanno poco a che vedere con la tutela
dei diritti umani. Tuttavia, è all'interno di quest'organismo, più che in
un'ennesima conferenza controversa, che si dovrà tentare di trovare un minimo
comun denominatore per definire il concetto di "diritti umani " e per
staccarli dagli interessi particolari.
Durban II: solo i timori
antisemiti dietro il boicottaggio?
( da "Articolo21.com"
del 21-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: a non avallare politiche migratorie
incompatibili con il rispetto dei diritti umani... si fa appello alle
parternership da stabilire con i paesi di proveninenza o di transito ma sempre
purchè si rispettino i diritti succitati ( forse il patto bilaterale con la
Libia stretto dall'Italia non rientrerebbe in una simile definizione).
Israele: "Ahmadinejad
nuovo Hitler" Onu, approvata dichiarazione sui diritti umani
( da "Repubblica.it"
del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: dei diritti delle donne, della
tratta degli esseri umani, degli ammalati di Aids e delle persone
handicappate", sottolinea. Il Vaticano. La Santa Sede, afferma una nota
diffusa dalla sala stampa, "deplora l'utilizzazione del forum dell'Onu sul
razzismo per assumere posizioni politiche, estremiste e offensive,
Quanti ostacoli per
un'azione anti-razzismo dell'Onu ( da "Arena,
L'" del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: incentrata sui diritti umani.
L'estremismo del leader dell'Iran non è nuovo. Ma hanno fatto discutere anche i
veti della Russia, della Cina o anche degli Stati Uniti su specifici fatti di
violazione di alcuni diritti fondamentali. Il fatto è che attorno al tema dei
diritti umani vi è certamente consonanza nel mondo occidentale.
torture, vittoria liberal:
"sì alle incriminazioni"
( da "Repubblica, La"
del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: America meno sicura" Torture,
vittoria liberal: "Sì alle incriminazioni" DAL NOSTRO INVIATO NEW
YORK - Gli avvocati dell´amministrazione Bush che hanno dato il via libera alle
«tecniche brutali» di interrogatorio usate dagli agenti della Cia contro i
terroristi di Al Qaeda catturati dagli Usa, potrebbero rischiare
l´incriminazione.
LIBRI Gli orti felici
Luciana Littizzetto e Paolo Pejrone improvvisano alle 18,30 un Due...
( da "Stampa, La"
del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Teatro Espace via Mantova 38 CINEMA
Diritti umani Per il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei
Diritti Umani, alle 20,30 proiezione del film «Stories on Human Rights».
Gratuito. Unione Industriale, via Fanti 17 Flores Alle 21,15 il film «Signori
professori» di Maura Delpero, diventa occasione per approfondire il tema «La
scuola malata: insegnanti allo sbaraglio»
"la francia ha fatto
bene ad andare anche così si contrasta il razzismo" - anais ginori
( da "Repubblica, La"
del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: sottosegretario al ministero degli
Esteri per i diritti umani, è uno dei personaggi politici più popolari del
momento. I francesi apprezzano la schiettezza e una certa dose di ribellione di
questa giovane donna nata in Senegal 33 anni fa. Perché la Francia ha deciso di
rimanere alla conferenza anche dopo le dichiarazioni di Ahmadinejad?
approvata in tutta fretta
la dichiarazione finale il vaticano: "passi avanti"
( da "Repubblica, La"
del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: aperte nuove prospettive per i
diritti umani Approvata in tutta fretta la Dichiarazione finale il Vaticano:
"Passi avanti" GINEVRA - Grazie anche al discorso di Ahmadinejad, il
vertice Onu di Ginevra sul razzismo ieri ha accelerato i suoi lavori: i
delegati hanno approvato la Dichiarazione Finale, che era stata scritta e
negoziata da giorni.
mosca, scarcerata la
legale dei nemici di putin - leonardo coen
( da "Repubblica, La"
del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Il no di quei giudici scatenò
l´indignazione dei difensori dei diritti umani e dell´opinione pubblica: la
compagna di scuola Olga Kalashnikova scrisse a Medvedev una lettera aperta che
finì poi sul sito www. bakhmina. ru. Nel giro di poche settimane vennero
raccolte 90mila firme. Il Cremlino rimase sordo a ogni appello.
Razzismo, intesa all'Onu
(in anticipo) ( da "Corriere
della Sera" del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Navi Pillay, alto commissario per i
Diritti umani, assicura che la fretta non nasce dalla paura di altre defezioni.
La conferenza sul razzismo è stata boicottata da dieci Paesi (tra cui Stati
Uniti, Israele e Italia) e «sono gli unici a non aver adottato il testo». Chi è
rimasto, ha detto sì.
Caccia ai gay a Baghdad
( da "Sole 24 Ore, Il"
del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: MONDO data: 2009-04-22 - pag: 10
autore: Diritti umani Caccia ai gay a Baghdad Braccati. I loro nomi affissi sui
muri, come pericolosi ricercati. E sotto, la scritta «cagne sarete
giustiziate». Sono solo "jarwa", in arabo cagna. Li torturano, li
seviziano e poi abbandonano i cadaveri davanti agli ospedali o nelle strade.
Obama apre alle indagini
sulle torture degli agenti Cia ( da "Sole
24 Ore, Il" del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Obama apre alle indagini sulle
torture degli agenti Cia Mario Platero NEW YORK. Dal nostro corrispondente
Barack Obama ci ha ripensato: non si potrà escludere la formazione di una
commissione di inchiesta o di un processo speciale contro coloro che hanno
formulato gli ordini e fornito il contesto giuridico per autorizzare le torture
sui sospetti di terrorismo detenuti dalla Cia.
Teatro itinerante nelle
periferie ( da "Sole
24 Ore, Il" del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: esperienza Rosa nel suo futuro
vedeva un lavoro per un'organizzazione di diritti umani. In mente aveva Amnesty
international. Poi però «ho capito che avrei potuto usare il teatro per
lavorare con i giovani e i bambini. è un teatro il mio che non si basa
fortemente sul parlato, ma sulle figure e sulla fisicità che vanno al di là
delle parole».
Hanno avuto torto gli
assenti e i preveggenti ( da "Manifesto,
Il" del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: il paragrafo fa esplicito
riferimento «ad una situazione molto specifica dell'Europa». Per Navi Pillay,
l'Alta Commissaria per i diritti umani dell'Onu, la necessità di agire è
chiara: «dal 2001 ad oggi la situazione dei gruppi più vulnerabili è solo
peggiorata». Un'altra ragione per esserci. alberto d'argenzio
Obama apre la porta al
processo alle torture ( da "Manifesto,
Il" del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: inchiesta sugli «interrogatori»
Obama apre la porta al processo alle torture Matteo Bosco Bortolaso Il processo
alle torture dell'era Bush si farà. Ieri il presidente Barack Obama ha aperto
la porta all'idea di una commissione speciale per indagare - ed eventualmente
punire - i responsabili di metodi di interrogatorio inumani.
I suicidi in carcere e
l'etica della responsabilità ( da "Manifesto,
Il" del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Il Comitato per la Prevenzione
della Tortura del Consiglio di Europa (Cpt), ha considerato la situazione di
sovraffollamento in carcere, come «trattamento inumano e degradante». Tanto
maggiore sarà la invivibilità quanto più si accompagnerà alle lunghe permanenze
in cella, a fare della cella il luogo di una vita invivibile.
Obama non chiude con
l'Iran Israele: Ahmadinejad è Hitler
( da "Unita, L'"
del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Onu per i diritti umani Navi
Pillay. L'Alto commissario sottolinea che il testo approvato ricorda tra
l'altro che l'Olocausto «non dovrà mai essere dimenticato». Per Pilay
l'approvazione del testo è un successo. «Il fatto che il documento sia stato
adottato da tutti gli Stati (membri dell'Onu) tranne nove è la nostra risposta,
Bolla come incredibili e
false le accuse di Mahmoud Ahmadinejad a Israele. Nello stesso ...
( da "Unita, L'"
del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Onu per i diritti umani Navi
Pillay. L'Alto commissario sottolinea che il testo approvato ricorda tra
l'altro che l'Olocausto «non dovrà mai essere dimenticato». Per Pilay
l'approvazione del testo è un successo. «Il fatto che il documento sia stato
adottato da tutti gli Stati (membri dell'Onu) tranne nove è la nostra risposta,
I cento anni di Rita.
Auguri! ( da "Unita,
L'" del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: IL COMPLEANNOLa senatrice a vita
Rita Levi Montalcini compie oggi cento anni. Nota in tutto il mondo per aver
vinto il Nobel per la Medicina nel 1986, la scienziata piemontese si batte da
anni per i diritti umani e l'emancipazione femminile. Tanti auguri da
«l'Unità».
La politica della paura
che rende rigida l'Europa ( da "Unita,
L'" del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: è una questione che attiene ai
diritti umani e alla difesa nazionale. Mentre proliferano rimedi new age di
ogni sorta e si diffonde lo yoga planetario, la nostra sensibilità ha imboccato
una strada che definisco da «medicina legale»: la «nuda vita», come sostiene
Agamben, segna i confini liminali di una probabile privazione - infiniti gradi
di avvicinamento alla morte.
Alla fine ufficiale del
postmodernismo, nessuna concezione è più contestata di quella dell...
( da "Unita, L'"
del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: è una questione che attiene ai
diritti umani e alla difesa nazionale. Mentre proliferano rimedi new age di
ogni sorta e si diffonde lo yoga planetario, la nostra sensibilità ha imboccato
una strada che definisco da «medicina legale»: la «nuda vita», come sostiene
Agamben, segna i confini liminali di una probabile privazione - infiniti gradi
di avvicinamento alla morte.
La Casa Bianca
"Un'inchiesta sulle torture Cia"
( da "Stampa, La"
del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: inchiesta sulle torture Cia"
FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Barack Obama apre all'ipotesi di istituire
commissioni di inchiesta bipartisan per valutare l'operato dei funzionari
dell'amministrazione Bush che diedero il via libera all'uso di metodi di interrogatorio
al limite della tortura sui presunti affiliati alla rete terroristica di Al
Qaeda.
Il rebus iraniano
( da "AprileOnline.info"
del 22-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: Nei delicatissimi rapporti futuri
casi relativi ai diritti umani come quello della giornalista (o spia)
iraniano-americana Roxana Saberi, condannata dopo un processo a porte chiuse a
otto anni di carcere, costituiscono emblematici momenti che possono favorire
avvicinamenti o decretare nuove fratture.
Cuneo, quattro lapidi per
non dimenticare ( da "Stampa,
La" del 23-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: quattro lapidi per non dimenticare
Nei luoghi della tortura e delle fucilazioni eseguite dai fascisti Colpi simili
a picconate ci hanno costretti ad uscire in giardino per capire cos'era
successo. I muri vibravano, sembrava un terremoto. Poi l'amara sorpresa: la
targa di marmo che avevamo acquistato in onore dei partigiani che si
rifocillavano nel nostro locale era in frantumi»
Anatomia di uno scandalo
Parigi chiude la mostra-choc ( da "Stampa,
La" del 23-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: per ricercare con le autorità
pubbliche francesi una soluzione che sia conforme ai diritti della inumazione».
Esultano le due associazioni per la difesa dei diritti umani che hanno
presentato la denuncia; perché secondo loro c'era il sospetto che i cadaveri
siano in realtà di prigionieri e di condannati a morte venduti con losco
traffico della stessa polizia cinese.
La memoria CONTRO IL MURO
( da "Manifesto, Il"
del 23-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: organizzazione per i diritti umani
Yesh Din - di ordinare la restituzione di 13 ettari di terra del
villaggio, dichiarati area chiusa dell'esercito all'inizio della seconda
Intifada (2000) e trasformati in un parco dai coloni di Modiin Illit. Foto:
RAMLE, GIOVANE ARABO-ISRAELIANA A UNA MOSTRA FOTOGRAFICA SUI MUSULMANI CHE
SALVARONO VITE DI EBREI DURANTE L'
Piombo fuso, a Gaza 1417
morti a norma di legge ( da "Manifesto,
Il" del 23-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: incaricato dal Consiglio dei
diritti umani delle Nazioni Unite di condurre a Gaza una squadra
d'investigatori - che Tel Aviv non collaborerà alla sua inchiesta. Ci sono poi
le centinaia di denunce per «crimini di guerra» e «crimini contro l'umanità»
messe sul tavolo del procuratore capo della Corte penale internazionale, Luis
Moreno-Ocampo,
Libri, cerimonie, tesi di
laurea ( da "Corriere
delle Alpi" del 23-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: tesi di laurea Il corteo parte
dalla caserma Tasso che fu luogo di tortura BELLUNO. Si terrà domani alle 18,
nella sala Affreschi di Palazzo Piloni (e non in Auditorium, come indicato
nell'invito), il primo appuntamento del programma di celebrazioni organizzate
per la ricorrenza del 64º anniversario della Liberazione.
Usa, un dossier inchioda
la Rice (
da "Corriere.it"
del 23-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: utilizzo di tortura negli
interrogatori da parte di agenti americani si arricchisce di nuovi particolari
e di una protagonista illustre, Condoleezza Rice. Nel luglio del 2002 la Rice,
allora consigliere per la Sicurezza nazionale, approvò verbalmente la richiesta
della Cia di utilizzare la tecnica del waterboarding (annegamento simulato)
"La Rice autorizzò le
torture della Cia" ( da "Stampaweb,
La" del 23-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: utilizzo di tortura negli
interrogatori da parte di agenti americani si arricchisce di nuovi particolari
e di una protagonista illustre, Condoleezza Rice. Nel luglio del 2002 la Rice,
allora consigliere per la Sicurezza nazionale, approvò verbalmente la richiesta
della Cia di utilizzare la tecnica del waterboarding (annegamento simulato)
Una ong accusa: l'esercito
messicano usa la tortura ( da "Stampaweb,
La" del 23-04-2009)
Argomenti:
Diritti umani
Abstract: diritti umani (Cndh), un'ong
messicana, ha denunciato l'utilizzo sistematico della tortura e di metodi
disumani da parte dell'esercito messicano nella guerra contro i narcotrafficati
alla frontiera con gli Stati Uniti. Secondo l'organizzazione, scrive il quotidiano
spagnolo El Pais, le denunce di abusi sono in aumento da quando il presidente
messicano Felipe CalderÓn ha mandato diecimila
( da "Stampa, La" del
18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
[FIRMA]FRANCESCO
SEMPRINI NEW YORK Fame, insetti e annegamenti simulati. Questi e molti altri
sono gli strumenti utilizzati dalla Cia per ottenere informazioni da presunti
terroristi affiliati ad al Qaeda e dai nemici combattenti degli Stati Uniti. I particolari degli interrogatori al limite della tortura sono
stati resi pubblici con la divulgazione di quattro memo che portano in calce la
firma dei funzionari del governo di George W. Bush. Una decisione voluta da
Barack Obama ma che lo ha spinto sotto il fuoco incrociato di destra e
sinistra. Sono una decina le tecniche approvate nei memo, il primo dei
quali risale all'agosto del 2002 ed è siglato dal vice ministro della giustizia
Jay Baybee, con l'obiettivo di «terrorizzare» il detenuto, come spiega una nota
a piè di pagina. In quel caso il documento si riferiva ad Abu Zubaydah,
affiliato di al Qaeda per il quale la Cia puntava in particolare sulla pratica
numero nove, ovvero infilarlo in una scatola liberando al suo interno uno o più
insetti. «Innocui», dice il memo, ma Zubaydah che «ha una forte paura degli
insetti», non doveva saperlo. Da allora gli ordini si sono ripetuti altre tre
volte, l'ultima delle quali reca la data del 10 maggio 2005 e la firma di
Steven G. Bradbury, capo dell'ufficio di consulenza legale della Giustizia, ma
le tecniche sono le stesse. Per causare «sconforto psicologico nel terrorista»,
si poteva denudarlo oppure usare la manipolazione dietetica sostituendo i cibi
solidi con alimenti liquidi. C'erano poi il Walling, ovvero lo sbattere il
prigioniero contro un muro simulando una sorta di scossa sismica, gli schiaffi
in faccia con le dita della mano leggermente divaricate, da alternare agli
schiaffi addominali, usando il dorso della mano sulla pancia. Il Wall Standing
era una delle tecniche più raffinate dal punto di vista psico-fisico: si
forzava il detenuto a stare in piedi con i piedi allargati, le braccia stese,
le dita posate su un muro, senza permettergli di muoversi fino a quando cede o
il fisico o i nervi. C'erano poi la privazione del sonno e il Water Dousing,
ovvero getti di aria fredda sul corpo. Un posto particolare infine lo occupava
il Waterboarding - acqua sul volto coperto da un panno sul detenuto che veniva
steso sulla schiena con la testa in basso - la tecnica più famigerata e più
usata per la sua efficacia. Il «panico da annegamento», secondo il memorandum
non infliggeva gravi dolori, sofferenze o danni fisici, ma «funzionava bene».
Sono almeno quattordici i prigionieri sui quali sono state sperimentate queste
tecniche, singolarmente o combinate, perché considerati più pericolosi e in
possesso di informazioni cruciali. Obama tuttavia conferma l'immunità agli
agenti della Cia, ma solo se non sono andati oltre le disposizioni previste nei
memo. «Sei come Bush», è l'accusa che le associazioni liberal rivolgono al
presidente considerato per questo un «complice» dei torturatori. Ma a far fuoco
su Obama sono anche gli ex funzionari del governo repubblicano come l'ex capo
della Cia, Michael Hayden, e l'ex segretario alla Giustizia, Michael Mukasey,
che lo accusano di «aiutare i terroristi facendo conoscere le nostre tecniche»
e «di creare un clima di sfiducia istituzionale simile a quello che indebolì
l'intelligence prima dell'11 settembre».
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( da "Stampa, La" del
18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
[FIRMA]EMANUELE
NOVAZIO ROMA A meno di cambiamenti dell'ultima ora nella bozza di risoluzione
finale, sulla quale il comitato preparatorio ha trovato un'intesa ieri sera,
l'Italia continuerà a boicottare la Conferenza Onu sul razzismo che si aprirà
lunedì a Ginevra, la cosiddetta «Durban 2». Le condizioni per una nostra
presenza «ancora non ci sono» - conferma Franco Frattini - nonostante i
cambiamenti intervenuti grazie alla mediazione russa dopo un duro intervento
italiano, il mese scorso. Secondo il ministro degli Esteri la bozza contiene
troppi riferimenti al documento conclusivo di «Durban 1», la Conferenza
svoltasi nella città sudafricana nel 2001: in particolare, Roma denuncia la
presenza di «inaccettabili» elementi antisemiti e razzisti nella parte che
riguarda l'Olocausto, la mancanza di «garanzie significative» alla libertà di
espressione, e lo spazio all'incitamento all'odio interrazziale e religioso.
Anche se - precisa Frattini - «siamo impegnati con i colleghi europei fino
all'ultima ora», l'Italia mantiene dunque «un atteggiamento di disimpegno anche
dal negoziato». Come Stati Uniti, Canada e Israele. A Roma si teme inoltre «il
clima della Conferenza». In particolare, confidano fonti diplomatiche,
«preoccupa» l'annunciata partecipazione di Ahmadinejad: il presidente iraniano
potrebbe approfittare della tribuna Onu per lanciare nuovi proclami antisemiti
e anti-israeliani. Secondo indiscrezioni non smentite da Berlino, anche la
Germania non sarà presente. Forti dubbi hanno Gran Bretagna, Olanda e
Danimarca, mentre le posizioni di Spagna e Francia sono più possibiliste.
Parigi, in particolare, ieri sembrava orientata a un sì: «L'ho sempre pensato:
partecipiamo per batterci in favore dei nostri valori, per difendere la lotta
al razzismo, l'uguaglianza fra uomo e donna, contro le discriminazioni», ha dichiarato il segretario di Stato per i diritti umani Rama Yade. Finora, soltanto 40
Paesi su oltre 160 hanno confermato la loro presenza alla Conferenza, che si
chiuderà il 24. Secondo un portavoce del Dipartimento di Stato americano,
tuttavia, gli Stati Uniti potrebbero rivedere la propria posizione se i «timori
restanti fossero cancellati» e ci si accordasse su un «testo
sostenibile»: secondo il Washington Post, Obama deciderà solo all'ultimo
momento. Altre fonti americane sottolineano l'importante operazione di lobby di
numerose Ong, secondo le quali «gli Usa devono unirsi alla lotta globale contro
il razzismo, una battaglia che l'amministrazione Bush ha abbandonato». Ieri
l'Alto commissario Onu per i diritti umani, Navanethem
Pillay, ha lanciato un appello ai Paesi membri perchè «superino le divergenze e
trovino un consenso». Anche il Consiglio d'Europa ha invitato a un «approccio
costruttivo» in nome della lotta al razzismo, alla xenofobia e
all'intolleranza. Ma l'incertezza durerà fino all'ultimo.
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( da "Corriere delle Alpi"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
dal
corrispondente Andrea Visconti Immunità Cia, critiche su Obama Torture Usa:
fuoco incrociato sulla decisione del presidente NEW YORK. Sono soprattutto i
liberal e i progressisti americani ad avere accolto con
scetticismo la decisione del presidente Barack Obama di garantire l'immunità
agli agenti della Cia responsabili di avere torturato presunti terroristi di Al
Qaeda. La sinistra ha criticato il presidente degli Stati Uniti per avere
lanciato un messaggio contraddittorio: da una parte dice no alle torture e si
impegna a chiudere questo capitolo nero della recente storia americana.
Dall'altra fa andare impunite le persone stesse che sono ricorse a privazione
del sonno, docce gelate, sensazione di affogamento e umiliazione per far
parlare prigionieri presi in Afghanistan o Iraq che potrebbero avere avuto
informazioni sulla rete del terrore che fa capo a Bin Laden. Dietro alla
decisione ambigua di Obama c'è stato una sorta di patteggiamento con la Cia: la
Casa Bianca avrebbe reso pubblici i memorandum dell'amministrazione Bush
relativi alle torture dei prigionieri ma in cambio si sarebbe impegnato a non
mettere sotto processo gli agenti della Cia. Secondo Obama questi ultimi non
stavano facendo altro che eseguire gli ordini. Come dimostrano i memorandum
resi pubblici questa settimana erano stati i più alti vertici del dipartimento
della giustizia a dare l'okay a metodi di interrogatori inaccettabili. Torture
così pesanti che il New York Times ricordava che dopo la Seconda Guerra
Mondiale gli americani misero sotto processo i giapponesi per essere ricorsi
agli stessi metodi usati dagli Usa sessant'anni dopo. «Gli agenti della Cia
facevano il loro dovere contando in buona fede sulle rassicurazioni legali che
ricevevano dal dipartimento di Giustizia», ha detto il capo della Casa Bianca
impegnandosi a fare luce su quali furono le circostanze che portarono a
ricorrere a metodi di tortura. «Si deve fare luce su come e perché furono prese
quelle decisioni e chi prese la decisione finale di autorizzare l'uso di
tecniche di interrogatorio in violazione delle leggi americane e
internazionali». Che gli agenti della Cia sotto Bush fossero ricorsi al
waterboarding, cioè la sensazione di affogamento del prigioniero, era già
venuto fuori. Ma ora si apprende di altri tipi di tortura. Uno di questi è
l'uso di insetti per terrorizzare il detenuto chiuso in uno scatolone. Un'altra
forma di tortura è la privazione del sonno fino a undici giorni consecutivi con
gli aguzzini che non appena il prigioniero accenna ad addormentarsi lo
svegliano. Emerge anche l'uso di canne che spruzzano acqua gelata. Tutti metodi
che secondo il ministro della Giustizia di Bush fu legale impiegare fra il 2002
e il 2005. Ma l'inchiesta per fare luce su quegli anni non si ferma qui. La
Casa Bianca intende chiarire se anche la National Security Agency (l'agenzia di
controspionaggio) si è resa responsabile di dare il via libera a metodi di
tortura. Obama ha promesso grande trasparenza ma allo stesso tempo si muove con
cautela per evitare critiche dalla destra di mettere a rischio in questo modo
la sicurezza nazionale.
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( da "Corriere delle Alpi"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Razzismo,
l'Italia fuori dal vertice L'Onu cerca un compromesso, ma c'è poco tempo
GINEVRA. Compromesso a Ginevra sulla bozza di dichiarazione finale della
Conferenza mondiale sul razzismo (Durban II). In extremis, i delegati - mancano
gli Stati Uniti, l'Italia, il Canada e Israele - hanno raggiunto un accordo sul
testo da trasmettere «per esame e adozione» alla Conferenza sul razzismo, in
programma dal 20 al 24 aprile prossimi a Ginevra. La bozza di dichiarazione è
stata sostanzialmente ripulita dai principali punti di discordia, in
particolare la stigmatizzazione di Israele e la diffamazione delle religioni.
Il testo ora deve essere esaminata dalla capitali, ed in particolare dai Paesi
europei e dagli Usa che devono ancora pronunciarsi sulla loro partecipazione
all'evento. Italia e Stati Uniti (che si erano già ritirati dai lavori
preparatori della Conferenza), Israele e Canada (che hanno da tempo annunciato
che boicotteranno l'evento) non hanno partecipato ai lavori del comitato
preparatorio. Frutto di un difficile compromesso la bozza di dichiarazione è
stata negoziata fino all'ultimo: «sono molto felice di annunciarvi la decisione
del Comitato preparatorio di trasmettere il documento alla Conferenza per esame
ed adozione», ha annunciato ieri in serata l'Alto commissario dell'Onu per i
diritti umani Navi Pillay. «Non è stato facile, ma è
importante che i delegati abbiano raggiunto un'intesa sulle questioni chiave»,
ha aggiunto. L'Alto commissario si è detta convinta che il documento non sarà
rimesso in causa dalla Conferenza. Pillay ha inoltre espresso l'auspicio di
un'ampia partecipazione dei Paesi alla Conferenza. Ma a 48 ore dell'evento
molti Paesi non hanno ancora fatto sapere se saranno presenti. Anche il livello
di partecipazione è all'esame ed il numero di ministri attesi è per ora fermo a
32. E' stata invece confermata la presenza a Ginevra del presidente iraniano
Mahmoud Ahmadinejad, noto per i virulenti attacchi verbali a Israele. Il
progetto di dichiarazione ribadisce l'impegno a «prevenire, combattere e
debellare il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e
l'intolleranza», ma riafferma la Dichiarazione e il piano d'azione approvati a
Durban nel 2001, in
occasione della Conferenza dell'Onu contro il razzismo (Durban I), una riaffermazione osteggiata dagli Usa che avevano abbandonato
insieme a Israele la conferenza del 2001 per i toni antisemiti. Le
organizzazioni di difesa dei diritti umani Human Rights Watch (Hrw) e Federazione internazionale della Lega
dei diritti umani (Fidh),
hanno esortato ieri i Paesi a partecipare alla Conferenza.
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( da "Corriere delle Alpi"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il presidente
cubano pronto a trattare con gli Stati Uniti Raul Castro, sì al dialogo ma a
parità di condizioni L'AVANA. Il presidente cubano Raul
Castro è disponibile a dialogare con gli Stati Uniti di democrazia, libertà e
diritti umani e qualunque
altro tema, compreso lo scambio di prigionieri, purchè a parità di condizioni.
«Abbiamo mandato a dire al governo nordamericano, in privato e in pubblico, che
quando loro vorranno, potremo discutere tutto», ha detto Castro. Già nel
dicembre scorso, durante una visita ufficiale in Brasile, il presidente cubano
aveva lasciato capire che era disposto a scambiare con Barack Obama i
prigionieri dissidenti rinchiusi nelle carceri dell'isola, in cambio dei
«cinque eroi» dell'Avana, gli agenti cubani detenuti negli Stati Uniti. «Se
vogliono i dissidenti, li mandiamo domani, con le famiglie e tutto, però devono
restituirci i nostri cinque eroi», aveva detto alludendo a Gerardo Hernandez,
Rene Gonzalez, Antonio Guerrero, Ramon Labaino e Fernando Gonzalez, arrestati
in Florida il 12 settembre 1998. Il presidente cubano ha detto che il dialogo
con gli Stati Uniti deve avvenire»in eguaglianza di condizioni, senza la benchè
minima violazione al diritto all'autodeterminazione del popolo cubano».
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( da "Stampa, La" del
18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
L'Iran di Delara
attesa dal boia Scrivo sull'onda della mia commozione per aver appena letto
della morte che sta per ghermire Delara Darabi, iraniana di 23 anni, che sarà
impiccata fra poche ore. Possiamo fare qualcosa per lei? Se
dobbiamo parlare di diritti umani forse val la pena ogni tanto di alzare la testa dalle questioni
di casa nostra. Per favore, dopo tante discussioni sulle donne, potete
mantenere aperta una campagna per questa ragazzina? MARILISA TREVI, CUNEO Non
so se a questo punto si possa fare più niente per questa ragazzina, come la
chiama lei. Nel 2003,
a 17 anni, Delara Darabi partecipò a una rapina a casa
della cugina del padre, con quello che allora era il suo fidanzato. La cugina,
58 anni, fu pugnalata a morte. Delara si dichiarò colpevole per coprire - ha
detto più tardi - il fidanzato: sperava che, essendo lei minorenne, non sarebbe
stata condannata a morte. Fu il padre a consegnarla alla polizia. È stata
condannata a morte per omicidio nel 2005, e il verdetto è stato confermato
dalla Corte Suprema nel 2007. Nella prigione di Rasht, dove vive da anni, c'è
un bagno per 100 persone, le visite sono limitatissime. Delara si è tagliata le
vene nel 2007. L'hanno
salvata. Ora è alla vigilia della esecuzione. L'Iran è il secondo Paese dopo la
Cina per numero di esecuzioni. In ogni caso, come sottolineano le associazioni
per i diritti umani, la condanna a morte di una
minorenne in sé viola le leggi internazionali. L'anno scorso è stato l'unico
Paese a mandare a morte dei minorenni: almeno 8; quest'anno un ragazzo 17enne.
Ci sono poi in attesa 150 bambini nel braccio della morte. La pena capitale può
essere revocata se i parenti della vittima accettano del denaro in cambio della
vita del condannato: nel caso di Delara si tratta della sua famiglia allargata,
ma hanno rifiutato Vorrei ricordare anche un'altra donna in carcere in Iran,
accusata di spionaggio. È Roxana Saberi, iraniana-americana, di 31 anni, da sei
in Iran, dove ha lavorato per diverse testate giornalistiche internazionali.
Secondo le autorità iraniane la donna lavorava «illegalmente» nel Paese e ha
continuato anche dopo che il governo le aveva ritirato il tesserino
giornalistico. Non è un caso isolato. Almeno 14 giornalisti sono stati
incarcerati in Iran e 34 testate sono state messe al bando nell'ultimo anno
(concluso il 20 marzo) secondo un rapporto dell'Associazione dei giornalisti
iraniani di cui dà notizia il quotidiano riformista «Sarmayeh». Il rapporto non
cita i nomi dei giornalisti né quelli delle testate. Secondo questa stessa fonte,
ci sono altre 30 testate sotto processo ma non hanno perso l'autorizzazione a
pubblicare, e altre 39 sono sotto inchiesta. Anche l'Associazione è oggetto di
pressioni da parte del governo; il ministero del Lavoro iraniano ha
recentemente affermato che non ha l'autorizzazione per condurre le sue
attività. Sono sotto controllo anche i siti Internet e le agenzie di stampa.
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( da "Repubblica, La"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Pagina 7 - Esteri
Parla Padre Enzo Bianchi: a volte l´intransigenza cattolica può alimentare
l´anticlericalismo "Un conflitto con uno Stato sovrano è un colpo al
dialogo con i laici" Spesso noi credenti fatichiamo a spiegarci sui temi
dell´etica. Ma qui vedo una sordità precostituita MICHELE SMARGIASSI «I
"giorni cattivi" del dialogo diventano più cattivi�». Non è il
momento giusto per parlare con padre Enzo Bianchi del suo ultimo libro, Per
un´etica condivisa, lamento sull´agonia del dialogo tra credenti e non, ma
anche profezia della sua rinascita. «Quando il conflitto si istituzionalizza a
questi livelli, tra Vaticano e stati sovrani, rischia di non chiudersi più»,
sospira deluso il priore della comunità di Bose. «Spesso noi cattolici
fatichiamo a spiegarci. Ma qui vedo una sordità precostituita. Il discorso del
papa sull´Aids era colmo di intenzioni umanizzanti. Ma
ormai quando la Chiesa parla di etica le orecchie si chiudono automaticamente».
Per la verità il suo libro sembra un monito ai credenti più che ai laici.
«Essendo cattolico, sento la responsabilità di rendere un servizio di verità ai
cattolici. Del resto tendere la mano per primi, senza garanzia di ricambio, a
noi è dato come un dovere». Però lei sembra attribuire ai cattolici la
responsabilità prima dei litigi, ai laici soprattutto "falli di
reazione". «Nei due ultimi decenni molti cattolici con forte senso di
militanza - non la Chiesa in sé � hanno cercato di imporre le proprie opzioni
attraverso l´occupazione dello spazio pubblico. La reazione è stata un´onda di
anticlericalismo che, confermo, è sempre una reazione a un clericalismo
percepito come intransigente e irrispettoso. A sua volta, l´anticlericalismo
alimenta le intransigenze cattoliche, e il circolo vizioso finisce in chiasso e
barbarie». Eppure la Chiesa italiana dialoga volentieri con la classe politica
al governo. «E´ seducente l´offerta del potere: un patto fondato sulla
"religione civile" da imporre con le leggi. Il Cristianesimo nacque
eversivo, poi spesso accettò il patto. Oggi però questa scelta è pericolosa per
la sopravvivenza stessa del Cristianesimo: negli Usa, dove la religione civile
è in pieno vigore, non si sa a chi si riferiscono i politici quando invocano
Dio. Per fortuna, da noi questa prospettiva è ormai perdente». Ne è sicuro? Nel
caso Englaro la Chiesa ha invocato leggi per imporre la propria visione
dell´uomo. «Conoscendo cosa si muove nelle chiese locali, nelle comunità, so
che le aspettative dei credenti sono diverse: che la Chiesa non si appiattisca
più sul neo-liberismo, prenda le distanze da chi la usa come strumento, si cali
nella storia con lo spirito dello "straniero pellegrino", cosciente
di essere una fertile minoranza». Non sembra che le gerarchie abbiano elaborato
il lutto da egemonia perduta. «Accettare di essere minoranza è necessario come
elaborare un lutto. Dopo, puoi raggiungere persone che non appartengono alla
tua tradizione, e averle con te in un percorso di umanizzazione
sociale». Ma quanta strada possono fare assieme credenti e non? Don Milani
avvertì l´amico ateo: non ti fidare di me, un giorno io ti tradirò� «Non non
è detto che accada, o che il tradimento sia così drammatico. Certo, parlando di
Cristo, resurrezione e vita eterna, è ovvio che io e l´ateo ci divideremo, ma
non significa distruggere il cammino fatto assieme». I "valori non
negoziabili" non sono il limite dell´"etica condivisa"? «Ogni
dialogo ha limiti, ma se parliamo di diritti umani, siamo ben lontani dall´averli
raggiunti. Ora dobbiamo tutti accettare i metodi che possiede la democrazia per
giungere alle decisioni. Possono uscirne scelte non condivise, ma accettabili.
Per quelle non accettabili, il cristiano sa da sempre che può invocare il
diritto di dire non possumus». L´obiezione di coscienza non è un
grimaldello per scardinare decisioni democratiche? «No, se chi la invoca mette
in conto di pagare per la sua "eversione", per il diritto di dire di
no alla polis in certi particolari casi. Accettandone le conseguenze,
dimostrerà di non avere altri interessi oltre la coscienza e la verità». Vale
anche quando la Chiesa invita a boicottare un referendum? Capitò con la legge
40, può accadere di nuovo sul testamento biologico. «L´iniziativa fu di alcune
componenti ecclesiali, più che della Chiesa come tale. In ogni caso, queste battaglie
devono farle i credenti come cittadini, non i vescovi. Le figure
rappresentative della Chiesa devono fermarsi sulla soglia del pre-politico». Ai
cattolici lei chiede di abbandonare il vittimismo. Agli "ateologi
autodidatti", cosa chiede? «Di abbandonare una lettura vecchia e comoda
della Chiesa, in cui il male è la fede e non il suo uso nella storia. E di
smettere il tentativo di renderci ridicoli. E´ un obiettivo poco onesto: si
abbassa arbitrariamente il bersaglio per colpirlo meglio. Chi deforma non
ascolta, chi non ascolta non capisce che c´è già una Chiesa che sa declinare
l´insegnamento di Cristo nell´arena della polis». Cosa succede se l´etica non
si condivide? Tra i due litiganti, chi gode? «Il potere, è ovvio. Ad ogni
potere fa piacere veder sperperare una profezia di speranza. Ogni potere cerca
di evitare sinergie tra buone volontà. Se continuiamo a non ascoltarci, il
potere ce ne sarà grato».
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( da "Arena, L'" del
18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Sabato 18 Aprile
2009 NAZIONALE Pagina 6 WASHINGTON. Torture Cia, critiche a Obama Fra Cuba e
Usa è scoccata l'ora del dialogo Raul Castro: «Disponibili
a parlare di diritti umani»
PORT OF SPAIN Barack Obama arriva al Vertice delle Americhe, a Trinidad,
seguito dalle polemiche per il suo ennesimo gesto rivoluzionario: la
pubblicazione dei memoriali sull'uso della tortura negli anni di Bush, la promessa
di bandire quelle tecniche e al tempo stesso l'assoluzione degli agenti e
militari che hanno operato. L'equilibrio del presidente attira strali da
sponde opposte. Le organizzazioni per i diritti umani
criticano il perdono per i torturatori, e la mancata nomina di un magistrato
indipendente che indaghi sull'intera vicenda. Dall'altra, l'ex capo della Cia,
Michael Hayden, e l'ex procuratore generale, Michael Mukasey, lo accusano di
«legarsi le mani nella guerra al terrorismo». Quanto al «caso cubano», la
posizione di Obama è anche qui equilibrata. Revoca dell'embargo graduale e
commisurata ai progressi e ai segnali di cambiamento che arrivano dall'Avana.
Ma i leader dell'America Latina riuniti a Trinidad chiedono la fine immediata
del blocco. «Vogliamo essere aperti nei confronti di Cuba e impegnarci per una
nuova fase dei rapporti», ha detto Obama. Immediata la risposta di Raul Castro,
presidente cubano: «Abbiamo detto al governo americano, in pubblico e in
privato, che siamo aperti al dialogo su tutto, compresi i diritti umani, la libertà di stampa e i prigionieri politici». E il
segretario di stato Hillary Clinton sottolinea subito «le aperture» di Castro,
ammettendo anche che la «vecchia politica Usa», quella dell'embargo, «ha
fallito». Mentre il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, ha detto che «vi
sono azioni che il governo cubano può adottare se vuole avviare un dialogo con
il governo Usa», come il rilascio dei prigionieri politici e più libertà ai
media.
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( da "Manifesto, Il"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
LA DENUNCIA
Detenuti malati e denutriti L'isola «inumana» nel rapporto di Msf Alberto
D'Argenzio BRUXELLES Sovraffollamento, sporcizia, cibo inadeguato, mancanza di
indumenti ed epidemie difficilmente controllabili, le condizioni di vita nei
tre centri di detenzioni per migranti di Malta sono «inaccettabili ed inumane».
Lo dice Medici senza frontiere nel rapporto Not Criminals presentato ieri a
Bruxelles, 32 pagine in cui non si trova spazio per i dubbi e tanto meno per i
giri di parole nella descrizione del quotidiano dei migranti che lasciano
dietro di loro l'Africa e hanno la sorte di approdare nel piccolo Stato
mediterraneo. A Lyster Barracks, Safi e Ta'kandja, centri in cui Msf lavora
dall'agosto 2008, la situazione è «sconvolgente», assicura la Ong, con degli
standard di vita che minano la «salute fisica e mentale» dei migranti. Se è
vero che le condizioni di accoglienza sono «terribili», è anche vero che non
sembrano per nulla casuali. «La politica di detenzione sistematica - assicura
il rapporto di Msf - mira a dissuadere le persone dall'entrare irregolarmente
nel territorio». Un ragionamento che è alla base anche della trasformazione,
voluta da Roberto Maroni, di Lampedusa da un luogo di transito a un'isola di
confinamento ed espulsione dei migranti. Un ragionamento miope. Il caso di
Malta insegna infatti insegna come, pur inasprendo le condizioni di accoglienza
e rafforzando le politiche di contrasto al traffico di esseri umani, il flusso migratorio non accenni per nulla ad
arrestarsi e nemmeno a ridursi. Nel 2008, dice il rapporto, ci sono stati 2.704
arrivi nel piccolo stato mediterraneo, contro i 1.694 registrati nel 2007. La
tendenza al rialzo viene confermata in questo inizio di 2009, con 759 persone
giunte a Malta tra gennaio e febbraio, praticamente tutti salpati dalle coste
libiche, ma il più delle volte provenienti dal Corno d'Africa, in sostanza in
fuga dall'instabilità, dalla violenza, dalle persecuzioni e, solo nel migliore
dei casi, unicamente dalla fame. Il 60% dei migranti giunti negli ultimi sei
mesi, dice Msf, proviene infatti da «paesi colpiti da
conflitti o segnati da profonde violazioni dei diritti umani», come Somalia (la metà del
totale), Eritrea, Sudan e Nigeria. A poco più della metà degli arrivati, lo
stato garantisce protezione umanitaria, mentre lo status di rifugiato viene concesso solo con il
contagocce: appena allo 0,52% del totale. Comunque sia,
indipendentemente dalla condizione giuridica a cui aspirano e a cui avrebbero
diritto, tutti i migranti sono obbligati a rimanere per mesi e mesi nei centri
di detenzione. La legge maltese prevede infatti fin dal 2005 la detenzione con
durata massima 18 mesi, un tetto diventato europeo (per quanto non
obbligatoriamente) con la direttiva ritorno approvata l'anno scorso dai 27. Il
problema è che nel caso maltese la lunga detenzione si somma a condizioni di
vita «inumane», tali da rendere «frustrante» il lavoro di medico, assicura
Philippa Farrugia di Msf. La testimonianza di una donna eritrea, contenuta nel
rapporto, si apre con l'indicativo titolo «Da una prigione a una prigione a una
prigione», in cui l'ultima è quella maltese che le ha creato problemi gastrici,
cardiaci e psicologici. Solo dopo un collasso e la detenzione di 20 giorni in
un ospedale psichiatrico, questa donna scappata dalla carcere e dalla schiavitù
in Eritrea è stata trasferita in uno dei due centri aperti organizzati dal
governo maltese. Secondo Msf solo il 32% dei migranti giunti dall'agosto scorso
gode di buona salute, agli altri sono stati rilevati problemi respiratori,
gastrici, dermatologici, mentali, infezioni e traumi. Il 38% si ammala durante
il viaggio, per le condizioni della traversata, la scarsità di cibo ed il
freddo, ma poi vengono le condizioni inumane rilevate nei centri che
favoriscono il propagarsi di infezioni, come la scabbia, gastroenteriti ed
infezioni respiratorie, tra cui la tubercolosi, e determinano il sorgere di
diversi problemi psicologici. Eppure, il governo ha assicurato a più riprese
che gli standard di trattamento nei centri sono «buoni».
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( da "Manifesto, Il"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
COMMENTO >
Obama, ovvero dell'incoerenza e dell' oblio Atilio Borón Nel suo messaggio
diffuso ai quattro venti in vista del vertice di Trinidad e Tobago, il
presidente Barack Obama ha fatto sapere come secondo lui si potrà arrivare a un
futuro migliore per le Americhe. Si tratta di una visione sorprendente per la
sua notevole incoerenza interna, al di là delle critiche per la sua molto
unilaterale concezione su ciò che sarebbe buono o cattivo per questa nostra
parte di mondo. Nel suo scritto Obama esorta i governi della regione a non
continuare a «impelagarsi sui triti dibattiti del passato» e a guardare il
futuro. Aggiunge anche che il rapporto fra Usa e Cuba è l'esempio di un
dibattito «che non riesce a uscire dal secolo XX». Ha ragione. Però per la
delusione di un lettore speranzoso, nell'ultimo paragrafo del suo messaggio si
conferma una volta di più il giudizio che «la tradizione di tutte le
generazioni morte opprime come un incubo il cervello dei vivi», secondo le
parole del filosofo di Treviri a proposito di Luigi Bonaparte. E' quella
tradizione delle generazioni morte che porta Obama a ricadere nella retorica
della guerra fredda e ad affermare la necessità che i governi della regione si
pieghino ai suoi sforzi per «appoggiare la libertà, l'eguaglianza e i diritti umani di tutti i cubani». Che pretenda di dar lezioni di
uguaglianza un governante che guida la società più diseguale e ingiusta del
mondo sviluppato e che priva circa 50 milioni di suoi cittadini dell'accesso
alla salute; o che parlino di diritti umani quelli che hanno reso legale la
tortura e sono stati gli attori protagonisti o di spalla delle maggiori
violazioni dei diritti umani del secolo XX, dimostra che né la buona memoria né la coerenza
argomentativa sono arrivate alla Casa bianca. La sua esortazione a
guardare al futuro Obama dovrebbe dirigerla a se stesso, inviando al museo
delle antichità un discorso anti-cubano proprio della metà del secolo XX, che
lo mette in ridicolo agli occhi del mondo intero. * Politologo e sociologo
argentino
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( da "Manifesto, Il"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
USA Furiosa la
Cia. Critici i liberal per l'amnistia decretata per gli
agenti responsabili Tortura,
Obama svela le carte E tutti si arrabbiano Marco d'Eramo Ieri il presidente
degli Stati uniti Barack Obama ha ordinato la diffusione di quattro memorandum
sulla legalità delle tecniche di tortura che il ministero della giustizia aveva
preparato durante l'amministrazione Bush su richiesta della Central
Intelligence Agency (Cia). I quattro documenti risalgono uno al 2002 e
tre al 2005. La pubblicazione avviene dopo una fiera opposizione da parte della
Cia. I testi dettagliano almeno quattordici tecniche di «interrogatorio
spinto», tra cui: strattonamento, sbattere il soggetto contro la parete
(walling), immobilizzazione facciale, sberle, reclusione in uno spazio angusto
senza possibilità di alzarsi, privazione del sonno (fino a 11 giorni
consecutivi), privazione del cibo, porre in una cella d'isolamento insetti
ritenuti pericolosi dal detenuto, e naturalmente il waterboarding, così
descritto: «L'individuo è legato saldamente a una panca inclinata, di circa 1,2
per 2,1 metri.
I piedi dell'individuo sono in genere in alto. Un panno è posto sul viso e
sugli occhi. Quindi l'acqua è applicata al panno in modo controllato ...
produce la percezione 'di soffocamento e incipiente panico'». Il walling
implicava l'uso di un collare di plastica per sbattere i sospetti contro una
parete appositamente costruita che, secondo la Cia, faceva sembrare l'impatto
peggiore di quanto fosse. Da notare che, dopo la seconda guerra mondiale, i
prigionieri giapponesi furono condannati per crimini di guerra per avere usato
alcune di queste tecniche d'interrogatorio. Secondo il consigliere speciale
della Casa bianca, David Axelrod, Obama ha soppesato per un mese i pro e i
contro prima di approvare la pubblicazione di questi documenti, che ha subito
suscitato reazioni estreme. «Atto irresponsabile» che dà via libera ai
terroristi, secondo esponenti della passata amministrazione repubblicana. Per
il senatore democratico del Vermont Pat Lehay, presidente della commissione
Giustizia del senato, le rivelazioni di questi memorandum rendono urgente una
commissione d'inchiesta sugli eccessi e gli abusi nella «guerra al terrore»,
idea che Obama rifiuta con l'argomento che «non si guadagnerà nulla a spendere
tempo ed energia a addossare colpe per il passato». La Cia si è opposta allo
stremo alla pubblicazione, nel timore che le rivelazioni possano far
incriminare i suoi agenti e anche i suoi dirigenti. Il malcontento nell'agenzia
di spionaggio deve essere stato fortissimo se alla pubblicazione si è opposto
persino il nuovo direttore della Cia, quel Leon Panetta che Obama aveva scelto
proprio contro il mondo dell'intelligence e proprio perché non poteva scegliere
un direttore «interno» che fosse contrario all'uso della tortura. Obama si
trova quindi in una situazione assai delicata, poiché il suo futuro politico (e
fisico) è messo in pericolo da un muro contro muro col mondo dello spionaggio
statunitense. Per questo motivo, Obama ha subito dichiarato che non sarà
incriminato nessun agente Cia che abbia agito in base al parere degli avvocati
di stato: «Rendendo pubblici questi memorandum è nostra intenzione assicurare
coloro che hanno assolto ai propri doveri basandosi in buona fede sul parere
legale del ministero della Giustizia che non saranno perseguiti».
Quest'affermazione ha subito suscitato indignazione nella base liberal del
presidente. Il direttore esecutivo dell'American Civil Liberties Union, Anthony
Romero, ha detto: «È semplicemente insostenibile l'affermazione del presidente
Obama secondo cui non dovrebbero essere incriminati funzionari che possono aver
commesso crimini». Obama sembra così aver fatto il pieno dello scontento, da
destra per aver reso pubbliche le nefandezze dell'era Bush, da sinistra per
aver graziato i torturatori. In realtà, Obama ha lasciato aperta la possibilità
di accusare non tanto gli agenti, quanto gli avvocati che hanno fornito base
legale alla tortura. E la posizione del presidente sull'argomento sembra
chiara: segno ne sarebbe, secondo il New York Times, la scarsissima censura che
hanno subito i testi diffusi prima della loro pubblicazione. Da più parti
infatti si continua a chiedere che sia processato l'ex ministro della giustizia
di Gorge Bush, Alberto Gonzales che era stato l'ispiratore di tutti i
beneplaciti alla tortura. Foto: TORTURE AD ABU GHRAIB /FOTO AP
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il Sole-24 Ore
sezione: MONDO data: 2009-04-18 - pag: 10 autore: ATTENTATI IN INDIA L'unico
sospetto: «Costretto a confessare» Il principale sospettato degli attentati
terroristici di Mumbai ha ritrattato la confessione. Nel processo per le
stragi, l'avvocato del pachistano Mohammed Ajmal Amir Qasab (21 anni)ha
affermato che l'ammissione di colpa gli è stata strappata
dalla polizia con la tortura. Qasab, l'unico sospetto sopravvissuto, è accusato
di essere responsabile dell'assassinio di 166 persone nel procedimento che si è
aperto ieri dopo numerosi rinvii procedurali. L'ultimo, giovedì, quando il
primo legale dell'imputato è stato sollevato dall'incarico con l'accusa di aver
accettato di rappresentare anche una delle vittime. Qasab, che rischia
la pena di morte, è stato arrestato e incarcerato il giorno stesso degli
attacchi e deve sostenere anche il capo d'imputazione di atti di guerra contro
l'India. In apertura di udienza, il pubblico ministero, Ujwal Nikam, ha
sostenuto che gli attentati dello scorso novembre fanno parte di una
cospirazione nata in Pakistan per destabilizzare l'India. Negli attacchi sono
rimaste uccise più di 170 persone, inclusi nove terroristi. Alla sbarra ci sono
anche due indiani, accusati di aver fatto da avanguardie per gli attacchi e di
appartenere al gruppo Lashkar-e-Taiba, un'organizzazione terroristica con base
in Pakistan.
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il Sole-24 Ore
sezione: MONDO data: 2009-04-18 - pag: 11 autore: Conferenza Onu sul razzismo.
Preparata una nuova bozza di testo, però a Ginevra si rischia il fallimento
Durban II, l'Italia conferma il no Paesi Ue in ordine sparso ma pronti al
boicottaggio, sì del Vaticano Carlo Marroni ROMA Sembra avviarsi al fallimento
prima ancora di iniziare. La seconda conferenza Onu sul razzismo e xenofobia
che partirà a Ginevra lunedì prossimo, detta Durban II, vedrà il boicottaggio
dei Paesi europei (anche se una linea ufficiale Ue ancora non è stata espressa
e le varie posizioni emergono in maniera del tutto scollegata), oltre che di
Usa e Canada. E naturalmente di Israele: gli attacchi diretti e indiretti allo
Stato ebraico sono al centro di una protesta dei paesi occidentali senza
precedenti per una conferenza dell'Onu. Ieri l'Italia ha confermato la
decisione "politica" di non andare all'appuntamento, mentre al
Palazzo delle Nazioni di Ginevra - sede europea dell'Onu - si continua a
trattare a livello diplomatico: ieri sera è stata approvata una nuova bozza
che, secondo alcune fonti, potrebbe ammorbidire le posizioni europee, ferme su
una linea di condanna di un documento giudicato in linea con la contestata
conferenza di Durban, in Sudafrica, del 2001. Il ministro degli Esteri, Franco
Frattini ha confermato ieri che il Governo ritiene che «non vi siano le
condizioni per rientrare nel negoziato». Nel corso di una conferenza stampa a
Roma sulla minaccia nucleare, Frattini ha spiegato di averne parlato con i
colleghi di Gran Bretagna, Francia, Germania, Danimarca e Olanda e di aver
tenuto fermo il punto sulle «conclusioni inaccettabili » di Durban I,
soprattutto in riferimento all'Olocausto e alla «libertà di espressione, che non
è sufficientemente garantita». Il capo della diplomazia italiana ha assicurato
che resta «impegnato con i colleghi europei fino all'ultima ora per possibili
modifiche » nella bozza, ma ha aggiunto che «non vi sono ad oggi le condizioni
per rientrare nel negoziato ». Intanto ieri il quotidiano Die Welt ha riferito
che anche il Governo tedesco sarebbe intenzionato a non partecipare: sarebbe la
prima volta che Berlino disdetta la sua presenza a una conferenza delle Nazioni
Unite, anche se un portavoce del ministero degli Esteri ha spiegato che la
decisione ufficiale deve ancora essere presa. Ma è certo che «senza il rispetto
delle cosiddette linee rosse una partecipazione non sarà possibile ». In
particolare il ministero degli Esteri tedesco respinge prese di posizione
unilaterali contro Israele e l'Occidente. Anche la Francia è orientata a non
partecipare, come emerso dalle dichiarazioni del
viceministro per i diritti umani, Rama Yade. La Santa Sede conferma che parteciperà alla
Conferenza: «L'ultimo versione della bozza è decisamente migliorativa rispetto
a quella di due giorni fa - ha dichiarato il nunzio apostolico presso l'Onu di
Ginevra, monsignor Silvano Maria Tomasi - è certamente un documento su cui non
tutti possono essere pienamente d'accordo, ma può rappresentare un punto
da cui partire per discutere. L'obiettivo è parlare di razzismo per
condannarlo, e con il boicottaggio non può essere perseguito». A Ginevra insomma
si continua a trattare. Una nuova bozza di dichiarazione finale (di 143
paragrafi) è stata scritta ieri sera dal Comitato preparatorio - di cui
l'Italia non fa parte dal 5 marzo- e subito inoltrata alle cancellerie: domani
sera si riunirà anche il gruppo dei rappresentanti diplomatici dei 27 Paesi
europei (per l'Italia l'ambasciatore Giovanni Caracciolo) per la decisione
finale, che al momento appare scontata. Tre giorni fa era uscita un'altra
bozza, che è stata continuamente cambiata, soprattutto per le pressioni dei
Paesi islamici, tra cui l'Iran (tra l'altro il presidente Mahmoud Ahmadinejad
sarà a Ginevra). «Sono molto felice di annunciarvi la decisione del Comitato
preparatorio di trasmettere il documento alla Conferenza per esame ed
adozione», ha annunciato ottimista ieri sera l'Alto commissario dell'Onu per
idiritti umani Navi Pillay. La realtà è che non si può
parlare di accordo, e restano i punti di contrasto: il richiamo a Durban I
(dove il documento finale approvato all'unanimità tra l'altro definiva Israele
«Stato razzista»), la diffamazione religiosa (giudicata contro la libertà di
espressione, ma questo passaggio sarebbe stato tolto nell'ultima versione), la
permanenza del riferimento esplicito alla Shoa in uno specifico paragrafo e il
capitolo in cui si parla di presenza militare in "territori occupati"
(chiaro il riferimento a Israele). Ad oggi soltanto 40 Paesi (su 160 attesi)
hanno confermato la loro presenza. carlo.marroni@ilsole24ore.com © RIPRODUZIONE
RISERVATA L'ULTIMO COMPROMESSO Nel documento rimarrebbe il riferimento alla
Shoah, non la diffamazione religiosa, interpretata come un limite alla libertà
di espressione Anche Parigi resta critica. Il vice ministro francese per i Diritti umani Rama Yade
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il Sole-24 Ore
sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-04-18 - pag: 28 autore:
Diritti umani Canone Rai
promosso anchea Strasburgo Samantha Agrò Si infrange contro una decisione della
Corte europea dei diritti dell'uomo la speranza degli italiani che vorrebbero
smettere di pagare il canone Rai. Ieri, all'unanimità, i giudici di Strasburgo
hanno ri-gettato, ritenendolo «palesemente infondato», il ricorso di un
cittadino italiano che, non volendo più pagare l'abbonamento per il servizio
pubblico, si è visto sigillare in una busta di plastica il televisore dalla
Guardia di Finanza. Non avendo la possibilità di ricorrere in Italia, l'uomo si
è rivolto alla Corte di Strasburgo: ha sostenuto che, nel rendere
inutilizzabile la sua televisione, le autorità italiane hanno violato tre
articoli della Convenzione europea dei diritti dell'uomo: l'articolo 10, che
sancisce il diritto all'informazione; l'8, che impone il rispetto per la vita
privata, violato, secondo il ricorrente, quando la guardia di Finanza è entrata
in casa sua, e l'articolo 1 del primo protocollo, che garantisce la protezione
della proprietà privata. Le misure adottate delle autorità italiane sono sì
«un'ingerenza nei diritti del ricorrente » ma - spiega la Corte hanno
«perseguito un obiettivo legittimo: persuadere gli individui a pagare una tassa
». In base agli articoli 1 e 10 del Regio decreto n.246 del 21 febbraio 1938,
il cittadino italiano era ed è tenuto a pagare il canone Rai anche se non
desidera più guardare la televisione pubblica (è una tassa dovuta per il solo
fatto di possedere una televisione). L'ammontare dell'abbonamento, definito
ragionevole, è «un contributo a un servizio per la comunità». © RIPRODUZIONE
RISERVATA
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( da "Repubblica, La"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Pagina
15 - Esteri Torture, polemiche sul "perdono" di Obama La destra:
"Folle pubblicare le carte di Bush". E da sinistra: "No
all´amnistia" Il capo della Cia, Leon Panetta, aveva cercato di dissuadere
il presidente DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Critiche da destra e da sinistra,
il plauso (con qualche distinguo) dei media, la richiesta di una commissione
d´inchiesta del Senato. La decisione di Barack Obama di pubblicare i memo sulle
"tecniche di tortura" usate dall´Intelligence Usa nella guerra al
terrorismo e la scelta di garantire l´immunità agli agenti della Cia coinvolti
negli interrogatori, ha provocato una pioggia di reazioni. Il nuovo capo della
Cia Leon Panetta si era opposto fino all´ultimo alla decisione, e contro la
scelta di Obama di rendere pubblici i documenti dell´amministrazione Bush si
era schierato anche Dennis Blair, direttore dell´Intelligence. Di diverso
avviso Patrick Leahy, il democratico che guida la commisisone Giustizia del
Senato, che ha rinnovato la richiesta di una commissione d´inchiesta
indipendente che possa garantire l´immunità a chi accetta di collaborare.
Ricevendo dalla casa Bianca un altro no. Gli uomini di George Bush e i blog
della destra conservatrice si ritrovano accomunati negli attacchi alla Casa
Bianca con i leader dell´American Civil Liberties Union, loro nemici giurati, e
con Amnesty International. Ovviamente con motivazioni molto diverse. Obama «si
lega le mani nella guerra al terrorismo», scrivono sul Wall Street Journal Michael
Hayden (capo della Cia dal 2006 al 2009) e Michael Mukasey (ministro della
Giustizia dal 2007 al 2009): «La pubblicazione non era necessaria dal punto di
vista legale ed è stata poco saggia dal punto di vista politico: il suo effetto
sarà di evocare quella forma di paura istituzionale che indebolì le operazioni
dell´Intelligence prima dell´11 settembre». Di tono opposto le critiche delle
organizzazioni per i diritti umani, che contestano alla Casa Bianca l´assenza
di azioni legali nei confronti di chi ha autorizzato le tecniche di tortura.
L´Aclu, che aveva iniziato il procedimento legale per ottenere la pubblicazione
dei documenti, chiede ora ad Obama di nominare un procuratore speciale che
indaghi sui responsabili degli ordini dati all´Intelligence: «I memorandum
forniscono la prova irrefutabile che responsabili dell´amministrazione Bush
hanno autorizzato e dato la benedizione legale ad atti di tortura che violano
le leggi internazionali e nazionali». Dello stesso tenore il Center for
Constitutional Rights e Amnesty International: «Il ministero della Giustizia
offre un lasciapassare gratis per la libertà a persone che secondo lo stesso
ministro Eric Holder sono coinvolte in atti di tortura». (a.f.d´a.)
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( da "Repubblica, La"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Pagina 15 -
Esteri Le istruzioni dell´intelligence per le torture ai
prigionieri "Ha paura degli insetti chiudetelo in uno scatolone e
metteteci dentro un bruco" "Il prigioniero viene chiuso al buio in un
container di un metro: così perderà i sensi" "Nudità totale fino a
quando le temperature e la salute del detenuto lo permettono" ALBERTO
FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato new york - «Volete chiudere Zubaydah,
uno dei membri più importanti dell´organizzazione terroristica Al Qaeda,
rannicchiato in uno scatolone con dentro un insetto. Ci avete informato che lui
sembra avere paura degli insetti e in particolare volete dirgli che lo
chiuderete con un insetto pronto a pungerlo, anche se in realtà sarà un insetto
innocuo, ad esempio un bruco». E´ questo uno dei passi del memorandum (1 agosto
2002) con cui Jay Baybee, vice ministro della Giustizia della Casa Bianca di
Bush, autorizza John Rizzo - facente funzione di avvocato generale della
Central Intelligence Agency - a dare il via libera agli agenti della Cia per
usare dieci diversi tipi di «interrogatori pesanti» contro Zubaydah e altri
uomini di Bin Laden catturati dopo l´11 settembre 2001. I memo descrivono
queste tecniche in modo diffuso e dettagliato (in totale 80 pagine). Per
costringere Zubaydah a parlare il «memo» - il primo dei quattro resi pubblici -
elenca con dovizia di particolari tutte e dieci le «tecniche» autorizzate.
Dalle più classiche come la privazione del sonno (il detenuto «viene incatenato
in piedi con le mani davanti al corpo per impedirgli di addormentarsi», si
consiglia di usarla solo per «periodi limitati»), la nudità totale («fino a
quando le temperature e la sua salute lo permettono»), l´isolamento («il
detenuto viene chiuso in un container di circa un metro per due di altezza, al
buio, in modo che perda i sensi») fino al tristemente famoso «waterboarding»,
l´annegamento simulato con il detenuto «legato su un piano inclinato con il
naso e la bocca coperti» mentre gli viene versata acqua attraverso un panno
creando «un panico da soffocamento». Tecnica considerata dagli organismi
internazionali una vera e propria tortura anche se secondo il memorandum «non
infligge danni fisici o mentali, come hanno dimostrato i nostri agenti che sono
stati addestrati a resistere a queste metodi». La sensazione dell´annegamento,
spiega il documento, «cessa immediatamente quando viene rimosso il panno,
quindi la procedura potrà essere ripetuta». Ogni sessione non potrà però durare
«più di due ore» e l´acqua potrà essere «per un totale non superiore ai dodici minuti
ogni ventiquattro ore». Limitazioni sono previste anche per la privazione del
sonno, usata «su una dozzina di detenuti per 48 ore, su tre detenuti per 96 ore
e su uno per un massimo di 180 ore». Altre tecniche usate dagli agenti della
Cia sono quelle dello «schiaffo addominale» - il detenuto viene colpito a
intervalli regolari con il dorso della mano - che ha «maggiore effetto se viene
combinato» con il «wall standing»: il detenuto viene appoggiato con le mani
aperte contro un muro con i piedi a circa un metro e mezzo, in modo che «tutto
il peso del corpo venga tenuto dalle dita». Si tratta di una «fatica muscolare
prolungata che non può essere definita sofferenza». Diverso invece il
«walling», dove il "muro" è «finto e flessibile». Il detenuto viene spinto
brutalmente contro questa falsa parete «per creare un rumore assordante e
scioccarlo». Può essere usata «una volta» oppure «da venti a trenta quando si
vuole ottenere una risposta più precisa alle domande». Gli altri tre memo sono
tutti del 2005, quando già erano scoppiati scandali tipo Abu Grahib e sui
giornali americani iniziavano ad uscire (con cautela) alcuni documenti
riservati di Cia e Pentagono sugli interrogatori. Nell´ultimo (30 maggio 2005)
al solito John Rizzo - nel frattempo diventato vice avvocato generale della Cia
- il Dipartimento di Giustizia spiega perché gli «interrogatori pesanti» non
rientrino tra le pratiche di tortura vietate dall´articolo 16 della Convenzione
di Ginevra. «L´uso di queste tecniche, soggetto ai criteri di attento controllo
della Cia e alle limitazioni mediche, è coerente con i doveri cui sono tenuti
gli Stati Uniti dall´articolo 16. Questo articolo riguarda ciò che avviene
all´interno dei territori degli Stati Uniti o dove gli Stati Uniti esercitano
una giurisdizione come autorità di governo de facto. Basandoci sulle
assicurazioni della Cia riteniamo che questi interrogatori non hanno luogo in
nessuna di queste aree. Pertanto il divieto dell´articolo 16 non é
applicabile».
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( da "Repubblica, La"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Pagina 16 -
Esteri Raul tende la mano a Obama "Cuba pronta a trattare su tutto"
Oggi il vertice delle Americhe. Hillary: la nostra una politica fallimentare
Anche senza i leader dell´Avana, i rapporti tra gli Stati Uniti e lo storico
avversario saranno al centro del summit ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro
inviato NEW YORK - Raul Castro apre all´America - «Siamo disposti a parlare su
tutto, anche sui diritti umani» - e la Casa Bianca risponde positivamente: «Prendiamo molto sul
serio le sue parole». Poche ore prima dell´arrivo di Barack Obama a Port of
Spain, la capitale di Trinidad & Tobago dove si svolge il vertice delle
Americhe, il leader cubano - che al summit è il grande assente - è riuscito a
mettere Cuba al primo posto dell´agenda. Lo ha fatto da Cumana,
cittadina costiera del Venezuela, il Paese dell´amico Chavez, che si trova a
poche decine di miglia da Trinidad e dove si è recato in concomitanza del vertice
proprio per fare sentire il fiato sul collo ai capi di Stato latino-americani.
«Abbiamo mandato a dire al governo nordamericano, in privato e in pubblico, che
quando loro vorranno potremo discutere tutto: diritti umani,
libertà di stampa, prigionieri politici, qualunque cosa, qualunque cosa di cui
vogliano parlare». Una risposta alle dichiarazioni che Obama aveva fatto
giovedì in Messico («Prima di prendere nuove misure vediamo se anche Cuba è
pronta a cambiare») manifestando qualche dubbio sulla possibilità che ciò possa
avvenire in tempi stretti: «Non ci aspettiamo da parte loro che cambino
dall´oggi al domani, non sarebbe realistico». Colta di sorpresa dal colpo di
scena di Raul, la Casa Bianca ha affidato una pronta (e positiva) risposta al
Segretario di Stato. Da Santo Domingo (anche per lei tappa di avvicinamento al
vertice) Hillary Clinton ha «accolto positivamente» le parole del "sub
lider maximo" ricodando come «il dialogo sia strumento per la pace, la
prosperità e il progresso. Abbiamo visto i commenti del presidente Raul Castro
e salutiamo le sue dichiarazioni e l´apertura che rappresentano. Stiamo
studiando molto seriamente quella che sarà la nostra risposta». Non sarà
facile. I fratelli Castro (Fidel ha una sorta di tutela "ideologica"
nei confronti di Raul) sanno che Obama alla Casa Bianca può rappresentare lo
sdoganamento di Cuba con il "comunismo caraibico" ancora in vita, un
risultato che sarebbe propagandato (in questo caso con una certa ragione) come
una vittoria del David latino-americano contro il Golia imperialista dopo
cinquant´anni di guerra fredda e di embargo. In cambio, però, devono cedere sul
terreno delle libertà fondamentali (diritti umani,
stampa, prigionieri politici) dando una sterzata che potrebbe compromettere
l´esistenza stessa dell´attuale regime. Sarà, almeno inizialmente, un dialogo
di piccoli passi, ma il fatto stesso che Raul Castro abbia nominato i
«prigionieri politici» (Cuba non ha mai ammesso di averne) è un segnale più che
incoraggiante. Al centro del dialogo resta aperta la questione decisiva per i
cubani, quella dell´embargo. Hillary Clinton ha ripetuto ieri - come aveva
fatto anche Obama - le parole pronunciate ad inizio anno dal senatore
repubblicano Richard Lugar («Dopo cinquanta anni possiamo dire che l´embargo è
stato un fallimento») e ha detto che «continuiamo a cercare strade più
produttive da seguire perché per il presidente Obama, per me e per la nostra
amministrazione l´attuale politica su Cuba è fallimentare». A Port of Spain
Obama non incontrerà Chavez, ma altri leader latino-americani si faranno carico
di portare sul tavolo il dossier su Cuba. Alcuni paesi del gruppo Alba
(Alternativa Bolivariana para America Latina y el Caribe), Venezuela,
Nicaragua, Bolivia e Honduras hanno già fatto sapere che intendono bloccare la
dichiarazione finale del vertice di Trinidad & Tobago («non dà risposte
alla crisi globale ed esclude Cuba», ha detto Chavez) ed anche il presidente
brasiliano Lula, pur con toni molto diversi, ha fatto sapere alla Casa Bianca
che intende cogliere l´occasione offerta dal vertice delle Americhe per
chiedere la fine dell´embargo.
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( da "Unita, L'" del
18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Impunità ai
torturatori Cia Obama delude sui diritti UMBERTO DE GIOVANNANGELI La «luna di
miele» rischia di consumarsi sulle torture «impunite» della Cia. Fuoco
incrociato su Barack Obama dopo la pubblicazione dei memorandum sulle torture
permesse alla Cia di George W. Bush sugli uomini di Al Qaeda Il presidente
degli Stati Uniti è stato criticato da destra, per aver svelato nei dettagli i
metodi brutali usati negli interrogatori, e da sinistra, per aver garantito
l'immunità agli 007 che «in buona fede» li hanno posti in atto. Il capo
dell'intelligence nazionale Dennis Blair ha risposto alla raffica di critiche
affermando che gli Stati Uniti »non utilizzeranno più queste tecniche in
futuro. Ma sono determinati a difendere quanti si sono conformati alle direttive«.
E lo stesso Obama non ha raccolto le accuse di aver scagionato chi, obbedendo
agli ordini, ha eseguito atti che la sua stessa amministrazione ha giudicato
»una pagina buia e dolorosa« nella storia d'America: »È gente che ha fatto il
proprio dovere». CRITICHE INCROCIATE A sparare a zero su Obama per l'immunità
agli agenti della Cia sono state le organizzazioni per i diritti
umani: «Il Dipartimento
della Giustizia offre l'impunità a individui che, secondo lo stesso ministro
della giustizia Eric Holder, hanno torturato prigionieri», ha protestato Larry
Cox di Amnesty, International, mentre Anthony Romero della Aclu (l'associazione
libertaria American Civil Liberties Union) ha chiesto a Obama di affidare a un
magistrato indipendente il compito di indagare e possibilmente ottenere
il rinvio a giudizio di chi ha autorizzato e posto in atto metodi di tortura.
Di tono opposto ma egualmente accese sono state le polemiche da destra: Obama
»si lega le mani nella guerra al terrorismo», hanno sostenuto sul Wall Street
Journal l'ex capo della Cia di Bush Michael Hayden e l'ex Attorney General
della passata amministrazione Michael Mukasey. «La pubblicazione di queste
opinioni non era necessaria dal punto di vista legale ed è stata poco saggia
dal punto di vista politico: il suo effetto sarà di invitare quella forma di
paura istituzionale di recriminazioni che indebolì le operazioni
dell'intelligence prima dell'11 settembre«, hanno scritto Hayden, al timone
dell'agenzia di Langley dal 2006 al 2009, e Mukasey, alla Giustizia dal 2007
all'insediamento di Holder. Presi nel loro insieme i quattro memorandum gettano
luce non solo sui metodi della Cia ma sugli sforzi del Dipartimento della
Giustizia di giustificarli alla luce del diritto nazionale e internazionale.
Passaggi sulla nudità forzata, le docce gelate e le percosse si alternano con
discettazioni giuridiche sulla Convenzione Internazionale contro la Tortura. OPERAZIONE TRASPARENZA I documenti sono stati resi
pubblici con pochissime censure, segno che Obama ha preso le distanze dalle
richieste della Cia di mantenere segreti i dettagli degli interrogatori. Lo
stesso capo della Cia della nuova amministrazione, Leon Panetta, aveva
sostenuto che, rivelando queste informazioni, si sarebbe creato un precedente
per future pubblicazioni di metodi di raccolta dell'intelligence. e
informazioni riservate vengono normalmente protette per ragioni di sicurezza,
ma ho deciso di pubblicare questi memorandum perché credo fortemente nella
trasparenza e nella responsabilità». Un sostegno «condizionato» a Obama viene
dal Washington Post. Il giornale sottolinea come Obama abbia agito in modo
«saggio e coraggioso» sulla questione, da una parte «perdonando gli agenti
governativi che possono aver commesso atroci crimini perché gli era stato detto
che era legale, ma dall'altro segnalando che queste azioni non saranno mai più
perdonate dagli Stati Uniti». La decisione di non incriminare gli agenti non
deve essere però un colpo di spugna, aggiunge il quotidiano di Washington che
sottolinea come anzi debba «incoraggiare inchieste sulle circostanze che hanno
portato a queste torture». «Si deve fare più luce - conclude il Post - su come
le decisioni siano state prese e perché - e c'è bisogno di più informazioni su
chi abbia preso la decisione finale per autorizzare l'uso di tecniche di
interrogatorio che per molto tempo sono state considerate una tortura ed una
violazione delle leggi americane ed internazionali». Le pratiche della vergogna
rese pubbliche. Ma al prezzo di una impunità per chi le aveva praticate su
ordine superiore. È la doppia scelta di Barack Obama. Al centro la Cia e la
«guerra al terrorismo» di George W. Bush.
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( da "Unita, L'" del
18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Insetti Tra le
dieci tecniche di interrogatorio svelate dai memorandum uno prevedeva che il
prigioniero venisse chiuso in una scatola in cui poi sarebbero stati immessi
insetti. Waterboarding simula l'annegamento quando il detenuto è legato su un
piano inclinato e un panno bagnato gli viene passato sulla faccia coprendo naso
e bocca in modo da creare «panico da soffocamento». La sensazione
dell'annegamento cessa immediatamente quando viene rimosso il panno. La
procedura può essere ripetuta», si legge nel memorandum del 2002. Privazione del sonno tra le altre tecniche di tortura, oltre alla
privazione del sonno, le posizioni scomode, gli schiaffi in faccia e l'uso dei
cani come «pressione psicologica» verso il presunto jihadista. A ciò vanno
aggiunte le minaccia di esecuzione sommaria, la negazione di cibo, acqua e
degli anestetici se sono feriti.
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( da "Unita, L'" del
18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
La «luna di
miele» rischia di consumarsi sulle torture «impunite» della Cia. Fuoco
incrociato su Barack Obama dopo la pubblicazione dei memorandum sulle torture
permesse alla Cia di George W. Bush sugli uomini di Al Qaeda Il presidente
degli Stati Uniti è stato criticato da destra, per aver svelato nei dettagli i
metodi brutali usati negli interrogatori, e da sinistra, per aver garantito
l'immunità agli 007 che «in buona fede» li hanno posti in atto. Il capo
dell'intelligence nazionale Dennis Blair ha risposto alla raffica di critiche
affermando che gli Stati Uniti »non utilizzeranno più queste tecniche in
futuro. Ma sono determinati a difendere quanti si sono conformati alle
direttive«. E lo stesso Obama non ha raccolto le accuse di aver scagionato chi,
obbedendo agli ordini, ha eseguito atti che la sua stessa amministrazione ha
giudicato »una pagina buia e dolorosa« nella storia d'America: »È gente che ha
fatto il proprio dovere». CRITICHE INCROCIATE A sparare a zero su Obama per
l'immunità agli agenti della Cia sono state le organizzazioni per i diritti umani:
«Il Dipartimento della Giustizia offre l'impunità a individui che, secondo lo
stesso ministro della giustizia Eric Holder, hanno torturato prigionieri», ha
protestato Larry Cox di Amnesty, International, mentre Anthony Romero della
Aclu (l'associazione libertaria American Civil Liberties Union) ha chiesto a
Obama di affidare a un magistrato indipendente il compito di indagare e
possibilmente ottenere il rinvio a giudizio di chi ha autorizzato e posto in
atto metodi di tortura. Di tono opposto ma egualmente accese sono state le
polemiche da destra: Obama »si lega le mani nella guerra al terrorismo», hanno
sostenuto sul Wall Street Journal l'ex capo della Cia di Bush Michael Hayden e
l'ex Attorney General della passata amministrazione Michael Mukasey. «La
pubblicazione di queste opinioni non era necessaria dal punto di vista legale
ed è stata poco saggia dal punto di vista politico: il suo effetto sarà di
invitare quella forma di paura istituzionale di recriminazioni che indebolì le
operazioni dell'intelligence prima dell'11 settembre«, hanno scritto Hayden, al
timone dell'agenzia di Langley dal 2006 al 2009, e Mukasey, alla Giustizia dal
2007 all'insediamento di Holder. Presi nel loro insieme i quattro memorandum
gettano luce non solo sui metodi della Cia ma sugli sforzi del Dipartimento
della Giustizia di giustificarli alla luce del diritto nazionale e
internazionale. Passaggi sulla nudità forzata, le docce gelate e le percosse si
alternano con discettazioni giuridiche sulla Convenzione Internazionale contro
la Tortura. OPERAZIONE TRASPARENZA I documenti sono
stati resi pubblici con pochissime censure, segno che Obama ha preso le
distanze dalle richieste della Cia di mantenere segreti i dettagli degli
interrogatori. Lo stesso capo della Cia della nuova amministrazione, Leon
Panetta, aveva sostenuto che, rivelando queste informazioni, si sarebbe creato
un precedente per future pubblicazioni di metodi di raccolta dell'intelligence.
e informazioni riservate vengono normalmente protette per ragioni di sicurezza,
ma ho deciso di pubblicare questi memorandum perché credo fortemente nella
trasparenza e nella responsabilità». Un sostegno «condizionato» a Obama viene
dal Washington Post. Il giornale sottolinea come Obama abbia agito in modo
«saggio e coraggioso» sulla questione, da una parte «perdonando gli agenti
governativi che possono aver commesso atroci crimini perché gli era stato detto
che era legale, ma dall'altro segnalando che queste azioni non saranno mai più
perdonate dagli Stati Uniti». La decisione di non incriminare gli agenti non
deve essere però un colpo di spugna, aggiunge il quotidiano di Washington che
sottolinea come anzi debba «incoraggiare inchieste sulle circostanze che hanno
portato a queste torture». «Si deve fare più luce - conclude il Post - su come
le decisioni siano state prese e perché - e c'è bisogno di più informazioni su
chi abbia preso la decisione finale per autorizzare l'uso di tecniche di
interrogatorio che per molto tempo sono state considerate una tortura ed una
violazione delle leggi americane ed internazionali».
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( da "Unita, L'" del
18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Cuba agli Usa: discutiamo anche di diritti umani Prove di disgelo tra l'Avana e Washington. Poche ore prima
dell'avvio a Trinidad e Tobago del vertice delle Americhe, Raul Castro ha
accolto positivamente le misure annunciate su Cuba dal capo della Casa Bianca
Barack Obama, precisando di essere pronto a parlare «su tutto», anche sui
«diritti umani».
Parole subito accolte molto positivamente dalla segretaria di Stato Usa Hillary
Clinton, che ha sottolineato l'importanza di tali «aperture», ed ha aggiunto
che sinora le politiche Usa verso Cuba «sono fallite». La dichiarazione del
leader cubano rappresenta, di fatto, una risposta al presidente degli Stati
Uniti, che giovedì durante una visita in Messico, aveva chiesto all'Avana un
«gesto» di replica alle flessibilità annunciate lunedì dalla Casa Bianca nei rapporti
Usa-Cuba. «Abbiamo detto al governo americano, in pubblico e in privato, che
siamo aperti al dialogo su tutto, compresi i diritti umani,
la libertà di stampa, i prigionieri politici», ha detto Castro a Cumanà, in
Venezuela, durante un vertice organizzato dal presidente Hugo Chavez dei paesi
Alba (Alternativa bolivariana per le Americhe), precisando che nessuno deve
mettere in dubbio la «sovranità» di Cuba.
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( da "Unita, L'" del
18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Conferenza Onu
sul razzismo il governo italiano verso un altro no U.D.G. Le condizioni per la
partecipazione dell'Italia a Durban II «non ci sono». A soli tre giorni
dall'apertura a Ginevra della conferenza Onu sul razzismo, il titolare della
Farnesina Franco Frattini sembra non avere dubbi: la nuova bozza di
dichiarazione finale contiene ancora punti «inaccettabili». Ma, anche se il
tempo stringe, lascia ancora una porta aperta: «desideriamo -dice- una
conferenza equilibrata e di successo e siamo impegnati con i colleghi europei
fino all'ultim'ora». Si continua a lavorare, dunque, sulla nuova versione della
bozza, la seconda, dopo il no di Israele e Canada, che boicotteranno l'evento,
e il quasi «no» di Usa e Italia, che si sono ritirati dai lavori preparatori,
ma non hanno escluso la loro partecipazione in caso di sostanziali modifiche al
testo. E in serata da Ginevra viene inviata all'esame delle diverse
cancellerie, non solo europee, una ulteriore versione della bozza di
dichiarazione finale della Conferenza. TRATTATIVA AD OLTRANZA L'Italia, spiega
Frattini «riteneva e ritiene inaccettabile» il «richiamo alle conclusioni della
Conferenza Durban I», soprattutto in riferimento all'Olocausto, e la parte
riguardante la libertà di espressione «non sufficientemente garantita». Per
questo, ricorda il titolare della Farnesina, «l'Italia mantiene l'atteggiamento
di disimpegno dal negoziato tenuto fino ad ora, come del resto hanno fatto
anche gli Usa». Il nuovo testo ribadisce infatti l'impegno a «prevenire,combattere
e debellare il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e
l'intolleranza», ma riafferma la Dichiarazione e il piano d'azione approvati a
Durban nel 2001, in
occasione della prima conferenza dell'Onu contro il razzismo, che gli Usa e
Israele abbandonarono, denunciandone i toni antisemiti. Ad oggi, dunque, per
Frattini «non ci sono le condizioni per un reimpegno dell'Italia nel
negoziato», ma il lavoro prosegue. «Stamani (ieri, ndr.) -spiega- ho avuto
colloqui telefonici con diversi colleghi europei». Ai ministri degli esteri
inglese, francese, tedesco, danese e olandese, il titolare della Farnesina ha
rappresentato i «dubbi italiani». E con loro intende lavorare «fino all'ultimo»
per arrivare ad una modifica del testo. Modifica che in serata è arrivata anche
se bisognerà vedere se passerà il vaglio dei Paesi che hanno annunciato la loro
non partecipazione ai lavori di Ginevra. La bozza di dichiarazione finale non è
antisemita e segna l'isolamento di Paesi come l'Iran nelle richieste più
estremiste, sottolineano da Ginevra le organizzazioni di
difesa dei diritti umani
Human Rights Watch (Hrw) e Federazione internazionale della Lega dei diritti umani (Fidh), esortando i Paesi a
partecipare alla Conferenza. Il documento, secondo le due organizzazioni, non
contiene più riferimenti ad Israele ed anche il concetto di diffamazione delle
religioni è stato eliminato. Il documento - secondo Hrw e Fidh non
critica più gli stereotipi negativi delle religioni, ma gli stereotipi negativi
di individui fondati sulla loro religione. È scontro aperto sulla Conferenza
Onu. A Ginevra il comitato preparatorio licenzia una bozza di documento finale.
A Roma, il titolare della Farnesina si mostra scettico. L'Europa si divide. Usa
e Israele si chiamano fuori.
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( da "Adige, L'" del
18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
NEW YORK - Fuoco
incrociato su Barack Obama dopo la pubblicazione dei memorandum sulle torture
permesse alla Cia di George W NEW YORK - Fuoco incrociato su Barack Obama dopo
la pubblicazione dei memorandum sulle torture permesse alla Cia di George W.
Bush sugli uomini di al Qaida. Il presidente degli Stati Uniti è stato
criticato da destra, per aver svelato nei dettagli i metodi brutali usati negli
interrogatori, e da sinistra, per aver garantito l'immunità agli 007 che «in
buona fede» li hanno posti in atto. Il capo dell'intelligence nazionale Dennis
Blair ha risposto alla raffica di critiche affermando che gli Stati Uniti «non
utilizzeranno più queste tecniche in futuro. Ma sono determinati a difendere
quanti si sono conformati alle direttive». E lo stesso Obama non ha raccolto le
accuse di aver scagionato chi, obbedendo agli ordini, ha eseguito atti che la
sua stessa amministrazione ha giudicato «una pagina buia e dolorosa» nella
storia d'America: «È gente che ha fatto il proprio dovere». Ma sui diritti umani, su un altro versante, quello con Cuba, si aprono spiragli di
dialogo. Poche ore prima dell'avvio a Trinidad e Tobago del vertice delle
Americhe, Raul Castro ha accolto positivamente le misure annunciate su Cuba da
Barack Obama, precisando di essere pronto a parlare «su tutto», anche sui
«diritti umani».
Parole subito accolte molto positivamente dal segretario di Stato Usa Hillary
Clinton, che ha sottolineato l'importanza di tali «aperture». Intanto negli Usa
A sparare a zero su Obama per l'immunità agli agenti della Cia sono state le
organizzazioni per i diritti umani: «Il Dipartimento
della Giustizia offre l'impunità a individui che, secondo lo stesso ministro
della giustizia Eric Holder, hanno torturato prigionieri», ha protestato Larry
Cox di Amnesty International, mentre Anthony Romero della Aclu (l'asssociazione
libertaria American Civil Liberties Union) ha chiesto a Obama di affidare a un
magistrato indipendente il compito di indagare. Di tono opposto ma egualmente
accese sono state le polemiche da destra: Obama «si lega le mani nella guerra
al terrorismo», hanno sostenuto l'ex capo della Cia di Bush Michael Hayden e
l'ex Attorney General della passata amministrazione Michael Mukasey. «La
pubblicazione di queste opinioni non era necessaria dal punto di vista legale
ed è stata poco saggia dal punto di vista politico: il suo effetto sarà di
invitare quella forma di paura istituzionale di recriminazioni che indebolì le
operazioni dell'intelligence prima dell'11 settembre», hanno scritto Hayden, al
timone dell'agenzia di Langley dal 2006 al 2009, e Mukasey, alla Giustizia dal
2007 all'insediamento di Holder. Molte le obiezioni dei due esponenti
dell'amministrazione Bush: tra queste che i documenti rivelano ai terroristi
cosa aspettarsi in un interrogatorio della Cia se questi metodi, tra cui il
«waterboarding» che simula l'annegamento, dovessero essere di nuovo approvati.
In tutto i memorandum rivelano 14 tecniche di interrogatorio su cui
l'amministrazione Bush aveva dato luce verde: del waterboarding molto era noto,
meno noti i particolari sulla privazione del sonno (per undici giorni di
seguito) o il confinamento in una scatola buia dove venivano fatti entrare
insetti sfruttando le fobie del detenuto. I quattro memorandum gettano luce non
solo sui metodi della Cia ma sugli sforzi del Dipartimento della Giustizia di
giustificarli. Passaggi sulla nudità forzata, le docce gelate e le percosse si
alternano con discettazioni giuridiche sulla Convenzione Internazionale contro
la Tortura. I documenti sono stati resi pubblici con
pochissime censure, segno che Obama ha preso le distanze dalle richieste della
Cia di mantenere segreti i dettagli degli interrogatori. Lo stesso capo della
Cia della nuova amministrazione, Leon Panetta, aveva sostenuto che, rivelando
queste informazioni, si sarebbe creato un precedente sui metodi
dell'intelligence. 18/04/2009
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( da "Unita, L'" del
18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
BANGKOK, FERITO
CAPO RIVOLTA È stato operato e non è in pericolo di vita il fondatore del
movimento di protesta thailandese delle camicie gialle (contrarie all'ex
premier Thaksin) e leader dell'Alleanza del popolo per la democrazia (Pad),
Sondhi Limthongkul, ferito a colpi di arma da fuoco a Bangkok. Due sicari
armati hanno crivellato di colpi l'auto di Sondhi ferma a un distributore,
ferendo gravemente anche il suo autista e la sua guardia del corpo. MUMBAI,
RITRATTA L'IMPUTATO Colpo di scena nel processo all'unico imputato per gli
attentati di Mumbai. Il legale del pachistano Mohammed
Ajmal Kasab ha presentato una domanda di ritrattazione della confessione,
sostenendo che è stata estorta sotto tortura. Negli attentati che
insanguinarono per 60 ore di fila la città indiana furono registrati 195 morti,
di cui 22 stranieri. In pillole
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( da "Giornale.it, Il"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
n. 93 del
2009-04-18 pagina 16 Cuba Raul Castro: «Pronti a dialogare
con Washington sui diritti umani» di Redazione Il presidente cubano Raul Castro accoglie le
aperture del presidente americano Barack Obama e si dice disposto a dialogare
«su tutto» con gli Stati Uniti a patto il rapporto sia tra pari e che si
rispetti la sovranità di Cuba. «Abbiamo detto al governo americano, in
pubblico e in privato, che siamo aperti al dialogo su tutto, compresi i diritti
umani, la libertà di stampa i prigionieri politici»,
ha affermato Raul Castro parlando in Venezuela. Le dichiarazioni sono state
salutate con soddisfazione dal segretario di Stato Usa, Hillary Clinton che,
dopo aver ribadito proprio ieri di attendere segnali da L'Avana, ha risposto:
«Prendiamo molto sul serio» queste parole. Le novità nel rapporto Usa-Cuba
segnano l'apertura del quinto Vertice delle Americhe, avviato ieri a Trinidad e
Tobago e in programma fino a domenica, È l'esordio del presidente Usa Barack Obama
nel sud del Continente. © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 -
20123 Milano
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( da "Giornale.it, Il"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
n. 93 del
2009-04-18 pagina 16 Obama come Bush: Cia assolta per le
torture di Marcello Foa Ora l'America sa: per circa quattro anni la Cia ha
torturato sospetti terroristi di Al Qaida violando sia le leggi americane che
quelle internazionali. E che torture: detenuti lasciati undici giorni senza
dormire oppure rannicchiati in una gabbia nel buio totale o in mezzo a una
moltitudine di insetti o sottoposti al waterboarding, la simulazione
della morte per annegamento. Sono quattro memorandum, pari ad appena dodici
pagine. Agghiaccianti. Certificano le tecniche di interrogatorio approvate
dall'Amministrazione Bush nel periodo 2002-2005. Ieri scadeva il termine
fissato da un giudice in relazione a una causa intentata dall'Unione americana
delle libertà civile. La Casa Bianca doveva decidere se consegnare i documenti
o continuare a invocare il segreto di Stato. Il Dipartimento della Giustizia
era favorevole alla pubblicazione; la Cia, sebbene guidata dal clintoniano e neo
obamiano Leo Panetta contrarissima, ufficialmente nel timore che, costituendo
un precedente, venissero poste le premesse per svelare altre operazioni segrete
col rischio di compromettere agenti e strutture riservate. L'ultima parola
spettava al presidente. E Barack ha deciso di far sapere la verità al popolo,
in sintonia con i valori più autentici della Costituzione americana e che il
suo predecessore aveva in parte eluso per una causa che, all'indomani dell'11
settembre riteneva prioritaria: la lotta al terrorismo fondamentalista
islamico. Obama è stato coerente con le posizioni da lui sostenute in passato.
Onore al merito, ma solo a metà; perché contemporaneamente ha assolto i
peccatori. Nessuno degli agenti che ha torturato, nessuno degli alti funzionari
che hanno preparato i memorandum verrà processato. E questo nonostante il
presidente della Commissione giustizia del Senato, il democratico Patrick J.
Lehay, abbia subito invocato un'inchiesta indipendente sull'Amministrazione
Bush, garantendo l'immunità ai funzionari collaborativi. Insomma, una grande
operazione-verità che avrebbe permesso di individuare i responsabili di grado
più elevato, come i ministri e probabilmente lo stesso Bush. Obama non ha osato
tanto. «Condanno con forza questo oscuro e doloroso capitolo della nostra
storia», ha dichiarato ieri, promettendo che queste tecniche di interrogatorio
non verranno usate mia più, ma ha ribadito la sua ostilità a passi ulteriori
«perché non si otterrebbe nulla spendendo tempo ed energia cercando chi biasimare
per le colpe del passato». La frase è confezionata bene, ma non è del tutto
sincera. In realtà Obama ha dovuto piegarsi alle pressioni delle lobby, come
già accaduto con le banche e l'industria delle armi; ora ha ceduto a un altro
establishment, molto influente, quello legato alla Sicurezza nazionale.
D'altronde nella storia recente, nessun presidente americano ha indagato su un
predecessore per quanti errori possa aver commesso. È una regola non scritta
che serve a salvaguardare la credibilità dell'istituzione e a garantire
l'incolumità dei «comandanti in capo». Obama si è adeguato, sebbene condendosi
la libertà, questa sì inconsueta, di far sapere. In quelle cartelle vengono
elencate quattordici forme di tortura, tra cui detenuti sbattuti violentemente
con la testa contro i muri o investiti a lungo da getti di acqua ghiacciata e
costretti a rimanere nudi in mezzo agli altri, denutriti. Già, perché il
rancio, nelle prigioni segrete all'estero, era di meno di mille chilocalorie al
giorno. Senza assistenza medica, né legale e sovente, perlomeno a Guantanamo,
senza colpe. La maggior parte dei detenuti è risultata innocente. © SOCIETà
EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano
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( da "Repubblica.it"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
NEW YORK - Raul
Castro apre all'America - "Siamo disposti a parlare su tutto, anche sui diritti umani" - e la Casa Bianca risponde positivamente: "Prendiamo
molto sul serio le sue parole". Poche ore prima dell'arrivo di Barack
Obama a Port of Spain, la capitale di Trinidad & Tobago dove si svolge il
vertice delle Americhe, il leader cubano - che al summit è il grande assente -
è riuscito a mettere Cuba al primo posto dell'agenda. Lo ha fatto da
Cumana, cittadina costiera del Venezuela, il Paese dell'amico Chavez, che si
trova a poche decine di miglia da Trinidad e dove si è recato in concomitanza
del vertice proprio per fare sentire il fiato sul collo ai capi di Stato
latino-americani. "Abbiamo mandato a dire al governo nordamericano, in
privato e in pubblico, che quando loro vorranno potremo discutere tutto:
diritti umani, libertà di stampa, prigionieri
politici, qualunque cosa, qualunque cosa di cui vogliano parlare". Una
risposta alle dichiarazioni che Obama aveva fatto giovedì in Messico
("Prima di prendere nuove misure vediamo se anche Cuba è pronta a
cambiare") manifestando qualche dubbio sulla possibilità che ciò possa
avvenire in tempi stretti: "Non ci aspettiamo da parte loro che cambino
dall'oggi al domani, non sarebbe realistico". Colta di sorpresa dal colpo
di scena di Raul, la Casa Bianca ha affidato una pronta (e positiva) risposta
al Segretario di Stato. Da Santo Domingo (anche per lei tappa di avvicinamento
al vertice) Hillary Clinton ha "accolto positivamente" le parole del
"sub lider maximo" ricodando come "il dialogo sia strumento per
la pace, la prosperità e il progresso. Abbiamo visto i commenti del presidente
Raul Castro e salutiamo le sue dichiarazioni e l'apertura che rappresentano.
Stiamo studiando molto seriamente quella che sarà la nostra risposta".
OAS_RICH('Middle'); Non sarà facile. I fratelli Castro (Fidel ha una sorta di
tutela "ideologica" nei confronti di Raul) sanno che Obama alla Casa
Bianca può rappresentare lo sdoganamento di Cuba con il "comunismo
caraibico" ancora in vita, un risultato che sarebbe propagandato (in
questo caso con una certa ragione) come una vittoria del David latino-americano
contro il Golia imperialista dopo cinquant'anni di guerra fredda e di embargo.
In cambio, però, devono cedere sul terreno delle libertà fondamentali (diritti umani, stampa, prigionieri politici) dando una sterzata che
potrebbe compromettere l'esistenza stessa dell'attuale regime. Sarà, almeno
inizialmente, un dialogo di piccoli passi, ma il fatto stesso che Raul Castro
abbia nominato i "prigionieri politici" (Cuba non ha mai ammesso di
averne) è un segnale più che incoraggiante. Al centro del dialogo resta aperta
la questione decisiva per i cubani, quella dell'embargo. Hillary Clinton ha
ripetuto ieri - come aveva fatto anche Obama - le parole pronunciate ad inizio
anno dal senatore repubblicano Richard Lugar ("Dopo cinquanta anni possiamo
dire che l'embargo è stato un fallimento") e ha detto che
"continuiamo a cercare strade più produttive da seguire perché per il
presidente Obama, per me e per la nostra amministrazione l'attuale politica su
Cuba è fallimentare". A Port of Spain Obama non incontrerà Chavez, ma
altri leader latino-americani si faranno carico di portare sul tavolo il
dossier su Cuba. Alcuni paesi del gruppo Alba (Alternativa Bolivariana para
America Latina y el Caribe), Venezuela, Nicaragua, Bolivia e Honduras hanno già
fatto sapere che intendono bloccare la dichiarazione finale del vertice di
Trinidad & Tobago ("non dà risposte alla crisi globale ed esclude
Cuba", ha detto Chavez) ed anche il presidente brasiliano Lula, pur con
toni molto diversi, ha fatto sapere alla Casa Bianca che intende cogliere
l'occasione offerta dal vertice delle Americhe per chiedere la fine
dell'embargo. (18 aprile 2009
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( da "AmericaOggi Online"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
USA-Cuba. Un
nuovo inizio con Obama 18-04-2009 PORT OF SPAIN (TRINIDAD TOBAGO). Con Cuba gli
Stati Uniti puntano a ''un nuovo inizio'': lo ha detto il presidente Barack Obama,
intervenendo al quinto vertice delle Americhe aperto oggi a Trinidad Tobago,
alla presenza di 33 leader del continente, tra i quali non figurava il
presidente cubano, Raul Castro, in quanto non invitato come di consuetudine a
questo tipo di summit. Nell'auspicare un contatto diretto con L'Avana, Obama ha
rinnovato l'invito al governo di Castro a compiere dei ''passi'' in avanti,
ribadendo la disponibilita' della Casa Bianca ad impegnarsi con il governo
cubano ''su una serie di questioni''. Nel riconoscere quello che ha definito
''gli storici sospetti'' sull'interventismo di Washington nell'America Latina,
Obama ha d'altra parte chiesto ai leader latinoamericani presenti - dal
brasiliano Lula, al messicano Felipe Calderon e il venezuelano Hugo Chavez - di
non incolpare gli Usa ''per ogni problema sorto nell'emisfero''. Non sono solo
gli Stati Uniti ''a dover cambiare, tutti noi abbiamo delle responsabilita'
rispetto al futuro'' - ha osservato Obama, offrendo nel contempo alla regione
latino-americana ''un dialogo fondato sul rispetto reciproco di valori
condivisi'' in cui non ci siano ''partner di prima o di seconda categoria''. Ma
il tema chiave del discorso di Obama, e dell'intero 'summit' americano, e'
proprio il nodo Cuba, anche perche' da piu' parti nelle ultime ore e' stata
chiesta la fine dell'embargo commerciale Usa, tema che con ogni probabilita'
sara' al centro degli interventi e contatti di domani. ''Sono pronto al
coinvolgimento della mia amministrazione con il governo cubano su un ampio
spettro di questioni, i diritti umani, la liberta' d'espressione e la riforma democratica'', ha detto
Obama in uno dei passaggi centrali del suo intervento, ricordando anche i
''problemi della droga, l'immigrazione e gli affari economici''. ''So che e'
necessario intraprendere un viaggio piu' lungo dopo decenni di sfiducia, ma vi
sono alcuni passi chiave che possiamo fare verso un nuovo giorno'', ha
proseguito, aggiungendo: ''Lasciatemi essere chiaro, non sono interessato a
parlare per il gusto di parlare. Credo davvero che possiamo portare le
relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti in una nuova direzione''. Con questo
intervento, Obama ha chiuso una lunga settimana in cui non sono mancate le
novita' nei rapporti Washington-L'Avana. Lunedi' la Casa Bianca ha annunciato
la revoca di una serie di restrizioni con L'Avana (sul fronte dei viaggi dei
cubanoamericani e delle rimesse), mentre ieri in Messico lo stesso Obama aveva
chiesto ''un gesto'' a Raul Castro, che poche ore dopo ha in effetti replicato:
''siamo pronti a parlare su tutto, anche sui prigionieri politici ed i diritti umani''. La palla e' quindi ripassata nel campo degli Usa. E
in effetti, poco dopo, il segretario di Stato Hillary Clinton ha elogiato i
segnali di ''apertura'' provenienti dall'isola comunista, sottolineando che le
politiche precedenti della Casa Bianca con L'Avana ''sono fallite''. Poco prima
del suo intervento Obama ha salutato con una stretta di mano Chavez, che gli si
e' rivolto sottolineando: ''voglio essere tuo amico''. Nel suo intervento Obama
ha poi scherzato con un altro avversario di Washington, il capo dello stato
nicaraguense Daniel Ortega, che aveva parlato poco prima di lui: ''la ringrazio
per non avermi incolpato'' di fatti, quali appunto alcuni eventi della storia
cubana, ''avvenuti quando avevo tre mesi di eta'''.
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( da "Corriere.it"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il Vertice delle
Americhe a trinidad e tobago Obama: «Un nuovo inizio con Cuba» Sorrisi e
stretta di mano con Chavez Il presidente Usa agli altri leader americani: «Ma
non sono soltanto gli Stati Uniti a dover cambiare» Barack Obama e Hugo Chavez
(Ansa) PORT OF SPAIN (Trinidiad & Tobago) - Con Cuba gli Stati Uniti
puntano a «un nuovo inizio». Il presidente americano Barack Obama, ha apert
così, confermando anche nel Nuovo continente la politica della «mano tesa», il
quinto vertice delle Americhe aperto nel fine settimana a Trinidad &
Tobago, alla presenza di 33 leader del continente, tra i quali non figurava il
presidente cubano, Raul Castro, non invitato (come di consuetudine) a questo
tipo di summit. Obama ha avuto parole distensive nei confronti del regime
nemico storico degli Stati Uniti e ha scambiato una vigorosa stretta di mano,
con tanto di sorrisi, con un altro leader che ha sovente attaccato il governo e
le politiche di Washington: il presidente venezuelano Hugo Chavez. AMICIZIA -
Chavez si è rivolto al presidente Usa sottolineando: «voglio essere tuo amico».
Nel suo intervento Obama ha poi scherzato con un altro avversario di
Washington, il capo dello stato nicaraguense Daniel Ortega, che aveva parlato
poco prima di lui: «La ringrazio per non avermi incolpato» di fatti, quali
appunto alcuni eventi della storia cubana, «avvenuti quando avevo tre mesi di
età». CUBA - Nell'auspicare un contatto diretto con L'Avana, Obama ha rinnovato
l'invito al governo di Castro a compiere dei «passi» in avanti, ribadendo la
disponibilità della Casa Bianca ad impegnarsi con il governo cubano «su una
serie di questioni». Obama ha anche chiesto ai leader latinoamericani presenti
- dal brasiliano Lula, al messicano Felipe Calderon e lo stesso venezuelano
Hugo Chavez - di non incolpare gli Usa «per ogni problema sorto nell'emisfero».
Non sono solo gli Stati Uniti «a dover cambiare, tutti noi abbiamo delle
responsabilità rispetto al futuro», ha osservato Obama. Ma il tema chiave del
discorso di Obama, e dell'intero 'summit' americano, è proprio il nodo Cuba,
anche perchè da più parti nelle ultime ore è stata chiesta la fine dell'embargo
commerciale Usa, tema che con ogni probabilità sarà al centro degli interventi
e contatti di questi giorni. «Sono pronto al coinvolgimento
della mia amministrazione con il governo cubano su un ampio spettro di
questioni, i diritti umani,
la libertà d'espressione e la riforma democratica», ha detto Obama in uno dei
passaggi centrali del suo intervento, ricordando anche i «problemi della droga,
l'immigrazione e gli affari economici. Lasciatemi essere chiaro, non sono
interessato a parlare per il gusto di parlare. Credo davvero che
possiamo portare le relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti in una nuova
direzione». DISTENSIONE - Lunedì la Casa Bianca ha annunciato la revoca di una
serie di restrizioni con L'Avana (sul fronte dei viaggi dei cubanoamericani e
delle rimesse), mentre venerdì in Messico lo stesso Obama aveva chiesto «un
gesto» a Raul Castro, che poche ore dopo ha in effetti replicato: «Siamo pronti
a parlare su tutto, anche sui prigionieri politici ed i diritti umani». stampa |
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( da "Corriere.it" del
18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Obama,
la CIa e le torture Le scomode verità I memo della Cia costituiscono la
sintesi brutale degli anni più duri della lotta al terrorismo. Un piccolo
manuale della tortura redatto dai burocrati della sicurezza. Un documento che
illumina il «lato oscuro » della guerra ad Al Qaeda. Operazioni clandestine,
violazioni dei diritti, rapimenti, prigioni segrete. Comportamenti illegali,
a volte non ortodossi, ma che la Casa Bianca di George Bush ha trasformato in
«legali» per decreto interno. E colpisce la cura con la quale i quattro
esperti dell'amministrazione hanno prescritto i metodi da applicare nei
confronti dei terroristi. Tabelle, tempi, dosi di dolore, misure, forza da
impiegare. Parametri asettici che si sono trasformati in violenze inaccettabili.
I memo, ancora, sono la spia di come una democrazia e non è certo la prima
volta possa abbassare i suoi standard morali. Per difendersi da un nemico
assassino ritiene sia possibile ricorrere a qualsiasi mezzo. Perché come ha
sottolineato un esperto «tra un cittadino e un terrorista è quest'ultimo ad
avere meno diritti ». Al tempo stesso bisogna ricordare il contesto
temporale. Quei sistemi sono stati concepiti dopo un attacco terroristico senza
precedenti. Oggi è facile dire che i seguaci di Osama fanno meno paura e che
forse il pericolo è stato esagerato o manipolato. Allora la maggioranza della
comunità internazionale era convinta sulla necessità di dover reagire ed era
pronta a scendere a compromessi pur di proteggersi. Ciò, ovviamente, non deve
essere interpretato né come pretesto né come giustificazione. Ma sarebbe
disonesto tacerlo. Ma la pubblicazione degli ordini riservati della Cia
racchiude un altro significato per gli Stati Uniti. Ed è la forza della trasparenza,
la capacità di affrontare talvolta, sia ben chiaro verità scomode. Non è da
tutti svelare materiale così riservato e imbarazzante, che fa litigare il
Paese e fornisce munizioni ai suoi molti avversari. Per i cinici si tratta di
una mossa di facciata e ricordano quanti altri segreti sono ancora chiusi in
una cassaforte. Per i conservatori è un errore clamoroso, che espone ai rischi
funzionari che hanno agito per mantenere sicura l'America. Per gli ex agenti
segreti può compromettere la lotta agli estremisti e far trasparire un segnale
di debolezza: loro, i cattivi, penseranno che non abbiamo più «lo stomaco».
Per i liberal, all'opposto, è addirittura troppo poco e invocano una
commissione di inchiesta. Un dibattito acceso che ha reso insidiosa e
coraggiosa la decisione di Barack Obama. Si è preso una doppia responsabilità.
Quella di rivelare un frammento importante di verità e di sostenere che i
tagliagole possono essere fermati con la legge e nella legge. Un principio
sacrosanto che però sarà messo a dura prova, ogni giorno, dalla realtà e da
criminali che non hanno ancora deposto le armi. Guido Olimpio stampa |
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( da "Manifesto, Il"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
LA DENUNCIA
L'isola «inumana» nel rapporto di Msf Detenuti malati e denutriti Alberto
D'Argenzio BRUXELLES Sovraffollamento, sporcizia, cibo inadeguato, mancanza di
indumenti ed epidemie difficilmente controllabili, le condizioni di vita nei
tre centri di detenzioni per migranti di Malta sono «inaccettabili ed inumane».
Lo dice Medici senza frontiere nel rapporto Not Criminals presentato ieri a
Bruxelles, 32 pagine in cui non si trova spazio per i dubbi e tanto meno per i
giri di parole nella descrizione del quotidiano dei migranti che lasciano
dietro di loro l'Africa e hanno la sorte di approdare nel piccolo Stato
mediterraneo. A Lyster Barracks, Safi e Ta'kandja, centri in cui Msf lavora
dall'agosto 2008, la situazione è «sconvolgente», assicura la Ong, con degli
standard di vita che minano la «salute fisica e mentale» dei migranti. Se è
vero che le condizioni di accoglienza sono «terribili», è anche vero che non
sembrano per nulla casuali. «La politica di detenzione sistematica - assicura
il rapporto di Msf - mira a dissuadere le persone dall'entrare irregolarmente
nel territorio». Un ragionamento che è alla base anche della trasformazione,
voluta da Roberto Maroni, di Lampedusa da un luogo di transito a un'isola di
confinamento ed espulsione dei migranti. Un ragionamento miope. Il caso di
Malta insegna infatti insegna come, pur inasprendo le condizioni di accoglienza
e rafforzando le politiche di contrasto al traffico di esseri umani, il flusso migratorio non accenni per nulla ad
arrestarsi e nemmeno a ridursi. Nel 2008, dice il rapporto, ci sono stati 2.704
arrivi nel piccolo stato mediterraneo, contro i 1.694 registrati nel 2007. La
tendenza al rialzo viene confermata in questo inizio di 2009, con 759 persone
giunte a Malta tra gennaio e febbraio, praticamente tutti salpati dalle coste
libiche, ma il più delle volte provenienti dal Corno d'Africa, in sostanza in
fuga dall'instabilità, dalla violenza, dalle persecuzioni e, solo nel migliore
dei casi, unicamente dalla fame. Il 60% dei migranti giunti negli ultimi sei
mesi, dice Msf, proviene infatti da «paesi colpiti da
conflitti o segnati da profonde violazioni dei diritti umani», come Somalia (la metà del
totale), Eritrea, Sudan e Nigeria. A poco più della metà degli arrivati, lo
stato garantisce protezione umanitaria, mentre lo status di rifugiato viene concesso solo con il
contagocce: appena allo 0,52% del totale. Comunque sia,
indipendentemente dalla condizione giuridica a cui aspirano e a cui avrebbero
diritto, tutti i migranti sono obbligati a rimanere per mesi e mesi nei centri
di detenzione. La legge maltese prevede infatti fin dal 2005 la detenzione con
durata massima 18 mesi, un tetto diventato europeo (per quanto non obbligatoriamente)
con la direttiva ritorno approvata l'anno scorso dai 27. Il problema è che nel
caso maltese la lunga detenzione si somma a condizioni di vita «inumane», tali
da rendere «frustrante» il lavoro di medico, assicura Philippa Farrugia di Msf.
La testimonianza di una donna eritrea, contenuta nel rapporto, si apre con
l'indicativo titolo «Da una prigione a una prigione a una prigione», in cui
l'ultima è quella maltese che le ha creato problemi gastrici, cardiaci e
psicologici. Solo dopo un collasso e la detenzione di 20 giorni in un ospedale
psichiatrico, questa donna scappata dalla carcere e dalla schiavitù in Eritrea
è stata trasferita in uno dei due centri aperti organizzati dal governo
maltese. Secondo Msf solo il 32% dei migranti giunti dall'agosto scorso gode di
buona salute, agli altri sono stati rilevati problemi respiratori, gastrici,
dermatologici, mentali, infezioni e traumi. Il 38% si ammala durante il
viaggio, per le condizioni della traversata, la scarsità di cibo ed il freddo,
ma poi vengono le condizioni inumane rilevate nei centri che favoriscono il
propagarsi di infezioni, come la scabbia, gastroenteriti ed infezioni
respiratorie, tra cui la tubercolosi, e determinano il sorgere di diversi
problemi psicologici. Eppure, il governo ha assicurato a più riprese che gli
standard di trattamento nei centri sono «buoni».
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( da "Articolo21.com"
del 18-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Teheran condanna
la giornalista Saberi a 8 anni di carcere. LOnu
premia Ahmadinejad con un invito a parlare di diritti umani di
Ahmad Rafat* Roxana Saberi, la giornalista americana di padre iraniano e madre
giapponese, è stata condannata sabato mattina a 8 anni di reclusione. Lunedì,
arriva a Ginevra il presidente Mahmoud Ahmadinejad per parlare alle Nazioni
Unite dei diritti umani, nellambito
della seconda conferenza sul razzismo. Cè qualcosa che non quadra. Pochi
sono i dubbi che nella Repubblica Islamica i diritti umani
siano rispettati. Se questa teoria è confermata dai fatti, e credo che lo sia,
allora mi sembra legittimo chiedere ai vertici delle Nazioni Unite e al
Segretario Generale in prima persona, perché far parlare chi non rispetta i
diritti umani sanciti nella carta dei Diritti dellUomo. Roxana Saberi, 31
anni, si era trasferita in Iran sei anni fa e da allora collabora come freelance con la BBC e
la Public National Radio statunitense, nonché alcune emittenti televisive.
Roxana è stata accusata di “spionaggio a favore di potenze straniere”. La
notizia della condanna non è stata ancora confermata da fonti giudiziarie della
Repubblica Islamica, ma comunicata in via confidenziale ai genitori della
collega che si trovano da due settimane in Iran per assistere al processo della
figlia. Roxana Saberi è giunta in Iran sei anni fa e immediatamente si è
accreditata presso il Ministero per la Cultura e lOrientamento
Islamico. Due anni fa aveva presentato domanda per il rinnovo
dellaccredito, senza ricevere mai una comunicazione di rifiuto o di
approvazione. Roxana è stata fermata durante una ronda della polizia e, a
quanto pare
trovata in possesso di una bottiglia di bevanda alcolica. Trasferita per la
solita multa ad un commissariato, il suo fermo è stato trasformato in arresto
con laccusa di spionaggio. Non è la prima volta, e sfortunatamente
non sarà nemmeno lultima, che giornalisti, scrittori, professori o ricercatori iraniani
con doppia cittadinanza vengono arrestati con laccusa
di spionaggio a favore del paese occidentale del quale hanno ottenuto la
cittadinanza. Tutti ricordiamo il caso di Zahra Kazemi, la fotoreporter canadese di origini iraniane
uccisa durante linterrogatorio nel carcere di Evin. Hanno
passato mesi in carcere anche la ricercatrice statunitense Haleh Esfandiari, il
professore universitario canadese Ramin Jahanbeglu, la collega americana Nazi
Azima, o la
regista francese Mehrnoush Solouki. I fratelli Arash e Kamyar Alaii, ambedue
medici, scontano in carcere a Teheran, una pena complessiva di 9 anni, perché
curavano i malati di Aids. Sono stati riconosciuti “colpevoli” di voler
“sabotare la sicurezza e la stabilità del paese”, diffondendo notizie sul
numero reale dei malati colpiti dal virus Hiv. Pochi giorni fa parlando con lavvocato
di uno degli studenti del Politecnico di Teheran, (accusato di “attentato
contro la sicurezza dello Stato”, per aver raccolto firme per la campagna delle
donne che chiedono leguaglianza dei diritti tra i
sessi), mi è stato chiesto di spiegare “a che gioco stanno giocando gli
europei”. Non è comprensibile per i cittadini iraniani latteggiamento
dellOccidente, e soprattutto quello dellEuropa. A parole diceva
il legale, condannano le violazioni dei diritti umani
nella Repubblica Islamica, poi premono su Ahmadinejad per un dialogo senza
condizioni. Non chiedere nemmeno il rispetto dei diritti umani
come condizione previa per ogni trattativa con la Repubblica Islamica, diceva lamico
avvocato, è interpretato dai governanti iraniani come un incoraggiamento per
continuare a violare in pace e senza impedimenti, anche i più elementari
diritti degli essere umani. * membro del direttivo dellInformation,
Safety & Freedom
e portavoce dellIniziativa per la Libertà
dEspressione in Iran
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( da "Stampa, La" del
19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
MERCOLEDÌ 22
APRILE Teatro Regio Alle 18 inaugurazione con il Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano. GIOVEDÌ 23 APRILE Teatro Carignano Alle 10 «Sulla
democrazia» con Gustavo Zagrebelsky. Introduce Fiorenzo Alfieri. Alle 14,30
«Obiezione di coscienza. Quando è accettabile?» con Emanuela Ceva, coordina
Andrea Bajani. Alle 16 «Spirito e pratica della democrazia deliberativa» con
Giuliano Amato, Jon Elster, John Gastil; coordina Giancarlo Bosetti. Alle 18,30
«Quale democrazia senza uguaglianza delle risorse?» con Alain Touraine;
presenta Cesare Martinetti. Alle 22 «Dentro la fabbrica della satira» con
Michele Serra, coordina Giovanna Zucconi. Palazzo Civico Alle 10 «Le belle
tasse - Le tasse spiegate ai bambini». Teatro Gobetti Alle 11,30 «Le religioni
nella società», coordina Valentino Castellani. Alle 16 «Educare alla
democrazia». Alle 18 «La selezione delle classi dirigenti» con Guido Tabellini,
Piero Gastaldo, Roberto Quaglia e Luca Savarino. Alle 21 «Il testamento
biologico: tesi a confronto» con Francesco D'Agostino e Carlo Augusto Viano.
Introduce Tullio Monti. Rettorato, Università 11,30 «Colloquio sulla
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo», con
Giuliano Amato. Politecnico 14,30 «Università aperta: il punto di vista degli
studenti». Fondazione Einaudi Alle 15 «La democrazia degli altri» con Marcello
Carmagnani, Adriano Favole, Davide Grassi, Michelguglielmo Torri e Francesco
Remotti. Cavallerizza Reale Alle 18,30 «Viaggi verso la democrazia?
Testimonianze di migrazione». Circolo dei Lettori Alle 17 «Islam e democrazia»
letture da Fatima Mernissi, con Khaled Fouad Allam. Alle 17 «Un nemico del
popolo» letture commentate di Henrik Ibsen. Alle 18 «La rivoluzione arancione
tra Europa e Russia», con Pietro Marcenaro e Oxana Pachlovska, coordina Andrea
Riscassi. Alle 19 aperitivo Birmano e «La Birmania sconosciuta: quale futuro?»,
con Marco Bertone, Marco Buemi, Alessandra Mancuso. Mood Libri & Caffè Alle
18,30 «I bar della democrazia» aperitivo con Pietro Garibaldi. Casa
Circondariale Alle 22 «Dell'artificio il fuoco». Teatro Nuovo Alle 20,45 «La
bella utopia, lavoratori di tutto il Mondo ridete», di e con Moni Ovadia.
Hiroshima Mon Amour Alle 21,30 «Il Gran Galà TO&TU con il varietà della
caduta». «Valentina Blues - Le voci del tempo» con Mao, Marco Peroni e Mario
Congiu. VENERDÌ 24 APRILE Cavallerizza Reale Alle 10 «I nuovi poveri» con
Pierluigi Dovis, Marco Revelli, Chiara Saraceno; coordina Paolo Griseri. Alle
16 «Il capitale sociale, una risorsa invisibile». Alle 17 «Arena pubblica degli
atti democratici». Dalle 10 alle 17 «Unmasked», maratona di film in
contestazione dei sistemi di regole. Alle 19 «Breath in, breat out» di Yingmei
Duan&Luigi Coppola. Circolo dei Lettori Alle 15,30 «Teologia politica» con
Alessandro Pizzorno e Paolo Prodi. Alle 17 «Democrazia e sviluppo» letture da
Amartya Sen. Alle 17 «Nietzsche e la democrazia», letture commentate. Alle 18,30 «Democrazia e diritti umani: il caso del Tibet» con Dolma Gyari, vicepresidente del
Parlamento tibetano, Giampiero Leo e Mariacristina Spinosa. Fondazione Einaudi
Alle 10 «Tribunali e politica». Alle 15 «La democrazia in Italia. Da Mazzini
all'antipolitica» con Giuseppe Bedeschi, Dino Cofrancesco, Massimo Salvadori,
Franco Sbarberi Teatro Carignano Alle 10,30 «La democrazia degli antichi» con
Luciano Canfora, introduce Sergio Roda. Alle 11 «Il matrimonio omosessuale» con
Valeria Ottonelli, coordina Andrea Bajani. Alle 18,30 «Giovani e precari. Un
contratto per tutti» con Tito Boeri e Pietro Garibaldi. Alle 23 «Dentro la
fabbrica della satira» con Neri Marcorè, coordina Giovanna Zucconi. Cinema
Massimo Alle 10,30 «Voto e cittadinanza: il punto sulle seconde generazioni»
con Khaled Fouad Allam, Maurizio Ambrosini, coordina Giovanna Zincone. Teatro
Gobetti Alle 11 «L'antidemocrazia. Mafia e Mafie». Alle 15 «Le belle tasse» con
Franco Fichera e Gustavo Zagrebelsky. Alle 16,30 «La democrazia deliberativa fa
bene alla democrazia?» con Luigi Bobbio e Nadia Urbinati. Alle 18,30 «Le
trasformazioni di un sistema politico» con Giuseppe Bedeschi, Domenico
Fisichella, Gianfranco Pasquino, Nadia Urbinati. (programma completo su
www.biennaledemocrazia.it)
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( da "Stampa, La" del
19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
SAVIGLIANO. VOLONTARIATO Festa della solidarietà celebra i diritti umani [FIRMA]PIERO BERTOGLIO SAVIGLIANO
Sarà dedicata al tema «Tutti i diritti umani per tutti» la Festa della solidarietà che animerà oggi, dalle 10
alle 18, il centro storico. Le 25 associazioni di volontariato aderenti alla
manifestazione, organizzata dalla Consulta comunale della solidarietà,
dall'assessorato ai Servizi sociali e dalla Pro loco, con il supporto del
Centro servizi per il volontariato, presenteranno negli stand allestiti in
piazza Santarosa le loro attività e i loro programmi. «Ogni associazione -
spiegano gli organizzatori - avrà a disposizione un tabellone che
caratterizzerà il proprio spazio con su riportato uno dei capitoli della
Dichiarazione universale dei diritti umani firmata a
Parigi il 10 dicembre 1948». Il programma prevede alle 10 l'inaugurazione, cui
seguirà «Canto me stesso», esercizi di libera espressione a cura del
laboratorio teatrale Itaca. Alle 11,30, dimostrazione delle attività di
Protezione civile della Cri, cui seguiranno giochi e animazioni a cura
dell'associazione «Bartalò». Poi musica con i gruppi «Reggaelyse» e «Una nota
in più». Al termine testimonianze dal mondo del volontariato raccolte da
Doriano Mandrile. Le associazioni aderenti sono: Abio, Acat, Aido, Anfass,
Ashas, Pietà, Altalena, Papa Giovanni XXIII, Tam Tam, Auser, Avis, Cav, Cif,
San Vincenzo, Monviso Solidale, Pari Opportunità, Cri, Emergency, Crosetto,
Missione e Sviluppo, Mai+Sole, Noi con Voi, Oasi Giovani, Piccoli Passi,
Protezione civile.
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( da "Stampa, La" del
19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
"La Saberi è
una spia" Dovrà scontare 8 anni La free lance 31enne stava completando le
ricerche per un libro sul Paese di suo padre [FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK La
giornalista Roxana Saberi è stata condannata ad otto anni per spionaggio a
favore del governo Obama, dopo un solo giorno di processo segreto in una «corte
rivoluzionaria» di Teheran. Di doppia nazionalità americana e iraniana, nata e
cresciuta in Nord Dakota da papà emigrato dall'Iran e mamma giapponese, la
giovane free lance, 31 anni e una corona da Miss del suo Stato vinta nel 1997,
stava completando un libro sulla vita e i costumi del Paese paterno quando è
stata arrestata dalla polizia politica, pochi giorni dopo il giuramento di
Obama presidente. Da allora, sono filtrate solo vaghe notizie sui motivi della
detenzione, mentre montava la protesta degli attivisti dei
diritti umani che
chiedevano il suo rilascio. Roxana, in un primo tempo, aveva fatto sapere al
papà in America di essere finita in prigione per aver comprato una bottiglia di
vino (che a Teheran è un crimine). Poi le autorità avevano lanciato un'accusa
speciosa, e comunque non tale da meritare la galera: che Roxana stava facendo
servizi radio-televisivi per la National Public Radio americana e la Bbc
inglese senza avere le credenziali professionali. Erano già tre anni che alla
giornalista, arrivata in Iran sei anni fa, non era stato più rilasciato il
tesserino ufficiale per l'attività di free lance, ma era subentrato un permesso
di fatto, poiché la giovane donna operava alla luce del sole e non le era stata
mai mossa alcuna contestazione. Ora, anziché «l'imminente liberazione» che era
stata annunciata da un portavoce del tribunale ai primi di marzo, è arrivata la
tegola della condanna. Perché, secondo quanto comunicato da un giudice
investigativo, ci sarebbero le prove che la donna ha raccolto e passato
informazioni coperte dal segreto di stato ai servizi di Obama. «Inoltrerò
sicuramente un appello», ha detto alla Associated Press l'avvocato Abdolsamad
Khorramshahi, che non ha potuto nemmeno prendere la parola in tribunale. Ma è
evidente che il caso è tutto politico e niente giudiziario. Appena eletto, il
presidente Usa fece il discorso della «mano tesa» ai leader islamici, per
voltare la pagina della politica di Bush. La settimana scorsa la sua diplomazia
è andata oltre. Pur di riprendere i contatti diretti e intavolare discussioni
sul futuro delle relazioni tra Washington e Teheran, funzionari del
dipartimento di Stato della Clinton hanno fatto filtrare una disponibilità che
Bush aveva sempre negato: avviare colloqui senza la precondizione che l'Iran
sospenda l'attività di arricchimento dell'uranio. Non è una concessione da
poco: tutti sanno, in America e in Europa, che dietro al programma delle
centrali a fini civili c'è l'ambizione di Ahmadinejad di dotarsi di bombe
nucleari. La mossa iraniana di gettare la chiave della cella in cui Roxana è
rinchiusa da tre mesi, in questo contesto, è una sfida sfacciata al presidente
Usa. Forse l'Iran punta a qualche scambio di prigionieri. Forse le elezioni
imminenti nel Paese, che è in grave crisi economica e sociale, consigliano al
leader in carica, minacciato da un concorrente «riformista» e meno anti-americano,
di fare il duro provocando platealmente l'amministrazione del buonista Obama.
Certo, come sprezzo del nuovo clima di dialogo proposto dagli Usa non c'è male.
Peraltro, tutto si può dire meno che sia una novità nel modus operandi del
regime di Teheran. I sequestri violenti in piena regola e i processi farsa con
le incarcerazioni di giornalisti e intellettuali occidentali si sono susseguiti
dopo l'instaurazione della Repubblica Islamica. Su tutti, ci sono stati i 444
giorni dell'assedio dell'ambasciata americana durante la presidenza di Jimmy
Carter. Ma anche recentemente, ricordava il New York Times nell'editoriale di
venerdì, prima della condanna, «l'Iran ha giocato questo assurdo gioco». E ha
citato il corrispondente di Radio Free Europe/Radio Liberty e un attivista
pro-democrazia americano ingiustamente detenuti. In precedenza, ci fu nel 2003
il caso di Zahra Kazemi, fotografa canadese nata in Iran, accusata di
spionaggio come Roxana. Morì sotto le torture nella galera famigerata di Evin,
dove si crede sia detenuto dal 2007 anche l'uomo d'affari Robert Levinson, ex
agente Fbi. Ora che Guantanamo smobilita, gli attivisti dei diritti umani di buona volontà, e di buona fede, hanno una nuova
causa. Chiudere Evin.
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( da "Stampa, La" del
19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
IN UN ANNO A Novi
le denunce sono più che raddoppiate L'inaugurazione del Centro ascolto ad
Alessandria ha fatto emergere un dato preoccupante anche a Novi. Infatti sul
totale dei dati raccolti, le rilevazioni all'ospedale San Giacomo corrispondono
al 6,86%. Nel 2008 è stato registrato un aumento molto consistente del
fenomeno, con il significativo incremento rispetto al 2007 del 110,8%. Il
fenomeno è dunque più che raddoppiato. In particolare, risultano 78
segnalazioni, di cui 56 provenienti da donne italiane (71,79%) e 22 relative a
donne straniere (28,21%). L'analisi rileva un aumento sostanziale del fenomeno
rispetto all'anno precedente. L'unica constatazione positiva che si può
formulare dalla scorta di queste informazioni è il «crollo» delle mura
domestiche entro le quali gli episodi di violenza rimanevano circoscritti, per
paure di scandali o per consuetudini culturali fortunatamente sempre meno
radicate. I casi di violenza casalinga ora cominciano a venire alla luce, anche
se ancora non nella loro intera dimensione. «Il Piano provinciale - spiega la
vice presidente della Provincia, Maria Grazia Morando -, grazie alla sinergia
tra istituzioni e associazioni, ha raggiunto importanti risultati. Abbiamo ripetuto per il secondo anno interventi nelle scuole
superiori, a 540 studenti e studentesse, a cui sono stati proposti elementi di
cultura di genere, diritti umani e dei minori, riflessioni violenza di genere e sulla violenza
domestica».
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( da "Stampa, La" del
19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Intervista Moises
Naim "La mossa vincente? Aprire all'Avana diffidare di Caracas" DAL
CORRISPONDENTE DA NEW YORK Gli Stati Uniti avranno presto rapporti con Cuba
come li hanno con il Vietnam mentre rispetto a Chavez la situazione è più
incerta». È questa la previsione di Moises Naim, direttore del magazine
"Foreign Policy" e noto analista dell'America Latina. Dove può
portare il dialogo fra Barack Obama e Raul Castro? «Molto lontano perché non si
tratta di un processo che incomincia ora ma del frutto delle novità in corso da
tempo a Cuba, in Florida e nel mondo. Vi saranno presto degli incontri diretti
a livello di funzionari, poi di tipo più politico, forse vi sarà spazio per un
ruolo del brasiliano Lula o dello spagnolo Zapatero e tutto finirà con una foto
di Raul Castro alla Casa Bianca. La normalizzazione dei rapporti fra Washington
e l'Avana è già da tempo in corso, adesso sta accelerando e il risultato sarà
che gli Usa avranno con Cuba un legame simile a quello con il Vietnam, che è
una nazione ex nemica, retta da un partito comunista e con la quale hanno
ottimi rapporti economici». Peserà la questione del
rispetto dei diritti umani
a Cuba? «Certo, c'è da sciogliere il nodo dei prigionieri politici a Cuba, il
cui numero peraltro è oggetto di costante discussione. Il rispetto dei diritti umani resta una debolezza dell'Avana ma
è anche vero che gli Stati Uniti hanno solidi rapporti con la Cina, che è assai
carente sotto questo profilo». Che impatto avrà il dialogo fra Usa e
Cuba su Chavez? «Il presidente venezuelano è destinato ad essere molto più
isolato. Due anni fa al summit delle Americhe che si svolse in Argentina Chavez
fu una vera star, ebbe facile gioco a fare leva sull'ostilità alle politiche di
Bush per consolidare un proprio ruolo di leadership regionale, facendo leva su
Kirchner. Ma ora tutto è diverso. Alla Casa Bianca non c'è Bush ma Obama e Cuba
sta parlando con Washington. Per Chavez sarà difficile continuare a giocare la
carta dell'antiamericanismo». La stretta di mano fra Chavez e Obama cosa le
suggerisce? «È difficile dire, perché Chavez che stringe la mano a Obama è la
stessa persona che negli ultimi tempi lo ha spesso attaccato ed è anche lo
stesso che sta inasprendo la repressione contro gli oppositori. Le intenzioni
di Chavez nei confronti di Obama non sono chiare come quelle di Raul Castro».
Perché Chavez ha regalato a Obama il libro di Eduardo Galeano? «È un classico
della sinistra latinoamericana. La tesi di Galeano è che i problemi di sviluppo
del Sudamerica dipendono dall'essere stato sfruttato dagli Stati Uniti, che
sono diventati proprio in questa maniera un gigante mondiale». Insomma,
regalarlo a Obama è quasi una provocazione... «Questo è Chavez». Che
impressione si è fatto del summit di Trinidad e Tobago? «Il vero tema del vertice
non sono i rapporti fra Usa e Cuba e tantomeno la stretta di mano fra Chavez e
Obama bensì la dura contrapposizione fra due gruppi di Paesi portatori di
politiche economiche molto differenti. Brasile, Cile, Messico, Perù, Colombia,
Uruguay e Costa Rica fanno scelte simili a quelle degli Usa mentre sul fronte
opposto vi sono Venezuela, Nicaragua, Ecuador e Bolivia. La divisione fra i due
gruppi è netta e le tensioni alte». \
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( da "Stampa, La" del
19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
FINALE LIGURE
Oggi lo Zonta premia tre donne in carriera «Zonta rose day» (ore 16) a
Finalborgo all'Auditorium di Santa Caterina. La giornata è dedicata alla donna
lavoratrice e professionista, «alla quale vengono riconosciuti particolari
meriti per essersi distinta nella sua attività e per aver promosso gli ideali
zontiani». «Lo Zonta Club è un'associazione internazionale che si impegna sul
fronte globale e locale al fine di superare le barriere poste contro
un'educazione improntata all'eguaglianza, per garantire l'assistenza
sanitaria e i diritti umani,
con programmi di ricerca fondi e per tramite di programmi per l'educazione,
servizi ed assistenza legale», spiega il presidente Margherita Gallo. Domenica
presso l'Auditorium saranno premiate Laura Chiesa (imprenditrice e commerciante
storica di Finalmarina), Mafalda Mazzoni (insegnante, fondatrice di Zonta
Club e Università 3 Età di Finale), Nenne Sanguineti Poggi (pittrice). Nel
corso della manifestazione la Compagnia del Barone Rampante, Associazione
culturale onlus di Borgio Verezzi, presenterà all'Auditorium cinque pezzi
tratti dallo spettacolo «Una serata fuori» (lo spettacolo sarà replicato a
Santa Caterina sabato 25 aprile alle ore 21).\
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( da "Stampa, La" del
19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
No di Washington
alla conferenza sul razzzismo NEW YORK Gli Stati Uniti non andranno alla
conferenza dell'Onu contro il razzismo, in programma fra pochi giorni a
Ginevra. La decisione è stata presa dall'Amministrazione Obama in ragione del
testo della dichiarazione finale, che accusa Israele di «restringere la libertà
di espressione». Gli Usa avevano già boicottato la prima conferenza sul
razzismo, a Durban in Sudafrica nel 2001: per la forte ostilità degli organizzatori
nei confronti dello Stato ebraico e perché anche in quell'occasione molti Paesi
arabi e del Terzo Mondo avevano riproposto il paragone fra sionismo e razzismo.
Dunque, il portavoce del Dipartimento di Stato, Robert Wood, ha fatto sapere
«con rammarico» che «gli Stati Uniti non parteciperanno». Per evitare questa
decisione le feluche di Washington nelle ultime settimane avevano profuso
energie per emendare il testo dalle pesanti critiche a Israele e al sionismo ma
le resistenze opposte da diversi Paesi musulmani l'hanno impedito.
L'Amministrazione Obama voleva partecipare nell'ambito dei suoi sforzi per
rilanciare il ruolo americano nelle organizzazioni internazionali, confermato
dalla scelta di candidarsi al Consiglio per i Diritti Umani. Con questa decisione gli
Stati Uniti si affiancano all'Italia e ad altri Paesi europei che, per non
discriminare Israele, avevano già dato forfait. Sarà invece presente a Ginevra
il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che in passato ha negato che la
Shoà sia avvenuta e si è detto a favore della cancellazione di Israele dalla
carta geografica. La scelta di Obama di non far partecipare gli Stati
Uniti era stata auspicata da numerose associazioni ebraiche americane mentre a
suggerire che sarebbe stato «comunque importante partecipare» era l'assemblea
dei deputati afroamericani del Congresso e Human Rights Watch. \
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( da "Corriere della Sera"
del 19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Corriere della
Sera sezione: Esteri data: 19/04/2009 - pag: 16 Diritti umani Roxana Saberi è rinchiusa
nella prigione di Evin Teheran, otto anni alla giornalista arrestata Accusata
di «spionaggio». Obama «deluso» Prevista domani l'esecuzione della pittrice
Delara. Lettera dei genitori ai parenti della vittima: «Perdonatela» Da due
mesi e 19 giorni Roxana Saberi, giornalista americanairaniana di 31 anni,
è nella prigione di Evin a Teheran, un carcere dove vengono spesso rinchiusi i
prigionieri politici, lo stesso in cui nel 2003 morì di emorragia celebrale la
fotoreporter canadese Zahra Kazemi e lo scorso mese, in circostanze misteriose,
il blogger iraniano Omidreza Mirsayafi. Ieri Teheran ha reso noto che Roxana è
stata condannata a restare a Evin per 8 anni. In un processo a porte chiuse,
lunedì, una Corte rivoluzionaria (che giudica le questioni di sicurezza
nazionale) ha dichiarato la giornalista colpevole di spionaggio. Avrebbe usato
la sua professione come copertura per trasmettere informazioni all'intelligence
Usa. L'avvocato Abdolsamad Khorramshahi farà ricorso. In attesa del giudizio
d'appello, le è stata negata la libertà su cauzione. E' la prima volta che una
giornalista americana viene condannata per spionaggio in Iran. Il presidente
Usa Barack Obama e il segretario di Stato Hillary Clinton si sono detti
«profondamente delusi». Dalla sua elezione, Obama ha dichiarato di voler
scongelare i rapporti con Teheran, sospesi dopo la Rivoluzione Islamica nel
1979 e peggiorati per via delle ambizioni nucleari iraniane. Il caso di Saberi
complica le cose. Roxana ha due passaporti, americano e iraniano. La mamma
Akiko, giapponese, e il papà Reza, iraniano, vivono a Fargo, in North Dakota,
dov'è cresciuta, diventando reginetta di bellezza nel 1998 e poi reporter tv,
sognando di fare la corrispondente dall'estero. Nel 2002 l'agenzia «Feature
Story News» che confeziona «storie » per le tv Usa l'ha scoperta e inviata in
Iran. Tv, radio, online: sapeva fare tutto. E parlava il farsi. La Bbc inglese,
la tv Fox e la radio Npr negli Usa l'hanno mandata in onda. Ma nel 2006 il
ministero della «Cultura e della Guida Islamica» non le ha rinnovato
l'accredito stampa. E' rimasta a Teheran. Scriveva un libro. Mandava ancora
servizi a Npr (secondo la radio, col permesso alle autorità). Dal 31 gennaio
non sono arrivate più telefonate né email a Fargo. Il 10 febbraio, una chiamata
di 3-4 minuti da un luogo ignoto: «Mi hanno arrestata perché ho comprato una
bottiglia di vino». Lo disse «con voce strana» al papà, raccomandò di non
parlare alla stampa, perché sarebbe uscita presto. A marzo il ministero degli
Esteri iraniano l'ha accusata di aver lavorato come giornalista senza
autorizzazione. Reza e Akiko sono volati a Teheran, l'hanno vista una volta per
30 minuti, nel solo giorno della settimana concesso ai parenti: non era più in
isolamento, stava abbastanza bene. L'8 aprile le autorità hanno cambiato
versione: «Dicendo d'essere una reporter, conduceva attività di spionaggio». Il
viceprocuratore della Corte ha detto che la ragazza si è dichiarata colpevole,
il padre che l'hanno convinta a confessare in cambio della libertà, ignorando
le successive dichiarazioni di innocenza. La condanna arriva in un momento
delicatissimo. Alcuni esperti la leggono come un tentativo degli
ultraconservatori in Iran di sabotare il dialogo con gli Usa: l'avversario del
presidente Mahmoud Ahmadinejad alle elezioni di giugno, Mir Hossein Mousavi,
vuole un avvicinamento. Altri osservano che Ahmadinejad si è recentemente
mostrato più disponibile al dialogo. Negli ultimi anni ricercatori universitari
con doppia nazionalità come Roxana sono stati incarcerati per mesi con l'accusa
di spionaggio, ma poi liberati senza processo. Domani rischia di finire sul
patibolo un'altra ragazza iraniana, la pittrice Delara Darabi, 23 anni,
rinchiusa da 6 anni in un carcere di Rasht, nel nord del Paese. Delara è stata
condannata a morte per l'omicidio di una cugina. Inizialmente si era detta
colpevole, ritrattando in seguito. Il suo avvocato, Khorramshahi, lo stesso di
Roxana Saberi, dichiara che le prove la scagionano ma i tribunali hanno
rifiutato di esaminarle. Esaurite le vie legali, i genitori hanno inviato una
lettera aperta a Hayedeh Amir-Eftekhari, una dei 5 figli della vittima, l'unica
che finora ha rifiutato di concedere il perdono. Infatti i parenti della
vittima possono salvare la vita della condannata. «Nostra figlia... ha fatto un
errore», hanno ammesso i genitori della ragazza, ribadendo però la sua innocenza.
Una manifestazione di artisti e attivisti è prevista per lei domani a Rasht.
Ieri e oggi Roxana Saberi reginetta (Afp, sotto) e reporter (Afp, sopra)
Viviana Mazza
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( da "AmericaOggi Online"
del 19-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Vertice delle
Americhe. Barack Obama: "Punto ad un nuovo inizio con Cuba"
19-04-2009 PORT OF SPAIN. Con Cuba gli Stati Uniti puntano a "un nuovo
inizio": lo ha detto il presidente Barack Obama, intervenendo al quinto
vertice delle Americhe aperto ieri a Trinidad Tobago, alla presenza di 33
leader del continente, tra i quali non figurava il presidente cubano, Raul
Castro, in quanto non invitato come di consuetudine a questo tipo di summit.
Poco prima del suo intervento, Obama ha salutato con una stretta di mano con il
presidente venezuelano Hugo Chavez, che gli si è rivolto sottolineando:
"Voglio essere tuo amico". "Ci siamo stretti la mano come
gentiluomini. Era ovvio che accadesse", ha detto Chavez dopo l'incontro
con Obama. E ha aggiunto: "E' un uomo intelligente, diverso dal suo
predecessore". Durante il suo discorso, nell'auspicare un contatto diretto
con L'Avana, il presidente Obama ha rinnovato l'invito al governo di Castro a
compiere dei "passi" in avanti, ribadendo la disponibilità della Casa
Bianca ad impegnarsi con il governo cubano "su una serie di
questioni". Nel riconoscere quello che ha definito "gli storici
sospetti" sull'interventismo di Washington nell'America Latina, Obama ha
d'altra parte chiesto ai leader latinoamericani presenti - dal brasiliano Lula,
al messicano Felipe Calderon e il venezuelano Chavez - di non incolpare gli Usa
"per ogni problema sorto nell'emisfero". Non sono solo gli Stati
Uniti "a dover cambiare, tutti noi abbiamo delle responsabilità rispetto
al futuro" - ha osservato Obama, offrendo nel contempo alla regione
latino-americana "un dialogo fondato sul rispetto reciproco di valori
condivisi" in cui non ci siano "partner di prima o di seconda
categoria". Ma il tema chiave del discorso di Obama, e dell'intero
'summit' americano, è proprio il nodo Cuba, anche perché da più parti nelle
ultime ore è stata chiesta la fine dell'embargo commerciale Usa, tema che con
ogni probabilità sarà al centro degli interventi e contatti di oggi. "Sono
pronto al coinvolgimento della mia amministrazione con il governo cubano su un
ampio spettro di questioni, i diritti umani, la libertà d'espressione e la
riforma democratica", ha detto Obama in uno dei passaggi centrali del suo
intervento, ricordando anche i "problemi della droga, l'immigrazione e gli
affari economici". "So che è necessario intraprendere un viaggio più
lungo dopo decenni di sfiducia, ma vi sono alcuni passi chiave che possiamo
fare verso un nuovo giorno", ha proseguito, aggiungendo:
"Lasciatemi essere chiaro, non sono interessato a parlare per il gusto di
parlare. Credo davvero che possiamo portare le relazioni tra Cuba e gli Stati
Uniti in una nuova direzione". Con questo intervento, Obama ha chiuso una
lunga settimana in cui non sono mancate le novità nei rapporti
Washington-L'Avana. Lunedì la Casa Bianca ha annunciato la revoca di una serie
di restrizioni con L'Avana (sul fronte dei viaggi dei cubano-americani e delle
rimesse), mentre venerdì in Messico lo stesso Obama aveva chiesto "un
gesto" a Raul Castro, che poche ore dopo ha in effetti replicato:
"Siamo pronti a parlare su tutto, anche sui prigionieri politici ed i
diritti umani". La palla è quindi ripassata nel
campo degli Usa. E in effetti, poco dopo, il segretario di Stato Hillary
Clinton ha elogiato i segnali di "apertura" provenienti dall'isola
comunista, sottolineando che le politiche precedenti della Casa Bianca con
L'Avana "sono fallite". Nel suo intervento Obama ha poi scherzato con
un altro avversario di Washington, il capo dello stato nicaraguense Daniel
Ortega, che aveva parlato poco prima di lui: "La ringrazio per non avermi
incolpato" di fatti, quali appunto alcuni eventi della storia cubana,
"avvenuti quando avevo tre mesi di età".
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( da "Manifesto, Il"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
storie I GIORNI
DEL CONDOR E LE RADICI DEL RICORDO L'albero E LA MEMORIA Un nuovo albero per
ogni oppositore scomparso durante la dittatura di Pinochet. Oggi è il giorno
della memoria che in Italia è tenuta viva dal Comitato dei lavoratori cileni
esiliati, di Rivalta Bormida Geraldina Colotti «Un árbol por cada recuerdo, una
vida en cada árbol» Un albero per ogni ricordo, una vita in ogni albero.
Piantare un albero per non dimenticare. Coniugando storia, ambiente
e diritti umani, il
progetto internazionale Ecomemoria ogni anno estende la sua «foresta virtuale»
come le radici aeree delle mangrovie: dal Cile all'Australia, dall'Argentina
alla Nuova Zelanda, dal Brasile all'Europa. Un albero per ogni oppositore
cileno scomparso o ucciso durante la dittatura di Augusto Pinochet che stritolò
il paese dal 1973 al 1990. Un progetto internazionale contro le
violazioni dei diritti umani e ambientali, ideato a
Londra dalle associazioni dei cileni in esilio, nel 2003. In Italia,
l'iniziativa è portata avanti dall'associazione Comitato lavoratori cileni
esiliati, con sede a Rivalta Bormida, che ogni anno intreccia «memorie vive di
resistenza» fra storia e presente sul territorio. Oggi Ecomemoria metterà
radici nei comuni di Noli, Spotorno, Quiliano, Vado Ligure in collaborazione
con i sindaci e con l'Istituto storico della resistenza. «Nel 2002 - spiega al
manifesto Urbano Taquias Vicente, presidente dell'associazione Comitato
lavoratori cileni esiliati - la Corte suprema in Cile archiviò il processo
sulla Carovana della morte ritenendo Pinochet mentalmente incapace di
difendersi. Di lì a poco, però, il dittatore si mostrò arrogante e in buona
salute su una Tv di Miami. In Cile molti quadri di potere erano e sono rimasti
al loro posto. Il rischio era l'oblio. Così, nel 2003, è nato il progetto
Ecomemoria». Urbano, esiliato politico dal 1974, è un metalmeccanico che ha
continuato anche in Italia la tradizione di resistenza operaia a cui ha
partecipato nel suo paese. Nel '98, la procura spagnola chiede alla Gran
Bretagna di estradare Pinochet, che in quel momento si trova a Londra in
missione segreta, per crimini contro l'umanità. Dal
1989, il Cile è formalmente tornato alla democrazia per volontà popolare, ma
l'ex dittatore ha conservato la carica di capo dell'esercito e di senatore a
vita. Scoppia un caso internazionale che per 503 giorni porterà il Cile
all'attenzione del mondo. Nell'ottobre '98, pochi giorni dopo l'arresto di
Pinochet in Gran Bretagna, da una fossa comune furono riesumati i corpi di 15
persone considerate scomparse, uccise dai militari a Serena, in una tappa della
Carovana della morte. L'inchiesta della giornalista Patrizia Verdugo su quelle
tappe di morte decise in un vertice ristretto da Pinochet («Gli artigli del
Puma», Sperling & Kupfer), non ha ancora avuto esito giuridico, ma ha già
fatto storia. Quei 503 giorni di detenzione londinese - scrive Verdugo -
«cambiarono il quadro politico del nostro paese». L'«intoccabile», l'uomo
sembrato fino ad allora onnipotente, non era più tale. In Cile, cominciano ad arrivare
le denunce contro l'ex dittatore. Anche in Italia, i parenti delle vittime con
cittadinanza italiana presentano un loro fascicolo all'autorità giudiziaria e
si costituiscono parte civile contro Pinochet. Urbano è il primo a denunciarlo
presso la Procura di Milano, senza esito. Il comitato di Urbano stila una lista
degli italo-cileni uccisi dalla dittatura (almeno trenta) e presenta denunce a
varie procure. Alla fine, l'inchiesta aperta a Roma dal magistrato Giancarlo
Capaldo riguarderà solo alcuni casi, fra cui quello di Omar Venturelli, e senza
esito. L'ex sacerdote Venturelli fu ucciso nell'ambito dell'Operazione Condor,
la multinazionale del terrore, voluta dagli Stati uniti e attuata
congiuntamente dalle dittature sudamericane di allora (Cile, Argentina,
Uruguay, Paraguay, Brasile e Guatemala) per eliminare gli oppositori politici
ovunque si trovassero. Anche in Europa. In Italia, a fare il lavoro sporco
pensavano servizi segreti «deviati» e fascisti, i cui nomi compaiono tuttora
nelle inchieste aperte. Oggi, a Noli, uno degli alberi verrà dedicato a
Guillermo Tamburini, un medico di origine italoargentina che risiedeva in Cile,
dove venne rapito dai militari insieme alla moglie Maria Cecilia Magnet Ferrero
e fatto scomparire. Era un militante del Movimiento de Izquierda
Revolucionaria, il Movimento di sinistra rivoluzionaria (Mir) che si oppose con
le armi alla dittatura militare. E una ex dirigente del Mir, Ana Maria Taquia
Vergara, rappresentante dei famigliari degli scomparsi cileni per l'Europa,
arriverà da Londra per partecipare a Ecomemoria. Venne arrestata il 14 ottobre
del '73 durante una delle prime ondate repressive messe in campo dalla
dittatura, dopo il golpe che rovesciò il governo socialista di Allende l'11
settembre 1973. Si calcola che, solo nei primi mesi dopo ilcolpo di stato, i
servizi di sicurezza arrestarono circa 45.000 persone. Ana Maria venne portata
allo stadio nazionale di Santiago, uno dei 1168 luoghi pubblici usati come
campo di concentramento da Pinochet. Nel frattempo, la macchina da guerra dei
militari istituiva in tutto il paese altri luoghi segreti di tortura, come
quello di Villa Grimaldi in cui vennero torturati centinaia di migliaia di
oppositori. Circa 2.000 vi persero la vita e circa 1.200 vennero dichiarati «scomparsi»".
Secondo le organizzazioni per i diritti umani che
cercano ancora i resti degli scomparsi, furono oltre 3.000 le vittime di
Pinochet, uccise nel paese oppure altrove, nel corso dell'Operazione Condor.
Pinochet, tornato in patria nel 2000 per «motivi di salute», è morto nel suo
letto nel 2006, lasciando molti conti aperti in un paese dai fragili equilibri
democratici, che non ha ancora cambiato veramente pelle nemmeno con il governo
di Michelle Bachelet. Uno di questi conti, riguarda anche l'Italia, e il
processo per l'uccisione di cittadini italiani nell'ambito del Piano Condor. Il
giudizio della storia, vale ricordarlo, non va confuso con quello della legge,
ma se i 140 mandati di cattura emessi da Giancarlo Capaldo per le colpe del
Condor nei sei paesi che ne fecero parte avessero un esito processuale, si
aprirebbe una finestra ancora attuale sulle dinamiche del potere. OGGI
ECOMEMORIA TORNA A METTERE LE SUE RADICI IN ITALIA Sono già quasi 60 gli alberi
piantati in Italia del progetto internazionale Ecomemoria (HYPERLINK
"http://www.memoriaviva.com" www.memoriaviva.com) che vuole
raccogliere fondi per un parco in Cile dedicato alle vittime di Pinochet. Oggi
gli alberi saranno a nome di Guillermo Tamburini, Jose Eugenio Monsalve
Sandoval, Juan Angel Queda Aguayo, Juan Bosco Maino Canales, Miguel Cabrera
Fernandez, Prospero del Carmen Guzman Soto, Raul Rodrigo Obregon. Appuntamenti
oggi: Noli, Piazza della Chiesa di Voze ore 9,30; Spotorno, Parco Località
Magiarda, ore 10,00; Quiliano, Parco San Pietro in Carpignano, ore 10,30; Vado
Ligure, Chiesa M.S. Regina della Pace Valle di Vado, ore 11,00. Intervengono:
Ana Maria Taquias Vergara, un familiare degli scomparsi Cileni; Urbano Taquias
Vicente, pres. Comitato lavoratori cileni esiliati; i sindaci di Noli,
Spotorno, Quiliano, Vado Ligure; l' Anpi e l'Isrec di Savona. Foto: ALBERO
PIANTATO IN TOSCANA PER NELSON LINCOQUEO (FOTO A SINISTRA)
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( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
LA STAR FA
INFURIARE I DEMOCRATICI DI HONG KONG E TAIWAN Jackie Chan, un calcio alla
democrazia "Porta soltanto caos" [FIRMA]FRANCESCO SISCI PECHINO Una
società libera va davvero bene per i cinesi? La domanda che appare quasi
assurda in Occidente, in Cina ha un suo perché tra la gente comune, nonostante il governo soltanto qualche giorno fa abbia pubblicato
un piano di azione sui diritti umani. In sintonia con la gente comune è anche la superstar cinese,
Jackie Chan: «Noi cinesi abbiamo bisogno di essere controllati», ha detto
provocatoriamente. E si è aperto il dibattito. Jackie, 55 anni, è cittadino di
Hong Kong, territorio con piena libertà di espressione e stampa. Lui,
attore preferito del presidente Hu Jintao e di un miliardo di cinesi, era stato
invitato a parlare all'annuale forum di Boao, nell'isola di Hainan: «Non sono
sicuro che sia bene avere o meno libertà. Sono confuso. Se si è troppo liberi
si diventa come Hong Kong o Taiwan: un caos». Jackie Chan non è sempre stato il
beniamino del governo al potere. Venti anni fa era stato un sostenitore degli
studenti di Tiananmen. Ma ora sembra aver cambiato idea: «Sto cominciando a
pensare che noi cinesi dobbiamo essere sotto controllo - ha spiegato -.
Altrimenti facciamo tutto quello che ci salta in mente». Qualcosa della sua
antica fede libertaria si è spezzato. Colpa anche della deriva di Taiwan,
l'isola di fatto indipendente ma di diritto parte della Cina. Il Partito
democratico progressista (Dpp), dopo la sconfitta alle elezioni del 2008, ha cominciato una
campagna di continue dimostrazioni e cortei che stanno bloccando l'isola.
Taiwan era vista come un esperimento di democrazia per tutta la Cina. Ma oggi
sta funzionando al contrario. Una democrazia così spaventa i cinesi e Jackie
Chan dà voce a questo sentimento. L'attore è esploso al ricordo dello scandalo
del latte alla melamina che ha ucciso decine di bambini e del problema annoso
della qualità dei prodotti cinesi: «Se devo comprare un televisore ne compro
uno giapponese. Uno cinese finisce che mi scoppia in faccia». Se democrazia
dev'essere, almeno abbia la garanzia.
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( da "Articolo21.com"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Teheran condanna
la giornalista Roxana Saberi a 8 anni di carcere di Ahmad Rafat* Roxana Saberi,
la giornalista americana di padre iraniano e madre giapponese, è stata
condannata sabato mattina a 8 anni di reclusione. Lunedì, arriva a Ginevra il
presidente Mahmoud Ahmadinejad per parlare alle Nazioni Unite dei diritti umani, nellambito della seconda
conferenza sul razzismo. Cè qualcosa che non quadra. Pochi sono i dubbi
che nella Repubblica Islamica i diritti umani siano rispettati. Se
questa teoria è confermata dai fatti, e credo che lo sia, allora mi sembra
legittimo chiedere ai vertici delle Nazioni Unite e al Segretario Generale in
prima persona, perché far parlare chi non rispetta i diritti umani
sanciti nella carta dei Diritti dellUomo.
Roxana Saberi, 31 anni, si era trasferita in Iran sei anni fa e da allora
collabora come freelance con la BBC e la Public National Radio statunitense,
nonché alcune emittenti televisive. Roxana è stata accusata di “spionaggio a favore di potenze straniere”. La
notizia della condanna non è stata ancora confermata da fonti giudiziarie della
Repubblica Islamica, ma comunicata in via confidenziale ai genitori della
collega che si trovano da due settimane in Iran per assistere al processo della
figlia. Roxana Saberi è giunta in Iran sei anni fa e immediatamente si è
accreditata presso il Ministero per la Cultura e lOrientamento
Islamico. Due anni fa aveva presentato domanda per il rinnovo
dellaccredito, senza ricevere mai una comunicazione di rifiuto o di
approvazione. Roxana è stata fermata durante una ronda della polizia e, a
quanto pare trovata in possesso di una bottiglia di bevanda alcolica.
Trasferita per la solita multa ad un commissariato, il suo fermo è stato
trasformato in arresto con laccusa di spionaggio.
Non è la prima volta, e sfortunatamente non sarà nemmeno lultima, che
giornalisti, scrittori, professori o ricercatori iraniani con doppia
cittadinanza vengono arrestati con laccusa di spionaggio a favore del
paese occidentale
del quale hanno ottenuto la cittadinanza. Tutti ricordiamo il caso di Zahra
Kazemi, la fotoreporter canadese di origini iraniane uccisa durante linterrogatorio
nel carcere di Evin. Hanno passato mesi in carcere anche la ricercatrice
statunitense Haleh
Esfandiari, il professore universitario canadese Ramin Jahanbeglu, la collega
americana Nazi Azima, o la regista francese Mehrnoush Solouki. I fratelli Arash
e Kamyar Alaii, ambedue medici, scontano in carcere a Teheran, una pena
complessiva di 9 anni, perché curavano i malati di Aids. Sono stati
riconosciuti “colpevoli” di voler “sabotare la sicurezza e la stabilità del
paese”, diffondendo notizie sul numero reale dei malati colpiti dal virus Hiv.
Pochi giorni fa parlando con lavvocato di uno degli studenti del Politecnico di Teheran,
(accusato di “attentato contro la sicurezza dello Stato”, per aver raccolto
firme per la campagna delle donne che chiedono leguaglianza
dei diritti tra i sessi), mi è stato chiesto di spiegare “a che gioco stanno
giocando gli
europei”. Non è comprensibile per i cittadini iraniani latteggiamento
dellOccidente, e soprattutto quello dellEuropa. A parole diceva il
legale, condannano le violazioni dei diritti umani
nella Repubblica Islamica, poi premono su Ahmadinejad per un dialogo senza
condizioni. Non chiedere nemmeno il rispetto dei diritti umani
come condizione previa per ogni trattativa con la Repubblica Islamica, diceva lamico
avvocato, è interpretato dai governanti iraniani come un incoraggiamento per
continuare a violare
in pace e senza impedimenti, anche i più elementari diritti degli essere umani. * membro del direttivo dellInformation,
Safety & Freedom
e portavoce dellIniziativa per la Libertà
dEspressione in Iran
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( da "Repubblica.it"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
GINEVRA -
"Uniti contro il razzismo": qualcuno ha scritto giustamente che sembra
una beffa lo slogan scelto per la Conferenza dell'Onu sul razzismo (la
cosiddetta Durban 2) che si apre a Ginevra. In serata è arrivata l'ultima
rinuncia, pesante, quella della Germania. Dopo Stati Uniti, Israele, Canada,
Italia, Olanda, il boicottaggio della Germania porta il peso della scelta di un
paese guida nella Ue e nel mondo. Il vero timore è che la 4 giorni di Ginevra
possa trasformarsi in una replica di "Durban 1", la conferenza Onu
che nel 2001 mise nel mirino Israele accusandolo di essere l'unico paese al
mondo titolare di politiche razziste e xenofobe. A Ginevra però ci sarà il
Vaticano, ci saranno tutti i paesi arabi e quelli islamici che volevano Israele
sul banco degli imputati. Con loro in prima fila il presidente iraniano Mahmoud
Ahmadinejad. Arriveranno alcuni paesi europei che non se la sono sentita di
disertare una conferenza Onu, per esempio la Gran Bretagna di Gordon Brown (con
una scelta quasi da doppiogioco: Londra sarà rappresentata solo
dall'ambasciatore a Ginevra). Ci saranno tutte le agenzie
Onu e le Ong interessate al tema dei diritti umani, dell'uguaglianza fra i popoli. Per mesi è stata negoziata una
Dichiarazione Finale da cui progressivamente sono stati emendati i riferimenti
aggressivi per Israele. Su un punto però gli anti-israeliani hanno fatto muro:
nel progetto di "Dichiarazione Finale" è stato lasciato un esplicito
richiamo alle conclusioni di Durban 1, in cui Israele veniva attaccato
frontalmente. In questo modo quindi anche la conferenza di Ginevra si prepara a
criticare Israele. OAS_RICH('Middle'); Ecco perché ieri Barack Obama in persona
ha confermato il boicottaggio Usa, facendolo con un ragionamento politico
consequenziale: "Io sono un presidente degli Usa che crede nel
multilateralismo e nelle Nazioni Unite, ma non posso accettare un linguaggio
controproducente come quello proposto. Ho detto al segretario Ban Ki Moon che
siamo felici di aiutare l'Onu, ma questa non è l'opportunità giusta". Il
Vaticano invece ha scelto di privilegiare il rapporto con gli altri paesi
membri dell'Onu: sarà a Ginevra e l'ha fatto annunciare dal papa in persona.
Benedetto all'Angelus ha invitato "tutte le delegazioni a lavorare insieme
in uno spirito di dialogo e di reciproca accettazione per metter fine ad ogni
forma di razzismo, discriminazione e intolleranza". Ahmadinejad , che in
Svizzera è arrivato ieri sera, oggi parlerà al Palais Des Nations: unico capo
di stato presente, ha anticipato il tono prevedibile del suo discorso con una
dichiarazione poco equivoca. "Israele è il portabandiera del razzismo, i
sionisti saccheggiano la ricchezza delle nazioni, controllano i centri di
potere del mondo e hanno creato le condizioni perché non si parli di questo
fenomeno". Ahmadinejad è un uomo politico abile ed esperto, nonostante i
toni radicali della sua politica; vedremo se oggi adopererà le stesse parole
usate ieri alla partenza da Teheran, ma sicuramente il summit di Ginevra questa
mattina inizierà sotto il suo segno. Ieri sera l'Alto commissario per i diritti
dell'uomo, la sudafricana Navy Pillay, diceva di essere "scioccata e
profondamente delusa per la decisione degli Usa di non partecipare a una
Conferenza dedicata alla lotta al razzismo e alla xenofobia". Il problema
è capire davvero cosa sarà da oggi questa "Durban 2". (19 aprile 2009
Torna all'inizio
( da "Repubblica, La"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Pagina 19 -
Commenti LA POLITICA EQUILIBRISTA (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Il rifiuto di
Obama, e il ritiro della delegazione americana che pure fino a pochi giorni or
sono aveva partecipato alla preparazione di questa "Durban 2", come
si chiama perché è la continuazione della prima, organizzata nella città
sudafricana di Durban nel 2001, vengono dopo settimane di esitazione, di
"nì", di "forse" e di "ma", di sofferenze e di
ambiguità che il Presidente stesso si è deciso a tagliare «con rammarico» per
non offendere coloro, Israele e la comunità ebraica per prime, che leggono in
questo incontro soltanto un´occasione di propaganda antisemita. E dunque una
cassa di risonanza per quelle nazioni, come Iran e Libia, che
bizzarramente fanno parte della commissione Onu per «i diritti umani», e usano il Palazzo di Vetro come
megafono anti israeliano, mentre al proprio interno calpestano proprio quei
diritti civili e individuali che domandano agli altri di rispettare. Ma se il
rifiuto di partecipare è stato più facile per i governi che hanno detto
"no", come l´Australia, la Francia, l´Olanda, che è agitata al
proprio interno dalla più acuta "questione islamica" in tutta
l´Europa o l´Italia, mentre il Vaticano, l´Inghilterra, la Spagna hanno
accettato l´invito, l´assenza dell´uomo che incarna in questo momento la più
alta speranza di superamento del razzismo sembra una contraddizione lancinante.
Per questo, e fino all´ultimo, gli inviati americani a Ginevra, e la stessa
Casa Bianca avevano tentato di lavorare per linee interne, di modificare dal di
dentro quei documenti nei quali i promotori cercano di indicare nel
"sionismo", sinonimo di Israele, il bastione del razzismo, che
definiscono la barriera costruita dal governo ebraico «il muro dell´apartheid»
e riconoscono soltanto nella "Nakba", nella catastrofe e nella
diaspora palestinese, l´unico, autentico esempio di tentato genocidio. Di
fronte alla nettezza inconciliabile di questa interpretazione del razzismo, che
già aveva spinto George Bush a boicottare "Durban 1", neppure la
consumata abilità obamiana di ricomporre gli opposti con il carisma o la sua capacità
di fare annunci trancianti seguiti da azioni concrete molto più ambigue,
sarebbe bastata. Benedetto XVI può, nel suo ruolo di pontefice di una
confessione religiosa senza autentico potere politico, permettersi di sperare
che questa conferenza sia «un passo fondamentale verso l´affermazione del
valore universale della dignità dell´uomo, contro ogni forma di
discriminazione», ma il Papa non deve vedersela con la comunità ebraica
americana, con un governo di falchiestremisti come il neo insediato in Israele,
con un capo di gabinetto come Rahm Emanuel già volontario con le forze armate
israeliane, con lobbies che avrebbero considerato la sua presenza a Ginevra
come assenso implicito alle tesi di chi nega l´Olocausto. La tecnica di governo
di Barack Obama, quasi una edizione americana dei «due forni», il presidente
che annuncia la chiusura di Guantanamo ma per il momento la lascia aperta, che
ammorbidisce l´embargo anti cubano ma non lo cancella, che condanna la tortura
ma non i torturatori, che fustiga i bonus e i profitti dei finanzieri ma poi
puntella le loro banche agonizzanti, non poteva funzionare di fronte a una
conferenza che esalta e sancisce il razzismo mentre dichiara di volerlo
estirpare. E non è soltanto il nocciolo radioattivo dell´antisemitismo
contenuto già nel primo documento approvato sette anni or sono a inquietare.
C´è anche il tentativo di dichiarare ogni "discorso blasfemo" come
proibito e di considerare "l´incitamento" alla critica antireligiosa
come prova di discriminazione razziale, una tesi cara alle teocrazie
fondamentaliste e integraliste che in sostanza sperano di avere il beneplacito
dell´Onu alla loro «fatwa», alla persecuzione e repressione di ogni critica e
di ogni opposizione vista come satanica. Il paradosso del presidente venuto dal
Terzo Mondo, del primo capo di stato americano eletto "nonostante" la
propria diversità e minorità etnica è dunque più apparente che reale. Questa
volta, Obama il formidabile equilibrista che riesce a sembrare sempre troppo
rivoluzionario ai conservatori e sempre troppo conservatore ai rivoluzionari,
essendo tanto un centrista nell´azione quanto appare "estremista"
nella parole, non ha potuto camminare sul filo dell´ambiguità. Obama, come gli
rimproverano i delusi, è, prima di ogni altra cosa, un realista e lo ha
dimostrato, con qualche imbarazzo, rifiutando di presentarsi a questo invito a
cena. La realtà, oggi come negli ultimi 60 anni di politica estera americana,
con presidenti democratici o repubblicani, insegna che, al momento delle
strette, Washington, bianca o nera che sia, si collocherà sempre dalla parte di
Israele.
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( da "Adige, L'" del
20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Cuori matti La
tortura non semina democrazia PAOLO GHEZZI (segue dalla prima pagina) Al capo
della grande democrazia nordamericana non sembrano più legittimabili le
pratiche sadiche divenute famose per certe foto uscite dalla prigione irachena
di Abu Ghraib e per certi racconti dal campo di Guantanamo. Certo, non
incriminerà gli agenti della Cia che se ne sono resi responsabili, ma nessuno è
perfetto. Chi dalla storia e dalla cultura degli Stati Uniti ha imparato molti
valori civili, liberali e perfino libertari, oltre ad essersi abbeverato alla
sua musica, alla sua letteratura e al suo cinema, non può non festeggiare il
rinsavimento americano e magari può cominciare a sperare che tra una mezza
dozzina di presidenti si possa discutere anche della pena di morte, un altro
strumento «normale» per la maggior parte dell'opinione pubblica e per molti
Stati dell'Unione. Ma la tortura, a ben guardare, è perfino peggiore della pena
di morte, nel senso che non vuole solo eliminare l'avversario, che sia buono o
cattivo (o il reo, vero o presunto), ma gli vuole strappare la libertà e il
diritto di mentire, di tacere, di non confessare, di resistere al potere che lo
tiene prigioniero e che ne vuole spremere i segreti, il passato, le colpe vere e
quelle immaginarie, e che usa il suo corpo e i terminali del dolore fisico e
psichico come materiale biologico di cui abusare, nella logica consolidata
secondo cui il fine (il bene comune, la sicurezza, la verità) giustifica i
mezzi (anche le scosse elettriche sui testicoli, anche le frustate, anche i
semisoffocamenti o i quasi annegamenti, anche le raffinate tecniche coadiuvate
da insetti mordaci e cani ringhiosi, per non parlare delle minacce, degli
insulti sanguinosi e delle umiliazioni mortificanti). Strumento efficace e a
buon mercato, la tortura ha sempre avuto una discreta popolarità perché è
esperienza umana antica e quasi universale: molti bambini (poi diventati adulti
più o meno normali) l'hanno praticata sui loro coetanei o sui fratellini più piccoli
o sugli amichetti più grandi ma tonti, oltre che su formiche, talpe, gatti,
lucertole, rondini (un mio amico oggi civilissimo buonissimo e mitissimo usava
crocifiggerle per poi bersagliarle con le sue frecce) e ragni (parecchi di noi,
da piccoli, hanno dato fuoco, per gioco, alle lunghe zampe sottili di quegli
animaletti assolutamente innocui). Molti di noi l'hanno praticata (almeno nelle
forme più impalpabili, come la crudeltà psicologica e il sarcasmo feroce contro
il nostro prossimo), molti di noi l'hanno subìta: dai prepotenti, dai cattivi,
dai superiori, dai colleghi, da certi mal-educatori. Si tratta di una pratica
familiare, a portata di mano, di cui conosciamo personalmente gli effetti:
perché abbiamo paura del dolore, oltre che dello scherno, perché abbiamo paura
della paura, perché abbiamo paura di diventare qualcosa di diverso da quel che
vorremmo essere, sotto tortura (e basta immaginare di
essere trapanati su un dente dolente senza anestesia). Perché non sappiamo se
riusciremmo a resistere, a non tradire gli amici, a non rinnegare ciò in cui
crediamo, sotto tortura. Lo Stato totalitario del Grande Fratello, nel «1984»
orwelliano, aveva raggiunto il massimo della raffinatezza, al riguardo:
di ogni diversamente pensante da «rieducare», conosceva l'orrore più segreto e
inconfessato. Nel caso del protagonista Winston Smith, erano i topi: e bastò
applicare una gabbia al viso di Winston, con un portellino pronto ad aprirsi
per lasciare libero accesso ai roditori, muso a viso, per ottenere la sua ritrattazione
e la sua obbedienza. Con la goccia al naso e le vene inondate di pessimo gin,
avrebbe smesso di contestare il potere, avrebbe amato il Grande Fratello. Che
il nuovo inquilino della Casa Bianca, oggi, sconfessi la liceità della «tortura
democratica» è davvero una buona notizia per il mondo, e per chi crede che lo
Stato non possa e non debba terrorizzare né uccidere, nemmeno per difendersi da
chi terrorizza e uccide. Perché le democrazie devono essere, sempre, moralmente
migliori di chi le minaccia. Perché la giustizia non deve sporcarsi le mani di
sangue. p.ghezzi@ladige.it 20/04/2009
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( da "Corriere delle Alpi"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
L'Fbi sfida la
privacy: via alla raccolta del Dna WASHINGTON. Nei posti di polizia e nelle
prigioni americane, i tamponi per il prelievo della saliva negli ultimi tempi
non bastano mai. L'Fbi e le forze dell'ordine locali hanno dato il via a una
campagna di raccolta del Dna che sta rapidamente facendo diventare le impronte
genetiche diffuse quasi quanto quelle digitali. E tra i difensori della privacy
cresce l'inquietudine. Il timore è che l'America si trasformi in una società
"a sorveglianza genetica". Il governo federale fino a ora ha raccolto
negli Usa una banca dati di 6,7 milioni di profili genetici, prelevando
campioni di Dna solo da detenuti già condannati. Ma nei prossimi giorni, rivela
il New York Times, l'Fbi comincerà a collezionare impronte genetiche anche da
persone arrestate e non processate - e quindi presunti innocenti - e da
immigrati detenuti nei centri di raccolta. Il Bureau andrà così ad aggiungersi
a 15 Stati che già lo fanno e il risultato sarà un progressivo aumento degli
archivi genetici. Attualmente, la banca dati del Dna federale gestita dall'Fbi
aumenta al ritmo di 80mila nuove persone all'anno, ma nel 2012 è previsto che
il ritmo di incremento avrà raggiunto quota 1,2 milioni di profili genetici
aggiunti ogni anno. Esperti di diritto ritengono che molte delle pratica
attualmente in corso negli uffici di polizia, una volta che arriveranno
all'esame della Corte Suprema, rischiano di venir considerate
anticostituzionali, perché in violazione al Quarto emendamento che tutela il
diritto alla privacy nei confronti delle attività investigative. I tamponi per
prelevare campioni di Dna, però, continuano a moltiplicarsi. In 35 Stati
l'impronta genetica è obbligatoria per i minori al momento della condanna e in
molti casi anche al momento dell'arresto. «Il Dna salva la vita e aiuta a
risolvere i casi», commenta il procuratore distrettuale di Denver, Mitch
Morrissey, secondo il quale l'esempio da seguire è la Gran Bretagna, che ha 4,5
milioni di profili genetici su una popolazione di 61 milioni di persone. Ma il programma di raccolta britannico è già finito nel mirino
della Corte europea per i diritti umani. L'Fbi difende la necessità di percorrere con sempre più
decisione la strada dei profili genetici, sottolineando come il Dna sia servito
a condannare ormai migliaia di criminali in anni recenti e anche a scagionare
oltre 200 persone in molti casi condannate a morte. Ma il fronte degli
attivisti per i diritti civili, come ha spiegato il legale Michael Risher non
intende stare a guardare: «Il problema è l'ampliamento del potere del governo.
Ciò a cui ci opponiamo, perché va contro la Costituzione, è la raccolta
indiscriminata di Dna a persone che magari sono state arrestate per un assegno
in bianco o piccoli furti».
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( da "Sole 24 Ore, Il"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il Sole-24 Ore
sezione: MONDO data: 2009-04-19 - pag: 8 autore: Dai memoriali dei servizi
emerge il caso di Abu Zubayadah Torturato dagli agenti
Cia anche dopo le confessioni Claudio Gatti NEW YORK. Dal nostro inviato
Continua negli Stati Uniti lo stillicidio di rivelazioni sulle torture ai
sospetti membri di alQaida. E si scalda lo scontro tra chi accusa
l'Amministrazione Obama di alimentare a fini politici vendette contro i «true
patriots », i veri patrioti protagonisti del contrattacco ai terroristi dell'11
settembre, e chi invece vuole spingere il nuovo presidente a creare una
commissione d'inchiesta sugli eccessi e i possibili crimini commessi durante la
guerra al terrorismo. Ieri il New York Times ha rivelato che uno dei
prigionieri più noti, Zen al-Abideen Moahmed Hussein, meglio noto col nome di
Abu Zubayadah, sarebbe stato soggetto a varie forme di tortura dopo che aveva
già confessato tutto quello che sapeva. «Temeva lo stessimo per uccidere, ma
nonostante ciò non ha rivelato nulla di nuovo. Perché non aveva nulla da
aggiungere a quello che ci aveva già detto», ha spiegato al giornale newyorkese
un funzionario dell'intelligence americana coinvolto nella vicenda. Poco dopo
il suo arresto, nel marzo 2002, Zubayadah sarebbe stato sottoposto a svariati
interrogatori, prima in Pakistane poi in una prigione segreta in Thailandia,
dove avrebbe cominciato a parlare senza che fosse fatto ricorso a forme di
interrogatorio discutibili. «Ci ha dato tonnellate di informazioni », ha
aggiunto il funzionario dell'intelligence. A forzare la mano agli stessi agenti
sul campo, sarebbero stati i vertici della Cia, i quali erano apparentemente persuasi
che il prigioniero dovesse «sapere altro». Sulla base di questa intuizione, la
Cia chiese al Dipartimento di Giustizia l'autorizzazione legale a ricorrere a
metodi forti. Da questa richiesta scaturirono poi i quattro memoranda resi
pubblici questa settimana, nei quali prima vengono meticolosamente descritte
tecniche di interrogatorio che andavano dalla privazione del sonno ( fino a un
massimo di 11 giorni) all'uso di violenza fisica-dagli schiaffi in faccia alla
testa sbattuta contro la parete per finire all'ormai noto waterboarding- e poi
viene concessa l'autorizzazione a utilizzarle su specifici prigionieri. Con
forzature logiche e giuridiche che hanno fatto inorridire molti esperti, i
responsabili dell'Ufficio di consulenza legale del Dipartimento di Giustizia
raggiunsero infatti la conclusione che non si sarebbero infrante né la legge
americana né le convenzioni internazionali. «I memoranda resi pubblici
dimostrano il tentativo da parte dell'Amministrazione Bush di creare una
giustificazione legale, del tutto insostenibile e forzata, per procedere con
metodi di tortura in chiara violazione della legge nazionale e internazionale
», dice al Sole 24 Ore Donna Lieberman, direttore esecutivo della New York
Civil Liberties Union, la filiale newyorkese dell'organizzazione per i diritti
civili che con la sua azione legale ha ottenuto il rilascio dei memoranda. «Da
Abu Ghraib a Guantanamo, finora sono stati indagati soltanto crimini commessi
da chi stava sul campo. è ora invece che si affronti il problema dalla radice e
si indaghi sulle responsabilità di chi era a Washington, ai vertici
dell'amministrazione Bush. Perché le responsabilità primarie sono di chi detta
la strategia e non di chi la adotta. Anche se a mio giudizio nessuno deve
rimanere impunito», aggiunge Lieberman. «Non c'è dubbio che Bush e Cheney si
siano mossi con astuzia », fa però notare Sig Sorenson, avvocato
di New York che si occupa di diritti umani. «Come si può adesso incriminare chi ha condotto interrogatori
con metodi che lo stesso dipartimento della Giustizia aveva formalmente
autorizzato? E non sarà neppure facile individuare il reato commesso da chi ha
semplicemente espresso un parere legale. Per questo ritengo che occorra
innanzitutto avere un quadro completo. E il modo migliore è quello suggerito
dal senatore Patrick Leahy, e cioè creare una Commissione per la verità come
quella in Sudafrica». Cgatti@ilsole24ore.us © RIPRODUZIONE RISERVATA LA
RIVELAZIONE «Temeva che lo stessimo per uccidere, eppure non ha detto nulla di
nuovo perché non aveva nulla da aggiungere»
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( da "Corriere della Sera"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Corriere della
Sera sezione: Prima Pagina data: 20/04/2009 - pag: 1 CONFERENZA DI GINEVRA CHI
È PRESENTE STAVOLTA HA TORTO di ANGELO PANEBIANCO S i apre oggi a Ginevra,
sotto i peggiori auspici, la Conferenza delle Nazioni Unite sul razzismo. Gli
occidentali sono arrivati a questo appuntamento divisi. Gli Stati Uniti,
Israele, il Canada, l'Australia e l'Italia hanno confermato che non
parteciperanno non essendoci garanzie che la Conferenza, i cui lavori
preparatori sono stati dominati dai Paesi islamici, non si risolva anche questa
volta (come accadde nella precedente conferenza di Durban nel 2001) in un atto
di accusa contro Israele e contro l'Occidente. Olanda e Germania hanno dato
all'ultimo momento forfait. La Gran Bretagna e la Francia, invece, hanno scelto
di essere presenti. Così come il Vaticano. Il presidente iraniano Ahmadinejad,
già arrivato a Ginevra, è stato ricevuto con tutti gli onori dalle massime
autorità elvetiche (il che ha suscitato una dura protesta di Israele) e sarà
fra i primi a prendere la parola nella tribuna messagli a disposizione
dall'Onu. Molte cose non vanno, evidentemente, se a una Conferenza sul
razzismo, che dovrebbe essere espressione dell' impegno delle Nazioni Unite in
difesa dei diritti umani, può impunemente prendere la
parola un signore che ritiene la Shoah una «invenzione» e presiede un regime
che ha al proprio attivo l'assassinio di centinaia di oppositori politici.
Comunque vada a finire la Conferenza, tre lezioni si possono già trarre da
questa vicenda. La prima è che se l'Occidente si divide, coloro che puntano a
usare le istituzioni internazionali in chiave antioccidentale hanno facile
gioco. Se ci fosse stato un blocco compatto dei Paesi occidentali a difesa di
principi per essi irrinunciabili, quei Paesi islamici che giocano sulle
divisioni dell'Occidente avrebbero dovuto tenerne conto, e la stessa Conferenza
di Ginevra avrebbe forse avuto un diverso avvio. I Paesi europei che, insieme
al Vaticano, hanno scelto comunque di andare alla Conferenza forse riusciranno a
impedire che essa si risolva in una Durban bis ma corrono anche un rischio: il
rischio che la loro presenza contribuisca a dare
legittimazione internazionale a regimi politici che fanno quotidianamente
strage di diritti umani a
casa loro e che non hanno le carte in regola neppure in materia di razzismo
essendo noti campioni di propaganda antisemita. La seconda lezione è che i
diritti umani non possono
essere facilmente separati dal contesto culturale occidentale che li ha
generati. La dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948 e le tante
altre dichiarazioni, convenzioni e istituzioni promotrici dei diritti umani che l'hanno seguita, erano espressioni della
tradizione occidentale. Rispecchiavano il predominio politico-militare,
economico e culturale, del mondo occidentale. Nel momento in cui l'Occidente
perde peso politico, altri, con alle spalle altre e diverse tradizioni
culturali, si impadroniscono di quelle istituzioni, e del connesso linguaggio
dei diritti umani, cambiandone radicalmente
l'ispirazione e il significato. CONTINUA A PAGINA 26
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( da "Corriere della Sera"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 20/04/2009 - pag: 2 Durban II: gli Usa non
vanno, Europa divisa Il Papa: «Importante esserci». Obama difende Israele.
L'arrivo di Ahmadinejad: «Sionisti ladri» Si apre oggi a Ginevra la Conferenza
sul razzismo tra accuse e rinunce. Vaticano, Gran Bretagna e Francia: noi
andiamo DAL NOSTRO INVIATO GINEVRA Diciassette pagine. Parole da eliminare o
limare. I diplomatici discutono da mesi per arrivare a un accordo sul documento
finale. All'ospite più scomodo, bastano poche frasi ancora prima di salire sul
podio per allontanare da Ginevra qualche altro Paese. «L'ideologia e il regime
sionista sono i portabandiera del razzismo». Se il termine Israele è uscito
dalla bozza, ci pensa Mahmoud Ahmadinejad a farlo rientrare e a metterlo al
centro della conferenza, che in cinque giorni dovrebbe fare il punto a otto
anni dal primo vertice sul razzismo. È chiamata Durban II e chi ha deciso di
boicottarla (per ora Stati Uniti, Israele, Italia, Australia, Canada, Olanda,
Germania e Nuova Zelanda) teme che in Svizzera vada in scena una replica del
summit nella città sudafricana. «I sionisti saccheggiano le ricchezze mondiali
controllando i centri di potere nel mondo. Hanno creato le condizioni perché
non si possa dire nulla di questo fenomeno diabolico », ha continuato il leader
iraniano. Che ieri sera ha visto a cena Hans-Rudolf Merz, presidente della
Confederazione elvetica, e oggi parla al palazzo dell'Onu. Israele - «Non lo
incontri, non gli stringa la mano», ha invocato Aharon Lechnoyaar, ambasciatore
israeliano presso le Nazioni Unite a Ginevra. Da Gerusalemme, Avigdor
Lieberman, neo-ministro degli Esteri, ha ricordato che dal tramonto viene
commemorato Yom HaShoa: «Ahmadinejad nega l'Olocausto ed è stato invitato a
tenere un discorso nel giorno in cui ricordiamo sei milioni di ebrei ammazzati
dai nazisti e dai loro complici ». L'Ue - L'Unione europea non ha trovato una
linea comune. Il Belgio ieri sera era ancora convinto che fosse possibile, i
francesi avevano detto che era «fondamentale », ma poi sono arrivati il no
tedesco e, subito dopo, l'annuncio dell'Eliseo che la Francia invece ci sarà.
Il Vaticano ha deciso (parteciperà) e Benedetto XVI giudica la conferenza
«un'iniziativa importante, perché ancora oggi, nonostante gli insegnamenti
della Storia, si registrano tali deplorevoli fenomeni. Formulo i miei sinceri
voti affinché i delegati lavorino insieme, con spirito di dialogo e di
accoglienza reciproca, per mettere fine a ogni forma di razzismo,
discriminazione e intolleranza, ». Anche la Gran Bretagna ha scelto di essere a
Ginevra «per fare la guardia contro un inaccettabile tentativo di negare
l'Olocausto» (l'Iran ha provato a cancellare qualunque accenno dal testo in
discussione). Gli Usa - Il no americano è arrivato dopo che le modifiche alla
bozza non sono state considerate «soddisfacenti»: tolti i riferimenti allo
Stato ebraico e alla diffamazione delle religioni (voluti dalle nazioni
musulmane), vengono riaffermate le conclusioni di Durban I, contestate da molti
Paesi occidentali. «Sarei pronto a essere coinvolto in una conferenza che
affronta in modo utile la discriminazione. Credo nell'Onu, ma non posso
accettare un linguaggio controproducente e affermazioni ipocrite contro
Israele», ha spiegato il presidente Barack Obama. L'Onu - «Sono scioccata e
profondamente dispiaciuta dalla decisione degli Stati Uniti di non
intervenire», ha commentato Navi Pillay, alto commissario
per i Diritti umani, che
organizza il vertice. «Qui vogliamo affrontare e combattere il razzismo, la
xenofobia e altre forme di intolleranza in tutto il mondo. Non riesco a capire:
il Medio Oriente non è nominato nel testo, eppure la questione continua a
intromettersi nel dibattito». Davide Frattini Diplomazia dei sorrisi Il
presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, al centro, accolto dall'omologo
svizzero Hans-Rudolf Merz, a sinistra, ieri al suo arrivo a Ginevra
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(
da "Corriere della Sera"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 20/04/2009 - pag: 3 L'intervista Lo storico Paul Kennedy «Anche Stalin firmò per i diritti dell'uomo» «Un vertice simbolo dell'ipocrisia dell'Onu» WASHINGTON Per lo storico Paul Kennedy, autore di Ascesa e declino delle grandi potenze e de Il Parlamento dell'uomo (l'Onu), la Conferenza sul razzismo non segnerà una svolta storica: «Dopo accuse e contraccuse, propaganda e scontri, sfocerà in una di quelle dichiarazioni solenni che rappresentano in realtà dei modesti compromessi». Il docente dell'Università di Yale, che sta scrivendo un libro sulla Seconda guerra mondiale, è scettico sull'efficacia di simili iniziative: «Il rispetto dei diritti umani si impone solo con risoluzioni vincolanti. C'è da chiedersi chi e quanti le vorrebbero veramente perché la sede adatta non è certo questa conferenza. Inoltre c'è il pericolo che essa assuma un tono antisemita». Lei è pro o contro il boicottaggio di Durban II, a Ginevra? «È una questione di grigio, non di bianco e di nero. Io penso che i nostri governi si siano posti un interrogativo etico e uno politico. È giusto o ingiusto il boicottaggio, visto che una gran parte dei Paesi firmerà la dichiarazione senza alcuna intenzione di rispettarla? E in previsione di una denuncia di Israele che ha fornito l'occasione all'Islam con la sua sproporzionata reazione a Gaza è politicamente vantaggioso o svantaggioso parteciparvi?». Di qui le opposte decisioni degli alleati? «Esattamente. L'America e l'Italia si sono dette che il boicottaggio è giusto e partecipare alla Conferenza sarebbe dannoso. La Gran Bretagna e la Francia hanno invece concluso che, nonostante i dubbi e i rischi, conviene dimostrare di essere alla ricerca di un dialogo onesto. Su Obama, secondo me, ha pesato altresì il timore che una presenza americana a Ginevra gli alienasse l'opinione pubblica interna oltre che Israele, che diffida di lui». Una divisione inattesa tra Londra e Washington? «Diciamo una divisione in contrasto con la Storia. Circa 25 anni fa, il presidente Usa Ronald Reagan e la premier britannica Margaret Thatcher lasciarono all'unisono l'Unesco perché aveva equiparato il sionismo al razzismo». Perché è scettico su Durban II? «Lo sono stato anche su Durban I, nel 2001, manipolata e strumentalizzata da troppi Paesi. Io sono scettico sulla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, che proponeva anche il pieno impiego, l'assistenza sanitaria di Stato. Il presidente americano Truman la firmò perché sapeva che, a differenza delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, non aveva valore legale. La firmò persino Stalin, un violatore dei diritti >umani». Dovrebbe farsene carico il Consiglio di sicurezza?
«Il Consiglio è bloccato da cinque potenze conservatrici che hanno macchie
razziste, presenti o passate, da nascondere, l'America i neri, la Russia la
Cecenia, la Cina il Tibet, la Francia gli arabi, l'Inghilterra il Kenya. E si
trincera dietro il principio che deve decidere delle questioni di guerra e pace
non delle libertà civili. Insomma, rifiuta di interessarsene se non in casi
circoscritti ». Non c'è il Consiglio dei diritti umani
dell'Onu? «Il Consiglio, come la precedente Commissione, a volte è ostaggio di
Paesi che promuovono delle decisioni inique o che vanificano quelle eque.
Invece di penalizzare sempre, come dovrebbe, quanti fanno del razzismo o peggio
fanno del genocidio, in certi momenti li ignora o li nasconde ». Qual è il
rimedio? «Bisogna martellare il messaggio antirazzista. Quando l'Onu fece la
Dichiarazione universale sui diritti umani, l'impatto
fu forte, creò grandi aspettative. Idem quando fu varato il protocollo di Kyoto
contro l'emissione di gas serra. Le grandi potenze devono alimentare le
aspettative e premere molto più fortemente sulle nazioni interessate alle buone
relazioni con loro, ma che ancora violano i diritti umani.
Se lo faranno, in futuro anche conferenze come quella di Ginevra produrranno
frutti». Ennio Caretto Storico Paul Kennedy, docente a Yale: è scettico su
Durban II
(
da "Corriere della Sera"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 20/04/2009 - pag: 13 Il dibattito Analisti e
esuli cubani negli Usa dopo le aperture della Casa Bianca Gli intellettuali
avvertono: «E' Raúl che deve cambiare» C'è la storia mezzo secolo di ostilità
non si cancella con due parole e il buon senso, che avverte quando è ora di
cambiare. C'è la voglia di Obama di voler affermare il nuovo anche sulle
questioni più antiche, e l'esigenza della diplomazia: basta un aggettivo in più
per mandare un messaggio. Naturale che sulla svolta americana verso Cuba, e il
parallelo raffreddamento delle ostilità con il Venezuela di Hugo Chávez, si sia
scatenata ogni sorta di interpretazione. La soddisfazione unanime dell'America
Latina in entrambe le anime di sinistra moderata e «bolivariana» nasconde
qualche rammarico: al summit di Trinidad e Tobago si sarebbe dovuto anche
parlare d'altro, crisi e commercio per esempio, ma va bene anche così. Il
Brasile è un Paese dove Obama è talmente popolare che alle ultime
amministrative una ventina di candidati scuri di pelle hanno assunto legalmente
il suo nome e con Lula il feeling è forte: tutte le divergenze in questo
incontro sono sparite tra gli abbracci e le strette di mano. Su Cuba, poi,
l'intera America Latina è da sempre a favore dell'abolizione dell'embargo senza
condizioni, ma stavolta nemmeno Chávez ha voluto spingere troppo. Venezuela e
alleati si sono limitati a non firmare la dichiarazione finale perché i summit
delle Americas escludono l'isola dal lontano 1963, ma senza polemiche. Tutto
per mantenere un clima amichevole, e protocollare l'incontro come un grande
successo, a differenza del precedente di quattro anni fa che fu un disastro per
George W. Bush. Lontani da Trinidad, sono invece gli osservatori di cose cubane
e i dissidenti all'estero a manifestare più dubbi sulla cosiddetta svolta. «Non
credo che L'Avana sia sincera quando dice che vuole rapporti migliori con
Washington scrive il noto columnist Andres Oppenheimer . La dittatura ha
bisogno del confronto con gli Usa e negli ultimi 50 anni Fidel Castro ha sempre
sabotato tutte le aperture ». Se la prende con gli altri Paesi latinoamericani
lo scrittore dissidente Raúl Rivero, dalla Spagna: «Ora sono tutti insieme,
radicali e moderati, a dipingere i repressori in vittime», scrive a proposito
della grande solidarietà che Cuba riceve sulla questione dell'embargo. Scettico
anche un altro scrittore in esilio, Carlos Alberto Montaner: «Obama ha assunto
una posizione corretta, eliminando alcune restrizioni dell'era Bush. Ma non
vedo nulla di diverso da quello che hanno detto ben dieci suoi predecessori: le relazioni torneranno normali solo con una apertura politica
sull'isola e il rispetto dei diritti umani». Per Richard Feinberg, ex consigliere di Bill Clinton, il nulla
di nuovo riguarda invece le parole dell'Avana: «I fratelli Castro hanno detto
centinaia di volte che devono rettificare gli errori del passato, ma non
l'hanno mai fatto». Non è una novità che la Miami della diaspora sia
divisa rispetto ad un tempo tra falchi e colombe, ma stavolta la mano tesa di
Washington ha creato una vera e propria frattura tra gli stessi parlamentari
repubblicani di origine cubana: il senatore Mel Martinez sta con Obama, il
deputato Mario Diaz-Balart contro. Sull'isola i dissidenti moderati in libertà come
Elizardo Sanchez e Vladimiro Roca guardano con interesse all'apertura, mentre i
parenti di quelli in carcere giurano che i loro congiunti non si faranno mai
«scambiare» in un eventuale accordo con Washington (si parla del rilascio dalla
Florida dei cinque cubani accusati di spionaggio). L'esercizio di
interpretazione meno facile, come sempre, riguarda i messaggi che giungono dal
regime cubano. Dopo un periodo di silenzio che aveva fatto scattare l'ennesimo
campanello di allarme sulla sua salute, Fidel Castro è tornato a scrivere tutti
i giorni e alcuni parlamentari Usa appena recatisi all'Avana l'hanno trovato in
gran forma. Insiste sulla fine dell'embargo ma non accenna a monete di scambio,
mentre il fratello Raúl, leader in carica, ammette che con Obama può discutere
di tutto, senza condizioni. Ha addirittura pronunciato parole proibite finora,
come «dissidenti» e «diritti umani». Il regime sa che
con Obama è difficile vendere ai cubani l'immagine del «demonio», come invece
veniva facile con Bush. Ecco allora che la tv si è spinta ieri a mandare in
onda alcuni brani del suo discorso. Nelle prossime ore, forse, una risposta.
Rocco Cotroneo Convinti Manifestazione castrista per l'anniversario
dell'invasione della Baia dei Porci (Ap)
(
da "Corriere della Sera"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Corriere
della Sera sezione: Opinioni data: 20/04/2009 - pag: 26 CONFERENZA DI GINEVRA
Chi c'è ha torto di ANGELO PANEBIANCO SEGUE DALLA PRIMA È proprio in nome dei
«diritti umani» (nel senso che essi danno a queste
parole) che i Paesi islamici cercano oggi di imporre a tutto l'Occidente una
drastica limitazione della libertà di parola e della libertà di stampa,
erigendo barriere giuridiche che rendano la religione islamica non criticabile.
Hanno tentato di farlo con la risoluzione 62/154 dell'Assemblea delle Nazioni
Unite. E sono tornati alla carica (salvo recedere a fronte delle proteste
occidentali) nei lavori preparatori del documento che dovrà essere approvato
dalla Conferenza di Ginevra. Chi pensa che i diritti umani
siano «transculturali», anziché connotati culturalmente, che siano cioè un
minimo comun denominatore potenzialmente in grado di essere condiviso da tutti,
dovrebbe riflettere, ad esempio, su quale compatibilità
possa mai esserci fra i diritti umani nel modo in cui li intendono gli occidentali e la sharia, la
tradizionale legge islamica. La terza lezione che si può trarre dal pasticcio
della Conferenza di Ginevra riguarda l'impossibilità di separare diritti umani e politica. A Ginevra «si
fa» e «si farà» politica, ossia la questione del razzismo e dei diritti umani verrà usata come arma propagandistica ai fini della
competizione di potenza e delle connesse negoziazioni politiche. Come è
inevitabile che sia. La presenza di Ahmadinejad a Ginevra, in particolare,
merita attenzione. Dal suo discorso, ovviamente, nessuna persona sana di mente
si attende un contributo per la «lotta contro il razzismo». Si cercherà
piuttosto di capire, leggendo tra le righe, se ci sarà o no qualche segnale di
disponibilità alla trattativa sul nucleare iraniano e sugli altri dossier
mediorientali da parte dei settori del regime che Ahmadinejad rappresenta o se
la risposta alle aperture del presidente americano Obama sia già contenuta per
intero nella condanna a otto anni per spionaggio appena inflitta alla
giornalista americanairaniana Roxana Saberi. Sapendo, naturalmente, che
Ahmadinejad è comunque un presidente in scadenza e che dovrà, nel giugno
prossimo, affrontare il giudizio degli elettori. Un risultato (paradossale) la
Conferenza sul razzismo lo ha comunque già ottenuto: ha offerto al presidente
di un regime assai poco rispettoso dei diritti umani
(comunque li si definisca) una tribuna internazionale da cui iniziare la sua
personale campagna elettorale.
(
da "Giornale.it, Il"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
n. 16
del 2009-04-20 pagina 9 Il Papa: «Azioni ferme contro l'intolleranza» di
Redazione Quest'ultimo è rappresentato dalla possibilità che il presidente
iraniano Mahmoud Ahmadinejad, annunciato in arrivo già quest'oggi sulle rive
del lago svizzero, trasformi la tribuna delle Nazioni Unite in un palco per un
nuovo comizio anti-Israele. Non è un'ipotesi di pura retorica. Gli iraniani si
sono opposti a lungo, nei lavori della commissione che ha predisposto i testi
dell'appuntamento, a limare le posizioni fortemente anti-israeliane già varate
a Durban. Tant'è che da Gerusalemme sono partite critiche vivacissime
all'indirizzo del presidente svizzero Hans Rudolf Merz, il quale ha accettato
di incontrare Ahmadinejad. E con la stessa forza Teheran ha cercato di impedire
il «taglio» dei capitoli in cui l'intolleranza religiosa - soprattutto nei
confronti dell'Islam - doveva essere equiparata a una forma di razzismo.
Atteggiamento dunque da condannare e da reprimere. Proprio il dissidio nato su
questi due temi, ha convinto alla fine tanto gli Usa di Obama che altri Paesi
(Canada, Australia, Nuova Zelanda, Italia e Olanda) a chiamarsi fuori dai
lavori della conferenza. «Inaccettabile il progetto di dichiarazione finale in
cui si vuol mettere la religione prima dei diritti dell'uomo, si negano le
discriminazioni contro l'omosessualità e si mette Israele sul banco degli
imputati» ha tagliato corto il ministro degli Esteri dell'Aia Maxime Verhagen.
«Non abbiamo alcuna garanzia che la conferenza non sia utilizzata come un forum
per esprimere opinioni ingiuriose, in particolare antisemite», gli ha fatto eco
il suo collega australiano Stephen Smith. E ancora in parecchi (tra cui i cechi
che avevano un appuntamento ieri sera a Praga) devono decidere se presenziare o
meno a un summit che, comunque, ha perso peso rispetto a quanto previsto. Tant'è che l'alto commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay, sudafricana di
origine Tamil, si è detta ieri «scioccata e profondamente delusa» dalla
conferma della diserzione degli Stati Uniti all'appuntamento. © SOCIETà EUROPEA
DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano
(
da "Repubblica.it"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
È con
"great regrets", spiega il governo americano con l'eufemismo del
"rammarico" con il quale ci si sgancia educatamente da un noioso
invito a cena, che Barack Obama non parteciperà alla conferenza dell'Onu contro
il razzismo da oggi a Ginevra, creando in apparenza un colossale paradosso:
quello del primo presidente americano nero, eletto nel trionfo
dell'antirazzismo, assente da un'iniziativa internazionale contro il razzismo.
Il rifiuto di Obama, e il ritiro della delegazione americana che pure fino a pochi
giorni or sono aveva partecipato alla preparazione di questa "Durban
2", come si chiama perché è la continuazione della prima, organizzata
nella città sudafricana di Durban nel 2001, vengono dopo settimane di
esitazione, di "nì", di "forse" e di "ma", di
sofferenze e di ambiguità che il Presidente stesso si è deciso a tagliare
"con rammarico" per non offendere coloro, Israele e la comunità
ebraica per prime, che leggono in questo incontro soltanto un'occasione di
propaganda antisemita. E dunque una cassa di risonanza per quelle nazioni, come
Iran e Libia, che bizzarramente fanno parte della commissione Onu per "i
diritti umani", e usano il Palazzo di Vetro come megafono anti israeliano,
mentre al proprio interno calpestano proprio quei diritti civili e individuali
che domandano agli altri di rispettare. Ma se il rifiuto di partecipare è stato
più facile per i governi che hanno detto "no", come l'Australia, la
Francia, l'Olanda, che è agitata al proprio interno dalla più acuta
"questione islamica" in tutta l'Europa o l'Italia, mentre il
Vaticano, l'Inghilterra, la Spagna hanno accettato l'invito, l'assenza
dell'uomo che incarna in questo momento la più alta speranza di superamento del
razzismo sembra una contraddizione lancinante. Per questo, e fino all'ultimo,
gli inviati americani a Ginevra, e la stessa Casa Bianca avevano tentato di
lavorare per linee interne, di modificare dal di dentro quei documenti nei
quali i promotori cercano di indicare nel "sionismo", sinonimo di
Israele, il bastione del razzismo, che definiscono la barriera costruita dal
governo ebraico "il muro dell'apartheid" e riconoscono soltanto nella
"Nakba", nella catastrofe e nella diaspora palestinese, l'unico,
autentico esempio di tentato genocidio. OAS_RICH('Middle'); Di fronte alla nettezza
inconciliabile di questa interpretazione del razzismo, che già aveva spinto
George Bush a boicottare "Durban 1", neppure la consumata abilità
obamiana di ricomporre gli opposti con il carisma o la sua capacità di fare
annunci trancianti seguiti da azioni concrete molto più ambigue, sarebbe
bastata. Benedetto XVI può, nel suo ruolo di pontefice di una confessione
religiosa senza autentico potere politico, permettersi di sperare che questa
conferenza sia "un passo fondamentale verso l'affermazione del valore
universale della dignità dell'uomo, contro ogni forma di discriminazione",
ma il Papa non deve vedersela con la comunità ebraica americana, con un governo
di falchiestremisti come il neo insediato in Israele, con un capo di gabinetto
come Rahm Emanuel già volontario con le forze armate israeliane, con lobbies
che avrebbero considerato la sua presenza a Ginevra come assenso implicito alle
tesi di chi nega l'Olocausto. La tecnica di governo di Barack Obama, quasi una
edizione americana dei "due forni", il presidente che annuncia la
chiusura di Guantanamo ma per il momento la lascia aperta, che
ammorbidisce l'embargo anti cubano ma non lo cancella, che condanna la tortura
ma non i torturatori, che fustiga i bonus e i profitti dei finanzieri ma poi
puntella le loro banche agonizzanti, non poteva funzionare di fronte a una
conferenza che esalta e sancisce il razzismo mentre dichiara di volerlo
estirpare. E non è soltanto il nocciolo radioattivo dell'antisemitismo
contenuto già nel primo documento approvato sette anni or sono a inquietare.
C'è anche il tentativo di dichiarare ogni "discorso blasfemo" come
proibito e di considerare "l'incitamento" alla critica antireligiosa
come prova di discriminazione razziale, una tesi cara alle teocrazie
fondamentaliste e integraliste che in sostanza sperano di avere il beneplacito
dell'Onu alla loro "fatwa", alla persecuzione e repressione di ogni
critica e di ogni opposizione vista come satanica. Il paradosso del presidente
venuto dal Terzo Mondo, del primo capo di stato americano eletto
"nonostante" la propria diversità e minorità etnica è dunque più
apparente che reale. Questa volta, Obama il formidabile equilibrista che riesce
a sembrare sempre troppo rivoluzionario ai conservatori e sempre troppo
conservatore ai rivoluzionari, essendo tanto un centrista nell'azione quanto
appare "estremista" nella parole, non ha potuto camminare sul filo
dell'ambiguità. Obama, come gli rimproverano i delusi, è, prima di ogni altra
cosa, un realista e lo ha dimostrato, con qualche imbarazzo, rifiutando di
presentarsi a questo invito a cena. La realtà, oggi come negli ultimi 60 anni
di politica estera americana, con presidenti democratici o repubblicani,
insegna che, al momento delle strette, Washington, bianca o nera che sia, si
collocherà sempre dalla parte di Israele. (20 aprile 2009
(
da "Stampaweb, La"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
CITTA'
DEL VATICANO Il Papa benedice la conferenza Onu sul razzismo («incontro
importante», «azione ferma contro lintolleranza
per prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione»), mentre Obama la
diserta perché «controproducente e inaccettabile per il suo linguaggio sbagliato su
Israele». La Santa Sede si smarca dal boicottaggio degli Stati Uniti, dellItalia e di altri Paesi contrari allimpostazione
anti-israeliana di «Durban II», il vertice Onu che oggi si apre a Ginevra tra le
polemiche per le pesanti critiche contro lo Stato dIsraele, accusato di razzismo verso i palestinesi («il
sionismo è una ideologia razzista»). La commissione Onu ha in parte ripulito
dai brani della discordia il testo che fino a sabato sarà in discussione a
Ginevra, dove sarà presente la delegazione vaticana guidata da Silvano Maria
Tomasi, osservatore permanente presso le Nazioni Unite («è in gioco letica, sbagliato disertare»). Il commissario per i
diritti
umani del Consiglio dEuropa,
Thomas
Hammarberg, lancia un appello a «partecipare al meeting e avere un
atteggiamento costruttivo in nome della lotta alla xenofobia» e anche Benedetto
XVI attribuisce alla dichiarazione di Durban il merito di «riconoscere che
tutti i popoli e le persone formano una famiglia umana, ricca in diversità». Il
livello di tensione attorno al summit Onu è altissimo. Ieri lIran ha inviato allInterpol la richiesta di
emettere mandati internazionali di arresto per 25 dirigenti israeliani,
accusati di avere commesso «crimini di guerra» durante loffensiva di 22 giorni condotta fra dicembre e gennaio
nella Striscia di Gaza. E il governo israeliano ha criticato il presidente
svizzero Hans Rudolf Herz per la sua decisione di ricevere il leader iraniano
Mahmud Ahmadinejad. Venerdì è stata raggiunta lintesa
su una bozza finale, che elimina i controversi riferimenti a Israele e alla
diffamazione delle religioni ma «riafferma» le conclusioni e il Programma
dazione di Durban-1, contestati da molti Paesi. Ai lavori del meeting (è prevista la
presenza di una trentina di ministri degli Esteri e di almeno quattro capi di
Stato) non parteciperanno Australia, Canada, Israele, Usa e alcuni Paesi Ue tra
cui Italia, Olanda, Svezia e Germania. Il 5 marzo il ministro degli Esteri,
Franco Frattini, aveva ritirato la delegazione italiana dai negoziati per le
frasi antisemite contenute nella prima bozza. Gli Usanon ci saranno per il
«linguaggio ipocrita e controproducente» su Israele. Obama spiega così i motivi
del boicottaggio Usa: «Credo nelle Nazioni Unite, ho ribadito al segretario
generale Ban Ki-Moon che aiuteremo lOnu ma
questa non è risultata lopportunità giusta». Israele vede nella
partecipazione di Ahmadinejad la conferma della correttezza della sua decisione
di disertare il summit. Il capo della delegazione vaticana a Durban II, però,
ribatte che «la Santa Sede sarà presente con la grande maggioranza degli Stati
del mondo». Aggiunge larcivescovo Tomasi:
«Abbiamo ragioni molto coerenti per esserci. Ogni persona ha la stessa dignità e non può essere
oggetto di comportamenti discriminatori, quindi se non partecipiamo che
messaggio diamo, ad esempio, ai Paesi africani?». Secondo la Santa Sede, «se si
lascia che il messaggio di indifferenza prevalga su altre ragioni politiche
finiamo per spingere le nazioni povere in una direzione che può favorire
alleanze diverse, con conseguenze negative».
(
da "Articolo21.com"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Global
Day Darfur, la testimonianza di Mohamed: io unico sopravvissuto della mia
famiglia di redazione Nonostante una pioggia incessante anche questanno la Giornata mondiale per il Darfur si è svolta al
Colosseo, monumento simbolo dei diritti umani, con centinaia
di persone presenti. Liniziativa organizzata da
Italians for Darfur e supportata da Articolo 21. attraverso la presenza del
segretario generale, Tommaso Fuffaro, ha visto ladesione di numerose
associazioni, tra cui Amnesty Italia, La Tavola della Pace, Ugei e lIntergruppo parlamentare per il Darfur, rappresentato
dal presidente, lonorevole Gianni Vernetti. La giornata dedicata alla
regione sudanese, da sei anni martoriata da una sanguinosa guerra, è stata
celebrata in varie capitali europee e negli Stati Uniti. Il presidente dellassociazione che ha promosso liniziativa,
Antonella Napoli, ha ricordato lemergenza che vive la popolazione
darfuriana e, in particolare, ha puntato lattenzione sulle conseguenze
post espulsione delle Organizzazioni non governative che garantivano
assistenza a milioni di sfollati. Particolarmente toccanti gli interventi del
presidente dellUnione giovani ebrei
dItalia, Daniele Nahum, il quale ha sottolineato che non si deve ignorare
quello che avviene in Darfur e che come ebrei è doveroso ricordare “perché
altrimenti non avremmo compreso gli insegnamenti dei nostri nonni” e di Ambra,
una giovane abruzzese di 21 anni che nonostante il dramma vissuto nella sua
regione con il terremoto a LAquila non ha
voluto mancare allappuntamento con il Global
Day for Darfur. Ha aderito alla manifestazione anche una delegazione radicale,
rappresentata dallonorevole Matteo Mecacci e dal presidente dei Radicali
italiani Bruno Mellano. La giornata è stata occasione per raccogliere fondi, attraverso la
vendita del libro “Volti e colori del Darfur” (il volume è in libreria dal 20
aprile e può essere acquistato online attraverso il sito www.edizionigoreée.it)
di cui è autrice la stessa Antonella Napoli, a cui è collegata una mostra di foto
realizzate nei campi profughi di Al Fasher, Nord Darfur. Alla manifestazione
erano presenti molti rifugiati, che hanno manifestato contro il presidente
sudanese Omar Al Bashir, nei cui confronti è stato spiccato un mandato di
arresto della Corte penale internazionale per Crimini di guerra e contro lumanità.
Particolarmente toccante la testimonianza di Mohamed, in Italia da quattro
mesi. “Ho attraversato a piedi il deserto della Libia per poter fuggire dal
Sudan. Poi ho viaggiato su un barcone che ha rischiato di affondare due volte e
infine dalla Grecia sono arrivato in Italia nascosto sotto un camion. In Darfur
non ho più niente. Nemmeno un parente… Io sono un sopravvissuto. Quando hanno
attaccato il mio villaggio ero uscito dallaccampamento
insieme a una
decina di ragazzi per andare a raccogliere legna e radici, le nostre famiglie
ne eravamo rimaste sprovvisti quasi del tutto. Eravamo appena arrivati nei
pressi di un boschetto quando abbiamo sentito un rumore cupo che veniva dal
cielo. Era un aereo governativo. Sono corso verso il primo albero e mi sono
arrampicato per vedere dove andava a bombardare. E il terrore è stato grande
quando ho capito che il bersaglio era il mio villaggio. Ma non potevo fare
nulla. Solo nascondermi. Lattacco è durato qualche minuto, un inferno,
solo a sentirlo dal mio nascondiglio tra i rami tremavo come una foglia. Quando
gli scoppi e le urla sono finite, ho lasciato il mio rifugio. Mi sono
avvicinato con cautela, ma sapevo già purtroppo quello che mi attendeva. Le
capanne erano in fiamme, i miei parenti decimati, giacevano al suolo, qualcuno
era irriconoscibile, esploso insieme alle bombe che erano piovute dal cielo. Io
e gli altri sopravvissuti li abbiamo sepolti e siamo andati via”. Di storie
come quella di Mohamed ne racconta tante nel suo libro il presidente di
Italians for Darfur, che ha visitato la regione e ha raccolto le testimonianze
di molte donne vittime di stupri, usati come arma
di guerra dalle milizie arabe dei janjaweed.
(
da "Articolo21.com"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
I casi
Gabanelli-Report, Santoro-Vauro e Berlusconi-Rai al Consiglio d'Europa di
redazione Il "devastante degrado" della libertà di informazione e di
critica nel settore televisivo e il controllo del presidente del Consiglio
Silvio Berlusconi sul servizio pubblico Rai Tv sono stati portati all'attenzione
del Consiglio d'Europa - Assemblea Parlamentare, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Commissario per i
diritti umani - da due ex
deputati del Parlamento italiano ed europeo Lucio Manisco,Giuseppe Di Lello e
dal giornalista Alessandro Cisilin, che hanno motivato il loro esposto con le
misure censorie e disciplinari adottate nei confronti dei due programmi di
giornalismo investigativo condotti da Milena Gabanelli e da Michele Santoro e
con quanto riferito dalla stampa italiana sulle interferenze dello
stesso presidente del Consiglio sulle nomine dei vertici Rai, per statuto di
competenza del suo consiglio di amministrazione. L'esposto, depositato al
Consiglio d'Europa, si richiama all'articolo 11 della Carta dei Diritti Fondamentali, nonché a due risoluzioni, approvate a
larghissima maggioranza nel 2004 dal Parlamento Europeo e dal Consiglio
d'Europa, che avevano denunziato nel nostro paese il conflitto di interessi tra
proprietà e controllo delle aziende televisive da parte di Silvio Berlusconi e
le sue funzioni istituzionali di presidente del Consiglio. "I rilievi sono
stati ignorati o disattesi negli ultimi cinque anni dai governi Prodi e
Berlusconi", hanno sottolineato i promotori dell'esposto, che hanno poi
documentato i provvedimenti promulgati dai vertici Rai contro
"Report" e "Annozero" a seguito degli attacchi portati ai
programmi stessi dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti e dallo stesso
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. L'esposto ha chiesto quindi agli
organi competenti del Consiglio d'Europa il varo di una "indagine
conoscitiva" e di un"monitoraggio di questi e prevedibili nuovi attacchi
alla libertà di informazione in Italia", nonché un richiamo al governo e
al Parlamento della Repubblica Italiana acciocché osservino i rilievi già
avanzati dal Parlamento Europeo e dal Consiglio d'Europa. All'esposto sono
stati allegati due recenti articoli della stampa britannica sul rischio di
un'involuzione fascistica in Italia, nonché una pubblicazione redatta nel 2004
dagli stessi firmatari, tradotta in tre lingue, sull'informazione nel nostro
paese dopo la "scesa in campo" di Silvio Berlusconi.
(
da "Giornale.it, Il"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
n. 16
del 2009-04-20 pagina 0 Durban, via al summit Onu: polemiche Ahmadinejad:
Israele orribile razzista di Redazione Usa, Italia, Israele e Germania non
siedono al tavolo organizzato dall'Onu. L'Ue: "Reagiremo in caso di
dichiarazioni inaccettabili". Il ministro Lieberman ritira il proprio
ambasciatore dalla Svizzera che replica duramente: "Critiche
ingiustificate". E il presidente iraniano attacca: "Israele incarna
la più orribile manifestazione del razzismo" Ginevra - Con lintervento inaugurale del segretario generale
dellOnu Ban Ki-moon, si apre la conferenza sul razzismo, la discriminazione
razziale e la xenofobia promossa dalle Nazioni Unite, meglio nota come
"Durban 2". Ma nel parterre mancheranno, oltre allItalia, una serie di nazioni che hanno deciso di
boicottare il summit che rischia di mutarsi in un processo a distanza a Israele: ai
lavori non partecipano infatti Stati Uniti, Germania, Australia, Canada,
Olanda, Nuova Zelanda, Polonia e Israele. LItalia,
contraria sin dalla prima ora per gli accenti antisemiti presenti nella bozza del documento
finale, aveva ritirato il 5 marzo la delegazione dai negoziati per le frasi
antisemite contenute nella prima bozza. Sarkozy ci ripensa Ci sono invece la
Gran Bretagna, che da tempo aveva confermato la presenza, e la Francia che
domenica sera ha rotto gli indugi: "La Francia andrà a Ginevra per per
difendere il suo punto di vista riguardo ai diritti umani"
ha precisato una fonte anonima dellEliseo.
Barack Obama ha difeso il no degli Usa ribadendo di essere un presidente che
"crede nellOnu", ma spiegando di non poter accettare il
"linguaggio controproducente" contenuto nella bozza del documento
finale. A Ginevra è presente la Santa Sede e da domenica notte è già arrivato
il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che ha ribadito la sua ostilità
verso lo Stato ebraico, definendolo "portabandiera del razzismo". Ma
minaccia l'Iran La Francia, a differenza di altri grandi paesi occidentali, ha
deciso di partecipare alla conferenza Onu, ma non a qualsiasi prezzo. Oggi il
suo ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, ha messo in guardia lIran: "Bisogna essere chiari: non tollereremo
nessuna sbavatura. Se il presidente Ahmadinejad vuole riaprire la bozza
approvata con difficoltà o se proferisce accuse razziste o antisemite,
lasceremo la sala immediatamente" ha detto il ministro. I timori di nuovi
"show" antiebraici di Ahmadinejad sono aumentati dopo che il capo di
Stato di Teheran, prima di partire per Ginevra, ha accusato ieri "lideologia e il regime sionista" di essere "i
portabandiera del razzismo. Se è intelligente, non lo ripeterà nella sala: se lo
farà, tutti gli ambasciatori europei in sala si alzeranno e usciranno".
Israele richiama l'ambasciatore dalla Svizzera Il ministro degli esteri Avigdor
Lieberman ha ordinato allambasciatore di Israele in Svizzera di
rientrare in patria per consultazioni. Fonti del ministero degli esteri hanno
spiegato al sito Ynet che il provvedimento rappresenta un gesto di protesta per
lincontro di ieri fra il presidente elvetico
Hans Rudolf Merz e il presidente iraniano Ahmadinejad. Il presidente della
Confederazione elvetica Hans-Rudolf Merz non condivide le critiche israeliane:
"Le capisco ma sono ingiustificate". Ahmadinejad: "Israele è
manifestazione del razzismo" Il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha
definito Israele "la più orribile manifestazione del razzismo"
durante un incontro avuto ieri sera a Ginevra con il presidente svizzero Hans
Rudolf Merz. Secondo lagenzia
iraniana Fars Ahmadinejad ha sottolineato anche la politica di "due pesi e
due misure sui diritti umani
e la violazione degli stessi diritti umani
negli Usa e in Europa". Bruxelles: "Pronti a reagire" La
Commissione europea è pronta a reagire "in modo appropriato" qualora
alla conferenza Durban II sul razzismo si arrivasse a dichiarazioni
"inaccettabili". La portavoce per le Relazioni esterne
della Commissione europea, Christiane Hohmann, ha spiegato che l'Ue ha seguito
molto da vicino la preparazione della conferenza, contribuendo a forgiare la
posizione dellUe dallinizio.
"Il testo non è ideale, ne siamo consapevoli, ma è il risultato di un
lungo compromesso",
per Hohmann, che ha aggiunto: "Seguiremo molto da vicino gli sviluppi
della conferenza, che corre il rischio di essere dirottata. Reagiremo in modo
appropriato a qualunque dichiarazione inaccettabile fatta durante la conferenza".
Tuttavia la portavoce ha sottolineato come la Commissione ritenga di poter
trarre qualcosa dalla conferenza, concludendo: "Rimaniamo impegnati a fare
tutto quello che possiamo". © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G.
Negri 4 - 20123 Milano
(
da "Repubblica.it"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
GINEVRA
- Si è aperta tra le polemiche a Ginevra la conferenza dell'Onu sul razzismo e
la xenofobia, meglio nota come "Durban II". Molti i governi che hanno
deciso di disertare l'appuntamento per timore che si trasformi in un processo a
Israele. Non ci sono gli Stati Uniti, l'Italia, la Germania, la Polonia,
l'Australia, il Canada, l'Olanda, la Nuova Zelanda e Israele. E tutti i Paesi
europei hanno abbandonato i lavori non appena il presidente iraniano ha
cominciato a parlare, definendo Israele - pur non nominandolo direttamente -
"un governo razzista". Tre manifestanti travestiti da clown sono
stati espulsi dall'aula quando hanno iniziato a urlare "razzista"
all'indirizzo del leader iraniano. La Francia, a Ginevra rappresentata da un
ambasciatore che, come gli esponenti degli altri Paesi europei presenti, aveva
avvertito che avrebbe lasciato la sala se Ajmadinejad pronuncerà "accuse
antisemite" nel suo discorso. Sulla stessa lunghezza d'onda la Commissione
europea che intende "reagire in modo appropriato" a eventuali
"dichiarazioni inaccettabili". L'irritazione di Israele. In questo
clima, subito dopo l'inizio della conferenza, il governo israeliano ha
richiamato per consultazioni il suo ambasciatore in Svizzera. Una decisione
presa a seguito di un incontro tra il presidente elvetico Hans-Rudolf Merz e il
leader iraniano Mahmoud Ahmadinejad. ''Non è una rottura delle relazioni, ma
un'espressione del malcontento di Israele per l'atteggiamento lassista della
Svizzera nei confronti dell'Iran'', ha spiegato un dirigente del ministero
degli Esteri dello Stato ebraico. OAS_RICH('Middle'); L'agenzia iraniana Fars
ha riferito che durante il colloquio il presidente iraniano ha definito Israele
"la più orribile manifestazione del razzismo" e ha sostenuto che la
comunità internazionale usa "due pesi e due misure sui
diritti umani e la
violazione degli stessi negli Usa e in Europa". A margine della conferenza
anche il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha avuto un colloquio con il
presidente iraniano. L'intervento di Ban Ki-moon. Delle tensioni che
accompagnano il vertice Ban è pienamente consapevole, tanto che prima di dare
il via ai lavori ha condannato "la negazione dell'Olocausto".
Poi, nel discorso con cui ha aperto i lavori, ha difeso la contestata
dichiarazione finale come un testo "attentamente bilanciato".
"Sono profondamente dispiaciuto che alcuni Paesi abbiano deciso di
rimanerne fuori - ha detto Ban - E spero che non lo faranno a lungo". Il
razzismo non è scomparso e "può essere istituzionalizzato, come
l'Olocausto. Ma può anche esprimersi in modo meno ufficiale, sotto forma di
odio verso alcune classi o persone particolari come l'antisemitismo, o per
esempio, la nuova islamofobia", ha affermato il numero uno del Palazzo di
Vetro. Le vittime del razzismo "ci guardano, ma cosa vedono? - si è
chiesto - Parliamo di tolleranza e mutuo rispetto, ma puntiamo l'indice gli uni
contro gli altri e ci rivolgiamo gli uni agli altri le stesse accuse" del
passato. Ban Ki-moon ha denunciato nuove minacce come il traffico di esseri umani. "Una nuova politica xenofoba è in aumento",
ha poi ammonito. Per il capo dell'Onu, "la discrimnazione non sparisce da
sola. Deve essere affrontata. Altrimenti può diventare causa di disordini e
violenze sociali. Dobbiamo essere particolarmente vigilanti in questo periodo
di difficoltà economica". Ban Ki-moon apre i lavori Il segretario generale
dell'Onu ha quindi evocato i lavori che hanno preparato la conferenza di
Ginevra e gli sforzi per giungere a un testo di consenso: "E' peccato che
per alcuni non sia stato sufficiente. Ma possiamo superare le divergenze.
Rivolgo un appello a tutti i Paesi a considerare questo processo come un inizio
e non una fine". La posizione della Ue. La portavoce della Commissione
europea Christiane Hohmann ha chiarito che l'esecutivo comunitario segue da vicino
la conferenza dell'Onu e che il testo del documento "non è ideale ma è
frutto di un compromesso". La Commissione intende comunque "reagire
in modo appropriato" a eventuali "dichiarazioni inaccettabili".
Dopo aver ricordato che "molti Stati membri hanno deciso di ritirarsi
dalla conferenza. Ma una grande maggioranza - 23 su 27 - sono ancora impegnati
nella conferenza", la portavoce ha sottolineato come Bruxelles ritenga di
poter trarre qualcosa dalla conferenza e rimanga "impegnata a fare tutto
il possibile". (20 aprile 2009
(
da "Corriere.it"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
ginevra,
CONFERENZA SUL RAZZISMO. Ban Ki-moon: «Condanniamo l'Olocausto e islamofobia»
Onu, Ahmadinejad scuote il summit «Israele razzista». E i delegati Ue escono
Affondo del leader dell'Iran. Prima, la mossa di Gerusalemme: richiamato
ambasciatore da Ginevra Ban Ki-moon (Reuters) GINEVRA - La presenza e le parole
di Mahmoud Ahmadinejad scuotono la conferenza Onu sul razzismo a Ginevra. Nel
suo intervento davanti ai partecipanti al summit, il presidente iraniano ha
criticato l'insediamento di un «governo razzista» nel cuore del Medio Oriente
dopo il 1945, alludendo chiaramente allo stato di Israele senza però mai
nominarlo. Parole alle quali i delegati dell'Unione europea hanno reagito
lasciano la conferenza, già disertata da molte delegazioni occidentali. Proprio
la controversa presenza del presidente iraniano e le perplessità circa il
documento finale della conferenza hanno spinto numerosi paesi a disertare
questo appuntamento internazionale. IRAN ATTACCA ISRAELE - Ahmadinejad aveva
già definito Israele «la più orribile manifestazione del razzismo» durante un
incontro avuto domenica sera a Ginevra con il presidente svizzero Hans Rudolf
Merz. Lo riferisce l'agenzia iraniana Fars. Ahmadinejad, aggiunge l'agenzia, aveva sottolineato anche la politica di «due pesi e due misure
sui diritti umani e la
violazione degli stessi diritti umani negli Usa e in Europa». Il presidente elvetico, secondo
l'agenzia iraniana, avrebbe detto tra l'altro che «la Svizzera non seguirà le
minacce unilaterali degli Usa e della Ue nelle sue relazioni con la Repubblica
islamica dell'Iran». LA RISPOSTA DI ISRAELE - E proprio all'incontro tra
Merz e Ahmadinejad hanno fatto riferimento fonti del ministero degli esteri per
spiegare le motivazioni che hanno spinto Gerusalemme a richiamare l'ambasciatore
israeliano in Svizzera. Il premier Benjamin Netanyahu ha fortemente critico
l'invito rivolto al presidente iraniano, apostrofandolo come «razzista». LA
REPLICA SVIZZERA - Il presidente svizzero non condivide le critiche israeliane
con il presidente iraniano. «Le capisco ma sono ingiustificate», ha detto Merz
ad una radio svizzera citato dall'agenzia elvetica Ats. Per Merz il dialogo con
l'Iran è necessario. Il presidente svizzero non ha voluto esprimersi sul
richiamo dell'ambasciatore israeliano a Berna. BAN KI-MOON - Aprendo i lavori
della Durban II, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon (che a
margine della conferenza il segretario delle Nazioni Unite ha poi incontrato
Ahmadinejad) ha insistito sul fatto che tutte le forme di razzismo, incluse
l'antisemitismo e l'«islamofobia», vanno combattute. Il numero uno delle
Nazioni Unite ha anche criticato l'assenza di numerosi Paesi alla conferenza.
«Sono profondamente deluso - ha detto. Rimpiango profondamente che alcuni
abbiano scelto di farsi da parte. Spero che non duri a lungo». I PAESI ASSENTI
E I PRESENTI- Israele, Canada, Stati Uniti, Italia, Germania, Olanda, Svezia ed
Australia non partecipano ai lavori, temendo una replica delle manifestazioni
antisemite che avevano contrassegnato la precedente riunione delle Nazioni
Unite contro il razzismo, nel 2001
a Durban (Sudafrica). I Paesi assenti contestano il
documento finale della conferenza e i controversi riferimenti a Israele e alla
«diffamazione delle religioni». E certamente le defezioni sono state favorite
anche dall'annunciata presenza del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad,
noto per le violente diatribe contro Israele e per aver definito l'Olocausto
«un mito». Molti temono che il capo di Stato iraniano rinnovi i suoi violenti
attacchi contro Israele. L'ONU CONDANNA I NEGAZIONISTI - Da parte sua, Ban
Ki-moon tenta in extremis di salvare la conferenza voluta dalle Nazioni Unite
sul razzismo, difendendo comunque la contestata dichiarazione finale come un
testo «attentamente bilanciato» e ricordando che il summit di Ginevra punta
proprio a sedare tensioni che potrebbero in altro modo esplodere. Poiché oggi
ricorre la giornata della memoria, in Israele, Ban Ki-moon ha inoltre ripetuto
la sua condanna per coloro che negano l'Olocausto. Il segretario generale
dell'Onu, ha dello la sua portavoce, «condanna l'Olocausto e coloro che ne
minimizzano l'importanza, ricordando che nel 2007 l'Assemblea Generale
delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione secondo cui 'ignorare il fatto
storico di questi terribili eventi aumenta il rischio che essi si ripetano», ha
detto la sua portavoce. UE: «REAGIREMO IN CASO DI DICHIARAZIONI INACCETTABILI»
- Nel frattempo la Commissione europea ha fatto sapere che è pronta a reagire
«in modo appropriato» qualora alla conferenza Durban II sul razzismo si
arrivasse a dichiarazioni «inaccettabili». È quanto ha dichiarato la portavoce
per le Relazioni esterne della Commissione europea, Christiane Hohmann. «La Ue
- ha detto - ha seguito molto da vicino la preparazione della conferenza,
contribuendo a forgiare la sua posizione dall'inizio. Ora partecipa in quanto
osservatore». «Il testo non è ideale, ne siamo consapevoli, ma è il risultato
di un lungo compromesso» per Hohmann, che ha aggiunto: «Seguiremo molto da
vicino gli sviluppi della conferenza, che corre il rischio di essere dirottata.
Reagiremo in modo appropriato a qualunque dichiarazione inaccettabile fatta
durante la conferenza». Tuttavia la portavoce ha sottolineato come la
Commissione ritenga di poter trarre qualcosa dalla conferenza, concludendo:
«Rimaniamo impegnati a fare tutto quello che possiamo». stampa |
(
da "Corriere.it"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Lo scrittore «Finita la stagione del dialogo tra sordi All'Avana si spera» Leonardo Padura Fuentes Buone notizie per il Conde: ci sono concrete speranze che per l'ex poliziotto ora venditore di libri usati in un futuro prossimo diventi meno complicato mangiare a pranzo e poi anche a cena. Con la cautela e il disincanto di un intellettuale che vive a Cuba, Leonardo Padura Fuentes, creatore del Conde e delle sue inchieste (tutte pubblicate in Italia da Marco Tropea), immagina che alla fine l'allentamento della tensione (e in prospettiva dell'embargo) porti un cambiamento positivo nella vita quotidiana dei suoi connazionali. Per una volta si può essere ottimisti: «Sono fiducioso», addirittura. Perché, dice, dopo decenni di «dialogo tra sordi», ora «Cuba e Stati Uniti cominciano ad ascoltarsi: e questo dà alla gente dell'isola la speranza che si normalizzi una situazione molto pesante...». Il presidente Usa Barack Obama ha detto di voler cercare «un nuovo inzio» con L'Avana. «L'importante è che sia realista: non pretendere dal governo cubano ciò che il governo cubano si sa che non concederà. Non porre condizioni, altrimenti si rischia di tornare indietro». >In
effetti la Casa Bianca ha già annunciato di voler affrontare «un'ampia gamma di
temi: dai diritti umani alla
libertà di espressione, le riforme democratiche, la droga e le questioni
economiche»... «Possono essere infinite le questioni che il governo cubano non
è disposto ad accettare. Del resto L'Avana non pretende da Obama dei
cambiamenti nella politica interna Usa. Il primo punto che Raúl Castro
ha messo in chiaro è che bisogna rispettare la sovranità e i diritti di
entrambe le parti per poter cominciare a costruire questo avvicinamento» Obama
sembra aver già fatto un passo concreto, con l'annullamento delle restrizioni
sui trasferimento di denaro e sulle visite ai parenti dei cubani emigrati negli
Usa. «Un passo importante, ma in termini pratici molto piccolo: neanche arriva
al tipo di relazioni dei tempi del presidente Clinton, quando c'era scambio
accademico, culturale, sportivo... Siamo ancora al momento delle parole, seppur
espressione di una volontà nuova di avvicinamento: ora, però, devono rivestirsi
di realismo, da entrambe le parti». Da parte di Cuba, che cosa potrebbe fare
Raúl Castro per mostrare volontà concreta di disgelo? «È un problema più
complicato: sono gli Stati Uniti ad avere imposto l'embargo a Cuba, con la
condanna dell'Onu. E ad aver sostenuto contro Cuba azioni violente, dalla Baia
dei Porci in poi. L'Avana non deve dimostrare nulla. Certo, il governo Castro,
indipendentemente dagli Usa, dovrà fare cambiamenti economici e sociali. C'è un
fenomeno che mi preoccupa molto: l'emigrazione dei giovani professionisti. Il
futuro scientifico e culturale del Paese se ne sta andando e bisogna evitare
che questo dissanguamento continui. Altro esempio, la costruzione di case:
nell'isola si calcola che manchi mezzo milione di alloggi» Cambiamenti, ma
sempre all'interno del modello socialista? «Per il momento, credo di sì. Così
come Obama sta facendo modifiche nel contesto del capitalismo...» La
normalizzazione col Nord, e dunque la fine dell'embargo, darebbe impulso al
cambiamento a Cuba? «La fine dell'embargo è qualcosa che deve accadere: sarebbe
salutare per il mondo intero. È una questione che porta 40 anni di ritardo. Se
si risolvesse, si potrebbe passare oltre ed entrare in altre discussioni.
Certo, è l'elemento che più può favorire l'introduzione di cambiamenti
economici a Cuba, perché produrrebbe un movimento nell'isola, non so se a lungo
termine positivo o negativo, ma ad ogni modo un cambiamento. L'apertura di Cuba
al turismo nordamericano, in particolare, avrebbe effetti sull'economia
domestica, sulla vita quotidiana della gente. Durante l'Amministrazione Bush
tutto quello che si è fatto per danneggiare il governo cubano alla fine l'ha
rafforzato e a essere danneggiata è stata la gente comune. Personalmente ho
fiducia che Obama abbia la chiarezza politica e mentale per superare i
pregiudizi nordamericani». Gli sarà utile «Le vene aperte dell'America Latina»,
il libro che gli ha regalato Chávez? «Un libro è un buon regalo. Questo testo
di Eduardo Galeano, poi, è un magnifico regalo. Chiunque lo legga può imparare
molte cose della storia latinoamericana, ciò che ha significato il meticciato
culturale, l'imposizione di una religione, il costante dissanguamento
economico. Fondamentale». Alessandra Coppola stampa |
(
da "Giornale.it, Il"
del 20-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
n. 16
del 2009-04-20 pagina 0 Onu, Ahmadinejad: "Israele è razzista"
Contestazione e fischi, via i delegati Ue di Redazione Usa, Italia, Israele e
Germania non siedono al tavolo organizzato dall'Onu contro il razzismo. Il
ministro Lieberman ritira il proprio ambasciatore dalla Svizzera che replica
duramente: "Critiche ingiustificate". Il presidente iraniano attacca:
"Israele, orribile razzista". I rappresentanti dei Paesi europei
lasciano la sala Ginevra - Ci pensa Ahmadinejad. Il leader iraniano prende la
parola e il vertice Onu di Ginevra diventa un pandemonio. Fischi, urla,
contestazioni. Il presidente di Teheran taccia Israele di razzismo e gli Stati
Uniti di complicità. E la platea si infiamma. I delegati dellUnione europea e di altri Paesi occidentali hanno
abbandonato la sala. Ahmadinejad ha criticato linsediamento di un
"governo razzista" nel cuore del Medio Oriente dopo il 1945,
alludendo chiaramente allo stato di Israele senza però mai nominarlo nel suo
discordo davanti i partecipanti alla conferenza dellOnu sul razzismo. Poco prima, nel momento in cui il
capo di stato iraniano ha preso la parola davanti ai delegati, almeno tre
manifestanti con parrucche multicolori e nasi rossi da clown hanno gridato
"razzista, razzista" allindirizzo
di Ahmadinejad. I tre sono stati espulsi dalla sala delle conferenze. Ban
Ki-moon e gli assenti Con lintervento inaugurale del segretario generale
dellOnu Ban Ki-moon, si apre la conferenza sul razzismo, la discriminazione
razziale e la xenofobia promossa dalle Nazioni Unite, meglio nota come
"Durban 2". Ma nel parterre mancheranno, oltre allItalia, una serie di nazioni che hanno deciso di
boicottare il summit che rischia di mutarsi in un processo a distanza a Israele: ai
lavori non partecipano infatti Stati Uniti, Germania, Australia, Canada,
Olanda, Nuova Zelanda, Polonia e Israele. LItalia,
contraria sin dalla prima ora per gli accenti antisemiti presenti nella bozza del
documento finale, aveva ritirato il 5 marzo la delegazione dai negoziati per le
frasi antisemite contenute nella prima bozza. Sarkozy ci ripensa Ci sono invece
la Gran Bretagna, che da tempo aveva confermato la presenza, e la Francia che
domenica sera ha rotto gli indugi: "La Francia andrà a Ginevra per per
difendere il suo punto di vista riguardo ai diritti umani"
ha precisato una fonte anonima dellEliseo.
Barack Obama ha difeso il no degli Usa ribadendo di essere un presidente che
"crede nellOnu", ma spiegando di non poter accettare il
"linguaggio controproducente" contenuto nella bozza del documento
finale. A Ginevra è presente la Santa Sede e da domenica notte è già arrivato
il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che ha ribadito la sua ostilità verso lo
Stato ebraico, definendolo "portabandiera del razzismo". Israele
richiama l'ambasciatore dalla Svizzera Il ministro degli esteri Avigdor
Lieberman ha ordinato allambasciatore di Israele in
Svizzera di rientrare in patria per consultazioni. Fonti del ministero degli esteri
hanno spiegato al sito Ynet che il provvedimento rappresenta un gesto di
protesta per lincontro di ieri fra il
presidente elvetico Hans Rudolf Merz e il presidente iraniano Ahmadinejad. Il
presidente della Confederazione elvetica Hans-Rudolf Merz non condivide le critiche
israeliane: "Le capisco ma sono ingiustificate". Ahmadinejad:
"Israele è manifestazione del razzismo" Il presidente iraniano
Ahmadinejad ha definito Israele "la più orribile manifestazione del
razzismo" durante un incontro avuto ieri sera a Ginevra con il presidente
svizzero Hans Rudolf Merz. Secondo lagenzia
iraniana Fars Ahmadinejad ha sottolineato anche la politica di "due pesi e
due misure sui diritti umani
e la violazione degli stessi diritti umani
negli Usa e in Europa". Bruxelles: "Pronti a reagire" La
Commissione europea è pronta a reagire "in modo appropriato" qualora
alla conferenza Durban II sul razzismo si arrivasse a dichiarazioni
"inaccettabili". La portavoce per le Relazioni esterne
della Commissione europea, Christiane Hohmann, ha spiegato che l'Ue ha seguito
molto da vicino la preparazione della conferenza, contribuendo a forgiare la
posizione dellUe dallinizio.
"Il testo non è ideale, ne siamo consapevoli, ma è il risultato di un
lungo
compromesso", per Hohmann, che ha aggiunto: "Seguiremo molto da
vicino gli sviluppi della conferenza, che corre il rischio di essere dirottata.
Reagiremo in modo appropriato a qualunque dichiarazione inaccettabile fatta
durante la conferenza". Tuttavia la portavoce ha sottolineato come la
Commissione ritenga di poter trarre qualcosa dalla conferenza, concludendo:
"Rimaniamo impegnati a fare tutto quello che possiamo". © SOCIETà
EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano
(
da "Stampa, La"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Al
termine del discorso interviene su Gaza Applausi da parte dei soli leader arabi
[FIRMA]EMANUELE NOVAZIO INVIATO A GINEVRA Il caos comincia non appena Mahmoud
Ahmadinejad sale sul podio, il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon alle
spalle, una platea di delegati divisa e nervosa di fronte, le tv del mondo in
attesa. È un caos auspicato: e difatti il presidente iraniano sorride paziente,
quando tre giovani dell'«Unione studenti ebrei francesi» vestiti da clown
corrono verso il palco, gli lanciano un naso da pagliaccio e gli urlano «razzista,
razzista» mentre gli agenti li trascinano fuori dalla «Sala dell'assemblea» del
Palais Des Nations affacciato al Parc de l'Ariana. Ahmadinejad interrompe il
discorso appena iniziato. Ma è una pausa che - per l'unico Capo di stato
presente alla «Conferenza sul razzismo» promossa dall'Onu 8 anni dopo quella di
Durban trasformatasi in un carosello anti-israeliano - ha una forte valenza
mediatica. Lo aiuta a introdurre la vera ragione della sua venuta a Ginevra. Ad
accendere la miccia che in tanti, Italia e Stati Uniti in testa, avevano
previsto e temuto: «Dopo la fine della Seconda guerra mondiale gli Alleati sono
ricorsi all'aggressione militare per privare delle loro terre una nazione
intera sotto il pretesto delle sofferenze degli ebrei. Hanno inviato migranti
dall'Europa, dagli Stati Uniti e dal mondo per istituire un governo razzista
nella Palestina occupata», dice a memoria, senza abbassare lo sguardo sul testo
dattiloscritto, l'uomo che si è lucidamente attribuito il ruolo di profeta
dell'antisionismo inteso - anche - come negazione dell'Olocausto e dello Stato
ebraico. Sono le 15 e 30 passate da poco. L'attacco a Israele, mai nominato, va
a segno, sia pure con toni meno veementi che in passato (nessun auspicio alla
sua «cancellazione dalle carte geografiche»). I rappresentanti dei 23 Paesi
dell'Unione europea che avevano scelto di non boicottare la Conferenza (fra
loro Francia, Gran Bretagna e Spagna) si alzano e abbandonano l'Assemblea, come
avevano annunciato in caso di deriva antisemita del presidente iraniano.
Ahmadinejad, di nuovo, interrompe il discorso. Aspetta il silenzio e riprende:
«È necessario mettere fine agli abusi dei sionisti e di chi li sostiene», dice
leggendo dal testo, adesso. Ma è quando accusa «gli Stati occidentali di essere
rimasti in silenzio di fronte ai crimini commessi a Gaza» che gran parte
dell'assemblea - composta ormai in maggioranza da Paesi arabi e musulmani che
volevano un processo a Israele - applaude. Prima di lasciare la Sala
Ahmadinejad ringrazia, e ha ragione di farlo. Come l'anno scorso l'Assemblea
della Fao a Roma, la Conferenza ginevrina gli ha consentito di confermarsi nel
ruolo al quale più di ogni altro, nelle sue uscite all'estero, sembra affidare
la dignità del suo ufficio di Presidente. Dietro di sé il leader della
Repubblica islamica lascia dissociazioni e polemiche, indispensabile
complemento del caos. A cominciare dai padroni di casa: «Deploriamo l'uso di
questa piattaforma per accusare, dividere e incitare», recita il comunicato di
Ban Ki-moon, che aprendo i lavori aveva lamentato l'assenza di una decina di
Paesi, dagli Usa alla Germania, dall'Italia all'Australia, dall'Olanda alla
Nuova Zelanda al Canada. «Deploriamo fortemente il linguaggio di Ahmadinejad,
fuori luogo in una Conferenza che ha l'obiettivo di difendere la diversità e la
tolleranza», gli fa eco l'Alto commissario Onu per i
diritti umani Navi Pillay.
«Dichiarazioni inaccettabili», scandiscono i 23 Paesi dell'Unione europea che
hanno lasciato l'assemblea per protesta contro le affermazioni del presidente
iraniano, ma non la Conferenza: perché - sottolineano in 22, dopo l'abbandono
serale della Repubblica ceca - a Ginevra si è messo a punto un «valido
compromesso» nella bozza di dichiarazione finale. Che è frutto per giunta di un
«negoziato intergovernativo» che esclude la responsabilità dell'Ue. Anche il
Vaticano condanna, sia pure con qualche distinguo. «Siamo rimasti in sala per
affermare il diritto della libertà d'espressione», avverte l'Osservatore
permanente presso le Nazioni Unite monsignor Tomasi. Ma, puntualizza il
direttore della Sala stampa padre Lombardi, quelle di Ahmadinejad sono
«espressioni estremiste e inaccettabili», anche se «la conferenza è
un'occasione importante». Lo si capirà presto, se davvero «Durban 2» avrà una
sorte migliore della conferenza-madre che intende mondare: l'approvazione del
documento finale, sul quale si comincerà a discutere da oggi, è prevista per
venerdì.
(
da "Corriere.it"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Lo ha
detto rispondendo alle domande di Barbara Palombelli a «28 minuti» (Radio2)
Vespa: «Santoro? Una spina per il Pd più che per la Pdl» «Non capisco perché io
devo rispondere al Direttore di Rete, mentre lui soltanto al Direttore
Generale» Bruno Vespa (Eidon) ROMA - Bruno Vespa è convinto che non ci sarà uno
scontro continuo di Michele Santoro con questa nuova dirigenza Rai «perché
tutto sommato alla fine fa comodo a tutti, nel senso che nessuno osa più
toccarlo perché nessuno vuole farne un martire, io credo che il centrodestra
abbia in Santoro un formidabile sostegno (...) perché non c'è dubbio che la
spina di Santoro è più nel Partito democratico che non nel centrodestra». ALLA
RADIO - Lo ha detto rispondendo alle domande di Barbara Palombelli nella
puntata di «28 minuti» (Radio2) di lunedì. «Michele è un grandissimo uomo di
televisione, ha una concezione del servizio pubblico molto diversa dalla mia.
Io ho sempre detto - ha aggiunto Vespa - che certe cose sono state consentite
solo a lui (..) il problema è che se la legge richiede il pluralismo questo
deve valere per tutti (..) non capisco perché io devo rispondere, e lo faccio
molto volentieri, al Direttore di Rete, mentre Santoro deve rispondere soltanto
al Direttore Generale». QUERELA - Intanto una querela contro Michele Santoro e
Sandro Ruotolo ha annunciato per martedì, ai carabinieri, un volontario della
protezione civile di Teramo, Pino Urbani, ex dipendente del servizio 118,
intervenuto all'Aquila fin dalla mattina del 6 aprile. L'iniziativa nasce dalle
trasmissioni Annozero degli ultimi due giovedì. Urbani si è detto offeso dai
temi sviluppati nelle due puntate: «I due giornalisti - ha detto - hanno
diffamato in maniera molto profonda la protezione civile e quanti sono
intervenuti prontamente per aiutare gli aquilani colpiti dal terremoto. Il
sottoscritto alle 7 era già all'Aquila per scavare sotto le macerie di un
palazzo di via XX Settembre. Mentre noi salvavamo Francesca - ha aggiunto -
Santoro e Ruotolo erano nelle loro case a prendere il caffellatte e la cosa più
grave è che si è organizzata una trasmissione senza alcun vero
contraddittorio». ESPOSTO AL CONSIGLIO D'EUROPA - A difesa di Annozero, invece,
c'è da registrare un esposto presentato da due ex deputati del Palamento
italiano ed europeo, Lucio Manisco e Giuseppe Di Lello, e dal giornalista
Alessandro Cisilin al Consiglio d'Europa - Assemblea Parlamentare, Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo,
Commissario per i diritti umani. I tre denunciano il «devastante degrado» della libertà di
informazione e di critica nel settore televisivo e «il controllo del presidente
del Consiglio Silvio Berlusconi sul servizio pubblico Rai Tv» motivando il loro
esposto con «le misure censorie e disciplinari adottate nei confronti dei due
programmi di giornalismo investigativo condotti da Milena Gabanelli e da
Michele Santoro e con quanto riferito dalla stampa italiana sulle interferenze
dello stesso presidente del Consiglio sulle nomine dei vertici Rai, per statuto
di competenza del suo consiglio di amministrazione». L'esposto, depositato al
Consiglio d'Europa, si richiama all'articolo 11 della Carta dei Diritti Fondamentali, nonchè a due risoluzioni, approvate a
larghissima maggioranza nel 2004 dal Parlamento Europeo e dal Consiglio
d'Europa, «che avevano denunziato nel nostro paese il conflitto di interessi
tra proprietà e controllo delle aziende televisive da parte di Silvio
Berlusconi e le sue funzioni istituzionali di presidente del Consiglio». stampa
|
(
da "Corriere.it"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
L'intervista
«Anche Stalin firmò per i diritti umani» Lo storico Paul Kennedy: «Durban II è un vertice simbolo
dell'ipocrisia dell'Onu. Consiglio bloccato da 5 potenze» WASHINGTON - Per lo
storico Paul Kennedy, autore di Ascesa e declino delle grandi potenze e de Il
Parlamento dell'uomo (l'Onu), la Conferenza sul razzismo non segnerà una
svolta storica: «Dopo accuse e contraccuse, propaganda e scontri, sfocerà
in una di quelle dichiarazioni solenni che rappresentano in realtà dei modesti
compromessi». Il docente dell'Università di Yale, che sta scrivendo un libro
sulla Seconda guerra mondiale, è scettico sull'efficacia di simili iniziative:
«Il rispetto dei diritti umani si impone solo con
risoluzioni vincolanti. C'è da chiedersi chi e quanti le vorrebbero veramente
perché la sede adatta non è certo questa conferenza. Inoltre c'è il pericolo
che essa assuma un tono antisemita». Lei è pro o contro il boicottaggio di
Durban II, a Ginevra? «È una questione di grigio, non di bianco e di nero. Io
penso che i nostri governi si siano posti un interrogativo etico e uno
politico. È giusto o ingiusto il boicottaggio, visto che una gran parte dei
Paesi firmerà la dichiarazione senza alcuna intenzione di rispettarla? E in
previsione di una denuncia di Israele - che ha fornito l'occasione all'Islam
con la sua sproporzionata reazione a Gaza - è politicamente vantaggioso o
svantaggioso parteciparvi?». Di qui le opposte decisioni degli alleati?
«Esattamente. L'America e l'Italia si sono dette che il boicottaggio è giusto
e partecipare alla Conferenza sarebbe dannoso. La Gran Bretagna e la Francia
hanno invece concluso che, nonostante i dubbi e i rischi, conviene dimostrare
di essere alla ricerca di un dialogo onesto. Su Obama, secondo me, ha pesato
altresì il timore che una presenza americana a Ginevra gli alienasse
l'opinione pubblica interna oltre che Israele, che diffida di lui». Una
divisione inattesa tra Londra e Washington? «Diciamo una divisione in contrasto
con la Storia. Circa 25 anni fa, il presidente Usa Ronald Reagan e la premier
britannica Margaret Thatcher lasciarono all'unisono l'Unesco perché aveva
equiparato il sionismo al razzismo». Perché è scettico su Durban II? «Lo sono
stato anche su Durban I, nel 2001, manipolata e strumentalizzata da troppi
Paesi. Io sono scettico sulla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
del 1948, che proponeva anche il pieno impiego, l'assistenza sanitaria di
Stato. Il presidente americano Truman la firmò perché sapeva che, a
differenza delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, non aveva valore
legale. La firmò persino Stalin, un violatore dei diritti umani».
Dovrebbe farsene carico il Consiglio di sicurezza? «Il Consiglio è bloccato
da cinque potenze conservatrici che hanno macchie razziste, presenti o
passate, da nascondere, l'America i neri, la Russia la Cecenia, la Cina il
Tibet, la Francia gli arabi, l'Inghilterra il Kenya. E si trincera dietro il
principio che deve decidere delle questioni di guerra e pace non delle libertà
civili. Insomma, rifiuta di interessarsene se non in casi circoscritti». Non
c'è il Consiglio dei diritti umani dell'Onu? «Il Consiglio,
come la precedente Commissione, a volte è ostaggio di Paesi che promuovono
delle decisioni inique o che vanificano quelle eque. Invece di penalizzare
sempre, come dovrebbe, quanti fanno del razzismo o peggio fanno del genocidio,
in certi momenti li ignora o li nasconde». Qual è il rimedio? «Bisogna
martellare il messaggio antirazzista. Quando l'Onu fece la Dichiarazione
universale sui diritti umani, l'impatto fu forte, creò
grandi aspettative. Idem quando fu varato il protocollo di Kyoto contro
l'emissione di gas serra. Le grandi potenze devono alimentare le aspettative
e premere molto più fortemente sulle nazioni interessate alle buone relazioni
con loro, ma che ancora violano i diritti umani. Se
lo faranno, in futuro anche conferenze come quella di Ginevra produrranno
frutti». Ennio Caretto stampa |
(
da "Repubblica, La"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Pagina 3
- Esteri Parla lo scrittore francese Marek Halter, che nel 1940 fuggì dal
ghetto di Varsavia "Sarkozy non m´ha ascoltato non bisognava
partecipare" PIETRO DEL RE «Al presidente Sarkozy avevo sconsigliato di
andare a Ginevra, ma lui m´ha ascoltato solo a metà», dice lo scrittore
francese Marek Halter, che da un mese fa campagna per boicottare Durban 2, come
fece nel 1978 contro il Mundial nell´Argentina della giunta militare e, due
anni dopo, contro i Giochi Olimpici nella Mosca sovietica. Figlio di una
poetessa yiddish e di un tipografo, questo intellettuale engagé si oppone da
decenni alle derive del razzismo e dell´antisemitismo. Marek Halter, che cosa
ha detto a Nicolas Sarkozy? «Che non si deve partecipare a una conferenza
organizzata da paesi anti-democratici, che è presieduta dalla Libia e alla
quale è stato invitato anche quel presidente sudanese perseguito dal Tribunale
internazionale. Gli ho anche detto che non dobbiamo subire la legge di coloro
che vogliono riportarci all´epoca della schiavitù. Il presidente m´ha risposto:
"Non possiamo mancare perché gli altri andranno". Alla fine, però, ha
mandato solo il suo ambasciatore all´Onu». L´opzione francese non la soddisfa,
dunque? «No, perché è una sorta di compromesso. E i compromessi si possono
raggiungere su questioni economiche. Ma non è lecito farlo su fatti essenziali,
quali i diritti dell´uomo, la giustizia o la riconoscenza del diverso da sé».
Secondo lei, era prevedibile la sparata di Ahmadinejad? «Il problema con
Ahmadinejad è che non mi sembra disponibile al dialogo. Se accettasse di
discutere con me, gli direi che cosa penso della condizione delle donne in Iran
e delle quotidiane impiccagioni nelle piazze del suo paese». Non le sembra che
l´abbandono della sala da parte degli esponenti dell´Ue sia stato un segnale
forte? «Sì, è necessario che i cittadini iraniani, cinesi,
russi e di tutti i paesi in cui i diritti umani sono calpestati vedano che la sala si svuota quando i loro
leader salgono in cattedra. Oggi, grazie a internet chiunque può assistere a
quanto accade a migliaia di chilometri da casa, che si trovi in Siberia o in
Arabia Saudita». Come giudica la posizione del segretario generale delle
Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, il quale ha prima deplorato l´assenza di alcuni
paesi, e poi le dichiarazioni del leader iraniano? «La sua è una posizione
particolare, poiché esiste il presupposto che tutti i paesi del mondo debbano
far parte dell´Onu: i buoni e i cattivi. è necessario che questa platea esista.
Nell´antica agorà ateniese non c´erano solo persone per bene: c´erano anche
tanti mascalzoni».
(
da "Repubblica, La"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Pagina 14 - Esteri Torture, Obama fa pace con la Cia Missione
a Langley: "Abbiamo fatto errori ma saremo più forti rispettando le
regole" Nuove polemiche sul waterboarding: contro un terrorista utilizzato
183 volte, sei al giorno ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK -
«La Cia ha il mio pieno sostegno. Non fatevi scoraggiare dal fatto che
l´America ha potuto conoscere gli errori che sono stati fatti nel passato». Di
fronte alle crescenti polemiche seguite alla pubblicazione dei quattro
"memo" segreti della Cia, Barack Obama ha scelto la via più diretta:
quella di parlare direttamente agli agenti dell´Intelligence. Così ieri alle
14,30 la limousine presidenziale ha varcato i cancelli di Langley, quartier
generale dell´agenzia di spionaggio. Una visita inusuale, nel corso della quale
prima ha incontrato il direttore Leon Panetta e il suo vice Stephen Kappes, poi
ha avuto un meeting con i funzionari di rango elevato, e infine con gli agenti.
Con un breve discorso sull´importanza «fondamentale» della missione della Cia.
A Langley la pubblicazione dei memorandum sull´uso delle «tecniche brutali»
negli interrogatori, non era piaciuta. Anche Leon Panetta, un liberal che Obama
ha voluto a capo della Cia, aveva espresso le sue perplessità. Alla Casa Bianca
lo scontro tra falchi e colombe in merito alla questione era durato a lungo,
quasi un mese, e - a decisione presa - le critiche non erano mancate (da destra
come da sinistra) con l´aggravante dei malumori nel mondo dell´Intelligence.
Sintetizzati da Michael Hayden, ultimo capo della Cia di Bush: «Ci saranno
nuove rivelazioni, nuove commissioni, nuove indagini, contro un´agenzia che è
in guerra e in prima linea nel difendere l´America». Una tesi che Obama ha
negato. Accolto da un grande e caloroso applauso dal personale della Cia, il
presidente ha spiegato il perché della pubblicazione («la natura segreta delle
informazioni era stata già compromessa»), ha confermato agli agenti l´immunità
per gli atti del passato, e promesso che «i giorni migliori della Cia devono
ancora arrivare». Ha ricordato come in passato «ho combattuto per proteggere la
sicurezza delle informazioni segrete e così farò in futuro». Ha esortato a non
scoraggiarsi dal fatto che «abbiamo commesso errori», perche è così che «si
impara, e la nostra disponibilità a fare queste ammissioni dovrebbe renderci
tutti più orgogliosi nella consapevolezza di essere dal lato giusto della
Storia». Quanto alle tecniche di tortura usate durante l´amministrazione Bush,
non ci sarà più spazio: «Gli Stati Uniti sono più forti quando possono
esercitare la potenza dei loro valori, compreso il rispetto della legge». Anche
quando ci si trova di fronte nemici come i terroristi di Al Qaeda «che non
rispettano alcuna regola». Non si era mai visto un presidente costretto a
correre al quartier general dell´Intelligence (in genere sono i loro capi che
vanno alla Casa Bianca) ma Obama, che maneggia con cura anche i gesti
simbolici, ha capito che era il momento di intervenire in prima persona. Non
per fare ammenda sulla pubblicazione dei memorandum, ma per rassicurare gli
agenti che eliminate le storture dell´era Bush la guerra al terrorismo
continuerà come prima: «L´America apprezza i vostri sacrifici anche se il
vostro coraggio è conosciuto da pochi e non potete avere, per motivi di
segretezza, pubblici apprezzamenti». Il giorno dell´omaggio alla Cia era
iniziato con nuove polemiche sul waterboarding, dopo che il New York Times
aveva riferito quante volte questa tecnica di tortura - che Obama ha vietato
con un ordine esecutivo - è stata usata nei confronti dei più pericolosi
comandanti di Al Qaeda catturati dagli americani. Abu Zubaydah venne sottoposto
all´annegamento simulato 83 volte. Nel marzo 2003 per fare parlare Khalid
Shaikh Mohammed, l´ex numero tre di Al Qaeda considerato il «cervello»
dell´attacco alle Torri Gemelle, i waterboarding furono addirittura 183: una
media di sei al giorno.
(
da "Repubblica, La"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Pagina
35 - Cultura LA MEMORIA la nuova introduzione a "Questo novecento"
scritta prima della scomparsa Il testamento politico di foa e il futuro
L´intellettuale "voce" della sinistra decise di fare l´ultima
versione nel settembre 2008: qui ne anticipiamo un brano Il racconto, da
protagonista e testimone della politica italiana, dall´inizio del secolo fino
agli anni Novanta VITTORIO FOA Con la memoria della Shoah abbiamo imparato a
celebrare non soltanto chi cade in guerra ma chi è vittima innocente, il civile.
Possiamo ricordarne i nomi e le età e celebrare in una memoria carica di
insegnamento la morte di chi non immaginava di morire. Con il 1945 abbiamo
ricostruito il sistema dei partiti, per seguire l´esempio dei paesi vincitori e
anche per riallacciarci al passato, dopo vent´anni di soppressione dei partiti.
Ma successivamente i partiti hanno lasciato troppa insoddisfazione. Mi sembra
che esista un fenomeno dai tempi lunghi: una destra profonda che prende le
forme più varie, a volte persino forme di sinistra. Le forme della destra
profonda possono essere nazionaliste, militariste, razziste, fasciste, o
puramente liberistiche. In tutti questi casi la chiusura nel proprio
particolare, nella famiglia e il proiettare il rapporto con il mondo sulla
propria particolarità diventano dominanti. Le lotte politiche fra i partiti
socialisti, comunisti e democristiani si susseguirono per anni, fin verso la
fine del secolo, quella di cui stiamo ancora adesso vivendo gli esiti, che ha
visto la fine dei partiti. Il partito socialista che aveva sperato di ereditare
dai comunisti la loro base elettorale, è scomparso insieme con essi. L´Italia è
l´unico paese in cui questo sia successo. Il socialismo è in declino in tutti i
paesi europei e non esiste negli Stati Uniti. Cosa vuol dire, che il socialismo
non ci sarà più? Questa è la mia previsione, almeno per i prossimi anni. Negli
anni Sessanta, una parte dei sindacati lasciò la dipendenza dalle
confederazioni e scelse la linea dell´unità sindacale: lavorare insieme
estendeva le possibilità di ricerca e inoltre portava a comprendere che il
conflitto non nasce dalla miseria ma soprattutto dagli sviluppi comparativi. La
linea dell´unità sindacale fu troppo presto abbandonata. Adesso abbiamo
un´occasione: liberiamoci finalmente delle ideologie anche nel campo del
lavoro. Ho ricevuto la visita di una delegazione della Cisl di Padova e Lorenza
Leonardi mi ha chiesto, a quanto ho capito, se ero d´accordo che nella linea
dell´unità sindacale, svincolato il sindacato dai partiti, non ci fosse più
solo il contratto, ma anche tutto il resto, cioè la nuova povertà.
Evidentemente sono d´accordo. Alla fine del secolo ventesimo, i partiti
politici che dal 1945 avevano sorretto la politica italiana sono scomparsi
sotto un´accusa che era giusta, anche se non era sincera, cioè per il fatto che
dipendevano da premesse ideologiche. La più profonda anomalia della situazione
italiana è, a mio giudizio, quella della permanenza dei sindacati, ognuno dei
quali riferito a una realtà che non esiste più: quella dei partiti con le loro
ideologie. Possiamo sperare di unificare il lavoro superando le ideologie ormai
vuote di significato dei vecchi partiti? Possiamo sognare un´unità sindacale
nella quale tutti i lavoratori possano confrontare le loro idee, le loro
speranze, le loro sofferenze? Non so perché, ma mi sembra che l´unità sindacale
alla quale io penso non unificherebbe soltanto la tecnica sindacale, ma
andrebbe oltre. Nessun contratto sindacale risolve i problemi della felicità,
neanche accenna a risolverli. Eppure la ricerca delle nuove povertà vuol dire
la ricerca da parte del nuovo sindacato sul modo di vivere, sul modo di
migliorare sul serio la nostra vita collettiva. Pensare alla fine del secolo ci
costringe a sentirci più responsabili di quello che eravamo anche in passato,
tutto va ripensato insieme con gli altri, bisogna pensare al futuro senza
pensare soltanto a noi stessi. Dobbiamo sentirci diversi dal passato, se non
riusciamo a fare questo finiremo per essere ancora poveri oltre che nei fatti
anche nelle idee rispetto agli altri. Ecco perché, nel campo del lavoro e delle
infinite ingiustizie che la sua realtà ci rivela, io credo all´unità dei
lavoratori, alla forza che può derivare dal sentirsi uniti. Nella seconda parte
del secolo attraverso varie vicende ha prevalso la funzione centrista della
politica. Voglio ricordare la figura emblematica di Togliatti, sinceramente
doppia, come campione di difesa della democrazia italiana e come capo
dell´Internazionale comunista. E poi quella di De Gasperi. Oggi non si parla
più di politica, nessuno parla del futuro, tutto è una ricerca a sfruttare il
presente. A volte ci sembra che la stessa politica sia fuori di ogni pratica
possibilità, che non si possa più lavorare insieme per sé e per gli altri, per
sé e per tutti. Si potrebbe invece pensare, per quel che riguarda il futuro, in
relazione all´eventuale mutamento della direzione politica americana a una
diversa distribuzione delle risorse a livello mondiale e quindi a un diverso
livello dei prezzi: l´apertura di una fase di interventismo sui prezzi potrebbe
cambiare il quadro. Torniamo dunque all´Italia, torniamo alle vicende di questo
fine secolo che ha visto, a mio giudizio, la maggior parte delle persone
ripiegarsi su se stesse: è possibile ricondurle ad un agire che abbia
significato universale, a non pensare solo a se stessi e neppure solo agli
altri, ma a pensare a se stessi insieme agli altri? Io
credo profondamente nella possibilità per la mente umana di scegliere delle vie
positive e non soltanto la via dell´egoismo. Possiamo aiutare questo sviluppo
dell´umanità? C´è chi dice
che potremmo utilizzare altri parametri, per esempio quello dei diritti umani, che è indipendente dalle nazioni,
dalle religioni e dai partiti. è una prospettiva seducente, da
approfondire. Vorrei fare delle osservazioni sul paradosso eleatico. Tutti sono
convinti che Achille vince la corsa con la tartaruga, ma tutti sanno che
nessuno è in condizione di dimostrare la vittoria di Achille. Vi sono delle
ragioni numeriche, relative al calcolo dell´infinito, che nessuno è riuscito a
risolvere. Ma vi può essere anche una ragione più profonda: Achille è la guerra
e la guerra produce altra guerra. In ogni caso Achille, ovunque si presenta,
uccide, annienta e vince. Tuttavia non c´è totalitarismo che possa coprire ogni
evento storico: Achille può uccidere da tutte le parti, ma la tartaruga è
sempre lì, raccolta nei suoi piccoli e lenti passi, a riflettere sulle vicende
del mondo e a sognare che alla guerra assoluta si possa rispondere con la pace.
Quando io sono nato, l´Europa era sul punto di scannarsi, divisa in
nazionalismi contrapposti. Ed era al centro del mondo. La guerra ha significato
anche l´inizio dell´abbandono della sua posizione centrale, con l´entrata
dell´America in Europa. Oggi, non ci sono più frontiere e stiamo avviandoci
verso l´unità. Ma l´Europa non è più centrale. Forse è un bene. Siccome credo
profondamente nella libertà, non credo solo nella libertà di ciascuno di dire
quello che pensa, ma credo anche nel fatto che le idee di ciascuno possano e
debbano cambiare.
(
da "Repubblica, La"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Pagina
27 - R2 Viaggio nell´isola caraibica dopo le aperture del presidente Usa. Tra i
giovani che sperano nella fine dell´embargo e tifano per Barack FABRIZIO
RAVELLI L´AVANA dal nostro inviato C´è una sorta di diffidente speranza qui a
Cuba, in questi giorni che annunciano l´avvio di una nuova epoca nei rapporti
con il «diavolo» nordamericano. Qualcuno sogna il crollo del muro, dell´embargo
che da quasi cinquant´anni strangola l´economia castrista e la condanna
all´isolamento. Qualcuno diffida delle reali intenzioni di chi governa Cuba:
«Il bloqueo è sempre stato utilizzato da Fidel Castro come il parafulmine di
ogni responsabilità - dice Yoani Sanchez, la giovane blogger che è una delle
voci più influenti della comunità cubana - Era sempre colpa dell´embargo, per
il crollo dell´economia, le inefficienze, tutto. Se cadesse, in realtà per il
governo sarebbe un colpo molto duro». E ieri Fidel in persona ha deciso di
intervenire, con una delle sue ricorrenti reflexiones, sul giornale Granma e
sul sito Cubadebate. Ha scritto che Barack Obama è stato «duro ed evasivo»
sull´embargo: «Desidero ricordargli un principio etico di base per quanto
riguarda Cuba: ogni ingiustizia, ogni crimine, non importa in quale epoca sia
successo, non ha scuse; il blocco crudele contro Cuba ha come prezzo delle vite
umane e delle sofferenze». Che è un modo per chiedere la revoca del bloqueo
senza addentrarsi troppo in previsioni o proposte, restando aggrappati alla
tradizionale propaganda dei murales. Molto meno di quanto lasci sperare l´apertura dichiarata da Raul Castro a discutere con gli Usa di
tutto, compresi i fin qui innominati «diritti umani». La reflexion resta molto al di sotto delle aspettative, perché
a Cuba - aggiunge la Sanchez - «stiamo tutti aspettando, e ora la palla è nelle
mani del governo». SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE SEGUE A PAGINA 28
(
da "Manifesto, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
COMMENTO
Le assenze di Obama Maurizio Matteuzzi L'amministrazione Obama è nata, per sua
stessa ammissione, (anche) per ridare all'etica un posto di prima fila nel
teatro della politica, dopo le devastazioni morali e materiali degli anni di
Bush. Etica, e coraggiosa, è stata la decisione di Obama di ordinare la
pubblicazione dei 4 rapporti del ministero della giustizia sui «metodi di
interrogatorio duri» - leggasi tortura - usati dalla Cia nella «guerra al
terrorismo». Improntata all'etica anche la decisione, più volte ribadita dalla
nuova amministrazione, di «rientrare» alle Nazioni unite, dopo gli anni
dell'unilateralismo e dell'aperto disprezzo di Bush .Ma la spinta etica di
Obama sembra, almeno per ora, esaurirsi qui. CONTINUA|PAGINA12 Privilegiando
altri obiettivi che con l'etica hanno poco a che fare. Quali l'assenza - felici
di essere smentiti - di un'azione giudiziaria contro i «mandanti» degli agenti
torturatori e l'assenza da «Durban 2», la conferenza sul razzismo di Ginevra,
che Obama ha deciso di boicottare. Come prima (come sempre?), la politica
contro l'etica. La politica come Realpolitik. E, ancora una volta, il doppio standard su temi quali i diritti umani e il razzismo, indissolubili. Ci
sarebbe già da discutere sull'aministia preventiva che Obama ha regalato ai
torturatori della Cia, sulla base dell'obbedienza dovuta - di sinistra memoria
argentina - a ordini superiori. Forse - realismo politico oblige - non era
consigliabile fare di più, per non provocare l'ammutinamento della
Compagnia. E non ricadere nella facile scappatoia della «mela marcia». A una
condizione, però, come rilevava un editoriale del sovversivo New York Times di
domenica: di risalire, e colpire, gli anelli superiori della catena di comando.
Nella fattispecie personaggi come quel Jay Bybee, ex assistente ministro della
giustizia ed estensore dei più «nauseanti passaggi» (NYT) del manuale di
tortura, ora giudice federale. Ma sopra i Bybee e i tanti piccoli minuziosi
Eichmann come lui, c'erano i Donald Rumsfeld alla difesa, gli Alberto Gonzalez
alla giustizia, i Dick Cheney alla vicepresidenza. Anche senza volere o potere
riesumare George Bush, la testa del serpente, è a quegli anelli che Obama deve
arrivare se vuole coniugare l'etica alla politica. Lo stesso ragionamento vale
anche, a nostro avviso, per il boicottaggio di Durban 2 sul razzismo proclamato
da Obama, anticipato da Israele e seguito da un certo numero di paesi, fra cui
l'Italia. Se per l'Italia con ogni probabilità la ragione vera sia il più che
il giustificato timore di essere chiamata in causa per gli exploit razzisti
nostrani, per gli Usa di Obama si deve parlare di automatica subalternità a
Israele, indipendentemente dal governo in carica in quel paese. E quindi anche
nel caso che quel governo sia il più di destra nella storia dello stato ebraico
e il più antitetico rispetto alle intenzioni dell'amministrazione Usa sul
conflitto. Durban 2 forse non è stata preparata nel migliore dei modi, forse
sarebbe stato meglio non iniziare i lavori con l'attacco immediato e frontale a
Israele di un Ahmadinejad. Forse e senza forse. Però chiunque non sia accecato
sa bene che Israele in quanto stato ebraico è uno stato etnico-religioso e che
razzista è il suo governo - specie adesso con quel tal ministro degli esteri. E
sa che fra razzismo e diritti umani il legame è
indissolubile.
(
da "Manifesto, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
INFORMAZIONE
Domani il cda decide su «Annozero» Maggioranza divisa Micaela Bongi Le nomine
Rai possono attendere. Il premier Silvio Berlusconi avrà una settimana di tempo
in più per farcire il pacchetto confezionato venerdì a casa sua con i «volti
nuovi» che ha promesso per reti e testate, perché domani il consiglio
d'amministrazione di viale Mazzini dovrà occuparsi di Annozero. Della puntata
sul terremoto che ha disturbato il Cavaliere - ma anche Gianfranco Fini - e ha
fatto scattare il direttore generale Mauro Masi, pronto trasformare in
provvedimenti censori le proteste del governo; e di quella di giovedì scorso,
che secondo il dg avrebbe dovuto riparare al danno e tenere lontano dal piccolo
schermo Vauro, sospeso da tutte le reti e i tg del servizio pubblico. Ma
Santoro non ha «riparato» e Vauro è stato presente con le sue vignette. E così
i consiglieri d'amministrazione del Pdl si preparano a sostenere la linea dura.
Riprendendo un ritornello risuonato negli ultimi giorni nel Pdl, anche Bruno
Vespa dice che «nessuno osa più toccare Santoro perché nessuno vuole farne un
martire». Ma Santoro ha chiarito che Vauro è parte integrante di Annozero,
assicurando che giovedì, cioè il giorno dopo la riunione del cda che potrebbe
far scattare nuovi provvedimenti, sarà in trasmissione. Il dg, comunque - che
in consiglio porterà una sua relazione - potrebbe anche evitare di calcare la
mano per non esordire con una spaccatura nella maggioranza, visto che la
consigliera leghista Giovanna Bianchi Clerici non si è finora unita al coro di
chi invoca punizioni, e un flop. Ma i riflettori sono puntati anche sul
«presidente di garanzia» Paolo Garimberti: anche lui presenterà una sua
relazione, ma finora non ha voluto dire una parola né sulla censura né sulle
nomine. A tutto il cda si rivolge l'Ordine dei giornalisti del Lazio, invitando
il vertice Rai a «riflettere sulle libertà di espressione, di inchiesta e di
critica che, se non ci fossero, negherebbero la validità stessa
dell'informazione». Due ex parlamentari europei, Lucio Manisco e Giuseppe Di
Lello, e il giornalista Alessandro Cislin hanno invece presentato un esposto al
Consiglio d'Europa - Assemblea parlamentare, Corte europea dei diritti dell'uomo, Commissario per i diritti umani - sul «devastante degrado» della
libertà di informazione e di critica nel settore televisivo e «il controllo del
presidente del consiglio Silvio Berlusconi sul servizio pubblico Rai tv». Alla
base dell'esposto, «le misure censorie e disciplinari adottate nei confronti
dei due programmi di giornalismo investigativo condotti da Milena
Gabanelli e da Michele Santoro» e le notizie sul vertice a palazzo Grazioli per
decidere chi guiderà reti e testate della tv pubblica. Si chiede dunque agli
organi competenti del Consiglio d'Europa di avviare un'indagine conoscitiva e
un «monitoraggio di questi e di prevedibili nuovi attacchi alla libertà di
informazione in Italia» e di richiamare il governo e il parlamento italiani a
osservare i rilievi sul conflitto di interessi già avanzati. L'Associazione
Articolo 21, poi, ha messo al lavoro i suoi giuristi perché chiedano alle
autorità di garanzia, in sede internazionale e nazionale, «di aprire una
formale istruttoria sulla gravissima situazione». Mentre la Federazione europea
dei giornalisti ha chiesto alla Federazione nazionale della stampa italiana
chiarimenti sulle nomine Rai. Lo ha riferito ieri il segretario della Fnsi
Franco Siddi all'assemblea dell'Usigrai (sindacato dei giornalisti di Saxa
Rubra). Al presidente del cda Paolo Garimberti Fnsi e Usigrai chiedono di
essere «garante di criteri e motivazioni delle scelte che saranno fatte».
(
da "Manifesto, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
ISRAELE
Cifre della Banca Mondiale: ogni israeliano consuma acqua
come quattro palestinesi Si chiama sete l'ultima tortura per la Palestina
Michele Giorgio GERUSALEMME La distribuzione dell'acqua tra israeliani e
palestinesi, decisa con gli accordi di Oslo II del 1995, deve essere modificata
immediatamente se si vuole mettere fine ad una discriminazione che sta per
provocare una catastrofe nei Territori occupati. A raccomandarlo con forza
è la Banca mondiale che in un rapporto diffuso ieri riferisce che un israeliano
ha a disposizione una quantità d'acqua quattro volte superiore a quella di un
palestinese. L'accordo siglato dalle due parti ha messo in ginocchio i
palestinesi, vittime di intese di 14 anni fa, frutto delle imposizioni della
parte più forte, Israele, sulla debole Anp dello scomparso Arafat. E' la prima
volta che la Banca mondiale produce un rapporto sulla distribuzione dell'acqua
tra israeliani e palestinesi. Lo studio sottolinea che la divisione ineguale
delle risorse idriche e la mancanza di informazioni precise sulle riserve di
acqua, ha impedito ai palestinesi di poter accedere a nuove fonti. I
palestinesi hanno diritto soltanto a un quinto delle riserve dell'acqua potabile.
Il resto finisce nel sistema di distribuzione israeliano senza che il comitato
congiunto incaricato dagli accordi di Oslo abbia la possibilità di
riconsiderare l'assegnazione delle quote. In sostanza Tel Aviv si preoccupa di
tenere la quantità d'acqua per la sua popolazione sugli standard stabiliti
internazionalmente, senza preoccuparsi delle conseguenze per i palestinesi. E'
da considerare anche il fatto che i rari nuovi pozzi che i palestinesi hanno
potuto scavare nei 42 anni di occupazione, hanno garantito modeste quantità di
acqua a differenza degli israeliani che, grazie alla loro tecnologia, possono
arrivare a profondità maggiori. I problemi sono resi più acuti
dall'inefficienza delle istituzioni dell'Anp. Israele ha respinto il rapporto
sostenendo che il suo apparato industriale, ampiamente superiore a quello
palestinese, richiede maggiore quantità d'acqua. Dopo l'occupazione di
Cisgiordania e Gaza nel 1967,
l'esercito israeliano trasferì il controllo delle
risorse idriche palestinesi alla società Mekorot. Da allora i palestinesi hanno
un controllo molto limitato delle proprie risorse idriche che, in buona parte,
finiscono in Israele. Diversi villaggi della Cisgiordania inoltre non hanno
acqua potabile per gran parte dell'anno e gli abitanti, paradossalmente, sono
costretti in non pochi casi a comprarla dai coloni israeliani che occupano la
loro terra.
(
da "Manifesto, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
DIRITTI UMANI Ahmadinejad spacca la conferenza Onu Il
presidente iraniano apre «Durban II» con un attacco durissimo contro lo Stato
ebraico. Il segretario generale Ban ki-Moon: sbagliato politicizzare l'incontro
«Israele razzista», decine di delegati lasciano il summit contro la xenofobia. Amnesty: un
errore boicottarlo Michelangelo Cocco Alle parole «regime razzista crudele e
repressivo» rivolte dal presidente iraniano all'indirizzo d'Israele, i rappresentanti
di 23 paesi dell'Unione europea, sfilando platealmente davanti al podio di
Ahmadinejad, hanno abbandonato la sala dove si stava svolgendo la prima
giornata dell'incontro e per la Conferenza delle Nazioni Unite contro razzismo
e xenofobia è stato un colpo durissimo. Un vero e proprio uno-due dopo il
boicottaggio, formalizzato nelle ultime ore, da otto governi occidentali, tra
cui quello italiano e statunitense, che hanno rinunciato a prendere parte al
consesso apertosi ieri a Ginevra. Amnesty international ha condannato la
decisione di Italia, Stati Uniti, Israele, Australia, Germania, Canada, Olanda
e Polonia di non partecipare alla Conferenza. «Dopo la Seconda guerra mondiale
(gli israeliani) sono ricorsi alle aggressioni militari per rendere senza tetto
un'intera nazione (i palestinesi), grazie al pretesto della sofferenza degli
ebrei - ha attaccato il presidente della Repubblica islamica -. E hanno spedito
migranti dall'Europa, dagli Stati Uniti e altre parti del mondo per fondare un
governo completamente razzista nella Palestina occupata». «E infatti - ha
continuato Ahmadinejad - come compensazione per le atroci conseguenze del
razzismo in Europa, hanno appoggiato l'ascesa al potere del regime razzista più
crudele e repressivo in Palestina». Usciti per protesta molti diplomatici,
tanti altri sono rimasti ad applaudire il leader sciita che tra poche settimane
a Tehran cercherà di battere i riformisti ed essere rieletto. Durissime le
proteste di Francia e Gran Bretagna. «Vergognoso» secondo Washington il
discorso di Ahmadinejad. «Questo discorso è stato totalmente inappropriato in
una conferenza che mira a promuovere la diversità e la tolleranza» ha fatto
sapere Navi Pillay, l'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani che ha convocato l'incontro. Tel Aviv ha richiamato il
suo ambasciatore in Svizzera e ha anche protestato per il faccia a faccia che
il capo della confederazione elvetica Hans-Rudolf Merz ha concesso l'altro ieri
al suo omologo iraniano. La condanna più dura al discorso di Ahmadinejad è
arrivata da Ban Ki-moon, che nelle scorse settimane aveva fatto appello a non
boicottare l'appuntamento. «Deploro l'uso di questo palco da parte del
presidente iraniano per accusare, dividere e anche incitare - ha dichiarato il
Segretario generale delle Nazioni Unite -. Tutti dobbiamo prendere le distanze
da un messaggio simile, sia dalla sua forma sia dalla sua sostanza». Per
Israele e le comunità ebraiche della diaspora ieri ricorreva il Giorno della
memoria, quello in cui si ricordano i sei milioni di ebrei che - oltre a
centinaia di migliaia di comunisti, zingari, omosessuali e disabili - furono
sterminati dal regime nazista di Hitler. «Sei milioni di appartenenti al nostro
popolo furono massacrati durante l'olocausto. Nessuno ha imparato la lezione,
sfortunatamente», ha tuonato Benjamin Netanyahu. «Mentre li commemoriamo, una
conferenza che dovrebbe essere contro il razzismo si svolgerà in svizzera.
L'ospite d'onore è un razzista, un negazionista dell'Olocausto che non fa
segreto della sua intenzione di spazzare via Israele dalla faccia della terra»
ha dichiarato il premier israeliano. Il suo ufficio ha informato che il premier
e il ministro degli esteri Avigdor Lieberman hanno deciso di richiamare
l'ambasciatore Ilan Elgar da Berne «per consultazioni e in protesta contro la
Conferenza a Ginevra». La bozza di documento preparata non prevede alcun
riferimento specifico a Israele o al Medio Oriente, ma «riafferma» il testo
approvato nel 2001 alla Conferenza di Durban, che affronta la questione in sei
paragrafi. Nonostante i massacri di Gaza (1.417 palestinesi uccisi durante la
recente operazione «Piombo fuso»), il perdurare dell'embargo contro la Striscia
governata da Hamas e la colonizzazione senza sosta della Cisgiordania, la
campagna di pubbliche relazioni iniziata nei mesi precedenti «Piombo fuso» e
appoggiata dai principali gruppi di pressione (soprattutto quelli Usa)
filo-israeliani ha avuto successo nel delegittimare Durban II come «un
tribunale anti-israeliano». Fino alla conclusione della Conferenza, sabato
prossimo, attivisti pro-Israele distribuiranno volantini sulle violazioni dei
diritti dell'uomo in Iran, «con particolare enfasi sulle esecuzioni pubbliche e
la violenza contro le donne» riferiva ieri Ha'aretz. In questo come altri casi
(emblematica l'azione anti-boicottaggio del «britannico» Ron Prosor) la
campagna sarà supervisionata da un diplomatico di Tel Aviv, Ronnie Lashno
-Yaar. Il quotidiano israeliano ha raccontato che a Ginevra Tel Aviv ha
approntato una sala stampa attrezzata per rispondere in tempo reale alle
dichiarazioni anti-israeliane e spedito nella città svizzera una delegazione
speciale di 14 studenti che hanno ricevuto un training presso il ministero
degli esteri e il Congresso mondiale ebraico.
(
da "Manifesto, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
USA Mentre Obama visita la sede della Cia «Torturati
266 volte con il waterboarding» Matteo Bosco Bortolaso Ieri il presidente
Barack Obama ha parlato per la prima volta ai funzionari della Cia proprio
mentre emergeva uno dei particolari più raccapriccianti sul recente passato
dell'agenzia: sotto George W. Bush, due sospetti di Al Qaeda sono
stati sottoposti alla simulazione di annegamento, o waterboarding, per 266
volte. Nell'agosto 2002 Abu Zubaydah, considerato un uomo di bin Laden, sarebbe
stato sottoposto al waterboarding per 83 volte. Nel marzo 2003, quella che
viene considerata la mente dell'11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed (KSM nei
documenti segreti) sarebbe stato torturato 183 volte (sei al giorno). Nel 2007
la versione di un ex agente della Cia, John Kiriakou, non dava il senso
dell'orrore: allora si diceva che il sospettato veniva sottoposto a
waterboarding «per 30, 35 secondi» ed era pronto a dire qualunque cosa. Le vere
cifre dell'orrore sono uscite da un memorandum del ministero di giustizia
americano datato 30 maggio 2005, uno dei quattro memo che il presidente Barack
Obama ha voluto rendere pubblici. «Trattenerli - aveva detto - servirebbe
soltanto a negare fatti che sono stati di pubblico dominio per diverso tempo» e
alimenterebbe «assunti sbagliati e provocatorii su ciò che hanno fatto gli
Stati Uniti». «La pubblicazione di questi numeri - scriveva ieri il New York
Times - entrerà con ogni probabilità nel dibattito sulla moralità e
sull'efficacia dei metodi di interrogatorio che il dipartimento di giustizia ha
dichiarato legali sotto l'amministrazione Bush, anche se gli Stati Uniti li
hanno considerati storicamente come tortura». Il dibattito era già parecchio
aspro: alcuni agenti della Cia non volevano la pubblicazione dei memorandum. Ma
lo stesso Obama ha assicurato che le spie che hanno fatto ricorso al
waterboarding non saranno processate. Forse lo saranno gli autori dei documenti
che hanno dato luce verde alla tortura. Ma non ci sarà, almeno per ora, nessuna
«commissione per la verità», richiesta da più parti per processare le controverse
scelte di Bush nel portare avanti la guerra ad Al Qaeda. Un'indagine, comunque,
è stata aperta alla commissione intelligence del Senato, proprio sui metodi di
interrogatorio più vicini alla tortura. I numeri pubblicati ieri dalla stampa
sarebbero comparsi per la prima volta su alcuni blog - tra questi «Emptywheel»
- e alcune versioni del memorandum reso pubblico dopo la richiesta di Obama
avrebbero contenuto degli omissis, delle righe nere che coprivano alcuni
dettagli, insomma sarebbero stati aggiustati, «redacted», che è anche il titolo
di un film che racconta proprio le scelte sbagliate della guerra ad Al Qaeda.
Quante volte sono stati torturati i sospetti? «Still classified», ancora
segreto, ha detto l'ex direttore della Cia Michael Hayden al Fox News Sunday.
Lo stesso Hayden si è lamentato della diffusione dei quattro memo, che secondo
lui non dovevano essere resi pubblici perché «mostrano il limite estremo che un
americano può raggiungere nell'interrogare i terroristi di Al Qaeda». Secondo
Hayden, inoltre, le «tecniche» - l'ex direttore non è stato più specifico -
usate su Zubaydah hanno portato all'arresto di un altro sospetto, Ramzi
Binalshibh. Ma il New York Times sostiene che il prigioniero avesse già detto
tutto in una prigione segreta in Thailandia e che il waterboarding non avrebbe
aggiunto nulla. Il quotidiano sottolinea che pure uno dei memo, in una nota a
più di pagina, sostiene che l'uso delle «tecniche più dure» non serva. Zubaydah
e KSM non sono i soli ad essere stati sottoposti a waterboarding. La Cia ha
ammesso che anche Abd al-Rahim al-Nashiri, considerato responsabile
dell'attacco alla nave Uss Cole in un porto dello Yemen (17 marinai americani
uccisi), è stato interrogato allo stesso modo. Ieri, tra l'altro, il numero due
di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri, ha invitato i musulmani a non farsi ingannare
dalla mano tesa di Obama. «L'America si è presentata con un nuovo volto col
quale sta tentando di ingannarci - ha detto Zawahiri - invoca il cambiamento,
ma l'obiettivo è quello di cambiarci facendoci abbandonare la nostra religione
e i nostri diritti».
(
da "Manifesto, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
IL
VERTICE Dopo la «battaglia» di ieri a rischio la dichiarazione comune di
condanna di razzismo e xenofobia E l'anti-razzismo? È finito ostaggio dello
scontro tra Israele e Iran Alberto D'Argenzio BRUXELLES Di razzismo non si
parla, almeno non a Ginevra e almeno non per ora. Le parole di Ahmadinejad,
l'uscita dalla sala degli ambasciatori europei ed ancor prima il boicottaggio
di Usa, Israele, Italia, Olanda, Polonia, Germania, Canada, Nuova Zelanda e
Australia, rischiano di liquidare il vertice mondiale sul nascere. Sarà dura
per Ban Ki-moon e soprattutto per l'anima di Durban II, l'Alta
commissaria dell'Onu per i diritti umani Navi Pillay, salvare il salvabile, che in fondo è una
dichiarazione univoca ed universale contro razzismo, xenofobia, islamofobia e
antisemitismo. Un testo, o meglio, ancora una bozza di conclusioni, finita
ormai ostaggio di due mondi che si fanno la guerra sulla pelle di chi il
razzismo, nelle sue diverse declinazioni, lo vive in prima persona. E
sono molti. «Sono profondamente deluso - ha detto ieri il Segretario generale
delle Nazioni unite puntando il dito sul partito del boicottaggio - rimpiango
profondamente che alcuni abbiano scelto di farsi da parte. Spero che non duri a
lungo». Tra chi non va a Ginevra e chi ci va per dare battaglia, rimane ben
poco sul tavolo e quel poco è un testo che nella sua ultima versione, decisa
per consenso venerdì scorso, non menziona direttamente Israele e nemmeno i
territori occupati (ma sì include un riferimento all'Olocausto ed alla
necessità di non dimenticare quel genocidio). Mancano, insomma, quegli aspetti
che avevano portato all'abbandono da parte di Stati uniti ed Israele della
Conferenza di Durban del 2001. Il problema è che è comunque presente nel testo
un richiamo proprio alle conclusioni della riunione in Sud Africa di otto anni
fa, quelle dello scandalo e dell'abbandono. A questo, a un richiamo, si
aggrappa il partito del boicottaggio, un partito che spacca l'Unione europea,
anche se non in parte uguali. Ieri gli ambasciatori dei 23 paesi della Ue (su
27) che si sono recati a Ginevra hanno levato le tende alle parole di
Ahmadinejad, ma solo per il suo intervento: non abbandoneranno la Conferenza.
Almeno non per il momento. La Commissione Ue, presente come osservatrice, ha
ricordato che il testo pur non essendo «ideale, ma il frutto di un
compromesso», rispetta comunque «le linee rosse» fissate dai 27. L'esecutivo comunitario,
ha affermato una portavoce, intende comunque «reagire in modo appropriato» a
eventuali «dichiarazioni inaccettabili». Parole spese prima dell'intervento di
Ahmadinejad. «Il documento finale - ha detto ancora Ban Ki-moon - è molto
equilibrato e stabilisce un quadro concreto di azione in una campagna globale
alla ricerca della giustizia per le vittime del razzismo nel mondo». Dal testo,
oltre a mancare i riferimenti a Israele, è stato eliminato anche l'articolo
sulla «diffamazione di religione», un punto reclamato da molti paesi musulmani
ma condannato da quelli occidentali per i suoi possibili effetti sulla libertà
di espressione. «La migliore replica a questo tipo di eventi - ha dichiarato
ieri Pillay riferendosi a presenti ed assenti - è di rispondere e correggere,
non di ritirarsi e boicottare la Conferenza». Anche perché, fa notare l'Alta
commissaria per i diritti umani dell'Onu, chi non è
d'accordo può sempre chiarire la propria posizione con una nota a pie di
pagina, una pratica di routine nei negoziati internazionali. Evidentemente
quando ci sono di mezzo Ahmadinejad e Israele la routine salta.
(
da "Sole 24 Ore, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il
Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-04-21 - pag: 10 autore: Stati Uniti. La
visita al quartier generale di Langley dopo le polemiche per i memorandum sulle
violenze ai terroristi Obama alla Cia: vi proteggerò Il presidente si impegna a
difendere l'identità e la sicurezza degli agenti Mario Platero NEW YORK. Dal
nostro corrispondente di grande influenza nel partito che fu capo di gabinetto
di Bill Clinton che il generale Hayden il responsabile della Cia sotto Bush
avevano sconsigliato la diffusione dei memorandum Barack Obama ha difeso ieri
la sua decisione di pubblicare i controversi memo sulle torture della Cia a
Langley, in Virginia, ai quartieri generali della Central Intelligence Agency
in un discorso davanti agli analisti dell'agenzia per il controspionaggio e
agli agenti segreti: «Le circostanze attorno ai memorandum sulle tecniche della
Cia erano in gran parte già note, sono informazioni che riguardano il passato e
ho combattuto per tenere segreta l'indentità degli agenti, un ordine questo che
resterà rigoroso- ha detto Obama - la verità in tutto questo è che ho messo
fine alle tecniche di detenzione e di tortura negli interrogatori perché non ne
abbiamo bisogno, perché la nostra Nazione è più forte e sicura quando
schieriamo il nostro potere, ma anche il potere dei nostri valori». Obama ha
raccolto applausi calorosi dagli agenti e dagli analisti della Cia che, occorre
ricordarlo, in più occasioni si erano trovati in disaccordo con le politiche
dell'amministrazione Bush. è chiaro tuttavia che Obama sta soffrendo molto per
questa vicenda e continua a trovarsi preso fra due fuochi. Gli attacchi di
destra, virulenti e aggressivi lo accusano di aver «umiliato agenti e una delle
organizzazioni che meglio difende il Paese» e di aver messo a rischio la
sicurezza degli Usa. Quelli di sinistra lo accusano di non essere andato fino
in fondo perseguendo legalmente non solo gli agenti che hanno materialmente
eseguito le torture, ma i funzionari del dipartimento della Giustizia e della
Casa Bianca di Bush che avevano creato l'entroterra giuridico per autorizzarle.
In effetti sia Leon Panetta, l'attuale capo della Cia, un democratico che
risalgono al 2005 e che descrivono nel dettaglio le tecniche di tortura e
quelle di detenzione dei sospetti di attività terroristica. Ieri Hayden ha
criticato Obama per essere andato avanti con la sua decisione ed ha affermato
che le tecniche di interrogatorio della Cia sono state «preziose per
scongiurare un altro attacco contro gli Stati Uniti. Hanno funzionato e ci
hanno dato molte rivelazioni importanti». Ma l'autore Ron Suskid, uno dei
maggiori esperti americani in materia, ieri ha negato che
le torture, il cosiddetto "waterboarding" ad esempio, siano state
efficaci: «Non mi risulta che quel che sapevamo lo abbiamo ottenuto grazie alla
tortura. Anzi se prendiamo il caso di Abu Zubaydah, ha rivelato tutto quasi subito
e poi è stato torturato innumerevoli volte ma non aveva più niente da dire».
Obama ha confermato che non autorizzerà le commissioni di inchiesta criminali
contro chi ha "legalizzato" le torture. «è il momento di guardare
avanti - ha detto ancora - non di pensare alle vendette o alle punizioni per il
passato. Ho eliminato queste forme di tortura, ora dobbiamo voltare pagina,
voglio ringraziare tutti voi che lavorate alla Cia perché difendete la libertà
e il vostro lavoro sarà sempre più importante e prezioso per la sicurezza della
Nazione». Ma le rivelazioni ormai non si fermano. Ieri il New York Times ha
dato notizia che su due prigionieri - Kalhed Shaikh Mohammed e Abu Zubaydah,
ideatori degli attentati dell'11 settembre- la tecnica del waterboarding che
simula l'annegamento, è stata applicata ben 266 volte (183 al primo, 83 al
secondo) in meno di due mesi. Le tecniche erano tanto dure, ha scritto il New
York Times, che «gli agenti temevano di aver passato i limiti legali e che i
prigionieri avrebbero potuto restare uccisi». © RIPRODUZIONE RISERVATA NUOVI
DETTAGLI SHOCK Gli 007 dell'agenzia «lavorano per la libertà» Per i due
ideatori dell'11 settembre in pochi mesi 266 annegamenti simulati
(
da "Sole 24 Ore, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il
Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-04-21 - pag: 10 autore: Prigionieri di
serieB Il detenuto Britel, torturato e ignorato Claudio
Gatti NEW YORK. Dal nostro inviato Torture e ingiustizie sulle prime pagine dei
giornali. Negli ultimi giorni,in Italia come nel resto del mondo, si è letto di
Roxana Saberi, la giornalista persianoamericana condannata dal governo iraniano
a 8 anni di reclusione dopo un processo a porte chiuse alla cui legittimità
hanno creduto pochi. E si è scritto ancora di più di Abu Zubaydah,un
saudita legato ad al-Qaida sottoposto per un centinaio di volte a varie forme
di tortura durante gli interrogatori condotti dalla Cia. Insomma ingiustizie e
torture fanno notizia. Ma evidentemente solo in modo selettivo. Perché c'è un
cittadino italiano che da ben sette anni denuncia di essere vittima di abnormi
ingiustizie e di torture sia psicologiche che fisiche. Eppure di lui (quasi)
nessuno parla. Ci riferiamo ad Abou Elkassim Britel, un bergamasco con doppia
cittadinanza, quella marocchina dalla nascita e quella italiana acquisita dopo
10 anni di soggior-no legale nel nostro Paese, che dopo essere stato arrestato
in Pakistan, ingiustamente accusato di possedere un passaporto italiano falso,è
stato a sua detta prima torturato a Lahore e poi trasportato in Marocco dagli
americani in una delle cosiddette extraordinary rendition. In Marocco è stato nuovamente
sottoposto a torture in un carcere segreto dei servizi locali e poi rinchiuso
in prigione. Da allora è sempre rimasto in carcere in Marocco. Come Saberi
anche Britel è stato condannato per reati di opinione dopo un processo di
dubbia solidità giuridica. E come Zubaydah è stato sottoposto a torture. La
differenza è che Britel non risulta aver mai fatto parte della rete di
al-Qaida.Anzi,il 29 settembre 2006 il Gip del Tribunale di Brescia ha disposto
l'archiviazione del procedimento che era stato aperto dalla Digos contro di
lui. IL PERSONAGGIO Del dramma di Britel si sono occupati il Parlamento europeo
e organizzazioni umanitarie di tutto il mondo, incluso l'americana Aclu,quella
che la settimana scorsa ha spinto il presidente Obama a rendere pubblico il
contenuto dei quattro memorandum del Dipartimento della Giustizia sulla
tortura. Ma in Italia, pochi hanno risposto ai suoi ripetuti appelli. «Sono
Abou Elkassim Britel, cittadino italiano, mi trovo ancora rinchiuso in carcere
in Marocco... Sono stato abbandonato nella più completa indifferenza nonostante
le molteplici prove delle ingiustizie che ho subito» ha scritto in una lettera
inviata nel gennaio 2007 al presidente della Repubblica e ai ministri degli
Esteri e della Giustizia. In altri memoriali che Britel è riuscito a far uscire
dal Marocco, e di cui Il Sole-24 Ore ha copia, si parla di torture di ogni
genere che hanno causato capogiri permanenti, diarrea cronica e la
compromissione di un occhio, un orecchio ed entrambe le ginocchia. I segni di quelle
torture sono stati visti da sua moglie, Anna Kadhija Pighizzini Britel, che lo
ha incontrato in Marocco notando lividi e cicatrici ovunque nel corpo. Il suo
avvocato, Francesca Longhi, al Parlamento europeo ha invece parlato di
«interrogatori svolti mentre lui era sdraiato sulla rete in basso di un letto a
castello, con i polsi amma-nettati a un montante della rete superiore e i piedi
legati alla rete inferiore» e dei suoi «disperati tentativi di proteggersi dai
colpi utilizzando le mani, ragione per cui non ha più la sensibilità negli arti
superiori». © RIPRODUZIONE RISERVATA IL CASO L'uomo di cittadinanza italiana,
prelevato con una extraordinary rendition, è in carcere in Marocco da oltre
sette anni In galera. Abou Elkassim Britel ( nella foto), 42 anni,con doppia
cittadinanza, italianae marocchina, è in carcere in Marocco per reati di
opinione. Ha denunciato di essere stato più volte picchiato e torturato
(
da "Unita, L'"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il
tiranno oscura il summit SPACCATURA ALL'ONU Peccato che di razzismo, alla
Conferenza di Ginevra, alla fine non si parlerà affatto. Ce ne sarebbe bisogno,
dal momento che disuguaglianze e intolleranze nel mondo crescono. Eppure la
nostra attenzione è interamente catturata, mentre si aprono i lavori, dalle
sentenze minacciose di Ahmadinejad, terribili e ridicole al tempo stesso. Il
tiranno che ha appena incriminato di spionaggio una giornalista, senza contare
tutti gli oppositori gettati in galera, torturati, ammazzati. Proprio lui
rimbalza sulle agenzie giornalistiche di tutto il mondo, nel giorno in cui ci
si dovrebbe interrogare sui progressi (eventuali) fatti
nella lotta al razzismo e alla xenofobia, e nel rispetto dei diritti umani. Se i media avranno spazio residuo
per parlare di quanto accade a Ginevra, si interrogheranno sull'opportunità di
questo summit, o più probabilmente sulla scelta di partecipare operata dalla
Ue, dall'Inghilterra, dalla Francia, da Benedetto XVI. Per il razzismo
globale non rimarrà neanche un trafiletto: non una parola sulle nuove forme di
schiavitù, sulla tratta degli esseri umani, su società
in cui censo e colore della pelle orientano l'appartenenza ad una casta, sulla
discriminazione delle donne, sull'infanzia negata. Niente. Le Nazioni Unite
hanno tutto l'interesse, giustificato, a rendere la partecipazione ai vertici
la più ampia possibile. Per questo rincorrono il compromesso fino all'ultimo,
nella speranza di tenere dentro tutti. Ma senza una riforma strutturale non
possiamo attenderci nulla di buono. Non è semplice, perché i principi e i
diritti democratici non sono in maggioranza tra gli Stati membri dell'Onu. Se
però non riusciamo ad evitare il danno, almeno proviamo a liberarci della
beffa. A che serve una Conferenza come questa, se non ad aprire la campagna
elettorale del presidente iraniano?
(
da "Unita, L'"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Annegamento,
la tortura usata dalla Cia per 266 volte su due presunti
terroristi RACHELE GONNELLI Acqua versata a forza in bocca e nel naso fino a
provocare una sensazione di annegamento. La tecnica del waterboarding, una
tortura che arriva a simulare e a sfiorare la morte del prigioniero, è stata
applicata per ben 266 volte su due soli detenuti speciali in mano agli uomini
della Cia. I due erano ritenuti all'epoca tra i massimi dirigenti
operativi di Al Qaeda. Si tratta di Abu Zubaydah e di Khalid Shaikh Mohamed,
considerati le menti degli attentati alle Torri Gemelle. In base ad un rapporto
redatto per il Dipartimento della Giustizia americano datato 2005 e pubblicato
ieri dal New York Times, Zubaydah nella prigione segreta in Thailandia
nell'agosto del 2002 fu sottoposto a 83 annegamenti simulati. Shaikh Mohammed
addirittura a 183. MEDICI TORTURATORI Negli ultimi anni di Bush presidente,
quando si scoprì l'uso di waterboarding su prigionieri sospettati di terrorismo
internazionale, i responsabili provarono inizialmente a derubricare questa
tecnica dai metodi di tortura, sostenendo che si trattava solo interrogatori un
po' più duri degli altri ma utili a strappare informazioni necessarie alla
difesa nazionale a imputati particolarmente ostinati. In realtà già nel 2007 in una intervista
televisiva alla Abc News un ex ufficiale della Cia, John Kiriakou, proprio
citando il caso dell'interrogatorio di Zubaydah, disse che il presunto capo di
Al Qaeda aveva resistito appena 35 secondi prima di confessare tutto, nomi e
particolari, tutto ciò che sapeva e - chissà - forse anche di più. Ma
evidentemente non bastò. La simulazione dell'annegamento fu ripetuta infatti
altre decine e decine di volte. Altre ottantadue, secondo quanto risulta nel
rapporto Cia. Il trattamento duro non fornì altre informazioni ma andò lo
stesso avanti. Zubaydah per mesi era stato tenuto al freddo legato a una sedia,
nudo, in una musica assordante, privato del sonno, privato del cibo. Non
bastava. Furono chiamati medici e psicologi per escogitare nuove efferatezze.
Uno psicologo - il nome è tenuto segreto dalla Cia - scoprì la sua fobia per
gli insetti e propose di rinchiuderlo dentro uno scatolone che ne fosse pieno.
Poi si passò al waterboarding e fu addirittura chiamato un esperto supervisore
dal quartier generale dell'intelligence. Alla fine, molto alla fine, non
ottenendo altri risultati, le conclusioni del rapporto giudicarono «non
necessarie» altre sedute di waterboarding. Michael Hayden, direttore della Cia
negli ultimi due mesi dell'amministrazione Bush, non ha voluto commentare le
nuove rivelazioni. Il presidente Obama ha decretato la fine di questi metodi.
Ma recentemente ha anche garantito l'immunità e la segretezza agli uomini
dell'Agenzia che li hanno praticati, mettendo anche un altolà a eventuali
inchieste di giudici stranieri come quella che era stata avviata dal
procuratore spagnolo Baltazar Garzon sui casi di cinque detenuti di Guantanamo
con passaporto spagnolo. Ieri Obama è andato in visita nel quartier generale
della Cia a Langley. Evidentemente i torturatori dell'era Bush chiedevano
ulteriori rassicurazioni sulla loro non perseguibilità. Annegamento simulato,
waterboarding: gli agenti Cia praticarono questa tortura per 266 volte su due
prigionieri sospettati di essere le menti degli attentati dell'11 settembre.
Ora sarebbe illegale ma non sarà perseguito.
(
da "Corriere della Sera"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 21/04/2009 - pag: 3 L'altro incontro Di fronte al
palazzo dell'Onu, il premio Nobel interviene insieme con Lévy e Cotler L'orrore
e la rabbia di Wiesel «Auschwitz, lezione ignorata» Choc alla cerimonia in
ricordo della Shoah: «Una vergogna» Al tramonto, risuona la preghiera per
l'inizio di Yom HaShoah: il leader iraniano ha parlato poche ore prima DAL
NOSTRO INVIATO GINEVRA La fossa di Bogdanovka contiene oltre 40mila cadaveri. I
corpi sono stati ritrovati, i proiettili identificati e archiviati. Balistica
dell'Olocausto. Padre Patrick Desbois ha scoperto altre 850 voragini
dell'orrore, tra la Bielorussia e l'Ucraina. Questo prete di cinquantaquattro
anni tiene i rapporti con la comunità ebraica per i vescovi di Francia e con
l'associazione Yahad-In Unum (Insieme) viaggia nell'Est per scovare le fosse
che hanno accumunato nella morte ebrei e zingari. «Perché lo faccio?», chiede
dal palco. «Sono stati uccisi come degli animali e seppelliti come delle
bestie. Voglio ridare loro la dignità e la possibilità di ricevere un kaddish».
La preghiera per il lutto risuona anche qui, quando il tramonto segna l'inizio
di Yom HaShoah, il giorno dell'Olocausto. Le parole si intrecciano con la
musica klezmer, i discorsi con la luce della fiamma della memoria. Senza
applausi. Come in Israele dove i canali televisivi si spengono per ventiquattr'ore
e si accendono le candele. Mahmoud Ahmadinejad, presidente iraniano, ha parlato
nel palazzo di fronte. Le bandiere sventolano sulla piazza delle Nazioni.
Ognuna per un Paese, ognuna per quei «cittadini del mondo», che vengono evocati
da Irwin Cotler, ex ministro della Giustizia canadese. «È nostra responsabilità
dare voce a chi non ce l'ha, potere a chi non lo detiene: donne vittime delle
violenze o un bambino brutalizzato, i più vulnerabili dei vulnerabili». Eppure
dice l'avvocato che ha difeso Nelson Mandela e Andrei Sakharov in questi giorni
«stiamo assistendo ancora una volta all'incitamento, decretato da uno Stato,
all'odio e al genocidio. L'epicentro è l'Iran di Ahmadinejad: nega l'Olocausto
e ne invoca uno in Medio Oriente. E' anche un assalto alla carta dell'Onu».
Elie Wiesel, premio Nobel per la pace, sopravvissuto all'Olocausto, definisce
Ahmadinejad «primo negazionista al mondo». «È una vergogna per le Nazioni
Unite, per la diplomazia, per l'umanità intera. L'Onu
ha commesso un errore, gli ha permesso di dettare la linea a tutta la
conferenza con il discorso di apertura». Dal podio, Wiesel ricorda perché
continuare a ricordare: «Se avessimo imparato la lezione, non ci sarebbero
stati i campi della Cambogia, il Ruanda o il Darfur. Neppure Auschwitz è
riuscito a guarire il mondo dal male antico dell'antisemitismo ». La fatica di
ricordare. «Avrei tutte le ragioni di dire: ho pagato quello che ho pagato.
Adesso voglio mangiare il pane, bere il vino, amare le belle donne. Lasciatemi
tranquillo. Ma bisogna rimanere attaccati a questa memoria». La cerimonia si
chiude con le parole di Bernard-Henri Lévy. L'intellettuale
francese invita a non cadere nella trappola di un concetto «vuoto di
sofferenza»: «Dove si possono infilare un incidente, l'Olocausto, il genocidio
dei Tutsi, un omicidio dall'altra parte della strada. Ogni violazione dei
diritti umani dev'essere
analizzata e sviscerata da sola». Davide Frattini
(
da "Corriere della Sera"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 21/04/2009 -
pag: 3 delegati di Ong, gruppi antirazzismo e associazioni per i diritti umani
si sono registrati a Durban II. Alla prima conferenza in Sudafrica nel 2001
erano oltre 10 mila 4 500
(
da "Corriere della Sera"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 21/04/2009 - pag: 9 Il fratello della
vittima «Vogliamo funerali cristiani» «Esceth era mia sorella. Lasciatemela
seppellire» DAL NOSTRO INVIATO CALTANISSETTA Nello sfondo di un cielo opaco,
stipati a poppa della corvetta militare, rannicchiati tutti vicini, fasciati da
asciugamani avvolti come turbanti antigelo sono comparsi a metà mattinata sul
mare di Porto Empedocle gli ultimi 95 «fantasmi» del Pinar. Stremati, incerti,
spaventati, ma infine felici di toccare terra. Tutti, tranne uno, un ragazzo di
vent'anni, un nigeriano immobile, imbambolato, zoppicante, gli occhi di carbone
spenti, la pelle scura come quella di Esceth, la sorella di diciotto anni
affogata cinque giorni fa nel trasbordo dal barcone in avaria alla scaletta del
mercantile, nel salto verso una salvezza a lei negata. Nel lieto fine di questo
tira e molla internazionale, di una storiaccia maturata nel Mediterraneo spesso
trasformato in tomba di migranti perduti, campeggia la tristezza infinita di
Ekos, come tutti lo chiamano leggendo il cognome sugli elenchi della polizia,
prima del trasferimento diretto al Centro accoglienza di Caltanissetta dove con
altri immigrati racconta le concitate fasi di una traversata culminata nel
terrore e nel dolore. «Abbiamo cercato di salvare Esceth, ma le onde la
portavano via...», balbetta questo sfortunato clandestino che ha pianto la
sorella per quattro giorni sul Pinar, il corpo avvolto in un sacco per
proteggerla da gabbiani trasformati in avvoltoi. E lui, approdando in Sicilia,
cerca conforto negli occhi di una ragazza che ha la stessa età della sorella,
Antonella Basilone, una sentinella dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite
per i rifugiati inviata qui da Laura Boldrini. Perché scattano le attenzioni internazionali.
Bisogna capire da dove e da cosa fuggono questi disperati. Ma Ekos pensa solo
alla sorella che i genitori gli avevano raccomandato di proteggere, muto quando
gli chiedono di confermare se davvero fosse incinta: «Adesso dovete farmi
parlare con la mia famiglia e farmi vedere Esceth per seppellirla con rito
cristiano perché noi siamo cristiani...». È l'appello che rimbalza fra le
quattro mura grezze di un magazzino del cimitero di Lampedusa dove la ragazza è
stata trasportata con una motovedetta separandola dall'unica persona che
avrebbe avuto diritto di accompagnarla. E lì, fino a ieri sera, non sapevano se
calare la bara nell'area musulmana, accanto a tante, troppe tombe segnate da
numeri perché si ignorano perfino i nomi. È proprio il racconto di Ekos ad aver
convinto il procuratore di Agrigento Renato Di Natale a evitare l'ultima
afflizione. E ha cassato la richiesta dell'autopsia: «Dall'esame esterno è
chiara la causa della morte, l'annegamento, e alcune ricostruzioni incrociate
hanno eliminato ogni dubbio». Sì, ci sono le parole di Mohameed, un nigeriano
di ventiquattro anni che, dopo aver parlato dei quattro giorni di mare conclusi
«con l'avaria del motore, la deriva e la paura di essere travolti da onde alte
tre metri», ha ripetuto quanto riferito pure da Ekos: «Nel salto verso il
mercantile che ci salvava, Esceth è finita in acqua. Ci siamo spinti per
afferrarla, ma le mani sfuggivano, l'acqua sembrava olio...». E Ibet, altro
nigeriano diciottenne, stesso villaggio, amico di famiglia, certo che
attendesse un bimbo: «Ci lanciavano delle funi, noi ci aggrappavamo, ma Esceth
non ha avuto la forza di resistere. L'abbiamo capito che rischiava di morire. E
tre di noi si sono lanciati in acqua, rischiando pure loro di annegare. Ma
quando l'hanno afferrata di nuovo era troppo tardi...». Sono spezzoni di
ricostruzioni, tessere di un mosaico che oggi sarà ricomposto anche dai
volontari dell'Oim, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni. Tutti interessati a proteggere diritti umani dimenticati per quei quattro giorni passati da Ekos guardando un
sacco di plastica bianca. Il racconto di Ekos «Abbiamo cercato di salvarla, ma
le onde la portavano via... Adesso dovete farmi parlare con la mia famiglia e
farmela vedere» L'amico Ibet «Ci lanciavano delle funi, noi ci aggrappavamo,
ma Esceth non ha avuto la forza di resistere Tre di noi si sono lanciati in
acqua, ma era troppo tardi» In barella Un momento delle operazioni di sbarco
dei feriti (Lannino/Ans) Felice Cavallaro
(
da "Corriere della Sera"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 21/04/2009 - pag: 16 Diritti
delle donne Proteste in Afghanistan e in Pakistan, piazze vuote in Italia e
negli altri Paesi occidentali Kabul e il silenzio delle femministe «Ormai siamo
escluse dal dibattito» Camusso: «Non si parla per paura di criticare le
religioni» Menapace: «Vengono interpellati solo i politici, non più le donne».
Sarlo: «Ma c'è ancora attività, importanti le Ong» «Commentavo con un'amica le
ultime vicende in Afghanistan. La consigliera assassinata, le sassaiole contro
le manifestazioni di Kabul contro la legge che garantisce il diritto di stupro
nel matrimonio sciita osserva la femminista Susanna Camusso, segretaria
confederale della Cgil . Tra le tante cose che ci sono state raccontate quando
siamo intervenuti nel Paese è che le donne sarebbero state liberate dal burqa».
Le attiviste afghane hanno marciato per i diritti delle donne a Kabul. Le
attiviste pachistane, sia laiche sia dei partiti islamici, hanno protestato a
Lahore e Karachi dopo la diffusione di video di ragazze frustate o uccise nelle
zone tribali per «relazioni illecite ». In Italia e nei Paesi occidentali si
commenta e si riflette su queste notizie, c'è indignazione sul web, ma le
femministe non sono scese in strada a mani-- festare, non hanno presidiato le
ambasciate. Nè si è registrata una reazione forte e continua delle donne di
sinistra, destra o centro. Viviamo una «stagione di silenzio», dice Camusso.
«Il movimento femminista è come un movimento carsico: compare e scompare». La
fase di scomparsa sembra durare da un po'. Camusso denunciò nel 2007 il
silenzio delle femministe su Hina, la pachistana uccisa a Brescia dal padre
perché voleva vivere «all'occidentale». Non parlarono perché «l'attacco
all'immigrato non è politically correct », disse. «La penso come allora dice
oggi . Anzi, se possibile, è ancora peggio: si è continuato a tacere anche
delle violenze sulle donne italiane. Il tema della violenza sessuale è
scomparso, rinchiuso dentro le mura domestiche. Lo si usa solo per gridare
scandalo se a commettere lo stupro è un extracomunitario ». Se non ci si
solleva per le violenze domestiche contro le italiane, figuriamoci nei casi
delle donne all'estero. Lidia Menapace, ex senatrice di Rifondazione comunista,
è d'accordo ma aggiunge che se le femministe non parlano è anche per via di
«un'esclusione soft»: «E' difficile prendere la parola. Sulla sharia viene
interpellato il politico, non le donne, che non sono più soggetto politico».
Secondo Assunta Sarlo, che nel 2006 organizzò a Milano una spettacolare
manifestazione per l'aborto, «pensare che l'unica modalità di espressione delle
donne rispetto alle questioni dei diritti siano solo le manifestazioni è
riduttivo. Ci sono molte modalità: ragionare, riunirsi. Ci sono siti, giornali,
riviste in cui il dibattito continua sul multiculturalismo. E le organizzazioni
non governative di donne, ce ne sono tantissime nei Paesi in via di sviluppo,
pesano forse più delle manifestazioni ». Camusso però crede che il problema sia
più profondo: «Chi teorizza il multiculturalismo tende ad escludersi dal
dibattito. C'è una forte fatica a dire una cosa intuitiva: che il metro di
misura della democrazia in Afghanistan, in Iran, in Somalia è che i diritti
delle persone non siano violati. C'è un'ulteriore difficoltà: il silenzio nei
confronti delle religioni. Io penso che esercitare la critica rispetto a una
religione, nella logica della sharia che presuppone la sottomissione, non
significa non essere rispettosi, ma saper individuare aspetti di inciviltà».
Un'altra questione è se il movimento femminista nei Paesi musulmani apprezzi
l'appoggio occidentale. «A volte se donne straniere appoggiano le femministe
locali, queste ultime possono essere etichettate come anti-Islam da chi usa la
religione a scopi politici», dice la scrittrice egiziana Saher El Mougy. «In
ogni caso, possono fornirci un appoggio morale che però non cambia nulla sul
terreno. La lotta più difficile è cambiare la cultura: ciò che le donne fanno
contro se stesse e le figlie». L'avvocato Mehrangiz Kar, una delle più note
femministe iraniane, crede invece che, benché non vi siano state grandi
proteste di piazza, «le donne in Europa e in America siano molto sensibili al
problema delle afghane. Detto ciò, benché il movimento femminista sia unico e
lotti ovunque per l'uguaglianza, va capito che le priorità sono diverse. Oggi
le femministe in molti Paesi musulmani stanno spesso
attente a dire che Islam e diritti umani sono conciliabili, per ottenere legittimità e sperando di
rafforzare i moderati. Chi le appoggia davvero all'estero fa lo stesso. E' una
strategia. Funzionerà? Non so. Forse solo nel breve periodo ». Sciite Donne
sciite manifestano a Kabul lo scorso 15 aprile contro la legge che, tra
l'altro, legalizza lo stupro tra le mura domestiche Afp/Shah Marai
Viviana Mazza
(
da "Stampa, La"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
GLI
AGENTI PROTESTANO PER LA PUBBLICAZIONE DEI MEMO SULLE TECNICHE DI TORTURA Il generale Hayden «Si è messa in difficoltà un'Agenzia
in guerra per difendere i cittadini» Chi negli interrogatori adoperò i sistemi
ora vietati teme un'indagine federale Cia in rivolta, arriva Obama
[FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEWYORK La pubblicazione dei memo
della Cia causa scompiglio fra gli 007 e Barack Obama arriva nel quartier
generale di Langley per scongiurare una mezza rivolta nella «war room»
che coordina le operazioni contro Al Qaeda, assicurando gli agenti: «Proteggerò
le vostre identità e attività». La scelta di rendere note le tecniche di
interrogatorio dei detenuti di Al Qaeda era stata a lungo dibattuta
nell'amministrazione sin dall'indomani dell'insediamento del nuovo presidente e
quando la Casa Bianca ha dato luce verde sono stati numerosi gli agenti che
hanno fatto conoscere il proprio disappunto al nuovo capo della Cia, Leon
Panetta. Poiché gli 007 per definizione non rilasciano dichiarazioni per
conoscere i contenuti delle loro rimostranze bisogna leggere il ben informato
blog di Jim Geraghty sul sito conservatore National Review Online, dove le
riassume in due punti. Primo: la possibilità che un qualsiasi procuratore
distrettuale inizi un'indagine contro gli agenti che applicarono le tecniche di
interrogatorio equiparate alla tortura dall'amministrazione Obama. Secondo:
l'eventualità che il Congresso possa varare una legge per istituire una
«Commissione verità», sul modello di quella che operò in Sud Africa dopo
l'apartheid, destinata a far trapelare le identità degli agenti in questione.
Le assicurazioni finora date da Obama a Panetta sulla decisione di «non
perseguire i responsabili perché quando eseguirono queste tecniche erano nella
legalità» non hanno rassicurato gli agenti che si sentono ora in condizione di rischio
fino al punto da far sapere proprio a Panetta di auspicare un impegno di Obama
a garantirgli il perdono qualora la giustizia iniziasse a perseguirli per «atti
di tortura». Il fatto che la commissione Intelligence del Senato abbia iniziato
un'inchiesta a porte chiuse sull'operato della Cia negli anni di George W. Bush
ha rafforzato tali preoccupazioni. A dar voce alla rabbia che cova nei corridoi
di Langley è Michael Hayden, il generale che ha guidato la Cia negli ultimi
anni dell'amministrazione Bush, secondo il quale «le rivelazioni fatte sono
solo le prime, ve ne saranno altro, vi saranno commissioni di inchiesta e vi
saranno indagini» con il risultato di «mettere in difficoltà un'Agenzia che si
trova a condurre una guerra, in prima linea, per difendere la sicurezza dei
cittadini americani». Il generale Hayden ha guidato in prima personale tali
operazioni «di guerra» fino a pochi mesi fa e affida ai teleschermi di Fox
un'aperta condanna per le scelte di Obama: «Credo che far conoscere ai nostri
nemici quali sono i nostri limiti e rinunciare alle tecniche di interrogatorio
rende assai più difficile agli agenti della Cia difendere la nazione, in
molteplici circostanze». Prima di Hayden era stato l'ex vicepresidente Dick
Cheney, due settimane fa, a sfruttare un'intervista alla Cnn per difendere la
«legalità» dell'interrogatorio con il «waterboarding» - l'annegamento simulato
- accusando Obama di «aver reso meno sicura l'America» rinunciando ad
applicarlo. E ora Hayden ribadisce la tesi di Cheney sostenendo fra l'altro che
«queste tecniche hanno davvero funzionato rendendo l'America più sicura e
scongiurando nuovi attacchi terroristici». E' per rispondere a tali obiezioni e
proteste, come per disinnescare lo scontento fra gli agenti della sezione
«operazioni clandestine», che Obama sceglie di arrivare a Langley, in Virginia,
incontra una cinquantina di agenti speciali a porte chiuse e poi parla ai
dipendenti per rassicurarli. «Mi rendo conto che gli ultimi giorni sono stati
difficili» dice, assicurando che «proteggerò la vostra identità e le vostre
attività con la stessa determinazione con cui voi proteggete l'America». E poi
ribadisce i motivi della declassificazione dei memo: «C'è chi può pensare che
rispettare la Costituzione significa combattere contro Al Qaeda con una mano
legata dietro la schiena, oppure essere ingenui, ma ciò che rende speciale
l'America è la forza dei nostri valori e l'importanza di difenderli anche
quando è più difficile farlo, è per questo che prevarremo contro i terroristi».
(
da "Corriere delle Alpi"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Presunto terrorista torturato 183 volte La Cia sempre più in
difficoltà dopo le rivelazioni della Casa Bianca DAL CORRISPONDENTE Andrea
Visconti NEW YORK. Un presunto terrorista detenuto dagli Usa fu sottoposto alle
torture di waterboarding per ben 183 volte. Nel marzo 2003 Khalid Sheikh
Mohammed fu messo sotto enorme pressione dagli agenti della Cia che, per farlo
parlare, fecero ricorso a questa pratica di versare acqua giù per il naso e la
gola dandogli la sensazione che stava affogando. Anche Abu Zubaydah fu
sottoposto alla stessa tortura per ben 83 volte nell'agosto 2002. Questi
dettagli, emersi ieri per la prima volta in tutta la loro gravità, hanno
scatenato la rabbia dell'American Civil Liberties Union, una delle più potenti
lobby dei diritti civili, che vorrebbe che Barack Obama mettesse sotto processo
gli uomini della Cia che sono ricorsi al waterboarding. Il presidente invece ha
garantito loro l'immunità sostenendo che non stavano facendo altro che seguire
gli ordini che venivano dall'alto del dipartimento di giustizia. Ordini secondo
i quali il finto affogamento non rientra nella definizione di tortura. Ma le
rivelazioni stanno avendo un effetto pesante sulla Cia che si sente ora nel
mirino dei progressisti che rivendicano giustizia. Obama invece vuole chiudere
col passato promettendo che mai più si ricorrerà alle torture. E come primo
passo ha annunciato che si recherà personalmente alla Cia, nel quartier
generale di Langley, per parlare agli agenti dei servizi segreti nel tentativo
di risollevare il morale dell'organizzazione. A demoralizzare gli 007 americani
è stato il fatto stesso che, per due volte nel giro di dieci giorni, la Casa
Bianca abbia reso noti memorandum interni del Dipartimento della Giustizia
relativi alle torture. Obama è stato criticato per questo. Perché divulgare
questo tipo di informazioni - dicono all'interno della Cia - mette a
repentaglio la sicurezza nazionale. Ma il presidente ha scelto la strada della
trasparenza e sta mettendo in luce le dichiarazioni contradditorie degli uomini
di Bush. In un'intervista con la Fox, per esempio, l'ex direttore della Cia
Michael Hayden affermò che Zubaydah fu sottoposto a waterboarding una volta
sola per al massimo trenta secondi.
(
da "Giornale.it, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
n. 95
del 2009-04-21 pagina 0 Ahmadinejad, un uomo belva. Lha capito anche la Ue di Fiamma Nirenstein E adesso,
per favore, non rientrate in quella sala, rappresentanti della Francia, della
Norvegia, dellUngheria. Restate fuori dalla trappola antisemita di Durban 2,
lasciate per sempre la marea nera delle parole di Ahmadinejad, che in apertura
ha di nuovo predicato odio e distruzione. E perdonate, ma lItalia non può che dirvi oggi: ve lavevamo detto.
E può anche aggiungere: non era facile superare il tabù dellOnu, la vacca sacra che quando chiama a raccolta esige
sempre una risposta conformista, uno scatto sullattenti in nome della
retorica universalista; e qui, lOnu seguitava a suonare, per chiamare
tutti a raccolta, il campanello della battaglia contro il razzismo,
una battaglia così importante per tutti noi. Ma noi chi? Era chiaro che per le
commissioni che preparavano il documento introduttivo, per i violatori seriali
di diritti umani Iran e Libia, il razzismo era una
pura scusa, come lo era stato ai tempi di Durban 1. Noi che ci crediamo, che
viviamo nelle democrazie, che davvero pensiamo che il diritto e lintegrità morale debbano illuminare la strada, volevamo
una conferenza contro il razzismo, condivisa anche dal resto del mondo, ma esso
non ci crede.
Quel mondo è infatti dominato da dittature e violenza e pratica il razzismo,
sia etnico che religioso. LItalia, però ha
avuto coraggio. A Ginevra, che dal tempo del primo diritto internazionale umanitario del 1864 ha lavorato duro a tante convenzioni per
aiutare a far luce nel mondo, si stava preparando una conferenza di confusione
e di odio, contro Israele e anche contro gli Usa nonostante Obama, come si è
visto ieri nel discorso di Ahmadinejad. La conferenza è in realtà, sia chiaro,
una fanfara di guerra in favore del terrorismo, quello dellera nuova di Ahmadinejad. LItalia ha letto la
storia e il presente, e ha compreso che andare a Ginevra era un grosso rischio
morale e politico. A Durban 1 i cortei delle Ngo marciavano sotto
leffigie di Bin Laden. Quattro giorni dopo la sua conclusione ci fu lattacco delle Twin Towers. Questa conferenza di Ginevra
è di fatto cominciata domenica con una riunione di Ngo che programmavano un
«movimento di resistenza europea» sulle tracce di Hezbollah e di Hamas. Poi, per la parte
ufficiale è arrivato Ahmadinejad: a Ginevra come a Durban il programma è
ambizioso. Ingenti forze vogliono aprire sotto legida
dellOnu una immensa campagna antisemita sullo sfondo della nuova
ambizione atomica iraniana, così da fornire il crisma dellOnu allo scopo di distruggere Israele. La fuoriuscita
dellItalia aveva portato al risultato di un documento di matrice
soprattutto olandese che avrebbe potuto, con ancora un po di lavoro,
essere accettato da tutti se solo lEuropa lavesse sorretto allunisono. Il documento non formulava criminali, univoche
identificazioni fra Israele e il razzismo, non impediva la libertà di critica
alla religione per difendere lislamismo, non impediva la definizione di
omofobia come di un pregiudizio razzista. Se solo lEuropa, che nelle sue assemblee, a Bruxelles, a
Strasburgo, spacca il capello in quattro per i diritti umani di ogni minoranza, si fosse schierata compatta dietro
il suo documento, forse la conferenza contro il razzismo avrebbe potuto avere
luogo in quanto tale, e non sarebbe stato certo un male. Ma lEuropa ha avuto paura: così, da una parte, la
recrudescenza delle posizioni della parte islamista o antioccidentale,
lIran, la Libia, surreali parti diligenti, hanno reso il documento antirazzista impossibile
anche per Obama; dallaltra la Francia e
lInghilterra hanno tremato di fronte alla furia delle banlieue e delle
corti islamiche londinesi, hanno pensato al grande giro daffari con il
mondo islamico. La Germania non a caso ce lha fatta, alla fine, ad
approdare al rifiuto della conferenza: la presidenza Merkel porta buon
consiglio, il rapporto con Israele la investe negli imi precordi e questo lha salvata. E qui si è compiuta la distruzione
dellillusione che il linguaggio dei diritti umani sia
un linguaggio universale. Un importante elemento di speranza, si trova, ironia
della sorte, nella coraggiosa decisione delle delegazioni giordana e
marocchina, di uscire assieme ai Paesi europei. Una decisione anchessa frutto di una paura, quella nei confronti di
Teheran, questa sì profonda e motivata. © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via
G. Negri 4 - 20123 Milano
(
da "Giornale.it, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
n. 95
del 2009-04-21 pagina 2 "QuestEuropa
cialtrona dia più fondi allItalia" di Francesca Angeli Il
sottosegretario allInterno Alfredo Mantovano: "Bruxelles scarica su
di
noi le responsabilità di intervenire. E qualcuno ci critica anche..." Roma
- Il commissario europeo alla Giustizia, Jacques Barrot, ringrazia lItalia e chiede allEuropa di fare di più. Però,
mentre navi militari e pescherecci italiani continuano a soccorrere centinaia di
migranti disperati, il Consiglio dEuropa
accusa il governo italiano di razzismo. Va bene così sottosegretario Mantovano?
«Dico allEuropa: basta con i fiori, vogliamo opere di bene. Anche in
questa occasione la Ue si è mostrata impotente, scaricando sullItalia la responsabilità di prendere iniziative. E
mentre il nostro Paese si fa carico dellaccoglienza morale e materiale di
migranti che altri respingono senza scrupoli, dobbiamo pure subire le
cialtronerie del Commissario per i diritti umani del
Consiglio dEuropa, Thomas Hammarberg, che racconta cose
non vere sulla situazione degli immigrati nel nostro Paese». Quanto contano
agli occhi della Ue le polemiche e le critiche dellopposizione? «Pesano
molto. Noi tutti, maggioranza ed opposizione, dovremmo essere orgogliosi di
quanto lItalia fa da venti anni per quanti arrivano da
disperati attraverso il mare. I parlamentari dellopposizione che ci
rappresentano nella Ue dipingono la nostra politica in modo cialtrone e non
corretto. La verità è che mentre gli altri parlano, noi facciamo fronte alle
emergenze. Tengo a sottolineare quanto ha detto Laura Boldrini, portavoce per lItalia dellAlto commissariato delle Nazioni unite
per i rifugiati, che certo non può essere accusata di simpatizzare con il governo
di centrodestra. La Boldrini è persona onesta e riconosce lopera preziosa del nostro Paese». Insomma lEuropa
ringrazia e lItalia paga? «Anche questa volta abbiamo assistito al gioco
di unEuropa delle convenienze. Certamente un Paese come la Svezia non
sente la necessità di porre in primo piano la questione del soccorso e dellaccoglienza dei migranti perché non è sfiorata dal
problema. I Paesi interessati sono Italia, Spagna, Grecia e per lappunto
Malta». Che fare allora? «Per superare questa situazione occorre convergere su
due punti. I finanziamenti destinati a fronteggiare tali questioni non possono
essere divisi semplicemente per 27 ma vanno distribuiti a seconda degli oneri
affrontati da ciascuno. Il Paese che porta il peso maggiore deve avere il
contributo maggiore. Chi si prende i vantaggi, ed è questo il secondo punto,
deve però farsi anche carico delle responsabilità. Malta ha chiesto ed ottenuto
una estensione della zona “sar”, cioè la zona di ricerca e soccorso ed ha
ottenuto per questo un contributo più sostanzioso dalla Ue. Contributo molto
vicino a quello dellItalia. Malta non può
incassare i fondi in più per affrontare i soccorsi e poi tirarsi indietro».
Anche il ministro degli Esteri, Frattini, parla di mancato rispetto delle regole. «LItalia in tutte le sedi europee farà valere con maggior
forza del passato un principio: le regole se ci sono devono valere per tutti».
Aiutare i profughi è un dovere umanitario. Dovere che però
altri Paesi hanno ignorato senza problemi. E Malta ora minaccia pure lincidente diplomatico... «La nostra posizione nel
Mediterraneo ci rende protagonisti rispetto ai flussi migratori. Però stavolta
le cose sono andate in modo diverso». Ovvero? «Il ministro Maroni ha raggiunto
un risultato importante. Laver puntato i piedi ha
costretto la Ue a prendere coscienza del problema. E non cè stato un
gioco cinico con le vite umane perché dallItalia è stata prestata
immediata assistenza a bordo. Ora il problema è sul tavolo europeo. Bruxelles
non può continuare a far finta di nulla». Si può pensare ad una direttiva
europea vincolante per tutti i Paesi come propone la Boldrini? «Le leggi in
realtà ci sono già e sono chiarissime. Ma ben venga anche una direttiva
vincolante visto che altri governi quando arriva una nave carica di profughi
continuano a guardare dallaltra parte». © SOCIETà
EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano
(
da "Giornale.it, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
n. 95
del 2009-04-21 pagina 4 I protagonisti La passerella degli ipocriti: Cuba e
Libia insegnano i diritti umani di Fausto Biloslavo
L'ambasciatrice libica che toglie la parola alla vittima delle torture o il
rappresentante cubano che a suo tempo si era rifiutato di condannare Saddam
quando «gasava» i curdi. Per non parlare dei sudanesi che lavorano dietro le
quinte contro i tribunali delle stesse Nazioni Unite e il presidente di
un'organizzazione non governativa palestinese accusato di collegamento con i
terroristi. Durban II è un festival di gaffe, ipocrisie e personaggi
impresentabili. Una conferenza dominata da paesi che fanno a pugni con i
principi di libertà e diritti umani. Najjat al Hajjaji
è la belloccia ambasciatrice libica, con un filo di trucco e senza velo, che
presiede il Comitato preparatorio del vertice sul razzismo. Venerdì scorso,
mentre si rappezzava all'ultimo minuto la bozza del testo finale della
conferenza, ha superato se stessa. Durante le testimonianze di violazioni dei
diritti umani ha preso la parola il medico palestinese
Ashraf Ahmed El-Hojouj. Il poveretto era stato torturato, condannato a morte e
sbattuto in una galera libica per anni assieme a cinque infermiere libiche con
l'infondata accusa di aver infettato dei bimbi con l'Aids. I malcapitati erano
il capro espiatorio che copriva le mancanze della sanità locale. Dopo anni sono
stati liberati in cambio dell'intervento, anche finanziario, europeo. Lo stesso
figlio del colonnello Gheddafi aveva fatto capire che erano innocenti.
L'ambasciatrice al Hajjaji, invece, ha subito provato a togliere la parola alla
povera vittima. Il poveretto seviziato dagli sgherri libici ha cercato ogni
volta di riprendere il discorso. Alla terza interruzione e
con l'accusa di «uscire dal tema» (i diritti umani) l'ambasciatrice ha passato la parola nientemeno che al delegato
libico censurando la denuncia. Presidente del Consiglio per i diritti umani, uno delle costole dell'Onu, che
di più si è battuta per Durban II, è invece dallo scorso anno il cubano Miguel
Alfonso Martinez. Un campione dei diritti umani:
fin dal 1988 era riuscito a boicottare una mozione di condanna contro Saddam
Hussein che aveva appena sterminato col gas 5mila curdi a Halabja. Non a caso
soprattutto i rappresentanti cubani si sono battuti per limare il più possibile
i riferimenti nel testo finale all'inalienabile «libertà di espressione e
opinione». La Siria ha invece spalleggiato l'Iran che voleva togliere del tutto
la condanna dello sterminio degli ebrei. Il delegato di Damasco ha fatto
presente che «non è chiaro quale sia l'esatto numero di ebrei uccisi
nell'Olocausto». Un ruolo discreto, ma altrettanto sporco, lo ha giocato il
Sudan. Omar al Bashir, presidente del Paese, è rincorso da un mandato di
cattura internazionale della Corte penale, istituita dall'Onu, per i crimini di
guerra in Darfur. Nonostante l'imbarazzante situazione è un ministro sudanese,
Abdalmahmood Abdalhaleem Mohamad, che presiede da gennaio il potente Gruppo 77.
Si tratta di un cartello di paesi del sud del mondo, che influenza pesantemente
l'assemblea dell'Onu. I sudanesi sono riusciti a far cancellare il nome della
Corte penale sulla bozza della Conferenza di Ginevra. Alla fine è rimasto solo
un riferimento generico ai tribunali internazionali. Non basta. Le iscrizioni
alla Conferenza delle organizzazioni non governative ebraiche casi sono state
in qualche caso respinte. La palestinese Al Haq, invece, non ha avuto problemi.
Peccato che il suo capoccia, Shawan Jabarin, sia sulla lista nera degli
israeliani come "veterano" del Fronte popolare per la liberazione
della Palestina, considerata da molti un'organizzazione terroristica. © SOCIETà
EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano
(
da "Giornale.it, Il"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
n. 95
del 2009-04-21 pagina 4 Censura Per i giornali di Teheran lo show è stato «un
trionfo» di Redazione La conferenza Onu di Ginevra sul razzismo si è rivelata
un grande successo per Mahmoud Ahmadinejad. Almeno questo è quanto riportato in
Iran dall'agenzia d'informazione filogovernativa Fars, secondo la quale il
discorso del presidente sarebbe stato accolto da applausi e manifestazioni di
giubilo. La Fars, da cui ricavano le loro informazioni i giornali iraniani,
rivela anche l'esistenza di un «complotto» sionista sventato da «migliaia di
partecipanti alla conferenza», che hanno preservato Ahmadinejad dagli insulti e
dall'essere interrotto. Chiaro il riferimento ai tre ragazzi ebrei francesi
che, mascherati da clown, hanno tentato di fermare Ahmadinejad. La Fars rivela
inoltre che un uomo, su indicazione della «lobby sionista», ha tentato di «lanciare un oggetto» contro il presidente che,
nonostante i tentativi di sabotaggio, è stato incitato a proseguire dai 4.500
rappresentanti di Ong e da numerosi attivisti per i diritti umani che lo hanno ripetutamente
applaudito. © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano
(
da "Stampaweb, La"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
ROMA Per
lex vice presidente americano Dick Cheney la
decisione di pubblicare i memo della Cia sulle tecniche di interrogatorio
utilizzate contro presunti terroristi è stata un errore. Anzi, scrive la Bbc,
per Cheney è stato fuorviante in quanto nei documenti non veniva riportato che
queste pratiche hanno portato a importanti successi lintelligence Usa. «Una delle cose che ho trovato
irritanti in questa recente rivelazione è stata che questi memo legali non
mostrano i successi di questi sforzi» ha detto Cheney alla Fox News citata dalla
BBc. I successi «non sono stati declassificati. Per questo chiedo ufficialmente
che vengano declassificati ora». Il commento dellex
vice presidente segue la visita effettuata ier dal presidente Back Obama al
quartier generale della Cia a Langley, in Virginia. Occasione in cui Obama
ha ringraziato gli agenti per il loro lavoro volto «a proteggere la libertà»
degli americani. Giovedì scorso il governo americano ha reso noti documenti
scottanti che risalgono al 2002, e che sono stati di fatto la base legale che lamministrazione di Bush ha utilizzato per giustificare
ladozione di tecniche di interrogatorio; tecniche che
critici in tutto il mondo hanno descritto spesso con il termine tortura.
Secondo The New York Times, una delle tecniche più atroci, il water-boarding
(annegamento simulato), sarebbe stata utilizzata fino a 266 volte su due
presunti membri di al Qaida.
(
da "Stampaweb, La"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
INVIATO
A GINEVRA Il caos comincia non appena Mahmoud Ahmadinejad sale sul podio, il
segretario generale dellOnu Ban Ki-moon alle
spalle, una platea di delegati divisa e nervosa di fronte, le tv del mondo in
attesa. È un caos auspicato: e difatti il presidente iraniano sorride paziente,
quando tre giovani dell«Unione studenti ebrei
francesi» vestiti da clown corrono verso il palco, gli lanciano un naso da
pagliaccio e gli urlano «razzista, razzista» mentre gli agenti li trascinano
fuori dalla «Sala dellassemblea» del Palais Des Nations affacciato al Parc
de lAriana. Ahmadinejad interrompe il discorso
appena iniziato. Ma è una pausa che - per lunico Capo di stato presente
alla «Conferenza sul razzismo» promossa dallOnu 8 anni dopo quella di
Durban trasformatasi
in un carosello anti-israeliano - ha una forte valenza mediatica. Lo aiuta a
introdurre la vera ragione della sua venuta a Ginevra. Ad accendere la miccia
che in tanti, Italia e Stati Uniti in testa, avevano previsto e temuto: «Dopo
la fine della Seconda guerra mondiale gli Alleati sono ricorsi allaggressione militare per privare delle loro terre una
nazione intera sotto il pretesto delle sofferenze degli ebrei. Hanno inviato
migranti dallEuropa, dagli Stati Uniti e dal mondo per istituire un governo razzista
nella Palestina occupata», dice a memoria, senza abbassare lo sguardo sul testo
dattiloscritto, luomo che si è lucidamente
attribuito il ruolo di profeta dellantisionismo inteso - anche - come
negazione dellOlocausto e dello Stato ebraico. Sono le 15 e 30
passate da poco. Lattacco a Israele, mai
nominato, va a segno, sia pure con toni meno veementi che in passato (nessun
auspicio alla sua «cancellazione dalle carte geografiche»). I rappresentanti
dei 23 Paesi dellUnione europea che avevano scelto di non boicottare la
Conferenza (fra loro Francia, Gran Bretagna e Spagna) si alzano e abbandonano lAssemblea, come avevano annunciato in caso di deriva
antisemita del presidente iraniano. Ahmadinejad, di nuovo, interrompe il
discorso. Aspetta il silenzio e riprende: «È necessario mettere fine agli abusi
dei sionisti e di chi li sostiene», dice leggendo dal testo, adesso. Ma è
quando accusa «gli Stati occidentali di essere rimasti in silenzio di fronte ai
crimini commessi a Gaza» che gran parte dellassemblea
- composta ormai in maggioranza da Paesi arabi e musulmani che volevano un
processo a Israele - applaude. Prima di lasciare la Sala Ahmadinejad ringrazia,
e ha ragione di farlo. Come lanno scorso lAssemblea della Fao a
Roma, la Conferenza ginevrina gli ha consentito di confermarsi nel ruolo al quale
più di ogni altro, nelle sue uscite allestero,
sembra affidare
la dignità del suo ufficio di Presidente. Dietro di sé il leader della
Repubblica islamica lascia dissociazioni e polemiche, indispensabile
complemento del caos. A cominciare dai padroni di casa: «Deploriamo luso di questa piattaforma per accusare, dividere e
incitare», recita il comunicato di Ban Ki-moon, che aprendo i lavori aveva
lamentato lassenza di una decina di Paesi, dagli Usa alla Germania,
dallItalia allAustralia, dallOlanda
alla Nuova Zelanda al Canada. «Deploriamo fortemente il linguaggio di
Ahmadinejad, fuori luogo in una Conferenza che ha lobiettivo di difendere
la diversità e la tolleranza», gli fa eco lAlto commissario Onu per i
diritti umani Navi Pillay. «Dichiarazioni
inaccettabili», scandiscono i 23 Paesi dellUnione
europea che hanno lasciato lassemblea per protesta contro le affermazioni
del presidente iraniano, ma non la Conferenza: perché - sottolineano in 22, dopo labbandono serale della Repubblica ceca - a Ginevra si è
messo a punto un «valido compromesso» nella bozza di dichiarazione finale. Che
è frutto per giunta di un «negoziato intergovernativo» che esclude la
responsabilità dellUe. Anche il Vaticano condanna, sia pure con qualche
distinguo. «Siamo rimasti in sala per affermare il diritto della libertà despressione», avverte lOsservatore permanente
presso le Nazioni Unite monsignor Tomasi. Ma, puntualizza il direttore della
Sala stampa padre Lombardi, quelle di Ahmadinejad sono «espressioni estremiste e
inaccettabili», anche se «la conferenza è unoccasione
importante». Lo si capirà presto, se davvero «Durban 2» avrà una sorte migliore
della conferenza-madre che intende mondare: lapprovazione del documento finale,
sul quale si comincerà a discutere da oggi, è prevista per venerdì.
(
da "Corriere.it"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Diritti delle donne Proteste in Afghanistan e in Pakistan,
piazze vuote in Italia e negli altri Paesi occidentali Kabul e il silenzio
delle femministe «Ormai siamo escluse dal dibattito» Camusso: «Non si parla per
paura di criticare le religioni» «Commentavo con un'amica le ultime vicende in
Afghanistan. La consigliera assassinata, le sassaiole contro le manifestazioni
di Kabul contro la legge che garantisce il diritto di stupro nel matrimonio
sciita osserva la femminista Susanna Camusso, segretaria confederale della
Cgil . Tra le tante cose che ci sono state raccontate quando siamo intervenuti
nel Paese è che le donne sarebbero state liberate dal burqa». Le attiviste
afghane hanno marciato per i diritti delle donne a Kabul. Le attiviste
pachistane, sia laiche sia dei partiti islamici, hanno protestato a Lahore e
Karachi dopo la diffusione di video di ragazze frustate o uccise nelle zone
tribali per «relazioni illecite ». In Italia e nei Paesi occidentali si
commenta e si riflette su queste notizie, c'è indignazione sul web, ma le
femministe non sono scese in strada a manifestare, non hanno presidiato le
ambasciate. Nè si è registrata una reazione forte e continua delle donne di
sinistra, destra o centro. Viviamo una «stagione di silenzio», dice Camusso.
«Il movimento femminista è come un movimento carsico: compare e scompare». La
fase di scomparsa sembra durare da un po'. Camusso denunciò nel 2007 il
silenzio delle femministe su Hina, la pachistana uccisa a Brescia dal padre
perché voleva vivere «all'occidentale». Non parlarono perché «l'attacco
all'immigrato non è politically correct», disse. «La penso come allora dice
oggi . Anzi, se possibile, è ancora peggio: si è continuato a tacere anche
delle violenze sulle donne italiane. Il tema della violenza sessuale è
scomparso, rinchiuso dentro le mura domestiche. Lo si usa solo per gridare
scandalo se a commettere lo stupro è un extracomunitario ». Se non ci si
solleva per le violenze domestiche contro le italiane, figuriamoci nei casi
delle donne all'estero. Lidia Menapace, ex senatrice di Rifondazione
comunista, è d'accordo ma aggiunge che se le femministe non parlano è anche
per via di «un'esclusione soft»: «E' difficile prendere la parola. Sulla
sharia viene interpellato il politico, non le donne, che non sono più soggetto
politico». Secondo Assunta Sarlo, che nel 2006 organizzò a Milano una
spettacolare manifestazione per l'aborto, «pensare che l'unica modalità di
espressione delle donne rispetto alle questioni dei diritti siano solo le
manifestazioni è riduttivo. Ci sono molte modalità: ragionare, riunirsi. Ci
sono siti, giornali, riviste in cui il dibattito continua sul
multiculturalismo. E le organizzazioni non governative di donne, ce ne sono
tantissime nei Paesi in via di sviluppo, pesano forse più delle manifestazioni
». Camusso però crede che il problema sia più profondo: «Chi teorizza il
multiculturalismo tende ad escludersi dal dibattito. C'è una forte fatica a
dire una cosa intuitiva: che il metro di misura della democrazia in
Afghanistan, in Iran, in Somalia è che i diritti delle persone non siano
violati. C'è un'ulteriore difficoltà: il silenzio nei confronti delle religioni.
Io penso che esercitare la critica rispetto a una religione, nella logica
della sharia che presuppone la sottomissione, non significa non essere
rispettosi, ma saper individuare aspetti di inciviltà». Un'altra questione è se
il movimento femminista nei Paesi musulmani apprezzi l'appoggio occidentale.
«A volte se donne straniere appoggiano le femministe locali, queste ultime
possono essere etichettate come anti-Islam da chi usa la religione a scopi
politici», dice la scrittrice egiziana Saher El Mougy. «In ogni caso, possono
fornirci un appoggio morale che però non cambia nulla sul terreno. La lotta più
difficile è cambiare la cultura: ciò che le donne fanno contro se stesse e le
figlie». L'avvocato Mehrangiz Kar, una delle più note femministe iraniane,
crede invece che, benché non vi siano state grandi proteste di piazza, «le
donne in Europa e in America siano molto sensibili al problema delle afghane.
Detto ciò, benché il movimento femminista sia unico e lotti ovunque per
l'uguaglianza, va capito che le priorità sono diverse. Oggi
le femministe in molti Paesi musulmani stanno spesso attente a dire che Islam
e diritti umani sono
conciliabili, per ottenere legittimità e sperando di rafforzare i moderati.
Chi le appoggia davvero all'estero fa lo stesso. E' una strategia. Funzionerà?
Non so. Forse solo nel breve periodo ». Viviana Mazza stampa |
(
da "AmericaOggi Online"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Conferenza
sul razzismo. Ahmadinejad attacca israele. I rappresentati dell'Europa lasciano
la sala 21-04-2009 Normal 0 false false false MicrosoftInternetExplorer4
GINEVRA. È cominciata male, anzi malissimo, la Conferenza dell'Onu contro il
razzismo (Durban 2): come temuto, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinjad ha
rinnovato le accuse di razzismo ad Israele in totale disprezzo dei moniti delle
Nazioni Unite e della comunità internazionale. Dalla tribuna dell'Onu,
Ahmadinjad ha accusato i Paesi occidentali di aver usato il pretesto
dell'Olocausto per creare un "regime razzista" in Palestina
provocando l'immediato abbandono della sala dei diplomatici dei 23 Paesi
europei che avevano scelto di partecipare alla Conferenza. Immediate le
condanne dell'Onu, delle diplomazie occidentali e di Israele. Il "sionismo
mondiale personifica il razzismo", ha affermato il presidente dell'Iran
applaudito a più riprese da alcuni, ma non certo dai delegati occidentali. Alla
fine della seconda guerra mondiale con il "pretesto della sofferenza degli
ebrei", si è stabilito nel cuore del Medio Oriente "un governo
completamente razzista", ha rincarato senza mai citare il nome di Israele.
Inoltre, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha sostenuto negli ultimi 60 anni
l'occupazione del "regime sionista", dandogli "piena libertà di
commettere qualsiasi crimine". Nel suo discorso di oltre 30 minuti,
Ahmandinejad ha anche sferrato attacchi contro il diritto di veto al Consiglio di
sicurezza e contro gli Usa. Unico capo di Stato alla Conferenza, al suo arrivo
nella sala delle Assemblee del Palais des Nations, Ahmadinejad è stato accolto
da un applauso, ma il suo intervento è stato brevemente interrotto dalle grida
"razzista, razzista", lanciate da un piccolo gruppo di contestatori
che indossavano parrucche colorate da pagliacci. Da sotto il palco, un giovane
ebreo francese gli ha lanciato, sfiorandolo, un naso rosso da pagliaccio.
Severissimo il commento degli Usa che, come l'Italia ed altri Paesi avevano
deciso di non partecipare ala Conferenza. Il discorso del presidente iraniano è
stato "vile" e odioso'', hanno osservato. Indignate le reazioni anche
di Paesi quali Gran Bretagna e Francia, pur presenti all'evento.. La Repubblica
Ceca ha deciso di abbandonare definitivamente la riunione, in programma fino al
prossimo 24 aprile. Ma il rammarico più forte per le parole del presidente
iraniano lo hanno espresso il Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon e l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Navi Pillay che avevano aperto in
mattinata i lavori della Conferenza. Il segretario generale ha deplorato l'uso
della piattaforma dell'Onu per "accusare, dividere e incitaré all'odio.
Anche Pillay ha criticato l'intervento del leader iraniano, ma la
"migliore replica è di rispondere e correggere, non di ritirarsi e
boicottare la Conferenza", ha aggiunto. Durban 2 si era aperta in un clima
di incertezza e divisione, sottolineato dal boicottaggio di numerosi Paesi
occidentali. Dopo Israele e Canada, anche Usa, Italia, Olanda, Germania,
Polonia ed altri non hanno inviato rappresentanti alla Conferenza, temendo una
replica delle manifestazioni antisemite che avevano contrassegnato la
precedente riunione dell'Onu il razzismo, nel 2001 a Durban, in Sudafrica.
A margine della Conferenza, Ahmadinajad ha incontrato il presidente svizzero
Hans. Rudlf Merz ed il segretario generale dell'Onu. In segno di protesta
contro Berna, il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman ha ordinato
all'ambasciatore di Israele in Svizzera di rientrare in patria per
consultazioni.
(
da "AmericaOggi Online"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Fallimento
annunciato. Razzismo/La Conferenza bloccata dai veti e dai compromessi di Marta
Teitelbaum 21-04-2009 Normal 0 false false false MicrosoftInternetExplorer4 La
Conferenza mondiale delle Nazioni Unite contro il razzismo, la xenofobia e le
discriminazioni si è aperta ieri a Ginevra sotto l'ingombrante ombra della
Conferenza precedente, tenutasi in Sudafrica nel 2001 e nota come Durban I dal
nome della città che l'aveva accolta. Allora, i dibattiti sulle questioni
riguardanti il razzismo e le discriminazioni erano stati totalmente trascurati
in favore di manifestazioni e dichiarazioni a carattere antisemita,
anti-israeliano e antiamericano orchestrate da una parte dalle Ong presenti
come rappresentanti della società civile. Il testo finale da loro proposto
all'Assemblea non era stato approvato, ma i contraccolpi delle durissime
condanne contro Israele, diventato in quell'occasione il simbolo del razzismo,
della discriminazione e di tutti gli altri mali, si fanno sentire ancora.
Secondo gli organizzatori, questo summit noto come Durban II doveva far
dimenticare le aberrazioni di Durban I. La cosa è stata resa impossibile dalle
parole del presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad che ha attaccato Israele
senza nominarlo, visto che non lo riconosce. 'Hanno mandato immigrati
dall'Europa e dagli Stati Uniti per formare un governo razzista nella Palestina
occupata'', ha denunciato Ahmadinejad. Ironia della sorte, la Conferenza si è
aperta alla vigilia della "Giornata dell'Olocausto" e il primo
discorso, dopo quello del segretario dell'Onu Ban Ki Moon, è stato quello del
presidente iraniano che finora non ha mancato nessuna occasione per negare
l'esistenza della Shoah. Al discorso di Ahmadinejad, le delegazioni dei Paesi
europei e Occidentali presenti hanno reagito abbandonando la sala in segno di
protesta. L'assenza di alcuni Paesi importanti non convinti da diversi aspetti
della dichiarazione finale, preparata in anticipo, la protesta dei Paesi
presenti contro Ahmadinejad, i lunghi negoziati a cui è stato sottoposto il
testo finale, negoziati che riguardano proprio l'essenza della Conferenza, cioè
il razzismo e la xenofobia, i patteggiamenti che hanno visto scomparire
dall'ordine del giorno questioni importanti come la discriminazioni contro le
donne o gli omosessuali, portano a chiedersi quale sia il senso di questo
summit. Sembra che il suo significato sia stato svuotato a colpi di
compromessi, di polemiche e di negoziati e che la realpolitik abbia preso il
sopravvento sui principi. Durban II è la quarta Conferenza contro il razzismo,
e come tutte le altre avrebbe dovuto essere una tribuna per misurare i
progressi in materia di diritti dell'Uomo nel mondo e per ripensare le strategie
per migliorarli ancora. In realtà, questa Conferenza e il suo fallimento
annunciato, riflettono il funzionamento dell'organismo che sta dietro
quest'iniziativa, cioè il Consiglio dei Diritti
dell'Uomo dell'Onu, nato nel 2006 sulle ceneri della Commissione che portava lo
stesso nome. L'allora segretario generale dell'Onu Kofi Annan aveva avvertito i
suoi 47 membri di "non permettere mai al Consiglio di imbarcarsi in lotte
politiche e di non far mai ricorso a manovre basse". All'interno del Consiglio,
la politica però è prevalsa, nuovi e vecchi blocchi e
alleanze condizionano le risoluzioni che spesso hanno poco a che vedere con la
tutela dei diritti umani.
Tuttavia, è all'interno di quest'organismo, più che in un'ennesima conferenza
controversa, che si dovrà tentare di trovare un minimo comun denominatore per
definire il concetto di "diritti umani " e per staccarli dagli interessi particolari.
(
da "Articolo21.com"
del 21-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Durban
II: solo i timori antisemiti dietro il boicottaggio? di Bruna Iacopino
Scorrazzando tra testate nazionali e internazionali (versione on-line), il
discorso del presidente iraniano Ahmadinejad, sembra tener intensamente banco
solo presso quelli italiani. Si sprecano commenti e condanne, da chi afferma
senza ombra di dubbio che l'Italia ha fatto bene a non partecipare alla
conferenza internazionale Durban II a chi invece non fa altro che condannare le
parole del presidente iraniano tributando immutata solidarietà all'amico
Israele. Tuttavia, a guardare le riprese effettuate durante l'uscita per
protesta da parte dei delegati della UE, non si può ignorare che le parole di
Ahmadinejad siano state accompagnate anche da calorosi applausi e dunque non
abbiano sconvolto più di tanto la maggior parte dei presenti, che evidentemente
non ha ritenuto completamente visionarie e illogiche le invettive rivolte contro
le politiche razziste attuate da Israele nei confronti del popolo palestinese.
Il riferimento a Gaza è stato oltremodo esplicitato in un ulteriore passaggio,
in cui si sottolineava il silenzio complice e colpevole della Comunità
internazionale. Dato questo assolutamente inconfutabile: ci sono volute
settimane perchè si registrasse una timida e inefficace condanna rispetto alla
sanguinosa offensiva denominato Piombo fuso. Il presidente iraniano pur non
citando mai nello specifico lo stato in questione, ha invece tirato in ballo il
sionismo, e contrariamente a quanto era circolato sui media subito dopo, non ha
mai fatto riferimento alla distruzione dello stato di Israele e tanto meno ha
fatto riferimento, anche solo velatamente a teorie di carattere negazionista
rispetto all'Olocausto. Passaggio sottolineato in una nota ufficiale dalla
stessa Santa sede, che al contrario di molti altri ha deciso di non abbandonare
la sala durante il discorso di Ahmadinejad. “ Il punto che il Presidente
dell'Iran ha affrontato - ha spiegato mons. Tomasi - e' quello del razzismo
dello stato d'Israele verso i palestinesi, ma egli non si e' espresso contro
l'Olocausto, non ha negato questo fenomeno storico tragico, non ha menzionato
la distruzione d'Israele o l'eliminazione di questo Stato. Per questa ragione
abbiamo deciso con altri Paesi europei, tutti i Paesi dell'America Latina con
la totalita' dei Paesi africani e asiatici, di restare nella Sala per affermare
questo diritto della liberta' d'espressione che e' parte della battaglia che
noi abbiamo combattuto qui per cambiare il documento finale di questa
conferenza di Durban 2.”
Libertà di espressione, e necessità di non chiudere il dialogo, anche di fronte
a dichiarazioni di carattere estremista, questa la motivazione addotta anche
dalla Francia che dall'inizio non ha voluto far parte del clan del
boicottaggio, ma per voce del suo ministro degli esteri, Kouchner, ha anzi
sottolineato come loro rimarranno fino alla fine, fino al voto della bozza di
documento preparato e che risponde in pieno ai convincimenti e agli sforzi
maturati finora nella lotta contro il razzismo. “... ci sono 192 paesi
all'interno dell'ONU- ha dichiarato Kouchner su Le Monde- non gli si può
impedire di parlare.” E la stessa amministrazione americana, pur rigettando le
dichiarazioni anti-sioniste non ha voluto chiudere i canali diplomatici con
Teheran, segno del deciso cambiamento di strategia messo in atto da Obama. Nel
complesso il documento che Durban II si prepara a ratificare ha accolto le
richieste di paesi come Israele, gli USA, la Germania, l'Italia eliminando lo
specifico riferimento al contesto mediorientale e alla situazione palestinese,
ma non ha potuto evitare che essa venisse tirata in ballo durante uno degli
interventi, cosa non solo prevedibile, a dir poco scontata. Ma c'è forse
dell'altro. L'ipotesi, avanzata da qualche testata, e non priva di fondamento,
è relativa agli altri contenuti della bozza: la reale motivazine che avrebbe
spinto diversi paesi fra cui il nostro a boicottare la conferenza sul razzismo
potrebbe essere dovuto non tanto e non solo a una spiccata solidarietà con
l'amico israeliano, quanto piuttosto a quell'ampia e articolata Quinta sezione
( la più vasta nel documento) che fa specifico riferimento alle nuove forme di
razzismo, anche legalizzate, che coinvolgono migranti, richiedenti asilo,
minoranze etniche, linguistiche, o religiose, popolazioni indigene. La quinta
sezione che va dal paragrafo 51 al 143 invita esplicitamente i singoli paesi a
fare attenzione all'insorgere di nuove forme di razzismo nei confronti degli
immigrati, condanna la xenofobia e la discriminazione qualora essa sia avallata
anche da leggi dello stato e auspica dunque che le suddette leggi vengano
annullate o quanto meno riviste in nome dell'implementazione dei diritti da parte di categorie a rischio. Il paragrafo 60
invita gli stati a punire le pratiche razziste di gruppi neo-fascisti o
neonazisti. Il 67 fa appello affinchè la guerra al terrorismo non si trasformi
in una palese violazione dei diritti umani ( come non cogliere gli evidenti riferimenti alla
politica finora adottata dagli States?). Il 70 invita ad abbattere le barriere
che impediscono una reale partecipazione da parte delle minoranze e delle
popolazioni indigene alla vita politica e sociale del paese in cui vivono ( qui
è d'obbligo invece richiamare l'attenzione sulle discriminazioni subite dagli
aborigeni in Australia, paese che ha disertato la conferenza). Si va avanti su
questa scia, invitando i singoli stati a non utilizzare atteggiamenti
discriminatori e a impedirli qualora questi si verifichino in ambito politico o
anche mediatico, a non avallare politiche migratorie
incompatibili con il rispetto dei diritti umani... si
fa appello alle parternership da stabilire con i paesi di proveninenza o di
transito ma sempre purchè si rispettino i diritti succitati ( forse il patto bilaterale con la Libia stretto
dall'Italia non rientrerebbe in una simile definizione). Il paragrafo 84
è invece dedicato alle discriminazioni che continuano ad essere subite da parte
di Sinti, Rom, Gypsi e Camminanti, con un invito esplicito a fornire “una
speciale protezione alle vittime”. Ma si parla anche delle discriminazioni
femminili, dello sfruttamento sessuale a carico di donne e bambini, di lavoro
minorile, di dicriminazioni che colpiscono malati di AIDS e della necessità di
estendere il diritto alle cure mediche in ogni parte del mondo. Di particolare
interesse il paragrafo 99 in
cui invece ad essere condannato è qualsiasi gruppo o organizzazioone che inciti
all'odio, alla superiorità di razza, o gruppo, o colore o etnia spingendo
all'odio razziale o religioso. Un simile gruppo dev'essere dichiarato illegale.
La domanda a questo punto sorge spontanea: come la metteremmo con la Lega e con
le sue manifestazioni anti-Islam? Altra nota interessante è la condanna della
pratica di “profiling” su base etnica. La storia delle impronte digitali non è
troppo lontana. Insomma di elementi tali da far sorgere un po' di mal di pancia
anche all'interno del nostro Governo ce ne stanno, anche tenendo conto di
questa breve ( e assolutamente sommaria) panoramica all'interno della bozza di
documento presentata a Durban II, che, pur non avendo natura vincolante
rappresenta comunque un impegno da parte dei singoli stati firmatari. Se si
vuol andare avanti con la storia dell'antisemistimo, quale “paravento” per
giustificare la defezione, si faccia pure, sebbene esso venga duramente
condannato nella bozza e ampio risalto venga dato alla memoria dell'olocausto (
unico genocidio citato)... un confronto reale col testo fornisce invece chiavi
di lettura decisamente altre.
(
da "Repubblica.it"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
GINEVRA
- "Il mondo ha visto ieri il ritorno di Adolf Hitler, che questa volta ha
la barba e si esprime in Farsi". Gerusalemme non abbassa il tono delle
polemiche dopo le frasi contro Israele pronunciate dal presidente iraniano
Mahmoud Ahmadinejad alla conferenza Onu sul razzismo (Durban 2) in corso a
Ginevra. Le parole del leader di Teheran hanno suscitato durissime reazioni da
parte del Vaticano, dell'Unione europea, della Casa Bianca che tuttavia
annuncia che il dialogo con l'Iran va avanti. Il forum delle Nazioni Unite
prosegue quindi tra le polemiche e nel pomeriggio ha approvato la dichiarazione
finale. Obama. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha criticato le affermazioni
fatte ieri da Ahmadinejad su Israele definendole "orrende e
discutibili". Tuttavia, ha aggiunto, gli Usa vogliono continuare a tenere
un dialogo "diretto" con Teheran con cui "tutte le opzioni
restano sul tavolo". La dichiarazione finale. Nel pomeriggio la conferenza
di Ginevra ha approvato per acclamazione la dichiarazione finale, con tre
giorni d'anticipo rispetto al calendario del forum che proseguirà fino a
venerdì. ''Signore e signori, avete preso una decisione importante adottando il
documento'', ha dichiarato il presidente della conferenza, Amos Wako, definendo
il testo un ''risultato storico''. Il testo finale è stato al centro di un
braccio di ferro tra il gruppo dei Paesi musulmani e i Paesi occidentali, a
causa delle divergenze sulla questione medio-orientale e la diffamazione delle
religioni. Come chiedevano gli occidentali, il testo adottato non menziona
Israele né il concetto di diffamazione delle religioni. Il paragrafo
sull'Olocausto è stato invece mantenuto malgrado le richieste dell'Iran.
OAS_RICH('Middle'); L'Unione europea. A Ginevra c'erano anche i rappresentanti
di 23 Paesi dell'Unione europea (gli altri, tra i quali l'Italia, hanno
boicottato la conferenza e ora Berlusconi dice: "Avevamo previsto
tutto"). Ieri durante l'intervento di Ahmadinejad sono usciti in segno di
protesta ma non hanno abbandonato i lavori. E oggi hanno adottato il documento
finale. "E' stata tutt'altro che una sconfitta, piuttosto è stato l'inizio
di un successo", dice il ministro degli esteri francese, Bernard Kouchner
spiegando che la scelta di non boicottare la conferenza è stata compiuta in
apprezzamento delle frasi contenute nella dichiarazione finale. Nel testo
"figura tutto quello che desideriamo, tutto quello che i paesi occidentali
vogliono", aggiunge Kouchner, citando l'antisemitismo, la discriminazione
delle persone, la libertà d'espressione. "Si parla del genocidio,
dell'olocausto, dei diritti delle donne, della tratta degli
esseri umani, degli
ammalati di Aids e delle persone handicappate", sottolinea. Il Vaticano.
La Santa Sede, afferma una nota diffusa dalla sala stampa, "deplora
l'utilizzazione del forum dell'Onu sul razzismo per assumere posizioni
politiche, estremiste e offensive, contro qualsiasi Stato". Un tale
atteggiamento, spiega la nota, "non contribuisce al dialogo e provoca una
conflittualità inaccettabile". Rimane però la posizione del Vaticano, che
ha deciso di non partecipare alla protesta e di lasciare il suo rappresentante
nella sala durante il discorso di Ahmadinejad. Al termine della conferenza,
l'osservatore della Santa Sede all'Onu, monsignor Silvano Tomasi, parla della
dichiarazione finale come di un testo "non perfetto" ma che comunque
"rispetta i punti sostanziali dei diritti umani,
apre la strada a continuare a negoziare in futuro su alcuni temi che, per la
prima volta, sono stati accettati universalmente''. Per il Vaticano sono stati
quindi fatti dei passi avanti. L'abbandono della sala di numerosi delegati ieri
durante il discorso di Ahmadinejad Il giorno della Shoah. Il suono delle sirene
ha fermato per due minuti gli israeliani alle nove di mattina, ora locale, in
ricordo dei sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti durante la Seconda
Guerra mondiale. Nel Paese è ancora forte lo sdegno causato dalle dichiarazioni
del presidente iraniano. "Il mondo ha visto ieri il ritorno di Adolf
Hitler, che questa volta ha la barba e si esprime in Farsi": ha affermato
il presidente della Knesset (parlamento) Reuven Rivlin, un dirigente del Likud,
durante una cerimonia. "Le sue parole sono le stesse, le aspirazioni sono
le stesse, la determinazione di dotarsi dei mezzi per realizzarle è la stessa
determinazione minacciosa". Rivlin ha anche biasimato la Svizzera per
l'accoglienza riservata ad Ahmadinejad "nel nome della neutralità ".
Il presidente Shimon Peres ha ringraziato i Paesi che hanno deciso di
boicottare la conferenza: "Le camere a gas sono sparite, ma i veleni
rimangono". Il ritorno di Ahmadinejad. Al suo ritorno a Teheran
Ahmadinejad ha avuto un'accoglienza da eroe. Al presidente sono stati offerti
fiori e una folla di studenti militanti fondamentalisti ha gridato
ripetutamente lo slogan "Morte all'America". "Prenderò parte a
tutte le conferenze internazionali - ha affermato Ahmadinejad - nonostante il
volere dell'Occidente". Il leader iraniano, si è appreso oggi, ha
rinunciato a pronunciare una frase che definiva l'Olocausto, "questione
ambigua e dubbia", contenuta nella versione in inglese e scritta del
discorso. Nel suo intervento, in farsi, Ahmadinejad ha parlato "dell'abuso
della questione dell'Olocausto. (21 aprile 2009
(
da "Arena, L'"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Mercoledì
22 Aprile 2009 PRIMAPAGINA Pagina 1
L'EDITORIALE Quanti ostacoli per un'azione anti-razzismo
dell'Onu Bruno Cescon Razzismo. Il vocabolo non perde drammaticamente
d'attualità. E non cessa di essere attuale come peccato, come incarnazione di
incitamento all'odio, come male endemico di popoli e singoli, di governi e di
gruppi di esagitati. Alla Conferenza Onu di Ginevra lo ha impersonato
Ahmadinejad. È del resto «naturale» che all'Onu, sede di incontro di tutti i
governi del mondo, le differenze politiche, ideologiche, religiose trovino
eclatante cassa di risonanza. Le Nazioni Unite, nate dopo la tragedia della
seconda guerra mondiale, rispecchiano il mondo attuale. Con tutte le sue
contraddizioni. Talvolta appaiono assolutamente inefficaci, altre volte
ostaggio di potenze che difendono i loro interessi o di governi che nulla hanno
di democratico. Eppure oggi il nostro mondo, nonostante la globalizzazione e
l'urgenza di integrazione e di politiche comuni, non è riuscito ad inventarsi nessuna
altra palestra, così universale, di incontro tra «diversi». Che cosa sta alla
base del razzismo e del non riconoscimento dell'Olocausto? Certamente delle
ragioni politiche, storiche. Ma soprattutto la difficoltà di accettare la
famosa Magna Charta dell'Onu, incentrata sui diritti umani. L'estremismo del leader dell'Iran
non è nuovo. Ma hanno fatto discutere anche i veti della Russia, della Cina o
anche degli Stati Uniti su specifici fatti di violazione di alcuni diritti
fondamentali. Il fatto è che attorno al tema dei diritti umani vi è certamente consonanza nel
mondo occidentale. In fondo la loro formulazione nasce all'interno del
pensiero occidentale. E sono stati pensati come valori universali attinenti
alla stessa natura umana. Ma già nel nostro Occidente non vi è accordo quando
sono inclusi nell'alveo dei diritti umani anche i
diritti civili, oggetto invece di disputa. Ma soprattutto sono altre civiltà
che non si ritrovano in essi, pur riconoscendoli formalmente. Tutto ruota
attorno al concetto di persona, che non è concetto condiviso nell'Islam, né
appartiene alla concezione induista, buddista, confuciana, animista dell'uomo.
Difatti ad ogni Conferenza Onu su temi di rilevanza umana ed etica emergono le
differenze, prima all'interno dello stesso Occidente e poi dell'Occidente con
altre culture. 2
(
da "Repubblica, La"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Pagina 3
- Esteri Ma solo nei confronti dei legali che le hanno avallate. Cheney: "America meno sicura" Torture, vittoria liberal: "Sì
alle incriminazioni" DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Gli avvocati
dell´amministrazione Bush che hanno dato il via libera alle «tecniche brutali»
di interrogatorio usate dagli agenti della Cia contro i terroristi di Al Qaeda
catturati dagli Usa, potrebbero rischiare l´incriminazione. Sotto la
pressione dell´ala liberal del partito, delle organizzazioni per i diritti
umani e dei blog di sinistra, Barack Obama ha lasciato aperto uno spiraglio a
condizione però che si tratti di un´iniziativa rigorosamente «bipartisan» e che
le eventuali indagini (di un procuratore speciale e del Congresso) non siano
«eccessivamente politicizzate». Obama, che nei giorni scorsi aveva ripetuto
(l´ultima volta lunedì nel suo incontro con gli agenti Cia nel quartier
generale di Langley) che «occorre guardare avanti e mettersi il passato alle
spalle» dice adesso che i quattro memo sull´Intelligence «riflettono il modo in
cui l´America ha perso la sua statura morale». Ha precisato che lui «non sta
suggerendo» la creazione di una commisisone d´indagine ma rispondendo a una
domanda dei giornalisti nello Studio Ovale della Casa Bianca ha detto che
l´ipotesi è possibile «se e quando ci sarà la necessità di un approfondimento».
Confermata in toto invece l´amnistia per gli agenti responsabili delle
«tecniche» di tortura. Hanno agito «in buona fede» obbedendo agli ordini della
Casa Bianca (di Bush) e non finiranno mai sotto processo. Tanto basta perché i
liberal esultino (in prima fila il presidente della commissione Intelligence,
senatrice Dianne Feinstein) e i conservatori ripartano all´attacco dopo una
decisione (quella di pubblicare i memo) che, dicono, renderà «l´America meno
sicura». Capofila della contestazione l´ex vice - presidente Cheney secondo cui
il presidente - se proprio doveva render pubblici i memorandum - avrebbe dovuto
rendere noti anche i documenti che elencavano i fatti positivi, ovvero «le
informazioni ottenute con questi metodi», che hanno salvato «molte vite»
americane. Accuse cui il presidente ha replicato: «Non sono un ingenuo: vado a
letto tutte le sere preoccupandomi della sicurezza dell´America». Dopo la cauta
apertura di Obama spetterà adesso al ministro della Giustizia Eric Holder
decidere se aprire azioni legali contro gli avvocati della Casa Bianca
responsabili. Sotto accusa potrebbero finire Jay Bybee, Steven Bradbury e John
Yoo, coloro cioè che hanno firmato i quattro memo. (a. f. d´a.)
(
da "Stampa, La"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
LIBRI
Gli orti felici Luciana Littizzetto e Paolo Pejrone improvvisano alle 18,30 un
«Duetto su sedani, piselli e melanzane», per l'uscita del volume «Gli orti
felici» di Pejrone. Ikebò - Libreria Druetto, piazza Cavour 2 Incontri con
l'autore La scrittrice Margherita Oggero presenta (ore 18) il suo ultimo libro
«Il rosso attira lo sguardo. Quattro stagioni di relazioni pericolose».
Fondazione Paolo Ferraris, via Andorno 2 Facebook Giuseppe Civati e Mattia
Carzaniga presentano (ore 18) «L'amore ai tempi di Facebook». La Feltrinelli,
piazza Cln 251 INCONTRI Solakov Oggi alle 11, incontro con l'artista bulgaro
Nedko Solakov. Lo presentano Maria Teresa Roberto e Massimo Melotti. Accademia
di Belle Arti, via Accademia Albertina 2 Egitto Conferenza (ore 17,30) sui temi
della mostra «Egitto. Tesori sommersi» a cura di Alessandro Roccati. Circolo
dei Lettori, via Bogino 9 Risorgimento Per il ciclo di conferenze organizzate
dall'Associazione Mazziniana Italiana, alle 17 Aldo Salassa interviene sul tema
«1859: il Piemonte alla ribalta europea». Ingresso libero. Convitto Nazionale
Umberto I, via Bligny 1 bis Conferenze al Museo Luisa Morozzi, storico
dell'arte e direttore del ministero per i Beni e le Attività Culturali,
illustra alle 17 «Le collezioni d'arte piemontese al Quirinale». Gratis,
prenotazione obbligatoria, tel. 011/837688 int. 3. Museo Accorsi, via Po 55
Letture Oggi (ore 17,30), lettura interpretativa multimediale sul tema «Deus
absconditus. La rivelazione del "divino" nella poesia pensante dell'800
e del '900: Leopardi, Pessoa e Rilke» a cura del Collettivo di voci Woochie.
Introduce Giovanni Ramella. Organizza il Centro Pannunzio. Circolo dei Lettori,
via Bogino 9 Dolma Gyari La vicepresidente del Parlamento tibetano in esilio
porta (ore 21) la sua testimonianza sulle violazioni dei diritti umani in Tibet. Ciriè, Villa Remmert, via Rosmini 1
Globalizzazione Alle 21, il Generale Carlo Cabigiosu parla sul tema «Fattori di
instabilità nel mondo globalizzato». Ingresso libero. Circolo Ufficiali, corso
Vinzaglio 6 Avventura Evento letterario (ore 21,30) dal titolo «Il libro dei
viaggi - Itinerari tra le pagine di Giovanni Battista Ramusio», di Bruno
Burdizzo. Con i Narratori di Macondo. Sermig, via Borgodora 61 Incontri
stuzzicanti Esperti e giovani si confrontano (ore 18-19,30) su «Il lavoro
stagionale, alla ricerca di un lavoro estivo». Con aperitivo. Rivoli,
Informagiovani, corso Susa 128 Laghi del Piemonte La Biblioteca della Regione
organizza (ore 17) la conferenza «L'altro lago - Parchi e riserve naturali del
Lago Maggiore». Palazzo Lascaris, via Alfieri 15 Motori Alle 17, la Fondazione
Barsanti e Matteucci di Lucca dona al museo un modello del primo motore
Barsanti e Matteucci. Alla cerimonia interviene il presidente della Fondazione
Pierluigi Lazzerini. Museo Nazionale dell'Automobile, Torino Esposizioni, corso
Massimo d'Azeglio 15 SPETTACOLI Marginalia Stasera e domani (ore 21) la
compagnia Lontani dal Centro porta in scena «Pia De' Tolomei», con Erika
Fundone. Teatro Espace via Mantova 38 CINEMA Diritti umani Per il 60° anniversario
della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, alle 20,30 proiezione del film «Stories on Human Rights».
Gratuito. Unione Industriale, via Fanti 17 Flores Alle 21,15 il film «Signori
professori» di Maura Delpero, diventa occasione per approfondire il tema «La
scuola malata: insegnanti allo sbaraglio» con l'intervento della
regista. CineTeatro Baretti, via Baretti 4 Artintowns Movies Doppia proiezione:
alle 20,30, «All human right for all - Sguardi del cinema italiano sui diritti umani»; ore 22,30, «La classe dei gialli» di Daniele
Gaglianone. Artintown, via Berthollet 25 Corti L'associazione Chicca Richelmy
propone (ore 21) cortometraggi di eclettici creativi torinesi. Centro
Interculturale delle donne «Alma Mater», via Norberto Rosa 13/a MOSTRE Le
nuvole S'inaugura (ore 18) la mostra fotografica «Cosa sono le nuvole» di Dario
Lanzardo. Fino al 31 maggio. Museo Regionale di Scienze Naturali, via Giolitti
36 VARIE Sfilata di beneficenza Lo stilista Walter Dang presenta (ore 21) la
nuova linea «Catharis», omaggio alla sua regione di provenienza, l'Ariège, dove
si commemorano gli 800 anni dal primo massacro dei Catari. Su invito, tel.
011/884123. Iniziativa a favore di Abibi «Amici Bimbi». Ex Tempio metodista,
via Lagrange 13 a
cura di Elena Del Santo giornonotte@lastampa.it
(
da "Repubblica, La"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Pagina 4
- Esteri L´Olocausto Gli estremisti Parla Rama Yade, sottosegretario al
ministero degli Esteri: "Ottenuta una buona Dichiarazione finale"
"La Francia ha fatto bene ad andare anche così si contrasta il razzismo"
Nel testo approvato è stato mantenuto il paragrafo sulla Shoah è la migliore
dimostrazione dell´isolamento dell´Iran Bisognava essere presenti per
contraddire immediatamente gli estremisti e manifestare la nostra
disapprovazione ANAIS GINORI DAL NOSTRO INVIATO PARIGI - Nessun pentimento.
«Non si doveva abbandonare la tribuna dell´Onu agli estremisti. La Francia ha
fatto bene a partecipare alla Conferenza per difendere i valori universali».
Rama Yade, sottosegretario al ministero degli Esteri per i
diritti umani, è uno dei
personaggi politici più popolari del momento. I francesi apprezzano la
schiettezza e una certa dose di ribellione di questa giovane donna nata in
Senegal 33 anni fa. Perché la Francia ha deciso di rimanere alla conferenza
anche dopo le dichiarazioni di Ahmadinejad? «Non potevamo disertare la
battaglia contro il razzismo e le discriminazioni. Bisognava essere presenti
per contraddire immediatamente gli estremisti e manifestare la nostra
disapprovazione, come abbiamo fatto lasciando la sala durante il discorso del
presidente iraniano. Ma era doveroso mantenere la nostra partecipazione alla
Conferenza per difendere le nostre convinzioni e fare pressioni su chi voleva
rimettere in discussione il carattere universale dei diritti umani».
E´ soddisfatta del documento approvato? «Dopo aspre trattative, il testo
adottato mi pare equilibrato: non supera le "linee rosse" fissate
dalla Francia e dalla Ue ed è stato purgato da dichiarazioni antisemite. E´
stato cancellato anche il concetto di diffamazione delle religioni. Rispettiamo
le credenze di ognuno, ma nel paese di Voltaire la critica delle religioni non
deve essere un reato». Eppure molti osservatori parlano di un fallimento.
«Nella dichiarazione finale ci sono invece molti punti positivi, soprattutto
riguardo al tema della libertà di espressione. Nel testo si parla anche della
condizione dei migranti, delle donne vittime di violenza o di tratte, vengono
evocate le forme più umilianti dello sfruttamento. Faccio notare che la
Dichiarazione richiama gli Stati anche a vigilare sulla condizione delle donne
nel mondo del lavoro. Infine il paragrafo specifico sulla memoria
dell´Olocausto è stato completamente mantenuto. Ventiquattro ore dopo
l´intervento di Ahmadinejad, è questa la migliore dimostrazione dell´isolamento
dell´Iran». Resta il fatto che ha usato la Conferenza per esternare al mondo
dichiarazioni antisemite. «Quello che ha detto Ahmadinejad è intollerabile.
Durante il suo discorso, la Francia ha subito protestato ordinando alla nostra
delegazione di abbandonare la sala. E´ stato un segnale morale in una
conferenza che ha, ricordiamolo, una dimensione soprattutto morale». Gli Stati
Uniti, come l´Italia, rimangono convinti che fosse necessario boicottare la
Conferenza. «E´ una scelta che rispetto. In questo caso, abbiamo pensato che la
politica della "sedia vuota" non fosse un modo appropriato di
difendere i nostri valori universali. Di fronte al rischio di manipolazioni e
strumentalizzazioni era importante essere presenti per riaffermare quello in
cui crediamo: la democrazia, lo Stato di diritto, la libertà di espressione,
l´uguaglianza tra uomo e donna, la lotta contro l´impunità. E credo
sinceramente che abbiamo raggiunto il nostro obiettivo».
(
da "Repubblica, La"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Pagina 4
- Esteri Il nunzio: aperte nuove prospettive per i diritti umani Approvata in tutta fretta la
Dichiarazione finale il Vaticano: "Passi avanti" GINEVRA - Grazie
anche al discorso di Ahmadinejad, il vertice Onu di Ginevra sul razzismo ieri
ha accelerato i suoi lavori: i delegati hanno approvato la Dichiarazione
Finale, che era stata scritta e negoziata da giorni. Il testo è quello
ampiamente anticipato: non contiene riferimenti espliciti ad Israele, ma si
richiama alla «Durban 1», la conferenza sul razzismo del 2001 che invece indicò
Israele - unico Stato fra tutti i membri dell´Onu - come autore di politiche
razziste nei confronti dei palestinesi. Da registrare la poca sintonia che
ancora una volta hanno espresso diverse fonti vaticane su una questione che
riguarda Israele. Ieri mattina padre Lombardi, direttore della Sala stampa
vaticana, con una lunga dichiarazione aveva rafforzato le critiche
all´intervento di lunedì di Ahmadinejad. Anche l´Osservatore Romano aveva
indurito la linea di commento contro Ahmadinejad, arrivando a scrivere che la
conferenza «rischia di veder vanificati i suoi scopi, dopo il nuovo
inaccettabile attacco a Israele». Per il nunzio vaticano a Ginevra, Silvano
Tomasi, invece «il documento non è perfetto, però rispetta i punti sostanziali
dei diritti umani, apre la strada a continuare a
negoziare in futuro su alcuni temi che, per la prima volta, sono stati
accettati universalmente». Il capo della delegazione vaticana all´Onu, che non
ha abbandonato i lavori dopo l´attacco di Ahmadinejad, sostiene che «si possono
migliorare certamente le condizioni per continuare a combattere contro ogni
forma e manifestazione di razzismo».
(
da "Repubblica, La"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Pagina
18 - Esteri Mosca, scarcerata la legale dei nemici di Putin Svolta nel processo
agli oligarchi della Yukos, accolta la richiesta di clemenza Ma l´ex patron
Khodorkovskij rischia altri 20 anni di galera in un nuovo processo LEONARDO
COEN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA - Il tribunale Preobrazhenski di Mosca ha
ordinato la scarcerazione anticipata di Svetlana Bakhmina, ex legale della
Yukos condannata il 19 aprile del 2006 a sei anni e mezzo di prigione per
sottrazione di azioni della compagnia petrolifera Tomskneft e per evasione
fiscale. Una decisione inattesa. Perché il 27 maggio del 2008, il tribunale
distrettuale Zubovo-Polijanski della repubblica di Mordovia, dove la donna
scontava la pena, aveva respinto la richiesta di liberazione anticipata: eppure
aveva già scontato più di metà della pena, aveva note positive di buona
condotta, e si era persino pentita. Soprattutto, madre già di due bimbi, era
rimasta incinta per la terza volta. Il no di quei giudici
scatenò l´indignazione dei difensori dei diritti umani e dell´opinione pubblica: la compagna di scuola Olga
Kalashnikova scrisse a Medvedev una lettera aperta che finì poi sul sito www.
bakhmina. ru. Nel giro di poche settimane vennero raccolte 90mila firme. Il
Cremlino rimase sordo a ogni appello. Anche a quello di Mikhail
Gorbaciov. Il 10 settembre del 2008, lo stesso tribunale di maggio negò ancora
una nuova richiesta di scarcerazione. Il caso Bakhmina è collegato a quello ben
più clamoroso, di Mikhail Khodorkovskij, patron della Yukos - la più grossa
società petrolifera russa - e del suo socio Platon Lebedev, sbattuti in una
galera siberiana per truffe varie ed evasione fiscale. Accuse che Khodorkovskij
ha sempre contestato, «è una congiura, per smembrare la Yukos e favorire
l´arricchimento di certi burocrati», e le allusioni portavano diritto al
Cremlino. In effetti, il primo processo contro l´ex oligarca si è dimostrato
piuttosto una resa dei conti tra fazioni avverse, con quella putiniana decisa a
sbarazzarsi di un pericoloso «nemico». E proprio in questi giorni si celebra un
secondo processo contro Khodorkovskij e Lebedev, in cui loro rischiano altri
vent´anni di reclusione. La posta in gioco è tuttavia ben altra. Il processo
Yukos è diventato ormai un test cruciale per Medvedev che ha sempre affermato
il primato dello stato di diritto e ha sempre detto di voler difendere la
giustizia. Forse Medvedev ha deciso che è venuto il momento di riportare le
cose su un piano meno spregiudicato. La scarcerazione di un personaggio chiave
come la Bakhmina apre prospettive nuove. Per capire quali, bisogna ripercorrere
gli avvenimenti di questi ultimi giorni. Per tutta la settimana che ha
preceduto la Pasqua ortodossa, Medvedev ha infatti dato piccoli, ma
significativi segnali di distacco dalla linea «dura» che aveva invece
caratterizzato i due mandati presidenziali di Putin, fiero avversario di
Khodorkovskij. Disgelo nei confronti dell´opposizione - l´intervista al
giornale della Politkovskaja - apertura verso le ong che si occupano di diritti
umani. Dulcis in fundo, ieri il Cremlino ha annunciato
che Medvedev terrà un videoblog sul sito russo di LiveJournal, la principale
piattaforma utilizzata dai blogger russi, il territorio virtuale della libertà,
almeno di quello che resta della libertà in Russia. «Sono indipendente», ha
detto Medvedev a Dmitrij Muratov, direttore di Novaja Gazeta, quasi a
ufficializzare la presa di distanza dai clan dei siloviki, gli uomini del
potere «forte», che hanno in Putin il loro mentore. E tuttavia, sul delicato
problema del processo Yukos, Medvedev era stato evasivo, spiegando che non era
compito suo interferire. E alla presentatrice tv Svetlana Sorokina, che gli
aveva chiesto di intervenire a favore della Bakhmina, il capo del Cremlino non
aveva dato alcuna risposta: «Dalla sua faccia non si poteva capir proprio
niente. Ha già imparato a tenere il volto impassibile. Però mi ha ascoltato con
molta attenzione». Appunto. Qualcosa sta cambiando, dalle parti della Piazza
Rossa.
(
da "Corriere della Sera"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Corriere
della Sera sezione: Politica data: 22/04/2009 - pag: 12 Durban II Accelerazione
dei lavori, documento finale votato tre giorni prima. Sì della Francia, critici
gli Usa Razzismo, intesa all'Onu (in anticipo) Israele attacca Ahmadinejad: «A
Ginevra è ricomparso Hitler» Le 16 pagine richiamano la dichiarazione e il
piano delineato dall'Onu a Durban otto anni fa DAL NOSTRO INVIATO GINEVRA
Applausi, nessuna obiezione. Dopo mesi di negoziati, i 143 punti del documento
finale sono stati approvati con tre giorni di anticipo. Navi
Pillay, alto commissario per i Diritti umani, assicura che la fretta non nasce dalla paura di altre
defezioni. La conferenza sul razzismo è stata boicottata da dieci Paesi (tra
cui Stati Uniti, Israele e Italia) e «sono gli unici a non aver adottato il
testo». Chi è rimasto, ha detto sì. I delegati europei sono tornati in
sala e al tavolo delle trattative, dopo l'esodo dei ventitré diplomatici
durante il discorso di Mahmoud Ahmadinejad, presidente iraniano. Le 16 pagine
richiamano la dichiarazione e il piano delineato dall'Onu a Durban otto anni
fa. Gli americani e gli israeliani avevano abbandonato il summit sudafricano,
dopo che le nazioni arabe avevano tentato di definire il sionismo come
razzista. «Anche questa volta non potevamo partecipare - ribadisce Barack Obama
- Nel nuovo testo è stata incorporata una conferenza che abbiamo criticato e
che aveva prodotto conclusioni contestabili». Il presidente americano attacca
Ahmadinejad («parole spaventose ») e lascia aperta la possibilità del dialogo
diretto con Teheran («è quello che cercheremo di ottenere»). La strategia di
Washington è un «paradosso» per Benard Kouchner, ministro degli Esteri
francese. «Non ha senso sabotare il vertice sul razzismo, dopo aver detto di
essere pronti a negoziare con l'Iran sul nucleare. Non vogliono ascoltare
Ahmadinejad a Ginevra, ma vogliono parlarci. Non è solo un paradosso, rischia
di essere un errore ». Parigi considera il summit un successo: «Nel testo
adottato c'è tutto quello che volevamo menzionare: l'antisemitismo, la
discriminazione, la libertà d'espressione. Si parla del genocidio,
dell'Olocausto, dei diritti delle donne, della tratta degli esseri umani, degli ammalati di Aids e delle persone handicappate
». Ahmadinejad è tornato a Teheran ed è stato accolto da trionfatore. Militanti
all'aeroporto hanno gridato gli slogan «morte all'America» e «il regime
sionista va sradicato ». Il leader iraniano ha accusato i Paesi occidentali,
perché «proclamano di difendere la libertà di parola e poi non tollerano chi si
oppone loro. Sarò presente a tutte le conferenze internazionali, anche se non
mi vogliono». La televisione di Stato ha mostrato a ripetizione le immagini del
ritorno e del discorso a Ginevra, ma ha tagliato le contestazioni e l'abbandono
dell'aula da parte dei rappresentanti dei Paesi europei. I funzionari delle
Nazioni Unite si sono resi conto ieri che Ahmadinejad ha modificato sul podio
le frasi originali del discorso. Il testo scritto, fatto circolare dai
diplomatici iraniani, definiva l'Olocausto «dubbio e ambiguo», un passaggio che
il presidente ha lasciato cadere, quando ha accusato l'Occidente di aver
sfruttato la Shoah come «pretesto per l'aggressione contro i palestinesi». Nel
giorno dell'Olocausto, quando tutta Israele si ferma in silenzio per due
minuti, il governo ha reagito alle parole del leader iraniano. Il premier
Benyamin Netanyahu ha proclamato che «un nuovo sterminio non ci sarà» e Reuven
Rivlin, presidente del Parlamento, ha paragonato Ahmadinejad a Hitler: «Abbiamo
assistito alla sua ricomparsa, solo che questa volta ha la barba e si esprime
in Farsi ». Davide Frattini
(
da "Sole 24 Ore, Il"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il
Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-04-22 - pag: 10
autore: Diritti umani Caccia
ai gay a Baghdad Braccati. I loro nomi affissi sui muri, come pericolosi
ricercati. E sotto, la scritta «cagne sarete giustiziate». Sono solo
"jarwa", in arabo cagna. Li torturano, li seviziano e poi abbandonano
i cadaveri davanti agli ospedali o nelle strade. Affinché siano visti da
tutti, affinché gli iracheni conoscano il destino riservato a chi si è
macchiato della peggiore delle colpe: l'omosessualità. La guerra dichiarata
dalle milizie islamiche irachene, soprattutto quelle sciite, contro i gay è
ormai senza quartiere. Secondo l'emittente araba al–Arabiya i corpi di altri
sette gay sono stati abbandonati davanti all'obitorio negli ultimi giorni. Gli
omicidi avvengono soprattutto a Sadr City, una misera propaggine alle porte di
Baghdad abitata dalla comunità sciita. Negli ultimi due mesi la polizia ha
rinvenuto oltre 30 cadaveri. Ma potrebbero essere molti di più. I carnefici non
sono solo le milizie. A volte sono anche i familiari o i membri dello stesso
clan. Ai loro occhi la soluzione è punirli con la morte per allontanare il
disonore. Al-Arabya ha rivelato particolari raccapriccianti. L'ultima tortura
inflitta ad almeno 63 gay è stata battezzata«l'adesivo dell'emiro». Alle
vittime viene otturato lo sfintere anale con una colla che si può rimuovere
solo in ospedale. Poi viene fatto loro ingerire un potente lassativo. La morte
che sopraggiunge è dolorosissima. Sui cellulari circola già un video che mostra
il supplizio. La caccia rischia di assumere proporzioni ancor più preoccupanti.
Secondo un'attivista iracheno, gli omosessuali in Iraq sarebbero anche il 10%
della popolazione. Anche gli imam moderati bollano come deviazione o malattia
l'omosessualità. Chi è gay deve essere curato, curato per guarire. R.Bon.
(
da "Sole 24 Ore, Il"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il
Sole-24 Ore sezione: MONDO data: 2009-04-22 - pag: 10 autore: Possibili
incriminazioni per alti funzionari del Governo Bush Obama
apre alle indagini sulle torture degli agenti Cia Mario Platero NEW YORK. Dal
nostro corrispondente Barack Obama ci ha ripensato: non si potrà escludere la
formazione di una commissione di inchiesta o di un processo speciale contro
coloro che hanno formulato gli ordini e fornito il contesto giuridico per
autorizzare le torture sui sospetti di terrorismo detenuti dalla Cia. Il
cambiamento di posizione di Obama giunge dopo una serie di duri attacchi da
parte dell'ala sinistra del partito democratico e dopo alcuni editoriali
durissimi, fra cui uno dei New York Times di ieri mattina, contro la promessa
del presidente di voler «guardare in avanti e non indietro», promessa formulata
durante il suo viaggio a Langley, in Virginia, per una visita ai quartieri
generali della Cia dove ha cercato di galvanizzare gli agenti e gli analisti
dell'agenzia per il controspionaggio americano. Obama ha detto che un'indagine
potrebbe essere possibile «al di fuori del tradizionale sistema processuale» e
con la partecipazione di «personalità indipendenti al di sopra di ogni sospetto
» affermando che questo «potrebbe essere il modo migliore di affrontare la
cosa». «Non sto dicendo che un processo vada fatto, ma che c'è la possibilità
di farlo, anche se, in generale, continuo a credere dovremmo guardare avanti
piuttosto che indietro - ha ripetuto Obama durante una conferenza stampa ieri
mattina con il Re di Giordania Abdullah - mi preoccupa però - ha continuato -
che tutto ciò diventi un tema talmente politicizzato da farci perdere di vista
quel che è realmente importante, e cioè il futuro; e che possano sorgere da
nuove polemiche, degli ostacoli per la nostra capacità di portare avanti le
operazioni di sicurezza nazionale». Oltre alle reazioni durissime della sua
base elettorale e dell'opposizione, infuriata per la decisione iniziale di
Obama di rendere pubblici documenti che avrebbero comunque aperto un vaso di
Pandora, Obama si deve anche confrontare con il pericolo che parlamentari
possano avviare commissioni di inchiesta autonome. Il senatore della California
Dianne Feinstein ad esempio, ha già anticipato che costituirà una commissione
per verificare se davvero le torture della Cia hanno portato dei risultati
tangibili per migliorare la sicurezza del Paese o se i vantaggi sono stati
minimi. Il presidente ha poi detto di non aver cambiato idea ma di essere
semper stato "aperto" alla possibilità di indagare sui funzionari che
hanno autorizzato «dall'alto» l'uso di tecniche di tortura come il
waterboarding. Sotto inchiesta cioè, non finirebbero gli agenti che hanno
materialmente condotto gli interrogatori, ma i funzionari della Casa Bianca o
del dipartimento per la Giustizia che li hanno autorizzati. Tra questi potrebbe
esserci anche lo stesso ministro della Giustizia di Bush, Alberto Gonzales,
contro il quale le autorità di Madrid hanno già aperto un'istruttoria a seguito
delle violenze subite da cittadini spagnoli nella base di Guantanamo. Alle
richieste di «chiarezza» e «trasparenza» si era aggiunta nelle ultime ore anche
l'Onu, chiarendo che gli Stati Uniti dovranno sottostare alle regole della
convenzione contro la tortura esattamente come gli altri Paesi firmatari. ©
RIPRODUZIONE RISERVATA CEDIMENTO ALLE CRITICHE Il ministro della Giustizia
deciderà se perseguire i legali autori dei pareri che consentirono il ricorso
all'annegamento simulato
(
da "Sole 24 Ore, Il"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il
Sole-24 Ore sezione: JOB 24 data: 2009-04-22 - pag: 29 autore: Arte. Rosa
Stourac McCreery Teatro itinerante nelle periferie Il viaggio in giro per il
mondo di Rosa Stourac McCreery si è fermato a Newcastle Upon Tyne, anonima
cittadina nel nord dell'Inghilterra. Qui questa giovane artista, nata a Londra
nel 1980, ha
trovato il terreno giusto per la sua creazione più importante, il National
Urban circus theatre attraverso cui lavora «per far avere ai giovani
facilitazioni e servizi per praticare e sviluppare il circo e il teatro urbano.
Per ora abbiamo il più grande skate park indoor del Nord est dell'Inghilterra –
racconta – e progetti con gruppi al cui interno si trovano dai rifugiati a
coloro che cercano asilo politico ai giovani emarginati». La creatività è un
approccio alla vita che può esprimersi in forme diverse. «Per fare il teatro
urbano servivano strutture, una parte, per esempio, le abbiamo costruite con
materiali di scarto e di riciclo, cercando di portarei ragazzi a mettere tutta
la loro passione nel progetto». è un lavoro difficile perché non sempre riesce
ad avere la stabilità e il supporto economico di cui ha bisogno, spesso per via
dell'ottusità del dipartimento per i giovani del Comune della città dove vive.
Nel progetto che ha messo in piedi crede fortemente perché «i giovani sono
dopotutto i principali esperti di che cosa significhi essere giovani e possono prendere
decisioni su questioni che riguardano loro stessi e dopotutto anche il futuro
delle comunità. Il teatro si può usare per lavorare con persone giovani, dagli
interessi diversi, anche marginalizzate, per aiutare le comunità ad esprimere
il loro potenziale e a trovare soluzioni ai problemi. Anche sociali. Rosa
Stourac McCreery questo lo sa bane. Ha passato la maggior parte della sua vita
al seguito del padre e della madre che nella Londra degli anni '70 hanno
fondato due compagnie "politiche", come lei stessa le definisce.
«Lavoravano con il sindacato, recitavano nelle fabbriche occupate, con i gruppi
di immigrati e di emarginati »,racconta.In Inghilterra,ma anche in giro per il
mondo, in paesi difficili dove è arrivata la svolta. «Ero ancora una ragazzina
quando mia madre mi portò in Zimbabwe ad uno dei workshop. Era in una missione
di recupero per giovani emarginati, responsabili di piccoli crimini», continua.
Prima di quell'esperienza Rosa nel suo futuro vedeva un
lavoro per un'organizzazione di diritti umani. In mente aveva Amnesty international. Poi però «ho capito che
avrei potuto usare il teatro per lavorare con i giovani e i bambini. è un
teatro il mio che non si basa fortemente sul parlato, ma sulle figure e sulla
fisicità che vanno al di là delle parole». Dopo aver studiato Performing
arts alla Middlesex University, alla Resad theatre school di
Madrid,all'International theatre school, Jacques Lecoq di Parigi, adesso Rosa
vive a Newcastle Upon Tyne dove porta avanti il National Urban circus theatre.
Con il sogno che possadiventare un modello per un futuro più umano e
sostenibile anche per i giovani. © RIPRODUZIONE RISERVATA In scena. Rosa
Stourac McCreery
(
da "Manifesto, Il"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
DURBAN
II Hanno avuto torto gli assenti e i preveggenti Alberto D'Argenzio BRUXELLES
BRUXELLES Gli assenti hanno sempre torto, si dice. A volte anche i preveggenti,
soprattutto quelli che pre-vedono ciò che dicono gli altri, ma non vedono ciò
che succede in casa loro. Ieri i delegati di oltre cento paesi presenti a
Ginevra per la Conferenza della Nazioni unite hanno approvato per acclamazione
la travagliata e discussa dichiarazione Durban II contro il razzismo e la
discriminazione (in quasi tutte le sue forme). CONTINUA|PAGINA11 Mancavano, e
si sapeva da giorni, Stati uniti, Israele, Italia, Olanda, Polonia, Germania,
Canada, Australia, Nuova Zelanda e ieri, dopo il discorso incendiario di
Ahmadinejad, si è ritirata anche la Repubblica Ceca. «Siamo stati preveggenti»,
ha detto Berlusconi puntando il dito sulle parole di fuoco dell'iraniano. «La
Conferenza non è stata assolutamente un fallimento, ma l'inizio di un
successo», ribatte il ministro degli esteri francesi Bernard Kouchner. Nel
testo si parla di razzismo, anche contro Rom e migranti, temi su cui l'Italia è
stata ripresa la settimana scorsa dal Consiglio d'Europa. Il fallimento è stato
in primis di Ahmadinejad, che con le sue parole ha mosso cumuli di
indignazione, ha fatto uscire 30 delegazioni dalla sala, si è guadagnato le
critiche di oltre mezzo mondo, ma non ha cambiato poi molto sul campo, se si
eccettua la diserzione di Praga, Presidente di turno della Ue, e
l'accelerazione dei lavori. Per evitare nuovi ripensamenti e soprattutto nuove
strumentalizzazioni, l'approvazione è stata infatti anticipata da venerdì a
ieri, d'altronde il testo era già stato negoziato palmo a palmo la settimana
scorsa. Certo al testo qualcosa manca, come il riferimento alla discriminazione
verso gli omosessuali, un tema scomodo tanto per i paesi musulmani quanto per
il Vaticano (e non solo). Ma comunque la Conferenza segna un prima e un dopo,
non solo per quello che dice ma anche perché Occidente (quello che ha
partecipato ai lavori) e paesi islamici sono riusciti in un complesso lavoro di
sintesi e mediazione che condanna il razzismo quasi a tutto campo e che ha di
fatto lasciato il partito degli assenti praticamente senza argomenti, appeso
solo ad un riferimento nel testo a Durban I, in cui allora sì, si bollava
Israele come Stato razzista. «L'Italia - diceva ancora ieri il ministro degli
esteri Franco Frattini - si rallegrerebbe se le conclusioni cancellassero
quelle della conferenza precedente, dicessero che l'Olocausto è la più grande
tragedia del ventesimo secolo e non parlasse di razzismo in riferimento a
Israele. La speranza è l'ultima a morire». Dopo la ragione. Nel paragrafo 66 si
parla dell'Olocausto, che «non deve mai essere dimenticato» (e anche così la
dichiarazione è stata firmata anche dall'Iran) mentre dal testo è sparito il
riferimento alle politiche di Israele nei Territori occupati e anche quello
alla recente invasione di Gaza. Rimane sì il riferimento a Durban I, a quello
pensano i nove paesi che sono rimasti a casa a guardare. A quello, e alle
parole del Presidente iraniano. Il che nasconde anche un certo paradosso, se
non un «errore» politico, sottolinea ancora Kouchner. Washington, la tesi del
francese, vuole da un lato riannodare il dialogo diplomatico con Teheran e
dall'altro diserta la Conferenza di Ginevra, in cui si parla di dialogo. Un
discorso che vale anche per il preveggente governo italiano, che da mesi cerca
di entrare nel gruppo di contatto europeo con l'Iran, dopo che già ne è già il
primo partner commerciale tra i 27, ma che poi fa riferimento a parole e frasi
del Presidente iraniano, peraltro non certo nuove, per motivare un'assenza che
puzza di torto. Nel testo si parla di relazione «tra povertà e razzismo», di
necessità, da parte «degli Stati, di prendere urgenti misure per combattere la
persistenza di attitudini xenofobe», vengono condannati le violenze e gli
stereotipi sui migranti, anche quelli espressi dai politici. E c'è spazio per la
protezione di chi chiede asilo e di chi emigra, come per la condanna della
schiavitù e della tratta di esseri umani. Ci sono
articoli contro la discriminazione sulla donna e per la prima volta a questo
livello si citano i malati di Aids e i disabili mentre non vi è traccia della
«diffamazione di religione», un passaggio invocato dal mondo islamico ma
sforbiciato dall'occidente per le sue possibili ricadute sulla libertà di
espressione. E per la prima volta si parla di Rom e Sinti, della «violenza che
ancora colpisce profondamente» queste comunità. Secondo il diplomatico russo
Yuri Boychenko, uno degli uomini chiavi per arrivare alla quadratura del
cerchio, il paragrafo fa esplicito riferimento «ad una
situazione molto specifica dell'Europa». Per Navi Pillay, l'Alta Commissaria
per i diritti umani
dell'Onu, la necessità di agire è chiara: «dal 2001 ad oggi la situazione dei
gruppi più vulnerabili è solo peggiorata». Un'altra ragione per esserci.
alberto d'argenzio
(
da "Manifesto, Il"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
USA Il
presidente non scarta un'inchiesta sugli «interrogatori»
Obama apre la porta al processo alle torture Matteo Bosco Bortolaso Il processo
alle torture dell'era Bush si farà. Ieri il presidente Barack Obama ha aperto
la porta all'idea di una commissione speciale per indagare - ed eventualmente
punire - i responsabili di metodi di interrogatorio inumani. «Se e
quando servirà un resoconto più completo dell'accaduto, penso che il Congresso
ne dovrà esaminare le modalità, in maniera bipartisan», ha detto Obama
rispondendo alle domande dei giornalisti durante una mini-conferenza stampa
seguita all'incontro con il re Abdullah di Giordania, che ieri era in visita a
Washington. Il presidente ha precisato che il Congresso dovrà evitare lo stile
«da udienza», che spesso «corre lungo le linee di partito». Bisogna invece
«adottare un approccio più assennato». Obama ha misurato accuratamente quel che
diceva: non si deve «dare ad una parte o all'altra il vantaggio politico, si
deve invece imparare le lezioni dal passato e andare avanti in maniera
efficace». Il problema, continua il presidente, è spinoso: portare le torture
sotto i rifettori rischia di creare un dibattito «così politicizzato che
potremmo ritrovarci bloccati, impossibilitati ad andare avanti in maniera
efficace, ostacolati in operazioni critiche per la sicurezza nazionale». E'
perciò improbabile che la Casa Bianca adotti l'idea di una «commissione per la
verità», propugnata nei mesi scorsi da due parlamentari democratici, il
senatore Patrick Leahy del Vermont e il deputato John Conyers del Michigan.
Comunque, annotano i giornalisti del sito Politico.com, «i commenti di Obama
erano nettamente più positivi nei confronti di questa idea rispetto alle
reazioni di altri funzionari alla Casa Bianca, che avevano bocciato
ripetutamente la proposta» della commissione. Il presidente ha già detto altre
volte che le spie responsabili delle torture non saranno processate. Diversa,
invece, la situazione per gli esperti di diritto che hanno scritto i documenti
che hanno reso legali le torture. In altre parole: va punito il cervello, non
il braccio. Ieri il presidente ha comunque precisato che a decidere sarà «il
ministro della giustizia, soppesando i parametri di varie leggi, e non voglio
pregiudicare questo processo» perché «stiamo parlando di argomenti molto
complicati». Gli autori delle carte della tortura sono John Yoo, Jay Bybee e
Steven Bradbury, che - non a caso - sono pure i protagonisti di un rapporto che
l'ufficio etico del dipartimento di giustizia sta preparando. Gli insider
dicono che il documento è fortemente critico nei confronti del terzetto, che potrebbe
andar contro a sanzioni. Forse anche accuse per crimini, ma è improbabile.
Sempre secondo i ben informati, a dirigere l'indagine potrebbe essere John
Durham, magistrato che ha passato oltre un anno indagando sulla distruzione dei
nastri della Cia che provano gli interrogatori più raccapriccianti. Il
dibattito politico sulle torture, naturalmente, è già esploso. Anche Dick
Cheney, ex numero due alla Casa Bianca di George W. Bush, ha detto la sua.
Parlando con Fox News, il vicepresidente dell'era repubblicana ha rivendicato
l'efficacia del waterboarding, la simulazione dell'annegamento, e delle altre
tecniche utilizzate dalle spie Usa contro i presunti terroristi. Il falco, vero
e proprio architetto della guerra al terrore targata Bush, ha chiesto alla Cia
di declassificare nuovi documenti che, a suo dire, proverebbero che la tortura
dà buoni risultati. La tesi di Cheney è contestata dal New York Times, giornale
che a più riprese ha scritto dell'inefficacia del waterboarding. La posizione
dell'ex numero due è attaccata da Obama a livello filosofico: durante il suo
discorso di insediamento, il presidente aveva detto che quella tra i valori
(«non si tortura») e la sicurezza («ma dobbiamo evitare un nuovo 11 settembre»)
è una «falsa scelta». Da sinistra, invece, Dianne Feinstein, una democratica
californiana che guida la commissione intelligence del Senato, chiede a Obama
di aspettare i risultati di un'indagine che la stessa commissione ha avviato.
Ci vorranno altri sei o otto mesi. Pure la commissione per i servizi armati sta
preparando un rapporto sulle tecniche di interrogatorio. Il processo all'era
Bush, insomma, andrà avanti a lungo.
(
da "Manifesto, Il"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
FUORILUOGO
I suicidi in carcere e l'etica della responsabilità Sandro Margara La metto
così: il carcere è, e in sostanza è sempre stato, una questione totale: cioè,
una questione in ogni suo aspetto, un continuum di criticità, che si tengono
tutte fra loro. La questione dei suicidi in carcere, a mio avviso, va letta
così. Nel contesto del carcere, per dire una cosa ovvia, tutto quello che
dovrebbe rilevare sul nostro tema è la sua vivibilità o la sua invivibilità. Il
discorso potrebbe allora svilupparsi nella ricostruzione di tutti i fattori e
dinamiche di invivibilità, non pochi e non leggeri. Poi, bisognerebbe attuare
una strategia dell'attenzione nei confronti di coloro che soffrono in modo
speciale la invivibilità. Ma c'è, indubbiamente, a monte di questi aspetti, un
primo punto che non può essere ignorato: ed è quella che potrebbe essere
chiamato la «vivibilità dell'arresto», che ha un proprio rilievo, provato dal
dato statistico (ricavato dal libro di Baccaro e Morelli: «Il carcere: del
suicidio e di altre fughe», letto in bozza) che il 28% dei suicidi in carcere
si verificano entro i primi dieci giorni e il 34% entro il primo mese. Sotto
questo profilo del «tintinnio delle manette», il carcere fa solo da cornice al
precipitare di vicende individuali, rispetto alle quali un sistema di
attenzione degli operatori non è facile, specie in presenza di certe strategie
processuali. Naturalmente, c'è chi dirà: «Non vorrai mica che il carcere non
faccia paura?». Ma veniamo ai fattori di invivibilità del carcere, subìti e
sofferti da tutti e da alcuni fino a rinunciare alla vita. Il primo è quello
legato al sovraffollamento, che ha due aspetti a cominciare dal fatto di vivere
a ridosso immediato di altre vite, il levarsi reciprocamente l'aria, il che non
è affatto poco (gli esperimenti per le scimmie dicono che diventano nervose: e
gli uomini?). Ma poi, in una struttura sovraffollata, inevitabilmente le disfunzioni
sono infinite. Si lotta per sopravvivere a livelli minimi. Il
Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio di Europa (Cpt), ha considerato la situazione di
sovraffollamento in carcere, come «trattamento inumano e degradante». Tanto
maggiore sarà la invivibilità quanto più si accompagnerà alle lunghe permanenze
in cella, a fare della cella il luogo di una vita invivibile. E la
normalità, in situazioni del genere, è che dalla cella si esce solo per brevi
periodi «d'aria», ma non per lavorare o per altre attività né, per molti dei
detenuti (stranieri, persone sbandate per le ragioni più varie, etc.), per
avere colloqui con i familiari. E' possibile costruire prospettive di uscita da
queste situazioni? Lo impediscono: la povertà delle risorse organizzative del
carcere su questo versante, le risposte sempre più difficili e spesso negative
della magistratura, lo stesso ridursi delle possibilità o la mancanza di queste
per la fascia sempre più numerosa degli stranieri, che attendono solo
l'espulsione (nei grandi carceri metropolitani sono ormai ben oltre il 50%, ma
anche la media nazionale si avvicina al 40%). C'era una volta un Ordinamento
penitenziario che dava delle speranze di permessi di uscita, di misure
alternative, ma anche questi spazi si sono sempre più ristretti - per leggi
forcaiole e per magistrati condizionati dal clima sociale che le produce - e le
speranze si sono trasformate in delusioni. D'altronde, il suicidio non è
l'unico prodotto della invivibilità delle carceri: lo sono anche i tentati
suicidi, come pure, spesso difficili da distinguere dai primi, i gesti
autolesionistici. Tutto insieme, si arriva vicini all'inferno. C'è, comunque,
una campagna della amministrazione penitenziaria per individuare e agire a
sostegno dei soggetti più a rischio. Ma non si può sperare che questo serva
quando gli sforzi necessari sono limitati da poche risorse, destinati a durare
per poco tempo, come accaduto in passato, affidati ad un sistema di
sorveglianza psicologica e psichiatrica mai costruito adeguatamente: il tutto
sempre dentro quelle condizioni di invivibilità che si mantengono e si concorre
anzi ad aggravare, come dimostra l'accelerazione delle dinamiche di
sovraffollamento. Tento una conclusione. Sentire, tutti, la responsabilità di
questi morti e del carcere che li produce è una scelta etica desueta.
(
da "Unita, L'"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Obama
non chiude con l'Iran Israele: Ahmadinejad è Hitler UMBERTO DE GIOVANNANGELI
Bolla come «incredibili e false» le accuse di Mahmoud Ahmadinejad a Israele.
Nello stesso tempo, però, ribadisce la sua intenzione di «portare avanti il
dialogo» con Teheran. Barack Obama «usa» l'incontro alla Casa Bianca con il re
di Giordania Abdallah II per tornare sullo «show» di Ahmadinejad alla
Conferenza Onu sul razzismo. Il presidente Usa sottolinea che questo tipo di
dichiarazioni - «spaventose e criticabili» - ha solo l'effetto di «danneggiare
ulteriormente» il ruolo dell'Iran nella comunità internazionale. CONDANNA E
Aperture Quelle accuse a Israele, sottolinea Obama, sono «incredibili e false»,
da condannare con la massima fermezza. Obama ricorda che i delegati di diverse
nazioni sono usciti dalla sala di Ginevra durante il discorso del presidente
iraniano. La condanna di quel discorso è netta, dura, senza sconti. Ma questo
non pone fine alla strategia del dialogo con Teheran che connota l'Amministrazione
democratica Usa. Il giorno della condanna è anche il giorno del rilancio
dell'impegno americano nell'imprimere una svolta strategica nel processo di
pace Israele-palestinese. In questa ottica, il presidente Usa annuncia la sua
intenzione di invitare alla Casa Bianca presto i leader di Israele,
dell'Autorità nazionale palestinese e dell'Egitto per colloqui separati sul
processo di pace. «Con ciascuno di loro il presidente Obama discuterà come gli
Stati Uniti possono rafforzare la nostra partnership con loro - spiega il
portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs- così come le iniziative che le parti
dovranno adottare per raggiungere la pace tra Israele ed i palestinesi e tra
Israele ed i Paesi arabi». Da Washington a Ginevra. Alla Conferenza dell'Onu
sul razzismo è approvato per acclamazione il documento finale che non presenta
modifiche rispetto al testo concordato dai negoziatori venerdì scorso. Nel
prendere atto del via libera al documento, il presidente della Conferenza, il
ministro della Giustizia keniano, Amos Wako, lo ha definito «un risultato
storico» che dimostra come «si possa partecipare costruttivamente e raggiungere
un accordo». GINEVRA APPROVA L'adozione della dichiarazione finale da parte
della Conferenza dell'Onu sul razzismo costituisce la «risposta giusta» alle
polemiche - anche alla luce dell'intervento del presidente iraniano, Mahmoud
Ahmadinejad - suscitate dalla conferenza, ha affermato Ginevra l'Alto
commissario dell'Onu per i diritti umani Navi Pillay. L'Alto commissario
sottolinea che il testo approvato ricorda tra l'altro che l'Olocausto «non
dovrà mai essere dimenticato». Per Pilay l'approvazione del testo è un
successo. «Il fatto che il documento sia stato adottato da tutti gli Stati
(membri dell'Onu) tranne nove è la nostra risposta, quello che chiamerei
un successo», in una conferenza stampa. «Il documento non è perfetto, però
rispetta i punti sostanziali dei diritti umani, apre
la strada a continuare a negoziare in futuro su alcuni temi che, per la prima
volta, sono stati accettati universalmente». È questo il commento
sostanzialmente positivo di mons. Silvano Tomasi osservatore permanente della
Santa Sede all'Onu di Ginevra e capo delegazione vaticano alla conferenza sul
razzismo, al documento approvato oggi al forum in Svizzera. «Se si continua su
questa buona volontà di negoziare e - sottolinea Tomasi ai microfoni della
Radio Vaticana - di non entrare in formule particolari di pregiudizi verso uno
Stato o l'altro, o discriminazioni verso un gruppo religioso o l'altro, si
possono migliorare certamente le condizioni per continuare a combattere contro
ogni forma e manifestazione di razzismo». ISRAELE SOTTO CHOC A capo chino,
immobili per due minuti all'ululato delle sirene, gli israeliani hanno sospeso
ieri le loro attività per rendere omaggio ai sei milioni di ebrei trucidati dai
nazisti nella seconda guerra mondiale. Come ogni anno nel 27° giorno del mese
ebraico di Nissan i dirigenti del Paese si sono presentati nei luoghi-simbolo
dello Stato: la Knesset (parlamento), dove hanno rievocato i parenti sterminati
nei lager, e il museo dell'Olocausto Yad va-Shem, da dove hanno lanciato
messaggi di carattere generale. Centrati quest'anno sulla Conferenza sul
razzismo Durban-2 di Ginevra e sull'incendiario intervento del presidente
dell'Iran. Per il suo odio viscerale verso Israele, ha detto il capo dello
Stato Shimon Peres, Ahmadinejad ricorda da vicino Adolf Hitler e Joseph Stalin.
«Le camere a gas sono scomparse, ma il veleno (dei sentimenti antiebraici)
continua a propagarsi», denuncia Peres. «Ieri (lunedì, ndr.) abbiamo visto il
ritorno di Hitler, solo che questa volta ha la barba e si esprime in Farsi», ha
esclamato il presidente della Knesset Reuven Rivlin (Likud). Identica la
sensazione del caricaturista di Haaretz che ha mostrato ieri il presidente
iraniano in divisa militare, incorniciato da un panorama decisamente alpino: al
posto della croce uncinata, su un braccio, ostenta la bandiera svizzera.
Condanna e dialogo. Così Barack Obama risponde all'intervento di Ahmadinejad alla
Conferenza Onu sul razzismo. Nel giorno della Memoria, lo Stato ebraico
rilancia la sua accusa: in Iran governa il nuovo Hitler.
(
da "Unita, L'"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Bolla
come «incredibili e false» le accuse di Mahmoud Ahmadinejad a Israele. Nello
stesso tempo, però, ribadisce la sua intenzione di «portare avanti il dialogo»
con Teheran. Barack Obama «usa» l'incontro alla Casa Bianca con il re di
Giordania Abdallah II per tornare sullo «show» di Ahmadinejad alla Conferenza
Onu sul razzismo. Il presidente Usa sottolinea che questo tipo di dichiarazioni
- «spaventose e criticabili» - ha solo l'effetto di «danneggiare ulteriormente»
il ruolo dell'Iran nella comunità internazionale. CONDANNA E Aperture Quelle
accuse a Israele, sottolinea Obama, sono «incredibili e false», da condannare
con la massima fermezza. Obama ricorda che i delegati di diverse nazioni sono
usciti dalla sala di Ginevra durante il discorso del presidente iraniano. La
condanna di quel discorso è netta, dura, senza sconti. Ma questo non pone fine
alla strategia del dialogo con Teheran che connota l'Amministrazione
democratica Usa. Il giorno della condanna è anche il giorno del rilancio
dell'impegno americano nell'imprimere una svolta strategica nel processo di
pace Israele-palestinese. In questa ottica, il presidente Usa annuncia la sua
intenzione di invitare alla Casa Bianca presto i leader di Israele,
dell'Autorità nazionale palestinese e dell'Egitto per colloqui separati sul
processo di pace. «Con ciascuno di loro il presidente Obama discuterà come gli
Stati Uniti possono rafforzare la nostra partnership con loro - spiega il
portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs- così come le iniziative che le parti dovranno
adottare per raggiungere la pace tra Israele ed i palestinesi e tra Israele ed
i Paesi arabi». Da Washington a Ginevra. Alla Conferenza dell'Onu sul razzismo
è approvato per acclamazione il documento finale che non presenta modifiche
rispetto al testo concordato dai negoziatori venerdì scorso. Nel prendere atto
del via libera al documento, il presidente della Conferenza, il ministro della
Giustizia keniano, Amos Wako, lo ha definito «un risultato storico» che
dimostra come «si possa partecipare costruttivamente e raggiungere un accordo».
GINEVRA APPROVA L'adozione della dichiarazione finale da parte della Conferenza
dell'Onu sul razzismo costituisce la «risposta giusta» alle polemiche - anche
alla luce dell'intervento del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad -
suscitate dalla conferenza, ha affermato Ginevra l'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani Navi Pillay. L'Alto commissario sottolinea che il testo
approvato ricorda tra l'altro che l'Olocausto «non dovrà mai essere
dimenticato». Per Pilay l'approvazione del testo è un successo. «Il fatto che
il documento sia stato adottato da tutti gli Stati (membri dell'Onu) tranne
nove è la nostra risposta, quello che chiamerei un successo», in una
conferenza stampa. «Il documento non è perfetto, però rispetta i punti
sostanziali dei diritti umani, apre la strada a
continuare a negoziare in futuro su alcuni temi che, per la prima volta, sono
stati accettati universalmente». È questo il commento sostanzialmente positivo
di mons. Silvano Tomasi osservatore permanente della Santa Sede all'Onu di
Ginevra e capo delegazione vaticano alla conferenza sul razzismo, al documento
approvato oggi al forum in Svizzera. «Se si continua su questa buona volontà di
negoziare e - sottolinea Tomasi ai microfoni della Radio Vaticana - di non
entrare in formule particolari di pregiudizi verso uno Stato o l'altro, o
discriminazioni verso un gruppo religioso o l'altro, si possono migliorare
certamente le condizioni per continuare a combattere contro ogni forma e
manifestazione di razzismo». ISRAELE SOTTO CHOC A capo chino, immobili per due
minuti all'ululato delle sirene, gli israeliani hanno sospeso ieri le loro
attività per rendere omaggio ai sei milioni di ebrei trucidati dai nazisti
nella seconda guerra mondiale. Come ogni anno nel 27° giorno del mese ebraico
di Nissan i dirigenti del Paese si sono presentati nei luoghi-simbolo dello
Stato: la Knesset (parlamento), dove hanno rievocato i parenti sterminati nei
lager, e il museo dell'Olocausto Yad va-Shem, da dove hanno lanciato messaggi
di carattere generale. Centrati quest'anno sulla Conferenza sul razzismo
Durban-2 di Ginevra e sull'incendiario intervento del presidente dell'Iran. Per
il suo odio viscerale verso Israele, ha detto il capo dello Stato Shimon Peres,
Ahmadinejad ricorda da vicino Adolf Hitler e Joseph Stalin. «Le camere a gas
sono scomparse, ma il veleno (dei sentimenti antiebraici) continua a
propagarsi», denuncia Peres. «Ieri (lunedì, ndr.) abbiamo visto il ritorno di
Hitler, solo che questa volta ha la barba e si esprime in Farsi», ha esclamato
il presidente della Knesset Reuven Rivlin (Likud). Identica la sensazione del
caricaturista di Haaretz che ha mostrato ieri il presidente iraniano in divisa
militare, incorniciato da un panorama decisamente alpino: al posto della croce
uncinata, su un braccio, ostenta la bandiera svizzera.
(
da "Unita, L'"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
I cento
anni di Rita. Auguri! IL COMPLEANNOLa senatrice a vita Rita
Levi Montalcini compie oggi cento anni. Nota in tutto il mondo per aver vinto
il Nobel per la Medicina nel 1986, la scienziata piemontese si batte da anni
per i diritti umani e
l'emancipazione femminile. Tanti auguri da «l'Unità».
(
da "Unita, L'"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
La
politica della paura che rende «rigida» l'Europa ROSI BRAIDOTTI Alla fine
ufficiale del postmodernismo, nessuna concezione è più contestata di quella
delle identità multiple e complesse. Questa estrema difficoltà con la
complessità ovvero il ritorno a modalità di appartenenza stabili e precise si
deve in larga misura al nostro contesto storico. Viviamo oggi in uno spazio
sociale molto ansioso, in un mondo preso nella spirale di violenza delle guerre
di civiltà. Non è il momento adatto per guardarsi dentro e riflettere e per
porsi degli interrogativi, ma siamo piuttosto incoraggiati a schierarci e a
dire ad alta voce e in modo chiaro da che parte stiamo. A chiunque ci guardasse
dall'esterno sembreremmo inevitabilmente una combriccola alquanto buffa in
precario equilibrio sull'orlo di continue esplosioni di nazionalismo ed
espansionismo. Non diversamente dai personaggi del film di Woody Allen potremmo
dire: «ogni volta che ascoltiamo la Nona sinfonia di Beethoven ci viene voglia
di invadere la Polonia» (la citazione giusta in Misterioso omicidio a Manhattan
è: «Ogni volta che ascolto Wagner mi viene l'impulso di invadere la Polonia»,
NdT) - ed eccoci pronti a difendere i nostri confini varcando quelli degli
altri. La profondità del senso di spossessamento cognitivo ed emotivo che
sembra colpire persone altrimenti normali e dotate di un buon equilibrio al
minimo accenno alle complessità e magari alle lievi contraddizioni del loro
senso di identità è stato esemplificato come meglio non si poteva nelle ultime
settimane e negli ultimi mesi dalle polemiche sulla nostra molto postmoderna
famiglia reale. Il commento di Sua Altezza Reale, la Principessa Maxima, sul
rapporto della «Wetenschappelijke Raad voor het Regeringsbeleid» secondo cui
forse potrebbe non esistere una identità olandese completamente autonoma,
unitaria e sempre ovvia, ha suscitato la rabbia e la delusa disapprovazione del
75% della popolazione olandese - la maggior parte dei quali non hanno letto
nemmeno una riga del rapporto in questione. Attualmente circola nella nostra
società un profondo senso di paura e insicurezza: di cosa esattamente abbiamo
paura? UNA NUOVA ECONOMIA POLITICA Viviamo in realtà in tempi strani e strane
cose stanno accadendo! Circolano alcune vulgate che ripetono temi familiari:
uno è l'inevitabilità delle economie capitalistiche di mercato quale forma
storicamente dominante del progresso umano (Fukuyama, 1989, 2002). Un'altra è
un marchio contemporaneo di essenzialismo biologico sotto il manto del «gene
egoista» (Dawkins, 1976) e della nuova psicologia evoluzionistica. Un altro
rimbombante ritornello è che Dio non è morto. La frase di Nietzsche suona vuota
nello spettro della politica globale contemporanea. Viviamo ora in uno spazio
sociale militarizzato sotto la pressione di crescenti misure di sicurezza e di
una escalation di stati di emergenza. La dottrina della Guerra fredda, della
Distruzione Reciproca Concordata (Mad) si e' andata trasformando nel concetto
globale di Distruzione Garantita (Sad). La paranoia nucleare ha lasciato il
passo alla politica virale; di qui la necessità di cautelarsi rispetto a tutte
le eventualità: gli incidenti sono imminenti e certi - le armi di
contaminazione di massa sono immagazzinate dappertutto, a partire dal cibo che
mangiamo. È solo una questione di tempo: l'epidemia, o catastrofe, scoppierà
certamente. I graffiti sui muri della Tate Modern Gallery a Londra sono
eloquenti: «dopo la guerra fredda il riscaldamento globale!». In questo
contesto l'attivismo politico di massa è stato sostituito, specialmente dopo
l'11 settembre 2001, dal lutto collettivo pubblico. La politica della
malinconia è diventata dominante: dopo essere stati Mad («Matti»), ora siamo
tutti Sad («Tristi»). O, per dirla con le parole di un altro detto popolare: «Dio
è morto, Marx è morto e anche io non mi sento tanto bene!» (ancora una
citazione di Woody Allen, «Io e Annie», NdT). Ovviamente ci sono molte cose per
cui sentirsi in lutto considerato il pathos della nostra politica globale: il
nostro orizzonte sociale è offuscato dalla guerra e destinato alla morte.
Viviamo in una cultura in cui gente che si dice religiosa uccide per il
«diritto alla vita». Inoltre la vulnerabilità del corpo è aggravata dalle
grandi epidemie: Hiv, Ebola, Sars o influenza aviaria o altre malattie più
tradizionali quali la tubercolosi e la malaria. La salute è diventata qualcosa
di più di una questione di politica pubblica: è una
questione che attiene ai diritti umani e alla difesa nazionale. Mentre proliferano rimedi new age di
ogni sorta e si diffonde lo yoga planetario, la nostra sensibilità ha imboccato
una strada che definisco da «medicina legale»: la «nuda vita», come sostiene
Agamben, segna i confini liminali di una probabile privazione - infiniti gradi
di avvicinamento alla morte. Hal Foster descrive la nostra politica
culturale schizoide come «realismo traumatico» - ossessione delle ferite, del
dolore e della sofferenza. Il proliferare del Panocticon medico produce una
patografia globale (Seltzer, 1997). La filosofia politica riflette questo stato
d'animo - sia riscoprendo con Derrida (2002) i fondamenti mistici del Diritto e
dell'autorità politica che rivolgendoci alla teologia politica di Schmidt
(Schmidt, 1996), ci siamo definitivamente allontanati dal secolarismo «alto».
Preferisco sorvolare sulla popolarità di Leo Strauss (Norton, 2004) nel
pensiero politico conservatore, neo-teologico americano. Ora che persino
Francis Fukuyama si è dichiarato «ex neo-con», la questione sembra superata. La
cultura del lutto e l'economia politica della malinconia sono dominanti - non
sono né reattive né necessariamente negative. Diversi teorici critici
sostengono con forza l'ipotesi della natura produttiva della malinconia e della
sua potenziale capacità di creare solidarietà (Gilroy, 2004; Butler, 2004a).
Sono anche convinta che la malinconia esprime una forma di lealtà attraverso
l'identificazione con la ferita degli altri e quindi promuove l'ecologia
dell'appartenenza sostenendo la memoria collettiva del trauma o del dolore.
Credo piuttosto che la politica della malinconia sia diventata talmente
dominante nella nostra cultura da finire per assumere le sembianze di una
profezia che si auto-avvera e che, quindi, lascia margini esigui ad approcci
alternativi. Traduzione di Carlo Antonio Biscotto La filosofa Rosi Braidotti,
docente di Women's Studies all'Università di Utrecht e ospite della Biennale
democrazia, sferra un attacco all'eurocentrismo e alle identità «rigide» dei
paesi dell'Unione.
(
da "Unita, L'"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Alla
fine ufficiale del postmodernismo, nessuna concezione è più contestata di
quella delle identità multiple e complesse. Questa estrema difficoltà con la
complessità ovvero il ritorno a modalità di appartenenza stabili e precise si
deve in larga misura al nostro contesto storico. Viviamo oggi in uno spazio
sociale molto ansioso, in un mondo preso nella spirale di violenza delle guerre
di civiltà. Non è il momento adatto per guardarsi dentro e riflettere e per
porsi degli interrogativi, ma siamo piuttosto incoraggiati a schierarci e a
dire ad alta voce e in modo chiaro da che parte stiamo. A chiunque ci guardasse
dall'esterno sembreremmo inevitabilmente una combriccola alquanto buffa in
precario equilibrio sull'orlo di continue esplosioni di nazionalismo ed
espansionismo. Non diversamente dai personaggi del film di Woody Allen potremmo
dire: «ogni volta che ascoltiamo la Nona sinfonia di Beethoven ci viene voglia
di invadere la Polonia» (la citazione giusta in Misterioso omicidio a Manhattan
è: «Ogni volta che ascolto Wagner mi viene l'impulso di invadere la Polonia»,
NdT) - ed eccoci pronti a difendere i nostri confini varcando quelli degli
altri. La profondità del senso di spossessamento cognitivo ed emotivo che
sembra colpire persone altrimenti normali e dotate di un buon equilibrio al
minimo accenno alle complessità e magari alle lievi contraddizioni del loro
senso di identità è stato esemplificato come meglio non si poteva nelle ultime
settimane e negli ultimi mesi dalle polemiche sulla nostra molto postmoderna
famiglia reale. Il commento di Sua Altezza Reale, la Principessa Maxima, sul
rapporto della «Wetenschappelijke Raad voor het Regeringsbeleid» secondo cui
forse potrebbe non esistere una identità olandese completamente autonoma,
unitaria e sempre ovvia, ha suscitato la rabbia e la delusa disapprovazione del
75% della popolazione olandese - la maggior parte dei quali non hanno letto
nemmeno una riga del rapporto in questione. Attualmente circola nella nostra
società un profondo senso di paura e insicurezza: di cosa esattamente abbiamo
paura? UNA NUOVA ECONOMIA POLITICA Viviamo in realtà in tempi strani e strane
cose stanno accadendo! Circolano alcune vulgate che ripetono temi familiari:
uno è l'inevitabilità delle economie capitalistiche di mercato quale forma
storicamente dominante del progresso umano (Fukuyama, 1989, 2002). Un'altra è
un marchio contemporaneo di essenzialismo biologico sotto il manto del «gene
egoista» (Dawkins, 1976) e della nuova psicologia evoluzionistica. Un altro
rimbombante ritornello è che Dio non è morto. La frase di Nietzsche suona vuota
nello spettro della politica globale contemporanea. Viviamo ora in uno spazio
sociale militarizzato sotto la pressione di crescenti misure di sicurezza e di
una escalation di stati di emergenza. La dottrina della Guerra fredda, della
Distruzione Reciproca Concordata (Mad) si e' andata trasformando nel concetto
globale di Distruzione Garantita (Sad). La paranoia nucleare ha lasciato il
passo alla politica virale; di qui la necessità di cautelarsi rispetto a tutte
le eventualità: gli incidenti sono imminenti e certi - le armi di
contaminazione di massa sono immagazzinate dappertutto, a partire dal cibo che
mangiamo. È solo una questione di tempo: l'epidemia, o catastrofe, scoppierà
certamente. I graffiti sui muri della Tate Modern Gallery a Londra sono
eloquenti: «dopo la guerra fredda il riscaldamento globale!». In questo
contesto l'attivismo politico di massa è stato sostituito, specialmente dopo
l'11 settembre 2001, dal lutto collettivo pubblico. La politica della
malinconia è diventata dominante: dopo essere stati Mad («Matti»), ora siamo
tutti Sad («Tristi»). O, per dirla con le parole di un altro detto popolare:
«Dio è morto, Marx è morto e anche io non mi sento tanto bene!» (ancora una
citazione di Woody Allen, «Io e Annie», NdT). Ovviamente ci sono molte cose per
cui sentirsi in lutto considerato il pathos della nostra politica globale: il
nostro orizzonte sociale è offuscato dalla guerra e destinato alla morte.
Viviamo in una cultura in cui gente che si dice religiosa uccide per il
«diritto alla vita». Inoltre la vulnerabilità del corpo è aggravata dalle
grandi epidemie: Hiv, Ebola, Sars o influenza aviaria o altre malattie più
tradizionali quali la tubercolosi e la malaria. La salute è diventata qualcosa
di più di una questione di politica pubblica: è una
questione che attiene ai diritti umani e alla difesa nazionale. Mentre proliferano rimedi new age di
ogni sorta e si diffonde lo yoga planetario, la nostra sensibilità ha imboccato
una strada che definisco da «medicina legale»: la «nuda vita», come sostiene
Agamben, segna i confini liminali di una probabile privazione - infiniti gradi
di avvicinamento alla morte. Hal Foster descrive la nostra politica
culturale schizoide come «realismo traumatico» - ossessione delle ferite, del
dolore e della sofferenza. Il proliferare del Panocticon medico produce una
patografia globale (Seltzer, 1997). La filosofia politica riflette questo stato
d'animo - sia riscoprendo con Derrida (2002) i fondamenti mistici del Diritto e
dell'autorità politica che rivolgendoci alla teologia politica di Schmidt
(Schmidt, 1996), ci siamo definitivamente allontanati dal secolarismo «alto».
Preferisco sorvolare sulla popolarità di Leo Strauss (Norton, 2004) nel pensiero
politico conservatore, neo-teologico americano. Ora che persino Francis
Fukuyama si è dichiarato «ex neo-con», la questione sembra superata. La cultura
del lutto e l'economia politica della malinconia sono dominanti - non sono né
reattive né necessariamente negative. Diversi teorici critici sostengono con
forza l'ipotesi della natura produttiva della malinconia e della sua potenziale
capacità di creare solidarietà (Gilroy, 2004; Butler, 2004a). Sono anche
convinta che la malinconia esprime una forma di lealtà attraverso
l'identificazione con la ferita degli altri e quindi promuove l'ecologia
dell'appartenenza sostenendo la memoria collettiva del trauma o del dolore.
Credo piuttosto che la politica della malinconia sia diventata talmente
dominante nella nostra cultura da finire per assumere le sembianze di una
profezia che si auto-avvera e che, quindi, lascia margini esigui ad approcci
alternativi. Traduzione di Carlo Antonio Biscotto
(
da "Stampa, La"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
il caso
«Con quei metodi il Paese ha perso la dignità morale» La Casa Bianca "Un'inchiesta sulle torture Cia" FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK
Barack Obama apre all'ipotesi di istituire commissioni di inchiesta bipartisan
per valutare l'operato dei funzionari dell'amministrazione Bush che diedero il
via libera all'uso di metodi di interrogatorio al limite della tortura sui
presunti affiliati alla rete terroristica di Al Qaeda. Il Paese «ha
perso la sua dignità morale» con quegli ordini, spiega l'inquilino della Casa
Bianca cedendo così alle pressioni della sinistra che lo aveva accusato di
essere «complice di Bush» per aver garantito l'immunità agli agenti della Cia
coinvolti nella vicenda. L'ira dei liberal si era scatenata dopo la
pubblicazione dei quattro memorandum firmati da funzionari della Giustizia, dal
2002 al 2005, nei quali veniva data luce verde al ricorso a dieci metodi di
interrogatorio violento, tra cui il famigerato waterboarding. Obama tuttavia
aveva assicurato agli agenti della Cia l'immunità purché non fossero andati
oltre gli ordini contenuti nei memo. La posizione è stata ribadita anche ieri
dal presidente che però ha dato il suo assenso a inchieste parlamentari nei
confronti dei funzionari responsabili a patto però che si tratti di indagini
non «politicizzate». Una decisione questa che lascia la porta aperta a
possibili incriminazioni, in particolare dei funzionari del dipartimento di
Giustizia, che apposero la loro firma in calce ai memorandum. Tra questi l'ex
vice ministro Jay Baybee, o Steven G. Bradbury, ex capo dell'ufficio di
consulenza legale del ministero, e tutti quelli che, dopo le stragi dell'11
settembre, hanno dato il loro assenso a tecniche come la privazione del sonno o
l'uso di insetti per «terrorizzare il terrorista». Finora la Casa Bianca aveva
escluso l'ipotesi di incriminazioni per queste persone, tuttavia le pressioni
delle organizzazioni per i diritti civili e delle frange liberal lo hanno
spinto a un repentino dietro-front. «E' importante - precisa il presidente - se
si commettomo errori fare un esame di coscienza e di correggerli». La
decisione, d'altra parte, è destinata ad alimentare le polemiche della destra,
in particolare degli ex membri del governo Bush, come l'ex capo della Cia,
Michael Hayden, di «aver messo, in difficoltà un'agenzia che si trova a
condurre una guerra per difendere la sicurezza degli americani». Le accuse sono
state respinte dall'inquilino della Casa Bianca: «Vado a letto tutte le sere
preoccupandomi della sicurezza dell'America». Ma intanto lunedì il presidente
si è recato nel quartier generale di Langley per rassicurare gli agenti: «Proteggerò
le vostre identità e attività». Dick Cheney che dagli schermi di Fox tv, imputa
a Obama di aver sbagliato a stringere la mano a Chavez «perché ha dato ai
nostri nemici l'impressione di un'America debole», e accusa la Casa Bianca di
«aver declassificato solo i memo sugli interrogatori e non quelli sulle
informazioni ottenute da quegli interrogatori» con scelta faziosa. Per alcuni è
una tattica preventiva contro il rischio di essere incriminato.
(
da "AprileOnline.info"
del 22-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il rebus
iraniano Enrico Campofreda, 22 aprile 2009, 18:12 L'analisi Teheran da un lato
non abbandona la violenta retorica anti - israeliana, dall'altro si dichiara
disponibile a collaborare sul programma nucleare con l'Occidente. Le mosse
tattiche sullo scacchiere internazionale celano la realtà di un paese davanti a
un bivio importante, quello delle elezioni politiche. L'impressione, tuttavia,
è che se dovesse tramontare un astro del fondamentalismo laico come l'attuale
presidente anche l'eventuale tecnocrate suo concorrente, Moussavi, non
sposterebbe orientamenti e valori verso l'occidente C'è l'Iran che accusa, come
nelle schermaglie sul razzismo a Durban 2 (anche oggi Ahmadinejad da Teheran ha
rincarato la dose su Israele ricordandone i crimini di guerra a Gaza e parlando
della sua pulizia etnica), e l'Iran che dialoga per bocca del capo negoziatore
della Repubblica islamica Said Jalili, che ha annunciato la piena disponibilità
alla collaborazione per il programma nucleare col gruppo dei cosiddetti Paesi
"cinque più uno" (Stati Uniti, Francia, Russia, Cina, Gran Bretagna e
Germania). L'avvicinamento già apparso lo scorso 8 aprile, con gli Usa aperti
da Obama al dialogo anche con Teheran, pur escludendone dotazioni nucleari
belliche, potrà continuare se si riscontrerà reciproca fiducia su esigenze e
limiti del piano nucleare. Il Consiglio Supremo per la Sicurezza iraniano, come
aveva già recentemente annunciato proprio Ahmadinejad, presenterà alle potenze
mondiali un piano nucleare. Sarebbe un aggiornamento di quello già mostrato un
anno fa e giudicato inadeguato dalle stesse. Il rischio dell'impasse c'è,
soprattutto se l'attuale Capo di Stato venisse riconfermato dopo il 12 giugno.
Ma non è detto, le stesse aperture iraniane vanno ben oltre la figura
presidenziale, rappresentativa più che decisionale. Certo la diplomazia
mondiale guarda con interesse a un eventuale ricambio al vertice d'una nazione
che conserva nel clero sciita e nella Suprema Guida Khamenei, a loro dire, le
garanzie di un'emancipazione dall'imperialismo. Ma se dovesse tramontare un
astro del fondamentalismo laico come l'attuale presidente anche l'eventuale
tecnocrate suo concorrente, Moussavi, non sposterebbe orientamenti e valori
verso l'occidente. Negli anni passati la gestione riformista dell'illuminato
teologo Khatami ha gradualmente introdotto nella società iraniana il distacco
dal cupo conservatorismo degli ayatollah ipertradizionalisti come Khamenei, e
più di lui Mesbah-Yazdi difensore del principio del governo del clero, ma non a
vantaggio dell'occidentalizzazione delle usanze. Gli stessi universitari
contestatori del rude Ahmadinejad, coloro che si scontrarono coi militanti
basij, solo in qualche caso sporadico aprono indiscriminatamente all'Occidente.
L'islamizzazione è diffusamente sentita ed è fieramente un simbolo, che va
oltre il fanatismo religioso, coinvolge comportamenti e costumi sociali. Ne
sono un esempio proprio le donne - trent'anni fa vittime delle repressioni
delle truppe khomeiniste - che attraverso il velo, inizialmente imposto in
maniera ferrea dagli ayatollah, manifestano un'appartenenza che ha modificato
nel tempo molti aspetti sia della sedicente emancipazione dell'era dello Shah
sia i tradizionali costumi maschilisti (poligamia), la subalternità assoluta
della donna al marito e la sua assenza dalla vita pubblica. Proprio nel
decennio scorso il movimento per i diritti delle donne esprimeva esigenze
talmente diffuse su cui il Potere ha, pur forzatamente, piegato il turbante.
Naturalmente il fronte dei diritti civili deve ancora raggiungere parecchi
obiettivi, però proprio la vicinanza che si è creata in questi anni fra le
islamiste aperte, definite moderniste, e quelle laiche può rappresentare una
tendenza capace di avere la meglio su ritorni di conservatorismo talebano e
occidentalizzazione forzata. Naturalmente i leader, a cominciare da
Ahmadinejad, sanno che non possono prescindere dai rapporti con l'Occidente per
non rivivere gli anni bui dell'isolamento. Perciò nei mesi a venire - ben oltre
le elezioni presidenziali - questioni come il nucleare e i rapporti
internazionali nel Grande Medio Oriente terranno sulla scena mondiale la
popolosa nazione islamica e la sua leadership. A smorzare i furori
antiamericani potrà contribuire la crisi economica che pone il Paese in una
condizione di bisogno di svincolarsi dai vecchi embarghi e cercare scambi
commerciali al di là della sicurezza fornita dalle riserve petrolifere. Ma
anche gli Usa dovranno fare dei passi, uscire dalla "Guerra fredda del
Terzo Millennio" gonfiata ad arte dalla gestione Bush, comprendere come
altre potenze collocate a est sono interessate a tessere buoni rapporti col
Paese degli ayatollah, in un'area che con Iraq, Afghanistan e Pakistan
rappresenta l'attuale polveriera del globo. Nei
delicatissimi rapporti futuri casi relativi ai diritti umani come quello della giornalista (o
spia) iraniano-americana Roxana Saberi, condannata dopo un processo a porte
chiuse a otto anni di carcere, costituiscono emblematici momenti che possono
favorire avvicinamenti o decretare nuove fratture. Le mosse d'un ayatollah,
Mahmoud Hashemi Shahroudi, che giudica di valutare la vicenda con un equo esame
dei fatti (ci sarà Appello), paiono segnali di maggior attenzione ai rapporti
da riallacciare con la Satanica nazione d'un tempo. Ben altre grane attendono
gli inquilini di Washington e Teheran.
(
da "Stampa, La"
del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
25
Aprile Celebrazioni Cuneo, quattro lapidi per non
dimenticare Nei luoghi della tortura e delle fucilazioni eseguite dai fascisti
Colpi simili a picconate ci hanno costretti ad uscire in giardino per capire
cos'era successo. I muri vibravano, sembrava un terremoto. Poi l'amara sorpresa:
la targa di marmo che avevamo acquistato in onore dei partigiani che si
rifocillavano nel nostro locale era in frantumi». Romano ed Antonella
Zailo, titolari dell'antica osteria della Vittoria di Cortemilia, sono ancora
scossi. Intorno alle 23 di martedì qualcuno ha fatto irruzione nel parcheggio
del ristorante ed ha distrutto la targa muraria che commemorava le gesta dei
compagni Scamanghen, Bomba, Vipera, Zambo, appartenenti alla brigata «Uzzone».
«Non abbiamo parole - continuano i Zailo - la delusione è tanta. Ci sembra
impossibile che al giorno d'oggi ci siano ancora persone piene di odio capaci
di fare gesti simili». La targa era stata inaugurata lo scorso 25 aprile alla
presenza del comandante partigiano Lelio Speranza, oggi presidente del Coni di Savona.
Un grave episodio alla vigilia delle celebrazioni per l'anniversario della
Liberazione. Tante, come sempre, le iniziative nella Granda che culmineranno
nella giornata di sabato. Oggi Quattro lapidi per ricordare i luoghi della
tortura e delle fucilazioni eseguite dai fascisti a Cuneo durante i venti mesi
di lotta partigiana. Lo scoprimento avverrà oggi, ore 15,30, alla scuola di
corso Soleri; alle 16, al cinema Monviso; alle 16,30, in piazza della Stazione
(dove il 26 novembre '44 furono fucilati 5 partigiani); alle 17, in corso IV Novembre,
dove c'è la sede della Confartigianato. Alla cerimonia parteciperà anche Khosro
Nikzat, rappresentante del Consiglio nazionale della resistenza iraniana, per
sottolineare il legame tra la lotta per la libertà combattuta in Italia 64 anni
fa e quella che attualmente vede coinvolto il popolo iraniano. Domani
Nell'ambito delle celebrazioni per l'anniversario della Liberazione, nella sala
conferenze del Museo Civico di Savigliano alle 10 per gli studenti proiezione del
film-documentario con testimonianze di partigiani del cuneese dal titolo «Ma
l'amor mio non muore». Apertura della mostra fotografica «Ritratti partigiani»
a cura di Luca Prestia. Alle 21 per la cittadinanza ripetizione della
proiezione con ingresso gratuito. Doppio appuntamento a Fossano in occasione de
64° anniversario della Liberazione. Domani alle 17 è prevista una cerimonia di
fronte al cippo di via San Giuseppe che ricorda la morte di Andrea Paglieri,
Biagio Barbero e Giuseppe Priola. I tre fossanesi facevano parte di un nucleo
della XX Brigata di Giustizia e Libertà che operava nel Fossanese, di cui
Paglieri era il responsabile. A Mondovì, dalle 14,30, ci sarà la deposizione di
un omaggio floreale ai cippi ed alle stele presenti nella città di Mondovì di
fronte all'ingresso del municipio. Iniziate il 15 aprile con il ricordo della
battaglia di Alba e del comandante partigiano Paolo Farinetti, le
manifestazioni per il 25 aprile nell'Albese si avviano ormai verso la
conclusione. Domani, il gruppo albese delle Donne in nero contro la guerra
manifesterà dalle 18 alle 19
in via Maestra per ricordare la Liberazione e per
«rinnovare l'impegno di opporci al sistema di guerra nel quale ancora il nostro
paese è coinvolto». A Saluzzo domani sera «Testimoni di Libertà», fiaccolata
per i diritti che coinvolge i Comuni di Saluzzo, Manta e Verzuolo. La partenza
del corteo è alle 19,30 da piazza Cavour. L'arrivo è previsto per le 21,15 a Palazzo Drago di
Verzuolo dove alle 22,15 si terrà «Mucche ballerine», spettacolo teatrale di
Marco Bosonetto. E' previsto un servizio navetta gratuito per il rientro a
Saluzzo. Ieri intanto si è intitolata a Giovanni e Francesco Lattanzi una via
nella nuova area artigianale Pignari (un'altra è stata dedicata al fondatore
dell'Associazione commercianti ed esponente politico cittadino nel Dopoguerra
Mario Bovo, anch'egli partigiano e deportato in Germania). I due, padre e
figlio, furono entrambi protagonisti della lotta partigiana nel Saluzzese.
Recital All'Ufficio turistico di via Roma, a Cuneo, si possono ritirare gli
inviti per il recital di domenica, ore 16, al teatro Toselli «Le canzoni della
Resistenza». Presenterà Michele Mirabella. Protagonisti la vocalist Valeria
Arpino, il tenore Michelangelo Pepino, e il duo di violino e arpa composto da
Vera Anfossi ed Eleonora Perolini.
(
da "Stampa, La"
del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
il caso
MEDICINA E ARTE SUCCESSO DI PUBBLICO L'evento MUSEO DEGLI ORRORI DUBBIA
PEDAGOGIA Lo spettacolo della medicina Anatomia di uno scandalo Parigi chiude
la mostra-choc L'accusa L'associazione per la difesa dei diritti umani: indecente esporli, sono tutti condannati a morte
L'organizzatore «Censura e accuse immotivate, tutto è stato fatto nel rispetto
delle leggi internazionali» Il giudice contro i cadaveri cinesi spogliati della
pelle: offendono la decenza DOMENICO QUIRICO Nelle sale una commistione
ambigua, capace di unire fascino e repulsione Nella capitale francese già
staccati 120 mila biglietti da 15 euro l'uno Doveva chiudere il 10 maggio Il
magistrato: «Pregiudicato il rispetto che si deve a chi non è più in vita» Due
istituzioni si erano rifiutate di accogliere l'iniziativa per senso etico
CORRISPONDENTE DA PARIGI Il posto assegnato dalla legge ai cadaveri è il
cimitero»: poco giuridico; certamente efficace. Il giudice parigino,
Louis-Marie Raingeard, non ha dubbi. La mostra «Our body, a corpo aperto», 17
cadaveri di cinesi spogliati della pelle e perfettamente conservati in base al
procedimento di impregnazione polimerica, che fa furore da due mesi a l'Espace
Madeleine, deve essere immediatamente chiusa. Nessuno dovrà più posare lo sguardo
a pagamento su ciò che una volta era riservato al mondo medico, ovvero muscoli,
arterie, vasi sanguigni viscere, tutto perfetto e vero. Come fantasmi I
cadaveri escono da una messa in scena che gioca sul buio e la luce e li fa
sorgere come fantasmi. Ecco uno scorticato che pedala sconciamente su una
bicicletta; ecco un funebre giocatore di scacchi. Poi un corpo dal cranio
scoperchiato con la colonna vertebrale aperta per far apparire il midollo
spinale. E ancora, posata su una tavola come un tappeto la pelle, solo la
pelle. E avanti sala dopo sala, senza pietà, a scoprire il cervelletto la
vescica biliare la carotide le valvole cardiache i reni un polmone sano e uno
roso dal cancro: certo hanno ragione gli organizzatori, qui si può ben capire
come siamo fatti e come funzioniamo, si scoperchia come in un incubo barocco
l'anatomia in tutto il suo splendore, «nel suo valore estetico». Sì, il corpo
diventa spettacolo e «vederlo, ammirarlo può essere un modo per salvarlo
difenderlo»: forse. Difficile però sfuggire a una ambigua commistione di
fascino e di repulsione, camminiamo sulla linea sottile che divide o congiunge
medicina e arte: dall'antico Egitto al Cavaliere di Fragonard non è difficile
citare i legami tortuosi che corrono tra i due campi. Ma il giudice non ha
avuto esitazioni. Pazienza se questo è un museo degli orrori con un successo
planetario: l'hanno già visitato nella capitale 120 mila persone disposte a
sborsare 15 euro e cinquanta; ha già totalizzato centomila visitatori a Lione,
15 mila a Marsiglia e trenta milioni negli Stati Uniti e in Asia. Pazienza se
ora si strilla a un rarissimo caso di censura. «La commercializzazione dei
corpi porta pregiudizio manifesto al rispetto che è loro dovuto» ha detto il
giudice. Quindi 24 ore di tempo per chiudere la mostra pena 50 mila euro al
giorno di multa per il ritardo. Di più: i 17 cadaveri di uomini e di donne
interi o dissecati sono posti sotto sequestro «per
ricercare con le autorità pubbliche francesi una soluzione che sia conforme ai
diritti della inumazione». Esultano le due associazioni per la difesa dei
diritti umani che hanno
presentato la denuncia; perché secondo loro c'era il sospetto che i cadaveri
siano in realtà di prigionieri e di condannati a morte venduti con losco
traffico della stessa polizia cinese. Ma il giudice non si è avviato su
questa strada politica: il concetto invocato è assai più semplice e
discutibile, è quello della «decenza»: «La presentazione di cadaveri e organi
mette in opera delle decomposizioni che non sono scientificamente legittime,
colorazioni arbitrarie, una messa in scena che toglie spessore alla realtà, che
manifestamente mancano di decenza». Il sospetto Insomma, lo scopo pedagogico
anche se esiste non permette tutto. Erano sospetti che avevano colto anche la Cité
des sciences e le Musée de l'homme che hanno rifiutato di accogliere
l'esposizione dopo il parere sfavorevole del comitato etico. A protestare
adesso è l'organizzatore, Pascal Bernardin. Con la medicina non ha alcun
rapporto, lui che produce anche gli spettacoli degli U2 e dei Police; e ha
scoperto «Body» al «Science center» di Orlando in Florida, subito attratto dal
profumo di quattrini. Aveva appena annunciato di voler prolungare la mostra
visto il successo fino al 12 maggio. Adesso grida alla censura: «Ma è
incredibile! La mostra appartiene a una società di Hong Kong che lavora con una
fondazione di anatomia e garantisce che i corpi provengono da donazioni nel
rispetto delle leggi cinesi. Ho i documenti in regola io! Non c'è alcun
pregiudizio al rispetto dei morti, non è una esposizione artistica, è una
esposizione anatomica, pedagogica». Per cautela aveva rinunciato ad esporre
embrioni e feti in vari stati di sviluppo: «Non vogliamo choccare», aveva
detto. Non è bastato. Il procedimento di conservazione è stato inventato negli
Anni Settanta da un contestato anatomista tedesco, Gunther von Hagens; consiste
nell'immergere i cadaveri in un bagno di formalina e poi di acetone per
sostituire tutti i grassi e i liquidi con il silicone. Mille ore di lavoro per
ottenere un corpo solido, eterno e senza odori. Lo stesso von Hagens ha
riconosciuto che alcuni dei cadaveri su cui ha lavorato presentavano il segno
di una pallottola nella nuca. Il modo con cui in Cina si eseguono le condanne a
morte. La decisione della magistratura parigina anticipa di oltre due settimane
la chiusura ufficiale della mostra, fissata per il 10 maggio. L'esposizione «A
corpo aperto» era allestita nelle sale dell'Espace Madeleine, dopo che altri
due musei della capitale francese avevano rifiutato, sentito il parere del loro
comitato etico, la sequenza di corpi umani presentati
al pubblico come in un esame di anatomia. La mostra aveva in precedenza
suscitato polemiche in tutta Europa. 1. Pascal Bernardin, che ha organizzato la
mostra sul corpo umano, fotografato accanto ai cadaveri di un uomo e di una
donna esposti a Parigi. 2. Un corpo spogliato della pelle e ricomposto nel
gesto sportivo di un calciatore: secondo le associazioni per la difesa dei
diritti umani, i protagonisti della mostra sono
vittime del regime cinese. 3. Il pubblico ha affollato le sale: oltre 120 mila
tagliandi staccati fino al momento della chiusura.
(
da "Manifesto, Il"
del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Un museo
dell'Olocausto inaugurato in uno dei villaggi simbolo della lotta non violenta
contro l'occupazione. I palestinesi riflettono sulle sofferenze passate del
«nemico» e aspettano che gli israeliani facciano altrettanto La memoria CONTRO
IL MURO NAALIN, PROVE DI CONVIVENZA E RESISTENZA Michele Giorgio INVIATO A
NAALIN (CISGIORDANIA) INVIATO A NAALIN (CISGIORDANIA) Naalin era un nome
sconosciuto al resto del mondo. Poi, circa un anno fa, questo villaggio
palestinese a venti chilometri da Ramallah, a ridosso della Linea verde tra la
Cisgiordania e Israele, fece la sua improvvisa apparizione sulle pagine dei
giornali. I suoi 4.700 abitanti, assieme ad attivisti internazionali e ad
alcune decine di anarchici israeliani, iniziarono una campagna di
manifestazioni non violente per fermare la costruzione del muro di separazione
sulle loro terre. Una battaglia simile a quella del non lontano villaggio di
Bilin dove ieri si è aperta la Conferenza annuale sulla resistenza popolare e
pacifica. Martedì Naalin è tornato a far titolo, quando, in occasione delle
commemorazioni per la giornata della memoria dell'Olocausto, il sindaco Ayman
Nafaa ha inaugurato il primo museo della Shoah nei Territori occupati, in un
edificio a poche decine di metri dalla casa dove un tempo viveva Ahmad Musa, 10
anni, ucciso dai colpi sparati dall'esercito israeliano durante una
manifestazione di protesta contro il muro. Stessa sorte toccata a un altro
bambino di Naalin, Yusef Amira, 11 anni. «Più precisamente si tratta di una
mostra di fotografie dell'Olocausto che rimarrà aperta per qualche mese, non
sappiamo ancora se diventerà un museo vero e proprio», ci spiega Hassan Musa,
uno dei promotori del progetto e zio di Ahmad Musa. Le foto, con didascalie in
lingua araba, mostrano campi di concentramento, corpi ammassati, volti di
bambini paralizzati dalla paura, adulti seminudi o con le uniformi con la
stella gialla imposta dai nazisti agli ebrei. Sui tavoli sono disponibili libri
e documenti sull'Olocausto. Ma non mancano anche immagini dell'occupazione
israeliana, delle confische delle terre palestinesi, di giovani arrestati,
della gente di Naalin impegnata nella sua lotta contro il muro. «Non abbiamo
voluto mettere sullo stesso piano l'occupazione (israeliana) e la Shoah ma
esprimere la nostra condanna di qualsiasi forma di brutale aggressione
all'essere umano - aggiunge Hassan Musa -. Penso che sia importante che gli
abitanti di Naalin e tutti i palestinesi conoscano cosa è accaduto al popolo
ebraico durante il nazismo, così come è importante che gli israeliani
comprendano che non possono negarci i nostri diritti e continuare a occupare la
nostra terra». L'esibizione non è affollata ma non mancano i visitatori, in
maggioranza giovani. Alcuni, oltre a guardare le foto, leggono con attenzione i
documenti disponibili. «Con questa mostra - conclude Musa - Naalin si rivolge
anche al resto del mondo e chiede: fino a quando i palestinesi dovranno
attendere per realizzare i loro diritti? Abbiamo sofferto abbastanza». Jonatan
Pollack, uno dei leader dei «Anarchici contro il muro» e tra gli israeliani più
presenti alla battaglia di Naalin contro la barriera, considera la mostra «una
scelta molto coraggiosa». «Questo villaggio - dice - soffre l'ingiustizia
israeliana, si è visto confiscare 270 ettari di terre coltivabili che finiranno
alle colonie ebraiche circostanti, verrà circondato da tre lati, i suoi
abitanti verranno costantemente controllati da un posto di blocco militare e
non dimentichiamo che Naalin ha avuto due bambini uccisi e un giovane (Ashraf
Abu Rahma) ferito a sangue freddo ad una gamba da un poliziotto israeliano».
«Eppure - prosegue Pollack - la gente di Naalin dimostra un'eccezionale
capacità di voler comprendere la sofferenza subita in passato dal popolo che
oggi manda i bulldozer ad occupare le sue terre e a costruire il muro. Naalin
sta dicendo agli israeliani: smettetela con la repressione e l'occupazione, la
memoria dell'Olocausto serve per lottare affinché la giustizia prevalga
ovunque, a favore di tutti, nessuno escluso». L'avvocato Khaled Mahamid, un
palestinese con cittadinanza israeliana residente a Umm al Fahem (Galilea) -
dove qualche settimana fa si è svolta una marcia di un centinaio di coloni ed
estremisti di destra che ha causato tafferugli e diversi feriti - è stato il
principale promotore della mostra sull'Olocausto a Naalin. Quattro anni fa
divenne noto per aver aperto un museo della Shoah nella sua città. Mahamid è
convinto che una maggiore comprensione del significato della Shoah può
contribuire ad avvicinare le due parti, così come una maggiore consapevolezza
da parte degli israeliani della Nakba (Catastrofe) - il termine con cui i
palestinesi indicano la perdita della loro terra nel 1948 e l'inizio dell'esilio
per circa 800mila uomini, donne e bambini, fuggiti o cacciati dagli israeliani
(oggi i profughi sono quasi quattro milioni e continuano a vedersi negato il
diritto al ritorno sancito da una risoluzione dell'Onu, la 194) - favorirebbe
il raggiungimento della pace tra i due popoli. «Nei mesi scorsi ho incontrato
il sindaco di Naalin, gli ho parlato dell'Olocausto e gli ho spiegato il trauma
profondo che ogni ebreo si porta dentro da quando i nazisti hanno attuato lo
sterminio - ha raccontato Mahamid al sito israeliano Ynet - Il sindaco non
sapeva che sei milioni di ebrei sono morti nell'Olocausto e ha chiesto
spiegazioni. Subito dopo ad entrambi è venuta l'idea di aprire un museo della
Shoah nel villaggio». Ad aiutare l'avvocato di Umm el Fahem è stata la
direzione del memoriale dell'Olocausto «Yad Vashem» di Gerusalemme che ha messo
a disposizione foto e materiali in lingua araba. La mostra sulla Shoah tuttavia
lascia perplessa una parte consistente degli abitanti di Naalin, ai quali
l'iniziativa appare una sorta di «concessione» agli israeliani, destinata a non
produrre risultati apprezzabili sul terreno mentre le politiche
dell'occupazione proseguono e tante abitanti hanno perduto il lavoro e i mezzi
per sostenere le proprie famiglie a causa della confisca dei terreni
coltivabili. «Non sono contrario all'approfondimento dell'Olocausto da parte
palestinese ma mi domando se tutto ciò favorirà davvero la comprensione tra i
due popoli e, soprattutto, aiuterà a porre fine all'occupazione israeliana
della nostra terra», spiega Hindi Mesleh, uno dei leader della lotta non
violenta contro il muro. «C'è anche una questione di principio da tenere
presente - aggiunge - la nostra indipendenza, il nostro diritto ad essere
liberi, non possono essere collegati ad un riconoscimento palestinese
dell'Olocausto che peraltro c'è, già esiste. Sono questioni nettamente
distinte. I palestinesi non devono ignorare la Shoah ma, non dimentichiamolo,
gli europei hanno storicamente perseguitato il popolo ebraico e i nazisti
tedeschi hanno sterminato sei milioni di ebrei». Jonatan Pollack da parte sua
lancia un messaggio alla popolazione israeliana che definisce «in gran parte
cieca e sorda alla condizione palestinese». «Cogliamo il magnifico esempio di
Naalin e - propone - studiamo la Nakba, dobbiamo capire, finalmente, che cosa
ha significato per i palestinesi il 1948. E soprattutto mettiamo fine
all'ingiustizia e all'occupazione». La gente di Naalin intanto attende un
«primo segnale» dalla Corte Suprema israeliana alla quale ha chiesto -
attraverso l'organizzazione per i diritti umani Yesh Din - di ordinare la
restituzione di 13 ettari
di terra del villaggio, dichiarati area chiusa dell'esercito all'inizio della
seconda Intifada (2000) e trasformati in un parco dai coloni di Modiin Illit.
Foto: RAMLE, GIOVANE ARABO-ISRAELIANA A UNA MOSTRA FOTOGRAFICA SUI MUSULMANI
CHE SALVARONO VITE DI EBREI DURANTE L'OLOCAUSTO. A SINISTRA, IL FUNERALE
DI AHMED MOUSSA, 10 ANNI, UCCISO NEL 2008 DALL'ESERCITO ISRAELIANO DURANTE UNA
MANIFESTAZIONE CONTRO IL MURO A NAALIN /FOTO AP
(
da "Manifesto, Il"
del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
L'INCHIESTA
UFFICIALE Piombo fuso, a Gaza 1417 morti «a norma di legge» Michelangelo Cocco
Massacrati a norma di legge. È il destino toccato ai 1.417 palestinesi di Gaza
uccisi dalle forze armate israeliane durante l'operazione «Piombo fuso», almeno
secondo le conclusioni di cinque inchieste dell'esercito di Tel Aviv. Nessun
crimine di guerra dunque e anche le munizioni al fosforo bianco sarebbero state
utilizzate in accordo con quanto prescritto dai regolamenti internazionali. Il
vice capo di stato maggiore Dan Harel ha dichiarato che nelle decine di casi
esaminati è stato riscontrato che, tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio
2009, le truppe «hanno rispettato le norme internazionali e mantenuto un alto
livello di professionalità e moralità». «Non abbiamo trovato nessun incidente
nel quale un soldato israeliano abbia fatto del male intenzionalmente a civili
innocenti», ha aggiunto Harel presentando ieri le conclusioni delle indagini
interne. Dopo le proteste internazionali per l'offensiva di 22 giorni contro la
Striscia, il capo di stato maggiore Gabi Ashkenazi aveva incaricato cinque
colonnelli d'indagare su tutti gli episodi più eclatanti: dal bombardamento nel
quartiere Zeitoun di Gaza city in cui furono uccisi 21 membri della famiglia
Al-Dahiyeh; all'attacco dell'aviazione contro un presunto carico di armi di
Hamas che si rivelò un trasporto di bombole di gas e fece otto vittime; ai 30
civili sterminati dall'artiglieria israeliana dopo che era stato ordinato loro
di ripararsi nel ricovero in seguito colpito; al bombardamento contro la
scuola-rifugio delle Nazioni Unite (42 morti). Le vittime civili (926 secondo
fonti ospedaliere e ong palestinesi) sono per le Tsahal - le forze di difesa
israeliane - il risultato di «errori operativi e d'intelligence», «casi
sfortunati ma inevitabili durante un conflitto - secondo le parole di Harel-.
Soprattutto nel tipo di combattimenti a cui Hamas ha costretto l'esercito
israeliano quando ha scelto di trovare rifugio e combattere in mezzo a una
popolazione civile». Riguardo al fosforo bianco - che produce bruciature
profonde fino alle ossa e il cui impiego è vietato sui centri abitati -
l'esercito, che a combattimenti in corso aveva negato di averlo utilizzato, ha
stabilito che tutte le volte che ne ha fatto ricorso, è stato sempre a norma di
legge, dunque solo in campo aperto e mai contro i civili. Secondo B'Tselem -
l'ong israeliana che difende i diritti umani dei
palestinesi nei Territori occupati - le inchieste interne pubblicate
dall'esercito sono «viziate». Scettica anche Human rights watch: «Siamo molto
preoccupati che (queste indagini) finiscano per essere un insabbiamento» ha
dichiarato il portavoce dell'organizzazione Bill Van Esveld. La Comunità
internazionale ha sollecitato lo Stato ebraico a permettere lo svolgimento
d'indagini indipendenti su «Piombo fuso». Ma nei giorni scorsi, secondo quanto
riferito dalla stampa israeliana, il governo ha già detto al giudice Richard
Goldstone - incaricato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di condurre a
Gaza una squadra d'investigatori - che Tel Aviv non collaborerà alla sua
inchiesta. Ci sono poi le centinaia di denunce per «crimini di guerra» e
«crimini contro l'umanità»
messe sul tavolo del procuratore capo della Corte penale internazionale, Luis
Moreno-Ocampo, che non ha ancora scartato l'ipotesi di aprire
un'indagine contro Israele per questi reati. Procedono inoltre le iniziative
«individuali», in quei paesi in cui la legislazione lo permette. Un gruppo di
avvocati norvegesi ha deciso di intentare una causa contro l'ex primo ministro
Ehud Olmert, l'ex titolare degli esteri Tzipi Livni, il suo collega della
difesa Ehud Barak e altri sette alti responsabili israeliani e ha depositato
ieri a Oslo una denuncia per «crimini di guerra» a loro carico. «Abbiamo ricevuto
la denuncia. Procederemo a esaminarla e valutarla prima di eventualmente
trasmetterla alla polizia» alla quale spetterebbe condurre un'inchiesta, ha
detto il procuratore generale, Siri Frigaard. I sei avvocati rappresentano «tre
persone di origine palestinese residenti in Norvegia e venti famiglie che hanno
perso i loro cari o proprietà», ha spiegato alla France presse Kjell Brygfjeld,
uno dei legali, che accusano Tel Aviv di «massicci attacchi terroristici». I
legali hanno sfruttato una legge norvegese in base alla quale si può essere
incriminati per «crimini di guerra» e «crimini contro l'umanità»
anche se i reati sono stati commessi al di fuori del paese scandinavo.
(
da "Corriere delle Alpi"
del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Libri,
cerimonie, tesi di laurea Il corteo parte dalla caserma
Tasso che fu luogo di tortura BELLUNO. Si terrà domani alle 18, nella sala
Affreschi di Palazzo Piloni (e non in Auditorium, come indicato nell'invito),
il primo appuntamento del programma di celebrazioni organizzate per la
ricorrenza del 64º anniversario della Liberazione. La tradizionale
conferenza culturale proposta dall'Isbrec, che, assieme all'Anpi, alla
Federazione italiana volontari della libertà, al Comitato onoranze caduti
dell'Oltrardo e all'Associazione nazionale Famiglie caduti e dispersi in
guerra, collabora alla programmazione del calendario di eventi, sarà dedicata
alla presentazione degli atti del convegno "La zona d'Operazioni delle
Prealpi nella Seconda Guerra mondiale". Sabato si entrerà nel vivo delle
celebrazioni, con l'alzabandiera e la deposizione di una corona al monumento
alla resistenza di piazza dei Martiri. Quest'anno il corteo partirà dal cortile
interno della caserma Tasso, con ingresso in via Tissi. La caserma, rientrata
da poco nella disponibilità del Comune, era all'epoca sede della gendarmeria
tedesca e luogo di tortura: sarà, quindi, particolarmente significativo partire
proprio da lì per dirigersi verso piazza dei Martiri. Il ritrovo nel cortile è
fissato per le 9.30. Toccherà alla banda cittadina aprire il corteo,
dirigendosi verso piazza dei Martiri per l'alzabandiera e poi per la
deposizione di una corona al monumento alla resistenza. Seguiranno l'intervento
delle autorità civili cittadine e il saluto del presidente dell'Anpi. Alle
10.30 all'Auditorium si terrà la premiazione della tesi di laurea vincitrice
della borsa di studio dell'Isbrec intitolata a "Aldo e Albina
Praloran". A completare le celebrazioni, venerdì 1º maggio, ci saranno due
importanti appuntamenti: alle 8.30, ci sarà la deposizione di una corona
d'alloro presso la lapide di piazzale Marconi, a ricordo dei caduti, in
collaborazione con l'Associazione famiglie caduti e dispersi in Guerra, cui
seguirà la messa nella chiesetta dell'Istituto Sperti. A seguire, alle 9.30, in
località "La Rossa", ci sarà la celebrazione della messa nella locale
chiesetta, la deposizione di una corona d'alloro a ricordo dei caduti
dell'Oltrardo, a nome del Comitato locale, con il saluto del sindaco.
Concluderà le celebrazioni un momento commemorativo nelle scuole elementari di
Fiammoi, con l'intervento di Massimo Facchin, reduce di guerra, e con una
recita a cura degli studenti della classe III della Scuola Media "I.
Nievo" e della classe V elementare della scuola di Fiammoi.
(
da "Corriere.it"
del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Un memo
rivelerebbe il ruolo diretto dell'ex Segretario di Stato Usa, la Rice autorizzò
l'utilizzo del «waterboarding» a Guantanamo Secondo Ap approvò verbalmente la
richiesta della Cia di utilizzare la tecnica dell'annegamento simulato
Condoleezza Rice (Ap) WASHINGTON - Il capitolo oscuro sull'utilizzo
di tortura negli interrogatori da parte di agenti americani si arricchisce di
nuovi particolari e di una protagonista illustre, Condoleezza Rice. Nel luglio
del 2002 la Rice, allora consigliere per la Sicurezza nazionale, approvò
verbalmente la richiesta della Cia di utilizzare la tecnica del waterboarding
(annegamento simulato) sul presunto terrorista di al Qaida Abu Zubaydah.
Pochi giorni dopo, il Dipartimento di Giustizia approvò l'utilizzo di questa
tecnica, come riportano i memo segreti che l'amministrazione Obama ha reso
pubblici, tra mille polemiche, la settimana scorsa. Il ruolo dell'ex Segretario
di Stato viene descritto in un rapporto mostrato mercoledì dalla Commissione
per l'intelligence del Senato. LA TESTIMONIANZA - In questo documento vengono
riportati nel dettaglio i passaggi con cui le pratiche più dure e crudeli
utilizzate dalla Cia furono ideate e approvate ai più alti livelli della Casa
Bianca nell'era di George W. Bush. In questa cronologia appare chiaro come il
ruolo rivestito dalla Rice fu molto più importante di quello da lei ammesso lo
scorso autunno in una testimonianza scritta presentata alla Commissione
armamenti del Senato. Nella sua testimonianza l'ex Segretario di Stato sostiene
di aver solo preso parte a riunioni in cui si era discusso sulle richieste di
interrogatorio della Cia, ma si era poi deciso di chiedere una valutazione
legale al ministro della Giustizia. La Rice aveva detto di non ricordare i
dettagli delle riunioni. Invece, il braccio destro di Bush ebbe un ruolo
diretto nella vicenda dando per prima il via libera all'allora direttore della
Cia George Tenet. Pochi giorni dopo, e dopo l'approvazione del ministero della
Giustizia, come si legge nel memorandum segreto del 1 agosto 2002, il detenuto
Zubaydah veniva sottoposto a waterboarding almeno 83 volte nel solo mese di
agosto. Un portavoce della Rice, contattato dalla Ap, si è rifiutato di
commentare la notizia. Nel documento reso pubblico mercoledì appare inoltre
evidente come i pareri negativi di alcuni legali dell'amministrazione Bush su
queste pratiche furono repentinamente accantonati. Questo documento del
Comitato per l'Intelligence è stato rivelato pochi giorni dopo che la
Commissione armamenti del Senato ha realizzato un esaustivo rapporto in cui
vengono descritti minuziosamente i legami tra gli interrogatori brutali della
Cia e gli abusi ai prigionieri di Guantanamo, a Cuba, ma anche in Afghanistan e
nel carcere di Abu Ghraib in Iraq. stampa |
(
da "Stampaweb, La"
del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
Il
capitolo oscuro sullutilizzo
di tortura negli interrogatori da parte di agenti americani si arricchisce di
nuovi particolari e di una protagonista illustre, Condoleezza Rice. Nel luglio
del 2002 la Rice, allora consigliere per la Sicurezza nazionale, approvò
verbalmente la richiesta della Cia di utilizzare la tecnica del waterboarding
(annegamento simulato) sul presunto terrorista di al Qaida Abu Zubaydah.
Pochi giorni dopo, il Dipartimento di Giustizia approvò lutilizzo di questa tecnica, come riportano i memo
segreti che lamministrazione Obama ha reso pubblici, tra mille polemiche,
la settimana scorsa. Il ruolo dellex
Segretario di Stato viene descritto in un rapporto mostrato ieri dalla
Commissione per lintelligence del Senato. In questo documento vengono
riportati nel dettaglio i passaggi con cui le pratiche più dure e crudeli
utilizzate dalla Cia furono ideate e approvate ai più alti livelli della Casa
Bianca nellera di George W. Bush. In questa cronologia
appare chiaro come il ruolo rivestito dalla Rice fu molto più importante di
quello da lei ammesso lo scorso autunno in una testimonianza scritta presentata
alla Commissione armamenti del Senato. Nella sua testimonianza lex Segretario di Stato sostiene di aver solo preso
parte a riunioni in cui si era discusso sulle richieste di interrogatorio della
Cia, ma si era poi deciso di chiedere una valutazione legale al ministro della
Giustizia. La Rice aveva detto di non ricordare i dettagli delle riunioni.
Invece, il braccio destro di Bush ebbe un ruolo diretto nella vicenda dando per
prima il via libera allallora direttore della Cia
George Tenet. Pochi giorni dopo, e dopo lapprovazione del ministero della
Giustizia, come si legge nel memorandum segreto del 1 agosto 2002, il detenuto
Zubaydah veniva sottoposto a waterboarding almeno 83 volte nel solo mese di
agosto. Un portavoce della Rice, contattato dalla Ap, si è rifiutato di
commentare la notizia. Nel documento reso pubblico ieri appare inoltre evidente
come i pareri negativi di alcuni legali dellamministrazione
Bush su
queste pratiche furono repentinamente accantonati. Questo documento del
Comitato per lIntelligence è stato
rivelato pochi giorni dopo che la Commissione armamenti del Senato ha
realizzato un esaustivo rapporto in cui vengono descritti minuziosamente i legami tra gli
interrogatori brutali della Cia e gli abusi ai prigionieri di Guantanamo, a
Cuba, ma anche in Afghanistan e nel carcere di Abu Ghraib in Iraq.
(
da "Stampaweb, La"
del 23-04-2009)
Argomenti: Diritti umani
La
Commissione nazionale dei diritti umani (Cndh), un'ong messicana, ha denunciato l'utilizzo sistematico
della tortura e di metodi disumani da parte dell'esercito messicano nella guerra contro i
narcotrafficati alla frontiera con gli Stati Uniti. Secondo l'organizzazione,
scrive il quotidiano spagnolo El Pais, le denunce di abusi sono in aumento da
quando il presidente messicano Felipe CalderÓn ha mandato diecimila
soldati a Ciudad JuÁrez, una delle città chiave per il narcotraffico.
Detenzione arbitraria, metodi d'interrogatorio disumani
con l'uso di scosse elettriche sono alcune delle violazioni denunciate da
Cndh.www.elpais.com/