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Report "Obama"  21-5-2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

C'è la recessione globale, dobbiamo pianificare il futuro, vogliamo sentire cosa ne pensan... ( da "Stampa, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Quali che siano stati contenuti del summit segreto fra i Paperoni di inizio secolo non c'è dubbio che forse qualcosa è già arrivato alle orecchie del presidente Barack Obama. Visto che Oprah è una sua fan dichiarata, oltre ad essere buona amica della moglie Michelle.

Antagonisti, ora torna la paura ( da "Stampa, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: secondo cui il presidente Obama avesse scelto la base Usa di Napoli per la sua permanenza in Italia è bastata ai gruppi antagonisti per preparare una serie di manifestazioni nel capoluogo campano. Un fatto è certo: l'Aquila e Roma, dove probabilmente alloggeranno molti Capi di Stato, sarà meta dei gruppi antagonisti di mezzo mondo,

LA TRAPPOLA DI TEHERAN ( da "Corriere della Sera" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ha rifiutato di fissare un limite alla sua pazienza come gli chiedeva Netanyahu, ma ha avvertito che in mancanza di progressi entro il 2009 l'Occidente farà ricorso a nuove e più dure sanzioni. Il che metterà alla prova la coesione transatlantica.

Iran, nuovo test missilistico Salta il viaggio di Frattini ( da "Corriere della Sera" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ulteriore intralcio al proposito coltivato da Barack Obama di dialogare con Teheran. «Un passo nella direzione sbagliata», è stato definito da un anonimo funzionario americano. In più, il test ha reso impossibile che in giornata Franco Frattini potesse essere il primo ministro degli Esteri dell'Unione europea a tornare in Iran da quando, nel 2005, Ahmadinejad diventò presidente.

Il piano di pace di Obama ( da "Corriere della Sera" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ha comunque detto di aver manifestato a Obama la sua disponibilità «a lanciare immediatamente negoziati di pace sia con i palestinesi che con Damasco, a condizione che diano risposte concrete al bisogno di sicurezza d'Israele». Ma sulla strada che porta in Egitto, Obama si aspetta altri gesti d'apertura da parte di Tel Aviv.

Il declino di Schwarzenegger sconfitto dal popolo no-tax ( da "Corriere della Sera" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: sperano che il voto di martedì alimenti una rivolta nazionale contro l'interventismo di Obama in economia. Un «remake», insomma, della «Proposition 13»: il voto contro i nuovi tributi che trent'anni fa aprì a Ronald Reagan la strada per la Casa Bianca. L'alba di una lunga stagione di «deregulation » e di retorica dello Stato «minimo».

Barroso e gli italiani alla Ue: dovrebbero contare di più, ma quante assenze ( da "Corriere della Sera" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: di energia e di gas, della svolta di Obama sul clima («L'America segue l'Europa», si complimenta Barroso) e di Turchia: «Il no di Francia e Germania? Anche gli azeri protestano per le telenovelas turche, in cui le donne appaiono con il velo. Il problema dell'islamizzazione non riguarda solo l'Europa.

guantanamo, il senato sgambetta obama ( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il Senato sgambetta Obama Primi ostacoli al progetto di smobilitazione. Ma oggi la Casa Bianca rilancerà il piano NEW YORK - Fu una delle prime decisioni di Obama: il 22 gennaio, all´indomani dell´insediamento alla Casa Bianca e applaudito dall´opinione pubblica mondiale, ordinò la chiusura entro un anno del carcere di Guantanamo,

l'ultima provocazione di teheran - vincenzo nigro ( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente Obama fa dire dai suoi portavoce che «quel missile è un segnale sbagliato a chi come noi ha offerto il dialogo: la nostra pazienza ha un limite». In questo contesto, il dramma italiano della visita annunciata e cancellata in poche ore assume il colore di una beffa.

quella folle corsa al nucleare che spegne le speranze del mondo - (segue dalla prima pagina) bernardo valli ( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Incontrando per la prima volta Barack Obama, il primo ministro israeliano aveva sostenuto nei giorni scorsi una linea politica mediorientale in netto contrasto con quella del neo presidente americano. Mentre Obama aveva insistito sulla necessità di affrontare anzitutto la questione palestinese, puntando all´obiettivo dei due Stati;

tre offerte per opel, scatta il conto alla rovescia - paolo griseri ( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: coincidere con la scelta sul futuro di Gm che Obama intende effettuare entro e non oltre il 31 maggio. I sindacati tedeschi rilanciano intanto la proposta di rilevare la maggioranza della Opel isnieme alla rete dei concessionari: «In questo modo - dice il responsabile dei consigli di fabbrica, Klaus Franz - riusciremmo a garantire che la maggioranza della società rimanga alla Gm»

dieci giorni per cambiare il mondo marchionne spiega la rotta agli agnelli - salvatore tropea ( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ad accordare alla Opel un tempo supplementare, ovvero l´affidamento a un fiduciario che gestisca l´azienda per un periodo limitato con i finanziamenti che saranno messi a disposizione da un pool di banche: un ponte di un paio di mesi che consenta di non bloccare l´attività e definire il suo ingresso nella nuova società Contemporaneamente Marchionne riprenderà a tessere la tela

bresso: dalle regioni 600 milioni per costruire qui l'auto del futuro - marco trabucco ( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: «L´azione dell´amministrazione Obama, l´esempio francese e le vicende tedesche, con il forte coordinamento tra governo centrale, laender regionali e presenza istituzionale nelle istituzioni multinazionali ci hanno convinto che l´Italia può partecipare a questa competizione internazionale solo agendo come sistema paese.

L'irritazione di Hillary "Una trappola" ( da "Stampa, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama ha, a più riprese, frenato il governo Berlusconi facendo capire che è la Casa Bianca a voler assumere un ruolo di guida della comunità internazionale nel promuovere il dialogo nelle situazioni di crisi. Hillary aveva così fatto capire a Frattini che se l'Italia voleva proprio ritagliarsi un ruolo sul fronte iraniano doveva limitarsi all'

[FIRMA]EMANUELE NOVAZIO ROMA Franco Frattini non andrà a Teheran. La visita del ministro ... ( da "Stampa, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dallo stesso Ahmadinejad a Obama nel caso della giornalista irano-americana Roxana Saberi e dalla necessità, dunque, di riallinearsi con le posizioni radicali? Alla Stampa risulta che il ministro degli Esteri iraniano è stato spiazzato dalle parole del presidente: dopo l'annuncio dell'annullamento della visita, Mottaki ha telefonato al collega italiano esprimendogli rincrescimento.

Palestinesi e siriani negoziato subito ( da "Stampa, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ritorno da una difficile visita alla Casa Bianca il premier israeliano Benyamin Netanyahu (foto) si mostra disponibile ad aderire alle richieste di Barack Obama. Sempre ieri però dall'entourage di Netanyahu è uscita, anonima, la battuta che la soluzione dei due Stati «non è la chiave di volta della fine del conflitto, ma una risposta sciocca e infantile a un problema complesso».

Il capo della Cia: "Non può decidere e agire da sola" ( da "Stampa, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: americano boccia la richiesta di finanziamento per la chiusura di Guantanamo avanzata da Barack Obama e blocca il trasferimento dei suoi detenuti negli Stati Uniti. Con 90 voti contrari e sei a favore, i senatori replicano quanto fatto dai deputati una settimana fa mettendo a segno il primo duro affondo nei confronti del presidente da parte del Congresso a maggioranza democratica.

"Se Israele attacca l'Iran finirà in grossi guai" ( da "Stampa, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Amministrazione Obama? «Al primo posto c'è l'antiterrorismo. Al Qaeda resta la più grave minaccia alla sicurezza nostra e di tutti i nostri alleati. I loro leader in Pakistan continuano a tramare contro di noi. I loro affiliati in Iraq, nel Nord e nell'Est dell'Africa e nella Penisola Arabica continuano a sviluppare piani per minacciare il nostro Paese e la nostra sopravvivenza.

"Gli italiani in Europa lavorano troppo poco" ( da "Stampa, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama, tanto per capirsi, è invece solo «un leader del tipo carismatico». Aggiunge pure che «l'empatia è un elemento importante in democrazia». Quanto alle critiche che in Italia e in Europa si rivolgono a Berlusconi,«sono dettate dall'ideologia».

Opel, tre offerte Berlino passa la palla a Obama ( da "Stampa, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: tre offerte Berlino passa la palla a Obama Claudio Scajola Al tavolo Fiat, Magna-Gaz e Ripplewood Spunta una cordata sindacati-concessionari ministro delle Attività produttive [FIRMA]GIANLUCA PAOLUCCI INVIATO A BERLINO Tre offerte già arrivate sul tavolo di Dresdner Kw, la banca d'affari che cura la cessione degli asset europei di Opel.

"Abbiamo più del 50% di chance per farcela" ( da "Stampa, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: auto allestita da Barack Obama. Ammirazione sincera, ma anche senso pratico. Il governo guidato da Angela Merkel, se tutto andrà come previsto, dovrà immettere nell'operazione Fiat-Opel importanti risorse economiche: almeno 7 miliardi di euro. Non è un caso, quindi, che nelle prossime settimane (ne serviranno tre o quattro per mettere a punto tutti i dettagli)

obama e geithner: l'economia sta guarendo - arturo zampaglione ( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Economia Obama e Geithner: l´economia sta guarendo L´ottimismo di Washington spinge i mercati. Fed più cauta. Riforma per le credit card ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - «Le ferite del sistema finanziario cominciano a rimarginarsi», assicura il ministro del Tesoro Tim Geithner, fornendo alla commissione bancaria del Senato un quadro più rassicurante sulle dinamiche dell´

penale di 400 milioni per lo stop all'elicottero ( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: elicotteri del 1975 di cui si serve ancora Barack Obama. Nella travagliata vicenda del Marine 1 (si chiama così quando è il presidente degli Stati Uniti è a bordo dell´elicottero) si ritrovano tutte le contraddizioni della politica americana degli armamenti: dietro alle esigenze della sicurezza, si nascondono anche sprechi e megalomanie, involuzioni burocratiche e spinte clientelari.

Guantanamo, il Senato boccia Obama ( da "Stampaweb, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: i democratici ribadiscono che i fondi da 80 milioni di dollari chiesti da Obama per la chiusura del centro di detenzione non arriveranno, in assenza di un piano più preciso. È dunque in questo clima rovente che Obama si prepara al discorso di domani: discorso che secondo alcune fonti sarà in quanto a importanza simile a quello proferito il mese scorso, sull?

Obama: "Guantanamo va chiusa" ( da "Stampaweb, La" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: WASHINGTON Il presidente americano Barack Obama ha detto oggi che l?amministrazione Bush ha preso dopo l?11/9 una serie di decisioni precipitose «basate più sulla paura che sulle previsioni» modellando «troppo spesso i fatti e le prove perchè si adattassero alle convinzioni ideologiche».

Obama: "Al Qaeda prepara attacchi" E su Guantanamo ripete: "Va chiusa" ( da "Repubblica.it" del 21-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: allarme su nuove minacce terroristiche è stato lanciato dal presidente americano Barack Obama, in un discorso a Washington dedicato alla sicurezza nazionale e al futuro di Guantanamo. "Sappiamo che esiste questa minaccia - ha detto -, che sarà con noi per lungo tempo, e che dobbiamo usare tutte gli elementi in nostro potere per sconfiggerla".


Articoli

C'è la recessione globale, dobbiamo pianificare il futuro, vogliamo sentire cosa ne pensan... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

C'è la recessione globale, dobbiamo pianificare il futuro, vogliamo sentire cosa ne pensano i leader della finanza e della filantropia». Con questa scarna lettera il guru dei mercati Warren Buffett e il fondatore di Microsoft Bill Gates hanno convocato in segreto nella President Room della Rockefeller University di New York un club esclusivo che si riunisce una volta ogni cento anni: a comporlo sono quel pugno di americani che navigano, letteralmente, nei dollari e possono dunque condizionare l'andamento dell'economia nella nazione più ricca dell'intero Pianeta. L'ultima volta che qualcosa del genere è avvenuto risale al 1907 quando il banchiere John Pierpont Morgan riunì nel proprio studio privato di Manhattan i maggiori finanzieri degli albori di Wall Street per discutere come calmare il dilagante panico economico dell'epoca. Visto che i timori odierni sono assai maggiori e l'intero sistema finanziario americano rischia il crollo Buffett, Gates e Rockefeller, nelle vesti di blasonato padrone di casa, hanno pensato di ripetere l'evento esclusivo. La parte più difficile è stata la logistica: riuscire a far arrivare in segreto nello stesso posto, alla stessa ora, nel bel mezzo di Manhattan, tutti i super-vip facendo coincidere calendari che si estendono su cinque continenti e senza farsi vedere da neanche una telecamera ha messo a dura prova la tempra degli organizzatori. Ma tutto è filato liscio e martedì 5 maggio, alle 3 del pomeriggio in punto, seduti attorno al tavolo con vista sull'East River si sono così ritrovati i contemporanei equivalenti dei membri del club di JP Morgan. I loro nomi descrivono un ammontare di denaro - e dunque di potere - difficile da quantificare. I coniugi Bill e Melinda Gates e Warren Buffett sono per la classifica di «Forbes» i più abbienti del Pianeta - vantando rispettivamente beni per almeno 57 e 37 miliardi di dollari - la stella tv Oprah Winfrey è titolare di un impero editoriale da 2,7 miliardi di dollari, il sindaco di New York Michael Bloomberg siede su un patrimonio di 20 miliardi, il fondatore della Cnn Ted Turner regalò senza battere ciglio uno dei suoi 2,3 miliardi all'Onu, George Soros, che di miliardi ne ha 11, è il principale rivale di Buffett a Wall Street e David Rockefeller è il banchiere discendente della famiglia che ha contributo a disegnare le fondamenta dell'economia americana. Altrettanto ricchi ma forse meno noti gli altri invitati alla riunione a porte chiuse: i finanzieri Eli e Edythe Broad con una fortuna di 5,2 miliardi; John Morgridge, ex presidente di Cisco, con la moglie Tashia; Peter Peterson, presidente del Blackstone Group; Julian Robertson, fondatore di Tiger Management Corporation; Patty Stonesifer, ex presidente della Fondazione Gates. I singoli invitati hanno preso la parola rispettando al secondo il tempo fissato di 15 minuti a intervento. Ne è scaturito alla fine un breve dibattito e poi tutti sono tornati in fretta ai propri numerosi impegni tenendo fede al patto di non rivelare nulla di quanto avvenuto. Il segreto assoluto ha resistito fino a quando il sito Irishcentral.com ha pubblicato la testimonianza anonima di uno dei partecipanti che ha descritto l'intervento di Gates come «il più efficace», quello di Buffett come «molto incisivo» e Turner «senza peli sulla lingua» aggiungendo che la disinibita regina dei talk show Oprah Winfrey «ha invece preferito ascoltare». Ma anche la gola profonda del Web non ha svelato nulla dei contenuti della misteriosa tavola rotonda, come non ha suggerito spiegazioni del perché l'unico a mancare all'appello fosse il conservatore Rupert Murdoch, fondatore della News Corporation. In una nazione dove ogni ateneo ha le proprie sette segrete e i gruppi di potere fanno a gara nel riunirsi in associazioni dai nomi esoterici la fuga di notizie ha scatenato i reporter investigativi e il tam tam di gossip sul Web ha dato vita a teorie cospirative sul un presunto «patto fra ricchi per salvare i propri soldi dalla recessione». Per tentare di calmare le acque è sceso in campo Stacy Palmer, direttore del «Chronicle of Philantropy» assicurando alla tv Abc di sapere che «l'incontro è avvenuto per stabilire un nuovo approccio alla filantropia globale» dando vita ad un «evento senza precedenti» avvalorato dal fatto che i co-invitati sommano dal 1996 donazioni benefiche per oltre 70 miliardi di dollari. Bob Ottenhof, presidente del gruppo «Guidestar» che tiene sotto controllo le attività delle maggiori associazioni no-profit, ammette però che «questo tipo di incontri non avvengono spesso perché è molto difficile per i maggiori enti filantropici lavorare assieme». Come dire, forse hanno davvero parlato di come «donare meglio e di più per aiutare l'umanità» a dispetto della recessione ma non si può escludere che i motivi dell'insolita riunione siano stati anche altri: dalla volontà di scambiarsi idee e informazioni sull'evoluzione della imprevedibile crisi finanziaria alla possibilità di operare assieme per sfruttare i vantaggi del momento fino allo scenario di una mobilitazione collettiva di sapore patriottico per scongiurare che un'America a prezzi stracciati possa venire acquistata da imprenditori di Paesi non troppo amici. Quali che siano stati contenuti del summit segreto fra i Paperoni di inizio secolo non c'è dubbio che forse qualcosa è già arrivato alle orecchie del presidente Barack Obama. Visto che Oprah è una sua fan dichiarata, oltre ad essere buona amica della moglie Michelle.

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Antagonisti, ora torna la paura (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Violenze in piazza Lo scenario Prevista la saldatura tra gruppi anarchici, frange estreme dell'Università, disoccupati e clandestini Contromisure In vista della riunione in Abruzzo sarà sospeso il trattato di Schengen sulla libera circolazione L'intelligence dopo gli scontri di Torino: in 3 mila pronti a infiammare Roma e L'Aquila Antagonisti, ora torna la paura [FIRMA]FULVIO MILONE ROMA Tutto era stato previsto, e tutto si è verificato. Già a fine aprile i responsabili dell'intelligence avevano annunciato il rischio che il G8 dei rettori a Torino sarebbe stato «incendiato» dalla guerriglia innescata dalle frange estreme del movimento antagonista. E oggi, dopo l'allarme lanciato l'altro ieri dal ministro dell'Interno Maroni sui «segnali da non sottovalutare» di un possibile rigurgito del terrorismo, aggiungono che «gli scontri di Torino, tutto sommato contenuti, sono da considerarsi una prova generale di quanto potrebbe accadere al G8 dell'Aquila». Un fatto, insomma, è dato per certo: «Se non si può ancora parlare di ritorno al terrorismo, è pur vero che i violenti hanno deciso di tornare in piazza in vista della scadenza di luglio». E' allarme nelle più grandi questure italiane. Gli investigatori stanno monitorando la galassia dell'antagonismo, che si sta attivando in modo diverso a seconda della realtà sociale in cui agisce: dal Sud giungono i segnali di un'avvenuta saldatura fra i gruppi anarchici, le frange più estreme del movimento studentesco e alcune sigle della protesta dei disoccupati. Al Centro e al Nord, i senza-lavoro sono sostituiti dall'immigrati clandestini. E' in questo magma incandescente che gli uomini dell'intelligence stanno scrutando, e quello che hanno visto finora non promette nulla di buono. Sono consapevoli che la guerriglia di Torino non sia l'unica prova generale in vista del summit internazionale all'Aquila. L'altra sarebbe stata programmata per il 29 e 30 maggio, a Roma, in occasione del G8 dei ministri dell'Interno e della Giustizia. Uno degli argomenti al centro del vertice sarà l'immigrazione, tema su cui il Governo italiano si mostra fra i più intransigenti. La «Rete no G8» è mobilitata contro il meeting presieduto «dal ministro razzista Roberto Maroni». E avverte: «E' arrivato il momento di far convergere le nostre lotte, le lotte dei migranti, degli studenti, dei lavoratori che si ribellano a un mondo fatto di sbarramenti e frontiere, di muri e razzismo feroce». «A Roma saranno molti di più che a Torino», dicono gli investigatori convocati per lunedì prossimo dal ministro dell'Interno, che presiederà un comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica proprio per mettere a punto i dispositivi di sicurezza in vista del summit romano. E aggiungono: «In Piemonte gli scontri sono stati contenuti grazie al fatto che i provocatori non erano più di 300 ed erano isolati; nella Capitale, secondo le nostre informazioni, gli elementi più violenti potrebbero essere due o tremila». Gruppi che «discendono» dalla vecchia autonomia, anarchici, disobbedienti, no-global, rappresentanti dei Carc e del sindacalismo di base più duro sono attesi da Livorno, Bologna, Milano, Padova e Napoli, ma anche dalla Francia, dalla Spagna e dalla Grecia: una miscela esplosiva, insomma, che gli investigatori devono maneggiare con la massima attenzione per evitare una nuova edizione degli abusi commessi al G8 di Genova, ma se è il caso disinnescare con determinazione. Tutto questo, in attesa del G8 di luglio, che vedrà impegnati circa 15 mila uomini nelle forze dell'ordine. L'allerta è massima soprattutto per l'appuntamento che i Grandi della Terra si sono dati all'Aquila. Il fatto che il vertice si tenga nel «fortino» della scuola della Guardia di Finanza, fra le rovine della città devastata dal terremoto, non rende affatto tranquilli gli uomini dell'Intelligence italiana. Le preoccupazioni derivano soprattutto dagli alloggi che verranno riservati ai capi di Stato e alle delegazioni. E' improbabile che soggiornino tutti nella Scuola della Finanza, per giunta dovranno spostarsi per raggiungere il luogo del summit e ciò creerà un bel po' di problemi. Un esempio: la semplice voce, peraltro non ancora smentita, secondo cui il presidente Obama avesse scelto la base Usa di Napoli per la sua permanenza in Italia è bastata ai gruppi antagonisti per preparare una serie di manifestazioni nel capoluogo campano. Un fatto è certo: l'Aquila e Roma, dove probabilmente alloggeranno molti Capi di Stato, sarà meta dei gruppi antagonisti di mezzo mondo, e sarebbe da ingenui prefigurare solo manifestazioni civili e pacifiche. Non a caso il ministro Maroni ha annunciato già a fine aprile la sospensione del trattato di Schengen sulla libera circolazione dei cittadini dei paesi comunitari. Alle frontiere, i controlli saranno molto severi.

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LA TRAPPOLA DI TEHERAN (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 21/05/2009 - pag: 1 LA TRAPPOLA DI TEHERAN di FRANCO VENTURINI N ella cronaca diplomatica i colpi di scena non sono una rarità, ma quello toccato ieri al nostro ministro degli Esteri ha pochi precedenti. Franco Frattini aveva già preparato la valigia e si accingeva a partire per Teheran quando il protocollo iraniano, con un'ora o poco più di anticipo, ha trasmesso alla Farnesina una nuova «condizionante» richiesta: doveva essere previsto un incontro con il presidente Ahmadinejad a Semnan. Nella stessa località, cioè, dove l'Iran aveva appena lanciato con successo un missile terra-terra di nuova generazione, capace di colpire Israele, le basi Usa in Medio Oriente e l'Europa sudorientale. Fiutata la trappola che lo avrebbe in qualche modo associato al minaccioso esperimento balistico, Frattini ha giustamente deciso di non partire. E sulla pista sono rimaste soltanto due inevitabili considerazioni. La prima riguarda proprio il ministro Frattini, che nel prevedere il viaggio ha peccato d'imprudenza. Non perché la sua politica di coinvolgere l'Iran nella stabilizzazione dell'Afghanistan e del Pakistan sia errata. Non perché l'Italia abbia preso una iniziativa isolata (Hillary Clinton era d'accordo, gli europei sapevano che Frattini si sarebbe mosso entro la fine di maggio). Ma piuttosto perché fra tre settimane in Iran si elegge il nuovo presidente. Perché a Teheran è in corso una campagna elettorale opaca e senza esclusione di colpi. Perché era prevedibile che in questo clima Ahmadinejad, favorito ma non sicuro di vincere, avrebbe tentato di usare a suo profitto la prima visita di un ministro degli Esteri occidentale negli ultimi quattro anni (cosa diversa è stata la missione del rappresentante Ue Solana nel 2008). Ahmadinejad ed è questa la seconda considerazione ha infatti puntualmente confermato il suo profilo politico: quello di un provocatore a tempo pieno che tenta di bilanciare il disastro dell'economia iraniana distribuendo a piene mani l'oppio dell'ipernazionalismo e dell'odio verso Israele. La corsa al nucleare (che a dispetto degli scettici egli afferma essere pacifica) e lo sviluppo dei missili balistici (che pacifici non possono essere) rappresentano le «cambiali» elettorali di Ahmadinejad, le uniche di cui egli davvero disponga. Non meraviglia allora il tentativo di Frattini, né può stupire la ben scarsa considerazione in cui il presidente iraniano mostra di tenere l'Europa e l'Italia, che pure è il primo partner commerciale di Teheran. Convinto che sia l'Occidente ad avere bisogno di lui e non viceversa, Ahmadinejad riconosce soltanto agli Usa la dignità di interlocutore. Ma poi non esprime, nemmeno in quella direzione, una politica che autorizzi le speranze messe in campo da Washington e che Frattini voleva corroborare. L'incidente diplomatico di ieri, così, serve a ricordarci che l'Iran resta un problema pericolosamente aperto. La Casa Bianca dovrà aspettare il dopo-elezioni per capirci qualcosa. Obama ha rifiutato di fissare un limite alla sua pazienza come gli chiedeva Netanyahu, ma ha avvertito che in mancanza di progressi entro il 2009 l'Occidente farà ricorso a nuove e più dure sanzioni. Il che metterà alla prova la coesione transatlantica. E non basterà ad escludere un ricorso preventivo alla forza da parte di Israele. È su questa mina che il nostro ministro degli Esteri, pur animato dalle migliori intenzioni, è andato a mettere il piede. Una mina ancora metaforica, per fortuna.

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Iran, nuovo test missilistico Salta il viaggio di Frattini (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 21/05/2009 - pag: 18 Diplomazia Teheran voleva un incontro con Ahmadinejad nel sito del lancio Iran, nuovo test missilistico Salta il viaggio di Frattini La visita non aveva ricevuto l'ok degli altri ministri europei ROMA Quasi come se fosse un cronista, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha dato ieri all'agenzia di stampa ufficiale Irna una notizia su un esperimento delle sue forze armate: «E' stato lanciato il missile Sejil2, a tecnologia avanzata, ed è caduto esattamente sul bersaglio ». La notizia era vera. Più tardi il segretario americano alla Difesa Robert Gates ha confermato che il test della nuova arma (gittata duemila chilometri, capace di raggiungere Europa sudorientale, basi statunitensi nel Golfo e Israele) «sembra aver avuto successo ». Ma come farebbe un giornalista di regime Ahmadinejad non ha raccontato tutta la verità: benché sperimentale, il tiro di quel missile ha anche opposto un ulteriore intralcio al proposito coltivato da Barack Obama di dialogare con Teheran. «Un passo nella direzione sbagliata», è stato definito da un anonimo funzionario americano. In più, il test ha reso impossibile che in giornata Franco Frattini potesse essere il primo ministro degli Esteri dell'Unione europea a tornare in Iran da quando, nel 2005, Ahmadinejad diventò presidente. L'imprevisto, l'ennesimo, sulla via del titolare della Farnesina verso Teheran c'è stato. Benché avesse messo nel conto di dover accondiscendere Times» alle insistenze iraniane per un «incontro protocollare », ossia rapido e senza ordine del giorno, con Ahmadinejad, prima di andare a Ciampino e salire in aereo il ministro ha saputo che l'appuntamento gli veniva dato a Semnan. Per la Storia, la provincia dell'ex pasdaran che ha rilanciato i piani nucleari e minaccia Israele. Per la cronaca, proprio il posto in cui Ahmadinejad aveva assistito al lancio del Sejil2, avvertendo, non più da cronista, che la Repubblica islamica lo userebbe per «mandare all'inferno chi la attaccasse». Rispetto al viaggio a Teheran, dove aveva appuntamento con il collega Manucher Mottaki per confermargli l'invito a una conferenza del 25 giugno a Trieste sull'Afghanistan, Frattini avrebbe dovuto aggiungere al percorso una tappa non lontana. Duecento chilometri in più. Ma la correzione di rotta sul programma di questa visita rinviata più volte da marzo avrebbe significato, con gli echi del lancio del missile nell'aria, un inchino ad Ahmadinejad durante il suo ultimo giro da capo di Stato nella propria terra alla vigilia dell'avvio della campagna elettorale nella quale punta alla rielezione. La Farnesina allora ha annunciato che la visita in Iran «non avrà luogo» a causa della «richiesta condizionante» di «prevedere l'incontro protocollare con il presidente iraniano in una località diversa dalla capitale, a Semnan». Al ministero era stato letto con fastidio un servizio del Financial Times che riferiva dello «sbigottimento» di diplomatici occidentali per una missione in grado di «rompere le righe dell'Ue». Più tardi, la portavoce del rappresentante dell'Unione per la Politica estera ha fatto sapere che Frattini non ne aveva informato i colleghi europei. La Farnesina sostiene che alcuni erano stati avvisati, che poi era un viaggio per la presidenza italiana del G8, non l'Ue. In ogni caso, una giornata storta. Maurizio Caprara

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Il piano di pace di Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 21/05/2009 - pag: 19 Il progetto Sì a Gerusalemme Est capitale, no al «diritto al ritorno» «Una Palestina smilitarizzata» Il piano di pace di Obama E Netanyahu apre alla Siria: «Pronti al dialogo» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Sarebbe uno Stato palestinese smilitarizzato, con Gerusalemme Est come sua capitale, l'idea forte dell'atteso discorso al mondo arabo e islamico, che Barack Obama terrà al Cairo il 4 giugno. Ma il presidente degli Stati Uniti non avrebbe intenzione di presentare un piano nuovo di zecca e dettagliato per il Medio Oriente, tenendo come riferimento di base la proposta saudita del 2002 e concentrandosi piuttosto su un'apertura politica generale ai Paesi musulmani. Lo rivelano, citando fonti dell'Amministrazione americana, i media israeliani, secondo i quali la linea di condotta della Casa Bianca sarebbe stata concordata da Obama insieme al re di Giordania Abdallah nei colloqui di fine aprile a Washington. Giusta la strategia, il nuovo Stato palestinese dovrebbe vedere la luce entro quattro anni e non avrebbe diritto al suo esercito, né a firmare accordi militari con altri Paesi. Sarebbe questa la «polizza della sicurezza » per Israele, con cui la nuova nazione dovrebbe risolvere le questioni dei confini attraverso scambi di territorio. La bandiera palestinese verrebbe issata a Gerusalemme Est, ma la Città Vecchia diventerebbe zona internazionale sotto l'egida dell'Onu. In cambio, i palestinesi dovrebbero rinunciare al «diritto al ritorno» dei profughi, per i quali Usa e Unione europea provvederebbero però a forme di compensazione. Tornando da Washington, il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha comunque detto di aver manifestato a Obama la sua disponibilità «a lanciare immediatamente negoziati di pace sia con i palestinesi che con Damasco, a condizione che diano risposte concrete al bisogno di sicurezza d'Israele». Ma sulla strada che porta in Egitto, Obama si aspetta altri gesti d'apertura da parte di Tel Aviv. Il presidente lo avrebbe detto chiaramente Netanyahu: già domenica prossima, quando il governo israeliano si riunirà per discutere la situazione di Gaza, l'Amministrazione vorrebbe che fossero alleggerite le restrizioni all'entrata e all'uscita delle merci dalla Striscia. Washington chiede anche che siano facilitati i movimenti delle persone in Cisgiordania. Sono richieste minime, ma importanti per dare a Obama maggior forza nel suo tentativo di convincere i Paesi arabi ad avviare tutti insieme una normalizzazione nei rapporti con Israele, anche prima di un accordo di pace con i palestinesi. Obama la prossima settimana riceverà alla Casa Bianca il presidente palestinese Abu Mazen, ma dovrà invece aspettare il viaggio al Cairo per incontrare il leader egiziano Mubarak, che ieri ha dovuto cancellare la prevista visita a Washington per un improvviso lutto familiare. Paolo Valentino Presidente Barack Obama

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Il declino di Schwarzenegger sconfitto dal popolo no-tax (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 21/05/2009 - pag: 23 California A due anni dalla fine del mandato, la sua carriera è compromessa Il declino di Schwarzenegger sconfitto dal popolo no-tax Bocciate le proposte per colmare il deficit dello Stato SEGUE DALLA PRIMA «Vedremo continua la O'Connor cose brutali, gli elettori che hanno bocciato le misure per contenere il deficit si accorgeranno che il cielo sta cadendo davvero». Col voto di martedì i cittadini della West Coast hanno respinto ad ampia maggioranza gli interventi fiscali (un'addizionale dell'1% sull'imposta di consumo, un aumento della tassa di circolazione e un incremento dello 0,25% dell'Irpef californiana) coi quali il governatore e il Parlamento dello Stato avevano deciso di colmare un deficit di bilancio di ben 21 miliardi di dollari. L'unica «proposition» approvata è quella che vieta ogni aumento retributivo per parlamentari e pubblici ammini-- stratori quando il bilancio è in passivo (ieri sono stati ridotti del 18% gli stipendi dei funzionari dello Stato con cariche elettive). I commentatori preparano il necrologio politico di Schwarzenegger le cui riforme erano già state bocciate quattro anni fa dai californiani. Allora «Terminator» aveva recuperato «aprendo» ai democratici e nel 2006 era stato rieletto. Ora, a meno di due anni dal termine del mandato, la sua carriera politica sembra compromessa. Gioiscono gli ultraconservatori antistatalisti del Tea Party, che si richiamano alla «rivolta del tè» (Boston 1773) con la quale i coloni americani si ribellarono all'invadenza fiscale del governo britannico: la prima scintilla che portò, tre anni dopo, all'indipendenza degli Stati Uniti. I conservatori antitasse (Tea sta anche per «Taxed Enough Already», già tassati abbastanza) sperano che il voto di martedì alimenti una rivolta nazionale contro l'interventismo di Obama in economia. Un «remake», insomma, della «Proposition 13»: il voto contro i nuovi tributi che trent'anni fa aprì a Ronald Reagan la strada per la Casa Bianca. L'alba di una lunga stagione di «deregulation » e di retorica dello Stato «minimo». Costretto da mesi alla semioscurità, anche una parte del partito repubblicano a partire dal nuovo presidente Michael Steele ha cercato di cavalcare il nuovo movimento. Una vera acrobazia politica, visto che il voto dell'altra notte è interpretabile come una manifestazione di malessere nei confronti dell'intera classe politica e visto che in California i repubblicani sono, ancor più dei demo-- cratici, nel mirino della protesta. Il partito conservatore, infatti, aveva appoggiato e finanziato il comitato referendario di Schwarzenegger (pur sempre un repubblicano), favorevole a tutti gli interventi fiscali sottoposti al giudizio degli elettori. Ma aveva poi capovolto la sua posizione dal sì al no su tutti i referendum quando i suoi dirigenti avevano cominciato ad essere maltrattati nei «talk show» televisivi, sempre più dominati da «anchor men» populisti. E' stata una brutta stagione per la California, segnata da una crisi economica, bancaria, immobiliare e occupazionale più grave di quella che affligge il resto del Paese. Ora siamo alla resa dei conti: alle prese con un deficit colossale da colmare entro luglio, Assente Nel giorno del referendum, Schwarzenegger non era in California. Era ospite di Obama a Washington (Afp) il governo dello Stato sarà costretto a tagliare spese essenziali, a licenziare migliaia di dipendenti pubblici (soprattutto insegnanti) e a rimettere in strada molti criminali. Già ieri prima ancora che Schwarzenegger rientrasse da Washington dove era andato a celebrare la nuova politica di Obama per le auto a basso consumo in California è iniziata la protesta delle categorie a rischio licenziamento. Difficile che si ripeta un fenomeno come Proposition 13: trent'anni fa non c'era recessione e la ribellione aveva un obiettivo chiaro: il forte aumento dei tributi sulla casa. Stavolta tutto è molto più confuso: gli interventi fiscali sono numerosi, ma hanno tutti un'entità limitata. C'è malumore per come il deficit è stato colmato, ma i fautori dello «Stato minimo», ora che il Paese è in recessione, non sembrano in grado di prendere il sopravvento. Laboratorio, suo malgrado, di una politica generalizzata di tagli da contrapporre al classico «tassa e spendi», la California rischia davvero di finire in un vicolo cieco. Stando ai sondaggi, la gente vorrebbe salvare scuola, sanità, pensioni, servizi pubblici e assistenza, tagliando solo le spese per le carceri e per i parchi. Ma la Corte federale ha già imposto allo Stato di spendere di più anche per i penitenziari, che sono superaffollati e in condizioni di abbandono. Se non riceverà aiuti straordinari da Obama, Schwarzenegger sarà costretto a colpire il pubblico impiego, a chiudere molte scuole, a liberare 19 mila detenuti. Per questo gli analisti parlano di estate bollente per la California. Massimo Gaggi

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Barroso e gli italiani alla Ue: dovrebbero contare di più, ma quante assenze (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Politica data: 21/05/2009 - pag: 17 Dietro le quinte Il presidente della Commissione europea elogia Berlusconi: tra lui e la gente c'è un'empatia mai vista Barroso e gli italiani alla Ue: dovrebbero contare di più, ma quante assenze ROMA Se potesse scegliere di cambiare ruolo e persona-- lità, il presidente della commissione Europea José Manuel Barroso vorrebbe essere Silvio Berlusconi. Lui, che divide i leader tra «intellettuali» e «empatici» e si considera appartenente alla prima categoria, è impressionato tutte le volte che vede Berlusconi tra la gente: «C'è un'empatia che non ha nessun altro leader». E' reduce, Barroso, da una giornata a L'Aquila insieme al premier, suo grande elettore alla commissione e suo compagno di partito nel Ppe. Racconta di essere colpito e stupito dal fatto che Berlusconi sia andato ben 11 volte sul luogo del terremoto, che sia lì ad occuparsi personalmente dei mobili e dell'arredamento per il G8. L'occasione per le confessioni del presidente della Commissione è una cena da Fortunato al Pantheon: menu classico di bufala, prosciutto e spigola, bagnato da qualche bicchiere di Fiano e di Taurasi che scioglie l'atmosfera. Si comincia parlando degli immigrati e di Berlusconi che chiederà alla presidenza ceca dell'Unione di proporre al vertice di giugno l'apertura di un bureau europeo nei Paesi di origine dei viaggi dei clandestini per poter verificare lì - in Libia, in Marocco e in Mauritania - chi ha diritto di asilo. Si parla di Russia, di energia e di gas, della svolta di Obama sul clima («L'America segue l'Europa», si complimenta Barroso) e di Turchia: «Il no di Francia e Germania? Anche gli azeri protestano per le telenovelas turche, in cui le donne appaiono con il velo. Il problema dell'islamizzazione non riguarda solo l'Europa...») Si finisce a commentare le prossime europee: «Gli italiani? Non hanno l'influenza che meriterebbero a Bruxelles», spiega Barroso, al corrente ovviamente che «molti di loro non ci sono mai» e per questo non riescono ad avere peso nel Parlamento Europeo. Riusciranno a far eleggere uno di loro, Mario Mauro, alla presidenza? Barroso riferisce le voci europee: l'esito della sfida tra il candidato berlusconiano e il suo rivale polacco Jerzy Buzek è dubbio: al momento sembra in vantaggio quest'ultimo. Viene da uno dei nuovi membri dell'Unione e questo è un pregio, è un ex premier, elemento che potrebbe servire a dare più prestigio all'Europarlamento e poi ha diverse delegazioni del Ppe che lo preferiscono. Ma Berlusconi, se riuscirà a far diventare il Pdl la delegazione più grande dell'intero Parlamento potrà dire la sua. A meno che non provi a trattare per un altro incarico di vertice. Del suo, cioè di essere riconfermato, Barroso non dubita: «Sono orgoglioso dell'incarico che ricopro e mi riconoscono il lavoro fatto, ho l'appoggio di tutti ». Resta incerta la procedura e cioè se sarà riconfermato subito dopo le elezioni del Parlamento o se dovrà aspettare l'autunno a causa del nuovo referendum irlandese che dovrebbe ratificare il trattato di Lisbona. La chiacchierata e la cena sono terminate: restano pochi minuti per la politica italiana. Il presidente Ue non vuole dare giudizi. Sdogana l'impegno del suo vice Tajani per le elezioni: «C'è un codice di comportamento per i commissari, ma siamo uomini politici e abbiamo le nostre idee». Le sue curiosità non sono poche. Intanto vuole sapere come si chiama il leader del Pd, si informa sulla provenienza di Franceschini e si chiede in che gruppo siederà. Lui si ricorda di Veltroni: «Aveva un ufficio di sindaco con una vista superba». Si informa sul pronostico del voto, la conversazione passa al conflitto di interessi. «C'è ancora polemica sulle tv in mano al premier?», chiede. Poi, quasi tra sè: «Un'opposizione che dà la colpa ai media della propria sconfitta non vincerà mai». Gianna Fregonara All'Aquila José Manuel Durão Barroso \\ Walter Veltroni? Ricordo che aveva un ufficio di sindaco con una vista superba \\ Se l'opposizione italiana continua a dare la colpa ai media non vincerà mai

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guantanamo, il senato sgambetta obama (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri La Camera alta nega i fondi per la chiusura. E blocca il trasferimento negli Usa dei sospetti terroristi Guantanamo, il Senato sgambetta Obama Primi ostacoli al progetto di smobilitazione. Ma oggi la Casa Bianca rilancerà il piano NEW YORK - Fu una delle prime decisioni di Obama: il 22 gennaio, all´indomani dell´insediamento alla Casa Bianca e applaudito dall´opinione pubblica mondiale, ordinò la chiusura entro un anno del carcere di Guantanamo, considerato un simbolo delle prevaricazioni dell´era Bush. Ma ieri con un voto a stragrande maggioranza (90 sì, appena 6 contrari) il Senato ha negato gli 80 milioni di dollari chiesti per le spese della chiusura, di fatto bloccandola, ha vietato il trasferimento dei detenuti sul territorio degli Stati Uniti e ha inflitto una sconfitta a Obama. Perché questa insurrezione dei parlamentari? Perché anche la maggioranza democratica ha voluto contrastare a sorpresa le posizioni del presidente? La ragione ufficiale è che la Casa Bianca non ha ancora presentato un piano preciso sul futuro dei 240 prigionieri di Guantanamo, arrestati durante le offensive militari del Pentagono in quanto «nemici combattenti». Oggi stesso, in un discorso sui temi della sicurezza nazionale (in contemporanea con uno sugli stessi temi di Dick Cheney), Obama affronterà la questione, che resta comunque molto complessa perché l´ipotesi fatta finora - e che spiega l´opposizione dei senatori - è il trasferimento di una buona parte dei detenuti nelle carceri americane. «Non vogliamo che questa gentaglia cammini nelle nostre strade», ha protestato in aula John Thune, un senatore repubblicano del South Dakota. «Se venissero qui rischierebbero di fomentare movimenti terroristici, aprendo canali di finanziamento e portando altri su posizioni più radicali», ha detto il direttore del Fbi Robert Mueller. La maggioranza dei democratici continua a sostenere la chiusura di Guantanamo, ma non c´è dubbio - lo ha ammesso ieri anche il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs - che sia un progetto più difficile del previsto. 80 detenuti su 240, tra cui Khalid Sheik Mohammed, il cervello degli attacchi dell´11 settembre, dovranno essere processati e Obama - irritando i settori più liberal - si è convinto di seguire la vecchia strada di Bush affidandoli ai tribunali speciali militari, pur rafforzando le loro garanzie. Dove sconteranno la pena questi 80, in caso di condanna? E dove finiranno in caso di assoluzione? Ci sono poi altri 30 detenuti pronti a essere rilasciati, ma non si sa dove mandarli: la Gran Bretagna e la Francia ne hanno preso uno ciascuno, ma nessun Paese si è offerto di accogliere gli altri. (ar. zam.)

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l'ultima provocazione di teheran - vincenzo nigro (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri L´ultima provocazione di Teheran Testato un missile. Casa Bianca preoccupata. E Frattini annulla la visita "Ahmadinejad voleva incontrare il ministro nella città da cui aveva lanciato il razzo" VINCENZO NIGRO Mahmoud Ahmadinejad lancia la sua campagna elettorale: annuncia l´ennesimo test di un nuovo razzo iraniano capace di colpire a 2.000 chilometri di distanza (Israele e Sud Italia sono inclusi). Un vero e proprio "missile elettorale" voluto dal presidente per dare il via alle 3 settimane che mancano alle presidenziali del 12 giugno. Il problema per l´Italia è che nella scenografia studiata dagli "spin doctors" iraniani sarebbe dovuto entrare anche Franco Frattini. Quasi inconsapevole, il ministro degli Esteri ieri mattina si stava preparando a volare a Teheran per realizzare la visita cancellata in marzo dopo le proteste di Israele; una missione decisa per invitare l´Iran al vertice di Trieste sull´Afghanistan e rilanciare il ruolo dell´Italia in Medio Oriente. In poco più di 24 ore Frattini avrebbe incontrato il ministro degli Esteri Mottaki, il presidente del Parlamento Larijani e l´ex presidente Khatami. Con Ahmadinejad era previsto solo un breve incontro a Teheran. Ma ieri mattina il protocollo iraniano a sorpresa ha aggiunto una condizione: l´incontro col presidente si sarebbe tenuto proprio a Semnan, la cittadina da cui Ahmadinejad ha annunciato al mondo la novella del nuovo missile. Pochi minuti di telefonate fra l´ambasciata d´Italia e la Farnesina, una consultazione rapida e nevrotica con Palazzo Chigi, e Frattini ha detto addio per la seconda volta al suo viaggio iraniano. «Il rischio che l´incontro fra Frattini e Ahmadinejad sarebbe stato distorto a fini elettorali o anche peggio ormai era una sicurezza», dice un ambasciatore che lavora col ministro degli Esteri, «andare a Semnan era una garanzia di quel genere. Per noi è un´occasione perduta, canche per l´Iran». Le reazioni internazionali al lancio del nuovo missile iraniano danno il segno dell´allarme. Hillary Clinton conferma che «se l´Iran avrà la bomba atomica si scatenerà una corsa al nucleare in tutta la regione. Bisogna fermarli, e forse saranno utili non altre sanzioni unilaterali degli Usa, ma nuove sanzioni della comunità internazionale». Il presidente Obama fa dire dai suoi portavoce che «quel missile è un segnale sbagliato a chi come noi ha offerto il dialogo: la nostra pazienza ha un limite». In questo contesto, il dramma italiano della visita annunciata e cancellata in poche ore assume il colore di una beffa. Ieri mattina il Financial Times aveva dato voce (anonima) a chi in Europa ha sempre remato contro la visita di Frattini e il ruolo che l´Italia vuole riconquistare nella partita iraniana. Il quotidiano scrive che «gli Usa non hanno dato luce verde alla visita», ma è vero il contrario: anche senza molta convinzione, Hillary Clinton ha confermato nel suo secondo incontro con Frattini a Washington che il tentativo italiano non sarebbe stato giudicato eversivo dall´amministrazione Obama. Ultima conferma durante un viaggio dell´ambasciatore Giampiero Massolo, segretario generale della Farnesina, a Washington due settimane fa. Frattini poi ne aveva parlato con i ministri degli Esteri di Pakistan e Afghanistan, che saranno a Trieste assieme a quelli di Emirati e Arabia Saudita. Ma soprattutto il ministro aveva consultato i suoi colleghi di Germania, Francia e Gran Bretagna, i tre europei del gruppo "5+1" che negozia il nucleare con l´Iran. Lo stesso portavoce del francese Kouchner ieri mattina, prima della notizia dell´annullamento della visita, aveva confermato che «l´Italia ci ha avvertiti, ma il mio ministro per il momento non andrà a Teheran». Il problema, dunque, non era quello del coordinamento con gli altri paesi alleati, ma del troppo tempo trascorso, del fatto anche in Iran, in campagna elettorale, tutto diventa "strumentalizzabile". Se ci sarà una visita di Frattini, di sicuro a questo punto bisognerà aspettare un nuovo governo iraniano.

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quella folle corsa al nucleare che spegne le speranze del mondo - (segue dalla prima pagina) bernardo valli (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 13 - Esteri Quella folle corsa al nucleare che spegne le speranze del mondo L´annuncio di Ahmadinejad può spingere altri paesi a cercare l´atomica Il Sejjil-2 potrebbe arrivare su Israele, sulle basi americane nel Golfo ed anche sul Sud Est Europa Il presidente è apparso in tv e le sue parole hanno riempito d´orgoglio il popolo (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) BERNARDO VALLI In realtà non è un fatto nuovo che la Repubblica islamica sia dotata di missili terra-terra della stessa media portata. Appartenenti a un´identica categoria sarebbero il Sejjil 1 e il Shahab 3. In novembre, in occasione del lancio di quest´ ultimi, il ministro della difesa, Mustafa Mohammed Najjar, aveva precisato che i nuovi missili potevano essere prodotti e stoccati in grande quantità, rimuovendo subito dopo il loro uso le basi di lancio. Aveva aggiunto che questo aumentava sensibilmente la forza militare iraniana di dissuasione, da impiegare contro eventuali invasori. Pur non differenziandosi molto dai predecessori per quanto riguarda la gittata, il Sejjil-2 sarebbe molto più avanzato tecnologicamente, anche grazie a un satellite lanciato in febbraio, che ne potrebbe aumentare le capacità. Queste sommarie precisazioni servono a mettere a fuoco l´intensa attività iraniana in campo balistico, impegno che sembra teso a dotare di vettori le future testate atomiche. Ed è questo che arroventa la questione nucleare iraniana, che aumenta i sospetti e rischia di provocare gravi reazioni. Israele pensa che l´Iran disporrà dell´atomica entro il 2010 e i suoi esperti militari (secondo il Centro di studi strategici e internazionali di Washington) preparano i piani per intervenire in tempo, non senza calcolare i rischi che tale azione provocherebbe. Ma le scuole di pensiero sono tante. Ad esempio l´Istituto Est-Ovest (in cui operano russi e americani) pubblicava proprio due giorni fa un rapporto secondo il quale la Repubblica islamica potrebbe produrre un´arma nucleare rudimentale entro uno e tre anni, e un´ogiva nucleare entro cinque. E che le ci vorrebbero tra sei e otto anni per mettere a punto un missile capace di portare realmente un´ogiva per duemila chilometri. Esiste tuttavia il pericolo del contagio, ossia di una corsa al nucleare dei paesi della regione. Il riuscito lancio del Sejjil-2 e il trionfalistico annuncio fatto da Ahmadinejad, noto per le imprecazioni e minacce a Israele, hanno già avuto alcuni importanti effetti. Hanno anzitutto rafforzato la posizione di Benjamin Netanyahu. Posizione che pareva piuttosto indebolita dopo l´incontro di Washington. Incontrando per la prima volta Barack Obama, il primo ministro israeliano aveva sostenuto nei giorni scorsi una linea politica mediorientale in netto contrasto con quella del neo presidente americano. Mentre Obama aveva insistito sulla necessità di affrontare anzitutto la questione palestinese, puntando all´obiettivo dei due Stati; Netanyahu aveva evitato di parlare di uno Stato palestinese da affiancare a quello israeliano, e aveva invece indicato con forza la minaccia nucleare iraniana come il principale problema da risolvere. L´impressione è che Teheran gli abbia dato ragione. I falchi a confronto si comportano a volte come obiettivi alleati. Barack Obama avrebbe deciso di attendere entro la fine dell´anno una risposta iraniana alla sua proposta di dialogo. Ma è certo che il lancio del Sejjil-2, e il trionfale annuncio che ne è stato fatto, non rendono facile l´attesa. Il presidente iraniano è uno specialista della provocazione. In questo caso, la scelta del momento per sfoderare il nuovo sofisticato missile, non può essere interpretata altrimenti. Non è una strana coincidenza il fatto che il decollo del Sejjil-2 abbia segnato l´avvio della campagna elettorale. La quale si concluderà in Iran con il voto del 12 giugno, e del 19 se ci sarà un ballottaggio. Ieri infatti il Consiglio dei Guardiani, composto di dodici membri (sei giuristi islamici e sei giuristi laici), verificata la loro conformità con la sharia, la legge islamica, ha legittimato la candidatura alla presidenza di quattro personaggi, sui 475 che ne avevano fatto domanda. Due sono conservatori, il presidente uscente Ahmadinejad e Mohsen Rezai, capo delle Guardie rivoluzionarie, e due riformatori, Mir-Hussein Moussavi, ex primo ministro (negli anni Ottanta, durante la guerra Iran-Iraq) e Mehdi Karroubi, ex presidente del Parlamento. L´annuncio del lancio avvenuto a Semnan, duecento chilometri a Nord di Teheran, ha dato ad Ahmadinejad un notevole vantaggio. Egli è apparso su tutte le televisioni e le sue parole hanno riempito d´orgoglio molti iraniani, in generale sensibili ai richiami nazionalistici, anche se non ferventi ammiratori del regime clericale. E´ chiaro che la Guida suprema, l´ayatollah Ali Khamenei, lo ha favorito fissando il lancio il giorno stesso in cui venivano resi noti i candidati alla presidenza. Ahmadinejad parte dunque in vantaggio? Se è cosi, la mano di Obama resterà a lungo tesa. Senza che nessuno la stringa. Pur non essendo candidato, Mohammed Khatami fu il vero sconfitto delle ultime elezioni, nel 2005. Per otto anni, durante due mandati presidenziali,, aveva liberalizzato se non proprio riformato il regime, ma nell´ultima fase aveva deluso i suoi sostenitori. E i moderati (eredi delle correnti islamiche di sinistra durante la rivoluzione) che affrontarono alle elezioni i conservatori, e tra questi il rappresentante dell´estrema destra, furono esclusi dalla gara al primo turno. E Ahmadinejad trionfò. Oggi Mir-Hussein Moussavi, l´ex primo ministro, personaggio colto e competente, riprende la battaglia di Khatami, suscitando molte speranze. Compresa quella di un pugno iraniano che si dischiude davanti alla mano tesa di Obama. Ma quel missile sofisticato annunciato con orgoglio da Ahmadinehjad non annuncia nulla di buono.

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tre offerte per opel, scatta il conto alla rovescia - paolo griseri (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 10 - Economia Tre offerte per Opel, scatta il conto alla rovescia La proposta di Fiat al governo tedesco anche per Vauxhall. In corsa Magna e Ripplewood Nella prima fase esclusi dall´operazione gli stabilimenti di Gm Sudamerica Ai vertici di Chrysler arriva Robert Kidder al posto di Nardelli PAOLO GRISERI TORINO - Giallo sulle offerte per la Opel. Misteriosamente il governo ha prorogato fino alla mezzanotte di ieri il termine per proporre l´acquisto del ramo europeo della General Motors. Entro le 18, la scadenza prevista in origine, erano arrivate le tre buste previste. Oltre quella del Lingotto, l´offerta del gruppo austro-canadese Magna (appoggiato dai russi di Gaz) e quella del fondo di private equity Ripplewood. La proroga potrebbe essere stata motivata dall´attesa per un quarto offerente o dalla necessità di uno dei tre noti di completare la documentazione richiesta. Ma non è escluso che il ritardo sia dovuto alle discussioni che starebbero impegnando in queste ore il governo con i lander e ai sindacati. Nei giorni scorsi lo stesso esecutivo Merkel aveva fatto sapere che l´offerta Magna andava integrata con maggiori particolari. In realtà gli austro-canadesi sinora si sono limitati a descrivere la loro come «una offerta che avrebbe i finanziamenti di banche russe e il supporto di costruttori di Mosca come la Gaz». L´aspetto appetibile della proposta sarebbe la possibilità di accedere ai mercati dell´Est europeo. Ancora meno definita è la proposta di Ripplewood, che potrebbe essere un ballon d´essai. Più che un piano, quella di Marchionne è una proposta generale. L´ad di Torino, come del resto i suoi concorrenti, si spingerebbe solo in seguito a illustrare il dettaglio degli interventi previsti nel piano di ristrutturazione. Per adesso la Fiat fa sapere che si tratta di una proposta in cui Torino non mette denaro ma tecnologie (asset), sulla falsariga di quanto è accaduto per l´operazione Chrysler, dove Bob Nardelli è stato sostituito al vertice da Robert Kidder. L´annuncio ufficiale della presentazione dell´offerta è arrivato da Torino alle 17,45: nel comunicato si chiarisce che «la proposta riguarda le attività di Opel e di Vauxhall in Europa». Dunque, in questa prima fase, sarebbe esclusa la partita di Gm Sudamerica, per la quale Marchionne tornerà in Usa nei prossimi giorni. Advisor dell´operazione Fiat-Opel sarà Unicredit, la banca italiana più presente in Germania e Austria. Per quanto riguarda invece l´accordo con Chrysler a fare da advisor saranno gli svizzeri di Ubs. Ai futuri partner la Opel dovrebbe offrire in dotazione una cospicua somma di denaro pubblico per far fronte ai debiti. Il governo tedesco ha fatto sapere che alcune banche sarebbero disposte a sostenere un prestito-ponte per garantire la continuità produttiva. Ieri da Berlino si faceva sapere che questa cifra potrebbe essere di 1,5 miliardi di euro. Una parte dovrebbe però essere garantita dai quattro lander dove si trovano gli stabilimenti della casa tedesca. In ogni caso, ha avvertito il ministro del lavoro Olaf Scholz, «i tempi sono stretti». Ciò vuol dire che la soluzione del giallo Opel potrebbe coincidere con la scelta sul futuro di Gm che Obama intende effettuare entro e non oltre il 31 maggio. I sindacati tedeschi rilanciano intanto la proposta di rilevare la maggioranza della Opel isnieme alla rete dei concessionari: «In questo modo - dice il responsabile dei consigli di fabbrica, Klaus Franz - riusciremmo a garantire che la maggioranza della società rimanga alla Gm».

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dieci giorni per cambiare il mondo marchionne spiega la rotta agli agnelli - salvatore tropea (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 10 - Economia I fratelli e il manager Dieci giorni per cambiare il mondo Marchionne spiega la rotta agli Agnelli L´ad all´assemblea dell´accomandita che conterà meno nella super-Fiat Le attività auto saranno sganciate dal resto del gruppo: non era mai accaduto Montezemolo: "Siamo impegnati a trasformare la crisi in una grande opportunità" SALVATORE TROPEA TORINO - Più che della Fiat del passato, per dire quella del bilancio 2008 ammaccato dalla grande crisi, Sergio Marchionne descrive la Fiat che verrà. Una Fiat protagonista nella costruzione di un colosso mondiale da oltre sei milioni di vetture: naturalmente assieme alla Chrysler che c´è già e alla Opel-Gm che potrebbe aggiungersi nei prossimi giorni. Insomma uno scenario mai neppure immaginato nei centodieci anni di storia del Lingotto, da Giovanni Agnelli il fondatore ai giovani della quinta generazione. Di fronte a Marchionne, nell´elegante foresteria del centro di collaudo Fiat di Balocco appartato tra le risaie vercellesi, siedono i rappresentanti dell´Accomandita, riunita per l´assemblea annuale, questa volta un po´ diversa dalle altre. Un velo di tristezza per la recente scomparsa di Susanna Agnelli e riflettori puntati su Berlino dove Fiat sta consegnando al governo tedesco l´offerta per l´acquisto della Opel. L´eccezionalità dell´appuntamento ha richiamato la famiglia al gran completo: sono presenti Maria Sole e Cristina Agnelli, Ruy Brandolini, Pio e Eduardo Teodorani Fabbri, Lupo e Cristiano Rattazzi, Lapo Elkann, Andrea e Anna figli di Umberto, Alessandro Nasi, Oddone e Laura Camerana, Annibale Avogadro di Collobiano. E naturalmente i vertici dell´accomandita, Gian Luigi Gabetti e John Elkann. Inizio dell´assemblea alle 10 di ieri e conclusione attorno alle 17 con l´intervallo del lunch. Parlano tutti i responsabili del diversi settori del gruppo. Ma l´attesa è per l´intervento di Sergio Marchionne reduce dall´ultima maratona in Germania, dove intanto sta maturando la più ardita operazione mai tentata da Fiat. E´ lui a spiegare che cosa si è fatto negli ultimi due mesi e, soprattutto, che cosa resta da fare nei prossimi dieci giorni che promettono di cambiare il corso della storia del Lingotto e della famiglia Agnelli. Lo precede Luca Cordero di Montezemolo che sottolinea brevemente come la Fiat sia impegnata a «trasformare la crisi in una grande opportunità». Ma è Marchionne a soffermarsi sulla filosofia di tutta l´operazione che sta prendendo corpo sulle due sponde dell´Atlantico, tra Torino, Berlino e Detroit. E´ una nuova Fiat quella che disegna l´ad del Lingotto, ripercorrendo le tappe che hanno portato alla conquista della Chrysler e le mosse che hanno preceduto l´offerta per Opel. Non scende nei particolari ma l´impressione è che il Lingotto abbia buone probabilità di battere Magna e Ripplewood, avversari nell´arena di Berlino. Ma anche così non è finita. Ci sono ancora non pochi ostacoli da superare e resta da affrontare la partita italiana. La risposta del governo di Berlino è il primo step: è attesa entro l´inizio della prossima settimana. Essa dipende anche dall´esito della missione del ministro dell´Economia zu Guttenberg in America dove dovrà convincere i vertici della Gm e la task force di Obama ad accordare alla Opel un tempo supplementare, ovvero l´affidamento a un fiduciario che gestisca l´azienda per un periodo limitato con i finanziamenti che saranno messi a disposizione da un pool di banche: un ponte di un paio di mesi che consenta di non bloccare l´attività e definire il suo ingresso nella nuova società Contemporaneamente Marchionne riprenderà a tessere la tela in America, dove ci sono già i suoi collaboratori e dove la casa madre Gm dovrà dire la parola definitiva sulla controllata tedesca. Intanto è possibile che sempre in America si concluda in tempi record la fase processuale del Chapter 11 per la Chrysler. Ciò vuol dire che Fiat potrà parlare già come parte preponderante di un gruppo di 4 milioni di auto: un fattore che aiuta i torinesi al tavolo tedesco e anche a quello di Detroit per la definizione di tutta la partita di Gm Latino America e della controllata svedese Saab. Il tutto in dieci giorni durante i quali Marchionne si muoverà anche in casa per capire, al di là delle dichiarazioni di maniera, quali sono le reali intenzioni del governo italiano. Nella «rivoluzione» spiegata ieri alla famiglia Agnelli gli insediamenti italiani della Fiat non sono infatti una variabile indipendente. Come non lo sarà il capitolo sui nuovi assetti societari dopo l´annunciato spin-off che sgancerà per la prima volta le attività auto dal resto della Fiat per traghettarle in un colosso che non sarà più controllato dalla famiglia Agnelli.

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bresso: dalle regioni 600 milioni per costruire qui l'auto del futuro - marco trabucco (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina V - Torino Le nomine La presidente ha convocato una riunione con i colleghi delle aree con stabilimenti Fiat Bresso: dalle Regioni 600 milioni per costruire qui l´auto del futuro Confindustria Via Fanti conta di più Dobbiamo seguire gli esempi che arrivano da Francia, Germania e Stati Uniti. Anche il governo deve fare la sua parte, raddoppiando la cifra. Solo così possiamo salvare le nostre fabbriche MARCO TRABUCCO Bresso lei ha scritto agli altri presidenti della Regioni che ospitano stabilimenti automobilistici per convocarli a un incontro. Cosa intende proporre? «In realtà l´appuntamento del 10 giugno non nasce dal nulla. I nostri assessori si stanno parlando già da qualche settimana, per la precisione dal 30 aprile, quando noi governatori c´eravamo visti a Roma con i sindacati e qualche idea l´abbiamo già». Quali sono queste idee? «Ciò che sta accadendo negli Stati Uniti, in Francia e in Germania, con il sostegno dei governi all´industria automobilistica locale, con l´accordo Fiat-Chrysler, con il dibattito che sta accompagnando l´offerta di acquisto di Opel, ha rafforzato la nostra convinzione che il sostegno al settore automotive sia decisivo per il futuro economico ed industriale del nostro Paese. Perché coinvolge un numero molto elevato di imprese, oltre 2700, con un fatturato pari all´11,4 per cento del Pil. Perché è il primo contribuente fiscale del paese come settore industriale (81,6 miliardi di euro l´anno) è tra quelli ad alta tecnologia e alto valore aggiunto, dà lavoro a circa 275.000 persone direttamente, e a circa 1 milione in maniera indiretta. In più contribuisce all´export per l´ 8,6 per cento del totale ed è il primo settore industriale in termini di investimenti privati». Quindi? «Quindi bisogna conservarlo e anzi favorirne l´ulteriore sviluppo». Come, visto che in questo momento la competizione internazionale si sta facendo durissima? E che addirittura si rischia di scatenare una guerra tra le regioni per salvare questo o quello stabilimento Fiat. «Qualche mese fa io avevo chiesto al governo non solo di varare gli incentivi ma anche di investire in ricerca in questo settore, perché il futuro è dell´auto pulita. In un mercato che è fermo perché, almeno qui in Occidente, giusto si rinnova ogni tanto il parco auto, chi arriva primo a questo risultato vince». Il governo gli incentivi non li ha varati? «Lo ha fatto, anche se con qualche mal di pancia, come se fosse vera l´equazione che far del male alla Fiat sia far male solo a Torino e al Piemonte che sono zone di pericolosi governi rossi, comunisti. E non fosse invece far male a tutt´Italia. Comunque gli incentivi alla rottamazione li hanno varati, mentre di soldi per aiutare la ricerca e lo sviluppo di nuovi modelli non se ne è parlato». Allora? «L´azione dell´amministrazione Obama, l´esempio francese e le vicende tedesche, con il forte coordinamento tra governo centrale, laender regionali e presenza istituzionale nelle istituzioni multinazionali ci hanno convinto che l´Italia può partecipare a questa competizione internazionale solo agendo come sistema paese. è per questo che proponiamo un´azione comune tra le regioni interessate e con il governo per discutere insieme una serie di misure che consentano di rafforzare il settore automotive nel nostro paese. Primo fra tutto un programma di sostegno all´innovazione nel settore che coinvolga sia risorse centrali che risorse delle regioni». Quindi avete soldi da mettere a disposizione? «Da una prima valutazione che abbiamo fatto credo che tutte insieme noi regioni sede di stabilimenti di produzione del settore (e che si sono dette disponibili a un impegno diretto), potremo investire circa 600 milioni. Se il governo ne mette altrettanti allora si può davvero cominciare a pensare di finanziare la progettazione di un nuovo modello fortemente innovativo. Progettare una nuova auto costa sui 2 miliardi, forse di più e la Fiat, è chiaro, dovrà metterci del suo. Così però magari l´auto elettrica nascerà qua e non a Detroit o a Wofsburg. Ed è solo così che si possono salvare tutti gli stabilimenti italiani, evitando guerre tra poveri».

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L'irritazione di Hillary "Una trappola" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

INVITO ALLA PRUDENZA Retroscena Il Dipartimento di Stato ha frenato la Farnesina L'irritazione di Hillary "Una trappola" In un incontro a Washington aveva messo paletti: conviene parlare solo di Afghanistan MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Gli avevamo detto che non era opportuno andare, perché rischiava di essere strumentalizzato»: le reazioni del Dipartimento di Stato all'annullamento della visita di Franco Frattini a Teheran arrivano in maniera informale quando a Roma è già notte inoltrata. Il ministro degli Esteri italiano ha da poco finito di parlare con il Segretario di Stato, Hillary Clinton. I contenuti della lunga conversazione restano riservati ma da quanto trapela dalle feluche che ne sono al corrente c'è una certa soddisfazione a Washington per la marcia indietro italiana. «Andare avrebbe esposto a rischi senza garantire risultati», osserva un diplomatico chiedendo l'anonimato. Era stata proprio Hillary Clinton, durante il recente incontro avuto a Washington con Frattini, a insistere sul fatto che se fosse andato in Iran avrebbe dovuto parlare solo di Afghanistan e non degli altri temi al centro del contenzioso: dal programma nucleare al finanziamento dei gruppi terroristi. Sin da quando si sono manifestate in febbraio ipotesi di mediazioni italiane con l'Iran sul nucleare - o con la Russia sullo scudo antimissile in Europa - l'amministrazione Obama ha, a più riprese, frenato il governo Berlusconi facendo capire che è la Casa Bianca a voler assumere un ruolo di guida della comunità internazionale nel promuovere il dialogo nelle situazioni di crisi. Hillary aveva così fatto capire a Frattini che se l'Italia voleva proprio ritagliarsi un ruolo sul fronte iraniano doveva limitarsi all'Afghanistan, per spingere gli iraniani a mostrare segnali di collaborazione su temi di importanza strategica per l'Alleanza atlantica: la lotta al narcotraffico, la stabilizzazione del confine occidentale afghano, la ricostruzione civile, l'ipotesi di sfruttare un porto iraniano per far arrivare rifornimenti alle truppe Nato in alternativa ai porti pakistani. A sostenere l'ipotesi di un «approccio afghano» all'Iran era stato anche Richard Holbrooke, inviato Usa per la regione. Il diplomatico Cesare Ragaglini è stato così inviato a Teheran dalla Farnesina per preparare il terreno ad un dialogo «limitato ad un tema», come sottolineano fonti a Washington ricordando che «nell'agenda degli incontri di Frattini prima dell'annullamento non c'era Ahmadinejad». «L'approccio dell'amministrazione Obama è di coinvolgere gli alleati nel dialogo con l'Iran - spiega Gary Sick, docente alla Columbia University ed ex consigliere del presidente Carter durante la crisi degli ostaggi a Teheran - iniziando però non dal nucleare ma dai temi dove posso esserci maggiori convergenze, come la stabilizzazione dell'Afghanistan e dell'Iraq». Ma nelle ultime settimane questa impostazione del viaggio italiano è iniziata a vacillare in ragione delle perplessità di Washington sui segnali in arrivo dall'Iran sullo sviluppo dei programmi nucleari e missilistici e sulla crescente preoccupazione causata non solo in Israele ma nei Paesi arabi alleati. Non a caso il presidente Barack Obama nell'intervista rilasciata domenica a «Newsweek» ha indurito i toni con Teheran non escludendo «altre opzioni» per bloccare il nucleare iraniano «se la diplomazia dovesse fallire» e poi, incontrando il premier israeliano Netanyahu nello Studio Ovale, ha aggiunto che «non possiamo negoziare all'infinito». Il Segretario di Stato, testimoniando ieri di fronte ad una commissione del Senato, ha aggiunto: «La capacità nucleare dell'Iran è una straordinaria minaccia perché rischia di innescare una corsa al riarmo in Medio Oriente e l'obiettivo degli Stati Uniti è di persuadere il regime di Teheran che sarebbe assai meno sicuro se dovesse procedere nel programma nucleare militare». Nella stessa deposizione Hillary ha promesso di «continuare gli sforzi diplomatici verso l'Iran», ammettendo però che «durante questa fase elettorale non sono verosimili aperture da parte loro» almeno fino al voto presidenziale di fine giugno. Proprio la coincidenza fra la campagna elettorale e il viaggio di Frattini spiega il timore di «strumentalizzazioni» che negli ultimi giorni Washington aveva, a più riprese, recapitato a Roma.

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[FIRMA]EMANUELE NOVAZIO ROMA Franco Frattini non andrà a Teheran. La visita del ministro ... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

[FIRMA]EMANUELE NOVAZIO ROMA Franco Frattini non andrà a Teheran. La visita del ministro degli Esteri, già rinviata una volta, è stata annullata definitivamente ieri pomeriggio quando mancavano due ore alla partenza. La Farnesina motiva la decisione con la richiesta «vincolante» (cioè non soggetta a negoziato) che l'incontro «protocollare» (cioè limitato a una stretta di mano) con il presidente Ahmadinejad, al quale fino all'ultimo l'Italia aveva cercato di sottrarsi, si svolgesse non a Teheran ma a Semnan, dove proprio ieri mattina è stato sperimentato con successo il Sejil 2, un nuovo missile terra-terra in grado di colpire Israele. «Se avessimo accettato ci saremmo esposti a un'inaccettabile strumentalizzazione», commentano al ministero degli Esteri, sottolineando il «profondo rammarico» di Frattini: «Si è perduta un'occasione di approfondire la possibilità di coinvolgere l'Iran nella stabilizzazione di Afghanistan e Pakistan», l'«Afpak», una regione nella quale «gli interessi occidentali e iraniani convergono». La prima domanda che l'annullamento della visita solleva riguarda proprio la posizione iraniana: perché Ahmadinejad ha messo l'Italia nella condizione di rifiutare? Forse alla decisione non è estranea la presa di posizione della Guida suprema Ali Khamenei, che martedì ha attaccato duramente l'Occidente esortando gli elettori a non votare, alle presidenziali del 12 giugno, i candidati che si dimostrano arrendevoli? Il no a Frattini è, in quale modo, condizionato dalle concessioni fatte dallo stesso Ahmadinejad a Obama nel caso della giornalista irano-americana Roxana Saberi e dalla necessità, dunque, di riallinearsi con le posizioni radicali? Alla Stampa risulta che il ministro degli Esteri iraniano è stato spiazzato dalle parole del presidente: dopo l'annuncio dell'annullamento della visita, Mottaki ha telefonato al collega italiano esprimendogli rincrescimento. I due ministri hanno concordato di mantenere i contatti sul dossier «Afpak»: la settimana prossima sarà a Teheran l'inviato di Frattini per l'Afghanistan, Iannucci. L'annuncio della visita, dato dalla Farnesina nel pomeriggio di martedì, aveva comunque sollevato perplessità fra gli alleati, come ha scritto ieri mattina in un polemico articolo il Financial Times. Pare che fra i più critici ci fossero Francia e Gran Bretagna, entrambi, va sottolineato, membri del gruppo «5+1» incaricato di trattare con Teheran sul nucleare, che da tempo guardano con sospetto ai tentativi italiani di «contare di più» nel dossier - che pure non era all'ordine del giorno dei colloqui di Frattini - e più in generale in Iran. Malumori avrebbe espresso anche l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Solana: il solo incaricato ufficialmente di tenere le relazioni con la Repubblica islamica. Tutti i principali partner (anche Israele, che ha espresso forti riserve, e gli Usa, che sostenevano il viaggio) erano comunque stati informati della missione che Frattini intendeva compiere in quanto presidente di turno del G8, come ha confermato il portavoce del francese Kouchner: per questo le comunicazioni non erano state fatte ai 27 Paesi Ue, ma ai partecipanti al vertice dell'Aquila, a luglio. Obiettivo della visita era infatti la preparazione della conferenza su Afghanistan e Pakistan in programma a Trieste in ambito G8 dal 25 al 27 giugno. Il ministro voleva sondare la disponibilità dell'Iran e premere per una partecipazione di alto livello: non è un mistero che Berlusconi e Frattini vorrebbero far sedere allo stesso tavolo, fra un mese, Hillary Clinton e Mottaki. Lasciando a Trieste una doppia impronta italiana: sul dossier «Afpak» e su quello delle relazioni Usa-Iran. Entrambi considerati, altrove in Europa, di competenza altrui.

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Palestinesi e siriani negoziato subito (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Netanyahu «Palestinesi e siriani negoziato subito» «Sono pronto ad aprire un dialogo immediato con i palestinesi e con i siriani, senza precondizioni»: di ritorno da una difficile visita alla Casa Bianca il premier israeliano Benyamin Netanyahu (foto) si mostra disponibile ad aderire alle richieste di Barack Obama. Sempre ieri però dall'entourage di Netanyahu è uscita, anonima, la battuta che la soluzione dei due Stati «non è la chiave di volta della fine del conflitto, ma una risposta sciocca e infantile a un problema complesso».

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Il capo della Cia: "Non può decidere e agire da sola" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Il capo della Cia: "Non può decidere e agire da sola" [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Colpo di scena a Capitol Hill. Il Senato americano boccia la richiesta di finanziamento per la chiusura di Guantanamo avanzata da Barack Obama e blocca il trasferimento dei suoi detenuti negli Stati Uniti. Con 90 voti contrari e sei a favore, i senatori replicano quanto fatto dai deputati una settimana fa mettendo a segno il primo duro affondo nei confronti del presidente da parte del Congresso a maggioranza democratica. I colleghi di partito assieme all'opposizione repubblicana chiedono ad Obama un piano chiaro sul trasferimento di una parte dei 240 detenuti nelle prigioni federali prima di dare il via libera allo stanziamento di 80 milioni di dollari necessari per smantellare il carcere militare cubano. La chiusura di Guantanamo è tra le priorità della Casa Bianca. Oggi il presidente illustrerà i suoi progetti su Guantanamo, ma lo strappo consumato col Congresso gli potrebbe imporre una revisione dei piani. Deputati e senatori democratici temono le conseguenze di un trasferimento dei detenuti nelle prigioni federali. Il direttore dell'Fbi, Robert Mueller, si è detto preoccupato che i presunti affiliati di Al Qaeda possano risvegliare cellule terroristiche in letargo negli Usa. A dare una mano a Obama è arrivata la sentenza di una corte federale che ha stabilito ieri che il governo può continuare a detenere senza scadenze e senza incriminazioni formali i detenuti ritenuti molto pericolosi, in base a quanto stabilito dalla legge approvata dopo l'11 settembre 2001. Ma il problema resta: buona parte dei 240 (80 dei quali in attesa di processo) detenuti saranno trasferiti confluirà in territorio americano. I cittadini degli Stati dove si trovano i penitenziari di massima sicurezza, come la Virginia o il Colorado, si oppongono con forza. La protesta è cavalcata dai repubblicani. «Gli americani non vogliono vedere queste persone circolare liberamente per le città», avverte John Thune, senatore del South Dakota. Ma il senatore Dick Durbin, alleato di ferro di Obama, osserva che negli Usa nessuno è mai evaso da un carcere di «super-massima» sicurezza. E il presidente trova un inatteso alleato in Lindsay Graham, uno dei pochi repubblicani, assieme a John McCain, a voler chiudere Guantanamo. Secondo il senatore, il trasferimento dei detenuti negli Usa è un'operazione attuabile: «Durante la Seconda guerra mondiale, 400 mila prigionieri tedeschi e giapponesi erano reclusi nelle carceri americane. Serve un piano accurato prima di chiudere Guantanamo».

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"Se Israele attacca l'Iran finirà in grossi guai" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-05-2009)

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Intervista Leon Panetta "Se Israele attacca l'Iran finirà in grossi guai" NATHAN GARDELS Un calabrese a Langley WASHINGTON Mr Panetta, lei è stato di recente in Israele per mettere in guardia il nuovo primo ministro, Benjamin Netanyahu, dall'attaccare i siti nucleari iraniani senza essersi consultato con gli Stati Uniti, che stanno cercando di risolvere il problema per via diplomatica. Lei è certo che Netanyahu non attaccherà l'Iran? «Sì. Ovviamente gli israeliani sono preoccupati e concentrati sul problema, ma il premier capisce benissimo che procedere da soli significa finire in grossi guai». Quali sono le priorità della Cia sotto l'Amministrazione Obama? «Al primo posto c'è l'antiterrorismo. Al Qaeda resta la più grave minaccia alla sicurezza nostra e di tutti i nostri alleati. I loro leader in Pakistan continuano a tramare contro di noi. I loro affiliati in Iraq, nel Nord e nell'Est dell'Africa e nella Penisola Arabica continuano a sviluppare piani per minacciare il nostro Paese e la nostra sopravvivenza. L'obiettivo primario della Cia è perciò smantellare e sconfiggere la rete di Al Qaeda». Come intendete procedere? «Facendo pressione sui leader di Al Qaeda nelle aree tribali pachistane. Ci sono prove che questa strategia funziona, tant'è che Al Qaeda sta cercando riparo altrove. Per questo non allenteremo la pressione. Uno dei pericoli è che, se blocchiamo le loro operazioni in Pakistan, vadano a cercarsi posti sicuri altrove, per esempio in Somalia o nello Yemen. Noi comunque inseguiremo Al Qaeda ovunque andrà a nascondersi». Che strategia avete per l'Iraq? «Con la riduzione dell'impegno militare americano, dovremo aumentare la presenza dell'intelligence per aiutare l'Iraq a recuperare stabilità. La minaccia non è solo il terrorismo ma anche il rinascente settarismo». Resta ovviamente il problema Afghanistan. «La rivolta taleban trova spazi perché il Paese ha istituzioni politiche deboli e un'economia in difficoltà. Per stabilizzare la situazione occorre un intervento non solo militare ma anche di intelligence». Quanto vi preoccupa l'Iran? «Tanto da richiedere la nostra piena attenzione. L'Iran è una forza che destabilizza l'intero Medio Oriente. L'Amministrazione Obama si muove sul piano diplomatico, ma nessuno è così ingenuo da ignorare che cosa sta succedendo. L'Iran aspira a essere la forza prevalente nell'area grazie al suo programma nucleare e vuole intromettersi in Iraq attraverso i suoi rapporti con la Siria e l'appoggio ad Hamas e Hezbollah. L'intelligence Usa ritiene che l'Iran, come minimo, tiene aperta l'opzione armi nucleari. Si era fermata nel 2003, ma continua a sviluppare la tecnologia per arricchire l'uranio e fabbricare missili balistici a testata nucleare. Accertare le vere intenzioni dell'Iran è perciò in cima alle nostre priorità, anche perché c'è il rischio che altri Paesi nella regione siano tentati dal seguire l'Iran sulla via nucleare. E l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in Medio Oriente è una corsa alle armi nucleari». E la Corea del Nord? «Stiamo cercando di capire le loro intenzioni nucleari e la gittata dei loro missili. Ci preoccupa anche il fatto che siano pronti a vendere la loro tecnologia a chiunque la chieda e la paghi. Comunque riusciamo a essere informati abbastanza bene: quando hanno testato il loro missile Taepodong, l'abbiamo saputo in meno di un'ora». La impensierisce il fatto che qualcuno, al Congresso, voglia mettere sotto accusa le vostre azioni passate? «Non nego l'importanza di imparare dagli errori dell'Amministrazione Bush, ma non dobbiamo dimenticare che siamo un Paese in guerra e non possiamo riesaminare il passato in un modo che divide politicamente e interferisce con la nostra capacità di restare concentrati sulle minacce di oggi e domani. Voglio però sottolineare, per adesso e per il futuro, che qualunque cosa farà la Cia, la farà nel rispetto della Costituzione e dei valori americani». Lei ha detto che la strategia Cia contro Al Qaeda sta funzionando bene nella regione di confine tra Pakistan e Afghanistan, eppure c'è chi vi critica dicendo che i raid con i droni hanno ucciso solo 14 leader terroristi ma più di 700 civili e questo produrrebbe più sentimenti antiamericani che distruzioni di Al Qaeda. «Si tratta di operazioni segrete, per cui non posso entrare nei dettagli. Posso solo dire che sono state molto efficaci perché molto precise sugli obiettivi, con un minimo di danni collaterali. Le critiche riguardano operazioni meno precise, quelle con i caccia F-16». Basterà distruggere la rete di Al Qaeda per garantire la stabilità lungo il confine pachistan-afghano? «No, vincere militarmente non basta, alla fine tutto si gioca sul filo dell'istruzione, del cibo e della sicurezza personale. Al Qaeda e i suoi alleati si nutrono della frustrazione del popolo. La lezione dell'Iraq è chiara: possiamo vincere solo se forniamo sicurezza, lavoro, istruzione, sanità e infrastrutture». Copyright 2009 Global Viewpoint Network; (TM) Tribune media services, inc.

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"Gli italiani in Europa lavorano troppo poco" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

PROCESSO ABU OMAR SU BERLUSCONI Retroscena L'incontro con il premier in vista del G8 Berlusconi e Prodi non saranno testimoni «L'unico che ha capacità di empatia col suo popolo Neanche Sarkozy è così» "Gli italiani in Europa lavorano troppo poco" Il presidente Barroso: così alla fine hanno scarso peso ANTONELLA RAMPINO ROMA MILANO Riprenderà il prossimo 27 maggio il processo per il sequestro dell'Imam Abu Omar. Ma - a detta del giudice Oscar Magi - Non ci sarà bisogno di chiamare a testimoniare i politici, tra cui Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Per il giudice Oscar Magi, infatti, «l'oggetto delle loro deposizioni ricade in modo inequivoco nell'ambito del segreto di Stato così come delimitato dalla Corte Costituzionale». Insomma, sarebbero testi superflui. Anche gli imputati, oltre ai testi, potranno opporre il segreto di Stato, aveva detto la Corte Costituzionale. E Magi, ovviamente, dice che così sarà. Anche perché alla prossima udienza è fissato l'interrogatorio degli imputati. E Nicolò Pollari l'ex direttore del Sismi opporrà certamente il segreto, come preannunciato da uno dei difensori, Nicola Madia. Ma è indubbio che da mercoledì prossimo il processo prenderà una strada diversa da quella percorsa fino a questo momento. Perché lo ha deciso la Corte Costituzionale in materia di segreto di stato e il giudice non può che adeguarsi. Insomma sarà molto più difficile accertare per via giudiziaria gli avvenimenti e le responsabilità di quanto accadde il 17 febbraio del 2003, quando l'imam della moschea di via Quaranta a Milano, Abu Omar, venne prelevato e trasferito via Germania in Egitto dove stando al suo racconto venne torturato. Abu Omar adesso vive al Cairo, libero, ma, dicono, fortemente sorvegliato. Alla richiesta dei pm di Milano di sentirlo (l'uomo è tuttora destinatario di un ordine di cattura per terrorismo internazionale) le autorità egiziane non hanno mai risposto. È escluso che lo facciano dopo la sentenza della Consulta e la svolta impressa di conseguenza al processo contro i suoi presunti rapitori. E cosa pensa, mister president, degli italiani in Europa? Qual è il loro peso, quale la loro capacità di orientare la politica comunitaria? Manuel Barroso, il portoghese presidente della Commissione europea il cui mandato iniziò cinque anni orsono con tre settimane di ritardo proprio per le polemiche sorte su un vicepresidente di Roma, Rocco Buttiglione accusato di omofobia dal Parlamento di Strasburgo, si sfila la giacca nell'afa di un ristorante romano che ha visto trascolorare ai propri tavoli politici di ogni provenienza. Scuote la testa, appoggia la giacca e poi se stesso alla sedia, e si lascia andare a una smorfia. Gli italiani? «Purtroppo in Europa hanno poco peso, la loro scarsa influenza dipende dal fatto che sono troppo poco presenti e hanno troppa poca iniziativa». Forse, è perché si occupano troppo della politica in Italia, anche i nostri commissari del Pdl a Bruxelles, a cominciare da Tajani?, gli chiede il giornalista dell'«Unità». Altro sospiro, ma con sorriso di via libera finale, «i commissari sono uomini politici, hanno le loro idee, è comprensibile che partecipino alla campagna elettorale nel loro paese...ma è bene che lo facciano senza troppo entusiasmo». Come dire, un mezzo via libera. L'occasione dell'incontro è una chiacchierata informale alla fine di una giornata che il presidente della Commissione ha trascorso a Coppito, e si dice certissimo che il G8 all'Aquila sarà un successo. Con Berlusconi hanno parlato d'immigrazione: Barroso, che pure ha negato il vertice straordinario chiesto dall'Italia, dice che «se ne parlerà naturalmente al G8, e prima ancora al vertice europeo di giugno». E l'idea che Berlusconi gli ha illustrato è di «allestire un bureau europeo per l'immigrazione direttamente nei paesi da cui gli extracomunitari provengono». Barroso, che il Ppe nel recente vertice a Varsavia ha deciso di candidare alla riconferma, e i voti del Pdl italiano sono strategici per continuare «a fare un lavoro di cui sono orgoglioso», non ha imbarazzo nell'ammettere grande ammirazione per il capo del governo italiano. E' un «leader empatico», spiega, «l'unico che ha capacità di empatia col suo popolo, nemmeno Sarkozy è così». Obama, tanto per capirsi, è invece solo «un leader del tipo carismatico». Aggiunge pure che «l'empatia è un elemento importante in democrazia». Quanto alle critiche che in Italia e in Europa si rivolgono a Berlusconi,«sono dettate dall'ideologia». Gli spiegano la concentrazione mediatica nelle mani del premier, gli elencano le televisioni di cui è proprietario e il controllo su quelle pubbliche, i giornali, le case editrici. Sgrana gli occhi, non si capisce se schernisce l'interlocutore o se segua poco la politica italiana, «davvero è ancora così?», e aggiunge poi che «il problema allora è che gli italiani l'hanno votato». Ma la conversazione spazia, a stimolarlo c'è anche l'ex consigliere per la politica estera di Massimo D'Alema, Marta Dassù, e Barroso s'informa, come sta, è lui il leader della sinistra?, e Veltroni «l'uomo col più bel balcone del mondo?», e si tratta naturalmente dell'affaccio di cui l'allora sindaco di Roma godeva sul Foro. No, guardi, c'è un certo Franceschini. Barroso scuote ancora la testa, «la sinistra non ha speranza». Il Taurasi è finito, un accenno alla Turchia in Europa. «Ma se anche in Azerbajan si lamentano per le loro telenovelas con le donne velate...». E per questa sera, è ultima volta che Barroso scuote la testa.

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Opel, tre offerte Berlino passa la palla a Obama (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

«Lasciamo lavorare Marchionne Il suo piano è stato accolto bene» Opel, tre offerte Berlino passa la palla a Obama Claudio Scajola Al tavolo Fiat, Magna-Gaz e Ripplewood Spunta una cordata sindacati-concessionari ministro delle Attività produttive [FIRMA]GIANLUCA PAOLUCCI INVIATO A BERLINO Tre offerte già arrivate sul tavolo di Dresdner Kw, la banca d'affari che cura la cessione degli asset europei di Opel. Un ultimatum, inizialmente fissato alle 18 di ieri e poi prorogato. Una quarta proposta «d'emergenza», se le altre tre non dovessero andare bene. Un cambio di rotta del governo di Angela Merkel, passato in tre settimane dalla affermazione di voler tenere la palla in mano sul destino di Opel senza mettere un euro di fondi pubblici a un ruolo di «spettatore attivo» di una vicenda che verrà decisa altrove, tra Washington e Detroit. E preparandosi, intanto, a tirare fuori tra uno e due miliardi per garantire la sopravvivenza. Steffen Moritz, portavoce del ministro dell'economia Karl-Theodor zu Guttenberg, ha ribadito chiaramente ieri, durante il consueto incontro dei portavoce dell'esecutivo con la stampa estera, che la scelta dell'acquirente non viene fatta a Berlino. «È una decisione che General Motors prende da sola, sulla base di una valutazione autonoma». A chiarire con ancora più decisione il significato delle parole di Moritz è più tardi una fonte governativa. Anche nel caso «improbabile», spiega la fonte, in cui Gm scelga Ripplewood, il fondo di private equity con forti interessi nel settore della componentistica auto, l'esecutivo lo accetterà, salvo avviare poi trattative su prospettive e salvaguardia dei posti di lavoro. Cambio di rotta palesato già nei giorni scorsi con le aperture prima caute poi sempre più esplicite a un intervento di sostegno finanziario, dopo averlo tassativamente escluso fino a qualche giorno prima. Per ora si parla ancora di prestito ponte, ovvero a breve o brevissimo termine e finalizzato alla mera sopravvivenza di Opel. Sulla durata del prestito però nessuno al momento se la sente di sbilanciarsi. Di certo c'è che nella serata di martedì c'è stato un incontro tra i rappresentanti del ministero dell'economia, quelli della Kfw, (l'organismo statale d'investimento) e alcune banche regionali, le Landesbank, a loro volta controllate dai Lander. Di incerto, oltre alla durata, c'è anche l'entità del prestito: tra uno e due miliardi, più probabilmente 1,5 suddivisi tra Lander e esecutivo centrale. Le offerte. Alle 18 di ieri quelle arrivate a Dresdner e da lì girate al ministero dell'economia erano tre: Fiat, Magna con i russi di Gaz e Ripplewood. Fiat ha chiarito in un comunicato che la sua offerta è relativa a Opel e Vauxhall: restano dunque fuori Saab - che ha appena ricevuto nuovi fondi dal governo svedese e segue una procedura autonoma - e gli asset in America Latina di Gm. Una offerta scarna, poche pagine per ribadire quanto l'ad del Lingotto ha ripetuto più volte a tutti i soggetti coinvolti nella vicenda: l'offerta per tenere in piedi tre realtà diverse e distinte e farle confluire in un gruppo tra i primi al mondo per auto vendute, mantenendo marchi e reti di vendita autonome e in concorrenza tra loro sulla base di piattaforme condivise per abbattere i costi di sviluppo e realizzazione. Più sfumati i contorni dell'offerta di Magna, alleata della russa Gaz di Oleg Deripaska e finanziata dalla banca statale Sverbank. Poi Ripplewood, che non ha confermato di aver inviato la proposta ma che ha avuto accesso nei giorni scorsi alla documentazione predisposta da Dresdner e che ha avuto contatti con il sindacato ricevendone un appoggio. L'ultimatum. Dopo la scadenza delle 18 hanno iniziato a circolare indiscrezioni su una richiesta di proroga, attribuita a vari soggetti. Nella serata la Faz ha invece parlato di una autonoma proposta dei sindacati e dei concessionari, disponibili i primi ad un pacchetto di concessioni del valore di 1 miliardo di euro, i secondi a iniettare 500 milioni di euro nella società. Il cambio di rotta. Se sulla necessità di iniettare risorse pubbliche la risposta è semplicemente che le casse di Opel sono vuote e servono nuovi fondi in attesa almeno di un nuovo proprietario, più complesso è il tema politico. Passando la palla a Gm, e quindi all'amministrazione di Barack Obama che dovrà dire l'ultima parola sulla ristrutturazione della casa di Detroit, l'esecutivo della «Grande coalizione» guidata da Angela Merkel allontana da sé una decisione che rischiava di pesare come un macigno sulla campagna elettorale, ormai alle porte, in vista delle elezioni di settembre. Anche solo per il peso - elettorale e ancor più politico - dei 25 mila dipendenti tedeschi di Opel.

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"Abbiamo più del 50% di chance per farcela" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

"Abbiamo più del 50% di chance per farcela" Con Opel abbiamo oltre il 50 per cento di possibilità di farcela». Sergio Marchionne è in quel di Balocco, provincia di Vercelli, dove è riunito il gran consiglio degli Agnelli. L'amministratore delegato della Fiat in queste giornate convulse non pare aver smarrito il solito ottimismo e quel suo approccio positivo ai problemi con il quale riesce ad affrontare anche le questioni più contorte e complesse. Alle 11,30 si materializza al Centro prove Fiat dove è in corso l'assemblea degli azionisti della Giovanni Agnelli & C. Sapaz. Salta giù dall'elicottero e raggiunge la sala dove i numerosi esponenti dei diversi rami della famiglia Agnelli lo attendono per ascoltare dalla sua viva voce lo straordinario piano di sviluppo disegnato sui blitz negli Stati Uniti e in Germania che dovrebbero consentire a Fiat, con Chrysler e Opel, di diventare uno dei big del nuovo ordine mondiale dell'automobile. «La Fiat - confida Marchionne ai suoi collaboratori - ha più del cinquanta per cento di possibilità di farcela nella sfida per Opel. Perché alla fine la nostra è l'unica offerta con contenuti e valori industriali. Le altre o non hanno consistenza produttiva o sono sostanzialmente finanziarie: e si è visto con Cerberus, il fondo d'investimento che controllava Chrysler, quanto siano molto deboli simili soluzioni. Magari piacciono ai sindacati perché pensano di poter condizionare certi manager esperti solo di finanza e meno di industria». L'amministratore delegato di Fiat ritiene di aver costruito un buon rapporto con il governo tedesco, «un interlocutore serio, preciso e severo». E in particolare ha trovato importanti corrispondenze con il ministro dell'Economia Karl-Theodor zu Guttenberg. In Germania, sostiene, si lavora bene e nella compagine governativa tedesca si riscontra lo stesso spirito di squadra e lo stesso modo di operare della task force dell'auto allestita da Barack Obama. Ammirazione sincera, ma anche senso pratico. Il governo guidato da Angela Merkel, se tutto andrà come previsto, dovrà immettere nell'operazione Fiat-Opel importanti risorse economiche: almeno 7 miliardi di euro. Non è un caso, quindi, che nelle prossime settimane (ne serviranno tre o quattro per mettere a punto tutti i dettagli) Marchionne farà la spola tra Torino e la Germania e fra la Germania e gli Stati Uniti per tenere calda la partita. Un fatto sembra scontato e Marchionne ne è ben cosciente. Le prossime tre o quattro settimane saranno un calvario per lui e per la ristretta squadra di manager che lo supporta nell'avventura tedesca come in quella americana. Ogni giorno verrà sollevata una polemica, ci sarà un politico che dichiara, un sindacalista che accusa o un governo che puntualizza. «Comunque - confida Marchionne ai suoi interlocutori, quasi a smontare la ricorrente querelle sui tagli occupazionali - la sovrapposizione fra Fiat e Opel non è scontato che si traduca in esuberi di personale». Anzi. L'obiettivo del numero uno di Fiat Group è di conservare la somma delle quote di mercato di partenza del Lingotto e di Opel, per poi incrementarle grazie alle economie di scala e all'utilizzo di piattaforme produttive comuni garantite dall'unione. Una scommessa difficile anche per lui, ma questo abruzzese emigrato in Canada, formatosi managerialmente in America e residente in Svizzera, ama il gusto della sfida e qualche vittoria in questi anni alla Fiat l'ha pur portata a casa. Marchionne termina il suo discorso ai soci dell'accomandita. Ha tracciato bilanci, ha esposto problematiche, ha disegnato scenari, ha proposto soluzioni. Come al solito non ha usato giri di parole. Ad attenderlo sulla pista di Balocco una Ferrari «Enzo», nera come la pece e con le portiera spalancata ad ala di gabbiano. Salta su: uno, due, tre giri. Il contachilometri sembra impazzire al rombo trionfante del motore: 50, 100, 150, 200, 250, 300. Alla fine toccherà i 330 chilometri l'ora. Che per un impianto come quello di Balocco non è propriamente uno scherzo. Lui scende e con aria finalmente beata dice soltanto: «Ogni tanto lo faccio, quando sono teso o arrabbiato. Prendo una delle nostre belle auto, corro e mi sfogo».

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obama e geithner: l'economia sta guarendo - arturo zampaglione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 28 - Economia Obama e Geithner: l´economia sta guarendo L´ottimismo di Washington spinge i mercati. Fed più cauta. Riforma per le credit card ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - «Le ferite del sistema finanziario cominciano a rimarginarsi», assicura il ministro del Tesoro Tim Geithner, fornendo alla commissione bancaria del Senato un quadro più rassicurante sulle dinamiche dell´economia americana. «Constatiamo alcuni progressi e un ritorno alla normalità nei mercati», gli fa eco Barack Obama, ai margini di una riunione del «comitato della ripresa» presieduto dall´ex-capo della Federal Reserve Paul Volcker. Questo cauto ottimismo potrebbe sembrare un ordine di scuderia della Casa Bianca, inteso a infondere fiducia e a respingere alle aspre critiche dei repubblicani per l´ingerenza dello stato e l´aumento del deficit pubblico, ma in realtà sono gli stessi protagonisti del mondo finanziario ad avvalorare il mutamento del clima. «Il peggio è passato», dice infatti Ken Lewis, chief executive della Bank of America, reduce da una ricapitalizzazione del gruppo per 13,4 miliardi di dollari. Anche Wall Street ne sembra convinta: l´indice Dow Jones ha chiuso con un calo dello 0,63% a 8.421 punti, ma durante la seduta ha toccato +30% rispetto ai minimi toccati all´inizio di marzo. Nessuno però si illude sui tempi e le difficoltà del processo di normalizzazione. Proprio ieri sono stati resi noti i verbali della riunione ai aprile del Fomc: il comitato del credito della Fed ha previsto una contrazione del Pil di 1,3-2% nel 2009, un tasso di disoccupazione del 9,2-9,6% entro la fine dell´anno e ha ipotizzato la necessità di nuovi acquisti di titoli e mutui da parte della Fed per aumentare la liquidità. Sempre ieri il Congresso ha dato l´ok alla riforma di Obama che evita ai gestori delle carte di credito di aumentare costi e commissioni. «Siamo ancora di fronte sfide impegnative e dobbiamo mantenere le risorse idonee e la flessibilità necessaria ad affrontare eventuali emergenze», osserva Geithner. Il ministro si riferisce soprattutto ai fondi per i salvataggi finanziari stanziati a ottobre dal Congresso. Di quei 700 miliardi di dollari del Tarp ne restano in cassa 98,7, mentre altri 25 saranno restituiti entro breve tempo dalle banche più sane, come la Goldman Sachs o la Morgan Stanley, che ricevettero in autunno i prestiti del governo e che ora, dopo aver superato lo «stress test» del Tesoro, premono per rimborsare le somme e avere le mani libere, anche in materia di bonus per i top-manager. Nelle prossime settimane l´azione del governo si focalizzerà sul piano per ripulire i bilanci delle banche dai titoli tossici, che costerà dai 75 ai 100 miliardi, che vedrà una partnership tra pubblici-privati e che dovrebbe diventare operativo entro sei settimane. «Sono titoli che congestionano il sistema, creano incertezza e riducono sia il credito disponibile che l´arrivo di capitali freschi», ricorda Geithner al Congresso.

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penale di 400 milioni per lo stop all'elicottero (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 29 - Economia L´Us Navy stima l´indennizzo che dovrà versare a Finmeccanica per la cancellazione del contratto Penale di 400 milioni per lo stop all´elicottero NEW YORK - In un documento riservato indirizzato al Congresso (e poi finito nelle mani della agenzia «Reuters») gli ammiragli della US Navy hanno fornito la prima valutazione dei costi del dietrofront sulla fornitura del nuovo elicottero presidenziale, il cui contratto è stato annullato dal ministro della Difesa Robert Gates. Il Pentagono ritiene che dovrà pagare una penale di 555 milioni di dollari (circa 400 milioni di euro) alla LockheedMartin e alla AgustaWestland (gruppo Finmeccanica), cui era stato commissionato il VH-71, nome in codice dell´elicottero super-moderno e super-sicuro. E dovrà sborsare altri 4,4 miliardi di dollari per allungare la vita dei CH-3 e VH-60, i vecchi elicotteri del 1975 di cui si serve ancora Barack Obama. Nella travagliata vicenda del Marine 1 (si chiama così quando è il presidente degli Stati Uniti è a bordo dell´elicottero) si ritrovano tutte le contraddizioni della politica americana degli armamenti: dietro alle esigenze della sicurezza, si nascondono anche sprechi e megalomanie, involuzioni burocratiche e spinte clientelari. Dopo l´11 settembre il Pentagono volle dotarsi di un nuovo elicottero per mettere in salvo il presidente in caso di emergenza. Il consorzio italo-americano vinse l´appalto per costruire 23 mezzi di nuova generazione a un costo di 6,8 miliardi di dollari. Ma poi gli esperti militari vollero dotare gli elicotteri di strumenti hi-tech di difesa e comunicazione, facendo lievitare l´importo a 13 miliardi. E quando Obama, arrivato alla Casa Bianca nel mezzo della crisi economica, ordinò al ministro Gates di tagliare le spese per gli armamenti, il VH-71 fu una delle prime vittime. La Finmeccanica appare tranquilla: finora ha già consegnato nei tempi previsti i primi nove elicotteri di test e pre-produzione, incassando le relative somme. Se dovesse essere confermata la cancellazione del contratto, incasserebbe insieme alla LockheedMartin una penale magari superiore ai 555 milioni stimati dal Pentagono: gli analisti militari ipotizzano infatti che, al termine di negoziati la cifra finale possa raggiungere il miliardo di dollari. Ma il consorzio italo-americano non si dà ancora per vinto, facendo leva sia su un certo numero di parlamentari americani, come il democratico Maurice Hinchey, che su un ragionamento molto semplice: perché spendere 4,4 miliardi per far sopravvivere il vecchio Marine1, mentre per due-tre miliardi in più la Casa Bianca potrebbe dotarsi di una flotta di 23 VH-71 (tra cui i 5 già consegnati)? L´interrogativo sarà posto nei prossimi giorni al Congresso che ha il potere di annullare la decisione del Pentagono. (ar. zam.)

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Guantanamo, il Senato boccia Obama (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK Ora, anche i democratici mettono i bastoni tra le ruote al piano di Barack Obama di chiudere Guantanamo entro il gennaio del 2010. E fanno fronte comune con i repubblicani, bloccando il trasferimento dei detenuti negli Stati Uniti proprio alla vigilia del discorso che il presidente americano proferirà sulla lotta al terrorismo. D’altronde, il timore sulle conseguenze che la presenza di sospetti di terrorismo potrebbe avere sulla sicurezza degli americani è grande, e ad avallarlo è lo stesso numero uno dell’Fbi Robert Mueller, che non fa mistero dei rischi che una situazione simile potrebbe portare con sé: questo, anche se i prigionieri venissero rinchiusi in carceri di massima sicurezza. Il Senato vota così con una maggioranza schiacciante - 90 voti favorevoli contro appena 6 contrari - per bloccare un loro eventuale trasferimento in territorio Usa, i democratici ribadiscono che i fondi da 80 milioni di dollari chiesti da Obama per la chiusura del centro di detenzione non arriveranno, in assenza di un piano più preciso. È dunque in questo clima rovente che Obama si prepara al discorso di domani: discorso che secondo alcune fonti sarà in quanto a importanza simile a quello proferito il mese scorso, sull’economia, alla Georgetown University; e discorso che arriverà lo stesso giorno in cui a dire la sua sul terrorismo sarà uno dei suoi nemici acerrimi: Dick Cheney, ex presidente degli Stati Uniti. In tutto questo, non può rimanere inosservata la ’nuovà posizione dei democratici. Se il loro sostegno ai piani economici, di riforma sanitaria, di riduzione di emissioni di gas serra per il miglioramento del clima e di altri progetti di Obama è stato quasi scontato, non altrettanto si rivela ora la loro posizione in materia di terrorismo e, soprattutto, di Guantanamo. L’interrogativo, martellante, è su quanto accadrà ai 241 detenuti che si trovano rinchiusi attualmente nel carcere. Che fine faranno? Dove andranno? Qual è il piano per gestire il loro trasferimento? Obama finora non ha fornito una risposta precisa, e non è stato capace di fugare questi dubbi. Tanto che ieri, lo stesso numero due dei democratici al Senato Dick Durbin, pur precisando che il piano sulla chiusura di Guantanamo rimane operativo, ha mostrato una certa stizza. «La sensazione è che a questo punto stiamo difendendo l’ignoto. Ci è stato chiesto di difendere un piano che non è stato ancora annunciato». Questo, mentre l’ennesima critica repubblicana alla strategia di Obama è arrivata da Mitch McConnell, leader della minoranza al Senato. «Chiudere questa prigione in questo momento servirebbe a un solo scopo: quello di rendere gli americani meno sicuri». E oggi un altro repubblicano,il senatore John Thune, ha rincarato la dose. «Il popolo americano non vuole che questi sospetti di terrorismo camminino nelle strade dei quartieri americani. Il popolo americano non vuole neanche che questi detenuti vengano rinchiusi in una base militare o in prigioni militari a un passo dalle loro abitazioni». Rubin, nel ricordare la propria natura di democratico, ha poi smorzato i toni, affermando che non c’è stato un solo prigioniero che è mai fuggito da un carcere di «supermassima» sicurezza, e che 347 individui condannati per legami con il terrorismo si trovano già in territorio americano. E Michele Flournoy, nuovo numero uno della divisione di politica del Pentagono, ha precisato che non è realistico pensare che nessun detenuto di Guantanamo arriverà negli Stati Uniti, visto che il governo americano non può chiedere ai suoi alleati di accogliere i prigionieri, senza che esso non faccia la stessa cosa. Ma il «verdetto» del Senato è stato comunque chiaro: repubblicani o democratici che siano, molti esponenti del Congresso non vogliono quei detenuti in America. Di certo, Obama si trova in una situazione decisamente difficile da risolvere, in un momento in cui appare tra l’altro sempre più evidente che siano i problemi legati al terrorismo, a Guantanamo, alle torture, il suo tallone d’Achille. A tal proposito, Obama dovrà giustificare domani anche alcune decisioni prese recentemente. Da un lato, infatti, il presidente dovrà mostrare il pugno di ferro, smorzando i timori di chi teme che la chiusura di Guantanamo metterà a rischio la sicurezza degli Stati Uniti. Dall’altro lato però Obama dovrà essere capace di riconquistare in qualche modo la fiducia dei democratici più liberal, che hanno accolto con forte delusione la recente decisione di non diffondere le foto che ritraggono gli abusi sofferti dai sospetti di terrorismo, ai tempi dell’amministrazione del suo predecessore George W. Bush. D’altronde, molti attivisti si sono sentiti traditi. Grande attesa dunque per domani, quando il presidente americano dovrà chiarire anche alcune questioni sulla sua politica che evidentemente non sono state proprio precisate. Non mancheranno sicuramente le battute al veleno di Cheney, che senza alcuna ombra di dubbio cavalcherà l’onda delle incognite sul futuro di Guantanamo.

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Obama: "Guantanamo va chiusa" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON Il presidente americano Barack Obama ha detto oggi che l’amministrazione Bush ha preso dopo l’11/9 una serie di decisioni precipitose «basate più sulla paura che sulle previsioni» modellando «troppo spesso i fatti e le prove perchè si adattassero alle convinzioni ideologiche». Obama ha quindi ribadito l’intenzione di chiudere il carcere militare a Cuba entro il prossimo gennaio:«La prigione di Guantanamo ha indebolito la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e va quindi chiusa». Gli Stati Uniti però «non metteranno in libertà alcun detenuto di Guantanamo che si riveli una minaccia per la sicurezza nazionale». Il presidente ha spiegato che gli attuali 240 detenuti saranno divisi in cinque categorie. Alcuni saranno processati in tribunali ordinari, altri in corti militari speciali, altri ancora saranno trasferiti all’estero o in prigioni di massima sicurezza negli Usa. Ma resterà un nucleo di terroristi «che non possono essere processati e che costituiscono un pericolo per la sicurezza», e non verranno rimessi in libertà nè potranno essere sottoposti a processi: verranno sviluppate procedure per valutare cosa fare di loro. Obama ha poi aggiunto che «Al Qaida sta attivamente pianificando di attaccarci di nuovo» e gli Stati Uniti «sono in guerra con Al Qaida e le sue affiliazioni. Sappiamo che esiste questa minaccia che sarà con noi per lungo tempo, e che dobbiamo usare tutte gli elementi in nostro potere per sconfiggerla».

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Obama: "Al Qaeda prepara attacchi" E su Guantanamo ripete: "Va chiusa" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 21-05-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON - Al Qaeda sta "attivamente pianificando di attaccarci di nuovo" e gli Stati Uniti "sono in guerra con Al Qaeda e le sue affiliazioni": l'allarme su nuove minacce terroristiche è stato lanciato dal presidente americano Barack Obama, in un discorso a Washington dedicato alla sicurezza nazionale e al futuro di Guantanamo. "Sappiamo che esiste questa minaccia - ha detto -, che sarà con noi per lungo tempo, e che dobbiamo usare tutte gli elementi in nostro potere per sconfiggerla". E sulla prigione caraibica il presidente ha usato parole dure: "Ha indebolito la sicurezza nazionale degli Stati Uniti" e va quindi chiusa, ha detto, ribadendo l'intenzione di smantellare il carcere militare a Cuba entro il prossimo gennaio. Intanto oggi a New York quattro persone sono state arrestate: secondo gli inquirenti volevano far saltare una sinagoga. Detenuti trasferiti all'estero o in carceri massima sicurezza. Secondo il presidente americano, sono cinquanta i detenuti di Guantanamo che hanno i requisiti per essere trasferiti in paesi stranieri e diversi altri potrebbero essere trasferiti in carceri di massima sicurezza negli Stati Uniti. Ma Obama avverte: "Non rilasceremo nessuno che sia un pericolo per la sicurezza nazionale". Il problema di Guantanamo, ha aggiunto, risiede prima di tutto nel fatto che un'amministrazione ha deciso in passato di aprirlo". L'attuale amministrazione, ha detto ancora, sta cercando di rimediare "alla situazione disastrosa" ereditata da quella precedente: "un esperimento fallito che ci ha lasciato una valanga di problemi legali". OAS_RICH('Middle'); No a commissione indipendente sugli errori amministrazione Bush. Il discorso si è poi ampliato, toccando la presidenza Bush: nella lotta al terrorismo la scorsa amministrazione è andata "fuori pista", ha aggiunto Obama. Un giudizio confermato dalle elezioni dove gli americani "hanno scelto candidati che respingevano la tortura e volevano chiudere Guantanamo. Il successore di Bush alla Casa Bianca, si è detto però contrario alla nomina di una commissione indipendente che indaghi sui metodi della precedente amministrazione per combattere il terrorismo. "Mi sono opposto - ha spiegato - perché credo che le nostre istituzioni democratiche siano abbastanza solide per definire le responsabilità. Nel Congresso sono già in corso inchieste su materie come queste tecniche di interrogatorio. Il Dipartimento di Giustizia e i nostri tribunali sono in grado di punire le violazioni delle leggi". "In passato decisioni basate sulla paura". Obama non ha mancato di fare autocritica: "Nella stagione della paura troppi di noi, repubblicani e democratici, giornalisti e cittadini sono stati in silenzio. Alcune decisioni sono state prese credo con il desiderio sincero di difendere il paese" ha detto, sottolineando però che si è trattato di "decisioni basate sulla paura piuttosto che su una visione politica". E che soprattutto sono state caratterizzate dalla "messa da parte di tutti i valori ed i principi" che sono "il miglior strumento della nostra difesa nazionale". (21 maggio 2009

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