CENACOLO
DEI COGITANTI |
INVIATO AL CAIRO
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: elettorale e spiega perché nella
seconda parte del discorso Obama illustra un'agenda politica di problemi da
risolvere con un linguaggio senza perifrasi. Se «l'America non è in guerra con
l'Islam» si può dire con franchezza che cosa urge. Obama promette di battersi
contro l'islamofobia ma chiede di fare altrettanto con l'odio anti-americano, rivendica
il diritto di combattere l'«
TRE CRISI LEGATE FRA LORO
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Quando il presidente Obama si
rivolge al mondo musulmano dal Cairo o il presidente Sarkozy inaugura una base
navale francese a Abu Dhabi, è l'intera posta in gioco che va presa in
considerazione. L'asse di crisi del Levante è caratterizzato innanzitutto dal
doppio blocco israeliano e palestinese.
L'AMICO CHE VORREI A
FIANCO ( da "Stampa,
La" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: È arrivato il momento della verità
ed è un bene che un leader saggio e coraggioso quale Barack Obama che (non ne
ho alcun dubbio) ancor prima che il rafforzamento della sua nazione agli occhi
del mondo musulmano vede il bene di Israele e la sua sicurezza, proclami:
basta, voi non fate che del male a voi stessi, danneggiate il vostro futuro.
"Un nuovo inizio con
l'Islam" ( da "Stampa,
La" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Hamas: pronti al dialogo. Israele:
morbido con Ahmadinejad. Il Vaticano: ha un sogno come Luther King. L'Iran:
nessuna novità "Un nuovo inizio con l'Islam" Storico discorso di
Obama al Cairo: basta con l'odio tra Occidente e musulmani
Calabresi: "Il gossip
uccide la politica" ( da "Stampa,
La" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Si è parlato di Obama e di come
abbia saputo cogliere il bisogno di cambiamento del suo Paese. Qualche stoccata
anche alla nostra Italia, più preoccupata per le vicende personali del
cavaliere che dei programmi, dell'economia, della crisi e occupazione. Delle
proposte per uscirne.
Una piccola protesta di
cinque persone ha avuto luogo al Cairo prima che Obama pronunciasse il suo d...
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama sulla tragedia palestinese.
Obama ha difeso eroicamente i diritti del popolo palestinese: devo esserne
contento. Ha utilizzato un linguaggio idealista parlando di un futuro prossimo
in cui noi attueremo la visione di Dio qui sulla terra vivendo in pace e
armonia in un mondo senza armi nucleari, dove il soldato Usa tornerà in patria
e ogni uccello vivrà nel suo nido felice,
Netanyahu: "Troppo
morbido con l'Iran" Hamas: "C'è del buono"
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Cairo si erano spenti gli echi
degli applausi al discorso di Barack Obama. «Il presidente degli Stati Uniti si
esprime con toni nuovi, ha finalmente abbandonato la retorica che
contraddistingueva il suo predecessore George Bush», hanno concordato
compiaciuti i dirigenti locali. Più tardi, in un comunicato, hanno confermato
che a Washington sembra delinearsi ora un nuovo approccio,
"Ha fatto cadere
l'ultimo muro di Berlino Ci accetta come siamo"
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: nero e pane arabo e sbircia lo
schermo da cui Obama afferma che «le nostre figlie possono contribuire alla
società quanto i nostri figli maschi». Franjie prende nota sul post-it, unica
concessione alla cancelleria nell'ufficio spartano adorno solo della foto
dell'ex ministro dell'industria Pierre Gemayel, ucciso nel 2006: «È caduto il
muro di Berlino tra America e mondo musulmano,
[FIRMA]ALDO BAQUIS TEL
AVIV È l'inizio di un cambiamento : questa la sens...
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Cairo si erano spenti gli echi
degli applausi al discorso di Barack Obama. «Il presidente degli Stati Uniti si
esprime con toni nuovi, ha finalmente abbandonato la retorica che
contraddistingueva il suo predecessore George Bush», hanno concordato compiaciuti
i dirigenti locali. Più tardi, in un comunicato, hanno confermato che a
Washington sembra delinearsi ora un nuovo approccio,
"Una nuova speranza
per il mondo arabo Ora si pensi ai due Stati"
( da "Stampa, La" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Ostpolitik di Obama verso l'Islam.
«Ha un sogno come Luther King», scrive il Sir, l'agenzia stampa dei vescovi
italiani. «Ha lanciato la proposta di un nuovo inizio nei rapporti con il mondo
musulmano, gli riconosce l'Osservatore romano. Si è spinto al di là delle
formule politiche, evocando comuni interessi concreti in nome di una comune
umanità»
Per Khamenei
"Soltanto parole Nessuna novità"
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Qui la gente è troppo presa dalle
presidenziali - dice - per badare a Obama. Gli effetti del suo discorso si
vedranno dopo il voto, specialmente se ci sarà un cambiamento. Ormai, a sette
giorni dalle urne, le posizioni dei candidati sono irrimediabilmente
cristallizate». Quindi il discorso di Obama non ha scalfito gli iraniani?
"Adesso musical anche
in Italia" ( da "Stampa,
La" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pochi giorni fa Obama e la moglie
Michelle hanno interrotto la loro vita presidenziale per andare a teatro: un
fatto che ha destato un certo scalpore. «È stupendo. Penso che per il teatro
sia stato un ottimo segno. Era la precedente amministrazione, piuttosto, che
rappresentava un'aberrazione».
la riscoperta dell'america
- vittorio zucconi ( da "Repubblica,
La" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack Hussein Obama sta riportando
nel mondo, e non soltanto nella galassia musulmana alla quale ha parlato ieri,
la "voglia di America" e la possibilità di proclamarsi senza
ipocrisia "tutti americani". «We love you Obama» gridava qualche
studente della più grande, e antica, università islamica del mondo, al-Azhar al
Cairo.
l'incontro di civiltà -
bernardo valli ( da "Repubblica,
La" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: lacerato dal conflitto
israelo-palestinese, essendo da un lato fedele alle sue origini ebraiche e
dall´altro sensibile alle ingiustizie cui sono sottoposti i palestinesi, dopo
il discorso di Barack Obama mi ha detto con slancio che «valeva la pena vivere
abbastanza per ascoltarlo». SEGUE A PAGINA 30
"e' l'ora di un nuovo
inizio" obama tende la mano all'islam - alberto flores d'arcais
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama si ferma, risponde «thank
you» e conclude ancora sul leit-motiv della pace e del dialogo: «Gli uomini di
tutto il mondo possono vivere in pace. è la volontà di Dio. Ora ci deve essere
il nostro impegno qui sulla Terra». E mentre la sala si alza in piedi parte
dalle gradinate il grido ritmato: «Obama, Obama».
hamas: "pronti al
dialogo" ma israele è più cauto
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Anche se lo stesso portavoce non
sorvola sulle «contraddizioni» in cui Obama sarebbe incorso. Piace ad Hamas il
riconoscimento venuto da Obama, secondo cui il Movimento islamico «ha il
sostegno di alcuni palestinesi», ma se è così, obietta Barhum, perché il
presidente americano non ha sottolineato la legittimità del nostro governo
democraticamente eletto nel 2006?
gm: tempi lunghi per
magna-opel e tremonti punta ancora su fiat - paolo griseri
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Lo stesso ragionamento vale anche
per Obama?». Per la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, «la scelta
del governo tedesco di giocare direttamente la partita Opel lascia perplessi».
In attesa di tornare a giocare sullo scacchiere europeo, il Lingotto cerca di
evitare tensioni in Italia.
l'incontro di civiltà -
(segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica,
La" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama ha anche parlato delle
«umiliazioni quotidiane - grandi e piccole - dovute all´occupazione». Non sono
propositi nuovi. Obama li ha tenuti a quattrocchi al primo ministro Netanyahu,
di recente in visita a Washington. Ripetuti davanti all´intero mondo musulmano
in ascolto assumono tuttavia un diverso valore.
la riscoperta dell'america
- (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica,
La" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: operazione Obama" è che senza
il sentimento che la democrazia americana resti davvero "l´ultima speranza",
nessuna azione diplomatica od operazione militare od offensiva diplomatica può
davvero vincere e ogni vittoria resta effimera. Se l´America ritrova la
credibilità perduta, ogni suo intervento torna a essere efficace.
"una lapide in
memoria di petru" presidio anticamorra a montesanto - ilaria urbani
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Che dobbiamo sperare che arrivi
Obama per salvarci?». Il presidio per Petru ha occupato la piazza fino a poco
dopo le 20. Chi non ha portato un fiore, ha portato una poesia. "I ragazzi
della fisarmonica hanno occhi di stelle nere - scrive Valeria - possono
guardarti in fondo al cuore, toccarti l´anima".
pomodori e alberi da
frutto un orto a palazzo marino ( da "Repubblica,
La" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: come Michelle Obama, la first lady
americana. «Sul terrazzo della mia casa milanese coltivo, assieme a mio marito,
melanzane, pomodori e insalate oltre ad alcune piante da frutto. Lo facciamo da
anni ed è molto piacevole e rilassante». Ad accogliere i cittadini nel
"Giardino della sostenibilità" c´erano una passerella erbosa e un
pergolato di edera all´
vendola, folla all'ultimo
comizio "costruiamo la nuova sinistra" - (segue dalla prima pagina)
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: discorso da Benedetto Petrone a
Obama davanti a oltre tremila persone (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) (segue dalla
prima di cronaca) A proposito di Gagan, il re delle pescherie baresi, il
paladino dei mercati (ieri due suoi camion stazionavano all´esterno del mercato
della Manifattura), apre uno degli scenari più inaspettati di questa campagna
elettorale: quello dei soprannomi o meglio dei "
khaled al khamissi
"troppa religione" ( da "Repubblica,
La" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Sono molto deluso: Obama ha scelto
di usare lo stesso linguaggio religioso di Bush. Non sa che l´università del
Cairo è stata fondata da scrittori e intellettuali laici? Ha parlato a me come
musulmano: ma io sono prima di tutto un egiziano, un laico, un arabo. E poi ha
parlato in modo molto irrealistico, il bene e il male.
paure, speranze e narghilè
i giovani arabi colpiti da obama - alberto stabile
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Dal maxischermo Obama pronuncia il
suo «assalam allekuum», la pace sia con voi, che strappa applausi alla platea
del Cairo e qui deboli sorrisi. L´umore di Marwan un po´ cambia, ma resta
negativo: «Ammesso che lo voglia, Obama da solo non può fare niente». Un nuovo
inizio, dialogo, rispetto reciproco, non è abbastanza?
mohsin hamid: "un
uomo sincero" ( da "Repubblica,
La" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: nel discorso di Obama è stata la
sincerità che ho visto quando diceva di volere relazioni diverse da quelle che
ci sono state finora fra gli Stati Uniti e i musulmani. La tensione
fondamentale che vedo in Obama è quella fra un uomo sincero, quando dice di voler
cambiare le cose, e il presidente degli Stati Uniti, che invece ha la
responsabilità di difendere gli interessi americani.
marina nemat: "basta
estremismi" ( da "Repubblica,
La" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Ho apprezzato soprattutto il
passaggio in cui Obama ha detto che dobbiamo affrontare l´estremismo in ogni
sua forma. Inoltre è stato molto importante il fatto che abbia ammesso che la
reazione degli Stati Uniti all´11 settembre è stata illogica e che li ha
portati ad allontanarsi dai propri ideali e dalla protezione dei diritti umani.
"sono parole che
vanno al cuore non le sentono al qaeda e i coloni " - pietro del re
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Se non riusciremo a percorrere
insieme la strada che ci indica Obama, saremo condannati a vivere nella guerra
e nella violenza per il resto della nostra vita». Anche Hamas s´è detto
soddisfatto delle parole del presidente. «Ne sono lieto. I soli che hanno
disapprovato Obama sono Al Qaeda e i coloni israeliani.
- valerio gualerzi
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama non vuole rassegnarsi al
dominio asiatico Nel 2008 i capitali privati investiti nel "green
business" hanno superato quelli pubblici Pechino, che parte in ritardo, ha
già stanziato 220 miliardi di dollari. L´America la metà L´Unione europea
adesso arranca nonostante sia stata a lungo un modello di virtù VALERIO
GUALERZI Per molti ambientalisti è come se Erode promettesse di
l'azienda premia chi non
inquina - (segue dalla copertina)
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack Obama non vuole rassegnarsi
al dominio asiatico nell´auto pulita. Annunciando la bancarotta della General
Motors, che deve sfociare nel parto di una casa più snella e competitiva, il
presidente ha ribadito che tra i compiti del nuovo management c´è il
rinnovamento della gamma per ridurre i consumi energetici.
veltroni, appello per il
pd "fermare l'italia violenta" - goffredo de marchis
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: è il riformismo che mostra il suo
volto nuovo nel disegno di Barack Obama». Quello di Veltroni è un
"grido" che si somma ai richiami di Dario Franceschini e Romano
Prodi, un nuovo invito agli elettori democratici che solo un anno fa consegnavano
il 33,2 per cento al nuovo partito del centrosinistra. Oggi il Pd combatte per
ripartire anche da esiti inferiori.
il riscaldamento globale
rimane la vera emergenza. ma per la prima volta dopo anni bui, forse si può
essere ottimisti. ecco perché - federico rampini
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: L´Amministrazione Obama rincorre la
lepre cinese: sui 787 miliardi di dollari di manovra di rilancio della
crescita, Washington ne stanzia una quota inferiore ma comunque importante (112
miliardi) per l´ambiente. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN ARTICOLO DI
VALERIO GUALERZI SEGUE A PAGINA 34
Ecco perché Stati Uniti e
Cina sono in corsa per pulire il mondo
( da "Repubblica.it"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: L'Amministrazione Obama rincorre la
lepre cinese: sui 787 miliardi di dollari di manovra di rilancio della
crescita, Washington ne stanzia una quota inferiore ma comunque importante (112
miliardi) per l'ambiente. E almeno in un settore l'America si piazza in testa
in questo duello: negli ultimi 12 mesi ha installato 8.
Argomenti:
Obama
Abstract: Affrontando la questione
palestinese, Barack Obama ha ribadito che due Stati per due popoli è «l'unica
soluzione»: la situazione dei palestinesi è «intollerabile », ha sottolineato.
Rapporto incrollabile. Obama ha assicurato che tra Israele e Stati Uniti il
rapporto resta «incrollabile ».
Obama per un nuovo inizio Abstract: Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 05/06/2009 - pag: 2 Obama per un nuovo inizio «Islam parte dell'America» «Ho il dovere di combattere l'estremismo violento» DAL NOSTRO INVIATO IL CAIRO Un discorso per la modernità. Meticcio e complesso. Come l'uomo che l'ha pronunciato. La ridefinizione politica e narrativa di una nuova America.
Argomenti: Obama
Abstract: suo discorso al Cairo Barak Obama ha ricordato che è stato il Marocco il primo Paese al mondo a riconoscere gli Stati Uniti. Sotto il regno di Mohamed ben Abdullah (nel ritratto, 1757-1790) il Marocco aveva adottato una politica di apertura verso il resto del mondo ed è nel 1777 che riconosce l'indipendenza del nuovo Stato, un anno dopo la sua nascita e quando ancora non ha un «>
Sponsor l'ateneo anti-Usa
( da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: sponsorizzato il discorso del
presidente Obama, è indicata come il secondo ateneo d'Egitto e il decimo in
Africa. Ospita anche la massima autorità teologica sunnita, il Grande Imam di
Al Azhar. Dal pulpito della moschea annessa ad Al Azhar, tuttavia, in passato
non sono mancati sermoni decisamente anti-americani o comunque
anti-occidentali.
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama dice di voler riavviare il
dialogo col mondo islamico, eppure non ha indicato alcuna strategia su come
farlo. Nell' era Obama la politica estera Usa continua a essere tattica, e,
come in passato, più focalizzata a capovolgere le scelte dei predecessori che
non ad affrontare i problemi del momento.
Berlusconi: Milano sembra
una città africana ( da "Corriere
della Sera" del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: «Dissi solo Mr Obama, I suppose. E
la Regina non si è mai arrabbiata ». Obama abbronzato? «Era un complimento
assoluto». Quella milanese è poi la giornata dell'abbraccio e del-- l'affetto
ribadito a Bossi, che sale sul palco del Palaghiaccio inondato di applausi.
Vendola: Rifondazione? È
Restaurazione Togliamo il comunismo dalla naftalina
( da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: La seconda è Ester Ada, la
nigeriana morta, incinta, sulla nave Pinar al largo di Lampedusa. Poi, ho in
mente due capi di governo». Quali? «Uno è Obama che legge Corano, Bibbia e
Talmud e cerca l'incontro di culture e civiltà. L'altro è Berlusconi impegnato
a mobilitare le forze dell'ordine per requisire
<È il momento di un nuovo inizio Come dice il Corano, Dio ci guarda>(
da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 14 IL DISCORSO DEL PRESIDENTE OBAMA
AL CAIRO «È il momento di un nuovo inizio Come dice il Corano, Dio ci guarda»
di BARACK OBAMA S ono onorato di trovarmi nell'antichissima città del Cairo,
ospite di due illustri istituzioni. Da un millennio Al-Azhar rappresenta un
faro di cultura islamica e da oltre un secolo l'università del Cairo è fonte e
stimolo di progresso per l'
Sì R 46,0 No R 54,0
( da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: it La domanda di oggi Respinta la
richiesta di una donna che voleva avere un figlio dal marito in coma. Sentenza
giusta? Sì R 46,0 No R 54,0 Avete trovato il discorso del presidente Obama
convincente e utile per una svolta nei rapporti con l'Islam?
Perché il mondo deve
diventare
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama o quello del presidente della
Fed, Ben Bernanke? In fondo è facile lasciarlo indicare dal premier indiano
Singh, che cita la saggezza del suo Paese: Vasudhaiva Kutumbakam, «il mondo
intero è un'unica famiglia». Facile perché è una frase che colpisce, ma
soprattutto perché riunisce in sé il grande cambiamento che oggi la governance
del mondo sta attraversando con il passaggio
L'incontro di civiltà
( da "Repubblica.it"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: dopo il discorso di Barack Obama mi
ha detto con slancio che "valeva la pena vivere abbastanza per
ascoltarlo". Altri, a Gerusalemme, animati da sentimenti meno torturati,
più schietti, radicali, hanno subito il discorso del Cairo come uno schiaffo.
Hanno detto che Obama crede alle bugie arabe e non alla verità israeliana.
America, ultima speranza
( da "Repubblica.it"
del 05-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Con Barack Hussein Obama è tornata
nel mondo, e non soltanto nella galassia mussulmana alla quale ha parlato ieri,
la "voglia di America" e la possibilità di proclamarsi senza
ipocrisia "tutti americani". "We love you Obama" gridava
qualche studente della più grande, e antica, università islamica del mondo,
al-Azhar al Cairo.
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti: Obama
Maurizio Molinari
INVIATO AL CAIRO Veli colorati sul capo delle donne, turbanti biancorossi dei
notabili egiziani, tuniche chiare degli studenti islamici, completi grigi della
nomenklatura di Hosni Mubarak e gli occhiali dorati di Ayman Nour, che un anno
fa giaceva in prigione. Quando il presidente americano Barack Hussein Obama entra sul palco nell'aula magna dell'Università
Al-Azhar salutando con «Assalam Alaykum» (la pace sia con voi) ha di fronte un
parterre di oltre duemila anime che riassume le diverse identità dell'Islam del
XXI secolo. Tutt'intorno, per chilometri e chilometri, il Cairo è una città
fantasma, presidiata da schiere di militari appostati lungo le strade e agenti
dei servizi sui tetti che temono devastanti attacchi a sorpresa dei seguaci
della Jihad teorizzata dal medico egiziano Ayman al Zawahiri, braccio destro di
Osama bin Laden. Il contrasto fra la vivacità della platea di Al-Azhar e il
silenzio di paura che la circonda è la cornice nella quale Obama
pronuncia il discorso di 6000 parole nel quale propone un «nuovo inizio» nei
rapporti fra l'America e l'Islam «perché non sono in competizione ma
condividono comuni principi di giustizia e progresso, tolleranza e dignità di
ogni essere umano». Consapevole di sfidare odio, sfiducia e pregiudizi nei
confronti degli Stati Uniti accumulatisi nel corso di generazioni, Obama tende la mano ai musulmani descrivendo la propria
nazione in maniera inedita: «L'Islam è sempre stato parte della storia
americana, la prima nazione a riconoscerci nel 1796 fu il Marocco, John Adams
scrisse "non siamo nemici dei musulmani" e i musulmani hanno
combattuto nelle nostre guerre, servito nei governi, eccelso negli sport, vinto
premi Nobel, costruito i nostri edifici più alti e acceso la Torcia Olimpica». Obama si sente espressione e interprete di questa
sovrapposizione fra Islam e America in ragione del padre keniota con gli avi
musulmani, della gioventù in Indonesia, del volontariato nelle moschee di
Chicago e anche di un Congresso dove il primo eletto musulmano si è insediato
giurando sul Corano che fu di Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori
dell'Unione. «L'Islam è parte dell'America», dice Obama
in una sala che lo applaude 25 volte in 55 minuti mentre lui riscrive
l'identità yankee, non più basata solo sulla matrice giudaico-cristiana dei
pellegrini del Mayflower ma anche su quella musulmana dei milioni di immigrati
arrivati in seguito. È per questo che cita a più riprese il Corano assieme a
Talmud e Bibbia, che accomuna Mosè, Gesù e Maometto con «la pace sia su di
loro» e si richiama al principio condiviso dalle tre fedi monoteistiche: «Non
fare al tuo prossimo ciò che non vuoi venga fatto a te stesso». Il primo
presidente afroamericano sta dicendo all'Islam, e ai suoi concittadini, che la
patria dell'Occidente ha nel proprio Dna anche la fede del Profeta e la
geometria che viene dall'Andalusia. È una premessa rivoluzionaria che dà
concretezza alla promessa di «cambiare l'America e trasformare il mondo» fatta
durante la campagna elettorale e spiega perché nella seconda
parte del discorso Obama illustra un'agenda politica di problemi da risolvere con un
linguaggio senza perifrasi. Se «l'America non è in guerra con l'Islam» si può
dire con franchezza che cosa urge. Obama promette di
battersi contro l'islamofobia ma chiede di fare altrettanto con l'odio
anti-americano, rivendica il diritto di combattere l'«estremismo» di Al
Qaeda in risposta agli attacchi dell'11 settembre 2001 ma assicura che «non
vogliamo tenere le truppe in Afghanistan», ritiene l'Iraq un «posto migliore
senza Saddam» ma conferma il ritiro totale entro il 2012, difende la chiusura
di Guantanamo ma sottolinea che «l'America non tollererà le violenze degli
estremisti». E quando arriva al Medio Oriente, chiama per nome i tabù di arabi,
israeliani e palestinesi. Agli arabi dice che «il legame di Israele con
l'America è indistruttibile, minacciare Israele di distruzione è errato e
negare l'Olocausto è da ignoranti». Agli israeliani fa sapere che «le
sofferente quotidiane dei palestinesi dovute all'occupazione sono
intollerabili», che gli «insediamenti devono fermarsi» e «non c'è alternativa
ai due Stati». Ed ai palestinesi indica l'esempio degli afroamericani: «I
diritti non si conquistano con la violenza», dunque basta attentati, lanci di
missili e odio. Anche sul nucleare iraniano individua una linguaggio condiviso
con il mondo arabo: «Evitiamo una corsa agli armamenti nella regione». È
l'ultima parte del discorso quella che più infiamma la platea. Obama parla di democrazia, diritti delle donne - anche se si
tratta di portare il velo - e libertà religiosa per tutti: copti e maroniti,
sciiti e sunniti. Non fa riferimenti all'Egitto di Mubarak né ad altri Paesi ma
l'entusiasmo della platea è tale da dimostrare che sono questi i diritti a cui
si tiene di più. «Poter dire la propria opinione sul governo, avere fiducia
nello Stato di Diritto, un governo che non ruba ai cittadini e la libertà di
vivere come si vuole non sono idee americane ma diritti umani», conclude Obama, travolto da grida «We love you!» e «Thank you!» da
parte di giovani, uomini e donne. Se lo slancio verso diritti e democrazia
trova tale accoglienza è grazie alla premessa iniziale del presidente: i valori
americani sono anche musulmani. Sulle scalinate all'uscita dall'ateneo già
teatro di proteste islamiche e pro-democrazia gli studenti ritmano cori «Ubama,
Ubama». «A noi ci piace, ora bisogna passare dalle parole ai fatti» commenta
Mussaf, 23 anni. Vicino a lui c'è Samira, corpo da modella, pantaloni neri
attillati, tacchi alti e velo rosa, sorride senza freni: «Da oggi tutto
cambia».
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti: Obama
Gilles Kepel TRE
CRISI LEGATE FRA LORO Tre assi di crisi strutturano il Medio Oriente
contemporaneo: il Levante, con il conflitto israelo-palestinese e le sue
propaggini libano-siriane; il Golfo Persico, con gli idrocarburi e gli
antagonismi irano-arabi e sunniti-sciiti; la zona AfPak (Afghanistan-Pakistan),
dove l'aumento di potere dei taleban minaccia sia le truppe Nato in Afghanistan
sia la coesione dello Stato pakistano. Questi tre assi hanno ognuno la sua
logica, ma sono anche fortemente intrecciati, ed è questo che costituisce
l'identità del Medio Oriente come oggetto problematico complesso del sistema
internazionale. Quando il presidente Obama si rivolge al mondo musulmano dal Cairo o il presidente Sarkozy
inaugura una base navale francese a Abu Dhabi, è l'intera posta in gioco che va
presa in considerazione. L'asse di crisi del Levante è caratterizzato
innanzitutto dal doppio blocco israeliano e palestinese. Il governo
Netanyahu rifiuta sia la soluzione dei due Stati sia il congelamento degli
insediamenti nei Territori occupati. I palestinesi sono divisi tra Fatah, che
governa la parte di Giordania non colonizzata dagli israeliani, e Hamas, che
controlla l'intera Striscia di Gaza, ormai devastata. Hamas si rifiuta di
riconoscere Israele ma è pronto a far parte di una Olp incaricata di negoziare
con lo Stato ebraico. I dirigenti delle due fazioni palestinesi sono così
indeboliti che Egitto e Arabia Saudita da un lato, Siria, Qatar e Iran
dall'altro si danno battaglia per allungare la loro influenza su di esse.
Accade così anche con l'elemento libanese di questo asse di crisi. Il Libano,
il cui destino è legato all'evoluzione della situazione in Israele - come ha
dimostrato la «guerra dei 33 giorni» dell'estate 2006 - è più che mai attento
all'Iran, che sostiene Hezbollah, il più potente partito libanese. Il nodo
libanese Per contrastare l'influenza di Teheran, Riad sostiene a caro prezzo la
corrente «Futuro», il partito sunnita della famiglia Hariri. Così il Libano è
diventato uno dei luoghi della cristallizzazione dell'asse di crisi del Golfo
Persico - mentre i cristiani, un tempo dominanti, si dividono tra «cristiani
sunniti» e «cristiani sciiti». Quanto alla Siria - che ha cominciato una
trattativa oggi interrotta con Israele sotto l'egida turca e fatto delle
aperture a Francia e Stati Uniti -, essa non può rinunciare a un'alleanza
strutturale con l'Iran, Hezbollah e Hamas, salvaguardando il suo eventuale
potere di mediazione. Se l'asse di crisi del Levante occupa il davanti della
scena mediatica - con i suoi sessant'anni di storia e la dimensione emotiva del
problema ebraico e palestinese - ben più problematico è l'asse del Golfo arabo.
Gli interessi in gioco nel Golfo sono di importanza incommensurabile rispetto a
quelli del Levante: il mondo non può fare a meno degli idrocarburi che ogni
giorno attraversano lo Stretto di Hormuz e rappresentano un quinto dei consumi
globali. L'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi sono le due prime economie arabe
e i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo restano i principali
investitori sul pianeta. La soluzione al caos iracheno e il ritiro delle truppe
americane - questioni su cui Obama si gioca la
credibilità - si inscrivono nel cuore dell'asse di crisi del Golfo. Ma la
scommessa più arrischiata del nuovo Presidente americano è il reinserimento
dell'Iran nel sistema regionale. L'utopia sciito-curda L'asse di crisi del
Golfo nella sua forma presente è il risultato del fallimento del progetto di
George W. Bush in Iraq. Gli ideologi neo-con della Casa Bianca speravano di
fare dell'Iraq pacificato, filoamericano e governato da una maggioranza
sciito-curda senza contenziosi con Israele e fuori dall'Opep, il jolly di un
Medio Oriente ridisegnato. A questa chimera si è sostituita, per il presidente Obama, l'imperiosa necessità di trovare un altro vettore per
avviare la dinamica politica che porti a una soluzione globale della tripla
crisi in Medio Oriente. Questo è il senso della mano tesa all'Iran. L'elezione
di Ahmadinejad nel giugno 2005 rappresentava per l'establishment politico
iraniano l'occasione per trarre il massimo vantaggio dalla paralisi americana
in Iraq, facendo salire il prezzo in proporzione al bisogno degli Stati Uniti
di neutralità delle milizie sciite irachene alleate di Teheran, mentre subivano
lo choc della guerriglia sunnita. Sul piano simbolico, questa politica ha
pagato: Ahmadinejad - come Hassan Nasrallah di Hezbollah - si è fatto il
campione dell'antisionismo sulle piazze arabe. Per un Iran «presentabile» Ma la
situazione economica dell'Iran è disastrosa; all'embargo internazionale che
risponde alle rodomontate di Ahmadinejad, alla corruzione e allo sperpero si
aggiunge un'inflazione record che impoverisce una popolazione ormai stanca. Se
la Guida Khamenei appoggia la rielezione di Ahmadinejad, altre fazioni al
potere, tra cui l'ex presidente Rafsanjani, padrino della candidatura del
riformista Mousavi, sono più ricettive all'offerta americana, nella quale
vedono la conservazione della loro influenza su una repubblica islamica meno ideologica
e più pragmatica e dell'egemonia iraniana sul Golfo, al prezzo di un'intesa con
Washington - un Iran «presentabile» capace di esercitare pressioni su Hezbollah
e Hamas e facilitare la ricerca di compromessi in Libano e sul dossier
israelo-palestinese. Una prospettiva del genere avrebbe però bisogno di intensi
negoziati e già ora urta contro l'ostilità araba. Parlando al Cairo per
rivolgersi al mondo arabo e aggiungendo al viaggio una tappa in Arabia Saudita,
Obama ha rassicurato i tradizionali alleati sunniti di
Washington e il governo israeliano. La riuscita dell'apertura all'Iran ha
bisogno che costoro non si mettano di traverso. Ostacolo inaspettatamente forte
si è rivelato poi AfPak. È la Jihad in Afghanistan degli Anni 80, finanziata
dagli Usa e dagli Stati arabi del Golfo per battere l'Armata Rossa a offrire
un'alternativa antisovietica e filoamericana alla rivoluzione iraniana in piena
espansione, che ha incluso questa regione nel Medio Oriente in senso lato. Sono
stati Osama bin Laden e Ayman Al Zawahiri, figli dell'Arabia e dell'Egitto
passati alla Jihad che hanno unito a modo loro l'Afghanistan, il Golfo Persico
e la Palestina con gli Usa nel cataclisma dell'11 Settembre. Per ritorsione,
l'America e i suoi alleati hanno distrutto il regime dei taleban ma poi,
anziché consolidare la vittoria, per prolungare la «guerra al terrore» hanno
trasferito le truppe in Iraq, dove si sono impantanati, mentre i taleban
riconquistavano terreno, minacciando il governo afghano e i soldati Nato che ne
garantiscono la sicurezza. Arginare i taleban La scommessa di Obama sta nel ritornare nell'Afghanistan abbandonato per
completare lo sradicamento dei taleban e delle reti di Al Qaeda installate
nelle zone tribali alla frontiera pakistana, smorzando l'asse di crisi AfPak
per avere le mani libere nel Golfo e nel Levante. Ma gli interventi in
territorio pakistano, soprattutto con le incursioni dei droni che dovrebbero
individuare i militanti e invece devastano le popolazioni civili, hanno fatto
precipitare la rivolta dei gruppi taleban, che traggono vantaggio dalla
debolezza del governo civile e dalle divisioni dell'esercito per occupare
intere regioni, avvicinarsi alla capitale Islamabad e colpire il Punjab con
attentati devastanti. Su scala mediorientale globale, una paralisi degli Stati
Uniti e della Nato nella zona Afpak non può che indebolire la capacità di
negoziare e agire sugli altri due assi di crisi. Nell'intreccio che struttura
la regione, l'esito dei combattimenti nella valle dello Swat paradossalmente incide
sul congelamento degli insediamenti in Cisgiordania o sulla fabbricazione delle
centrifughe nucleari in Iran.
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti: Obama
Abraham B.
Yehoshua L'AMICO CHE VORREI A FIANCO Da cosa si riconosce un vero amico? Dal
fatto che chi si definisce tale crede e ha fiducia in te, si preoccupa dei tuoi
veri bisogni, anche a lungo termine, ti indica onestamente i tuoi errori e
cerca di aiutarti a correggerli. Questo è l'amico che vorrei al mio fianco. Non
chi approva automaticamente qualunque cosa io faccia, dichiara il suo amore per
me e mi accetta così come sono. A partire dalla grande vittoria militare di Israele
nel 1967, quando venne respinta la grave minaccia militare rappresentata da
Egitto, Siria e Giordania che proclamarono apertamente di volere distruggere lo
Stato ebraico e concentrarono grandi eserciti lungo il suo confine, Israele è
precipitato in un vortice ideologico e militare innescato dalla conquista di
vasti territori durante quel conflitto. Doveva considerare fin dal principio
quelle regioni come merce di scambio e indurre il mondo arabo e i palestinesi a
cercare la pace. E invece Israele - vuoi per sfiducia nei confronti delle vere
intenzioni dei suoi nemici e del loro impegno a rispettare fedelmente
un'eventuale intesa di pace, vuoi per la sua aspirazione ad annettersi quei
territori (soprattutto quelli con un significato storico e religioso) - ha
iniziato una politica di insediamenti e creato una realtà difficile da
sovvertire. Tali comunità civili erano, e sono tuttora, irrilevanti per la
sicurezza dello Stato ebraico. Al contrario. Poiché ubicate nel cuore della
popolazione palestinese sono obiettivo di attacchi terroristici e richiedono
speciali misure di difesa e l'impegno di ingenti forze militari in compiti di
sorveglianza e pattugliamento. Anche sulle alture del Golan, dove non c'è una
presenza siriana, i centri ebraici situati a pochi chilometri da enormi
concentrazioni di truppe siriane rappresentano un intralcio poiché, in caso di
guerra, l'esercito israeliano si vedrebbe costretto ad evacuarli rapidamente,
come è avvenuto nella guerra del Kippur nell'ottobre del 1973. Gli insediamenti
israeliani acuiscono dunque l'odio dei palestinesi verso Israele. Infatti,
oltre a occupare le loro terre, a sfruttare le loro risorse idriche e a imporre
limiti alla loro libertà di circolazione, essi simboleggiano la volontà dello
Stato ebraico di restare, la sua riluttanza a concedere l'indipendenza al
popolo palestinese, anche qualora questi ne riconoscesse la legittimità e si
mostrasse disposto a una convivenza pacifica. Israele ha investito grandi
risorse finanziarie in quegli insediamenti, spesso ignorando importanti bisogni
interni o lo sviluppo di centri abitati entro la linea verde. I coloni, in gran
parte sostenitori di movimenti e partiti religiosi-nazionalisti, ostentano
sovente un atteggiamento di superiorità nei confronti delle autorità israeliane,
pretendono uno status speciale non solo rispetto ai palestinesi ma anche
rispetto agli altri cittadini israeliani e, come possiamo renderci conto in
questi giorni, c'è chi, fra loro, nemmeno riconosce più l'autorità giuridica
dello Stato israeliano. Ciò che è difficile da accettare, ed è fonte di
preoccupazione, è che se quegli insediamenti continueranno ad ampliarsi la
soluzione di due Stati per due popoli sarà compromessa e, prima o poi, tra il
Giordano e il Mar Mediterraneo si estenderà un unico Stato popolato da due
etnie che, in ragione della crescita demografica palestinese, a poco a poco si
trasformerà in uno Stato a maggioranza palestinese. Una ricetta sicura per la
fine di Israele. La maggior parte degli israeliani ha ormai compreso tutto ciò
eppure, come un tossicodipendente schiavo della droga, non è in grado di dire:
basta, abbiamo commesso un errore a cui occorre porre rimedio prima che sia
troppo tardi. È vero, quando fu firmato l'accordo di pace con l'Egitto coloni
ebrei furono evacuati a forza dai territori del Sinai. E quando la situazione
delle comunità civili ebraiche della Striscia di Gaza divenne insopportabile il
leader della destra Ariel Sharon sgomberò a forza novemila coloni che vivevano
frammisti a un milione e mezzo di palestinesi: un evento traumatico che ha
lasciato cicatrici in entrambe le parti. Ma in Cisgiordania vivono 250.000
israeliani e la loro evacuazione potrebbe innescare una guerra civile. Tutti
gli Stati del mondo disapprovano gli insediamenti israeliani sorti dopo la
Guerra dei Sei giorni, e fra questi gli Stati Uniti. Eppure, malgrado in
passato i governanti a Washington abbiano avuto l'opportunità di far valere la
loro influenza, hanno preferito permettere a Israele, Stato alleato e amico, di
fare ciò che voleva. È arrivato il momento della verità ed
è un bene che un leader saggio e coraggioso quale Barack Obama che (non ne ho alcun dubbio) ancor prima che il rafforzamento
della sua nazione agli occhi del mondo musulmano vede il bene di Israele e la
sua sicurezza, proclami: basta, voi non fate che del male a voi stessi,
danneggiate il vostro futuro. Pur non credendo a una genuina volontà di
pace dei palestinesi, alla loro capacità di tenere a bada le organizzazioni
terroristiche e a una sincera rinuncia alla pretesa del diritto del ritorno dei
profughi, potete sempre garantire la vostra sicurezza grazie a una presenza
militare nei territori palestinesi ed evitare di pregiudicare un'eventuale pace
e la creazione di due Stati con ulteriori ampliamenti di insediamenti comunque
inutili. Con un appello tanto diretto e chiaro al governo israeliano non solo
il Presidente statunitense ha espresso ciò che gran parte degli israeliani ha
nel cuore ma ha dato prova della sua profonda amicizia con lo Stato ebraico.
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti: Obama
Hamas:
pronti al dialogo. Israele: morbido con Ahmadinejad. Il Vaticano: ha un sogno
come Luther King. L'Iran: nessuna novità "Un nuovo inizio con
l'Islam" Storico discorso di Obama al Cairo:
basta con l'odio tra Occidente e musulmani
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti: Obama
Calabresi:
"Il gossip uccide la politica" [FIRMA]WALTER LAMBERTI FOSSANO La
fortuna non esiste. Esiste invece la capacità di rialzarsi in piedi, di
re-inventarsi, di mettersi in gioco scommettendo sulla vita. È il messaggio di
cui sono permeate le pagine del nuovo libro di Mario Calabresi, ospite ieri a
Fossano su invito della condotta Slow Food, nella suo primo incontro pubblico
in Piemonte da quando è direttore de La Stampa. Sala del castello degli Acaja
gremita, un target di pubblico del tutto trasversale per età e provenienza.
Perché il libro «La fortuna non esiste», frutto di incontri ed esperienze in
due anni di viaggio americano durante la campagna elettorale per le
presidenziali, parla a tutti. E parla soprattutto in questi tempi di crisi, con
fabbriche che chiudono, con cassa integrazione, con disoccupazione. «L'impatto
della crisi in America non è neppure paragonabile alla situazione nel nostro
Paese - ha detto Calabresi -; ma nel Dna dell'americano c'è la capacità di
inventarsi un nuovo inizio. Forse è una visione più naif, l'americano è più
bambino di noi. Ovviamente non possiamo generalizzare, ma ha questa
peculiarità». «La fortuna non esiste» racconta storie americane, che partono
con una storia che americana non è, ma è perfettamente inserita in questo modo
di vivere. La storia della nonna di Calabresi, Maria Teresa, nata nel 1915 e
«salvata» dal gesto eroico di un dottore che l'ha presa in fasce e accudita
quando tutti ormai la davano per spacciata. Maria Teresa è morta nei giorni
scorsi all'età di 94 anni, dopo una vita che ha attraversato un secolo, la
guerra, le crisi, la ricostruzione di un mondo, fino ad arrivare all'elezione
epocale di un presidente nero negli Stati Uniti. Si è
parlato di Obama e di come abbia saputo cogliere il bisogno di cambiamento del
suo Paese. Qualche stoccata anche alla nostra Italia, più preoccupata per le
vicende personali del cavaliere che dei programmi, dell'economia, della crisi e
occupazione. Delle proposte per uscirne. All'incontro Carlin Petrini, il
padre di Slow Food (in serata c'è stata la proiezione del documentario di
Ermanno Olmi dedicato a Terra Madre) che ha salutato Calabresi definendolo «una
delle coscienze civili più alte del nostro Paese».
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti: Obama
Una piccola
protesta di cinque persone ha avuto luogo al Cairo prima che Obama
pronunciasse il suo discorso all'Università. È curioso il fatto che la polizia
abbia acconsentito loro di avvicinarsi all'ateneo, mentre tutte le strade erano
sbarrate. Come hanno potuto? La risposta è semplice, erano americani: erano
venuti da Gaza per manifestare e attirare l'attenzione di Obama sulla
tragedia palestinese. Obama ha difeso eroicamente i diritti del popolo palestinese: devo
esserne contento. Ha utilizzato un linguaggio idealista parlando di un futuro
prossimo in cui noi attueremo la visione di Dio qui sulla terra vivendo in pace
e armonia in un mondo senza armi nucleari, dove il soldato Usa tornerà in
patria e ogni uccello vivrà nel suo nido felice, nel suo stato. Obama ha chiesto ai giovani di non restare prigionieri del
passato, di forgiare un futuro dove regni la pace e con questo - credo - ha
chiesto di dimenticare la storia dell'umanità per rivolgersi al mondo
fantastico di Disneyland. Ha citato versi del Corano, del Talmud, della Bibbia.
Ha parlato come se vivessimo prima del Rinascimento citando le religioni e non
le nazioni moderne. E' venuto nel mondo arabo per parlare ai musulmani e non
agli arabi, come se qui non esistessero altre religioni, oppure formazioni
laiche che risalgono ai primi anni del secolo scorso. Nel 1919 scoppiò in
Egitto una rivoluzione per l'indipendenza il cui motto era «la fede è per Dio e
la patria per tutti», e i cui leader edificarono l'Università del Cairo nel
1908. Cento anni dopo in quell'Università è venuto un presidente americano a
parlarci di fede per tutti e di una patria che non c'è. Obama
ha esordito con una serie di lodi e poi ha fissato alcuni punti nodali: primo,
il terrorismo, la cui origine è da individuare in Al Qaeda e nei Taleban, senza
menzionare chi li ha creati, armati e finanziati. Non ha spiegato che gli Usa,
durante il loro scontro con l'Urss in Afghanistan, crearono Al Qaeda e i
Taleban e finanziarono i movimenti islamisti in tutto il mondo arabo per
combattere il comunismo e impedire l'avanzata del laicismo arabo. Secondo, ha
parlato della tragedia palestinese ma non ha menzionato chi esercita la tortura
contro quel popolo. Terzo, ha detto di voler bloccare la corsa agli armamenti
in Medio Oriente, dicendo che impedirà all'Iran di avere l'atomica, senza
accennare al fatto che nell'agone c'è un solo competitore: Israele. Quarto, la
democrazia. Qui ha assicurato i regimi autocratici arabi che non si
intrometterà nei loro affari. Quinto, la libertà religiosa accennando alle
dispute fra sunniti e sciiti in Iraq, senza chiedere scusa per quello che gli
Usa hanno fatto per dividere il popolo iracheno e tanto meno per il loro ruolo
nel redigere una Costituzione che divide e alimenta le divisioni del paese alla
stregua della Francia all'epoca dell'occupazione del Libano. L'Iraq infatti
soltanto dopo l'occupazione Usa ha assistito a un conflitto fra sunniti e
sciiti, cosa mai successa nei tempi moderni. Il Presidente ha insistito sul
concetto di fratellanza e sulla divisione delle responsabilità per poter
costruire un futuro migliore: tutti sono rimasti entusiasti delle sue parole e
hanno tanto applaudito e sorriso. Obama è riuscito ad
accontentare tutti. Credo che il suo discorso verrà considerato il miglior
sermone religioso di quest'anno, inshallah. * Scrittore egiziano. Autore di
«Taxi» (Edito in Italia da Il Sirente)
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti: Obama
Qui Gerusalemme
Netanyahu: "Troppo morbido con l'Iran" Hamas: "C'è del
buono" [FIRMA]ALDO BAQUIS TEL AVIV «È l'inizio di un cambiamento»: questa
la sensazione di Hamas, a Gaza, espressa pochi minuti dopo che al Cairo si erano spenti gli echi degli applausi al discorso di
Barack Obama. «Il presidente degli Stati Uniti si esprime con toni nuovi, ha
finalmente abbandonato la retorica che contraddistingueva il suo predecessore
George Bush», hanno concordato compiaciuti i dirigenti locali. Più tardi, in un
comunicato, hanno confermato che a Washington sembra delinearsi ora un nuovo
approccio, ma la strada da percorrere - a loro parere - resta lunga. Nel
discorso di Obama hanno infatti rintracciato
«contraddizioni». Perché, ad esempio, «condanna la violenza palestinese e tace
su quella israeliana?». E perché insiste sulla necessità della
democratizzazione nel mondo arabo e al tempo stesso chiede a Hamas, pur uscito
vincente dalle elezioni politiche del 2006, ulteriori concessioni politiche per
essere riconosciuto come legittimo interlocutore? Anche i dirigenti israeliani
sono stati costretti a seguire alla televisione il discorso del presidente
statunitense, non essendo stati informati in anticipo del contenuto. Il nervosismo
a Gerusalemme era palpabile: dopo aver ordinato ai ministri di non rilasciare
alcuna intervista, Benyamin Netanyahu ha poi analizzato per oltre tre ore (con
i ministri Begin, Meridor e Yaalon) l'intervento di Obama,
trovandolo in sostanza duro forse con Al Qaeda ma debole con l'Iran. Dopo di
che il premier ha pubblicato un comunicato di otto righe. Israele, ha promesso
Netanyahu, «compirà» ogni sforzo per allargare il cerchio della pace,
proteggendo «i propri interessi e la sicurezza nazionale». Il Capo dello Stato
Shimon Peres, da parte sua, ha reso omaggio «alla saggezza e al coraggio»
manifestati dal presidente degli Stati Uniti.
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti: Obama
Qui Beirut
"Ha fatto cadere l'ultimo muro di Berlino Ci accetta come siamo"
[FIRMA]FRANCESCA PACI INVIATA A BEIRUT Il presidente americano parla già da un
quarto d'ora quando Samie Franjie, 62 anni, parlamentare del Fronte 14 marzo,
il blocco sunnita-cristiano-druso guidato da Saad Hariri, spegne il cellulare e
accende una Malboro. «Un discorso storico», mormora a Fares Souhaid che
domenica sfida all'ultimo sangue l'avversario del Movimento Patriottico Libero
del generale Michel Aoun nel collegio di Jbeil, avamposto del duello tra
cristiani e cristiani che deciderà le elezioni libanesi. La segretaria Randa
porta caffè nero e pane arabo e sbircia lo schermo da cui Obama afferma che «le nostre figlie possono contribuire alla società
quanto i nostri figli maschi». Franjie prende nota sul post-it, unica
concessione alla cancelleria nell'ufficio spartano adorno solo della foto
dell'ex ministro dell'industria Pierre Gemayel, ucciso nel 2006: «È caduto il
muro di Berlino tra America e mondo musulmano, milioni di persone hanno
sentito che gli Usa vogliono vivere in pace con noi come siamo e non come
vorrebbero che fossimo». Il quartier generale della maggioranza è in un palazzo
malmesso dietro piazza Sassine, il cuore cristiano di Beirut. Se non fosse per
le berline dai vetri neri sembrerebbe un condominio popolare, fa notare dalla
finestra della sua agenzia di cambio George Makzel: «Ci provano ma non riescono
a mascherare la corruzione, per questo sto con Aoun e nessun presidente
americano mi farà cambiare idea». I suoi candidati, alleati con Hezbollah nella
coalizione 8 marzo, non hanno voglia di commentare il Cairo. Sarà il basso
profilo adottato da quando i sondaggi prevedono il testa a testa o l'ultimo
duro giorno di campagna elettorale, come spiegano dagli uffici di Aoun e
Nashrallah, ma da Ibrahim Canan a Hussein Hajj Hasan nessuno, pare, è riuscito
ad ascoltare la radio. Dieci giorni fa la visita del vice di Obama,
Biden, era apparsa un sostegno allo schieramento antisiriano di Hariri. Poi
Hezbollah aveva rivelato d'aver discusso lo svincolo del programma d'assistenza
dal risultato di domenica con il Fondo Monetario Internazionale, che versa al
Libano 114 milioni di dollari. «Non vedo contraddizione tra votare Aoun e
appaludire Obama», dice il commerciante Georges
Khayat. Gliela illustreranno i giornali, osserva Khalil Harb, capo degli esteri
del quotidiano As-Safir, «Il Cairo muta l'immagine ma non la sostanza della politica
americana». Quell'immagine, a sera, è in ogni casa libanese.
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti: Obama
[FIRMA]ALDO
BAQUIS TEL AVIV «È l'inizio di un cambiamento»: questa la sensazione di Hamas,
a Gaza, espressa pochi minuti dopo che al Cairo si erano
spenti gli echi degli applausi al discorso di Barack Obama. «Il
presidente degli Stati Uniti si esprime con toni nuovi, ha finalmente
abbandonato la retorica che contraddistingueva il suo predecessore George
Bush», hanno concordato compiaciuti i dirigenti locali. Più tardi, in un
comunicato, hanno confermato che a Washington sembra delinearsi ora un nuovo
approccio, ma la strada da percorrere - a loro parere - resta lunga. Nel
discorso di Obama hanno infatti rintracciato
«contraddizioni». Perché, ad esempio, «condanna la violenza palestinese e tace
su quella israeliana?». E perché insiste sulla necessità della
democratizzazione nel mondo arabo e al tempo stesso chiede a Hamas, pur uscito
vincente dalle elezioni politiche del 2006, ulteriori concessioni politiche per
essere riconosciuto come legittimo interlocutore? Anche i dirigenti israeliani
sono stati costretti a seguire alla televisione il discorso del presidente
statunitense, non essendo stati informati in anticipo del contenuto. Il
nervosismo a Gerusalemme era palpabile: dopo aver ordinato ai ministri di non
rilasciare alcuna intervista, Benyamin Netanyahu ha poi analizzato per oltre
tre ore (con i ministri Begin, Meridor e Yaalon) l'intervento di Obama, trovandolo in sostanza duro forse con Al Qaeda ma
debole con l'Iran. Dopo di che il premier ha pubblicato un comunicato di otto
righe. Israele, ha promesso Netanyahu, «compirà» ogni sforzo per allargare il
cerchio della pace, proteggendo «i propri interessi e la sicurezza nazionale».
Il Capo dello Stato Shimon Peres, da parte sua, ha reso omaggio «alla saggezza
e al coraggio» manifestati dal presidente degli Stati Uniti.
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti: Obama
Qui Città del
Vaticano "Una nuova speranza per il mondo arabo Ora si pensi ai due
Stati" [FIRMA]GIACOMO GALEAZZI CITTA' DEL VATICANO Il Vaticano «benedice»
l'Ostpolitik di Obama verso
l'Islam. «Ha un sogno come Luther King», scrive il Sir, l'agenzia stampa dei
vescovi italiani. «Ha lanciato la proposta di un nuovo inizio nei rapporti con
il mondo musulmano, gli riconosce l'Osservatore romano. Si è spinto al di là
delle formule politiche, evocando comuni interessi concreti in nome di una
comune umanità». Esprime «grande apprezzamento» anche il portavoce
papale, padre Federico Lombardi: «È un intervento molto importante e
significativo che può dare un nuovo impulso alla pace. Vi è una forte sintonia
tra Santa Sede e Casa Bianca, specie per il no allo scontro tra civiltà e alla
proliferazione nucleare». Per il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista
Pizzaballa, «la svolta strategica di Obama piacerà
agli arabi e faciliterà la soluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi
». Il cardinale Giovanni Cheli, ex ministro dell'Immigrazione e ambasciatore
vaticano all'Onu, manifesta «piena soddisfazione per il progetto di due Stati».
Il porporato, appena tornato da Gerusalemme, sottoscrive l'appello del
presidente Usa per la città santa. «Il Vaticano non ha peso economico e tanto
meno militare nella regione - spiega - Tuttavia ha forti interessi da
difendere: i luoghi più sacri del cristianesimo si trovano a Gerusalemme e
Betlemme. Il riferimento di Obama ad Abramo e ai tre
monoteismi è fondamentale». Adesso, aggiunge Cheli, servono il «divieto di
acquisizione dei territori con la forza, il diritto di autodeterminazione dei
popoli, il rispetto delle risoluzioni dell'Onu e delle convenzioni di Ginevra».
E, puntualizza il cardinale, «se fallisce Obama molti
paesi della regione avranno tensioni interne insopportabili, solo una pace
giusta garantirà stabilità».
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti: Obama
Qui Teheran Per
Khamenei "Soltanto parole Nessuna novità" [FIRMA]CLAUDIO GALLO Le
parole di Obama ieri non sembravano in cima ai
pensieri della gente di Teheran. Nel trentennale della morte dell'Ayatollah
Khomeini la città era in festa, non c'erano giornali e la tv trasmetteva quasi
soltanto programmi celebrativi. A rispondere al Presidente americano, prima
ancora che pronunciasse il suo discorso al Cairo, ci aveva pensato l'Ayatollah
Khamenei, il successore di Khomeini. «Non basteranno cento discorsi per
cambiare i rapporti con l'Islam», ha detto la Guida Suprema, che sul fronte
interno continua con i collaudati slogan antiamericani a sostenere Ahmadinejad
nella corsa alle imminenti presidenziali. Il più aperto è stato il candidato
riformista Mir Hossein Mousavi, l'unico forse in grado di impensierire
Ahmadinejad, che ha apprezzato «il cambiamento di linguaggio», anche se ha
chiesto che «alle parole seguano i fatti». Sui commenti pesa la retorica della
campagna elettorale, certo alla diplomazia iraniana non sfugge che talvolta
anche le parole sono fatti. In serata i telegiornali hanno trasmesso un breve servizio
sulla visita di Obama al Cairo. Un'idea abbastanza
completa di che cosa è successo in Egitto se l'è fatta solo chi ha seguito
l'evento su internet o sulle tv satellitari: una minoranza robusta nelle grandi
città. Informatissimo come sempre è il professor Davoud Hermidas Bavand, 76
anni, esperto di relazioni internazionali ed ex diplomatico al tempo dello
Shah, che risponde al telefono nella sua bella casa nella Teheran alta. «È
stato un discorso molto positivo - dice -. Parole che indicano un'approfondita
conoscenza dell'Islam, un tentativo di portare l'enfasi sugli aspetti più
concreti del dialogo. Ha individuato nell'estremismo la principale difficoltà
nei rapporti reciproci ed è stato molto intelligente quando ha detto che le
questioni dei diritti umani vanno affrontate nel giusto contesto culturale».
«Sull'Iran? Ha ripetuto cose già dette, come il diritto al nucleare civile e
l'inaccettabilità del nucleare militare. Ma è stato chiarissimo nell'offrire un
vero negoziato. Mi ha colpito che abbia fatto una sorta di equazione tra il
colpo di Stato con cui gli americani rovesciarono il premier iraniano Mossadeq
e la cattura degli ostaggi americani all'ambasciata di Teheran nel 1979. Come
dire: siamo pari, guardiamo avanti. Nessuno Presidente americano l'aveva mai
detto». Emadeddin Baghi, 47 anni, uno dei più celebri dissidenti iraniani che
da anni conduce (quando non è rinchiuso nel carcere speciale di Evin a Teheran)
la sua solitaria campagna per l'abolizione della pena di morte e i diritti dei
carcerati, sostiene il candidato riformista Karroubi. «Qui
la gente è troppo presa dalle presidenziali - dice - per badare a Obama. Gli effetti del suo discorso si vedranno dopo il voto,
specialmente se ci sarà un cambiamento. Ormai, a sette giorni dalle urne, le
posizioni dei candidati sono irrimediabilmente cristallizate». Quindi il
discorso di Obama non ha scalfito gli iraniani? Risponde: «Da noi radio e
televisione sono statali. Il governo filtra soltanto le notizie che gli fanno
comodo. Non esiste una libera circolazione di informazioni. Dal bavaglio si
salva soltanto chi ha la televisione satellitare, non certo il popolo».
( da "Stampa, La" del
05-06-2009)
Argomenti: Obama
PROSSIMAMENTE
Intervista Alan Menken Gatti all'opera a Zurigo E la Scala può attendere «Due
cartoon, "Snow Queen" e "Rapunzel" E un nuovo film»
"Adesso musical anche in Italia" "La bella e la bestia"
sbarca a Milano ADRIANA MARMIROLI MILANO ZURIGO Un altro italiano su un podio
che conta. Da ieri Daniele Gatti (foto), milanese, classe '61, è direttore
principale dell'Opera di Zurigo, che in questi anni è diventata una delle
principali scene europee. Il contratto vale per le tre prossime stagioni, con
un impegno in crescendo: un'opera nella prima (Elektra), due nella seconda
(Falstaff e Parsifal), tre nella terza (Maestri cantori, Otello e un terzo
titolo da decidere). Fin qui, buon per gli svizzeri. Ma si sa che nel Risiko
delle grandi bacchette ogni spostamento incide anche sui territori confinanti.
Per esempio, sulla Scala. Qui Gatti era considerato in pole position per la
carica di direttore musicale. Le sue azioni sono un po' in ribasso dopo le
polemiche e i fischi (ingiusti entrambi) piovuti sul Don Carlo inaugurale
dell'ultima stagione, ma Gatti tornerà nella prossima con Lulu. Però è ormai
chiaro che, alla faccia del totodirettori di questi mesi, fino al 2013 la Scala
non avrà un «capo» musicale. Resterà Daniel Barenboim con il vago titolo di
«maestro scaligèro» (Lissner lo pronuncia così), il resto è rimandato al 2013.
Archiviata la superstagione Verdi-Wagner dei bicentenari, si riapriranno i
giochi, cui parteciperà lo stesso Gatti (per quell'anno, a Zurigo avrà finito.
E forse si spiega così un insolito contratto di tre stagioni). Giochi riaperti
e con ogni probabilità non solo per il direttore musicale ma anche per il
sovrintendente. \ Otto Oscar, 7 Golden Globe, 6 Grammy, colonne sonore di film
come La bella e la bestia, La sirenetta, Il gobbo di Notre Dame, Aladdin,
Pocahontas, lungamente legato al mondo Disney, Alan Menken è uno dei grandi
compositori di musical del mondo. Dal 2 giugno, a Londra è in scena la sua
versione di Sister Act. In Italia invece con La bella e la bestia Menken sarà
protagonista dal prossimo autunno, quando il musical arriverà a Milano, al
Nazionale: l'intenzione è farne un evento che regga tutta la stagione, alla
maniera di Broadway. Per l'occasione, ieri Menken si è esibito cantando e accompagnandosi
al piano in un medley dei suoi brani. Al suo fianco, i protagonisti della
versione «made in Italy» del musical, Arianna e Michael Altieri. Sessant'anni
il 22 luglio, la sua è una lunga storia che ha nella Piccola bottega degli
orrori (1986) la prima hit. Da allora molti musical e molti Disney sono
passati. Menken, quante volte ha fatto e rifatto La bella e la bestia? Non si
annoia? «No. Insieme, faccio tante altre cose». E a lavorare per la Disney?
«Non "per", ma "con". Annoiato no, semmai un po' frustrato
per le opportunità che non mi si sono presentate. Se diventi famoso per un
certo tipo di lavoro la gente tende a farti fare quello. E il pubblico lo
aspetta». C'è una ricetta Disney? «L'equilibrio tra umorismo e audience è
importante. Devi divertire e non offendere nessuno». Il cinema è pieno di
musical derivati da «storici» show, i teatri di musical tratti da film: non è
un indice di stanchezza? «Non direi. Storicamente il musical deriva da testi
teatrali o da romanzi. Ora però le forme di intrattenimento vincenti sono
cinema e tivù, quindi mi pare logico che il musical peschi da lì». Eppure
quest'anno a Broadway la stagione non è andata bene, molti show hanno dovuto
chiudere in anticipo. «Si sente la crisi generale più che quella creativa. Inoltre
le produzioni sono molte ed è fisiologico che solo le migliori sopravvivano». Pochi giorni fa Obama e la moglie Michelle hanno
interrotto la loro vita presidenziale per andare a teatro: un fatto che ha
destato un certo scalpore. «È stupendo. Penso che per il teatro sia stato un
ottimo segno. Era la precedente amministrazione, piuttosto, che rappresentava
un'aberrazione». Che musical ama o ha amato? «Ricordo quando aprì Chorus
Line. Era il '75, ero incredibilmente eccitato. Uno degli spettacoli più belli che
abbia mai visti. Non tanto per le musiche (ottime), ma per la regia di Michael
Bennett. Comunque non sono un critico: non amo giudicare il lavoro degli
altri». Ma ci sarà pure stato qualche collega che le ha provocato una fitta di
sana invidia. «Hairspray: grande colonna sonora. Mi avevano chiesto di
scriverlo, ma era troppo simile alla Piccola bottega degli orrori e non ho
accettato. La gelosia, l'invidia... quand'ero giovane, forse le provavo. Ora mi
sento più sereno verso il lavoro degli altri compositori». Anche quando si
vince un «Razzie» (pernacchio, il premio ai peggiori dell'anno, ndr)? «Ah, lo
sa?... Fu per la canzone High Times, Hard Times di Newies ("Gli
strilloni", in Italia). Era il '93. Ma avevo appena vinto due Oscar e due
Golden Globe. Pazienza!». Nel suo futuro ancora Disney? «Ancora. Sto preparando
le colonne sonore di due cartoon, Rapunzel e Snow Queen, e di un film musicale
live tratto da La bella e la bestia. Contemporaneamente sto anche lavorando a
un musical che debutterà nell'autunno 2010, Leap of Faith». Non ha voglia di
tornare a scrivere cose un po' più «scorrette», come ai tempi della Piccola
bottega degli orrori? «Sister Act in fondo lo è: si prendono in giro le suore.
E ho scritto un musical dove si racconta la storia di un'attrice che subisce un
grave incidente e resta menomata. Molti dei brani che ho composto hanno un tono
decisamente oscuro. Ma non ci si ricorda di loro perché sono meno noti. Capita
a chi compone musiche: di fare decine, centinaia di brani bellissimi e alla fine
essere ricordato per una ballata facile facile. Pensi a Morricone: per tutti
resterà sempre quello del fischio del Buono il brutto e il cattivo».
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 1 - Prima
Pagina La riscoperta dell´america VITTORIO ZUCCONI SessantAcinque anni esatti
dopo lo sbarco del soldato Ryan in Normandia, Barack
Hussein Obama sta riportando nel mondo, e non soltanto nella galassia
musulmana alla quale ha parlato ieri, la "voglia di America" e la
possibilità di proclamarsi senza ipocrisia "tutti americani". «We
love you Obama» gridava qualche studente della più grande, e antica, università
islamica del mondo, al-Azhar al Cairo. SEGUE A PAGINA 31
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 1 - Prima
Pagina L´INCONTRO DI CIVILTà BERNARDO VALLI Le parole pronunciate ieri, al
Cairo, dal presidente americano sono un balsamo. Lo sono per chi, seguendo da
una vita, con passione, la tragedia mediorientale, le ha attese invano da un
rappresentante della superpotenza: per chi le ha invocate spesso, tra critiche
e incomprensioni, non esclusi gli insulti, ad ogni guerra o massacro, compiuto
in uno dei due campi. Un anziano, molto anziano intellettuale, lacerato dal conflitto israelo-palestinese, essendo da un lato
fedele alle sue origini ebraiche e dall´altro sensibile alle ingiustizie cui
sono sottoposti i palestinesi, dopo il discorso di Barack Obama mi ha detto con slancio che «valeva la pena vivere abbastanza
per ascoltarlo». SEGUE A PAGINA 30
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 2 - Esteri
"E´ l´ora di un nuovo inizio" Obama tende la
mano all´Islam Dal Cairo appello alla pace, mai usata la parola terrorismo Il
discorso Ha parlato per quasi un´ora ed è stato interrotto 33 volte dagli
applausi ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato IL CAIRO - «Salaam
Aleikum». L´applauso scatta spontaneo quando Barack Obama
pronuncia la prima parola in arabo, «la pace sia con voi». Applaudono tutti,
dignitari del regime e Fratelli Musulmani, giovani vestiti all´occidentale e
donne col velo, un pubblico selezionato con cura che già tre ore prima aveva
riempito la grande sala tappezzata di rosso porpora dell´Università del Cairo.
Di applausi ce ne saranno molti, durante i 55 minuti del "discorso
all´Islam", che la Casa Bianca ha voluto titolare simbolicamente «un nuovo
inizio». Per 33 volte il presidente americano viene interrotto mentre scandisce
le parole con cui ha deciso di rivolgersi al miliardo e mezzo di fedeli
musulmani in ogni parte del mondo, ma che è diretto anche all´Occidente, a Israele,
al popolo americano. Un messaggio di dialogo e di pace che ha toccato tutti i
punti che dividono gli Stati Uniti dal mondo islamico (Iran, Medio Oriente,
democrazia, ruolo delle donne, terrorismo - un termine, quest´ultimo, che
tuttavia Obama ha evitato con cura di utilizzare)
senza timore dell´autocritica ma anche senza abdicare ai principi che ispirano
la prima potenza mondiale. Gli occhi di tutti erano puntati sulla capitale
egiziana e la visita del primo presidente afro-americano ha trasformato anche
fisicamente il Cairo. Le strade vuote, il silenzio che ha zittito i clacson, le
spalle alla strada di migliaia di poliziotti e agenti segreti, le retate della
vigilia contro integralisti o liberali che dissentono dal lungo regime di
Mubarak, hanno accolto il lungo corteo blindato che ha accompagnato Obama al suo appuntamento con la storia. Decine di agenti
controllano meticolosamente ogni ingresso dell´università, scrivendo i nomi dei
privilegiati che hanno ottenuto l´invito per ascoltare il presidente americano.
Fra questi anche una decina di deputati integralisti (Fratelli Musulmani) e
l´ambasciatore iraniano al Cairo. «Ci incontriamo in un momento di tensione tra
gli Stati Uniti e i musulmani», dice ricordando le ragioni storiche di
un´ostilità che spesso si è trasformata in odio e che ha portato all´11
settembre, ma questo «ciclo di sospetti deve finire». E per dare «un nuovo
inizio» parte da se stesso, dalla sua storia di cristiano con «radici familiari
musulmane», dai suoi anni trascorsi in Indonesia. Ricorda la grande civiltà
islamica e l´importanza che i fedeli di Maometto hanno avuto ed hanno sempre
più negli Stati Uniti, cita il deputato che ha giurato fedeltà alla
Costituzione sul Corano che «apparteneva alla biblioteca di Jefferson» e l´atleta
«che ha acceso il braciere olimpico» (l´ex pugile Mohammed Alì ad Atlanta
1996): «Il Sacro Corano insegna che chiunque uccida un innocente è come se
uccidesse l´intera umanità e chiunque salva una persona è come se salvasse
l´intera umanità». Il messaggio è chiaro, anche l´Islam è parte integrante
dell´America, dei suoi sogni, dei suoi valori e del suo futuro, ma è un Islam
che deve ripudiare la violenza e l´odio che sono la bandiera di minoranze
consistenti. E´ questa la vera novità del suo discorso, accompagnata dai
diversi richiami alle tre grandi religioni monoteiste. Cita la Bibbia
(«benedetti i promotori della pace, che saranno chiamati figli di Dio»), cita
la Torah («l´obiettivo è quello di promuovere la pace»), cita più di una volta
il Corano («tutto il genere umano, uomini e donne, sono stati raccolti in
nazioni e tribù, in modo che si possano riconoscere», «sii consapevole di Dio e
dì sempre la verità»), chiede il rispetto per le differenze religiose. Quando
passa agli argomenti odierni è chiaro da che parte sta la platea. Che ascolta
in silenzio le parole sugli ebrei e sull´Olocausto, sul diritto di Israele
all´esistenza e applaude quando Obama chiede uno Stato
anche per i palestinesi, la fine degli insediamenti israeliani e ricorda le
sofferenze di Gaza. Che sottolinea con altri applausi l´autocritica sull´Iran,
«gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo nell´abbattere un governo
democraticamente eletto» (il riferimento è a Mossadeq) e il diritto di Teheran
«al nucleare pacifico». E solo una parte della sala, quella femminile, lo
applaude quando parla dei diritti delle donne a decidere della propria vita. Il
finale è tutto per lui. «We love you», urlano studenti e studentesse dalla
balconata del secondo piano quando parla di democrazia. Obama si ferma, risponde
«thank you» e conclude ancora sul leit-motiv della pace e del dialogo: «Gli
uomini di tutto il mondo possono vivere in pace. è la volontà di Dio. Ora ci
deve essere il nostro impegno qui sulla Terra». E mentre la sala si alza in
piedi parte dalle gradinate il grido ritmato: «Obama, Obama».
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 3 - Esteri
Hamas: "Pronti al dialogo" ma Israele è più cauto Esplode la rabbia
dei coloni: "Non è imparziale" Burocratico il comunicato di
Netanyahu: "Gli interessi dello Stato ebraico, a partire dalla sicurezza,
restano decisivi" DAL NOSTRO INVIATO BEIRUT - Mai Hamas ha speso parole
tanto lusinghiere verso un presidente americano, forse perché mai, fino a ora,
un presidente americano aveva riconosciuto la popolarità del movimento islamico
fra i palestinesi. Sta di fatto che, tra i molti commenti al discorso del Cairo
delle parti coinvolte nel conflitto arabo-israeliano, spiccano le frasi
positive adoperate dai portavoce di Hamas. Di contro, lo stesso non si può dire
dei coloni israeliani. Il «tono ponderato esente dal linguaggio delle minacce
cui ci aveva abituati la precedente amministrazione», è ciò che sembra aver
fatto colpo su Fawzhi Barhum, il dirigente islamico incaricato dei rapporti con
i media. Anche se lo stesso portavoce non sorvola sulle
«contraddizioni» in cui Obama sarebbe incorso. Piace ad Hamas il riconoscimento venuto da Obama, secondo cui il Movimento islamico «ha il sostegno di alcuni
palestinesi», ma se è così, obietta Barhum, perché il presidente americano non
ha sottolineato la legittimità del nostro governo democraticamente eletto nel
2006? Di questo, sicuramente, si parlerà ancora. Dove il dibattito
scaturito dal discorso del Cairo, sembra subito entrato in un vicolo cieco, è,
invece, a proposito del blocco insediamenti ebraici nei Territori occupati e
della risposta intollerante data dai coloni. «Hussein Obama
- dice un comunicato del Consiglio degli insediamenti, come a sottolineare che
uno con quel nome non può essere imparziale - ha dato priorità alle bugie degli
arabi, ripetute con determinazioni dai loro leader, piuttosto che alle verità
degli ebrei riferite con voce debole e insicura», sottinteso: dai nostri
governanti. Il che chiama direttamente in causa il governo Netanyahu. Il
premier israeliano ha avuto bisogno di una certa riflessione prima di
rispondere alle cose dette da Obama al Cairo, con un
comunicato cordiale nei toni ma burocratico nella sostanza. Israele apprezza il
discorso di Obama, condivide le speranze del
presidente americano, farà il possibile per allargare «il circolo della pace»,
ma gli interessi dello Stato ebraico, a cominciare dalla sicurezza, restano
decisivi. Ora, non pare che Obama abbia chiesto al
governo israeliano di sacrificare i propri interessi fondamentali. Piuttosto,
ancora una volta Netanyahu ha preferito non accennare né alla questione degli
insediamenti né allo Stato palestinese che non vuole. Dalla reazione dei coloni
si capisce che su entrambi questi problemi la maggioranza di governo potrebbe
facilmente traballare. (a. s.)
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 25 -
Economia Gm: tempi lunghi per Magna-Opel e Tremonti punta ancora su Fiat PAOLO
GRISERI TORINO - La partita Opel torna in alto mare e, dopo un lungo periodo di
attesa, anche il governo italiano promette di intervenire. Ci vorranno «diverse
settimane», secondo una nota diffusa ieri da Gm, o addirittura «sei mesi», come
dice il portavoce del governo di Berlino, «per giungere a un accordo
definitivo» tra la Magna e la casa tedesca. Un tempo più che sufficiente per
veder sfumare quello che Angela Merkel ha definito l´altro ieri «un accordo non
vincolante». L´incertezza tedesca ha riaperto la polemica in Italia
sull´atteggiamento del governo di Roma. Atteggiamento attendista, secondo
l´opposizione. Alle critiche replica il ministro dell´economia, Giulio
Tremonti: «Poco tempo fa un intervento di questo tipo del governo tedesco
sarebbe stato impensabile». In ogni caso «su Opel Fiat non ha chiesto niente al
governo e il governo non poteva intervenire». Oggi però Tremonti riconosce che
«la partita tra governi è ancora aperta». Immediata la replica dell´ex ministro
Cesare Damiano, del Pd: «Tremonti ci vuol far credere che Merkel è intervenuta
per ragioni elettorali. Lo stesso ragionamento vale anche
per Obama?». Per la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, «la
scelta del governo tedesco di giocare direttamente la partita Opel lascia
perplessi». In attesa di tornare a giocare sullo scacchiere europeo, il
Lingotto cerca di evitare tensioni in Italia. E all´alba di ieri firma
un accordo con i sindacati che pone fine alla vertenza nell´indotto che ha
bloccato la produzione di Melfi. L´intesa garantisce il lavoro ai dipendenti
interinali in scadenza con l´assunzione presso altre società della fornitura Fiat.
Una soluzione giudicata positivamente dai sindacati: «è la dimostrazione che la
solidarietà paga», commenta il leader della Fiom, Gianni Rinaldini. Sul fronte
della produzione il Lingotto festeggia i 10 milioni di auto realizzate nello
stabilimento brasiliano di Betim. E lo fa riprendendosi il primo posto tra i
produttori in America Latina davanti a Volkswagen e Gm. Mentre sul fronte
azionario il fondo Capital research torna a salire sopra la soglia del 5 per
cento di Fiat, confermandosi al secondo posto tra i soci dietro la Giovanni
Agnelli Sapaz.
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 30 -
Commenti L´INCONTRO DI CIVILTà (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Altri, a Gerusalemme,
animati da sentimenti meno torturati, più schietti, radicali, hanno subito il
discorso del Cairo come uno schiaffo. Hanno detto che Obama
crede alle bugie arabe e non alla verità israeliana. Il governo, dando per
scontate le divergenze con la Casa Bianca, ha apprezzato diplomaticamente il
desiderio di pace, e ha aggiunto che però Israele tiene anzitutto alla propria
sicurezza. In Palestina hanno esultato per ricadere poi nello scetticismo di
sempre, nell´attesa di fatti concreti. Al di là delle contrastanti emozioni
immediate, il discorso di Obama è una netta rottura
col passato. Non solo politica. Anche culturale. Lo stile, il linguaggio è
cambiato. Pur essendo in questa stagione più diffidente che ricettivo, il mondo
musulmano non può non averlo avvertito. I fatti non dovrebbero tardare troppo a
dare consistenza alle impressioni suscitate da Obama.
Per riallacciarsi a qualcosa di simile bisogna ritornare all´immagine di
Clinton, che, nei primi anni Novanta, sullo sfondo della Casa Bianca, assiste
alla stretta di mano tra Rabin e Arafat. Ci fu poi molto sangue versato e tante
delusioni. Quello di Obama è comunque un disegno
strategico più ampio. Più audace. Più ambizioso. Riguarda l´intero mondo
musulmano, al quale il presidente, che cita Jefferson, si chiama Hussein e cita
il Corano, offre un «nuovo inizio» per affrontare insieme l´estremismo violento
e i richiami all´odio religioso. L´invito non si limita all´emisfero arabo;
anche se il conflitto israelo-palestinese è ritenuto un nodo decisivo, da
sciogliere se si vuole dar vita a un´altra epoca, rispetto a quella di Bush jr.
Un texano che parlava di crociate e agiva come un crociato accendendo un odio
senza precedenti nei confronti dell´America, e di riflesso dell´Occidente. Non
si tratta di una rottura unicamente simbolica. è vero, Barack Obama non ha annunciato misure concrete. Questo non
significa che le sue parole siano state soltanto una accorata ed elegante
orazione propiziatrice. Non molto di più. è sbagliato giudicare il suo discorso
un esercizio strappacuori, retorico, di cui è capace un oratore sperimentato
come lui. Ci vuol altro per dissipare l´avvelenata, diffusa idea stando alla
quale è in corso una inevitabile guerra di civiltà tra l´Islam e l´Occidente.
Il discorso del Cairo non è certo bastato. Era tuttavia troppo impaziente chi
si attendeva date e appuntamenti, scadenze e proposte; e si chiede adesso, non
senza sufficienza, quando si passerà agli atti. è già un gesto esplicito, che
equivale a un atto politico incisivo, l´avere detto, nella più importante
capitale araba, che gli israeliani devono riconoscere anche ai palestinesi il
diritto di esistere. Diritto ritenuto giusto per Israele. E che questo implica
la creazione di uno Stato palestinese accanto allo Stato di Israele. E, ancora,
che gli Stati Uniti non considerano legittime le continue installazioni di
colonie israeliane in Palestina. Obama ha anche parlato delle
«umiliazioni quotidiane - grandi e piccole - dovute all´occupazione». Non sono
propositi nuovi. Obama li ha tenuti a quattrocchi al primo ministro Netanyahu, di
recente in visita a Washington. Ripetuti davanti all´intero mondo musulmano in
ascolto assumono tuttavia un diverso valore. Suonano come un fermo
richiamo al governo di Gerusalemme. Un governo conservatore con una forte
presenza di estrema destra. Il richiamo di Obama è
senz´altro condiviso, o addirittura suggerito, dai suoi stretti collaboratori
alla Casa Bianca. In particolare da Rahm Emanuel, capo gabinetto del
presidente, e suo principale consigliere. E va ricordato che Emanuel ha servito
nell´esercito israeliano, possiede un doppio passaporto, uno americano e uno
israeliano, ed è notoriamente molto religioso, come il resto della sua
famiglia. Egli non ispira certo idee anti israeliane al presidente. Ma
considera evidentemente che la linea politica dell´attuale governo di
Gerusalemme non porti il Paese sulla giusta strada, rifiutando tra l´altro
l´idea di due Stati e l´impegno a non incrementare le colonie. Le parole in
favore dei palestinesi sono state precedute da un´inequivocabile conferma
dell´«indissolubile legame» che unisce Israele e gli Stati Uniti, da un ricordo
dell´Olocausto e da una ferma condanna del negazionismo. E gli estremisti
palestinesi, in particolare quelli di Hamas, sono stati invitati a riconoscere
lo Stato ebraico. Obama è stato via via sferzante ma
non imperiale. Fermo, ma senza l´arroganza del predecessore. Un discorso
rivolto all´Islam nel suo insieme, a un miliardo e mezzo di uomini e donne
dispersi ormai in tutti i continenti, è un esercizio che richiede un grande
equilibrio: un´attenzione adeguata a un´ambizione che tende a riconciliare la
superpotenza con quel mondo, dove è impigliata in almeno tre conflitti in corso
o latenti: Afghanistan, Iraq, Pakistan. Con sullo sfondo crisi che vanno dal
Libano alla Palestina. Senza contare l´Iran, candidato al nucleare. La
strategia di Obama ha tra i suoi principali obiettivi
proprio l´avvio di un dialogo con l´Iran. Questo non infastidisce soltanto
l´Israele di Netanyahu. Il quale considera la minaccia nucleare di Teheran un
problema prioritario rispetto a quello palestinese. I Paesi musulmani sunniti,
quali l´Arabia Saudita e l´Egitto, non nascondono la loro preoccupazione per i
progetti atomici iraniani, i quali accompagnano l´ascesa degli sciiti,
avversari nella religione e nemici nella storia, diventati i principali alleati
di movimenti integralisti come gli hezbollah libanesi e i palestinesi di Hamas.
E con una forte influenza nell´Iraq a maggioranza sciita. Barack Obama è stato rassicurante. Ha spiegato che lo sperato
dialogo con la Repubblica islamica non significa accettare che essa sia dotata
di armi nucleari. Con Obama, gli Stati Uniti cercano
di uscire il più possibile dalla mischia, per diventare arbitri autorevoli e
credibili.
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 31 -
Commenti LA RISCOPERTA DELL´AMERICA (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Anche scontando
la coreografia organizzata, immaginare qualcuno che gridasse «we love you
George» in Egitto sarebbe difficile. è di nuovo possibile, dicono i sondaggi e
le reazioni internazionali a questa figura così felicemente anomala di
presidente, innamorarsi di una nazione, e di una cultura, che per gli otto anni
di Bush e poi nel collasso tossico della sua finanza, avevano messo a dura
prova l´ammirazione per gli Stati Uniti e per i suoi valori. Questa è la vera
novità, il "nuovo inizio", che il 44esimo presidente ha offerto agli
elettori in casa e ora offre ai nemici come ai molti amici scoraggiati. Proprio
l´anniversario della più cruenta operazione militare condotta dagli Stati Uniti
dai tempi della Guerra Civile, l´invasione dell´Europa, serve a ricordare che
non è l´azione bellica la discriminante invalicabile fra il giusto e
l´ingiusto. è la qualità delle intenzioni che spingono all´azione ciò che fa la
differenza fra la gratitudine e l´odio, fra gli ordinati, affettuosi cimiteri
di guerra in Normandia e la macelleria di soldati americani dilaniati e
dissacrati a migliaia nelle strade di Saigon, di Falluja o di Bagdad. Il senso
della "operazione Obama" è che
senza il sentimento che la democrazia americana resti davvero "l´ultima
speranza", nessuna azione diplomatica od operazione militare od offensiva
diplomatica può davvero vincere e ogni vittoria resta effimera. Se l´America
ritrova la credibilità perduta, ogni suo intervento torna a essere efficace.
Quando invece, come ha finalmente ammesso due giorni or sono l´ex burattinaio
dell´amministrazione Bush, Dick Cheney, si spacciano come vere responsabilità
inesistenti da parte dell´Iraq di Saddam nell´11 settembre, ogni parola, ogni
azione è incurabilmente inquinata. L´America non perse la guerra in Vietnam
perché le proprie armate fossero inferiori, ma perché la qualità delle sue
intenzioni, la limpidezza del suo combattere, si consumarono in fretta. Non
vinse la Guerra Fredda con i missili, ma con la potenza del proprio esempio. Ed
è questa chiarezza che Obama sta cercando di
ricostruire e che il resto del mondo ha detto di volere ritrovare, salutandolo
dal novembre scorso come una novità e una speranza. «Finalmente siamo di nuovo
orgogliosi di essere americani» ha scritto un ascoltatore alla Cnn dopo il
discorso, «Obama torna a farci sentire intelligenti».
In questo immenso serbatoio di buona volontà interna e internazionale il
presidente cerca di pescare, quando rinnega la tortura, i campi di
concentramento, le scorciatoie costituzionali e respinge la negazione dei
"valori" democratici e costituzionali nel nome degli espedienti
ideologici, sapendo di sfidare anche i propri elettori e la paura che il
ritorno al Kennedy e al Reagan dei discorsi a Berlino sia un segno di debolezza
o di resa. Se nella sua azione di governo i comportamenti sono assai meno
rettilinei delle parole, l´opinione pubblica è disposta a tollerare e perdonare
molto, se crede alla sincerità delle intenzioni. E pensa, come ripete Obama a israeliani e palestinesi, a europei e a americani,
che sia nel loro interesse tornare ad avere fiducia. Da questa sensazione
sgorga la nuova voglia di essere ancora "americani". Il senso che il
mondo ha ancora bisogno dell´America migliore e la voglia riabbracciare, come
65 anni or sono.
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina IX -
Napoli "Una lapide in memoria di Petru" presidio anticamorra a
Montesanto Il cugino del romeno ucciso: vado via da questa città Alla
manifestazione oltre 300 persone: artisti, utenti della Cumana, residenti e associazioni
ILARIA URBANI Ionut con gli occhi verdi sbarrati dallo stupore ti guarda e con
candore ti dice: «La camorra? Che cosa è la camorra? Io ho solo paura per me,
per mia moglie e per il mio figlioletto. Da qui me ne vado subito». Ionut, 26
anni, fa il pasticciere alla Ferrovia, è il cugino di Petru Birladeandu, il
ragazzo rom che suonava la fisarmonica, ucciso il 26 maggio per errore a
Montesanto, vittima della nuova di camorra ai Quartieri Spagnoli. C´era anche
Ionut ieri a deporre un fiore per il cugino al presidio organizzato dalle
associazioni e dai cittadini di Montesanto. Appuntamento davanti alla stazione
Cumana. Stesso posto e stessa ora del giorno in cui i killer di Petru hanno
fatto fuoco. All´iniziativa hanno partecipato trecento persone tra residenti,
associazioni e alcuni passeggeri che hanno ritardato il viaggio in Cumana per
solidarietà all´artista di strada. Un ringraziamento postumo a chi suonava una
canzone in cambio di qualche spicciolo. Le associazioni hanno chiesto alle
autorità di ricordare Petru con una lapide da posare nella stazione della Sepsa
e allo Stato di riconoscere alla moglie e ai figli il fondo nazionale per le
vittime della mafia. C´era anche qualche volto noto. L´attrice Rosaria De Cicco
ha donato una margheritina gialla con le lacrime agli occhi, il sassofonista
Daniele Sepe e l´ex parlamentare del Pci Monica Tavernini. Sulla facciata della
nuova stazione post-liberty Sepsa gli attivisti del Parco sociale Ventaglieri,
Opera Nomadi, Chi rom e chi no e altre realtà che hanno aderito alla
manifestazione esponendo uno striscione con su scritto: «Un fiore per Petru
contro l´indifferenza e la violenza delle armi». I più arrabbiati e, al
contempo, rassegnati però erano i residenti di Montesanto. Per loro le
sparatorie non sono una novità, ma qualcosa di diverso ora c´è. Ha provato a
spiegarlo Maurizio Braucci, lo scrittore da anni impegnato al centro sociale
Damm nella zona dei Ventaglieri e coautore della sceneggiatura del film
Gomorra. «Al di là delle contese del territorio c´è una cosa che dobbiamo
capire tutti: a sparare ora sono ragazzini imbottiti di cocaina - spiega
Braucci - dalla faida di Scampìa in poi i boss della camorra mandano loro in
prima linea perciò può succedere che alla 7 di sera, in mezzo alla folla, arrivino
dei sicari a sparare all´impazzata. Poteva essere una strage. Si tratta di una
guerriglia combattuta da adolescenti cocainomani, senza neanche una strategia.
Pare che gli unici a non avere capito il connubio tra emarginazione giovanile e
camorra siano i politici. Il welfare qui è inesistente. Che
dobbiamo sperare che arrivi Obama per salvarci?». Il presidio
per Petru ha occupato la piazza fino a poco dopo le 20. Chi non ha portato un
fiore, ha portato una poesia. "I ragazzi della fisarmonica hanno occhi di
stelle nere - scrive Valeria - possono guardarti in fondo al cuore, toccarti
l´anima". «Le bestie siamo noi, dobbiamo sentirci tutti coinvolti -
spiega l´ex deputata Monica Tavernini - il marcio sta nella città, questo è
solo l´inizio di una nuova faida, strisciante, a perdere come sempre sarà tutta
la città, non soltanto Montesanto».
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina IX -
Milano La novità Pomodori e alberi da frutto un orto a Palazzo Marino Un prato,
un orto, qualche albero e un grande gioco dell´oca nel cortile di Palazzo
Marino. Il Comune ospita il "Giardino della sostenibilità" creato in
occasione della Giornata mondiale dell´ambiente. Invece del pavé di pietra, un
tappeto erboso all´inglese si stende sotto i piedi di chi attraversa il cortile
d´onore. Non resterà lì solo pochi giorni, com´era previsto inizialmente. La
piccola oasi verde nel cuore di Palazzo Marino avrà vita più lunga. «Spero che
resti lì per un po´ di tempo - ha detto il sindaco Moratti - Vorrei tenerlo.
Non so se ho il potere di farlo, ma se posso, almeno per un po´ di tempo vorrei
lasciare il prato. Comunque dovremo sentire il parere della Sovrintendenza
prima di prendere una decisione definitiva». Letizia Moratti ha spiegato di
essere una fan del verde e in particolare degli orti. Un po´ come Michelle Obama, la first lady americana. «Sul
terrazzo della mia casa milanese coltivo, assieme a mio marito, melanzane,
pomodori e insalate oltre ad alcune piante da frutto. Lo facciamo da anni ed è
molto piacevole e rilassante». Ad accogliere i cittadini nel "Giardino
della sostenibilità" c´erano una passerella erbosa e un pergolato di edera
all´ingresso, poi il cortile verde con un angolo coltivato a piantine di
pomodoro, cavolfiori, basilico, salvia e rosmarino, qualche albero e un
percorso del "Gioco dell´oca". Lo spazio verde sarà aperto al
pubblico dalle 10.30 alle 18.30. Per oggi sono in programma sei ore di gioco
educativo legato ai temi dell´ambiente e riservate a 150 bambini delle scuole
milanesi. I ragazzini potranno imparare l´abc dell´orto parlando con esperti,
gli stessi che domani saranno a disposizione delle famiglie e associazioni che
andranno in visita a Palazzo Marino. A presentare l´iniziativa c´erano oltre al
sindaco gli assessori alla Mobilità, Edoardo Croci, alla Famiglia Mariolina
Moioli, allo Sport Alan Rizzi. Come testimonial, il maratoneta Alberto Cova, il
ginnasta Igor Cassina, la conduttrice Daria Bignardi e il designer Fabio
Novembre. (f. c.)
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina II - Bari
La replica Le trovate La polemica La guida Dinapoli indaga dopo le
dichiarazioni di Russo Frattasi. Fitto: "Se ha i nomi li faccia".
Frisullo: "Una verità che tutti conosciamo" Dal ministro per le
Regioni al sindaco di Roma Alemanno a Mantovano in sostegno di Di Cagno
Abbrescia e Schittulli Vendola, folla all´ultimo comizio "Costruiamo la
nuova sinistra" Negli studi Rai fanno scintille Schittulli-Divella Quattro
schede nell´urna seggi aperti da domani alle 15 L´assessore Ostilio attacca Palese
"Spieghi le misure per il turismo" Dal Parigino al Moviola, sparsi in
tutte le liste "Emiliano è il più forte, ma il Pd ha sbagliato" Verso
il voto Voti comprati, scambio di accuse la Procura di Bari apre un´inchiesta
Ressa di big sul palco, ma platea scarsa Quei candidati in campo con il nome di
battaglia Tutto pur di stupire: c´è chi sceglie la marca della moto del cuore o
chi si ispira al fascino di Marlon Brando La denuncia: "Un pacchetto di
cinquecento preferenze costa 8mila euro" Un´ora di discorso
da Benedetto Petrone a Obama davanti a oltre tremila persone (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
(segue dalla prima di cronaca) A proposito di Gagan, il re delle pescherie
baresi, il paladino dei mercati (ieri due suoi camion stazionavano all´esterno
del mercato della Manifattura), apre uno degli scenari più inaspettati di
questa campagna elettorale: quello dei soprannomi o meglio dei "detto".
In principio fu quell´Alberto Savarese detto il Parigino, poi è arrivato Gagan
ma c´è molto, molto di meglio. Fabio Di Fonte (Bari vai avanti) è più
semplicemente "Roccia". La lista della Lega di azione Meridionale
propone al consiglio comunale Michele Fabiano detto Totip (il figlio si
chiamerà Snai?) e Biagio Gregorio, in arte Moviola (pare sia un fan di Donda). Da
Sinistra Critica rispondono con lo Zio (Federico Cuscito), Il Pumbaa (Walter
Dabbicco), con il candidato fugace, Spizzico (Giuseppe De Giglio) e con quello
che ha capito tutto della politica, il Mazzetta (Enrico Pistolese). Al San
Paolo, invece, il candidato della Puglia pima di tutto, Vitangelo Mongelli ha
fatto una chiara scelta di campo: abbasso Valentino Rossi, via queste Ducati,
per votarlo basterà scrivere sulla scheda Kawasaki, il nome d´arte. A
Carbonara, invece, chi sceglie il candidato del Psdi, Nicodemo Armenise potrà
scrivere Coletta, a Japigia invece Cassandra Cardano si presenta come Marlon.
Esistono poi le finezze elettorali. In tanti temono l´errore di scrittra. Ecco
quindi che spunta il nome double face: il nome di Margherita Di Giesi si
scriverebbe così ma per semplificare le cose la signora si è detta Mara
Digiesi. Il candidato del Pdl, Giuseppe Guido invece è detto Pinoguido, tutto
attaccato. Massimo Posca del Pdl è semplicemente Massimo mentre Vito De
Benedictis è Bene. Ma le gioie non arrivano soltanto dai soprannomi. I
manifesti, i santini, i programmi hanno dato grandi soddisfazioni. Lo shuttle
sulla Rossani pensato dal candidato sindaco Marcello Signorile è un ever green
mentre importante è il progetto del "Babbo comunale" (un uomo-tata
per le donne sole con figli) di Tracy Fraddosio del Psdi. Avvenente la
candidata Tracy almeno quanto Emilia Papeo, in campo con la lista di Simeone,
una cugina lontana di Barby. Il popolo di Internet si è poi mobilitato con i
tarocchi: la campagna "Io sono Simeone" oggettivamente prestava il
fianco, ma degni di nota sono anche i gruppi nati su Facebook per riuscire a
far parte della comitiva di Ninni Cea. Detto di Monno, non si può dimenticare
Nico Carella della Puglia prima di tutto, fotografato come fosse Julio Iglesias
sulla spiaggia di Pane e Pomodoro o non tener conto di Emanuele Martinelli che
nella foto elettorale sembra un universitario. Con gli spot televisivi, invece,
si è avuta la conferma che Antonio Decaro (Pd) è sostanzialmente un attore e
che Gianni Paulicelli (il re della televendita) è sprecato, a Bari. Infine, la
famiglia: il presidente del quartiere Murattiano, Mario Ferorelli, ha messo in
lista il padre e la madre, i Sisto sono alla Provincia con Onofrio, al Comune
con il cugino Ciccio e potenzialmente alle Europee con Francesco Paolo,
deputato del Pdl. Poi c´è Pietro Petruzzelli, Pd: il suo slogan è "A
giugno nasce un nuovo progetto", in foto porta in palmo di mano
Alessandra, la sua compagna, con il pancione grande. L´altro giorno è nato
Matteo Vito, che evidentemente ha scelto le elezioni anticipate. (g.fosch.)
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 6 - Esteri
Khaled Al Khamissi "Troppa religione" Sono molto
deluso: Obama ha scelto di usare lo stesso linguaggio religioso di Bush. Non
sa che l´università del Cairo è stata fondata da scrittori e intellettuali
laici? Ha parlato a me come musulmano: ma io sono prima di tutto un egiziano,
un laico, un arabo. E poi ha parlato in modo molto irrealistico, il bene e il
male. Lavorare insieme è bene. Il terrorismo è male. Ma queste divisioni
non esistono nella realtà: in ognuno di noi c´è il bene e c´è il male. Sì, lo
ammetto: il mio giudizio globale è negativo.
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 6 - Esteri
Paure, speranze e narghilè i giovani arabi colpiti da Obama
La diretta tv vista dal quartiere Hezbollah di Beirut Il mondo "Gli
americani sono sempre stati dei gran bugiardi. Ma questo può avere successo.
Piuttosto: dite che lo lasceranno fare?" ALBERTO STABILE DAL NOSTRO
INVIATO BEIRUT - «Che dire? Un discorso perfetto, ma solo un discorso»,
commenta, diffidente, Yussef Ajour, il cinquantenne proprietario del
"Family house", scintillante caffè-ristorante-healthclub (palestra
con piscina di 25 metri) aperto due anni fa nel cuore di Dahiyeh, il quartiere
Sud roccaforte degli Hezbollah, mentre l´immagine di Obama
sfuma sul maxischermo solitamente acceso per seguire gli infuocati discorsi di
Nasrallah, le partite di calcio e le telenovelas siriane in tempo di Ramadan.
Oggi non c´è la folla delle grandi occasioni. La gente sembra più attenta agli
ultimi scampoli di campagna elettorale. Per le strade del quartiere sciita le
foto dei caduti nella guerra del 2006 s´alternano ai manifesti dei candidati
alle elezioni di domenica. Poliziotti-miliziani vigilano sui cortei degli
attivisti che fanno impazzire il traffico. Eppure, mentre s´avvicina l´ora del
discorso di Obama, il salone lentamente si riempie di
gruppi di giovani donne velate, di coppie intente in discussioni sommesse, di
anziani signori dall´aria distratta avvolti dal fumo del tabacco alla mela che
brucia nei narghilé. «Ma sì - concede Marwan Ali, un giovane tecnico
informatico che ha studiato due anni negli Stati Uniti «ai tempi di Bush», dice
come fosse un´altra era - sentiamo cosa ha da dire Obama,
ma senza farci troppe illusioni». Il perché del pregiudizio è presto spiegato:
«Per noi, almeno quelli di questo quartiere o, se vuole, di questa parte politica,
gli americani sono dei bugiardi. E´ stata l´America a fare la guerra al Libano,
nel 2006, non Israele». Dal maxischermo Obama pronuncia il suo «assalam allekuum», la pace sia con voi, che
strappa applausi alla platea del Cairo e qui deboli sorrisi. L´umore di Marwan
un po´ cambia, ma resta negativo: «Ammesso che lo voglia, Obama da solo non può fare niente». Un nuovo inizio, dialogo, rispetto
reciproco, non è abbastanza? «Va bene il rispetto - interviene Yussef,
il proprietario - va bene il dialogo, ma perché all´Iran deve essere negato
quello che hanno gli israeliani? Io sono contro l´atomica, ma perché dobbiamo
essere più deboli d´Israele e se cerchiamo di essere pari l´America fa di tutto
per azzerarci?» E´ per questo che sostenete l´Iran? «No. è perché abbiamo lo
stesso nemico». Il traduttore di Al Jazeera rimarca il diritto dei palestinesi
a vivere in un loro stato. Il riconoscimento delle loro sofferenze. «Era ora»,
bisbiglia Mariam, una delle ragazze dai coloratissimi foulard e spolverini
lunghi fino ai piedi che lasciano intravedere jeans e tacchi alti. «Ma lei
pensa che Netanyahu si lascerà convincere? E se è vero quello che Obama dice adesso, allora vuol dire che la guerra contro
Gaza è stata l´ennesima violenza gratuita». Questo ragionamento porta a
un´unica conclusione: «Obama dovrebbe ammettere che se
il diritto dei palestinesi è legittimo, anche la resistenza in difesa del
diritto è legittima». E tira fuori una copia di As Safir, il giornale vicino
all´opposzione, con l´ultima intervista di Naim Kassen, il N.2 di Hezbollah:
"Il Libano può essere difeso solo coi cannoni, i missili, il coraggio dei
cuori": Morale: «Gli Hezbollah continueranno ad armarsi». Gli applausi che
per 33 volte sottolineano il discorso di Obama, non
impressionano la piccola platea del "Family house": «Sappiamo che il
pubblico del Cairo è stato selezionato dal mukabarat (i servizi di sicurezza)»,
sorride un giovane accompagnato dalla fidanzata completamente velata. «Loro, e
i sauditi, sono gli alleati fidati degli Usa e d´Israele. Ma su una cosa sono
d´accordo, quando Obama dice che i governanti arabi
dovrebbero servire la gente e non viceversa. Questo vale soprattutto per questi
regimi dove presidenti e re stanno al potere finché muoiono». E ancora una
volta speranza e fatalismo si mischiano in una miscela avvelenata: «Speriamo
che abbia successo - dice Yussef - ma lo lasceranno fare?»
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 6 - Esteri
Mohsin Hamid: "Un uomo sincero" Quello che mi ha davvero
impressionato nel discorso di Obama è stata la
sincerità che ho visto quando diceva di volere relazioni diverse da quelle che
ci sono state finora fra gli Stati Uniti e i musulmani. La tensione
fondamentale che vedo in Obama è quella fra un uomo sincero, quando dice di voler cambiare le
cose, e il presidente degli Stati Uniti, che invece ha la responsabilità di
difendere gli interessi americani. Cerca un equilibrio fra queste due
forze: se riuscirà a trovarlo ce lo dirà soltanto il tempo.
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 6 - Esteri
Marina Nemat: "Basta estremismi" Ho apprezzato
soprattutto il passaggio in cui Obama ha detto che
dobbiamo affrontare l´estremismo in ogni sua forma. Inoltre è stato molto
importante il fatto che abbia ammesso che la reazione degli Stati Uniti all´11
settembre è stata illogica e che li ha portati ad allontanarsi dai propri
ideali e dalla protezione dei diritti umani. E infine mi è piaciuto che
abbia messo l´accento sulla libertà di religione, sui diritti delle donne e
sull´importanza della non proliferazione nucleare: nessun paese dovrebbe avere
armi nucleari.
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 7 - Esteri
Qualcosa di nuovo "Sono parole che vanno al cuore non le sentono al Qaeda
e i coloni " David Grossman: "è questa la strada per la pace in
Israele" Come ha dimostrato al Cairo, il presidente americano è la
dimostrazione vivente che volendo si può creare qualcosa di nuovo PIETRO DEL RE
«Sono parole di grande effetto, che colpiscono al cuore: gli unici che non le
hanno apprezzate sono stati i terroristi di Al Qaeda e i coloni israeliani». Lo
scrittore David Grossman loda senza riserve il discorso pronunciato ieri da
Barack Obama. E aggiunge: «La strada che ci indica è
la sola per arrivare alla pace in Israele. Le altre le abbiamo provate tutte,
da entrambe le parti. Abbiamo provato con la violenza, con le imposizioni, con
l´occupazione e con il terrore. Non è servito a nulla». Grossman, quali sono le
novità contenute nel discorso del presidente americano? «Da una parte i
contenuti, dall´altra il rispetto e il calore con cui Obama
s´è rivolto al mondo islamico. Come sempre, ha invocato il dialogo tra i
popoli, cercando di mettere in luce le similitudini tra chi si riconosce
diverso, piuttosto che i punti di attrito. Sono certo che in Egitto e altrove,
le sue parole siano state molto apprezzate». Qual è il pregio di Obama? «La chiarezza. Prendiamo, per esempio, la guerra in
Medioriente. Pur riconoscendo il diritto di Israele di esistere come Stato
ebraico, il presidente americano ha insistito sulla necessità di finirla con
l´occupazione dei territori palestinesi e con la costruzione di nuove colonie.
Ha detto cose giuste. Cose che in precedenza hanno detto anche altri
presidenti, ma non con la stessa franchezza e la stessa lucidità». Cosa pensa
del fatto che abbia anche accennato a problemi che riguardano il mondo arabo?
«L´ha fatto con discrezione. Quando ha parlato della libertà religiosa o
dell´eguaglianza delle donne, credo che l´abbia fatto per prestare man forte ai
moderati della società musulmana. La sua stessa storia personale può essere
interpretata come un messaggio positivo, perché è arrivato al vertice del
potere mondiale contro tutti gli stereotipi e contro tutti i pregiudizi.
Ebbene, per molte popolazioni oppresse, per tutti i discriminati, non solo nei
paesi arabi, ma ovunque nel mondo, ciò può significare che cambiare in meglio è
possibile». D´accordo. Obama è sinonimo di speranza.
Ma può bastare per costruire un mondo migliore? «Come ha dimostrato al Cairo,
il presidente è in grado di far nascere una grande energia nei cuori di chi
l´ascolta. è la dimostrazione vivente che volendo si può creare qualcosa di
muovo». Ma in Israele non lo vedono tutti di buon occhio? «No, e ciò è dovuto
proprio al suo decisionismo. Il governo di Tel Aviv è molto preoccupato». Chi
sono i suoi nemici? «Sono i nemici della pace, del dialogo e del compromesso.
Detto questo, ci sono anche molti israeliani che l´apprezzano. Sono coloro, per
esempio, che non ne possono più dell´occupazione dei territori». Lei è tra
questi? «Certo, poiché credo che per la prima volta un presidente americano non
collaborerà con la destra al potere in Israele, ma che al contrario le
suggerirà la strada da seguire per ottenere la pace». Crede che questo
atteggiamento gli creerà nemici anche negli Stati Uniti? «Sì, l´avverseranno
tutti coloro per i quali essere amici di Israele significa schierarsi sempre
dalla sua parte. Ieri, Obama ha detto: «Se sei davvero
amico di qualcuno devi dirgli sinceramente quello che pensi di lui, anche
quando commette degli sbagli». Ora, Israele è prigioniero di un tragico errore.
Spero che il presidente americano possa aiutarci a trovare la strada per
uscirne». E i palestinesi? «Siamo circondati da nemici. I palestinesi non sono
partner né cordiali né affidabili. Perciò anche loro dovranno cambiare
condotta, piegarsi alle nuove regole. Siamo giunti al capolinea. Se non riusciremo a percorrere insieme la strada che ci indica Obama, saremo condannati a vivere nella guerra e nella violenza per il
resto della nostra vita». Anche Hamas s´è detto soddisfatto delle parole del
presidente. «Ne sono lieto. I soli che hanno disapprovato Obama sono Al Qaeda e i coloni israeliani. E devo ammettere di
sentirmi alquanto imbarazzato da questo binomio».
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 34 -
Cronaca Le due superpotenze si sono convinte che la sfida delle fonti
rinnovabili è decisiva. Non per ragioni etiche. Ma perché sanno che l´industria
verde può essere la via per uscire dalla recessione Nella Giornata mondiale
dell´ambiente vi spieghiamo qual è la vera posta in gioco I cinesi puntano
sull´auto elettrica. Obama non vuole rassegnarsi al dominio asiatico Nel 2008 i capitali
privati investiti nel "green business" hanno superato quelli pubblici
Pechino, che parte in ritardo, ha già stanziato 220 miliardi di dollari.
L´America la metà L´Unione europea adesso arranca nonostante sia stata a lungo
un modello di virtù VALERIO GUALERZI Per molti ambientalisti è come se Erode
promettesse di essere un buon maestro d´asilo, ma si tratta pur sempre
di un segnale che non può essere ignorato. Se Wal Mart vuole fare della
sostenibilità il faro del suo business significa che qualcosa sta davvero
cambiando. Anche perché questa volta non si tratta di generici impegni a dare
un tocco di «verde» ai suoi oltre seimila supermercati sparsi per il mondo, ma
di qualcosa di ben più corposo. Qualche settimana fa, parlando a una convention
del gruppo, il neopresidente Mike Duke ha messo in guardia tutti i dipendenti
di Wal Mart collegati via web su cosa si aspetta per il futuro. «Non importa
che mansioni abbiate - ha detto - la sostenibilità rappresenta un´opportunità
per mostrare le vostra capacità di leadership, vi accorgerete che chi farà
carriera con noi è chi dimostra il suo impegno nella sostenibilità». Duke non
ha specificato come verrà valutata la devozione dei dipendenti a rendere la
maggiore corporation al mondo più efficiente e ambientalista, ma in molti
pensano che si potrebbero legare gli incentivi di carriera non più (o non solo)
alla vecchia «produttività», ma alla nuova «sostenibilità». I contestatissimi
bonus per i dirigenti potrebbero insomma essere calcolati sulla base dei risultati
nel risparmio energetico e nel taglio delle emissioni di gas serra, come ha già
annunciato di voler fare la National Grid, utility internazionale che opera
nella fornitura di energia in Gran Bretagna e Stati Uniti. L´azienda ha
lanciato una politica di retribuzioni dei dirigenti basata sulle emissioni con
l´obiettivo di ridurre l´anidride carbonica prodotta del 45% entro il 2020. Un
meccanismo di incentivazione alternativo che una delle maggiori società
internazionali di consulenza ambientale, la Wsp Environmental, suggerisce ai
suoi clienti di applicare non solo ai dirigenti, ma anche agli impiegati. Per
farlo la Wsp ha preparato uno schema che prevede l´assegnazione a tutti i
dipendenti di un «monte CO2» annuale di 5,5 tonnellate. Ogni loro comportamento
dovrà essere improntato quindi al risparmio energetico per evitare di non
sforare a fine anno la quota in dotazione. In ballo ci sono 100 sterline di
premio o di penalità a seconda dei risultati ottenuti. Ma ci sono anche livelli
molto più prosaici di incentivazione aziendale alla difesa del clima. «Molte
imprese - raccontava il Guardian - hanno sperimentato un ampio campionario di
premi per i dipendenti che risparmiano energia spegnendo i pc prima di andare
via, compresi dei buoni acquisti e un croissant omaggio al giorno».
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 35 -
Cronaca Il caso Da Wal Mart alle piccole imprese, boom di incentivi a manager e
dipendenti virtuosi L´azienda premia chi non inquina (SEGUE DALLA COPERTINA)
federico rampini E almeno in un settore l´America si piazza in testa in questo
duello: negli ultimi 12 mesi ha installato 8.300 megawatt di impianti eolici,
un record storico, mentre la Cina arriva seconda con 6.300 megawatt di energia
prodotta dal vento. Entro la fine del 2009 però il colosso asiatico sarà il
primo esportatore mondiale di turbine eoliche. Arranca un po´ indietro l´Unione
europea, che pure fu a lungo un modello di virtù per avere sottoscritto quasi
da sola gli impegni di Kyoto sulla riduzione delle emissioni carboniche. Ma
anche sul Vecchio continente spira un vento di ottimismo. La battaglia
ambientale non è più percepita come una zavorra, un sovrappiù di costi, e un
ostacolo allo sviluppo. Al contrario la Commissione di Bruxelles annuncia che
«i benefici delle energie rinnovabili in termini di sicurezza e di lotta
all´inquinamento vanno a braccetto con consistenti vantaggi economici». Non
sono affermazioni volontaristiche. Già oggi il solo business delle energie
rinnovabili occupa 1,4 milioni di europei, per lo più ricercatori, tecnici,
manodopera altamente qualificata. «Altri 410.000 posti di lavoro aggiuntivi
verranno creati - spiega la Commissione - se l´Unione europea raggiunge
l´obiettivo del 20% di energie rinnovabili sul totale entro il 2020». Più dei
proclami politici, più delle esortazioni lanciate da istituzioni internazionali,
l´ottimismo è sorretto dalla nuova attenzione che il mondo del business rivolge
all´ambiente. Un sorpasso significativo è avvenuto nel corso del 2008, lo
annuncia ora lo United Nations Environmental Program. Per la prima volta nella
storia, l´anno scorso i capitali privati globalmente investiti nelle fonti
rinnovabili (140 miliardi di dollari) hanno superato quelli investiti negli
idrocarburi e altre energie fossili (110 miliardi). Il contributo decisivo a
questo sorpasso lo hanno dato le nazioni emergenti. Guidate da Cina e Brasile,
hanno aumentato del 27% i loro investimenti in energie pulite. Certo i problemi
da risolvere restano immani. La Cina si è risvegliata solo dopo che il suo
modello di sviluppo energivoro ha seminato distruzione. Oggi sui 600 milioni di
cinesi che abitano in zone urbane, solo l´1% respira un´aria che sarebbe
considerata "non tossica" in base agli standard europei. E la
recessione può esercitare un pericoloso effetto anestetizzante. Grazie al
crollo della produzione industriale, ai fallimenti, alle chiusure di fabbriche,
il 2008 ha visto per la prima volta una riduzione parallela delle emissioni di
Co2 sia in Cina che in America. Questo è un effetto tipicamente temporaneo, non
deriva da cambiamenti strutturali. Guai se lo choc recessivo crea l´illusione
che si possa abbassare la guardia. La decrescita può far male all´ambiente se
inaridisce i finanziamenti nella ricerca. Il più grande inquinatore del pianeta
sembra deciso a fare sul serio. L´ultimo rapporto del Climate Group sulla Cina
è intitolato "La Rivoluzione Pulita". Negli ultimi mesi Pechino ha
già investito 12 miliardi di dollari in energie rinnovabili: è seconda solo
alla Germania. La Repubblica Popolare pianifica di raddoppiare il peso delle
energie pulite portandole al 15% del totale entro il 2020. è un obiettivo
ambizioso vista la situazione di partenza: oggi l´80% della corrente in Cina è
generata da centrali termoelettriche a carbone. Anche sul carbone, la materia
prima più inquinante in termini di Co2, c´è uno spiraglio. L´Agenzia
Internazionale dell´Energia spiega che «le scelte cinesi saranno la chiave per
un uso meno inquinante del carbone, la sfida in assoluto più urgente». Secondo
l´Aie la Repubblica Popolare può diventare «leader nel business del carbone pulito,
dove sta sviluppando innovazioni tecnologiche uniche, che altri paesi
dovrebbero adottare». Un segnale della nuova attenzione che si respira su
questi temi: dopo averlo ignorato per anni, il governo cinese ha accolto a
braccia aperte Al Gore. Il Premio Nobel è stato finalmente autorizzato a
organizzare un importante convegno a Pechino, sul cambiamento climatico, con il
contributo parallelo dell´Accademia delle Scienze e dell´Asia Society di
Orville Schell (un think tank di New York che in passato non ha lesinato le
critiche alla politica cinese). Il disgelo è avvenuto con la benedizione del
mondo industriale: nella recessione globale, il business verde è uno dei pochi
motori ancora trainanti. In questo caso l´economia di mercato aiuta l´ambiente,
perché è pilotata da una guida politica. Da Washington a Pechino, il ruolo
dello Stato è cruciale nel mandare impulsi al settore privato, costruendo la
nuova cornice di incentivi e disincentivi entro cui si muove il mercato. La
logica del profitto, piegata a fini virtuosi, è all´opera in un settore che a
lungo è stato l´imputato numero uno per l´inquinamento atmosferico:
l´automobile. Anche in questo caso la Cina è un laboratorio interessante.
Pechino punta a battere tutti sul traguardo dell´auto elettrica, "saltando"
una generazione nel percorso di sviluppo della sua industria automobilistica.
Il gruppo Byd di Shenzhen, partito da una posizione di forza come fornitore
mondiale di batterie per telefonini, si è diversificato nelle batterie per auto
e sviluppa un modello a motore interamente elettrico. I capitali privati ci
credono, al punto che l´operazione coinvolge il nome più illustre della finanza
americana. Nel settembre 2008 il gruppo Berkshire Hathaway che fa capo a Warren
Buffett (detto il "saggio di Omaha", il secondo uomo più ricco del
pianeta) ha acquistato una quota del 10% nel capitale della Byd, scommettendo
che la Cina sarà tra i vincitori nella corsa. Il primo modello di berlina
quattroporte ad alimentazione solo elettrica della Byd sarà in vendita in
America nel 2011. Barack Obama non vuole
rassegnarsi al dominio asiatico nell´auto pulita. Annunciando la bancarotta
della General Motors, che deve sfociare nel parto di una casa più snella e
competitiva, il presidente ha ribadito che tra i compiti del nuovo management
c´è il rinnovamento della gamma per ridurre i consumi energetici. Gli
effetti si sentiranno a cascata perché l´industria automobilistica è al centro
di una vasta ragnatela: l´indotto è l´universo di aziende che forniscono
componenti, si stima che raggiunga fino a due milioni di persone negli Stati
Uniti. Come dimostra il caso delle aziende giapponesi, sudcoreane e cinesi che
producono batterie al litio per auto elettriche o ibride, attorno alla domanda
di un´auto pulita si genera un intera attività industriale nuova. Inaugurando
una fase di interventismo statale che non ha precedenti dai tempi di Franklin
Roosevelt, Obama ha chiarito che ambiente e profitto
devono andare d´accordo. è questa la cifra distintiva della sua politica
industriale. Il sociologo inglese Anthony Giddens è convinto che sia la strada
giusta per superare le resistenze del passato: «Obama
riesce a trasformare l´ambientalismo in un messaggio positivo. Rende evidente
il nesso tra energie alternative, sicurezza, e crescita economica. è capace di
ispirare una vera svolta, e questa può contagiare anche l´Europa».
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 11 -
Interni Colpa della destra L´ex leader interviene su Facebook Veltroni, appello
per il Pd "Fermare l´Italia violenta" Il partito teme l´astensione e
spera nel 27% La destra sta seminando violenza reale, mai così diffusa. Per
questo nostro sfortunato paese il Pd è la principale speranza Allarme anche per
le amministrative: il centrosinistra confermerebbe solo 15 province L´obiettivo
principale è contenere la forbice rispetto al centrodestra GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - Un nuovo appello a non dimenticare il voto di domani e dopodomani e a
dare la preferenza al Partito democratico. L´ex segretario Walter Veltroni
deposita un post su Facebook per denunciare l´Italia violenta che «la destra
sta edificando». «Violenza reale, mai così diffusa», precisa. La principale
«speranza» per arginare questo pericolo è il Pd, l´unica soluzione per girare
pagina «è il riformismo che mostra il suo volto nuovo nel
disegno di Barack Obama». Quello di Veltroni è un "grido" che si somma ai
richiami di Dario Franceschini e Romano Prodi, un nuovo invito agli elettori
democratici che solo un anno fa consegnavano il 33,2 per cento al nuovo partito
del centrosinistra. Oggi il Pd combatte per ripartire anche da esiti inferiori.
In questi giorni Franceschini e i vertici democratici, nelle pieghe della
campagna elettorale, compulsano sondaggi dell´ultima ora, quelli che non si
possono più rendere pubblici. Ieri mattina l´ultimo monitoraggio. Sul tavolo
della segreteria le ricerche di più di un istituto, con un range che va dal 25
per cento a un insperato 28,5. Quest´ultimo dato sarebbe cinque punti sotto il
dato delle politiche di un anno fa, ma meno di tre punti dal traguardo delle
scorse Europee quando Ds e Margherita si presentarono sotto il simbolo prodiano
di Uniti per l´Ulivo (31,1). Una mezza impresa, viste tutte le difficoltà di
questi mesi. E nel quartier generale si è diffuso un clima di maggior
buonumore. A Largo del Nazareno infatti è stata fissata la vera soglia minima
di agibilità politica, quella che dovrebbe portare al congresso di ottobre
senza troppi sconquassi. L´obiettivo è il 27 per cento. Così, è la speranza, si
potrebbe contenere la forbice rispetto al Pdl, se la forza berlusconiana si
fermasse al 38. Sono 11 punti di distacco, ovvero un sacco di voti, ma siamo
lontani dal fantasma doppiaggio temuto nel periodo di massima popolarità del
Cavaliere quando si realizzò l´accoppiata terremoto dell´Abruzzo-25 aprile. Le
variabili sono legate anche all´astensionismo. Al Pd hanno potuto esaminare,
attraverso un lavoro di intelligence, le previsioni degli esperti berlusconiani
sull´affluenza. I sondaggisti del premier non escludono affatto un crollo
verticale dei votanti. Le urne potrebbero essere disertate addirittura dal 40
per cento del corpo elettorale, nonostante l´election day coinvolga anche le
amministrative. In altri Paesi della Ue l´astensione ha questi contorni già da
molti anni. L´ipotesi peggiore danneggerebbe il Pd (in bilico tra il 25 e il
27), il 65 per cento di affluenza invece gli regalerebbe un punto e mezzo, il
70 (vicino al precedente dato del 2004) riporterebbe i democratici un poco più
indietro. Calcoli difficilissimi (soprattutto quelli sull´affluenza) ma che
vengono vagliati con grande attenzione per capire cosa succederà nel
centrosinistra da lunedì in poi. Anche le amministrative saranno una cartina di
tornasole. Si vota in 30 capoluoghi e per 62 amministrazione provinciali (tre
di nuova costituzione: Monza, Barletta, Fermo). Nel 2004 il centrosinistra fece
quasi l´en plein: 50 a 9. Approfittando anche delle divisioni tra Lega e Casa
delle libertà. Oggi però Carroccio e Pdl sono uniti dappertutto e i risultati
delle politiche (non i sondaggi) sembrano molto sfavorevoli al Pd e ai suoi
alleati. Con i dati del 2008, il centrosinistra confermerebbe solo 15 province.
Ma non mancano le variabili: il doppio turno e la forza di alcune buone
amministrazioni e di candidati migliori che possono compensare il calo dei
partiti. Il Pd anche in questo caso ha fissato una soglia minima di
soddisfazione: la conferma, dopo i ballottaggi, di 27-28 giunte provinciali.
«Con questi numeri - dicono a Largo del Nazareno - significherebbe comunque
poter ricominciare dal territorio». Non è sfuggita ai dirigenti democratici
l´intervista di Giulio Tremonti al Messaggero in cui si vaticina il futuro
della sinistra: «Diventerà un partito appenninico», con un riferimento chiaro
alle storiche regioni rosse. L´obiettivo del Pd è tenere al Nord, giocarsi le
carte al secondo turno, sfruttare una classe politica locale in alcune realtà
più apprezzata anche se il cuore degli elettori batte da un´altra parte.
( da "Repubblica, La"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 33 - R2 Il
riscaldamento globale rimane la vera emergenza. Ma per la prima volta dopo anni
bui, forse si può essere ottimisti. Ecco perché FEDERICO RAMPINI «La Cina si
candida a diventare il Dragone Verde, vuole vincere la corsa mondiale verso un´economia
low-carbon, a bassa emissione di Co2». Non è propaganda del regime di Pechino.
L´affermazione, fatta alla vigilia della Giornata mondiale dell´Ambiente
dell´Onu che si celebra oggi, è di Steve Howard che dirige il Climate Group,
importante ong ambientalista americana. Howard indica la chiave di questa
conversione: «I dirigenti cinesi si sono convinti che questa è la nuova ricetta
del profitto». Via via che si svelano i contenuti della maximanovra di
investimenti pubblici varati dalla Repubblica Popolare per rilanciare la
crescita, ecco che cosa si scopre: su 586 miliardi di dollari di spesa pubblica
aggiuntiva, ben 220 miliardi (il 40%) va a finanziare l´industria verde, dal
risparmio energetico alle fonti rinnovabili, dall´auto elettrica al motore ibrido.
L´Amministrazione Obama rincorre la
lepre cinese: sui 787 miliardi di dollari di manovra di rilancio della
crescita, Washington ne stanzia una quota inferiore ma comunque importante (112
miliardi) per l´ambiente. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN ARTICOLO DI
VALERIO GUALERZI SEGUE A PAGINA 34
( da "Repubblica.it"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
"LA CINA si
candida a diventare il Dragone Verde, vuole vincere la corsa mondiale verso
un'economia low-carbon, a bassa emissione di Co2". Non è propaganda del
regime di Pechino. L'affermazione, fatta alla vigilia della Giornata mondiale
dell'Ambiente dell'Onu che si celebra oggi, è di Steve Howard che dirige il
Climate Group, importante ong ambientalista americana. Howard indica la chiave
di questa conversione: "I dirigenti cinesi si sono convinti che questa è
la nuova ricetta del profitto". Via via che si svelano i contenuti della
maximanovra di investimenti pubblici varati dalla Repubblica Popolare per
rilanciare la crescita, ecco che cosa si scopre: su 586 miliardi di dollari di
spesa pubblica aggiuntiva, ben 220 miliardi (il 40%) va a finanziare l'industria
verde, dal risparmio energetico alle fonti rinnovabili, dall'auto elettrica al
motore ibrido. L'Amministrazione Obama rincorre la
lepre cinese: sui 787 miliardi di dollari di manovra di rilancio della
crescita, Washington ne stanzia una quota inferiore ma comunque importante (112
miliardi) per l'ambiente. E almeno in un settore l'America si piazza in testa
in questo duello: negli ultimi 12 mesi ha installato 8.300 megawatt di
impianti eolici, un record storico, mentre la Cina arriva seconda con 6.300 megawatt
di energia prodotta dal vento. Entro la fine del 2009 però il colosso asiatico
sarà il primo esportatore mondiale di turbine eoliche. Arranca un po' indietro
l'Unione europea, che pure fu a lungo un modello di virtù per avere
sottoscritto quasi da sola gli impegni di Kyoto sulla riduzione delle emissioni
carboniche. Ma anche sul Vecchio continente spira un vento di ottimismo. La
battaglia ambientale non è più percepita come una zavorra, un sovrappiù di
costi, e un ostacolo allo sviluppo. Al contrario la Commissione di Bruxelles
annuncia che "i benefici delle energie rinnovabili in termini di sicurezza
e di lotta all'inquinamento vanno a braccetto con consistenti vantaggi
economici". Non sono affermazioni volontaristiche. Già oggi il solo business
delle energie rinnovabili occupa 1,4 milioni di europei, per lo più
ricercatori, tecnici, manodopera altamente qualificata. "Altri 410.000
posti di lavoro aggiuntivi verranno creati - spiega la Commissione - se
l'Unione europea raggiunge l'obiettivo del 20% di energie rinnovabili sul
totale entro il 2020". OAS_RICH('Middle'); Più dei proclami politici, più
delle esortazioni lanciate da istituzioni internazionali, l'ottimismo è
sorretto dalla nuova attenzione che il mondo del business rivolge all'ambiente.
Un sorpasso significativo è avvenuto nel corso del 2008, lo annuncia ora lo
United Nations Environmental Program. Per la prima volta nella storia, l'anno
scorso i capitali privati globalmente investiti nelle fonti rinnovabili (140
miliardi di dollari) hanno superato quelli investiti negli idrocarburi e altre
energie fossili (110 miliardi). Il contributo decisivo a questo sorpasso lo
hanno dato le nazioni emergenti. Guidate da Cina e Brasile, hanno aumentato del
27% i loro investimenti in energie pulite. Certo i problemi da risolvere
restano immani. La Cina si è risvegliata solo dopo che il suo modello di
sviluppo energivoro ha seminato distruzione. Oggi sui 600 milioni di cinesi che
abitano in zone urbane, solo l'1% respira un'aria che sarebbe considerata "non
tossica" in base agli standard europei. E la recessione può esercitare un
pericoloso effetto anestetizzante. Grazie al crollo della produzione
industriale, ai fallimenti, alle chiusure di fabbriche, il 2008 ha visto per la
prima volta una riduzione parallela delle emissioni di Co2 sia in Cina che in
America. Questo è un effetto tipicamente temporaneo, non deriva da cambiamenti
strutturali. Guai se lo choc recessivo crea l'illusione che si possa abbassare
la guardia. La decrescita può far male all'ambiente se inaridisce i
finanziamenti nella ricerca. Il più grande inquinatore del pianeta sembra
deciso a fare sul serio. L'ultimo rapporto del Climate Group sulla Cina è
intitolato "La Rivoluzione Pulita". Negli ultimi mesi Pechino ha già
investito 12 miliardi di dollari in energie rinnovabili: è seconda solo alla
Germania. La Repubblica Popolare pianifica di raddoppiare il peso delle energie
pulite portandole al 15% del totale entro il 2020. È un obiettivo ambizioso
vista la situazione di partenza: oggi l'80% della corrente in Cina è generata
da centrali termoelettriche a carbone. Anche sul carbone, la materia prima più
inquinante in termini di Co2, c'è uno spiraglio. L'Agenzia Internazionale
dell'Energia spiega che "le scelte cinesi saranno la chiave per un uso meno
inquinante del carbone, la sfida in assoluto più urgente". Secondo l'Aie
la Repubblica Popolare può diventare "leader nel business del carbone
pulito, dove sta sviluppando innovazioni tecnologiche uniche, che altri paesi
dovrebbero adottare". Un segnale della nuova attenzione che si respira su
questi temi: dopo averlo ignorato per anni, il governo cinese ha accolto a
braccia aperte Al Gore. Il Premio Nobel è stato finalmente autorizzato a
organizzare un importante convegno a Pechino, sul cambiamento climatico, con il
contributo parallelo dell'Accademia delle Scienze e dell'Asia Society di
Orville Schell (un think tank di New York che in passato non ha lesinato le
critiche alla politica cinese). Il disgelo è avvenuto con la benedizione del
mondo industriale: nella recessione globale, il business verde è uno dei pochi
motori ancora trainanti. In questo caso l'economia di mercato aiuta l'ambiente,
perché è pilotata da una guida politica. Da Washington a Pechino, il ruolo
dello Stato è cruciale nel mandare impulsi al settore privato, costruendo la
nuova cornice di incentivi e disincentivi entro cui si muove il mercato. La
logica del profitto, piegata a fini virtuosi, è all'opera in un settore che a
lungo è stato l'imputato numero uno per l'inquinamento atmosferico:
l'automobile. Anche in questo caso la Cina è un laboratorio interessante.
Pechino punta a battere tutti sul traguardo dell'auto elettrica,
"saltando" una generazione nel percorso di sviluppo della sua
industria automobilistica. Il gruppo Byd di Shenzhen, partito da una posizione
di forza come fornitore mondiale di batterie per telefonini, si è diversificato
nelle batterie per auto e sviluppa un modello a motore interamente elettrico. I
capitali privati ci credono, al punto che l'operazione coinvolge il nome più
illustre della finanza americana. Nel settembre 2008 il gruppo Berkshire
Hathaway che fa capo a Warren Buffett (detto il "saggio di Omaha", il
secondo uomo più ricco del pianeta) ha acquistato una quota del 10% nel
capitale della Byd, scommettendo che la Cina sarà tra i vincitori nella corsa.
Il primo modello di berlina quattroporte ad alimentazione solo elettrica della
Byd sarà in vendita in America nel 2011. Barack Obama
non vuole rassegnarsi al dominio asiatico nell'auto pulita. Annunciando la bancarotta
della General Motors, che deve sfociare nel parto di una casa più snella e
competitiva, il presidente ha ribadito che tra i compiti del nuovo management
c'è il rinnovamento della gamma per ridurre i consumi energetici. Gli effetti
si sentiranno a cascata perché l'industria automobilistica è al centro di una
vasta ragnatela: l'indotto è l'universo di aziende che forniscono componenti,
si stima che raggiunga fino a due milioni di persone negli Stati Uniti. Come
dimostra il caso delle aziende giapponesi, sudcoreane e cinesi che producono
batterie al litio per auto elettriche o ibride, attorno alla domanda di un'auto
pulita si genera un intera attività industriale nuova. Inaugurando una fase di
interventismo statale che non ha precedenti dai tempi di Franklin Roosevelt, Obama ha chiarito che ambiente e profitto devono andare
d'accordo. È questa la cifra distintiva della sua politica industriale. Il
sociologo inglese Anthony Giddens è convinto che sia la strada giusta per
superare le resistenze del passato: "Obama riesce
a trasformare l'ambientalismo in un messaggio positivo. Rende evidente il nesso
tra energie alternative, sicurezza, e crescita economica. È capace di ispirare
una vera svolta, e questa può contagiare anche l'Europa". (5 giugno 2009
( da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Prima Pagina data: 05/06/2009 - pag: 1 Il presidente assicura che
il legame con Israele è indissolubile. «La situazione dei palestinesi resta
intollerabile» «Usa e Islam contro gli estremismi» Obama
dal Cairo: basta sospetti, adesso un nuovo inizio «Un nuovo inizio» per
spezzare il circolo vizioso di «sospetti e contrasti ». E' l'offerta del
presidente degli Stati Uniti al mondo islamico nel discorso del Cairo:
«Combattiamo insieme l'estremismo violento» Due Stati. Affrontando
la questione palestinese, Barack Obama ha ribadito
che due Stati per due popoli è «l'unica soluzione»: la situazione dei
palestinesi è «intollerabile », ha sottolineato. Rapporto incrollabile. Obama ha assicurato che tra Israele e Stati Uniti il rapporto resta
«incrollabile ». Quanto all'Iran, «dovrebbe avere diritto all'energia
nucleare da usare per scopi pacifici. Visita Il presidente Obama
con Hillary Clinton (al centro) nella moschea di Hassan ALLE PAGINE 2E3
Battistini e Valentino
(
da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 05/06/2009 - pag: 2 Obama per un nuovo inizio «Islam parte dell'America» «Ho il dovere di combattere l'estremismo violento» DAL NOSTRO INVIATO IL CAIRO Un discorso per la modernità. Meticcio e complesso. Come l'uomo che l'ha pronunciato. La ridefinizione politica e narrativa di una nuova America. Che rivendica la sua leadership e i valori. Ma trova nella propria biografia collettiva e in quella personale del giovane presidente le ragioni per rifiutare il conflitto di civiltà, cercando invece «un nuovo inizio» nei travagliati rapporti con l'universo musulmano. Dove i grandi principi comuni di «giustizia e progresso » prendano il posto delle differenze. «La tolleranza e la dignità di tutti gli esseri umani » esorcizzino l'esclusione, il sospetto, la discordia. As-Salamu alaykum, la pace sia con voi, dice Barack Obama salutando i 4 mila studenti e dignitari venuti ad ascoltarlo e applaudirlo nell'Aula Magna dell'Università del Cairo. Mesi di preparazione e maniacale limatura, per offrire al mondo l'audacia della speranza, declinando verso l'Islam il teorema col quale ha conquistato gli americani. Umilmente consapevole che la forza della parola, pur liberata con la solita maestria oratoria e l'aria ogni tanto professorale, «non possa da sola sradicare anni di sfiducia». Ma convinto che «occorra dire apertamente le cose che abbiamo in cuore», che lo sforzo reciproco di ascoltare, imparare, capire, rispettarsi e cercare un terreno comune, non sia più rinviabile. «Sii cosciente di Dio e dì sempre la verità», è stato il motto scelto da >Obama,
nella prima delle tre citazioni dal Corano che ne hanno scandito il discorso.
Una costruzione di lemmi rovesciati, per cambiare la percezione dell'America
nel mondo che crede al Profeta: la sua storia di cristiano con le radici
islamiche e la realtà di un Paese, dove anche i soldati, gli eroi degli stadi,
i premi Nobel e le icone come il grande Mohammed Alì sanno conciliare la
Costituzione di Franklin e Jefferson con le sure. Sette milioni di musulmanoamericani
e 1200 moschee, non ci possono essere dubbi: «L'Islam è parte dell'America ».
Con un doppio corollario: «Così come considero mia responsabilità da presidente
combatterne gli stereotipi ovunque essi appaiono, lo stesso principio deve
applicarsi alle percezioni islamiche dell'America». Che non è prototipo
dell'impero egoista, ma «è nata dalla rivoluzione contro un impero ed è stata
una grande forza di progresso». E pluribus unum. Una premessa ambiziosa e
originale, che è servita a Obama per addentare senza
troppi complimenti i frutti della discordia. L'estremismo violento, in primo
luogo, che il dovere di «proteggere il popolo americano» gl'impone di
combattere. Una battaglia dove però «l'Islam non è parte del problema», ma
alleato nella promozione della pace. Parole chiare e forti ha riservato al nodo
dei nodi, il conflitto tra Israele e Palestina. Nessun piano. Ma la conferma
che la stella polare siano i due Stati, in pace l'uno fianco all'altro. Il
legame con lo Stato ebraico è «indistruttibile ». Ma non è più carta bianca.
Hamas deve fermare la violenza e riconoscere il diritto all'esistenza
d'Israele, se vuol essere parte dell'equazione. L'Autorità palestinese deve
saper governare al servizio del popolo. Ma la situazione dei palestinesi «non è
tollerabile » e «l'America non volgerà le spalle alle loro legittime
aspirazioni». Dall'alleato prediletto, Obama si
aspetta la fine dell'espansione: «Gli Stati Uniti non riconoscono la
legittimità dei continui insediamenti israeliani ». E poi l'Iran, le sue pericolose
ambizioni nucleari. Pronti ad andare avanti, negoziando senza precondizioni.
Impegnati a un mondo senza atomiche, ma convinti che «ogni nazione, incluso
l'Iran, abbia il diritto di accedere al nucleare civile, se accetta le sue
responsabilità» sotto le regole internazionali. Ancora, la democrazia, la
libertà religiosa, i diritti delle donne. Riconoscendo i propri torti e
attribuendo quelli degli altri, fossero pure gli anfitrioni egiziani. Un finale
ispirato. Il dovere di lavorare «insieme per il mondo che vogliamo ».
Ricordando ancora le scritture: Corano, Talmud e Bibbia. Dove pace e conoscenza
sono verbo comune. AGiza Obama e la Sfinge (Ansa/Epa)
In India Una famiglia musulmana (Ap/Das) In Iraq Dentro una casa, a Bagdad
(Emmevi) In Somalia Tv all'aperto a Mogadiscio (Ap) Paolo Valentino
(
da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
(
da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
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(
da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
(
da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
(
da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
(
da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
(
da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
(
da "Corriere della Sera"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
(
da "Repubblica.it"
del 05-06-2009)
Argomenti: Obama
(
da "Repubblica.it"
del 05-06-2009)
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