CENACOLO
DEI COGITANTI |
Bernanke: la ripresa entro
l'anno ( da "Stampa,
La" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: prevede un miglioramento grazie
agli effetti del piano di stimoli da 787 miliardi di dollari voluto da Obama.
Del resto già nel primo trimestre, con un Pil in contrazione del 6,1%, le spese
per consumi hanno registrato un miglioramento inaspettato. La conferma in
questo senso giunge dalle vendite dei grandi magazzini americani salite ad
aprile dell'1,5% rispetto all'1,3% atteso.
"Con le piccole
imprese il Piemonte risorgerà"
( da "Stampa, La" del
06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama, giustamente li ha chiamati
pattume. Quando ho denunciato il ''pattume'' mi hanno guardato male e ho dovuto
lasciare la Banca Popolare di Novara anche per questo». Quale sarà il futuro
delle banche? «Partiamo intanto da una constatazione: nella storia degli
istituti di credito non c'è mai stato un rendimento monetario così basso.
"Soldi off-shore
uguale evasione" ( da "Stampa,
La" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Europa si ispirano al modello Obama
di recupero fiscale Il piano Usa e gli impegni presi al G20 REGOLE DA RAFFORZARE
Il tedesco Steinbrueck «La Svizzera e gli altri Paesi che difendono il segreto
bancario sono come il Burkina Faso» [FIRMA]MARCO ZATTERIN CORRISPONDENTE DA
BRUXELLES Un buon modello è quello di Mister Obama.
Ora la partita Fiat-Opel
si sposta in Usa ( da "Stampa,
La" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: che entro la fine del mese dovrà
presentare all'amministrazione Obama la versione definitiva del suo piano di
ristrutturazione. Marchionne dovrebbe anche far presente - tanto al governo
quanto a Gm - l'interesse del gruppo italiano anche per le attività in America
latina. Sulla vicenda Opel resta alta l'attenzione in Germania.
"Abbiamo paura per le
fabbriche in Italia" ( da "Stampa,
La" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: allarme dei sindacati ROBERTO
GIOVANNINI «Obama e Merkel sono impegnatissimi sull'auto Il nostro esecutivo
no» ROMA Inutile girarci troppo intorno. Sergio Marchionne imita Carlo V, e
costruisce un Impero dell'Auto su cui non tramonta mai il sole, ma i lavoratori
italiani e i sindacalisti che li rappresentano hanno una paura tremenda.
critiche e accuse in crisi
il potere di ahmadinejad ( da "Repubblica,
La" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Sullo sfondo i conservatori hanno
iniziato a dividersi sul tipo di risposta da dare all´offerta di negoziato
avanzata all´Iran dal presidente americano Barack Obama, una scelta che avrà di
sicuro ripercussioni dirette sulla campagna elettorale e poi sul voto di
giugno. (v. n.)
"obama ha cantato
jesus chrysler..." ( da "Repubblica,
La" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina 6 - Economia Fiorello Show
"Obama ha cantato Jesus Chrysler..." ROMA - «Subito dopo la firma,
Obama era così contento che ha cantato Jesus Chrysler Supercar». Parola di
Fiorello che dedica un passaggio del suo show alle campagne americana e tedesca
di Fiat: «Dalla fusione tra Fiat e Chrysler uscirà un nuovo monovolume.
i sindacati opel: fiat
taglierà 10mila posti - salvatore tropea
( da "Repubblica, La"
del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama per ottenere i finanziamenti
per la sua sopravvivenza, ha come obiettivo principale il mantenimento degli
impianti negli Stati Uniti, Canada e, per ragioni politiche, in Cina. Proprio
per questo, appena ventiquattr´ore dopo i colloqui di Berlino, l´ad del
Lingotto è arrivato a New York per fare con i legali il punto sullo stato del
processo per la bancarotta pilotata di Chrysler,
TRA I BIMBI CLANDESTINI DI
BROOKLYN ( da "Stampa,
La" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: A me ciò che interessa è
soprattutto di avere degli insegnanti capaci proprio come chiede il presidente
Obama» assicura una mamma trentenne afroamericana, che scende da un Suv e dice
di «non far caso» al gran numero di ragazzi cinesi «perché a Brooklyn si vive
così, senza prestare troppa attenzione a chi abbiamo seduto vicino al cinema o
sul bus».
"Israele, basta
insediamenti" ( da "Stampa,
La" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: tesa a far sapere a Gerusalemme
cosa aspetta Netanyahu alla Casa Bianca quando arriverà il 18 maggio per
incontrare Obama. A rafforzare il messaggio di Biden ci ha pensato Rahm
Emanuel, capo di gabinetto del presidente, preannunciando alla platea un
«energico impegno di Obama» per «raggiungere la soluzione dei due Stati» in
pace e sicurezza in Medio Oriente.
"Ora i due Stati sono
più difficili" ( da "Stampa,
La" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Può Barack Obama accettare questo
nuovo approccio? «No ed è per questo che Netanyahu ci arriverà per gradi.
Quando arriverà a Washington si dirà in favore dei due Stati ma lo farà con un
linguaggio sufficientemente ambiguo da lasciare la porta aperta ad altri tipi
di soluzioni.
tremonti, stretta sui
paradisi fiscali "quei capitali frutto dell'evasione" - andrea
bonanni ( da "Repubblica,
La" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: in parte simili a quanto leggo sul
piano Obama». Tre le direttrici dell´iniziativa italiana contro l´evasione: 1)
«inversione dell´onere della prova (se il capitale è depositato in un paradiso
si presume che sia originato da evasione salvo prova contraria); 2) sanzioni
aggravate se il capitale evaso viene depositato in un paradiso fiscale;
Dal Cremlino un doppio
sgarbo alla Nato ( da "Corriere
della Sera" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: «perché proprio ora che sono in
programma incontri tra Obama e Medvedev?», si chiedono al Cremlino).
Altrettanto ferma l'opposizione russa alle manovre Nato-Georgia in corso da oggi
a
Il doppio tavolo con Obama
E la stretta con i vertici Gm ( da "Corriere
della Sera" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama E la stretta con i vertici Gm
Il top manager Fiat negli Usa. Si tratta anche sul Sudamerica DAL NOSTRO
INVIATO NEW YORK - Da una maratona transatlantica all'altra: dopo quella per
Chrysler, conclusa a fine aprile, l'amministratore delegato della Fiat ha
ricominciato a correre a perdifiato per conquistare la Opel e le altre attività
europee e sudamericane della General Motors.
Tremonti sui paradisi
fiscali vuole sanzioni più pesanti
( da "Corriere della Sera"
del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: la Francia e gli Stati Uniti di
Barak Obama nell'attacco all'evasione delle tasse attuata nei paradisi fiscali
e con il segreto bancario, dando un seguito concreto alle decisioni dell'ultimo
vertice G20. Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti lo ha annunciato a
Bruxelles, dopo il Consiglio Ecofin dei ministri finanziari dell'Ue, parlando
di «assedio ai paradisi fiscali»
Il nodo Iran tra Israele e
Obama ( da "Corriere
della Sera" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 36 IL PERCORSO DELLA PACIFICAZIONE
Il nodo Iran tra Israele e Obama di FRANCO VENTURINI SEGUE DALLA PRIMA Come
poteva favorire i suoi progetti un nuovo governo israeliano ultra-nazionalista
e fortemente di destra malgrado la strana partecipazione dei laburisti? Come si
poteva trattare con il capofila dei «falchi» nei panni di ministro degli
Esteri?
Tortura, una trappola per
gli Usa ( da "Corriere
della Sera" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: parole del presidente Obama,
«guardare al futuro e non al passato »? In realtà, e Obama l'ha capito al volo,
quest'ultima soluzione appare impossibile, perché il rifiuto di esaminare il
passato potrebbe gravare il futuro di rischi ancora maggiori. L'ex
vicepresidente Dick Cheney ha affermato in diverse occasioni di non aver nessun
rimpianto riguardo quelle che preferisce chiamare «
Rabbie vitali e sogni
sfioriti ( da "Corriere
della Sera" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 40 anni rock dagli hippies a Obama
C i risiamo: la crisi che sembra imperversare non tocca il popolo del rock (e
del pop). Per l'ennesima volta, presentiamo un concerto sold out. Non c'è più
un posto per vedere, domani al Ciak- Fabbrica del Vapore, Jackson Browne, uno
dei cantautori più «politici» d'America, di ritorno in Lombardia dopo
l'esibizione di tre anni fa al Vittoriale.
Il sindaco islamico di
Rotterdam e gli sfratti delle ( da "Corriere
della Sera" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: l'Obama del Nord Europa.
«Incredibile ha commentato Geert Wilders, il vate dei popu-- listi in testa a
tutti i sondaggi è come se un olandese divenisse sindaco della Mecca». Ma non è
la Mecca, questa. È il primo porto del mondo, Rotterdam, città-laboratorio,
600mila abitanti al 46% immigrati da altri continenti.
Afghanistan, raid aerei
Usa La polizia: "Centinaia di civili uccisi"
( da "Repubblica.it"
del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il presidente afgano Hamid Karzaim
che oggi è a Washington per un vertice con il leader Usa Barack Obama e il capo
dello Stato pachistano Asif Ali Zardari. ha definito il massacro
"inaccettabile e ingiustificabile". Annunciando l'intenzione di
parlarne con Obama. (6 maggio 2009
Raid aerei a Farah:
"Oltre cento morti" ( da "Stampaweb,
La" del 06-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: presidente Karzai è a Washington
per un vertice alla Casa Bianca con il presidente degli Stati uniti, Barack
Obama e con il presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari. Secondo la polizia
locale sarebbero oltre cento i «non combattenti» rimasti uccisi nei raid aerei
statunitensi in Afghanistan occidentale. «Posso confermare che più di 100 non
combattenti sono stati uccisi nel corso di un?
( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
RIFLETTORI PUNTATI SUGLI «STRESS
TEST»: DIECI BANCHE SU 19 DOVRANNO RAFFORZARE LA DOTAZIONE DI CAPITALI «Siamo
impegnati a garantire la stabilità dei prezzi, tra rischi di infla/deflazione»
Bernanke: la ripresa entro l'anno [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK. La
locomotiva americana ripartirà entro la fine dell'anno, ma ci vorrà del tempo
prima che torni a marciare a pieni regimi. Ben Bernanke è apparso più ottimista
ieri dinanzi alla commissione bicamerale del Congresso. La sua diagnosi sullo
stato di salute dell'economia americana è la meno drammatica dall'esplosione
della crisi. «Prevediamo di star raggiungendo il fondo, la crescita dovrebbe
riprendere entro la fine dell'anno», dice, precisando però che la ripresa sarà
lenta. Bernanke ha riferito ad alcuni senatori di attendersi una crescita del
Pil americano del 2% nel 2010 e del 4% nel 2011. Il presidente della Federal
Reserve mette però in guardia famiglie e imprese a non lasciarsi trasportare
dagli entusiasmi, perché le ricadute sociali della crisi dureranno ancora. Il
riferimento è al mercato del lavoro che ha visto bruciati dall'inizio della
recessione, nel dicembre 2007, 5,1 milioni di posti di lavoro. «La
disoccupazione potrebbe rimanere elevata anche in presenza di una ripresa della
crescita», e del resto la stima preliminare per aprile descrive un rialzo
dell'indicatore di mercato all'8,9% dall'8,5% di marzo (quando ha segnato il
massimo degli ultimi 25 anni), a causa della perdita di altre 610 mila
posizioni. Il numero uno della Fed tuttavia non prevede la scalata a quota 10%
entro fine anno annunciata da alcuni economisti, ma fissa il picco massimo ad
un punto più in basso. Questo perché la velocità di contrazione dell'economia
americana «sembra rallentare», mentre il mercato immobiliare sta mostrando
«segni di stabilizzazione». Sul capitolo consumi, Bernanke prevede
un miglioramento grazie agli effetti del piano di stimoli da 787 miliardi di
dollari voluto da Obama. Del resto già nel primo trimestre, con un Pil in contrazione
del 6,1%, le spese per consumi hanno registrato un miglioramento inaspettato.
La conferma in questo senso giunge dalle vendite dei grandi magazzini americani
salite ad aprile dell'1,5% rispetto all'1,3% atteso. E' andato meglio
del previsto anche l'indice Ism servizi pur rimanendo ancora in una fase di
contrazione. Del resto il timoniere della Fed è chiaro su questo punto: «Gli
investimenti aziendali rimangono estremamente deboli», e sarà necessario
attendere la fine dell'anno per assistere a una ricostituzione delle scorte di
magazzino, mentre bisogna sperare nella ripresa delle altre economie per
rilanciare le esportazioni Usa. Sul piano monetario la Fed «é impegnata a
garantire la stabilità dei prezzi che attualmente si muove fra i rischi di
inflazione e di deflazione». Bernanke sottolinea che la liquidità in eccesso
sul mercato sarà ritirata in modo appropriato e ribadisce la richiesta di
ottenere un ampliamento delle sue prerogative alle istituzioni non bancari,
come i fondi d'investimento. Sul fronte finanziario dice invece che «molte
banche saranno in grado di soddisfare i bisogni di nuovi capitali senza l'aiuto
del governo». Il riferimento è ai risultati degli «stress test» condotti sulle
19 banche principali. Ma anche in questo caso esorta alla cautela perché in
caso di «ricaduta delle condizioni del mercato finanziario avrebbe un effetto
di freno sull'attività economica e potrebbe causare impedire l'inizio della
ripresa». Meno positiva la percezione dei mercati: Wall Street dopo il rally
degli ultimi giorni, ha visto ieri il Nasdaq perdere l'1,46% e il DJ cedere lo
0,56% sui timori legati all'esito degli esami. Secondo il Wall Street Journal
10 su 19 istituti dovranno rafforzare le dotazioni di capitali alla luce dei
risultati. Tra queste ci sono Citigroup, Bank of America, Wells Fargo, e alcune
banche regionali.
( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
Intervista Siro Lombardini
"Con le piccole imprese il Piemonte risorgerà" GIANFRANCO QUAGLIA
NOVARA Sta lavorando attorno un'«opera omnia», che per ora ha il titolo
provvisorio di «Banca e finanza». Nella sua casa di Chieri, Siro Lombardini, 85
anni, economista piemontese di larga fama, scruta dalle colline l'orizzonte che
si perde sul Piemonte. Gli arrivano messaggi e telefonate, qualche settimana fa
è venuto a trovarlo Romano Prodi, di cui il professore è stato docente. Il
titolo del suo nuovo libro sarà anche provvisorio, ma è indicativo di una
scelta precisa, di voler scandagliare la crisi e i dintorni, denunciare ciò che
è accaduto in questi ultimi mesi. E' vero che lei, in tempi non sospetti, aveva
previsto tutto? «Devo essere sincero. Da anni andavo dicendo e scrivendo che
sarebbe accaduto. Sì, avevo previsto tutto tranne un particolare: non pensavo
che il punto dolens sarebbe stata l'industria dell'auto». Ma ora, per quanto
riguarda il Piemonte, siamo di fronte a una svolta positiva... «E' vero, ma la
ripresa può arrivare non solo dall'auto. Il Piemonte, ad esempio, dovrebbe
puntare anche sul turismo, ma con una politica turistica seria. E poi dare
impulso alle piccole e medie imprese, anche nel settore agroalimentare. Il
Piemonte è un territorio sano, sotto il profilo ambientale, ed è questa la sua
forza. Se noi sapremo sviluppare queste potenzialità ce la faremo». Lei aveva
previsto tutto, anche lo «tsunami» dei derivati e non aveva esitato a lanciare
l'allarme quand'era presidente della Banca Popolare di Novara. A distanza di
tempo è ancora di quell'avviso? «Più che mai. Un noto banchiere piemontese mi
disse che di fronte ai derivati complessi lui stesso doveva rivolgersi a
matematici per capirli e proporli. Pienamente d'accordo con lui. Tutti
parlavano di prodotti finanziari e non si rendevano conto che erano solo
scommesse. Obama, giustamente li ha chiamati pattume. Quando ho denunciato il
''pattume'' mi hanno guardato male e ho dovuto lasciare la Banca Popolare di
Novara anche per questo». Quale sarà il futuro delle banche? «Partiamo intanto
da una constatazione: nella storia degli istituti di credito non c'è mai stato
un rendimento monetario così basso. Lo scenario che io intravedo è
questo: ci saranno grandi banche, frutto di concentrazioni, ma non solo a livello
italiano, direi europeo. E al tempo stesso sopravviveranno le piccole banche,
voglio dire quelle radicate sul territorio, che punteranno su famiglie e le
piccole imprese. Questo è l'indirizzo da percorrere e chi lo sta facendo
raccoglie già risultati. E' difficile che le picole banche possano truffare i
risparmiatori, il rapporto è troppo diretto».
( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
IL COMICO E L'INTESA IL RISIKO
DELL'AUTO Ora la partita Fiat-Opel si sposta in Usa Il sindacato Uaw:
«Incontreremo presto i nostri colleghi italiani» Fiorello Show «Jesus Chrysler
Supercar» FRA EUROPA E AMERICA La fiducia del premier Berlusconi: «Credo che ce
la faranno sarebbe un sogno per gli italiani» L'Ad del Lingotto: non chiuderemo
nessuno stabilimento in Germania GIANLUCA PAOLUCCI FRANCESCO SEMPRINI New York,
Washington, Detroit. Sono queste le tappe principali del nuovo viaggio in Usa
di Sergio Marchionne, che dopo il breve soggiorno berlinese di lunedì è subito
ripartito alla volta degli Usa. Marchionne farà un «giro» degli impianti di
Chrysler per prendere un primo contatto con la realtà produttiva della casa di
Detroit e seguirà l'evoluzione della procedura del Chapter 11 al tribunale di
New York. Ma nell'agenda ci sarà ampio spazio anche per la vicenda tedesca.
L'ennesimo viaggio, il quinto in poco più di un mese, sarà l'occasione per
Marchionne per illustrare il suo progetto per Opel anche all'azionista della
casa tedesca, General Motors, che entro la fine del mese
dovrà presentare all'amministrazione Obama la versione
definitiva del suo piano di ristrutturazione. Marchionne dovrebbe anche far
presente - tanto al governo quanto a Gm - l'interesse del gruppo italiano anche
per le attività in America latina. Sulla vicenda Opel resta alta l'attenzione
in Germania. Klaus Franz, il rappresentante di Ig Metall nel consiglio
di sorveglianza della Opel, ha detto che Marchionne avrebbe riferito di
prevedere la chiusura dell'impianto tedesco di Kaiserslautern e di altri siti
produttivi di Fiat/Opel in Gran Bretagna e in Italia, con tagli per 10 mila
posti di lavoro. Da parte sua, nel corso di un'intervista alla Bild, Marchionne
ha assicurato che il piano prevede il mantenimento di tutti e quattro gli
impianti tedeschi della Opel, spiegando che solo uno - Kaiserslautern -
potrebbe subire tagli. Analogo «progetto» quello svelato dalla Faz, che cita un
documento elaborato da Fiat - e subito smentito dal Lingotto - con la
previsione di chiudere tra l'altro anche Termini Imerese e Pomigliano. La
reazione più dura è stata però quella del Ft Deutschland, che ha definito
l'offerta italiana «una truffa con promessa di matrimonio». Intanto, il gruppo
austro-canadese Magna entra ufficialmente nella gara, confermando di puntare al
20% del capitale Opel insieme con alcuni alleati. A mostrarsi fiducioso nel successo
di Fiat è Silvio Berlusconi. Alla domanda se il Lingotto riuscira a conquistare
Opel, il premier ha risposto: «Credo di sì, credo che tutti guardino a questo
con interesse, e credo che questa operazione per gli italiani sia un sogno».
Sul versante Chrysler, il sindacato Uaw ha chiarito di non aver interesse a
rimanere azionista di lungo termine della nuova società che uscirà dal Chapter
11. «Non appena il fondo Veba se lo potrà permettere venderà le sue quote»,
dice il presidente del sindacato Ron Gettelfinger, spiegando che il ricavato
andrà a finanziare parte dei piani di assistenza sanitaria per i pensionati.
Era stato proprio questo il nodo del negoziato tra azienda, Tesoro e Uaw,
assistito nel corso delle trattative dallo studio legale Cleary Gottlieb. Uaw
avrà il 55% di Chrysler attraverso la Voluntary Employee Beneficiary
Association, il fondo fiduciario designato a gestire i piani pensionistici. Il
gruppo prevede di tornare in attivo solo nel 2012 ma se la «bancarotta
chirurgica» della società sarà rapida l'alleanza con Fiat potrebbe sortire
importanti effetti già a breve. Su questo si è dimostrato ottimista
Gettelfinger che oltre ad annunciare incontri con i sindacati italiani nelle
prossime settimane, è convinto in una soluzione rapida da parte del tribunale.
«Certo rimangono fattori di rischio», dice, e uno di questi è l'opposizione dei
creditori non-Tarp, quelli che non hanno ricevuto aiuti dal governo e che hanno
fatto fallire l'accordo costringendo a procedere per il Chapter 11. Il loro ostruzionismo
lunedì non ha però impedito al giudice del tribunale fallimentare, Arthur
Gonzalez, di dare il via libera alla prima tranche di prestiti governativi per
Chrysler da 4,5 miliardi e al pagamento di fornitori e concessionari. Il
giudice ha inoltre messo in guardia Thomas Lauria, legale del manipolo di
dissidenti, spiegando che se l'operazione dovesse fallire, ci rimetterebbero
economicamente. Tanto che tra le loro file si sta assistendo a defezioni: il
loro numero si è ridotto e la loro quota quasi dimezzata a circa 300 milioni di
dollari. «Dalla fusione tra Fiat e Chrysler uscirà un nuovo Monovolume, un
incrocio tra il Voyager della Chrysler e l'Ulisse della Fiat. Avrà un faro
solo... si chiamerà la Polifemo». Nel suo Fiorello Show il comico non perde
l'aggancio con l'attualità e propone anche battute sulla vicenda Fiat-Chrysler.
Il mattatore in teatro ironizza sulle notizie legate alla casa automobilistica
torinese, di cui è anche testimonial: «A proposito di Fiat - scherza Fiorello -
sapete che Fabbrica Italiana Automobili Torino è anche una parola latina...
Adesso hanno fatto un accordo con il Vaticano per celebrare la messa in
latino... Così che si possa fare della pubblicità occulta con dei messaggi
subliminali tipo "Fiat Voluntas Dei"... Certo che Marchionne ne sa
una più del diavolo... Subito dopo la firma Obama era
così contento che ha cantato: Jesus Chrysler Supercar...».
( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
il caso Ora le tute blu temono di
restare escluse dal progetto GOVERNO ASSENTE "Abbiamo paura per le
fabbriche in Italia" Grido d'allarme dei sindacati
ROBERTO GIOVANNINI «Obama e Merkel sono impegnatissimi sull'auto Il nostro esecutivo no»
ROMA Inutile girarci troppo intorno. Sergio Marchionne imita Carlo V, e
costruisce un Impero dell'Auto su cui non tramonta mai il sole, ma i lavoratori
italiani e i sindacalisti che li rappresentano hanno una paura tremenda.
Tra le fabbriche del Belpaese e quelle Chrysler c'è un Oceano di mezzo; se
andasse in porto l'operazione con Opel, chiunque si rende conto che problemi di
sovrapposizione industriale, produttiva, di modelli con le fabbriche della Gm
Europa si potrebbero creare. Mettendo in pericolo i posti di lavoro e gli
stabilimenti italiani. A cominciare da Pomigliano e Termini Imerese, già
traballanti. La cosa va avanti da giorni: tutti i «tenori» delle organizzazioni
sindacali, confederali e di categoria, chiedono a gran voce «un tavolo» con la
Fiat e con il governo. «La Fiat ha discusso per la Chrysler col governo e i
sindacati americani, sta discutendo per la Opel col governo e i sindacati
tedeschi - spiega Beppe Farina, leader della Fim-Cisl a congresso nazionale -
Credo che sarebbe giunto il momento che discutesse con il sindacato italiano e
anche con il governo italiano». Per Farina non ci sono molti dubbi: «un
eventuale accordo con Opel avrebbe rischi oggettivi per noi, problemi di
sovrapposizione ci sono, per non parlare, in caso di di riassetto del gruppo,
della possibile uscita della Fiat dal comparto auto». Al Congresso Fim c'è
anche il numero uno della Fiom, Gianni Rinaldini. Su tanti temi è in disaccordo
netto con Farina, su questo pare proprio di no. «Questa cosa di GM Europa è un
fatto enorme - dice - potrebbe portare a nuovi assetti proprietari, visto che
John Elkann stesso ipotizza la possibilità di una Fiat in minoranza nel nuovo
gruppo. Richiederà insieme all'operazione Chrysler ingenti risorse. C'è il
rischio di sovrapposizioni di mercato, ci sono dubbi sul futuro di Powertrain,
di Magneti Marelli, Iveco». Di fronte a questo scenario, per Rinaldini «è
incredibile che Marchionne e la Fiat non dicano niente ai lavoratori italiani.
Per l'Italia, la Fiat non ha presentato nessun piano industriale. L'azienda ha
il dovere di giocare a carte scoperte, e il governo ha il dovere di
chiederglielo». Una preoccupazione diciamo di tipo «diplomatico» ce l'ha il
segretario generale delle Uil Luigi Angeletti: «Non temiamo di confrontarci con
stabilimenti più efficienti dei nostri - afferma - temiamo condizionamenti
politici: che la Fiat accetti, gli si imponga, pur di comprare la Opel, di
mantenere stabilimenti meno competitivi dei nostri». Insomma, che «la scelta
degli stabilimenti da tenere aperti sia figlia non di una scelta industriale ma
di condizionamenti politici magari da parte del governo tedesco». «Il governo
italiano è il grande assente - denuncia il segretario confederale Cgil Susanna
Camusso - Obama e Merkel sono impegnatissimi
sull'auto, il nostro premier si occupa d'altro. E c'è il chiaro pericolo che il
destino degli stabilimenti italiani sia deciso a un tavolo negoziale in
Germania». Camusso ragiona sui rischi di avere «doppioni» produttivi, ma è
preoccupata anche per le conseguenze sull'assetto della grande componentistica,
come mostrano i casi di Bosch, Eaton e Oerlikon frizioni. Fiat silenziosa? A
sentire quando si dice in Corso Marconi, sindacati, politici e governo sanno
benissimo come stanno le cose. Lo scorso 22 gennaio, dopo la riunione del
Consiglio di amministrazione Fiat, Sergio Marchionne disse chiaro e tondo ai
leader dei sindacati dei metalmeccanici (incontrati in serata) che Pomigliano
d'Arco e Termini Imerese erano a rischio. «Noi possiamo rispettare l'impegno a
non toccare i livelli occupazionali - disse Marchionne - solo se saranno
rispettate anche le condizioni a cui quell' impegno era stato preso». Ovvero,
incrementi di produttività, più flessibilità, e altro ancora. Era il momento
forse più drammatico della crisi, e ancora non erano arrivati gli incentivi per
l'auto. Poi gli aiuti arrivarono: il ministro dello Sviluppo Economico Claudio
Scajola affermò che «l'aiuto al consumo» doveva «essere accompagnato
dall'impegno al mantenimento degli stabilimenti italiani». Certo è che
Marchionne lo scorso 27 marzo lo ha ripetuto: «Siamo disponibili ad aprire un
confronto con tutti gli stakeholders, ma è necessario che tutti abbiano chiaro
qual è la situazione». Insomma, quelle fabbriche sono oggettivamente a rischio.
( da "Repubblica, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 17 - Esteri A un mese dalle
elezioni presidenziali Critiche e accuse in crisi il potere di Ahmadinejad
Mentre l´ayatollah Khamenei revoca una sua decisione, contro di lui cresce il
dissenso interno di chi lo ritiene politicamente inaffidabile A poche settimane
dalle elezioni presidenziali del 12 giugno, la guida spirituale iraniana Alì
Khamenei ha sconfessato pubblicamente il presidente Ahmadinejad, ordinando la
revoca della rimozione del responsabile dell´organismo di Stato per l´Haji (il
pellegrinaggio alla Mecca), un ente che Ahmadinejad voleva accorpare col
ministero del Turismo. Khamenei nel comunicato pubblico con cui ha reso nota la
sua decisione si è rivolto al suo rappresentante nell´organizzazione per i
pellegrinaggi, e non direttamente al presidente di cui è stato grande
protettore nella campagna elettorale del 2005 e durante tutto il suo mandato.
Ieri in Iran si è aperto formalmente il periodo per registrare le candidature
alle presidenziali: Ahmadinejad non ha annunciato ancora ufficialmente la sua
ricandidatura, che da tutti viene data per certa. E la critica di Khamenei non
significa affatto che la guida suprema non sostenga più "suo"
presidente. Ma nel campo conservatore altre voci si levano contro Ahmadinejad.
Innanzitutto quella del generale Mohsen Rezaie, ex potente capo dei Pasdaran,
anche lui candidato come espressione di una delle correnti dell´area
conservatrice. Sul suo blog, Rezaie ha attaccato il rivale Ahmadinejad
accusandolo di aver portato lo stato iraniano «sull´orlo del precipizio»,
sostenendo che il presidente segue una politica «avventurosa», mentre
bisognerebbe scegliere una via di mezzo tra «passività ed avventurismo». Un
altro esponente del campo conservatore, Hassan Rowhani, che è il rappresentante
di Khamenei nel Consiglio supremo di sicurezza nazionale, ha condannato a sua
volta la «malamministrazione» di Ahmadinejad, sostenendo che le prossime
elezioni saranno un confronto fra chi «difende lo status quo e chi vuole un
Iran migliore». Sullo sfondo i conservatori hanno iniziato
a dividersi sul tipo di risposta da dare all´offerta di negoziato avanzata
all´Iran dal presidente americano Barack Obama, una scelta
che avrà di sicuro ripercussioni dirette sulla campagna elettorale e poi sul
voto di giugno. (v. n.)
( da "Repubblica, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 6 -
Economia Fiorello Show "Obama ha cantato
Jesus Chrysler..." ROMA - «Subito dopo la firma, Obama era così
contento che ha cantato Jesus Chrysler Supercar». Parola di Fiorello che dedica
un passaggio del suo show alle campagne americana e tedesca di Fiat: «Dalla
fusione tra Fiat e Chrysler uscirà un nuovo monovolume. Avrà un faro solo, si chiamerà la
Polifemo». Fiorello è stato testimonial della Fiat nel 2006.
( da "Repubblica, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 6 - Economia I sindacati
Opel: Fiat taglierà 10mila posti Spuntano nuovi pretendenti. E Torino va in
pressing su Gm-Sud America Boom di vendite della casa italiana in Germania:
+142% raddoppiata la quota di mercato SALVATORE TROPEA TORINO - Le auto Fiat
piacciono sempre di più ai tedeschi mentre per la Opel aumenta il numero dei
pretendenti, veri o presunti tali, sul fronte opposto a quello del Lingotto. La
partita sembra complicarsi in Europa, dove il sindacato Opel continua a opporsi
al progetto paventando la perdita di 10mila posti. Sergio Marchionne si muove
sempre più convinto che, da oggi al 31 maggio, il terreno di battaglia rimanga
l´America dove l´ultima decisione spetterà alla casa madre Gm che, in risposta
ai paletti posti da Barack Obama per ottenere i finanziamenti per la sua sopravvivenza, ha come
obiettivo principale il mantenimento degli impianti negli Stati Uniti, Canada
e, per ragioni politiche, in Cina. Proprio per questo, appena ventiquattr´ore
dopo i colloqui di Berlino, l´ad del Lingotto è arrivato a New York per fare
con i legali il punto sullo stato del processo per la bancarotta pilotata di
Chrysler, prima di ripartire alla volta di Detroit. Nella
"depressa" capitale americana dell´auto deve convincere della bontà
dell´offerta fatta per Opel i vertici Gm che, secondo quanto riferiscono i
negoziatori, continuano a pensare «alla grande», come se non fossero stati
investiti dalla crisi. Forse trascurando anche la scadenza del 31 maggio nel
tentativo di alzare il prezzo per la cessione della sua provincia in America
del Sud. Oltre alla Opel, infatti, Torino manifesta interesse anche per le
attività di Gm in America Latina, dove la sua punta di diamante è il marchio
Chevrolet. Un sondaggio discreto condotto dai legali di Fiat in America ha poi
rivelato che Obama considera positivamente l´offerta
del Lingotto per la conquista di Opel che ieri Berlusconi ha definito «un sogno
per tutti gli italiani». Non dovrebbero esserci problemi circa il rischio di
obiezioni da parte della commissione antitrust europea prospettato ieri
dall´istituto di analisi Global Insight, ritenuto dal Lingotto un ostacolo
inesistente. In Germania intanto i dati del mercato di aprile mostrano una Fiat
in costante espansione. Il mese scorso le vendite di auto sono aumentate del
19,4% sulla spinta degli incentivi. La Fiat è il gruppo che si è avvantaggiato
più degli altri con un +142% in aggiunta al +213 di marzo. A farne le spese
sono state Mercedes, Bmw e Audi, per dire i brand di fascia alta, mentre le case
che producono vetture di battaglia hanno incrementato tutte le vendite ma non
nella misura di Fiat che ha potuto raddoppiare la sua quota passando da
( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
Maurizio Molinari TRA I BIMBI
CLANDESTINI DI BROOKLYN Avenue P, ore 7,45. Al numero 99 della strada centrale
di Bensonhurst, polmone multietnico di Brooklyn, si aprono i portoni della
«Seth Low», una scuola pubblica che conta oltre 1200 alunni, il 70 per cento
dei quali è composto da immigrati stranieri che in molti casi sono figli di
clandestini. Basta guardare chi scende dalla lunga fila di scuolabus gialli che
si fermano davanti all'entrata per accorgersi della forte presenza di cinesi in
un'area dove storicamente le minoranze più numerose e visibili sono gli
italiani e gli ebrei. «E' un fenomeno che registriamo in crescita da alcuni
anni - spiega Joe Rizzi, titolare del doposcuola "Beacon" - ed ha
portato ad un drastico cambiamento della popolazione scolastica». Anche perché
le leggi dello Stato di New York obbligano ogni scuola dove «più di venti
alunni parlano una identica lingua straniera» a offrirgli lezioni nel loro
idioma d'origine. E' stato questo l'inizio dello sbarco di insegnanti bilingue,
in cinese e inglese, che tengono oramai numerose classi aiutando gli alunni
stranieri ad un progressivo inserimento fra i coetanei americani. Il punto è
che nessuno è in grado di dire quanti di questi studenti cinesi siano legali o
no. I regolamenti applicati dalla preside Denise Lewinsky non prevedono infatti
la verifica dello status di legalità delle famiglie degli alunni. «Quando i
genitori vengono da noi a iscrivere i figli - spiega Joe Rizzi - gli chiediamo
un documento qualsiasi che attesti il domicilio nell'area urbana vicino alla
scuola, e può essere anche solo una bolletta della luce pagata di recente, il
certificato di nascita e i documenti della scuola di provenienza, dunque non ci
interessa se i ragazzi siano figli di clandestini o no». E lo stesso avviene
nelle altre scuole dello Stato di New York e del Paese. Il risultato è che la
«Seth Low» al mattino e il doposcuola «Beacon» al pomeriggio consentono a
alunni compresi fra i 10 e 18 anni di mischiarsi fra loro indipendentemente
dalla validità o no dei documenti di permanenza negli Stati Uniti delle
rispettive famiglie. Fra i genitori che accompagnano i figli di fronte al
portone al numero 99 il tema dei «figli dei clandestini» non è troppo sentito.
«A me ciò che interessa è soprattutto di avere degli
insegnanti capaci proprio come chiede il presidente Obama» assicura
una mamma trentenne afroamericana, che scende da un Suv e dice di «non far
caso» al gran numero di ragazzi cinesi «perché a Brooklyn si vive così, senza
prestare troppa attenzione a chi abbiamo seduto vicino al cinema o sul bus».
Ciò che colpisce è come, fra i genitori che accompagnano i figli al mattino,
padri e madri cinesi quasi non ci siano. I ragazzi con gli occhi a mandorla
arrivano tutti ordinatamente a bordo degli scuolabus che li vanno a prendere
lungo un percorso che attraversa Bensonhurst e dunque percorre le zone dove
molti immigrati illegali risiedono. Ma la polizia di New York, che pure dà una
caccia senza quartiere ai clandestini, si guarda bene dal tentare di sfruttare
le informazioni in possesso della scuola per risalire a dove abitano famiglie
di illegali. «Questa è solamente una scuola e le leggi dello Stato di New York
come del governo federale - osserva una maestra di inglese che chiede
l'anonimato - ci obbligano esclusivamente a fare del nostro meglio per educare
i ragazzi che si iscrivono» senza peraltro pagare nulla perché si tratta di
istituti pubblici. Il risultato dell'integrazione multietnica lo si vede
soprattutto quando, alle 14,45, inizia il doposcuola perché gli oltre mille
ragazzi si mischiano fra loro nella mensa per consumare gli «snack» come anche
nella palestra e in grandi sale per fare i compiti assistiti da un team di
insegnanti pomeridiane, fra le quali molte sono di lingua inglese proprio per
andare incontro alle esigenze degli stranieri. E se qualcuno dubita
dell'efficacia di questo modello la preside Lewinsky è pronta a rispondere
facendo uscire dal cassetto della scrivania i riultati del sondaggio appena
terminato fra le famiglie sulle «attese accademiche dell'anno scolastico»: il
55,6 per cento afferma che i risultati sono stati superiori alle
previsioni.CONTINUA A P
( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
Nuovi equilibri in Medioriente
L'affondo di Joe Biden all'arrivo del presidente Peres: "Così si sblocca
il negoziato" Il premier israeliano replica: «Gli scettici saranno
sconfitti Vi sorprenderemo» "Israele, basta insediamenti" La linea Obama Il suo vice ha parlato alla maggior associazione
ebraica Usa «Dovete garantire i diritti dei palestinesi» Shimon il mediatore
Arriva alla vigilia del delicato viaggio del premier Netanyahu «Per il nostro
popolo la pace è la priorità» [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW
YORK Joe Biden chiede a Israele di «lavorare per la soluzione dei due Stati» e
Shimon Peres rassicura Barack Obama sulla «volontà di
pace» del premier Benjamin Netanyahu. Nell'arco di poche ore Washington si è
trasformata ieri nel palcoscenico delle tensioni che aleggiano fra Stati Uniti
e Israele. Tutto è iniziato quando il vicepresidente americano è salito sul
palco della conferenza annuale dell'Aipac - la maggiore organizzazione pro
Israele degli Stati Uniti - per recapitare un messaggio esplicito al governo
Netanyahu: «Israele deve lavorare per la soluzione dei due Stati, dovete
cessare di costruire insediamenti, dovete smantellare gli avamposti illegali e
consentire ai palestinesi libertà di movimento e l'accesso alle opportunità
economiche». Mostrandosi consapevole dell'affondo Biden aveva preavvertito la
platea con un «non vi piacerà cosa sto per dire» a conferma della volontà
dell'amministrazione Obama di iniziare a recapitare a
Israele una serie di richieste su cosa fare per sbloccare il negoziato in Medio
Oriente. Biden ha poi anche fatto riferimento all'Autorità Nazionale
Palestinese auspicando che «combatta il terrore e ponga fine alla diffusione di
odio contro Israele», ma per chi era nell'aula del Centro conferenze è stata
chiara la differenza di accenti, tesa a far sapere a
Gerusalemme cosa aspetta Netanyahu alla Casa Bianca quando arriverà il 18
maggio per incontrare Obama. A rafforzare il messaggio di Biden ci ha pensato Rahm Emanuel,
capo di gabinetto del presidente, preannunciando alla platea un «energico
impegno di Obama» per «raggiungere la soluzione dei due Stati» in pace e
sicurezza in Medio Oriente. Poche ore dopo, al fine di smussare le
tensioni bilaterali, nello Studio Ovale è entrato il presidente israeliano
Shimon Peres che è uno degli ideatori della soluzione dei due Stati avendo
firmato nel 1993 gli accordi di Oslo assieme a Yitzhak Rabin e Yasser Arafat.
«Dirò a Obama che la pace è la nostra priorità e che
il primo ministro Netanyahu è intenzionato a non lesinare sforzi su questo
terreno - ha detto Peres poco prima dell'incontro - perché il popolo ebraico da
sempre aspira alla pace». Per rafforzare il messaggio Peres ha benedetto «in
nome di Dio» gli «sforzi di pace di Obama»
richiamandosi al suo discorso inaugurale: «In maniera molto elegante disse che
avrebbe teso la mano agli avversari, ebbene Israele da sempre tende la mano ai
popoli arabi cercando la pace». Al tempo stesso Peres ha però ribadito la
necessità di «trovare una soluzione al nucleare iraniano che non minaccia solo
Israele ma il mondo intero». Al termine del colloquio alla Casa Bianca Peres
non ha rilasciato dichiarazioni riservandosi di portare a Netanyahu le
impressioni tratte. Anche il premier ha comunque tentato di allentare le
tensioni con l'amministrazione Usa pronunciando in diretta satellite un
discorso all'Aipac che ha avuto per destinataria la Casa Bianca: «Sono convinto
che assieme ai presidenti Obama e Abbas potremo
trovare un approccio nuovo per arrivare alla pace con i palestinesi,
sconfiggendo gli scettici e sorprendendo il mondo». Al tempo stesso Netanyahu
ha ribadito la richiesta all'Autorità palestinese di «riconoscere Israele come
Stato ebraico» come finora il presidente Abbas si è rifiutato di fare.
( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
Daniel Pipes "Ora i due Stati
sono più difficili" La mente dei neocon DAL CORRISPONDENTE DA NEW YORK
«Ecco quali sono le nuove idee che in mente Benjamin Netanyahu». Daniel Pipes,
direttore del Middle East Forum, è fra gli esperti di Medio Oriente americani
più al corrente degli umori di Gerusalemme e parla di «nuovo approccio al
negoziato». Di cosa si tratta? «Netanyahu appartiene a quegli israeliani che
non credono più alla soluzione dei due Stati, perché comporta la volontà da
parte dei palestinesi di accettare Israele come Stato ebraico. I palestinesi
hanno dimostrato di non averla, come anche di non essere in grado di creare
tale Stato. Dunque Netanyahu è portatore, come il ministro degli Esteri
Lieberman, di un approccio differente». Differente sotto quale aspetto? «Finora
i governi israeliani hanno dato la priorità alla creazione politica dello Stato
palestinese, negoziando su confini e forze di sicurezza, ora invece Netanyahu
ritiene che la priorità debba essere il consolidamento, economico e sociale, di
una società palestinese senza la quale uno Stato indipendente non può nascere.
Per Netanyahu l'errore commesso dai governi israeliani precedenti, da Oslo in
poi, è stato quello di dire "diamogli uno Stato e poi si pensa al
resto", ma questo approccio non ha funzionato perché i palestinesi hanno
dimostrato di non essere in grado di creare uno Stato indipendente, continuando
invece a dedicare energie e risorse ad attaccare Israele». Può
Barack Obama accettare questo nuovo approccio? «No ed è per questo che
Netanyahu ci arriverà per gradi. Quando arriverà a Washington si dirà in favore
dei due Stati ma lo farà con un linguaggio sufficientemente ambiguo da lasciare
la porta aperta ad altri tipi di soluzioni. Netanyahu non ha alcun
interesse a entrare in contrasto con Obama, farà di
tutto per evitarlo e dunque si concentrerà con lui a parlare di questioni
tecniche, non di grandi principi. In maniera simile a come faceva il premier
Yizhak Shamir quando veniva a Washington negli anni prima gli accordi di Oslo».
Israele sta ripensando gli accordi di Oslo? «La maggioranza degli israeliani,
secondo i sondaggi, resta a favore della soluzione dei due Stati ma l'umore sta
progressivamente cambiando. Oslo fu uno spartiacque perché da allora, nel 1993,
Usa e Israele hanno condiviso un approccio al negoziato con i palestinesi
fondato su progressive concessioni da parte di Israele al fine di far nascere
lo Stato palestinese. Ma a 16 anni da allora possiamo dire che è stato un
fallimento. Arafat a Camp David con Ehud Barack e poi Abu Mazen nel 2008 con
Ehud Olmert hanno rifiutato di portare a compimento il processo di Oslo. Dunque
ci avviamo a tornare alla fase pre-1993, quando c'era un disaccordo fra gli
Stati Uniti, che premevano per ottenere concessioni da Gerusalemme, e Israele,
che chiedeva prima di avere in cambio dei passi avanti da parte palestinese». \
( da "Repubblica, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 10 - Economia Tremonti,
stretta sui paradisi fiscali "Quei capitali frutto dell´evasione" E
nella Ue è scontro: "Lussemburgo come il Burkina Faso" Chi ha soldi
all´estero dovrà dimostrare di essere in regola con le tasse ANDREA BONANNI DAL
NOSTRO INVIATO BRUXELLES - E´ partito con una rissa ieri al consiglio Ecofin
quello che il ministro Tremonti ha definito «l´assedio ai paradisi fiscali» e
all´evasione fiscale che vi si consuma. Austria, Belgio e Lussemburgo si sono
lamentati apertamente con i partner europei per aver consentito che l´Ocse iscrivesse
i tre Paesi nella «lista grigia» dei paradisi fiscali: tra le capitali che
hanno preso impegni per porre fine alla pratica del segreto bancario ma non
hanno ancora adottato i necessari provvedimenti. «In molti paradisi - ha detto
il ministro dell´Economia - ci sono più società di panama che abitanti. Noi
stiamo lavorando, come Regno Unito, Francia e Germania, su alcune ipotesi, in parte simili a quanto leggo sul piano Obama». Tre le direttrici dell´iniziativa italiana contro l´evasione:
1) «inversione dell´onere della prova (se il capitale è depositato in un
paradiso si presume che sia originato da evasione salvo prova contraria); 2)
sanzioni aggravate se il capitale evaso viene depositato in un paradiso
fiscale; 3) più attenzione sui redditi nei paradisi». La pubblicazione
della lista Ocse, fortemente voluta da Francia e Germania, era stata decisa al
vertice del G20 a Londra (dove i tre paesi incriminati non erano
rappresentati). Ma il primo ministro lussemburghese Jean-Claude Juncker, che è
anche presidente dell´Eurogruppo, ha lasciato capire di sentirsi tradito dai
partner franco-tedeschi. La promessa di adeguarsi all´abolizione del segreto
bancario, secondo lui, era stata data in cambio dell´impegno a non denunciare
esplicitamente i tre governi che, applicando la direttiva europea sul
risparmio, ancora rifiutano di divulgare informazioni sull´identità dei clienti
delle proprie banche. Ieri, nel corso di una animata discussione che prelude ad
uno scontro ancora più duro al prossimo Ecofin di giugno, i tre «reprobi» hanno
fatto chiaramente intendere che, essendo venuto meno l´accordo pre-G20, ora
qualsiasi modifica della direttiva europea sul risparmio si scontrerà con il
loro veto. Poiché le decisioni in materia fiscale si devono prendere all´unanimità,
la battaglia si annuncia difficile. Una eco delle proteste è arrivata ieri in
sala stampa, quando il ministro delle Finanze ceco, Miroslav Kalousek, che ha
la presidenza di turno del consiglio Ecofin, si è scusato con i tre partner
comunitari. «Penso che questa lista non avrebbe dovuto essere pubblicata», ha
dichiarato in aperta polemica con francesi e tedeschi. Ma il suo collega di
Berlino, Peer Steinbrueck, è stato invece molto duro. «Non abbiamo niente di
cui scusarci, il fisco tedesco perde dei soldi e questo fa arrabbiare i
contribuenti onesti. Se non avessi questa evasione fiscale, potrei ridurre le
tasse e avrei soldi per l´istruzione, la ricerca e lo sviluppo e per le
infrastrutture». Steinbrueck ha rincarato la dose criticando Austria, Svizzera,
Belgio e Lussemburgo che avevano disertato una riunione sui paradisi fiscali
tenutasi a Parigi: «Certo li inviterò anche a Berlino, come inviterò il Burkina
Faso», ha commentato acido.
( da "Corriere della Sera" del
06-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera sezione: Esteri
data: 06/05/2009 - pag: 12 Espulsi due diplomatici, no alle manovre congiunte
Dal Cremlino un doppio sgarbo alla Nato MOSCA La ripresa delle relazioni tra
America e Russia è sempre più in difficoltà a seguito della crisi tra Mosca e
la Nato. Dopo l'espulsione di due diplomatici russi da Bruxelles per
spionaggio, la Russia si appresta a dichiarare persone non gradite due
funzionari della rappresentanza Nato a Mosca. E il ministro degli Esteri Lavrov
ha annunciato che non andrà alla riunione del consiglio Russia-Nato. A Mosca
l'espulsione dei due diplomatici viene vista come una provocazione, dato che è collegata
all'arresto di un agente estone avvenuto parecchi mesi fa («perché
proprio ora che sono in programma incontri tra Obama e
Medvedev?», si chiedono al Cremlino). Altrettanto ferma l'opposizione russa
alle manovre Nato-Georgia in corso da oggi a
( da "Corriere della Sera" del
06-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera sezione:
Economia data: 06/05/2009 - pag: 27 Il fronte Usa Il giudice non crede alle
minacce ai creditori Chrysler Il doppio tavolo con Obama E la stretta
con i vertici Gm Il top manager Fiat negli Usa. Si tratta anche sul Sudamerica
DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Da una maratona transatlantica all'altra: dopo
quella per Chrysler, conclusa a fine aprile, l'amministratore delegato della
Fiat ha ricominciato a correre a perdifiato per conquistare la Opel e le altre
attività europee e sudamericane della General Motors. La settimana
scorsa dall'America a Torino e a Montecarlo. Poi lunedì a Berlino. Ma da ieri
Sergio Marchionne è di nuovo negli Usa - a New York, Washington e Detroit -
perché stavolta l'azienda da acquisire è, sì, in Germania, ed ha bisogno per
sopravvivere del contributo finanziario del governo tedesco, ma la decisione
finale spetta pur sempre a chi la controlla: il capo di GM, Fritz Henderson. È
per questo che, davanti agli interlocutori tedeschi che continuano a parlare di
tempi lunghi, il manager italo-canadese ha sostenuto, invece, che anche su Opel
le decisioni andranno prese in fretta, entro maggio. Non è la ricerca di
improbabili scorciatoie, ma la consapevolezza che, in presenza di una crisi
globale grave che impone ristrutturazioni radicali e decisioni molto rapide, i
tempi dell'operazione, verosimilmente, saranno quelli voluti da Obama - il presidente che sta gestendo con molta
determinazione e in prima persona la crisi dell'industria automobilistica Usa -
più che quelli della politica tedesca, priva di una strategia precisa e
spaventata dall'imminenza di una delicata scadenza elettorale. Fin qui la Casa
Bianca ha sostenuto con grande determinazione lo sforzo della Fiat.
Probabilmente continuerà a farlo anche per quanto riguarda la Opel, e il suo
giudizio conta, visto che Henderson ha assunto la guida della GM dopo che Rick
Wagoner è stato defenestrato per esplicita volontà di Obama.
Che continua a procedere come un rullo compressore: gli uomini della sua «task
force» automobi-- listica stanno premendo sui sindacati e sui creditori GM per
chiudere un accordo di ristrutturazione entro maggio, ma tengono anche d'occhio
il tribunale di Manhattan che sta gestendo la bancarotta Chrysler. Questa
vicenda giudiziaria è destinata a influenzare anche la trattativa GM. Tra le
due aziende di Detroit, del resto, i punti di contatto sono diversi: fallita
Chrysler Financial, ad esempio, è stato deciso che sarà Gmac, il braccio
finanziario di GM, a prestare soldi a chi acquista veicoli non solo GM, ma anche
Chrysler. Con la Casa Bianca che va avanti a tappe forzate tra salvataggi
finanziari e nuovi strumenti di politica industriale - ieri ha concordato con
la maggioranza democratica in Congresso un sistema di incentivi alla
rottamazione che darà un aiuto di 4.500 dollari a un milione di automobilisti
pronti a sostituire vecchi veicoli con vetture a basso consumo - anche la
partita Opel verrà probabilmente gestita a Washington nella prospettiva di
un'integrazione con Fiat e Chrysler. Gli esperti di Obama
sembrano, infatti, condividere l'analisi del gruppo torinese circa la
necessità, per chi vuole restare sul mercato, di raggiungere una massa critica
produttiva di 5-6 milioni di vetture l'anno. Marchionne, probabilmente, non
deve temere una mancanza di appoggio ma, semmai, un abbraccio troppo caloroso.
Opel, anche se passerà a Fiat-Chrysler o verrà ceduta a un terzo, manterrà
necessariamente forti legami con GM, visto che molte tecnologie sviluppate
dall'azienda in Germania vengono utilizzate negli Usa, mentre i piani per una
vettura elettrica della Opel si basano sul progetto dalla GM americana per la
«Volt». Col governo Usa che sarà azionista di maggioranza di GM e che
controllerà anche il «board» di Chrysler (il 55% del capitale conferito ai
sindacati non avrà diritti di voto), i margini di manovra di Fiat saranno
quelli garantiti dalla sua capacità imprenditoriale di innovare, attrarre
clienti col suo stile, stare sul mercato con successo. Un'occasione unica per
la Fiat di essere protagonista di una ristrutturazione «storica» senza esborsi
di capitale, ma anche le incognite di questa pagina inedita del capitalismo.
C'è, ad esempio, chi scrive che il governo Usa potrebbe imporre anche al nuovo
capo di Chrysler (lo stesso Marchionne?) i tetti retributivi concepiti per i
banchieri che hanno ricevuto grosse iniezioni di capitale pubblico. E, poi, c'è
l'inedita vicenda di una procedura di bancarotta Chrysler che si apre con
l'avvocato dei creditori più ostinati che afferma che i suoi clienti sono stati
«maltrattati» da Obama e poi, dopo la bancarotta,
addirittura minacciati di morte da anonimi. Ma per il giudice Gonzalez, che ha
chiesto all'avvocato Lauria di consegnargli l'elenco dei creditori
«dissenzienti», queste minacce sono prive di consistenza. Il fallimento
Chrysler Creditori in fila davanti al Tribunale di New York per la bancarotta
del gruppo automobilistico Massimo Gaggi
( da "Corriere della Sera" del
06-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera sezione:
Economia data: 06/05/2009 - pag: 29 Il consiglio Ecofin Tremonti sui paradisi
fiscali vuole sanzioni più pesanti DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES - L'Italia si
mette in linea con la Germania, la Francia e gli Stati
Uniti di Barak Obama nell'attacco all'evasione delle tasse attuata nei paradisi
fiscali e con il segreto bancario, dando un seguito concreto alle decisioni
dell'ultimo vertice G20. Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti lo ha
annunciato a Bruxelles, dopo il Consiglio Ecofin dei ministri finanziari
dell'Ue, parlando di «assedio ai paradisi fiscali» e di voler procedere
anche indipendentemente dall'Ue e dalle valutazioni dell'Ocse facendo
riferimento alla «lista nera» italiana dei Paesi non collaborativi nello
scambio di informazioni sugli evasori. Il clima del dibattito europeo sui
centri offshore e sul segreto bancario è stato surriscaldato dal ministro delle
Finanze tedesco, il socialdemocratico Peer Steinbrueck, che ha paragonato la
extracomunitaria Svizzera e due Paesi membri, Lussemburgo e Austria, al Burkina
Faso. E ha poi rigettato la richiesta di scuse replicando che a causa delle
loro normative permissive «il fisco della Germania perde introiti e i
contribuenti onesti passano per imbecilli». Tremonti ha indicato un «cantiere
aperto » contro l'evasione fiscale. Ha mostrato un foglio con misure studiate
dal suo ministero e ha detto di «aver trovato conforto» nel ritrovarle
«nell'importante documento di Obama» contro i paradisi
fiscali, diffuso lunedì scorso. L'azione italiana punta a invertire l'onere
della prova a carico di chi ha usato i centri offshore. «Se un capitale è in un
paradiso fiscale si presume che sia prodotto dall'evasione fiscale, salvo prova
contraria », ha spiegato il ministro dell'Economia aggiungendo l'orientamento
ad «aumentare le sanzioni» per chi evade le tasse usando normative estere
(rispetto a chi lo fa in Italia). Tremonti ha dichiarato di voler «aumentare la
pressione» sui paradisi fiscali chiarendo di sapere bene perché in Paesi vicini
«ci sono più società di Panama che abitanti». Il ministro ha puntato l'indice
contro l'euroritenuta sui depositi dei cittadini stranieri, che consente a
Lussemburgo, Austria e Svizzera di mantenere il segreto bancario: «l'evasione
sta in piedi anche per il fatto che la refurtiva si può mettere al sicuro e hai
una direttiva europea che la protegge in cambio di un pagamento». Tremonti
considera questa direttiva eliminabile perché i governi Ue ora puntano al
rientro dei capitali degli evasori e solo il Lussemburgo si oppone duramente:
pur appoggiato da potenti lobby europee delle imprese e delle banche, simili a
quelle schieratesi negli Usa contro l'attacco di Obama
alla grande evasione fiscale. Il ministro dell'Economia ha escluso di aver
preso decisioni su un eventuale condono per il rientro dei capitali e ha
considerato essenziale il coinvolgimento dei comuni e il federalismo fiscale
per la lotta agli evasori. Tremonti ha commentato le previsioni economiche
della Commissione europea condividendo la stima di forte aumento del debito
pubblico (al 116,1% del pil nel 2010) e del deficit (al 4,4% del pil nel 2009)
e sostenendo che l'Italia «ha fatto meglio degli altri Paesi» perché le stime
sul disavanzo «sarebbero inferiori al 3% nel 2009 e nel 2010 se deputate dagli
effetti della crisi economica». Ha rassicurato sulla crescita italiana perché
«non era a la carte come in altri Paesi, cioè basata sul debito e sulla finanza
di carta». I dati sull'occupazione li ha definiti «non catastrofici »
aggiungendo che sono comunque pronti nove miliardi per intervenire. L'Ecofin ha
confermato che durante la crisi a Bruxelles saranno flessibili nella
valutazione dei conti pubblici nazionali, ma ha richiamato i governi
invitandoli a evitare i prepensionamenti e a tenere sotto controllo la spesa
previdenziale. Deficit Il ministro: al netto della crisi, l'Italia è l'unico
paese in Europa ad avere un deficit sotto il 3%, anche nel 2010 Evasione Il
ministro dell'Economia Giulio Tremonti Ivo Caizzi
( da "Corriere della Sera" del
06-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera sezione:
Opinioni data: 06/05/2009 - pag: 36 IL PERCORSO DELLA
PACIFICAZIONE Il nodo Iran tra Israele e Obama di FRANCO
VENTURINI SEGUE DALLA PRIMA Come poteva favorire i suoi progetti un nuovo
governo israeliano ultra-nazionalista e fortemente di destra malgrado la strana
partecipazione dei laburisti? Come si poteva trattare con il capofila dei
«falchi» nei panni di ministro degli Esteri? Queste inquietudini non
sono scomparse. Ma la maggiore cautela di Netanyahu, e il viaggio che Avigdor
Lieberman sta compiendo in Europa con Roma prima tappa, consigliano qualche
ripensamento in vista delle verifiche di Washington. Perché gli israeliani e Obama avranno in comune almeno un elemento fondamentale: la
volontà di cercare nuovi metodi e nuove idee rispetto a percorsi di
pacificazione già collaudati e già falliti. E anche perché, come tutti sanno,
soltanto un governo israeliano di destra può teoricamente permettersi di
rompere gli schemi. A Roma il ministro Lieberman ha detto cose non prive
d'interesse. Con il suo silenzio sul tema, non ha escluso che uno Stato
palestinese (finora sempre osteggiato) possa un giorno nascere. E ha insistito,
soprattutto, su un approccio nuovo al «dialogo» con i palestinesi, sulla
rinuncia agli slogan che non producono frutti, sulla necessità pragmatica di
affrontare per primi temi come la sicurezza, lo sviluppo economico, la
giustizia, la sanità, in modo da creare legami tra i due popoli che servano da
trampolino per affrontare le questioni politiche e territoriali. Sarebbe facile
obiettare che tra israeliani e palestinesi non si può parlare di sicurezza
senza parlare di politiche e di territori. Ma lo schema di Lieberman (e di
Netanyahu) sarà egualmente al centro del prossimo confronto «innovatore» con Obama, a prescindere dalla distanza iniziale tra i due
interlocutori. E' possibile che Netanyahu, magari più esplicitamente di
Lieberman, non escluda la nascita di uno Stato palestinese. Ma la strategia
israeliana sarà di puntare l'indice sulle influenze iraniane in Libano e a Gaza
(oltre che sulle sue mire nucleari) per spiegare che Gerusalemme non può
tendere seriamente la mano fino a quando la minaccia di Teheran le soffierà sul
collo. Dunque, accordo sì ma contro l'Iran e arruolando i molti Paesi arabi che
temono l'espansionismo di Ahmadinejad. Da parte americana (con l'accordo degli
europei) il ragionamento risulterà verosimilmente capovolto: per creare nuove
convergenze anti-iraniane in Medio Oriente occorre prima che Israele riduca gli
insediamenti invece di espanderli e valuti favorevolmente le proposte contenute
nel piano della Lega Araba (sempre respinto da Gerusalemme). Pur tra amici e
alleati quali sono Israele e Stati Uniti, dunque, il braccio di ferro è
assicurato. Anche a prescindere dai malumori israeliani verso le aperture di Obama a Teheran. Ma una volontà comune, il 18 maggio a
Washington, unirà le due parti: quella di cercare l'arma, tante volte
risolutiva, della novità.
( da "Corriere della Sera" del
06-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera sezione:
Opinioni data: 06/05/2009 - pag:
( da "Corriere della Sera" del
06-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera sezione: Tempo
Libero data: 06/05/2009 - pag: 17 Ciak Domani sera concerto sold out con il
«poeta» della West Coast e le sue canzoni ribelli Rabbie vitali e sogni
sfioriti Jackson Browne tra utopie e politica: 40 anni rock
dagli hippies a Obama C i risiamo: la crisi che sembra imperversare non tocca il
popolo del rock (e del pop). Per l'ennesima volta, presentiamo un concerto sold
out. Non c'è più un posto per vedere, domani al Ciak- Fabbrica del Vapore,
Jackson Browne, uno dei cantautori più «politici» d'America, di ritorno in
Lombardia dopo l'esibizione di tre anni fa al Vittoriale. Ennesimo
«tutto esaurito» perché in questi primi mesi del
( da "Corriere della Sera" del
06-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera sezione: Esteri
data: 06/05/2009 - pag: 14 Il reportage Viaggio nelle città europee
dell'integrazione difficile Il sindaco islamico di Rotterdam e gli sfratti
delle «ragazze in vetrina» Nel «laboratorio multietnico» polizia ovunque. In
tre anni sorpasso degli immigrati DAL NOSTRO INVIATO ROTTERDAM Da questo
scalone di marmo, nel municipio, scendeva cent'anni fa Louis Botha: generale
boero, primo capo del governo sudafricano fondato sull'apartheid, venuto in
visita alla terra degli antenati. E da questo stesso scalone, oggi, fra i busti
degli ammiragli che dominarono i mari coloniali, si affaccia il «nero» Ahmed
Abulateb, nato e cresciuto nel Rif marocchino, musulmano praticante, figlio di
un imam: eletto sindaco della città, 48 anni, l'Obama del Nord Europa. «Incredibile ha commentato Geert Wilders, il
vate dei popu-- listi in testa a tutti i sondaggi è come se un olandese
divenisse sindaco della Mecca». Ma non è la Mecca, questa. È il primo porto del
mondo, Rotterdam, città-laboratorio, 600mila abitanti al 46% immigrati da altri
continenti. Ogni mese, 400 nuovi immigrati. E nel
( da "Repubblica.it" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
KABUL - Oltre cento "non
combattenti" sono rimasti uccisi. Vittime civili, dunque. La polizia
afgana traccia così il primo bilancio dei raid aerei statunitensi nella zona di
Farah, nell'ovest dell'Afghanistan. Una cifra che conferma quella fatta da
alcune fonti locali (citate dal quotidiano britannico The Guardian) che parlano
di oltre 100 morti e raccontano di camion carichi di cadaveri arrivati a Bala
Baluk, capoluogo della provincia. Cifre che modificano, al rialzo, quelle
fornita dalla Croce Rosse che parlava di decine di vittime. La portavoce
Jessica Barry ha riferito che alcuni componenti dell'organizzazione hanno visto
case distrutte e decine di corpi: "C'erano donne e c'erano bambini uccisi.
A quanto pare, stavano cercando riparo nelle case quando sono stati
colpiti". Barry ha precisato che tra le vittime ci sono un volontario
della Mezzaluna rossa afgana e 13 componenti della sua famiglia. Il governatore
Rohul Amin ha detto che le vittime civili sono state causate dal fatto che i
miliziani avevano trovato riparo nelle abitazioni che sono poi state
bombardate: "E' una zona sotto controllo dei talebani - ha detto - non siamo
in grado di fare un bilancio ufficiale, ma ci sono stati morti tra i civili
perché usavano abitazioni civili per nascondersi". Sulle vittime civili
nella provincia di Farah è stata aperta un'indagine congiunta afgano-americana.
Una delegazione composta da rappresentanti dell'Onu, dell'esercito statunitense
e del ministero dell'Interno di Kabul si è recata nell'area dei raid. Le forze
a guida americana hanno ammesso di essere state coinvolte in combattimenti e
incursioni aeree nella zona, iniziati lunedì e proseguiti ieri.
OAS_RICH('Middle'); Il presidente afgano Hamid Karzaim che
oggi è a Washington per un vertice con il leader Usa Barack Obama e il capo dello Stato pachistano Asif Ali Zardari. ha definito
il massacro "inaccettabile e ingiustificabile". Annunciando
l'intenzione di parlarne con Obama. (6 maggio 2009
( da "Stampaweb, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama
KABUL La Croce rossa internazionale
conferma che diverse decine di civili, fra i quali molte donne e bambini, sono
morte lunedì notte nel corso di un raid aereo americano nell’ovest
dell’Afghanistan, nella provincia di Farah. «La nostra squadra ha visto i corpi senza vita di decine di
persone, fra le quali donne e bambini», ha dichiarato una portavoce della Croce
Rossa internazionale, Jessica Barry. «La maggior parte delle case interessate
(dal bombardamento) sono state ridotte in macerie. In diversi villaggi ci sono
stati dei funerali collettivi», ha aggiunto. «Uno dei nostri colleghi della
Croce rossa afgana è morto nei bombardamenti, e con lui 13 membri della sua
famiglia», ha continuato la portavoce. Tra lunedì e martedì dei violenti
combattimenti a terra, cui è seguito un intervento aereo americano, hanno
opposto i talebani alle forze di sicurezza afgane e alle forze internazionali
nel distretto di Bala Buluk nella provincia di Farah. Il presidente dell’Afghanistan,
Hamid Karzai, ha ordinato un’inchiesta sul bombardamento aereo delle forze della coalizione
nella provincia di Farah, costato la vita ieri a oltre 30 civili, secondo
quanto riportato dalle autorità locali. Oggi il presidente Karzai è a
Washington per un vertice alla Casa Bianca con il presidente degli Stati uniti,
Barack Obama e con il presidente del Pakistan, Asif
Ali Zardari. Secondo la polizia locale sarebbero oltre cento i «non
combattenti» rimasti uccisi nei raid aerei statunitensi in Afghanistan
occidentale. «Posso confermare che più di 100 non combattenti sono stati uccisi
nel corso di un’operazione nella provincia di Farah», ha detto
il capo della polizia Adbul Ghafar Watandar che in un primo tempo aveva parlato
di 30 civili uccisi.