CENACOLO
DEI COGITANTI |
C'è la recessione globale,
dobbiamo pianificare il futuro, vogliamo sentire cosa ne pensan...
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Quali che siano stati contenuti del
summit segreto fra i Paperoni di inizio secolo non c'è dubbio che forse
qualcosa è già arrivato alle orecchie del presidente Barack Obama. Visto che
Oprah è una sua fan dichiarata, oltre ad essere buona amica della moglie
Michelle.
Antagonisti, ora torna la
paura ( da "Stampa,
La" del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: secondo cui il presidente Obama
avesse scelto la base Usa di Napoli per la sua permanenza in Italia è bastata
ai gruppi antagonisti per preparare una serie di manifestazioni nel capoluogo
campano. Un fatto è certo: l'Aquila e Roma, dove probabilmente alloggeranno
molti Capi di Stato, sarà meta dei gruppi antagonisti di mezzo mondo,
LA TRAPPOLA DI TEHERAN
( da "Corriere della Sera"
del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama ha rifiutato di fissare un
limite alla sua pazienza come gli chiedeva Netanyahu, ma ha avvertito che in
mancanza di progressi entro il
Iran, nuovo test
missilistico Salta il viaggio di Frattini
( da "Corriere della Sera"
del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ulteriore intralcio al proposito
coltivato da Barack Obama di dialogare con Teheran. «Un passo nella direzione
sbagliata», è stato definito da un anonimo funzionario americano. In più, il
test ha reso impossibile che in giornata Franco Frattini potesse essere il
primo ministro degli Esteri dell'Unione europea a tornare in Iran da quando,
nel 2005, Ahmadinejad diventò presidente.
Argomenti:
Obama
Abstract: ha comunque detto di aver
manifestato a Obama la sua disponibilità «a lanciare immediatamente negoziati
di pace sia con i palestinesi che con Damasco, a condizione che diano risposte
concrete al bisogno di sicurezza d'Israele». Ma sulla strada che porta in
Egitto, Obama si aspetta altri gesti d'apertura da parte di Tel Aviv.
Il declino di
Schwarzenegger sconfitto dal popolo no-tax
( da "Corriere della Sera"
del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: sperano che il voto di martedì
alimenti una rivolta nazionale contro l'interventismo di Obama in economia. Un
«remake», insomma, della «Proposition 13»: il voto contro i nuovi tributi che
trent'anni fa aprì a Ronald Reagan la strada per la Casa Bianca. L'alba di una
lunga stagione di «deregulation » e di retorica dello Stato «minimo».
Barroso e gli italiani
alla Ue: dovrebbero contare di più, ma quante assenze
( da "Corriere della Sera"
del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: di energia e di gas, della svolta
di Obama sul clima («L'America segue l'Europa», si complimenta Barroso) e di
Turchia: «Il no di Francia e Germania? Anche gli azeri protestano per le
telenovelas turche, in cui le donne appaiono con il velo. Il problema
dell'islamizzazione non riguarda solo l'Europa.
guantanamo, il senato
sgambetta obama ( da "Repubblica,
La" del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il Senato sgambetta Obama Primi
ostacoli al progetto di smobilitazione. Ma oggi la Casa Bianca rilancerà il
piano NEW YORK - Fu una delle prime decisioni di Obama: il 22 gennaio,
all´indomani dell´insediamento alla Casa Bianca e applaudito dall´opinione pubblica
mondiale, ordinò la chiusura entro un anno del carcere di Guantanamo,
l'ultima provocazione di
teheran - vincenzo nigro ( da "Repubblica,
La" del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il presidente Obama fa dire dai
suoi portavoce che «quel missile è un segnale sbagliato a chi come noi ha
offerto il dialogo: la nostra pazienza ha un limite». In questo contesto, il
dramma italiano della visita annunciata e cancellata in poche ore assume il
colore di una beffa.
quella folle corsa al
nucleare che spegne le speranze del mondo - (segue dalla prima pagina) bernardo
valli ( da "Repubblica,
La" del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Incontrando per la prima volta
Barack Obama, il primo ministro israeliano aveva sostenuto nei giorni scorsi
una linea politica mediorientale in netto contrasto con quella del neo
presidente americano. Mentre Obama aveva insistito sulla necessità di affrontare
anzitutto la questione palestinese, puntando all´obiettivo dei due Stati;
tre offerte per opel,
scatta il conto alla rovescia - paolo griseri
( da "Repubblica, La"
del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: coincidere con la scelta sul futuro
di Gm che Obama intende effettuare entro e non oltre il 31 maggio. I sindacati
tedeschi rilanciano intanto la proposta di rilevare la maggioranza della Opel
isnieme alla rete dei concessionari: «In questo modo - dice il responsabile dei
consigli di fabbrica, Klaus Franz - riusciremmo a garantire che la maggioranza
della società rimanga alla Gm»
dieci giorni per cambiare
il mondo marchionne spiega la rotta agli agnelli - salvatore tropea
( da "Repubblica, La"
del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama ad accordare alla Opel un
tempo supplementare, ovvero l´affidamento a un fiduciario che gestisca
l´azienda per un periodo limitato con i finanziamenti che saranno messi a
disposizione da un pool di banche: un ponte di un paio di mesi che consenta di
non bloccare l´attività e definire il suo ingresso nella nuova società
Contemporaneamente Marchionne riprenderà a tessere la tela
bresso: dalle regioni 600
milioni per costruire qui l'auto del futuro - marco trabucco
( da "Repubblica, La"
del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: «L´azione dell´amministrazione
Obama, l´esempio francese e le vicende tedesche, con il forte coordinamento tra
governo centrale, laender regionali e presenza istituzionale nelle istituzioni
multinazionali ci hanno convinto che l´Italia può partecipare a questa
competizione internazionale solo agendo come sistema paese.
L'irritazione di Hillary
"Una trappola" ( da "Stampa,
La" del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione Obama ha, a più
riprese, frenato il governo Berlusconi facendo capire che è la Casa Bianca a
voler assumere un ruolo di guida della comunità internazionale nel promuovere
il dialogo nelle situazioni di crisi. Hillary aveva così fatto capire a
Frattini che se l'Italia voleva proprio ritagliarsi un ruolo sul fronte
iraniano doveva limitarsi all'
[FIRMA]EMANUELE NOVAZIO
ROMA Franco Frattini non andrà a Teheran. La visita del ministro ...
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: dallo stesso Ahmadinejad a Obama
nel caso della giornalista irano-americana Roxana Saberi e dalla necessità,
dunque, di riallinearsi con le posizioni radicali? Alla Stampa risulta che il
ministro degli Esteri iraniano è stato spiazzato dalle parole del presidente: dopo
l'annuncio dell'annullamento della visita, Mottaki ha telefonato al collega
italiano esprimendogli rincrescimento.
Palestinesi e siriani
negoziato subito ( da "Stampa,
La" del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ritorno da una difficile visita
alla Casa Bianca il premier israeliano Benyamin Netanyahu (foto) si mostra
disponibile ad aderire alle richieste di Barack Obama. Sempre ieri però
dall'entourage di Netanyahu è uscita, anonima, la battuta che la soluzione dei
due Stati «non è la chiave di volta della fine del conflitto, ma una risposta
sciocca e infantile a un problema complesso».
Il capo della Cia:
"Non può decidere e agire da sola"
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: americano boccia la richiesta di
finanziamento per la chiusura di Guantanamo avanzata da Barack Obama e blocca
il trasferimento dei suoi detenuti negli Stati Uniti. Con 90 voti contrari e
sei a favore, i senatori replicano quanto fatto dai deputati una settimana fa
mettendo a segno il primo duro affondo nei confronti del presidente da parte
del Congresso a maggioranza democratica.
"Se Israele attacca
l'Iran finirà in grossi guai"
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Amministrazione Obama? «Al primo
posto c'è l'antiterrorismo. Al Qaeda resta la più grave minaccia alla sicurezza
nostra e di tutti i nostri alleati. I loro leader in Pakistan continuano a
tramare contro di noi. I loro affiliati in Iraq, nel Nord e nell'Est
dell'Africa e nella Penisola Arabica continuano a sviluppare piani per
minacciare il nostro Paese e la nostra sopravvivenza.
"Gli italiani in
Europa lavorano troppo poco"
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama, tanto per capirsi, è invece
solo «un leader del tipo carismatico». Aggiunge pure che «l'empatia è un
elemento importante in democrazia». Quanto alle critiche che in Italia e in
Europa si rivolgono a Berlusconi,«sono dettate dall'ideologia».
Opel, tre offerte Berlino
passa la palla a Obama ( da "Stampa,
La" del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: tre offerte Berlino passa la palla
a Obama Claudio Scajola Al tavolo Fiat, Magna-Gaz e Ripplewood Spunta una
cordata sindacati-concessionari ministro delle Attività produttive
[FIRMA]GIANLUCA PAOLUCCI INVIATO A BERLINO Tre offerte già arrivate sul tavolo
di Dresdner Kw, la banca d'affari che cura la cessione degli asset europei di
Opel.
"Abbiamo più del 50%
di chance per farcela" ( da "Stampa,
La" del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: auto allestita da Barack Obama.
Ammirazione sincera, ma anche senso pratico. Il governo guidato da Angela
Merkel, se tutto andrà come previsto, dovrà immettere nell'operazione Fiat-Opel
importanti risorse economiche: almeno 7 miliardi di euro. Non è un caso,
quindi, che nelle prossime settimane (ne serviranno tre o quattro per mettere a
punto tutti i dettagli)
obama e geithner:
l'economia sta guarendo - arturo zampaglione
( da "Repubblica, La"
del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Economia Obama e Geithner:
l´economia sta guarendo L´ottimismo di Washington spinge i mercati. Fed più
cauta. Riforma per le credit card ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - «Le ferite del
sistema finanziario cominciano a rimarginarsi», assicura il ministro del Tesoro
Tim Geithner, fornendo alla commissione bancaria del Senato un quadro più
rassicurante sulle dinamiche dell´
penale di 400 milioni per
lo stop all'elicottero ( da "Repubblica,
La" del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: elicotteri del 1975 di cui si serve
ancora Barack Obama. Nella travagliata vicenda del Marine 1 (si chiama così
quando è il presidente degli Stati Uniti è a bordo dell´elicottero) si
ritrovano tutte le contraddizioni della politica americana degli armamenti:
dietro alle esigenze della sicurezza, si nascondono anche sprechi e
megalomanie, involuzioni burocratiche e spinte clientelari.
Guantanamo, il Senato
boccia Obama ( da "Stampaweb,
La" del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: i democratici ribadiscono che i
fondi da 80 milioni di dollari chiesti da Obama per la chiusura del centro di
detenzione non arriveranno, in assenza di un piano più preciso. È dunque in
questo clima rovente che Obama si prepara al discorso di domani: discorso che
secondo alcune fonti sarà in quanto a importanza simile a quello proferito il
mese scorso, sull?
Obama: "Guantanamo va
chiusa" ( da "Stampaweb,
La" del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: WASHINGTON Il presidente americano
Barack Obama ha detto oggi che l?amministrazione Bush ha preso dopo l?11/9 una
serie di decisioni precipitose «basate più sulla paura che sulle previsioni»
modellando «troppo spesso i fatti e le prove perchè si adattassero alle convinzioni
ideologiche».
Obama: "Al Qaeda
prepara attacchi" E su Guantanamo ripete: "Va chiusa"
( da "Repubblica.it"
del 21-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: allarme su nuove minacce
terroristiche è stato lanciato dal presidente americano Barack Obama, in un
discorso a Washington dedicato alla sicurezza nazionale e al futuro di
Guantanamo. "Sappiamo che esiste questa minaccia - ha detto -, che sarà
con noi per lungo tempo, e che dobbiamo usare tutte gli elementi in nostro
potere per sconfiggerla".
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti: Obama
C'è la recessione
globale, dobbiamo pianificare il futuro, vogliamo sentire cosa ne pensano i
leader della finanza e della filantropia». Con questa scarna lettera il guru
dei mercati Warren Buffett e il fondatore di Microsoft Bill Gates hanno
convocato in segreto nella President Room della Rockefeller University di New
York un club esclusivo che si riunisce una volta ogni cento anni: a comporlo
sono quel pugno di americani che navigano, letteralmente, nei dollari e possono
dunque condizionare l'andamento dell'economia nella nazione più ricca
dell'intero Pianeta. L'ultima volta che qualcosa del genere è avvenuto risale
al 1907 quando il banchiere John Pierpont Morgan riunì nel proprio studio
privato di Manhattan i maggiori finanzieri degli albori di Wall Street per
discutere come calmare il dilagante panico economico dell'epoca. Visto che i
timori odierni sono assai maggiori e l'intero sistema finanziario americano
rischia il crollo Buffett, Gates e Rockefeller, nelle vesti di blasonato
padrone di casa, hanno pensato di ripetere l'evento esclusivo. La parte più
difficile è stata la logistica: riuscire a far arrivare in segreto nello stesso
posto, alla stessa ora, nel bel mezzo di Manhattan, tutti i super-vip facendo
coincidere calendari che si estendono su cinque continenti e senza farsi vedere
da neanche una telecamera ha messo a dura prova la tempra degli organizzatori.
Ma tutto è filato liscio e martedì 5 maggio, alle 3 del pomeriggio in punto,
seduti attorno al tavolo con vista sull'East River si sono così ritrovati i
contemporanei equivalenti dei membri del club di JP Morgan. I loro nomi
descrivono un ammontare di denaro - e dunque di potere - difficile da
quantificare. I coniugi Bill e Melinda Gates e Warren Buffett sono per la
classifica di «Forbes» i più abbienti del Pianeta - vantando rispettivamente
beni per almeno 57 e 37 miliardi di dollari - la stella tv Oprah Winfrey è
titolare di un impero editoriale da 2,7 miliardi di dollari, il sindaco di New
York Michael Bloomberg siede su un patrimonio di 20 miliardi, il fondatore
della Cnn Ted Turner regalò senza battere ciglio uno dei suoi 2,3 miliardi
all'Onu, George Soros, che di miliardi ne ha 11, è il principale rivale di
Buffett a Wall Street e David Rockefeller è il banchiere discendente della
famiglia che ha contributo a disegnare le fondamenta dell'economia americana.
Altrettanto ricchi ma forse meno noti gli altri invitati alla riunione a porte
chiuse: i finanzieri Eli e Edythe Broad con una fortuna di 5,2 miliardi; John
Morgridge, ex presidente di Cisco, con la moglie Tashia; Peter Peterson,
presidente del Blackstone Group; Julian Robertson, fondatore di Tiger
Management Corporation; Patty Stonesifer, ex presidente della Fondazione Gates.
I singoli invitati hanno preso la parola rispettando al secondo il tempo
fissato di 15 minuti a intervento. Ne è scaturito alla fine un breve dibattito
e poi tutti sono tornati in fretta ai propri numerosi impegni tenendo fede al
patto di non rivelare nulla di quanto avvenuto. Il segreto assoluto ha
resistito fino a quando il sito Irishcentral.com ha pubblicato la testimonianza
anonima di uno dei partecipanti che ha descritto l'intervento di Gates come «il
più efficace», quello di Buffett come «molto incisivo» e Turner «senza peli sulla
lingua» aggiungendo che la disinibita regina dei talk show Oprah Winfrey «ha
invece preferito ascoltare». Ma anche la gola profonda del Web non ha svelato
nulla dei contenuti della misteriosa tavola rotonda, come non ha suggerito
spiegazioni del perché l'unico a mancare all'appello fosse il conservatore
Rupert Murdoch, fondatore della News Corporation. In una nazione dove ogni
ateneo ha le proprie sette segrete e i gruppi di potere fanno a gara nel
riunirsi in associazioni dai nomi esoterici la fuga di notizie ha scatenato i
reporter investigativi e il tam tam di gossip sul Web ha dato vita a teorie
cospirative sul un presunto «patto fra ricchi per salvare i propri soldi dalla
recessione». Per tentare di calmare le acque è sceso in campo Stacy Palmer, direttore
del «Chronicle of Philantropy» assicurando alla tv Abc di sapere che
«l'incontro è avvenuto per stabilire un nuovo approccio alla filantropia
globale» dando vita ad un «evento senza precedenti» avvalorato dal fatto che i
co-invitati sommano dal 1996 donazioni benefiche per oltre 70 miliardi di
dollari. Bob Ottenhof, presidente del gruppo «Guidestar» che tiene sotto
controllo le attività delle maggiori associazioni no-profit, ammette però che
«questo tipo di incontri non avvengono spesso perché è molto difficile per i
maggiori enti filantropici lavorare assieme». Come dire, forse hanno davvero
parlato di come «donare meglio e di più per aiutare l'umanità» a dispetto della
recessione ma non si può escludere che i motivi dell'insolita riunione siano
stati anche altri: dalla volontà di scambiarsi idee e informazioni
sull'evoluzione della imprevedibile crisi finanziaria alla possibilità di
operare assieme per sfruttare i vantaggi del momento fino allo scenario di una
mobilitazione collettiva di sapore patriottico per scongiurare che un'America a
prezzi stracciati possa venire acquistata da imprenditori di Paesi non troppo
amici. Quali che siano stati contenuti del summit segreto
fra i Paperoni di inizio secolo non c'è dubbio che forse qualcosa è già
arrivato alle orecchie del presidente Barack Obama. Visto che Oprah è una sua fan dichiarata, oltre ad essere buona
amica della moglie Michelle.
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti: Obama
Violenze in piazza
Lo scenario Prevista la saldatura tra gruppi anarchici, frange estreme
dell'Università, disoccupati e clandestini Contromisure In vista della riunione
in Abruzzo sarà sospeso il trattato di Schengen sulla libera circolazione
L'intelligence dopo gli scontri di Torino: in 3 mila pronti a infiammare Roma e
L'Aquila Antagonisti, ora torna la paura [FIRMA]FULVIO MILONE ROMA Tutto era
stato previsto, e tutto si è verificato. Già a fine aprile i responsabili
dell'intelligence avevano annunciato il rischio che il G8 dei rettori a Torino
sarebbe stato «incendiato» dalla guerriglia innescata dalle frange estreme del
movimento antagonista. E oggi, dopo l'allarme lanciato l'altro ieri dal
ministro dell'Interno Maroni sui «segnali da non sottovalutare» di un possibile
rigurgito del terrorismo, aggiungono che «gli scontri di Torino, tutto sommato
contenuti, sono da considerarsi una prova generale di quanto potrebbe accadere
al G8 dell'Aquila». Un fatto, insomma, è dato per certo: «Se non si può ancora parlare
di ritorno al terrorismo, è pur vero che i violenti hanno deciso di tornare in
piazza in vista della scadenza di luglio». E' allarme nelle più grandi questure
italiane. Gli investigatori stanno monitorando la galassia dell'antagonismo,
che si sta attivando in modo diverso a seconda della realtà sociale in cui
agisce: dal Sud giungono i segnali di un'avvenuta saldatura fra i gruppi
anarchici, le frange più estreme del movimento studentesco e alcune sigle della
protesta dei disoccupati. Al Centro e al Nord, i senza-lavoro sono sostituiti
dall'immigrati clandestini. E' in questo magma incandescente che gli uomini
dell'intelligence stanno scrutando, e quello che hanno visto finora non
promette nulla di buono. Sono consapevoli che la guerriglia di Torino non sia
l'unica prova generale in vista del summit internazionale all'Aquila. L'altra
sarebbe stata programmata per il 29 e 30 maggio, a Roma, in occasione del G8
dei ministri dell'Interno e della Giustizia. Uno degli argomenti al centro del
vertice sarà l'immigrazione, tema su cui il Governo italiano si mostra fra i
più intransigenti. La «Rete no G8» è mobilitata contro il meeting presieduto
«dal ministro razzista Roberto Maroni». E avverte: «E' arrivato il momento di
far convergere le nostre lotte, le lotte dei migranti, degli studenti, dei
lavoratori che si ribellano a un mondo fatto di sbarramenti e frontiere, di
muri e razzismo feroce». «A Roma saranno molti di più che a Torino», dicono gli
investigatori convocati per lunedì prossimo dal ministro dell'Interno, che
presiederà un comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica proprio
per mettere a punto i dispositivi di sicurezza in vista del summit romano. E
aggiungono: «In Piemonte gli scontri sono stati contenuti grazie al fatto che i
provocatori non erano più di 300 ed erano isolati; nella Capitale, secondo le
nostre informazioni, gli elementi più violenti potrebbero essere due o
tremila». Gruppi che «discendono» dalla vecchia autonomia, anarchici,
disobbedienti, no-global, rappresentanti dei Carc e del sindacalismo di base
più duro sono attesi da Livorno, Bologna, Milano, Padova e Napoli, ma anche
dalla Francia, dalla Spagna e dalla Grecia: una miscela esplosiva, insomma, che
gli investigatori devono maneggiare con la massima attenzione per evitare una
nuova edizione degli abusi commessi al G8 di Genova, ma se è il caso
disinnescare con determinazione. Tutto questo, in attesa del G8 di luglio, che
vedrà impegnati circa 15 mila uomini nelle forze dell'ordine. L'allerta è
massima soprattutto per l'appuntamento che i Grandi della Terra si sono dati
all'Aquila. Il fatto che il vertice si tenga nel «fortino» della scuola della
Guardia di Finanza, fra le rovine della città devastata dal terremoto, non
rende affatto tranquilli gli uomini dell'Intelligence italiana. Le
preoccupazioni derivano soprattutto dagli alloggi che verranno riservati ai
capi di Stato e alle delegazioni. E' improbabile che soggiornino tutti nella
Scuola della Finanza, per giunta dovranno spostarsi per raggiungere il luogo
del summit e ciò creerà un bel po' di problemi. Un esempio: la semplice voce,
peraltro non ancora smentita, secondo cui il presidente Obama avesse scelto la base Usa di
Napoli per la sua permanenza in Italia è bastata ai gruppi antagonisti per
preparare una serie di manifestazioni nel capoluogo campano. Un fatto è certo:
l'Aquila e Roma, dove probabilmente alloggeranno molti Capi di Stato, sarà meta
dei gruppi antagonisti di mezzo mondo, e sarebbe da ingenui prefigurare
solo manifestazioni civili e pacifiche. Non a caso il ministro Maroni ha
annunciato già a fine aprile la sospensione del trattato di Schengen sulla
libera circolazione dei cittadini dei paesi comunitari. Alle frontiere, i
controlli saranno molto severi.
( da "Corriere della Sera"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Prima Pagina data: 21/05/2009 - pag: 1 LA TRAPPOLA DI TEHERAN di
FRANCO VENTURINI N ella cronaca diplomatica i colpi di scena non sono una
rarità, ma quello toccato ieri al nostro ministro degli Esteri ha pochi
precedenti. Franco Frattini aveva già preparato la valigia e si accingeva a
partire per Teheran quando il protocollo iraniano, con un'ora o poco più di
anticipo, ha trasmesso alla Farnesina una nuova «condizionante» richiesta:
doveva essere previsto un incontro con il presidente Ahmadinejad a Semnan.
Nella stessa località, cioè, dove l'Iran aveva appena lanciato con successo un
missile terra-terra di nuova generazione, capace di colpire Israele, le basi
Usa in Medio Oriente e l'Europa sudorientale. Fiutata la trappola che lo
avrebbe in qualche modo associato al minaccioso esperimento balistico, Frattini
ha giustamente deciso di non partire. E sulla pista sono rimaste soltanto due
inevitabili considerazioni. La prima riguarda proprio il ministro Frattini, che
nel prevedere il viaggio ha peccato d'imprudenza. Non perché la sua politica di
coinvolgere l'Iran nella stabilizzazione dell'Afghanistan e del Pakistan sia
errata. Non perché l'Italia abbia preso una iniziativa isolata (Hillary Clinton
era d'accordo, gli europei sapevano che Frattini si sarebbe mosso entro la fine
di maggio). Ma piuttosto perché fra tre settimane in Iran si elegge il nuovo
presidente. Perché a Teheran è in corso una campagna elettorale opaca e senza
esclusione di colpi. Perché era prevedibile che in questo clima Ahmadinejad,
favorito ma non sicuro di vincere, avrebbe tentato di usare a suo profitto la
prima visita di un ministro degli Esteri occidentale negli ultimi quattro anni
(cosa diversa è stata la missione del rappresentante Ue Solana nel 2008). Ahmadinejad
ed è questa la seconda considerazione ha infatti puntualmente confermato il suo
profilo politico: quello di un provocatore a tempo pieno che tenta di
bilanciare il disastro dell'economia iraniana distribuendo a piene mani l'oppio
dell'ipernazionalismo e dell'odio verso Israele. La corsa al nucleare (che a
dispetto degli scettici egli afferma essere pacifica) e lo sviluppo dei missili
balistici (che pacifici non possono essere) rappresentano le «cambiali»
elettorali di Ahmadinejad, le uniche di cui egli davvero disponga. Non
meraviglia allora il tentativo di Frattini, né può stupire la ben scarsa
considerazione in cui il presidente iraniano mostra di tenere l'Europa e
l'Italia, che pure è il primo partner commerciale di Teheran. Convinto che sia
l'Occidente ad avere bisogno di lui e non viceversa, Ahmadinejad riconosce
soltanto agli Usa la dignità di interlocutore. Ma poi non esprime, nemmeno in
quella direzione, una politica che autorizzi le speranze messe in campo da
Washington e che Frattini voleva corroborare. L'incidente diplomatico di ieri,
così, serve a ricordarci che l'Iran resta un problema pericolosamente aperto.
La Casa Bianca dovrà aspettare il dopo-elezioni per capirci qualcosa. Obama ha rifiutato di fissare un limite
alla sua pazienza come gli chiedeva Netanyahu, ma ha avvertito che in mancanza
di progressi entro il
( da "Corriere della Sera"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Esteri data: 21/05/2009 - pag: 18 Diplomazia Teheran voleva un
incontro con Ahmadinejad nel sito del lancio Iran, nuovo test missilistico
Salta il viaggio di Frattini La visita non aveva ricevuto l'ok degli altri
ministri europei ROMA Quasi come se fosse un cronista, il presidente iraniano
Mahmoud Ahmadinejad ha dato ieri all'agenzia di stampa ufficiale Irna una
notizia su un esperimento delle sue forze armate: «E' stato lanciato il missile
Sejil2, a tecnologia avanzata, ed è caduto esattamente sul bersaglio ». La
notizia era vera. Più tardi il segretario americano alla Difesa Robert Gates ha
confermato che il test della nuova arma (gittata duemila chilometri, capace di
raggiungere Europa sudorientale, basi statunitensi nel Golfo e Israele) «sembra
aver avuto successo ». Ma come farebbe un giornalista di regime Ahmadinejad non
ha raccontato tutta la verità: benché sperimentale, il tiro di quel missile ha
anche opposto un ulteriore intralcio al proposito coltivato
da Barack Obama di
dialogare con Teheran. «Un passo nella direzione sbagliata», è stato definito
da un anonimo funzionario americano. In più, il test ha reso impossibile che in
giornata Franco Frattini potesse essere il primo ministro degli Esteri
dell'Unione europea a tornare in Iran da quando, nel 2005, Ahmadinejad diventò
presidente. L'imprevisto, l'ennesimo, sulla via del titolare della Farnesina
verso Teheran c'è stato. Benché avesse messo nel conto di dover accondiscendere
Times» alle insistenze iraniane per un «incontro protocollare », ossia rapido e
senza ordine del giorno, con Ahmadinejad, prima di andare a Ciampino e salire
in aereo il ministro ha saputo che l'appuntamento gli veniva dato a Semnan. Per
la Storia, la provincia dell'ex pasdaran che ha rilanciato i piani nucleari e
minaccia Israele. Per la cronaca, proprio il posto in cui Ahmadinejad aveva
assistito al lancio del Sejil2, avvertendo, non più da cronista, che la
Repubblica islamica lo userebbe per «mandare all'inferno chi la attaccasse».
Rispetto al viaggio a Teheran, dove aveva appuntamento con il collega Manucher
Mottaki per confermargli l'invito a una conferenza del 25 giugno a Trieste
sull'Afghanistan, Frattini avrebbe dovuto aggiungere al percorso una tappa non
lontana. Duecento chilometri in più. Ma la correzione di rotta sul programma di
questa visita rinviata più volte da marzo avrebbe significato, con gli echi del
lancio del missile nell'aria, un inchino ad Ahmadinejad durante il suo ultimo
giro da capo di Stato nella propria terra alla vigilia dell'avvio della
campagna elettorale nella quale punta alla rielezione. La Farnesina allora ha
annunciato che la visita in Iran «non avrà luogo» a causa della «richiesta
condizionante» di «prevedere l'incontro protocollare con il presidente iraniano
in una località diversa dalla capitale, a Semnan». Al ministero era stato letto
con fastidio un servizio del Financial Times che riferiva dello «sbigottimento»
di diplomatici occidentali per una missione in grado di «rompere le righe
dell'Ue». Più tardi, la portavoce del rappresentante dell'Unione per la
Politica estera ha fatto sapere che Frattini non ne aveva informato i colleghi europei.
La Farnesina sostiene che alcuni erano stati avvisati, che poi era un viaggio
per la presidenza italiana del G8, non l'Ue. In ogni caso, una giornata storta.
Maurizio Caprara
( da "Corriere della Sera"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Esteri data: 21/05/2009 - pag: 19 Il progetto Sì a Gerusalemme Est
capitale, no al «diritto al ritorno» «Una Palestina smilitarizzata» Il piano di
pace di Obama E Netanyahu apre alla Siria: «Pronti al
dialogo» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Sarebbe uno Stato palestinese
smilitarizzato, con Gerusalemme Est come sua capitale, l'idea forte dell'atteso
discorso al mondo arabo e islamico, che Barack Obama
terrà al Cairo il 4 giugno. Ma il presidente degli Stati Uniti non avrebbe
intenzione di presentare un piano nuovo di zecca e dettagliato per il Medio
Oriente, tenendo come riferimento di base la proposta saudita del 2002 e
concentrandosi piuttosto su un'apertura politica generale ai Paesi musulmani.
Lo rivelano, citando fonti dell'Amministrazione americana, i media israeliani,
secondo i quali la linea di condotta della Casa Bianca sarebbe stata concordata
da Obama insieme al re di Giordania Abdallah nei
colloqui di fine aprile a Washington. Giusta la strategia, il nuovo Stato
palestinese dovrebbe vedere la luce entro quattro anni e non avrebbe diritto al
suo esercito, né a firmare accordi militari con altri Paesi. Sarebbe questa la
«polizza della sicurezza » per Israele, con cui la nuova nazione dovrebbe
risolvere le questioni dei confini attraverso scambi di territorio. La bandiera
palestinese verrebbe issata a Gerusalemme Est, ma la Città Vecchia diventerebbe
zona internazionale sotto l'egida dell'Onu. In cambio, i palestinesi dovrebbero
rinunciare al «diritto al ritorno» dei profughi, per i quali Usa e Unione
europea provvederebbero però a forme di compensazione. Tornando da Washington,
il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha comunque
detto di aver manifestato a Obama la sua disponibilità «a lanciare immediatamente negoziati di
pace sia con i palestinesi che con Damasco, a condizione che diano risposte
concrete al bisogno di sicurezza d'Israele». Ma sulla strada che porta in
Egitto, Obama si aspetta
altri gesti d'apertura da parte di Tel Aviv. Il presidente lo avrebbe
detto chiaramente Netanyahu: già domenica prossima, quando il governo
israeliano si riunirà per discutere la situazione di Gaza, l'Amministrazione
vorrebbe che fossero alleggerite le restrizioni all'entrata e all'uscita delle
merci dalla Striscia. Washington chiede anche che siano facilitati i movimenti
delle persone in Cisgiordania. Sono richieste minime, ma importanti per dare a Obama maggior forza nel suo tentativo di convincere i Paesi
arabi ad avviare tutti insieme una normalizzazione nei rapporti con Israele,
anche prima di un accordo di pace con i palestinesi. Obama
la prossima settimana riceverà alla Casa Bianca il presidente palestinese Abu
Mazen, ma dovrà invece aspettare il viaggio al Cairo per incontrare il leader
egiziano Mubarak, che ieri ha dovuto cancellare la prevista visita a Washington
per un improvviso lutto familiare. Paolo Valentino Presidente Barack Obama
( da "Corriere della Sera"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Esteri data: 21/05/2009 - pag: 23 California A due anni dalla fine del
mandato, la sua carriera è compromessa Il declino di Schwarzenegger sconfitto
dal popolo no-tax Bocciate le proposte per colmare il deficit dello Stato SEGUE
DALLA PRIMA «Vedremo continua la O'Connor cose brutali, gli elettori che hanno
bocciato le misure per contenere il deficit si accorgeranno che il cielo sta
cadendo davvero». Col voto di martedì i cittadini della West Coast hanno
respinto ad ampia maggioranza gli interventi fiscali (un'addizionale dell'1%
sull'imposta di consumo, un aumento della tassa di circolazione e un incremento
dello 0,25% dell'Irpef californiana) coi quali il governatore e il Parlamento
dello Stato avevano deciso di colmare un deficit di bilancio di ben 21 miliardi
di dollari. L'unica «proposition» approvata è quella che vieta ogni aumento
retributivo per parlamentari e pubblici ammini-- stratori quando il bilancio è
in passivo (ieri sono stati ridotti del 18% gli stipendi dei funzionari dello
Stato con cariche elettive). I commentatori preparano il necrologio politico di
Schwarzenegger le cui riforme erano già state bocciate quattro anni fa dai
californiani. Allora «Terminator» aveva recuperato «aprendo» ai democratici e
nel 2006 era stato rieletto. Ora, a meno di due anni dal termine del mandato,
la sua carriera politica sembra compromessa. Gioiscono gli ultraconservatori
antistatalisti del Tea Party, che si richiamano alla «rivolta del tè» (Boston
1773) con la quale i coloni americani si ribellarono all'invadenza fiscale del
governo britannico: la prima scintilla che portò, tre anni dopo,
all'indipendenza degli Stati Uniti. I conservatori antitasse (Tea sta anche per
«Taxed Enough Already», già tassati abbastanza) sperano che
il voto di martedì alimenti una rivolta nazionale contro l'interventismo di Obama in economia. Un «remake», insomma,
della «Proposition 13»: il voto contro i nuovi tributi che trent'anni fa aprì a
Ronald Reagan la strada per la Casa Bianca. L'alba di una lunga stagione di
«deregulation » e di retorica dello Stato «minimo». Costretto da mesi
alla semioscurità, anche una parte del partito repubblicano a partire dal nuovo
presidente Michael Steele ha cercato di cavalcare il nuovo movimento. Una vera
acrobazia politica, visto che il voto dell'altra notte è interpretabile come
una manifestazione di malessere nei confronti dell'intera classe politica e
visto che in California i repubblicani sono, ancor più dei demo-- cratici, nel
mirino della protesta. Il partito conservatore, infatti, aveva appoggiato e
finanziato il comitato referendario di Schwarzenegger (pur sempre un
repubblicano), favorevole a tutti gli interventi fiscali sottoposti al giudizio
degli elettori. Ma aveva poi capovolto la sua posizione dal sì al no su tutti i
referendum quando i suoi dirigenti avevano cominciato ad essere maltrattati nei
«talk show» televisivi, sempre più dominati da «anchor men» populisti. E' stata
una brutta stagione per la California, segnata da una crisi economica,
bancaria, immobiliare e occupazionale più grave di quella che affligge il resto
del Paese. Ora siamo alla resa dei conti: alle prese con un deficit colossale
da colmare entro luglio, Assente Nel giorno del referendum, Schwarzenegger non
era in California. Era ospite di Obama a Washington
(Afp) il governo dello Stato sarà costretto a tagliare spese essenziali, a
licenziare migliaia di dipendenti pubblici (soprattutto insegnanti) e a
rimettere in strada molti criminali. Già ieri prima ancora che Schwarzenegger
rientrasse da Washington dove era andato a celebrare la nuova politica di Obama per le auto a basso consumo in California è iniziata
la protesta delle categorie a rischio licenziamento. Difficile che si ripeta un
fenomeno come Proposition 13: trent'anni fa non c'era recessione e la
ribellione aveva un obiettivo chiaro: il forte aumento dei tributi sulla casa.
Stavolta tutto è molto più confuso: gli interventi fiscali sono numerosi, ma
hanno tutti un'entità limitata. C'è malumore per come il deficit è stato
colmato, ma i fautori dello «Stato minimo», ora che il Paese è in recessione,
non sembrano in grado di prendere il sopravvento. Laboratorio, suo malgrado, di
una politica generalizzata di tagli da contrapporre al classico «tassa e
spendi», la California rischia davvero di finire in un vicolo cieco. Stando ai
sondaggi, la gente vorrebbe salvare scuola, sanità, pensioni, servizi pubblici
e assistenza, tagliando solo le spese per le carceri e per i parchi. Ma la
Corte federale ha già imposto allo Stato di spendere di più anche per i
penitenziari, che sono superaffollati e in condizioni di abbandono. Se non
riceverà aiuti straordinari da Obama, Schwarzenegger
sarà costretto a colpire il pubblico impiego, a chiudere molte scuole, a
liberare 19 mila detenuti. Per questo gli analisti parlano di estate bollente
per la California. Massimo Gaggi
( da "Corriere della Sera"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Politica data: 21/05/2009 - pag: 17 Dietro le quinte Il presidente
della Commissione europea elogia Berlusconi: tra lui e la gente c'è un'empatia
mai vista Barroso e gli italiani alla Ue: dovrebbero contare di più, ma quante
assenze ROMA Se potesse scegliere di cambiare ruolo e persona-- lità, il
presidente della commissione Europea José Manuel Barroso vorrebbe essere Silvio
Berlusconi. Lui, che divide i leader tra «intellettuali» e «empatici» e si
considera appartenente alla prima categoria, è impressionato tutte le volte che
vede Berlusconi tra la gente: «C'è un'empatia che non ha nessun altro leader».
E' reduce, Barroso, da una giornata a L'Aquila insieme al premier, suo grande
elettore alla commissione e suo compagno di partito nel Ppe. Racconta di essere
colpito e stupito dal fatto che Berlusconi sia andato ben 11 volte sul luogo
del terremoto, che sia lì ad occuparsi personalmente dei mobili e
dell'arredamento per il G8. L'occasione per le confessioni del presidente della
Commissione è una cena da Fortunato al Pantheon: menu classico di bufala,
prosciutto e spigola, bagnato da qualche bicchiere di Fiano e di Taurasi che
scioglie l'atmosfera. Si comincia parlando degli immigrati e di Berlusconi che
chiederà alla presidenza ceca dell'Unione di proporre al vertice di giugno
l'apertura di un bureau europeo nei Paesi di origine dei viaggi dei clandestini
per poter verificare lì - in Libia, in Marocco e in Mauritania - chi ha diritto
di asilo. Si parla di Russia, di energia e di gas, della
svolta di Obama sul clima
(«L'America segue l'Europa», si complimenta Barroso) e di Turchia: «Il no di
Francia e Germania? Anche gli azeri protestano per le telenovelas turche, in
cui le donne appaiono con il velo. Il problema dell'islamizzazione non riguarda
solo l'Europa...») Si finisce a commentare le prossime europee: «Gli italiani?
Non hanno l'influenza che meriterebbero a Bruxelles», spiega Barroso, al
corrente ovviamente che «molti di loro non ci sono mai» e per questo non
riescono ad avere peso nel Parlamento Europeo. Riusciranno a far eleggere uno
di loro, Mario Mauro, alla presidenza? Barroso riferisce le voci europee:
l'esito della sfida tra il candidato berlusconiano e il suo rivale polacco
Jerzy Buzek è dubbio: al momento sembra in vantaggio quest'ultimo. Viene da uno
dei nuovi membri dell'Unione e questo è un pregio, è un ex premier, elemento
che potrebbe servire a dare più prestigio all'Europarlamento e poi ha diverse
delegazioni del Ppe che lo preferiscono. Ma Berlusconi, se riuscirà a far
diventare il Pdl la delegazione più grande dell'intero Parlamento potrà dire la
sua. A meno che non provi a trattare per un altro incarico di vertice. Del suo,
cioè di essere riconfermato, Barroso non dubita: «Sono orgoglioso dell'incarico
che ricopro e mi riconoscono il lavoro fatto, ho l'appoggio di tutti ». Resta
incerta la procedura e cioè se sarà riconfermato subito dopo le elezioni del
Parlamento o se dovrà aspettare l'autunno a causa del nuovo referendum
irlandese che dovrebbe ratificare il trattato di Lisbona. La chiacchierata e la
cena sono terminate: restano pochi minuti per la politica italiana. Il
presidente Ue non vuole dare giudizi. Sdogana l'impegno del suo vice Tajani per
le elezioni: «C'è un codice di comportamento per i commissari, ma siamo uomini
politici e abbiamo le nostre idee». Le sue curiosità non sono poche. Intanto
vuole sapere come si chiama il leader del Pd, si informa sulla provenienza di
Franceschini e si chiede in che gruppo siederà. Lui si ricorda di Veltroni:
«Aveva un ufficio di sindaco con una vista superba». Si informa sul pronostico
del voto, la conversazione passa al conflitto di interessi. «C'è ancora
polemica sulle tv in mano al premier?», chiede. Poi, quasi tra sè:
«Un'opposizione che dà la colpa ai media della propria sconfitta non vincerà
mai». Gianna Fregonara All'Aquila José Manuel Durão Barroso \\ Walter Veltroni?
Ricordo che aveva un ufficio di sindaco con una vista superba \\ Se
l'opposizione italiana continua a dare la colpa ai media non vincerà mai
( da "Repubblica, La"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 12 - Esteri
La Camera alta nega i fondi per la chiusura. E blocca il trasferimento negli
Usa dei sospetti terroristi Guantanamo, il Senato sgambetta
Obama Primi ostacoli al
progetto di smobilitazione. Ma oggi la Casa Bianca rilancerà il piano NEW YORK
- Fu una delle prime decisioni di Obama: il 22 gennaio, all´indomani dell´insediamento alla Casa Bianca
e applaudito dall´opinione pubblica mondiale, ordinò la chiusura entro un anno
del carcere di Guantanamo, considerato un simbolo delle prevaricazioni
dell´era Bush. Ma ieri con un voto a stragrande maggioranza (90 sì, appena 6
contrari) il Senato ha negato gli 80 milioni di dollari chiesti per le spese
della chiusura, di fatto bloccandola, ha vietato il trasferimento dei detenuti
sul territorio degli Stati Uniti e ha inflitto una sconfitta a Obama. Perché questa insurrezione dei parlamentari? Perché
anche la maggioranza democratica ha voluto contrastare a sorpresa le posizioni
del presidente? La ragione ufficiale è che la Casa Bianca non ha ancora
presentato un piano preciso sul futuro dei 240 prigionieri di Guantanamo,
arrestati durante le offensive militari del Pentagono in quanto «nemici
combattenti». Oggi stesso, in un discorso sui temi della sicurezza nazionale
(in contemporanea con uno sugli stessi temi di Dick Cheney), Obama
affronterà la questione, che resta comunque molto complessa perché l´ipotesi
fatta finora - e che spiega l´opposizione dei senatori - è il trasferimento di
una buona parte dei detenuti nelle carceri americane. «Non vogliamo che questa
gentaglia cammini nelle nostre strade», ha protestato in aula John Thune, un
senatore repubblicano del South Dakota. «Se venissero qui rischierebbero di fomentare
movimenti terroristici, aprendo canali di finanziamento e portando altri su
posizioni più radicali», ha detto il direttore del Fbi Robert Mueller. La
maggioranza dei democratici continua a sostenere la chiusura di Guantanamo, ma
non c´è dubbio - lo ha ammesso ieri anche il portavoce della Casa Bianca Robert
Gibbs - che sia un progetto più difficile del previsto. 80 detenuti su 240, tra
cui Khalid Sheik Mohammed, il cervello degli attacchi dell´11 settembre,
dovranno essere processati e Obama - irritando i
settori più liberal - si è convinto di seguire la vecchia strada di Bush
affidandoli ai tribunali speciali militari, pur rafforzando le loro garanzie.
Dove sconteranno la pena questi
( da "Repubblica, La"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 12 - Esteri
L´ultima provocazione di Teheran Testato un missile. Casa Bianca preoccupata. E
Frattini annulla la visita "Ahmadinejad voleva incontrare il ministro
nella città da cui aveva lanciato il razzo" VINCENZO NIGRO Mahmoud
Ahmadinejad lancia la sua campagna elettorale: annuncia l´ennesimo test di un
nuovo razzo iraniano capace di colpire a
( da "Repubblica, La"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 13 - Esteri
Quella folle corsa al nucleare che spegne le speranze del mondo L´annuncio di
Ahmadinejad può spingere altri paesi a cercare l´atomica Il Sejjil-2 potrebbe
arrivare su Israele, sulle basi americane nel Golfo ed anche sul Sud Est Europa
Il presidente è apparso in tv e le sue parole hanno riempito d´orgoglio il
popolo (SEGUE DALLA PRIMA P
( da "Repubblica, La"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 10 - Economia
Tre offerte per Opel, scatta il conto alla rovescia La proposta di Fiat al
governo tedesco anche per Vauxhall. In corsa Magna e Ripplewood Nella prima
fase esclusi dall´operazione gli stabilimenti di Gm Sudamerica Ai vertici di
Chrysler arriva Robert Kidder al posto di Nardelli PAOLO GRISERI TORINO -
Giallo sulle offerte per la Opel. Misteriosamente il governo ha prorogato fino
alla mezzanotte di ieri il termine per proporre l´acquisto del ramo europeo
della General Motors. Entro le 18, la scadenza prevista in origine, erano
arrivate le tre buste previste. Oltre quella del Lingotto, l´offerta del gruppo
austro-canadese Magna (appoggiato dai russi di Gaz) e quella del fondo di
private equity Ripplewood. La proroga potrebbe essere stata motivata
dall´attesa per un quarto offerente o dalla necessità di uno dei tre noti di
completare la documentazione richiesta. Ma non è escluso che il ritardo sia
dovuto alle discussioni che starebbero impegnando in queste ore il governo con
i lander e ai sindacati. Nei giorni scorsi lo stesso esecutivo Merkel aveva
fatto sapere che l´offerta Magna andava integrata con maggiori particolari. In
realtà gli austro-canadesi sinora si sono limitati a descrivere la loro come
«una offerta che avrebbe i finanziamenti di banche russe e il supporto di
costruttori di Mosca come la Gaz». L´aspetto appetibile della proposta sarebbe
la possibilità di accedere ai mercati dell´Est europeo. Ancora meno definita è
la proposta di Ripplewood, che potrebbe essere un ballon d´essai. Più che un
piano, quella di Marchionne è una proposta generale. L´ad di Torino, come del
resto i suoi concorrenti, si spingerebbe solo in seguito a illustrare il
dettaglio degli interventi previsti nel piano di ristrutturazione. Per adesso
la Fiat fa sapere che si tratta di una proposta in cui Torino non mette denaro
ma tecnologie (asset), sulla falsariga di quanto è accaduto per l´operazione
Chrysler, dove Bob Nardelli è stato sostituito al vertice da Robert Kidder.
L´annuncio ufficiale della presentazione dell´offerta è arrivato da Torino alle
17,45: nel comunicato si chiarisce che «la proposta riguarda le attività di
Opel e di Vauxhall in Europa». Dunque, in questa prima fase, sarebbe esclusa la
partita di Gm Sudamerica, per la quale Marchionne tornerà in Usa nei prossimi
giorni. Advisor dell´operazione Fiat-Opel sarà Unicredit, la banca italiana più
presente in Germania e Austria. Per quanto riguarda invece l´accordo con
Chrysler a fare da advisor saranno gli svizzeri di Ubs. Ai futuri partner la
Opel dovrebbe offrire in dotazione una cospicua somma di denaro pubblico per
far fronte ai debiti. Il governo tedesco ha fatto sapere che alcune banche
sarebbero disposte a sostenere un prestito-ponte per garantire la continuità
produttiva. Ieri da Berlino si faceva sapere che questa cifra potrebbe essere
di 1,5 miliardi di euro. Una parte dovrebbe però essere garantita dai quattro
lander dove si trovano gli stabilimenti della casa tedesca. In ogni caso, ha
avvertito il ministro del lavoro Olaf Scholz, «i tempi sono stretti». Ciò vuol
dire che la soluzione del giallo Opel potrebbe coincidere
con la scelta sul futuro di Gm che Obama intende effettuare entro e non oltre il 31 maggio. I sindacati
tedeschi rilanciano intanto la proposta di rilevare la maggioranza della Opel
isnieme alla rete dei concessionari: «In questo modo - dice il responsabile dei
consigli di fabbrica, Klaus Franz - riusciremmo a garantire che la maggioranza
della società rimanga alla Gm».
( da "Repubblica, La"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 10 - Economia
I fratelli e il manager Dieci giorni per cambiare il mondo Marchionne spiega la
rotta agli Agnelli L´ad all´assemblea dell´accomandita che conterà meno nella
super-Fiat Le attività auto saranno sganciate dal resto del gruppo: non era mai
accaduto Montezemolo: "Siamo impegnati a trasformare la crisi in una grande
opportunità" SALVATORE TROPEA TORINO - Più che della Fiat del passato, per
dire quella del bilancio 2008 ammaccato dalla grande crisi, Sergio Marchionne
descrive la Fiat che verrà. Una Fiat protagonista nella costruzione di un
colosso mondiale da oltre sei milioni di vetture: naturalmente assieme alla
Chrysler che c´è già e alla Opel-Gm che potrebbe aggiungersi nei prossimi
giorni. Insomma uno scenario mai neppure immaginato nei centodieci anni di
storia del Lingotto, da Giovanni Agnelli il fondatore ai giovani della quinta
generazione. Di fronte a Marchionne, nell´elegante foresteria del centro di
collaudo Fiat di Balocco appartato tra le risaie vercellesi, siedono i
rappresentanti dell´Accomandita, riunita per l´assemblea annuale, questa volta
un po´ diversa dalle altre. Un velo di tristezza per la recente scomparsa di
Susanna Agnelli e riflettori puntati su Berlino dove Fiat sta consegnando al
governo tedesco l´offerta per l´acquisto della Opel. L´eccezionalità
dell´appuntamento ha richiamato la famiglia al gran completo: sono presenti
Maria Sole e Cristina Agnelli, Ruy Brandolini, Pio e Eduardo Teodorani Fabbri,
Lupo e Cristiano Rattazzi, Lapo Elkann, Andrea e Anna figli di Umberto,
Alessandro Nasi, Oddone e Laura Camerana, Annibale Avogadro di Collobiano. E
naturalmente i vertici dell´accomandita, Gian Luigi Gabetti e John Elkann.
Inizio dell´assemblea alle 10 di ieri e conclusione attorno alle 17 con
l´intervallo del lunch. Parlano tutti i responsabili del diversi settori del
gruppo. Ma l´attesa è per l´intervento di Sergio Marchionne reduce dall´ultima
maratona in Germania, dove intanto sta maturando la più ardita operazione mai
tentata da Fiat. E´ lui a spiegare che cosa si è fatto negli ultimi due mesi e,
soprattutto, che cosa resta da fare nei prossimi dieci giorni che promettono di
cambiare il corso della storia del Lingotto e della famiglia Agnelli. Lo
precede Luca Cordero di Montezemolo che sottolinea brevemente come la Fiat sia
impegnata a «trasformare la crisi in una grande opportunità». Ma è Marchionne a
soffermarsi sulla filosofia di tutta l´operazione che sta prendendo corpo sulle
due sponde dell´Atlantico, tra Torino, Berlino e Detroit. E´ una nuova Fiat
quella che disegna l´ad del Lingotto, ripercorrendo le tappe che hanno portato
alla conquista della Chrysler e le mosse che hanno preceduto l´offerta per
Opel. Non scende nei particolari ma l´impressione è che il Lingotto abbia buone
probabilità di battere Magna e Ripplewood, avversari nell´arena di Berlino. Ma
anche così non è finita. Ci sono ancora non pochi ostacoli da superare e resta
da affrontare la partita italiana. La risposta del governo di Berlino è il
primo step: è attesa entro l´inizio della prossima settimana. Essa dipende
anche dall´esito della missione del ministro dell´Economia zu Guttenberg in
America dove dovrà convincere i vertici della Gm e la task force di Obama ad accordare alla Opel un tempo
supplementare, ovvero l´affidamento a un fiduciario che gestisca l´azienda per
un periodo limitato con i finanziamenti che saranno messi a disposizione da un
pool di banche: un ponte di un paio di mesi che consenta di non bloccare
l´attività e definire il suo ingresso nella nuova società Contemporaneamente
Marchionne riprenderà a tessere la tela in America, dove ci sono già i
suoi collaboratori e dove la casa madre Gm dovrà dire la parola definitiva
sulla controllata tedesca. Intanto è possibile che sempre in America si
concluda in tempi record la fase processuale del Chapter 11 per la Chrysler.
Ciò vuol dire che Fiat potrà parlare già come parte preponderante di un gruppo
di 4 milioni di auto: un fattore che aiuta i torinesi al tavolo tedesco e anche
a quello di Detroit per la definizione di tutta la partita di Gm Latino America
e della controllata svedese Saab. Il tutto in dieci giorni durante i quali
Marchionne si muoverà anche in casa per capire, al di là delle dichiarazioni di
maniera, quali sono le reali intenzioni del governo italiano. Nella
«rivoluzione» spiegata ieri alla famiglia Agnelli gli insediamenti italiani
della Fiat non sono infatti una variabile indipendente. Come non lo sarà il
capitolo sui nuovi assetti societari dopo l´annunciato spin-off che sgancerà
per la prima volta le attività auto dal resto della Fiat per traghettarle in un
colosso che non sarà più controllato dalla famiglia Agnelli.
( da "Repubblica, La"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina V - Torino Le
nomine La presidente ha convocato una riunione con i colleghi delle aree con
stabilimenti Fiat Bresso: dalle Regioni 600 milioni per costruire qui l´auto
del futuro Confindustria Via Fanti conta di più Dobbiamo seguire gli esempi che
arrivano da Francia, Germania e Stati Uniti. Anche il governo deve fare la sua
parte, raddoppiando la cifra. Solo così possiamo salvare le nostre fabbriche
MARCO TRABUCCO Bresso lei ha scritto agli altri presidenti della Regioni che
ospitano stabilimenti automobilistici per convocarli a un incontro. Cosa
intende proporre? «In realtà l´appuntamento del 10 giugno non nasce dal nulla.
I nostri assessori si stanno parlando già da qualche settimana, per la
precisione dal 30 aprile, quando noi governatori c´eravamo visti a Roma con i
sindacati e qualche idea l´abbiamo già». Quali sono queste idee? «Ciò che sta
accadendo negli Stati Uniti, in Francia e in Germania, con il sostegno dei
governi all´industria automobilistica locale, con l´accordo Fiat-Chrysler, con
il dibattito che sta accompagnando l´offerta di acquisto di Opel, ha rafforzato
la nostra convinzione che il sostegno al settore automotive sia decisivo per il
futuro economico ed industriale del nostro Paese. Perché coinvolge un numero
molto elevato di imprese, oltre 2700, con un fatturato pari all´11,4 per cento
del Pil. Perché è il primo contribuente fiscale del paese come settore
industriale (81,6 miliardi di euro l´anno) è tra quelli ad alta tecnologia e
alto valore aggiunto, dà lavoro a circa 275.000 persone direttamente, e a circa
1 milione in maniera indiretta. In più contribuisce all´export per l´ 8,6 per
cento del totale ed è il primo settore industriale in termini di investimenti
privati». Quindi? «Quindi bisogna conservarlo e anzi favorirne l´ulteriore
sviluppo». Come, visto che in questo momento la competizione internazionale si
sta facendo durissima? E che addirittura si rischia di scatenare una guerra tra
le regioni per salvare questo o quello stabilimento Fiat. «Qualche mese fa io
avevo chiesto al governo non solo di varare gli incentivi ma anche di investire
in ricerca in questo settore, perché il futuro è dell´auto pulita. In un
mercato che è fermo perché, almeno qui in Occidente, giusto si rinnova ogni
tanto il parco auto, chi arriva primo a questo risultato vince». Il governo gli
incentivi non li ha varati? «Lo ha fatto, anche se con qualche mal di pancia,
come se fosse vera l´equazione che far del male alla Fiat sia far male solo a
Torino e al Piemonte che sono zone di pericolosi governi rossi, comunisti. E
non fosse invece far male a tutt´Italia. Comunque gli incentivi alla
rottamazione li hanno varati, mentre di soldi per aiutare la ricerca e lo
sviluppo di nuovi modelli non se ne è parlato». Allora? «L´azione
dell´amministrazione Obama,
l´esempio francese e le vicende tedesche, con il forte coordinamento tra
governo centrale, laender regionali e presenza istituzionale nelle istituzioni
multinazionali ci hanno convinto che l´Italia può partecipare a questa
competizione internazionale solo agendo come sistema paese. è per questo
che proponiamo un´azione comune tra le regioni interessate e con il governo per
discutere insieme una serie di misure che consentano di rafforzare il settore
automotive nel nostro paese. Primo fra tutto un programma di sostegno
all´innovazione nel settore che coinvolga sia risorse centrali che risorse
delle regioni». Quindi avete soldi da mettere a disposizione? «Da una prima
valutazione che abbiamo fatto credo che tutte insieme noi regioni sede di
stabilimenti di produzione del settore (e che si sono dette disponibili a un
impegno diretto), potremo investire circa 600 milioni. Se il governo ne mette
altrettanti allora si può davvero cominciare a pensare di finanziare la
progettazione di un nuovo modello fortemente innovativo. Progettare una nuova
auto costa sui 2 miliardi, forse di più e la Fiat, è chiaro, dovrà metterci del
suo. Così però magari l´auto elettrica nascerà qua e non a Detroit o a
Wofsburg. Ed è solo così che si possono salvare tutti gli stabilimenti italiani,
evitando guerre tra poveri».
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti: Obama
INVITO ALLA PRUDENZA
Retroscena Il Dipartimento di Stato ha frenato la Farnesina L'irritazione di
Hillary "Una trappola" In un incontro a Washington aveva messo
paletti: conviene parlare solo di Afghanistan MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE
DA NEW YORK Gli avevamo detto che non era opportuno andare, perché rischiava di
essere strumentalizzato»: le reazioni del Dipartimento di Stato
all'annullamento della visita di Franco Frattini a Teheran arrivano in maniera
informale quando a Roma è già notte inoltrata. Il ministro degli Esteri
italiano ha da poco finito di parlare con il Segretario di Stato, Hillary
Clinton. I contenuti della lunga conversazione restano riservati ma da quanto
trapela dalle feluche che ne sono al corrente c'è una certa soddisfazione a
Washington per la marcia indietro italiana. «Andare avrebbe esposto a rischi
senza garantire risultati», osserva un diplomatico chiedendo l'anonimato. Era
stata proprio Hillary Clinton, durante il recente incontro avuto a Washington
con Frattini, a insistere sul fatto che se fosse andato in Iran avrebbe dovuto
parlare solo di Afghanistan e non degli altri temi al centro del contenzioso:
dal programma nucleare al finanziamento dei gruppi terroristi. Sin da quando si
sono manifestate in febbraio ipotesi di mediazioni italiane con l'Iran sul
nucleare - o con la Russia sullo scudo antimissile in Europa - l'amministrazione Obama ha, a più riprese, frenato il governo Berlusconi facendo capire
che è la Casa Bianca a voler assumere un ruolo di guida della comunità
internazionale nel promuovere il dialogo nelle situazioni di crisi. Hillary
aveva così fatto capire a Frattini che se l'Italia voleva proprio ritagliarsi
un ruolo sul fronte iraniano doveva limitarsi all'Afghanistan, per
spingere gli iraniani a mostrare segnali di collaborazione su temi di
importanza strategica per l'Alleanza atlantica: la lotta al narcotraffico, la
stabilizzazione del confine occidentale afghano, la ricostruzione civile,
l'ipotesi di sfruttare un porto iraniano per far arrivare rifornimenti alle
truppe Nato in alternativa ai porti pakistani. A sostenere l'ipotesi di un
«approccio afghano» all'Iran era stato anche Richard Holbrooke, inviato Usa per
la regione. Il diplomatico Cesare Ragaglini è stato così inviato a Teheran
dalla Farnesina per preparare il terreno ad un dialogo «limitato ad un tema»,
come sottolineano fonti a Washington ricordando che «nell'agenda degli incontri
di Frattini prima dell'annullamento non c'era Ahmadinejad». «L'approccio
dell'amministrazione Obama è di coinvolgere gli
alleati nel dialogo con l'Iran - spiega Gary Sick, docente alla Columbia
University ed ex consigliere del presidente Carter durante la crisi degli
ostaggi a Teheran - iniziando però non dal nucleare ma dai temi dove posso
esserci maggiori convergenze, come la stabilizzazione dell'Afghanistan e
dell'Iraq». Ma nelle ultime settimane questa impostazione del viaggio italiano
è iniziata a vacillare in ragione delle perplessità di Washington sui segnali
in arrivo dall'Iran sullo sviluppo dei programmi nucleari e missilistici e
sulla crescente preoccupazione causata non solo in Israele ma nei Paesi arabi
alleati. Non a caso il presidente Barack Obama
nell'intervista rilasciata domenica a «Newsweek» ha indurito i toni con Teheran
non escludendo «altre opzioni» per bloccare il nucleare iraniano «se la
diplomazia dovesse fallire» e poi, incontrando il premier israeliano Netanyahu
nello Studio Ovale, ha aggiunto che «non possiamo negoziare all'infinito». Il
Segretario di Stato, testimoniando ieri di fronte ad una commissione del
Senato, ha aggiunto: «La capacità nucleare dell'Iran è una straordinaria
minaccia perché rischia di innescare una corsa al riarmo in Medio Oriente e
l'obiettivo degli Stati Uniti è di persuadere il regime di Teheran che sarebbe
assai meno sicuro se dovesse procedere nel programma nucleare militare». Nella
stessa deposizione Hillary ha promesso di «continuare gli sforzi diplomatici
verso l'Iran», ammettendo però che «durante questa fase elettorale non sono
verosimili aperture da parte loro» almeno fino al voto presidenziale di fine
giugno. Proprio la coincidenza fra la campagna elettorale e il viaggio di
Frattini spiega il timore di «strumentalizzazioni» che negli ultimi giorni
Washington aveva, a più riprese, recapitato a Roma.
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti: Obama
[FIRMA]EMANUELE
NOVAZIO ROMA Franco Frattini non andrà a Teheran. La visita del ministro degli
Esteri, già rinviata una volta, è stata annullata definitivamente ieri
pomeriggio quando mancavano due ore alla partenza. La Farnesina motiva la
decisione con la richiesta «vincolante» (cioè non soggetta a negoziato) che
l'incontro «protocollare» (cioè limitato a una stretta di mano) con il
presidente Ahmadinejad, al quale fino all'ultimo l'Italia aveva cercato di
sottrarsi, si svolgesse non a Teheran ma a Semnan, dove proprio ieri mattina è
stato sperimentato con successo il Sejil 2, un nuovo missile terra-terra in
grado di colpire Israele. «Se avessimo accettato ci saremmo esposti a
un'inaccettabile strumentalizzazione», commentano al ministero degli Esteri,
sottolineando il «profondo rammarico» di Frattini: «Si è perduta un'occasione
di approfondire la possibilità di coinvolgere l'Iran nella stabilizzazione di
Afghanistan e Pakistan», l'«Afpak», una regione nella quale «gli interessi
occidentali e iraniani convergono». La prima domanda che l'annullamento della
visita solleva riguarda proprio la posizione iraniana: perché Ahmadinejad ha
messo l'Italia nella condizione di rifiutare? Forse alla decisione non è
estranea la presa di posizione della Guida suprema Ali Khamenei, che martedì ha
attaccato duramente l'Occidente esortando gli elettori a non votare, alle
presidenziali del 12 giugno, i candidati che si dimostrano arrendevoli? Il no a
Frattini è, in quale modo, condizionato dalle concessioni fatte dallo stesso Ahmadinejad a Obama nel caso della giornalista irano-americana Roxana Saberi e dalla
necessità, dunque, di riallinearsi con le posizioni radicali? Alla Stampa risulta
che il ministro degli Esteri iraniano è stato spiazzato dalle parole del
presidente: dopo l'annuncio dell'annullamento della visita, Mottaki ha
telefonato al collega italiano esprimendogli rincrescimento. I due
ministri hanno concordato di mantenere i contatti sul dossier «Afpak»: la
settimana prossima sarà a Teheran l'inviato di Frattini per l'Afghanistan,
Iannucci. L'annuncio della visita, dato dalla Farnesina nel pomeriggio di
martedì, aveva comunque sollevato perplessità fra gli alleati, come ha scritto
ieri mattina in un polemico articolo il Financial Times. Pare che fra i più
critici ci fossero Francia e Gran Bretagna, entrambi, va sottolineato, membri
del gruppo «5+1» incaricato di trattare con Teheran sul nucleare, che da tempo
guardano con sospetto ai tentativi italiani di «contare di più» nel dossier -
che pure non era all'ordine del giorno dei colloqui di Frattini - e più in
generale in Iran. Malumori avrebbe espresso anche l'Alto rappresentante per la
politica estera dell'Ue, Solana: il solo incaricato ufficialmente di tenere le
relazioni con la Repubblica islamica. Tutti i principali partner (anche
Israele, che ha espresso forti riserve, e gli Usa, che sostenevano il viaggio)
erano comunque stati informati della missione che Frattini intendeva compiere
in quanto presidente di turno del G8, come ha confermato il portavoce del
francese Kouchner: per questo le comunicazioni non erano state fatte ai 27
Paesi Ue, ma ai partecipanti al vertice dell'Aquila, a luglio. Obiettivo della
visita era infatti la preparazione della conferenza su Afghanistan e Pakistan
in programma a Trieste in ambito G8 dal 25 al 27 giugno. Il ministro voleva
sondare la disponibilità dell'Iran e premere per una partecipazione di alto
livello: non è un mistero che Berlusconi e Frattini vorrebbero far sedere allo
stesso tavolo, fra un mese, Hillary Clinton e Mottaki. Lasciando a Trieste una
doppia impronta italiana: sul dossier «Afpak» e su quello delle relazioni
Usa-Iran. Entrambi considerati, altrove in Europa, di competenza altrui.
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti: Obama
Netanyahu
«Palestinesi e siriani negoziato subito» «Sono pronto ad aprire un dialogo
immediato con i palestinesi e con i siriani, senza precondizioni»: di ritorno da una difficile visita alla Casa Bianca il premier
israeliano Benyamin Netanyahu (foto) si mostra disponibile ad aderire alle
richieste di Barack Obama.
Sempre ieri però dall'entourage di Netanyahu è uscita, anonima, la battuta che
la soluzione dei due Stati «non è la chiave di volta della fine del conflitto,
ma una risposta sciocca e infantile a un problema complesso».
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti: Obama
Il capo della Cia:
"Non può decidere e agire da sola" [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK
Colpo di scena a Capitol Hill. Il Senato americano boccia
la richiesta di finanziamento per la chiusura di Guantanamo avanzata da Barack Obama e blocca il trasferimento dei suoi
detenuti negli Stati Uniti. Con 90 voti contrari e sei a favore, i senatori
replicano quanto fatto dai deputati una settimana fa mettendo a segno il primo
duro affondo nei confronti del presidente da parte del Congresso a maggioranza
democratica. I colleghi di partito assieme all'opposizione repubblicana
chiedono ad Obama un piano chiaro sul trasferimento di
una parte dei 240 detenuti nelle prigioni federali prima di dare il via libera
allo stanziamento di 80 milioni di dollari necessari per smantellare il carcere
militare cubano. La chiusura di Guantanamo è tra le priorità della Casa Bianca.
Oggi il presidente illustrerà i suoi progetti su Guantanamo, ma lo strappo
consumato col Congresso gli potrebbe imporre una revisione dei piani. Deputati
e senatori democratici temono le conseguenze di un trasferimento dei detenuti
nelle prigioni federali. Il direttore dell'Fbi, Robert Mueller, si è detto
preoccupato che i presunti affiliati di Al Qaeda possano risvegliare cellule
terroristiche in letargo negli Usa. A dare una mano a Obama
è arrivata la sentenza di una corte federale che ha stabilito ieri che il
governo può continuare a detenere senza scadenze e senza incriminazioni formali
i detenuti ritenuti molto pericolosi, in base a quanto stabilito dalla legge
approvata dopo l'11 settembre 2001. Ma il problema resta: buona parte dei 240
(80 dei quali in attesa di processo) detenuti saranno trasferiti confluirà in
territorio americano. I cittadini degli Stati dove si trovano i penitenziari di
massima sicurezza, come la Virginia o il Colorado, si oppongono con forza. La
protesta è cavalcata dai repubblicani. «Gli americani non vogliono vedere
queste persone circolare liberamente per le città», avverte John Thune,
senatore del South Dakota. Ma il senatore Dick Durbin, alleato di ferro di Obama, osserva che negli Usa nessuno è mai evaso da un
carcere di «super-massima» sicurezza. E il presidente trova un inatteso alleato
in Lindsay Graham, uno dei pochi repubblicani, assieme a John McCain, a voler
chiudere Guantanamo. Secondo il senatore, il trasferimento dei detenuti negli
Usa è un'operazione attuabile: «Durante la Seconda guerra mondiale, 400 mila
prigionieri tedeschi e giapponesi erano reclusi nelle carceri americane. Serve
un piano accurato prima di chiudere Guantanamo».
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti: Obama
Intervista Leon
Panetta "Se Israele attacca l'Iran finirà in grossi guai" NATHAN
GARDELS Un calabrese a Langley WASHINGTON Mr Panetta, lei è stato di recente in
Israele per mettere in guardia il nuovo primo ministro, Benjamin Netanyahu,
dall'attaccare i siti nucleari iraniani senza essersi consultato con gli Stati
Uniti, che stanno cercando di risolvere il problema per via diplomatica. Lei è
certo che Netanyahu non attaccherà l'Iran? «Sì. Ovviamente gli israeliani sono
preoccupati e concentrati sul problema, ma il premier capisce benissimo che
procedere da soli significa finire in grossi guai». Quali sono le priorità
della Cia sotto l'Amministrazione Obama? «Al primo posto c'è l'antiterrorismo. Al Qaeda resta la più
grave minaccia alla sicurezza nostra e di tutti i nostri alleati. I loro leader
in Pakistan continuano a tramare contro di noi. I loro affiliati in Iraq, nel
Nord e nell'Est dell'Africa e nella Penisola Arabica continuano a sviluppare
piani per minacciare il nostro Paese e la nostra sopravvivenza.
L'obiettivo primario della Cia è perciò smantellare e sconfiggere la rete di Al
Qaeda». Come intendete procedere? «Facendo pressione sui leader di Al Qaeda
nelle aree tribali pachistane. Ci sono prove che questa strategia funziona,
tant'è che Al Qaeda sta cercando riparo altrove. Per questo non allenteremo la
pressione. Uno dei pericoli è che, se blocchiamo le loro operazioni in
Pakistan, vadano a cercarsi posti sicuri altrove, per esempio in Somalia o
nello Yemen. Noi comunque inseguiremo Al Qaeda ovunque andrà a nascondersi».
Che strategia avete per l'Iraq? «Con la riduzione dell'impegno militare
americano, dovremo aumentare la presenza dell'intelligence per aiutare l'Iraq a
recuperare stabilità. La minaccia non è solo il terrorismo ma anche il
rinascente settarismo». Resta ovviamente il problema Afghanistan. «La rivolta
taleban trova spazi perché il Paese ha istituzioni politiche deboli e
un'economia in difficoltà. Per stabilizzare la situazione occorre un intervento
non solo militare ma anche di intelligence». Quanto vi preoccupa l'Iran? «Tanto
da richiedere la nostra piena attenzione. L'Iran è una forza che destabilizza
l'intero Medio Oriente. L'Amministrazione Obama si
muove sul piano diplomatico, ma nessuno è così ingenuo da ignorare che cosa sta
succedendo. L'Iran aspira a essere la forza prevalente nell'area grazie al suo
programma nucleare e vuole intromettersi in Iraq attraverso i suoi rapporti con
la Siria e l'appoggio ad Hamas e Hezbollah. L'intelligence Usa ritiene che
l'Iran, come minimo, tiene aperta l'opzione armi nucleari. Si era fermata nel
2003, ma continua a sviluppare la tecnologia per arricchire l'uranio e
fabbricare missili balistici a testata nucleare. Accertare le vere intenzioni
dell'Iran è perciò in cima alle nostre priorità, anche perché c'è il rischio
che altri Paesi nella regione siano tentati dal seguire l'Iran sulla via
nucleare. E l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in Medio Oriente è una corsa
alle armi nucleari». E la Corea del Nord? «Stiamo cercando di capire le loro
intenzioni nucleari e la gittata dei loro missili. Ci preoccupa anche il fatto
che siano pronti a vendere la loro tecnologia a chiunque la chieda e la paghi.
Comunque riusciamo a essere informati abbastanza bene: quando hanno testato il
loro missile Taepodong, l'abbiamo saputo in meno di un'ora». La impensierisce
il fatto che qualcuno, al Congresso, voglia mettere sotto accusa le vostre
azioni passate? «Non nego l'importanza di imparare dagli errori
dell'Amministrazione Bush, ma non dobbiamo dimenticare che siamo un Paese in
guerra e non possiamo riesaminare il passato in un modo che divide
politicamente e interferisce con la nostra capacità di restare concentrati
sulle minacce di oggi e domani. Voglio però sottolineare, per adesso e per il
futuro, che qualunque cosa farà la Cia, la farà nel rispetto della Costituzione
e dei valori americani». Lei ha detto che la strategia Cia contro Al Qaeda sta
funzionando bene nella regione di confine tra Pakistan e Afghanistan, eppure
c'è chi vi critica dicendo che i raid con i droni hanno ucciso solo 14 leader
terroristi ma più di 700 civili e questo produrrebbe più sentimenti
antiamericani che distruzioni di Al Qaeda. «Si tratta di operazioni segrete,
per cui non posso entrare nei dettagli. Posso solo dire che sono state molto
efficaci perché molto precise sugli obiettivi, con un minimo di danni
collaterali. Le critiche riguardano operazioni meno precise, quelle con i
caccia F-16». Basterà distruggere la rete di Al Qaeda per garantire la
stabilità lungo il confine pachistan-afghano? «No, vincere militarmente non
basta, alla fine tutto si gioca sul filo dell'istruzione, del cibo e della
sicurezza personale. Al Qaeda e i suoi alleati si nutrono della frustrazione
del popolo. La lezione dell'Iraq è chiara: possiamo vincere solo se forniamo
sicurezza, lavoro, istruzione, sanità e infrastrutture». Copyright 2009 Global
Viewpoint Network; (TM) Tribune media services, inc.
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti: Obama
PROCESSO ABU OMAR SU
BERLUSCONI Retroscena L'incontro con il premier in vista del G8 Berlusconi e
Prodi non saranno testimoni «L'unico che ha capacità di empatia col suo popolo
Neanche Sarkozy è così» "Gli italiani in Europa lavorano troppo poco"
Il presidente Barroso: così alla fine hanno scarso peso ANTONELLA RAMPINO ROMA
MILANO Riprenderà il prossimo 27 maggio il processo per il sequestro dell'Imam
Abu Omar. Ma - a detta del giudice Oscar Magi - Non ci sarà bisogno di chiamare
a testimoniare i politici, tra cui Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Per il
giudice Oscar Magi, infatti, «l'oggetto delle loro deposizioni ricade in modo
inequivoco nell'ambito del segreto di Stato così come delimitato dalla Corte
Costituzionale». Insomma, sarebbero testi superflui. Anche gli imputati, oltre
ai testi, potranno opporre il segreto di Stato, aveva detto la Corte
Costituzionale. E Magi, ovviamente, dice che così sarà. Anche perché alla
prossima udienza è fissato l'interrogatorio degli imputati. E Nicolò Pollari
l'ex direttore del Sismi opporrà certamente il segreto, come preannunciato da
uno dei difensori, Nicola Madia. Ma è indubbio che da mercoledì prossimo il
processo prenderà una strada diversa da quella percorsa fino a questo momento.
Perché lo ha deciso la Corte Costituzionale in materia di segreto di stato e il
giudice non può che adeguarsi. Insomma sarà molto più difficile accertare per
via giudiziaria gli avvenimenti e le responsabilità di quanto accadde il 17
febbraio del 2003, quando l'imam della moschea di via Quaranta a Milano, Abu
Omar, venne prelevato e trasferito via Germania in Egitto dove stando al suo
racconto venne torturato. Abu Omar adesso vive al Cairo, libero, ma, dicono,
fortemente sorvegliato. Alla richiesta dei pm di Milano di sentirlo (l'uomo è tuttora
destinatario di un ordine di cattura per terrorismo internazionale) le autorità
egiziane non hanno mai risposto. È escluso che lo facciano dopo la sentenza
della Consulta e la svolta impressa di conseguenza al processo contro i suoi
presunti rapitori. E cosa pensa, mister president, degli italiani in Europa?
Qual è il loro peso, quale la loro capacità di orientare la politica
comunitaria? Manuel Barroso, il portoghese presidente della Commissione europea
il cui mandato iniziò cinque anni orsono con tre settimane di ritardo proprio
per le polemiche sorte su un vicepresidente di Roma, Rocco Buttiglione accusato
di omofobia dal Parlamento di Strasburgo, si sfila la giacca nell'afa di un
ristorante romano che ha visto trascolorare ai propri tavoli politici di ogni
provenienza. Scuote la testa, appoggia la giacca e poi se stesso alla sedia, e
si lascia andare a una smorfia. Gli italiani? «Purtroppo in Europa hanno poco
peso, la loro scarsa influenza dipende dal fatto che sono troppo poco presenti
e hanno troppa poca iniziativa». Forse, è perché si occupano troppo della
politica in Italia, anche i nostri commissari del Pdl a Bruxelles, a cominciare
da Tajani?, gli chiede il giornalista dell'«Unità». Altro sospiro, ma con
sorriso di via libera finale, «i commissari sono uomini politici, hanno le loro
idee, è comprensibile che partecipino alla campagna elettorale nel loro
paese...ma è bene che lo facciano senza troppo entusiasmo». Come dire, un mezzo
via libera. L'occasione dell'incontro è una chiacchierata informale alla fine
di una giornata che il presidente della Commissione ha trascorso a Coppito, e
si dice certissimo che il G8 all'Aquila sarà un successo. Con Berlusconi hanno
parlato d'immigrazione: Barroso, che pure ha negato il vertice straordinario
chiesto dall'Italia, dice che «se ne parlerà naturalmente al G8, e prima ancora
al vertice europeo di giugno». E l'idea che Berlusconi gli ha illustrato è di
«allestire un bureau europeo per l'immigrazione direttamente nei paesi da cui
gli extracomunitari provengono». Barroso, che il Ppe nel recente vertice a
Varsavia ha deciso di candidare alla riconferma, e i voti del Pdl italiano sono
strategici per continuare «a fare un lavoro di cui sono orgoglioso», non ha
imbarazzo nell'ammettere grande ammirazione per il capo del governo italiano.
E' un «leader empatico», spiega, «l'unico che ha capacità di empatia col suo
popolo, nemmeno Sarkozy è così». Obama, tanto per capirsi, è invece solo «un leader del tipo
carismatico». Aggiunge pure che «l'empatia è un elemento importante in
democrazia». Quanto alle critiche che in Italia e in Europa si rivolgono a
Berlusconi,«sono dettate dall'ideologia». Gli spiegano la concentrazione
mediatica nelle mani del premier, gli elencano le televisioni di cui è
proprietario e il controllo su quelle pubbliche, i giornali, le case editrici.
Sgrana gli occhi, non si capisce se schernisce l'interlocutore o se segua poco
la politica italiana, «davvero è ancora così?», e aggiunge poi che «il problema
allora è che gli italiani l'hanno votato». Ma la conversazione spazia, a
stimolarlo c'è anche l'ex consigliere per la politica estera di Massimo
D'Alema, Marta Dassù, e Barroso s'informa, come sta, è lui il leader della
sinistra?, e Veltroni «l'uomo col più bel balcone del mondo?», e si tratta naturalmente
dell'affaccio di cui l'allora sindaco di Roma godeva sul Foro. No, guardi, c'è
un certo Franceschini. Barroso scuote ancora la testa, «la sinistra non ha
speranza». Il Taurasi è finito, un accenno alla Turchia in Europa. «Ma se anche
in Azerbajan si lamentano per le loro telenovelas con le donne velate...». E
per questa sera, è ultima volta che Barroso scuote la testa.
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti: Obama
«Lasciamo lavorare
Marchionne Il suo piano è stato accolto bene» Opel, tre
offerte Berlino passa la palla a Obama Claudio Scajola Al tavolo Fiat, Magna-Gaz e Ripplewood Spunta
una cordata sindacati-concessionari ministro delle Attività produttive
[FIRMA]GIANLUCA PAOLUCCI INVIATO A BERLINO Tre offerte già arrivate sul tavolo
di Dresdner Kw, la banca d'affari che cura la cessione degli asset europei di
Opel. Un ultimatum, inizialmente fissato alle 18 di ieri e poi
prorogato. Una quarta proposta «d'emergenza», se le altre tre non dovessero
andare bene. Un cambio di rotta del governo di Angela Merkel, passato in tre
settimane dalla affermazione di voler tenere la palla in mano sul destino di
Opel senza mettere un euro di fondi pubblici a un ruolo di «spettatore attivo»
di una vicenda che verrà decisa altrove, tra Washington e Detroit. E
preparandosi, intanto, a tirare fuori tra uno e due miliardi per garantire la
sopravvivenza. Steffen Moritz, portavoce del ministro dell'economia
Karl-Theodor zu Guttenberg, ha ribadito chiaramente ieri, durante il consueto
incontro dei portavoce dell'esecutivo con la stampa estera, che la scelta
dell'acquirente non viene fatta a Berlino. «È una decisione che General Motors
prende da sola, sulla base di una valutazione autonoma». A chiarire con ancora
più decisione il significato delle parole di Moritz è più tardi una fonte
governativa. Anche nel caso «improbabile», spiega la fonte, in cui Gm scelga
Ripplewood, il fondo di private equity con forti interessi nel settore della
componentistica auto, l'esecutivo lo accetterà, salvo avviare poi trattative su
prospettive e salvaguardia dei posti di lavoro. Cambio di rotta palesato già
nei giorni scorsi con le aperture prima caute poi sempre più esplicite a un
intervento di sostegno finanziario, dopo averlo tassativamente escluso fino a
qualche giorno prima. Per ora si parla ancora di prestito ponte, ovvero a breve
o brevissimo termine e finalizzato alla mera sopravvivenza di Opel. Sulla
durata del prestito però nessuno al momento se la sente di sbilanciarsi. Di
certo c'è che nella serata di martedì c'è stato un incontro tra i
rappresentanti del ministero dell'economia, quelli della Kfw, (l'organismo
statale d'investimento) e alcune banche regionali, le Landesbank, a loro volta
controllate dai Lander. Di incerto, oltre alla durata, c'è anche l'entità del
prestito: tra uno e due miliardi, più probabilmente 1,5 suddivisi tra Lander e
esecutivo centrale. Le offerte. Alle 18 di ieri quelle arrivate a Dresdner e da
lì girate al ministero dell'economia erano tre: Fiat, Magna con i russi di Gaz
e Ripplewood. Fiat ha chiarito in un comunicato che la sua offerta è relativa a
Opel e Vauxhall: restano dunque fuori Saab - che ha appena ricevuto nuovi fondi
dal governo svedese e segue una procedura autonoma - e gli asset in America
Latina di Gm. Una offerta scarna, poche pagine per ribadire quanto l'ad del
Lingotto ha ripetuto più volte a tutti i soggetti coinvolti nella vicenda:
l'offerta per tenere in piedi tre realtà diverse e distinte e farle confluire
in un gruppo tra i primi al mondo per auto vendute, mantenendo marchi e reti di
vendita autonome e in concorrenza tra loro sulla base di piattaforme condivise
per abbattere i costi di sviluppo e realizzazione. Più sfumati i contorni
dell'offerta di Magna, alleata della russa Gaz di Oleg Deripaska e finanziata
dalla banca statale Sverbank. Poi Ripplewood, che non ha confermato di aver
inviato la proposta ma che ha avuto accesso nei giorni scorsi alla
documentazione predisposta da Dresdner e che ha avuto contatti con il sindacato
ricevendone un appoggio. L'ultimatum. Dopo la scadenza delle 18 hanno iniziato
a circolare indiscrezioni su una richiesta di proroga, attribuita a vari
soggetti. Nella serata la Faz ha invece parlato di una autonoma proposta dei
sindacati e dei concessionari, disponibili i primi ad un pacchetto di
concessioni del valore di 1 miliardo di euro, i secondi a iniettare 500 milioni
di euro nella società. Il cambio di rotta. Se sulla necessità di iniettare
risorse pubbliche la risposta è semplicemente che le casse di Opel sono vuote e
servono nuovi fondi in attesa almeno di un nuovo proprietario, più complesso è
il tema politico. Passando la palla a Gm, e quindi all'amministrazione di
Barack Obama che dovrà dire l'ultima parola sulla
ristrutturazione della casa di Detroit, l'esecutivo della «Grande coalizione»
guidata da Angela Merkel allontana da sé una decisione che rischiava di pesare
come un macigno sulla campagna elettorale, ormai alle porte, in vista delle
elezioni di settembre. Anche solo per il peso - elettorale e ancor più politico
- dei 25 mila dipendenti tedeschi di Opel.
( da "Stampa, La" del
21-05-2009)
Argomenti: Obama
"Abbiamo più
del 50% di chance per farcela" Con Opel abbiamo oltre il 50 per cento di
possibilità di farcela». Sergio Marchionne è in quel di Balocco, provincia di
Vercelli, dove è riunito il gran consiglio degli Agnelli. L'amministratore
delegato della Fiat in queste giornate convulse non pare aver smarrito il
solito ottimismo e quel suo approccio positivo ai problemi con il quale riesce
ad affrontare anche le questioni più contorte e complesse. Alle 11,30 si
materializza al Centro prove Fiat dove è in corso l'assemblea degli azionisti
della Giovanni Agnelli & C. Sapaz. Salta giù dall'elicottero e raggiunge la
sala dove i numerosi esponenti dei diversi rami della famiglia Agnelli lo
attendono per ascoltare dalla sua viva voce lo straordinario piano di sviluppo
disegnato sui blitz negli Stati Uniti e in Germania che dovrebbero consentire a
Fiat, con Chrysler e Opel, di diventare uno dei big del nuovo ordine mondiale
dell'automobile. «La Fiat - confida Marchionne ai suoi collaboratori - ha più
del cinquanta per cento di possibilità di farcela nella sfida per Opel. Perché
alla fine la nostra è l'unica offerta con contenuti e valori industriali. Le
altre o non hanno consistenza produttiva o sono sostanzialmente finanziarie: e
si è visto con Cerberus, il fondo d'investimento che controllava Chrysler,
quanto siano molto deboli simili soluzioni. Magari piacciono ai sindacati
perché pensano di poter condizionare certi manager esperti solo di finanza e
meno di industria». L'amministratore delegato di Fiat ritiene di aver costruito
un buon rapporto con il governo tedesco, «un interlocutore serio, preciso e
severo». E in particolare ha trovato importanti corrispondenze con il ministro
dell'Economia Karl-Theodor zu Guttenberg. In Germania, sostiene, si lavora bene
e nella compagine governativa tedesca si riscontra lo stesso spirito di squadra
e lo stesso modo di operare della task force dell'auto
allestita da Barack Obama.
Ammirazione sincera, ma anche senso pratico. Il governo guidato da Angela
Merkel, se tutto andrà come previsto, dovrà immettere nell'operazione Fiat-Opel
importanti risorse economiche: almeno 7 miliardi di euro. Non è un caso,
quindi, che nelle prossime settimane (ne serviranno tre o quattro per mettere a
punto tutti i dettagli) Marchionne farà la spola tra Torino e la
Germania e fra la Germania e gli Stati Uniti per tenere calda la partita. Un
fatto sembra scontato e Marchionne ne è ben cosciente. Le prossime tre o
quattro settimane saranno un calvario per lui e per la ristretta squadra di
manager che lo supporta nell'avventura tedesca come in quella americana. Ogni
giorno verrà sollevata una polemica, ci sarà un politico che dichiara, un
sindacalista che accusa o un governo che puntualizza. «Comunque - confida
Marchionne ai suoi interlocutori, quasi a smontare la ricorrente querelle sui
tagli occupazionali - la sovrapposizione fra Fiat e Opel non è scontato che si
traduca in esuberi di personale». Anzi. L'obiettivo del numero uno di Fiat
Group è di conservare la somma delle quote di mercato di partenza del Lingotto
e di Opel, per poi incrementarle grazie alle economie di scala e all'utilizzo
di piattaforme produttive comuni garantite dall'unione. Una scommessa difficile
anche per lui, ma questo abruzzese emigrato in Canada, formatosi
managerialmente in America e residente in Svizzera, ama il gusto della sfida e
qualche vittoria in questi anni alla Fiat l'ha pur portata a casa. Marchionne
termina il suo discorso ai soci dell'accomandita. Ha tracciato bilanci, ha
esposto problematiche, ha disegnato scenari, ha proposto soluzioni. Come al
solito non ha usato giri di parole. Ad attenderlo sulla pista di Balocco una
Ferrari «Enzo», nera come la pece e con le portiera spalancata ad ala di
gabbiano. Salta su: uno, due, tre giri. Il contachilometri sembra impazzire al
rombo trionfante del motore: 50, 100, 150, 200, 250, 300. Alla fine toccherà i
( da "Repubblica, La"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 28 - Economia Obama e Geithner: l´economia sta guarendo L´ottimismo di Washington
spinge i mercati. Fed più cauta. Riforma per le credit card ARTURO ZAMPAGLIONE
NEW YORK - «Le ferite del sistema finanziario cominciano a rimarginarsi»,
assicura il ministro del Tesoro Tim Geithner, fornendo alla commissione
bancaria del Senato un quadro più rassicurante sulle dinamiche dell´economia
americana. «Constatiamo alcuni progressi e un ritorno alla normalità nei
mercati», gli fa eco Barack Obama, ai margini di una
riunione del «comitato della ripresa» presieduto dall´ex-capo della Federal
Reserve Paul Volcker. Questo cauto ottimismo potrebbe sembrare un ordine di
scuderia della Casa Bianca, inteso a infondere fiducia e a respingere alle
aspre critiche dei repubblicani per l´ingerenza dello stato e l´aumento del
deficit pubblico, ma in realtà sono gli stessi protagonisti del mondo
finanziario ad avvalorare il mutamento del clima. «Il peggio è passato», dice
infatti Ken Lewis, chief executive della Bank of America, reduce da una
ricapitalizzazione del gruppo per 13,4 miliardi di dollari. Anche Wall Street
ne sembra convinta: l´indice Dow Jones ha chiuso con un calo dello 0,63% a
8.421 punti, ma durante la seduta ha toccato +30% rispetto ai minimi toccati
all´inizio di marzo. Nessuno però si illude sui tempi e le difficoltà del
processo di normalizzazione. Proprio ieri sono stati resi noti i verbali della
riunione ai aprile del Fo
( da "Repubblica, La"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 29 - Economia
L´Us Navy stima l´indennizzo che dovrà versare a Finmeccanica per la
cancellazione del contratto Penale di 400 milioni per lo stop all´elicottero
NEW YORK - In un documento riservato indirizzato al Congresso (e poi finito
nelle mani della agenzia «Reuters») gli ammiragli della US Navy hanno fornito
la prima valutazione dei costi del dietrofront sulla fornitura del nuovo
elicottero presidenziale, il cui contratto è stato annullato dal ministro della
Difesa Robert Gates. Il Pentagono ritiene che dovrà pagare una penale di 555
milioni di dollari (circa 400 milioni di euro) alla LockheedMartin e alla
AgustaWestland (gruppo Finmeccanica), cui era stato commissionato il VH-71,
nome in codice dell´elicottero super-moderno e super-sicuro. E dovrà sborsare
altri 4,4 miliardi di dollari per allungare la vita dei CH-3 e VH-60, i vecchi elicotteri del 1975 di cui si serve ancora Barack Obama. Nella travagliata vicenda del
Marine 1 (si chiama così quando è il presidente degli Stati Uniti è a bordo dell´elicottero)
si ritrovano tutte le contraddizioni della politica americana degli armamenti:
dietro alle esigenze della sicurezza, si nascondono anche sprechi e
megalomanie, involuzioni burocratiche e spinte clientelari. Dopo l´11
settembre il Pentagono volle dotarsi di un nuovo elicottero per mettere in
salvo il presidente in caso di emergenza. Il consorzio italo-americano vinse
l´appalto per costruire 23 mezzi di nuova generazione a un costo di 6,8
miliardi di dollari. Ma poi gli esperti militari vollero dotare gli elicotteri
di strumenti hi-tech di difesa e comunicazione, facendo lievitare l´importo a
13 miliardi. E quando Obama, arrivato alla Casa Bianca
nel mezzo della crisi economica, ordinò al ministro Gates di tagliare le spese
per gli armamenti, il VH-71 fu una delle prime vittime. La Finmeccanica appare
tranquilla: finora ha già consegnato nei tempi previsti i primi nove elicotteri
di test e pre-produzione, incassando le relative somme. Se dovesse essere
confermata la cancellazione del contratto, incasserebbe insieme alla
LockheedMartin una penale magari superiore ai 555 milioni stimati dal
Pentagono: gli analisti militari ipotizzano infatti che, al termine di
negoziati la cifra finale possa raggiungere il miliardo di dollari. Ma il
consorzio italo-americano non si dà ancora per vinto, facendo leva sia su un
certo numero di parlamentari americani, come il democratico Maurice Hinchey,
che su un ragionamento molto semplice: perché spendere 4,4 miliardi per far
sopravvivere il vecchio Marine1, mentre per due-tre miliardi in più la Casa
Bianca potrebbe dotarsi di una flotta di 23 VH-71 (tra cui i 5 già consegnati)?
L´interrogativo sarà posto nei prossimi giorni al Congresso che ha il potere di
annullare la decisione del Pentagono. (ar. zam.)
( da "Stampaweb, La"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
NEW YORK Ora, anche
i democratici mettono i bastoni tra le ruote al piano di Barack Obama di chiudere Guantanamo entro il gennaio del 2010. E
fanno fronte comune con i repubblicani, bloccando il trasferimento dei detenuti
negli Stati Uniti proprio alla vigilia del discorso che il presidente americano
proferirà sulla lotta al terrorismo. Daltronde, il timore sulle conseguenze
che la presenza di sospetti di terrorismo potrebbe avere sulla sicurezza degli
americani è grande, e ad avallarlo è lo stesso numero uno dellFbi
Robert Mueller, che non fa mistero dei rischi che una situazione simile potrebbe portare con sé: questo, anche
se i prigionieri venissero rinchiusi in carceri di massima sicurezza. Il Senato
vota così con una maggioranza schiacciante - 90 voti favorevoli contro appena 6
contrari - per bloccare un loro eventuale trasferimento in territorio Usa, i
democratici ribadiscono che i fondi da 80 milioni di dollari chiesti da Obama per la chiusura del centro di detenzione non
arriveranno, in assenza di un piano più preciso. È dunque in questo clima
rovente che Obama si prepara al discorso di domani:
discorso che secondo alcune fonti sarà in quanto a importanza simile a quello
proferito il mese scorso, sulleconomia, alla Georgetown
University; e discorso che arriverà lo stesso giorno in cui a dire la sua sul
terrorismo sarà uno dei suoi nemici acerrimi: Dick Cheney, ex presidente degli Stati Uniti.
In tutto questo, non può rimanere inosservata la nuovà posizione
dei democratici. Se il loro sostegno ai piani economici, di riforma sanitaria,
di riduzione di emissioni di gas serra per il miglioramento del clima e di altri progetti
di Obama è stato quasi scontato, non altrettanto si
rivela ora la loro posizione in materia di terrorismo e, soprattutto, di
Guantanamo. Linterrogativo, martellante, è su quanto
accadrà ai 241 detenuti che si trovano rinchiusi attualmente nel carcere. Che fine faranno? Dove
andranno? Qual è il piano per gestire il loro trasferimento? Obama
finora non ha fornito una risposta precisa, e non è stato capace di fugare
questi dubbi. Tanto che ieri, lo stesso numero due dei democratici al Senato
Dick Durbin, pur precisando che il piano sulla chiusura di Guantanamo rimane
operativo, ha mostrato una certa stizza. «La sensazione è che a questo punto
stiamo difendendo lignoto. Ci è stato chiesto di difendere un
piano che non è stato
ancora annunciato». Questo, mentre lennesima critica
repubblicana alla strategia di Obama è arrivata da Mitch McConnell, leader
della minoranza al Senato. «Chiudere questa prigione in questo momento
servirebbe a un solo scopo: quello di rendere gli americani meno sicuri». E
oggi un altro repubblicano,il senatore John Thune, ha rincarato la dose. «Il
popolo americano non vuole che questi sospetti di terrorismo camminino nelle
strade dei quartieri americani. Il popolo americano non vuole neanche che questi
detenuti vengano rinchiusi in una base militare o in prigioni militari a un
passo dalle loro abitazioni». Rubin, nel ricordare la propria natura di
democratico, ha poi smorzato i toni, affermando che non cè
stato un solo prigioniero che è mai fuggito da un carcere di «supermassima» sicurezza, e che 347
individui condannati per legami con il terrorismo si trovano già in territorio
americano. E Michele Flournoy, nuovo numero uno della divisione di politica del
Pentagono, ha precisato che non è realistico pensare che nessun detenuto di
Guantanamo arriverà negli Stati Uniti, visto che il governo americano non può
chiedere ai suoi alleati di accogliere i prigionieri, senza che esso non faccia
la stessa cosa. Ma il «verdetto» del Senato è stato comunque chiaro: repubblicani
o democratici che siano, molti esponenti del Congresso non vogliono quei
detenuti in America. Di certo, Obama si trova in una
situazione decisamente difficile da risolvere, in un momento in cui appare tra
laltro sempre più evidente che siano i problemi legati al terrorismo, a
Guantanamo, alle torture, il suo tallone dAchille. A tal
proposito, Obama dovrà giustificare domani anche alcune decisioni prese
recentemente. Da un lato, infatti, il presidente dovrà mostrare il pugno di
ferro, smorzando i timori di chi teme che la chiusura di Guantanamo metterà a
rischio la sicurezza degli Stati Uniti. Dallaltro lato però Obama dovrà
essere capace di riconquistare in qualche modo la fiducia dei democratici più
liberal, che hanno accolto con forte delusione la recente decisione di non
diffondere le foto che ritraggono gli abusi sofferti dai sospetti di
terrorismo, ai tempi dellamministrazione del suo predecessore George
W. Bush. Daltronde, molti attivisti si sono sentiti traditi. Grande
attesa dunque per
domani, quando il presidente americano dovrà chiarire anche alcune questioni
sulla sua politica che evidentemente non sono state proprio precisate. Non
mancheranno sicuramente le battute al veleno di Cheney, che senza alcuna ombra
di dubbio cavalcherà londa delle incognite sul futuro di
Guantanamo.
( da "Stampaweb, La"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
WASHINGTON Il
presidente americano Barack Obama ha detto oggi che lamministrazione
Bush ha preso dopo l11/9 una serie di decisioni precipitose «basate più
sulla paura che sulle previsioni» modellando «troppo spesso i fatti e le prove
perchè si adattassero
alle convinzioni ideologiche». Obama ha quindi
ribadito lintenzione di chiudere il carcere militare a Cuba entro il
prossimo gennaio:«La prigione di Guantanamo ha indebolito la sicurezza
nazionale degli Stati Uniti e va quindi chiusa». Gli Stati Uniti però «non metteranno in libertà
alcun detenuto di Guantanamo che si riveli una minaccia per la sicurezza
nazionale». Il presidente ha spiegato che gli attuali 240 detenuti saranno
divisi in cinque categorie. Alcuni saranno processati in tribunali ordinari, altri
in corti militari speciali, altri ancora saranno trasferiti allestero
o in prigioni di massima sicurezza negli Usa. Ma resterà un nucleo di
terroristi «che non possono essere processati e che costituiscono un pericolo
per la sicurezza», e non verranno rimessi in libertà nè potranno essere sottoposti a processi:
verranno sviluppate procedure per valutare cosa fare di loro. Obama ha poi aggiunto che «Al Qaida sta attivamente
pianificando di attaccarci di nuovo» e gli Stati Uniti «sono in guerra con Al Qaida
e le sue affiliazioni. Sappiamo che esiste questa minaccia che sarà con noi per
lungo tempo, e che dobbiamo usare tutte gli elementi in nostro potere per
sconfiggerla».
( da "Repubblica.it"
del 21-05-2009)
Argomenti: Obama
WASHINGTON - Al
Qaeda sta "attivamente pianificando di attaccarci di nuovo" e gli
Stati Uniti "sono in guerra con Al Qaeda e le sue affiliazioni": l'allarme su nuove minacce terroristiche è stato lanciato dal
presidente americano Barack Obama, in un discorso a Washington dedicato alla sicurezza nazionale e
al futuro di Guantanamo. "Sappiamo che esiste questa minaccia - ha detto
-, che sarà con noi per lungo tempo, e che dobbiamo usare tutte gli elementi in
nostro potere per sconfiggerla". E sulla prigione caraibica il
presidente ha usato parole dure: "Ha indebolito la sicurezza nazionale
degli Stati Uniti" e va quindi chiusa, ha detto, ribadendo l'intenzione di
smantellare il carcere militare a Cuba entro il prossimo gennaio. Intanto oggi
a New York quattro persone sono state arrestate: secondo gli inquirenti
volevano far saltare una sinagoga. Detenuti trasferiti all'estero o in carceri
massima sicurezza. Secondo il presidente americano, sono cinquanta i detenuti
di Guantanamo che hanno i requisiti per essere trasferiti in paesi stranieri e
diversi altri potrebbero essere trasferiti in carceri di massima sicurezza
negli Stati Uniti. Ma Obama avverte: "Non
rilasceremo nessuno che sia un pericolo per la sicurezza nazionale". Il
problema di Guantanamo, ha aggiunto, risiede prima di tutto nel fatto che
un'amministrazione ha deciso in passato di aprirlo". L'attuale
amministrazione, ha detto ancora, sta cercando di rimediare "alla
situazione disastrosa" ereditata da quella precedente: "un
esperimento fallito che ci ha lasciato una valanga di problemi legali".
OAS_RICH('Middle'); No a commissione indipendente sugli errori amministrazione
Bush. Il discorso si è poi ampliato, toccando la presidenza Bush: nella lotta
al terrorismo la scorsa amministrazione è andata "fuori pista", ha
aggiunto Obama. Un giudizio confermato dalle elezioni
dove gli americani "hanno scelto candidati che respingevano la tortura e
volevano chiudere Guantanamo. Il successore di Bush alla Casa Bianca, si è
detto però contrario alla nomina di una commissione indipendente che indaghi
sui metodi della precedente amministrazione per combattere il terrorismo.
"Mi sono opposto - ha spiegato - perché credo che le nostre istituzioni
democratiche siano abbastanza solide per definire le responsabilità. Nel
Congresso sono già in corso inchieste su materie come queste tecniche di
interrogatorio. Il Dipartimento di Giustizia e i nostri tribunali sono in grado
di punire le violazioni delle leggi". "In passato decisioni basate
sulla paura". Obama non ha mancato di fare
autocritica: "Nella stagione della paura troppi di noi, repubblicani e
democratici, giornalisti e cittadini sono stati in silenzio. Alcune decisioni
sono state prese credo con il desiderio sincero di difendere il paese" ha
detto, sottolineando però che si è trattato di "decisioni basate sulla
paura piuttosto che su una visione politica". E che soprattutto sono state
caratterizzate dalla "messa da parte di tutti i valori ed i principi"
che sono "il miglior strumento della nostra difesa nazionale". (21
maggio 2009