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Report "Obama"   21 aprile 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

"Il governo deve convocare Fiat per discutere il futuro di Mirafiori" ( da "Stampa, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: È veramente strano che Marchionne veda Obama con una certa frequenza e non incontri mai il governo Berlusconi che, in questi mesi, è rimasto in assoluto silenzio. Eppure ci sarebbe tanto da dire e da fare per sostenere un settore come l'auto». Non ha dubbi sul futuro: «Torino e il Piemonte hanno sicuramente tutti i numeri per diventare il luogo dove si lavora e progetta un'

"Bene Sarkozy meglio ascoltare che boicottare" ( da "Stampa, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: altezza della nuova politica del presidente Obama. Perché gli Usa si sono distinti nel passato nel sostegno incondizionato a Israele ed era una occasione di non farlo e per segnare una novità. Ma soprattutto perché anche se la presenza di Obama al vertice del paese dimostra che ci sono stati progressi basta guardare alla proporzione di quelli che si trovano in prigione negli Usa,

Quel sax che piace a Obama ( da "Stampa, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Quel sax che piace a Obama Valenza. Al Sociale c'è l'enfant prodige Francesco Cafiso La sua fama è cresciuta dopo il concerto per il presidente [FIRMA]BRUNELLO VESCOVI VALENZA La vita di Francesco Cafiso è cambiata per sempre nel 2002, a Pescara, quando in un festival conobbe il grande trombettista jazz Wynton Marsalis.

la provocazione di teheran - lucio caracciolo ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina LA PROVOCAZIONE DI TEHERAN LUCIO CARACCIOLO Obama è nei guai. L´uomo cui aveva appena teso la mano per ricucire dopo trent´anni i rapporti Usa-Iran, sperando che lo aiutasse a sganciarsi onorevolmente dall´Iraq e dall´Afghanistan, ha festeggiato a suo modo il centoventesimo compleanno di Adolf Hitler.

quel bisogno di ottimismo - luigi spaventa ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Così qualificato il termine, si può ben condividere l´ottimismo espresso dal ministro Tremonti, e ancor prima dal governatore Draghi e da responsabili della politica economica dell´amministrazione Obama, e dopo dal presidente della Confindustria. SEGUE A PAGINA 25

all'avana che ora spera "obama cambierà fidel" - l'avana ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Avana che ora spera "Obama cambierà Fidel" L´AVANA C´è una sorta di diffidente speranza qui a Cuba, in questi giorni che annunciano l´avvio di una nuova epoca nei rapporti con il «diavolo» nordamericano. Qualcuno sogna il crollo del muro, dell´embargo che da quasi cinquant´anni strangola l´economia castrista e la condanna all´isolamento.

ahmadinejad, comizio anti-israele l'europa abbandona il vertice onu - vincenzo nigro ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Per la voglia di non seguire troppo da vicino l´America di Obama nel boicottaggio, la Francia di Sarkozy aveva deciso di non boicottare la conferenza. Un attimo dopo le parole di Ahmadinejad, Sarkozy è stato il primo leader mondiale a condannarlo: «Ci vuole estrema fermezza della Ue, perché a Ginevra è stato fatto un appello all´odio razziale».

"anche l'iran ha diritto di parola" il vaticano condanna il discorso ma il nunzio resta in aula - marco politi ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: hanno già deciso con Obama di dialogare con l´Iran. Ma la linea vaticana ha ragioni più profonde. Alla vigilia del viaggio di Benedetto XVI a Gerusalemme la Santa Sede sottolinea che non si lascia dettare da un governo israeliano con il ministro degli Esteri più estremista della sua storia se partecipare o no a una conferenza dell´Onu.

allarme banche, borse a picco eurolandia brucia 133 miliardi - arturo zampaglione ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: come ha ricordato domenica lo stesso Barack Obama, stanno nascendo nuove preoccupazioni sul sistema bancario americano. In teoria i conti trimestrali delle banche sono buoni. Favorito dai bassi tassi di interesse, il boom dei mutui ha aiutato i bilanci. Gli utili della Wells Fargo, che è la quarta in ordine di grandezza, sono stati di 3 miliardi di dollari: un record.

la provocazione di teheran - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ahmadinejad ha lasciato cadere a margine del suo comizio una maliziosa apertura a Obama. Assicurando di "accogliere positivamente" la svolta Usa verso l´Iran, di puntare solo al nucleare civile e di rifiutare quello militare. In attesa di "fatti concreti" da parte americana, ha rimandato la palla nel campo avversario. Ora Obama deve scegliere.

in volo con ufficio e letto a due piazze anche sarkò avrà il suo air force one - anais ginori ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama. L´Airbus 330-200, acquistato «d´occasione» dalla compagnia Air Caraibes, sostituirà i due attuali Airbus 319CJ in dotazione da molti anni alla presidenza della Repubblica per le tratte intercontinentali. I responsabile dell´Etec (l´unità dell´esercito francese incaricata del trasporto aereo delle personalità di governo)

torture, obama fa pace con la cia - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 14 - Esteri Torture, Obama fa pace con la Cia Missione a Langley: "Abbiamo fatto errori ma saremo più forti rispettando le regole" Nuove polemiche sul waterboarding: contro un terrorista utilizzato 183 volte, sei al giorno ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - «La Cia ha il mio pieno sostegno.

stop al regno delle credit card così gli usa si scoprono europei - vittorio zucconi ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: scoprono europei Arriva la rivoluzione dei consumi targata Obama Il dossier Dopo anni di costante rincorsa, nel 2002 l´uso del denaro di plastica in America scavalcò ogni altra forma di pagamento Nell´ultimo anno il numero di debitori che negli Stati Uniti non riescono a saldare le rate mensili è cresciuto del 260 per cento VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - Deve finire il regno dell´

nomi di cani - stefano bartezzaghi ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: figlie di Barack Obama: si chiama Bo, come già Carlo, Vittorio e Derek. Immediata la reazione degli autori di palindromi: «Obama ama Bo». Nel recentissimo Quaderno della Rivista Italiana di Onomastica, dedicato ai nomi di Roma, fra i molti contributi quello di Paola Cantoni ci informa sull´onomastica canina (o «cinonomastica»): a Roma ci sono almeno quattro cani che si chiamano «

arte, economia e persino la fede: le nostre - marco cattaneo. ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la ricerca sosteneva, tra le altre cose, che Barack Obama non riusciva a entusiasmare gli elettori americani�). Per capire il motivo di tanta ostilità, però, occorre fare un passo indietro. La risonanza magnetica funzionale offre preziose indicazioni sullo stato di attività del cervello. Ma non lo misura direttamente.

viaggio nell'isola caraibica dopo le aperture del presidente usa. tra i giovani che sperano nella fine dell'embargo e tifano per barack - fabrizio ravelli l'avana ( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ha scritto che Barack Obama è stato «duro ed evasivo» sull´embargo: «Desidero ricordargli un principio etico di base per quanto riguarda Cuba: ogni ingiustizia, ogni crimine, non importa in quale epoca sia successo, non ha scuse; il blocco crudele contro Cuba ha come prezzo delle vite umane e delle sofferenze».

Non deve accadere più ( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Un pugno chiuso nella mano tesa di Barack Obama. Una bottiglia molotov in casa di Benjamin Netanyahu e Avigdor Liebermann. Un segnale di disprezzo per gli sforzi degli uomini del Dipartimento di Stato che tentano di convincere il governo di Gerusalemme ad accantonare il sogno (o i preparativi) di un duro colpo agli ayatollah.

E da New York alla Spd tedesca cresce la voglia di tassare i più ricchi ( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: mentre lo stesso Barack Obama ha in programma un aumento delle tasse sui redditi più elevati da attuare, però, non prima del 2011, i singoli Stati dell'Unione stanno già incrementando a raffica imposte dirette e indirette nel tentativo di far quadrare i conti. Rassegnati a una lunga «traversata del deserto» dopo la dura sconfitta elettorale del novembre scorso,

Banche, Wall Street ha ancora paura ( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: consiglieri di Obama vogliono convertire in azioni ordinarie i prestiti agli istituti DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON A Wall Street e in Europa torna la paura. L'impressione di un eccesso di ottimismo sui bilanci delle banche americane e la notizia che il Tesoro Usa si preparerebbe a entrare in forza nei pacchetti azionari di alcune di loro hanno prodotto un lunedì di sconforto,

Da Amazon alle librerie Effetto Chávez per Galeano ( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Dalla casa editrice raccontano che le vendite si sono mantenute buone negli anni, ma proprio ieri, (effetto Chávez, ma anche merito di Obama, assicurano) da librerie di tutta Italia sono arrivate nuove richieste di copie. Alessandra Coppola «Le vene aperte» Da Chávez a Obama

Zawahiri: per noi musulmani con Obama non cambia niente ( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: per noi musulmani con Obama non cambia niente WASHINGTON La politica del dialogo lanciata da Barack Obama allarma davvero i qaedisti. E loro, preoccupati, invitano i musulmani a tenere gli occhi aperti su quello che ritengono «un imbroglio». E' di nuovo Ayman Al Zawahiri, il «commentatore» di Al Qaeda, a richiamare all'ordine con l'ennesimo audio su Internet.

Bush mentiva sulla sua vittoria, e gli elettori l'hanno punito ( da "Stampa, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Contiene nuove accuse agli Usa e ascrive a proprio merito la vittoria di Obama, « il riconoscimento da parte del popolo americano del fallimento della politica di Bush, la conferma che gli americani mentivano quando sostenevano di aver vinto sui mujaheddin. Obama ha sfruttato la sconfitta in Iraq per vincere le elezioni».

Cia in rivolta, arriva Obama ( da "Stampa, La" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: arriva Obama [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEWYORK La pubblicazione dei memo della Cia causa scompiglio fra gli 007 e Barack Obama arriva nel quartier generale di Langley per scongiurare una mezza rivolta nella «war room» che coordina le operazioni contro Al Qaeda, assicurando gli agenti: «Proteggerò le vostre identità e attività»

Sprint di Marchionne, vola negli Usa ( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: visto che su quello del credito la front line spetta alla task force di Barack Obama (che sul piatto fa pesare le decine di miliardi di aiuti concessi per i salvataggi finanziari), la corsa cui il viaggio-lampo di Marchionne cercherà di dare un'accelerata. Rimarrebbe negli Usa fino alla fine, l'amministratore delegato del Lingotto (presidiato ieri da Luca Cordero di Montezemolo),


Articoli

"Il governo deve convocare Fiat per discutere il futuro di Mirafiori" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Giovanna Ventura (Cisl) "Il governo deve convocare Fiat per discutere il futuro di Mirafiori" Proprio nel giorno del consiglio di amministrazione della Fiat - dopodomani - la Cisl regionale avvia il decimo congresso e la segretaria Giovanna Ventura non si fa sfuggire l'occasione: «Non si può andare avanti così: il governo deve convocare Fiat e sindacato per ragionare sul futuro di Mirafiori e di tutti gli stabilimenti italiani». Ironizza: «È veramente strano che Marchionne veda Obama con una certa frequenza e non incontri mai il governo Berlusconi che, in questi mesi, è rimasto in assoluto silenzio. Eppure ci sarebbe tanto da dire e da fare per sostenere un settore come l'auto». Non ha dubbi sul futuro: «Torino e il Piemonte hanno sicuramente tutti i numeri per diventare il luogo dove si lavora e progetta un'auto nuova, diversa a energia alternativa, ma per fare questo occorrono risorse e investimenti». Al congresso - si concluderà il 24 con l'intervento del segretario generale, Raffaele Bonanni, di fronte a 350 delegati e 150 invitati - però non sarà solo la Fiat il terreno di confronto. Ventura pensa - dopo la fase degli accordi separati con governo e Confindustria sul sistema contrattuale - che sia il momento di avviare una fase di contrattazione di secondo livello. La gravità della crisi, ovviamente, non aiuta, ma Ventura crede che sia possibile inventare nuove soluzioni. Racconta che ci sono già alcuni esempi: «Nel Cuneese in una azienda si è contrattata l'apertura di un asilo nido pagato da proprietà e ente locale; un esempio di come si possa aiutare il lavoratore oltre l'aumento salariale». E aggiunge: «Non c'è dubbio che servirebbe, soprattutto per le donne, allargare il part-time oltre le 20 ore alla settimana cosa che adesso le aziende non vogliono fare, quasi mai si riesce a andare oltre le 18». E fa un altro esempio: «Perché non immaginare una contrattazione che allunghi i termini dei congedi parentali». Una sorta di Welfare che deleghi al secondo livello di contrattazione - in azienda e nel territorio - le tutele. Ma non si nasconde che quel terreno è minato perché mai come in questo momento le confederazioni sono state lontane con un conflitto aperto proprio sul sistema contrattuale che è l'essenza stessa del sindacato. Dice: «Siamo a Torino e da qui può ripartire tutto; è qui che si decide il contratto dei metalmeccanici. La piattaforma che nascerà nelle prossime settimane deve essere unitaria. Sarebbe una occasione per la Fiom e la Cgil; se le piattaforme saranno separate questa scelta non aiuterà a risolvere i problemi confederali».\

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"Bene Sarkozy meglio ascoltare che boicottare" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Intervista/2 Tzvetan Todorov "Bene Sarkozy meglio ascoltare che boicottare" DOMENICO QUIRICO CORRISPONDENTE DA PARIGI A Ginevra bisognava andare perché è sempre meglio ascoltare e discutere che scegliere la sedia vuota; e soprattutto perché anche a proposito di Israele l'Occidente deve accettare che il suo punto di vista non sia condiviso da tutti» : Tzvetan Todorov, critico storico e filosofo, rifiuta con risolutezza il boicottaggio della Conferenza internazionale sul razzismo. È d'accordo con la scelta della Francia di essere presente a Ginevra? «Sono d'accordo perché penso che sia sempre meglio essere presenti che assenti nelle istanze internazionali, si deve ascoltare, discutere cercare di convincere e semmai condannare quando si vede che il proprio punto di vista non è riuscito a imporsi. Per me è una regola generale: la discussione è meglio che il rifiuto e la scelta preliminare di non partecipare». C'è però il rischio concreto sull'esempio di quanto è accaduto a Durban di un amalgama pericoloso tra razzismo e antisemitismo... «Alcuni paesi occidentali hanno scelto il boicottaggio in parte in rapporto al problema di Israele e in parte per il concetto di "diffamazione delle religioni". Per quanto riguarda Israele e la posizione verso Israele non penso chi ci troviamo di fronte a un affare di razzismo. Dunque è una deformazione del significato delle parole condannare Israele per razzismo. Ma penso anche che si possa condannare la politica israeliana per altre ragioni. E se si vuole una posizione internazionale, un dibattito internazionale i paesi occidentali devono prendere l'abitudine, che non hanno per ora, di vedere che la loro opinione non è accettata da tutti. E non si tratta solo dei paesi arabi che tradizionalmente sostengono la causa palestinese nelle istanze internazionali ma che non fanno nulla di concreto per aiutare i palestinesi. Occorre che gli occidentali capiscano che il loro punto di vista non è forzatamente il migliore del mondo, non lo è più; che ascoltino anche un po' quello che gli altri hanno da dire». È in fondo come sempre un problema di parole: razzismo non ha lo stesso significato in occidente che nel resto del mondo... «Sì, un problema di parole. Credo che non si debba puntare il dito contro Israele come un Paese che ha una politica particolarmente razzista, questo mi pare ingiusto; ma vedo bene le ragioni di questa condanna che sono semmai legate alla politica dello stato di Israele verso i paesi vicini di cui l'invasione di Gaza è stato un recente e preciso esempio. Trovo anche che il fatto che gli Usa non assistano a questo dibattito non sia all'altezza della nuova politica del presidente Obama. Perché gli Usa si sono distinti nel passato nel sostegno incondizionato a Israele ed era una occasione di non farlo e per segnare una novità. Ma soprattutto perché anche se la presenza di Obama al vertice del paese dimostra che ci sono stati progressi basta guardare alla proporzione di quelli che si trovano in prigione negli Usa, bianchi e neri, per capire che ogni pregiudizio razziale non è ancora sparito. Per questo dunque la loro assenza mi sembra particolarmente spiacevole». Il concetto di diffamazione delle religioni: c'è da temere la soppressione della universalità dei diritti in nome di una pretesa rivoluzione multiculturale? «Questa formula è sparita dal progetto di risoluzione. Per me comunque non esiste una possibilità di parlare in senso giuridico di diffamazione delle religioni. Si può nella ottica in cui noi siamo e che mi sembra difendibile, parlare di diffamazione delle persone. E la religione non è una persona. Altrimenti andremmo verso una interdizione arbitraria della critica di qualsiasi ideologia e la religione è una ideologia tra le altre. La Cina un domani potrebbe vietare di criticare la ideologia comunista o altri paesi quella nazionale. Parlare di diffamazione in questo senso vuol dire davvero giocare con il significato delle parole. Dunque difendiamo fermamente il concetto che l'incitazione all'odio verso un gruppo umano qualsiasi è una offesa e un delitto, che sia un gruppo nazionale o religioso. Ma non c'è diffamazione di religioni: solo di essere umani».

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Quel sax che piace a Obama (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Quel sax che piace a Obama Valenza. Al Sociale c'è l'enfant prodige Francesco Cafiso La sua fama è cresciuta dopo il concerto per il presidente [FIRMA]BRUNELLO VESCOVI VALENZA La vita di Francesco Cafiso è cambiata per sempre nel 2002, a Pescara, quando in un festival conobbe il grande trombettista jazz Wynton Marsalis. Nel vedere quel ragazzino siciliano di 13 anni suonare il sax con tale maestrìa in duo con Franco D'Andrea, Marsalis si mostrò impressionato e gli offrì da subito l'opportunità di affinare le sue doti negli Stati Uniti, dove ha poi suonato spesso. E lo volle al suo fianco anche nel tour europeo dell'anno successivo. L'ultima chiamata per Cafiso negli Usa è stata a gennaio all'Eisenhower Theater at the Kennedy Center, in occasione del concerto per l'insediamento del presidente Barak Obama. Cafiso era l'unico italiano invitato: di quell'esperienza dice che la jam session seguita al concerto con musicisti da brivido, protrattasi sino alle 5 del mattino, gli è servita quanto cinque anni di esercizi. Cafiso, vent'anni ancora da compiere, è ora una splendida realtà del jazz internazionale: ha inciso nove album come leader e nelle numerose session in cui si è misurato un po' ovunque è stato lodato da personaggi ben più anziani di lui. Nel suo curriculum ci sono premi che vanno dal «Django d'Or» come miglior giovane musicista al New Star Award conferitogli dalla rivista giapponese «Swing Journal», al primato fra i nuovi talenti riconosciutogli nel 2005 dalla rivista Musica jazz. Lo stesso anno in cui il festival Umbria Jazz gli ha affidato l'impegnativo ruolo di rileggere le partiture originali delle registrazioni di Charlie Parker, nel 50° anniversario della morte del grande «Bird». In televisione ha partecipato anche all'edizione di Sanremo organizzata da Tony Renis, dove eseguì un virtuosistico «Cherokee», pezzo di grande difficoltà. Cafiso, di cui molti in provincia ricorderanno l'esibizione del 2006 nel cortile di Palazzo Cuttica di Alessandria (mentre la scorsa estate calcò il palco del Serravalle Outlet in Jazz festival), sarà di scena stasera, alle 20,45, al Sociale di Valenza, con un trio di tutto rispetto. Sul palco con lui Dino Rubino, pianoforte; Riccardo Fioravanti, contrabbasso e Stefano Bagnoli, batteria. Ospite Fabrizio Bosso, trombettista italiano di fama internazionale.

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la provocazione di teheran - lucio caracciolo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina LA PROVOCAZIONE DI TEHERAN LUCIO CARACCIOLO Obama è nei guai. L´uomo cui aveva appena teso la mano per ricucire dopo trent´anni i rapporti Usa-Iran, sperando che lo aiutasse a sganciarsi onorevolmente dall´Iraq e dall´Afghanistan, ha festeggiato a suo modo il centoventesimo compleanno di Adolf Hitler. Mahmud Ahmadinejad ha rubato la scena alla conferenza Onu di Ginevra con una tirata contro il "governo razzista" (leggi: Israele) che i vincitori della seconda guerra mondiale avrebbero imposto alla "Palestina occupata". Una provocazione mirata, con cui il presidente della Repubblica Islamica intendeva cogliere almeno tre obiettivi. SEGUE A PAGINA 25

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quel bisogno di ottimismo - luigi spaventa (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Quel bisogno di ottimismo LUIGI SPAVENTA Intendiamoci su che cosa significa essere ottimisti, oggi. Significa ritenere che il ritmo di caduta delle economie – domanda, produzione, occupazione – sta rallentando, e magari che la caduta si sia conclusa: nulla di meno, ma anche nulla di più. Così qualificato il termine, si può ben condividere l´ottimismo espresso dal ministro Tremonti, e ancor prima dal governatore Draghi e da responsabili della politica economica dell´amministrazione Obama, e dopo dal presidente della Confindustria. SEGUE A PAGINA 25

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all'avana che ora spera "obama cambierà fidel" - l'avana (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina All´Avana che ora spera "Obama cambierà Fidel" L´AVANA C´è una sorta di diffidente speranza qui a Cuba, in questi giorni che annunciano l´avvio di una nuova epoca nei rapporti con il «diavolo» nordamericano. Qualcuno sogna il crollo del muro, dell´embargo che da quasi cinquant´anni strangola l´economia castrista e la condanna all´isolamento. Qualcuno diffida delle reali intenzioni di chi governa Cuba: «Il bloqueo è sempre stato utilizzato da Fidel Castro come il parafulmine di ogni responsabilità - dice Yoani Sanchez, la giovane blogger che è una delle voci più influenti della comunità cubana - Era sempre colpa dell´embargo, per il crollo dell´economia, le inefficienze, tutto. Se cadesse, in realtà per il governo sarebbe un colpo molto duro». E ieri Fidel in persona ha deciso di intervenire, con una delle sue ricorrenti reflexiones, sul giornale Granma e sul sito cubadebate. Ha scritto che Barack Obama è stato «duro ed evasivo» sull´embargo che isola Cuba. ALLE PAGINE 27, 28 E 29 CON UN ARTICOLO DI ANDREA TARQUINI

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ahmadinejad, comizio anti-israele l'europa abbandona il vertice onu - vincenzo nigro (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 2 - Esteri Ahmadinejad, comizio anti-Israele l´Europa abbandona il vertice Onu Ginevra, caos annunciato alla Conferenza sul razzismo Sarkozy: "A Ginevra è stato fatto un appello all´odio razziale. La Ue deve essere ferma" VINCENZO NIGRO DAL NOSTRO INVIATO GINEVRA - Mahmoud Ahmadinejad continua la sua battaglia di propaganda interna e internazionale. Anzi, di fatto sceglie il podio delle Nazioni Unite di Ginevra per avviare la campagna elettorale per le presidenziali di giugno. Come ampiamente previsto, il presidente iraniano ieri ha immediatamente dirottato la conferenza Onu sul razzismo: contestando Israele e la sua creazione, relativizzando l´Olocausto, e attaccando l´Occidente che dopo la II guerra mondiale ha aiutato gli ebrei a fondare il loro stato. Le sue parole hanno provocato l´uscita concordata di tutti i 23 ambasciatori dei Paesi Ue che non avevano boicottato la conferenza dal principio, come invece avevano scelto di fare Germania, Italia, Olanda e Polonia. Ma attenzione, nel momento stesso in cui veniva contestato dagli ambasciatori e da giovani ebrei con parrucche e nasi rossi da clown (per dire che questa conferenza è tutta una pagliacciata), Ahmadinejad riceveva l´applauso di una buona metà della grande sala del Palais des nations. Decine e decine di diplomatici di Paesi islamici, africani, latino americani, asiatici; uno schierarsi contro le scelte politiche di Israele, dell´America e dell´Occidente. I due enormi orologi sospesi nel salone delle assemblee segnano le 15,05 quando Ahmadinejad inizia a parlare. Il presidente avrebbe solo 7 minuti di tempo, se ne prende più di 30. Inizia lento, rinnovando la sua interpretazione politica nei rapporti fra popoli, stati e diritti. Poi arriva la lezione su Israele e sul suo non-diritto ad esistere. Testuale: «Dopo la fine della Seconda guerra mondiale gli alleati sono ricorsi all´aggressione militare per privare della terra un´intera nazione, sotto il pretesto della sofferenza degli ebrei. Hanno inviato immigrati dall´Europa, dagli Stati Uniti e dal mondo dell´Olocausto per stabilire un governo razzista nella Palestina occupata». Poco prima gli studenti ebrei francesi avevano urlato e protestato contro il «clown», contro «il razzista che non può combattere il razzismo». Uno gli aveva lanciato contro il suo naso rosso da pagliaccio prima di essere espulso dalla sicurezza. Pochi minuti dopo, la triste processione degli ambasciatori Ue che lasciano la sala segnala invece molte cose: la debolezza e la disunione della Ue, che non ha saputo decidere una cosa, qualunque, tutta insieme. Ma soprattutto il fatto che, con l´assenza di Usa, Canada, Nuova Zelanda, Australia, l´Occidente non è in grado di presenziare, di influenzare una conferenza Onu su un tema decisivo come il razzismo. Ahmadinejad continua ad essere applaudito quando attacca «gli stati occidentali per essere rimasti in silenzio di fronte ai crimini commessi a Gaza», e poi quando sostiene che la crisi economica mondiale è stata scatenata dall´America. Le reazioni del mondo sono immediate. Il segretario dell´Onu Ban Ki Moon, che aveva appena incontrato l´iraniano, dice di essere «profondamente dispiaciuto», soprattutto perché capisce subito che questa conferenza Durban 2 praticamente è fallita: «Io deploro l´uso di questo podio da parte del presidente iraniano per accusare, dividere e persino incitare» allo scontro, dice Ban con parole inusualmente dure per un capo dell´Onu. Per la voglia di non seguire troppo da vicino l´America di Obama nel boicottaggio, la Francia di Sarkozy aveva deciso di non boicottare la conferenza. Un attimo dopo le parole di Ahmadinejad, Sarkozy è stato il primo leader mondiale a condannarlo: «Ci vuole estrema fermezza della Ue, perché a Ginevra è stato fatto un appello all´odio razziale». Da Berlino, dove incontrava il tedesco Steinmeier, il ministro degli Esteri Franco Frattini commenta: «Avevamo capito perfettamente che sarebbe finita così».

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"anche l'iran ha diritto di parola" il vaticano condanna il discorso ma il nunzio resta in aula - marco politi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 3 - Esteri Alla vigilia del viaggio del Papa la Santa Sede non vuole sembrare troppo filo israeliana "Anche l´Iran ha diritto di parola" il Vaticano condanna il discorso ma il Nunzio resta in aula "La bozza combatte ogni forma di antisemitismo, di islamofobia e di cristianofobia" MARCO POLITI CITTà DEL VATICANO - Non ha abbandonato la sala il nunzio vaticano, quando i 23 rappresenti europei si sono alzati dalle loro sedie per non ascoltare le farneticazioni di Ahmadinejad. Alla Radio vaticana il nunzio mons. Silvano Tomasi commenta sereno che all´Onu la libertà d´espressione vale per tutti. Certo, soggiunge, il presidente iraniano ha usato «espressioni estremiste con le quali non si può essere d´accordo in alcun modo», ma nei dibattiti bisogna saper ascoltare anche voci radicali non condivise. Chiosa Tomasi: «La natura delle Nazioni Unite è di essere il forum nel quale tutte le nazioni si esprimono». E´ parlare a nuora perché suocera intenda. Dove la nuora è la comunità internazionale e la suocera il governo israeliano. Intanto - fanno notare in Vaticano - gli Stati Uniti, che pur boicottano la riunione, hanno già deciso con Obama di dialogare con l´Iran. Ma la linea vaticana ha ragioni più profonde. Alla vigilia del viaggio di Benedetto XVI a Gerusalemme la Santa Sede sottolinea che non si lascia dettare da un governo israeliano con il ministro degli Esteri più estremista della sua storia se partecipare o no a una conferenza dell´Onu. Papa Ratzinger, per il quale la lotta al razzismo è essenziale nel mondo globalizzato, non intende nemmeno partecipare al gioco abusato di definire «Hitler» il nemico di turno: ieri Milosevic, poi Saddam, ora Ahmadinejad. Meno che mai il Vaticano è disposto a fornire coperture a progetti avventuristici come un bombardamento israeliano delle centrali nucleari iraniane. Così si spiega perché da un lato il portavoce papale Lombardi si dissoci nettamente da Ahmadinejad: «Un intervento che non va nella giusta direzione, poiché anche se non ha negato l´Olocausto o il diritto all´esistenza di Israele, ha avuto espressioni estremiste e inaccettabili». E tuttavia definisca «accettabile» la bozza del documento di Ginevra. Perciò, dice Lombardi, resta auspicabile che la conferenza possa continuare a servire lo scopo di contrastare razzismo e l´intolleranza. Anzi, secondo il nunzio Tomasi, «non si capisce bene la ragione delle assenze» di alcuni paesi: «Nella bozza attuale viene riaffermato che bisogna combattere ogni forma di antisemitismo, di islamofobia e di cristianofobia. E si fa una menzione esplicita dell´Olocausto, che non si deve dimenticare».

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allarme banche, borse a picco eurolandia brucia 133 miliardi - arturo zampaglione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 7 - Economia Pesano i conti di Bank of America e le nuove ipotesi di nazionalizzazioni negli Stati Uniti Allarme banche, Borse a picco Eurolandia brucia 133 miliardi Per Wall Street è stata la seduta peggiore da inizio marzo: il Dow Jones ha perso il 3,5% ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - Dopo settimane di rialzi euforici e di "barlumi di speranza", i conti trimestrali della Bank of America e i timori di una nazionalizzazione strisciante del sistema bancario negli Stati Uniti hanno portato ieri a una brusca inversione tendenza a Wall Street e a un contagio di tutte le piazze mondiali. E´ stata la peggiore seduta dall´inizio del mese scorso: una "zampata dell´Orso". L´indice S&P delle 500 maggiori aziende americane, che aveva recuperato il 28,5% dai minimi del 9 marzo, ha perso circa il 4%, il Dow Jones il 3,5. Londra ha chiuso con una perdita del 2,49%, Parigi del 3,96, Francoforte del 4,07 e Milano del 3,88. Nel complesso le Borse europee hanno bruciato 133 miliardi di euro. Da tempo gli analisti avvertivano che una correzione di rotta era inevitabile. E ricordavano un dato storico: ogni volta che dal 1900 Wall Street è cresciuta più del 20% in due mesi, in quello successivo ha perso il 7%. Ma al di là di questo aspetto tecnico e di una economia «ancora sotto stress», come ha ricordato domenica lo stesso Barack Obama, stanno nascendo nuove preoccupazioni sul sistema bancario americano. In teoria i conti trimestrali delle banche sono buoni. Favorito dai bassi tassi di interesse, il boom dei mutui ha aiutato i bilanci. Gli utili della Wells Fargo, che è la quarta in ordine di grandezza, sono stati di 3 miliardi di dollari: un record. Meglio delle previsioni anche i guadagni della Goldman Sachs, della JPMorgan Chase, di Citigroup. Persino la Bank of America guidata da Ken Lewis ha annunciato ieri un utile di 4,2 miliardi tra gennaio e marzo. Perché allora la "punizione" delle borse, che ieri si sono accanite sui titoli del settore finanziario, facendo perdere il 20% all´istituto di Lewis? La risposta è nelle pieghe dei conti e nelle intenzioni del governo. Dietro all´utile di Bank of America si nascondono alcune operazioni una tantum, come la vendita del pacchetto di azioni della China construction bank (1,9 miliardi), i positivi risultati della Merrill Lynch (che Lewis ha rilevato nell´autunno scorso) e soprattutto una massa di 25,7 miliardi di titoli spazzatura, cresciuti del 41% dalla fine del 2008. Come dire: le condizioni di salute dell´istituto di Lewis, che ha già ricevuto 45 miliardi di aiuti pubblici, sono tutt´altro che solide. Questo spiega le nuove richieste di dimissioni del chief executive e le inquietudini sui risultati dello "stress test", l´esame sotto sforzo condotto dalla Federal reserve sui 19 maggiori istituti di credito. Il test, nelle intenzioni della Casa Bianca di Obama, deve servire a giudicare la solidità delle banche di fronte ad altri eventuali traumi finanziari e a valutare le loro esigenze aggiuntive di capitale. Le pagelle saranno pubblicate il 4 maggio. Il rischio? Che la conferma di situazioni molto fragili a Citigroup, Bank of America o in altri istituti, provochi una crisi di fiducia e contraccolpi in Borsa. Il governo cerca quindi di prepararsi all´appuntamento con una serie di interventi per sostenere i casi più difficili. Tra questi l´ipotesi, anticipata ieri dal New York Times, di convertire in azioni ordinarie, attraverso un aumento del capitale, i prestiti pubblici concessi alle banche in difficoltà. Una manovra del genere avrebbe molti vantaggi: innanzitutto permetterebbe alle banche di contabilizzare in modo diverso quei soldi e il governo non sarebbe costretto a chiedere altri fondi al Congresso. In compenso lo Stato diventerebbe l´azionista di riferimento di molti istituti e al tempo stesso verrebbe diluito il valore e il potere delle azioni oggi in mano dei privati. Per questo in America c´è chi torna a gridare alla nazionalizzazione.

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la provocazione di teheran - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 25 - Commenti LA PROVOCAZIONE DI TEHERAN (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Primo, sfruttare l´"effetto Gaza", l´indignazione della piazza islamica (e non solo) per il comportamento delle truppe israeliane durante la recente campagna militare, che ha portato la popolarità dello Stato ebraico nel mondo ai minimi di sempre. Secondo, volgere il summit delle Nazioni Unite in spot gratuito ad uso domestico per la sua rielezione alla presidenza dell´Iran, nel voto di giugno. Terzo, chiarire agli americani e agli europei che nella partita del nucleare iraniano è lui a guidare le danze, giacché sono loro a trovarsi in stato di necessità. Per conseguenza, sarà lui a dettare il tono e a creare l´atmosfera del negoziato, se mai decollerà. Ahmadinejad ha ottenuto ciò che desiderava. Il consenso di buona parte dei delegati, che hanno applaudito la sua invettiva contro «gli Stati occidentali rimasti in silenzio di fronte ai crimini di Israele a Gaza». La divisione del campo occidentale, visto che inizialmente solo la classica famiglia anglosassone in versione ridotta (Stati Uniti, Australia, Canada, Nuova Zelanda) più quattro Stati europei (Olanda, Italia, Polonia e Germania) ha seguito Israele nel boicottaggio di "Durban 2", assemblea prevedibilmente indirizzata sulle orme antisemite di "Durban 1". Sicché diversi delegati occidentali erano in aula quando il presidente iraniano è salito sul palco, con il preciso intento di costringerli a un poco glorioso abbandono alla prima salva contro Israele. Ma alla maggioranza degli europei questo non pare ancora sufficiente per tornarsene a casa. Non che Ahmadinejad abbia detto alcunché nuovo. Come la pensi sull´Olocausto e sull´"entità sionista" è stranoto. Gli occidentali e tutti coloro che non condividono le sue tesi, a cominciare ovviamente dagli israeliani, avevano avuto tutto il tempo per concordare una risposta comune, all´altezza della sfida. Boicottando in massa la conferenza - con tanti saluti all´Onu, che consapevolmente si prestava a scatenare la grancassa anti-israeliana e anti-occidentale - o accettando tutti insieme il contraddittorio. Né l´uno né l´altro. Il leader iraniano li ha divisi e infilzati a fil di spada, uno per uno. E a margine, ha contribuito all´ennesimo round fra mondo ebraico e Vaticano, con la Santa Sede sotto accusa per non essersi sottratta alla "conferenza dell´odio", cui continua a partecipare: il nunzio non ha neanche abbandonato la sala quando il leader iraniano ha iniziato ad attaccare Israele. Con studiata perfidia - esibendo sangue freddo e notevole abilità politica - Ahmadinejad ha lasciato cadere a margine del suo comizio una maliziosa apertura a Obama. Assicurando di "accogliere positivamente" la svolta Usa verso l´Iran, di puntare solo al nucleare civile e di rifiutare quello militare. In attesa di "fatti concreti" da parte americana, ha rimandato la palla nel campo avversario. Ora Obama deve scegliere. O persiste a cercare il dialogo, malgrado tutto, per districare il suo paese dall´imbroglio mediorientale in cui l´ha ficcato Bush, ciò che è impossibile senza un´intesa con l´Iran. O smentisce se stesso, dimostrando di non avere una rotta, per evitare una gravissima crisi con Israele. Con la sua provocazione, Ahmadinejad ha messo Obama con le spalle al muro. E noi europei con lui, per quel poco che contiamo. Soprattutto, rischia di portare in superficie il profondo dissidio fra Usa e Israele su come trattare l´Iran, finora tenuto in sordina in nome della profonda, intima amicizia fra i due popoli e i due Stati. Per Netanyahu e Lieberman le avances della Casa Bianca al regime dei pasdaran sono anatema. I militari israeliani sono pronti a colpire obiettivi iraniani, se Teheran si avvicinerà irrevocabilmente alla soglia della bomba atomica. Molti fra loro pensano l´abbia già fatto. Pare che il Mossad consideri la politica mediorientale di Obama un pericolo per la sicurezza di Israele e lo abbia fatto sapere al governo. Gerusalemme, se necessario, farà da sola. Mirando al cuore del programma iraniano, sempre che di cuori non ve ne siano troppi per la sola aviazione israeliana. Ma in caso di attacco israeliano ai siti nucleari persiani, il dilemma di Obama non sarà più tra vellicare Ahmadinejad o rassicurare Netanyahu. Sarà tra assistere all´incendio del Medio Oriente o intervenire al fianco di Israele per difenderlo dalle rappresaglie iraniane e islamiste. Dichiarando guerra al paese cui ha appena offerto un clamoroso segno di pace.

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in volo con ufficio e letto a due piazze anche sarkò avrà il suo air force one - anais ginori (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 14 - Esteri Il nuovo Airbus 330-200 sostituirà la vecchia flotta in dotazione all´Eliseo. Ma è polemica sui costi del restyling In volo con ufficio e letto a due piazze anche Sarkò avrà il suo Air Force One La consegna dovrebbe avvenire il prossimo anno I posti a sedere saranno solo 60 ANAIS GINORI DAL NOSTRO INVIATO PARIGI - La sala riunioni di dodici posti, l´ufficio con segretaria, la grande stanza matrimoniale con bagno. è il nuovo "Air Sarkozy", il grande Airbus 330-200 che l´Eliseo ha acquistato e che dovrebbe essere consegnato l´anno prossimo. Il giornale economico Les Echos ha rivelato il cantiere che sta mettendo in sicurezza e arredando al gusto del presidente il nuovo aereo che presto permetterà al presidente francese di rivaleggiare nei suoi viaggi con il mitico Air Force One del presidente Usa, Barack Obama. L´Airbus 330-200, acquistato «d´occasione» dalla compagnia Air Caraibes, sostituirà i due attuali Airbus 319CJ in dotazione da molti anni alla presidenza della Repubblica per le tratte intercontinentali. I responsabile dell´Etec (l´unità dell´esercito francese incaricata del trasporto aereo delle personalità di governo) da tempo chiedevano di rinnovare i velivoli, ormai vecchi e malandati. Alla fine di marzo, uno degli aerei presidenziali in partenza da Parigi per Kinshasa aveva avuto un guasto tecnico. Sarkozy si era «molto innervosito» per l´incidente - hanno raccontato alcuni testimoni - ed era stato costretto ad aspettare per ore sulla pista di Villacoublay, l´aeroporto dal quale è abituato a muoversi. Il nuovo Airbus 330-220 comprato dall´Eliseo è stato completamente trasformato. Attualmente ha 324 poltrone per i passeggeri, ne rimarranno soltanto 60. Il cantiere riguarderà anche le misure di sicurezza militari aggiuntive (che ovviamente non vengono rivelate), e l´organizzazione di uno spazio interno di lavoro e di «relax» per il presidente. Il nuovo velivolo permetterà anche di aumentare l´autonomia di volo dei viaggi ufficiali (attualmente 6.500 chilometri) diminuendo le tappe per il rifornimento. Anche se ancora non si conosce il prezzo pagato dall´Eliseo, non mancano le polemiche per questo acquisto in tempi di crisi, che aumenterà il costo di ogni volo presidenziale da una media di 11mila a 20mila euro.

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torture, obama fa pace con la cia - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 14 - Esteri Torture, Obama fa pace con la Cia Missione a Langley: "Abbiamo fatto errori ma saremo più forti rispettando le regole" Nuove polemiche sul waterboarding: contro un terrorista utilizzato 183 volte, sei al giorno ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - «La Cia ha il mio pieno sostegno. Non fatevi scoraggiare dal fatto che l´America ha potuto conoscere gli errori che sono stati fatti nel passato». Di fronte alle crescenti polemiche seguite alla pubblicazione dei quattro "memo" segreti della Cia, Barack Obama ha scelto la via più diretta: quella di parlare direttamente agli agenti dell´Intelligence. Così ieri alle 14,30 la limousine presidenziale ha varcato i cancelli di Langley, quartier generale dell´agenzia di spionaggio. Una visita inusuale, nel corso della quale prima ha incontrato il direttore Leon Panetta e il suo vice Stephen Kappes, poi ha avuto un meeting con i funzionari di rango elevato, e infine con gli agenti. Con un breve discorso sull´importanza «fondamentale» della missione della Cia. A Langley la pubblicazione dei memorandum sull´uso delle «tecniche brutali» negli interrogatori, non era piaciuta. Anche Leon Panetta, un liberal che Obama ha voluto a capo della Cia, aveva espresso le sue perplessità. Alla Casa Bianca lo scontro tra falchi e colombe in merito alla questione era durato a lungo, quasi un mese, e - a decisione presa - le critiche non erano mancate (da destra come da sinistra) con l´aggravante dei malumori nel mondo dell´Intelligence. Sintetizzati da Michael Hayden, ultimo capo della Cia di Bush: «Ci saranno nuove rivelazioni, nuove commissioni, nuove indagini, contro un´agenzia che è in guerra e in prima linea nel difendere l´America». Una tesi che Obama ha negato. Accolto da un grande e caloroso applauso dal personale della Cia, il presidente ha spiegato il perché della pubblicazione («la natura segreta delle informazioni era stata già compromessa»), ha confermato agli agenti l´immunità per gli atti del passato, e promesso che «i giorni migliori della Cia devono ancora arrivare». Ha ricordato come in passato «ho combattuto per proteggere la sicurezza delle informazioni segrete e così farò in futuro». Ha esortato a non scoraggiarsi dal fatto che «abbiamo commesso errori», perche è così che «si impara, e la nostra disponibilità a fare queste ammissioni dovrebbe renderci tutti più orgogliosi nella consapevolezza di essere dal lato giusto della Storia». Quanto alle tecniche di tortura usate durante l´amministrazione Bush, non ci sarà più spazio: «Gli Stati Uniti sono più forti quando possono esercitare la potenza dei loro valori, compreso il rispetto della legge». Anche quando ci si trova di fronte nemici come i terroristi di Al Qaeda «che non rispettano alcuna regola». Non si era mai visto un presidente costretto a correre al quartier general dell´Intelligence (in genere sono i loro capi che vanno alla Casa Bianca) ma Obama, che maneggia con cura anche i gesti simbolici, ha capito che era il momento di intervenire in prima persona. Non per fare ammenda sulla pubblicazione dei memorandum, ma per rassicurare gli agenti che eliminate le storture dell´era Bush la guerra al terrorismo continuerà come prima: «L´America apprezza i vostri sacrifici anche se il vostro coraggio è conosciuto da pochi e non potete avere, per motivi di segretezza, pubblici apprezzamenti». Il giorno dell´omaggio alla Cia era iniziato con nuove polemiche sul waterboarding, dopo che il New York Times aveva riferito quante volte questa tecnica di tortura - che Obama ha vietato con un ordine esecutivo - è stata usata nei confronti dei più pericolosi comandanti di Al Qaeda catturati dagli americani. Abu Zubaydah venne sottoposto all´annegamento simulato 83 volte. Nel marzo 2003 per fare parlare Khalid Shaikh Mohammed, l´ex numero tre di Al Qaeda considerato il «cervello» dell´attacco alle Torri Gemelle, i waterboarding furono addirittura 183: una media di sei al giorno.

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stop al regno delle credit card così gli usa si scoprono europei - vittorio zucconi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 9 - Economia Stop al regno delle credit card così gli Usa si scoprono europei Arriva la rivoluzione dei consumi targata Obama Il dossier Dopo anni di costante rincorsa, nel 2002 l´uso del denaro di plastica in America scavalcò ogni altra forma di pagamento Nell´ultimo anno il numero di debitori che negli Stati Uniti non riescono a saldare le rate mensili è cresciuto del 260 per cento VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - Deve finire il regno dell´oro di plastica, del tesserino di 8 cm. per 5 che, dalla prima "carta" emessa dal Diners Club nel 1949 per cenare a credito, era divenuta l´arma di distruzione di massa dell´economia domestica e poi nazionale. I consumatori devono disintossicarsi e riscoprire le virtù delle nonne italiane: mai fare il passo più lungo della gamba. Basta con l´orgia delle cartine, ha ordinato la Casa Bianca e ha spiegato Larry Summers, il cardinale della finanza più ascoltato da Obama. Basta con gli acquisti al grido di "charge it!", me lo carichi sulla carta, che hanno sostenuto la falsa prosperità e divorato il risparmio, ridotto a zero dal luglio del 2004. Sono state "the fool´s gold", la ricchezza dei folli e quella follia sta costando troppo cara. Ma staccare i 250 milioni di americani che portano in tasca e in borsetta un miliardo e mezzo di carte di credito - almeno cinque a testa in media - sarà come svezzare un neonato dal biberon. Da quasi sessant´anni, appunto dalla prima carta della Diners, due generazioni sono cresciute aggrappate a quel rettangolino plastificato, sprofondando nell´illusione di essere più ricchi di quel che in realtà erano. Vittime della praticità, e della tentazione, fino all´apoteosi del 2002 quando i pagamenti con l´oro di plastica scavalcarono ogni altra forma di pagamento. Quella che la presidenza Obama e il suo cardinale Summers vogliono fare è dunque più di una riforma, è una rivoluzione del "modo di consumare", dunque di essere, americano. Non ci sarebbero shopping centers sparsi in ogni sobborgo, cattedrali dell´acquisto come quel mostro nato nel Minnesota, il "Mall America", per due decenni il più vasto del pianeta, e non ci sarebbe stato il boom cinese alimentato dalle esportazioni a credito, senza quelle carte che sono il mattone sul quale è stata costruita l´impressione di prosperità. Ma che hanno divorato ogni forma di risparmio e hanno arricchito le società di emissione fino a corrodere anche loro. Come l´American Express, che offre soldi, 300 dollari, ai clienti perché chiudano i loro conti, quegli stessi consumatori ai quali venivano aperti crediti sempre più alti e proposti ghiotti incentivi per sprofondare nei debiti. Né Summers, né Obama, lo hanno detto, ma il loro è di fatto un invito a diventare un po´ più europei e un po´ meno americani, addirittura un po´ più italiani, uno dei popoli più recalcitranti nell´accettare l´economia dell´"oro di plastica" e ancora affezionati al "libretto" e al risparmio, tra la diffidenza di negozianti a volte preoccupati per la implacabile tracciabilità fiscale del pagamento con carta e la cautela arcigna delle banche. Come il provincialismo linguistico delle banche italiane le avrebbe protette dall´uragano dei prodotti tossici, secondo la celebre frase di Giulio Tremonti, così la taccagneria degli istituti di credito e la tenace cultura dell´economia domestica ha evitato che oggi l´Italia si trovi con un immenso conto non saldabile. Gli americani eravamo noi, secondo Summers, scopriamo adesso con qualche sorpresa, eravamo le formiche del futuro contro le cicale della plastica. Ma l´oro dei folli non era soltanto vizio. Nella estensione delle linee di credito, nell´offerta martellante di nuove carte che ogni giorno ingombravano le nostre cassette ("Congratulations! Lei è stato preapprovato per una nuova credit card! Metta una firma qui e avrà 15 mila dollari di credito immediato!") c´era la apparente soluzione miracolosa al problema della piattezza dei redditi reali e alla ormai oscena sperequazione fra chi aveva troppo e chi troppo poco, che il vecchio meccanismo delle rate e delle cambiali non riusciva più ad alimentare. La carta, offerta ormai come oggetto di consumo essa stessa, con l´immagine della squadra preferita, la foto dei bambini o del cane, il logo del proprio partito, era il falso moltiplicatore di reddito per i salari fissi, in un´economia che penalizza il lavoro a favore della rendita. E il ponte che collegava lo stipendio all´imperativo morale del consumo era l´ abitazione che generava il margine fra mutuo e valore dell´immobile sul quale tutto il castello del credito tossico era costruito. Quando il valore nominale della casa si è sgonfiato, milioni di consumatori si sono trovati, fra mutui, ipoteche e linee di credito, con più debiti di quanto la casa valesse. Incapaci, o non più disposti, a pagare. E la grande festa è finita. E´ finita per i signori Joe e Jane, che non hanno risparmi ai quali attingere e non hanno spesso più neppure il lavoro. E´ finita per le banche, che nei contratti stampati in caratteri invisibili si riservavano il diritto di alzare a piacere gli interessi fino a livelli da usura, al 20% od oltre, e che potevano permettersi, legalmente, di far pagare questi interessi sul totale del debito, anche se in parte saldato. Chi avesse avuto un debito da mille dollari e avesse versato 999 dollari, avrebbe continuato a vedersi addebitare l´interesse sui mille dollari. E guai al moroso: gli avrebbero distrutto il "rating", il grado di affidabilità finanziaria. In un´economia fondata sul credito, avere un basso punteggio nel "rating" equivale alla morte civile. Tutto questo dovrebbe finire, vuole la Casa Bianca che promette nuove leggi per impedire le pratiche predatorie dei pirati in grisaglia. Ed esorta il pubblico a ridurre quel mazzo di carte di plastica acquisite per portare ciascuna fino al limite, "max out" nel gergo degli indebitati, facendo di loro schiavi a vita, come i contadini che non riescono mai a rimborsare il padrone. Il numero di debitori non in grado di saldare o di pagare le rate mensili è cresciuto nel 260% fra il 2008 e il 2009 e pullulano le organizzazione che vogliono aiutare i tossici della plastica a riabilitarsi e riscoprire la saggezza della nonna. Quella che esecrava i clienti del macellaio che comperavano il lesso a "libretto", cioè a credito.

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nomi di cani - stefano bartezzaghi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 36 - Cultura NOMI DI CANI lapsus STEFANO BARTEZZAGHI Pasquetta. La scaletta del TgUno diurno dava come seconda la notizia, «appena arrivata in redazione» del rinvenimento di una cagnetta, illesa fra le macerie dell´Aquila: si chiama Pasqualina, perché è nata proprio a Pasqua, sei anni fa. Nella stessa giornata si è anche risolta la suspense sul nuovo cane delle figlie di Barack Obama: si chiama Bo, come già Carlo, Vittorio e Derek. Immediata la reazione degli autori di palindromi: «Obama ama Bo». Nel recentissimo Quaderno della Rivista Italiana di Onomastica, dedicato ai nomi di Roma, fra i molti contributi quello di Paola Cantoni ci informa sull´onomastica canina (o «cinonomastica»): a Roma ci sono almeno quattro cani che si chiamano «Totti». «Potevo chiedersi come si chiama il vostro cane», cantava De Andrè: «Il mio è un po´ di tempo che si chiama Libero».

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arte, economia e persino la fede: le nostre - marco cattaneo. (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 36 - Cultura Arte, economia e persino la fede: Le nostre C´è chi ha sostenuto che con le scansioni cerebrali si possano leggere le scelte di voto MARCO CATTANEO. Proprio nel momento del loro massimo splendore, gli studi sul cervello attraversano una fase turbolenta. E per di più � chi l´avrebbe mai detto � per colpa del loro strumento più prezioso: le moderne tecniche di visualizzazione dell´attività cerebrale, a cominciare dalla risonanza magnetica funzionale (fMRI, per gli addetti ai lavori). Che minaccia di polverizzare, ammesso che non l´abbia già fatto, il vasto territorio delle neuroscienze in una miriade di discipline dai nomi più o meno esotici, in cui il prefisso neuro - si giustappone a rami vecchi e maturi della conoscenza: dalla neuroeconomia alla neuroestetica, dalla neuroetica alla neuroteologia. Su queste nuove (o seminuove) discipline è uscita almeno una dozzina di libri solo negli ultimi dodici mesi, senza contare convegni, congressi e nuove società scientifiche. è una nomenclatura che esercita un´attrazione fatale sul grande pubblico, ma che sta scatenando un aspro scontro in seno alla comunità scientifica. Perché lascia intendere, senza andare troppo per il sottile, che le funzioni superiori del cervello possano essere inscatolate in moduli rigidamente separati: qui l´area del senso estetico, lì quella delle decisioni economiche; un po´ più in là il modulo di Dio, ovvero i centri cerebrali della spiritualità, accanto a quelli della morale. E spedisce in soffitta la mente per concentrarsi sulle "azioni" � vere o presunte � del cervello, certificate da belle immagini in bianco e nero con vistose macchie colorate che raffigurano, o almeno così si lascia intendere, le aree attive quando svolgiamo un determinato compito. Così lo studio dei complessi rapporti tra mente e cervello, da sempre poggiato su precari equilibri, sembra quasi essere travolto da una nuova frenologia, l´idea pericolosa elaborata da Franz Joseph Gall sul finire del Settecento, che pretendeva di identificare le funzioni mentali con precise aree cerebrali e, peggio, di stabilire quali fossero le funzioni più sviluppate di un individuo osservando la conformazione esterna della scatola cranica. Pensava, cioè, che quanto più un´area era sviluppata, tanto più era efficiente la funzione a cui assolveva. Certo, gli studi sulla mente non stanno tornando all´antico con tanta leggerezza, tuttavia è questo il pericolo adombrato in Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo, un pamphlet da poco pubblicato da "il Mulino" e i cui autori, Carlo Legrenzi e Paolo Umiltà, sono rispettivamente professore di psicologia cognitiva all´Università di Venezia e professore di neuropsicologia all´Università di Padova. Ma in verità lo scontro sulle neuro-discipline � e soprattutto sulla capacità delle scansioni cerebrali di "leggere" la mente � era già esploso verso la fine del 2007 negli Stati Uniti, quando il "New York Times" pubblicava un articolo dal titolo This is your brain on politics. Vi si descriveva un esperimento condotto da Marco Ia-coboni e colleghi, dell´Università della California a Los Angeles, su un campione di venti elettori statunitensi incerti nella scelta di voto alle primarie per le presidenziali dello scorso anno. La ricerca sosteneva di poter individuare le preferenze degli elettori, grazie alla scansione del cervello con la fMRI, osservando le aree cerebrali che più si attivavano alla vista delle immagini dei candidati. Nel giro di ventiquattr´ore il quotidiano fu investito dalle proteste di altri eminenti studiosi, che contestavano con veemenza l´idea che si potesse determinare la preferenza di voto di qualcuno da una "macchia di attivazione" di questa o di quell´altra area cerebrale. (A posteriori va riconosciuta ai critici qualche ragione: la ricerca sosteneva, tra le altre cose, che Barack Obama non riusciva a entusiasmare gli elettori americani�). Per capire il motivo di tanta ostilità, però, occorre fare un passo indietro. La risonanza magnetica funzionale offre preziose indicazioni sullo stato di attività del cervello. Ma non lo misura direttamente. Misura invece le variazioni del flusso sanguigno: quanto più il flusso è intenso, tanto più una certa area è attiva. Però queste variazioni hanno un ritardo di circa cinque secondi rispetto all´elaborazione del pensiero. E, peggio che andar di notte, il cervello è soggetto a un´incessante attività spontanea che non sappiamo spiegare. In realtà, le immagini in bianco e nero del cervello con qualche chiazza colorata che immancabilmente corredano gli studi di "neuroqualcosa" rappresentano solo minime differenze di attività in un magma di scariche neuronali cui la scienza non è in grado, almeno oggi, di dare un´interpretazione univoca. Sollevato da autorità mondiali del calibro di Chris Frith, Patricia Churchland, Elizabeth Phelps e Russell Poldrack, e raccolto dal libro di Legrenzi e Umiltà, il dibattito sulla reale portata delle scansioni cerebrali e sull´interazione mente-cervello coinvolge inevitabilmente uno dei più controversi concetti della filosofia della mente: il libero arbitrio. Perché, alle estreme conseguenze, accettare che la scarica di una manciata di neuroni � tra i cento miliardi di cellule nervose del nostro cervello � sia responsabile di ogni nostra decisione significa forse anche limitare drasticamente la possibilità di scegliere, se il cervello, o meglio una sua minuscola porzione, lo ha già fatto al posto nostro. E questo è un prezzo che nemmeno il più convinto dei deterministi sarebbe disposto a pagare.

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viaggio nell'isola caraibica dopo le aperture del presidente usa. tra i giovani che sperano nella fine dell'embargo e tifano per barack - fabrizio ravelli l'avana (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 27 - R2 Viaggio nell´isola caraibica dopo le aperture del presidente Usa. Tra i giovani che sperano nella fine dell´embargo e tifano per Barack FABRIZIO RAVELLI L´AVANA dal nostro inviato C´è una sorta di diffidente speranza qui a Cuba, in questi giorni che annunciano l´avvio di una nuova epoca nei rapporti con il «diavolo» nordamericano. Qualcuno sogna il crollo del muro, dell´embargo che da quasi cinquant´anni strangola l´economia castrista e la condanna all´isolamento. Qualcuno diffida delle reali intenzioni di chi governa Cuba: «Il bloqueo è sempre stato utilizzato da Fidel Castro come il parafulmine di ogni responsabilità - dice Yoani Sanchez, la giovane blogger che è una delle voci più influenti della comunità cubana - Era sempre colpa dell´embargo, per il crollo dell´economia, le inefficienze, tutto. Se cadesse, in realtà per il governo sarebbe un colpo molto duro». E ieri Fidel in persona ha deciso di intervenire, con una delle sue ricorrenti reflexiones, sul giornale Granma e sul sito Cubadebate. Ha scritto che Barack Obama è stato «duro ed evasivo» sull´embargo: «Desidero ricordargli un principio etico di base per quanto riguarda Cuba: ogni ingiustizia, ogni crimine, non importa in quale epoca sia successo, non ha scuse; il blocco crudele contro Cuba ha come prezzo delle vite umane e delle sofferenze». Che è un modo per chiedere la revoca del bloqueo senza addentrarsi troppo in previsioni o proposte, restando aggrappati alla tradizionale propaganda dei murales. Molto meno di quanto lasci sperare l´apertura dichiarata da Raul Castro a discutere con gli Usa di tutto, compresi i fin qui innominati «diritti umani». La reflexion resta molto al di sotto delle aspettative, perché a Cuba - aggiunge la Sanchez - «stiamo tutti aspettando, e ora la palla è nelle mani del governo». SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE SEGUE A PAGINA 28

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Non deve accadere più (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 21/04/2009 - pag: 2 I veleni di Teheran Non deve accadere più SEGUE DALLA PRIMA Una sfida che merita una risposta ancora più determinata di quella (rivelatasi giusta) del boicottaggio preventivo di Durban II. La folle invettiva anti-ebraica dell'ingegnere guidato in cielo dall'Imam Nascosto è arrivata proprio mentre l'amministrazione americana pensa ad un nuovo percorso negoziale per disinnescare il dossier del nucleare di Teheran e tenta di riavviare, tra molte difficoltà, il processo di pace israelo-palestinese. Un pugno chiuso nella mano tesa di Barack Obama. Una bottiglia molotov in casa di Benjamin Netanyahu e Avigdor Liebermann. Un segnale di disprezzo per gli sforzi degli uomini del Dipartimento di Stato che tentano di convincere il governo di Gerusalemme ad accantonare il sogno (o i preparativi) di un duro colpo agli ayatollah. Il discorso sbagliato, insomma, al momento sbagliato. Ma non è solo l'armamentario negazionista a indignare, nella retorica tossica di Ahmadinejad. Parlare della nascita di Israele come di «un'operazione di invio di immigrati dall'Europa e dagli Stati Uniti per stabilire un governo totalmente razzista nella Palestina occupata» è certamente una pesante infamia in un mondo che non ha ancora perso e non vuole perdere la memoria. Ma il veleno che viene da Teheran è anche un veleno religioso, come dimostra l'altra parte del discorso di Ginevra, quella terzomondista-integralista: accolta, purtroppo, da temibili applausi in una platea già mobilitata sul tema dell'«islamofobia». A parlare ieri non era il presidente di un Paese, ma l'uomo che aveva concluso la sua lettera a George Bush del maggio 2006 con questa frase: «Che ci piaccia o no, il mondo gravita verso la fede in Dio e nella giustizia, e il Volere di Dio prevarrà sopra ad ogni altra cosa». La teocrazia di Teheran è, da tempo, la principale minaccia alla pace del mondo, come sanno, per esempio, i palestinesi vittime dell'avventurismo oltranzista di Hamas. «L'Iran non è una democrazia, come è vero che non si servono bistecche in un ristorante vegetariano e che non si gira in bikini in un campo di nudisti», ha scritto Thomas Friedman. Questo non vuol dire che non si debba negoziare il negoziabile. Ma si tratta anche di pensare, nel Consiglio di Sicurezza e nell'Assemblea generale dell'Onu, a delle misure in grado di evitare che quanto è accaduto ieri non accada mai più. Paolo Lepri

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E da New York alla Spd tedesca cresce la voglia di tassare i più ricchi (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 21/04/2009 - pag: 6 Le imposte negli States e in Europa E da New York alla Spd tedesca cresce la voglia di tassare i più ricchi DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK «Attento Paterson: se alzi le tasse sui ricchi, ce ne andremo tutti a Palm Beach, in Florida, dove non si paga alcuna imposta locale sul reddito». La proposta del governatore di New York di aumentare (dal 9 al 12,62%) la tassa statale (da sommare a quella federale che ha oggi un'aliquota massima del 35%) sul reddito di chi guadagna più di 300 mila dollari l'anno ha fatto infuriare il miliardario Donald Trump, ma ha anche spaventato il Parlamento dello Stato, che ha preso tempo. Di alternative, però, se ne vedono poche. Per far quadrare i conti del bilancio di New York, le soluzioni possibili sono tutte «indigeste»: un aumento sostanziale delle tariffe di metrò e bus, una sovrattassa sulle corse dei taxi o un incremento delle imposte immobiliari, che sono già molto elevate, col rischio di deprimere ancor di più il mercato della casa. Una «tassa sui milionari», ha pensato il governatore Paterson, è la soluzione meno impopolare. Del resto, mentre lo stesso Barack Obama ha in programma un aumento delle tasse sui redditi più elevati da attuare, però, non prima del 2011, i singoli Stati dell'Unione stanno già incrementando a raffica imposte dirette e indirette nel tentativo di far quadrare i conti. Rassegnati a una lunga «traversata del deserto» dopo la dura sconfitta elettorale del novembre scorso, i repubblicani si fregano le mani: attaccano la Casa Bianca e sperano di essere riportati a galla da una nuova rivolta fiscale dei cittadini analoga a quella che, tre decenni fa, gonfiò le vele della campagna presidenziale dell'ex governatore della California, Ronald Reagan. Solo che, stavolta, il suo successore Arnold Schwarzenegger anche lui ex attore, repubblicano ed eletto grazie a una piattaforma antitasse è stato appena soprannominato dagli stessi cittadini che l'hanno votato l'«esattore capo» per il gran numero di tributi che «Terminator» ha deciso di aumentare. Del resto sono decine ormai i governatori democratici e repubblicani che hanno ricominciato a «mungere» i contribuenti: negli Usa come in Europa, il tabù delle tasse, argomento assolutamente «intoccabile » fino a due anni fa, si è improvvisamente sbriciolato. Con la ricchezza che cala e gli Stati che spendono di più per contrastare la recessione e risanare le banche, l'aumento del prelievo sui ricchi appare non solo a Obama, ma anche ai socialdemocratici tedeschi, al leader dei democratici italiani Dario Franceschini, ai laburisti inglesi e persino a qualche neogollista francese (il partito di Sarkozy) come l'intervento di contenimento del deficit fiscale con minori controindicazioni. Chi lo propone sa che questo tipo di prelievo ha un sapore populista, ma pensa che proprio questo possa essere utile a ridurre il malessere di milioni di contribuenti, irritati dall'espansione degli interventi statali. Aumentando le tasse non si finisce, però, per scoraggiare la necessaria ripresa dell'attività economica? È quello che sembra pensare il governo italiano che, infatti, ha escluso l'«una tantum» proposta da Franceschini, la «Bossi tax» e anche un intervento fiscale aggiuntivo per finanziare la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto. Ma nemmeno questo effetto di freno sull'economia viene più dato per scontato: mentre l'economista reaganiano Arthur Laffer prevede sventura (ha pubblicato di recente «The End of Prosperity», un libro nel quale descrive come l'aumento del prelievo fiscale segnerà la fine di un'era di prosperità durata circa mezzo secolo), Benjamin Harris, studioso della Brookings Institution, sostiene che i ricchi potrebbero continuare a lavorare alacremente, senza tirare i remi in barca, anche in presenza di una tassazione più elevata. E cita, a questo proposito, l'ultimo incremento del prelievo fiscale: quello deciso da Bill Clinton nel 1993. Allora l'aumento delle aliquote per chi guadagnava oltre 250 mila dollari l'anno (lo stesso intervento proposto oggi da Obama) fu seguito non da una battuta d'arresto, ma da una crescita spettacolare dell'economia. Quelli erano, però, tempi di straordinario sviluppo della Internet economy. Oggi, invece, l'economia ha il piombo nelle ali: è anche per questo che, pur avendo lasciato uscire il genio delle tasse dalla lampada, sulle due sponde dell'Atlantico per ora l'imposta sui ricchi è più argomento di dibattito che di decisioni immediatamente operative. In Germania serve ai socialdemocratici della Spd, che hanno fin qui governato con la Merkel, a mettere il cancelliere in difficoltà in vista delle elezioni politiche del prossimo settembre. E lo stesso Obama, che in altri campi ha bruciato le tappe, sulle tasse mostra di volersi muovere con gradualità. Anche perché il Congresso è tutt'altro che entusiasta della manovra sulle aliquote ed è addirittura ostile a una riduzione delle detrazioni oggi generosamente concesse ai ricchi che destinano parte del loro reddito a iniziative di beneficenza. Fiscalità Il presidente Usa Barack Obama vuole alzare le aliquote sui redditi più alti Massimo Gaggi

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Banche, Wall Street ha ancora paura (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 21/04/2009 - pag: 6 Banche, Wall Street ha ancora paura I conti di Bank of America affondano le Borse. Il caso del blog con i risultati degli stress test Il «New York Times»: i consiglieri di Obama vogliono convertire in azioni ordinarie i prestiti agli istituti DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON A Wall Street e in Europa torna la paura. L'impressione di un eccesso di ottimismo sui bilanci delle banche americane e la notizia che il Tesoro Usa si preparerebbe a entrare in forza nei pacchetti azionari di alcune di loro hanno prodotto un lunedì di sconforto, che ha visto i principali indici in forte ribasso, con il Dow Jones sotto del 3,56% le piazze europee ancora più depresse (Milano -4,21%, Francoforte -4,07%), capaci di bruciare ben 133 miliardi di euro in una sola giornata. A creare ulteriore confusione, ha contribuito l'annuncio di un blog, il Turner Radio Network, secondo cui i primi risultati dello stress test, la verifica dello stato di salute delle 19 principali banche condotta dal Tesoro, darebbero 16 di queste come tecnicamente insolvibili. Non era vero, come ha subito spiegato il ministero in una robusta smentita. Ma l'equivoco del nome, che ha fatto erroneamente collegare il blog all'ex patron della Cnn Ted Turner, ha per qualche ora amplificato l'andamento negativo del mercato. Il blog sarebbe collegato alla galassia razzista della supremazia bianca. Ma il vero paradosso è che le preoccupazioni più grandi siano state innescate dal rapporto trimestrale di Bank of America, che ha segnalato profitti superiori alle aspettative. Allo stesso tempo, però, l'istituto ha messo da parte 13,4 miliardi di dollari per coprire eventuali perdite del debito in crescita. Un segnale preciso, per gli investitori, che la brusca impennata nei guadagni possa in realtà nascondere problemi più grandi con i titoli tossici. Oltre a Bank of America, scivolata del 16%, la corsa a vendere ha coinvolto anche Citigroup (-19,4%) e JpMorgan, sotto del 4.5%. Il resto lo ha fatto lo scoop del New York Times, secondo il quale lo staff economico del presidente Obama progetta di convertire quanto prima in azioni ordinarie i prestiti alle 19 banche principali, concessi sui fondi del piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari. La mossa consentirebbe al governo di evitare una nuova richiesta di fondi al Congresso, risparmiandogli una battaglia politica rischiosa e dall'esito incerto, poiché una semplice manovra contabile accrescerebbe la dotazione di capitale degli istituti, dando loro più grandi margini di manovra. Ma il rovescio della medaglia sarebbe di esporre nuovamente la Casa Bianca all'accusa d'imporre una nazionalizzazione di fatto, con il Tesoro probabile azionista di riferimento delle maggiori banche americane. Tanto più che ciò comporterebbe scelte controverse sui diritti di voto nei board e anche maggiori rischi per il contribuente. Il problema su come proseguire l'operazione di salvataggio e riportare a regime il sistema bancario si pone perché secondo le stime governative la dotazione del fondo è scesa quasi al livello di guardia: come ha spiegato il New York Times, una volta onorati gli impegni di prestito già presi, rimarranno circa 135 miliardi di dollari dai 700 iniziali. E' certo però che le banche ne avranno bisogno di più per assorbire le perdite, derivanti dai titoli immobiliari speculativi che le hanno trascinate sull'orlo del fallimento. Nelle previsioni di bilancio, l'indicazione è che potrebbero essere necessari addirittura altri 750 miliardi, per ripulire definitivamente il mercato. Inoltre Obama ha proposto che gli Stati Uniti eroghino 100 miliardi di dollari addizionali al Fmi. I prossimi esborsi del Tesoro Usa verranno una volta conosciuti gli esiti dello stress test, che servirà a stabilire quali banche siano in grado di reggersi da sole e quali avranno ancora bisogno di nuovi sostegni pubblici. Paolo Valentino

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Da Amazon alle librerie Effetto Chávez per Galeano (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 21/04/2009 - pag: 16 Boom di vendite Da Amazon alle librerie Effetto Chávez per Galeano In fuga dal Cile di Pinochet, tra le foto di famiglia e le manciate di terra del giardino, Isabel Allende infilò in valigia due volumi: «Una vecchia edizione delle Odi di Pablo Neruda e il libro con la copertina gialla, Le vene aperte dell'America Latina », del giornalista uruguayano Eduardo Galeano. Da allora, è cambiata cento volte la rilegatura, è stata aggiunto un capitolo (nel '78) e quindi una prefazione (a firma della Allende, scrittrice e nipote di Salvador), ma nella sostanza è lo stesso testo che sabato al Vertice delle Americhe di Trinidad e Tobago è passato dalle mani del presidente venezuelano Hugo Chávez a quelle dello statunitense Barack Obama, in regalo. Potere mediatico del líder bolivariano, che già aveva fatto con successo da «testimonial» a Egemonia o sopravvivenza di Noam Chomsky, esibito durante un discorso all'Assemblea Onu: da due giorni il volume di Galeano è in cima alle classifiche dei più venduti online da Amazon. Il secondo nell'elenco dei bestseller in inglese (fino a sabato era alla 734esima posizione), da ieri il primo nella graduatoria dei testi in spagnolo. E anche nelle librerie italiane (dove ha venduto 50 mila copie in poco più di dieci anni) promette di avere una nuova stagione di popolarità. Saggio, ma anche «romanzo di pirati », come lo definì lo stesso Galeano: le mani sul Sud del Continente, dalla «Conquista » alla fine degli anni Sessanta, premessa ai saccheggi più recenti. Così spiega il primo capitolo: «L'America Latina è la regione delle vene aperte. Dalla scoperta ai nostri giorni, tutto si è trasformato sempre in capitale europeo o, più tardi, nordamericano». Espressione della retorica del vittimismo, per i detrattori; pietra miliare della storia dello sfruttamento del Sud, per la sinistra mondiale. Scritto «nelle ultime 70 notti del 1970», pubblicato nel '71, quindi bandito insieme al suo autore dalle dittature sudamericane, il testo di Galeano arrivò in Italia in una prima versione nel '76, edito da Einaudi con il titolo Il saccheggio dell'America Latina. Un successo anche da noi, «libro di iniziazione» per una generazione di giornalisti, spiega Italo Moretti, storico inviato Rai ed ex direttore del Tg3. Poi, un po' di polvere. È Gianni Minà a recuperarlo per inaugurare nel '97 la collana «Continente Desaparecido » di Sperling&Kupfer (finora 14 edizioni). Dalla casa editrice raccontano che le vendite si sono mantenute buone negli anni, ma proprio ieri, (effetto Chávez, ma anche merito di Obama, assicurano) da librerie di tutta Italia sono arrivate nuove richieste di copie. Alessandra Coppola «Le vene aperte» Da Chávez a Obama

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Zawahiri: per noi musulmani con Obama non cambia niente (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 21/04/2009 - pag: 16 Nuovo audio del vice di Bin Laden Zawahiri: per noi musulmani con Obama non cambia niente WASHINGTON La politica del dialogo lanciata da Barack Obama allarma davvero i qaedisti. E loro, preoccupati, invitano i musulmani a tenere gli occhi aperti su quello che ritengono «un imbroglio». E' di nuovo Ayman Al Zawahiri, il «commentatore» di Al Qaeda, a richiamare all'ordine con l'ennesimo audio su Internet. L'estremista egiziano, ripetendo precedenti interventi sul tema, avverte: «Con Obama non è cambiato nulla, l'America continua a uccidere i musulmani». E, dopo aver essersi preso il merito della sconfitta di Bush, spazia su tutti fronti della Jihad. A cominciare dallo scacchiere asiatico. Gli americani e i pachistani «si illudono», aggiunge, se pensano di venire a patti con i militanti delle aree tribali. A suo giudizio i negoziati saranno resi vani dall'azione degli estremisti: «Non è finita e non finirà». Per Al Zawahiri non darà frutti neppure l'aumento di truppe americane in Afghanistan: «E' come aggiungere benzina ad un fuoco che sta già ardendo». Ossia provocherà una reazione ancora più forte. Poi il richiamo ai palestinesi, altra fissazione dei qaedisti alla disperata ricerca di consensi. «Non cedete alle pressioni esorta l'egiziano . Non riconoscete Israele. Se c'è una situazione difficile in un posto (la Palestina, ndr) ve sono altri dove è più facile. I nostri nemici, i crociati e gli ebrei, sono sparsi ovunque». Parole che costituiscono un invito a colpire oltre l'orizzonte palestinese. Infine l'Iran. Al Zawahiri ammonisce l'amministrazione statunitense a non puntare sul dialogo con Teheran per pacificare Afghanistan e Iraq: «Più coopererete con l'Iran e più odio riceverete da parte dei musulmani». E' evidente come il monologo dell'estremista egiziano tradisca un crescente nervosismo. Da mesi, ormai, i terroristi battono su due tasti: «non cambia nulla» e «non fatevi ingannare». Come era stato ampiamente previsto, l'arrivo di Obama alla Casa Bianca ha sparigliato le carte e le sue iniziative in Medio Oriente, in America Latina hanno messo in difficoltà la propaganda qaedista. I seguaci di Bin Laden hanno percepito la reazione favorevole delle piazze e dei leader all'approccio americano. E anche se siamo ai primi timidi contatti non è certo nata una love story tra i nemici percepiscono il nuovo clima come una minaccia. Non sarebbe una sorpresa se i qaedisti provassero a turbarlo con uno dei loro attacchi, sempre che ne abbiano la forza e le possibilità. Montaggio La copertina del montaggio di immagini che accompagna l'ultimo audio di Zawahiri Guido Olimpio

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Bush mentiva sulla sua vittoria, e gli elettori l'hanno punito (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

AL-ZAWAHIRI A SEI ANNI DALL'INVASIONE DELL'IRAQ «Bush mentiva sulla sua vittoria, e gli elettori l'hanno punito» Obama non cambia l'immagine degli Usa agli occhi dei musulmani. È sempre l'America che ruba le loro ricchezze e occupa le loro terre ,,Un nuovo video del numero due di Al Qaeda, Ayman al-Zawahir (nella foto), rivolto al pubblico arabo e non sottotitolato in inglese, è stato diffuso su Internet. Contiene nuove accuse agli Usa e ascrive a proprio merito la vittoria di Obama, « il riconoscimento da parte del popolo americano del fallimento della politica di Bush, la conferma che gli americani mentivano quando sostenevano di aver vinto sui mujaheddin. Obama ha sfruttato la sconfitta in Iraq per vincere le elezioni». ''

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Cia in rivolta, arriva Obama (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

GLI AGENTI PROTESTANO PER LA PUBBLICAZIONE DEI MEMO SULLE TECNICHE DI TORTURA Il generale Hayden «Si è messa in difficoltà un'Agenzia in guerra per difendere i cittadini» Chi negli interrogatori adoperò i sistemi ora vietati teme un'indagine federale Cia in rivolta, arriva Obama [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEWYORK La pubblicazione dei memo della Cia causa scompiglio fra gli 007 e Barack Obama arriva nel quartier generale di Langley per scongiurare una mezza rivolta nella «war room» che coordina le operazioni contro Al Qaeda, assicurando gli agenti: «Proteggerò le vostre identità e attività». La scelta di rendere note le tecniche di interrogatorio dei detenuti di Al Qaeda era stata a lungo dibattuta nell'amministrazione sin dall'indomani dell'insediamento del nuovo presidente e quando la Casa Bianca ha dato luce verde sono stati numerosi gli agenti che hanno fatto conoscere il proprio disappunto al nuovo capo della Cia, Leon Panetta. Poiché gli 007 per definizione non rilasciano dichiarazioni per conoscere i contenuti delle loro rimostranze bisogna leggere il ben informato blog di Jim Geraghty sul sito conservatore National Review Online, dove le riassume in due punti. Primo: la possibilità che un qualsiasi procuratore distrettuale inizi un'indagine contro gli agenti che applicarono le tecniche di interrogatorio equiparate alla tortura dall'amministrazione Obama. Secondo: l'eventualità che il Congresso possa varare una legge per istituire una «Commissione verità», sul modello di quella che operò in Sud Africa dopo l'apartheid, destinata a far trapelare le identità degli agenti in questione. Le assicurazioni finora date da Obama a Panetta sulla decisione di «non perseguire i responsabili perché quando eseguirono queste tecniche erano nella legalità» non hanno rassicurato gli agenti che si sentono ora in condizione di rischio fino al punto da far sapere proprio a Panetta di auspicare un impegno di Obama a garantirgli il perdono qualora la giustizia iniziasse a perseguirli per «atti di tortura». Il fatto che la commissione Intelligence del Senato abbia iniziato un'inchiesta a porte chiuse sull'operato della Cia negli anni di George W. Bush ha rafforzato tali preoccupazioni. A dar voce alla rabbia che cova nei corridoi di Langley è Michael Hayden, il generale che ha guidato la Cia negli ultimi anni dell'amministrazione Bush, secondo il quale «le rivelazioni fatte sono solo le prime, ve ne saranno altro, vi saranno commissioni di inchiesta e vi saranno indagini» con il risultato di «mettere in difficoltà un'Agenzia che si trova a condurre una guerra, in prima linea, per difendere la sicurezza dei cittadini americani». Il generale Hayden ha guidato in prima personale tali operazioni «di guerra» fino a pochi mesi fa e affida ai teleschermi di Fox un'aperta condanna per le scelte di Obama: «Credo che far conoscere ai nostri nemici quali sono i nostri limiti e rinunciare alle tecniche di interrogatorio rende assai più difficile agli agenti della Cia difendere la nazione, in molteplici circostanze». Prima di Hayden era stato l'ex vicepresidente Dick Cheney, due settimane fa, a sfruttare un'intervista alla Cnn per difendere la «legalità» dell'interrogatorio con il «waterboarding» - l'annegamento simulato - accusando Obama di «aver reso meno sicura l'America» rinunciando ad applicarlo. E ora Hayden ribadisce la tesi di Cheney sostenendo fra l'altro che «queste tecniche hanno davvero funzionato rendendo l'America più sicura e scongiurando nuovi attacchi terroristici». E' per rispondere a tali obiezioni e proteste, come per disinnescare lo scontento fra gli agenti della sezione «operazioni clandestine», che Obama sceglie di arrivare a Langley, in Virginia, incontra una cinquantina di agenti speciali a porte chiuse e poi parla ai dipendenti per rassicurarli. «Mi rendo conto che gli ultimi giorni sono stati difficili» dice, assicurando che «proteggerò la vostra identità e le vostre attività con la stessa determinazione con cui voi proteggete l'America». E poi ribadisce i motivi della declassificazione dei memo: «C'è chi può pensare che rispettare la Costituzione significa combattere contro Al Qaeda con una mano legata dietro la schiena, oppure essere ingenui, ma ciò che rende speciale l'America è la forza dei nostri valori e l'importanza di difenderli anche quando è più difficile farlo, è per questo che prevarremo contro i terroristi».

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Sprint di Marchionne, vola negli Usa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 21-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 21/04/2009 - pag: 26 L'alleanza Al consiglio del Lingotto di giovedì i primi conti trimestrali in rosso della crisi Sprint di Marchionne, vola negli Usa Fiat-Chrysler alla prova delle banche. E frenano i sindacati canadesi Il presidente del sindacato canadese, Lavenza: difficili da accogliere le richieste di tagli, ma siamo al tavolo MILANO Weekend passato a preparare il consiglio in agenda giovedì. Partenza subito dopo, in tempi utili per essere a Washington nelle prime ore di ieri. Da lì (probabilmente) tappa a Detroit. E ritorno a Torino già stasera, massimo domattina. Una toccata e fuga in terra americana, per Sergio Marchionne, che non significa necessariamente la chiusura definitiva dell'accordo con Chrysler: le trattative con sindacati e banche vanno avanti serrate, gli spiragli appaiono di giorno in giorno più ampi, ma soprattutto sul fronte creditizio potrebbe essere necessario altro tempo. Di sicuro però non si «bucherà» la scadenza del 30 aprile. E, altrettanto certamente, il viaggiolampo dell'amministratore delegato Fiat negli Usa non fa parte della routine. Segna comunque una svolta. La cautela rimane un obbligo, «noi abbiamo fatto e facciamo tutto il possibile» per dirla con Marchionne ma non è Torino l'unico giocatore in campo. Se dalla sua il gruppo ha la Casa Bianca, impegnata in prima persona e non solo in un lavoro di moral suasion, basterebbe un «no» dei banchieri o dei leader sindacali al piano che ha convinto il governo Usa perché il Lingotto dicesse «okay, grazie, molliamo tutto». Per la più piccola delle ex big three sarebbe il fallimento. Ma non è l'esito su cui persino i più scettici, ormai, scommettono. Sì, segnali problematici ce ne sono ancora, anche al di là dello scoglio-creditori. Arrivano da Toronto, dove prima della ripresa delle trattative ieri il presidente della Canadian Auto Workers Ken Lewenza ha definito «difficili da accogliere» le richieste di tagli per salari e benefit avanzate «dall'amministrazione americana e dalla Chrysler ». Però ha aggiunto anche: «Siamo comunque al tavolo». Sapendo che c'è una scadenza e, oltre, solo la bancarotta. E che, se i colleghi statunitensi della Uaw andranno davvero (come appare probabile) verso un'intesa con parallelo ingresso nel capitale, tutte le responsabilità ricadrebbero sulla Caw. Sulla quale preme anche il governo di Ottawa e la cui posizione alla fine, nonostante le dure schermaglie negoziali, appare agli stessi osservatori canadesi via via più soft. Restano sempre questi, banche e sindacati, i nodi da sciogliere nei nove giorni del conto alla rovescia. Questa, soprattutto sul fronte lavoro visto che su quello del credito la front line spetta alla task force di Barack Obama (che sul piatto fa pesare le decine di miliardi di aiuti concessi per i salvataggi finanziari), la corsa cui il viaggio-lampo di Marchionne cercherà di dare un'accelerata. Rimarrebbe negli Usa fino alla fine, l'amministratore delegato del Lingotto (presidiato ieri da Luca Cordero di Montezemolo), se nel frattempo non ci fosse il consiglio per la trimestrale. I conti saranno i primi in rosso dagli anni della grande crisi Fiat: gli analisti prevedono una perdita di gestione ordinaria sui 70 milioni per il gruppo e sui 110 per l'auto. Scontato, visto lo tsunami dei mercati mondiali. E ampiamente anticipato da Marchionne, che ribadirà come saranno comunque «i peggiori del 2009». Chiaro però qual è l'obiettivo: «superarli» anche con buone notizie dagli Usa. Qualche annuncio punta già ad averlo, magari sul fronte sindacale. E in ogni caso, subito dopo il board ripartirà per gli States. A quel punto sarà davvero rush finale. Sergio Marchionne Raffaella Polato

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