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Report "Obama"  6-5-2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

Bernanke: la ripresa entro l'anno ( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: prevede un miglioramento grazie agli effetti del piano di stimoli da 787 miliardi di dollari voluto da Obama. Del resto già nel primo trimestre, con un Pil in contrazione del 6,1%, le spese per consumi hanno registrato un miglioramento inaspettato. La conferma in questo senso giunge dalle vendite dei grandi magazzini americani salite ad aprile dell'1,5% rispetto all'1,3% atteso.

"Con le piccole imprese il Piemonte risorgerà" ( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama, giustamente li ha chiamati pattume. Quando ho denunciato il ''pattume'' mi hanno guardato male e ho dovuto lasciare la Banca Popolare di Novara anche per questo». Quale sarà il futuro delle banche? «Partiamo intanto da una constatazione: nella storia degli istituti di credito non c'è mai stato un rendimento monetario così basso.

"Soldi off-shore uguale evasione" ( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Europa si ispirano al modello Obama di recupero fiscale Il piano Usa e gli impegni presi al G20 REGOLE DA RAFFORZARE Il tedesco Steinbrueck «La Svizzera e gli altri Paesi che difendono il segreto bancario sono come il Burkina Faso» [FIRMA]MARCO ZATTERIN CORRISPONDENTE DA BRUXELLES Un buon modello è quello di Mister Obama.

Ora la partita Fiat-Opel si sposta in Usa ( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: che entro la fine del mese dovrà presentare all'amministrazione Obama la versione definitiva del suo piano di ristrutturazione. Marchionne dovrebbe anche far presente - tanto al governo quanto a Gm - l'interesse del gruppo italiano anche per le attività in America latina. Sulla vicenda Opel resta alta l'attenzione in Germania.

"Abbiamo paura per le fabbriche in Italia" ( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: allarme dei sindacati ROBERTO GIOVANNINI «Obama e Merkel sono impegnatissimi sull'auto Il nostro esecutivo no» ROMA Inutile girarci troppo intorno. Sergio Marchionne imita Carlo V, e costruisce un Impero dell'Auto su cui non tramonta mai il sole, ma i lavoratori italiani e i sindacalisti che li rappresentano hanno una paura tremenda.

critiche e accuse in crisi il potere di ahmadinejad ( da "Repubblica, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Sullo sfondo i conservatori hanno iniziato a dividersi sul tipo di risposta da dare all´offerta di negoziato avanzata all´Iran dal presidente americano Barack Obama, una scelta che avrà di sicuro ripercussioni dirette sulla campagna elettorale e poi sul voto di giugno. (v. n.)

"obama ha cantato jesus chrysler..." ( da "Repubblica, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 6 - Economia Fiorello Show "Obama ha cantato Jesus Chrysler..." ROMA - «Subito dopo la firma, Obama era così contento che ha cantato Jesus Chrysler Supercar». Parola di Fiorello che dedica un passaggio del suo show alle campagne americana e tedesca di Fiat: «Dalla fusione tra Fiat e Chrysler uscirà un nuovo monovolume.

i sindacati opel: fiat taglierà 10mila posti - salvatore tropea ( da "Repubblica, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama per ottenere i finanziamenti per la sua sopravvivenza, ha come obiettivo principale il mantenimento degli impianti negli Stati Uniti, Canada e, per ragioni politiche, in Cina. Proprio per questo, appena ventiquattr´ore dopo i colloqui di Berlino, l´ad del Lingotto è arrivato a New York per fare con i legali il punto sullo stato del processo per la bancarotta pilotata di Chrysler,

TRA I BIMBI CLANDESTINI DI BROOKLYN ( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: A me ciò che interessa è soprattutto di avere degli insegnanti capaci proprio come chiede il presidente Obama» assicura una mamma trentenne afroamericana, che scende da un Suv e dice di «non far caso» al gran numero di ragazzi cinesi «perché a Brooklyn si vive così, senza prestare troppa attenzione a chi abbiamo seduto vicino al cinema o sul bus».

"Israele, basta insediamenti" ( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: tesa a far sapere a Gerusalemme cosa aspetta Netanyahu alla Casa Bianca quando arriverà il 18 maggio per incontrare Obama. A rafforzare il messaggio di Biden ci ha pensato Rahm Emanuel, capo di gabinetto del presidente, preannunciando alla platea un «energico impegno di Obama» per «raggiungere la soluzione dei due Stati» in pace e sicurezza in Medio Oriente.

"Ora i due Stati sono più difficili" ( da "Stampa, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Può Barack Obama accettare questo nuovo approccio? «No ed è per questo che Netanyahu ci arriverà per gradi. Quando arriverà a Washington si dirà in favore dei due Stati ma lo farà con un linguaggio sufficientemente ambiguo da lasciare la porta aperta ad altri tipi di soluzioni.

tremonti, stretta sui paradisi fiscali "quei capitali frutto dell'evasione" - andrea bonanni ( da "Repubblica, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: in parte simili a quanto leggo sul piano Obama». Tre le direttrici dell´iniziativa italiana contro l´evasione: 1) «inversione dell´onere della prova (se il capitale è depositato in un paradiso si presume che sia originato da evasione salvo prova contraria); 2) sanzioni aggravate se il capitale evaso viene depositato in un paradiso fiscale;

Dal Cremlino un doppio sgarbo alla Nato ( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: «perché proprio ora che sono in programma incontri tra Obama e Medvedev?», si chiedono al Cremlino). Altrettanto ferma l'opposizione russa alle manovre Nato-Georgia in corso da oggi a 70 chilometri dalle linee russe che proteggono la repubblica dell'Ossezia del Sud autoproclamatasi indipendente dopo la guerra di agosto.

Il doppio tavolo con Obama E la stretta con i vertici Gm ( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama E la stretta con i vertici Gm Il top manager Fiat negli Usa. Si tratta anche sul Sudamerica DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Da una maratona transatlantica all'altra: dopo quella per Chrysler, conclusa a fine aprile, l'amministratore delegato della Fiat ha ricominciato a correre a perdifiato per conquistare la Opel e le altre attività europee e sudamericane della General Motors.

Tremonti sui paradisi fiscali vuole sanzioni più pesanti ( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la Francia e gli Stati Uniti di Barak Obama nell'attacco all'evasione delle tasse attuata nei paradisi fiscali e con il segreto bancario, dando un seguito concreto alle decisioni dell'ultimo vertice G20. Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti lo ha annunciato a Bruxelles, dopo il Consiglio Ecofin dei ministri finanziari dell'Ue, parlando di «assedio ai paradisi fiscali»

Il nodo Iran tra Israele e Obama ( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 36 IL PERCORSO DELLA PACIFICAZIONE Il nodo Iran tra Israele e Obama di FRANCO VENTURINI SEGUE DALLA PRIMA Come poteva favorire i suoi progetti un nuovo governo israeliano ultra-nazionalista e fortemente di destra malgrado la strana partecipazione dei laburisti? Come si poteva trattare con il capofila dei «falchi» nei panni di ministro degli Esteri?

Tortura, una trappola per gli Usa ( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: parole del presidente Obama, «guardare al futuro e non al passato »? In realtà, e Obama l'ha capito al volo, quest'ultima soluzione appare impossibile, perché il rifiuto di esaminare il passato potrebbe gravare il futuro di rischi ancora maggiori. L'ex vicepresidente Dick Cheney ha affermato in diverse occasioni di non aver nessun rimpianto riguardo quelle che preferisce chiamare «

Rabbie vitali e sogni sfioriti ( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 40 anni rock dagli hippies a Obama C i risiamo: la crisi che sembra imperversare non tocca il popolo del rock (e del pop). Per l'ennesima volta, presentiamo un concerto sold out. Non c'è più un posto per vedere, domani al Ciak- Fabbrica del Vapore, Jackson Browne, uno dei cantautori più «politici» d'America, di ritorno in Lombardia dopo l'esibizione di tre anni fa al Vittoriale.

Il sindaco islamico di Rotterdam e gli sfratti delle ( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: l'Obama del Nord Europa. «Incredibile ha commentato Geert Wilders, il vate dei popu-- listi in testa a tutti i sondaggi è come se un olandese divenisse sindaco della Mecca». Ma non è la Mecca, questa. È il primo porto del mondo, Rotterdam, città-laboratorio, 600mila abitanti al 46% immigrati da altri continenti.

Afghanistan, raid aerei Usa La polizia: "Centinaia di civili uccisi" ( da "Repubblica.it" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente afgano Hamid Karzaim che oggi è a Washington per un vertice con il leader Usa Barack Obama e il capo dello Stato pachistano Asif Ali Zardari. ha definito il massacro "inaccettabile e ingiustificabile". Annunciando l'intenzione di parlarne con Obama. (6 maggio 2009

Raid aerei a Farah: "Oltre cento morti" ( da "Stampaweb, La" del 06-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: presidente Karzai è a Washington per un vertice alla Casa Bianca con il presidente degli Stati uniti, Barack Obama e con il presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari. Secondo la polizia locale sarebbero oltre cento i «non combattenti» rimasti uccisi nei raid aerei statunitensi in Afghanistan occidentale. «Posso confermare che più di 100 non combattenti sono stati uccisi nel corso di un?


Articoli

Bernanke: la ripresa entro l'anno (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

RIFLETTORI PUNTATI SUGLI «STRESS TEST»: DIECI BANCHE SU 19 DOVRANNO RAFFORZARE LA DOTAZIONE DI CAPITALI «Siamo impegnati a garantire la stabilità dei prezzi, tra rischi di infla/deflazione» Bernanke: la ripresa entro l'anno [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK. La locomotiva americana ripartirà entro la fine dell'anno, ma ci vorrà del tempo prima che torni a marciare a pieni regimi. Ben Bernanke è apparso più ottimista ieri dinanzi alla commissione bicamerale del Congresso. La sua diagnosi sullo stato di salute dell'economia americana è la meno drammatica dall'esplosione della crisi. «Prevediamo di star raggiungendo il fondo, la crescita dovrebbe riprendere entro la fine dell'anno», dice, precisando però che la ripresa sarà lenta. Bernanke ha riferito ad alcuni senatori di attendersi una crescita del Pil americano del 2% nel 2010 e del 4% nel 2011. Il presidente della Federal Reserve mette però in guardia famiglie e imprese a non lasciarsi trasportare dagli entusiasmi, perché le ricadute sociali della crisi dureranno ancora. Il riferimento è al mercato del lavoro che ha visto bruciati dall'inizio della recessione, nel dicembre 2007, 5,1 milioni di posti di lavoro. «La disoccupazione potrebbe rimanere elevata anche in presenza di una ripresa della crescita», e del resto la stima preliminare per aprile descrive un rialzo dell'indicatore di mercato all'8,9% dall'8,5% di marzo (quando ha segnato il massimo degli ultimi 25 anni), a causa della perdita di altre 610 mila posizioni. Il numero uno della Fed tuttavia non prevede la scalata a quota 10% entro fine anno annunciata da alcuni economisti, ma fissa il picco massimo ad un punto più in basso. Questo perché la velocità di contrazione dell'economia americana «sembra rallentare», mentre il mercato immobiliare sta mostrando «segni di stabilizzazione». Sul capitolo consumi, Bernanke prevede un miglioramento grazie agli effetti del piano di stimoli da 787 miliardi di dollari voluto da Obama. Del resto già nel primo trimestre, con un Pil in contrazione del 6,1%, le spese per consumi hanno registrato un miglioramento inaspettato. La conferma in questo senso giunge dalle vendite dei grandi magazzini americani salite ad aprile dell'1,5% rispetto all'1,3% atteso. E' andato meglio del previsto anche l'indice Ism servizi pur rimanendo ancora in una fase di contrazione. Del resto il timoniere della Fed è chiaro su questo punto: «Gli investimenti aziendali rimangono estremamente deboli», e sarà necessario attendere la fine dell'anno per assistere a una ricostituzione delle scorte di magazzino, mentre bisogna sperare nella ripresa delle altre economie per rilanciare le esportazioni Usa. Sul piano monetario la Fed «é impegnata a garantire la stabilità dei prezzi che attualmente si muove fra i rischi di inflazione e di deflazione». Bernanke sottolinea che la liquidità in eccesso sul mercato sarà ritirata in modo appropriato e ribadisce la richiesta di ottenere un ampliamento delle sue prerogative alle istituzioni non bancari, come i fondi d'investimento. Sul fronte finanziario dice invece che «molte banche saranno in grado di soddisfare i bisogni di nuovi capitali senza l'aiuto del governo». Il riferimento è ai risultati degli «stress test» condotti sulle 19 banche principali. Ma anche in questo caso esorta alla cautela perché in caso di «ricaduta delle condizioni del mercato finanziario avrebbe un effetto di freno sull'attività economica e potrebbe causare impedire l'inizio della ripresa». Meno positiva la percezione dei mercati: Wall Street dopo il rally degli ultimi giorni, ha visto ieri il Nasdaq perdere l'1,46% e il DJ cedere lo 0,56% sui timori legati all'esito degli esami. Secondo il Wall Street Journal 10 su 19 istituti dovranno rafforzare le dotazioni di capitali alla luce dei risultati. Tra queste ci sono Citigroup, Bank of America, Wells Fargo, e alcune banche regionali.

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"Con le piccole imprese il Piemonte risorgerà" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Intervista Siro Lombardini "Con le piccole imprese il Piemonte risorgerà" GIANFRANCO QUAGLIA NOVARA Sta lavorando attorno un'«opera omnia», che per ora ha il titolo provvisorio di «Banca e finanza». Nella sua casa di Chieri, Siro Lombardini, 85 anni, economista piemontese di larga fama, scruta dalle colline l'orizzonte che si perde sul Piemonte. Gli arrivano messaggi e telefonate, qualche settimana fa è venuto a trovarlo Romano Prodi, di cui il professore è stato docente. Il titolo del suo nuovo libro sarà anche provvisorio, ma è indicativo di una scelta precisa, di voler scandagliare la crisi e i dintorni, denunciare ciò che è accaduto in questi ultimi mesi. E' vero che lei, in tempi non sospetti, aveva previsto tutto? «Devo essere sincero. Da anni andavo dicendo e scrivendo che sarebbe accaduto. Sì, avevo previsto tutto tranne un particolare: non pensavo che il punto dolens sarebbe stata l'industria dell'auto». Ma ora, per quanto riguarda il Piemonte, siamo di fronte a una svolta positiva... «E' vero, ma la ripresa può arrivare non solo dall'auto. Il Piemonte, ad esempio, dovrebbe puntare anche sul turismo, ma con una politica turistica seria. E poi dare impulso alle piccole e medie imprese, anche nel settore agroalimentare. Il Piemonte è un territorio sano, sotto il profilo ambientale, ed è questa la sua forza. Se noi sapremo sviluppare queste potenzialità ce la faremo». Lei aveva previsto tutto, anche lo «tsunami» dei derivati e non aveva esitato a lanciare l'allarme quand'era presidente della Banca Popolare di Novara. A distanza di tempo è ancora di quell'avviso? «Più che mai. Un noto banchiere piemontese mi disse che di fronte ai derivati complessi lui stesso doveva rivolgersi a matematici per capirli e proporli. Pienamente d'accordo con lui. Tutti parlavano di prodotti finanziari e non si rendevano conto che erano solo scommesse. Obama, giustamente li ha chiamati pattume. Quando ho denunciato il ''pattume'' mi hanno guardato male e ho dovuto lasciare la Banca Popolare di Novara anche per questo». Quale sarà il futuro delle banche? «Partiamo intanto da una constatazione: nella storia degli istituti di credito non c'è mai stato un rendimento monetario così basso. Lo scenario che io intravedo è questo: ci saranno grandi banche, frutto di concentrazioni, ma non solo a livello italiano, direi europeo. E al tempo stesso sopravviveranno le piccole banche, voglio dire quelle radicate sul territorio, che punteranno su famiglie e le piccole imprese. Questo è l'indirizzo da percorrere e chi lo sta facendo raccoglie già risultati. E' difficile che le picole banche possano truffare i risparmiatori, il rapporto è troppo diretto».

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"Soldi off-shore uguale evasione" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

210 L'ORA DELLA SVOLTA LA GRANDE CRISI "Soldi off-shore uguale evasione" miliardi di dollari Il ministro: in certa piazze finanziarie vicine all'Italia ci sono più società di Panama che abitanti L'Italia e l'Europa si ispirano al modello Obama di recupero fiscale Il piano Usa e gli impegni presi al G20 REGOLE DA RAFFORZARE Il tedesco Steinbrueck «La Svizzera e gli altri Paesi che difendono il segreto bancario sono come il Burkina Faso» [FIRMA]MARCO ZATTERIN CORRISPONDENTE DA BRUXELLES Un buon modello è quello di Mister Obama. Giulio Tremonti assicura che l'offensiva contro i paradisi fiscali, ovvero i paesi con poche e lasche regole impositive in cui ogni anno spariscono miliardi di dollari scippati agli Erari di tutto il pianeta, è un cantiere che si è aperto col G20 londinese di aprile, una strada su cui «tutti si stanno in qualche modo muovendo» e sulla quale «anche noi lavoriamo». Visto che le decisioni europee in materia sono imbrigliate dal voto all'unanimità, il ministro del Tesoro è persuaso che «sia giunto il momento in cui ognuno riprenda la propria sovranità e faccia per conto suo». Magari seguendo l'esempio del piano - «molto importante» - con cui l'America intende andare a recuperare 210 miliardi di dollari di gettito perduto. E' la crisi che rende necessario l'«assedio» ai centri offshore. Ieri il consiglio Ecofin ha preso atto della recessione «profonda» fotografata dalle previsioni della Commissione Ue e ha discusso i possibili antidoti. Non si parla di nuovi piani di stimolo, mentre c'è parecchia preoccupazione per la disoccupazione che nella media è ormai a due cifre. «Pur in un contesto difficile - ha affermato Tremonti - l'Italia sta relativamente meglio degli altri. Il debito cresce di meno al netto del ciclo. I dati sui senza lavoro sono meno catastrofici e, comunque, abbiamo 9 miliardi in bilancio per intervenire con gli ammortizzatori sociali. Lo faremo se necessario. Non lasceremo nessuno per strada». Nell'attesa di sapere come andrà davvero, recuperare un po' di gettito non farebbe male. «Abbiamo visto dalle dichiarazioni dei redditi del 2007 che l'evasione resta un problema», ha affermato il ministro non senza polemica verso il governo Prodi «che doveva arrivare e far scomparire gli evasori». La soluzione sta nell'azione sui «paradisi fiscali» per correggere una direttiva europea sul risparmio che «non ha portato la Svizzera in Europa bensì l'Europa in Svizzera». Il piano di Barack Obama arriva nel momento giusto a dare il buon esempio. Tremonti ammette che lo deve ancora leggere a fondo, ma un'idea se l'è fatta. «E' un documento che non affronta solo i paradisi, ma anche quei paesi che hanno una fiscalità più bassa rispetto agli Stati Uniti». In pratica, pensa a ridurre la concorrenza fiscale, che si traduce in una costosa guerra al ribasso. Può salvare le casse pubbliche e l'economia vietando di attirare le imprese riducendo le aliquote sul lavoro e sul reddito. Un sistema più equo, annuisce il ministro. Che illustra il suo programma. Solo idee, precisa. Per ora. Tre punti per cominciare. Uno: inversione dell'onere della prova in cui si presuppone che chi ha portato i soldi offshore è un evasore sino a dimostrazione contraria. Due: sanzioni più severe per considerare «un'aggravante» il fatto di portare i capitali «prodotto dell'evasione» nei paradisi fiscali. Tre: una lista nera italiana che indichi centri offshore da considerare fra i cattivi. Il senso è chiaro: «In molte piazze finanziarie vicine all'Italia ci sono più società di Panama che abitanti». Occorre dunque un ripensamento generale, e il ministro non pare aver rinunciato all'idea di uno scudo fiscale anche se ieri «non abbiamo preso nessuna decisione». Il problema di fondo è nelle procedure legislative. La fine del segreto bancario è stata sancita dal G20, tuttavia la direttiva che se ne occupa è bloccata dai veti di chi non vuole cambiare. Argomento spinoso che ha portato uno scontro formidabile in seno all'Ecofin. Ha attaccato la Germania, col ministro Peer Steinbrueck che ha paragonato al Burkina Faso la Svizzera e i paesi Ue che praticano il segreto bancario (Austria, Belgio e Lussemburgo). Non l'ha digerita il premier del Granducato e numero uno dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, difeso dal presidente di turno ceco, Miroslav Kalousek. «Un errore mettere i tre stati nella lista grigia dei non cooperativi mentre stavano ammorbidendo le loro posizioni», ha detto. Ma Steinbrueck ha replicato: «Non chiedo scusa. Il fisco tedesco perde denaro e i contribuenti onesti fanno la parte degli imbecilli». Se ne riparlerà a giugno, per combinazione in Lussemburgo, dove l'Ecofin si riunisce sempre nel mese di giugno. Il cantiere dei lavori sui paradisi fiscali che si è aperto al G20 di Londra comincia a dare i suoi primi frutti. Prima della stretta annunciata ieri dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, lunedì anche Barack Obama si era lanciato all'attacco di paradisi fiscali ed evasori, annunciando norme più stringenti, attuate anche grazie a un rafforzamento del numero dei controllori. L'obiettivo è interrompere le pratiche illegali che consentono ad alcune imprese e a ricchi americani di evadere il fisco. Le nuove norme, che anche se approvate dal Congresso non entreranno in vigore prima del 2011, faranno risparmiare al governo 210 miliardi di dollari, da utilizzare - spiega Obama - «per ridurre il deficit, alleggerire il carico fiscale sulle famiglie di lavoratori e concedere agevolazioni alle imprese che creano innovazione e occupazione in America».

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Ora la partita Fiat-Opel si sposta in Usa (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

IL COMICO E L'INTESA IL RISIKO DELL'AUTO Ora la partita Fiat-Opel si sposta in Usa Il sindacato Uaw: «Incontreremo presto i nostri colleghi italiani» Fiorello Show «Jesus Chrysler Supercar» FRA EUROPA E AMERICA La fiducia del premier Berlusconi: «Credo che ce la faranno sarebbe un sogno per gli italiani» L'Ad del Lingotto: non chiuderemo nessuno stabilimento in Germania GIANLUCA PAOLUCCI FRANCESCO SEMPRINI New York, Washington, Detroit. Sono queste le tappe principali del nuovo viaggio in Usa di Sergio Marchionne, che dopo il breve soggiorno berlinese di lunedì è subito ripartito alla volta degli Usa. Marchionne farà un «giro» degli impianti di Chrysler per prendere un primo contatto con la realtà produttiva della casa di Detroit e seguirà l'evoluzione della procedura del Chapter 11 al tribunale di New York. Ma nell'agenda ci sarà ampio spazio anche per la vicenda tedesca. L'ennesimo viaggio, il quinto in poco più di un mese, sarà l'occasione per Marchionne per illustrare il suo progetto per Opel anche all'azionista della casa tedesca, General Motors, che entro la fine del mese dovrà presentare all'amministrazione Obama la versione definitiva del suo piano di ristrutturazione. Marchionne dovrebbe anche far presente - tanto al governo quanto a Gm - l'interesse del gruppo italiano anche per le attività in America latina. Sulla vicenda Opel resta alta l'attenzione in Germania. Klaus Franz, il rappresentante di Ig Metall nel consiglio di sorveglianza della Opel, ha detto che Marchionne avrebbe riferito di prevedere la chiusura dell'impianto tedesco di Kaiserslautern e di altri siti produttivi di Fiat/Opel in Gran Bretagna e in Italia, con tagli per 10 mila posti di lavoro. Da parte sua, nel corso di un'intervista alla Bild, Marchionne ha assicurato che il piano prevede il mantenimento di tutti e quattro gli impianti tedeschi della Opel, spiegando che solo uno - Kaiserslautern - potrebbe subire tagli. Analogo «progetto» quello svelato dalla Faz, che cita un documento elaborato da Fiat - e subito smentito dal Lingotto - con la previsione di chiudere tra l'altro anche Termini Imerese e Pomigliano. La reazione più dura è stata però quella del Ft Deutschland, che ha definito l'offerta italiana «una truffa con promessa di matrimonio». Intanto, il gruppo austro-canadese Magna entra ufficialmente nella gara, confermando di puntare al 20% del capitale Opel insieme con alcuni alleati. A mostrarsi fiducioso nel successo di Fiat è Silvio Berlusconi. Alla domanda se il Lingotto riuscira a conquistare Opel, il premier ha risposto: «Credo di sì, credo che tutti guardino a questo con interesse, e credo che questa operazione per gli italiani sia un sogno». Sul versante Chrysler, il sindacato Uaw ha chiarito di non aver interesse a rimanere azionista di lungo termine della nuova società che uscirà dal Chapter 11. «Non appena il fondo Veba se lo potrà permettere venderà le sue quote», dice il presidente del sindacato Ron Gettelfinger, spiegando che il ricavato andrà a finanziare parte dei piani di assistenza sanitaria per i pensionati. Era stato proprio questo il nodo del negoziato tra azienda, Tesoro e Uaw, assistito nel corso delle trattative dallo studio legale Cleary Gottlieb. Uaw avrà il 55% di Chrysler attraverso la Voluntary Employee Beneficiary Association, il fondo fiduciario designato a gestire i piani pensionistici. Il gruppo prevede di tornare in attivo solo nel 2012 ma se la «bancarotta chirurgica» della società sarà rapida l'alleanza con Fiat potrebbe sortire importanti effetti già a breve. Su questo si è dimostrato ottimista Gettelfinger che oltre ad annunciare incontri con i sindacati italiani nelle prossime settimane, è convinto in una soluzione rapida da parte del tribunale. «Certo rimangono fattori di rischio», dice, e uno di questi è l'opposizione dei creditori non-Tarp, quelli che non hanno ricevuto aiuti dal governo e che hanno fatto fallire l'accordo costringendo a procedere per il Chapter 11. Il loro ostruzionismo lunedì non ha però impedito al giudice del tribunale fallimentare, Arthur Gonzalez, di dare il via libera alla prima tranche di prestiti governativi per Chrysler da 4,5 miliardi e al pagamento di fornitori e concessionari. Il giudice ha inoltre messo in guardia Thomas Lauria, legale del manipolo di dissidenti, spiegando che se l'operazione dovesse fallire, ci rimetterebbero economicamente. Tanto che tra le loro file si sta assistendo a defezioni: il loro numero si è ridotto e la loro quota quasi dimezzata a circa 300 milioni di dollari. «Dalla fusione tra Fiat e Chrysler uscirà un nuovo Monovolume, un incrocio tra il Voyager della Chrysler e l'Ulisse della Fiat. Avrà un faro solo... si chiamerà la Polifemo». Nel suo Fiorello Show il comico non perde l'aggancio con l'attualità e propone anche battute sulla vicenda Fiat-Chrysler. Il mattatore in teatro ironizza sulle notizie legate alla casa automobilistica torinese, di cui è anche testimonial: «A proposito di Fiat - scherza Fiorello - sapete che Fabbrica Italiana Automobili Torino è anche una parola latina... Adesso hanno fatto un accordo con il Vaticano per celebrare la messa in latino... Così che si possa fare della pubblicità occulta con dei messaggi subliminali tipo "Fiat Voluntas Dei"... Certo che Marchionne ne sa una più del diavolo... Subito dopo la firma Obama era così contento che ha cantato: Jesus Chrysler Supercar...».

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"Abbiamo paura per le fabbriche in Italia" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

il caso Ora le tute blu temono di restare escluse dal progetto GOVERNO ASSENTE "Abbiamo paura per le fabbriche in Italia" Grido d'allarme dei sindacati ROBERTO GIOVANNINI «Obama e Merkel sono impegnatissimi sull'auto Il nostro esecutivo no» ROMA Inutile girarci troppo intorno. Sergio Marchionne imita Carlo V, e costruisce un Impero dell'Auto su cui non tramonta mai il sole, ma i lavoratori italiani e i sindacalisti che li rappresentano hanno una paura tremenda. Tra le fabbriche del Belpaese e quelle Chrysler c'è un Oceano di mezzo; se andasse in porto l'operazione con Opel, chiunque si rende conto che problemi di sovrapposizione industriale, produttiva, di modelli con le fabbriche della Gm Europa si potrebbero creare. Mettendo in pericolo i posti di lavoro e gli stabilimenti italiani. A cominciare da Pomigliano e Termini Imerese, già traballanti. La cosa va avanti da giorni: tutti i «tenori» delle organizzazioni sindacali, confederali e di categoria, chiedono a gran voce «un tavolo» con la Fiat e con il governo. «La Fiat ha discusso per la Chrysler col governo e i sindacati americani, sta discutendo per la Opel col governo e i sindacati tedeschi - spiega Beppe Farina, leader della Fim-Cisl a congresso nazionale - Credo che sarebbe giunto il momento che discutesse con il sindacato italiano e anche con il governo italiano». Per Farina non ci sono molti dubbi: «un eventuale accordo con Opel avrebbe rischi oggettivi per noi, problemi di sovrapposizione ci sono, per non parlare, in caso di di riassetto del gruppo, della possibile uscita della Fiat dal comparto auto». Al Congresso Fim c'è anche il numero uno della Fiom, Gianni Rinaldini. Su tanti temi è in disaccordo netto con Farina, su questo pare proprio di no. «Questa cosa di GM Europa è un fatto enorme - dice - potrebbe portare a nuovi assetti proprietari, visto che John Elkann stesso ipotizza la possibilità di una Fiat in minoranza nel nuovo gruppo. Richiederà insieme all'operazione Chrysler ingenti risorse. C'è il rischio di sovrapposizioni di mercato, ci sono dubbi sul futuro di Powertrain, di Magneti Marelli, Iveco». Di fronte a questo scenario, per Rinaldini «è incredibile che Marchionne e la Fiat non dicano niente ai lavoratori italiani. Per l'Italia, la Fiat non ha presentato nessun piano industriale. L'azienda ha il dovere di giocare a carte scoperte, e il governo ha il dovere di chiederglielo». Una preoccupazione diciamo di tipo «diplomatico» ce l'ha il segretario generale delle Uil Luigi Angeletti: «Non temiamo di confrontarci con stabilimenti più efficienti dei nostri - afferma - temiamo condizionamenti politici: che la Fiat accetti, gli si imponga, pur di comprare la Opel, di mantenere stabilimenti meno competitivi dei nostri». Insomma, che «la scelta degli stabilimenti da tenere aperti sia figlia non di una scelta industriale ma di condizionamenti politici magari da parte del governo tedesco». «Il governo italiano è il grande assente - denuncia il segretario confederale Cgil Susanna Camusso - Obama e Merkel sono impegnatissimi sull'auto, il nostro premier si occupa d'altro. E c'è il chiaro pericolo che il destino degli stabilimenti italiani sia deciso a un tavolo negoziale in Germania». Camusso ragiona sui rischi di avere «doppioni» produttivi, ma è preoccupata anche per le conseguenze sull'assetto della grande componentistica, come mostrano i casi di Bosch, Eaton e Oerlikon frizioni. Fiat silenziosa? A sentire quando si dice in Corso Marconi, sindacati, politici e governo sanno benissimo come stanno le cose. Lo scorso 22 gennaio, dopo la riunione del Consiglio di amministrazione Fiat, Sergio Marchionne disse chiaro e tondo ai leader dei sindacati dei metalmeccanici (incontrati in serata) che Pomigliano d'Arco e Termini Imerese erano a rischio. «Noi possiamo rispettare l'impegno a non toccare i livelli occupazionali - disse Marchionne - solo se saranno rispettate anche le condizioni a cui quell' impegno era stato preso». Ovvero, incrementi di produttività, più flessibilità, e altro ancora. Era il momento forse più drammatico della crisi, e ancora non erano arrivati gli incentivi per l'auto. Poi gli aiuti arrivarono: il ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola affermò che «l'aiuto al consumo» doveva «essere accompagnato dall'impegno al mantenimento degli stabilimenti italiani». Certo è che Marchionne lo scorso 27 marzo lo ha ripetuto: «Siamo disponibili ad aprire un confronto con tutti gli stakeholders, ma è necessario che tutti abbiano chiaro qual è la situazione». Insomma, quelle fabbriche sono oggettivamente a rischio.

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critiche e accuse in crisi il potere di ahmadinejad (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri A un mese dalle elezioni presidenziali Critiche e accuse in crisi il potere di Ahmadinejad Mentre l´ayatollah Khamenei revoca una sua decisione, contro di lui cresce il dissenso interno di chi lo ritiene politicamente inaffidabile A poche settimane dalle elezioni presidenziali del 12 giugno, la guida spirituale iraniana Alì Khamenei ha sconfessato pubblicamente il presidente Ahmadinejad, ordinando la revoca della rimozione del responsabile dell´organismo di Stato per l´Haji (il pellegrinaggio alla Mecca), un ente che Ahmadinejad voleva accorpare col ministero del Turismo. Khamenei nel comunicato pubblico con cui ha reso nota la sua decisione si è rivolto al suo rappresentante nell´organizzazione per i pellegrinaggi, e non direttamente al presidente di cui è stato grande protettore nella campagna elettorale del 2005 e durante tutto il suo mandato. Ieri in Iran si è aperto formalmente il periodo per registrare le candidature alle presidenziali: Ahmadinejad non ha annunciato ancora ufficialmente la sua ricandidatura, che da tutti viene data per certa. E la critica di Khamenei non significa affatto che la guida suprema non sostenga più "suo" presidente. Ma nel campo conservatore altre voci si levano contro Ahmadinejad. Innanzitutto quella del generale Mohsen Rezaie, ex potente capo dei Pasdaran, anche lui candidato come espressione di una delle correnti dell´area conservatrice. Sul suo blog, Rezaie ha attaccato il rivale Ahmadinejad accusandolo di aver portato lo stato iraniano «sull´orlo del precipizio», sostenendo che il presidente segue una politica «avventurosa», mentre bisognerebbe scegliere una via di mezzo tra «passività ed avventurismo». Un altro esponente del campo conservatore, Hassan Rowhani, che è il rappresentante di Khamenei nel Consiglio supremo di sicurezza nazionale, ha condannato a sua volta la «malamministrazione» di Ahmadinejad, sostenendo che le prossime elezioni saranno un confronto fra chi «difende lo status quo e chi vuole un Iran migliore». Sullo sfondo i conservatori hanno iniziato a dividersi sul tipo di risposta da dare all´offerta di negoziato avanzata all´Iran dal presidente americano Barack Obama, una scelta che avrà di sicuro ripercussioni dirette sulla campagna elettorale e poi sul voto di giugno. (v. n.)

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"obama ha cantato jesus chrysler..." (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Economia Fiorello Show "Obama ha cantato Jesus Chrysler..." ROMA - «Subito dopo la firma, Obama era così contento che ha cantato Jesus Chrysler Supercar». Parola di Fiorello che dedica un passaggio del suo show alle campagne americana e tedesca di Fiat: «Dalla fusione tra Fiat e Chrysler uscirà un nuovo monovolume. Avrà un faro solo, si chiamerà la Polifemo». Fiorello è stato testimonial della Fiat nel 2006.

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i sindacati opel: fiat taglierà 10mila posti - salvatore tropea (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Economia I sindacati Opel: Fiat taglierà 10mila posti Spuntano nuovi pretendenti. E Torino va in pressing su Gm-Sud America Boom di vendite della casa italiana in Germania: +142% raddoppiata la quota di mercato SALVATORE TROPEA TORINO - Le auto Fiat piacciono sempre di più ai tedeschi mentre per la Opel aumenta il numero dei pretendenti, veri o presunti tali, sul fronte opposto a quello del Lingotto. La partita sembra complicarsi in Europa, dove il sindacato Opel continua a opporsi al progetto paventando la perdita di 10mila posti. Sergio Marchionne si muove sempre più convinto che, da oggi al 31 maggio, il terreno di battaglia rimanga l´America dove l´ultima decisione spetterà alla casa madre Gm che, in risposta ai paletti posti da Barack Obama per ottenere i finanziamenti per la sua sopravvivenza, ha come obiettivo principale il mantenimento degli impianti negli Stati Uniti, Canada e, per ragioni politiche, in Cina. Proprio per questo, appena ventiquattr´ore dopo i colloqui di Berlino, l´ad del Lingotto è arrivato a New York per fare con i legali il punto sullo stato del processo per la bancarotta pilotata di Chrysler, prima di ripartire alla volta di Detroit. Nella "depressa" capitale americana dell´auto deve convincere della bontà dell´offerta fatta per Opel i vertici Gm che, secondo quanto riferiscono i negoziatori, continuano a pensare «alla grande», come se non fossero stati investiti dalla crisi. Forse trascurando anche la scadenza del 31 maggio nel tentativo di alzare il prezzo per la cessione della sua provincia in America del Sud. Oltre alla Opel, infatti, Torino manifesta interesse anche per le attività di Gm in America Latina, dove la sua punta di diamante è il marchio Chevrolet. Un sondaggio discreto condotto dai legali di Fiat in America ha poi rivelato che Obama considera positivamente l´offerta del Lingotto per la conquista di Opel che ieri Berlusconi ha definito «un sogno per tutti gli italiani». Non dovrebbero esserci problemi circa il rischio di obiezioni da parte della commissione antitrust europea prospettato ieri dall´istituto di analisi Global Insight, ritenuto dal Lingotto un ostacolo inesistente. In Germania intanto i dati del mercato di aprile mostrano una Fiat in costante espansione. Il mese scorso le vendite di auto sono aumentate del 19,4% sulla spinta degli incentivi. La Fiat è il gruppo che si è avvantaggiato più degli altri con un +142% in aggiunta al +213 di marzo. A farne le spese sono state Mercedes, Bmw e Audi, per dire i brand di fascia alta, mentre le case che producono vetture di battaglia hanno incrementato tutte le vendite ma non nella misura di Fiat che ha potuto raddoppiare la sua quota passando da 3,3 a 6,8. Questo risultato aiuta Marchionne al tavolo del negoziati per la Opel dove non ci sarebbero solo gli austro-canadesi di Magna in compagnia dei russi della Gaz ma anche altri aspiranti. Citando due fonti vicine alla Gm, ieri, il Financial Times ha scritto che tra gli interessati alla partita ci sarebbero i fondi sovrani di Abu Dhabi e Singapore più altri tre gruppi di private equity. In prima linea resta comunque Magna che ieri con un comunicato ha confermato i colloqui per l´ingresso nel capitale di Opel con la società tedesca, la Gm e il governo di Berlino. Frank Stronach, numero uno di Magna, in un intervista al giornale canadese Globe and Mail ha dichiarato addirittura che la loro intenzione è quella di conquistare una quota del 20% di Opel. Per farlo sarebbe supportato, ma lui non ne parla, dall´azienda automobilistica Gaz dell´oligarca russo Deripaska e dalla banca russa Sperbank.

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TRA I BIMBI CLANDESTINI DI BROOKLYN (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Maurizio Molinari TRA I BIMBI CLANDESTINI DI BROOKLYN Avenue P, ore 7,45. Al numero 99 della strada centrale di Bensonhurst, polmone multietnico di Brooklyn, si aprono i portoni della «Seth Low», una scuola pubblica che conta oltre 1200 alunni, il 70 per cento dei quali è composto da immigrati stranieri che in molti casi sono figli di clandestini. Basta guardare chi scende dalla lunga fila di scuolabus gialli che si fermano davanti all'entrata per accorgersi della forte presenza di cinesi in un'area dove storicamente le minoranze più numerose e visibili sono gli italiani e gli ebrei. «E' un fenomeno che registriamo in crescita da alcuni anni - spiega Joe Rizzi, titolare del doposcuola "Beacon" - ed ha portato ad un drastico cambiamento della popolazione scolastica». Anche perché le leggi dello Stato di New York obbligano ogni scuola dove «più di venti alunni parlano una identica lingua straniera» a offrirgli lezioni nel loro idioma d'origine. E' stato questo l'inizio dello sbarco di insegnanti bilingue, in cinese e inglese, che tengono oramai numerose classi aiutando gli alunni stranieri ad un progressivo inserimento fra i coetanei americani. Il punto è che nessuno è in grado di dire quanti di questi studenti cinesi siano legali o no. I regolamenti applicati dalla preside Denise Lewinsky non prevedono infatti la verifica dello status di legalità delle famiglie degli alunni. «Quando i genitori vengono da noi a iscrivere i figli - spiega Joe Rizzi - gli chiediamo un documento qualsiasi che attesti il domicilio nell'area urbana vicino alla scuola, e può essere anche solo una bolletta della luce pagata di recente, il certificato di nascita e i documenti della scuola di provenienza, dunque non ci interessa se i ragazzi siano figli di clandestini o no». E lo stesso avviene nelle altre scuole dello Stato di New York e del Paese. Il risultato è che la «Seth Low» al mattino e il doposcuola «Beacon» al pomeriggio consentono a alunni compresi fra i 10 e 18 anni di mischiarsi fra loro indipendentemente dalla validità o no dei documenti di permanenza negli Stati Uniti delle rispettive famiglie. Fra i genitori che accompagnano i figli di fronte al portone al numero 99 il tema dei «figli dei clandestini» non è troppo sentito. «A me ciò che interessa è soprattutto di avere degli insegnanti capaci proprio come chiede il presidente Obama» assicura una mamma trentenne afroamericana, che scende da un Suv e dice di «non far caso» al gran numero di ragazzi cinesi «perché a Brooklyn si vive così, senza prestare troppa attenzione a chi abbiamo seduto vicino al cinema o sul bus». Ciò che colpisce è come, fra i genitori che accompagnano i figli al mattino, padri e madri cinesi quasi non ci siano. I ragazzi con gli occhi a mandorla arrivano tutti ordinatamente a bordo degli scuolabus che li vanno a prendere lungo un percorso che attraversa Bensonhurst e dunque percorre le zone dove molti immigrati illegali risiedono. Ma la polizia di New York, che pure dà una caccia senza quartiere ai clandestini, si guarda bene dal tentare di sfruttare le informazioni in possesso della scuola per risalire a dove abitano famiglie di illegali. «Questa è solamente una scuola e le leggi dello Stato di New York come del governo federale - osserva una maestra di inglese che chiede l'anonimato - ci obbligano esclusivamente a fare del nostro meglio per educare i ragazzi che si iscrivono» senza peraltro pagare nulla perché si tratta di istituti pubblici. Il risultato dell'integrazione multietnica lo si vede soprattutto quando, alle 14,45, inizia il doposcuola perché gli oltre mille ragazzi si mischiano fra loro nella mensa per consumare gli «snack» come anche nella palestra e in grandi sale per fare i compiti assistiti da un team di insegnanti pomeridiane, fra le quali molte sono di lingua inglese proprio per andare incontro alle esigenze degli stranieri. E se qualcuno dubita dell'efficacia di questo modello la preside Lewinsky è pronta a rispondere facendo uscire dal cassetto della scrivania i riultati del sondaggio appena terminato fra le famiglie sulle «attese accademiche dell'anno scolastico»: il 55,6 per cento afferma che i risultati sono stati superiori alle previsioni.CONTINUA A PAGINA 8

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"Israele, basta insediamenti" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Nuovi equilibri in Medioriente L'affondo di Joe Biden all'arrivo del presidente Peres: "Così si sblocca il negoziato" Il premier israeliano replica: «Gli scettici saranno sconfitti Vi sorprenderemo» "Israele, basta insediamenti" La linea Obama Il suo vice ha parlato alla maggior associazione ebraica Usa «Dovete garantire i diritti dei palestinesi» Shimon il mediatore Arriva alla vigilia del delicato viaggio del premier Netanyahu «Per il nostro popolo la pace è la priorità» [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Joe Biden chiede a Israele di «lavorare per la soluzione dei due Stati» e Shimon Peres rassicura Barack Obama sulla «volontà di pace» del premier Benjamin Netanyahu. Nell'arco di poche ore Washington si è trasformata ieri nel palcoscenico delle tensioni che aleggiano fra Stati Uniti e Israele. Tutto è iniziato quando il vicepresidente americano è salito sul palco della conferenza annuale dell'Aipac - la maggiore organizzazione pro Israele degli Stati Uniti - per recapitare un messaggio esplicito al governo Netanyahu: «Israele deve lavorare per la soluzione dei due Stati, dovete cessare di costruire insediamenti, dovete smantellare gli avamposti illegali e consentire ai palestinesi libertà di movimento e l'accesso alle opportunità economiche». Mostrandosi consapevole dell'affondo Biden aveva preavvertito la platea con un «non vi piacerà cosa sto per dire» a conferma della volontà dell'amministrazione Obama di iniziare a recapitare a Israele una serie di richieste su cosa fare per sbloccare il negoziato in Medio Oriente. Biden ha poi anche fatto riferimento all'Autorità Nazionale Palestinese auspicando che «combatta il terrore e ponga fine alla diffusione di odio contro Israele», ma per chi era nell'aula del Centro conferenze è stata chiara la differenza di accenti, tesa a far sapere a Gerusalemme cosa aspetta Netanyahu alla Casa Bianca quando arriverà il 18 maggio per incontrare Obama. A rafforzare il messaggio di Biden ci ha pensato Rahm Emanuel, capo di gabinetto del presidente, preannunciando alla platea un «energico impegno di Obama» per «raggiungere la soluzione dei due Stati» in pace e sicurezza in Medio Oriente. Poche ore dopo, al fine di smussare le tensioni bilaterali, nello Studio Ovale è entrato il presidente israeliano Shimon Peres che è uno degli ideatori della soluzione dei due Stati avendo firmato nel 1993 gli accordi di Oslo assieme a Yitzhak Rabin e Yasser Arafat. «Dirò a Obama che la pace è la nostra priorità e che il primo ministro Netanyahu è intenzionato a non lesinare sforzi su questo terreno - ha detto Peres poco prima dell'incontro - perché il popolo ebraico da sempre aspira alla pace». Per rafforzare il messaggio Peres ha benedetto «in nome di Dio» gli «sforzi di pace di Obama» richiamandosi al suo discorso inaugurale: «In maniera molto elegante disse che avrebbe teso la mano agli avversari, ebbene Israele da sempre tende la mano ai popoli arabi cercando la pace». Al tempo stesso Peres ha però ribadito la necessità di «trovare una soluzione al nucleare iraniano che non minaccia solo Israele ma il mondo intero». Al termine del colloquio alla Casa Bianca Peres non ha rilasciato dichiarazioni riservandosi di portare a Netanyahu le impressioni tratte. Anche il premier ha comunque tentato di allentare le tensioni con l'amministrazione Usa pronunciando in diretta satellite un discorso all'Aipac che ha avuto per destinataria la Casa Bianca: «Sono convinto che assieme ai presidenti Obama e Abbas potremo trovare un approccio nuovo per arrivare alla pace con i palestinesi, sconfiggendo gli scettici e sorprendendo il mondo». Al tempo stesso Netanyahu ha ribadito la richiesta all'Autorità palestinese di «riconoscere Israele come Stato ebraico» come finora il presidente Abbas si è rifiutato di fare.

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"Ora i due Stati sono più difficili" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Daniel Pipes "Ora i due Stati sono più difficili" La mente dei neocon DAL CORRISPONDENTE DA NEW YORK «Ecco quali sono le nuove idee che in mente Benjamin Netanyahu». Daniel Pipes, direttore del Middle East Forum, è fra gli esperti di Medio Oriente americani più al corrente degli umori di Gerusalemme e parla di «nuovo approccio al negoziato». Di cosa si tratta? «Netanyahu appartiene a quegli israeliani che non credono più alla soluzione dei due Stati, perché comporta la volontà da parte dei palestinesi di accettare Israele come Stato ebraico. I palestinesi hanno dimostrato di non averla, come anche di non essere in grado di creare tale Stato. Dunque Netanyahu è portatore, come il ministro degli Esteri Lieberman, di un approccio differente». Differente sotto quale aspetto? «Finora i governi israeliani hanno dato la priorità alla creazione politica dello Stato palestinese, negoziando su confini e forze di sicurezza, ora invece Netanyahu ritiene che la priorità debba essere il consolidamento, economico e sociale, di una società palestinese senza la quale uno Stato indipendente non può nascere. Per Netanyahu l'errore commesso dai governi israeliani precedenti, da Oslo in poi, è stato quello di dire "diamogli uno Stato e poi si pensa al resto", ma questo approccio non ha funzionato perché i palestinesi hanno dimostrato di non essere in grado di creare uno Stato indipendente, continuando invece a dedicare energie e risorse ad attaccare Israele». Può Barack Obama accettare questo nuovo approccio? «No ed è per questo che Netanyahu ci arriverà per gradi. Quando arriverà a Washington si dirà in favore dei due Stati ma lo farà con un linguaggio sufficientemente ambiguo da lasciare la porta aperta ad altri tipi di soluzioni. Netanyahu non ha alcun interesse a entrare in contrasto con Obama, farà di tutto per evitarlo e dunque si concentrerà con lui a parlare di questioni tecniche, non di grandi principi. In maniera simile a come faceva il premier Yizhak Shamir quando veniva a Washington negli anni prima gli accordi di Oslo». Israele sta ripensando gli accordi di Oslo? «La maggioranza degli israeliani, secondo i sondaggi, resta a favore della soluzione dei due Stati ma l'umore sta progressivamente cambiando. Oslo fu uno spartiacque perché da allora, nel 1993, Usa e Israele hanno condiviso un approccio al negoziato con i palestinesi fondato su progressive concessioni da parte di Israele al fine di far nascere lo Stato palestinese. Ma a 16 anni da allora possiamo dire che è stato un fallimento. Arafat a Camp David con Ehud Barack e poi Abu Mazen nel 2008 con Ehud Olmert hanno rifiutato di portare a compimento il processo di Oslo. Dunque ci avviamo a tornare alla fase pre-1993, quando c'era un disaccordo fra gli Stati Uniti, che premevano per ottenere concessioni da Gerusalemme, e Israele, che chiedeva prima di avere in cambio dei passi avanti da parte palestinese». \

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tremonti, stretta sui paradisi fiscali "quei capitali frutto dell'evasione" - andrea bonanni (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 10 - Economia Tremonti, stretta sui paradisi fiscali "Quei capitali frutto dell´evasione" E nella Ue è scontro: "Lussemburgo come il Burkina Faso" Chi ha soldi all´estero dovrà dimostrare di essere in regola con le tasse ANDREA BONANNI DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES - E´ partito con una rissa ieri al consiglio Ecofin quello che il ministro Tremonti ha definito «l´assedio ai paradisi fiscali» e all´evasione fiscale che vi si consuma. Austria, Belgio e Lussemburgo si sono lamentati apertamente con i partner europei per aver consentito che l´Ocse iscrivesse i tre Paesi nella «lista grigia» dei paradisi fiscali: tra le capitali che hanno preso impegni per porre fine alla pratica del segreto bancario ma non hanno ancora adottato i necessari provvedimenti. «In molti paradisi - ha detto il ministro dell´Economia - ci sono più società di panama che abitanti. Noi stiamo lavorando, come Regno Unito, Francia e Germania, su alcune ipotesi, in parte simili a quanto leggo sul piano Obama». Tre le direttrici dell´iniziativa italiana contro l´evasione: 1) «inversione dell´onere della prova (se il capitale è depositato in un paradiso si presume che sia originato da evasione salvo prova contraria); 2) sanzioni aggravate se il capitale evaso viene depositato in un paradiso fiscale; 3) più attenzione sui redditi nei paradisi». La pubblicazione della lista Ocse, fortemente voluta da Francia e Germania, era stata decisa al vertice del G20 a Londra (dove i tre paesi incriminati non erano rappresentati). Ma il primo ministro lussemburghese Jean-Claude Juncker, che è anche presidente dell´Eurogruppo, ha lasciato capire di sentirsi tradito dai partner franco-tedeschi. La promessa di adeguarsi all´abolizione del segreto bancario, secondo lui, era stata data in cambio dell´impegno a non denunciare esplicitamente i tre governi che, applicando la direttiva europea sul risparmio, ancora rifiutano di divulgare informazioni sull´identità dei clienti delle proprie banche. Ieri, nel corso di una animata discussione che prelude ad uno scontro ancora più duro al prossimo Ecofin di giugno, i tre «reprobi» hanno fatto chiaramente intendere che, essendo venuto meno l´accordo pre-G20, ora qualsiasi modifica della direttiva europea sul risparmio si scontrerà con il loro veto. Poiché le decisioni in materia fiscale si devono prendere all´unanimità, la battaglia si annuncia difficile. Una eco delle proteste è arrivata ieri in sala stampa, quando il ministro delle Finanze ceco, Miroslav Kalousek, che ha la presidenza di turno del consiglio Ecofin, si è scusato con i tre partner comunitari. «Penso che questa lista non avrebbe dovuto essere pubblicata», ha dichiarato in aperta polemica con francesi e tedeschi. Ma il suo collega di Berlino, Peer Steinbrueck, è stato invece molto duro. «Non abbiamo niente di cui scusarci, il fisco tedesco perde dei soldi e questo fa arrabbiare i contribuenti onesti. Se non avessi questa evasione fiscale, potrei ridurre le tasse e avrei soldi per l´istruzione, la ricerca e lo sviluppo e per le infrastrutture». Steinbrueck ha rincarato la dose criticando Austria, Svizzera, Belgio e Lussemburgo che avevano disertato una riunione sui paradisi fiscali tenutasi a Parigi: «Certo li inviterò anche a Berlino, come inviterò il Burkina Faso», ha commentato acido.

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Dal Cremlino un doppio sgarbo alla Nato (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 06/05/2009 - pag: 12 Espulsi due diplomatici, no alle manovre congiunte Dal Cremlino un doppio sgarbo alla Nato MOSCA La ripresa delle relazioni tra America e Russia è sempre più in difficoltà a seguito della crisi tra Mosca e la Nato. Dopo l'espulsione di due diplomatici russi da Bruxelles per spionaggio, la Russia si appresta a dichiarare persone non gradite due funzionari della rappresentanza Nato a Mosca. E il ministro degli Esteri Lavrov ha annunciato che non andrà alla riunione del consiglio Russia-Nato. A Mosca l'espulsione dei due diplomatici viene vista come una provocazione, dato che è collegata all'arresto di un agente estone avvenuto parecchi mesi fa («perché proprio ora che sono in programma incontri tra Obama e Medvedev?», si chiedono al Cremlino). Altrettanto ferma l'opposizione russa alle manovre Nato-Georgia in corso da oggi a 70 chilometri dalle linee russe che proteggono la repubblica dell'Ossezia del Sud autoproclamatasi indipendente dopo la guerra di agosto. Dopo le proteste di Mosca, diversi paesi ex comunisti invitati hanno rinunciato a partecipare: Armenia, Estonia, Lettonia, Moldova, Kazakhstan e Serbia. F Dr.

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Il doppio tavolo con Obama E la stretta con i vertici Gm (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 06/05/2009 - pag: 27 Il fronte Usa Il giudice non crede alle minacce ai creditori Chrysler Il doppio tavolo con Obama E la stretta con i vertici Gm Il top manager Fiat negli Usa. Si tratta anche sul Sudamerica DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Da una maratona transatlantica all'altra: dopo quella per Chrysler, conclusa a fine aprile, l'amministratore delegato della Fiat ha ricominciato a correre a perdifiato per conquistare la Opel e le altre attività europee e sudamericane della General Motors. La settimana scorsa dall'America a Torino e a Montecarlo. Poi lunedì a Berlino. Ma da ieri Sergio Marchionne è di nuovo negli Usa - a New York, Washington e Detroit - perché stavolta l'azienda da acquisire è, sì, in Germania, ed ha bisogno per sopravvivere del contributo finanziario del governo tedesco, ma la decisione finale spetta pur sempre a chi la controlla: il capo di GM, Fritz Henderson. È per questo che, davanti agli interlocutori tedeschi che continuano a parlare di tempi lunghi, il manager italo-canadese ha sostenuto, invece, che anche su Opel le decisioni andranno prese in fretta, entro maggio. Non è la ricerca di improbabili scorciatoie, ma la consapevolezza che, in presenza di una crisi globale grave che impone ristrutturazioni radicali e decisioni molto rapide, i tempi dell'operazione, verosimilmente, saranno quelli voluti da Obama - il presidente che sta gestendo con molta determinazione e in prima persona la crisi dell'industria automobilistica Usa - più che quelli della politica tedesca, priva di una strategia precisa e spaventata dall'imminenza di una delicata scadenza elettorale. Fin qui la Casa Bianca ha sostenuto con grande determinazione lo sforzo della Fiat. Probabilmente continuerà a farlo anche per quanto riguarda la Opel, e il suo giudizio conta, visto che Henderson ha assunto la guida della GM dopo che Rick Wagoner è stato defenestrato per esplicita volontà di Obama. Che continua a procedere come un rullo compressore: gli uomini della sua «task force» automobi-- listica stanno premendo sui sindacati e sui creditori GM per chiudere un accordo di ristrutturazione entro maggio, ma tengono anche d'occhio il tribunale di Manhattan che sta gestendo la bancarotta Chrysler. Questa vicenda giudiziaria è destinata a influenzare anche la trattativa GM. Tra le due aziende di Detroit, del resto, i punti di contatto sono diversi: fallita Chrysler Financial, ad esempio, è stato deciso che sarà Gmac, il braccio finanziario di GM, a prestare soldi a chi acquista veicoli non solo GM, ma anche Chrysler. Con la Casa Bianca che va avanti a tappe forzate tra salvataggi finanziari e nuovi strumenti di politica industriale - ieri ha concordato con la maggioranza democratica in Congresso un sistema di incentivi alla rottamazione che darà un aiuto di 4.500 dollari a un milione di automobilisti pronti a sostituire vecchi veicoli con vetture a basso consumo - anche la partita Opel verrà probabilmente gestita a Washington nella prospettiva di un'integrazione con Fiat e Chrysler. Gli esperti di Obama sembrano, infatti, condividere l'analisi del gruppo torinese circa la necessità, per chi vuole restare sul mercato, di raggiungere una massa critica produttiva di 5-6 milioni di vetture l'anno. Marchionne, probabilmente, non deve temere una mancanza di appoggio ma, semmai, un abbraccio troppo caloroso. Opel, anche se passerà a Fiat-Chrysler o verrà ceduta a un terzo, manterrà necessariamente forti legami con GM, visto che molte tecnologie sviluppate dall'azienda in Germania vengono utilizzate negli Usa, mentre i piani per una vettura elettrica della Opel si basano sul progetto dalla GM americana per la «Volt». Col governo Usa che sarà azionista di maggioranza di GM e che controllerà anche il «board» di Chrysler (il 55% del capitale conferito ai sindacati non avrà diritti di voto), i margini di manovra di Fiat saranno quelli garantiti dalla sua capacità imprenditoriale di innovare, attrarre clienti col suo stile, stare sul mercato con successo. Un'occasione unica per la Fiat di essere protagonista di una ristrutturazione «storica» senza esborsi di capitale, ma anche le incognite di questa pagina inedita del capitalismo. C'è, ad esempio, chi scrive che il governo Usa potrebbe imporre anche al nuovo capo di Chrysler (lo stesso Marchionne?) i tetti retributivi concepiti per i banchieri che hanno ricevuto grosse iniezioni di capitale pubblico. E, poi, c'è l'inedita vicenda di una procedura di bancarotta Chrysler che si apre con l'avvocato dei creditori più ostinati che afferma che i suoi clienti sono stati «maltrattati» da Obama e poi, dopo la bancarotta, addirittura minacciati di morte da anonimi. Ma per il giudice Gonzalez, che ha chiesto all'avvocato Lauria di consegnargli l'elenco dei creditori «dissenzienti», queste minacce sono prive di consistenza. Il fallimento Chrysler Creditori in fila davanti al Tribunale di New York per la bancarotta del gruppo automobilistico Massimo Gaggi

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Tremonti sui paradisi fiscali vuole sanzioni più pesanti (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 06/05/2009 - pag: 29 Il consiglio Ecofin Tremonti sui paradisi fiscali vuole sanzioni più pesanti DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES - L'Italia si mette in linea con la Germania, la Francia e gli Stati Uniti di Barak Obama nell'attacco all'evasione delle tasse attuata nei paradisi fiscali e con il segreto bancario, dando un seguito concreto alle decisioni dell'ultimo vertice G20. Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti lo ha annunciato a Bruxelles, dopo il Consiglio Ecofin dei ministri finanziari dell'Ue, parlando di «assedio ai paradisi fiscali» e di voler procedere anche indipendentemente dall'Ue e dalle valutazioni dell'Ocse facendo riferimento alla «lista nera» italiana dei Paesi non collaborativi nello scambio di informazioni sugli evasori. Il clima del dibattito europeo sui centri offshore e sul segreto bancario è stato surriscaldato dal ministro delle Finanze tedesco, il socialdemocratico Peer Steinbrueck, che ha paragonato la extracomunitaria Svizzera e due Paesi membri, Lussemburgo e Austria, al Burkina Faso. E ha poi rigettato la richiesta di scuse replicando che a causa delle loro normative permissive «il fisco della Germania perde introiti e i contribuenti onesti passano per imbecilli». Tremonti ha indicato un «cantiere aperto » contro l'evasione fiscale. Ha mostrato un foglio con misure studiate dal suo ministero e ha detto di «aver trovato conforto» nel ritrovarle «nell'importante documento di Obama» contro i paradisi fiscali, diffuso lunedì scorso. L'azione italiana punta a invertire l'onere della prova a carico di chi ha usato i centri offshore. «Se un capitale è in un paradiso fiscale si presume che sia prodotto dall'evasione fiscale, salvo prova contraria », ha spiegato il ministro dell'Economia aggiungendo l'orientamento ad «aumentare le sanzioni» per chi evade le tasse usando normative estere (rispetto a chi lo fa in Italia). Tremonti ha dichiarato di voler «aumentare la pressione» sui paradisi fiscali chiarendo di sapere bene perché in Paesi vicini «ci sono più società di Panama che abitanti». Il ministro ha puntato l'indice contro l'euroritenuta sui depositi dei cittadini stranieri, che consente a Lussemburgo, Austria e Svizzera di mantenere il segreto bancario: «l'evasione sta in piedi anche per il fatto che la refurtiva si può mettere al sicuro e hai una direttiva europea che la protegge in cambio di un pagamento». Tremonti considera questa direttiva eliminabile perché i governi Ue ora puntano al rientro dei capitali degli evasori e solo il Lussemburgo si oppone duramente: pur appoggiato da potenti lobby europee delle imprese e delle banche, simili a quelle schieratesi negli Usa contro l'attacco di Obama alla grande evasione fiscale. Il ministro dell'Economia ha escluso di aver preso decisioni su un eventuale condono per il rientro dei capitali e ha considerato essenziale il coinvolgimento dei comuni e il federalismo fiscale per la lotta agli evasori. Tremonti ha commentato le previsioni economiche della Commissione europea condividendo la stima di forte aumento del debito pubblico (al 116,1% del pil nel 2010) e del deficit (al 4,4% del pil nel 2009) e sostenendo che l'Italia «ha fatto meglio degli altri Paesi» perché le stime sul disavanzo «sarebbero inferiori al 3% nel 2009 e nel 2010 se deputate dagli effetti della crisi economica». Ha rassicurato sulla crescita italiana perché «non era a la carte come in altri Paesi, cioè basata sul debito e sulla finanza di carta». I dati sull'occupazione li ha definiti «non catastrofici » aggiungendo che sono comunque pronti nove miliardi per intervenire. L'Ecofin ha confermato che durante la crisi a Bruxelles saranno flessibili nella valutazione dei conti pubblici nazionali, ma ha richiamato i governi invitandoli a evitare i prepensionamenti e a tenere sotto controllo la spesa previdenziale. Deficit Il ministro: al netto della crisi, l'Italia è l'unico paese in Europa ad avere un deficit sotto il 3%, anche nel 2010 Evasione Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti Ivo Caizzi

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Il nodo Iran tra Israele e Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 06/05/2009 - pag: 36 IL PERCORSO DELLA PACIFICAZIONE Il nodo Iran tra Israele e Obama di FRANCO VENTURINI SEGUE DALLA PRIMA Come poteva favorire i suoi progetti un nuovo governo israeliano ultra-nazionalista e fortemente di destra malgrado la strana partecipazione dei laburisti? Come si poteva trattare con il capofila dei «falchi» nei panni di ministro degli Esteri? Queste inquietudini non sono scomparse. Ma la maggiore cautela di Netanyahu, e il viaggio che Avigdor Lieberman sta compiendo in Europa con Roma prima tappa, consigliano qualche ripensamento in vista delle verifiche di Washington. Perché gli israeliani e Obama avranno in comune almeno un elemento fondamentale: la volontà di cercare nuovi metodi e nuove idee rispetto a percorsi di pacificazione già collaudati e già falliti. E anche perché, come tutti sanno, soltanto un governo israeliano di destra può teoricamente permettersi di rompere gli schemi. A Roma il ministro Lieberman ha detto cose non prive d'interesse. Con il suo silenzio sul tema, non ha escluso che uno Stato palestinese (finora sempre osteggiato) possa un giorno nascere. E ha insistito, soprattutto, su un approccio nuovo al «dialogo» con i palestinesi, sulla rinuncia agli slogan che non producono frutti, sulla necessità pragmatica di affrontare per primi temi come la sicurezza, lo sviluppo economico, la giustizia, la sanità, in modo da creare legami tra i due popoli che servano da trampolino per affrontare le questioni politiche e territoriali. Sarebbe facile obiettare che tra israeliani e palestinesi non si può parlare di sicurezza senza parlare di politiche e di territori. Ma lo schema di Lieberman (e di Netanyahu) sarà egualmente al centro del prossimo confronto «innovatore» con Obama, a prescindere dalla distanza iniziale tra i due interlocutori. E' possibile che Netanyahu, magari più esplicitamente di Lieberman, non escluda la nascita di uno Stato palestinese. Ma la strategia israeliana sarà di puntare l'indice sulle influenze iraniane in Libano e a Gaza (oltre che sulle sue mire nucleari) per spiegare che Gerusalemme non può tendere seriamente la mano fino a quando la minaccia di Teheran le soffierà sul collo. Dunque, accordo sì ma contro l'Iran e arruolando i molti Paesi arabi che temono l'espansionismo di Ahmadinejad. Da parte americana (con l'accordo degli europei) il ragionamento risulterà verosimilmente capovolto: per creare nuove convergenze anti-iraniane in Medio Oriente occorre prima che Israele riduca gli insediamenti invece di espanderli e valuti favorevolmente le proposte contenute nel piano della Lega Araba (sempre respinto da Gerusalemme). Pur tra amici e alleati quali sono Israele e Stati Uniti, dunque, il braccio di ferro è assicurato. Anche a prescindere dai malumori israeliani verso le aperture di Obama a Teheran. Ma una volontà comune, il 18 maggio a Washington, unirà le due parti: quella di cercare l'arma, tante volte risolutiva, della novità.

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Tortura, una trappola per gli Usa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 06/05/2009 - pag: 36 L'AMERICA TRA DIRITTI E SICUREZZA Tortura, una trappola per gli Usa di IAN BURUMA Q uando gli venne chiesto, nel settembre 2006, se si fossero incontrati ostacoli particolari negli interrogatori dei prigionieri «di alto profilo» a Guantánamo e altrove, il presidente George W. Bush pronunciò le celebri parole: «Noi non usiamo la tortura». La definizione di tortura è notoriamente sfuggevole, ma già da tempo sappiamo che l'ex presidente intendeva, come si suol dire, economizzare sulla verità. Come minimo, gli interrogatori dei prigionieri contravvenivano alla Convenzione di Ginevra, ratificata dal governo americano, che vieta «ogni trattamento crudele, disumano o degradante». Legare un uomo a un asse e versargli l'acqua in faccia fino a sfiorare l'annegamento, oppure lasciare il detenuto nudo e coperto di escrementi, in piedi, con le mani legate sopra la testa per giorni, finché le sue gambe si gonfiano a dismisura, forse non corrispondono a tortura nelle disposizioni emanate dai legali del governo, pur essendo tali pratiche crudeli, disumane e degradanti. Il primo intervento di Barack Obama, nel suo ruolo presidenziale, è stato quello di mettere subito al bando la tortura. Il problema adesso è come fare i conti con il passato, e in modo specifico con il fatto che queste azioni non sono state semplicemente condonate, bensì ordinate dai massimi rappresentanti del governo americano. Che fare allora, processare i responsabili, compreso l'ex presidente, per aver violato la legge? Rendere pubblici tutti i particolari di queste operazioni? Istituire una commissione speciale per condurre le indagini? O non sarebbe forse meglio, nelle parole del presidente Obama, «guardare al futuro e non al passato »? In realtà, e Obama l'ha capito al volo, quest'ultima soluzione appare impossibile, perché il rifiuto di esaminare il passato potrebbe gravare il futuro di rischi ancora maggiori. L'ex vicepresidente Dick Cheney ha affermato in diverse occasioni di non aver nessun rimpianto riguardo quelle che preferisce chiamare «tecniche pesanti» di interrogatorio, come il finto annegamento, perché hanno messo «il Paese al riparo» da ulteriori attacchi terroristici. Il bando emanato da Obama, a suo parere, lascia l'America «indifesa». Si capisce pertanto che in questo momento, con il Paese dilaniato dal «dibattito sulla tortura», la posta in gioco è altissima. Da un lato ci sono Cheney e i suoi alleati, che vedono la tortura in termini pratici: se esiste una minaccia grave alla nostra sicurezza collettiva, persino la democrazia più liberale deve sporcarsi le mani. Sul versante opposto troviamo coloro che condannano la tortura in modo assoluto, come un abominio morale, inammissibile sempre e comunque. È questa, in realtà, la posizione legale di coloro che hanno ratificato la Convenzione di Ginevra. Non sono questi, tuttavia, i parametri sui quali infuriano oggi le polemiche sulla tortura negli Stati Uniti. Per comprensibili ragioni, molti sostenitori della decisione di Obama di abolire la tortura controbattono alla posizione pragmatica di Cheney con una tesi ugualmente realistica, affermando che la tortura non è il sistema migliore per tutelare la nostra sicurezza. Sopraffatto dal dolore, il prigioniero è pronto a dire qualsiasi cosa, fornendo così informazioni poco affidabili. I critici di Cheney propendono invece per tecniche di interrogatorio più sofisticate, che si rivelano non soltanto più umane (e lecite), ma anche più efficaci. Per spiegare questo punto all'opinione pubblica, la quale, negli Stati Uniti, è ancora facilmente persuasa dalle argomentazioni di Cheney, e cioè che la tortura è giustificata se salva vite umane, diversi analisti e politici liberali hanno invocato la creazione di una commissione speciale che faccia chiarezza sui misfatti della precedente amministrazione. Questo servirà, a loro avviso, a dimostrare inconfutabilmente che la tortura è controproducente. Non solo danneggia gravemente l'immagine del Paese, e lo stato di diritto, ma rischia di far aumentare, anziché diminuire, gli episodi di terrorismo. I vantaggi intellettuali e politici di tale posizione sono palesi. L'attuale governo non può permettersi di cadere nella trappola di Cheney e addossarsi la responsabilità di eventuali futuri attacchi terroristici, solo per aver abolito la tortura. Ma sono questi i termini corretti sui quali costruire il dibattito? Se la tortura è un male assoluto, qualunque siano le circostanze, la questione dell'efficacia se funziona spesso, raramente o mai diventa irrilevante. Anzi, impostando il dibattito su questa linea si corre il pericolo di annacquare il principio morale. Resta da chiedersi perché è necessario condannare irrevocabilmente la tortura, mentre altre azioni di guerra, come i bombardamenti, che causano maggiori danni in termini di vite umane, appaiono accettabili come azioni difensive. Anche i bombardamenti, ovviamente, possono risultare crimini di guerra se utilizzati come atto di terrore contro una popolazione disarmata. Talvolta, però, l'uccisione e il ferimento dei civili è conseguenza di operazioni militari che non possono essere classificate automaticamente come crimini di guerra. Questo è vero, purché l'obiettivo principale non sia quello di infliggere deliberatamente dolore o umiliazione a un individuo inerme anche se nemico. Nel caso della tortura, l'obiettivo invece è proprio questo. Ecco perché la tortura si distingue da altre azioni belliche. traduzione di Rita Baldassarre

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Rabbie vitali e sogni sfioriti (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Tempo Libero data: 06/05/2009 - pag: 17 Ciak Domani sera concerto sold out con il «poeta» della West Coast e le sue canzoni ribelli Rabbie vitali e sogni sfioriti Jackson Browne tra utopie e politica: 40 anni rock dagli hippies a Obama C i risiamo: la crisi che sembra imperversare non tocca il popolo del rock (e del pop). Per l'ennesima volta, presentiamo un concerto sold out. Non c'è più un posto per vedere, domani al Ciak- Fabbrica del Vapore, Jackson Browne, uno dei cantautori più «politici» d'America, di ritorno in Lombardia dopo l'esibizione di tre anni fa al Vittoriale. Ennesimo «tutto esaurito» perché in questi primi mesi del 2009, a Milano, i biglietti sono finiti per gli Ac/Dc e Tiziano Ferro, per Laura Pausini e Antony. Fino a, storia di ieri o ier l'altro, Scott Matthew, gli Yeah Yeah Yeahs e PJ Harvey. Come si vede, accade a prescindere dai gusti e dai luoghi, che si tratti di proposte di nicchia o di eroi nazionalpopolari, del Forum o dei Magazzini Generali. La gente ha bisogno di stare insieme, dei terapeutici ed esorcizzanti effetti della musica. E chi meglio di Browne può riuscirvi? Il «poeta» della West Coast, classe 1948, ha sempre ben rappresentato il concetto di «rock come comunità », lungo una carriera in cui non ha mai smesso di coniugare divertimento e impegno. Con quella faccia così americana, per poco incorniciata da un bianco pizzetto, come appariva sull'ultima copertina del disco uscito nell' autunno scorso «Time the Conqueror», Browne, sulla scia di Dylan e insieme a Springsteen, ha percorso un quarantennio di storia Usa, sempre sapendo da quale parte stare. Dall'impegno hippy al Village newyorchese nei 60, alla ferrea opposizione allo yuppismo reaganiano negli 80, fino alle crociate contro le guerre dei Bush padre e figlio. E di Iraq, di uragano Katrina e dei sogni sfioriti del '68 parla quest'ultimo suo lavoro, scritto e composto ben prima dell'avvento di Obama. Che Browne ha sostenuto, come aveva fatto con Ralph Nader nel 2000 e John Kerry nel 2004. Figurarsi quando il cantante ha scoperto che John McCain nella scorsa campagna ha utilizzato una delle sue canzoni più celebri «Running on Empty» per dare addosso all'avversario: causa milionaria al vecchio senatore con nota dell'avvocato: «Jackson Browne è da sempre conosciuto come progressista e attivo sostenitore dei democratici. Associare la sua voce e la sua musica a uno spot che critica Barack Obama è per lui anatema». La causa è ancora in corso, mentre McCain è già stato archiviato in cronaca. Chitarra Jackson Browne, 61 anni. Il suo ultimo album, «Time the Conqueror», canta di Iraq e dell'uragano Katrina Matteo Cruccu CIAK, via Procaccini 4, domani, ore 21, ingr. 46-63 euro (tutto esaurito)

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Il sindaco islamico di Rotterdam e gli sfratti delle (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 06/05/2009 - pag: 14 Il reportage Viaggio nelle città europee dell'integrazione difficile Il sindaco islamico di Rotterdam e gli sfratti delle «ragazze in vetrina» Nel «laboratorio multietnico» polizia ovunque. In tre anni sorpasso degli immigrati DAL NOSTRO INVIATO ROTTERDAM Da questo scalone di marmo, nel municipio, scendeva cent'anni fa Louis Botha: generale boero, primo capo del governo sudafricano fondato sull'apartheid, venuto in visita alla terra degli antenati. E da questo stesso scalone, oggi, fra i busti degli ammiragli che dominarono i mari coloniali, si affaccia il «nero» Ahmed Abulateb, nato e cresciuto nel Rif marocchino, musulmano praticante, figlio di un imam: eletto sindaco della città, 48 anni, l'Obama del Nord Europa. «Incredibile ha commentato Geert Wilders, il vate dei popu-- listi in testa a tutti i sondaggi è come se un olandese divenisse sindaco della Mecca». Ma non è la Mecca, questa. È il primo porto del mondo, Rotterdam, città-laboratorio, 600mila abitanti al 46% immigrati da altri continenti. Ogni mese, 400 nuovi immigrati. E nel 2012, ha comunicato ieri il Comune, gli immigrati saranno più degli olandesi «nativi ». È «la diga sul fiume Rotte», questo significa il nome, che ha fatto saltare molte altre dighe culturali e sociali. Sempre un passo avanti a tutti: quando ad Amsterdam i «coffeeshop» degli spinelli e le ragazze in vetrina erano una rarità, qui erano già una tradizione; e quando a L'Aja non si vedeva una ragazza velata, qui (nel 1962!) era già aperta una moschea. Ora le moschee sono 4. E Abulateb è solo la conferma finale. Botha è stato l'inizio. Lui, o Willem Schalk e i 342 che salparono sulla nave Dordrecht nel 1658, per il Capo di Buona Speranza. Se mai ci fu una società basata sulla razza, fu la loro. Il loro apartheid, il non «mescolarsi» ad altre etnie, fu una fede. Ribadita, secoli dopo, dalla genetica: gli scienziati hanno studiato 230 persone, non imparentate fra loro, residenti in Sudafrica e colpite dalla Corea di Huntington, una malattia genetica del sistema nervoso; ripercorsi gli alberi genealogici per 14 generazioni, si è visto che discendevano tutti da 5 famiglie vissute 400 anni fa in rigido apartheid, al Capo. Ma se queste sono le radici, come ha potuto nascere qui la capitale dell'integrazione? «Domanda mal posta dice Henri, studente di Scienze sociali nell'università intitolata a Erasmo . La rovesci: con un porto così, e con un impero coloniale, da Curaçao a Sumatra, che un giorno si è rovesciato tutto qui, come non avrebbe potuto succedere?». E così eccola, la macedonia etnico-sociale. Prima regola: la polizia è dappertutto. Secondo: ciò che non è proibito, è consentito; ma se fai qualcosa di proibito, sono guai. Quasi ogni mese viene sfrattata una «ragazza in vetrina», o un coffeeshop: «Non colpiamo gli utenti, ma la criminalità », spiegano al comando della polizia. Nei giardini, gli impiegati in pausa divorano cartocci di aringhe (piatto nazionale olandese) e bumbu-bumbu, spezie indonesiane; i ragazzi pattinano sull'onda dell'hindipop (versione asiatica dell'hip-hop). Passa in bici una ragazza velata, e intorno a lei una coppia su tre è mista. Bianchi, neri, tutti cittadini olandesi. Ma non automaticamente: in Olanda chi vuole la residenza permanente deve superare un corso di integrazione, lingua e cultura civica, che dura 3 anni. Se non vieni dalla Ue, devi pagare 270 euro: «E io l'ho fatto», dice orgoglioso Dong-Tai, venditore di frittelle cinesi, uno dei tanti. Non sempre la macedonia etnica ha funzionato bene. Quando, anni fa, l'immigrazione musulmana giunse al culmine, proprio da Rotterdam si levò la voce di Pim Fortuyn, che nei musulmani indicava una minaccia mortale. Lo uccise un esaltato, e quella ferita non si è rimarginata. Però il laboratorio è ancora aperto. Confronti Navi nel porto di Rotterdam. A destra, donne davanti al Tribunale Afp Luigi Offeddu loffeddu@rcs.it (2 continua)

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Afghanistan, raid aerei Usa La polizia: "Centinaia di civili uccisi" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

KABUL - Oltre cento "non combattenti" sono rimasti uccisi. Vittime civili, dunque. La polizia afgana traccia così il primo bilancio dei raid aerei statunitensi nella zona di Farah, nell'ovest dell'Afghanistan. Una cifra che conferma quella fatta da alcune fonti locali (citate dal quotidiano britannico The Guardian) che parlano di oltre 100 morti e raccontano di camion carichi di cadaveri arrivati a Bala Baluk, capoluogo della provincia. Cifre che modificano, al rialzo, quelle fornita dalla Croce Rosse che parlava di decine di vittime. La portavoce Jessica Barry ha riferito che alcuni componenti dell'organizzazione hanno visto case distrutte e decine di corpi: "C'erano donne e c'erano bambini uccisi. A quanto pare, stavano cercando riparo nelle case quando sono stati colpiti". Barry ha precisato che tra le vittime ci sono un volontario della Mezzaluna rossa afgana e 13 componenti della sua famiglia. Il governatore Rohul Amin ha detto che le vittime civili sono state causate dal fatto che i miliziani avevano trovato riparo nelle abitazioni che sono poi state bombardate: "E' una zona sotto controllo dei talebani - ha detto - non siamo in grado di fare un bilancio ufficiale, ma ci sono stati morti tra i civili perché usavano abitazioni civili per nascondersi". Sulle vittime civili nella provincia di Farah è stata aperta un'indagine congiunta afgano-americana. Una delegazione composta da rappresentanti dell'Onu, dell'esercito statunitense e del ministero dell'Interno di Kabul si è recata nell'area dei raid. Le forze a guida americana hanno ammesso di essere state coinvolte in combattimenti e incursioni aeree nella zona, iniziati lunedì e proseguiti ieri. OAS_RICH('Middle'); Il presidente afgano Hamid Karzaim che oggi è a Washington per un vertice con il leader Usa Barack Obama e il capo dello Stato pachistano Asif Ali Zardari. ha definito il massacro "inaccettabile e ingiustificabile". Annunciando l'intenzione di parlarne con Obama. (6 maggio 2009

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Raid aerei a Farah: "Oltre cento morti" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 06-05-2009)

Argomenti: Obama

KABUL La Croce rossa internazionale conferma che diverse decine di civili, fra i quali molte donne e bambini, sono morte lunedì notte nel corso di un raid aereo americano nell’ovest dell’Afghanistan, nella provincia di Farah. «La nostra squadra ha visto i corpi senza vita di decine di persone, fra le quali donne e bambini», ha dichiarato una portavoce della Croce Rossa internazionale, Jessica Barry. «La maggior parte delle case interessate (dal bombardamento) sono state ridotte in macerie. In diversi villaggi ci sono stati dei funerali collettivi», ha aggiunto. «Uno dei nostri colleghi della Croce rossa afgana è morto nei bombardamenti, e con lui 13 membri della sua famiglia», ha continuato la portavoce. Tra lunedì e martedì dei violenti combattimenti a terra, cui è seguito un intervento aereo americano, hanno opposto i talebani alle forze di sicurezza afgane e alle forze internazionali nel distretto di Bala Buluk nella provincia di Farah. Il presidente dell’Afghanistan, Hamid Karzai, ha ordinato un’inchiesta sul bombardamento aereo delle forze della coalizione nella provincia di Farah, costato la vita ieri a oltre 30 civili, secondo quanto riportato dalle autorità locali. Oggi il presidente Karzai è a Washington per un vertice alla Casa Bianca con il presidente degli Stati uniti, Barack Obama e con il presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari. Secondo la polizia locale sarebbero oltre cento i «non combattenti» rimasti uccisi nei raid aerei statunitensi in Afghanistan occidentale. «Posso confermare che più di 100 non combattenti sono stati uccisi nel corso di un’operazione nella provincia di Farah», ha detto il capo della polizia Adbul Ghafar Watandar che in un primo tempo aveva parlato di 30 civili uccisi.

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