CENACOLO
DEI COGITANTI |
Chi vincerà le elezioni?
Il partito dell'astensione. Sicuramente in Europa, forse anche...
( da "Stampa, La" del
06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama deve ancora dirgli a che ora
lo riceve, quando Berlusconi il 15 giugno volerà a Washington. C'è parecchio
nervosismo pure sulla scelta dell'ambasciatore americano a Roma. Se però il
premier trionfa, nelle altre capitali finisce che si rassegnano: è la
democrazia, bellezza.
Non vogliamo imporre
soluzioni Israele, palestinesi e arabi facciano la loro parte
( da "Stampa, La" del
06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Sul Medio Oriente Non vogliamo
imporre soluzioni Israele, palestinesi e arabi facciano la loro parte Con Obama
abbiamo definito i tempi necessari per realizzare questi sforzi B. Obama A.
Merkel
L'essere venuto qui oggi è
un po' come essere andato alla tomba di mio padre. Ma mio ...
( da "Stampa, La" del
06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Signor presidente Obama, abbiamo
riposto tante speranze in lei perché, grazie alla sua visione morale della
storia, lei può rendere questo mondo un posto migliore, dove la gente smetterà
di fare la guerra - sempre assurda e insensata - e odiarsi. Ma il mondo non ha
imparato.
Israele scettica
"Troppa indulgenza con gli estremisti"
( da "Stampa, La" del
06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: di Obama sono giunte ieri anche da
un dirigente del Likud: il ministro dell'informazione Yuli Edelstein. Richiesto
di esaminare le ripercussioni per Israele, questi ha escluso che Netanyahu
possa accettare di rappresentare agli occhi di Obama un elemento negativo, o
anche irrilevante alla realizzazione dei suoi progetti.
Insieme alla cancelliera
Merkel visita il campo Non dimenticherò mai ciò che ho visto
( da "Stampa, La" del
06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: intervista Obama chiama in causa
Ahmadinejad: «Dovrebbe andare a Buchenwald, non ho pazienza con chi nega la
storia, non si specula sull'Olocausto». Obama va oltre il rigetto del
negazionismo, vede «in quanto avvenuto qui l'insegnamento che dobbiamo vigilare
contro il Male nel nostro tempo, respingendo l'idea che la sofferenza del
prossimo non ci riguarda»
tre religioni una
preghiera - enzo bianchi ( da "Repubblica,
La" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ENZO BIANCHI Vi sono alcuni
elementi del discorso di Obama al Cairo che mi paiono sollecitare una
riflessione che vada oltre le pur ricche e variegate implicazioni politiche e
strategiche. Innanzitutto la capacità del presidente degli Stati Uniti di parlare
a una "comunità" segnata da un´appartenenza religiosa, la umma
musulmana, a nome di una "comunità" unita da un´etica condivisa.
disoccupati usa al 9,4%,
top da 25 anni - arturo zampaglione
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: che verrà accelerata da Barack
Obama) riaccendano l´inflazione. Pubblicati ieri dal ministero del Lavoro di
Washington, i dati sull´occupazione a maggio rafforzano le inquietudini. E´
vero infatti che il mese scorso, tra licenziamenti, chiusure di fabbriche e
blocco del turnover, sono stati persi negli Stati Uniti solo 345mila posti di
lavoro,
le anime belle di fronte
alle urne - (segue dalla prima pagina)
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack Hussein Obama ha risvegliato
la ragione facendo leva su una travolgente emotività carismatica. Quanto sta
accadendo nel mondo e nella straordinaria trasformazione dell´immagine
dell´America ci insegna questo: per svegliare la ragione ci vuole un forte
soprassalto emotivo, senza il quale l´emotività si volge a beneficio della
demagogia.
torino-berlino un problema
anche di stile ( da "Repubblica,
La" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Dopo di che in tempi recenti ha
provveduto Barack Obama a chiamare la Fiat perché mettesse mano a un progetto
di sopravvivenza. Poteva la Germania tollerare che, dopo quel colpo a vuoto,
fosse la Fiat a dover intervenire nuovamente per salvare, questa volta, la
Opel? Certo che no. E lo si è capito benissimo soprattutto nei vertici
sindacali italo-tedeschi dove soltanto la rituale "
la scommessa di renzi -
pietro jozzelli ( da "Repubblica,
La" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Firenze LA SCOMMESSA DI RENZI
PIETRO JOZZELLI Obama cambia il mondo, parla di incontro e non più di scontro
di civiltà (come sono diventati subito vecchi gli anatemi di Oriana Fallaci),
riusciranno gli elettori fiorentini a scuotere Firenze dal suo torpore di finta
capitale dell´arte e di reale media città incapsulata nelle sue contraddizioni?
Obama a Buchenwald:
Ahmadinejad venga qui ( da "Corriere
della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 2009 - pag: 1 Visita al lager in
Germania Obama a Buchenwald: Ahmadinejad venga qui di PAOLO VALENTINO Visita a
Buchenwald, la prima di un presidente americano. Tappa in Germania per Barack
Obama, accompagnato dalla cancelliera Angela Merkel e dal premio Nobel Elie
Wiesel, che nel lager di Buchenwald vide morire il padre.
Obama visita Buchenwald
Argomenti:
Obama
Abstract: pag: 14 La tappa tedesca Omaggio
alle vittime del nazismo assieme a Elie Wiesel Obama visita Buchenwald
«Ahmadinejad, vieni qui» Il presidente Usa attacca i negazionisti della Shoah
DAL NOSTRO INVIATO DRESDA C'è differenza grande tra ascoltare la storia dei
crimini indicibili e andare a vedere i luoghi dove fu consumata.
Ma con la Merkel è grande
freddo ( da "Corriere
della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Anche i due stop che Obama si è
preso da Berlino di recente pesano. La Grosse Koalition ha ribadito che non si
impegnerà in zone pericolose in Afghanistan, esattamente la risposta che dava
ogni volta a Bush: nessun aiuto in più a Obama. Anche qui, niente polemiche da
parte della Casa Bianca.
Un'amica a capo dello
staff di Michelle ( da "Corriere
della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: tre delle più alte cariche
dell'East Wing sono adesso ricoperte da vecchie amiche di Michelle Obama». Dopo
meno di sei mesi alla Casa Bianca, Michelle Obama ha rimpiazzato il capo del
suo staff con un amica di vecchia data, provocando un piccolo terremoto negli
equilibri della East Wing, la zona della Casa Bianca riservata alla moglie del
presidente.
Argomenti:
Obama
Abstract: mi sembra sia piuttosto chiaro che
Obama abbia deciso di lasciar fuori Hamas, finché non riconosce lo Stato
d'Israele. Della rappresentanza politica, ricevendolo pure a Washington, ha
investito Abu Mazen. Anche con l'Iran, Obama vuole evitare ogni fronte
polemico. La sua strategia è evitare ogni accenno alla forza, almeno per
adesso.
Cena romantica con la
moglie Barack snobba Sarko e Carla
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Gli Obama non fanno eccezione. Con
il presidente in arrivo dalla Germania, anche la first lady Michelle è
atterrata ieri sera a Parigi. Con lei, le figlie Malia e Sasha, la madre
Mariann e lo zio del marito, Charles Payne. Clou del fine settimana parigino di
Barack e moglie, è la cena di questa sera al secondo piano della Tour Eiffel,
La scuola (pubblica) dei
prof superpagati ( da "Corriere
della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: varata da Bush e mai rinnegata da
Obama) ha finito per aggravare la crisi della scuola pubblica, provocando
l'esodo in massa dei migliori docenti verso le corporation private. Dal
servizio del Times, si scopre che, quando aprirà i battenti, la nuova scuola
pilota avrà solo 8 insegnanti per 120 studenti di prima media, scelti
attraverso una lotteria tra ragazzi del quartiere (
Disoccupati Usa, come 25
anni fa ( da "Corriere
della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione Obama presenterà le
nuove iniziative per accelerare il piano di stimoli economici avviato dal
Congresso. E sospesa fra cauta fiducia e pessimismo è apparsa ieri anche Wall
Street, dove gli indici hanno oscillato per tutta la giornata prima di chiudere
appena sopra lo zero (il Dow Jones a più 0,15% e il Nasdaq meno 0,
L'obiettivo delle grandi
potenze: fermare la Corea senza farla crollare
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Questa strategia solleva un
problema reale per il presidente Barack Obama. Se non va giù duro contro la
Corea del Nord, imponendo sanzioni pesanti, rischia di dimostrare all'Iran che
l'America non ha polso. Difatti, la politica di Obama in Iran che abbina il
bastone di interventi e sanzioni alla carota di colloqui e riconoscimento viene
testata in Corea del Nord.
No R 28,6
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: it Avete trovato il discorso di
Obama convincente e utile per una svolta nei rapporti con l'Islam? SUL WEB
Risposte alle 19 di ieri Sì R 71,4 No R 28,6 La domanda di oggi Pattuglie di
vigilantes in servizio di notte sulla metropolitana milanese per aumentare la
sicurezza. Siete d'accordo?
Obama e il futuro che
diventa racconto ( da "Corriere
della Sera" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract:
Mozilo l'italiano, re dei
mutui primo indagato per il grande crac
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: affidata dal presidente Obama a
Mary Schapiro che ha subito reclutato «segugi» come l'ex procuratore federale
Robert Khuzami, ha cambiato drasticamente rotta. Quella intentata contro Mozilo
è una causa civile, ma un'incriminazione anche penale potrebbe essere dietro
l'angolo, visto che anche l'Fbi indaga da tempo sul finanziere italo-americano.
Le anime belle di fronte
alle urne ( da "Repubblica.it"
del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack Hussein Obama ha risvegliato
la ragione facendo leva su una travolgente emotività carismatica. Quanto sta
accadendo nel mondo e nella straordinaria trasformazione dell'immagine
dell'America ci insegna questo: per svegliare la ragione ci vuole un forte
soprassalto emotivo, senza il quale l'emotività si volge a beneficio della
demagogia.
intelligence e torture
barack perde un altro uomo ( da "Repubblica,
La" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: nominato da Barack Obama alla guida
dei servizi di intelligence per la sicurezza interna, ha deciso di ritirarsi
dall´incarico. A riferirlo è il sito web di Fox News. La rinuncia di Mudd
arriva a una settimana dalla seduta parlamentare al termine della quale il
Senato avrebbe votato a favore del suo incarico.
obama tra gli orrori
dell'olocausto "ahmadinejad venga qui a vedere" - alberto flores
d'arcais ( da "Repubblica,
La" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: è stato la sede del vertice
Obama-Merkel e della successiva conferenza stampa. Occasione che è servita al
presidente americano per tornare a parlare di Medio Oriente all´indomani del
"discorso all´Islam". «Il momento di agire è adesso», ha detto Obama,
fiducioso che il suo messaggio del Cairo abbia creato «l´atmosfera giusta» per
far ripartire i negoziati di pace.
il prozio del presidente
che liberò il lager ( da "Repubblica,
La" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Prozio di Barack Obama (è il
fratello della nonna materna del presidente Usa), faceva parte dell´89ma
divisione di fanteria che liberò il lager nazista. Ieri Payne ha accompagnato
il nipote durante la visita al campo di sterminio e oggi parteciperà alle celebrazioni
per il 65° anniversario dello sbarco in Normandia.
salta la cena con sarkozy
e carla - giampiero martinotti ( da "Repubblica,
La" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack e Michelle Obama
abbracceranno e baceranno Nicolas e Carla Sarkozy. Ma all´Eliseo c´è un certo
disappunto: il presidente statunitense non ha voluto prestarsi al gioco delle
fotografie e dell´amicizia alla vigilia del voto di domani per le europee. E
per la parte privata della sua visita in Francia, ha preferito andare a cena
con la famiglia,
dopo il cairo occhi
puntati sull'iran - renzo guolo ( da "Repubblica,
La" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: sospinto anche dal riverbero
interno delle parole di Obama, nelle imminenti elezioni presidenziali Khamenei
sceglierà di abbandonare a se stesso l´ormai scomodo Ahmadinejad, stigmatizzato
a causa del suo negazionismo e delle posizioni su Israele, da Obama a Buchenwald,
durante l´appendice tedesca del suo viaggio.
a teheran tra comizi e
talk show la shoah infiamma la vigilia del voto - vanna vannuccini
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il leader della opposizione accusa
Ahmadinejad VANNA VANNUCCINI TEHERAN - Il Leader supremo Khamenei aveva parlato
giovedì ancora prima che Obama arrivasse al Cairo. Davanti alla tomba di
Khomeini, commemorando l´anniversario della morte dell´Imam, aveva ammonito il
presidente americano che «cento discorsi non basteranno» se gli Stati Uniti non
cambiano nei fatti la loro politica.
omaha beach e cimitero usa
oggi l'omaggio al d-day ( da "Repubblica,
La" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: europeo di Barack Obama fa tappa
oggi in Normandia dove il presidente americano ricorderà il 65esimo
anniversario dello sbarco alleato durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo
l´arrivo ad Orly, Obama incontrerà il presidente francese Nicolas Sarkozy (è
previsto un faccia a faccia di una ventina di minuti) per celebrare il D-Day
che diede inizio alla liberazione della Francia dall´
parigi val bene un budda è
boom di nuovi fedeli - anais ginori
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: "icona pop" e terzo
leader più popolare al mondo dopo Barack Obama e Angela Merkel. A livello
religioso, rappresenta soltanto una delle tante scuole e correnti di questa
fede. Il leader tibetano arriverà oggi a Parigi per ricevere la cittadinanza
d´onore dal sindaco Bertrand DelanoË con la solita coda di polemiche.
la coppia infiltrata da
fidel nel cuore dell'america - vittorio zucconi
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: sta appassendo da solo sul ramo
della storia e la presidenza Obama sta dando chiari segnali di apertura e di
normalizzazione con quello che resta della "revolucion" che fece
tremare le Americhe. Se soltanto i «nostri agenti a Washington» avessero
resistito ancora qualche anno fino all´ormai inevitabile crollo anche di
quest´ultimo muro di canne da zucchero, sarebbero morti in pace,
tre religioni, una
preghiera - (segue dalla prima pagina)
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: è solo un sogno quello di Obama?
Eppure, non è proprio questo ciò che sperano, magari confusamente, i musulmani
delle diverse nazioni, i copti in Egitto, i maroniti del Libano, gli ebrei in Israele?
E quando Obama ricorda quel testo escatologico del Corano in cui Mosè, Gesù e
Maometto pregano insieme, oppure quando richiama la benedizione di Dio sui
pacifici citando l´
"io, presidente di
seggio col velo spero che oggi nessuno protesti" - zita dazzi
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Anche lei voterà, senza temere
contestazioni: «Forse oggi ci stupisce un presidente di seggio col velo. Ma
prevedo che in futuro ci saranno donne italiane musulmane e velate in cariche
importanti. Come negli Usa, dove una delle consulenti di Obama è un´americana
velata».
quel "drive in"
a bordo piscina che silvio non può nascondere - (segue dalla prima pagina)
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Interni Voli di Stato Obama li paga
Quel "Drive in" a bordo piscina che Silvio non può nascondere Il
racconto Hanno fatto il giro dei siti. Così nel Villaggio globale la
comunicazione non ha più confini Non occorre essere padre per sapere che un
divieto scatena il desiderio di infrangerlo (SEGUE DALLA PRIMA P
se dio rinasce - roberto
festa ( da "Repubblica,
La" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: cristiano si afferma grazie alla
Riforma ROBERTO FESTA Barack Obama ha intessuto il suo discorso del Cairo di
riferimenti al Corano, al Talmud, alla Bibbia. Fatto apparentemente insolito,
per il presidente di un paese i cui Padri Fondatori guardavano la religione con
sospetto e molta preoccupazione. «I preti temono il progresso della scienza
come le streghe l´avanzare della luce»,
E' un referendum su
Berlusconi ( da "Stampaweb,
La" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama deve ancora dirgli a che ora
lo riceve, quando Berlusconi il 15 giugno volerà a Washington. C?è parecchio
nervosismo pure sulla scelta dell?ambasciatore americano a Roma. Se però il
premier trionfa, nelle altre capitali finisce che si rassegnano: è la
democrazia, bellezza.
Beirut, il voto è in
vendita ( da "Stampaweb,
La" del 06-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: sullo schermo del computer quelli
del presidente americano Obama, «uno di noi». La generazione cresciuta dopo la
guerra civile vive la polarizzazione del paese come un destino che non ha
scelto. «Vorrei che Bruce Springsteen venisse a Beirut» dice l?insegnante
trentenne Hanadi Chamas giocando con gli amici a «specchio dei desideri» al
bancone dell?
( da "Stampa, La" del
06-06-2009)
Argomenti: Obama
Chi vincerà le
elezioni? Il partito dell'astensione. Sicuramente in Europa, forse anche in
Italia. Da noi farà scintille tanto a sinistra, tra i delusi del Pd, quanto a
destra, tra i disgustati dal Cavaliere. Le uniche zone che «tengono» sembrano
quelle dove c'è lotta a coltello per sindaco (Firenze, Bologna) o presidente di
provincia. Chi mandare a Strasburgo è argomento che non scalda la gente,
tantomeno i partiti. Difatti nessuno ne parla. Chi invece canterà vittoria,
domenica sera? Berlusconi, se scavalca l'asticella che egli stesso ha collocato
parecchio su, forse perfino troppo. Altrimenti festeggeranno tutti gli altri.
Il Pd, si capisce. Ma anche i «giornali ostili», le «toghe rosse», i «poteri
forti», insomma quanti in Italia e all'estero sono angosciati dalla prospettiva
di un Cavaliere senza più freni. Che quota vuole superare Berlusconi? L'ha
detto lui: almeno il 40 per cento. Così tapperebbe la bocca a chiunque. Se poi
invece che a 40 il termometro si fermasse a
( da "Stampa, La" del
06-06-2009)
Argomenti: Obama
Sul
Medio Oriente Non vogliamo imporre soluzioni Israele, palestinesi e arabi
facciano la loro parte Con Obama abbiamo
definito i tempi necessari per realizzare questi sforzi B. Obama A. Merkel
( da "Stampa, La" del
06-06-2009)
Argomenti: Obama
L'essere venuto qui
oggi è un po' come essere andato alla tomba di mio padre. Ma mio padre non ha
una tomba. E' da qualche parte nel cielo, divenuto in quegli anni il più grande
cimitero di ebrei. Il giorno che è morto è stato uno dei più terribili della mia
vita. Era sempre più malato e debole e io assistevo alle sue sofferenze. Ero lì
quando chiese aiuto, chiese acqua. Ero lì quando pronunciò le sue ultime
parole. Ma non ero più accanto a lui quando mi chiamò, per quanto eravamo nella
stessa baracca: lui nel letto di sopra, io sotto. Mi chiamò per nome, ma io
avevo troppa paura di muovermi. Tutti avevamo paura. Poi morì. Ero lì, ma non
ero lì. Allora pensai che un giorno sarei tornato e avrei parlato a lui,
raccontandogli il mondo nel quale avrei vissuto. Gli sto parlando di tempi in
cui la memoria è diventata un sacro dovere di tutte le persone di buona
volontà. Posso dirgli qualcosa sulla lezione che il mondo ha imparato? Non ne
sono certo. Signor presidente Obama, abbiamo riposto tante speranze in lei perché, grazie alla sua
visione morale della storia, lei può rendere questo mondo un posto migliore,
dove la gente smetterà di fare la guerra - sempre assurda e insensata - e
odiarsi. Ma il mondo non ha imparato. Quando venni liberato
dall'esercito americano, l'11 aprile 1945, molti di noi pensarono che almeno
una lezione era stata imparata, che non ci sarebbe mai più stata una guerra,
che l'odio non è una soluzione, che il razzismo è stupido e il desiderio di
conquistare le menti, il territorio e le aspirazioni degli altri non aveva
senso. Ero pieno di speranze, paradossalmente, come molti di noi,per quanto
proprio noi avevamo il diritto di lasciar perdere l'umanità, la cultura,
l'educazione, di abbandonare la possibilità di vivere la nostra vita con dignità,
in un mondo dove essa non aveva più posto. Avevamo respinto questa possibilità,
e ci eravamo detti: no, dobbiamo continuare a credere nel futuro perché il
mondo ha imparato. Ma non imparò nulla, altrimenti non ci sarebbero stati la
Cambogia e il Ruanda, il Darfur e la Bosnia. Il mondo imparerà mai? Penso che
proprio per questo Buchenwald sia così importante, come Auschwitz, ma in modo
diverso. Questo campo fu una sorta di comunità internazionale, che raccoglieva
gente di provenienza politica, economica e culturale più diversa. Il primo
esperimento di globalizzazione fu condotto qui. E si fece tutto il possibile
per ridurre l'umanità degli umani. Per noi era umano essere disumani. Ma spero
che il mondo abbia imparato qualcosa. Questa speranza include molto di quello
che dice lei, signor presidente: sicurezza per Israele e per i suoi vicini,
pace in quella regione. Basta andare ai cimiteri. Deve arrivare un momento per
mettere la gente insieme e superare le divisioni. Chiunque sia oggi qui deve
tornare indietro con la risolutezza di farlo. La memoria deve unire e non
dividere. Non deve sollevare nei nostri cuori la rabbia, ma un sentimento di
solidarietà con quelli che hanno bisogno di noi. Cos'altro possiamo fare se non
invocare la memoria ? Un grande uomo, Camus, scrisse nella conclusione del suo
meraviglioso romanzo "La Peste": «Dopo tutto, dopo la tragedia,
nell'essere umano restano più cose da celebrare che da denigrare». E questa è
una verità che, con tutto il dolore che ciò comporta, troviamo qui a Buchenwald.
Grazie, signor presidente, per avermi permesso di tornare alla tomba di mio
padre, che è sempre nel mio cuore. Dal discorso di ieri a Buchenwald
( da "Stampa, La" del
06-06-2009)
Argomenti: Obama
Retroscena
Gerusalemme chiede fermezza Israele scettica "Troppa indulgenza con gli
estremisti" ALDO BAQUIS TEL AVIV Il progetto politico illustrato da Barack
Obama al Cairo è ardito e degno di lode, eppure la sua
traduzione in realtà resta irta di ostacoli. Sono improntate a scetticismo le
reazioni nel mondo politico israeliano: non solo quelle rilasciate a caldo
dall'ufficio del premier Benyamin Netanyahu (una nota stringata in cui Israele
assicura che lavorerà per la pace, senza però mai perdere di vista le proprie
necessità di sicurezza) ma anche quelle di Tzipi Livni, leader di Kadima e
principale forza di opposizione al governo. Di sicuro la Livni trova encomiabili
i propositi di Obama di puntare alla democratizzazione
nel mondo arabo. Ma le ferite dell'ex ministro degli Esteri non si sono ancora
rimarginate. Nel gennaio 2006, quando faceva parte del governo di Ariel Sharon,
la Livni si era scontrata con gli americani per essersi opposta alla
partecipazione di Hamas alle elezioni politiche nei Territori (vinte poi dagli
islamici). Con un occhio anche alle prossime elezioni in Libano (dove gli
Hezbollah potrebbero conseguire un cospicuo successo) la Livni fa presente ad Obama che esistono movimenti radicali che utilizzano il
sistema democratico solo per ottenere legittimità internazionale, ma senza
rinunciare alle loro agguerrite milizie e ai loro obiettivi di lungo termine.
(Proprio ieri un esponente di al-Fatah ha affermato che Hamas potrebbe tentare
un putsch in Cisgiordania, come quello condotto a Gaza nel 2007). Ci sono casi
- avverte da parte sua la Livni - in cui le elezioni democratiche si ritorcono
su se stesse. Occorre dunque costringere quei movimenti radicali islamici ad
una scelta dolorosa: rinunciare alle loro milizie (e alla capacità di
intimidire i rivali) oppure restare esclusi dal gioco democratico e dalla
legalità internazionale. «Questo codice dovrà essere seguito dagli osservatori
elettorali e indicherà agli elettori che votare una forza antidemocratica avrà
delle gravi conseguenze per il loro Paese», ha dichiarato la Livni al New York
Times. Anche se la stampa locale presenta la nuova politica di Washington come
una pesante mazzata per Netanyahu, espressioni di ammirazione per la «visione» di Obama sono
giunte ieri anche da un dirigente del Likud: il ministro dell'informazione Yuli
Edelstein. Richiesto di esaminare le ripercussioni per Israele, questi ha
escluso che Netanyahu possa accettare di rappresentare agli occhi di Obama un elemento negativo, o anche
irrilevante alla realizzazione dei suoi progetti. Israele cercherà
piuttosto di elaborare una terza via, di associarsi in maniera costruttiva alla
politica del Presidente. Come la Livni, anche Netanyahu dubita che i principi
illustrati nel discorso del Cairo possano essere tradotti in fatti. «Saremo
come un ponte - ha anticipato Edelstein - sospeso tra la visione molto positiva
di Obama, tra la realtà regionale che conosciamo fin
troppo bene, e tra le cose che comunque non potranno mai avvenire». Una di
queste, secondo il Likud, è il congelamento delle colonie in Cisgiordania. «Non
possiamo certo dire alle madri di Maaleh Adumim (città-colonia alle porte di
Gerusalemme) o di Gush Etzion (Betlemme) di non partorire più!», ha esclamato
il dirigente israeliano. Ma tra le linee c'era un barlume di compromesso: se
congelamento deve esserci, forse potrebbe avvenire negli insediamenti che si
trovano al di là della Barriera di sicurezza, nelle zone più fittamente
popolate dai palestinesi. Certo il compito di mantenere il controllo sugli
oltre 300 mila coloni non è facile. Le loro frange estreme sono esempre più
inquiete: questa settimana hanno minacciato di morte un comandante militare
israeliano, hanno attizzato il fuoco in campi palestinesi e ieri hanno creato
in Cisgiordania un provocatorio «Avamposto Obama» in
aperta sfida al governo. Eventuali pressioni internazionali non preoccupano
comunque il governo di Gerusalemme. «Il nostro è un governo stabile, allargato
ai laburisti, nessuno - afferma Edelstein - può dire che siamo estremisti».
«Gli Stati Uniti restano per noi un importante partner strategico, specialmente
per la questione iraniana. A volte fra amici bisogna sapersi dire la verità,
anche se si manifestano dissensi. In definitiva, sapremo lavorare assieme».
( da "Stampa, La" del
06-06-2009)
Argomenti: Obama
Insieme alla
cancelliera Merkel visita il campo «Non dimenticherò mai ciò che ho visto»
[FIRMA]MAURIZIO MOLINARI INVIATO A DRESDA Barack Obama
rende omaggio alle vittime dell'Olocausto nell'ex lager di Buchenwald,
lanciando un monito contro «coloro che negano quanto avvenne» come il
presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. La guida del presidente americano è
Elie Wiesel, il premio Nobel per la pace, che venne deportato ad Auschwitz e
poi all'inizio del 1945 fece la «marcia della morte» a piedi, assieme a
migliaia di prigionieri, a Buchenwald, dove vide morire il padre di stenti poco
prima della liberazione. Obama e Wiesel camminano
sulla terra brulla, assieme alla cancelliera tedesca Angela Merkel, al
direttore del museo Volkhard Knigge e a Bernard Hertz che fu come Wiesel fra i
924 orfani scampati al lager dove trovarono la morte oltre 56 mila esseri umani
catturati, per ragioni politiche o razziali, in ogni angolo d'Europa. Tutti e
cinque depongono una rosa bianca sul memoriale dello sterminio, poi visitano i
crematori, i siti delle fosse comuni, passano davanti al filo spinato, nel
«Piccolo lager» dove le SS tenevano i bambini, guardano l'orologio fermo sulle
15.15, l'ora nella quale il campo venne liberato dagli americani l'11 aprle
1945. E' Wiesel che parla trasformando il passato in presente: racconta i
dettagli dell'orrore quotidiano come le «lezioni segrete per bambini» e «chi
sfidava la morte per digiunare il giorno di Kipur», ricorda l'agonia del padre
«che non potei aiutare nel momento in cui morì», indica al presidente «il
contrasto fra la bellezza della natura e la brutalità che vi avvenne».
L'impatto delle parole del testimone segna il presidente. E' il linguaggio del
corpo a svelarlo: all'inizio ha le mani in tasca, mostrandosi quasi rilassato,
ma dopo pochi minuti non sa evidentemente più dove metterle, le stringe forte
dietro la schiena mentre la fronte tradisce tensione nell'ascoltare i
particolari della banalità dello sterminio. Attraversato il campo, Obama entra nel museo, vede ciò che resta dei manufatti
della soluzione finale. Ci sono anche le foto scattate dopo la liberazione che
ritraggono il sedicenne Wiesel: dentro una baracca, fra gli orfani. Quando il
presidente arriva di fronte ai giornalisti, esordisce con un «non dimenticherò
mai ciò che ho visto». E poi racconta il legame personale con l'Olocausto: «Il
mio prozio Charles Payne fu fra i primi soldati della 89° divisione a entrare a
Ohrdruf, uno dei campi collegati a Buchenwald, e quanto vide lo fece chiudere
nel silenzio al ritorno a casa». L'altro americano che Obama
ricorda è «il comandante del mio prozio, il generale Eisenhower» che ordinò «ai
suoi soldati, agli abitanti dei vicini centri tedeschi e ai giornalisti» di
«andare a vedere di persona, fotografare e filmare» quanto avvenuto a
Buchenwald «per evitare che in futuro qualcuno potesse dire che tutto ciò è
propaganda». E' qui che Obama vede la connessione con
l'oggi, dice che l'ordine di testimonianza assegnato da Eisenhower «resta da
compiere» perché «c'è chi afferma che «l'Olocausto non è mai avvenuto» in una
maniera «odiosa e ignorante» che «impone di reagire a chi dice bugie sulla
nostra storia» perché «l'orrore di questi luoghi non passa con il tempo». Il
riferimento è al presidente iraniano, che ha sollevato dubbi sulle «prove»
dell'Olocausto. In un'intervista Obama chiama in causa Ahmadinejad: «Dovrebbe andare a Buchenwald, non
ho pazienza con chi nega la storia, non si specula sull'Olocausto». Obama va oltre il rigetto del
negazionismo, vede «in quanto avvenuto qui l'insegnamento che dobbiamo vigilare
contro il Male nel nostro tempo, respingendo l'idea che la sofferenza del
prossimo non ci riguarda». Vicino a Obama,
Merkel parla della «missione tedesca» di «affinché quanto avvenne non si
ripeta» e ricorda anche altre vittime: «Quando a usare questo lager furono i
sovietici». Reduce dal discorso del Cairo sull'inclusione dell'Islam
nell'identità americana, le tappe nell'ex lager e a Dresda - che fu distrutta
da un bombardamento alleato - servono a Obama per
farsi testimone delle ferite europee alla vigilia della celebrazione dello
sbarco in Normandia. Segui la diretta del viaggio su www.lastampa.it/molinari
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 1 - Prima
Pagina TRE RELIGIONI UNA PREGHIERA ENZO BIANCHI Vi sono
alcuni elementi del discorso di Obama al Cairo che mi paiono sollecitare una riflessione che vada
oltre le pur ricche e variegate implicazioni politiche e strategiche.
Innanzitutto la capacità del presidente degli Stati Uniti di parlare a una
"comunità" segnata da un´appartenenza religiosa, la umma musulmana, a
nome di una "comunità" unita da un´etica condivisa. SEGUE A P
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 23 - Economia
Disoccupati Usa al 9,4%, top da 25 anni Ma in maggio rallentano i tagli di
posti. Petrolio oltre quota 70 dollari Sono 9 milioni gli americani che si sono
dovuti accontentare di un lavoro part time ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - A
maggio il tasso di disoccupazione ha raggiunto negli Stati Uniti il livello più
alto dell´ultimo quarto di secolo - 9,4% - ma la perdita di posti di lavoro è
stata inferiore alle previsioni e meno drammatica che nei mesi scorsi,
avvalorando così le previsioni del presidente della Federal Reserve Ben
Bernanke che ha parlato in settimana di una ripresa economica entro la fine
dell´anno. La prospettiva di una svolta nella recessione più lunga e dolorosa
del dopoguerra ha alimentato ieri la fiducia dei mercati finanziari. Gli indici
della Borsa americana sono tornati ai livelli dell´autunno scorso, recuperando
tutte le perdite del 2009. E il prezzo del petrolio ha di nuovo infranto i 70
dollari al barile: la Goldman Sachs prevede ormai una quotazione sugli 85
dollari entro dicembre. Ma è proprio così? Non è forse prematuro annunciare la
fine della crisi?, si chiedono in molti, con un senso quasi di incredulità. Il
premio Nobel Robert Mundell risponde che l´America sarà il primo paese del
mondo ad avviarsi tra breve sulla strada del rilancio. Certamente continuano ad
arrivare segnali incoraggianti. Ad esempio la Wal Mart, la multinazionale degli
ipermercati, si prepara ad assumere 22 mila dipendenti e a comprare sul mercato
azioni proprie per sostenere le quotazioni. E la Gm ha trovato nel gruppo
Penske un acquirente per la Saturn, a conferma che persino nell´auto americana
non mancano segni di vitalità. L´ottimismo è comunque temperato da due
elementi: primo, dalla consapevolezza che anche la strada della ripresa sarà
lunga e difficile; secondo, che non mancheranno ostacoli, a cominciare dal
pericolo che i salvataggi statali e la manovra di stimolo (che
verrà accelerata da Barack Obama) riaccendano l´inflazione. Pubblicati ieri dal ministero del
Lavoro di Washington, i dati sull´occupazione a maggio rafforzano le
inquietudini. E´ vero infatti che il mese scorso, tra licenziamenti, chiusure
di fabbriche e blocco del turnover, sono stati persi negli Stati Uniti solo
345mila posti di lavoro, rispetto ai 504mila di aprile, ai 652mila di
marzo e soprattutto ai 741mila di gennaio. Ma è altrettanto vero che il tasso
di disoccupazione è salito dal 8,9% di aprile al 9,4, il livello più alto dal
1983. E sarebbe stato quasi il doppio (16,4) se i conteggi avessero incluso
coloro che hanno smesso per disperazione di cercare un lavoro o i 9 milioni di
americani che si sono dovuti accontentare di un impiego part-time per non
averne trovato uno a tempo pieno. Gli esperti prevedono che il tasso di
disoccupazione continui a salire fino alla fine dell´anno e sfiori il record
del dopoguerra (10,8% nel 1982). Di sicuro i disoccupati, che oggi sono in
tutto 14,5, avranno difficoltà a trovare lavoro. Non solo molte aziende sono i
fase di ristrutturazione (la General Motors prevede altri 20 mila
licenziamenti), ma anche i gruppi più sani vogliono aspettare segnali sicuri
sull´inversione di tendenza prima di ricominciare ad assumere.
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 33 - Commenti
LE ANIME BELLE DI FRONTE ALLE URNE Gli italiani si sono convinti che la
politica sia il male che corrode il Paese Vedo, a destra e a sinistra, un sonno
della ragione dal quale bisognerebbe sapersi svegliare (SEGUE DALLA PRIMA P
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina XII - Torino
Torino-berlino UN PROBLEMA ANCHE DI STILE Ora, premesso che la parola fine
ancora non è stata scritta, per ammissione della stessa cancelliera Angela
Merkel che in tutta questa storia ha avuto un ruolo non secondario, le
perplessità riguardano il modo come si è arrivati a questo temporaneo epilogo.
Un problema di stile? Certamente, ma anche di sostanza. Intanto si è capito
subito che ai tedeschi non piaceva la soluzione Fiat perché non piaceva Torino
e l´Italia, tutte accomunate in un giudizio di sufficienza - o di
insufficienza- che si è tradotto nella preferenza di Magna. C´era, per la
verità, un antefatto che non è stato mai ricordato. Qualche anno fa la tedesca
Daimler aveva comprato l´americana Chrysler, già allora in difficoltà, sborsando
qualcosa come 35 miliardi di dollari con la convinzione di poterla rimettere
sulla strada virtuosa dell´efficienza e del profitto. Anche allora c´era stata
una questione di stile passata sotto silenzio e sempre in virtù della scontata
efficienza teutonica. Era accaduto infatti che i manager tedeschi, poco
propensi a trasferirsi a Detroit, avevano scelto di fare la spola tra Stoccarda
e gli Stati Uniti con un aereo che ogni settimana li portava a passeggio tra le
due sponde dell´Atlantico. Risultato? La Chrysler continuò a navigare in acque
sempre più agitate fino a quando venne trasferita al fondo Cerberus con una
perdita di circa 30 miliardi di dollari. Dopo di che in
tempi recenti ha provveduto Barack Obama a chiamare la Fiat perché mettesse mano a un progetto di
sopravvivenza. Poteva la Germania tollerare che, dopo quel colpo a vuoto, fosse
la Fiat a dover intervenire nuovamente per salvare, questa volta, la Opel?
Certo che no. E lo si è capito benissimo soprattutto nei vertici sindacali
italo-tedeschi dove soltanto la rituale "ipocrisia" dei
documenti di categoria ha coperto l´insofferenza verso l´offerta Fiat. Peggio
hanno fatto ministri, governatori, borgomastri che, sensibili alle scadenze
elettorali di questo fine settimana e ancor più a quelle locali di settembre,
alla fine di quella che Sergio Marchionne ha definito una "soap opera
brasiliana", hanno fatto muro, schierandosi con poco garbo e ancor minore
raziocinio a favore di una soluzione che in meno di ventiquattr´ore ha mostrato
i suoi limiti. In tutto questo, la Fiat, i suoi dirigenti, i suoi lavoratori,
Torino non hanno mai assunto una posizione meno che rispettosa nei confronti
della Opel e del governo tedesco. Hanno focalizzato la loro attenzione sui
problemi concreti, senza mai pensare ad altro che non fosse la creazione di un
grande gruppo industriale capace di garantire l´occupazione sia in Germania che
in Italia. Quella dei torinesi era una offerta industriale e tale continua ad
essere. Ieri Marchionne ha ripetuto che Fiat è ancora interessata alla Opel e
che "se dal governo tedesco arriva una telefonata la ascolteremo, sennò
abbiamo altro da fare". Ciò vuol dire che Torino è ancora aperta al
confronto con Berlino, possibilmente a un tavolo al quale possano valere anche
le regole dello stile. Che alla fine aiutano a decidere meglio, con la mente
sgombra da pregiudizi e concentrata sugli interessi delle aziende e dei
lavoratori.
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina III - Firenze LA SCOMMESSA DI RENZI PIETRO JOZZELLI Obama cambia il mondo, parla di incontro
e non più di scontro di civiltà (come sono diventati subito vecchi gli anatemi
di Oriana Fallaci), riusciranno gli elettori fiorentini a scuotere Firenze dal
suo torpore di finta capitale dell´arte e di reale media città incapsulata
nelle sue contraddizioni? I partiti di centro sinistra temono un aumento
dell´astensione e sono in fibrillazione contando il numero ancora alto di
indecisi a poche ore dal voto. Questione interna a questa metà del cielo: il
centrodestra, per sua stessa ammissione al di là degli slogan elettorali di
Berlusconi e Bonaiuti, non sembra mai essere stato in partita: non a caso
l´unico sondaggio che ha fatto verteva sul possibile risultato di un
ballottaggio Renzi-Galli. Se le previsioni risulteranno azzeccate, quello che
divide Renzi dalla vittoria al primo turno altri non è che Renzi stesso. Già,
ma perché tanti indecisi e tanta possibile astensione? SEGUE A P
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Prima Pagina data: 06/06/2009 - pag: 1 Visita al
lager in Germania Obama a
Buchenwald: Ahmadinejad venga qui di PAOLO VALENTINO Visita a Buchenwald, la
prima di un presidente americano. Tappa in Germania per Barack Obama, accompagnato dalla cancelliera
Angela Merkel e dal premio Nobel Elie Wiesel, che nel lager di Buchenwald vide
morire il padre. «Questo luogo è una risposta a chi nega l'esistenza
dell'Olocausto. Anche Ahmadinejad dovrebbe essere qui», ha detto Obama. Ma c'è un messaggio all'Iran: «Pronti al dialogo».
ALLE P
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Esteri data: 06/06/2009 - pag: 14 La tappa tedesca
Omaggio alle vittime del nazismo assieme a Elie Wiesel Obama visita Buchenwald «Ahmadinejad,
vieni qui» Il presidente Usa attacca i negazionisti della Shoah DAL NOSTRO
INVIATO DRESDA C'è differenza grande tra ascoltare la storia dei crimini
indicibili e andare a vedere i luoghi dove fu consumata. Tra evocare i
luoghi del male assoluto e calpestare il terreno dove a centinaia di migliaia
passarono per il camino. Facendo del cielo, parole di Elie Wiesel, «il più
grande cimitero del popolo ebraico». Mentre Barack Obama,
forse con le mani troppo in tasca, cammina lungo i viali di Buchenwald, a
riempire il silenzio dell'antico campo di sterminio sono gli urli della Storia,
più della pace di un paesaggio ingannatore. Ha la faccia cupa il presidente,
mentre ascolta il premio Nobel, che qui vide morire suo padre e per la prima
volta racconta la sua paura di fanciullo che «c'era, ma non c'era», impietrito
nella sua branda, mentre il genitore lo chiamava prima di andarsene. Obama segue con attenzione le parole e i gesti di Betrand
Herz, uno dei 903 bambini salvati dalla resistenza interna del lager,
organizzata nelle latrine, troppo schifose perche le SS ci andassero.
L'orologio è fermo alle 15.15, l'ora della liberazione in quell'aprile 1945, quando
i soldati di Patton entrarono in una valle di spettri. Obama,
Wiesel, Herz e Angela Merkel hanno ognuno in mano una rosa bianca. Le depongono
al memoriale del Piccolo Campo, la malabolgia dove la gente moriva pigiata
nelle baracche, di stenti e di fame, di malattie e di camera a gas. Ma dove un
miracolo di coraggio tenne in vita i piccoli. Tocca per prima alla cancelliera
venuta dall'Est. Con lei, in mattinata, Obama era
tornato a parlare di Medio Oriente, dopo lo storico discorso del Cairo.
Conferme e novità. I due Stati, Israele e Palestina. La nuova missione di
George Mitchell nella regione. E l'invito a tutti a fare «i difficili
compromessi » previsti dalla road map: per palestinesi, israeliani e Paesi
arabi «il momento di agire è questo». A Buchenwald, Merkel ripropone il dilemma
eterno che marchia la Germania: come fu possibile tanto male? Ma rivendica
anche l'identità riconquistata: «Parte della nostra ragion d'essere è tenere
viva la memoria di quella rottura della civilizzazione che fu la Shoah,
dimostrare la nostra determinazione a far sì che non si ripeta mai più». C'è
differenza tra ascoltare il racconto dell'abisso e coglierne di persona il
genius loci. «Questi luoghi non hanno perso il loro orrore col passare del
tempo. Il nostro dolore e la nostra indignazione per ciò che accadde non
diminuiscono », dice il presidente. La voce baritonale è velata di malinconia.
Racconta di suo zio, Charles Payne, che fu tra i liberatori di Buchenwald e
oggi gli sarà accanto sulle spiagge di Normandia. Ricorda il generale
Eisenhower, futuro presidente, che si precipitò in Turingia e volle vedere ogni
angolo di quello scempio. E poi ordinò ai suoi soldati e ai tedeschi delle
città vicine di visitare il campo. E invitò i congressisti da Washington. E
mandò i fotografi e i cineasti dell'esercito perché filmassero ogni cosa. Tutti
dovevano vedere, per poter un giorno testimoniare l'impensabile. «Quel lavoro
non è finito ammonisce Obama ancora oggi c'è chi
insiste che l'Olocausto non sia mai avvenuto: un diniego infondato, ignorante e
odioso». Buchenwald è la risposta, «un richiamo al dovere di fronteggiare chi
nega la nostra Storia ». È un altro modo di rammentare che il legame
dell'America con lo Stato di Israele è davvero speciale, che non ci può essere
tolleranza verso chi ne discute e ne minaccia l'esistenza. Era stato ancora più
esplicito con la Nbc: «Ahmadinejad dovrebbe fare una visita qui. Non ho
pazienza per i negazionisti». Buchenwald come lezione di Storia e di vita,
«contro chi ancora perpetua ogni forma di intolleranza, razzismo,
antisemitismo, xenofobia, omofobia e sessismo». «La memoria è un dovere gli fa
eco Wiesel , ma il mondo ha imparato? Anche se ne non sono sicuro, abbiamo
fiducia in lei, signor presidente ». Paolo Valentino La visita Obama (terzo da sin.) fra Elie Wiesel e la Merkel (Olycom)
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Esteri data: 06/06/2009 - pag: 14 Retroscena I dissensi su clima,
Afghanistan e Guantanamo Ma con la Merkel è grande freddo DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE BERLINO Dietro le Jazz Band e i gospel, freddo. Il breve viaggio
di Barack Obama in Germania, ieri, è un punto basso
nelle relazioni tra Washington e Berlino: non un dramma, però è il segno di un
gap transatlantico forse più ampio di quello che c'era tra Angela Merkel e
George W. Bush. Il fatto che il presidente americano abbia deciso di non
mettere piede a Berlino, ma solo a Dresda e Buchenwald in Francia, dopo la
visita in Normandia, passerà invece da Parigi e che sia rimasto meno di 24 ore
sul suolo tedesco è stato letto da molti commentatori come una piccola vendetta
dopo che lo scorso luglio la cancelliera tedesca aveva rifiutato al candidato Obama di parlare alla Porta di Brandeburgo. C'è però molto
di più. Negli ultimi mesi, una preoccupazione costante di Berlino è stata
quella di segnare le differenze con Washington. Sia Frau Merkel sia il suo
amato ministro delle Finanze Peer Steinbrück hanno più volte detto in pubblico
che le responsabilità della crisi finanziaria che il mondo attraversa sono da
cercare in America e da lì bisogna partire per ridisegnare il sistema. «Gli Stati
Uniti perderanno il loro status di superpotenza nel sistema finanziario
mondiale», arrivò a prevedere Steinbrück lo scorso ottobre. Da allora, è stato
un confronto a distanza, con la cancelliera che parlava di un nuovo ordine
economico e di una carta finanziaria globale che mettesse in riga anche Wall
Street. Dalla Casa Bianca, silenzio. Anche i due stop che Obama si è preso da Berlino di recente
pesano. La Grosse Koalition ha ribadito che non si impegnerà in zone pericolose
in Afghanistan, esattamente la risposta che dava ogni volta a Bush: nessun
aiuto in più a Obama. Anche
qui, niente polemiche da parte della Casa Bianca. Sulla richiesta
americana agli europei di ospitare alcuni dei detenuti di Guantanamo, molta
riluttanza da parte della coalizione che governa la Germania. E, di nuovo,
nessuna risposta da Washington. La settimana scorsa, poi, un'accusa diretta nel
corso delle trattative per trovare un piano di salvataggio per la Opel,
controllata dall'americana General Motors che in questo momento è sotto le cure
intensive del Tesoro Usa. I ministri coinvolti nelle trattative, Steinbrück
ancora in testa, hanno definito la posizione negoziale di Washington
«scandalosa» e «non d'aiuto». In più, secondo indiscrezioni, Merkel sarebbe sin
dall'elezione di Obama scettica sulla volontà reale
della Casa Bianca di cambiare politica in fatto di emissioni di gas serra.
Insomma, la cancelliera non ha aperto le braccia a Obama:
anzi, ha segnalato più volte freddezza, anche in occasione dei vertici del G20
a Londra e della Nato a Strasburgo a inizio aprile. Lo staff del presidente
americano non ha avuto reazioni vocali ma ha mantenuto di basso profilo la
visita di ieri, quasi a snobbare Frau Merkel. Dresda, a festa, era coperta di
adesivi «Ich bin ein Dresdner» per ricordare l'«Ich bin ein Berliner» di John
Kennedy. Ciò nonostante, anche la proposta di una lunga passeggiata per Dresda,
Merkel e Obama assieme, è stata oggetto di contrasti.
La cancelliera notano infine gli analisti non è ancora stata a Washington da
quando il nuovo presidente si è insediato. E Obama, se
è per quello, non ha messo piede a Berlino. Danilo Taino Sotto braccio Obama con la cancelliera tedesca Angela Merkel al termine
della conferenza stampa congiunta tenuta ieri a Dresda (Ap/Pablo Martinez Monsivais)
Divario transatlantico Il divario transatlantico è forse più ampio di quello
che c'era tra la Cancelliera e George W. Bush
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Esteri data: 06/06/2009 - pag: 14 Cambio della guardia Un'amica a capo
dello staff di Michelle DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK La parola
«nepotismo» non viene mai pronunciata ma forse è quella l'accusa implicita
nell'articolo del New York Times sul fatto che «tre delle
più alte cariche dell'East Wing sono adesso ricoperte da vecchie amiche di
Michelle Obama». Dopo meno
di sei mesi alla Casa Bianca, Michelle Obama ha rimpiazzato il capo del suo staff con un amica di vecchia
data, provocando un piccolo terremoto negli equilibri della East Wing, la zona
della Casa Bianca riservata alla moglie del presidente. Anche se nessuno
conosce i motivi, Lady Obama ha deciso di sostituire
il capo del suo staff Jackie Norris con Susan Sher, che lavorò con lei già ai
tempi dell'Università di Chicago. Legata agli Obama
dalla campagna per le primarie democratiche del 2008, (era responsabile per
l'Iowa) la Norris non è stata licenziata ma diventerà consulente generale della
Corporation For National and Community Service, l'organizzazione che si occupa
del servizio militare e civile americano. Nel comunicato che annuncia
l'avvicendamento, Norris sostiene di non veder l'ora «di partecipare
attivamente agli sforzi che questa amministrazione sta facendo per promuovere
le istanze del servizio militare e civile». «La signora Obama
ed io abbiamo lavorato insieme per molti anni occupandoci di questioni che ci
stanno a cuore ed apprezzo l'opportunità di prestare un maggior servizio a
questa amministrazione», ha dichiarato invece la Sher. Il rimpasto crea di
fatto un triumvirato di fedelissime attorno alla first lady. Oltre alla Scher,
Michelle ha chiamato con sé come social secretary Desiree Rogers (anche lei una
vecchia amica di Chicago) e Jocelyn Frye, la sua consigliera politica, con cui
ha frequentato la Harvard Law School. Alessandra Farkas Susan Sher Conosce
Michelle da oltre 10 anni. Ha lavorato con lei all'università di Chicago
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Esteri data: 06/06/2009 - pag:
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Esteri data: 06/06/2009 - pag: 15 Una notte a Parigi Cena romantica
con la moglie Barack snobba Sarko e Carla DRESDA (p.val.) «Noi avremo sempre
Parigi», dice Humphrey Bogart a Ingrid Bergman in Casablanca. E poche coppie
americane ancora oggi rinunciano a una puntata nella Ville lumiére, meta avita
di ogni fuga romantica, anche per poter un giorno ripetere la battuta. Gli Obama non
fanno eccezione. Con il presidente in arrivo dalla Germania, anche la first
lady Michelle è atterrata ieri sera a Parigi. Con lei, le figlie Malia e Sasha,
la madre Mariann e lo zio del marito, Charles Payne. Clou del fine settimana
parigino di Barack e moglie, è la cena di questa sera al secondo piano della
Tour Eiffel, al ristorante «Jules Verne», da qualche anno rilevato e
rilanciato da Alain Ducasse. Non è chiaro se anche le piccole saranno con loro,
ma la presenza della nonna suggerisce piuttosto che dovrebbe trattarsi di un
appuntamento romantico. Talmente ci tengono, Michelle e il marito, da aver
gentilmente ma fermamente declinato un invito a cena da Nicholas e Carla
Sarkozy. Un rifiuto che ha fatto gridare allo sgarbo alcuni media inglesi e
francesi. La first lady rimarrà a Parigi con le figlie per qualche giorno,
mentre il presidente farà ritorno a Washington domani pomeriggio. La breve
vacanza sarà pagata di persona da Obama.
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Cronache data: 06/06/2009 - pag: 23 Educazione La scommessa del
fondatore, Vanderhoek: dimostrare che il segreto non sta nella tecnologia ma
negli uomini La scuola (pubblica) dei prof superpagati New York: stipendi da
125 mila dollari l'anno, insegnano a ragazzini ispanici e poveri DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE NEW YORK Uno di loro è un violista affermato. Due sono laureati
in prestigiose università Ivy League. Un terzo è stato per anni il personal
trainer di Kobe Bryant. Sono alcuni dei professori del dream team, la squadra
magica di professori che a partire dal prossimo settembre daranno vita
all'Equity Project di Manhattan, la prima scuola pubblica degli Stati Uniti che
pagherà il suo staff con un salario degno di Wall Street. «Gli insegnanti
riceveranno uno stipendio annuo di 125 mila dollari scrive il New York Times .
Cioè il doppio rispetto ai colleghi delle altre scuole pubbliche newyorchesi e
due volte e mezzo la media nazionale ». E se non bastasse i superprof
dell'Equity Project potranno anche ricevere dei bonus di fine anno (fino a 25
mila dollari) proprio come i broker di Wall Street in base alla loro
performance. La scommessa del fondatore Zeke Vanderhoek, 32enne laureato a
Yale, è semplice. Teorizza: «Il vero segreto di una scuola pubblica eccellente
non sta nella rivoluzione tecnologica, e neppure in presidi di talento e classi
poco numerose, ma nella capacità d'ingaggiare insegnanti eccelsi». Una tesi
provocatoria che ha toccato un nervo scoperto nell'America dove la controversa
legge No child left behind (varata da Bush e mai rinnegata
da Obama) ha finito per
aggravare la crisi della scuola pubblica, provocando l'esodo in massa dei
migliori docenti verso le corporation private. Dal servizio del Times, si
scopre che, quando aprirà i battenti, la nuova scuola pilota avrà solo 8
insegnanti per 120 studenti di prima media, scelti attraverso una lotteria tra
ragazzi del quartiere (Washington Heights, uno dei più poveri di
Manhattan) e alunni con problemi d'apprendimento, la maggior parte provenienti
da famiglie ispaniche e a basso reddito. L'obbiettivo del fondatore è arrivare
a 28 insegnanti per 480 alunni tra qualche anno. Anche se dall'esterno la
scuola, un modesto edificio sulla 181ª strada, assomiglia a tutti gli altri
istituti pubblici di New York, all'interno Vanderhoek sogna di creare una oasi
accademica, destinata secondo lui a fornire un modello al resto del mondo. Per
il suo scopo ha attraversato il paese, improvvisandosi talent scout per oltre
un anno, stanando i migliori insegnanti tra migliaia di candidati. «Li ho
osservati a scuola racconta . Perché non basta un curriculum vitae stellare.
Conta il cosiddetto 'fattore attenzione', che si misura quando gli studenti
sono talmente interessati durante una lezione che si dimenticano di essere a
scuola». Ma in comune i suoi 8 fortunati docenti hanno anche un contagioso
entusiasmo per la materia che insegnano e la capacità di domare gli elementi
più irrequieti e piantagrane: «Una dote cruciale alle scuole medie», precisa
Vanderhoek. Prima di firmare il contratto, tutti si sono dichiarati «pronti a
rimboccarsi le maniche». Il lavoro che li aspetta è infatti ben più gravoso di
quello dei loro colleghi. I super pagati prof dovranno sobbarcarsi infatti
responsabilità normalmente affidate ad altri, sdoppiandosi per vestire, di
volta in volta, i panni di vicepreside, supplente, allenatore e rettore, visto
che queste posizioni sono state eliminate. Per fare quadrare i bilanci.
Alessandra Farkas Docente d'oro Rhona José, qui con due giovani studenti, si è
laureata ad Harvard Farà parte del dream team dell'Equity Project di Manhattan
(NYT)
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Economia data: 06/06/2009 - pag: 31 Recessione La Casa Bianca: il
tasso resterà alto per un po'. Biden: segnali di speranza Disoccupati Usa, come
25 anni fa Il numero dei senza lavoro al 9,4%, ma rallenta. Petrolio a 70
dollari MILANO Il vicepresidente Joe Biden ammette che «sono numeri duri», ma
che rappresentano allo stesso tempo «segnali incoraggianti». «Le nostre azioni
per riportare l'economia sui binari giusti stanno cominciando a fare la
differenza», aggiunge. A riportare un po' più verso il sereno il barometro
della Casa Bianca sono i nuovi dati sull'occupazione negli Usa diffusi ieri dal
Labor Department, secondo i quali nel mese di maggio sono svaniti altri 345
mila posti di lavoro, portando a 6 milioni il totale da inizio della
recessione. Dall'8,9% di aprile, il tasso ufficiale di disoccupazione è salito
in un mese a 9,4%, il risultato peggiore dal 1973 ed erano 25 anni che non
passava la soglia del 9%. Ma si tratta di numeri che indicano una sensibile
inversione di rotta rispetto al punto più basso della crisi. I 345 mila senza
lavoro in più non solo sono meno dei 520 mila che si aspettavano gli analisti,
ma sono soprattutto meno dei 504 mila registrati in aprile e ancor meno dei 652
mila di marzo. Una linea retta discendente, insomma. «Abbiamo ancora una lunga
strada davanti», ha ammesso lo stesso Biden, ribadendo che lunedì l'amministrazione Obama presenterà le nuove iniziative per accelerare il piano di
stimoli economici avviato dal Congresso. E sospesa fra cauta fiducia e
pessimismo è apparsa ieri anche Wall Street, dove gli indici hanno oscillato
per tutta la giornata prima di chiudere appena sopra lo zero (il Dow Jones a
più 0,15% e il Nasdaq meno 0,1%)). A pesare sulla Borsa ha contribuito
il prezzo del petrolio, che ha superato temporaneamente la soglia dei 70
dollari per barile. Il rallentamento nell'erosione dei posti di lavoro negli
Usa appare esteso a tutti i settori. Nell'industria delle costruzioni,
osservatorio chiave per il mercato immobiliare, si è passati dai 108 mila
esuberi di aprile ai 59 mila di maggio, evidente effetto del pacchetto di
stimolo economico da 787 miliardi di dollari messo in campo
dall'amministrazione Obama. Nei servizi la discesa va
dai 230 mila posti persi in aprile ai 120 mila di maggio. Tendenza opposta
invece per il settore manifatturiero, che ha perso 154 mila occupati in aprile
e 156 mila in maggio. Ma qui a fare la differenza è stato soprattutto il crac
di Chrysler. Giancarlo Radice
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Opinioni data: 06/06/2009 - pag: 12 I RISCHI DI UN NUOVO IRAQ
L'obiettivo delle grandi potenze: fermare la Corea senza farla crollare di
ROBERT D. KAPLAN I l test nucleare sotterraneo eseguito dalla Corea del Nord lo
scorso fine settimana era di potenza pari alle bombe atomiche sganciate dagli
Stati Uniti sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Per tutta risposta,
sia l'America che il Giappone invocheranno severe sanzioni. Entrambi i Paesi
sono nella migliore posizione per farlo, visto che nessuno dei due confina con
la Corea del Nord e pertanto se il regime di Kim Jong-Il dovesse crollare in
seguito alla pesante situazione economica, né l'uno né l'altro ne riporterebbe
alcun danno. Anzi, se ne avvantaggerebbero entrambi sotto il profilo
geopolitico poiché, almeno inizialmente, il disfacimento della Corea del Nord
causerebbe molti più grattacapi alla Cina e alla Russia che non agli Stati
Uniti e al Giappone. Cina e Russia sfruttano la Corea del Nord come stato
cuscinetto, inserito tra i loro confini e quella democrazia ricca,
effervescente e pro-americana che si chiama Corea del Sud, così seducente e
così pericolosa. La Cina, inoltre, dovrebbe far fronte a milioni di rifugiati
nordcoreani, che si precipiterebbero fuori dai confini al collasso del regime.
Nel tentativo di scongiurare tale eventualità, la Cina continua a puntellare la
Corea del Nord. E difatti, senza l'aiuto cinese, il regime di Kim non potrebbe
durare a lungo. Eppure Kim si ostina a restare strenuamente indipendente dalla
Cina, perché sa che la Cina, pur non desiderando un rovesciamento catastrofico
della dittatura, ha le sue mire sul territorio nordcoreano e preferirebbe
l'idea di uno stato cuscinetto come il Tibet sulla sua frontiera di Nordest, al
posto di un inaffidabile regime totalitario. La Cina ha anche i suoi buoni
motivi per augurarsi che non si realizzi l'accorpamento delle due Coree, che
potrebbe scaturire dal collasso della dittatura. La riunificazione della
penisola coreana sarebbe, come minimo, un grattacapo geopolitico per la Cina.
Protesa a grande distanza dal continente asiatico, la penisola coreana non solo
domina tutto il traffico marittimo del nord-est della Cina ma per di più ospita
nella sua insenatura il Mar di Bohai, che rappresenta la più vasta riserva
petrolifera off-shore della Cina. Per non parlare poi del fatto che una Corea
unificata nutrirebbe sentimenti esasperatamente nazionalistici, non
necessariamente amichevoli nei confronti dei suoi grandi vicini, Cina e
Giappone, che in passato hanno tentato di controllarla e persino di occuparla.
Questo fa sì che Kim viva nel terrore del lento lavorio di scardinamento del
suo regime attuato metodicamente dai cinesi, allo scopo di rovesciarlo forse
con una congiura di palazzo evitando però il collasso dello Stato. La sua unica
speranza è quella di invitare l'America a colloqui diretti, con l'implicito
riconoscimento del suo regime, in modo da sfruttare la leva di Washington
contro Pechino. I test nucleari e il lancio di missili rappresentano i suoi
tentativi maldestri per attirare l'attenzione della nuova amministrazione Obama. Deve diventare una grana talmente fastidiosa da
costringere Washington a trattare con lui direttamente, anziché come uno dei
partecipanti ai negoziati multilaterali che hanno caratterizzato i rapporti con
la Corea del Nord sin dal 2003. Questa strategia solleva un
problema reale per il presidente Barack Obama. Se non va giù duro contro la Corea del Nord, imponendo sanzioni
pesanti, rischia di dimostrare all'Iran che l'America non ha polso. Difatti, la
politica di Obama in Iran
che abbina il bastone di interventi e sanzioni alla carota di colloqui e
riconoscimento viene testata in Corea del Nord. D'altro canto, sanzioni
intransigenti contro la Corea del Nord minacciano di destabilizzare il Paese. E
chiunque parli con leggerezza della necessità di «favorire» il crollo della
Corea del Nord non ha imparato nulla dalla lezione dell'Iraq: il vuoto di
potere è di gran lunga peggiore di uno Stato totalitario. La Corea del Nord, con
i suoi 23 milioni di abitanti, è pressoché grande quanto l'Iraq e la sua
popolazione è molto meno istruita e meno pratica di democrazia. Gli iracheni
infatti, almeno nella prima metà del XX secolo, avevano goduto di diversi
decenni di semi-democrazia. Il crollo del regime a Pyongyang potrebbe
richiedere la madre di tutti gli interventi umanitari, ipotizzando una
collaborazione tra l'esercito americano e l'esercito di liberazione cinese.
Nessuno se la sente di imboccare quella strada, certamente non la Cina e
nemmeno gli Stati Uniti. I test nucleari in Corea del Nord irritano la
leadership cinese, ma l'ipotesi di combattimenti su vasta scala e milioni di
rifugiati appare addirittura terrificante. Che fare? Le sanzioni, per quanto
dure, dovranno essere intelligenti: misure cioè atte a danneggiare il regime
anziché la popolazione nordcoreana, lasciando in piedi lo Stato ma provocandone
il progressivo indebolimento. Si sostiene da più parti che si vuole arrivare a
una penisola coreana libera, democratica e unificata, ma è da preferirsi, nello
specifico, una graduale e prolungata transizione fino a quel risultato. Fare
pressioni per affrettare lo sgretolamento della Corea del Nord non sortirebbe
altro effetto che alienarsi le simpatie della Corea del Sud e spingerla tra le
braccia della Cina, perché anche la Corea del Sud sarebbe seriamente minacciata
dal caos innescato dall'improvviso crollo della dittatura. Non è questo il
momento di formulare minacce unilaterali. Occorre tenere ben a mente il
disastro provocato in Iraq, quando si affronta la Corea del Nord. E ciò
significa, per quanto possa apparire difficile da digerire, avviare una
collaborazione con Pechino. traduzione di Rita Baldassarre EMANUELE LAMEDICA
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Lettere al Corriere data: 06/06/2009 - pag: 41 La tua opinione su
corriere.it Avete trovato il discorso di Obama convincente e utile per una svolta
nei rapporti con l'Islam? SUL WEB Risposte alle 19 di ieri Sì R 71,4 No R 28,6
La domanda di oggi Pattuglie di vigilantes in servizio di notte sulla
metropolitana milanese per aumentare la sicurezza. Siete d'accordo?
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Spettacoli TV data: 06/06/2009 - pag:
( da "Corriere della Sera"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Esteri data: 06/06/2009 - pag: 16 Il personaggio Figlio di un
macellaio immigrato nel Bronx, con metodi da «duro» divenne il numero 1 dei
prestiti immobiliari Mozilo l'italiano, re dei mutui primo indagato per il
grande crac L'accusa: favorì clienti politici e imbrogliò gli azionisti DAL
NOSTRO INVIATO NEW YORK «Stiamo volando con visibilità zero: non sappiamo che
ne sarà dei prestiti che abbiamo erogato se aumentano i disoccupati o se cala
il valore delle case». Siamo a metà dei 2006. La crisi dei mutui «subprime» è
ancora lontana, ma c'è chi già prevede il disastro: non un bastian contrario
qualunque ma Angelo Mozilo, l'incontrastato «re» dei prestiti immobiliari.
Questo figlio di un macellaio italiano del Bronx che ha messo insieme un
patrimonio di mezzo miliardo di dollari era titolare di una società, la
Countrywide (da lui fondata nel '69), che cresceva a perdifiato in tutti i
segmenti del mercato. Ma nelle e-mail che inviava ai collaboratori, Mozilo
definiva «tossici» i suoi stessi mutui, coniando per primo un termine che due
anni dopo sarebbe diventato di uso comune nell'America del collasso
finanziario. Sono proprio queste mail che hanno indotto la Sec, la Consob
americana, a inchiodare il banchiere incriminandolo per frode e «insider
trading». Forse siamo a una svolta nella gestione della crisi. Fin qui i
finanzieri che coi loro comportamenti disinvolti hanno provocato il collasso o
propagato i suoi effetti hanno subìto solo condanne morali: quelle pronunciate
da deputati e senatori del Congresso o dai media. Le indagini dei magistrati,
che fanno fatica a orientarsi nei complessi meccanismi della finanza
globalizzata, per ora non hanno dato grandi risultati. Ma la nuova Sec, affidata dal presidente Obama a Mary Schapiro che ha subito reclutato «segugi» come l'ex
procuratore federale Robert Khuzami, ha cambiato drasticamente rotta. Quella
intentata contro Mozilo è una causa civile, ma un'incriminazione anche penale
potrebbe essere dietro l'angolo, visto che anche l'Fbi indaga da tempo sul
finanziere italo-americano. A vederlo, col suo aspetto da attore dei
«Sopranos» sempre superabbronzato, con abiti gessati e cravatte sgargianti
Mozilo sembrerebbe un «predestinato». E invece, fino a due anni fa, il re dei
mutui era un imprenditore ammirato e rispettato. Uno che a 12 anni aveva
cominciato a lavorare col padre in macelleria, ma che già a 14 era fattorino in
una società di mutui a Manhattan. Poco dopo Angelo se ne va a cercare fortuna
in California. Senza mai imparare una parola d'italiano: i familiari non glielo
insegnano per costringerlo a integrarsi nella società americana. E lui non li
delude. Pian piano la sua società, Countrywide, diventa il maggior
«originatore» di prestiti immobi-- liari d'America. Lui è un rullo compressore
che non si offende quando qualcuno lo tratta come un mezzo mascalzone: «Ho
successo spiega lui stesso alla rivista Forbes perché sono percepito dai miei
dipendenti come un 'duro', un figlio di puttana». Una durezza riservata al
personale: stufo di trattare coi sindacati, Mozilo lascia per strada 20 mila
dipendenti, (Alex trasferendo buon parte delle sue attività dalla California al
Texas, dove di «union» non c'era traccia. Il finanziere è, invece, assai amato
dai «latinos»: gli immigrati che, grazie a lui, riescono ad avere un mutuo e a
comprare casa appena sbarcati più o meno legalmente negli Usa. È un mondo
improbabile nel quale Mozilo diventa il «banchiere dei poveri », premiato da
tutte le minoranze etniche. Poi arriva la catastrofe. Dalla quale Mozilo si
salva cedendo Countrywide a Bank of America e vendendo con straordinario
tempismo le sue azioni sul mercato. Guadagna 140 milioni di dollari, ma ora
arriva l'accusa di «insider trading». I suoi avvocati la giudicano infondata e
accusano la Sec di puntare a una condanna politica: accusa i banchieri per
nascondere dietro una cortina fumogena le responsabilità delle autorità che non
hanno saputo regolamentare e controllare il sistema. Le mail inchiodano Mozilo:
ha ingannato i suoi azionisti perché sapeva del disastro imminente. Ma ha
continuato a far crescere la sua società perché voleva essere il «numero 1»
battendo la Ameriquest di Roland Arnall, miliardario celebre per essere stato
lo sponsor della lega nazionale di baseball e del Super Bowl: un banchiere che
si è fatto largo finanziando molti leader politici compreso Bush, che lo ripagò
nominandolo ambasciatore in Olanda. Il finanziere italo-americano che voleva il
primato ha cominciato a erogare prestiti a condizioni di favore a deputati e
senatori e a entrare anche nei segmenti più rischiosi del mercato dei prestiti
immobiliari. Countrywide è diventata leader del mercato, è stata soprannominata
la «Wal-Mart dei mutui », ma, a differenza della grande catena di distribuzione
commerciale, questo è stato, per lei, l'inizio della fine: è andata in rovina,
come l'Ameriquest. Massimo Gaggi Ex miliardario Sempre abbronzato, abiti
gessati, nonostante l'aspetto Mozilo era accettato in Usa come un imprenditore
rispettato La società La sua Countrywide era diventata leader nel settore,
prestando a senatori e a «latinos». Nel 2008 è stata assorbita da Bank of
America Imprenditore Il «re dei mutui» Angelo Mozilo era fino a due anni fa un
imprenditore rispettato. A 12 anni cominciò a lavorare nella macelleria del
padre, a 14 era fattorino in una società di mutui a Manhattan. Poi andò a
cercare fortuna in California. I genitori non gli insegnarono mai l'italiano
per costringerlo a integrarsi nella società americana
( da "Repubblica.it"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
SCRIVO oggi e non
domenica come è mia abitudine perché fin da oggi pomeriggio si comincerà a
votare in Europa ed io voglio appunto parlare di questo voto. L'argomento è già
stato trattato molte volte e da tempo in tutti i giornali e in tutte le
televisioni ed anche noi di Repubblica l'abbiamo esaminato ripetutamente, come
e più degli altri. Sento dunque un rischio di sazietà verso un tema usurato da
motivazioni contrapposte e ripetitive. Del resto a poche ore di distanza
dall'apertura delle urne anche gli indecisi avranno fatto la loro scelta e
difficilmente la cambieranno. Infatti non è del colore del voto che voglio parlare.
I miei lettori sanno come la penso e come voterò perché l'ho scritto in varie e
recenti occasioni. Non desidero dunque convincere nessuno ad imitare la mia
scelta. Il mio tema di oggi è un altro. Voglio esaminare in che modo nella
nostra storia gli italiani hanno usato la loro sovranità di elettori da quando
il suffragio è stato esteso a tutti i cittadini di sesso maschile e poi,
nell'Italia repubblicana, finalmente anche alle donne ed infine ai diciottenni
abbassando la soglia della cosiddetta maggiore età. Storicizziamo dunque la
sovranità del popolo e vediamo nelle sue grandi linee quali ne sono state le
idee e le forze dominanti. * * * Il suffragio universale maschile coincise nel
1919 con un sistema elettorale di tipo proporzionale; una proporzionale
corretta in favore dei partiti quantitativamente più forti, che lasciava però a
tutti i competitori ampi margini di rappresentanza. Nelle elezioni del
"Diciannove" (le prime dopo la fine della guerra mondiale del
1914-18) si affacciò sulla scena della politica italiana una forza nuova,
quella dei cattolici riuniti attorno ad un sacerdote di grande carattere e di
convinta fede religiosa: il Partito popolare di don Luigi Sturzo. Fu l'ingresso
d'un nuovo protagonista la cui presenza ruppe gli schemi fino allora vigenti
che avevano privilegiato le clientele liberali raccolte dalla destra
nazionalista e salandrina e quelle democratiche che avevano in Giovanni
Giolitti il loro leader parlamentare. OAS_RICH('Middle'); Il Partito
socialista, massimalista con appena una spolverata di riformisti, stava
all'opposizione in rappresentanza della parte politicizzata del proletariato.
Che tipo di Italia era quella? Un paese traumatizzato da quattro anni di
trincea, con un altissimo costo di morti, di mutilati, di sradicati; un paese
che aveva però acquistato una certa coscienza dei propri diritti. In prevalenza
contadino, in prevalenza analfabeta, in prevalenza fuori dalle istituzioni e
della stato di diritto. Un paese in cui il popolo sovrano si limitava alla
piccola borghesia degli impieghi e delle libere professioni, alla classe
operaia del Nord, ai proprietari fondiari e ai mezzadri. Il grosso della
popolazione era fuori mercato, bracciantato con paghe di fame e prestiti ad
usura, tracoma e colera nel Sud, pellagra e malaria nelle pianure del Nordest.
Ma gli ex combattenti della piccola borghesia erano agitati da sogni di
rivincita e di dominio. Odiavano il Parlamento. Detestavano la politica.
Vagheggiavano il superuomo e il D'Annunzio della trasgressione e dell'insurrezione
fiumana. Poi trovarono Mussolini. * * * Ricordo queste vicende perché
contengono alcuni insegnamenti. I più anziani le rammentano per averne fatto
esperienza, i più giovani ne hanno forse sentito parlare ma alla lontana e
comunque non sembrano darvi alcuna importanza. Sbagliano: i fatti di allora
rivelano l'esistenza di alcune costanti storiche nella vita pubblica italiana.
Si tratta di costanti antiche, cominciarono a manifestarsi con la Rivoluzione
francese dell'Ottantanove, con il tricolore che diventò ben presto la
bandiera-simbolo dell'Europa democratica e con i tre valori iscritti su quella
bandiera: libertà eguaglianza fraternità. Quei valori hanno avuto un'influenza
positiva tutte le volte che sono stati portati avanti insieme ed invece
un'influenza negativa quando soltanto uno di loro ha esercitato egemonia
culturale e politica. La libertà, da sola, ha generato privilegi in favore dei
più forti; l'eguaglianza, da sola, ha dovuto essere imposta con la forza (ma
ciò in Italia non è mai avvenuto); la solidarietà, da sola, ha dato vita ad
un'infausta politica assistenziale che ha dilapidato le risorse e indebolito la
competitività e la libera concorrenza. L'Italia non ha mai avuto una borghesia
degna di questo nome perché i tre grandi valori della modernità non hanno mai
avanzato insieme. Per la stessa ragione la laicità non ha mai raggiunto la sua
pienezza e per la stessa ragione un vero Stato moderno, una compiuta
democrazia, un'effettiva sovranità del popolo e un'autentica classe dirigente
portatrice di interessi generali, non sono mai stati una realtà ma soltanto un
sogno, un'ipotesi di lavoro sempre rinviata, una ricerca vana e frustrante, uno
stato d'animo diffuso che ha alimentato la disistima delle istituzioni e
l'analfabetismo politico. Col passar degli anni questo analfabetismo è
diventato drammatico. Il rifiuto della politica ne è la conseguenza più
negativa. Gli italiani si sono convinti che la politica sia il male che corrode
il paese. Perciò una larga parte dei nostri concittadini ha delegato la sua
rappresentanza ad un giocoliere che ostenta il suo odio contro la politica e il
suo qualunquismo congenito e festevole, all'ombra del quale sta nascendo un
potere intrusivo, autoritario, concentrato nelle mani di un solo individuo. * *
* L'analfabetismo politico degli italiani è molto diffuso tra quelli che
parteggiano per la destra ma non risparmia la sinistra. Per certi aspetti anzi
a sinistra questa assenza di educazione politica è uno dei suoi connotati, in
particolare tra i sedicenti intellettuali che sono forse i più analfabeti di
tutti. Uno degli effetti più vistosi di questo fenomeno consiste nella ricerca
di un partito da votare che corrisponda il più esattamente possibile alle
proprie idee, convinzioni, gusti, simpatie. Ricerca vana poiché ciascuno di noi
è un individuo, una mente, un deposito di pulsioni emotive non ripetibili. Le
persone politicamente mature sanno che in un sistema democratico occorre
raccogliere i consensi attorno alla forza politica che rappresenti il meno
peggio nel panorama dei partiti in campo. La ricerca del meglio porta
inevitabilmente al frazionamento, alla polverizzazione del voto, al
moltiplicarsi dei simboli e di fatto alla rinuncia della sovranità popolare.
Aldo Schiavone ha scritto ieri che la polverizzazione del voto è frutto di un
narcisismo patologico: per dimostrare la nobiltà e la purezza della propria
scelta si getta nel secchio dei rifiuti la sovranità popolare. Non si tratta
d'invocare il voto utile ma più semplicemente di predisporre un'alternativa efficace
per sostituire il dominio dei propri avversari politici. La destra sa qual è il
suo avversario e fa massa contro di lui. La sinistra coltiva il culto della
testimonianza, ma quando si trasferisce quel culto nell'azione politica il
risultato è appunto la rinuncia ad una sovranità efficace per far posto al
narcisismo dell'anima bella, pura e dura. Pensare che questo scambio sia
un'azione politica è un errore gravido purtroppo di conseguenze. Fu compiuto lo
stesso errore dai popolari di Sturzo nel 1921: rifiutarono sia l'alleanza con i
socialisti sia quella con i liberaldemocratici pur di restare puri nel loro
integrismo cattolico. Rifiuto analogo fecero i socialisti. Le conseguenze sono
note, ma non mi sembra che si siano trasformate in una solida esperienza. Vedo,
a destra e a sinistra, una sorta di sonno della ragione dal quale bisognerebbe
sapersi risvegliare. Post Scriptum. Anche in America la ragione si era
addormentata dando spazio ai furori emotivi di George Bush. Dopo molti anni di
letargo che hanno fatto degli Usa la potenza più odiata nel mondo, Barack Hussein Obama ha risvegliato la ragione facendo leva su una travolgente
emotività carismatica. Quanto sta accadendo nel mondo e nella straordinaria
trasformazione dell'immagine dell'America ci insegna questo: per svegliare la
ragione ci vuole un forte soprassalto emotivo, senza il quale l'emotività si
volge a beneficio della demagogia. Emozione razionale accresce la
pienezza della democrazia, emozione demagogica le scava la fossa. Questo
insegna Obama. L'insegnamento del giovane presidente
afroamericano ci sia utile per la scelta che tra poche ore dovremo fare. (6
giugno 2009
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 12 - Esteri
Philip Mudd avrebbe dovuto giurare come sottosegretario Intelligence e torture
Barack perde un altro uomo WASHINGTON - Philip Mudd, nominato
da Barack Obama alla guida
dei servizi di intelligence per la sicurezza interna, ha deciso di ritirarsi
dall´incarico. A riferirlo è il sito web di Fox News. La rinuncia di Mudd
arriva a una settimana dalla seduta parlamentare al termine della quale il
Senato avrebbe votato a favore del suo incarico. A convincere il
funzionario a fare un passo indietro sono state le ultime rivelazioni emerse
dall´inchiesta sulle torture compiute ai danni di diversi prigionieri dagli
agenti della Cia, agenzia di cui faceva parte Mudd durante l´amministrazione
Bush. Il candidato scelto da Obama avrebbe avuto in
particolare un ruolo di rilievo nella stesura del famigerate procedure di
interrogatorio messe a punto dalla Cia per i sospetti terroristi, compresa la
possibilità di eseguire il «waterboarding», una tecnica di annegamento
simulato. Un portavoce della Casa Bianca ha riferito che Mudd ha il pieno
sostegno del presidente, che comunque comprende la sua decisione.
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 12 - Esteri Obama tra gli orrori dell´Olocausto "Ahmadinejad venga
qui a vedere" Visita a Buchenwald: non ho pazienza con chi nega la storia
Il pellegrinaggio con Elie Wiesel e Angela Merkel: "Non dimenticherò quel
che ho visto" ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato DRESDA - Una rosa
bianca posata sul marmo che ricorda le vittime dell´Olocausto, la testa
chinata, il lungo silenzio e una promessa: «Non dimenticherò mai cosa ho visto
a Buchenwald». Camminano lentamente, Barack Obama e
Angela Merkel, in quella terra e in quelle stanze che hanno visto migliaia di
morti innocenti, l´erede dei liberatori a fianco dell´erede degli aguzzini.
Accanto al presidente cammina lentamente anche Elie Wiesel, il premio Nobel che
aveva sedici anni quando vide arrivare nel campo di sterminio nazista i soldati
dell´89esima divisione di fanteria americana. Tra quei militari c´era anche
Charlie Payne, un ragazzo di pochi anni più grande di lui che tornato in
America «rimase scioccato per mesi» dall´orrore che aveva visto. è Obama che lo racconta, perché il soldato Charlie è il
fratello di sua nonna materna, e quella storia il presidente americano l´ha
ascoltata in famiglia, come Elie Wiesel ha raccontato le angosce di chi
quell´orrore lo aveva subito. Un incrocio che lega simbolicamente il passato e
il presente, con Buchenwald che fa da cerniera storica tra il genocidio nazista
e le atrocità del mondo di oggi, perché «non si deve» dimenticare: «Questo
posto è una risposta a chi nega l´Olocausto, il passare del tempo non ha
diminuito l´orrore di questi luoghi». Ahmadinejad non viene citato per nome, ma
è chiaro a tutti che è il presidente iraniano il primo della fila dei
negazionisti cui sta pensando Obama. E del resto il
nome lo aveva fatto poco prima di salire sul Marine One, l´elicottero presidenziale
che da Dresda lo avrebbe portato a Buchenwald, parlando con la Nbc per
rispondere all´ennesima provocazione del leader iraniano che nei giorni scorsi
ha definito il genocidio di sei milioni di ebrei «il grande inganno»:
«Ahmadinejad dovrebbe venire qui in visita. Non ho pazienza con chi nega la
storia. E la storia dell´Olocausto non ha nulla di ipotetico». «Mi inchino
davanti a tutte le vittime». Angela Merkel, nata e cresciuta in Germania Est
quando Buchenwald era dalla parte sovietica della cortina di ferro, non si è
limitata a denunciare gli eccidi del Terzo Reich nazisti ma ha ricordato che
questo lager «dal 1945 al 1950» fu trasformato dai russi in un campo di
prigionia, che nuove vittime di una nuova dittatura seguirono quelle naziste:
«Qui a Buchenwald vorrei sottolineare un obbligo che ricade su noi tedeschi,
come conseguenza del nostro passato: dobbiamo difendere i diritti umani, lo
stato di diritto e la democrazia. Soltanto con la consapevolezza delle nostre
responsabilità potremo lottare per la pace con i nostri amici alleati negli
Stati Uniti e nel resto del mondo». Nel giorno dei simboli, dei ricordi e della
speranza, il momento più toccante arriva quando prende la parola Elie Wiesel.
La letteratura non ha bisogno delle certezze della politica, ma il premio Nobel
appare quasi il più realista: «Non sono così sicuro che il mondo abbia
imparato». A quei tempi «era umano comportarsi in modo disumano», dice prima di
raccontare che da qualche parte, sotto quelle zolle di terra, riposa suo padre.
«Il giorno in cui mio padre è morto è stato uno dei più bui della mia vita.
Quando domandava aiuto io ero lì, ero lì per sentire le sue ultime parole. Ma
non ero lì quando mio padre mi ha chiamato, pochi momenti prima di morire». La
giornata era iniziata a Dresda, altro luogo simbolico della storia
contemporanea. Il 13 febbraio 1945, i bombardieri anglo-americani iniziarono a
martellare una città ormai priva di difese, radendola al suolo insieme ai suoi
gioielli dell´architettura e provocando uno sterminato incendio in cui morirono
25mila civili. La città fu poi ricostruita quasi da zero, riportando in vita,
palazzi, chiese e monumenti come erano prima della guerra. Uno di questi, il
«Castello di Dresda», è stato la sede del vertice Obama-Merkel e della successiva
conferenza stampa. Occasione che è servita al presidente americano per tornare
a parlare di Medio Oriente all´indomani del "discorso all´Islam". «Il
momento di agire è adesso», ha detto Obama, fiducioso che il suo messaggio del Cairo abbia creato «l´atmosfera
giusta» per far ripartire i negoziati di pace. Un dialogo che non può
avere altra soluzione che quella «basata sui due Stati» e che entro la fine di
quest´anno può fare «seri progressi». Il viaggio di Obama
finisce oggi. Ultime tappe, Parigi (dove verrà raggiunto da Michelle e dalle
due figlie) e la Normandia, dove parteciperà alle celebrazioni per il 65°
anniversario dello sbarco alleato. Con lui ci sarà anche Charlie Payne, il
soldato (oggi 84enne) che liberò Buchenwald.
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 12 - Esteri
Il personaggio Il prozio del presidente che liberò il lager DRESDA - Charlie
Payne aveva appena vent´anni quando, nel 1945, arrivò a Buchenwald. Prozio di Barack Obama (è il fratello della nonna materna del presidente Usa), faceva
parte dell´89ma divisione di fanteria che liberò il lager nazista. Ieri Payne
ha accompagnato il nipote durante la visita al campo di sterminio e oggi
parteciperà alle celebrazioni per il 65° anniversario dello sbarco in
Normandia.
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 13 - Esteri
Irritazione all´Eliseo: il presidente Usa passerà la serata con la propria
famiglia Salta la cena con Sarkozy e Carla GIAMPIERO MARTINOTTI dal nostro
corrispondente parigi - I sorrisi non mancheranno stamani a Caen: Barack e Michelle Obama abbracceranno e baceranno Nicolas e Carla Sarkozy. Ma all´Eliseo
c´è un certo disappunto: il presidente statunitense non ha voluto prestarsi al
gioco delle fotografie e dell´amicizia alla vigilia del voto di domani per le
europee. E per la parte privata della sua visita in Francia, ha preferito
andare a cena con la famiglia, senza i Sarkozy. Naturalmente, si tratta
di una faccenda privata, assicura l´Eliseo, ma perfino il Figaro ha
sottolineato gli screzi tra i due capi di Stato. Obama
ha ritrovato ieri sera moglie figli, arrivati da Washington, nella residenza
dell´ambasciatore Usa, a poche centinaia di metri dall´Eliseo. Poi se ne sono
andati a cena in un ristorante della capitale (quello di Alain Ducasse, sulla
Torre Eiffel): per la prima volta dall´arrivo alla Casa Bianca, gli Obama sono insieme all´estero, in una città in cui Barack è
passato da giovane e che ricorda nella sua autobiografia. E nemmeno stasera ci
sarà la possibilità di un incontro privato: presidente e famiglia si recheranno
a Notre Dame, quindi a cena da soli. Domani mattina, dopo una visita al
Beaubourg, Obama tornerà a Washington mentre moglie e
figlie andranno a pranzo all´Eliseo. Lo screzio fa seguito alla larvata
polemica tra Washington e Parigi sul mancato invito alla regina Elisabetta: la
Casa Bianca ha fatto pressione per averla oggi al cimitero americano di
Colleville e alla fine, anziché lei, ci sarà il principe Carlo. Ma anche nel
discorso del Cairo c´è un passaggio che non è piaciuto sulle rive della Senna:
«I paesi occidentali non devono impedire ai cittadini musulmani di praticare la
religione come ritengono più opportuno, per esempio legiferando su quali
indumenti debba o non debba indossare una donna musulmana. Non possiamo
dissimulare l´ostilità nei confronti di una religione dietro le sembianze del
liberalismo». Parole interpretabili come una critica alla legge francese che
vieta il velo a scuola, anche se l´Eliseo ha fatto finta di nulla.
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 13 - Esteri
DOPO IL CAIRO OCCHI PUNTATI SULL´IRAN RENZO GUOLO Come ha reagito il mondo
islamico al "nuovo inizio" di Obama ? Le risposte
sono diverse, a seconda che provengano dall´opinione pubblica , dai regimi, dai
movimenti islamisti. Se con il suo importante discorso il presidente Usa ha
smontato la tesi dello "scontro di civiltà" e fatto tramontare
davvero l´era Bush, sollevando se non entusiasmo grande aspettativa
nell´immensa moltitudine della Mezzaluna, per alcuni attori politici il nuovo
corso americano può mettere a rischio rendite geopolitiche consolidate.
Scontata la reazione qaedista, per cui non vi è alcuna differenza tra Obama e Bush ma preoccupata per il varco che il discorso del
Cairo può aprire "nei cuori e nelle menti" dei musulmani,
l´incertezza riguarda gli alleati sunniti dell´America. In particolare Egitto e
Arabia Saudita. Gli scenari che preoccupano sono quello palestinese, quello
libanese e quello iraniano. Affrontando la questione dei "due Stati",
il presidente Usa non ha definito Hamas organizzazione terroristica. Ne ha,
invece, riconosciuto il peso nella società palestinese e prospettato un ruolo
nel processo negoziale. A condizione che rinunci alla violenza e riconosca il
diritto di Israele a esistere. La novità è stata colta da Hamas che, in quella
parole, ha visto segnali di "discontinuità" e lanciato segnali di
disponibilità a partecipare a una soluzione politica della crisi. Del resto,
per la nuova amministrazione americana, il vero discrimine non è più la natura
islamista dei gruppi o regimi ma solo il loro carattere locale o globale e le
loro alleanze. Se estranei al qaedismo globalista e a potenze ostili, e, tanto
più, espressione della volontà popolare, saranno ritenuti interlocutori
politici legittimi. Anche se si tratta di formazioni islamonazionaliste , e
filoiraniane, come Hamas o Hezbollah. Per gli alleati sunniti la garanzia
dell´equilibrio esistente resta, invece, il contenimento dell´arco sciita e
della minaccia iraniana. Al di là del suo rifiuto verso la "politica dei
discorsi", sapremo presto se, sospinto anche dal
riverbero interno delle parole di Obama, nelle imminenti elezioni presidenziali Khamenei sceglierà di
abbandonare a se stesso l´ormai scomodo Ahmadinejad, stigmatizzato a causa del
suo negazionismo e delle posizioni su Israele, da Obama a Buchenwald, durante l´appendice tedesca del suo viaggio.
Tra qualche tempo si capirà, se la mano tesa del leader americano, che ha
riconosciuto il diritto di Teheran al nucleare civile all´interno del Trattato
di non proliferazione, sarà raccolta o meno. Rendendo meno problematici i
rapporti tra Usa e Repubblica Islamica. Se ciò avvenisse, se all´Iran fosse riconosciuto
il rango di potenza regionale e di partner internazionale a pieno titolo nel
mercato energetico, gli equilibri nel mondo islamico sarebbero destinati a
mutare. Per questo il "nuovo inizio" affascina e preoccupa molti allo
stesso tempo: se trascendesse la sua dimensione simbolica e culturale e si
traducesse in politica, a cambiare non sarà solo il difficile rapporto tra
America e islam.
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 13 - Esteri A
Teheran tra comizi e talk show la Shoah infiamma la vigilia del voto Contestato
il presidente . Ma gli ayatollah lo difendono "Disonori l´Iran" In un
dibattito in tv il leader della opposizione accusa
Ahmadinejad VANNA VANNUCCINI TEHERAN - Il Leader supremo Khamenei aveva parlato
giovedì ancora prima che Obama arrivasse al Cairo. Davanti alla tomba di Khomeini, commemorando
l´anniversario della morte dell´Imam, aveva ammonito il presidente americano
che «cento discorsi non basteranno» se gli Stati Uniti non cambiano nei fatti
la loro politica. E aveva ripreso alla lettera le parole usate dal
presidente Ahmadinejad nei confronti di Israele: «Un tumore canceroso nel cuore
degli Stati islamici». Dopo il discorso di Obama la
teocrazia è rimasta in silenzio, grazie anche ai due giorni di festa in cui a
Teheran tutto è chiuso e i giornali non sono usciti. Ma la politica estera di
Ahmadinejad è entrata di prepotenza nella campagna elettorale a una settimana
dalle elezioni dopo che il suo principale sfidante, Mir Hossein Moussavi, lo ha
accusato, in un faccia a faccia trasmesso in diretta dalla tv di Stato, di aver
«disonorato la dignità della nazione iraniana con le sue dichiarazioni
sull´Olocausto». Lei - ha detto Moussavi a Ahmadinejad - mette il paese in
pericolo «con la sua retorica bellicosa e una politica estera basata
sull´avventurismo, l´estremismo e la superstizione». Ahmadinejad si era difeso
con abilità dicendo che al contrario era stato proprio per merito suo che la politica
americana verso l´Iran sta cambiando direzione. Ma le parole di Moussavi sono
state recepite dai giovani. La novità dei messaggi pronunciati dai candidati
riformatori, e il fatto che per la prima volta mettano in guardia dal pericolo
di frodi elettorali chiedendo un comitato a garanzia del voto popolare, hanno
creato all´improvviso una passione politica che non si erano più visti dalla
prima elezione di Khatami nel 1997. Subito sono cominciati a circolare sms
ironici: "enerjy-e hastei/boro bekhab khastei" ("energia
nucleare vai a riposare che sei stanca!"). E ieri, per la prima volta
nella storia della Repubblica islamica, alla preghiera del venerdì a Teheran si
sono sentiti slogan contro Ahmadinejad. Soprattutto per le accuse che nel
dibattito tv ha rivolto alla moglie di Moussavi, Zahra Rahnavard, ex rettore
dell´Università femminile, mostrando un dossier che a suo dire dimostrerebbe
che non ha i titoli di studio appropriati. Oltraggiare il namus (le donne sono
l´onore della famiglia) è un gesto disonorevole per ogni buon musulmano: Ahmadi
kam avordeh/ Namus vasat keshideh ("Ahmadinejad è venuto meno al principio
di non offendere l´onore altrui"), si è sentito scandire. Conduceva la
preghiera del venerdì, che è sempre strutturata come un misto di religione e
politica (molti hanno notato qui che anche il discorso di Obamaera
strutturato come una preghiera del venerdì) l´ayatollah Jannati, che è stato
così il primo a rispondere a Obama dopo il Cairo.
«Qualsiasi cosa dica su dimenticare il passato e cominciare una nuova fase, la
prima condizione dovrebbe essere un cambiamento di politica nei confronti di
Israele» ha detto Jannati. «Se il vostro sostengo a Israele continua, la storia
tra Iran e l´America non cambierà». Ma fra i giovani le opinioni sono diverse:
«Dobbiamo allontanarci dall´estremismo», dice un diciottenne che come tanti
altri, ieri sera su ValiAsr, all´incrocio con Parkway, distribuiva nastri verdi
e foto di Moussavi. Un suo compagno è più dubbioso: «Obama
ha fatto un gesto amichevole. Ma forse è troppo idealista. Riuscirà a imporre
le sue idee a un´America che finora ha avuto una mentalità molto diversa?».
Un´anziana signora è ancora più scettica: «Ricordo che al tempo di Reza Shah
l´ambasciatore tedesco per Ashura (le celebrazioni per il martirio di Hossein)
andava in processione con la gente a piedi nudi e si copriva il capo di fango.
Tutti sanno che per catturare le simpatie degli iraniani bisogna fare appello
alla religione». SEGUE A P
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 15 - Esteri
Le celebrazioni Omaha beach e cimitero Usa oggi l´omaggio al D-Day PARIGI - Il
viaggio europeo di Barack Obama fa tappa oggi in Normandia dove il presidente americano
ricorderà il 65esimo anniversario dello sbarco alleato durante la Seconda
Guerra Mondiale. Dopo l´arrivo ad Orly, Obama incontrerà il presidente francese Nicolas Sarkozy (è previsto un
faccia a faccia di una ventina di minuti) per celebrare il D-Day che diede
inizio alla liberazione della Francia dall´occupazione nazista. Il
presidente Usa si recherà anche a Omaha Beach, dove sbarcarono i primi soldati,
e al cimitero dei caduti americani di Colleville Sur Mer.
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 38 - Esteri
Domani la capitale consegnerà al Dalai Lama la cittadinanza onoraria E ora si
scopre che nella laica Francia è diventata la terza religione Parigi val bene
un Budda è boom di nuovi fedeli Molti dei nuovi adepti francesi non sono giovani
vengono dalle professioni mediche e scientifiche In Italia "la moda"
sembra essersi fermata dopo i picchi degli anni Novanta, ma i Lama richiamano
ancora molte persone ANAIS GINORI Nel paese di Voltaire, dove un cittadino su
tre si dichiara ateo, avanza una religione «che religione non è», come ama
ripetere il Dalai Lama. I francesi che si sentono «vicini» o «simpatizzano» per
gli antichi insegnamenti del dharma sono quasi cinque milioni secondo un
sondaggio pubblicato dal Figaro che ieri titolava: "Il buddismo è
diventato francese". Dopo quella cattolica e musulmana, la fede buddista è
diventata la terza religione con oltre 600mila praticanti e 250 scuole e
monasteri. «Un movimento sempre più dinamico» spiega lo storico Frédéric
Lenoir, che ha condotto uno studio sociologico per capire il profilo tipo di
chi si "converte" all´antica filosofia orientale: molti dei nuovi
adepti vengono dalle professioni mediche e scientifiche, «confermando che il
buddismo è anche una pratica per il benessere psicofisico» dice Lenoir.
Un´altra caratteristica è l´età. «Non ci si avvicina al buddismo da giovani.
Piuttosto con la maturità e dopo aver provato una grande sofferenza o essere
entrati in contatto con un evento doloroso». Senza il Dalai Lama, le
predicazioni di Siddharta probabilmente non avrebbero conosciuto lo stesso
successo in Occidente. "Oceano di Saggezza", come viene chiamato dai
tibetani, è una figura carismatica, "icona pop" e
terzo leader più popolare al mondo dopo Barack Obama e Angela Merkel. A livello religioso, rappresenta soltanto una
delle tante scuole e correnti di questa fede. Il leader tibetano arriverà oggi
a Parigi per ricevere la cittadinanza d´onore dal sindaco Bertrand DelanoË con
la solita coda di polemiche. La Cina ha comunicato la sua "ferma
opposizione" a questa onorificenza e non è previsto nessuno incontro con
rappresentanti del governo. In Francia, uno dei portavoce del buddismo più
famoso è Matthieu Ricard, definito "uomo più felice del mondo", dopo
test neurologici effettuati da un´università americana. Con i suoi libri,
venduti in tutto il mondo, accredita l´idea che tutti possano raggiungere la
pace dei sensi grazie all´arte della meditazione. Eppure, il Dalai Lama tende a
scoraggiare il proselitismo. «Non si può cambiare religione come si cambia una
pettinatura - dice il premio Nobel per la pace - E´ meglio che ognuno segua la
propria fede tradizionale. Conosco degli occidentali che hanno abbracciato il
buddismo e adesso hanno una gran confusione in testa, peggio di prima». Il
buddismo piace anche perché è più pragmatico che dogmatico, con rituali molto
flessibili. "Sei sicuro di non essere buddista?" domanda il lama
Norbu Khyentse, in un libro appena pubblicato da Feltrinelli. Molti di noi, è
la tesi, possono applicare inconsapevolmente i quattro "sigilli"
della verità buddista. «La Francia è un caso a parte» commenta Claudio
Cardelli, presidente dell´associazione Italia-Tibet. Nel nostro paese la fase
di espansione del buddismo sembra essersi fermata dopo il boom degli anni Novanta.
L´Unione buddisti conta 60mila adepti anche se i frequentatori saltuari di
lezioni, ritiri, workshop sono molti di più e ogni volta che il Dalai Lama
viene richiama le folle. Due anni fa, le sue lezioni sulla "Via della
Pace" avevano riempito il Palasharp di Milano. Il nostro paese ha invece
una lunga tradizione di orientalistica e di studio del buddismo. Il grande
studioso ed esploratore, Giuseppe Tucci, diceva spesso: "Diffido di queste
mode di guru del giorno d´oggi, diffido e se qualcuno viene da me a chiedere
consiglio, io gli dico che è inutile il pellegrinaggio in India, che tanto vale
andare nei nostri luoghi di ascetismo, sul monte La Verna di San Francesco, dai
trappisti". Nell´Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia, vicino Pisa, il
primo che ha aperto in Italia nel 1977, i visitatori continuano ad essere
centinaia ogni mese. «Abbiamo sempre tutte le stanze piene e molti dei nostri
incontri sono già tutti esauriti» dice il monaco Raffaele Longo. L´unico
problema riguarda il gompa. La sala meditazione del centro è stata
completamente distrutta da un incendio il 27 dicembre scorso. Ma nel centro le
tante attività, riunioni, e preghiere procedono comunque. «Vogliamo costruire
un gompa ancora più bello e per questo stiamo raccogliendo fondi» racconta
Longo che sta ricevendo aiuti anche dall´estero. Si sono fatte avanti
personalità come il cantante Franco Battiato o lo scrittore Alejandro
Jodorowsky. Uno dei maestri dell´istituto, il lama Zopa Rinpoche, ha scritto un
messaggio sul significato dell´incidente. «Penso che ciò che è successo
all´Istituto è un segno d´auspicio, è il segno che avete superato tutti i
problemi con questo fuoco rovente». Alcuni oggetti si sono miracolosamente
salvati: statuine di Budda e testi sacri. I monaci del centro li hanno
ritrovati tra le ceneri, intatti.
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 39 - Esteri
Un dirigente del Dipartimento di Stato e la moglie Per 30 anni al servizio di
Castro. E ora in carcere La coppia infiltrata da Fidel nel cuore dell´America
Walter tornò a Washington come "agente 202". Dall´Avana arrivò il segnale:
"La luna brilla sul mare..." Walter Meyers e la moglie Guendalina, 72
anni lui, 71 lei, sono stati arrestati ieri. Tutto cominciò con una bella
vacanza sull´isola VITTORIO ZUCCONI Era l´agente cubano numero 202, era il
«nostro uomo a Washington», l´occhio indiscreto di Fidel Castro dentro le carte
top secret del Dipartimento. Ma anche se la vecchia spia settuagenario
smascherata dallo Fbi insieme con la moglie complice ora rischia 30 anni di
carcere, e lo spionaggio è certamente una cosa riprovevole, la storia di Walter
Myers e di sua moglie Guendolina si legge più come un romanzo di Graham Greene
che come l´ultimo capitolo di un dossier da Guerra Fredda, da sedia elettrica e
da Ian Fleming. La loro, come quella del venditore di aspirapolveri all´Avana
che arrotondava le commissioni spiando per il servizio segreto di Sua Maestà,
era una vita di piccolissimi burocrati nel termitaio di funzionari, segretarie
e portaborse di Washington, colorata da tocchi romanzeschi deliziosiamente
demodè: radio a onde corte, abboccamenti segreti nelle isole del Caribe e quale
piccola truffa sui rimborsi spese per ingrassare la busta paga ministeriale.
Comincia nel 1977, quando Walter Kendall Myers, impiegato di infima categoria
al Dipartimento di Stato, viola l´embargo un po´ allentato da Jimmy Carter, fa
una vacanza a Cuba, su invito di un collega cubano conosciuto per lavoro e
impiegato nella missione consolare dell´Avana a Washington e viene avvicinato
da agenti del Cuis, che sarebbe la Cia di Castro. Secondo il dispositivo di incriminazione,
depositato ieri in tribunale dal ministero della Giustizia, Walter torna a
Washington come "agente 202" e comincia la propria carriera di talpa
per Lìder Maximo. Si sposa con Guendolina Steingraber, impiegata in banca che
lui riesce a far assumere come segretaria al Dipartimento di Stato, perché le
spintarelle contano anche qui. La arruola e la coinvolge, come "agente
123", e si arrampica per inerzia di anzianità sulla scala della carriera
ministeriale fino al livello massimo di approvazione per i documenti "Top
Secret". Dal loro appartamento a Bethesda, in un sobborgo, sempre modesto
per non dare nell´occhio, gli agenti 202 e 123 si dotano di una radio a onde
corte commerciale e nelle notti, fra fischi, schiocchi e scrosci, ascoltano i
messaggi in codice da Radio Avana, «la gatta ha fatto i gattini», «la luna
brilla sul mare». Per 200 volte, con documenti segretissimi tranquillamente
fotocopiati in ufficio, i coniugi Myers fanno vacanze a Trinidad, Aruba, Santo
Domingo, Haiti, a volte camuffandole come missioni di lavoro, per volare a
spese del governo - cosa che indigna gli avvocati dello Stato e può costare 10
anni - e consegnare le carte "top secret" agli agenti cubani
incassando i danari di Giuda. Dalle prove raccolte dal signor Persichini, che
non è un personaggio immaginario del romanzo ma è il vice direttore dello Fbi,
non si capisce quanto e che cosa abbiano davvero passato al Cuis di Fidel e
quali danni alla pace e alla sicurezza del mondo libero abbiano fatto con la
loro radio e i loro biglietti aerei a scrocco. Ma si sa che sono andati avanti
per 30 anni, sotto il naso del cieco apparato di controspionaggio nel servizio
di intelligence dello State Department, una delle dozzine di agenzie federali,
Cia, Dia, Nsa, Armu, Navi che a Washington si pestano i pedi e si contendono i
meriti e soprattutto i budget per lo spionaggio. Quegli stessi servizi che
permisero ad Alger Hiss e a dozzine di agenti per i sovietici, gli israeliani i
cubani di ficcanasare nelle borse dello Zio Sam. Entrambi andarono serenamente
in pensione nel 2001, ai 65 anni canonici, con breve cerimonia di saluto e
buona, doppia pensione governativa, ma non senza avere conosciuto il brivido
sublime di un incontro personale con Fidel nel 1995, mentre il jefe era in
visita di stato in MessicoChe cosa li abbia traditi, il signor Persichini dello
Fbi non ci dice, per non svelare le astute tecniche di sorveglianza e di
bonifica che per decenni non scoprirono niente e sarà interessante vedere quali
pene, fino al massimo di legge di 20 per spionaggio e 10 per peculato, chiederà
il pubblico ministero. Kendall e Guendolina hanno ora 72 anni ciascuno e i
danni fatti al mondo libero non devono essere stati devastanti, visto che il
regime di Fidel sta appassendo da solo sul ramo della
storia e la presidenza Obama sta dando chiari segnali di apertura e di normalizzazione con
quello che resta della "revolucion" che fece tremare le Americhe. Se
soltanto i «nostri agenti a Washington» avessero resistito ancora qualche anno
fino all´ormai inevitabile crollo anche di quest´ultimo muro di canne da
zucchero, sarebbero morti in pace, se non salutati come oscuri eroi di
una grande tragedia politica avviata fortunatamente a finire in commedia.
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 18 - Cronaca
TRE religioni, una preghiera (SEGUE DALLA PRIMA P
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 19 - Cronaca
Rassmea Salah, italo egiziana, assegnata a una scuola di Bresso, vicino a
Milano "Io, presidente di seggio col velo spero che oggi nessuno
protesti" "Metto sempre il mio hijab in pubblico, quindi lo farò
anche di fronte agli elettori" ZITA DAZZI MILANO - Una presidente di
seggio col velo islamico. Rassmea Salah, italo egiziana di 26 anni, non ci
trova niente di strano ed è pronta a mettersi al lavoro. Oggi si presenterà
alla scuola "Enrico Romani" di Bresso alla quale è stata assegnata,
decisa a svolgere quello che considera un suo preciso dovere civico:
l´allestimento delle urne, la consegna delle schede elettorali, il controllo
delle operazioni di voto e infine lo spoglio e il conteggio delle preferenze.
Ovviamente, farà tutto questo, sfoggiando il velo che le incornicia il viso,
come ogni giorno, come a maggio, quando ha discusso la tesi all´Università di
Napoli: «Certo, andrò al seggio con il mio "hijab". Non vedo motivo
per cui dovrei rinunciare». Un gesto che lei considera normale, che vive come
la semplice manifestazione della propria identità di musulmana italiana. Nessun
intento di provocare, né di attirare l´attenzione: «Io metto sempre il velo
quando sono in pubblico, quindi lo farò anche di fronte agli elettori e agli scrutatori
con cui lavorerò in questi giorni - spiega quasi sorpresa dalle domande - Penso
proprio che non ci saranno problemi e se ce ne fossero sarebbe grave
discriminazione, perché uno in Italia può andare vestito come vuole, professare
qualunque fede, senza essere discriminato. Sarebbe anticostituzionale
costringermi a toglierlo». Neolaureata alla facoltà di studi arabo-islamici,
cittadina italiana, figlia di un´infermiera lombarda e di un medico egiziano,
Rassmea ha riscoperto recentemente la fede e l´importanza di indossare il
fazzoletto colorato che portano molte donne islamiche. «La questione della mia
identità per me è sempre stata una preoccupazione - confessa - Mi sono sempre
sentita affezionata all´eredità, all´educazione religiosa e culturale che mi ha
impartito mio padre durante l´infanzia al Cairo. E gli sono naturalmente grata
per ciò che mi ha insegnato». Anche lei voterà, senza
temere contestazioni: «Forse oggi ci stupisce un presidente di seggio col velo.
Ma prevedo che in futuro ci saranno donne italiane musulmane e velate in
cariche importanti. Come negli Usa, dove una delle consulenti di Obama è un´americana velata».
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 4 - Interni Voli di Stato Obama li paga Quel "Drive in" a bordo piscina che Silvio non
può nascondere Il racconto Hanno fatto il giro dei siti. Così nel Villaggio
globale la comunicazione non ha più confini Non occorre essere padre per sapere
che un divieto scatena il desiderio di infrangerlo (SEGUE DALLA PRIMA P
( da "Repubblica, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 43 - Cultura
SE DIO RINASCE Parla il filosofo cattolico charles taylor di cui esce
"l´età secolare" perché la religione non minaccia il mondo laico
grazie al profano Gli effetti della modernità sotto una luce nuova e
sorprendente La secolarizzazione nata nell´Occidente cristiano
si afferma grazie alla Riforma ROBERTO FESTA Barack Obama ha intessuto il suo discorso del Cairo di riferimenti al Corano,
al Talmud, alla Bibbia. Fatto apparentemente insolito, per il presidente di un
paese i cui Padri Fondatori guardavano la religione con sospetto e molta
preoccupazione. «I preti temono il progresso della scienza come le streghe
l´avanzare della luce», scrisse Thomas Jefferson, l´autore della
Dichiarazione di Indipendenza. Ma «la religione, apparentemente sconfitta dalla
storia, è oggi ovunque», spiega Charles Taylor, che per illustrare il concetto
ha scritto le 1070 pagine di L´età secolare (Feltrinelli, euro 60). Taylor,
professore emerito alla McGill University di Montréal, è autore di almeno un
paio di libri fondamentali per la filosofia contemporanea (Hegel, Radici
dell´Io). Il suo ultimo lavoro, L´età secolare appunto, spazia dalla storia
alla sociologia, dalla teologia all´arte, dalla filosofia all´antropologia, per
descrivere la vittoria di un mondo senza Dio, ma al contempo l´emergere di una
spiritualità divisa, diffusa, irriducibile. «è vero, non c´è più un Dio unico,
granitico, indiscutibile», racconta Taylor da Berlino, dove si trova per un
periodo di studio. Nel giro di pochi secoli, è la sua tesi, l´Occidente è
passato da un mondo in cui era praticamente impossibile non credere in Dio, a
un sistema aperto, plurale, che ammette, e in molti casi incoraggia,
l´incredulità. «Ma questo non significa assenza della religione, o tramonto
delle esigenze spirituali dell´uomo», spiega Taylor, «tutt´altro. La modernità
moltiplica le opzioni, religiose e non, sviluppa nuovi impulsi spirituali,
molto più frazionati, rispetto al passato, rintracciabili nell´arte, nella
musica, negli aspetti più quotidiani della vita". è insomma un mondo
spezzato, in cui i singoli, e le comunità, annaspano per cercare un senso alle
proprie esistenze, una forma alle proprie aspirazioni. Il passaggio, secondo
Taylor, rende la vita più interessante e meno semplice. «La crisi, tratto distintivo
della modernità, non deriva soltanto dal tramonto di una versione indiscutibile
di trascendenza. Nasce dalla religione stessa, che nelle versioni attuali
incoraggia l´analisi di noi stessi, le domande su chi siamo, su dove siamo
diretti. è insomma la religione del dubbio, tipica di un´età di crisi». Non è
una visione pacificata, dell´uomo e della vita, quella offerta da questo
filosofo canadese, cattolico praticante, un passato di impegno politico (nel
socialdemocratico "New Democratic Party"), la capacità di risultare
gradito a comunitaristi e post-moderni, due tra i gruppi egemoni della
filosofia anglosassone contemporanea. Ai primi, Taylor ha offerto una visione
che bilancia i diritti dei singoli e quelli della più larga società, in cui gli
individui-cittadini sono plasmati da culture e valori delle loro comunità.
L´appello al pensiero post-moderno è invece venuto con l´idea di una filosofia
che non crede nella verità ma nel potere del linguaggio, che vede le azioni
umane guidate da forze esterne, incontrollabili, più che dal sé, dalla ragione,
dall´adesione a una religione consapevole. «Non possiamo esimerci dal guardare
sopra le nostre spalle, di tanto in tanto - scrive in L´età secolare -
lanciando occhiate oblique, vivendo anche la nostra fede in una condizione di
dubbio e di incertezza». Anche questa incertezza, del resto, è stata una
conquista faticosa, un processo per nulla lineare, in cui vecchie versioni del
sacro si sono dissolte e nuovi inizi hanno continuamente mutato fede e pratiche
religiose degli uomini. In L´età secolare, Taylor contrasta l´idea di una
modernità che si sviluppa attraverso la crescita di scienza e razionalità, e la
progressiva rimozione della religione dalla sfera pubblica. «La
secolarizzazione nasce all´interno dell´Occidente cristiano - racconta -
soprattutto con la Riforma, che afferma una concezione antropocentrica della
religione, una visione avversa al magico e attenta ai diritti individuali. è
quello il terreno fertile per l´emergere del mondo secolarizzato». Credere a un
processo ordinato, dalla fede all´incredulità, significa per Taylor trascurare
la complessità degli uomini. «Non c´è stata la semplice rimozione dell´ostacolo
religioso, da parte di un uomo sempre uguale a se stesso. Ci sono stati secoli
di invenzioni, di pratiche di vita, di nuovi modi di concepire se stessi, il
rapporto con gli altri e con il mondo esterno». La versione attuale della
secolarizzazione, secondo il filosofo, si sarebbe comunque cristallizzata
nell´Ottocento, in età vittoriana: «L´Illuminismo aveva un´idea ancora molto
forte di provvidenza, di creatore benevolo che regola i rapporti tra gli uomini
e con la Natura». Nell´Ottocento invece, emergerebbe un´altra concezione
dell´ordine naturale, «per nulla provvidenziale, ma piena di sangue, di
tensione alla sopravvivenza e all´evoluzione. è il quadro concettuale che
definisce i campi opposti della scienza e della religione, e che resta vivo
ancora oggi». Alcuni recensori laici di L´età secolare (per esempio Andrew
Koppelman su Dissent) hanno scritto che Taylor è «un cattolico che cerca di
affermare il suo, personale, teismo». In realtà, mentre la conversazione
procede, il filosofo concede tranquillamente che «ci sono molti modi per
fondare una teoria dei diritti umani, e quella religiosa non è migliore, più
sicura, rispetto ai tentativi dei laici». Da cattolico praticante, poi, non
pensa che i pontificati interventisti di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI
costituiscano una minaccia alla laicità dell´Occidente: «Le idee del Vaticano
non sono necessariamente quelle della maggioranza dei cattolici - spiega. In
certi casi coincidono, in altri no. è evidente per esempio che nel mondo
cattolico esistono posizioni molto diverse sulla questione del controllo delle
nascite, o su quella dei diritti gay. E sono posizioni che per la gran parte
non coincidono con quelle ufficiali del Vaticano». Anche i recenti episodi di
scontro e intolleranza religiosa negli Stati Uniti non vanno, secondo Taylor,
enfatizzati: «Quanto successo a George Tiller, il medico assassinato dagli
anti-abortisti in Kansas, è sicuramente terribile, ma non ha un vero seguito
nella società americana. Non è l´inizio di un trend, può essere facilmente
isolato». Il mondo laico non ha insomma, per Charles Taylor, di che temere. La
religione non costituisce una minaccia alla società liberale: «Il ruolo dei
regimi laici non è quello di contenere la religione. C´è una sorta di
assolutismo esagerato, in queste posizioni». Nel mondo mobile, disperso,
spezzato di Taylor non esiste del resto possibilità di ritorno a una visione
unitaria. Il pluralismo è un dato di fatto, la secolarizzazione una via senza
ritorno, l´incertezza un dato costante della vita. Nell´età secolare non ci
sono vincitori e sconfitti, non c´è un Dio che scompare e l´incredulità che
trionfa, ma solo un orizzonte frammentato di identità, aspirazioni, opzioni.
«Il senso più profondo ella secolarizzazione è proprio questo - conclude
Taylor. Nessuno ha vinto. Nessuno può vincere».
( da "Stampaweb, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
ROMA Chi vincerà le
elezioni? Il partito dellastensione. Sicuramente in Europa, forse
anche in Italia. Da noi farà scintille tanto a sinistra, tra i delusi del Pd,
quanto a destra, tra i disgustati dal Cavaliere. Le uniche zone che «tengono»
sembrano quelle dove cè
lotta a coltello per sindaco (Firenze, Bologna) o presidente di provincia. Chi
mandare a Strasburgo è argomento che non scalda la gente, tantomeno i partiti.
Difatti nessuno ne parla. Chi invece canterà vittoria, domenica sera?
Berlusconi, se scavalca
lasticella che egli stesso ha collocato parecchio su, forse
perfino troppo. Altrimenti festeggeranno tutti gli altri. Il Pd, si capisce. Ma
anche i «giornali ostili», le «toghe rosse», i «poteri forti», insomma quanti
in Italia e allestero sono angosciati dalla prospettiva di un Cavaliere senza più
freni. Che quota vuole superare Berlusconi? Lha detto lui:
almeno il 40 per cento. Così tapperebbe la bocca a chiunque. Se poi invece che
a 40 il termometro si fermasse a
( da "Stampaweb, La"
del 06-06-2009)
Argomenti: Obama
INVIATA A BEIRUT A
mio zio Marwan hanno pagato solo il biglietto per il pullman da Dubai ma lui è
contento, dice che tre giorni di viaggio valgono la disfatta dei corrotti»
racconta la grafica trentenne Randa Hassan alle amiche che bevono vino rosso
sulla terrazza del Cafè Reservoir, in Ramlet el Baida, quartiere residenziale
sul litorale di Beirut. Raed con i lunghi capelli raccolti a treccia suona il
violoncello, la brezza marina accarezza le braccia nude delle ragazze. «I voti
sono in vendita, tutti i partiti comprano a man bassa» osserva Sahar Mandour,
giornalista. Secondo il quotidiano The Daily Star 19 mila espatriati sono
tornati a casa negli ultimi due giorni. Basta un rapido sondaggio allaeroporto
Rafic Hariri per capire come entrambi gli schieramenti abbiano mobilitato le riserve,
soprattutto tra i cristiani, la maggioranza dei 14 milioni di libanesi della
diaspora che versano ogni anno al paese 2,5 miliardi di dollari di rimesse.
Fratelli coltelli, i pendolari del voto che decideranno il risultato di
domenica si sono divisi tra le Forze libanesi di Samir Geagea, alleate con Saad
Hariri, e il Movimento patriottico libero Michel Aoun. «Sai che è tempo delezioni
quando i tuoi amici che vivono allestero vengono a Beirut per 4 giorni»
recita la didascalia duna
vignetta del cartoonist Zankoul (www.961report.org) in cui una lunga fila di
aerei aspetta di atterrare. Ma anche quando, aggiunge il disegno successivo con
due ragazzi che si picchiano, «vedi nei campus molti più studenti con gli occhi
neri». Cristiani
contro cristiani. Musulmani contro musulmani, che tra sciiti e sunniti sono il
60 per cento della popolazione. Minoranze contro maggioranze e tutti,
tatticamente, contro il nemico israeliano. Mohammad non ha nessuna voglia di
menare le mani. Spingendo il carretto carico di mele sullo sterrato di Haret
Hrayk, roccaforte sciita alla periferia sud di Beirut popolata di donne velate
fino ai piedi e lontana secoli dai ristoranti alla moda della Corniche, sogna
la vendetta sanculotta delle urne: «Ho sette figli e vendo frutta, una nullità
per questo governo di ricchi e corrotti». Il primogenito Nadar, 19 anni, lavora
in uno dei cantieri edili fioriti allindomani della guerra
del 2006 con il contributo dellIran e va pazzo per il rock palestinese
dei Firkat Alshimal
che hanno dedicato un cd a Nashrallah, «Il falco del Libano». Mohammad ha fede:
«Tocca a noi». Dallemittente di Hezbollah al Manar, sesta tv
più popolare del mondo arabo, il portavoce Ibrahim Moussawi suona la carica:
«Da tempo siamo la maggioranza
del paese, adesso conquisteremo quella parlamentare». I sondaggi sono in
bilico. La partita si gioca nei collegi di Zahle, Tripoli e Sidone, circa 15
mila cristiani non avrebbero ancora deciso come schierarsi. Lungo Nasra street,
sulla collina opulenta di Ashrafya, i seguaci del generale Aoun sventolano le
bandiere arancioni da giganteschi suv metallizzati per dimostrare che non
saranno solo i nullatenenti a dar man forte allopposizione. «Ci
sarà unaffluenza massiccia, ma una parte o dallaltra la vittoria sarà di misura, 65 seggi
contro 63» nota Khalil Harb del quotidiano di sinistra Assafir. Il risultato
certo è lincertezza: «Chiunque la spunti non potrà governare da solo».
Con un debito pubblico di 48 miliardi di dollari sulle spalle duna popolazione giovane (letà
media è 29 anni), il Libano non ha bisogno di un nuovo terremoto. Per questo, a
sentire il quotidiano Al Akhbar, il leader druso Walid Jumblatt, alleato della
maggioranza, avrebbe ammesso che è ora di deporre le armi contro gli sciiti. «La storia ci sta schiacciando,
dobbiamo smettere di pensare alla guerra e costruire» ammette Sylvain Eid, 31
anni direttore di Metaform, la società che organizza Beirut39, il concorso per
i migliori scrittori arabi under 40 nellambito di Beirut
capitale della cultura
2009. Nel cuore ha i colori di Hariri, sullo schermo del computer quelli del
presidente americano Obama, «uno di noi». La
generazione cresciuta dopo la guerra civile vive la polarizzazione del paese
come un destino che non ha scelto. «Vorrei che Bruce Springsteen venisse a
Beirut» dice linsegnante trentenne Hanadi Chamas giocando
con gli amici a «specchio dei desideri» al bancone dellOsaka Sushi
Lounge, a downtown. Lara Canan, fotografa, vorrebbe un naso nuovo come quelli
dipinti nelle tele
ironiche dellartista Tagreed Darghouty allAgial
Art Gallery, ad Hamra. Anche Nadar bin Mohammad, nella periferia sciita così
lontana e così vicina da qui, vorrebbe tante cose, e soprattutto che la
Germania vincesse i mondiali di calcio. In comune hanno il futuro, diviso tra il 14 marzo e
l8 marzo, memorial di una vita fa.