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Report "Obama"   6-6-2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

Chi vincerà le elezioni? Il partito dell'astensione. Sicuramente in Europa, forse anche... ( da "Stampa, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama deve ancora dirgli a che ora lo riceve, quando Berlusconi il 15 giugno volerà a Washington. C'è parecchio nervosismo pure sulla scelta dell'ambasciatore americano a Roma. Se però il premier trionfa, nelle altre capitali finisce che si rassegnano: è la democrazia, bellezza.

Non vogliamo imporre soluzioni Israele, palestinesi e arabi facciano la loro parte ( da "Stampa, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Sul Medio Oriente Non vogliamo imporre soluzioni Israele, palestinesi e arabi facciano la loro parte Con Obama abbiamo definito i tempi necessari per realizzare questi sforzi B. Obama A. Merkel

L'essere venuto qui oggi è un po' come essere andato alla tomba di mio padre. Ma mio ... ( da "Stampa, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Signor presidente Obama, abbiamo riposto tante speranze in lei perché, grazie alla sua visione morale della storia, lei può rendere questo mondo un posto migliore, dove la gente smetterà di fare la guerra - sempre assurda e insensata - e odiarsi. Ma il mondo non ha imparato.

Israele scettica "Troppa indulgenza con gli estremisti" ( da "Stampa, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: di Obama sono giunte ieri anche da un dirigente del Likud: il ministro dell'informazione Yuli Edelstein. Richiesto di esaminare le ripercussioni per Israele, questi ha escluso che Netanyahu possa accettare di rappresentare agli occhi di Obama un elemento negativo, o anche irrilevante alla realizzazione dei suoi progetti.

Insieme alla cancelliera Merkel visita il campo Non dimenticherò mai ciò che ho visto ( da "Stampa, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: intervista Obama chiama in causa Ahmadinejad: «Dovrebbe andare a Buchenwald, non ho pazienza con chi nega la storia, non si specula sull'Olocausto». Obama va oltre il rigetto del negazionismo, vede «in quanto avvenuto qui l'insegnamento che dobbiamo vigilare contro il Male nel nostro tempo, respingendo l'idea che la sofferenza del prossimo non ci riguarda»

tre religioni una preghiera - enzo bianchi ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ENZO BIANCHI Vi sono alcuni elementi del discorso di Obama al Cairo che mi paiono sollecitare una riflessione che vada oltre le pur ricche e variegate implicazioni politiche e strategiche. Innanzitutto la capacità del presidente degli Stati Uniti di parlare a una "comunità" segnata da un´appartenenza religiosa, la umma musulmana, a nome di una "comunità" unita da un´etica condivisa.

disoccupati usa al 9,4%, top da 25 anni - arturo zampaglione ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: che verrà accelerata da Barack Obama) riaccendano l´inflazione. Pubblicati ieri dal ministero del Lavoro di Washington, i dati sull´occupazione a maggio rafforzano le inquietudini. E´ vero infatti che il mese scorso, tra licenziamenti, chiusure di fabbriche e blocco del turnover, sono stati persi negli Stati Uniti solo 345mila posti di lavoro,

le anime belle di fronte alle urne - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Hussein Obama ha risvegliato la ragione facendo leva su una travolgente emotività carismatica. Quanto sta accadendo nel mondo e nella straordinaria trasformazione dell´immagine dell´America ci insegna questo: per svegliare la ragione ci vuole un forte soprassalto emotivo, senza il quale l´emotività si volge a beneficio della demagogia.

torino-berlino un problema anche di stile ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Dopo di che in tempi recenti ha provveduto Barack Obama a chiamare la Fiat perché mettesse mano a un progetto di sopravvivenza. Poteva la Germania tollerare che, dopo quel colpo a vuoto, fosse la Fiat a dover intervenire nuovamente per salvare, questa volta, la Opel? Certo che no. E lo si è capito benissimo soprattutto nei vertici sindacali italo-tedeschi dove soltanto la rituale "

la scommessa di renzi - pietro jozzelli ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Firenze LA SCOMMESSA DI RENZI PIETRO JOZZELLI Obama cambia il mondo, parla di incontro e non più di scontro di civiltà (come sono diventati subito vecchi gli anatemi di Oriana Fallaci), riusciranno gli elettori fiorentini a scuotere Firenze dal suo torpore di finta capitale dell´arte e di reale media città incapsulata nelle sue contraddizioni?

Obama a Buchenwald: Ahmadinejad venga qui ( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 2009 - pag: 1 Visita al lager in Germania Obama a Buchenwald: Ahmadinejad venga qui di PAOLO VALENTINO Visita a Buchenwald, la prima di un presidente americano. Tappa in Germania per Barack Obama, accompagnato dalla cancelliera Angela Merkel e dal premio Nobel Elie Wiesel, che nel lager di Buchenwald vide morire il padre.

Obama visita Buchenwald ( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: pag: 14 La tappa tedesca Omaggio alle vittime del nazismo assieme a Elie Wiesel Obama visita Buchenwald «Ahmadinejad, vieni qui» Il presidente Usa attacca i negazionisti della Shoah DAL NOSTRO INVIATO DRESDA C'è differenza grande tra ascoltare la storia dei crimini indicibili e andare a vedere i luoghi dove fu consumata.

Ma con la Merkel è grande freddo ( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Anche i due stop che Obama si è preso da Berlino di recente pesano. La Grosse Koalition ha ribadito che non si impegnerà in zone pericolose in Afghanistan, esattamente la risposta che dava ogni volta a Bush: nessun aiuto in più a Obama. Anche qui, niente polemiche da parte della Casa Bianca.

Un'amica a capo dello staff di Michelle ( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: tre delle più alte cariche dell'East Wing sono adesso ricoperte da vecchie amiche di Michelle Obama». Dopo meno di sei mesi alla Casa Bianca, Michelle Obama ha rimpiazzato il capo del suo staff con un amica di vecchia data, provocando un piccolo terremoto negli equilibri della East Wing, la zona della Casa Bianca riservata alla moglie del presidente.

( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: mi sembra sia piuttosto chiaro che Obama abbia deciso di lasciar fuori Hamas, finché non riconosce lo Stato d'Israele. Della rappresentanza politica, ricevendolo pure a Washington, ha investito Abu Mazen. Anche con l'Iran, Obama vuole evitare ogni fronte polemico. La sua strategia è evitare ogni accenno alla forza, almeno per adesso.

Cena romantica con la moglie Barack snobba Sarko e Carla ( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Gli Obama non fanno eccezione. Con il presidente in arrivo dalla Germania, anche la first lady Michelle è atterrata ieri sera a Parigi. Con lei, le figlie Malia e Sasha, la madre Mariann e lo zio del marito, Charles Payne. Clou del fine settimana parigino di Barack e moglie, è la cena di questa sera al secondo piano della Tour Eiffel,

La scuola (pubblica) dei prof superpagati ( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: varata da Bush e mai rinnegata da Obama) ha finito per aggravare la crisi della scuola pubblica, provocando l'esodo in massa dei migliori docenti verso le corporation private. Dal servizio del Times, si scopre che, quando aprirà i battenti, la nuova scuola pilota avrà solo 8 insegnanti per 120 studenti di prima media, scelti attraverso una lotteria tra ragazzi del quartiere (

Disoccupati Usa, come 25 anni fa ( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama presenterà le nuove iniziative per accelerare il piano di stimoli economici avviato dal Congresso. E sospesa fra cauta fiducia e pessimismo è apparsa ieri anche Wall Street, dove gli indici hanno oscillato per tutta la giornata prima di chiudere appena sopra lo zero (il Dow Jones a più 0,15% e il Nasdaq meno 0,

L'obiettivo delle grandi potenze: fermare la Corea senza farla crollare ( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Questa strategia solleva un problema reale per il presidente Barack Obama. Se non va giù duro contro la Corea del Nord, imponendo sanzioni pesanti, rischia di dimostrare all'Iran che l'America non ha polso. Difatti, la politica di Obama in Iran che abbina il bastone di interventi e sanzioni alla carota di colloqui e riconoscimento viene testata in Corea del Nord.

No R 28,6 ( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: it Avete trovato il discorso di Obama convincente e utile per una svolta nei rapporti con l'Islam? SUL WEB Risposte alle 19 di ieri Sì R 71,4 No R 28,6 La domanda di oggi Pattuglie di vigilantes in servizio di notte sulla metropolitana milanese per aumentare la sicurezza. Siete d'accordo?

Obama e il futuro che diventa racconto ( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 55 A fil di rete di Aldo Grasso Obama e il futuro che diventa racconto L o storico discorso del presidente degli Usa al mondo islamico non è stato trasmesso dalle reti generaliste italiane. Evidentemente non hanno ritenuto che l'apertura di Barack Obama al mondo islamico, fatta nell'aula magna dell'Università Al-Azhar del Cairo, meritasse lo statuto di «

Mozilo l'italiano, re dei mutui primo indagato per il grande crac ( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: affidata dal presidente Obama a Mary Schapiro che ha subito reclutato «segugi» come l'ex procuratore federale Robert Khuzami, ha cambiato drasticamente rotta. Quella intentata contro Mozilo è una causa civile, ma un'incriminazione anche penale potrebbe essere dietro l'angolo, visto che anche l'Fbi indaga da tempo sul finanziere italo-americano.

Le anime belle di fronte alle urne ( da "Repubblica.it" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Hussein Obama ha risvegliato la ragione facendo leva su una travolgente emotività carismatica. Quanto sta accadendo nel mondo e nella straordinaria trasformazione dell'immagine dell'America ci insegna questo: per svegliare la ragione ci vuole un forte soprassalto emotivo, senza il quale l'emotività si volge a beneficio della demagogia.

intelligence e torture barack perde un altro uomo ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: nominato da Barack Obama alla guida dei servizi di intelligence per la sicurezza interna, ha deciso di ritirarsi dall´incarico. A riferirlo è il sito web di Fox News. La rinuncia di Mudd arriva a una settimana dalla seduta parlamentare al termine della quale il Senato avrebbe votato a favore del suo incarico.

obama tra gli orrori dell'olocausto "ahmadinejad venga qui a vedere" - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: è stato la sede del vertice Obama-Merkel e della successiva conferenza stampa. Occasione che è servita al presidente americano per tornare a parlare di Medio Oriente all´indomani del "discorso all´Islam". «Il momento di agire è adesso», ha detto Obama, fiducioso che il suo messaggio del Cairo abbia creato «l´atmosfera giusta» per far ripartire i negoziati di pace.

il prozio del presidente che liberò il lager ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Prozio di Barack Obama (è il fratello della nonna materna del presidente Usa), faceva parte dell´89ma divisione di fanteria che liberò il lager nazista. Ieri Payne ha accompagnato il nipote durante la visita al campo di sterminio e oggi parteciperà alle celebrazioni per il 65° anniversario dello sbarco in Normandia.

salta la cena con sarkozy e carla - giampiero martinotti ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack e Michelle Obama abbracceranno e baceranno Nicolas e Carla Sarkozy. Ma all´Eliseo c´è un certo disappunto: il presidente statunitense non ha voluto prestarsi al gioco delle fotografie e dell´amicizia alla vigilia del voto di domani per le europee. E per la parte privata della sua visita in Francia, ha preferito andare a cena con la famiglia,

dopo il cairo occhi puntati sull'iran - renzo guolo ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: sospinto anche dal riverbero interno delle parole di Obama, nelle imminenti elezioni presidenziali Khamenei sceglierà di abbandonare a se stesso l´ormai scomodo Ahmadinejad, stigmatizzato a causa del suo negazionismo e delle posizioni su Israele, da Obama a Buchenwald, durante l´appendice tedesca del suo viaggio.

a teheran tra comizi e talk show la shoah infiamma la vigilia del voto - vanna vannuccini ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il leader della opposizione accusa Ahmadinejad VANNA VANNUCCINI TEHERAN - Il Leader supremo Khamenei aveva parlato giovedì ancora prima che Obama arrivasse al Cairo. Davanti alla tomba di Khomeini, commemorando l´anniversario della morte dell´Imam, aveva ammonito il presidente americano che «cento discorsi non basteranno» se gli Stati Uniti non cambiano nei fatti la loro politica.

omaha beach e cimitero usa oggi l'omaggio al d-day ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: europeo di Barack Obama fa tappa oggi in Normandia dove il presidente americano ricorderà il 65esimo anniversario dello sbarco alleato durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l´arrivo ad Orly, Obama incontrerà il presidente francese Nicolas Sarkozy (è previsto un faccia a faccia di una ventina di minuti) per celebrare il D-Day che diede inizio alla liberazione della Francia dall´

parigi val bene un budda è boom di nuovi fedeli - anais ginori ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: "icona pop" e terzo leader più popolare al mondo dopo Barack Obama e Angela Merkel. A livello religioso, rappresenta soltanto una delle tante scuole e correnti di questa fede. Il leader tibetano arriverà oggi a Parigi per ricevere la cittadinanza d´onore dal sindaco Bertrand DelanoË con la solita coda di polemiche.

la coppia infiltrata da fidel nel cuore dell'america - vittorio zucconi ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: sta appassendo da solo sul ramo della storia e la presidenza Obama sta dando chiari segnali di apertura e di normalizzazione con quello che resta della "revolucion" che fece tremare le Americhe. Se soltanto i «nostri agenti a Washington» avessero resistito ancora qualche anno fino all´ormai inevitabile crollo anche di quest´ultimo muro di canne da zucchero, sarebbero morti in pace,

tre religioni, una preghiera - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: è solo un sogno quello di Obama? Eppure, non è proprio questo ciò che sperano, magari confusamente, i musulmani delle diverse nazioni, i copti in Egitto, i maroniti del Libano, gli ebrei in Israele? E quando Obama ricorda quel testo escatologico del Corano in cui Mosè, Gesù e Maometto pregano insieme, oppure quando richiama la benedizione di Dio sui pacifici citando l´

"io, presidente di seggio col velo spero che oggi nessuno protesti" - zita dazzi ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Anche lei voterà, senza temere contestazioni: «Forse oggi ci stupisce un presidente di seggio col velo. Ma prevedo che in futuro ci saranno donne italiane musulmane e velate in cariche importanti. Come negli Usa, dove una delle consulenti di Obama è un´americana velata».

quel "drive in" a bordo piscina che silvio non può nascondere - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Interni Voli di Stato Obama li paga Quel "Drive in" a bordo piscina che Silvio non può nascondere Il racconto Hanno fatto il giro dei siti. Così nel Villaggio globale la comunicazione non ha più confini Non occorre essere padre per sapere che un divieto scatena il desiderio di infrangerlo (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) E´ divenuto globale,

se dio rinasce - roberto festa ( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: cristiano si afferma grazie alla Riforma ROBERTO FESTA Barack Obama ha intessuto il suo discorso del Cairo di riferimenti al Corano, al Talmud, alla Bibbia. Fatto apparentemente insolito, per il presidente di un paese i cui Padri Fondatori guardavano la religione con sospetto e molta preoccupazione. «I preti temono il progresso della scienza come le streghe l´avanzare della luce»,

E' un referendum su Berlusconi ( da "Stampaweb, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama deve ancora dirgli a che ora lo riceve, quando Berlusconi il 15 giugno volerà a Washington. C?è parecchio nervosismo pure sulla scelta dell?ambasciatore americano a Roma. Se però il premier trionfa, nelle altre capitali finisce che si rassegnano: è la democrazia, bellezza.

Beirut, il voto è in vendita ( da "Stampaweb, La" del 06-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: sullo schermo del computer quelli del presidente americano Obama, «uno di noi». La generazione cresciuta dopo la guerra civile vive la polarizzazione del paese come un destino che non ha scelto. «Vorrei che Bruce Springsteen venisse a Beirut» dice l?insegnante trentenne Hanadi Chamas giocando con gli amici a «specchio dei desideri» al bancone dell?


Articoli

Chi vincerà le elezioni? Il partito dell'astensione. Sicuramente in Europa, forse anche... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Chi vincerà le elezioni? Il partito dell'astensione. Sicuramente in Europa, forse anche in Italia. Da noi farà scintille tanto a sinistra, tra i delusi del Pd, quanto a destra, tra i disgustati dal Cavaliere. Le uniche zone che «tengono» sembrano quelle dove c'è lotta a coltello per sindaco (Firenze, Bologna) o presidente di provincia. Chi mandare a Strasburgo è argomento che non scalda la gente, tantomeno i partiti. Difatti nessuno ne parla. Chi invece canterà vittoria, domenica sera? Berlusconi, se scavalca l'asticella che egli stesso ha collocato parecchio su, forse perfino troppo. Altrimenti festeggeranno tutti gli altri. Il Pd, si capisce. Ma anche i «giornali ostili», le «toghe rosse», i «poteri forti», insomma quanti in Italia e all'estero sono angosciati dalla prospettiva di un Cavaliere senza più freni. Che quota vuole superare Berlusconi? L'ha detto lui: almeno il 40 per cento. Così tapperebbe la bocca a chiunque. Se poi invece che a 40 il termometro si fermasse a 39,5 in pratica cambierebbe poco perché l'anno scorso il Pdl era quasi «sfebbrato»: aveva 37,3 (voto delle Politiche). Dunque un notevole balzo all'insù. E' l'unico traguardo del Cavaliere? No, dalle urne lui spera addirittura che gli esca un «terno» al lotto per poi spianare tutti gli ostacoli. Oltre a quota 40, vorrebbe superare insieme con la Lega la soglia psicologica del 50 per cento in modo da poter dire a Napolitano: la maggioranza degli italiani è con noi, firma senza fiatare i decreti. Ciliegina sulla torta sarebbe il record personale delle preferenze, 4 milioni, 5 milioni... In quel caso il premier cosa farebbe? Intanto affronterebbe più sereno il prossimo G8, tra un mese a L'Aquila. Dopo lo scandalo Noemi, soltanto Sarkozy gli ha fatto una telefonata carina. Dagli altri Grandi, soltanto gelo. Obama deve ancora dirgli a che ora lo riceve, quando Berlusconi il 15 giugno volerà a Washington. C'è parecchio nervosismo pure sulla scelta dell'ambasciatore americano a Roma. Se però il premier trionfa, nelle altre capitali finisce che si rassegnano: è la democrazia, bellezza. Il Cavaliere «unto» dal Popolo punterebbe subito al Quirinale? No, non subito. Sul Colle abiterà fino al 2013 un signore di nome Napolitano. Per sfrattarlo, Berlusconi dovrebbe farlo dimettere (difficile) o cambiare la Costituzione. E i suoi consiglieri avvertono che, comunque, l'ansia di vendicarsi con i pm al momento prevale sulla sua voglia di presidenzialismo. Comincerà dalla giustizia. Fini suona un altro spartito. Subirà ritorsioni? Molto si spera, nel giro berlusconiano, in un grande successo personale del ministro La Russa candidato al Nord-Ovest. In modo da far vedere che, tra gli orfani di An, il presidente della Camera deve fare i conti con un rivale. L'altro scenario: Berlusconi fa fiasco... Per il sistema dei vasi comunicanti, ciò significa che gli elettori di destra avranno premiato la Lega. Furba e concreta. In un anno ha già portato a casa federalismo fiscale, ronde e respingimenti. Se ora supera il 10 per cento, chi la ferma più? Alzerà il prezzo sulle riforme, chiederà presidenze di regioni, pretenderà poltrone importanti alla Rai. L'appetito vien mangiando. Quello leghista è insaziabile. Eppure Berlusconi promette: «Mai litigherò con Bossi». Cose che si dicono prima delle elezioni. Mettiamo che il Carroccio diventi primo partito della Padania, conquisti il Veneto, riesca a umiliare i «berluscones» in molte provincie della Lombardia e dalle valli scenda in Emilia, fin giù nelle Marche... Si accenderebbe una rivalità da derby. Voci autorevoli del Pdl già sussurrano: «Se la Lega alza troppo la cresta, ci fa venire voglia di votare sì al referendum elettorale del 21 giugno, quello che ci porterebbe al bipartitismo, in modo da regolare subito i conti». Non sono buoni propositi. Insomma: se Bossi surclassa il Pdl, davvero può cadere il governo? Con una opposizione che gioca d'astuzia, chissà. Finché la Lega verrà demonizzata come movimento xenofobo, per le sue tesi sugli immigrati, l'unica alleanza possibile di Bossi sarà sempre col Cavaliere. Diverso sarebbe, c'è chi comincia a ragionare a sinistra, nel caso in cui il Pd scavasse marxianamente nelle contraddizioni del blocco al potere. Franceschini rischia il posto? E' il primo a non farsi illusioni. Ha una missione impossibile, difendere il 33,2 delle elezioni politiche. Da allora la concorrenza dipietrista s'è fatta più spietata. I Radicali se ne sono andati per conto loro. E stavolta il segretario Pd nemmeno si può appellare al «voto utile» che prosciugò il povero Bertinotti: a sinistra c'è un'aria da «rompete le righe» da cui comunisti e vendoliani rischiano di non trarre vantaggio solo perché, tafazzianamente, hanno scelto di odiarsi fino in fondo e di presentarsi divisi. Quanto deve ottenere, Franceschini, per salvare la poltrona? L'uomo ha dignità. In caso di naufragio, tipo 25 per cento, non si farebbe cacciare, se ne andrebbe con le sue gambe. Ma sarebbe anche la fine del progetto Pd. Un risultato inatteso, verso il 30 per cento, ne farebbe al contrario un eroe della resistenza anti-berlusconiana, lo supplicherebbero in ginocchio di restare. E nel mezzo tra i due estremi? Un risultato né carne né pesce, che alla vigilia sembra il più plausibile, per molti versi sarebbe anche quello maggiormente dannoso. Perché avrebbe l'effetto di intricare le scelte, di paralizzare le decisioni. Né vinti né vincitori, cioè tutti contro tutti. D'Alema mai così esposto, ma pure Veltroni che si è riaffacciato nel finale con un appello su Facebook. Rutelli in odore di scissione e lo stesso fantasma di Prodi, emerso dal cono d'ombra... Visto con gli occhi dell'elettore Pd: qual è la situazione ottimale? Berlusconi che perde. Spiegano intelligenti protagonisti della sinistra: alla fine poco conta se il Pd ha il 26 o il 28 per cento, non è da quello che se ne trae una prognosi. Importa semmai che il Cavaliere non diventi padrone d'Italia, superando di slancio «quota 40». A quel punto, si riaprirebbero i giochi. Tornerebbe spazio per la politica. Casini e Di Pietro smetterebbero di guardare al Pd con l'occhio del coccodrillo affamato. E magari acconsentirebbero a una strategia comune per voltare pagina insieme.

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Non vogliamo imporre soluzioni Israele, palestinesi e arabi facciano la loro parte (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Sul Medio Oriente Non vogliamo imporre soluzioni Israele, palestinesi e arabi facciano la loro parte Con Obama abbiamo definito i tempi necessari per realizzare questi sforzi B. Obama A. Merkel

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L'essere venuto qui oggi è un po' come essere andato alla tomba di mio padre. Ma mio ... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

L'essere venuto qui oggi è un po' come essere andato alla tomba di mio padre. Ma mio padre non ha una tomba. E' da qualche parte nel cielo, divenuto in quegli anni il più grande cimitero di ebrei. Il giorno che è morto è stato uno dei più terribili della mia vita. Era sempre più malato e debole e io assistevo alle sue sofferenze. Ero lì quando chiese aiuto, chiese acqua. Ero lì quando pronunciò le sue ultime parole. Ma non ero più accanto a lui quando mi chiamò, per quanto eravamo nella stessa baracca: lui nel letto di sopra, io sotto. Mi chiamò per nome, ma io avevo troppa paura di muovermi. Tutti avevamo paura. Poi morì. Ero lì, ma non ero lì. Allora pensai che un giorno sarei tornato e avrei parlato a lui, raccontandogli il mondo nel quale avrei vissuto. Gli sto parlando di tempi in cui la memoria è diventata un sacro dovere di tutte le persone di buona volontà. Posso dirgli qualcosa sulla lezione che il mondo ha imparato? Non ne sono certo. Signor presidente Obama, abbiamo riposto tante speranze in lei perché, grazie alla sua visione morale della storia, lei può rendere questo mondo un posto migliore, dove la gente smetterà di fare la guerra - sempre assurda e insensata - e odiarsi. Ma il mondo non ha imparato. Quando venni liberato dall'esercito americano, l'11 aprile 1945, molti di noi pensarono che almeno una lezione era stata imparata, che non ci sarebbe mai più stata una guerra, che l'odio non è una soluzione, che il razzismo è stupido e il desiderio di conquistare le menti, il territorio e le aspirazioni degli altri non aveva senso. Ero pieno di speranze, paradossalmente, come molti di noi,per quanto proprio noi avevamo il diritto di lasciar perdere l'umanità, la cultura, l'educazione, di abbandonare la possibilità di vivere la nostra vita con dignità, in un mondo dove essa non aveva più posto. Avevamo respinto questa possibilità, e ci eravamo detti: no, dobbiamo continuare a credere nel futuro perché il mondo ha imparato. Ma non imparò nulla, altrimenti non ci sarebbero stati la Cambogia e il Ruanda, il Darfur e la Bosnia. Il mondo imparerà mai? Penso che proprio per questo Buchenwald sia così importante, come Auschwitz, ma in modo diverso. Questo campo fu una sorta di comunità internazionale, che raccoglieva gente di provenienza politica, economica e culturale più diversa. Il primo esperimento di globalizzazione fu condotto qui. E si fece tutto il possibile per ridurre l'umanità degli umani. Per noi era umano essere disumani. Ma spero che il mondo abbia imparato qualcosa. Questa speranza include molto di quello che dice lei, signor presidente: sicurezza per Israele e per i suoi vicini, pace in quella regione. Basta andare ai cimiteri. Deve arrivare un momento per mettere la gente insieme e superare le divisioni. Chiunque sia oggi qui deve tornare indietro con la risolutezza di farlo. La memoria deve unire e non dividere. Non deve sollevare nei nostri cuori la rabbia, ma un sentimento di solidarietà con quelli che hanno bisogno di noi. Cos'altro possiamo fare se non invocare la memoria ? Un grande uomo, Camus, scrisse nella conclusione del suo meraviglioso romanzo "La Peste": «Dopo tutto, dopo la tragedia, nell'essere umano restano più cose da celebrare che da denigrare». E questa è una verità che, con tutto il dolore che ciò comporta, troviamo qui a Buchenwald. Grazie, signor presidente, per avermi permesso di tornare alla tomba di mio padre, che è sempre nel mio cuore. Dal discorso di ieri a Buchenwald

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Israele scettica "Troppa indulgenza con gli estremisti" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Retroscena Gerusalemme chiede fermezza Israele scettica "Troppa indulgenza con gli estremisti" ALDO BAQUIS TEL AVIV Il progetto politico illustrato da Barack Obama al Cairo è ardito e degno di lode, eppure la sua traduzione in realtà resta irta di ostacoli. Sono improntate a scetticismo le reazioni nel mondo politico israeliano: non solo quelle rilasciate a caldo dall'ufficio del premier Benyamin Netanyahu (una nota stringata in cui Israele assicura che lavorerà per la pace, senza però mai perdere di vista le proprie necessità di sicurezza) ma anche quelle di Tzipi Livni, leader di Kadima e principale forza di opposizione al governo. Di sicuro la Livni trova encomiabili i propositi di Obama di puntare alla democratizzazione nel mondo arabo. Ma le ferite dell'ex ministro degli Esteri non si sono ancora rimarginate. Nel gennaio 2006, quando faceva parte del governo di Ariel Sharon, la Livni si era scontrata con gli americani per essersi opposta alla partecipazione di Hamas alle elezioni politiche nei Territori (vinte poi dagli islamici). Con un occhio anche alle prossime elezioni in Libano (dove gli Hezbollah potrebbero conseguire un cospicuo successo) la Livni fa presente ad Obama che esistono movimenti radicali che utilizzano il sistema democratico solo per ottenere legittimità internazionale, ma senza rinunciare alle loro agguerrite milizie e ai loro obiettivi di lungo termine. (Proprio ieri un esponente di al-Fatah ha affermato che Hamas potrebbe tentare un putsch in Cisgiordania, come quello condotto a Gaza nel 2007). Ci sono casi - avverte da parte sua la Livni - in cui le elezioni democratiche si ritorcono su se stesse. Occorre dunque costringere quei movimenti radicali islamici ad una scelta dolorosa: rinunciare alle loro milizie (e alla capacità di intimidire i rivali) oppure restare esclusi dal gioco democratico e dalla legalità internazionale. «Questo codice dovrà essere seguito dagli osservatori elettorali e indicherà agli elettori che votare una forza antidemocratica avrà delle gravi conseguenze per il loro Paese», ha dichiarato la Livni al New York Times. Anche se la stampa locale presenta la nuova politica di Washington come una pesante mazzata per Netanyahu, espressioni di ammirazione per la «visione» di Obama sono giunte ieri anche da un dirigente del Likud: il ministro dell'informazione Yuli Edelstein. Richiesto di esaminare le ripercussioni per Israele, questi ha escluso che Netanyahu possa accettare di rappresentare agli occhi di Obama un elemento negativo, o anche irrilevante alla realizzazione dei suoi progetti. Israele cercherà piuttosto di elaborare una terza via, di associarsi in maniera costruttiva alla politica del Presidente. Come la Livni, anche Netanyahu dubita che i principi illustrati nel discorso del Cairo possano essere tradotti in fatti. «Saremo come un ponte - ha anticipato Edelstein - sospeso tra la visione molto positiva di Obama, tra la realtà regionale che conosciamo fin troppo bene, e tra le cose che comunque non potranno mai avvenire». Una di queste, secondo il Likud, è il congelamento delle colonie in Cisgiordania. «Non possiamo certo dire alle madri di Maaleh Adumim (città-colonia alle porte di Gerusalemme) o di Gush Etzion (Betlemme) di non partorire più!», ha esclamato il dirigente israeliano. Ma tra le linee c'era un barlume di compromesso: se congelamento deve esserci, forse potrebbe avvenire negli insediamenti che si trovano al di là della Barriera di sicurezza, nelle zone più fittamente popolate dai palestinesi. Certo il compito di mantenere il controllo sugli oltre 300 mila coloni non è facile. Le loro frange estreme sono esempre più inquiete: questa settimana hanno minacciato di morte un comandante militare israeliano, hanno attizzato il fuoco in campi palestinesi e ieri hanno creato in Cisgiordania un provocatorio «Avamposto Obama» in aperta sfida al governo. Eventuali pressioni internazionali non preoccupano comunque il governo di Gerusalemme. «Il nostro è un governo stabile, allargato ai laburisti, nessuno - afferma Edelstein - può dire che siamo estremisti». «Gli Stati Uniti restano per noi un importante partner strategico, specialmente per la questione iraniana. A volte fra amici bisogna sapersi dire la verità, anche se si manifestano dissensi. In definitiva, sapremo lavorare assieme».

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Insieme alla cancelliera Merkel visita il campo Non dimenticherò mai ciò che ho visto (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Insieme alla cancelliera Merkel visita il campo «Non dimenticherò mai ciò che ho visto» [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI INVIATO A DRESDA Barack Obama rende omaggio alle vittime dell'Olocausto nell'ex lager di Buchenwald, lanciando un monito contro «coloro che negano quanto avvenne» come il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. La guida del presidente americano è Elie Wiesel, il premio Nobel per la pace, che venne deportato ad Auschwitz e poi all'inizio del 1945 fece la «marcia della morte» a piedi, assieme a migliaia di prigionieri, a Buchenwald, dove vide morire il padre di stenti poco prima della liberazione. Obama e Wiesel camminano sulla terra brulla, assieme alla cancelliera tedesca Angela Merkel, al direttore del museo Volkhard Knigge e a Bernard Hertz che fu come Wiesel fra i 924 orfani scampati al lager dove trovarono la morte oltre 56 mila esseri umani catturati, per ragioni politiche o razziali, in ogni angolo d'Europa. Tutti e cinque depongono una rosa bianca sul memoriale dello sterminio, poi visitano i crematori, i siti delle fosse comuni, passano davanti al filo spinato, nel «Piccolo lager» dove le SS tenevano i bambini, guardano l'orologio fermo sulle 15.15, l'ora nella quale il campo venne liberato dagli americani l'11 aprle 1945. E' Wiesel che parla trasformando il passato in presente: racconta i dettagli dell'orrore quotidiano come le «lezioni segrete per bambini» e «chi sfidava la morte per digiunare il giorno di Kipur», ricorda l'agonia del padre «che non potei aiutare nel momento in cui morì», indica al presidente «il contrasto fra la bellezza della natura e la brutalità che vi avvenne». L'impatto delle parole del testimone segna il presidente. E' il linguaggio del corpo a svelarlo: all'inizio ha le mani in tasca, mostrandosi quasi rilassato, ma dopo pochi minuti non sa evidentemente più dove metterle, le stringe forte dietro la schiena mentre la fronte tradisce tensione nell'ascoltare i particolari della banalità dello sterminio. Attraversato il campo, Obama entra nel museo, vede ciò che resta dei manufatti della soluzione finale. Ci sono anche le foto scattate dopo la liberazione che ritraggono il sedicenne Wiesel: dentro una baracca, fra gli orfani. Quando il presidente arriva di fronte ai giornalisti, esordisce con un «non dimenticherò mai ciò che ho visto». E poi racconta il legame personale con l'Olocausto: «Il mio prozio Charles Payne fu fra i primi soldati della 89° divisione a entrare a Ohrdruf, uno dei campi collegati a Buchenwald, e quanto vide lo fece chiudere nel silenzio al ritorno a casa». L'altro americano che Obama ricorda è «il comandante del mio prozio, il generale Eisenhower» che ordinò «ai suoi soldati, agli abitanti dei vicini centri tedeschi e ai giornalisti» di «andare a vedere di persona, fotografare e filmare» quanto avvenuto a Buchenwald «per evitare che in futuro qualcuno potesse dire che tutto ciò è propaganda». E' qui che Obama vede la connessione con l'oggi, dice che l'ordine di testimonianza assegnato da Eisenhower «resta da compiere» perché «c'è chi afferma che «l'Olocausto non è mai avvenuto» in una maniera «odiosa e ignorante» che «impone di reagire a chi dice bugie sulla nostra storia» perché «l'orrore di questi luoghi non passa con il tempo». Il riferimento è al presidente iraniano, che ha sollevato dubbi sulle «prove» dell'Olocausto. In un'intervista Obama chiama in causa Ahmadinejad: «Dovrebbe andare a Buchenwald, non ho pazienza con chi nega la storia, non si specula sull'Olocausto». Obama va oltre il rigetto del negazionismo, vede «in quanto avvenuto qui l'insegnamento che dobbiamo vigilare contro il Male nel nostro tempo, respingendo l'idea che la sofferenza del prossimo non ci riguarda». Vicino a Obama, Merkel parla della «missione tedesca» di «affinché quanto avvenne non si ripeta» e ricorda anche altre vittime: «Quando a usare questo lager furono i sovietici». Reduce dal discorso del Cairo sull'inclusione dell'Islam nell'identità americana, le tappe nell'ex lager e a Dresda - che fu distrutta da un bombardamento alleato - servono a Obama per farsi testimone delle ferite europee alla vigilia della celebrazione dello sbarco in Normandia. Segui la diretta del viaggio su www.lastampa.it/molinari

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tre religioni una preghiera - enzo bianchi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina TRE RELIGIONI UNA PREGHIERA ENZO BIANCHI Vi sono alcuni elementi del discorso di Obama al Cairo che mi paiono sollecitare una riflessione che vada oltre le pur ricche e variegate implicazioni politiche e strategiche. Innanzitutto la capacità del presidente degli Stati Uniti di parlare a una "comunità" segnata da un´appartenenza religiosa, la umma musulmana, a nome di una "comunità" unita da un´etica condivisa. SEGUE A PAGINA 18

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disoccupati usa al 9,4%, top da 25 anni - arturo zampaglione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 23 - Economia Disoccupati Usa al 9,4%, top da 25 anni Ma in maggio rallentano i tagli di posti. Petrolio oltre quota 70 dollari Sono 9 milioni gli americani che si sono dovuti accontentare di un lavoro part time ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - A maggio il tasso di disoccupazione ha raggiunto negli Stati Uniti il livello più alto dell´ultimo quarto di secolo - 9,4% - ma la perdita di posti di lavoro è stata inferiore alle previsioni e meno drammatica che nei mesi scorsi, avvalorando così le previsioni del presidente della Federal Reserve Ben Bernanke che ha parlato in settimana di una ripresa economica entro la fine dell´anno. La prospettiva di una svolta nella recessione più lunga e dolorosa del dopoguerra ha alimentato ieri la fiducia dei mercati finanziari. Gli indici della Borsa americana sono tornati ai livelli dell´autunno scorso, recuperando tutte le perdite del 2009. E il prezzo del petrolio ha di nuovo infranto i 70 dollari al barile: la Goldman Sachs prevede ormai una quotazione sugli 85 dollari entro dicembre. Ma è proprio così? Non è forse prematuro annunciare la fine della crisi?, si chiedono in molti, con un senso quasi di incredulità. Il premio Nobel Robert Mundell risponde che l´America sarà il primo paese del mondo ad avviarsi tra breve sulla strada del rilancio. Certamente continuano ad arrivare segnali incoraggianti. Ad esempio la Wal Mart, la multinazionale degli ipermercati, si prepara ad assumere 22 mila dipendenti e a comprare sul mercato azioni proprie per sostenere le quotazioni. E la Gm ha trovato nel gruppo Penske un acquirente per la Saturn, a conferma che persino nell´auto americana non mancano segni di vitalità. L´ottimismo è comunque temperato da due elementi: primo, dalla consapevolezza che anche la strada della ripresa sarà lunga e difficile; secondo, che non mancheranno ostacoli, a cominciare dal pericolo che i salvataggi statali e la manovra di stimolo (che verrà accelerata da Barack Obama) riaccendano l´inflazione. Pubblicati ieri dal ministero del Lavoro di Washington, i dati sull´occupazione a maggio rafforzano le inquietudini. E´ vero infatti che il mese scorso, tra licenziamenti, chiusure di fabbriche e blocco del turnover, sono stati persi negli Stati Uniti solo 345mila posti di lavoro, rispetto ai 504mila di aprile, ai 652mila di marzo e soprattutto ai 741mila di gennaio. Ma è altrettanto vero che il tasso di disoccupazione è salito dal 8,9% di aprile al 9,4, il livello più alto dal 1983. E sarebbe stato quasi il doppio (16,4) se i conteggi avessero incluso coloro che hanno smesso per disperazione di cercare un lavoro o i 9 milioni di americani che si sono dovuti accontentare di un impiego part-time per non averne trovato uno a tempo pieno. Gli esperti prevedono che il tasso di disoccupazione continui a salire fino alla fine dell´anno e sfiori il record del dopoguerra (10,8% nel 1982). Di sicuro i disoccupati, che oggi sono in tutto 14,5, avranno difficoltà a trovare lavoro. Non solo molte aziende sono i fase di ristrutturazione (la General Motors prevede altri 20 mila licenziamenti), ma anche i gruppi più sani vogliono aspettare segnali sicuri sull´inversione di tendenza prima di ricominciare ad assumere.

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le anime belle di fronte alle urne - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 33 - Commenti LE ANIME BELLE DI FRONTE ALLE URNE Gli italiani si sono convinti che la politica sia il male che corrode il Paese Vedo, a destra e a sinistra, un sonno della ragione dal quale bisognerebbe sapersi svegliare (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Nelle elezioni del "Diciannove" (le prime dopo la fine della guerra mondiale del 1914-18) si affacciò sulla scena della politica italiana una forza nuova, quella dei cattolici riuniti attorno ad un sacerdote di grande carattere e di convinta fede religiosa: il Partito popolare di don Luigi Sturzo. Fu l´ingresso d´un nuovo protagonista la cui presenza ruppe gli schemi fino allora vigenti che avevano privilegiato le clientele liberali raccolte dalla destra nazionalista e salandrina e quelle democratiche che avevano in Giovanni Giolitti il loro leader parlamentare. Il Partito socialista, massimalista con appena una spolverata di riformisti, stava all´opposizione in rappresentanza della parte politicizzata del proletariato. Che tipo di Italia era quella? Un paese traumatizzato da quattro anni di trincea, con un altissimo costo di morti, di mutilati, di sradicati; un paese che aveva però acquistato una certa coscienza dei propri diritti. In prevalenza contadino, in prevalenza analfabeta, in prevalenza fuori dalle istituzioni e della stato di diritto. Un paese in cui il popolo sovrano si limitava alla piccola borghesia degli impieghi e delle libere professioni, alla classe operaia del Nord, ai proprietari fondiari e ai mezzadri. Il grosso della popolazione era fuori mercato, bracciantato con paghe di fame e prestiti ad usura, tracoma e colera nel Sud, pellagra e malaria nelle pianure del Nordest. Ma gli ex combattenti della piccola borghesia erano agitati da sogni di rivincita e di dominio. Odiavano il Parlamento. Detestavano la politica. Vagheggiavano il superuomo e il D´Annunzio della trasgressione e dell´insurrezione fiumana. Poi trovarono Mussolini. * * * Ricordo queste vicende perché contengono alcuni insegnamenti. I più anziani le rammentano per averne fatto esperienza, i più giovani ne hanno forse sentito parlare ma alla lontana e comunque non sembrano darvi alcuna importanza. Sbagliano: i fatti di allora rivelano l´esistenza di alcune costanti storiche nella vita pubblica italiana. Si tratta di costanti antiche, cominciarono a manifestarsi con la Rivoluzione francese dell´Ottantanove, con il tricolore che diventò ben presto la bandiera-simbolo dell´Europa democratica e con i tre valori iscritti su quella bandiera: libertà eguaglianza fraternità. Quei valori hanno avuto un´influenza positiva tutte le volte che sono stati portati avanti insieme ed invece un´influenza negativa quando soltanto uno di loro ha esercitato egemonia culturale e politica. La libertà, da sola, ha generato privilegi in favore dei più forti; l´eguaglianza, da sola, ha dovuto essere imposta con la forza (ma ciò in Italia non è mai avvenuto); la solidarietà, da sola, ha dato vita ad un´infausta politica assistenziale che ha dilapidato le risorse e indebolito la competitività e la libera concorrenza. L´Italia non ha mai avuto una borghesia degna di questo nome perché i tre grandi valori della modernità non hanno mai avanzato insieme. Per la stessa ragione la laicità non ha mai raggiunto la sua pienezza e per la stessa ragione un vero Stato moderno, una compiuta democrazia, un´effettiva sovranità del popolo e un´autentica classe dirigente portatrice di interessi generali, non sono mai stati una realtà ma soltanto un sogno, un´ipotesi di lavoro sempre rinviata, una ricerca vana e frustrante, uno stato d´animo diffuso che ha alimentato la disistima delle istituzioni e l´analfabetismo politico. Col passar degli anni questo analfabetismo è diventato drammatico. Il rifiuto della politica ne è la conseguenza più negativa. Gli italiani si sono convinti che la politica sia il male che corrode il paese. Perciò una larga parte dei nostri concittadini ha delegato la sua rappresentanza ad un giocoliere che ostenta il suo odio contro la politica e il suo qualunquismo congenito e festevole, all´ombra del quale sta nascendo un potere intrusivo, autoritario, concentrato nelle mani di un solo individuo. * * * L´analfabetismo politico degli italiani è molto diffuso tra quelli che parteggiano per la destra ma non risparmia la sinistra. Per certi aspetti anzi a sinistra questa assenza di educazione politica è uno dei suoi connotati, in particolare tra i sedicenti intellettuali che sono forse i più analfabeti di tutti. Uno degli effetti più vistosi di questo fenomeno consiste nella ricerca di un partito da votare che corrisponda il più esattamente possibile alle proprie idee, convinzioni, gusti, simpatie. Ricerca vana poiché ciascuno di noi è un individuo, una mente, un deposito di pulsioni emotive non ripetibili. Le persone politicamente mature sanno che in un sistema democratico occorre raccogliere i consensi attorno alla forza politica che rappresenti il meno peggio nel panorama dei partiti in campo. La ricerca del meglio porta inevitabilmente al frazionamento, alla polverizzazione del voto, al moltiplicarsi dei simboli e di fatto alla rinuncia della sovranità popolare. Aldo Schiavone ha scritto ieri che la polverizzazione del voto è frutto di un narcisismo patologico: per dimostrare la nobiltà e la purezza della propria scelta si getta nel secchio dei rifiuti la sovranità popolare. Non si tratta d´invocare il voto utile ma più semplicemente di predisporre un´alternativa efficace per sostituire il dominio dei propri avversari politici. La destra sa qual è il suo avversario e fa massa contro di lui. La sinistra coltiva il culto della testimonianza, ma quando si trasferisce quel culto nell´azione politica il risultato è appunto la rinuncia ad una sovranità efficace per far posto al narcisismo dell´anima bella, pura e dura. Pensare che questo scambio sia un´azione politica è un errore gravido purtroppo di conseguenze. Fu compiuto lo stesso errore dai popolari di Sturzo nel 1921: rifiutarono sia l´alleanza con i socialisti sia quella con i liberaldemocratici pur di restare puri nel loro integrismo cattolico. Rifiuto analogo fecero i socialisti. Le conseguenze sono note, ma non mi sembra che si siano trasformate in una solida esperienza. Vedo, a destra e a sinistra, una sorta di sonno della ragione dal quale bisognerebbe sapersi risvegliare. Post Scriptum. Anche in America la ragione si era addormentata dando spazio ai furori emotivi di George Bush. Dopo molti anni di letargo che hanno fatto degli Usa la potenza più odiata nel mondo, Barack Hussein Obama ha risvegliato la ragione facendo leva su una travolgente emotività carismatica. Quanto sta accadendo nel mondo e nella straordinaria trasformazione dell´immagine dell´America ci insegna questo: per svegliare la ragione ci vuole un forte soprassalto emotivo, senza il quale l´emotività si volge a beneficio della demagogia. Emozione razionale accresce la pienezza della democrazia, emozione demagogica le scava la fossa. Questo insegna Obama. L´insegnamento del giovane presidente afroamericano ci sia utile per la scelta che tra poche ore dovremo fare.

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torino-berlino un problema anche di stile (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina XII - Torino Torino-berlino UN PROBLEMA ANCHE DI STILE Ora, premesso che la parola fine ancora non è stata scritta, per ammissione della stessa cancelliera Angela Merkel che in tutta questa storia ha avuto un ruolo non secondario, le perplessità riguardano il modo come si è arrivati a questo temporaneo epilogo. Un problema di stile? Certamente, ma anche di sostanza. Intanto si è capito subito che ai tedeschi non piaceva la soluzione Fiat perché non piaceva Torino e l´Italia, tutte accomunate in un giudizio di sufficienza - o di insufficienza- che si è tradotto nella preferenza di Magna. C´era, per la verità, un antefatto che non è stato mai ricordato. Qualche anno fa la tedesca Daimler aveva comprato l´americana Chrysler, già allora in difficoltà, sborsando qualcosa come 35 miliardi di dollari con la convinzione di poterla rimettere sulla strada virtuosa dell´efficienza e del profitto. Anche allora c´era stata una questione di stile passata sotto silenzio e sempre in virtù della scontata efficienza teutonica. Era accaduto infatti che i manager tedeschi, poco propensi a trasferirsi a Detroit, avevano scelto di fare la spola tra Stoccarda e gli Stati Uniti con un aereo che ogni settimana li portava a passeggio tra le due sponde dell´Atlantico. Risultato? La Chrysler continuò a navigare in acque sempre più agitate fino a quando venne trasferita al fondo Cerberus con una perdita di circa 30 miliardi di dollari. Dopo di che in tempi recenti ha provveduto Barack Obama a chiamare la Fiat perché mettesse mano a un progetto di sopravvivenza. Poteva la Germania tollerare che, dopo quel colpo a vuoto, fosse la Fiat a dover intervenire nuovamente per salvare, questa volta, la Opel? Certo che no. E lo si è capito benissimo soprattutto nei vertici sindacali italo-tedeschi dove soltanto la rituale "ipocrisia" dei documenti di categoria ha coperto l´insofferenza verso l´offerta Fiat. Peggio hanno fatto ministri, governatori, borgomastri che, sensibili alle scadenze elettorali di questo fine settimana e ancor più a quelle locali di settembre, alla fine di quella che Sergio Marchionne ha definito una "soap opera brasiliana", hanno fatto muro, schierandosi con poco garbo e ancor minore raziocinio a favore di una soluzione che in meno di ventiquattr´ore ha mostrato i suoi limiti. In tutto questo, la Fiat, i suoi dirigenti, i suoi lavoratori, Torino non hanno mai assunto una posizione meno che rispettosa nei confronti della Opel e del governo tedesco. Hanno focalizzato la loro attenzione sui problemi concreti, senza mai pensare ad altro che non fosse la creazione di un grande gruppo industriale capace di garantire l´occupazione sia in Germania che in Italia. Quella dei torinesi era una offerta industriale e tale continua ad essere. Ieri Marchionne ha ripetuto che Fiat è ancora interessata alla Opel e che "se dal governo tedesco arriva una telefonata la ascolteremo, sennò abbiamo altro da fare". Ciò vuol dire che Torino è ancora aperta al confronto con Berlino, possibilmente a un tavolo al quale possano valere anche le regole dello stile. Che alla fine aiutano a decidere meglio, con la mente sgombra da pregiudizi e concentrata sugli interessi delle aziende e dei lavoratori.

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la scommessa di renzi - pietro jozzelli (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina III - Firenze LA SCOMMESSA DI RENZI PIETRO JOZZELLI Obama cambia il mondo, parla di incontro e non più di scontro di civiltà (come sono diventati subito vecchi gli anatemi di Oriana Fallaci), riusciranno gli elettori fiorentini a scuotere Firenze dal suo torpore di finta capitale dell´arte e di reale media città incapsulata nelle sue contraddizioni? I partiti di centro sinistra temono un aumento dell´astensione e sono in fibrillazione contando il numero ancora alto di indecisi a poche ore dal voto. Questione interna a questa metà del cielo: il centrodestra, per sua stessa ammissione al di là degli slogan elettorali di Berlusconi e Bonaiuti, non sembra mai essere stato in partita: non a caso l´unico sondaggio che ha fatto verteva sul possibile risultato di un ballottaggio Renzi-Galli. Se le previsioni risulteranno azzeccate, quello che divide Renzi dalla vittoria al primo turno altri non è che Renzi stesso. Già, ma perché tanti indecisi e tanta possibile astensione? SEGUE A PAGINA IV

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Obama a Buchenwald: Ahmadinejad venga qui (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 06/06/2009 - pag: 1 Visita al lager in Germania Obama a Buchenwald: Ahmadinejad venga qui di PAOLO VALENTINO Visita a Buchenwald, la prima di un presidente americano. Tappa in Germania per Barack Obama, accompagnato dalla cancelliera Angela Merkel e dal premio Nobel Elie Wiesel, che nel lager di Buchenwald vide morire il padre. «Questo luogo è una risposta a chi nega l'esistenza dell'Olocausto. Anche Ahmadinejad dovrebbe essere qui», ha detto Obama. Ma c'è un messaggio all'Iran: «Pronti al dialogo». ALLE PAGINE 14E 15 Battistini, Taino

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Obama visita Buchenwald (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 06/06/2009 - pag: 14 La tappa tedesca Omaggio alle vittime del nazismo assieme a Elie Wiesel Obama visita Buchenwald «Ahmadinejad, vieni qui» Il presidente Usa attacca i negazionisti della Shoah DAL NOSTRO INVIATO DRESDA C'è differenza grande tra ascoltare la storia dei crimini indicibili e andare a vedere i luoghi dove fu consumata. Tra evocare i luoghi del male assoluto e calpestare il terreno dove a centinaia di migliaia passarono per il camino. Facendo del cielo, parole di Elie Wiesel, «il più grande cimitero del popolo ebraico». Mentre Barack Obama, forse con le mani troppo in tasca, cammina lungo i viali di Buchenwald, a riempire il silenzio dell'antico campo di sterminio sono gli urli della Storia, più della pace di un paesaggio ingannatore. Ha la faccia cupa il presidente, mentre ascolta il premio Nobel, che qui vide morire suo padre e per la prima volta racconta la sua paura di fanciullo che «c'era, ma non c'era», impietrito nella sua branda, mentre il genitore lo chiamava prima di andarsene. Obama segue con attenzione le parole e i gesti di Betrand Herz, uno dei 903 bambini salvati dalla resistenza interna del lager, organizzata nelle latrine, troppo schifose perche le SS ci andassero. L'orologio è fermo alle 15.15, l'ora della liberazione in quell'aprile 1945, quando i soldati di Patton entrarono in una valle di spettri. Obama, Wiesel, Herz e Angela Merkel hanno ognuno in mano una rosa bianca. Le depongono al memoriale del Piccolo Campo, la malabolgia dove la gente moriva pigiata nelle baracche, di stenti e di fame, di malattie e di camera a gas. Ma dove un miracolo di coraggio tenne in vita i piccoli. Tocca per prima alla cancelliera venuta dall'Est. Con lei, in mattinata, Obama era tornato a parlare di Medio Oriente, dopo lo storico discorso del Cairo. Conferme e novità. I due Stati, Israele e Palestina. La nuova missione di George Mitchell nella regione. E l'invito a tutti a fare «i difficili compromessi » previsti dalla road map: per palestinesi, israeliani e Paesi arabi «il momento di agire è questo». A Buchenwald, Merkel ripropone il dilemma eterno che marchia la Germania: come fu possibile tanto male? Ma rivendica anche l'identità riconquistata: «Parte della nostra ragion d'essere è tenere viva la memoria di quella rottura della civilizzazione che fu la Shoah, dimostrare la nostra determinazione a far sì che non si ripeta mai più». C'è differenza tra ascoltare il racconto dell'abisso e coglierne di persona il genius loci. «Questi luoghi non hanno perso il loro orrore col passare del tempo. Il nostro dolore e la nostra indignazione per ciò che accadde non diminuiscono », dice il presidente. La voce baritonale è velata di malinconia. Racconta di suo zio, Charles Payne, che fu tra i liberatori di Buchenwald e oggi gli sarà accanto sulle spiagge di Normandia. Ricorda il generale Eisenhower, futuro presidente, che si precipitò in Turingia e volle vedere ogni angolo di quello scempio. E poi ordinò ai suoi soldati e ai tedeschi delle città vicine di visitare il campo. E invitò i congressisti da Washington. E mandò i fotografi e i cineasti dell'esercito perché filmassero ogni cosa. Tutti dovevano vedere, per poter un giorno testimoniare l'impensabile. «Quel lavoro non è finito ammonisce Obama ancora oggi c'è chi insiste che l'Olocausto non sia mai avvenuto: un diniego infondato, ignorante e odioso». Buchenwald è la risposta, «un richiamo al dovere di fronteggiare chi nega la nostra Storia ». È un altro modo di rammentare che il legame dell'America con lo Stato di Israele è davvero speciale, che non ci può essere tolleranza verso chi ne discute e ne minaccia l'esistenza. Era stato ancora più esplicito con la Nbc: «Ahmadinejad dovrebbe fare una visita qui. Non ho pazienza per i negazionisti». Buchenwald come lezione di Storia e di vita, «contro chi ancora perpetua ogni forma di intolleranza, razzismo, antisemitismo, xenofobia, omofobia e sessismo». «La memoria è un dovere gli fa eco Wiesel , ma il mondo ha imparato? Anche se ne non sono sicuro, abbiamo fiducia in lei, signor presidente ». Paolo Valentino La visita Obama (terzo da sin.) fra Elie Wiesel e la Merkel (Olycom)

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Ma con la Merkel è grande freddo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 06/06/2009 - pag: 14 Retroscena I dissensi su clima, Afghanistan e Guantanamo Ma con la Merkel è grande freddo DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO Dietro le Jazz Band e i gospel, freddo. Il breve viaggio di Barack Obama in Germania, ieri, è un punto basso nelle relazioni tra Washington e Berlino: non un dramma, però è il segno di un gap transatlantico forse più ampio di quello che c'era tra Angela Merkel e George W. Bush. Il fatto che il presidente americano abbia deciso di non mettere piede a Berlino, ma solo a Dresda e Buchenwald in Francia, dopo la visita in Normandia, passerà invece da Parigi e che sia rimasto meno di 24 ore sul suolo tedesco è stato letto da molti commentatori come una piccola vendetta dopo che lo scorso luglio la cancelliera tedesca aveva rifiutato al candidato Obama di parlare alla Porta di Brandeburgo. C'è però molto di più. Negli ultimi mesi, una preoccupazione costante di Berlino è stata quella di segnare le differenze con Washington. Sia Frau Merkel sia il suo amato ministro delle Finanze Peer Steinbrück hanno più volte detto in pubblico che le responsabilità della crisi finanziaria che il mondo attraversa sono da cercare in America e da lì bisogna partire per ridisegnare il sistema. «Gli Stati Uniti perderanno il loro status di superpotenza nel sistema finanziario mondiale», arrivò a prevedere Steinbrück lo scorso ottobre. Da allora, è stato un confronto a distanza, con la cancelliera che parlava di un nuovo ordine economico e di una carta finanziaria globale che mettesse in riga anche Wall Street. Dalla Casa Bianca, silenzio. Anche i due stop che Obama si è preso da Berlino di recente pesano. La Grosse Koalition ha ribadito che non si impegnerà in zone pericolose in Afghanistan, esattamente la risposta che dava ogni volta a Bush: nessun aiuto in più a Obama. Anche qui, niente polemiche da parte della Casa Bianca. Sulla richiesta americana agli europei di ospitare alcuni dei detenuti di Guantanamo, molta riluttanza da parte della coalizione che governa la Germania. E, di nuovo, nessuna risposta da Washington. La settimana scorsa, poi, un'accusa diretta nel corso delle trattative per trovare un piano di salvataggio per la Opel, controllata dall'americana General Motors che in questo momento è sotto le cure intensive del Tesoro Usa. I ministri coinvolti nelle trattative, Steinbrück ancora in testa, hanno definito la posizione negoziale di Washington «scandalosa» e «non d'aiuto». In più, secondo indiscrezioni, Merkel sarebbe sin dall'elezione di Obama scettica sulla volontà reale della Casa Bianca di cambiare politica in fatto di emissioni di gas serra. Insomma, la cancelliera non ha aperto le braccia a Obama: anzi, ha segnalato più volte freddezza, anche in occasione dei vertici del G20 a Londra e della Nato a Strasburgo a inizio aprile. Lo staff del presidente americano non ha avuto reazioni vocali ma ha mantenuto di basso profilo la visita di ieri, quasi a snobbare Frau Merkel. Dresda, a festa, era coperta di adesivi «Ich bin ein Dresdner» per ricordare l'«Ich bin ein Berliner» di John Kennedy. Ciò nonostante, anche la proposta di una lunga passeggiata per Dresda, Merkel e Obama assieme, è stata oggetto di contrasti. La cancelliera notano infine gli analisti non è ancora stata a Washington da quando il nuovo presidente si è insediato. E Obama, se è per quello, non ha messo piede a Berlino. Danilo Taino Sotto braccio Obama con la cancelliera tedesca Angela Merkel al termine della conferenza stampa congiunta tenuta ieri a Dresda (Ap/Pablo Martinez Monsivais) Divario transatlantico Il divario transatlantico è forse più ampio di quello che c'era tra la Cancelliera e George W. Bush

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Un'amica a capo dello staff di Michelle (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 06/06/2009 - pag: 14 Cambio della guardia Un'amica a capo dello staff di Michelle DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK La parola «nepotismo» non viene mai pronunciata ma forse è quella l'accusa implicita nell'articolo del New York Times sul fatto che «tre delle più alte cariche dell'East Wing sono adesso ricoperte da vecchie amiche di Michelle Obama». Dopo meno di sei mesi alla Casa Bianca, Michelle Obama ha rimpiazzato il capo del suo staff con un amica di vecchia data, provocando un piccolo terremoto negli equilibri della East Wing, la zona della Casa Bianca riservata alla moglie del presidente. Anche se nessuno conosce i motivi, Lady Obama ha deciso di sostituire il capo del suo staff Jackie Norris con Susan Sher, che lavorò con lei già ai tempi dell'Università di Chicago. Legata agli Obama dalla campagna per le primarie democratiche del 2008, (era responsabile per l'Iowa) la Norris non è stata licenziata ma diventerà consulente generale della Corporation For National and Community Service, l'organizzazione che si occupa del servizio militare e civile americano. Nel comunicato che annuncia l'avvicendamento, Norris sostiene di non veder l'ora «di partecipare attivamente agli sforzi che questa amministrazione sta facendo per promuovere le istanze del servizio militare e civile». «La signora Obama ed io abbiamo lavorato insieme per molti anni occupandoci di questioni che ci stanno a cuore ed apprezzo l'opportunità di prestare un maggior servizio a questa amministrazione», ha dichiarato invece la Sher. Il rimpasto crea di fatto un triumvirato di fedelissime attorno alla first lady. Oltre alla Scher, Michelle ha chiamato con sé come social secretary Desiree Rogers (anche lei una vecchia amica di Chicago) e Jocelyn Frye, la sua consigliera politica, con cui ha frequentato la Harvard Law School. Alessandra Farkas Susan Sher Conosce Michelle da oltre 10 anni. Ha lavorato con lei all'università di Chicago

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 06/06/2009 - pag: 15 L'intervista Lo scrittore israeliano commenta la storica giornata del Cairo «Altro che discorso ingenuo Ha parlato al cuore di tutti» Amos Oz: Netanyahu dovrà ideare qualcosa di nuovo DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME Rapito. «Quest'uomo ha superato tutte le aspettative ». Epico. «Ho sentito toni storici». Rivoluzionario. «Mi aspettavo che aggredisse la questione palestinese, ma qui sta accelerando i tempi». Nella sua casa di Arad, per una volta Amos Oz ha chiuso le luminose vetrate sul magnifico Negev che l'incantano prima di scrivere e, giovedì, ha aperto la piccola finestra televisiva che di solito è il disincanto della realtà. Il giorno dopo, se n'è fatto un'idea definitiva: «È stato un grande discorso. Uno di quelli che restano nella storia. Obama lo sapeva e infatti ha dato i toni e i contenuti che ci si aspettano da un presidente americano. Mi ha impressionato per la capacità di dosare tutti gli elementi. Ha dato un'impressione di grandezza, altro che discorso ingenuo e naif. È volato sopra le piccole dispute politiche, sopra le rivendicazioni dell'ultima settimana. Ha allargato l'orizzonte. È stato un componimento molto ben armonizzato in cui ha lasciato spazio al cuore. Ha parlato col cuore: ai musulmani, agli ebrei, agli arabi. Con equilibrio. Dimostrando uno studio molto profondo di ciò che unisce e ciò che divide». Se dopo il Cairo, dice un sondaggio appena sfornato, il 53% degl'israeliani ha paura dell'uomo nero venuto da Chicago «sarà un problema per Israele » , Oz sta con l'altro 47. Lui che si cambiò il nome da Klausner in Oz, che vuole dire forza, è convinto che «un risultato è possibile perché la forza, Obama, ce l'ha. La volontà, anche. Sono le due cose che servono a un leader». Lo scrittore non si sente turbato dalla «gaffe» che perfino Avigdor Lieberman rinfaccia al presidente Usa, l'aver paragonato la Shoah alla tragedia palestinese: «Io l'ho seguito con cura. Stamattina me lo sono anche riletto passo passo. Obama non ha fatto nessun parallelo fra la Shoah e la Nakba palestinese. Lui ha ricordato all'Iran, e l'ha rifatto nei lager tedeschi, che l'Olocausto non può essere negato, perché questo è un delitto contro l'umanità. Ma ha detto anche a Israele che non si può negare la sofferenza dei palestinesi. Non ha paragonato due tragedie, ha paragonato due negazioni. Queste accuse nascondono altro. Che ci sono due tipi d'israeliani: chi vuole vivere in pace coi vicini arabi e tornare ai confini prima del 1967, chi vuole che resti tutto com'è». Raccontano che Netanyahu alla fine non l'abbia presa malissimo. Che s'aspettava peggio: «Non mi ha preso a mazzate da baseball», avrebbe commentato. «Meno male che ci crede. Netanyahu ora dovrà inventarsi qualcosa. Non può più tergiversare, deve dire chiaramente con chi sta. Vuole ridiscutere i confini del 1967 o no? Prima che all'America, deve dirlo agl'israeliani. Il problema è che non ho affatto idea di che cosa risponderà. Non ce l'ho io e, quel che è peggio, temo non ce l'abbia neanche lui. Serve una risposta in tempi brevi, però. Qui ormai si ragiona per settimane. Non so se ci sarà un terremoto politico in Israele. Tutto può accadere, adesso». Piccolo retroscena. Dopo il discorso ufficiale, in una sala dell'università cairota, Obama ha convocato sei giornalisti per un'intervista. C'erano un israeliano, una palestinese, un egiziano, un saudita, un malese e un indonesiano. Aveva invitato anche un siriano e un libanese sciita, ma questi due hanno rifiutato: allora l'asse del male c'è ancora? «Qualcuno confonde il dialogo con la debolezza. Sul fronte palestinese, per esempio, mi sembra sia piuttosto chiaro che Obama abbia deciso di lasciar fuori Hamas, finché non riconosce lo Stato d'Israele. Della rappresentanza politica, ricevendolo pure a Washington, ha investito Abu Mazen. Anche con l'Iran, Obama vuole evitare ogni fronte polemico. La sua strategia è evitare ogni accenno alla forza, almeno per adesso. In altre occasioni, l'ha già detto: volete o no un dialogo? Non mi sembra che ci sia stata una risposta negativa e immediata. Ha risposto Hezbollah, e male. Ma Hezbollah non è l'Iran. Bisogna aspettare. Certo, non c'è da essere ottimisti. E se l'Iran risponderà in modo negativo, è chiaro che l'approccio cambierà. Ma il suo è stato un discorso ufficiale. Solenne. E merita una risposta ufficiale. Altrettanto solenne». Francesco Battistini L'abbraccio Obama con Wiesel, deportato ad Auschwitz e Buchenwald (Reuters) Chiesa Con la Merkel e il vescovo Bohl, nella chiesa di Nostra Signora a Dresda Parigi Michelle Obama sulla Tour Eiffel con le figlie Malia e Sasha ( Afp) \\ Ho sentito toni storici: è volato sopra le piccole dispute politiche e le rivendicazioni dell'ultima settimana \\ Ci sono due tipi di israeliani: chi vuole vivere in pace coi vicini arabi e tornare ai confini prima del 1967 e chi vuole che resti tutto com'è

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Cena romantica con la moglie Barack snobba Sarko e Carla (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 06/06/2009 - pag: 15 Una notte a Parigi Cena romantica con la moglie Barack snobba Sarko e Carla DRESDA (p.val.) «Noi avremo sempre Parigi», dice Humphrey Bogart a Ingrid Bergman in Casablanca. E poche coppie americane ancora oggi rinunciano a una puntata nella Ville lumiére, meta avita di ogni fuga romantica, anche per poter un giorno ripetere la battuta. Gli Obama non fanno eccezione. Con il presidente in arrivo dalla Germania, anche la first lady Michelle è atterrata ieri sera a Parigi. Con lei, le figlie Malia e Sasha, la madre Mariann e lo zio del marito, Charles Payne. Clou del fine settimana parigino di Barack e moglie, è la cena di questa sera al secondo piano della Tour Eiffel, al ristorante «Jules Verne», da qualche anno rilevato e rilanciato da Alain Ducasse. Non è chiaro se anche le piccole saranno con loro, ma la presenza della nonna suggerisce piuttosto che dovrebbe trattarsi di un appuntamento romantico. Talmente ci tengono, Michelle e il marito, da aver gentilmente ma fermamente declinato un invito a cena da Nicholas e Carla Sarkozy. Un rifiuto che ha fatto gridare allo sgarbo alcuni media inglesi e francesi. La first lady rimarrà a Parigi con le figlie per qualche giorno, mentre il presidente farà ritorno a Washington domani pomeriggio. La breve vacanza sarà pagata di persona da Obama.

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La scuola (pubblica) dei prof superpagati (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Cronache data: 06/06/2009 - pag: 23 Educazione La scommessa del fondatore, Vanderhoek: dimostrare che il segreto non sta nella tecnologia ma negli uomini La scuola (pubblica) dei prof superpagati New York: stipendi da 125 mila dollari l'anno, insegnano a ragazzini ispanici e poveri DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK Uno di loro è un violista affermato. Due sono laureati in prestigiose università Ivy League. Un terzo è stato per anni il personal trainer di Kobe Bryant. Sono alcuni dei professori del dream team, la squadra magica di professori che a partire dal prossimo settembre daranno vita all'Equity Project di Manhattan, la prima scuola pubblica degli Stati Uniti che pagherà il suo staff con un salario degno di Wall Street. «Gli insegnanti riceveranno uno stipendio annuo di 125 mila dollari scrive il New York Times . Cioè il doppio rispetto ai colleghi delle altre scuole pubbliche newyorchesi e due volte e mezzo la media nazionale ». E se non bastasse i superprof dell'Equity Project potranno anche ricevere dei bonus di fine anno (fino a 25 mila dollari) proprio come i broker di Wall Street in base alla loro performance. La scommessa del fondatore Zeke Vanderhoek, 32enne laureato a Yale, è semplice. Teorizza: «Il vero segreto di una scuola pubblica eccellente non sta nella rivoluzione tecnologica, e neppure in presidi di talento e classi poco numerose, ma nella capacità d'ingaggiare insegnanti eccelsi». Una tesi provocatoria che ha toccato un nervo scoperto nell'America dove la controversa legge No child left behind (varata da Bush e mai rinnegata da Obama) ha finito per aggravare la crisi della scuola pubblica, provocando l'esodo in massa dei migliori docenti verso le corporation private. Dal servizio del Times, si scopre che, quando aprirà i battenti, la nuova scuola pilota avrà solo 8 insegnanti per 120 studenti di prima media, scelti attraverso una lotteria tra ragazzi del quartiere (Washington Heights, uno dei più poveri di Manhattan) e alunni con problemi d'apprendimento, la maggior parte provenienti da famiglie ispaniche e a basso reddito. L'obbiettivo del fondatore è arrivare a 28 insegnanti per 480 alunni tra qualche anno. Anche se dall'esterno la scuola, un modesto edificio sulla 181ª strada, assomiglia a tutti gli altri istituti pubblici di New York, all'interno Vanderhoek sogna di creare una oasi accademica, destinata secondo lui a fornire un modello al resto del mondo. Per il suo scopo ha attraversato il paese, improvvisandosi talent scout per oltre un anno, stanando i migliori insegnanti tra migliaia di candidati. «Li ho osservati a scuola racconta . Perché non basta un curriculum vitae stellare. Conta il cosiddetto 'fattore attenzione', che si misura quando gli studenti sono talmente interessati durante una lezione che si dimenticano di essere a scuola». Ma in comune i suoi 8 fortunati docenti hanno anche un contagioso entusiasmo per la materia che insegnano e la capacità di domare gli elementi più irrequieti e piantagrane: «Una dote cruciale alle scuole medie», precisa Vanderhoek. Prima di firmare il contratto, tutti si sono dichiarati «pronti a rimboccarsi le maniche». Il lavoro che li aspetta è infatti ben più gravoso di quello dei loro colleghi. I super pagati prof dovranno sobbarcarsi infatti responsabilità normalmente affidate ad altri, sdoppiandosi per vestire, di volta in volta, i panni di vicepreside, supplente, allenatore e rettore, visto che queste posizioni sono state eliminate. Per fare quadrare i bilanci. Alessandra Farkas Docente d'oro Rhona José, qui con due giovani studenti, si è laureata ad Harvard Farà parte del dream team dell'Equity Project di Manhattan (NYT)

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Disoccupati Usa, come 25 anni fa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Economia data: 06/06/2009 - pag: 31 Recessione La Casa Bianca: il tasso resterà alto per un po'. Biden: segnali di speranza Disoccupati Usa, come 25 anni fa Il numero dei senza lavoro al 9,4%, ma rallenta. Petrolio a 70 dollari MILANO Il vicepresidente Joe Biden ammette che «sono numeri duri», ma che rappresentano allo stesso tempo «segnali incoraggianti». «Le nostre azioni per riportare l'economia sui binari giusti stanno cominciando a fare la differenza», aggiunge. A riportare un po' più verso il sereno il barometro della Casa Bianca sono i nuovi dati sull'occupazione negli Usa diffusi ieri dal Labor Department, secondo i quali nel mese di maggio sono svaniti altri 345 mila posti di lavoro, portando a 6 milioni il totale da inizio della recessione. Dall'8,9% di aprile, il tasso ufficiale di disoccupazione è salito in un mese a 9,4%, il risultato peggiore dal 1973 ed erano 25 anni che non passava la soglia del 9%. Ma si tratta di numeri che indicano una sensibile inversione di rotta rispetto al punto più basso della crisi. I 345 mila senza lavoro in più non solo sono meno dei 520 mila che si aspettavano gli analisti, ma sono soprattutto meno dei 504 mila registrati in aprile e ancor meno dei 652 mila di marzo. Una linea retta discendente, insomma. «Abbiamo ancora una lunga strada davanti», ha ammesso lo stesso Biden, ribadendo che lunedì l'amministrazione Obama presenterà le nuove iniziative per accelerare il piano di stimoli economici avviato dal Congresso. E sospesa fra cauta fiducia e pessimismo è apparsa ieri anche Wall Street, dove gli indici hanno oscillato per tutta la giornata prima di chiudere appena sopra lo zero (il Dow Jones a più 0,15% e il Nasdaq meno 0,1%)). A pesare sulla Borsa ha contribuito il prezzo del petrolio, che ha superato temporaneamente la soglia dei 70 dollari per barile. Il rallentamento nell'erosione dei posti di lavoro negli Usa appare esteso a tutti i settori. Nell'industria delle costruzioni, osservatorio chiave per il mercato immobiliare, si è passati dai 108 mila esuberi di aprile ai 59 mila di maggio, evidente effetto del pacchetto di stimolo economico da 787 miliardi di dollari messo in campo dall'amministrazione Obama. Nei servizi la discesa va dai 230 mila posti persi in aprile ai 120 mila di maggio. Tendenza opposta invece per il settore manifatturiero, che ha perso 154 mila occupati in aprile e 156 mila in maggio. Ma qui a fare la differenza è stato soprattutto il crac di Chrysler. Giancarlo Radice

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L'obiettivo delle grandi potenze: fermare la Corea senza farla crollare (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 06/06/2009 - pag: 12 I RISCHI DI UN NUOVO IRAQ L'obiettivo delle grandi potenze: fermare la Corea senza farla crollare di ROBERT D. KAPLAN I l test nucleare sotterraneo eseguito dalla Corea del Nord lo scorso fine settimana era di potenza pari alle bombe atomiche sganciate dagli Stati Uniti sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Per tutta risposta, sia l'America che il Giappone invocheranno severe sanzioni. Entrambi i Paesi sono nella migliore posizione per farlo, visto che nessuno dei due confina con la Corea del Nord e pertanto se il regime di Kim Jong-Il dovesse crollare in seguito alla pesante situazione economica, né l'uno né l'altro ne riporterebbe alcun danno. Anzi, se ne avvantaggerebbero entrambi sotto il profilo geopolitico poiché, almeno inizialmente, il disfacimento della Corea del Nord causerebbe molti più grattacapi alla Cina e alla Russia che non agli Stati Uniti e al Giappone. Cina e Russia sfruttano la Corea del Nord come stato cuscinetto, inserito tra i loro confini e quella democrazia ricca, effervescente e pro-americana che si chiama Corea del Sud, così seducente e così pericolosa. La Cina, inoltre, dovrebbe far fronte a milioni di rifugiati nordcoreani, che si precipiterebbero fuori dai confini al collasso del regime. Nel tentativo di scongiurare tale eventualità, la Cina continua a puntellare la Corea del Nord. E difatti, senza l'aiuto cinese, il regime di Kim non potrebbe durare a lungo. Eppure Kim si ostina a restare strenuamente indipendente dalla Cina, perché sa che la Cina, pur non desiderando un rovesciamento catastrofico della dittatura, ha le sue mire sul territorio nordcoreano e preferirebbe l'idea di uno stato cuscinetto come il Tibet sulla sua frontiera di Nordest, al posto di un inaffidabile regime totalitario. La Cina ha anche i suoi buoni motivi per augurarsi che non si realizzi l'accorpamento delle due Coree, che potrebbe scaturire dal collasso della dittatura. La riunificazione della penisola coreana sarebbe, come minimo, un grattacapo geopolitico per la Cina. Protesa a grande distanza dal continente asiatico, la penisola coreana non solo domina tutto il traffico marittimo del nord-est della Cina ma per di più ospita nella sua insenatura il Mar di Bohai, che rappresenta la più vasta riserva petrolifera off-shore della Cina. Per non parlare poi del fatto che una Corea unificata nutrirebbe sentimenti esasperatamente nazionalistici, non necessariamente amichevoli nei confronti dei suoi grandi vicini, Cina e Giappone, che in passato hanno tentato di controllarla e persino di occuparla. Questo fa sì che Kim viva nel terrore del lento lavorio di scardinamento del suo regime attuato metodicamente dai cinesi, allo scopo di rovesciarlo forse con una congiura di palazzo evitando però il collasso dello Stato. La sua unica speranza è quella di invitare l'America a colloqui diretti, con l'implicito riconoscimento del suo regime, in modo da sfruttare la leva di Washington contro Pechino. I test nucleari e il lancio di missili rappresentano i suoi tentativi maldestri per attirare l'attenzione della nuova amministrazione Obama. Deve diventare una grana talmente fastidiosa da costringere Washington a trattare con lui direttamente, anziché come uno dei partecipanti ai negoziati multilaterali che hanno caratterizzato i rapporti con la Corea del Nord sin dal 2003. Questa strategia solleva un problema reale per il presidente Barack Obama. Se non va giù duro contro la Corea del Nord, imponendo sanzioni pesanti, rischia di dimostrare all'Iran che l'America non ha polso. Difatti, la politica di Obama in Iran che abbina il bastone di interventi e sanzioni alla carota di colloqui e riconoscimento viene testata in Corea del Nord. D'altro canto, sanzioni intransigenti contro la Corea del Nord minacciano di destabilizzare il Paese. E chiunque parli con leggerezza della necessità di «favorire» il crollo della Corea del Nord non ha imparato nulla dalla lezione dell'Iraq: il vuoto di potere è di gran lunga peggiore di uno Stato totalitario. La Corea del Nord, con i suoi 23 milioni di abitanti, è pressoché grande quanto l'Iraq e la sua popolazione è molto meno istruita e meno pratica di democrazia. Gli iracheni infatti, almeno nella prima metà del XX secolo, avevano goduto di diversi decenni di semi-democrazia. Il crollo del regime a Pyongyang potrebbe richiedere la madre di tutti gli interventi umanitari, ipotizzando una collaborazione tra l'esercito americano e l'esercito di liberazione cinese. Nessuno se la sente di imboccare quella strada, certamente non la Cina e nemmeno gli Stati Uniti. I test nucleari in Corea del Nord irritano la leadership cinese, ma l'ipotesi di combattimenti su vasta scala e milioni di rifugiati appare addirittura terrificante. Che fare? Le sanzioni, per quanto dure, dovranno essere intelligenti: misure cioè atte a danneggiare il regime anziché la popolazione nordcoreana, lasciando in piedi lo Stato ma provocandone il progressivo indebolimento. Si sostiene da più parti che si vuole arrivare a una penisola coreana libera, democratica e unificata, ma è da preferirsi, nello specifico, una graduale e prolungata transizione fino a quel risultato. Fare pressioni per affrettare lo sgretolamento della Corea del Nord non sortirebbe altro effetto che alienarsi le simpatie della Corea del Sud e spingerla tra le braccia della Cina, perché anche la Corea del Sud sarebbe seriamente minacciata dal caos innescato dall'improvviso crollo della dittatura. Non è questo il momento di formulare minacce unilaterali. Occorre tenere ben a mente il disastro provocato in Iraq, quando si affronta la Corea del Nord. E ciò significa, per quanto possa apparire difficile da digerire, avviare una collaborazione con Pechino. traduzione di Rita Baldassarre EMANUELE LAMEDICA

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No R 28,6 (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Lettere al Corriere data: 06/06/2009 - pag: 41 La tua opinione su corriere.it Avete trovato il discorso di Obama convincente e utile per una svolta nei rapporti con l'Islam? SUL WEB Risposte alle 19 di ieri Sì R 71,4 No R 28,6 La domanda di oggi Pattuglie di vigilantes in servizio di notte sulla metropolitana milanese per aumentare la sicurezza. Siete d'accordo?

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Obama e il futuro che diventa racconto (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Spettacoli TV data: 06/06/2009 - pag: 55 A fil di rete di Aldo Grasso Obama e il futuro che diventa racconto L o storico discorso del presidente degli Usa al mondo islamico non è stato trasmesso dalle reti generaliste italiane. Evidentemente non hanno ritenuto che l'apertura di Barack Obama al mondo islamico, fatta nell'aula magna dell'Università Al-Azhar del Cairo, meritasse lo statuto di «evento». Così hanno proseguito come se niente fosse, con la programmazione normale. Pazienza le tv commerciali, ma la Rai! L'elezione di Obama ha spesso mobilitato l'immaginario televisivo, secondo la regola che i mutamenti sociali e politici spesso sono preceduti da spostamenti di sensibilità nella cultura popolare. Si è parlato di serialità, della prima «first family» afro-americana, quella di The Cosby Show; si è parlato di Oprah Winfrey, di The West Wing, di24 Lost, guida carismatica e misteriosa per uscire dalla perdizione. Adesso Maurizio Molinari ci informa che Ben Rhodes, lo «speechwriter» di politica estera con cui Obama ha lavorato da quasi un anno per redigere il discorso pronunciato al Cairo, è un laureato della New York University. Non in Scienze politiche o Relazioni internazionali ma in fiction alla Tisch School. Per rappresentarsi il futuro, per cercare di troncare l'odio tra Occidente e mussulmani, per combattere tutti gli estremismi c'è bisogno di molta immaginazione. Bisogna saper ricercare il futuro anche sotto forma di racconto perché «la verità si nutre di finzione»: ecco un esempio virtuoso di storytelling. P.S. La nostra cultura popolare, espressa dalla tv generalista, è bloccata sul format della soap. Il «caso Noemi», con tutto quello che ne consegue, non è causa ma effetto. P.P.S. Avvertire l'ottimo Ad di Fiat Sergio Marchionne che «soap opera brasiliana» si dice «telenovela».

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Mozilo l'italiano, re dei mutui primo indagato per il grande crac (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 06/06/2009 - pag: 16 Il personaggio Figlio di un macellaio immigrato nel Bronx, con metodi da «duro» divenne il numero 1 dei prestiti immobiliari Mozilo l'italiano, re dei mutui primo indagato per il grande crac L'accusa: favorì clienti politici e imbrogliò gli azionisti DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK «Stiamo volando con visibilità zero: non sappiamo che ne sarà dei prestiti che abbiamo erogato se aumentano i disoccupati o se cala il valore delle case». Siamo a metà dei 2006. La crisi dei mutui «subprime» è ancora lontana, ma c'è chi già prevede il disastro: non un bastian contrario qualunque ma Angelo Mozilo, l'incontrastato «re» dei prestiti immobiliari. Questo figlio di un macellaio italiano del Bronx che ha messo insieme un patrimonio di mezzo miliardo di dollari era titolare di una società, la Countrywide (da lui fondata nel '69), che cresceva a perdifiato in tutti i segmenti del mercato. Ma nelle e-mail che inviava ai collaboratori, Mozilo definiva «tossici» i suoi stessi mutui, coniando per primo un termine che due anni dopo sarebbe diventato di uso comune nell'America del collasso finanziario. Sono proprio queste mail che hanno indotto la Sec, la Consob americana, a inchiodare il banchiere incriminandolo per frode e «insider trading». Forse siamo a una svolta nella gestione della crisi. Fin qui i finanzieri che coi loro comportamenti disinvolti hanno provocato il collasso o propagato i suoi effetti hanno subìto solo condanne morali: quelle pronunciate da deputati e senatori del Congresso o dai media. Le indagini dei magistrati, che fanno fatica a orientarsi nei complessi meccanismi della finanza globalizzata, per ora non hanno dato grandi risultati. Ma la nuova Sec, affidata dal presidente Obama a Mary Schapiro che ha subito reclutato «segugi» come l'ex procuratore federale Robert Khuzami, ha cambiato drasticamente rotta. Quella intentata contro Mozilo è una causa civile, ma un'incriminazione anche penale potrebbe essere dietro l'angolo, visto che anche l'Fbi indaga da tempo sul finanziere italo-americano. A vederlo, col suo aspetto da attore dei «Sopranos» sempre superabbronzato, con abiti gessati e cravatte sgargianti Mozilo sembrerebbe un «predestinato». E invece, fino a due anni fa, il re dei mutui era un imprenditore ammirato e rispettato. Uno che a 12 anni aveva cominciato a lavorare col padre in macelleria, ma che già a 14 era fattorino in una società di mutui a Manhattan. Poco dopo Angelo se ne va a cercare fortuna in California. Senza mai imparare una parola d'italiano: i familiari non glielo insegnano per costringerlo a integrarsi nella società americana. E lui non li delude. Pian piano la sua società, Countrywide, diventa il maggior «originatore» di prestiti immobi-- liari d'America. Lui è un rullo compressore che non si offende quando qualcuno lo tratta come un mezzo mascalzone: «Ho successo spiega lui stesso alla rivista Forbes perché sono percepito dai miei dipendenti come un 'duro', un figlio di puttana». Una durezza riservata al personale: stufo di trattare coi sindacati, Mozilo lascia per strada 20 mila dipendenti, (Alex trasferendo buon parte delle sue attività dalla California al Texas, dove di «union» non c'era traccia. Il finanziere è, invece, assai amato dai «latinos»: gli immigrati che, grazie a lui, riescono ad avere un mutuo e a comprare casa appena sbarcati più o meno legalmente negli Usa. È un mondo improbabile nel quale Mozilo diventa il «banchiere dei poveri », premiato da tutte le minoranze etniche. Poi arriva la catastrofe. Dalla quale Mozilo si salva cedendo Countrywide a Bank of America e vendendo con straordinario tempismo le sue azioni sul mercato. Guadagna 140 milioni di dollari, ma ora arriva l'accusa di «insider trading». I suoi avvocati la giudicano infondata e accusano la Sec di puntare a una condanna politica: accusa i banchieri per nascondere dietro una cortina fumogena le responsabilità delle autorità che non hanno saputo regolamentare e controllare il sistema. Le mail inchiodano Mozilo: ha ingannato i suoi azionisti perché sapeva del disastro imminente. Ma ha continuato a far crescere la sua società perché voleva essere il «numero 1» battendo la Ameriquest di Roland Arnall, miliardario celebre per essere stato lo sponsor della lega nazionale di baseball e del Super Bowl: un banchiere che si è fatto largo finanziando molti leader politici compreso Bush, che lo ripagò nominandolo ambasciatore in Olanda. Il finanziere italo-americano che voleva il primato ha cominciato a erogare prestiti a condizioni di favore a deputati e senatori e a entrare anche nei segmenti più rischiosi del mercato dei prestiti immobiliari. Countrywide è diventata leader del mercato, è stata soprannominata la «Wal-Mart dei mutui », ma, a differenza della grande catena di distribuzione commerciale, questo è stato, per lei, l'inizio della fine: è andata in rovina, come l'Ameriquest. Massimo Gaggi Ex miliardario Sempre abbronzato, abiti gessati, nonostante l'aspetto Mozilo era accettato in Usa come un imprenditore rispettato La società La sua Countrywide era diventata leader nel settore, prestando a senatori e a «latinos». Nel 2008 è stata assorbita da Bank of America Imprenditore Il «re dei mutui» Angelo Mozilo era fino a due anni fa un imprenditore rispettato. A 12 anni cominciò a lavorare nella macelleria del padre, a 14 era fattorino in una società di mutui a Manhattan. Poi andò a cercare fortuna in California. I genitori non gli insegnarono mai l'italiano per costringerlo a integrarsi nella società americana

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Le anime belle di fronte alle urne (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

SCRIVO oggi e non domenica come è mia abitudine perché fin da oggi pomeriggio si comincerà a votare in Europa ed io voglio appunto parlare di questo voto. L'argomento è già stato trattato molte volte e da tempo in tutti i giornali e in tutte le televisioni ed anche noi di Repubblica l'abbiamo esaminato ripetutamente, come e più degli altri. Sento dunque un rischio di sazietà verso un tema usurato da motivazioni contrapposte e ripetitive. Del resto a poche ore di distanza dall'apertura delle urne anche gli indecisi avranno fatto la loro scelta e difficilmente la cambieranno. Infatti non è del colore del voto che voglio parlare. I miei lettori sanno come la penso e come voterò perché l'ho scritto in varie e recenti occasioni. Non desidero dunque convincere nessuno ad imitare la mia scelta. Il mio tema di oggi è un altro. Voglio esaminare in che modo nella nostra storia gli italiani hanno usato la loro sovranità di elettori da quando il suffragio è stato esteso a tutti i cittadini di sesso maschile e poi, nell'Italia repubblicana, finalmente anche alle donne ed infine ai diciottenni abbassando la soglia della cosiddetta maggiore età. Storicizziamo dunque la sovranità del popolo e vediamo nelle sue grandi linee quali ne sono state le idee e le forze dominanti. * * * Il suffragio universale maschile coincise nel 1919 con un sistema elettorale di tipo proporzionale; una proporzionale corretta in favore dei partiti quantitativamente più forti, che lasciava però a tutti i competitori ampi margini di rappresentanza. Nelle elezioni del "Diciannove" (le prime dopo la fine della guerra mondiale del 1914-18) si affacciò sulla scena della politica italiana una forza nuova, quella dei cattolici riuniti attorno ad un sacerdote di grande carattere e di convinta fede religiosa: il Partito popolare di don Luigi Sturzo. Fu l'ingresso d'un nuovo protagonista la cui presenza ruppe gli schemi fino allora vigenti che avevano privilegiato le clientele liberali raccolte dalla destra nazionalista e salandrina e quelle democratiche che avevano in Giovanni Giolitti il loro leader parlamentare. OAS_RICH('Middle'); Il Partito socialista, massimalista con appena una spolverata di riformisti, stava all'opposizione in rappresentanza della parte politicizzata del proletariato. Che tipo di Italia era quella? Un paese traumatizzato da quattro anni di trincea, con un altissimo costo di morti, di mutilati, di sradicati; un paese che aveva però acquistato una certa coscienza dei propri diritti. In prevalenza contadino, in prevalenza analfabeta, in prevalenza fuori dalle istituzioni e della stato di diritto. Un paese in cui il popolo sovrano si limitava alla piccola borghesia degli impieghi e delle libere professioni, alla classe operaia del Nord, ai proprietari fondiari e ai mezzadri. Il grosso della popolazione era fuori mercato, bracciantato con paghe di fame e prestiti ad usura, tracoma e colera nel Sud, pellagra e malaria nelle pianure del Nordest. Ma gli ex combattenti della piccola borghesia erano agitati da sogni di rivincita e di dominio. Odiavano il Parlamento. Detestavano la politica. Vagheggiavano il superuomo e il D'Annunzio della trasgressione e dell'insurrezione fiumana. Poi trovarono Mussolini. * * * Ricordo queste vicende perché contengono alcuni insegnamenti. I più anziani le rammentano per averne fatto esperienza, i più giovani ne hanno forse sentito parlare ma alla lontana e comunque non sembrano darvi alcuna importanza. Sbagliano: i fatti di allora rivelano l'esistenza di alcune costanti storiche nella vita pubblica italiana. Si tratta di costanti antiche, cominciarono a manifestarsi con la Rivoluzione francese dell'Ottantanove, con il tricolore che diventò ben presto la bandiera-simbolo dell'Europa democratica e con i tre valori iscritti su quella bandiera: libertà eguaglianza fraternità. Quei valori hanno avuto un'influenza positiva tutte le volte che sono stati portati avanti insieme ed invece un'influenza negativa quando soltanto uno di loro ha esercitato egemonia culturale e politica. La libertà, da sola, ha generato privilegi in favore dei più forti; l'eguaglianza, da sola, ha dovuto essere imposta con la forza (ma ciò in Italia non è mai avvenuto); la solidarietà, da sola, ha dato vita ad un'infausta politica assistenziale che ha dilapidato le risorse e indebolito la competitività e la libera concorrenza. L'Italia non ha mai avuto una borghesia degna di questo nome perché i tre grandi valori della modernità non hanno mai avanzato insieme. Per la stessa ragione la laicità non ha mai raggiunto la sua pienezza e per la stessa ragione un vero Stato moderno, una compiuta democrazia, un'effettiva sovranità del popolo e un'autentica classe dirigente portatrice di interessi generali, non sono mai stati una realtà ma soltanto un sogno, un'ipotesi di lavoro sempre rinviata, una ricerca vana e frustrante, uno stato d'animo diffuso che ha alimentato la disistima delle istituzioni e l'analfabetismo politico. Col passar degli anni questo analfabetismo è diventato drammatico. Il rifiuto della politica ne è la conseguenza più negativa. Gli italiani si sono convinti che la politica sia il male che corrode il paese. Perciò una larga parte dei nostri concittadini ha delegato la sua rappresentanza ad un giocoliere che ostenta il suo odio contro la politica e il suo qualunquismo congenito e festevole, all'ombra del quale sta nascendo un potere intrusivo, autoritario, concentrato nelle mani di un solo individuo. * * * L'analfabetismo politico degli italiani è molto diffuso tra quelli che parteggiano per la destra ma non risparmia la sinistra. Per certi aspetti anzi a sinistra questa assenza di educazione politica è uno dei suoi connotati, in particolare tra i sedicenti intellettuali che sono forse i più analfabeti di tutti. Uno degli effetti più vistosi di questo fenomeno consiste nella ricerca di un partito da votare che corrisponda il più esattamente possibile alle proprie idee, convinzioni, gusti, simpatie. Ricerca vana poiché ciascuno di noi è un individuo, una mente, un deposito di pulsioni emotive non ripetibili. Le persone politicamente mature sanno che in un sistema democratico occorre raccogliere i consensi attorno alla forza politica che rappresenti il meno peggio nel panorama dei partiti in campo. La ricerca del meglio porta inevitabilmente al frazionamento, alla polverizzazione del voto, al moltiplicarsi dei simboli e di fatto alla rinuncia della sovranità popolare. Aldo Schiavone ha scritto ieri che la polverizzazione del voto è frutto di un narcisismo patologico: per dimostrare la nobiltà e la purezza della propria scelta si getta nel secchio dei rifiuti la sovranità popolare. Non si tratta d'invocare il voto utile ma più semplicemente di predisporre un'alternativa efficace per sostituire il dominio dei propri avversari politici. La destra sa qual è il suo avversario e fa massa contro di lui. La sinistra coltiva il culto della testimonianza, ma quando si trasferisce quel culto nell'azione politica il risultato è appunto la rinuncia ad una sovranità efficace per far posto al narcisismo dell'anima bella, pura e dura. Pensare che questo scambio sia un'azione politica è un errore gravido purtroppo di conseguenze. Fu compiuto lo stesso errore dai popolari di Sturzo nel 1921: rifiutarono sia l'alleanza con i socialisti sia quella con i liberaldemocratici pur di restare puri nel loro integrismo cattolico. Rifiuto analogo fecero i socialisti. Le conseguenze sono note, ma non mi sembra che si siano trasformate in una solida esperienza. Vedo, a destra e a sinistra, una sorta di sonno della ragione dal quale bisognerebbe sapersi risvegliare. Post Scriptum. Anche in America la ragione si era addormentata dando spazio ai furori emotivi di George Bush. Dopo molti anni di letargo che hanno fatto degli Usa la potenza più odiata nel mondo, Barack Hussein Obama ha risvegliato la ragione facendo leva su una travolgente emotività carismatica. Quanto sta accadendo nel mondo e nella straordinaria trasformazione dell'immagine dell'America ci insegna questo: per svegliare la ragione ci vuole un forte soprassalto emotivo, senza il quale l'emotività si volge a beneficio della demagogia. Emozione razionale accresce la pienezza della democrazia, emozione demagogica le scava la fossa. Questo insegna Obama. L'insegnamento del giovane presidente afroamericano ci sia utile per la scelta che tra poche ore dovremo fare. (6 giugno 2009

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intelligence e torture barack perde un altro uomo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri Philip Mudd avrebbe dovuto giurare come sottosegretario Intelligence e torture Barack perde un altro uomo WASHINGTON - Philip Mudd, nominato da Barack Obama alla guida dei servizi di intelligence per la sicurezza interna, ha deciso di ritirarsi dall´incarico. A riferirlo è il sito web di Fox News. La rinuncia di Mudd arriva a una settimana dalla seduta parlamentare al termine della quale il Senato avrebbe votato a favore del suo incarico. A convincere il funzionario a fare un passo indietro sono state le ultime rivelazioni emerse dall´inchiesta sulle torture compiute ai danni di diversi prigionieri dagli agenti della Cia, agenzia di cui faceva parte Mudd durante l´amministrazione Bush. Il candidato scelto da Obama avrebbe avuto in particolare un ruolo di rilievo nella stesura del famigerate procedure di interrogatorio messe a punto dalla Cia per i sospetti terroristi, compresa la possibilità di eseguire il «waterboarding», una tecnica di annegamento simulato. Un portavoce della Casa Bianca ha riferito che Mudd ha il pieno sostegno del presidente, che comunque comprende la sua decisione.

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obama tra gli orrori dell'olocausto "ahmadinejad venga qui a vedere" - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri Obama tra gli orrori dell´Olocausto "Ahmadinejad venga qui a vedere" Visita a Buchenwald: non ho pazienza con chi nega la storia Il pellegrinaggio con Elie Wiesel e Angela Merkel: "Non dimenticherò quel che ho visto" ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato DRESDA - Una rosa bianca posata sul marmo che ricorda le vittime dell´Olocausto, la testa chinata, il lungo silenzio e una promessa: «Non dimenticherò mai cosa ho visto a Buchenwald». Camminano lentamente, Barack Obama e Angela Merkel, in quella terra e in quelle stanze che hanno visto migliaia di morti innocenti, l´erede dei liberatori a fianco dell´erede degli aguzzini. Accanto al presidente cammina lentamente anche Elie Wiesel, il premio Nobel che aveva sedici anni quando vide arrivare nel campo di sterminio nazista i soldati dell´89esima divisione di fanteria americana. Tra quei militari c´era anche Charlie Payne, un ragazzo di pochi anni più grande di lui che tornato in America «rimase scioccato per mesi» dall´orrore che aveva visto. è Obama che lo racconta, perché il soldato Charlie è il fratello di sua nonna materna, e quella storia il presidente americano l´ha ascoltata in famiglia, come Elie Wiesel ha raccontato le angosce di chi quell´orrore lo aveva subito. Un incrocio che lega simbolicamente il passato e il presente, con Buchenwald che fa da cerniera storica tra il genocidio nazista e le atrocità del mondo di oggi, perché «non si deve» dimenticare: «Questo posto è una risposta a chi nega l´Olocausto, il passare del tempo non ha diminuito l´orrore di questi luoghi». Ahmadinejad non viene citato per nome, ma è chiaro a tutti che è il presidente iraniano il primo della fila dei negazionisti cui sta pensando Obama. E del resto il nome lo aveva fatto poco prima di salire sul Marine One, l´elicottero presidenziale che da Dresda lo avrebbe portato a Buchenwald, parlando con la Nbc per rispondere all´ennesima provocazione del leader iraniano che nei giorni scorsi ha definito il genocidio di sei milioni di ebrei «il grande inganno»: «Ahmadinejad dovrebbe venire qui in visita. Non ho pazienza con chi nega la storia. E la storia dell´Olocausto non ha nulla di ipotetico». «Mi inchino davanti a tutte le vittime». Angela Merkel, nata e cresciuta in Germania Est quando Buchenwald era dalla parte sovietica della cortina di ferro, non si è limitata a denunciare gli eccidi del Terzo Reich nazisti ma ha ricordato che questo lager «dal 1945 al 1950» fu trasformato dai russi in un campo di prigionia, che nuove vittime di una nuova dittatura seguirono quelle naziste: «Qui a Buchenwald vorrei sottolineare un obbligo che ricade su noi tedeschi, come conseguenza del nostro passato: dobbiamo difendere i diritti umani, lo stato di diritto e la democrazia. Soltanto con la consapevolezza delle nostre responsabilità potremo lottare per la pace con i nostri amici alleati negli Stati Uniti e nel resto del mondo». Nel giorno dei simboli, dei ricordi e della speranza, il momento più toccante arriva quando prende la parola Elie Wiesel. La letteratura non ha bisogno delle certezze della politica, ma il premio Nobel appare quasi il più realista: «Non sono così sicuro che il mondo abbia imparato». A quei tempi «era umano comportarsi in modo disumano», dice prima di raccontare che da qualche parte, sotto quelle zolle di terra, riposa suo padre. «Il giorno in cui mio padre è morto è stato uno dei più bui della mia vita. Quando domandava aiuto io ero lì, ero lì per sentire le sue ultime parole. Ma non ero lì quando mio padre mi ha chiamato, pochi momenti prima di morire». La giornata era iniziata a Dresda, altro luogo simbolico della storia contemporanea. Il 13 febbraio 1945, i bombardieri anglo-americani iniziarono a martellare una città ormai priva di difese, radendola al suolo insieme ai suoi gioielli dell´architettura e provocando uno sterminato incendio in cui morirono 25mila civili. La città fu poi ricostruita quasi da zero, riportando in vita, palazzi, chiese e monumenti come erano prima della guerra. Uno di questi, il «Castello di Dresda», è stato la sede del vertice Obama-Merkel e della successiva conferenza stampa. Occasione che è servita al presidente americano per tornare a parlare di Medio Oriente all´indomani del "discorso all´Islam". «Il momento di agire è adesso», ha detto Obama, fiducioso che il suo messaggio del Cairo abbia creato «l´atmosfera giusta» per far ripartire i negoziati di pace. Un dialogo che non può avere altra soluzione che quella «basata sui due Stati» e che entro la fine di quest´anno può fare «seri progressi». Il viaggio di Obama finisce oggi. Ultime tappe, Parigi (dove verrà raggiunto da Michelle e dalle due figlie) e la Normandia, dove parteciperà alle celebrazioni per il 65° anniversario dello sbarco alleato. Con lui ci sarà anche Charlie Payne, il soldato (oggi 84enne) che liberò Buchenwald.

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il prozio del presidente che liberò il lager (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri Il personaggio Il prozio del presidente che liberò il lager DRESDA - Charlie Payne aveva appena vent´anni quando, nel 1945, arrivò a Buchenwald. Prozio di Barack Obama (è il fratello della nonna materna del presidente Usa), faceva parte dell´89ma divisione di fanteria che liberò il lager nazista. Ieri Payne ha accompagnato il nipote durante la visita al campo di sterminio e oggi parteciperà alle celebrazioni per il 65° anniversario dello sbarco in Normandia.

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salta la cena con sarkozy e carla - giampiero martinotti (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 13 - Esteri Irritazione all´Eliseo: il presidente Usa passerà la serata con la propria famiglia Salta la cena con Sarkozy e Carla GIAMPIERO MARTINOTTI dal nostro corrispondente parigi - I sorrisi non mancheranno stamani a Caen: Barack e Michelle Obama abbracceranno e baceranno Nicolas e Carla Sarkozy. Ma all´Eliseo c´è un certo disappunto: il presidente statunitense non ha voluto prestarsi al gioco delle fotografie e dell´amicizia alla vigilia del voto di domani per le europee. E per la parte privata della sua visita in Francia, ha preferito andare a cena con la famiglia, senza i Sarkozy. Naturalmente, si tratta di una faccenda privata, assicura l´Eliseo, ma perfino il Figaro ha sottolineato gli screzi tra i due capi di Stato. Obama ha ritrovato ieri sera moglie figli, arrivati da Washington, nella residenza dell´ambasciatore Usa, a poche centinaia di metri dall´Eliseo. Poi se ne sono andati a cena in un ristorante della capitale (quello di Alain Ducasse, sulla Torre Eiffel): per la prima volta dall´arrivo alla Casa Bianca, gli Obama sono insieme all´estero, in una città in cui Barack è passato da giovane e che ricorda nella sua autobiografia. E nemmeno stasera ci sarà la possibilità di un incontro privato: presidente e famiglia si recheranno a Notre Dame, quindi a cena da soli. Domani mattina, dopo una visita al Beaubourg, Obama tornerà a Washington mentre moglie e figlie andranno a pranzo all´Eliseo. Lo screzio fa seguito alla larvata polemica tra Washington e Parigi sul mancato invito alla regina Elisabetta: la Casa Bianca ha fatto pressione per averla oggi al cimitero americano di Colleville e alla fine, anziché lei, ci sarà il principe Carlo. Ma anche nel discorso del Cairo c´è un passaggio che non è piaciuto sulle rive della Senna: «I paesi occidentali non devono impedire ai cittadini musulmani di praticare la religione come ritengono più opportuno, per esempio legiferando su quali indumenti debba o non debba indossare una donna musulmana. Non possiamo dissimulare l´ostilità nei confronti di una religione dietro le sembianze del liberalismo». Parole interpretabili come una critica alla legge francese che vieta il velo a scuola, anche se l´Eliseo ha fatto finta di nulla.

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dopo il cairo occhi puntati sull'iran - renzo guolo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 13 - Esteri DOPO IL CAIRO OCCHI PUNTATI SULL´IRAN RENZO GUOLO Come ha reagito il mondo islamico al "nuovo inizio" di Obama ? Le risposte sono diverse, a seconda che provengano dall´opinione pubblica , dai regimi, dai movimenti islamisti. Se con il suo importante discorso il presidente Usa ha smontato la tesi dello "scontro di civiltà" e fatto tramontare davvero l´era Bush, sollevando se non entusiasmo grande aspettativa nell´immensa moltitudine della Mezzaluna, per alcuni attori politici il nuovo corso americano può mettere a rischio rendite geopolitiche consolidate. Scontata la reazione qaedista, per cui non vi è alcuna differenza tra Obama e Bush ma preoccupata per il varco che il discorso del Cairo può aprire "nei cuori e nelle menti" dei musulmani, l´incertezza riguarda gli alleati sunniti dell´America. In particolare Egitto e Arabia Saudita. Gli scenari che preoccupano sono quello palestinese, quello libanese e quello iraniano. Affrontando la questione dei "due Stati", il presidente Usa non ha definito Hamas organizzazione terroristica. Ne ha, invece, riconosciuto il peso nella società palestinese e prospettato un ruolo nel processo negoziale. A condizione che rinunci alla violenza e riconosca il diritto di Israele a esistere. La novità è stata colta da Hamas che, in quella parole, ha visto segnali di "discontinuità" e lanciato segnali di disponibilità a partecipare a una soluzione politica della crisi. Del resto, per la nuova amministrazione americana, il vero discrimine non è più la natura islamista dei gruppi o regimi ma solo il loro carattere locale o globale e le loro alleanze. Se estranei al qaedismo globalista e a potenze ostili, e, tanto più, espressione della volontà popolare, saranno ritenuti interlocutori politici legittimi. Anche se si tratta di formazioni islamonazionaliste , e filoiraniane, come Hamas o Hezbollah. Per gli alleati sunniti la garanzia dell´equilibrio esistente resta, invece, il contenimento dell´arco sciita e della minaccia iraniana. Al di là del suo rifiuto verso la "politica dei discorsi", sapremo presto se, sospinto anche dal riverbero interno delle parole di Obama, nelle imminenti elezioni presidenziali Khamenei sceglierà di abbandonare a se stesso l´ormai scomodo Ahmadinejad, stigmatizzato a causa del suo negazionismo e delle posizioni su Israele, da Obama a Buchenwald, durante l´appendice tedesca del suo viaggio. Tra qualche tempo si capirà, se la mano tesa del leader americano, che ha riconosciuto il diritto di Teheran al nucleare civile all´interno del Trattato di non proliferazione, sarà raccolta o meno. Rendendo meno problematici i rapporti tra Usa e Repubblica Islamica. Se ciò avvenisse, se all´Iran fosse riconosciuto il rango di potenza regionale e di partner internazionale a pieno titolo nel mercato energetico, gli equilibri nel mondo islamico sarebbero destinati a mutare. Per questo il "nuovo inizio" affascina e preoccupa molti allo stesso tempo: se trascendesse la sua dimensione simbolica e culturale e si traducesse in politica, a cambiare non sarà solo il difficile rapporto tra America e islam.

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a teheran tra comizi e talk show la shoah infiamma la vigilia del voto - vanna vannuccini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 13 - Esteri A Teheran tra comizi e talk show la Shoah infiamma la vigilia del voto Contestato il presidente . Ma gli ayatollah lo difendono "Disonori l´Iran" In un dibattito in tv il leader della opposizione accusa Ahmadinejad VANNA VANNUCCINI TEHERAN - Il Leader supremo Khamenei aveva parlato giovedì ancora prima che Obama arrivasse al Cairo. Davanti alla tomba di Khomeini, commemorando l´anniversario della morte dell´Imam, aveva ammonito il presidente americano che «cento discorsi non basteranno» se gli Stati Uniti non cambiano nei fatti la loro politica. E aveva ripreso alla lettera le parole usate dal presidente Ahmadinejad nei confronti di Israele: «Un tumore canceroso nel cuore degli Stati islamici». Dopo il discorso di Obama la teocrazia è rimasta in silenzio, grazie anche ai due giorni di festa in cui a Teheran tutto è chiuso e i giornali non sono usciti. Ma la politica estera di Ahmadinejad è entrata di prepotenza nella campagna elettorale a una settimana dalle elezioni dopo che il suo principale sfidante, Mir Hossein Moussavi, lo ha accusato, in un faccia a faccia trasmesso in diretta dalla tv di Stato, di aver «disonorato la dignità della nazione iraniana con le sue dichiarazioni sull´Olocausto». Lei - ha detto Moussavi a Ahmadinejad - mette il paese in pericolo «con la sua retorica bellicosa e una politica estera basata sull´avventurismo, l´estremismo e la superstizione». Ahmadinejad si era difeso con abilità dicendo che al contrario era stato proprio per merito suo che la politica americana verso l´Iran sta cambiando direzione. Ma le parole di Moussavi sono state recepite dai giovani. La novità dei messaggi pronunciati dai candidati riformatori, e il fatto che per la prima volta mettano in guardia dal pericolo di frodi elettorali chiedendo un comitato a garanzia del voto popolare, hanno creato all´improvviso una passione politica che non si erano più visti dalla prima elezione di Khatami nel 1997. Subito sono cominciati a circolare sms ironici: "enerjy-e hastei/boro bekhab khastei" ("energia nucleare vai a riposare che sei stanca!"). E ieri, per la prima volta nella storia della Repubblica islamica, alla preghiera del venerdì a Teheran si sono sentiti slogan contro Ahmadinejad. Soprattutto per le accuse che nel dibattito tv ha rivolto alla moglie di Moussavi, Zahra Rahnavard, ex rettore dell´Università femminile, mostrando un dossier che a suo dire dimostrerebbe che non ha i titoli di studio appropriati. Oltraggiare il namus (le donne sono l´onore della famiglia) è un gesto disonorevole per ogni buon musulmano: Ahmadi kam avordeh/ Namus vasat keshideh ("Ahmadinejad è venuto meno al principio di non offendere l´onore altrui"), si è sentito scandire. Conduceva la preghiera del venerdì, che è sempre strutturata come un misto di religione e politica (molti hanno notato qui che anche il discorso di Obamaera strutturato come una preghiera del venerdì) l´ayatollah Jannati, che è stato così il primo a rispondere a Obama dopo il Cairo. «Qualsiasi cosa dica su dimenticare il passato e cominciare una nuova fase, la prima condizione dovrebbe essere un cambiamento di politica nei confronti di Israele» ha detto Jannati. «Se il vostro sostengo a Israele continua, la storia tra Iran e l´America non cambierà». Ma fra i giovani le opinioni sono diverse: «Dobbiamo allontanarci dall´estremismo», dice un diciottenne che come tanti altri, ieri sera su ValiAsr, all´incrocio con Parkway, distribuiva nastri verdi e foto di Moussavi. Un suo compagno è più dubbioso: «Obama ha fatto un gesto amichevole. Ma forse è troppo idealista. Riuscirà a imporre le sue idee a un´America che finora ha avuto una mentalità molto diversa?». Un´anziana signora è ancora più scettica: «Ricordo che al tempo di Reza Shah l´ambasciatore tedesco per Ashura (le celebrazioni per il martirio di Hossein) andava in processione con la gente a piedi nudi e si copriva il capo di fango. Tutti sanno che per catturare le simpatie degli iraniani bisogna fare appello alla religione». SEGUE A PAGINA 5

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omaha beach e cimitero usa oggi l'omaggio al d-day (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 15 - Esteri Le celebrazioni Omaha beach e cimitero Usa oggi l´omaggio al D-Day PARIGI - Il viaggio europeo di Barack Obama fa tappa oggi in Normandia dove il presidente americano ricorderà il 65esimo anniversario dello sbarco alleato durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l´arrivo ad Orly, Obama incontrerà il presidente francese Nicolas Sarkozy (è previsto un faccia a faccia di una ventina di minuti) per celebrare il D-Day che diede inizio alla liberazione della Francia dall´occupazione nazista. Il presidente Usa si recherà anche a Omaha Beach, dove sbarcarono i primi soldati, e al cimitero dei caduti americani di Colleville Sur Mer.

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parigi val bene un budda è boom di nuovi fedeli - anais ginori (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 38 - Esteri Domani la capitale consegnerà al Dalai Lama la cittadinanza onoraria E ora si scopre che nella laica Francia è diventata la terza religione Parigi val bene un Budda è boom di nuovi fedeli Molti dei nuovi adepti francesi non sono giovani vengono dalle professioni mediche e scientifiche In Italia "la moda" sembra essersi fermata dopo i picchi degli anni Novanta, ma i Lama richiamano ancora molte persone ANAIS GINORI Nel paese di Voltaire, dove un cittadino su tre si dichiara ateo, avanza una religione «che religione non è», come ama ripetere il Dalai Lama. I francesi che si sentono «vicini» o «simpatizzano» per gli antichi insegnamenti del dharma sono quasi cinque milioni secondo un sondaggio pubblicato dal Figaro che ieri titolava: "Il buddismo è diventato francese". Dopo quella cattolica e musulmana, la fede buddista è diventata la terza religione con oltre 600mila praticanti e 250 scuole e monasteri. «Un movimento sempre più dinamico» spiega lo storico Frédéric Lenoir, che ha condotto uno studio sociologico per capire il profilo tipo di chi si "converte" all´antica filosofia orientale: molti dei nuovi adepti vengono dalle professioni mediche e scientifiche, «confermando che il buddismo è anche una pratica per il benessere psicofisico» dice Lenoir. Un´altra caratteristica è l´età. «Non ci si avvicina al buddismo da giovani. Piuttosto con la maturità e dopo aver provato una grande sofferenza o essere entrati in contatto con un evento doloroso». Senza il Dalai Lama, le predicazioni di Siddharta probabilmente non avrebbero conosciuto lo stesso successo in Occidente. "Oceano di Saggezza", come viene chiamato dai tibetani, è una figura carismatica, "icona pop" e terzo leader più popolare al mondo dopo Barack Obama e Angela Merkel. A livello religioso, rappresenta soltanto una delle tante scuole e correnti di questa fede. Il leader tibetano arriverà oggi a Parigi per ricevere la cittadinanza d´onore dal sindaco Bertrand DelanoË con la solita coda di polemiche. La Cina ha comunicato la sua "ferma opposizione" a questa onorificenza e non è previsto nessuno incontro con rappresentanti del governo. In Francia, uno dei portavoce del buddismo più famoso è Matthieu Ricard, definito "uomo più felice del mondo", dopo test neurologici effettuati da un´università americana. Con i suoi libri, venduti in tutto il mondo, accredita l´idea che tutti possano raggiungere la pace dei sensi grazie all´arte della meditazione. Eppure, il Dalai Lama tende a scoraggiare il proselitismo. «Non si può cambiare religione come si cambia una pettinatura - dice il premio Nobel per la pace - E´ meglio che ognuno segua la propria fede tradizionale. Conosco degli occidentali che hanno abbracciato il buddismo e adesso hanno una gran confusione in testa, peggio di prima». Il buddismo piace anche perché è più pragmatico che dogmatico, con rituali molto flessibili. "Sei sicuro di non essere buddista?" domanda il lama Norbu Khyentse, in un libro appena pubblicato da Feltrinelli. Molti di noi, è la tesi, possono applicare inconsapevolmente i quattro "sigilli" della verità buddista. «La Francia è un caso a parte» commenta Claudio Cardelli, presidente dell´associazione Italia-Tibet. Nel nostro paese la fase di espansione del buddismo sembra essersi fermata dopo il boom degli anni Novanta. L´Unione buddisti conta 60mila adepti anche se i frequentatori saltuari di lezioni, ritiri, workshop sono molti di più e ogni volta che il Dalai Lama viene richiama le folle. Due anni fa, le sue lezioni sulla "Via della Pace" avevano riempito il Palasharp di Milano. Il nostro paese ha invece una lunga tradizione di orientalistica e di studio del buddismo. Il grande studioso ed esploratore, Giuseppe Tucci, diceva spesso: "Diffido di queste mode di guru del giorno d´oggi, diffido e se qualcuno viene da me a chiedere consiglio, io gli dico che è inutile il pellegrinaggio in India, che tanto vale andare nei nostri luoghi di ascetismo, sul monte La Verna di San Francesco, dai trappisti". Nell´Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia, vicino Pisa, il primo che ha aperto in Italia nel 1977, i visitatori continuano ad essere centinaia ogni mese. «Abbiamo sempre tutte le stanze piene e molti dei nostri incontri sono già tutti esauriti» dice il monaco Raffaele Longo. L´unico problema riguarda il gompa. La sala meditazione del centro è stata completamente distrutta da un incendio il 27 dicembre scorso. Ma nel centro le tante attività, riunioni, e preghiere procedono comunque. «Vogliamo costruire un gompa ancora più bello e per questo stiamo raccogliendo fondi» racconta Longo che sta ricevendo aiuti anche dall´estero. Si sono fatte avanti personalità come il cantante Franco Battiato o lo scrittore Alejandro Jodorowsky. Uno dei maestri dell´istituto, il lama Zopa Rinpoche, ha scritto un messaggio sul significato dell´incidente. «Penso che ciò che è successo all´Istituto è un segno d´auspicio, è il segno che avete superato tutti i problemi con questo fuoco rovente». Alcuni oggetti si sono miracolosamente salvati: statuine di Budda e testi sacri. I monaci del centro li hanno ritrovati tra le ceneri, intatti.

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la coppia infiltrata da fidel nel cuore dell'america - vittorio zucconi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 39 - Esteri Un dirigente del Dipartimento di Stato e la moglie Per 30 anni al servizio di Castro. E ora in carcere La coppia infiltrata da Fidel nel cuore dell´America Walter tornò a Washington come "agente 202". Dall´Avana arrivò il segnale: "La luna brilla sul mare..." Walter Meyers e la moglie Guendalina, 72 anni lui, 71 lei, sono stati arrestati ieri. Tutto cominciò con una bella vacanza sull´isola VITTORIO ZUCCONI Era l´agente cubano numero 202, era il «nostro uomo a Washington», l´occhio indiscreto di Fidel Castro dentro le carte top secret del Dipartimento. Ma anche se la vecchia spia settuagenario smascherata dallo Fbi insieme con la moglie complice ora rischia 30 anni di carcere, e lo spionaggio è certamente una cosa riprovevole, la storia di Walter Myers e di sua moglie Guendolina si legge più come un romanzo di Graham Greene che come l´ultimo capitolo di un dossier da Guerra Fredda, da sedia elettrica e da Ian Fleming. La loro, come quella del venditore di aspirapolveri all´Avana che arrotondava le commissioni spiando per il servizio segreto di Sua Maestà, era una vita di piccolissimi burocrati nel termitaio di funzionari, segretarie e portaborse di Washington, colorata da tocchi romanzeschi deliziosiamente demodè: radio a onde corte, abboccamenti segreti nelle isole del Caribe e quale piccola truffa sui rimborsi spese per ingrassare la busta paga ministeriale. Comincia nel 1977, quando Walter Kendall Myers, impiegato di infima categoria al Dipartimento di Stato, viola l´embargo un po´ allentato da Jimmy Carter, fa una vacanza a Cuba, su invito di un collega cubano conosciuto per lavoro e impiegato nella missione consolare dell´Avana a Washington e viene avvicinato da agenti del Cuis, che sarebbe la Cia di Castro. Secondo il dispositivo di incriminazione, depositato ieri in tribunale dal ministero della Giustizia, Walter torna a Washington come "agente 202" e comincia la propria carriera di talpa per Lìder Maximo. Si sposa con Guendolina Steingraber, impiegata in banca che lui riesce a far assumere come segretaria al Dipartimento di Stato, perché le spintarelle contano anche qui. La arruola e la coinvolge, come "agente 123", e si arrampica per inerzia di anzianità sulla scala della carriera ministeriale fino al livello massimo di approvazione per i documenti "Top Secret". Dal loro appartamento a Bethesda, in un sobborgo, sempre modesto per non dare nell´occhio, gli agenti 202 e 123 si dotano di una radio a onde corte commerciale e nelle notti, fra fischi, schiocchi e scrosci, ascoltano i messaggi in codice da Radio Avana, «la gatta ha fatto i gattini», «la luna brilla sul mare». Per 200 volte, con documenti segretissimi tranquillamente fotocopiati in ufficio, i coniugi Myers fanno vacanze a Trinidad, Aruba, Santo Domingo, Haiti, a volte camuffandole come missioni di lavoro, per volare a spese del governo - cosa che indigna gli avvocati dello Stato e può costare 10 anni - e consegnare le carte "top secret" agli agenti cubani incassando i danari di Giuda. Dalle prove raccolte dal signor Persichini, che non è un personaggio immaginario del romanzo ma è il vice direttore dello Fbi, non si capisce quanto e che cosa abbiano davvero passato al Cuis di Fidel e quali danni alla pace e alla sicurezza del mondo libero abbiano fatto con la loro radio e i loro biglietti aerei a scrocco. Ma si sa che sono andati avanti per 30 anni, sotto il naso del cieco apparato di controspionaggio nel servizio di intelligence dello State Department, una delle dozzine di agenzie federali, Cia, Dia, Nsa, Armu, Navi che a Washington si pestano i pedi e si contendono i meriti e soprattutto i budget per lo spionaggio. Quegli stessi servizi che permisero ad Alger Hiss e a dozzine di agenti per i sovietici, gli israeliani i cubani di ficcanasare nelle borse dello Zio Sam. Entrambi andarono serenamente in pensione nel 2001, ai 65 anni canonici, con breve cerimonia di saluto e buona, doppia pensione governativa, ma non senza avere conosciuto il brivido sublime di un incontro personale con Fidel nel 1995, mentre il jefe era in visita di stato in MessicoChe cosa li abbia traditi, il signor Persichini dello Fbi non ci dice, per non svelare le astute tecniche di sorveglianza e di bonifica che per decenni non scoprirono niente e sarà interessante vedere quali pene, fino al massimo di legge di 20 per spionaggio e 10 per peculato, chiederà il pubblico ministero. Kendall e Guendolina hanno ora 72 anni ciascuno e i danni fatti al mondo libero non devono essere stati devastanti, visto che il regime di Fidel sta appassendo da solo sul ramo della storia e la presidenza Obama sta dando chiari segnali di apertura e di normalizzazione con quello che resta della "revolucion" che fece tremare le Americhe. Se soltanto i «nostri agenti a Washington» avessero resistito ancora qualche anno fino all´ormai inevitabile crollo anche di quest´ultimo muro di canne da zucchero, sarebbero morti in pace, se non salutati come oscuri eroi di una grande tragedia politica avviata fortunatamente a finire in commedia.

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tre religioni, una preghiera - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 18 - Cronaca TRE religioni, una preghiera (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) L´apparente squilibrio tra i due interlocutori – il capo di uno stato laico e l´insieme dei fedeli di una specifica religione – è superato proprio dal rilievo dato a ideali e principi che animano e unificano una specifica nazione al di là delle diverse appartenenze religiose dei suoi cittadini. Vi può essere – e Obama spiega come negli Stati Uniti vi sia stata e vi sia, pur costantemente minacciata da contraddizioni – una convergenza su determinati valori civili a partire da opzioni di fede diverse o dall´agnosticismo. Riconoscere la possibile esistenza e la reale dinamica di un´etica laica consente anche di discernere nei testi sacri e nella tradizione religiosa di una specifica fede quali elementi possano essere condivisi e quali sono stati tradotti nel vissuto quotidiano. Così, per esempio, si riesce a dare atto all´islam "per tutto il corso della sua storia" di aver "dimostrato con le parole e le azioni la possibilità di praticare la tolleranza religiosa e l´eguaglianza tra le razze". Quello che porta molti ad ascoltare Obama è la sua capacità di infondere fiducia, speranza nel domani della storia – "Sono qui oggi per cercare di dare vita a un nuovo inizio ... all´inizio di un nuovo rapporto"; è la sua capacità di trarre anche dal sacro Corano parole di monito, evocatrici di una missione per cristiani e musulmani; è la sua forza nel ribadire che la fede dovrebbe avvicinare cristiani e musulmani e "trasformare il dialogo in un servizio interreligioso". Ora, due parole tornano con insistenza nell´articolato discorso di Obama da comunità statuale a comunità di fede, due parole che rinviano entrambe a un´appartenenza collettiva: "responsabilità" e "insieme". Responsabilità – non a caso termine-chiave già nel discorso di insediamento del presidente degli Stati Uniti – significa sì discernimento del proprio coinvolgimento in errori compiuti nel passato remoto o recente ad opera del corpo comunitario cui si appartiene, ma anche e soprattutto consapevolezza di dover "re-spondere", rendere conto ai propri contemporanei e alle generazioni future del proprio pensare e del proprio agire, accettare il dovere morale di "scegliere il cammino giusto e non quello più facile" o più appagante in termini di interessi personali o particolari. Questa responsabilità consente di fare memoria da un lato evitando "l´incessante e autodistruttiva attenzione per il passato" e di "rimanere ancorati al passato" o "intrappolati" in esso e, d´altro lato, facendo tesoro degli errori e delle ricchezze della propria storia e tradizione per "puntare tutti insieme sul futuro che vogliamo dare ai nostri figli e per rispettare la dignità di tutti gli esseri umani". Responsabilità significa anche rinunciare alla via più facile di "accusare gli altri invece che guardarsi dentro": questo tipo di discernimento interiore contiene inevitabilmente l´appello a una ricerca e a un lavoro da compiersi "insieme". Non solo perché l´unione fa la forza, non solo perché la diversità è una ricchezza, ma perché tutti noi "condividiamo questo pianeta per un brevissimo istante di tempo". Ciascuno deve allora assumersi la responsabilità dell´altro, perché tutti gli esseri umani nascono uguali e perché per tutti vige quella regola aurea che è fondamento di ogni religione e di ogni sistema etico: "fare agli altri quello che si vorrebbe che gli altri facessero a noi". Ciascuno troverà declinato questo comandamento nei testi fondanti le proprie convinzioni di fede e i propri ideali e saprà discernere quali azioni concrete, quali atteggiamenti, quali dialettiche sapranno tradurre il sogno di un mondo migliore nella realtà quotidiana di un bene comune accessibile a tutti. è solo un sogno quello di Obama? Eppure, non è proprio questo ciò che sperano, magari confusamente, i musulmani delle diverse nazioni, i copti in Egitto, i maroniti del Libano, gli ebrei in Israele? E quando Obama ricorda quel testo escatologico del Corano in cui Mosè, Gesù e Maometto pregano insieme, oppure quando richiama la benedizione di Dio sui pacifici citando l´uno dopo l´altro il Corano, il Talmud e il Vangelo può darsi che ciò appaia inadeguato a esprimere la fede professata da un cristiano, ma non può non richiamare alla memoria la profezia di Isaia nella Scrittura sacra a ebrei e cristiani: "In quel giorno ci sarà una strada dall´Egitto verso l´Assiria; l´Assiro andrà in Egitto e l´Egiziano in Assiria, e gli Egiziani renderanno culto insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele sarà il terzo con l´Egitto e l´Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore dell´universo dicendo: «Benedetto sia l´Egiziano mio popolo, l´Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità»" (Isaia 19,23-25). Parole di un profeta del VI secolo a.C. che ci ricordano come da 2500 anni in quella regione del Medioriente si continua a sperare così: pace, giustizia, riconciliazione... Speranza che, Obama ce lo ricorda con forza, riposa anche sulla responsabilità di ciascuno: compito esigente quello cui tutti insieme siamo chiamati, percorso faticoso e arduo, ma cammino possibile, alla portata di ogni essere umano degno di questo nome. Sì, perché "convivere in pace ... è il volere di Dio, ed è il nostro dovere su questa terra": questa convivenza nella pace sarà possibile se ce ne assumeremo tutti insieme la responsabilità, se insieme sapremo rendere conto in parole e opere della nostra appartenenza all´unica comunità umana.

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"io, presidente di seggio col velo spero che oggi nessuno protesti" - zita dazzi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 19 - Cronaca Rassmea Salah, italo egiziana, assegnata a una scuola di Bresso, vicino a Milano "Io, presidente di seggio col velo spero che oggi nessuno protesti" "Metto sempre il mio hijab in pubblico, quindi lo farò anche di fronte agli elettori" ZITA DAZZI MILANO - Una presidente di seggio col velo islamico. Rassmea Salah, italo egiziana di 26 anni, non ci trova niente di strano ed è pronta a mettersi al lavoro. Oggi si presenterà alla scuola "Enrico Romani" di Bresso alla quale è stata assegnata, decisa a svolgere quello che considera un suo preciso dovere civico: l´allestimento delle urne, la consegna delle schede elettorali, il controllo delle operazioni di voto e infine lo spoglio e il conteggio delle preferenze. Ovviamente, farà tutto questo, sfoggiando il velo che le incornicia il viso, come ogni giorno, come a maggio, quando ha discusso la tesi all´Università di Napoli: «Certo, andrò al seggio con il mio "hijab". Non vedo motivo per cui dovrei rinunciare». Un gesto che lei considera normale, che vive come la semplice manifestazione della propria identità di musulmana italiana. Nessun intento di provocare, né di attirare l´attenzione: «Io metto sempre il velo quando sono in pubblico, quindi lo farò anche di fronte agli elettori e agli scrutatori con cui lavorerò in questi giorni - spiega quasi sorpresa dalle domande - Penso proprio che non ci saranno problemi e se ce ne fossero sarebbe grave discriminazione, perché uno in Italia può andare vestito come vuole, professare qualunque fede, senza essere discriminato. Sarebbe anticostituzionale costringermi a toglierlo». Neolaureata alla facoltà di studi arabo-islamici, cittadina italiana, figlia di un´infermiera lombarda e di un medico egiziano, Rassmea ha riscoperto recentemente la fede e l´importanza di indossare il fazzoletto colorato che portano molte donne islamiche. «La questione della mia identità per me è sempre stata una preoccupazione - confessa - Mi sono sempre sentita affezionata all´eredità, all´educazione religiosa e culturale che mi ha impartito mio padre durante l´infanzia al Cairo. E gli sono naturalmente grata per ciò che mi ha insegnato». Anche lei voterà, senza temere contestazioni: «Forse oggi ci stupisce un presidente di seggio col velo. Ma prevedo che in futuro ci saranno donne italiane musulmane e velate in cariche importanti. Come negli Usa, dove una delle consulenti di Obama è un´americana velata».

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quel "drive in" a bordo piscina che silvio non può nascondere - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 4 - Interni Voli di Stato Obama li paga Quel "Drive in" a bordo piscina che Silvio non può nascondere Il racconto Hanno fatto il giro dei siti. Così nel Villaggio globale la comunicazione non ha più confini Non occorre essere padre per sapere che un divieto scatena il desiderio di infrangerlo (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) E´ divenuto globale, veloce, ha allargato gli spazi di libertà. E ha contemporaneamente mantenuto o accresciuto difetti: è classista, sessista e ancora conosce sacche in cui viene negata la libertà. Un selvaggio uscito da decenni di isolamento nella giungla di quell´Africa che il premier italiano vede ormai dovunque potrebbe non sapere come rapportarsi a tutto questo e quali conseguenze attendersi. Il premier italiano no. Perché ne è parte integrante, ha contribuito attivamente a renderlo quel che è, trasmettendogli pregi e difetti, in quale misura dipende dalle opinioni, ma qui non rileva. Quel che conta è saper affrontare la realtà. Le foto di Villa Certosa, non le immagini in sé, non quel che ritraggono, ma proprio il loro essere incorniciate in pagine di giornale sono uno specchio in cui Silvio Berlusconi non può rifiutare di guardarsi. Andiamo per gradi. Le scatta un fotografo sardo e il premier ne blocca la pubblicazione con un ricorso a quella stessa magistratura che, per altri versi, ha appena finito di insultare. Evidentemente non basta andare ai vertici per capire che il mondo si è ristretto. Non basta aver posseduto giornali e tivù per rendersi conto che la comunicazione non ha più confini. I politici della Prima Repubblica rilasciavano imbarazzanti interviste a giornali stranieri convinti che non sarebbero state tradotte o straparlavano in aereo come se quelle parole non potessero atterrare. Il dominus della Seconda Repubblica fa mettere un veto alla stampa italiana e si ritrova su «El Pais». Poi da lì su tutti i siti del mondo, Italia inclusa. Con quel titolo che sarebbe stato meglio non dover leggere: «Ecco le foto che gli italiani non possono vedere», di taglio sotto lo storico discorso di Obama al Cairo. Non occorre essere padre di cinque figli per sapere che un divieto scatena il desiderio di infrangerlo e che a vedersi trattare dagli altri come quelli con meno libertà o capacità di giudizio ci si sente umiliati. Che poi «El Pais», come già importanti giornali inglesi e tedeschi, faccia parte di un complotto internazionale ordito dalla sinistra italiana, un´entità appenninica ormai incapace di far eleggere un sindaco oltre il Po, è un altro tentativo di distorsione ottica. Gli italiani dovevano poter vedere e hanno visto. Ne avrebbero fatto volentieri a meno, certo. Ma la storia è un accidente che si ritorce spesso contro i suoi artefici. Qui non stiamo parlando di tre zie suore di clausura sorprese dagli obiettivi mentre fanno la doccia. Stiamo invece guardando l´uomo che ha spettacolarizzato la sua esistenza, che ci ha inviato a domicilio, senza che lo richiedessimo, l´album fotografico della sua vita, la cui tivù ci ha dato lo stesso «Drive in» che ora replica a bordo piscina, ha indotto metà di una generazione a mettersi in fila per farsi spiare in una casa, ha trasmetto Tg in cui il pettegolezzo era la notizia. Silvio Berlusconi ha voluto, per poterne diventare l´oggetto di culto, una platea di pubblico e mediatica voyeuristica, sgangherata e sbarazzina con le regole. L´ha avuta. E ora le si mostra in costume da bagno, in un contesto tardo hollywoodiano, che, siamo sinceri, nulla rivela, che non va di un centimetro al di là di quel che avevamo da tempo immaginato. Lo dice lui stesso: «Scatti innocenti». Allora, perché tanto clamore per bloccarli? Questo ultimo atto, aperto da una festa a Casoria, somiglia sempre più a una matrioska al contrario: da una cosa piccola ne esce una più grande, poi più grande ancora. Il sospetto è che si debba guardare meglio per capire che cosa veramente non si vuole che vediamo: qualcosa più che una ragazzina o uno stornellatore partenopeo. Se quel qualcosa esiste esisterà anche lo sguardo per coglierlo e tutto il mondo lo vedrà.

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se dio rinasce - roberto festa (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 43 - Cultura SE DIO RINASCE Parla il filosofo cattolico charles taylor di cui esce "l´età secolare" perché la religione non minaccia il mondo laico grazie al profano Gli effetti della modernità sotto una luce nuova e sorprendente La secolarizzazione nata nell´Occidente cristiano si afferma grazie alla Riforma ROBERTO FESTA Barack Obama ha intessuto il suo discorso del Cairo di riferimenti al Corano, al Talmud, alla Bibbia. Fatto apparentemente insolito, per il presidente di un paese i cui Padri Fondatori guardavano la religione con sospetto e molta preoccupazione. «I preti temono il progresso della scienza come le streghe l´avanzare della luce», scrisse Thomas Jefferson, l´autore della Dichiarazione di Indipendenza. Ma «la religione, apparentemente sconfitta dalla storia, è oggi ovunque», spiega Charles Taylor, che per illustrare il concetto ha scritto le 1070 pagine di L´età secolare (Feltrinelli, euro 60). Taylor, professore emerito alla McGill University di Montréal, è autore di almeno un paio di libri fondamentali per la filosofia contemporanea (Hegel, Radici dell´Io). Il suo ultimo lavoro, L´età secolare appunto, spazia dalla storia alla sociologia, dalla teologia all´arte, dalla filosofia all´antropologia, per descrivere la vittoria di un mondo senza Dio, ma al contempo l´emergere di una spiritualità divisa, diffusa, irriducibile. «è vero, non c´è più un Dio unico, granitico, indiscutibile», racconta Taylor da Berlino, dove si trova per un periodo di studio. Nel giro di pochi secoli, è la sua tesi, l´Occidente è passato da un mondo in cui era praticamente impossibile non credere in Dio, a un sistema aperto, plurale, che ammette, e in molti casi incoraggia, l´incredulità. «Ma questo non significa assenza della religione, o tramonto delle esigenze spirituali dell´uomo», spiega Taylor, «tutt´altro. La modernità moltiplica le opzioni, religiose e non, sviluppa nuovi impulsi spirituali, molto più frazionati, rispetto al passato, rintracciabili nell´arte, nella musica, negli aspetti più quotidiani della vita". è insomma un mondo spezzato, in cui i singoli, e le comunità, annaspano per cercare un senso alle proprie esistenze, una forma alle proprie aspirazioni. Il passaggio, secondo Taylor, rende la vita più interessante e meno semplice. «La crisi, tratto distintivo della modernità, non deriva soltanto dal tramonto di una versione indiscutibile di trascendenza. Nasce dalla religione stessa, che nelle versioni attuali incoraggia l´analisi di noi stessi, le domande su chi siamo, su dove siamo diretti. è insomma la religione del dubbio, tipica di un´età di crisi». Non è una visione pacificata, dell´uomo e della vita, quella offerta da questo filosofo canadese, cattolico praticante, un passato di impegno politico (nel socialdemocratico "New Democratic Party"), la capacità di risultare gradito a comunitaristi e post-moderni, due tra i gruppi egemoni della filosofia anglosassone contemporanea. Ai primi, Taylor ha offerto una visione che bilancia i diritti dei singoli e quelli della più larga società, in cui gli individui-cittadini sono plasmati da culture e valori delle loro comunità. L´appello al pensiero post-moderno è invece venuto con l´idea di una filosofia che non crede nella verità ma nel potere del linguaggio, che vede le azioni umane guidate da forze esterne, incontrollabili, più che dal sé, dalla ragione, dall´adesione a una religione consapevole. «Non possiamo esimerci dal guardare sopra le nostre spalle, di tanto in tanto - scrive in L´età secolare - lanciando occhiate oblique, vivendo anche la nostra fede in una condizione di dubbio e di incertezza». Anche questa incertezza, del resto, è stata una conquista faticosa, un processo per nulla lineare, in cui vecchie versioni del sacro si sono dissolte e nuovi inizi hanno continuamente mutato fede e pratiche religiose degli uomini. In L´età secolare, Taylor contrasta l´idea di una modernità che si sviluppa attraverso la crescita di scienza e razionalità, e la progressiva rimozione della religione dalla sfera pubblica. «La secolarizzazione nasce all´interno dell´Occidente cristiano - racconta - soprattutto con la Riforma, che afferma una concezione antropocentrica della religione, una visione avversa al magico e attenta ai diritti individuali. è quello il terreno fertile per l´emergere del mondo secolarizzato». Credere a un processo ordinato, dalla fede all´incredulità, significa per Taylor trascurare la complessità degli uomini. «Non c´è stata la semplice rimozione dell´ostacolo religioso, da parte di un uomo sempre uguale a se stesso. Ci sono stati secoli di invenzioni, di pratiche di vita, di nuovi modi di concepire se stessi, il rapporto con gli altri e con il mondo esterno». La versione attuale della secolarizzazione, secondo il filosofo, si sarebbe comunque cristallizzata nell´Ottocento, in età vittoriana: «L´Illuminismo aveva un´idea ancora molto forte di provvidenza, di creatore benevolo che regola i rapporti tra gli uomini e con la Natura». Nell´Ottocento invece, emergerebbe un´altra concezione dell´ordine naturale, «per nulla provvidenziale, ma piena di sangue, di tensione alla sopravvivenza e all´evoluzione. è il quadro concettuale che definisce i campi opposti della scienza e della religione, e che resta vivo ancora oggi». Alcuni recensori laici di L´età secolare (per esempio Andrew Koppelman su Dissent) hanno scritto che Taylor è «un cattolico che cerca di affermare il suo, personale, teismo». In realtà, mentre la conversazione procede, il filosofo concede tranquillamente che «ci sono molti modi per fondare una teoria dei diritti umani, e quella religiosa non è migliore, più sicura, rispetto ai tentativi dei laici». Da cattolico praticante, poi, non pensa che i pontificati interventisti di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI costituiscano una minaccia alla laicità dell´Occidente: «Le idee del Vaticano non sono necessariamente quelle della maggioranza dei cattolici - spiega. In certi casi coincidono, in altri no. è evidente per esempio che nel mondo cattolico esistono posizioni molto diverse sulla questione del controllo delle nascite, o su quella dei diritti gay. E sono posizioni che per la gran parte non coincidono con quelle ufficiali del Vaticano». Anche i recenti episodi di scontro e intolleranza religiosa negli Stati Uniti non vanno, secondo Taylor, enfatizzati: «Quanto successo a George Tiller, il medico assassinato dagli anti-abortisti in Kansas, è sicuramente terribile, ma non ha un vero seguito nella società americana. Non è l´inizio di un trend, può essere facilmente isolato». Il mondo laico non ha insomma, per Charles Taylor, di che temere. La religione non costituisce una minaccia alla società liberale: «Il ruolo dei regimi laici non è quello di contenere la religione. C´è una sorta di assolutismo esagerato, in queste posizioni». Nel mondo mobile, disperso, spezzato di Taylor non esiste del resto possibilità di ritorno a una visione unitaria. Il pluralismo è un dato di fatto, la secolarizzazione una via senza ritorno, l´incertezza un dato costante della vita. Nell´età secolare non ci sono vincitori e sconfitti, non c´è un Dio che scompare e l´incredulità che trionfa, ma solo un orizzonte frammentato di identità, aspirazioni, opzioni. «Il senso più profondo ella secolarizzazione è proprio questo - conclude Taylor. Nessuno ha vinto. Nessuno può vincere».

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E' un referendum su Berlusconi (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

ROMA Chi vincerà le elezioni? Il partito dell’astensione. Sicuramente in Europa, forse anche in Italia. Da noi farà scintille tanto a sinistra, tra i delusi del Pd, quanto a destra, tra i disgustati dal Cavaliere. Le uniche zone che «tengono» sembrano quelle dove c’è lotta a coltello per sindaco (Firenze, Bologna) o presidente di provincia. Chi mandare a Strasburgo è argomento che non scalda la gente, tantomeno i partiti. Difatti nessuno ne parla. Chi invece canterà vittoria, domenica sera? Berlusconi, se scavalca l’asticella che egli stesso ha collocato parecchio su, forse perfino troppo. Altrimenti festeggeranno tutti gli altri. Il Pd, si capisce. Ma anche i «giornali ostili», le «toghe rosse», i «poteri forti», insomma quanti in Italia e all’estero sono angosciati dalla prospettiva di un Cavaliere senza più freni. Che quota vuole superare Berlusconi? L’ha detto lui: almeno il 40 per cento. Così tapperebbe la bocca a chiunque. Se poi invece che a 40 il termometro si fermasse a 39,5 in pratica cambierebbe poco perché l’anno scorso il Pdl era quasi «sfebbrato»: aveva 37,3 (voto delle Politiche). Dunque un notevole balzo all’insù. E’ l’unico traguardo del Cavaliere? No, dalle urne lui spera addirittura che gli esca un «terno» al lotto per poi spianare tutti gli ostacoli. Oltre a quota 40, vorrebbe superare insieme con la Lega la soglia psicologica del 50 per cento in modo da poter dire a Napolitano: la maggioranza degli italiani è con noi, firma senza fiatare i decreti. Ciliegina sulla torta sarebbe il record personale delle preferenze, 4 milioni, 5 milioni... In quel caso il premier cosa farebbe? Intanto affronterebbe più sereno il prossimo G8, tra un mese a L’Aquila. Dopo lo scandalo Noemi, soltanto Sarkozy gli ha fatto una telefonata carina. Dagli altri Grandi, soltanto gelo. Obama deve ancora dirgli a che ora lo riceve, quando Berlusconi il 15 giugno volerà a Washington. C’è parecchio nervosismo pure sulla scelta dell’ambasciatore americano a Roma. Se però il premier trionfa, nelle altre capitali finisce che si rassegnano: è la democrazia, bellezza. Il Cavaliere «unto» dal Popolo punterebbe subito al Quirinale? No, non subito. Sul Colle abiterà fino al 2013 un signore di nome Napolitano. Per sfrattarlo, Berlusconi dovrebbe farlo dimettere (difficile) o cambiare la Costituzione. E i suoi consiglieri avvertono che, comunque, l’ansia di vendicarsi con i pm al momento prevale sulla sua voglia di presidenzialismo. Comincerà dalla giustizia. Fini suona un altro spartito. Subirà ritorsioni? Molto si spera, nel giro berlusconiano, in un grande successo personale del ministro La Russa candidato al Nord-Ovest. In modo da far vedere che, tra gli orfani di An, il presidente della Camera deve fare i conti con un rivale. L’altro scenario: Berlusconi fa fiasco... Per il sistema dei vasi comunicanti, ciò significa che gli elettori di destra avranno premiato la Lega. Furba e concreta. In un anno ha già portato a casa federalismo fiscale, ronde e respingimenti. Se ora supera il 10 per cento, chi la ferma più? Alzerà il prezzo sulle riforme, chiederà presidenze di regioni, pretenderà poltrone importanti alla Rai. L’appetito vien mangiando. Quello leghista è insaziabile. Eppure Berlusconi promette: «Mai litigherò con Bossi». Cose che si dicono prima delle elezioni. Mettiamo che il Carroccio diventi primo partito della Padania, conquisti il Veneto, riesca a umiliare i «berluscones» in molte provincie della Lombardia e dalle valli scenda in Emilia, fin giù nelle Marche... Si accenderebbe una rivalità da derby. Voci autorevoli del Pdl già sussurrano: «Se la Lega alza troppo la cresta, ci fa venire voglia di votare sì al referendum elettorale del 21 giugno, quello che ci porterebbe al bipartitismo, in modo da regolare subito i conti». Non sono buoni propositi. Insomma: se Bossi surclassa il Pdl, davvero può cadere il governo? Con una opposizione che gioca d’astuzia, chissà. Finché la Lega verrà demonizzata come movimento xenofobo, per le sue tesi sugli immigrati, l’unica alleanza possibile di Bossi sarà sempre col Cavaliere. Diverso sarebbe, c’è chi comincia a ragionare a sinistra, nel caso in cui il Pd scavasse marxianamente nelle contraddizioni del blocco al potere. Franceschini rischia il posto? E’ il primo a non farsi illusioni. Ha una missione impossibile, difendere il 33,2 delle elezioni politiche. Da allora la concorrenza dipietrista s’è fatta più spietata. I Radicali se ne sono andati per conto loro. E stavolta il segretario Pd nemmeno si può appellare al «voto utile» che prosciugò il povero Bertinotti: a sinistra c’è un’aria da «rompete le righe» da cui comunisti e vendoliani rischiano di non trarre vantaggio solo perché, tafazzianamente, hanno scelto di odiarsi fino in fondo e di presentarsi divisi. Quanto deve ottenere, Franceschini, per salvare la poltrona? L’uomo ha dignità. In caso di naufragio, tipo 25 per cento, non si farebbe cacciare, se ne andrebbe con le sue gambe. Ma sarebbe anche la fine del progetto Pd. Un risultato inatteso, verso il 30 per cento, ne farebbe al contrario un eroe della resistenza anti-berlusconiana, lo supplicherebbero in ginocchio di restare. E nel mezzo tra i due estremi? Un risultato né carne né pesce, che alla vigilia sembra il più plausibile, per molti versi sarebbe anche quello maggiormente dannoso. Perché avrebbe l’effetto di intricare le scelte, di paralizzare le decisioni. Né vinti né vincitori, cioè tutti contro tutti. D’Alema mai così esposto, ma pure Veltroni che si è riaffacciato nel finale con un appello su Facebook. Rutelli in odore di scissione e lo stesso fantasma di Prodi, emerso dal cono d’ombra... Visto con gli occhi dell’elettore Pd: qual è la situazione ottimale? Berlusconi che perde. Spiegano intelligenti protagonisti della sinistra: alla fine poco conta se il Pd ha il 26 o il 28 per cento, non è da quello che se ne trae una prognosi. Importa semmai che il Cavaliere non diventi padrone d’Italia, superando di slancio «quota 40». A quel punto, si riaprirebbero i giochi. Tornerebbe spazio per la politica. Casini e Di Pietro smetterebbero di guardare al Pd con l’occhio del coccodrillo affamato. E magari acconsentirebbero a una strategia comune per voltare pagina insieme.

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Beirut, il voto è in vendita (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 06-06-2009)

Argomenti: Obama

INVIATA A BEIRUT A mio zio Marwan hanno pagato solo il biglietto per il pullman da Dubai ma lui è contento, dice che tre giorni di viaggio valgono la disfatta dei corrotti» racconta la grafica trentenne Randa Hassan alle amiche che bevono vino rosso sulla terrazza del Cafè Reservoir, in Ramlet el Baida, quartiere residenziale sul litorale di Beirut. Raed con i lunghi capelli raccolti a treccia suona il violoncello, la brezza marina accarezza le braccia nude delle ragazze. «I voti sono in vendita, tutti i partiti comprano a man bassa» osserva Sahar Mandour, giornalista. Secondo il quotidiano The Daily Star 19 mila espatriati sono tornati a casa negli ultimi due giorni. Basta un rapido sondaggio all’aeroporto Rafic Hariri per capire come entrambi gli schieramenti abbiano mobilitato le riserve, soprattutto tra i cristiani, la maggioranza dei 14 milioni di libanesi della diaspora che versano ogni anno al paese 2,5 miliardi di dollari di rimesse. Fratelli coltelli, i pendolari del voto che decideranno il risultato di domenica si sono divisi tra le Forze libanesi di Samir Geagea, alleate con Saad Hariri, e il Movimento patriottico libero Michel Aoun. «Sai che è tempo d’elezioni quando i tuoi amici che vivono all’estero vengono a Beirut per 4 giorni» recita la didascalia d’una vignetta del cartoonist Zankoul (www.961report.org) in cui una lunga fila di aerei aspetta di atterrare. Ma anche quando, aggiunge il disegno successivo con due ragazzi che si picchiano, «vedi nei campus molti più studenti con gli occhi neri». Cristiani contro cristiani. Musulmani contro musulmani, che tra sciiti e sunniti sono il 60 per cento della popolazione. Minoranze contro maggioranze e tutti, tatticamente, contro il nemico israeliano. Mohammad non ha nessuna voglia di menare le mani. Spingendo il carretto carico di mele sullo sterrato di Haret Hrayk, roccaforte sciita alla periferia sud di Beirut popolata di donne velate fino ai piedi e lontana secoli dai ristoranti alla moda della Corniche, sogna la vendetta sanculotta delle urne: «Ho sette figli e vendo frutta, una nullità per questo governo di ricchi e corrotti». Il primogenito Nadar, 19 anni, lavora in uno dei cantieri edili fioriti all’indomani della guerra del 2006 con il contributo dell’Iran e va pazzo per il rock palestinese dei Firkat Alshimal che hanno dedicato un cd a Nashrallah, «Il falco del Libano». Mohammad ha fede: «Tocca a noi». Dall’emittente di Hezbollah al Manar, sesta tv più popolare del mondo arabo, il portavoce Ibrahim Moussawi suona la carica: «Da tempo siamo la maggioranza del paese, adesso conquisteremo quella parlamentare». I sondaggi sono in bilico. La partita si gioca nei collegi di Zahle, Tripoli e Sidone, circa 15 mila cristiani non avrebbero ancora deciso come schierarsi. Lungo Nasra street, sulla collina opulenta di Ashrafya, i seguaci del generale Aoun sventolano le bandiere arancioni da giganteschi suv metallizzati per dimostrare che non saranno solo i nullatenenti a dar man forte all’opposizione. «Ci sarà un’affluenza massiccia, ma una parte o dall’altra la vittoria sarà di misura, 65 seggi contro 63» nota Khalil Harb del quotidiano di sinistra Assafir. Il risultato certo è l’incertezza: «Chiunque la spunti non potrà governare da solo». Con un debito pubblico di 48 miliardi di dollari sulle spalle d’una popolazione giovane (l’età media è 29 anni), il Libano non ha bisogno di un nuovo terremoto. Per questo, a sentire il quotidiano Al Akhbar, il leader druso Walid Jumblatt, alleato della maggioranza, avrebbe ammesso che è ora di deporre le armi contro gli sciiti. «La storia ci sta schiacciando, dobbiamo smettere di pensare alla guerra e costruire» ammette Sylvain Eid, 31 anni direttore di Metaform, la società che organizza Beirut39, il concorso per i migliori scrittori arabi under 40 nell’ambito di Beirut capitale della cultura 2009. Nel cuore ha i colori di Hariri, sullo schermo del computer quelli del presidente americano Obama, «uno di noi». La generazione cresciuta dopo la guerra civile vive la polarizzazione del paese come un destino che non ha scelto. «Vorrei che Bruce Springsteen venisse a Beirut» dice l’insegnante trentenne Hanadi Chamas giocando con gli amici a «specchio dei desideri» al bancone dell’Osaka Sushi Lounge, a downtown. Lara Canan, fotografa, vorrebbe un naso nuovo come quelli dipinti nelle tele ironiche dell’artista Tagreed Darghouty all’Agial Art Gallery, ad Hamra. Anche Nadar bin Mohammad, nella periferia sciita così lontana e così vicina da qui, vorrebbe tante cose, e soprattutto che la Germania vincesse i mondiali di calcio. In comune hanno il futuro, diviso tra il 14 marzo e l’8 marzo, memorial di una vita fa.

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