Abstract: incontro con Obama» ROMA La Casa Bianca ha confermato che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, riceverà lunedì 15 giugno a Washington il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. In una nota diffusa ieri in serata per annunciare l'incontro, la Casa Bianca ha sottolineato che «Stati Uniti e Italia, alleati della Nato,>
Nucleare, monito di Obama
a Iran e Corea del Nord ( da "Corriere
della Sera" del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: monito di Obama a Iran e Corea del
Nord Sarkozy: «D'accordo su tutto, anche sul velo libero» DAL NOSTRO INVIATO
COLLEVILLE-SUR-MER L'anniversario del D-Day ispira a Barack Obama parole dure
verso un'altra dittatura. Sessantacinque anni dopo lo sbarco di Normandia, il
presidente americano indica quella pagina di Storia,
Un duello di stile in
abito bianco ( da "Corriere
della Sera" del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: «Ragazze sembra dire da Caen ,
tranquille, va bene così» (nella foto sopra la First Lady americana Michelle
Obama, a sinistra, con la Première Dame francese Carla Bruni alla prefettura
poco prima dell'inizio della cerimonia, Afp/Stephane De Sakutin). Monica Ricci
Sargentini
Barack e famiglia: cena
con foie gras poi tutti al museo ( da "Corriere
della Sera" del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Gli Obama avrebbero voluto che ad
accompagnargli fosse proprio l'architetto italiano. Ma Piano, che pure è a
Parigi, ha dovuto dire no. Aveva già un impegno irrinunciabile: la comunione
del figlio. Gli Obama, da famiglia normale, hanno capito. Anche loro d'altronde
festeggiano questa mattina gli 8 anni di Sasha.
Calcio ed elezioni,
delusione per Ahmadinejad ( da "Corriere
della Sera" del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Riuscirà Obama a trovare uno sport
che faccia con la Repubblica Islamica quel che il pingpong fece con la Cina?
Quando ai Mondiali del '98 l'Iran
sconfisse 3 a
2 gli Usa, le piazze si riempirono. Le ragazze tentarono persino di andare allo
stadio, velate sì, ma accanto agli amici maschi e non nei settori segregati.
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: come emerso dagli interventi di
Barack Obama e Nicolas Sarkozy. Obama: «Chi vuole portare il velo può farlo».
Sarkozy: «I funzionari pubblici non devono avere segni visibili di appartenenza
religiosa». In pratica, il divieto francese riguarda soltanto lo spazio
pubblico, ma le implicazioni di ordine sociale e politico sono più ampie.
Europa dimenticata
( da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: idea di un Iran dotato del nucleare
civile (notoriamente convertibile con facilità ad usi militari) Obama ha fatto
una scommessa assai rischiosa. La scommessa è che l'Iran «rivoluzionario»,
l'Iran degli ayatollah, sia ormai pronto per una politica pragmatica, di
«accomodamento», per una politica post-rivoluzionaria. Se è così, Obama vincerà
la partita.
L'America e l'arrivo del
digitale La paura dello schermo nero
( da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack Obama è stato perentorio:
dopo lo slittamento già deciso a febbraio, ha assicurato che «non ci saranno
altri ritardi». Il presidente americano ha sollecitato «chiunque non sia ancora
pronto ad agire subito» e ha invitato «tutti gli americani che si sono già
adattati al passaggio a parlare con i loro amici,
Magna: per Opel 100
milioni Chrysler, la spinta di Obama
( da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: la spinta di Obama Sberbank: la
quota nel gruppo tedesco a più partner FRANCOFORTE Sempre più misteriosa
l'offerta di Magna per Opel, basata, pare, sul versamento di soli 100 milioni
di euro di capitale. Mentre dall'altra parte dell'Atlantico, dopo il via libera
della Corte d'appello Usa alle nozze Fiat-Chrysler, tutti gli occhi sono
puntati sull'
Le questioni aperte tra
Obama e Sarkozy ( da "Corriere
della Sera" del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: IN NORMANDIA Le questioni aperte
tra Obama e Sarkozy di MASSIMO NAVA N el giorno della memoria, sulle spiagge
della Normandia, può sembrare sgradevole notare divergenze culturali nelle
relazioni transatlantiche o ammettere che l'enorme popolarità e simpatia che
Barack Obama raccoglie in Europa non coincidono necessariamente con una
considerazione altrettanto grande del ruolo dell'
No R 16,3
( da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: it La domanda di oggi Pattuglie di
vigilantes per la sicurezza di notte sulla metro milanese. Siete d'accordo? Sì
R 83,7 No R 16,3 In
visita in Francia, Obama non va all'Eliseo da Sarkozy preferendo cenare con
moglie e figlie. Difendete la sua scelta?
Wall Street, auto,
hamburger: le macerie del sogno americano
( da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: curano delle accuse di socialismo
che piovono su Obama per i suoi tentativi si salvare l'auto a spese del
contribuente. E, ancora, dal gelo del Michigan alla frontiera bollente col
Messico dove i Minuteman, «miliziani» volontari, pattugliano il deserto a
caccia di clandestini, fino ad arrivare a Coney Island con le sue spiagge e i
suoi pizzaioli, il «viaggio alla ricerca di Jerry»
Sanità, arriva al
Congresso la riforma di Ted Kennedy
( da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama torna negli Usa da un viaggio
pieno di speranze e di montagne da scalare, ma lo scoglio più grosso che ha
davanti a sé è quello che lo attende a Washington: la rivitalizzazione
dell'economia e, soprattutto, la riforma sanitaria. La Casa Bianca ha deciso di
vararla anche se è molto costosa e l'America è già alle prese con una
drammatica impennata del deficit e del debito pubblico.
Crisi e tragedie, ma solo
le veline ci hanno divisi ( da "Stampaweb,
La" del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 4 giugno - Bin Laden minaccia
Obama. Per i voli di Stato indagato Berlusconi. la stampa straniera insiste. Il
premier: sono insufflati dai comunisti. 5 giugno - Obama all?Islam: è l?ora
della pace. Franceschini: sui voli di Stato è la legge del principe. Veltroni:
l?Italia è violenta.
Nel Libano dei paria senza
voto ( da "Stampaweb,
La" del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama. La vetrina della libreria
Way In, nel cuore di Hamra, espone 5 titoli dedicati al nuovo inquilino della
Casa Bianca, dall?Audacia della speranza a un manualetto a prova di scettici,
Obama for beginners. Sognando che il mantra «We can» possa un giorno sciogliere
le contraddizioni di un paese che fa la fila al cinema per vedere lo slum
malsano di Bombay nel film The Millionaire
Parigi, Barack Obama fa il
turista ( da "Stampaweb,
La" del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack Obama si regala un giorno da
turista, insieme a moglie e figlie, a Parigi. E prima di riprendere l?Air Force
One che oggi lo riporterà a Washington, il presidente americano, con la first
lady Michelle, è andato al Centre Pompidou, dove ha visitato non solo la
collezione permanente del Beabourg progettato da Renzo Piano e Richard Rogers
nel 1971,
Libano, urne aperte per il
Parlamento Hezbollah sfida i partiti filo-occidentali
( da "Repubblica.it"
del 07-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: aver parlato con funzionari a
Washington che hanno confermato che il presidente Obama e la sua
amministrazione accetteranno la decisione che prenderà il popolo
libanese". Gli esperti si aspettano un vero e proprio testa a testa tra i
due schieramenti. OAS_RICH('Middle'); I 5200 seggi sono stati aperti alle 7 del
mattino e chiuderanno alle 19, ora locale.
Circa le future
generazioni europee niente potrebbe importarmene di meno. Aver vissuto consapevolmen...
( da "Stampa, La"
del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: discorso del Cairo di Obama è la
prova che Pólemos non si addormenta mai. Il trionfo islamico di Obama cade in
un riflesso di reazione di Europa extramediatica che è di paura. L'eco
trionfalista-pacifista dei giornali non è lo stesso della gente che non ha
voce, ma cui è data in mano una scheda elettorale, infimo barlume di un potere
sovrano che i poteri veri e prevalenti calpestano.
La constatazione più
desolata di questo voto europeo dominato dalle destre viene da Jack Lang, ...
( da "Stampa, La"
del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Per la «speranza», di cui parla
Lang, interpretata per un secolo da partiti che avevano bandiere variamente
colorate di rosso forse è davvero finita. Dovrebbero guardare dall'altra parte
dell'Atlantico dove la parola speranza si dice «hope» ed è nell'icona di Barack
Obama.
Libano, schiaffo agli
Hezbollah in vantaggio i partiti filo-occidentali
( da "Repubblica.it"
del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: aver parlato con funzionari a
Washington che hanno confermato che il presidente Obama e la sua
amministrazione accetteranno la decisione che prenderà il popolo
libanese". Gli esperti si aspettano un vero e proprio testa a testa tra i
due schieramenti. OAS_RICH('Middle'); Le elezioni. I 5200 seggi sono stati
aperti alle 7 del mattino e hanno chiuso alle 19.
Michelle e le figlie
Shopping blindato nelle vie di Parigi
( da "Stampa, La"
del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: stato un regalo davvero fantastico
quello del presidente Obama alla piccola Sasha che compiva ieri otto anni: una
città intera da scoprire e amare, e che città: Parigi. Con le vie bloccate dai
poliziotti che scatano sull'attenti, i monumenti vuoti per poterli visitare con
calma, il presidente Sarkozy e la moglie che spalancano le porte del Palazzo
dell'Eliseo per porgere,
[FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI
NEW YORK Il caso Fiat-Chrysler finisce alla Corte Suprema. I credito...
( da "Stampa, La"
del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama. Gli oppositori, l'Indiana
State Police Pension Fund, l'Indiana Teacher's Retirement Fund e il Major Moves
Construction Fund, si oppongono al Chapter 11 perché discriminatorio non solo
nei confronti dei creditori più piccoli rispetto alle grandi banche, ma anche
perché offre condizioni finanziarie migliori agli obbligazionisti non garantiti
rispetto a quelli garantiti come
"sarò la first lady
iraniana" una donna sfida ahmadinejad - vanna vannuccini
( da "Repubblica, La"
del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Non sono come Michelle Obama ma
rispetto quelle che si impegnano nella vita civile" VANNA VANNUCCINI
TEHERAN - Indossano tutti qualcosa di verde, i ragazzi e le ragazze che
aspettano, nell´aula magna dell´Università Azad, l´arrivo di colei che sperano
di poter chiamare presto la prima First lady della Repubblica islamica.
barack, un americano a
parigi relax tra musei, chiese e bistrot - giampiero martinotti parigi
( da "Repubblica, La"
del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: nelle cucine del ristorante in cui
gli Obama hanno cenato sabato sera c´era un assaggiatore che ha testato tutti i
cibi destinati al presidente. Due appuntamenti hanno segnato il percorso
turistico degli Obama. Sabato sera, accompagnati dall´arciprete della
cattedrale, hanno visitato Notre-Dame, che era stata chiusa al pubblico.
dopo il gelo dell'epoca
bush è tornata la stagione dell'amore. obama firma così il suo primo successo.
quello del marketing ( da "Repubblica,
La" del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina 29 - R2 Dopo il gelo
dell´epoca Bush è tornata la stagione dell´amore. Obama firma così il suo primo
successo. Quello del marketing
Napolitano a Venezia per
Galileo Poi al seggio di Roma nel rione Monti
( da "Corriere della Sera"
del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: riferendosi al presidente degli
Stati Uniti, Barack Obama, che stava visitando nelle stesse ore il Beaubourg a
Parigi, sempre opera dell'architetto genovese. Al voto, ieri, anche le altre
alte cariche dello Stato. A mezzogiorno, nella scuola «Lambruschini» di via Don
Minzoni, a Palermo, ha votato il presidente del Senato Renato Schifani.
(
da "Corriere della Sera"
del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: A destra, Barack Obama e dietro di
lui John McCain «Disparità di mezzi» Ho toccato con mano una disparità enorme
di soldi, di mezzi, di tv, di giornali tra il Pd e Berlusconi. Nelle condizioni
italiane, neppure Obama avrebbe mai battuto McCain
(
da "Corriere della Sera"
del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: che si è presentata come paladina
delle donne iraniane (rifiutando però il soprannome di Michelle Obama
dell'Iran) e appare spesso al fianco del marito nei comizi, ruolo senza
precedenti per un'aspirante first lady nella Repubblica islamica. La moglie di
Mousavi ha accusato Ahmadinejad, favorito nelle elezioni del 12 giugno: «Ha
creduto di poter provocare mio marito.
Insicurezza e crisi, le
risposte mancate ( da "Corriere
della Sera" del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama. Le storie europee di ieri
sono diverse, ma non troppo. A Parigi il centro-destra di Sarkozy stravince, ma
soprattutto straperdono i socialisti lacerati dal dualismo femminile
Aubry-Royal. A Berlino i cristiano-democratici della signora Merkel perdono
parecchi punti, ma conservano un largo vantaggio sui socialdemocratici bloccati
al loro minimo e possono guardare con serenità
(
da "Corriere della Sera"
del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ma ha prodotto il fenomeno Obama.
Più preoccupante la crescita di movimenti di estrema destra, anche se non
generalizzata». Massimo Nava mnava@corriere.it \\ La vittoria dei partiti
ecologisti si basa su un nuovo ceto medio urbano, giovane, liberale e lontano
dai socialisti Tristi Lacrime e delusione.
Michelle e le figlie
Shopping blindato nelle vie di Parigi
( da "Stampaweb, La"
del 08-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: stato un regalo davvero fantastico
quello del presidente Obama alla piccola Sasha che compiva ieri otto anni: una
città intera da scoprire e amare, e che città: Parigi. Con le vie bloccate dai
poliziotti che scatano sull?attenti, i monumenti vuoti per poterli visitare con
calma, il presidente Sarkozy e la moglie che spalancano le porte del Palazzo
dell?
( da "Stampa, La" del
07-06-2009)
Argomenti: Obama
Le citazioni
Barack, un parente per ogni occasione I parenti di Obama sono stati invocati spesso ieri,
come avvenuto prima nelle tappe al Cairo e Buchenwald, trasformandosi nei
protagonisti di questo viaggio presidenziale in Europa e in Medio oriente. Al
Cairo Obama aveva parlato
degli «avi musulmani» del padre per sottolineare il suo legame con l'Islam.
A Buchenwald aveva ricordato il prozio Charles Payne, fra i liberatori del
campo di concentramento della Germania orientale, per sottolineare la memoria
famigliare della Shoà. E a Omaha Beach i personaggi citati sono stati il nonno
materno Stanley Dunham «che arrivò su questa spiaggia sei giorni dopo lo sbarco
e poi attraversò l'Europa con l'armata di Patton» e la nonna materna Madelyn
«volontaria in una fabbrica del Kansas» durante la Seconda Guerra Mondiale.
Anche Sarkozy ha ricordato Stanley Dunham aggiungendo che «assieme a due suoi
fratelli» combattè per liberare la Francia. A ben vedere i parenti-simbolo
richiamano i valori di cui Obama si è fatto portatore
in questo viaggio: il padre l'integrazione dell'Islam in America, il prozio la
memoria dello sterminio e i nonni l'impegno contro il Male. \
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( da "Stampa, La" del
07-06-2009)
Argomenti: Obama
[FIRMA]MAURIZIO
MOLINARI INVIATO A COLLEVILLE-SUR-MER Nel giorno in cui ricorda la «lotta
contro il Male del nazismo» sulle spiagge dello sbarco in Normandia, Barack Obama inasprisce toni e termini nei confronti di Iran e
Corea del Nord. Memoria e politica si sovrappongono nelle dichiarazioni del
presidente americano che prima discute le più difficili crisi regionali con il
collega francese, Nicolas Sarkozy, nella prefettura di Caen e poi si reca nel
cimitero militare americano di Colleville-Sur-Mer per rendere omaggio alle
truppe che iniziarono la liberazione dell'Europa dal nazifascismo. Il faccia a
faccia con Sarkozy registra un solido accordo sulle più spinose questioni di
politica estera, prima fra tutte l'Iran. «Se dovesse possedere armi nucleari
sarebbe molto pericoloso non solo per l'America e Israele
ma per la regione e per il mondo in quanto innescherebbe una corsa agli
armamenti» dice Obama, e
Sarkozy aggiunge: «Ho detto al ministro degli Esteri iraniano che devono
raccogliere la mano tesa da Obama e ho sottolineato che non abbiamo obiezioni ad un loro nucleare
pacifico ma se puntano a quello militare, allora la risposta è no».
«L'Iran non può chiedere accesso al nucleare civile - sottolinea Sarkozy mentre
Obama assente - se Ahmadinejad continua a fare
affermazioni aggressive ed a non concedere all'Agenzia atomica dell'Onu di
svolgere i controlli». Obama si spinge fino a chiamare
in causa Ali Khamenei, il leader supremo della rivoluzione iraniana, perché «ha
detto che non vogliono la bomba ma nelle relazioni internazionali parole e
speranze non bastano, come diceva Reagan "fidati ma verifica"».
L'intesa con Sarkozy si somma a quella registrata a Dresda con la cancelliera
tedesca Angela Merkel lasciando intendere che Obama
sta preparando il terreno ad un indurimento delle sanzioni Onu se il nuovo
presidente iraniano - a Teheran si vota fra cinque giorni - dovesse confermare
l'attuale approccio al nucleare. Obama definisce
«estremamente provocatorie» anche le scelte di Pyonygang con i test atomici e
missilistici recapitando un messaggio esplicito: «Non remuneremo le
provocazioni». Come dire, non pensate di spingerci a negoziare a colpi di
bombe. Sarkozy esprime infine «piena sintonia» sulla soluzione dei «due Stati
in pace e sicurezza in Medio Oriente», auspicando che «israeliani e palestinesi
rispettino gli impegni della Road Map». «Anche gli Stati arabi hanno
responsabilità - aggiunge Obama - su un piano politico
ed economico per portare alla pace». L'unico neo che resta fra i due leader è
l'entrata della Turchia nell'Ue perché Washington la auspica e Parigi si
oppone. Concluso il colloquio, Obama e Sarkozy si
recano con le rispettive signore nel cimitero militare dove sono sepolti quasi
10 mila soldati americani. Di fronte a centinaia di reduci e migliaia di
famigliari da tutto il mondo, partecipano assieme ai premier di Gran Bretagna e
Canada, ed al principe Carlo, ad una solenne cerimonia sullo sfondo della
spiaggia di Omaha. Il contenuto dei discorsi spiega la determinazione
nell'affrontare la minaccia delle armi di distruzione. «Il nazismo era il Male
e i popoli come i leader si unirono e superarono le differenze per affrontarlo»
dice Obama, aggiungendo che «la storia è sempre frutto
delle nostre scelte». Anche il giorno prima a Buchenwald aveva parlato del
«Male» sottolineando l'«importanza di reagire». E Sarkozy aggiunge: «Cosa
diventerebbe il mondo se lasciassimo il campo libero al terrorismo e al
fanatismo?». In sintonia il britannico Gordon Brown, secondo cui «dobbiamo
svolgere il compito di liberatori in Darfur, Zimbabwe e Birmania» e il canadese
Stephen Harper. La foga gioca però un brutto scherzo a Gordon che parla di «Obama Beach» con una gaffe sottolineata dalle risa del
pubblico. Si finisce con i jet alleati che sfrecciano sui cieli della Normandia.
www.lastampa.it/molinari
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( da "Stampa, La" del
07-06-2009)
Argomenti: Obama
Il
giorno più lungo L'EUROPA LIBERA LO SBARCO ALLEATO 65 ANNI FA Il reduce morto
nella notte Nel suo discorso Obama non ha
dimenticato di citare Jim Norene, un ex-paracadutista della 101ª Divisione
Aviotrasportata, morto venerdì notte dopo essere giunto appositamente dagli
Stati Uniti per partecipare alla commemorazione.
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( da "Stampa, La" del
07-06-2009)
Argomenti: Obama
Simonetta Robiony
MOSTRE Light America domani è l'altro giorno Le icone cinematografiche, si sa,
sono immortali. E così Humphrey Bogart continua a ciancicare la sigaretta tra
le labbra, Marilyn a lasciarsi sollevare la gonna dal vento che sale dalla
metropolitana, Rita Hayworth a ondeggiare la rossa chioma al ritmo di bolero.
Consapevole di questa loro eternità, la giovane artista pop e un po' concept
Gaialight ha acchiappato Rossella O'Hara con il suo bel cappellone di paglia,
vitino di vespa e occhio malandrino e l'ha portata a fare un giro per gli Usa, durante la lunga campagna per le presidenziali di Obama. La sagoma di cartone a grandezza
naturale di Rossella è stata fotografata in Central Park sotto la neve come in
un viale autunnale di Detroit, davanti a un casinò di Las Vegas, contro il filo
spinato che divide il New Messico dal vero Messico e i chinanos dai wasp, nel
deserto della valle della Morte di Zabriskie Point, sullo sfondo delle
onde della Florida dove si fa surf e di quelle della California blu come il
cielo, nella Quinta Strada in mezzo ai grattacieli e sopra il ponte di Brooklyn
sullo skyline di New York, come se questa Rossella di cartone fosse un
autentico candidato costretto a ripetere a una America smarrita: «Domani è un
altro giorno». Ne è venuta fuori una mostra singolare, Light America, alla
Galleria Fontanella Borghese di Roma: una ventina di foto spesso a
gigantografia, su cui Gaialight, in omaggio alla sua cifra, ha ricreato alcuni
segni grafici usando lustrini luminosi che creano un curioso effetto di
straniamento. Rossella sorride fiduciosa al futuro, ma che c'è da sorridere
davanti al palazzo di Wall Street che con la sua rovinosa caduta azionaria ha
provocato il maggior disastro economico dal '29? Rossella, col suo bel nastro
di velluto verde, lancia sguardi di seduzione, ma chi c'è da sedurre in una
metropolitana newyorkese affollata di poveri, bianchi e neri, che siedono
stanchi, senza degnarla di uno sguardo? La città più fotografata è Detroit:
Rossella davanti a un muro che sembra rovinare al suolo, in un capannone di una
fabbrica dismessa, sotto l'insegna di un club per soli uomini, in un campo di
girasoli lasciati seccare al sole, davanti a un ritratto di Malcom X,
lontanissimo eroe di un tempo che fu perché, spiega Gaialight, con un garrulo
tono che contrasta con la durezza di ciò che dice: «Detroit è bellissima ma
cadente: la crisi dell'auto l'ha messa in ginocchio. È là che si vede la
miseria autentica dell'America di oggi e io volevo tirarla fuori». Il premio
Oscar Michael Moore tutto questo l'aveva preventivato anni fa, con il suo primo
lungometraggio, Roger and me in cui, da bravo cittadino, cercava invano le
ragioni della crisi della GM, tentando di intervistare il capo della fabbrica,
mister Roger, appunto.
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( da "Stampa, La" del
07-06-2009)
Argomenti: Obama
Il
Wall Street Journal su Chrysler «Obama ha venduto
troppo in fretta» La Casa Bianca avrebbe chiuso troppo in fretta il dossier
Chrysler. L'accusa viene dal Wall Street Journal, che cita una serie di email
messe agli atti nella causa dei fondi pensione dell'Indiana contro la vendita a
Fiat, che domani portrebbero presentare appello alla Corte Superama. Gli advisor avrebbero ritenuto «la
migliore alternativa» una fusione con Gm. Fra le preoccupazioni di Washington
c'era anche quella - testimoniata da una email dell'ad di Chrysler Bob Nardelli
- di un possibile «impatto negativo» dello sbarco di Fiat negli Usa su Ford e
Gm. Il Tesoro spiega di aver fugato ogni dubbio nella settimana decisiva, convincendosi
che l'azienda non solo è stabile, ma forte».
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( da "Stampa, La" del
07-06-2009)
Argomenti: Obama
GITA
A PARIGI Con Sasha e Malia a Notre Dame Barack Obama con la
moglie Michelle e le figliolette Sasha e Malia - nella loro prima visita
all'estero in qualità di «first daughters» - ha visitato ieri sera la
cattedrale Notre Dame di Parigi. Il corteo presidenziale sotto alta protezione,
preceduto da una decina di motociclisti, è giunto sul grande sagrato della
cattedrale,
evacuato dalla polizia. Gli Obama hanno poi cenato in
un ristorante parigino e dormito alla residenza dell'ambasciatore americano a
Parigi, nella prestigiosa rue du Fabourg Saint Honoré vicino al palazzo
dell'Eliseo. Oggi è prevista una visita al museo d'arte moderna del centro
Georges-Pompidou. Poi Barack dovrebbe ripartire per Washington mentre Michelle,
Malia e Sasha - che compie oggi 8 anni - restano fino a domani, a visitare il
Louvre e fare shopping con Carla Bruni.
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( da "Stampa, La" del
07-06-2009)
Argomenti: Obama
È
stata la prima volta di Obama,
ovviamente. Ma ci si poteva aspettare che seguisse il solco tracciato dai suoi
predecessori. Da 25 anni, infatti, i presidenti americani usano la
commemorazione dello sbarco in Normandia per lanciare molteplici messaggi.
Onorano i veterani e ricordano i caduti nell'occasione in cui il patriottismo
americano risulta più altruista che nazionalista, perché sostiene ideali di libertà
condivisi se non universali. Da Clinton in poi, in particolare, costruiscono
una memoria pubblica delle proprie radici per le generazioni postbelliche ormai
giunte alla guida del paese. Rinsaldano il legame emotivo e ideale tra Europa e
Stati Uniti, celebrando il momento più emblematico del soccorso americano che
aiutò l'Europa a emanciparsi dalla sua storia più tragica e oppressiva. E ci
ricordano il volto più benevolo e gradito della leadership statunitense, quello
dei liberatori che consentirono alle nostre società una rigenerazione pacifica
e democratica. Cinque anni fa, quando Bush e Chirac si ritrovarono dopo l'aspra
rottura sulla guerra in Iraq, la commemorazione dello sbarco cercò di temperare
l'immagine di bellicoso unilateralismo che pervadeva la critica europea agli
Usa e servì a riaprire il dialogo attraverso l'Atlantico. Non è sempre stato
così. L'operazione Overlord fu l'epicentro della memoria di guerra per
americani e britannici, che nel 1962 ne diedero una rappresentazione epica con
il film «Il giorno più lungo». Ma per tutta la guerra fredda il luogo deputato
a celebrare la liberazione americana dell'Europa - e riaffermare la saldezza
dell'Occidente atlantico - fu un altro, lontano dalle spiagge della Manica:
Berlino. Fu nella capitale tedesca, con il ponte aereo lanciato da Truman nel
1948-49, che sorse l'immagine di una libertà occidentale contrapposta al
dominio sovietico. John Kennedy la riaffermò quindici anni dopo, davanti al
Muro che sigillava brutalmente la «cortina di ferro». E Ronald Reagan vi tornò
nel 1987 per incitare il Cremlino all'ultimo passo per concludere una guerra
fredda ormai al tramonto: «Signor Gorbaciov, abbatta questo muro!». Ma proprio
Reagan era sceso in Normandia, appena tre anni prima, per fare di quella
battaglia lo snodo simbolico tra passato e presente. Nelle commemorazioni del
1984 aveva esaltato l'eroismo di chi aveva «aiutato a liberare un continente»,
consentendo all'anziano presidente di «celebrare il trionfo della democrazia».
Ma in quel momento Reagan stava anche spostando la sua battaglia retorica
contro il comunismo sovietico dall'attacco frontale al tentativo di riaprire un
dialogo. Usò perciò l'occasione per richiamare anche il «prezzo terribile»
pagato dai sovietici nella Seconda guerra mondiale, e invitarli a una
«riconciliazione» in nome del comune «desiderio di pace». Il simbolo del
trionfo americano nella guerra contro il nazismo diveniva così il trampolino
per auspicare la fine della guerra fredda. Il D-Day diventava ciò che è rimasto
fino a oggi: il momento emblematico non della forza ma della collaborazione, il
luogo in cui la potenza americana si proclama innanzitutto amica e alleata. Obama è arrivato in Normandia dopo il discorso del Cairo,
dove ha invitato Islam e Occidente ad archiviare lo spirito nefasto del
conflitto di civiltà per trovare un «terreno comune». E dopo la visita al campo
di concentramento di Buchenwald, dove ha richiamato la necessità della verità
storica contro chi la nega o la stravolge. Non aveva più bisogno di un palco da
cui affrontare i dilemmi attuali, illustrare le sue strategie o riforgiare
legami di alleanza. Tutta la sua presidenza, e la sua stessa persona,
dichiarano l'intenzione di riaffidare agli Stati Uniti un ruolo collaborativo;
di sciogliere i nodi internazionali e domestici con nuove forme di cooperazione
che superino gli steccati più consolidati; di travalicare la dinamica delle
ostilità contrapposte per individuare soluzioni pragmatiche e condivise. Non è
detto che ciò riesca a gettare le basi di una diplomazia efficace e vincente.
Ma gli ha permesso di sorprenderci, ieri, limitandosi a una pura
commemorazione, toccante ma sobria. Senza dover ribadire il legame
euro-americano, che è solido ma anche meno cruciale, o l'impegno degli Stati
Uniti per questa o quella sfida. La determinazione degli uomini del D-Day è
ispirazione per il presente - ha detto - la libertà per cui si batterono è la
nostra bussola. Ma quell'evento non è più metafora delle nostre battaglie. E'
storia. Da ricordare più che da usare. Così da non abusarne. L'autore insegna
al Dipartimento di Studi Storici e Geografici dell'Università di Firenze
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( da "Stampa, La" del
07-06-2009)
Argomenti: Obama
Fiori d'arancio
alla Casa Bianca Francia galeotta per due funzionari della Casa Bianca. Durante
il viaggio presidenziale Tommy Vietor, addetto stampa di Obama, ha chiesto la mano di Katie
McCormick-Lelyveld, sua collega al seguito della first lady Michelle.«Obamàs
Beach» «Obamàs Beach». Ops. «Omaha Beach». Sarà colpa dello stress elettorale,
sarà che il lapsus era proprio dietro l'angolo, ma alla fine a confondere la spiaggia
del D-day con il cognome del presidente Usa è stato il primo ministro
britannico Gordon Brown. Il soldato Ryan di colore Il vero protagonista
della giornata di ieri è stato William G. Dabney, ultimo reduce dell'unico
battaglione di soli soldati di colore che partecipò allo sbarco in Normandia.
Il primo presidente afroamericano della storia l'ha voluto al suo fianco.
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( da "Repubblica, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
1 - Prima Pagina Obama e Sarkozy: fermiamo l´atomica di
Iran e Corea del Nord SEGUE A PAGINA
10
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( da "Repubblica, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 1 - Prima
Pagina LA PASSIONE E IL GHIACCIO BERNARDO VALLI A un occhio europeo, neppure
tanto accorto, che abbia seguito nelle ultime ore il suo viaggio, dall´Arabia
Saudita alla Normandia, passando per il Cairo e Buchenwald, non può essere sfuggito come nell´atteggiamento di Barack Obama convivano, alternandosi, slanci
passionali, rivelatori di un forte impegno, anche sentimentale, e momenti di
distacco, come se sul suo sguardo calasse all´improvviso un´invisibile cortina
di indifferenza. A volte di ghiaccio. SEGUE A PAGINA
25
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( da "Repubblica, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 8 - Esteri
Effetto Strasburgo, Brown trema il premier inglese si gioca tutto Londra vive
come un referendum i risultati di stasera L´Europa DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA - E´ il giorno più lungo per l´Europa: dalle 15 di ieri fino alle 22 di
stasera, e ancora da prima contando le votazioni di giovedì in Gran Bretagna e
Olanda e di venerdì in Irlanda, si vota nei 27 paesi della Ue, dal Circolo
Polare Artico fino al mar Egeo, dall´Atlantico alla frontiera della Russia, per
dare un parlamento comune a 500 milioni di cittadini. E´ il «giorno più lungo»
nella storia d´Europa, con il presidente Obama, il
principe Carlo d´Inghilterra, il francese Sarkozy, riuniti a commemorare il
65esimo anniversario del D-day sulle spiagge di Normandia: coincidenza che
sottolinea quanto sia diversa, l´odierna Unione Europea, dal continente che i
veterani ottuagenari con il petto coperto di medaglie cominciarono a liberare
il 6 giugno `44. Ed è il giorno più lungo per Gordon Brown, primo ministro
britannico, il leader europeo che più di ogni altro vive il voto di queste ore
come un referendum: se lunedì, quando saranno noti i risultati, il suo Labour
subirà un collasso peggiore di quello sofferto nelle amministrative, la sua
sorte potrebbe essere segnata. E´ andato pure lui ieri alle celebrazioni in
Normandia, per cercare sollievo nell´epica del D-day, ma gli è andata male
anche lì: era così nervoso che nel suo discorso ha fatto una gaffe, chiamando
la spiaggia dello sbarco «Obama Beach», come il
presidente americano, anziché Omaha Beach; e alcuni veterani britannici l´hanno
fischiato, addossandogli la responsabilità del pasticcio diplomatico che ha
fatto restare a casa la regina Elisabetta. E´ stata, per lui, una settimana
senza respiro. Giovedì, nelle amministrative tenute in Inghilterra insieme alle
europee, i laburisti hanno subito la peggiore sconfitta del dopoguerra: hanno
perso le roccaforti storiche, hanno visto vanificarsi dalla mappa politica il
rosso, il loro colore, sostituito dalla marea blu dei conservatori. A ciò si
aggiungono le dimissioni di una decina di ministri e vice-ministri, un gesto di
sfiducia verso il premier; e la raccolta di firme di una fronda di deputati del
Labour, per imporre una votazione sulla leadership del partito, nella
convinzione che chiunque avrebbe migliori chances di Brown nelle legislative
dell´anno prossimo. «Gordon non può vincere», avrebbe scritto in una e.mail
perfino il suo braccio destro Peter Mandelson, secondo rivelazioni del News of
the World. Il rimpasto di governo compiuto questa settimana gli ha evitato
immediate dimissioni. Ma le indiscrezioni dicono che, se il Labour scenderà
sotto il 20 per cento nelle europee, i deputati ribelli raccoglieranno
abbastanza firme per indire un´altra elezione: quella per un nuovo leader. (e.
f.)
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( da "Repubblica, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 22 -
Economia "Opel-Magna, un piano pericoloso" Report McKinsey, crescono
i dubbi a Berlino. Berlusconi: partita aperta Chrysler, il
Wall Street Journal attacca Obama: "Ha forzato l´intesa con gli italiani" SARA BENNEWITZ
MILANO - L´operazione Magna Opel presenta numerose zone grigie tanto che il
governo tedesco potrebbe tornare a riconsiderare l´offerta avanzata dalla Fiat
di Sergio Marchionne. Secondo una perizia della società di consulenza McKinsey,
commissionata dal governo regionale dell´Assia, il piano di Magna per
Opel presenterebbe infatti non pochi rischi, in quanto «le attese appaiono
ottimistiche e i miglioramenti dei conti aziendali relativi ai costi sono ambiziosi».
Un ulteriore conferma, del fatto che l´offerta di Fiat potrebbe tornare
d´attualità. «La partita per Opel sembra tutt´altro che chiusa - ha detto ieri
Silvio Berlusconi - Il governo che ha già supportato Fiat nell´ultimo anno
continuerà a sostenere l´azienda per salvaguardare gli impianti e i posti di
lavoro in Italia, un impegno che peraltro il dottor Marchionne ha più volte
ribadito e che non dubitiamo vorrà onorare». Nel frattempo, secondo il
settimanale Focus, solo la metà degli 1,5 miliardi concessi dal governo tedesco
ad Opel come garanzia verrà investita in Germania. Nel dettaglio, ai quattro
impianti tedeschi andranno 750 milioni, a quello spagnolo di Saragozza
verrebbero destinati ben 600 milioni e i restanti 150 milioni alla fabbrica inglese
di Vauxhall dove verrà prodotta la nuova Astra. Ma c´è di più, perché se la
metà dei finanziamenti pubblici tedeschi è destinata a essere spesa altrove, di
contro Magna investirebbe ben poche risorse nel rilancio di Opel. Stando alla
ricostruzione di Der Spiegel il consorzio formato dal gruppo austro-canadese e
dalla banca russa Sberbank sarebbe infatti disposto a sottoscrivere
nell´immediato solo un aumento di capitale da 100 milioni. Nel memorandum of
understanding presentano al governo tedesco, Magna e i soci russi avrebbero
dovuto versare nelle casse del gruppo di Ruesselsheim mezzo miliardo di euro.
Ma i restanti 400 milioni a servizio dell´operazione, sarebbero messi a
disposizione di Opel sotto forma di un prestito senza interessi, che solo dopo
negli anni verrebbe trasformato in capitale. E mentre la stampa tedesca diventa
sempre più critica nei confronti dell´operazione Magna-Opel che ha di fatto
escluso il gruppo del Lingotto dalla partita tedesca, quella americana comincia
invece a sollevare dei dubbi sul quella Crysler-Fiat. Secondo il Wall Street
Journal infatti, l´amministrazione Obama avrebbe
«forzato» l´alleanza fra Fiat e il gruppo di Detroit, nonostante «le
preoccupazioni di Chrysler per la solidità finanziaria di Fiat e la sua volontà
di condividere tecnologie».
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( da "Repubblica, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 25 -
Commenti OBAMA, LA PASSIONE E IL GHIACCIO (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) I repentini mutamenti sono dettati dagli
interlocutori e dalle situazioni. Ma non sono quelli di un attore prigioniero
del copione, sono piuttosto quelli di un uomo poco incline a indugi e condiscendenze.
Lo studio di questi atteggiamenti cangianti rivela la gerarchia dei suoi
obiettivi. Durante il suo viaggio, egli ha riservato, non vi è dubbio, al
problema dell´Islam, e in particolare a quello mediorientale, tutta la panoplia
di seduzioni di cui si serve un politico, nel suo caso un intellettuale, un
uomo colto non un volgare populista, ansioso di conquistare il pubblico e di
conseguire al più presto un risultato. Era invece distratto in Europa. Era
profondamente commosso a Buchenwald, certo, e tutt´altro che insensibile nel
commemorare il 65esimo anniversario del D-Day sulla costa normanna. Ma è stato
avaro nel dedicare attenzione ad Angela Merkel e a Nicolas Sarkozy. Ha speso
soltanto poche ore in Germania, e non ha concesso neppure una cena alla coppia
presidenziale francese. Al giornalista che gli ha chiesto perché tanta fretta,
ha spiegato che quando non sarà più presidente, e potrà disporre liberamente
del suo tempo, allora visiterà con calma la capitale francese e passeggerà nel
giardino del Lussemburgo. Più che centellinare la sua attenzione presidenziale
all´Europa, penso che cerchi di non prestarsi all´ambizioso gioco dei leader
europei. I quali vogliono esibire l´"amico Obama".
Il suo grande impegno è altrove. La partita strategica, che qualificherà il
primo mandato, la gioca in Medio Oriente. Il Cairo è stata la tappa principale.
è là che ha pronunciato un discorso paragonabile a quello di Filadelfia dello
scorso anno. Nella città della Pennsilvania affrontò un problema intimo
americano, la questione razziale; nella capitale egiziana ha messo sul tappeto
"lo scontro di civiltà", tra Islam e Occidente, in particolare tra
mondo musulmano e Stati Uniti, che pesa su tutti, a volte come un fantasma a
volte come una brutale realtà. La crisi mediorientale, nel cuore del mondo
musulmano, può essere suddivisa (come fa Gilles Keppel) in tre capitoli. 1) Il
conflitto israelo-palestinese e il suo prolungamento libanese-siriano. 2) Il
dissidio tra produttori di petrolio, in cui si innestano gli antagonismi tra
arabi e iraniani, e tra sunniti e sciiti. 3) La zona Afghanistan-Pakistan
(Afpak) dove la crescita dei talebani minaccia sia le truppe della Nato in
Afghanistan sia la coesione dello Stato pachistano. La
strategia di Obama ricorda
- è stato detto - quella applicata in Estremo Oriente da Henry Kissinger, nei
primi anni Settanta, durante la presidenza Nixon. L´Iran è per Obama quello che era la Cina per
Kissinger. Mentre era in corso la guerra del Viet Nam (ormai persa per gli
americani), Kissinger apri alla Cina di Mao, che di quella guerra era la
retrovia. Così arroventò i già cattivi rapporti tra l´Unione Sovietica e la
Repubblica Popolare; ridusse drasticamente gli aiuti cinesi al Nord Viet Nam; e
si assicurò che il comunismo vittorioso nella penisola indocinese non
contagiasse il resto del Sud Est asiatico. Il quale conobbe infatti un boom
capitalista, che precedette quello nella Cina postmaoista. Barack Obama pensa di poter visitare un giorno la Teheran degli
ayatollah, come Nixon visitò la Pechino dove le "guardie rosse" erano
appena state smobilitate? Le situazioni non sono paragonabili. è vero. I tempi
non sono gli stessi. è altrettanto vero. Neppure i protagonisti si assomigliano.
I pasdaran non sono le guardie rosse. Ma l´intesa con la Cina maoista non fu
meno eccezionale di quella che potrebbe essere un´intesa con l´Iran teocratico.
E un´intesa con la Repubblica degli ayatollah, come accadde con la Cina degli
anni Settanta, potrebbe accendere una dinamica politica capace di risolvere o
ridimensionare la triplice crisi medio orientale. Gli ostacoli sono tanti. C´è
il doppio blocco israelo-palestinese. L´israeliano Netanyahu rifiuta l´idea di
uno Stato palestinese; e i palestinesi sono divisi tra loro nell´atteggiamento
verso Israele. Per la sua dimensione emotiva nel mondo musulmano, la questione
palestinese resta essenziale. Anche se l´antagonismo tra sciiti e sunniti,
quest´ultimi terrorizzati a livello governativo (in Arabia Saudita e in Egitto)
dall´idea che l´Iran abbia un giorno armi nucleari, e il conflitto afghano, che
fragilizza il Pakistan, costituiscono minacce assai più gravi. Un Iran disposto
al dialogo, che si limitasse a un nucleare civile e accettasse i controlli internazionali,
sarebbe un interlocutore prezioso. Potrebbe spegnere la minaccia degli
hezbollah libanesi; influire su Hamas asserragliata a Gaza; e dare un aiuto
essenziale nella lotta contro i talebani (sunniti) in Afghanistan. Potrebbe
contribuire anche a rendere più stabile la situazione politica in Iraq, a
maggioranza sciita. Il discorso del Cairo era rivolto in larga parte all´Iran.
E non stupisce se su Barack Obama, nelle sue tappe
europee, calava una cortina di indifferenza. è probabile che pensasse alle
elezioni del 12 giugno a Teheran, il cui risultato rivelerà la disponibilità o
meno degli ayatollah a trattare con il "diavolo" americano, che
adesso si chiama Obama e non parla più come il suo
predecessore.
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( da "Repubblica, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 30 -
Cultura "Io, rivoluzionario riluttante" Protagonisti la memoria
Vent´anni fa, sulla scia del crollo del Muro e dei regimi comunisti europei,
Praga conobbe la sua "Rivoluzione di velluto", senza spargimento di
sangue. L´uomo che ne fu al centro, lo scrittore VÁclav Havel, che poi ricoprì
per tre volte la carica di presidente, rievoca per noi i giorni cruciali in cui
una folla disarmata scrisse la Storia Io non aspiravo a cariche politiche Mi
sono sentito come in teatro quando sei un attor giovane e si scopre che non ci
sono più gli interpreti principali. E allora che fa l´attor giovane? Sale sul
palcoscenico e dà il meglio di sé NICOLA LOMBARDOZZI PRAGA Birra gelata alle
dieci del mattino. L´ideale per ripensare al passato, tirare qualche bilancio,
scacciare qualche rimpianto. VÁclav Havel sorseggia piano, ritorna a una
mattina di novembre di vent´anni fa. Faceva freddo. La Letna, la collina sulla
Moldava di fronte al vecchio ghetto ebraico, era piena come nessuno l´aveva mai
vista, «nemmeno nelle adunate di partito del Primo maggio». Dicono fossero in
trecentomila, «ma a noi interessava di più contare gli altri, i soldati, la
polizia, quelle truppe speciali che ci avevano già ucciso un sogno ventun anni
prima. Anche allora avrebbero potuto scatenare la violenza, chiudere la pratica
con qualche carica, magari nel sangue. E poi spiegare tutto al mondo attraverso
i giornali e la tv di regime così abili nel manipolare la verità, la storia
stessa. Certo, la gente era tanta e l´entusiasmo cresceva. Mai visti tanti
giovani. Studenti, apprendisti operai, forse anche militari in licenza.
Disarmati però, e lo gridavamo forte: MÁme holé ruce! Abbiamo le mani nude.
Urlavamo contro i comunisti, contro il governo del segretario generale GustÁv
HusÁk, che sicuramente ci stava osservando lassù dal Castello. E quelle
finestre che sembravano chiuse facevano paura. Era appena crollato il Muro a
Berlino, erano successe cose epocali in Polonia, in Ungheria, ma dal Castello
poteva ancora partire un ordine e la nostra speranza sarebbe stata spazzata
via. Insomma lo spettro del ´68 era ancora lì sopra di noi». L´ordine non
arrivò. L´entusiasmo della folla cresceva, gli agenti antisommossa rimanevano
al loro posto indifferenti. Qualcuno sembrava perfino lanciare sguardi di solidarietà
a quei coetanei che si sbracciavano dalla parte opposta della barricata. «Forse
era solo suggestione, vedevamo le cose come volevamo che fossero. Ma fu lì che
ci rendemmo conto che era fatta. Improvvisamente, senza un comando, senza un
perché, il nostro slogan cambiò: Soudruzi, koncime! è finita compagni! è
finita. Venne fuori spontaneo, dal cuore e non fu più mai smentito. Il
traguardo era raggiunto, e questa volta non saremmo più tornati indietro». Il
resto è l´epopea della Rivoluzione di velluto, il corteo di fiaccole e cori che
si sposta nella sera a piazza Venceslao - quella del sacrificio di Jan Palach -
la folla che invoca HÁvel. Lo scrittore dissidente, scarcerato qualche giorno
prima, che prende la parola tra applausi e urla di gioia. Cita Palach, Dubcek,
e poi gli amici arrestati con lui e prima di lui. La gente piange di gioia,
canta e balla fino all´alba per le stesse strade dove i tank di Mosca avevano
cancellato nel sangue la Primavera del ´68. E la voce della folla comincia a
lanciare un altro messaggio ma questa volta senza rabbia, con toni gioiosi da
festa allo stadio: HÁvel na Hrad! Havel al Castello. è di fatto l´acclamazione
popolare alla presidenza della Repubblica, che arriverà ufficialmente solo
qualche settimana dopo. Ma l´autocelebrazione non fa parte del personaggio.
HÁvel se ne accorge, interrompe il racconto, riacquista l´aria da intellettuale
timido e un po´ svagato che è il suo marchio di fabbrica nelle apparizioni
pubbliche. «Che dovevo fare? Io non aspiravo, non ho mai aspirato, a cariche
politiche, non ho fondato partiti né tantomeno creato ideologie. Mi sono
sentito come in teatro quando sei un attor giovane e si scopre che non ci sono
più gli interpreti principali. In quel momento cadeva un blocco di potere,
finiva un´epoca. Sulla scena servivano politici democratici. E dove li trovavi
i politici democratici nella Cecoslovacchia del 1989? Insomma era la classica
situazione storica in cui i grandi cambiamenti politici possono essere fatti
solo dai non politici. E allora che fa l´attor giovane? Sale sul palcoscenico e
dà il meglio di sé». Su quella notte di gloria e di lacrime di commozione i
retroscena si sprecano. HusÁk, si disse, aveva chiesto il parere di Gorbaciov
prima di lanciare l´ordine tanto temuto di sedare la rivolta. Il Cremlino aveva
risposto in maniera molto diversa che nel ´68, invitando i compagni cèchi a non
mettersi contro il popolo e a trattare un´uscita di scena più indolore
possibile. HÁvel riconosce il ruolo importante di Gorbaciov, ma non gli riesce proprio
di considerarlo l´artefice del crollo sovietico. «Non voglio sminuire il suo
ruolo. La glasnost e la perestrojka hanno avviato un processo che ha distrutto
l´impero sovietico, questo è certo. Ma non credo che le mire di Gorbaciov si
spingessero a tanto. Mi è sembrato come un cuoco che vuol fare uscire un po´ di
vapore da una pentola a pressione. Ha sollevato di un tantino il coperchio, ma
questo gli è sfuggito di mano ed è volato via. Insomma, voleva solo dare un po´
di respiro ai popoli oppressi, ma questi sono andati avanti da soli e molto al
di là delle sue previsioni. Se non lo avesse fatto lui, prima o poi lo avrebbe
fatto qualcun altro. In ogni caso è stato bravo a non cedere mai alla
tentazione di usare le maniere forti. Ha evitato spargimenti di sangue e di
questo dobbiamo essergli grati». Adesso VÁclav Havel, dopo tre mandati da
presidente (prima della Cecoslovacchia, poi della Repubblica Ceca dopo la
scissione consensuale con Bratislava), non è del tutto soddisfatto di come sono
andate le cose. Lui nega, minimizza com´è nel suo stile, ma c´è uno spot che si
vede molto in questi giorni per le tv e per i cinema cechi che la dice lunga.
Pubblicizza le manifestazioni per il ventennale della Rivoluzione e lo
interpreta lui stesso vestito da medico, anzi da ostetrico. Porta in una
nursery una nidiata di neonati dormienti. Li sveglia con un battito delle mani
e dice: «Siete nati vent´anni fa. Adesso datevi da fare, tocca a voi». Forse i
giovani del 2009 non le sembrano all´altezza di quelli dell´89? «No, semmai è
un invito a prendere l´iniziativa, anche politica. Non credo che tra le
generazioni ci siano differenze genetiche. Ognuna ha più o meno la stessa
percentuale di intelligenza, di idiozia, di cultura, di senso di
responsabilità. Ma questi giovani, che non hanno vissuto il nostro passato,
sono più leggeri di noi, non devono sopportare quel peso che ci imponeva il
regime comunista, quella totale mancanza di fiducia in noi stessi che ci
paralizzava, quell´assurdo ma profondo complesso di inferiorità nei confronti
dell´Occidente». E a questi giovani lei vorrebbe chiedere di più? «Li vorrei
più impegnati. Proprio l´altro giorno ho tenuto una conferenza davanti a
milleduecento studenti universitari. Tante domande, tanto interesse, ma quando
ho chiesto: chi di voi vuole fare politica attiva?, hanno alzato la mano appena
in tre. D´altra parte è un momento così in tutto il mondo. I nostri giovani,
dei paesi ex comunisti intendo, danno per scontate quelle che sono state
conquiste epocali. Siamo nella Ue, nella Nato, abbiamo una democrazia
parlamentare, libera stampa e libera opinione, alla frontiera non ci viene
nemmeno chiesto di rallentare
A loro sembra tutto
ovvio, ma non è stato così facile. Però non sono pessimista, sento che i valori
morali ci sono, che
l´impegno prima o poi verrà, che la nuova generazione riuscirà a soppiantare la
nostra. Io mi ripeto sempre che solo le nuove leve possono fare cambiamenti
importanti, nel bene o nel male. E mi ripasso mentalmente questa tabella: 1918,
Cecoslovacchia indipendente; 1938, Patto di Monaco e sottomissione al nazismo;
1948, golpe comunista; 1968, la nostra Primavera finita nel sangue; 1989, la
Rivoluzione di velluto. Insomma la cadenza è sempre quella di una generazione».
E che cambiamenti si aspetta? «Vorrei meno miopia, meno tecnocraticismo. I
politici della vecchia guardia pensano solo al prossimo turno elettorale.
Occorre tornare a guardare più lontano, a scadenze di almeno cinquant´anni e
questo solo i giovani possono farlo». E intanto, mentre si pensa al futuro, il
passato, ogni tanto, ritorna: gli ex comunisti vincono spesso le elezioni nei
Paesi dell´ex Patto di Varsavia, anche a Praga i partiti che hanno reclutato
figure quasi dimenticate di comunisti di un tempo, volano nei sondaggi. HÁvel
non sembra preoccupato, gli pare una reazione quasi inevitabile: «La libertà è
faticosa. Molta gente, sotto il regime, si era abituata all´idea che lo Stato
pensasse a tutto e ti seguisse dalla culla alla tomba. Orribile sì, ma dava un
senso di falsa sicurezza che ad ogni difficoltà ti scopri a rimpiangere. A chi
non ha voglia o coraggio di prendere iniziative i comunisti offrono una ricetta
facile facile e, riconosco, molto tentatrice: di te si occuperà lo Stato, non
hai bisogno di preoccuparti e nemmeno di pensare. Quando ero Presidente mi
rinfacciavano i senzatetto nelle periferie. C´è povertà, mi dicevano. Ma non
era vero. Lo sviluppo economico era assai migliore di prima. La verità è che i
senzatetto non si erano mai visti prima per il semplice motivo che lavorare era
obbligatorio. Chi si rifiutava, andava in galera. Sono stato in carcere e ne ho
conosciute di persone di quel tipo». Troppo facile Presidente, non vorrà dire
che non si sono compiuti errori in questi vent´anni di libertà? «Ma certo che
se ne sono fatti. Ci siamo trovati, e altri Paesi molto più di noi, davanti a
turbolenze che non ci saremmo mai aspettati e che abbiamo gestito con
difficoltà. E poi la storia non è finita, come aveva predetto qualcuno, con la
caduta del Muro. Adesso ci sono nuovi pericoli che prima non pensavamo nemmeno
esistessero: i terrorismi, il disastro climatico, le diseguaglianze sociali.
Per questo io aspetto una nuova leva di politici che si prepari a ragionare in
grande». Sembra l´identikit di Obama. La sua elezione ha portato molto entusiasmo e non solo in
America. In fondo un presidente nero alla Casa Bianca era impensabile più o
meno come vent´anni fa un dissidente carcerato insediato nel castello di Praga.
Sorride, finisce la sua birra. «Sì, il paragone regge. Ma nessuno può
fare miracoli. Ho incontrato da poco Obama: mi è
sembrato simpatico, intelligente e soprattutto capace di ascoltare. Cosa che i
politici non fanno quasi mai. Ma con affetto gli ho detto di guardarsi
dall´eccessivo entusiasmo dei suoi sostenitori. Ho visto che in Europa in molti
lo considerano come un nuovo Mosè
In politica, quando ci
si aspetta troppo, si passa bruscamente all´avversione e addirittura all´odio
se qualcosa non va per il verso giusto. Mi sono preso la soddisfazione di dare
un consiglio al fenomeno
del momento, ma credo che lo avesse già capito da solo».
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( da "Repubblica, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina XVII -
Genova Il Mediterraneo strategico culture e politica a
confronto Il discorso di Obama al Cairo ha aperto nuovi scenari, martedì se ne parla a Palazzo
Ducale Dibattito tra esperti legato all´uscita del nuovo numero di
"Limes" RAFFAELE NIRI La suggestione è grande, grande quanto il mare.
Far passare dalla stanza più bella della città - quel Salone del Maggior
Consiglio di Palazzo Ducale che otto anni fa ospitò i Grandi della Terra -
un po´ di quel confronto politico che, a partire dall´intervento al Cairo di
Barak Obama, sta scuotendo il mondo. «Noi visti
dall´altra sponda» è il tema che metterà a confronto (l´appuntamento è alle
17,45 di martedì 9 giugno, ovviamente a Palazzo Ducale) giornalisti ed esperti
dei paesi nordafricani, del vicino oriente ed italiani, in occasione
dell´uscita del numero di Limes dedicato al Mediterraneo. Star del dibattito
sarà Rafik Abdessalam, che è direttore del Centro Studi Strategici di Al
Jazeera, uno degli uomini chiave della sua organizzazione (il Centro studi
strategici è, tradizionalmente, un ruolo assolutamente centrale). Con lui si
confronteranno il presidente dell´associazione giovani musulmani d´Italia Osama
al Saghir, il giornalista marocchino di Rai Med Zouhir Louassini e, ancora,
Umberto de Giovannangeli, Lucio Caracciolo e Margherita Paolini (di Limes). Non
si tratta di semplici coincidenze. La grande operazione culturale in corso a
Palazzo Ducale, che mette Genova al centro di una operazione di «comprensione
dell´altro», può essere letta con mille chiavi diverse: «Solo il Mediterraneo
ci salverà» è la tesi portante del nuovo numero di Limes (che sarà in edicola
da domani) ed è la tesi sviluppata in questi mesi da «Mediterranea, voci tra le
sponde» che ha visto gli interventi di decine di esperti in tutti i campi
(dalla cultura all´economia, dalla musica al teatro, dalla sociologia alla
demografia). Ma è lo stesso discorso che vede sempre più Genova «ponte» col
Mediterraneo e snodo cruciale per logistica e trasporti. Ma è lo stesso
discorso della Moschea, lo stesso discorso del confronto tra le religioni
attuato con la nascita della Consulta tra le religioni, lo stesso discorso
dell´integrazione dei «nuovi genovesi». Un ruolo, quello genovese, che viene
riconosciuto anche da un´importante centro di pensiero, com´è Limes, la rivista
italiana di geopolitica, che ha intitolato il suo quaderno speciale «Il mare
nostro è degli altri». «E´ il mare nostrum come cerniera fragile dei traffici
marittimi globali - sintetizza Margherita Paolini, relattice al convegno - I
colossi del trasporto e le società terminaliste si contendono fette di mercato
nei flussi di container che segnano gli scambi tra Asia ed Europa: l´Italia
rischia di restare ai margini». Il Mediterraneo è centrale (anche) nel nuovo
mondo, Genova è centrale rispetto al Mediterraneo, Palazzo Ducale è centrale
rispetto a Genova: gli elementi di suggestione non mancano, le premesse per
l´ennesimo confronto alto ci sono tutte.
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( da "Repubblica, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina III -
Firenze La crisi Il caso Noemi "In Italia c´è voglia di cambiare Firenze
può aprire la strada" La provocazione di Schiavone: in crisi il
berlusconismo La chance del futuro In questa campagna elettorale non se n´è
parlato, mentre nel resto del mondo si cercano delle soluzioni Spettacolo
desolante, il premier dà un esempio unico di dismisura privata, di eccesso in
ogni senso «Non credo che l´astensione sarà alta, voglio sperare che alla fine
di questa difficile campagna prevarrà il senso di responsabilità degli
elettori, a Firenze come ovunque. Perché se c´è una cosa di cui non si è
parlato è la crisi economica, i cui effetti devastanti devono ancora farsi
sentire». Aldo Schiavone, direttore dell´Istituto di Scienze Umane di Firenze,
ha da poco pubblicato un libro di analisi politica intitolato La democrazia
stressata, dove ipotizza un cambiamento in vista per l´Italia. «Penso che la
parabola del berlusconismo abbia raggiunto l´apice e stia iniziando la fase
discendente», spiega Schiavone. «Il paese ha bisogno di sentirsi fare un altro
racconto, diverso da quello che ha ascoltato finora sull´arricchimento privato,
l´individualismo che produce il vuoto intorno a sé, un fenomeno che definirei
"anarchico", sintetizzato nell´aspirazione a non pagare le tasse.
L´Italia oggi ha bisogno di sentirsi dire altre cose, sono quindici anni che il
premier costruisce una realtà avvitata sul suo successo personale». Ma il Pd
sta facendo abbastanza per marcare la differenza oppure sbaglia qualcosa? «Il
Pd ha molti problemi alle spalle ma considero la scelta di far nascere questo
partito un elemento di salvezza per la storia della sinistra italiana e della
vita politica italiana. C´era e c´è un bisogno fortissimo di cambiare ma
bisogna dare tempo al Pd. In questo senso Firenze viaggia più veloce e può dare
un esempio. Renzi è la scelta giusta, io l´ho considerata tale fin dall´inizio
e l´ho sostenuta anche alle primarie. Lui è la giovane generazione che prende
in mano il partito, gli dà struttura e sostanza. Basta», osserva Schiavone,
«con il partito degli ex che rivendicano vecchie appartenenze. Il ricambio è
necessario per liberarsi dalle vecchie ipoteche ma c´è bisogno di tempo». La
crisi è stata assente dal dibattito. Secondo il governo, però, la grande paura
è già passata, c´è aria di ripresa. «E invece temo che siamo appena agli inizi,
la crisi economica sta diventando in tutto l´Occidente crisi sociale, lo diceva
Draghi pochi giorni fa parlando dei precari che non hanno garanzie e
protezioni». Nascondere la testa sotto la sabbia non ha senso, osserva lo
studioso: «E´ incredibile come il tema della crisi sia totalmente mancato. Il
presidente del Consiglio ha avuto un atteggiamento irresponsabile, continua a
dire che deve passare la nottata e che comunque si è fatto tutto quello che si
doveva fare. E mentre qui si sbandiera ottimismo, in altri paesi stanno
ripensando i modelli di sviluppo, Obama cerca di rendere persuasivo un diverso stile di vita collettiva,
si cercano soluzioni. Solo da noi non accade niente di tutto questo». Il
dibattito politico però ha assunto toni aspri, molte accuse da una parte e
dall´altra, il caso Noemi ha portato dietro di sé una lunga scia di avvenimenti
poco chiari. «Davvero uno spettacolo desolante», commenta Schiavone.
«Quando dal resto del mondo giungono appelli alla sobrietà e alla moderazione
Berlusconi dà un esempio unico di dismisura privata, di eccesso in ogni senso».
Perché votare oggi è importante professore? «Oggi bisogna votare con la ragione
e non con il cuore e bisogna votare Pd perché solo in questo modo riusciremo a
sfatare il mito di Berlusconi come presenza totalizzante per l´Italia. E nelle
città importanti come Firenze e Bologna, dove esiste un contropotere radicato
nella società, è essenziale che il centrosinistra vinca e vinca bene per tenere
vivo il ruolo di queste roccaforti. Che dimostrano come l´Italia non sia
riconducibile solo a una persona: i paesi con poteri troppo sbilanciati sono un
male per la democrazia». (s. p.)
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( da "Repubblica, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 10 - Esteri Obama sulle
spiagge del D-Day "Il corso della Storia si può cambiare" E lancia un
monito a Iran e Corea del Nord Il dramma di Jim Norene, morto dopo essere
tornato a visitare il campo di battaglia "Teheran potenza atomica sarebbe
un pericolo e il caso Pyongyang va preso sul serio" Il presidente Usa:
"Quel giorno, 65 anni fa, venne cambiato il corso del XX
secolo" ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato COLLEVILLE-SUR-MER - è
il giorno che «ha cambiato il corso del ventesimo secolo». Barack Obama parla davanti a centinaia di veterani, di fronte ha il
prato verde coperto da novemila croci bianche, il mare è sullo sfondo. Nel
viaggio della speranza e della memoria che lo ha portato da Riad al Cairo, da
Buchenwald alla Normandia, il cimitero militare americano e la spiaggia del D-
Day sono il luogo simbolico ideale per lanciare il messaggio conclusivo,
utillizzando ancora una volta la storia passata per affrontare le sfide di oggi
e ipotizzare un futuro migliore. «Allora non lo si poteva sapere, ma molti dei
progressi che hanno definito il ventesimo secolo, sulle due sponde
dell´Atlantico, hanno preso il via dalla battaglia per una spiaggia lunga sei
miglia e larga tre». Omaha Beach è proprio lì sotto, una striscia di sabbia
dove migliaia di soldati americani diedero la vita per riportare in Europa le
libertà fondamentali calpestate dal nazifascismo, e ad ascoltare Obama oggi ci sono i loro compagni, i fortunati che su
quella spiaggia passarono indenni. Si rivolge a loro, ma le sue parole sono
indirizzate al mondo intero: «Voi ci ricordate che alla fine il destino umano
non è determinato da forze fuori dal nostro controllo. Voi ci ricordate che il
nostro futuro non è determinato solo dal caso o da circostanze. La nostra
storia è sempre stata la somma di scelte fatte e di azioni intraprese da ogni
individuo, da uomini e da donne». Perché quella di 65 anni fa fu una battaglia
per salvare il mondo «dal male e dalla tirannia» e ha reso possibile le
vittorie che sono venute dopo la liberazione dell´Europa: «il piano Marshall,
la Nato, la prosperità e la sicurezza». Come nel "discorso
all´Islam", come nel ricordo degli orrori di Buchenwald, anche lo sbarco
in Normandia serve al presidente americano per parlare di oggi. Viviamo in un
mondo di valori «in competizione tra loro» e in mezzo ai dubbi «su quale sia la
verità». In questo mondo è difficile che emerga «qualche cosa di universale per
tutta l´umanità», come invece è accaduto durante la Seconda guerra mondiale.
«Nessun uomo che ha diviso il sangue o ha perso un fratello può dire che la
guerra sia un bene», ma tutti sappiamo che «quella guerra è stata essenziale»,
perché combattere il totalitarismo nazista non era solo una questione di
«interessi contrastanti», ma una differente «visione dell´umanità». L´ideologia
hitleriana voleva «soggiogare, umiliare, sterminare», ha compiuto omicidi «in
scala massiccia» alimentata dall´odio verso coloro che erano considerati
«diversi ed inferiori». Lo sguardo adesso è rivolto verso le croci in marmo
bianco su cui sono impressi i nomi dei novemila caduti americani, i
ringraziamenti sono per quegli uomini ormai anziani (molti in sedia a rotelle)
che circondano il palco, il messaggio è universale: «Amici e veterani, ciò che
non possiamo né dobbiamo dimenticare è che lo sbarco è stato un momento in cui
il coraggio e la generosità di alcuni hanno permesso di cambiare il corso di un
secolo intero. Nelle peggiori circostanze e nel momento di massimo pericolo,
persone che si credevano ordinarie hanno trovato in sé stesse la forza per
compiere qualcosa di straordinario». Parla di Jim Norene, ex paracadutista
della 101esima Divisione Aviotrasportata, morto alcune ore prima dopo essere
giunto apposta dagli Usa («anche se gravemente malato») per partecipare alla
cerimonia; cita i suoi familiari: il nonno materno Stanley Dunham «giunto su
questa spiaggia sei settimane dopo il D-Day» e il prozio Charles Payne, uno di
quelli che liberò Buchenwald e ieri presente in Normandia. Prima di lui avevano
parlato gli altri leader presenti. Sarkozy, con un lungo, dettagliato e anche
commovente racconto di quanto accadde il 6 giugno 1944, chiuso dall´evocazione
del «lungo e difficile cammino» che ci aspetta oggi e da una curiosa
autocensura: rispetto al testo scritto dato ai giornalisti pochi minuti prima,
il presidente francese ha infatti tagliato (forse timoroso di irritare
l´ospite) questa frase: «Cosa sarà il mondo se un capitalismo di speculazione e
rendita distrugge il posto di lavoro di milioni di persone?». La giornata di Obama in Normandia era iniziata con un faccia a faccia con
Sarkozy a Caen. Dal presidente francese ha ottenuto (come in Germania dal
Cancelliere Angela Merkel) appoggio alla politica Usa in Medio Oriente e al
rilancio del processo di pace che punti alla soluzione dei «due Stati», mentre
sono rimaste le divergenze sull´ingresso della Turchia in Europa. Francia e
Stati Uniti sono invece «mano nella mano» (lo dice Sarkozy) sul nucleare
iraniano. Un´Iran potenza atomica sarebbe «estremamente pericoloso», dice Obama e il presidente francese concorda: se gli iraniani
«hanno volontà pacifiche, allora che accettino i controlli». Infine la Corea
del Nord, le cui attività nucleari per il presidente americano sono
«straordinariamente provocatorie»; la comunità internazionale dovrà «esaminarle
molto seriamente».
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( da "Repubblica, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 11 -
Esteri La storia Parigi galeotta per lo staff fidanzamento tra collaboratori
Anche gli addetti stampa hanno un cuore e non c´è niente di meglio che
dimostrarlo durante un viaggio per lavoro a Parigi. Il viaggio di Barack Obama nella capitale è stato
un´occasione d´oro per Tommy Vietor, uno degli addetti stampa del presidente,
per fare alla fidanzata la proposta di matrimonio che ogni donna americana
sogna, con tanto di effetto sorpresa. Katie McCormick-Lelyveld, addetta stampa
di Michelle Obama, si è
vista così consegnare l´anello con diamante nella città che gli americani
considerano la più romantica al mondo. Lo staff del presidente ha
contribuito alla sorpresa, convocando ieri mattina presto Katie
McCormick-Lelyveld in tutta urgenza all´ambasciata americana a Parigi con la
scusa di un incarico con le figlie di Obama, Malia e
Sasha. Ad attendere l´addetta stampa non erano le due ragazzine, ma il
fidanzato, che a sua insaputa aveva preso un volo venerdì pomeriggio da
Washington ed era arrivato a Parigi di primo mattino, giusto in tempo per
preparare la messa in scena. La fidanzata non è stata l´unica a rimanere senza
parole per l´iniziativa di Vietor. L´addetto stampa non aveva infatti detto
nulla al suo diretto superiore, Robert Gibbs, e nulla sapeva di rimando il
presidente. Quando la storia è venuta fuori in conferenza stampa, Gibbs è
rimasto spiazzato dalle domande dei giornalisti, mentre Barack Obama ha dato la sua approvazione affermando compiaciuto:
«Bella mossa».
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( da "Repubblica, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 11 -
Esteri Michelle, baci e sorrisi con Carla ma il tour a Parigi lo fa da sola Gli
Obama negano cene ufficiali e spazi elettorali ai
Sarkozy L´Eliseo approva il discorso del Cairo, anche sul velo. "Ma non
negli uffici pubblici francesi" Barack e la Francia: "Passerò più
tempo a Parigi quando avrò lasciato la Casa Bianca" GIAMPIERO MARTINOTTI
dal nostro corrispondente PARIGI - Carla e Michelle, tutt´e due vestite di
bianco, non hanno lesinato i baci, gli abbracci, i sorrisi. Hanno dato il
massimo per dimostrare che l´amicizia fra i due presidenti è anche un´amicizia
personale che coinvolge mogli e le famiglie. La realtà, tuttavia, è più
complessa: Parigi e Washington non sono sulla stessa lunghezza d´onda su molti
argomenti, la ripresa in mano da parte della Casa Bianca dei grandi dossier
internazionali emargina l´Eliseo. Come se non bastasse, Obama
si è ben guardato dal regalare ai Sarkozy il piacere di una cena a 4 in un ristorante parigino.
Il presidente francese ci teneva molto, ma quello statunitense non aveva voglia
di prestarsi a un gioco un po´ troppo elettoralistico alla vigilia delle
europee. E gli Obama se ne sono stati per conto loro: venerdì sera la Casa Bianca ha
chiesto espressamente il minimo previsto dal protocollo per accogliere Obama a Orly (c´era solo il ministro
degli Esteri, Bernard Kouchner) e ieri sera la famiglia ha visitato Notre-Dame.
Stamani, anche se mancano conferme ufficiali, gli Obama
dovrebbero andare al Beaubourg. Poi il presidente partirà per Washington,
mentre moglie e figlie resteranno fino a domani (oggi è il compleanno di Sasha,
8 anni) e andranno all´Eliseo. Sarkozy ha negato qualsiasi screzio durante il
briefing tenuto a Caen dopo un colloquio di quasi un´ora: «Pensate che non
abbia altro da fare che belle foto su carta patinata?», ha risposto ai
giornalisti con un tono irritato. E Obama ha cercato
di dargli manforte: «I buoni amici non si preoccupano dei simboli e del
protocollo. Gli Stati Uniti sono amici fondamentali della Francia e viceversa,
considero personalmente Sarkozy come un amico». Ma al tempo stesso è sembrato
un tantino condiscendente: «Mi sarebbe piaciuto passare una settimana rilassata
a Parigi. Passerò più tempo in Francia quando avrò lasciato la Casa Bianca». Un
altro elemento avvalora l´idea che Obama non volesse
farsi fotografare con i Sarkozy: il presidente americano ha cercato di avere un
appuntamento con Jacques Chirac per una visita privata al museo del quai
Branly, voluto e fatto costruire dall´ex presidente. L´incontro non c´è stato
per motivi pratici: Chirac è a Venezia ed era pronto a rientrare, ma non è
stato trovato un orario che convenisse a entrambi. La cosa non è piaciuta
all´Eliseo, che in marzo era già stato irritato da un caloroso messaggio di Obama a Chirac. La volontà di non essere strumentalizzato
alla vigilia del voto europeo ha dettato il comportamento di Obama.
Ma ci sono altri motivi. Non tanto quelli ufficiali e noti, come il diverso
approccio sull´ingresso della Turchia nell´Ue o la questione del velo islamico.
Poco prima, Sarkozy aveva definito "molto importante" il discorso di Obama al Cairo, sottoscrivendolo in toto, compresa la
questione del velo. Ha aggiunto però che il principio della laicità dello stato
francese resta intoccabile. Niente capelli coperti, dunque, per le funzionarie
pubbliche o «le ragazze costrette dal loro ambiente». Tra la Casa Bianca e
l´Eliseo resta anche un dissapore per la questione del mancato invio di
rinforzi francesi in Afghanistan, mentre i diplomatici francesi sottolineano la
concorrenza dei due Paesi per la vendita di armi nell´area del Golfo («Obama è molto bravo nel difendere gli interessi nazionali»)
e l´emarginazione degli europei, Sarkozy in testa, nel Medio Oriente («gli Usa
hanno ripreso in mano tutti i dossier, compresi quello iraniano e siriano»).
Tutto ciò spiega perché Obama abbia preferito non
andare a cena con i Sarkozy. «Posso chiamarlo al telefono quando voglio», ha
detto il presidente Usa. Ma sa meglio di altri quanto contino le immagini e ha
rifiutato di prestarsi al gioco delle due coppie a cena, magari a lume di
candela.
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( da "Repubblica, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 6 -
Interni Il 15 giugno La Casa Bianca conferma Berlusconi
vedrà Obama WASHINGTON -
Dopo le notizie anticipate da Silvio Berlusconi, arriva l´annuncio ufficiale
dalla Casa Bianca: il presidente Barack Obama riceverà il presidente del Consiglio italiano a Washington
lunedì 15 giugno prossimo. «Stati Uniti e Italia, alleati della Nato, hanno
forti relazioni bilaterali e sono partner nel mondo per promuovere pace,
prosperità e libertà democratiche», si legge nella nota della Casa Bianca.
L´incontro - aggiunge la nota - servirà altresì a discutere la preparazione del
summit del G-8 che avrà luogo in Italia a L´Aquila. Berlusconi ieri aveva
commentato: «C´è una grande sintonia dell´Italia con la politica estera di Obama»
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(sezione: Obama)
( da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 07/06/2009 - pag: 3 Massimo Calearo «Richiamo
sacrosanto Il governo è assente» ROMA «Brava Marcegaglia! Dice quello che gli
imprenditori pensano: foto, veline, amanti non fanno bene all'Italia», dice
Massimo Calearo, produttore di antenne, già presidente degli industriali di
Vicenza, deputato del Partito democratico. Non fanno bene all'Italia... «All'estero hanno Barack Obama, Angela Merkel. Noi sembra che viviamo in un continuo Drivein,
la trasmissione degli Anni 80 con ballerine svestite. Già facciamo fatica ad
esportare, figuriamoci con questa fama». Tornare ai problemi veri, quindi. «Ci
sono aziende che chiudono, operai che vanno in cassa integrazione. Il
Governatore Mario Draghi dà cifre terribili sui posti di lavoro perduti e chi
ci governa pare vivere dentro la casa del Grande Fratello. Prima o poi la
situazione scoppia». Anche l'opposizione ha parlato tanto di feste e di
minorenni. «Io l'ho detto a Dario Franceschini: parla di ciò che interessa,
lascia perdere 'ste cose... Alla gente dei fatti personali del premier non
importa nulla. Temo che Franceschini capisca poco il Nord». Quali sono i
problemi veri? «Le imprese non vivono di boutades o di promesse, ma di ordini,
consegne, pagamenti». E allora? «Il governo aveva promesso aiuti delle banche
alle piccole imprese: non sono ancora arrivati. Aveva parlato di pagamenti
veloci da parte della Pubblica amministrazione: non ancora realizzato. Aveva
annunciato la partenza delle Grandi opere: data prevista 2013...». Altre
richieste? «A giugno le imprese dovranno pagare il 40 per cento delle tasse.
Avevamo chiesto che fosse solo il 20: niente da fare. Adesso almeno imporrei ai
Comuni di pagare da domani le imprese locali per i lavori che ci sono da fare».
Dal governo è venuto qualcosa di buono? «Il ministro Renato Brunetta, che ha
ridotto i malati immaginari solo mettendo paura». Questa «bruttissima» campagna
elettorale avrà effetti sul voto? «Distinguiamo: chi sta davanti alla tv a
guardare fiction e legge poco i giornali voterà ancora Pdl». E gli altri? Un
importante amico imprenditore mi ha detto: c'è un limite a tutto, il Pdl fra
Noemi e le gaffe ripetute del premier non si può più votare: all'estero veniamo
umiliati. Ma non posso votare neanche il Pd: siete ancora comunisti ». Di
conseguenza? «Gli imprenditori del Veneto sono in gran parte moderati o di
centro. Qui piacerebbe un movimento moderato alleato con l'Udc, come quello di
Lorenzo Dellai in Trentino. Ma non c'è: sceglieranno Lega». Cosa trascina verso
la Lega? «Il fatto che riesca ad essere di lotta e di governo. E poi è un
partito strutturato, solido. Come il Pci di una volta». Drive-in «Con aziende
che chiudono noi sembriamo un Drive-in» Andrea Garibaldi
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(sezione: Obama)
( da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 07/06/2009 - pag: 3 Guidalberto Guidi «Ma il
vespaio è colpa di chi attacca il premier» ROMA «Brava Marcegaglia! Non si può
che darle ragione. Io non mi interesso di gossip e ragazze, valuto un governo
per quello che fa, per come risponde ai problemi », dice Guidalberto Guidi,
titolare della Ducati Energia e presidente della Federazione nazionale che
raccoglie 1200 imprese elettrotecniche. La ricreazione è finita, ha detto
Marcegaglia. Chi l'aveva chiamata? «Chi è andato all'attacco di Berlusconi,
suscitando questo bel vespaio. Avrebbero fatto meglio a parlare di Europa,
visto che molti problemi nascono in Europa. Ma spesso i candidati alle Europee
sono ex sindacalisti ed ex politici trombati». Sanno poco di Europa? «Poco o
niente. Invece sarebbe ora di cominciare a discutere dei signori della Banca
centrale europea, che continuano a preoccuparsi solo dell'inflazione. Sono come
un circolo di lettori su Marte, e fanno grossi danni». Per colpa delle ragazze
attorno al premier si parla male di noi nel mondo? «Ma no! Io giro
continuamente, faccio 120 ore di volo l'anno. Queste storie durano al massimo
una settimana, non mi sembra abbiano gettato discredito sull'Italia. Nel mondo si discute di Obama, dell'islam, dei test nucleari in Corea, del prezzo del barile
di petrolio... ». Della crisi economica. «Esatto. I primi cinque mesi 2009 sono
stati un massacro: i più fortunati hanno avuto un calo del fatturato del 20 per
cento, i meno fortunati del 50 per cento. Però all'orizzonte si scorge
qualche piccolo segnale positivo». E il governo può dare una mano? «Il governo
ha già fatto qualcosa. Ha tranquillizzato in fretta il Paese sulla situazione
delle banche. Ha lavorato bene sugli aiuti al welfare. Ora tocca agli investimenti
sulle infrastrutture, ci vuole un Piano Marshall». In quali settori? «Il
trasporto pubblico, l'energia elettrica anche con fonti alternative, come il
verde e il nucleare, e il cablaggio del Paese. Arriveranno vantaggi anche dal
decreto legge sulla casa». Che cos'altro vi aspettate? «Il governo deve
finalmente disboscare la spesa pubblica. Ma deve intervenire con la pala
meccanica, non possiamo più permetterci questa situazione. Se si taglia la
spesa, si possono ridurre le tasse». C'è un certo ottimismo nelle sue parole.
«Io credo che le nostre medie imprese, quelle da 15-50 mila euro, con la
multilocalizzazione siano meno soggette alla pressione competitiva dei Paesi
low cost. Il cavallo però non beve in tutto il mondo, non è un caso italiano.
Lo vedo in Ungheria, in India, in Argentina, negli Usa». Cosa vede? «La gente
non compra più, le aziende non producono e svuotano i magazzini». C'è una luce
in fondo al tunnel... «Non facciamola spegnere». Banche «Il governo ha
rassicurato il Paese sulle banche» A. Gar.
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(sezione:
Obama)
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 07/06/2009 - pag: 4 La Casa Bianca «Il 15 giugno l'>incontro
con Obama» ROMA La Casa Bianca ha confermato
che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, riceverà lunedì 15 giugno a
Washington il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. In una nota diffusa
ieri in serata per annunciare l'incontro, la Casa Bianca ha sottolineato che
«Stati Uniti e Italia, alleati della Nato, hanno forti relazioni bilaterali e sono partner nel
mondo per promuovere pace, prosperità e libertà democratiche». «Il Presidente
scrive ancora la Casa Bianca intende discutere circa la preparazione del G8 che
si terrà a L'Aquila, in Italia, in luglio, e consultarsi con il primo ministro
su un'ampia serie di temi strategici di mutuo interesse».
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 07/06/2009 - pag: 12 La visita Il presidente
americano alle celebrazioni in Normandia Nucleare, monito
di Obama a Iran e Corea del
Nord Sarkozy: «D'accordo su tutto, anche sul velo libero» DAL NOSTRO INVIATO
COLLEVILLE-SUR-MER L'anniversario del D-Day ispira a Barack Obama parole dure verso un'altra
dittatura. Sessantacinque anni dopo lo sbarco di Normandia, il presidente
americano indica quella pagina di Storia, «quando i migliori di noi
inghiottirono la loro paura per conquistare un lembo di terra», per trovarvi
«la forza di affrontare le difficoltà e le lotte del nostro tempo». E lancia un
duro monito alla Corea del Nord, che ha appena effettuato il terzo test
nucleare in due anni. Il comportamento di Pyongyang è «estremamente
provocatorio », dice Obama al termine dei colloqui con
Nicolas Sarkozy, che precedono la cerimonia al cimitero militare alleato di
Collevillesur-Mer, dove riposano 10mila soldati, caduti nella più grande
operazione aeronavale della Storia. L'America osserverà «con severità» i
prossimi sviluppi: «Non si deve presumere che reagiremo allo stesso modo,
mentre la Corea del Nord destabilizza costantemente la regione. Non
continueremo una politica che ricompensi la provocazione ». Diplomazia «dura»
il presidente promette anche verso l'Iran, che a dispetto dell'apertura offerta
dall'Amministrazione, sembra intenzionato a proseguire sulla strada dell'arma
atomica. Il presidente francese gli dà una mano, spiegando che anche la Francia
vuole «pace e dialogo», ma è chiarissima nel dire «no a ogni diffusione di
nuovi arsenali nucleari». Sarkozy vuole compiacere l'ospite americano. Anche a
costo di qualche contorsione dialettica sul dogma della laicità francese. Così,
quando loda il discorso all'Islam di giovedì al Cairo, spiega di condividerlo
in toto, compresa la parte del velo, quella in cui Obama
ha difeso il diritto di ogni donna a seguire i propri principi religiosi,
decidendo liberamente cosa indossare. Sì, dice il presidente francese, ma nel
rispetto della neutralità dello Stato: chi serve in un ufficio pubblico non può
portare i segni della sua fede. E comunque, il velo non deve essere imposto
dalle famiglie, ma indossato per scelta e convinzione. Potremmo definirlo
un'esercizio di «ammoina» intellettuale. Non era pensabile alcuna increspatura,
d'altronde, in una giornata come questa. Forse una delle ultime a vedere la
presenza dei protagonisti. Di fronte a Omaha Beach, una delle cinque spiagge
dove il generale Eisenhower lanciò l'operazione Overlord, centinaia di veterani
sono tornati insieme a figli e nipoti a onorare i compagni caduti e rivedere i
luoghi dove il loro eroismo cambiò la Storia del mondo. «Allora non lo
sapevamo, ma gran parte del progresso del Ventesimo secolo, su ambedue le
sponde dell'Atlantico, fu deciso dalla battaglia per una striscia di spiaggia
lunga 6 miglia
e profonda 2», dice Obama. «Ecco perché torniamo qui
continua, rivolgendosi agli eroi dello sbarco, fra i quali c'è lo zio materno,
Charles Payne , per ricordarci che in fondo i destini umani non sono decisi da
forze al di là del nostro controllo. Voi ci rammentate che il nostro futuro non
dipende dal caso, che la Storia è sempre la somma delle scelte di ognuno».
Accanto a Sarkozy, a Gordon Brown, al premier canadese Stephen Harper e al
principe Carlo d'Inghilterra, Obama ricorda il
carattere «universale» che ebbe la lotta contro il nazismo, «una visione
opposta dell'umanità, un male che doveva essere affrontato da tutti insieme».
Parla per 16 minuti, sotto il sole appena addolcito dal vento. Racconta le
storie di ordinario eroismo che segnarono quel giorno. La commozione lascia
impietriti quando rende onore al paracadutista Jim Noren, 502mo reggimento di
fanteria. Molto ammalato, è voluto tornare a Omaha Beach. L'ha vista l'ultima
volta, venerdì, prima di spegnersi nel sonno: «Questa è la storia della
Normandia, ma anche la storia dell'America ». Paolo Valentino Alleati Sarkozy e
Obama. Dietro di loro, Brown e Harper, tutti a
Colleville-sur-Mer Epa Diplomazia dura «Non continueremo una politica che
ricompensi la provocazione», ha avvertito il presidente Usa
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 07/06/2009 - pag: 12 Tra Michelle e Carla Un
duello di stile in abito bianco A Strasburgo, lo scorso aprile, la gara dello
charme tra Francia e Stati Uniti era finita uno a uno. Da una parte Carla,
elegante e impeccabile come sempre. Dall'altra Michelle, più eccentrica e
chiassosa ma comunque perdonata per la sua solarità. Ieri, però, a Caen per la
cerimonia del sessantacinquesimo anniversario dello Sbarco in Normandia (6
giugno 1944), la First Lady americana è scivolata su un vestito bianchissimo,
ornato da un cinturone argentato che raddoppiava il volume dei suoi fianchi. Un
effetto meringa rovinosamente amplificato dalla sobrietà della Première Dame in
tubino bianco panna con cintura sottile nera e scarpe abbinate. Certo Carla è
una ex modella dalla grazia innata, chiunque sfigurerebbe al suo fianco. Un
motivo in più per non vestirsi uguale a lei (ma in peggio). Michelle, poi,
ormai dovrebbe averlo imparato: il bianco ingrossa se non si è magrissime. La
sera dell'insediamento alla Casa Bianca fu definita «un pacco regalo» a causa
di un abito simil-sposa. Eppure ieri ha voluto fare il bis. Segno che forse si
piace così. O che, in tempi di velinismo imperante, vuole sdoganare le «donne
normali», quelle che in questi giorni si guardano allo specchio e non sanno
come faranno a indossare un costume da bagno. «Ragazze
sembra dire da Caen , tranquille, va bene così» (nella foto sopra la First Lady
americana Michelle Obama, a
sinistra, con la Première Dame francese Carla Bruni alla prefettura poco prima
dell'inizio della cerimonia, Afp/Stephane De Sakutin). Monica Ricci Sargentini
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 07/06/2009 - pag: 12 Americani a Parigi Barack
e famiglia: cena con foie gras poi tutti al museo PARIGI (p.val.) Americani a
Parigi. Non proprio una famiglia come tante altre, visto che ieri pomeriggio
prima del loro arrivo, il piazzale di Notre Dame, sull'Île de la Cité, è stato
sgomberato di ogni mortale che non fossero gli agenti del secret service o
quelli della Gendarmerie. Ma anche così Barack Obama e
la signora Michelle non rinunciano all'illusione della normalità, che ritengono
essenziale per le loro bimbe Sasha e Malia. Le quali ieri sera sono rimaste
alla residenza dell'ambasciatore con la nonna, mentre i genitori si sono
concessi il loro attimo fuggente stile Humphrey e Ingrid in Casablanca. Ma
forse anche per non fare uno sgarbo a Nicolas e Carla Sarkozy che lì avrebbero
voluto portarli, la cena tête-à-tête non è stata al Jules Verne, il ristorante
di Alain Ducasse sulla Tour Eiffel. Hanno preferito «La Fontaine de Mars»,
bistrò centenario nel VII arrondissement, tempio del foie gras e del cassoulet.
Oggi, prima che il presidente riparta per Washington, visita al Centre
Pompidou, il Beaubourg di Renzo Piano. Gli Obama avrebbero voluto che ad
accompagnargli fosse proprio l'architetto italiano. Ma Piano, che pure è a
Parigi, ha dovuto dire no. Aveva già un impegno irrinunciabile: la comunione
del figlio. Gli Obama, da
famiglia normale, hanno capito. Anche loro d'altronde festeggiano questa
mattina gli 8 anni di Sasha.
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 07/06/2009 - pag: 13 Sport e politica A una
settimana dalle presidenziali da cui gli iraniani si aspettano poco, il Paese
sperava almeno di battere in campo l'«alleato nucleare» Calcio ed elezioni,
delusione per Ahmadinejad Mondiali a rischio dopo lo «0 a 0» con Pyongyang. «Il
governo ha interferito», dicono i tifosi DAL NOSTRO INVIATO TEHERAN In un simil
McDonald's di piazza Fatemì, nel centro di Teheran, sotto un enorme murales
dell'imam Khomeini, Dariush Abbasì si dispera per lo 0 a 0 della partita tra Nord
Corea e Iran, i due rimasti del bushiano «asse del male». «Tutta colpa delle
beghe politiche, il governo ha messo il naso nella Federazione, ha cambiato tre
allenatori in tre mesi e questi sono i risultati». La qualificazione per i
mondiali del Sud Africa è a rischio. «D'altra parte ci ripensa Abbasì i nostri
non potevano vincere. I nordcoreani sono gli unici alleati che abbiamo sul
nucleare». Sport e politica vanno a braccetto in tutto il mondo. Quanti voti può
perdere Berlusconi per la cessione di Kakà? Riuscirà Obama a trovare uno sport che faccia con
la Repubblica Islamica quel che il pingpong fece con la Cina? Quando ai
Mondiali del '98 l'Iran
sconfisse 3 a
2 gli Usa, le piazze si riempirono. Le ragazze tentarono persino di andare allo
stadio, velate sì, ma accanto agli amici maschi e non nei settori segregati.
Furono le prove generali per le proteste studentesche. La repressione riempì le
prigioni e il sogno di riformare il Paese dall'interno cominciò a svanire. Oggi
tra i quattro candidati alle elezioni presidenziali di venerdì prossimo ce n'è
uno solo, Mehdi Karroubi, che si definisce riformista: il «nuovo» ha 72 anni,
porta il turbante ed era con Khomeini nelle celle dello Scià. Gli altri sono il
«falco» Mahmoud Ahmadinejad, presidente in carica; l'ex premier degli anni
rivoluzionari, Mir-Hossein Mousavi; l'ex comandante delle Guardie della
Rivoluzione, Mohsen Razai. Quattro candidati pienamente organici al «sistema»,
come i giornali ufficiali chiamano il regime degli ayatollah. Tra loro le
differenze sono tattiche, non di sostanza. Eppure la campagna elettorale si è
accesa. Come se contasse sul serio chi vince o perde. Merito dei faccia a
faccia andati in onda per la prima volta alla tv di Stato. Danno l'impressione
di una sfida vera: accuse, insulti, minacce di querela, allusioni, non manca
niente, neppure i boicottaggi. Come quello di ieri a Karaj, nella periferia di
Teheran, dove Mousavi avrebbe dovuto arringare 40 mila persone, ma all'inizio
del comizio è saltata la corrente. A poche centinaia di metri dai burger di
piazza Fatemì, supporter del presidente sventolano foto e intonano slogan per
dimenticare il bidone del loro candidato. Sono arrivati in pullman dal
caldissimo Kuzestan, dormiranno durante i mille chilometri del viaggio di
ritorno, ma Ahmadinejad ha mandato al comizio un sostituto. Cantano: «Rivela,
rivela Ahmadì, ti sosteniamo noi». Pensano al suo ultimo confronto tv, con
Mousavi, il rivale più forte sostenuto dai due ex presidenti Rafsanjani e
Khatami. «Contro di me ha detto Ahmadinejad c'è l'intero circolo di potere che
ha monopolizzato l'economia e considera il Paese cosa sua. Con la mia elezione
si è infranta quella linea rossa». Per far seguire i faccia a faccia, il
Municipio ha organizzato schermi giganti in alcuni parchi, evento straordinario
in un Paese che ha paura degli assembramenti. I giovani ne hanno approfittato
per fare gruppo e tirar tardi e, se capita, scazzottarsi. Le ultime notti sono
state turbolente con catene umane lunghe chilometri, balletti, vietatissimo
alcol e musica peccaminosa. Ma anche con scontri nella capitale tra sostenitori
e oppositori del presidente: era successo venerdì notte, si è ripetuto ieri,
con auto bruciate e qualche violenza. La polizia non interviene più di tanto.
Il «sistema » ora vuole legittimità, vuole che la gente vada a votare. La
Repubblica val bene qualche notte brava e qualche parola di troppo. In campo Un
momento della partita Iran-Corea del Nord finita ieri in pareggio Andrea
Nicastro anicastro@corriere.it
(sezione: Obama)
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 07/06/2009 - pag: 13 Alain Touraine «Gli
americani non hanno avuto conflitti religiosi» «Gli Usa e la Francia laici in
modo diverso» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI Stati Uniti e Francia hanno
fatto la storia della democrazia e dei diritti dell'uomo. Ma in fatto di
libertà e pratica religiosa le concezioni sono diverse, come
emerso dagli interventi di Barack Obama e Nicolas Sarkozy. Obama: «Chi vuole portare il velo può farlo». Sarkozy: «I funzionari
pubblici non devono avere segni visibili di appartenenza religiosa». In
pratica, il divieto francese riguarda soltanto lo spazio pubblico, ma le
implicazioni di ordine sociale e politico sono più ampie. «Le differenze
sono fondamentali e per certi aspetti paradossali », spiega Alain Touraine,
professore di sociologia a Parigi, ex membro della commissione Stasi, il gruppo
di saggi che contribuì alla legge sulla laicità francese, un testo che
proibisce l'ostentazione di simboli religiosi in luoghi pubblici e garantisce la
«neutralità » dello Stato repubblicano. In che senso Usa e Francia sono diversi
su questo terreno? «Le differenze nascono dalla Storia dei due Paesi. La
dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti gettò le basi per un ordinamento
laico della società americana e per una rigorosa separazione delle autorità
civili da quelle religiose. In sintesi, i legami sociali e personali sono
prevalenti, nel rispetto di tutte le origini etniche e culturali. Questa
separazione si è affermata più tardi in Francia, è stata rafforzata dalla
Rivoluzione, è diventata la strada per emancipare la formazione delle classi
dirigenti dall'influenza della Chiesa. Come si ricorderà gli ordini vennero
aboliti e molti religiosi vennero espulsi. Per il posto della religione nella
società si creò una situazione non molto diversa da quella prodottasi in
seguito nei regimi comunisti. La legge del 1905 fu un compromesso che mise fine
a un clima di guerra civile che durava da 150 anni. Quella più recente, quasi
un secolo dopo, è stata dettata dalla necessità di ribadire i fondamenti dello
Stato repubblicano da una deriva 'comunitaristica' (cioè di appartenenza alle
varie comunità chiuse), accentuata dalla situazione complicata delle banlieue.
Occorreva riaffermare la neutralità della sfera pubblica. Anche in difesa delle
donne, spesso obbligate a seguire le tradizioni religiose del gruppo di
appartenenza. Non va dimenticato che la Francia è stata contraria anche
all'introduzione del concetto di radici cristiane nella costituzione europea».
Negli Usa invece... «È il paradosso della storia. I legami fra politica ed
etica sono divenuti sempre più importanti e rafforzano gli ideali della società
americana. Sul dollaro c'è scritto 'in God we trust'. Il presidente giura sulla
Bibbia, Bush andò in guerra pensando che Dio fosse dalla parte degli Stati
Uniti. E Obama oggi dice cose che un presidente
francese non potrebbe mai dire. Tuttavia, il legame fra politica e religione è
di natura sociologica. La dichiarazione di Obama
riflette una storia che non è fatta di conflitti religiosi. Ciò che unisce gli
americani è l'adesione ai diritti sanciti dalla Costituzione e l'integrazione
nel mercato del lavoro. Tutto il resto religione, origine etnica, lingua,
cultura, nazionalità, tradizioni viene dopo. Per questo si affermano sia il
diritto individuale, sia il diritto delle comunità ». Differenze fondamentali,
dunque. «Fino a un certo punto. La Francia, l'Europa in generale, gli Stati
Uniti sono società occidentalizzate e sempre più laiche. In Europa il tema della
separazione dello Stato dalla Chiesa affonda nei secoli. D'altra parte, per
effetto delle immigrazioni, la questione delle tradizioni religiose ritorna
d'attualità ed è di difficile soluzione. C'è poi un paradosso francese:
affermiamo la laicità, ma il comunitarismo si rafforza per altre vie,
economiche e sociali. Nelle periferie, i gruppi etnici tendono ad affermare la
propria identità religiosa e culturale». Sociologo Il professore Alain Touraine
Massimo Nava mnava@corriere.it
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 07/06/2009 - pag: 13 Il discorso di Barack
Europa dimenticata SEGUE DALLA PRIMA Obama deve
rilanciare il processo di pace senza spezzare i legami (oggi tesi come mai in
precedenza) con Israele, senza svenderne la sicurezza, e senza farsi bloccare
dal rifiuto arabo e dall'estremismo di Hezbollah e Hamas. E deve venire a capo
del contenzioso con l'Iran. Accettando l'idea di un Iran
dotato del nucleare civile (notoriamente convertibile con facilità ad usi
militari) Obama ha fatto
una scommessa assai rischiosa. La scommessa è che l'Iran «rivoluzionario»,
l'Iran degli ayatollah, sia ormai pronto per una politica pragmatica, di
«accomodamento», per una politica post-rivoluzionaria. Se è così, Obama vincerà la partita. Ma se
non è così, se l'Iran resterà ancora a lungo uno stato rivoluzionario, teso
alla modifica radicale dello status quo mediorientale, allora la politica del
presidente americano si rivelerà un fallimento, e il Medio Oriente entrerà in
un nuovo ciclo di instabilità e di guerre. C'è un aspetto del discorso di Obama, ma in realtà anche di molti suoi discorsi precedenti,
che, indirettamente, riguarda noi europei. Si è detto, credo con ragione, che Obama è, in virtù delle sue esperienze e della sua
formazione, un multiculturalista capace di unire patriottismo e orgoglio
americani con l'empatia per le culture extraoccidentali. Ciò con cui noi
europei dovremo misurarci è il fatto che per lui sembra meno rilevante la
categoria di Occidente e, quindi, anche il rapporto con l'Europa e con le
radici europee della storia americana. Lo si è potuto constatare anche ieri in
Francia durante le celebrazioni del sessantacinquesimo anno dallo sbarco in
Normandia. Al discorso (peraltro, bellissimo) del presidente francese Sarkozy,
centrato sui legami fra Francia e Stati Uniti, e Europa e Stati Uniti, che il
D-Day permise di rilanciare e di rinsaldare, Obama ha
risposto con un messaggio, come sempre retoricamente abile, tutto rivolto agli
americani in patria e al sacrificio dei combattenti americani di allora.
L'Europa (a parte il pezzo di spiaggia in cui si svolse la storica battaglia),
in quel discorso, praticamente, non c'era. Nel bene e nel male, è un problema
con cui noi europei dovremo fare i conti. Angelo Panebianco
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Cronache data: 07/06/2009 - pag: 23 Televisione Mille
canali spegneranno i segnali analogici il prossimo 12 giugno L'America e
l'arrivo del digitale La paura dello schermo nero Dieci milioni di famiglie non
hanno ancora il decoder MILANO Hanno arruolato i volontari, le associazioni per
i diritti civili, addirittura i vigili del fuoco. Non c'è tempo da perdere:
bisogna aiutare gli americani a installare i decoder nelle loro case. Entro il
12 giugno. È quella infatti la data stabilita dagli Stati Uniti per lo
switch-off analogico: mille emittenti spengono la vecchia tv e passano al
sistema digitale. Ma c'è un problema: milioni di persone rischiano di rimanere
senza segnale. Da un giorno all'altro. Secondo una ricerca Nielsen, rilanciata
dal New York Times, oltre il 10% dei 114 milioni di famiglie americane alla
fine di maggio era ancora totalmente o parzialmente impreparato alla
conversione. Un dramma per un Paese che vive gran parte del tempo davanti alla
tv. La possibilità di rinvio è già stata scartata. Barack Obama è stato perentorio: dopo lo
slittamento già deciso a febbraio, ha assicurato che «non ci saranno altri
ritardi». Il presidente americano ha sollecitato «chiunque non sia ancora
pronto ad agire subito» e ha invitato «tutti gli americani che si sono già
adattati al passaggio a parlare con i loro amici, i familiari, i vicini
di casa per essere certi di essere preparati prima che sia troppo tardi». Un
appello lanciato durante gli impegni internazionali tra Il Cairo e la Francia:
segno che la questione preoccupa non poco l'amministrazione Obama.
«La transizione ha detto il presidente libererà frequenze a favore della banda
larga e rafforzerà le comunicazioni d'emergenza per la polizia, i vigili del
fuoco e altri servizi di prima necessità ». Gli Stati Uniti hanno speso oltre
due miliardi di dollari per lo switch-off (tre quarti dei quali già stanziati
durante l'amministrazione Bush). Grazie anche ai buoni da 40 dollari per
l'acquisto dei decoder, negli ultimi mesi il numero di americani che rischiano
di restare senza programmi televisivi sarebbe stato dimezzato. Si tratta del
maggiore sforzo tecnologico dai tempi del «millenium bug», quando
l'amministrazione Clinton dovette correre ai ripari per prevenire il temuto (e
scongiurato) collasso informatico legato all'arrivo del 1Ú gennaio 2000. «Negli
ultimi cinque mesi afferma Michael J. Copps, presidente democratico della
Commissione federale Usa per le comunicazioni abbiamo provato a completare il
lavoro che andava fatto negli ultimi quattro anni ». Ma non basta. Oltre tre
milioni di persone, che non sono abbonate alla tv via cavo o via satellite,
perderanno totalmente il segnale. Per non parlare delle abitazioni con più di
un televisore: milioni di apparecchi rischiano di diventare poco più che
soprammobili. Il problema riguarda soprattutto le persone a basso reddito, gli
anziani, i disabili e le famiglie dove non si parla inglese: quelle cioè più
difficilmente raggiungibili dalle campagne informative. «Ciò che si sta
verificando negli Stati Uniti è un problema comune a tutti spiega Maurizio
Decina, professore di Telecomunicazioni al Politecnico di Milano perché è molto
difficile garantire al 100% della popolazione la ricezione del segnale
digitale. C'è sempre una parte che rimane tagliata fuori. Negli Usa ci sono 110
milioni di abitazioni: anche se la copertura raggiungesse il 99%, ci sarebbero
comunque un gran numero di persone che rimarrebbero escluse. Io penso che la
questione riguardi 6 o 7 milioni di americani ». In Italia il passaggio al
digitale è già iniziato in alcune regioni (Sardegna, Piemonte, Valle d'Aosta,
Trentino Alto Adige e, dal 16 giugno, Lazio): come sta andando? «Il nostro
Paese sta seguendo un programma di switch-off progressivo per aree geografiche
che terminerà nel 2012. I problemi, inutile negarlo, ci sono e continueranno a
esserci. Il caso americano ci dimostra perlomeno una cosa, però: di quanto
fosse velleitaria l'ipotesi italiana di passare al digitale già nel 2006».
Rottamati Un addetto di Pompano Beach, in Florida, porta via vecchie tv,
sostituite da quelle con il decoder integrato (Afp) Germano Antonucci
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Economia data: 07/06/2009 - pag: 26 Alleanze Il Wall Street
Journal: pressioni della Casa Bianca per Detroit Magna: per Opel 100 milioni
Chrysler, la spinta di Obama Sberbank: la quota nel gruppo tedesco a più partner FRANCOFORTE
Sempre più misteriosa l'offerta di Magna per Opel, basata, pare, sul versamento
di soli 100 milioni di euro di capitale. Mentre dall'altra parte
dell'Atlantico, dopo il via libera della Corte d'appello Usa alle nozze
Fiat-Chrysler, tutti gli occhi sono puntati sull'ultima scadenza (domani
alle 16) entro cui è possibile un eventuale ricorso alla Corte Suprema. Intanto
il quotidiano americano Wall Street Journal online rivela che l'amministrazione
del presidente Obama avrebbe «forzato» l'alleanza
Fiat-Chrysler, nonostante «le preoccupazioni di Chrysler per la solidità
finanziaria di Fiat e la sua volontà di condividere tecnologie ». Il quotidiano
newyorchese cita a proposito una serie di mail messe agli atti nella causa
promossa dai fondi pensione dell'Indiana contro la vendita a Fiat. Dai messaggi
scambiati fra i vertici dei due gruppi, i rappresentanti del Tesoro e i
consulenti, emerge che questi ultimi avrebbero continuato a ritenere «la
migliore alternativa » una fusione con la concorrente General Motors. Ma anche
in Germania, la grande coalizione del Cancelliere Merkel è presa di mira dal
settimanale Spiegel, in edicola domani, sul «saccheggio dello Stato», che si
chiede «quante Opel si possa permettere » la Germania, con 1.200 aziende, dai
grandi magazzini Arcandor a Porsche a Schaeffler, tanto per citare le più note,
che a meno di quattro mesi dalle elezioni premono su Berlino per ottenere aiuti
e garanzie, affossando le finanze pubbliche. Nel frattempo, emergono da varie
fonti dettagli sul «Memorandum of Undestanding », la dichiarazione di intenti
firmata dal produttore di componenti per auto Magna e l'alleata banca russa
Sberbank, intenzionate ad acquisire il 55% della nuova Opel Europe (il 35% rimarrebbe
a Gm, il 10% ai dipendenti). Ma per rilevare la partecipazione consistente, il
consorzio intende sborsare un capitale di soli 100 milioni di euro, invece dei
500 milioni preventivati (con la differenza messa a disposizione da Magna e
Sberbank sotto forma di un prestito senza interessi). E mentre il capo
dell'istituto russo German Gref rafforza le ipotesi di una possibile vendita
della quota in Opel ad altri partner, come Gaz, Izh-Avto, Sollers o Tagaz,
emerge una perizia dei consulenti di McKinsey, ordinata dal governo regionale
del-- l'Assia, secondo la quale il piano di Magna per Opel presenterebbe
notevoli rischi. In conclusione, anche secondo Roma, come afferma in
un'intervista al Tempo il premier Silvio Berlusconi, «la partita Opel è
tutt'altro che chiusa». Sergio Marchionne Marika de Feo
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Opinioni data: 07/06/2009 - pag: 10 LA VISITA IN NORMANDIA Le questioni aperte tra Obama e Sarkozy di MASSIMO NAVA N el giorno della memoria, sulle
spiagge della Normandia, può sembrare sgradevole notare divergenze culturali nelle
relazioni transatlantiche o ammettere che l'enorme popolarità e simpatia che
Barack Obama raccoglie in
Europa non coincidono necessariamente con una considerazione altrettanto grande
del ruolo dell'Europa. Nel riaffermare mano nella mano valori e visioni
comuni del mondo, Barack Obama e Nicolas Sarkozy hanno
definitivamente chiuso la grave frattura della guerra irachena, con strascico
di dispetti verbali e ritorsioni commerciali fra americani e francesi. Ma
sarebbe ingenuo negare un'altra realtà sotto la coltre un po' retorica di
reminiscenze eroiche e omaggio ai caduti di Omaha beach. Nel suo breve
soggiorno europeo e dopo lo storico discorso al Cairo, il presidente degli
Stati Uniti si è riconciliato con la «vecchia Europa », ma, nella forma e nella
sostanza, ha lasciato emergere una diversa gerarchia di priorità e approccio
culturale, suscitando anche qualche irritazione a livello personale. A Parigi e
a Berlino, la visita di Stato è sembrata troppo breve e concentrata
esclusivamente sui luoghi della memoria. Michelle e Barack sono andati a cena
privatamente e non da Carla e Nicolas all'Eliseo. Nicolas Sarkozy, che si è da
sempre presentato come il più filoamericano dei presidenti francesi (posizione
tradotta in pratica con il ritorno nel comando integrato della Nato), ha dovuto
fronteggiare per la seconda volta in poche settimane (era accaduto alle
celebrazioni dell'Alleanza, a Strasburgo) un esplicito incoraggiamento di Obama a favore dell'ingresso della Turchia in Europa:
prospettiva che, anche per ragioni elettorali, Sarkozy non è il solo in Europa
a voler congelare o rallentare il più possibile. E ieri, il presidente francese
ha dovuto puntualizzare la concezione repubblicana della «laicità», anche per
arginare il rischio di polemiche interne dopo il discorso di Obama
al Cairo sulla libertà religiosa e sul diritto delle donne a portare il velo. È
probabile che il presidente americano non si riferisse esplicitamente alla
situazione della Francia, dove è in vigore una legge che proibisce i simboli
religiosi negli spazi pubblici (scuole, università) e amministrativi in nome
della «neutralità» dello Stato repubblicano. Ma Sarkozy ha voluto ribadire il
confine sottile fra pratica religiosa per libera scelta e imposizione da parte
dell'ambiente sociale o familiare. A ben vedere, il dissenso va al di là di una
semplice diversità di approccio culturale fra il concetto di «cittadinanza»
repubblicana e comunitarismo anglosassone. Turchia e laicità sono due facce
della stessa medaglia, ovvero del rapporto strategico con il mondo musulmano su
diversi fronti: dall'Afghanistan al Medio Oriente, dalla questione palestinese
all'Iran. Per il presidente americano, questo rapporto è diventato una priorità
assoluta, accompagnata da un cambio di strategia radicale, rispetto alla
visione neoconservatrice di esportazione della democrazia con i carri armati.
Naturalmente, a Parigi e più in generale nella «vecchia Europa» (quella
contrapposta alla «giovane Europa» dell'era Bush-Cheney) si avverte anche la
legittima soddisfazione per la convergenza di posizioni in ambiti fondamentali
che fino a poco tempo fa sembravano distanti o inconciliabili: difesa
dell'ambiente, gestione della crisi economica, Medio Oriente, guerra in Iraq.
Ma la mano tesa all'Islam, anche con importanti concessioni simboliche, e il
rilancio della questione turca dimostrano il perseguimento di una strategia che
non tiene obbligatoriamente in conto le diverse e non univoche sensibilità
europee. La fine dell'unilateralismo comporta un pragmatico dialogo con potenze
più decisive dell'Europa, dalla Cina alla Russia, ai nuovi giganti economici
del pianeta. Barack Obama è consapevole del deficit
europeo di unità politica, diplomatica e militare. Se l'Europa non è più un
problema, non è ancora «la soluzione dei problemi» come ha notato l'ex ministro
degli Esteri francese, Hubert Vedrine. Nel giorno delle elezioni, non sappiamo
nemmeno quanto l'Europa stia davvero a cuore agli europei. mnava@corriere.it
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Lettere al Corriere data: 07/06/2009 - pag: 33 SUL WEB
Risposte alle 19 di ieri La tua opinione su corriere.it La
domanda di oggi Pattuglie di vigilantes per la sicurezza di notte sulla metro
milanese. Siete d'accordo? Sì R 83,7 No R 16,3 In visita in Francia, Obama non va all'Eliseo da Sarkozy
preferendo cenare con moglie e figlie. Difendete la sua scelta?
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Terza Pagina data: 07/06/2009 - pag: 29 Reportage Gerardo
Greco percorre gli Usa in cerca degli antenati e trova un nuovo Paese. Da lì è
nato «Good Morning America» Wall Street, auto, hamburger: le macerie del sogno
americano di MASSIMO GAGGI L e banche di Wall Street, templi della finanza
caduti in rovina, licenziano all'alba. Ti chiamano, ti chiedono di andartene
senza fare scene e, magari, senza nemmeno salutare i colleghi, in cambio di una
modesta buonuscita supplementare. È così che, qualche mese fa, i tg di tutto il
mondo si sono riempiti delle immagini di broker e manager di finanziarie dai
nomi altisonanti che lasciavano i loro uffici trascinandosi dietro pesanti
scatoloni. I licenziamenti «che si fanno all'alba, come i duelli», o la
«sovietizzazione di ritorno » della gigantesca catena di supermercati Wal-Mart
e di tante altre megacompagnie americane divenute troppo grandi, troppo
ministeriali sono tra le notazioni più acute di Good Morning America, il
«viaggio sulle tracce del nuovo sogno americano » di Gerardo Greco, pubblicato
in questi giorni dalla Sperling & Kupfer (pp. 213, e 18.50). Corrispondente
del Tg2 dagli Usa dal 2001, Greco ha trovato una chiave originale per
raccontare la «sua» America: non un collage ragionato di servizi realizzati per
la televisione un mezzo che spesso obbliga a raccontare una storia dai mille
risvolti in pochi flash frettolosi ma un viaggio attraverso gli Stati Uniti
alla ricerca dei discendenti dei cinque Gerardi Greco sbarcati a Ellis Island
tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del Novecento. Un viaggio che parte
dai gelidi archivi di Ancestry, una società di «cercatori di antenati» e lo
porta in primo luogo a Cleveland, sulle tracce di un Gerardo Greco sbarcato a
New York nel febbraio del 1906 dal bastimento Brasile partito da Napoli e che
viene catalogato dal solerte funzionario dell'immigration come «passeggero non
anarchico né poligamo, in buone condizioni fisiche e mentali. Non è storpio né
deforme. Dice di fare il venditore, viene da Salerno e vuole andare a Cleveland
». Nella città dell'Ohio l'autore trova tracce labili dei suoi antenati, ma si
imbatte in una metropoli travolta dalla crisi del mercato immobiliare. Il
discendente dei Greco che incontra è un immobiliarista finito nello tsunami
delle migliaia di case che nessuno vuole più, che si deteriorano a vista
d'occhio. In America cemento e muratura sono riservati agli edifici pubblici.
L'edilizia residenziale delle sterminate periferie è fatta di legno, di
trucioli pressati. Case di cartapesta che richiedono una manutenzione continua.
Un anno di abbandono e diventano invendibili. C'è anche questo all'origine
della crisi che ha fatto saltare il sistema bancario Usa e ha innescato la
recessione globale che stiamo pagando tutti. Da Cleveland a Detroit, tra altri
lontani discendenti dei Greco, dove gli operai della fabbrica General Motors di
Lansing sperano negli aiuti di Stato e poco si curano delle
accuse di socialismo che piovono su Obama per i suoi tentativi si salvare l'auto a spese del contribuente.
E, ancora, dal gelo del Michigan alla frontiera bollente col Messico dove i
Minuteman, «miliziani» volontari, pattugliano il deserto a caccia di
clandestini, fino ad arrivare a Coney Island con le sue spiagge e i suoi
pizzaioli, il «viaggio alla ricerca di Jerry» di Gerardo Greco acquista,
pagina dopo pagina, il sapore di un'incursione tra le macerie del sogno
americano. «Fat man walking», il capitolo nel quale si raccontano gli abusi
alimentari degli americani è forse il più riuscito: quello che meglio descrive
come un popolo che adora la libertà ed è allergico al senso del limite, è
passato dalla «prateria senza confini» all'«hamburger senza confini». Di nuovo,
nel sogno americano, c'è solo la speranza che Obama riesca
a imprimere un colpo di timone, a convincere i suoi concittadini ad abbandonare
alcune abitudini autolesioniste. La prima riforma, così, è quella di Michelle,
che nel prato della Casa Bianca pianta cavoli e lattuga al posto delle rose.
Parentele Il viaggio del corrispondente del Tg2 alla ricerca dei tanti Jerry si
trasforma in una incursione nella nazione modificata dalla crisi Settembre
2008: dipendenti licenziati dalla Lehman Brothers (foto Ap)
(
da "Corriere della Sera"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 07/06/2009 - pag: 14 Stati Uniti Il progetto
dovrà fronteggiare l'ostilità della lobby medica Sanità, arriva al Congresso la
riforma di Ted Kennedy Piano di 170 pagine: aiuti pubblici e copertura
universale DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK La politica più rigida di Israele, il
dialogo col mondo arabo che resta difficile nonostante le aperture del nuovo
presidente, l'Iran. Obama torna
negli Usa da un viaggio pieno di speranze e di montagne da scalare, ma lo
scoglio più grosso che ha davanti a sé è quello che lo attende a Washington: la
rivitalizzazione dell'economia e, soprattutto, la riforma sanitaria. La Casa
Bianca ha deciso di vararla anche se è molto costosa e l'America è già alle
prese con una drammatica impennata del deficit e del debito pubblico. Obama l'ha promessa come scelta di civiltà a un Paese che ha
47 milioni di cittadini privi di qualunque copertura assistenziale e nel quale
il 62 per cento dei casi di bancarotta è rappresentato da famiglie che non
riescono a saldare i loro debiti con le strutture sanitarie o perdono il lavoro
per problemi di salute. E anche come una rivincita dei democratici dopo
l'umiliazione subita nel '93, quando la riforma concepita da Bill e Hillary
Clinton fu fatta naufragare dalla potente coalizione di interessi coagulata
attorno al mondo della sanità. Oggi la situazione è diversa: le disfunzioni
della sanità privata sono tali (gli Usa ormai spendono in cure mediche il 17%
del reddito nazionale contro, ad esempio, il 10% del Canada che ha un sistema
abbastanza simile a quelli europei) da aver indotto anche i principali soggetti
del mercato assicurazioni, aziende ospedaliere, case farmaceutiche a
riconoscere che una riforma è necessaria. Già, ma quale? E in che tempi? Obama ha chiesto al Congresso di portargli entro l'anno una
legge. Anzi, vorrebbe firmare la «sua» riforma entro ottobre. Fin qui, però,
consapevole della difficoltà del percorso parlamentare, ha cercato soprattutto
di sgombrare il campo dagli ostacoli: ha dialogato con i soggetti del mercato,
ha chiesto ai repubblicani di lavorare a un accordo «bipartisan», ha
sollecitato la sinistra «liberal» e i sindacati del personale sanitario a non
irrigidirsi a difesa dei progetti più radicali. Quello della sanità americana,
infatti, è un mosaico poco efficiente, ma anche molto delicato, con 230 milioni
di cittadini coperti dal sistema privato mentre gli altri o sono privi di
assistenza o sono assistiti dai sistemi pubblici. Anche la sanità garantita
dallo Stato agli ultrasessantacinquenni e a decine di milioni di poveri (i
programmi Medicare e Medicaid), viene, poi, erogata prevalentemente attraverso
convenzioni con strutture private. Insomma, un sistema che ha bisogno di grosse
correzioni, ma che non può essere completamente stravolto passando al modello
europeo. Obama nei giorni scorsi ha scritto una
lettera ai leader del Senato dichiarandosi favorevole alla creazione di una
nuova «mutua» pubblica da affiancare e mettere in concorrenza con le
assicurazioni private e proponendo un modello di sanità «universale» nel quale
chi non è in grado di pagarsi una polizza medica verrà aiutato con sovvenzioni
pubbliche, ma nel quale ci potrebbero anche essere sanzioni per chi rifiuta di
assicurarsi. L'enunciazione dei due principi l'obbligatorietà e l'introduzione
di un sistema pubblico alternativo a quello privato è stata vissuta dai
repubblicani come una rottura della tregua che fin qui ha regnato sulla
materia. E ha spinto la lobby della sanità a tornare sul sentiero di guerra.
Gli eserciti sono ormai schierati: tutti sanno che Obama
dispone di un enorme capitale politico e che gli americani, sempre più
insoddisfatti di una sanità che ha indubbie punte di eccellenza ma è diventata
troppo costosa, sono ormai aperti a riforme anche profonde. Sbarrare la strada
al presidente, stavolta, sarà molto difficile. Al tempo stesso, però, il
Parlamento è profondamente diviso non solo sulle cose da fare, ma anche sul
modo di affrontare i costi della riforma: le misure tributarie proposte da Obama per coprire almeno una parte delle maggiori spese (con
la revisione di alcune tasse e la riduzione delle detrazioni fiscali ai
contribuenti più ricchi) al Congresso sono state accolte con ostilità dagli
stessi parlamentari democratici. La prima prova, per la riforma Obama, è quella del Senato dove i capi democratici delle
Commissioni sanità e finanze, Ted Kennedy e Max Baucus, hanno preparato
proposte molto diverse. A scendere in campo è stato, venerdì, proprio il
vecchio senatore del Massachusetts. Leader dei «liberal », Kennedy, da sempre
in prima fila nelle battaglie per la riforma della sanità, ha compiuto il primo
passo: pur essendo lontano dal Congresso per terapie e controlli medici legati
al tumore al cervello che lo ha colpito un anno fa, ha fatto diffondere la sua
proposta di legge che verrà discussa nelle prossime settimane dalla sua
Commissione. «American Health Choices Act», un documento di 170 pagine, è un
progetto molto ambizioso: estende la copertura sanitaria a tutti i cittadini
americani promettendo un aiuto pubblico alle famiglie non in grado di pagare
per intero il costo dell'assicurazione. Kennedy fissa il confine a 110 mila
dollari di reddito annuo per una famiglia di quattro persone: un livello cinque
volte superiore alla soglia di povertà. Per «calmierare » il mercato, i nuovi
assicurati potranno sottoscrivere una polizza privata od optare per un nuovo
programma governativo: un'assicurazione pubblica che dovrà competere con quelle
private (per questo è stata denominata «public option») e che acquisterà
servizi (medici, ospedalieri ecc.) sul mercato pagandoli il 10 per cento in più
delle tariffe oggi praticate dal sistema Medicare. Il progetto prevede
penalizzazioni fiscali (sostanzialmente delle multe comminate dal Tesoro) per
chi rifiuta di assicurarsi e introduce garanzie aggiuntive per i disabili e i
malati cronici, oggi tenuti a distanza (quando possono) dalle assicurazioni,
visto che hanno bisogno di cure costose e prolungate. Non è difficile prevedere
che sul progetto Kennedy ci sarà battaglia: il senatore Baucus, che fino alla
sortita di Obama si era sempre detto contrario alla
creazione di una mutua pubblica alternativa a quelle private, è ad esempio
molto preoccupato per la tenuta dei conti pubblici. E Kennedy non dice nulla
sui costi della sua riforma né su come verranno coperti, mentre Obama prevede un onere di 1000-1200 miliardi di dollari in
dieci anni. «È solo la prima bozza di un lungo percorso», sdrammatizza il
portavoce del senatore. La parola è ora a Baucus: entro giugno i due progetti
verranno unificati per andare, a luglio, all'esame dell'aula. Che, ad agosto,
dovrebbe passare la palla alla Camera. La corsa a ostacoli è cominciata.
Pioniere del genere George Clooney in E.R. Senatore Ted Kennedy Grey's Anatomy
Altro telefilm sui medici In tv Nel telefilm Usa «Dr. House» il protagonista,
poco ortodosso ma geniale, guida un'equipe di diagnostica medica Massimo Gaggi
(
da "Stampaweb, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
Il mondo
cerca la pace in Medio Oriente e la soluzione alla crisi finanziaria. Piange i
morti dellAirbus e assiste alle grandi fusioni. In Italia
si polemizza sulle veline, sui gusti del premier e sul ritorno del fascismo.
Questa
è la cronaca di una campagna elettorale folle, allucinata e davvero spassosa. 1
maggio Giornata tranquilla dopo le rivelazioni del 28 aprile di Veronica Lario
allAnsa: mio marito è malato, frequenta le
minorenni. 2 maggio Si discute di febbre suina. 3 maggio Veronica
annuncia: divorzio. 4 maggio I soldati italiani uccidono una bimba di 13 anni
in Afghanistan. Berlusconi: con Veronica è impossibile andare avanti. Nel Pd
parla solo la Bindi: perché non ci si indigna per il premier? 5 maggio La Fiat
tratta con Opel. Un bimbo chiede alla Rice: perché torturavate? Fini e Maroni
litigano sui medici spia. DellUtri ricorda la
bontà di Mussolini. Il papà di Noemi: la mia famiglia conosce Berlusconi
tramite me. 6 maggio Fini e Maroni litigano sui presidi spia. Berlusconi a Porta a
Porta: mia moglie mi chieda scusa. Dibattito sullautenticità
delle foto della festa di Casoria. 7 maggio La Lega chiede carrozze del metrò
per soli milanesi. Franceschini teme il ritorno delle leggi razziali.
Rivelazione: Noemi ha fatto il book fotografico a 16 anni tramite DellUtri. Smentite. La Guerritore legge Veronica in tv. 8
maggio Allarme occupazione a Pomigliano e Termini Imerese. La cassa
integrazione sale dell864%. LOnu sui respingimenti: diritti
violati. 9 maggio Fini vede il rischio Apartheid a Milano. Il fotografo Pasquale
Cerullo svela che si sapeva dellarrivo di
Berlusconi a Casoria sin dalla mattina. Il Pd si interroga: attaccare o
attendere? 10 maggio Incontro al Quirinale fra le vedove Calabresi e Pinelli.
Berlusconi:
no alllItalia multietnica. Noemi al Times: papi non è
mio padre. Un ex assessore napoletano: portai il papà di Noemi da Craxi. 11
maggio La Cei: lItalia è già multietnica. Il Papa in medioriente. Bobo
Craxi: il papà di Noemi non lo conosciamo. 12 maggio Il Papa: mai più
Shoa. Il Pd pensa al ritorno del Mattarellum. Berlusconi in discoteca a Sharm
el Sheikh. 13 maggio Via libera del Senato al nucleare. Onu: riammettete i
migranti respinti. Lautore del book di Noemi
si confessa. Di Pietro: con Berlusconi a rischio la democrazia. 14 maggio Il
Papa in Palestina. Ok del Parlamento alle ronde. La Repubblica pone le dieci
domande a Berlusconi. DAlema: il premier ha
lipertrofia dellego. Nel Pd ancora serrato il dibattito: attaccare
o attendere? 15 maggio Napolitano: cè una retorica
xenofoba. Franceschini: tornano le camicie nere. Bill Emmot sulle dieci
domande: informare è la nostra missione. Berlusconi: è una campagna di odio.
DAlema: racconti barzellette. 17 maggio Il Pil scende del 5.9%. Lite
Onu-Maroni sui
respingimenti. La Russa: lOnu non conta un fico
secco DAlema: in che mani siamo. Di Pietro: propaganda da Ventennio. La
mamma di Noemi al Times: Silvio faccia per Noemi ciò che non ha fatto per me.
18 maggio Stipendi, lItalia in Europa 23^ su 30. Bersani: si
abbassino le tasse. Si scopre che il Times ha mal tradotto: la mamma di Noemi
non si rivolgeva a Silvio ma a Dio. 19 maggio Scontri allUniversità di Torino per il G8. Il Times: il premier
tratta i media come feudi. DAlema: il premier
guarda al modello
coreano di democrazia. 20 maggio Condannato Mills: fu corrotto dal premier.
Dibattito nel Pd: sulla giustizia attaccare o attendere? Di Pietro: Berlusconi
fa orrore, è piduista, fascista e corruttore. 21 maggio Polemica attorno a
Berlusconi: su Mills deve riferire in aula o no? Di Pietro: è un fascista. Si
scopre che Noemi partecipò a una cena col premier e gli imprenditori a Villa
Madama. 22 maggio AllAssemblea di Confindustria
il premier attacca Parlamento (pletorico) e magistrati (eversivi): il mio giudice è
comunista. Di Pietro: Berlusconi è il doppio Stato. Franceschini: si dimetta.
23 maggio Cassa integrazione ai livelli del 93.
Salta fuori che Noemi andò anche al Galà del Milan. Casini: Silvio, rispondi
alle dieci domande. Zanda: è una questione di Stato. Franceschini: dimettiti. DAlema: arrogante. 24 maggio Berlusconi: la stampa è
indegna, ignobile, sconcia. La Repubblica intervista Gino Flaminio, ex
fidanzato di Noemi che racconta delle telefonate fra Berlusconi e Noemi. Il Pd
vuole una riunione
speciale di tutte le opposizioni. Di Pietro dice no: serve una mozione di
sfiducia. 25 maggio La Germania si spacca sulla trattativa Opel-Fiat. DAlema su Berlusconi: disgustoso. 26 maggio Bagnasco
chiede tutele per i lavoratori. Test nucleari in Nord Corea. Il papà
di Noemi: mia figlia è illibata, conobbi Silvio nel 1990. 27 maggio Tre morti
alla Saras dei Moratti. Rivelazioni: Gino Flaminio è un pregiudicato. Di
Pietro: Berlusconi come Dracula. 28 maggio - La stampa estera: Berlusconi è
sfacciato, bugiardo e impunito. Intervista alla zia di Noemi. Franceschini:
fareste educare i vostri figli da questuomo?
I figli di Berlusconi sdegnati. Di Pietro: Berlusconi come Nerone. 29 maggio -
Brunetta ai poliziotti: siete dei panzoni. 30 maggio - Draghi: servono riforme
contro la crisi. Berlusconi: porterò i terremotati in crociera. Di Pietro:
fascista, razzista, eversivo, piduista. DAlema:
irresponsabile, avvelenatore. 31 maggio - Santanché: Veronica ha un amante.
Gino Flaminio scrive al Corriere: chiedo scusa a tutti. DellUtri: a Villa Certosa, durante le feste, cè la
gelateria in giardino. 1 giugno - Bondi: a Villa Cetosa ho cenato a lume di
candea con Cicchitto. Scoppia la polemica sui voli di Stato, chi cera a
bordo dellaereo diretto a villa Certosa? Apicella. 2 giugno - Cade un
Airbus: 228 morti. Berlusconi: complotto contro di me, cè anche Murdoch. Sul volo diretto a Villa Certosa
cera pure una ballerina di flamenco. 3 giugno - Napolitano: dopo le
elezioni si abbassino i toni. 4 giugno - Bin Laden minaccia Obama. Per i voli di Stato indagato Berlusconi. la stampa
straniera insiste. Il premier: sono insufflati dai comunisti. 5 giugno - Obama allIslam: è
lora della pace. Franceschini: sui voli di Stato è la legge del principe.
Veltroni: lItalia è violenta. Il Paìs pubblica le foto segrete di Villa Certosa,
si vede Topolanek nudo. Calderoli: Noemi è brutta. 6 giugno - Si vota per le
Europee. Qui ci si è divertiti un sacco.
(
da "Stampaweb, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
BEIRUT
Guardo la tv e mi sembra che parlino tutti di noi, Obama,
Ahmadinejad, i politici libanesi». Bassam al Haik pulisce il rasoio sullasciugamano, saluta il cliente e mette in tasca la
banconota da 2000 lire (un euro). Trentadue anni, 3 figli, ha imparato il
mestiere dal padre che aveva imparato dal nonno: tre generazioni di
barbieri in 5 metri
quadrati tra i vicoli del campo profughi palestinese di
Chatila, alla periferia Sud di Beirut. I libanesi votano per il governo a cui
paga lelettricità, osserva Bassam riponendo la
gelatina Haway nel mobiletto sovrastato dal poster di Zidane. Lui però non ha voce
in capitolo: «Vorrei il passaporto libanese per poter lavorare fuori da qui. Se
potessi, sceglierei lopposizione». Il poster
del leader di Hezbollah Nasrallah colora il tetro muro di cemento
delledificio che sinnalza a mezzo metro dalla sua vetrina.
Quattrocentomila palestinesi invisibili sono il rimosso di questa campagna
elettorale, coscienza torbida dei due blocchi che si contendono il futuro del
Paese sfidando il passato, la guerra civile, il fato dei fratelli di serie B
rifugiati qui dal 48. «Il diritto al ritorno
non va collegato al diritto alla nazionalità», denuncia Lina Abou-Habib,
responsabile dellorganizzazione non governativa Crtd.A. Leventuale
inclusione che cancellerebbe i 12 campi profughi, buchi neri tra la valle
della Bekaa e il mare, divide i politici in modo trasversale, soprattutto sulle
ragioni del rifiuto. Sostiene Hezbollah che regolarizzare i profughi
allenterebbe la pressione su Israele, i custodi dellequilibrio confessionale obiettano che uniniezione di sunniti altererebbe la delicata miscela
nazionale, generali e alti ufficiali ricordano senza nostalgia i giorni in cui
lOlp cresceva autonoma, uno stato nello stato. Allingresso di
Chatila, sullo sterrato coperto di spazzatura come in una delle
drammatiche inquadrature di Valzer con Bashir, il film dellisraeliano Ari Foldman sul massacro del 1982, due
ragazzini inseguono la palla dribblando il carretto di pesche che avanza
incerto. Passi per lacqua potabile, scherza, inossidabile alla malasorte, il
vecchio che lo traina: «Avevo 2 anni quando sono arrivato e non cè ancora un campo di calcio». Giovedì centinaia di
migliaia di libanesi hanno cercato nellimpegno del presidente americano
per la pace in Medio Oriente un riferimento che li riguardasse. «La
presenza dei palestinesi ci ha già creato molti problemi negli Anni 70, il
Libano non può permettersi di assorbirli», spiega lex ambasciatore Khalid Makkawi. Beirut si fida di Obama. La vetrina della libreria Way In, nel cuore di Hamra,
espone 5 titoli dedicati al nuovo inquilino della Casa Bianca, dallAudacia della speranza a un manualetto a prova di
scettici,
Obama for beginners. Sognando che il mantra «We can»
possa un giorno sciogliere le contraddizioni di un paese che fa la fila al cinema
per vedere lo slum malsano di Bombay nel film The Millionaire ma chiude gli
occhi di fronte a quello quasi identico cresciuto nel cortile di casa. «La
situazione dei palestinesi è disastrosa, un inferno», afferma lo scrittore
Jabbour Douaihi che sta per pubblicare con Feltrinelli Pioggia di giugno. In
cima alle scale di una palazzina con i cavi elettrici che penzolano come liane
della giungla, Rwaida Maser Ukadid pulisce la verdura per preparare la mloukia,
il piatto preferito dei suoi 4 figli. Ha 42 anni, è vedova da dieci: «Mi
arrangio con quello che mi mandano i parenti dalla Danimarca e gli aiuti delle
Nazioni Unite, riso, olio, 50 dollari ogni tre mesi». Il figlio Ahmed, 19 anni,
studia ingegneria alluniversità di Beirut: «Lo
so che sarà costretto a fare il muratore, ma ci tiene tanto a questa laurea, ho
venduto tutto loro della famiglia per
pagare liscrizione. Vorrei avere la cittadinanza solo perché potesse
avere le chance dei suoi coetanei». Secondo la legge i palestinesi non possono
acquistare
la casa e sono esclusi da 72 professioni considerate prestigiose, avvocato,
medico, ingegnere. «Non resta che aprire una bottega nel campo o lavorare a
giornata, guadagnano la metà dei 20 dollari che spettano a un libanese», spiega
il direttore del National Institute of Social Care&Vocational Trainig Hasem
Haine nellufficio allingresso di Chatila, sulla
strada piena di bandiere del Fronte 14 marzo. Ha apprezzato che Obama abbia parlato di Palestina, pioniere nel sostituire il
sogno alla geografia. La realtà che vede dalla finestra però, 16 mila persone
di cui metà minori di 20 anni, lascia poco spazio alle fughe in avanti. «Siamo
lunica diaspora che invece di mandare i soldi in
patria è costretta a riceverli», osserva Jamile Shedade, 55 anni, assistente sociale al
centro Beit Atfal Assumoud, nel cuore del campo. Gli emigrati libanesi sono
tornati in massa per sostenere e finanziare il cambiamento, qualsiasi esso sia.
Chatila li guarda da lontano.
(
da "Stampaweb, La"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
PARIGI
Dopo una missione molto impegnativa tra Medio Oriente e Vecchio Continente,
Barack Obama si regala un giorno da turista, insieme a
moglie e figlie, a Parigi. E prima di riprendere lAir Force One che oggi lo riporterà a Washington, il
presidente americano, con la first lady Michelle, è andato al Centre Pompidou,
dove ha visitato non solo la collezione permanente del Beabourg progettato da Renzo
Piano e Richard Rogers nel 1971, ma anche le mostre sullo scultore statunitense
Alexander Calder ed il pittore russo Vassily Kandisky. In realtà, la vacanza
parigina degli Obama è iniziata già ieri sera: appena
rientrati nella capitale dalla Normandia, dove hanno partecipato alla cerimonia
del 85esimo anniversario del D-Day, sono andati alla Cattedrale di Notre Dame.
E poi, con alcuni amici, a cena a La Fontaine de Mars, un tradiziona bistro
parigino nel settimo Arrondissement. Un cameriere del ristorante, Gabriel de
Carvalho, ha raccontato ad una televisione francese che il presidente ha
ordinato un cosciotto dagnello e gli altri
commensali bistecche, ed a tavola è stata servita solo acqua niente vino. La
scelta degli
Obama - che avevano optato per una serata non
ufficiale anche venerdì dopo che il presidente si era riunito con la famiglia
arrivata direttamente a Parigi - ha creato un qualche imbarazzo e disappunto
allEliseo, che avrebbe desiderato un appuntamento
ufficiale, o unuscita a quattro - con Michelle e Carlà - in uno dei più
esclusivi ristoranti di Parigi, proprio alla vigilia dellapertura delle urne in Francia. Invece Obama non ha dato disponibilità a nessun appuntamento
ufficiale ed oggi lascia Parigi dove invece rimangono Michelle Sasha e Malia
per un altro giorno di turismo e stasera andare, da sole, a cena allEliseo.
(
da "Repubblica.it"
del 07-06-2009)
Argomenti: Obama
BEIRUT -
Elezioni cruciali oggi in Libano, dove tre milioni e 200 mila cittadini - molti
dei quali sono in coda ai seggi - sono chiamati a eleggere i 128 membri del
Parlamento. Ma soprattutto a decidere nella sfida all'ultimo voto tra la
coalizione ora all'opposizione, da Hezbollah e sostenuta da Iran e Siria, e
l'alleanza filo-occidentale 14 Marzo, sostenuta da Stati Uniti e Arabia
Saudita. Secondo il sistema politico libanese, 64 seggi parlamentari saranno
aggiudicati a candidati musulmani, e 64 a candidati cristiani. E proprio il voto
cristiano assegnerà di fatto la vittoria, poiché la vera battaglia è tra i
fedelissimi di Michel Aoun, alleato di Hezbollah, e quelli dei suoi rivali
Samir Geagea e Amin Gemayel, membri dell'alleanza 14 Marzo, guidata dal sunnita
Saad Hariri. Una sfida così radicale, e con così ampie implicazioni per tutta
la regione, che Jimmy Carter, alla guida della missione di osservatori del suo
Carter Center, ha espresso il timore che "le persone non accettino il
risultato delle elezioni con animo pacifico". Intervistato durante un suo
giro nei seggi di Beirut, l'ex presidente americano ha comunque affermato di
non temere i risultati delle elezioni - quindi un'eventuale vittoria
dell'organizzazione politica che Usa e Ue considerano terroristica - e di
"aver parlato con funzionari a Washington che hanno
confermato che il presidente Obama e la sua amministrazione accetteranno la decisione che prenderà
il popolo libanese". Gli esperti si aspettano un vero e proprio testa a
testa tra i due schieramenti. OAS_RICH('Middle'); I 5200 seggi sono stati
aperti alle 7 del mattino e chiuderanno alle 19, ora locale. Rigidissime
le misure di sicurezza, con la mobilitazione di 55mila militari e poliziotti.
Sono in tutto 200 gli osservatori internazionali. I primi risultati saranno
annunciati ufficialmente domani. Intanto, il ministro dell'Interno Ziad Baroud
ha riferito che in mattinata è stato registrato un "alto livello di
partecipazione" e che non si sono verificati incidenti. Ma in diverse zone
ci sono state rimostranze per lo scarso numero di seggi rispetto all'affluenza,
che ha creato lunghe file di elettori - di cui circa 100 mila sono giunti anche
dall'estero - in attesa di poter votare. E tra i Paesi più interessati ai
risultati libanesi, c'è ovviamente Israele. "Se Hezbollah vincesse
verrebbe a crearsi una nuova entità iraniana in Medio Oriente, dopo la Striscia
di Gaza": a lanciare l'allarme è il ministro delle Finanze israeliano ed
esponente del Likud, Yuval Steinitz. "L'Iran sta tentando di prendere il
controllo del Libano - ha aggiunto - la minaccia iraniana guadagna terreno e ci
costringerà ad agire, insieme agli Stati Uniti e ai Paesi arabi moderati".
(7 giugno 2009
(
da "Stampa, La"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
Circa le
future generazioni europee niente potrebbe importarmene di meno. Aver vissuto
consapevolmente in buona parte del secolo XX vuol dire che di cucchiaiate amare
se ne sono ingoiate abbastanza: tuttavia si può sempre immaginare che il
prossimo futuro ne stia preparando, nella sua indecifrabile cucina, di più
amare ancora. E chi vorrebbe che agli appena nati e ai nascituri nelle nostre
vecchie nazioni fossero riservati cammini facili, offende scioccamente il
destino umano. Almeno, è possibile prevedere, con sollievo, che di guerre
intraeuropee non se ne faranno più, e neppure di euroturche, senza per questo
che il Pólemos, il Contrasto, si metta a ronfare - impensabilmente. Scrivo
questa nota in giornata ancora elettorale in Italia e altrove, e nel voto di
tanti popoli diversi un significato, determinabile sotto la superficie
dall'inconscio collettivo, si manifesterà nel suo profilo d'ombra, e «ivi
trarrem gli auspici» se vorremo scrutarne i visceri. La coincidenza: elezioni
europee e discorso del Cairo di Obama è la prova che Pólemos non si addormenta mai. Il trionfo
islamico di Obama cade in
un riflesso di reazione di Europa extramediatica che è di paura. L'eco
trionfalista-pacifista dei giornali non è lo stesso della gente che non ha
voce, ma cui è data in mano una scheda elettorale, infimo barlume di un potere
sovrano che i poteri veri e prevalenti calpestano. La scheda può
esclusivamente valere da spia, senza influire su niente. Ma non è poco già
arrivare ad intravedere qualcosa, nella danza del Dato. La paura,
sotterraneamente risentita dopo il nobile, generoso e non generico discorso del
Cairo, è di essere abbandonati dall'America di fronte all'inflessibile
procedere dell'islamizzazione europea. E questa sta avvenendo con l'attiva
collaborazione della Chiesa cattolica (per motivi bioetici, per orrore
dell'avanzata laicista, per inaudito disperato progetto di una futura
spartizione religiosa, tra monoteismi, dell'influenza sulle anime umane: cave
vaticanum). Se l'Europa (singole nazioni o ectoplasma di Strasburgo che potrà
addirittura un giorno farsi corpo di sostanza) pensa di contrastare
l'islamizzazione appoggiandosi ai partiti di obbedienza tacita o aperta alla
Chiesa cattolica, è bene sappia che sono cadute da un pezzo le mura di Vienna e
spento il fuoco greco di Lepanto: la cupola di San Pietro nasconde una colonna
di sabbia. In-sha-allah... Dagli ultimi due papi viene la consapevolezza che
l'Islam è vincente. (Il papa Ratzinger si è arreso subito dopo il pallone-sonda
di Ratisbona). Ci sono oscillazioni in questa certezza pessimistica, ma la
determinazione politica mi pare segnata dal «salvare il salvabile». Si
ripresenta la scelta tragica di Pio XII: meglio Hitler che Stalin. Per
Benedetto XVI è: meglio l'Islam che il controllo delle nascite, che una Europa
giacobina, che i matrimoni gay, che una sfrenata (siamo appena agli inizi)
libertà e rivincita matriarcale delle donne. Se è messa in dubbio la
patriarchìa, la Chiesa drizza muri e l'Islam fa guerra. (La loro alleanza non è
innaturale). Tolta qualche collaborazione tra polizie nazionali, l'Europa si è
voluta finora spensieratamente disarmata. Per quale protezione sovranazionale
la gente vota? Dappertutto il gigantesco euromollusco si presenta senza
frontiere, di terra e di mare. Le sue navi da guerra, costosissime,
munitissime, contro i pirati non sparano neppure un colpo da tirassegno! A
tutto quel che è uso della forza l'Europa fa obiezione di coscienza: e senza
questo uso triste non si fonda né uno Stato né, tanto meno, un Sovrastato.
Chissà: forse aspettano di delegare ogni difesa armata ai Turchi, non
obiettori. Se, votanti o astenuti, gli euroelettori obbediscono a un riflesso
di paura che non ha nulla a che vedere con le ossessioni inoculate dai poteri
economici, vuol dire che sono tutt'altre le loro motivazioni profonde, e che la
paura autentica - quella eterna dell'animale debole minacciato - non è
addormentabile con prediche svianti. In verità, gli eventi incalzano talmente,
s'intrecciano così bizzarramente, che le anime tramortite o morte che andranno
ad occupare quei seggi d'aria difficilmente avranno il tempo di trasformarsi in
uomini e donne veri, di far sorgere in mezzo a loro un capitano Mac Whirr,
l'antipatico di Tifone di Josef Conrad.
(
da "Stampa, La"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
La
constatazione più desolata di questo voto europeo dominato dalle destre viene
da Jack Lang, socialista francese di lungo corso: «Il partito socialista non sa
più dar voce alla speranza». È una constatazione diretta al grande partito che
fu di Mitterrand, ma si può estendere a tutta Europa: in Germania l'Spd non approfitta
delle difficoltà di Frau Merkel, in Spagna l'ultimo socialista vincente José
Luis Zapatero viene per la prima volta battuto dai popolari eredi di Aznar, in
Gran Bretagna Gordon Brown sprofonda in un incubo shakespeariano. In Italia le
cose vanno come sappiamo e in questo momento il Pd non è in grado di contendere
la leadership a Berlusconi. Naturalmente non va dimenticato che l'affluenza è
stata la più bassa da quando si elegge il Parlamento europeo a suffragio
universale: 43% circa, sei punti in meno rispetto al 2004. Il record, a parte
piccoli Paesi come Malta, sarà probabilmente italiano con una partecipazione di
poco superiore al 50%. Un dato che non riuscirà comunque a ribaltare la fama
dei nostri europarlamentari, oggetto di pesanti ironie a Bruxelles e dintorni
dove sono risultati i più pagati, i più distratti e i meno assidui. I
«fainéants de Strasbourg», i fannulloni di Strasburgo, titolava ieri Le Figaro.
Dunque elettori italiani meglio degli eletti: ma non è una novità. Ma il segno
politico generale, più ancora della vittoria delle destre, è l'eclisse
dell'orizzonte politico socialista-laburista. La fotografia di Lionel Jospin,
primo ministro francese, Gerhard Schroeder, cancelliere tedesco, Göran Person,
capo del governo svedese, che accoglievano Tony Blair fresco vincitore a Londra
sembra appartenere a un'altra epoca. Eppure era il giugno 1997, congresso del
partito socialista europeo di Malmoe. La sinistra era al governo in undici
paesi su quindici dell'Unione Europea, in Italia a Palazzo Chigi c'era Romano
Prodi. Cos'è accaduto? Ogni paese ha la sua storia, in Italia c'è il fenomeno
Berlusconi, in Francia è spuntato un gollista che viene da lontano ma che ha
saputo indossare una maschera di novità come Nicolas Sarkozy, in Germania
Angela Merkel ha finalmente unito politicamente Est e Ovest. Eppure il voto di
ieri, più ancora che un trionfo della destre (Sarkò incassa un 28%, la Merkel
un 38 perdendo però 6 punti), è davvero la fine di un orizzonte politico. In
Francia gli ecologisti di Daniel Cohn-Bendit e José Bové (alleati con Eva Joli,
ex giudice castigamatti, una specie di Di Pietro al femminile) arrivano alla
pari (intorno al 16%) con i socialisti di Martine Aubry, icona appassita
dell'ultimo mito socialista, le 35 ore. In Germania, dove crescono solo i
liberali, la Spd scende al minimo storico e a settembre uscirà anche dal
governo di Grosse Koalition. L'unica vera vittoria della sinistra ha luogo in
Grecia dove i socialisti battono i conservatori di Nuova Democrazia del primo
ministro Kostas Karamanlis. Segnali di ripresa dei socialdemocratici si
registrano in Svezia e Danimarca, dove però quei partiti rappresentano
soprattutto l'idea di buona gestione e sicurezza sociale. Per
la «speranza», di cui parla Lang, interpretata per un secolo da partiti che
avevano bandiere variamente colorate di rosso forse è davvero finita.
Dovrebbero guardare dall'altra parte dell'Atlantico dove la parola speranza si
dice «hope» ed è nell'icona di Barack Obama.
(
da "Repubblica.it"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
BEIRUT -
Sconfitta in Libano per gli Hezbollah e per i loro alleati cristiani. La coalizione
filosiriana "8 marzo" "ha perso" ha riconosciuto l'ex
presidente Michel Aoun, leader dei cristiani vicini a Damasco: "Accettiamo
il risultato espressione della volontà del popolo", ha detto. Il leader
della maggioranza Saad Hariri ha portato in piazza in serata i suoi
sostenitori: "Congratulazioni a voi, congratulazioni alla libertà e alla
democrazia". I risultati ufficiali saranno annunciati più tardi: secondo
la tv, la coalizione di Hariri avrebbe ottenuto 70 dei 128 seggi. Tre milioni e
200 mila cittadini sono stati chiamati a eleggere il nuovo Parlamento. Ma
soprattutto a decidere nella sfida all'ultimo voto tra la coalizione ora
all'opposizione, integralista e sostenuta da Iran e Siria, e l'alleanza
filo-occidentale 14 Marzo, sostenuta da Stati Uniti e Arabia Saudita. Secondo
il sistema politico libanese, 64 seggi parlamentari vengono assegnati a
candidati musulmani, e 64 a
candidati cristiani. L'allarme di Carter. Una sfida radicale, con ampie
implicazioni per tutta la regione. Jimmy Carter, alla guida della missione di
osservatori del suo Carter Center, ha espresso il timore che "le persone
non accettino il risultato delle elezioni con animo pacifico".
Intervistato durante un suo giro nei seggi di Beirut, l'ex presidente americano
ha comunque affermato di non temere i risultati delle elezioni - quindi
un'eventuale vittoria dell'organizzazione politica che Usa e Ue considerano
terroristica - e di "aver parlato con funzionari a
Washington che hanno confermato che il presidente Obama e la sua amministrazione accetteranno la decisione che prenderà
il popolo libanese". Gli esperti si aspettano un vero e proprio testa a
testa tra i due schieramenti. OAS_RICH('Middle'); Le elezioni. I 5200 seggi
sono stati aperti alle 7 del mattino e hanno chiuso alle 19. Rigidissime
le misure di sicurezza, con la mobilitazione di 55mila militari e poliziotti.
Sono in tutto 200 gli osservatori internazionali. Il ministro dell'Interno Ziad
Baroud ha riferito che in mattinata è stato registrato un "alto livello di
partecipazione" e che non si sono verificati incidenti. Ma in diverse zone
ci sono state rimostranze per lo scarso numero di seggi rispetto all'affluenza,
che ha creato lunghe file di elettori - di cui circa 100 mila sono giunti anche
dall'estero - in attesa di poter votare. (8 giugno 2009
(
da "Stampa, La"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
LA
CAPITALE FRANCESE PARALIZZATA DAL SEGUITO DELLA FIRST LADY USA HILLARY ALLA TV
ABC Michelle e le figlie Shopping blindato nelle vie di Parigi "Pyongyang
è di nuovo a rischio lista nera" [FIRMA]DOMENICO QUIRICO CORRISPONDENTE DA
PARIGI E' stato un regalo davvero fantastico quello del
presidente Obama alla
piccola Sasha che compiva ieri otto anni: una città intera da scoprire e amare,
e che città: Parigi. Con le vie bloccate dai poliziotti che scatano
sull'attenti, i monumenti vuoti per poterli visitare con calma, il presidente
Sarkozy e la moglie che spalancano le porte del Palazzo dell'Eliseo per
porgere, anche loro, gli auguri. Sasha è la più piccola delle due figlie
di Barack Obama: otto anni, tanti altri compleanni
verranno per lei, ma quello di ieri resterà indimenticabile. Il presidente
americano ha raccontato durante la conferenza stampa di venerdì che ha sempre
sognato di venire nella capitale francese per un fine settimana con la
famiglia, «andare a zonzo per acquisti e fare un picnic nei giardini del
Lussemburgo». Sogno impossibile ora che è presidente. Conclusa la parte
ufficiale della sua visita in Normandia si è concesso un seguito «privato» da
dedicare a Michelle e alle due bambine Malia e Sasha. «Privato» per come lo
intende il dizionario diplomatico: nel senso che non erano previsti colloqui
politici e protocollari; ma il privato del presidente degli Stati Uniti vuol
dire correre per le strade della capitale con i motociclisti che aprono la via
alla limousine, mastodontiche scorte di agenti, gli elicotteri che volano nel
cielo come chiocce fracassone. E la gente, quanta, sui marciapiedi che fa la
foto con il telefonino e applaude il presidente americano più simpatico ai
francesi dai tempi di Kennedy. Per il resto Obama,
Michelle e le due bambine hanno sfogliato tutte le classiche cartoline del tour
parigino come una qualsiasi famigliola di turisti. La torre Eiffel per
cominciare, dove c'era a salutarli il sindaco Delanoe. E poi Notre Dame. Tutta
vuota, solo la corale e l'organista convocati per l'occasione che hanno suonato
e cantato per gli ospiti: la gente è stata allontana un'ora prima per farla
visitare con comodo agli Obama, un trattamento usato
un tempo solo per i re di Francia. Sasha e Malia hanno mancato l'appuntamento
con i ristorante venerdi sera: un bistrot del settimo arrondissement, «La
fontaine de mars», frequentato di solito dall'ambasciatore americano. Peccato:
Michelle è stata molto soddisfatta del menu. Ha raccontato il proprietario che
la first lady ha definito la cena «wonderful meal». Prevedeva gigot di agnello
e ile flottante. Unica delusione, non hanno ordinato vino ma coca cola. Secondo
il proprietario, i servizi segreti hanno sistemato un assaggiatore in cucina
per i piatti presidenziali. Non si sa mai. C'è un terrorismo gastronomico da
tener d'occhio. Ieri per Sasha e Malia ancora musei, il centre Pompidou al
mattino tra il solito corteio di auto e elicotteri , due ore di visita per i
genitori perché ci sono molti capolavori, soprattutto Kandinsky e Calder. Le
figlie hanno apprezzato di più lo spazio per i bambini dove hanno realizzato
simpatiche figurine con il filo di ferro. Papà Obama
poi è partito per tornare a Washington; ma per il resto della famiglia c'erano
ancora molte cose in programma. Il Louvre e il pranzo nel palazzo del
presidente francese per esempio, a cui si è unita nonna Marian che a Washington
ha il compito di custodire le nipoti alla casa Bianca . A tavola anche Louis e
Aurélien, i figli di Sarkozy e di Carla che hanno potuto conversare con le
piccole ospiti perché al contrario del presidente parlano anche inglese.
Pomeriggio shopping. E visto che si era a Parigi capitale della moda ed era un
giorno davvero speciale, mamma Michelle che compra i vestiti per le figlie
sempre nello stesso posto in America, che si chiama «j.Crew», ha fatto
un'eccezione: tutti da Bonpoint, vestiti per bambini molto chic. Oggi purtroppo
si riparte per Washington e bisognerà rimettersi a leggere e a studiare.
Parigi, che nostalgia! NEW YORK Hillary Clinton rende onore al merito di Barack
Obama e ammonisce Pyongyang minacciando il suo
reinserimento nella lista nera degli «Stati canaglia». Ospite del salotto
televisivo domenicale di Abc, dopo l'elogio del presidente - «sta facendo un
lavoro eccezionale ed è un onore servirlo» - attacca la Corea del Nord:
«L'America sta valutando come rispondere ai test nucleari, e tra le sanzioni
esaminate c'è quella di inserire di nuovo Pyongyang nella lista degli sponsor
del terrorismo», da cui fu rimossa dall'Amministrazione Bush dopo le promesse di
abbandono dei piani nucleari militari. «È un'iniziativa che richiede indizi
reali sul fatto che abbiano sponsorizzato di recente il terrorismo
internazionale - spiega -, ma non escludo che possa rientrare presto tra gli
Stati canaglia Un'azione forte e immediata è necessaria, altrimenti
innescheremo una corsa agli armamenti nell'Asia nordorientale. ». Clinton è
perentoria anche nei confronti di un altro iscritto nella lista nera, l'Iran,
al quale ha ribadito che qualsiasi attacco contro Israele provocherebbe
«un'immediata risposta», ma non ha parlato di reazioni americane.\
(
da "Stampa, La"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
[FIRMA]FRANCESCO
SEMPRINI NEW YORK Il caso Fiat-Chrysler finisce alla Corte Suprema. I creditori
dissidenti rappresentati da tre fondi d'investimento dell'Indiana hanno chiesto
al massimo organo giudiziario degli Stati Uniti di fermare la vendita degli asset
buoni di Chrysler alla nuova società controllata per il 20% da Fiat nell'ambito
della procedura di bancarotta voluta dall'amministrazione Obama. Gli oppositori, l'Indiana State Police Pension Fund, l'Indiana
Teacher's Retirement Fund e il Major Moves Construction Fund, si oppongono al
Chapter 11 perché discriminatorio non solo nei confronti dei creditori più
piccoli rispetto alle grandi banche, ma anche perché offre condizioni
finanziarie migliori agli obbligazionisti non garantiti rispetto a quelli garantiti
come loro. Inoltre gli avvocati dei dissidenti considerano illegale la
manovra del governo americano che ha attinto dai fondi salva-finanza Tarp per
aiutare l'industria dell'auto senza la preventiva approvazione del Congresso.
«È un caso di importanza incredibile e di grande rilevanza nazionale», spiega
l'avvocato Thomas Lauria nella motivazione depositata alla Corte Suprema nella
notte tra sabato e domenica. La mozione era già stata respinta venerdì scorso
dalla Corte d'appello di New York, che aveva così dato il via libera alla
cessione degli asset alla Nuova Chrysler dopo il parere positivo del giudice
fallimentare Arthur Gonzalez. Il tribunale d'appello aveva comunque fissato la
chiusura dell'operazione a lunedì pomeriggio, dando ai fondi pensione il tempo
per fare ricorso alla Corte Suprema. Ricorso che è stato presentato perché
sostengono i legali dei fondi - che detengono obbligazioni per 42,5 milioni di
dollari, meno dell'1% dei 6,9 miliardi complessivi - la sospensione serve a
trovare un accordo migliore. Sebbene la giurisprudenza reputi difficile che una
richiesta del genere venga accolta, il rischio è che in caso venga dato ai
fondi facoltà di presentare le argomentazioni non possa essere rispettata la
data del 15 giugno entro la quale deve essere completata l'operazione. In quel
caso il Lingotto potrebbe tirarsi indietro in base all'opzione contenuta negli
accordi. Ipotesi ancor più pericolosa se si pensa che il Chapter 11 di General
Motors è stata pensato sul modello di quello di Chrysler.
(
da "Repubblica, La"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
19 - Esteri Nucleare e benessere Stop alla censura "Sarò la first lady
iraniana" una donna sfida Ahmadinejad Teheran, il candidato
dell´opposizione punta tutto sulla moglie Non abbiamo diritto solo all´energia
nucleare, ma anche al pane, al benessere e soprattutto alla libertà Mio marito,
Moussavi, vuole abolire la censura, stimolare l´economia, dare più potere
all´altra metà del cielo "Non sono come Michelle Obama ma rispetto quelle che si
impegnano nella vita civile" VANNA VANNUCCINI TEHERAN - Indossano tutti
qualcosa di verde, i ragazzi e le ragazze che aspettano, nell´aula magna
dell´Università Azad, l´arrivo di colei che sperano di poter chiamare presto la
prima First lady della Repubblica islamica. Verde è il colore di Mir
Hossein Moussavi, suo marito, il candidato che secondo i sondaggi potrebbe
sconfiggere un osso duro come Ahmadinejad, se non tra una settimana, almeno al
ballottaggio. Moussavi è un moderato, anche se era stato un hardliner ai tempi
della rivoluzione, un architetto che si è tenuto fuori dalla politica per
vent´anni dopo aver servito come primo ministro (una carica successivamente
abolita) durante la "guerra imposta" contro l´Iraq, quando l´esercito
di Saddam attaccò la Repubblica islamica con il beneplacito dell´Occidente e
contro ogni previsione fu ricacciato oltre lo Shatt al arab. Insieme ai
sostenitori di Moussavi l´aspetta nell´aula un accanito gruppetto di tifosi di
Ahmadinejad che non vogliono farla parlare. Lei non perde il controllo. «Senza
libertà di parola il pensiero non sarà mai libero», dice. Ribatte con ironia e
puntiglio alle loro accuse. Una laurea insufficiente? Ragazzi, dove eravate
mentre io ho studiato per dieci anni arte all´Università di Teheran, ho scritto
dieci libri, ho preso una laurea in scienze politiche. Da giovane non era
religiosa? Voi conoscete la parola del Corano: there is no god but god? (non
c´è altro dio all´infuori di Dio): ecco, io sono passata da no god a God.
Sessantaquattro anni, scultrice, rettore dell´Università femminile Al Zahra
fino a quando Ahmedinejad, non appena diventato presidente, la mandò in
pensione insieme a tutti quei professori che non condividevano le sue idee,
Zahra Rahnavard è una novità assoluta in questa campagna elettorale. Non era
mai successo nella Repubblica islamica che la moglie di un candidato avesse una
parte di primo piano. Lei e il marito arrivano ai comizi mano nella mano,
modello della coppia presidenziale Obama, ma a chi le
chiede se vuole essere come la First lady Usa, Zahra replica: «Non sono come
Michelle, ma rispetto tutte le donne, specie quelle molto attive nella vita
civile». E´ lei che presenta il marito ed entusiasma il pubblico dicendo che
perché il paese possa cambiare, le donne devono arrivare ai posti di comando.
Ahmadinejad deve temerla, se nel faccia a faccia televisivo con Moussavi l´ha
accusata di avere una laurea breve invece di un dottorato. Ma il suo gesto non
è piaciuto nemmeno ai suoi sostenitori, mentre tra le donne si è creata
un´ondata di simpatia per Moussavi, che aveva guardato stupito: vedi che uomo
per bene, si sono rallegrate le signore di Teheran, dopo tanti anni la vede
sempre giovane, l´ama ancora
Se Moussavi è
uomo pacato, lei al contrario è sicura di sé. Ha appena girato una parte del secondo
spot che suo marito presenterà prima delle elezioni, un colloquio con Fatemeh
Motamed Aria, la più amata e la più grande tra le attrici iraniane. Questo
spot, dice, sottolineerà di più le visioni riformatrici di Moussavi e meno i
suoi meriti di quando era stato primo ministro negli anni di guerra. Alla
produzione hanno partecipato i più importanti registi iraniani (settecento
artisti hanno invitato a votare per Moussavi). L´onore della nostra patria ha molto
sofferto, lei ha detto agli studenti. Che cosa potrà fare un nuovo presidente
per ripristinarlo? «Prima di tutto voglio ribadire che la Rivoluzione aveva
dato dignità al nostro paese, dignità, libertà e indipendenza. Ma alcuni dei
princìpi della rivoluzione sono di fatto cambiati sotto questo governo e questo
è un pericolo per il paese. Invece di puntare sullo sviluppo economico si
distribuiscono elemosine, il governo galleggia sull´elargizione delle patate
(negli ultimi mesi Ahmadinejad ha distribuito, con l´ovvio intento di comprare
voti, tonnellate di patate gratis agli agricoltori, oltre a circa 70 euro
mensili a famiglia). La libertà è ai minimi livelli dopo la rivoluzione e
l´oppressione sociale, specie sulle donne, è altissima. C´è di fatto uno Stato
di polizia». Come cambiare? «Mio marito si propone di togliere la censura,
avere giornali liberi è la prima necessità, di aiutare le donne, cercando di
renderle più libere nell´ambito s´intende della Costituzione, di stimolare
l´economia, diminuire la disoccupazione. Gli studenti esclusi dalle università
per ragioni politiche devono ritornare a studiare. Oggi gli iraniani sono
insultati in tutto il mondo, mentre qui viviamo di slogan paranoici e di posti
preparati a tavola per l´arrivo del Messia. Non abbiamo diritto solo
all´energia nucleare ma anche al pane, al benessere, alla libertà. Ci vuole un
presidente che sia apprezzato nel mondo, che ci renda partecipi della politica
internazionale». Prima della rivoluzione, quando stava in America, lei pubblicò
un libro sull´hejab, sostenendo che era l´abito più corretto per la donna
musulmana.. «Ma poi rifiutai di farlo pubblicare dopo che l´hejab diventò in
Iran obbligatorio. Io sono passata dal non portare l´hejab a portarlo, ma per
me è stata una scelta, non qualcosa di imposto.
(
da "Repubblica, La"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
31 - Esteri La visita Ieri, giornata di vacanza al termine del tour europeo.
Con l´assaggiatore al seguito Barack, un americano a Parigi relax tra musei,
chiese e bistrot GIAMPIERO MARTINOTTI PARIGI dal nostro corrispondente Una
famiglia di turisti molto speciale, la cui presenza non è passata inosservata:
accompagnata da un corteo di una trentina di auto preceduto da dieci
motociclisti, la famiglia Obama si è regalata qualche
ora di tranquillità per visitare alcuni monumenti della capitale. Il capo dello
Stato è ripartito ieri a ora di pranzo per Washington, snobbando i Sarkozy,
mentre moglie e figlie sono andate a pranzo all´Eliseo. Durante tutto il
soggiorno parigino, come al solito, i servizi di sicurezza sono stati
impressionanti: e come vuole la prassi americana, nelle
cucine del ristorante in cui gli Obama hanno cenato sabato sera c´era un assaggiatore che ha testato
tutti i cibi destinati al presidente. Due appuntamenti hanno segnato il
percorso turistico degli Obama. Sabato sera, accompagnati dall´arciprete della cattedrale,
hanno visitato Notre-Dame, che era stata chiusa al pubblico. Poi tutti a
cena in un bistrot del VII arrondissement, tra gli Invalidi e la Torre Eiffel.
Fedele alla sua immagine di uomo semplice, Obama ha
scelto un ristorante non lussuoso, con prezzi normali. Un locale frequentato
dalla classe media, senza fronzoli. La cena è stata raccontata da un cameriere:
«La cosa più impressionante è che hanno uno che assaggia i cibi. All´inizio non
era molto piacevole per i cuochi, ma si trattava di un signore disteso e
gentile, quindi è andato tutto bene». E a tavola? «Erano in cinque. L´atmosfera
era molto distesa. Hanno detto che avevano avuto un "wonderful meal".
Il presidente era estremamente gentile con il personale. Ha mangiato cosciotto
di agnello e un´ile flottante. Niente vino, solo acqua. Gli altri hanno preso
filetto di manzo e crème brulée». Il secondo momento della visita turistica
degli Obama è stata la scoperta del Beaubourg, il
famoso centro voluto da Georges Pompidou e disegnato negli anni Settanta da
Renzo Piano e Richard Rogers. Sono arrivati prima dell´apertura al pubblico e
hanno visitato le due mostre in corso, dedicate a Calder e a Kandinsky.
Giubbotto e camicia, senza cravatta, Obama ha fugacemente
salutato la gente sulla piazza dalla terrazza al quinto piano, mentre le figlie
hanno realizzato delle figurine in fil di ferro nell´atelier dei bambini.
All´ora di pranzo Obama è ripartito per Washington a
bordo del suo Air Force One. Moglie e figlie, invece, sono andate all´Eliseo, a
pranzo dai Sarkozy. Poi, per festeggiare Sasha - la più piccola delle bimbe Obama, che ieri compiva 8 anni - un ultimo giro in città: a
fare shopping in un negozio di vestiti per bambini, e in visita al Louvre (dopo
la chiusura al pubblico).
(
da "Repubblica, La"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 29 - R2 Dopo il gelo dell´epoca Bush è tornata la
stagione dell´amore. Obama
firma così il suo primo successo. Quello del marketing
(
da "Corriere della Sera"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 08/06/2009 - pag: 3 Il capo dello Stato
Napolitano a Venezia per Galileo Poi al seggio di Roma nel rione Monti MILANO
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (nella foto), ha votato per
le elezioni europee nel suo «storico» seggio nel quartiere romano di Monti,
dove ha sempre abitato prima dell'elezione al Colle. Accompagnato dalla
consorte, la signora Clio, ha votato nella tarda mattinata di ieri all'istituto
Regina Margherita, in via Panisperna. La mattina del presidente Napolitano era
iniziata a Venezia, dove ha partecipato in forma privata alla svelatura di una
targa, in piazza San Marco, dedicata allo scienziato Galileo Galilei, presenti
il sindaco Massimo Cacciari e il patriarca di Venezia Angelo Scola. Il capo
dello Stato ha anche visitato, sempre ieri mattina, il Magazzino del Sale della
Fondazione Emilio e Annabianca Vedova. E poi, parlando al telefono con
l'architetto Renzo Piano, ha scherzato: «Ogni presidente in questo momento sta
rendendo omaggio a un Piano», riferendosi al presidente
degli Stati Uniti, Barack Obama, che stava visitando nelle stesse ore il Beaubourg a Parigi,
sempre opera dell'architetto genovese. Al voto, ieri, anche le altre alte
cariche dello Stato. A mezzogiorno, nella scuola «Lambruschini» di via Don
Minzoni, a Palermo, ha votato il presidente del Senato Renato Schifani.
A Roma, invece, in via Novara, non lontano da Piazza Fiume, è toccato al
presidente della Camera Gianfranco Fini raggiungere il suo seggio ed esprimere
il proprio voto.
(sezione: Obama)
(
da "Corriere della Sera"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 08/06/2009 - pag: 9 Il racconto La
soddisfazione del leader pd: «L'Italia non è un Grande Fratello. Dimissioni?
Non ci ho mai pensato» «Noi Davide, ma Golia non ha vinto Siamo i primi tra i
riformisti europei» Il segretario: contando i voti radicali poca differenza con
il 2008 ROMA «Eravamo Davide contro Golia. Eppure, anche stavolta Golia non ha
vinto. Era uno scontro impari, l'ennesima partita truccata: in questi giorni ho
toccato con mano l'enorme disparità di denaro, di mezzi, di tv tra noi e
Berlusconi. Eppure non ne usciamo con le ossa rotte, anzi. L'Italia non è il
Grande Fratello, il Paese è pieno di energie e di valori, è molto diverso da
come viene rappresentato in televisione. Questo voto lo conferma. Siamo sopra i
sondaggi più ottimisti, con i radicali siamo quasi ai livelli delle Politiche,
e sono convinto che il risultato finale per noi sarà ancora migliore di quanto
dicano le proiezioni. In un'Europa spazzata da un'onda di destra, l'Italia è in
controtendenza. Alla fine verrà fuori che, in seggi e in voti assoluti, il Pd è
il più forte partito riformista europeo; più del Psoe spagnolo, del Labour
britannico e anche dell'Spd tedesca. Adesso è il momento di restare uniti. Non
dobbiamo riprendere a litigare. Abbiamo avuto una ripresa di fiducia perché non
ci siamo più divisi tra noi. Se tornassimo a farlo, i militanti e gli elettori
non ce lo perdonerebbero ». Sono le due del mattino, Dario Franceschini
risponde al telefono. E' stata una notte sul filo, segnata prima dalla
preoccupazione, poi dal sollievo. Una domenica in famiglia: il pranzo a Fregene
con la moglie e le due figlie, il pomeriggio a casa, nell'appartamento sulla
via del centro dove viveva Vittorio Foa, a riposare in terrazzo, a fare il punto
della situazione. «E' stato come giocare tutto il campionato in trasferta, come
salire sul ring con un braccio legato dietro la schiena. Ma ormai non ne parla
più nessuno: non è chic, non è snob». Franceschini fa due esempi: «Ricevo molte
mail da elettori del centrodestra che mi rimproverano di aver fondato la
campagna sul gossip. Ma quando mai? Io non ho detto una parola sulle vicende
familiari di Berlusconi. Non una. Ho detto che un politico deve rispondere alle
domande. Non ho mai citato i figli di Berlusconi. Mai. Ho parlato
dell'educazione dei nostri figli, dei valori da trasmettere alle nuove
generazioni. Eppure l'apparato mediatico del premier ha manipolato le mie
parole. In realtà, al centro della campagna il Pd ha messo la crisi, i
disoccupati, i precari mandati a casa, le famiglie che soffrono. Abbiamo
formato un gruppo che ha lavorato per sei mesi al programma per l'Europa, e sui
giornali non è uscita una riga. Sono andato a Sky all'ultima trasmissione, mi
hanno fatto sette domande su Berlusconi, l'ottava era: "Ma perché di
Europa non parlate mai?". E come facevo, se mi chiedevano solo del
Cavaliere?». Eppure il Cavaliere non avanza, anzi arretra. Dice Franceschini
che «c'è un pezzo d'Italia che lo adora a prescindere, qualunque cosa dica e
faccia; ma non è certo il 40%, e lo si è visto. Mi sarebbe piaciuto affrontarlo
ad armi pari; purtroppo, da quindici anni a questa parte non è possibile. Non
c'è una sola democrazia al mondo in cui il confronto politico sia così
squilibrato. Nelle condizioni "italiane", neppure Obama
avrebbe mai battuto McCain. A maggior ragione, questo risultato è prezioso.
Tutti hanno fatto il loro dovere in campagna elettorale. Certo, anche Rutelli
ed Enrico Letta. D'Alema si è dato molto da fare. Ho avuto tutti al mio fianco,
dal mio predecessore Veltroni al fondatore, Prodi. Non mi mai sono sentito
solo». Ieri sera, alle otto e mezza, Franceschini ha riunito a urne chiuse il
gruppo di dirigente: i capigruppo, i segretari regionali, i capicorrente. E ha
fatto un appello all'unità: «Se in questi tre mesi avessimo litigato come
stavamo facendo prima, sarebbe andata molto peggio. Vediamo di non
ricominciare. Manteniamo il metodo di questi mesi. Non discutiamo all'esterno,
non litighiamo sui giornali. Discutiamo qui, al partito, prendiamo insieme
anche le prossime decisioni, a cominciare dal rapporto con il Pse e dal
referendum elettorale; ognuno dice la sua, poi si decide e si tiene fede alla
scelta collettiva». Nelle conversazioni private, a urne aperte, Franceschini
non ha nascosto anche una certa soddisfazione personale. Non solo non si parla
più di dimissioni «ma io non c'ho mai pensato; ho un mandato sino a ottobre» ,
di rinvio del congresso «e perché mai? Sono i tempi dettati dallo statuto » -,
di rischi per l'integrità del partito «non era aria di scissioni già alla
vigilia, a maggior ragione adesso» -. C'è un merito che Franceschini rivendica:
«Non ho fatto una campagna elettorale sul fatto del giorno. Mi sono battuto sui
temi di fondo, l'economia, i valori, il modello di società. Dobbiamo restare
uniti perché è il tempo di costruire non solo il partito, ma anche un sistema
di principi alternativo alla destra. Dobbiamo stare nella società, darle uno
scossone, svegliarla, ribaltare la gerarchia di valori imposta dalla tv. Ho fatto
campagna in mezzo alla gente, non solo tra i militanti, e ho visto un Paese
diverso da quello coperto e raccontato dalla televisione. Ci attende un lavoro
politico lungo e in profondità, che non sia finalizzato al voto successivo.
Dobbiamo dialogare con le opposizioni, certo, ma in primo luogo dobbiamo
rappresentare un'alternativa sociale e culturale a Berlusconi». Aldo Cazzullo
Il dipinto e il presidente Sopra, di Guillom Courtois, «Davide e Golia», olio
su tela conservato alla pinacoteca Capitolina. A destra,
Barack Obama e dietro di
lui John McCain «Disparità di mezzi» Ho toccato con mano una disparità enorme
di soldi, di mezzi, di tv, di giornali tra il Pd e Berlusconi. Nelle condizioni
italiane, neppure Obama
avrebbe mai battuto McCain
(sezione: Obama)
(
da "Corriere della Sera"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 08/06/2009 - pag: 21 La signora Mousavi
«Ahmadinejad chieda scusa o lo querelo» TEHERAN Zahra Rahnavard, moglie del
candidato alle presidenziali iraniane Mir Hossein Mousavi, ha minacciato di far
causa al presidente uscente Mahmoud Amhedinejad dopo che questi, in un
dibattito televisivo, ha messo in dubbio la validità del suo dottorato in
scienze politiche. «Ahmadinejad deve porgere le sue scuse al Paese, a me e a
mio marito per aver violato la nostra vita privata» ha dichiarato ieri
Rahnavard, intellettuale 64enne ed ex rettore di un'università femminile, che si è presentata come paladina delle donne iraniane
(rifiutando però il soprannome di Michelle Obama dell'Iran) e appare spesso al fianco del marito nei comizi,
ruolo senza precedenti per un'aspirante first lady nella Repubblica islamica.
La moglie di Mousavi ha accusato Ahmadinejad, favorito nelle elezioni del 12
giugno: «Ha creduto di poter provocare mio marito... e ha voluto dire
che le donne non devono avere un'istruzione superiore». Pretende le scuse «per
il suo comportamento immorale» entro oggi: «Il mio avvocato presenterà
denuncia». E ha aggiunto che l'intera nazione «teme di avere un presidente
bugiardo». L'Università di Azad, che ha concesso il dottorato a Zahra Rahnavard
nel 1995, ha
ribadito che il titolo di studio è legale e conforme alle regole. Nel dibattito
televisivo di mercoledì scorso, Ahmadinejad aveva anche preso di mira alcuni
importanti sostenitori di Mousavi accusandoli di corruzione: tra questi l'ex
presidente Akbar Hashemi Rafsanjani, che ha annunciato l'intenzione di
denunciarlo.
(
da "Corriere della Sera"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Opinioni data: 08/06/2009 - pag: 32 ELEZIONI E SCONFITTA
DELLA SINISTRA Insicurezza e crisi, le risposte mancate di FRANCO VENTURINI
SEGUE DALLA PRIMA E il responso delle urne, così, emette una sentenza che era
nell'aria ma che diventa ora misurabile: le sinistre europee non sono riuscite
a intercettare le ricadute sociali della crisi economica, non vengono viste
dalla maggioranza dei cittadini come antidoto alla disoccupazione crescente,
non leniscono le paure per il domani e non trovano risposte alle minacce che
ovunque pesano sull'assistenza pubblica. E in più, sono incapaci di riconoscere
i sentimenti di insicurezza che vengono generati dai flussi migratori. Il
segnale di delusione e sfiducia verso la sinistra che molti elettorati della Ue
hanno lanciato può apparire, e almeno in parte è, paradossale. Non sono forse
gli eccessi del liberismo capitalista, all'origine degli abusi che hanno
innescato la crisi economica? E non sono forse proprio questi i cavalli di
battaglia tradizionali della destra politica? Sulla carta, quella di ieri
doveva essere una grande rivincita della sinistra. E il fatto che le cose siano
andate in senso opposto deve far riflettere chi di dovere sulla gravità del
fiasco progressista. Certo, il tasso di assenteismo ha segnato un nuovo record.
Certo, va fatto un discorso a parte sulla crescita di movimenti fascistoidi che
sotto le loro etichette uniscono razzisti, nazionalisti estremi, sovranisti
anti-europei e persino, all'est, nostalgici del comunismo. Ma il messaggio
elettorale non risulta per questo più debole: i cittadini europei non trovano
più nelle sinistre «di governo» le proposte, i programmi, le innovazioni che
potrebbero fare argine a crisi e insicurezza. Perciò guardano a destra. Mentre
l'altra metà dell'Occidente, l'America, il cambiamento desiderato è andata a
cercarlo nella sinistra (tutto è relativo) di Barack Obama. Le storie europee di ieri sono diverse, ma non troppo. A Parigi
il centro-destra di Sarkozy stravince, ma soprattutto straperdono i socialisti
lacerati dal dualismo femminile Aubry-Royal. A Berlino i cristiano-democratici
della signora Merkel perdono parecchi punti, ma conservano un largo vantaggio
sui socialdemocratici bloccati al loro minimo e possono guardare con serenità
alle politiche di settembre. A Londra i laburisti di Gordon Brown non hanno più
lacrime per piangere e i conservatori ne approfittano. A Madrid avviene il
sorpasso dei popolari a danno dei socialisti di Zapatero, che reggono anche troppo
bene vista la gravità della congiuntura economica a Madrid e dintorni. Questa
volta i grandi Paesi si sono mossi come se l'Europa fosse realizzata, cioè
tutti nella stessa direzione. Ma altri verdetti ci fanno capire che l'Ue lo
sapevamo è tutt'altro che realizzata. Dopo l'Olanda anche in Austria
l'inquietante destra estrema di discendenza haideriana ha fatto segnare un
rilevante successo, imitata dai cugini ungheresi e in minor misura da altri.
Costoro, nel futuro Parlamento europeo, hanno intenzione di confluire in un
nuovo gruppo guidato nientedimeno che dai conservatori di Cameron, eurofobi più
che euroscettici e destinati a governare la Gran Bretagna. Non meno
preoccupante è l'esito elettorale in Irlanda e la conseguente aumentata
fragilità del governo in carica: proprio un nuovo referendum in Irlanda
dovrebbe salvare il Trattato di Lisbona, e i dubbi sono ora più leciti di
prima. Barroso ha la strada spianata per la conferma alla Commissione di
Bruxelles. Nel Parlamento dominato dal Ppe, che era già gruppo di maggioranza,
non cambierà molto. Sul terreno restano le illusioni della sinistra, ma resta,
non dimentichiamolo, anche la terza Europa. La prima Europa nacque per
scegliere tra la pace e la guerra dopo secoli di massacri, e conservò la sua legittimità
storica e strategica durante la guerra fredda. La seconda Europa, quella del
dopo-Muro, fu indebolita dalla sindrome della vittoria e poi da un allargamento
precipitoso, ma compì egualmente un balzo in avanti riassunto nell'euro. Ora ci
serve la terza Europa, la cui legittimità e forza dovrebbero derivare dalla
consapevolezza dei mutamenti mondiali e dalla volontà politica di non perdere
il treno della storia. Al di là di destra e sinistra, queste elezioni ci dicono
che la terza Europa non è neppure in vista.
(sezione: Obama)
(
da "Corriere della Sera"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 08/06/2009 - pag: 16 L'intervista L'economista
Alain Minc: «Gli elettori hanno premiato i governi di Berlino e Parigi che
hanno dimostrato coraggio e iniziativa» «Crisi economica e vecchie ricette
dietro la sconfitta della gauche» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI Vittoria
dell'Ump di Nicolas Sarkozy, incredibile successo degli ambientalisti di Daniel
Cohn-Bendit e pesante sconfitta per il partito socialista che si trova alla
pari con il partito ecologista e paga una forte erosione a sinistra. Il dato
francese è rivelatore di una tendenza che sta attraversando tutta l'Europa, in
particolare per quanto riguarda il successo dei popolari e il declino della
«gauche», da Madrid a Berlino, passando per Londra, Vienna, Lisbona, Roma. Ne
discutiamo con Alain Minc, saggista, economista, fra i più ascoltati
consiglieri dell'Eliseo. Come si spiegano i risultati negativi dei partiti
della sinistra in Europa (con qualche eccezione) nonostante la crisi economica,
la domanda crescente di protezione sociale e la messa in discussione del
modello liberista persino negli Stati Uniti e in Gran Bretagna? «E' il grande
paradosso di queste elezioni e della crisi che stiamo attraversando in questi
mesi. I partiti riformisti, di sinistra, o di estrema sinistra e
anticapitalisti, non ne approfittano, non riescono a intercettare il voto
popolare e a far passare le proprie proposte. La ricetta della famiglia
socialista europea non suscita particolari entusiasmi. Ma la vittoria delle
destre in Europa dimostra anche che, di fronte alla crisi, alcuni governi, in
particolare quello tedesco e quello francese, hanno fatto un buon lavoro. Credo
che il presidente incassi la forte capacità d'iniziativa durante la presidenza
francese dell' Unione. In Germania, viene premiata Angela Merkel, che viene
identificata nel governo tedesco, mentre l'Spd fa le spese della grande
coalizione ». Il partito ecologista di Cohn-Bendit è il grande vincitore, non
solo in Francia. Si prevede un gruppo di una sessantina di deputati verdi al
Parlamento. «Una vittoria che punisce in larga misura i socialisti e i
centristi di François Bayrou. Mi sembra un fenomeno di grande importanza e
novità. Significa che nuovi ceti medi, borghesi, intellettuali, urbani, giovani
sono un nuovo soggetto politico e si affermano come nuova forza politica. E' un
elettorato liberale, ambien-- talista, progressista che si allontana dalla
sinistra, soprattutto nelle grandi città». Quale Europa esce da queste
elezioni? «Il successo delle destre confermerà la tendenza degli ultimi anni.
Il modello europeo che si afferma non è quello di Monnet ma quello che aveva in
mente de Gaulle. Si rafforza il ruolo degli Stati e dei governi nazionali, si
va verso un direttorio di grandi Stati europei, aumenta il peso di Berlino e
Parigi, i cui governi sono stati rafforzati da questo voto. Sono governi che
hanno avuto coraggio e sono stati premiati». Non abbiamo ancora parlato del
voto inglese. «Anche in Gran Bretagna il Labour perde. Ma è un risultato molto
particolare, condizionato più che altrove da vicende nazionali e dal recente
scandalo. In ogni caso, è sempre difficile interpretare l'atteggiamento degli
inglesi verso l'Europa». E il voto in Italia? «Difficile valutare proiezioni.
Le urne si sono chiuse più tardi. L'Italia potrebbe avere un peso maggiore nel
gruppo dei grandi europei se l'immagine del Paese non fosse deteriorata dalla
situazione politica interna e dall'immagine di Silvio Berlusconi. Un giorno,
quando si studierà la storia di questo fenomeno, si dovranno analizzare oltre
al potere mediatico di Berlusconi anche gli errori della sinistra italiana e di
alcuni suoi leader, in particolare Massimo D'Alema. La sinistra italiana ha
buone idee e buoni progetti, ma incontra gravi difficoltà nel metterle in pratica
con una buona strategia. La sinistra francese non ha buone idee e sbaglia
tattica». C'è un ultimo dato che merita qualche riflessione. L'alto tasso di
astensione e la crescita di forze euroscettiche, anti europee e di estrema
destra. «L'astensionismo non dovrebbe suscitare eccessive preoccupazioni in
un'elezione europea. E' un dato fisiologico, da non drammatizzare. Tra l'altro
non erano in gioco questioni fondamentali come la moneta o la Costituzione.
Guardiamo il tasso di partecipazione negli Stati Uniti: è basso, ma ha prodotto il fenomeno Obama. Più preoccupante la crescita di movimenti di estrema destra,
anche se non generalizzata». Massimo Nava mnava@corriere.it \\ La vittoria dei
partiti ecologisti si basa su un nuovo ceto medio urbano, giovane, liberale e
lontano dai socialisti Tristi Lacrime e delusione. Un gruppo di giovani
socialisti francesi si dispera di fronte ai risultati elettorali delle elezioni
europee. Il partito socialista è ai minimi storici, al 16,8%, a meno di un
punto percentuale dal partito ecologista guidato da Cohn-Bendit
(
da "Stampaweb, La"
del 08-06-2009)
Argomenti: Obama
CORRISPONDENTE
DA PARIGI E stato un regalo davvero fantastico quello del
presidente
Obama alla piccola Sasha che compiva ieri otto anni:
una città intera da scoprire e amare, e che città: Parigi. Con le vie bloccate
dai poliziotti che scatano sullattenti, i monumenti
vuoti per poterli visitare con calma, il presidente Sarkozy e la moglie che
spalancano le porte del Palazzo dellEliseo
per porgere, anche loro, gli auguri. Sasha è la più piccola delle due figlie di
Barack
Obama: otto anni, tanti altri compleanni verranno per
lei, ma quello di ieri resterà indimenticabile. Il presidente americano ha
raccontato durante la conferenza stampa di venerdì che ha sempre sognato di
venire nella capitale francese per un fine settimana con la famiglia, «andare a
zonzo per acquisti e fare un picnic nei giardini del Lussemburgo». Sogno
impossibile ora che è presidente. Conclusa la parte ufficiale della sua visita
in Normandia si è concesso un seguito «privato» da dedicare a Michelle e alle
due bambine Malia e Sasha. «Privato» per come lo intende il dizionario
diplomatico: nel senso che non erano previsti colloqui politici e protocollari;
ma il privato del presidente degli Stati Uniti vuol dire correre per le strade
della capitale con i motociclisti che aprono la via alla limousine,
mastodontiche scorte di agenti, gli elicotteri che volano nel cielo come
chiocce fracassone. E la gente, quanta, sui marciapiedi che fa la foto con il
telefonino e applaude il presidente americano più simpatico ai francesi dai
tempi di Kennedy. Per il resto Obama, Michelle e le
due bambine hanno sfogliato tutte le classiche cartoline del tour parigino come
una qualsiasi famigliola di turisti. La torre Eiffel per cominciare, dove cera a salutarli il sindaco Delanoe. E poi Notre Dame.
Tutta vuota, solo la corale e lorganista
convocati per loccasione che hanno suonato e cantato per gli ospiti: la
gente è stata allontana unora prima per farla visitare con comodo agli Obama, un trattamento usato un tempo solo per i re di
Francia. Sasha e Malia hanno mancato lappuntamento
con i ristorante venerdi sera: un bistrot del settimo arrondissement, «La
fontaine de mars», frequentato di solito dallambasciatore americano.
Peccato: Michelle è stata molto soddisfatta del menu. Ha raccontato il
proprietario che la first lady ha definito la cena «wonderful meal». Prevedeva
gigot di agnello e ile flottante. Unica delusione, non hanno ordinato vino ma
coca cola. Secondo il proprietario, i servizi segreti hanno sistemato un
assaggiatore in cucina per i piatti presidenziali. Non si sa mai. Cè un terrorismo gastronomico da tener docchio.
Ieri per Sasha e Malia ancora musei, il centre Pompidou al mattino tra il
solito corteio di auto e elicotteri , due ore di visita per i genitori perché
ci sono molti capolavori, soprattutto Kandinsky e Calder. Le figlie hanno apprezzato
di più lo spazio per i bambini dove hanno realizzato simpatiche figurine con il
filo di ferro. Papà Obama poi è partito per tornare a
Washington; ma per il resto della famiglia cerano
ancora molte cose in programma. Il Louvre e il pranzo nel palazzo del
presidente francese per esempio, a cui si è unita nonna Marian che a Washington
ha il compito di custodire le nipoti alla casa Bianca . A tavola anche Louis e
Aurélien, i figli di Sarkozy e di Carla che hanno potuto conversare con le
piccole ospiti perché al contrario del presidente parlano anche inglese.
Pomeriggio shopping. E visto che si era a Parigi capitale della moda ed era un
giorno davvero speciale, mamma Michelle che compra i vestiti per le figlie
sempre nello stesso posto in America, che si chiama «j.Crew», ha fatto uneccezione: tutti da Bonpoint, vestiti per bambini molto
chic. Oggi purtroppo si riparte per Washington e bisognerà rimettersi a leggere
e a studiare. Parigi, che nostalgia!