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Report "Obama"  5 giugno 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

INVIATO AL CAIRO ( da "Stampa, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: elettorale e spiega perché nella seconda parte del discorso Obama illustra un'agenda politica di problemi da risolvere con un linguaggio senza perifrasi. Se «l'America non è in guerra con l'Islam» si può dire con franchezza che cosa urge. Obama promette di battersi contro l'islamofobia ma chiede di fare altrettanto con l'odio anti-americano, rivendica il diritto di combattere l'«

TRE CRISI LEGATE FRA LORO ( da "Stampa, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Quando il presidente Obama si rivolge al mondo musulmano dal Cairo o il presidente Sarkozy inaugura una base navale francese a Abu Dhabi, è l'intera posta in gioco che va presa in considerazione. L'asse di crisi del Levante è caratterizzato innanzitutto dal doppio blocco israeliano e palestinese.

L'AMICO CHE VORREI A FIANCO ( da "Stampa, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: È arrivato il momento della verità ed è un bene che un leader saggio e coraggioso quale Barack Obama che (non ne ho alcun dubbio) ancor prima che il rafforzamento della sua nazione agli occhi del mondo musulmano vede il bene di Israele e la sua sicurezza, proclami: basta, voi non fate che del male a voi stessi, danneggiate il vostro futuro.

"Un nuovo inizio con l'Islam" ( da "Stampa, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Hamas: pronti al dialogo. Israele: morbido con Ahmadinejad. Il Vaticano: ha un sogno come Luther King. L'Iran: nessuna novità "Un nuovo inizio con l'Islam" Storico discorso di Obama al Cairo: basta con l'odio tra Occidente e musulmani

Calabresi: "Il gossip uccide la politica" ( da "Stampa, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Si è parlato di Obama e di come abbia saputo cogliere il bisogno di cambiamento del suo Paese. Qualche stoccata anche alla nostra Italia, più preoccupata per le vicende personali del cavaliere che dei programmi, dell'economia, della crisi e occupazione. Delle proposte per uscirne.

Una piccola protesta di cinque persone ha avuto luogo al Cairo prima che Obama pronunciasse il suo d... ( da "Stampa, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama sulla tragedia palestinese. Obama ha difeso eroicamente i diritti del popolo palestinese: devo esserne contento. Ha utilizzato un linguaggio idealista parlando di un futuro prossimo in cui noi attueremo la visione di Dio qui sulla terra vivendo in pace e armonia in un mondo senza armi nucleari, dove il soldato Usa tornerà in patria e ogni uccello vivrà nel suo nido felice,

Netanyahu: "Troppo morbido con l'Iran" Hamas: "C'è del buono" ( da "Stampa, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Cairo si erano spenti gli echi degli applausi al discorso di Barack Obama. «Il presidente degli Stati Uniti si esprime con toni nuovi, ha finalmente abbandonato la retorica che contraddistingueva il suo predecessore George Bush», hanno concordato compiaciuti i dirigenti locali. Più tardi, in un comunicato, hanno confermato che a Washington sembra delinearsi ora un nuovo approccio,

"Ha fatto cadere l'ultimo muro di Berlino Ci accetta come siamo" ( da "Stampa, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: nero e pane arabo e sbircia lo schermo da cui Obama afferma che «le nostre figlie possono contribuire alla società quanto i nostri figli maschi». Franjie prende nota sul post-it, unica concessione alla cancelleria nell'ufficio spartano adorno solo della foto dell'ex ministro dell'industria Pierre Gemayel, ucciso nel 2006: «È caduto il muro di Berlino tra America e mondo musulmano,

[FIRMA]ALDO BAQUIS TEL AVIV È l'inizio di un cambiamento : questa la sens... ( da "Stampa, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Cairo si erano spenti gli echi degli applausi al discorso di Barack Obama. «Il presidente degli Stati Uniti si esprime con toni nuovi, ha finalmente abbandonato la retorica che contraddistingueva il suo predecessore George Bush», hanno concordato compiaciuti i dirigenti locali. Più tardi, in un comunicato, hanno confermato che a Washington sembra delinearsi ora un nuovo approccio,

"Una nuova speranza per il mondo arabo Ora si pensi ai due Stati" ( da "Stampa, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ostpolitik di Obama verso l'Islam. «Ha un sogno come Luther King», scrive il Sir, l'agenzia stampa dei vescovi italiani. «Ha lanciato la proposta di un nuovo inizio nei rapporti con il mondo musulmano, gli riconosce l'Osservatore romano. Si è spinto al di là delle formule politiche, evocando comuni interessi concreti in nome di una comune umanità»

Per Khamenei "Soltanto parole Nessuna novità" ( da "Stampa, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Qui la gente è troppo presa dalle presidenziali - dice - per badare a Obama. Gli effetti del suo discorso si vedranno dopo il voto, specialmente se ci sarà un cambiamento. Ormai, a sette giorni dalle urne, le posizioni dei candidati sono irrimediabilmente cristallizate». Quindi il discorso di Obama non ha scalfito gli iraniani?

"Adesso musical anche in Italia" ( da "Stampa, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pochi giorni fa Obama e la moglie Michelle hanno interrotto la loro vita presidenziale per andare a teatro: un fatto che ha destato un certo scalpore. «È stupendo. Penso che per il teatro sia stato un ottimo segno. Era la precedente amministrazione, piuttosto, che rappresentava un'aberrazione».

la riscoperta dell'america - vittorio zucconi ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Hussein Obama sta riportando nel mondo, e non soltanto nella galassia musulmana alla quale ha parlato ieri, la "voglia di America" e la possibilità di proclamarsi senza ipocrisia "tutti americani". «We love you Obama» gridava qualche studente della più grande, e antica, università islamica del mondo, al-Azhar al Cairo.

l'incontro di civiltà - bernardo valli ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: lacerato dal conflitto israelo-palestinese, essendo da un lato fedele alle sue origini ebraiche e dall´altro sensibile alle ingiustizie cui sono sottoposti i palestinesi, dopo il discorso di Barack Obama mi ha detto con slancio che «valeva la pena vivere abbastanza per ascoltarlo». SEGUE A PAGINA 30

"e' l'ora di un nuovo inizio" obama tende la mano all'islam - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama si ferma, risponde «thank you» e conclude ancora sul leit-motiv della pace e del dialogo: «Gli uomini di tutto il mondo possono vivere in pace. è la volontà di Dio. Ora ci deve essere il nostro impegno qui sulla Terra». E mentre la sala si alza in piedi parte dalle gradinate il grido ritmato: «Obama, Obama».

hamas: "pronti al dialogo" ma israele è più cauto ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Anche se lo stesso portavoce non sorvola sulle «contraddizioni» in cui Obama sarebbe incorso. Piace ad Hamas il riconoscimento venuto da Obama, secondo cui il Movimento islamico «ha il sostegno di alcuni palestinesi», ma se è così, obietta Barhum, perché il presidente americano non ha sottolineato la legittimità del nostro governo democraticamente eletto nel 2006?

gm: tempi lunghi per magna-opel e tremonti punta ancora su fiat - paolo griseri ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Lo stesso ragionamento vale anche per Obama?». Per la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, «la scelta del governo tedesco di giocare direttamente la partita Opel lascia perplessi». In attesa di tornare a giocare sullo scacchiere europeo, il Lingotto cerca di evitare tensioni in Italia.

l'incontro di civiltà - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ha anche parlato delle «umiliazioni quotidiane - grandi e piccole - dovute all´occupazione». Non sono propositi nuovi. Obama li ha tenuti a quattrocchi al primo ministro Netanyahu, di recente in visita a Washington. Ripetuti davanti all´intero mondo musulmano in ascolto assumono tuttavia un diverso valore.

la riscoperta dell'america - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: operazione Obama" è che senza il sentimento che la democrazia americana resti davvero "l´ultima speranza", nessuna azione diplomatica od operazione militare od offensiva diplomatica può davvero vincere e ogni vittoria resta effimera. Se l´America ritrova la credibilità perduta, ogni suo intervento torna a essere efficace.

"una lapide in memoria di petru" presidio anticamorra a montesanto - ilaria urbani ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Che dobbiamo sperare che arrivi Obama per salvarci?». Il presidio per Petru ha occupato la piazza fino a poco dopo le 20. Chi non ha portato un fiore, ha portato una poesia. "I ragazzi della fisarmonica hanno occhi di stelle nere - scrive Valeria - possono guardarti in fondo al cuore, toccarti l´anima".

pomodori e alberi da frutto un orto a palazzo marino ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: come Michelle Obama, la first lady americana. «Sul terrazzo della mia casa milanese coltivo, assieme a mio marito, melanzane, pomodori e insalate oltre ad alcune piante da frutto. Lo facciamo da anni ed è molto piacevole e rilassante». Ad accogliere i cittadini nel "Giardino della sostenibilità" c´erano una passerella erbosa e un pergolato di edera all´

vendola, folla all'ultimo comizio "costruiamo la nuova sinistra" - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: discorso da Benedetto Petrone a Obama davanti a oltre tremila persone (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) (segue dalla prima di cronaca) A proposito di Gagan, il re delle pescherie baresi, il paladino dei mercati (ieri due suoi camion stazionavano all´esterno del mercato della Manifattura), apre uno degli scenari più inaspettati di questa campagna elettorale: quello dei soprannomi o meglio dei "

khaled al khamissi "troppa religione" ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Sono molto deluso: Obama ha scelto di usare lo stesso linguaggio religioso di Bush. Non sa che l´università del Cairo è stata fondata da scrittori e intellettuali laici? Ha parlato a me come musulmano: ma io sono prima di tutto un egiziano, un laico, un arabo. E poi ha parlato in modo molto irrealistico, il bene e il male.

paure, speranze e narghilè i giovani arabi colpiti da obama - alberto stabile ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Dal maxischermo Obama pronuncia il suo «assalam allekuum», la pace sia con voi, che strappa applausi alla platea del Cairo e qui deboli sorrisi. L´umore di Marwan un po´ cambia, ma resta negativo: «Ammesso che lo voglia, Obama da solo non può fare niente». Un nuovo inizio, dialogo, rispetto reciproco, non è abbastanza?

mohsin hamid: "un uomo sincero" ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: nel discorso di Obama è stata la sincerità che ho visto quando diceva di volere relazioni diverse da quelle che ci sono state finora fra gli Stati Uniti e i musulmani. La tensione fondamentale che vedo in Obama è quella fra un uomo sincero, quando dice di voler cambiare le cose, e il presidente degli Stati Uniti, che invece ha la responsabilità di difendere gli interessi americani.

marina nemat: "basta estremismi" ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ho apprezzato soprattutto il passaggio in cui Obama ha detto che dobbiamo affrontare l´estremismo in ogni sua forma. Inoltre è stato molto importante il fatto che abbia ammesso che la reazione degli Stati Uniti all´11 settembre è stata illogica e che li ha portati ad allontanarsi dai propri ideali e dalla protezione dei diritti umani.

"sono parole che vanno al cuore non le sentono al qaeda e i coloni " - pietro del re ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Se non riusciremo a percorrere insieme la strada che ci indica Obama, saremo condannati a vivere nella guerra e nella violenza per il resto della nostra vita». Anche Hamas s´è detto soddisfatto delle parole del presidente. «Ne sono lieto. I soli che hanno disapprovato Obama sono Al Qaeda e i coloni israeliani.

- valerio gualerzi ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama non vuole rassegnarsi al dominio asiatico Nel 2008 i capitali privati investiti nel "green business" hanno superato quelli pubblici Pechino, che parte in ritardo, ha già stanziato 220 miliardi di dollari. L´America la metà L´Unione europea adesso arranca nonostante sia stata a lungo un modello di virtù VALERIO GUALERZI Per molti ambientalisti è come se Erode promettesse di

l'azienda premia chi non inquina - (segue dalla copertina) ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama non vuole rassegnarsi al dominio asiatico nell´auto pulita. Annunciando la bancarotta della General Motors, che deve sfociare nel parto di una casa più snella e competitiva, il presidente ha ribadito che tra i compiti del nuovo management c´è il rinnovamento della gamma per ridurre i consumi energetici.

veltroni, appello per il pd "fermare l'italia violenta" - goffredo de marchis ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: è il riformismo che mostra il suo volto nuovo nel disegno di Barack Obama». Quello di Veltroni è un "grido" che si somma ai richiami di Dario Franceschini e Romano Prodi, un nuovo invito agli elettori democratici che solo un anno fa consegnavano il 33,2 per cento al nuovo partito del centrosinistra. Oggi il Pd combatte per ripartire anche da esiti inferiori.

il riscaldamento globale rimane la vera emergenza. ma per la prima volta dopo anni bui, forse si può essere ottimisti. ecco perché - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: L´Amministrazione Obama rincorre la lepre cinese: sui 787 miliardi di dollari di manovra di rilancio della crescita, Washington ne stanzia una quota inferiore ma comunque importante (112 miliardi) per l´ambiente. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN ARTICOLO DI VALERIO GUALERZI SEGUE A PAGINA 34

Ecco perché Stati Uniti e Cina sono in corsa per pulire il mondo ( da "Repubblica.it" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: L'Amministrazione Obama rincorre la lepre cinese: sui 787 miliardi di dollari di manovra di rilancio della crescita, Washington ne stanzia una quota inferiore ma comunque importante (112 miliardi) per l'ambiente. E almeno in un settore l'America si piazza in testa in questo duello: negli ultimi 12 mesi ha installato 8.

( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Affrontando la questione palestinese, Barack Obama ha ribadito che due Stati per due popoli è «l'unica soluzione»: la situazione dei palestinesi è «intollerabile », ha sottolineato. Rapporto incrollabile. Obama ha assicurato che tra Israele e Stati Uniti il rapporto resta «incrollabile ».

Obama per un nuovo inizio ( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 05/06/2009 - pag: 2 Obama per un nuovo inizio «Islam parte dell'America» «Ho il dovere di combattere l'estremismo violento» DAL NOSTRO INVIATO IL CAIRO Un discorso per la modernità. Meticcio e complesso. Come l'uomo che l'ha pronunciato. La ridefinizione politica e narrativa di una nuova America.

Marocco primo alleato ( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: suo discorso al Cairo Barak Obama ha ricordato che è stato il Marocco il primo Paese al mondo a riconoscere gli Stati Uniti. Sotto il regno di Mohamed ben Abdullah (nel ritratto, 1757-1790) il Marocco aveva adottato una politica di apertura verso il resto del mondo ed è nel 1777 che riconosce l'indipendenza del nuovo Stato, un anno dopo la sua nascita e quando ancora non ha un «>

Sponsor l'ateneo anti-Usa ( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: sponsorizzato il discorso del presidente Obama, è indicata come il secondo ateneo d'Egitto e il decimo in Africa. Ospita anche la massima autorità teologica sunnita, il Grande Imam di Al Azhar. Dal pulpito della moschea annessa ad Al Azhar, tuttavia, in passato non sono mancati sermoni decisamente anti-americani o comunque anti-occidentali.

( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama dice di voler riavviare il dialogo col mondo islamico, eppure non ha indicato alcuna strategia su come farlo. Nell' era Obama la politica estera Usa continua a essere tattica, e, come in passato, più focalizzata a capovolgere le scelte dei predecessori che non ad affrontare i problemi del momento.

Berlusconi: Milano sembra una città africana ( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: «Dissi solo Mr Obama, I suppose. E la Regina non si è mai arrabbiata ». Obama abbronzato? «Era un complimento assoluto». Quella milanese è poi la giornata dell'abbraccio e del-- l'affetto ribadito a Bossi, che sale sul palco del Palaghiaccio inondato di applausi.

Vendola: Rifondazione? È Restaurazione Togliamo il comunismo dalla naftalina ( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: La seconda è Ester Ada, la nigeriana morta, incinta, sulla nave Pinar al largo di Lampedusa. Poi, ho in mente due capi di governo». Quali? «Uno è Obama che legge Corano, Bibbia e Talmud e cerca l'incontro di culture e civiltà. L'altro è Berlusconi impegnato a mobilitare le forze dell'ordine per requisire

<È il momento di un nuovo inizio Come dice il Corano, Dio ci guarda>( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 14 IL DISCORSO DEL PRESIDENTE OBAMA AL CAIRO «È il momento di un nuovo inizio Come dice il Corano, Dio ci guarda» di BARACK OBAMA S ono onorato di trovarmi nell'antichissima città del Cairo, ospite di due illustri istituzioni. Da un millennio Al-Azhar rappresenta un faro di cultura islamica e da oltre un secolo l'università del Cairo è fonte e stimolo di progresso per l'

Sì R 46,0 No R 54,0 ( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: it La domanda di oggi Respinta la richiesta di una donna che voleva avere un figlio dal marito in coma. Sentenza giusta? Sì R 46,0 No R 54,0 Avete trovato il discorso del presidente Obama convincente e utile per una svolta nei rapporti con l'Islam?

Perché il mondo deve diventare ( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama o quello del presidente della Fed, Ben Bernanke? In fondo è facile lasciarlo indicare dal premier indiano Singh, che cita la saggezza del suo Paese: Vasudhaiva Kutumbakam, «il mondo intero è un'unica famiglia». Facile perché è una frase che colpisce, ma soprattutto perché riunisce in sé il grande cambiamento che oggi la governance del mondo sta attraversando con il passaggio

L'incontro di civiltà ( da "Repubblica.it" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dopo il discorso di Barack Obama mi ha detto con slancio che "valeva la pena vivere abbastanza per ascoltarlo". Altri, a Gerusalemme, animati da sentimenti meno torturati, più schietti, radicali, hanno subito il discorso del Cairo come uno schiaffo. Hanno detto che Obama crede alle bugie arabe e non alla verità israeliana.

America, ultima speranza ( da "Repubblica.it" del 05-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Con Barack Hussein Obama è tornata nel mondo, e non soltanto nella galassia mussulmana alla quale ha parlato ieri, la "voglia di America" e la possibilità di proclamarsi senza ipocrisia "tutti americani". "We love you Obama" gridava qualche studente della più grande, e antica, università islamica del mondo, al-Azhar al Cairo.


Articoli

INVIATO AL CAIRO (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Maurizio Molinari INVIATO AL CAIRO Veli colorati sul capo delle donne, turbanti biancorossi dei notabili egiziani, tuniche chiare degli studenti islamici, completi grigi della nomenklatura di Hosni Mubarak e gli occhiali dorati di Ayman Nour, che un anno fa giaceva in prigione. Quando il presidente americano Barack Hussein Obama entra sul palco nell'aula magna dell'Università Al-Azhar salutando con «Assalam Alaykum» (la pace sia con voi) ha di fronte un parterre di oltre duemila anime che riassume le diverse identità dell'Islam del XXI secolo. Tutt'intorno, per chilometri e chilometri, il Cairo è una città fantasma, presidiata da schiere di militari appostati lungo le strade e agenti dei servizi sui tetti che temono devastanti attacchi a sorpresa dei seguaci della Jihad teorizzata dal medico egiziano Ayman al Zawahiri, braccio destro di Osama bin Laden. Il contrasto fra la vivacità della platea di Al-Azhar e il silenzio di paura che la circonda è la cornice nella quale Obama pronuncia il discorso di 6000 parole nel quale propone un «nuovo inizio» nei rapporti fra l'America e l'Islam «perché non sono in competizione ma condividono comuni principi di giustizia e progresso, tolleranza e dignità di ogni essere umano». Consapevole di sfidare odio, sfiducia e pregiudizi nei confronti degli Stati Uniti accumulatisi nel corso di generazioni, Obama tende la mano ai musulmani descrivendo la propria nazione in maniera inedita: «L'Islam è sempre stato parte della storia americana, la prima nazione a riconoscerci nel 1796 fu il Marocco, John Adams scrisse "non siamo nemici dei musulmani" e i musulmani hanno combattuto nelle nostre guerre, servito nei governi, eccelso negli sport, vinto premi Nobel, costruito i nostri edifici più alti e acceso la Torcia Olimpica». Obama si sente espressione e interprete di questa sovrapposizione fra Islam e America in ragione del padre keniota con gli avi musulmani, della gioventù in Indonesia, del volontariato nelle moschee di Chicago e anche di un Congresso dove il primo eletto musulmano si è insediato giurando sul Corano che fu di Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori dell'Unione. «L'Islam è parte dell'America», dice Obama in una sala che lo applaude 25 volte in 55 minuti mentre lui riscrive l'identità yankee, non più basata solo sulla matrice giudaico-cristiana dei pellegrini del Mayflower ma anche su quella musulmana dei milioni di immigrati arrivati in seguito. È per questo che cita a più riprese il Corano assieme a Talmud e Bibbia, che accomuna Mosè, Gesù e Maometto con «la pace sia su di loro» e si richiama al principio condiviso dalle tre fedi monoteistiche: «Non fare al tuo prossimo ciò che non vuoi venga fatto a te stesso». Il primo presidente afroamericano sta dicendo all'Islam, e ai suoi concittadini, che la patria dell'Occidente ha nel proprio Dna anche la fede del Profeta e la geometria che viene dall'Andalusia. È una premessa rivoluzionaria che dà concretezza alla promessa di «cambiare l'America e trasformare il mondo» fatta durante la campagna elettorale e spiega perché nella seconda parte del discorso Obama illustra un'agenda politica di problemi da risolvere con un linguaggio senza perifrasi. Se «l'America non è in guerra con l'Islam» si può dire con franchezza che cosa urge. Obama promette di battersi contro l'islamofobia ma chiede di fare altrettanto con l'odio anti-americano, rivendica il diritto di combattere l'«estremismo» di Al Qaeda in risposta agli attacchi dell'11 settembre 2001 ma assicura che «non vogliamo tenere le truppe in Afghanistan», ritiene l'Iraq un «posto migliore senza Saddam» ma conferma il ritiro totale entro il 2012, difende la chiusura di Guantanamo ma sottolinea che «l'America non tollererà le violenze degli estremisti». E quando arriva al Medio Oriente, chiama per nome i tabù di arabi, israeliani e palestinesi. Agli arabi dice che «il legame di Israele con l'America è indistruttibile, minacciare Israele di distruzione è errato e negare l'Olocausto è da ignoranti». Agli israeliani fa sapere che «le sofferente quotidiane dei palestinesi dovute all'occupazione sono intollerabili», che gli «insediamenti devono fermarsi» e «non c'è alternativa ai due Stati». Ed ai palestinesi indica l'esempio degli afroamericani: «I diritti non si conquistano con la violenza», dunque basta attentati, lanci di missili e odio. Anche sul nucleare iraniano individua una linguaggio condiviso con il mondo arabo: «Evitiamo una corsa agli armamenti nella regione». È l'ultima parte del discorso quella che più infiamma la platea. Obama parla di democrazia, diritti delle donne - anche se si tratta di portare il velo - e libertà religiosa per tutti: copti e maroniti, sciiti e sunniti. Non fa riferimenti all'Egitto di Mubarak né ad altri Paesi ma l'entusiasmo della platea è tale da dimostrare che sono questi i diritti a cui si tiene di più. «Poter dire la propria opinione sul governo, avere fiducia nello Stato di Diritto, un governo che non ruba ai cittadini e la libertà di vivere come si vuole non sono idee americane ma diritti umani», conclude Obama, travolto da grida «We love you!» e «Thank you!» da parte di giovani, uomini e donne. Se lo slancio verso diritti e democrazia trova tale accoglienza è grazie alla premessa iniziale del presidente: i valori americani sono anche musulmani. Sulle scalinate all'uscita dall'ateneo già teatro di proteste islamiche e pro-democrazia gli studenti ritmano cori «Ubama, Ubama». «A noi ci piace, ora bisogna passare dalle parole ai fatti» commenta Mussaf, 23 anni. Vicino a lui c'è Samira, corpo da modella, pantaloni neri attillati, tacchi alti e velo rosa, sorride senza freni: «Da oggi tutto cambia».

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TRE CRISI LEGATE FRA LORO (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Gilles Kepel TRE CRISI LEGATE FRA LORO Tre assi di crisi strutturano il Medio Oriente contemporaneo: il Levante, con il conflitto israelo-palestinese e le sue propaggini libano-siriane; il Golfo Persico, con gli idrocarburi e gli antagonismi irano-arabi e sunniti-sciiti; la zona AfPak (Afghanistan-Pakistan), dove l'aumento di potere dei taleban minaccia sia le truppe Nato in Afghanistan sia la coesione dello Stato pakistano. Questi tre assi hanno ognuno la sua logica, ma sono anche fortemente intrecciati, ed è questo che costituisce l'identità del Medio Oriente come oggetto problematico complesso del sistema internazionale. Quando il presidente Obama si rivolge al mondo musulmano dal Cairo o il presidente Sarkozy inaugura una base navale francese a Abu Dhabi, è l'intera posta in gioco che va presa in considerazione. L'asse di crisi del Levante è caratterizzato innanzitutto dal doppio blocco israeliano e palestinese. Il governo Netanyahu rifiuta sia la soluzione dei due Stati sia il congelamento degli insediamenti nei Territori occupati. I palestinesi sono divisi tra Fatah, che governa la parte di Giordania non colonizzata dagli israeliani, e Hamas, che controlla l'intera Striscia di Gaza, ormai devastata. Hamas si rifiuta di riconoscere Israele ma è pronto a far parte di una Olp incaricata di negoziare con lo Stato ebraico. I dirigenti delle due fazioni palestinesi sono così indeboliti che Egitto e Arabia Saudita da un lato, Siria, Qatar e Iran dall'altro si danno battaglia per allungare la loro influenza su di esse. Accade così anche con l'elemento libanese di questo asse di crisi. Il Libano, il cui destino è legato all'evoluzione della situazione in Israele - come ha dimostrato la «guerra dei 33 giorni» dell'estate 2006 - è più che mai attento all'Iran, che sostiene Hezbollah, il più potente partito libanese. Il nodo libanese Per contrastare l'influenza di Teheran, Riad sostiene a caro prezzo la corrente «Futuro», il partito sunnita della famiglia Hariri. Così il Libano è diventato uno dei luoghi della cristallizzazione dell'asse di crisi del Golfo Persico - mentre i cristiani, un tempo dominanti, si dividono tra «cristiani sunniti» e «cristiani sciiti». Quanto alla Siria - che ha cominciato una trattativa oggi interrotta con Israele sotto l'egida turca e fatto delle aperture a Francia e Stati Uniti -, essa non può rinunciare a un'alleanza strutturale con l'Iran, Hezbollah e Hamas, salvaguardando il suo eventuale potere di mediazione. Se l'asse di crisi del Levante occupa il davanti della scena mediatica - con i suoi sessant'anni di storia e la dimensione emotiva del problema ebraico e palestinese - ben più problematico è l'asse del Golfo arabo. Gli interessi in gioco nel Golfo sono di importanza incommensurabile rispetto a quelli del Levante: il mondo non può fare a meno degli idrocarburi che ogni giorno attraversano lo Stretto di Hormuz e rappresentano un quinto dei consumi globali. L'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi sono le due prime economie arabe e i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo restano i principali investitori sul pianeta. La soluzione al caos iracheno e il ritiro delle truppe americane - questioni su cui Obama si gioca la credibilità - si inscrivono nel cuore dell'asse di crisi del Golfo. Ma la scommessa più arrischiata del nuovo Presidente americano è il reinserimento dell'Iran nel sistema regionale. L'utopia sciito-curda L'asse di crisi del Golfo nella sua forma presente è il risultato del fallimento del progetto di George W. Bush in Iraq. Gli ideologi neo-con della Casa Bianca speravano di fare dell'Iraq pacificato, filoamericano e governato da una maggioranza sciito-curda senza contenziosi con Israele e fuori dall'Opep, il jolly di un Medio Oriente ridisegnato. A questa chimera si è sostituita, per il presidente Obama, l'imperiosa necessità di trovare un altro vettore per avviare la dinamica politica che porti a una soluzione globale della tripla crisi in Medio Oriente. Questo è il senso della mano tesa all'Iran. L'elezione di Ahmadinejad nel giugno 2005 rappresentava per l'establishment politico iraniano l'occasione per trarre il massimo vantaggio dalla paralisi americana in Iraq, facendo salire il prezzo in proporzione al bisogno degli Stati Uniti di neutralità delle milizie sciite irachene alleate di Teheran, mentre subivano lo choc della guerriglia sunnita. Sul piano simbolico, questa politica ha pagato: Ahmadinejad - come Hassan Nasrallah di Hezbollah - si è fatto il campione dell'antisionismo sulle piazze arabe. Per un Iran «presentabile» Ma la situazione economica dell'Iran è disastrosa; all'embargo internazionale che risponde alle rodomontate di Ahmadinejad, alla corruzione e allo sperpero si aggiunge un'inflazione record che impoverisce una popolazione ormai stanca. Se la Guida Khamenei appoggia la rielezione di Ahmadinejad, altre fazioni al potere, tra cui l'ex presidente Rafsanjani, padrino della candidatura del riformista Mousavi, sono più ricettive all'offerta americana, nella quale vedono la conservazione della loro influenza su una repubblica islamica meno ideologica e più pragmatica e dell'egemonia iraniana sul Golfo, al prezzo di un'intesa con Washington - un Iran «presentabile» capace di esercitare pressioni su Hezbollah e Hamas e facilitare la ricerca di compromessi in Libano e sul dossier israelo-palestinese. Una prospettiva del genere avrebbe però bisogno di intensi negoziati e già ora urta contro l'ostilità araba. Parlando al Cairo per rivolgersi al mondo arabo e aggiungendo al viaggio una tappa in Arabia Saudita, Obama ha rassicurato i tradizionali alleati sunniti di Washington e il governo israeliano. La riuscita dell'apertura all'Iran ha bisogno che costoro non si mettano di traverso. Ostacolo inaspettatamente forte si è rivelato poi AfPak. È la Jihad in Afghanistan degli Anni 80, finanziata dagli Usa e dagli Stati arabi del Golfo per battere l'Armata Rossa a offrire un'alternativa antisovietica e filoamericana alla rivoluzione iraniana in piena espansione, che ha incluso questa regione nel Medio Oriente in senso lato. Sono stati Osama bin Laden e Ayman Al Zawahiri, figli dell'Arabia e dell'Egitto passati alla Jihad che hanno unito a modo loro l'Afghanistan, il Golfo Persico e la Palestina con gli Usa nel cataclisma dell'11 Settembre. Per ritorsione, l'America e i suoi alleati hanno distrutto il regime dei taleban ma poi, anziché consolidare la vittoria, per prolungare la «guerra al terrore» hanno trasferito le truppe in Iraq, dove si sono impantanati, mentre i taleban riconquistavano terreno, minacciando il governo afghano e i soldati Nato che ne garantiscono la sicurezza. Arginare i taleban La scommessa di Obama sta nel ritornare nell'Afghanistan abbandonato per completare lo sradicamento dei taleban e delle reti di Al Qaeda installate nelle zone tribali alla frontiera pakistana, smorzando l'asse di crisi AfPak per avere le mani libere nel Golfo e nel Levante. Ma gli interventi in territorio pakistano, soprattutto con le incursioni dei droni che dovrebbero individuare i militanti e invece devastano le popolazioni civili, hanno fatto precipitare la rivolta dei gruppi taleban, che traggono vantaggio dalla debolezza del governo civile e dalle divisioni dell'esercito per occupare intere regioni, avvicinarsi alla capitale Islamabad e colpire il Punjab con attentati devastanti. Su scala mediorientale globale, una paralisi degli Stati Uniti e della Nato nella zona Afpak non può che indebolire la capacità di negoziare e agire sugli altri due assi di crisi. Nell'intreccio che struttura la regione, l'esito dei combattimenti nella valle dello Swat paradossalmente incide sul congelamento degli insediamenti in Cisgiordania o sulla fabbricazione delle centrifughe nucleari in Iran.

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L'AMICO CHE VORREI A FIANCO (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Abraham B. Yehoshua L'AMICO CHE VORREI A FIANCO Da cosa si riconosce un vero amico? Dal fatto che chi si definisce tale crede e ha fiducia in te, si preoccupa dei tuoi veri bisogni, anche a lungo termine, ti indica onestamente i tuoi errori e cerca di aiutarti a correggerli. Questo è l'amico che vorrei al mio fianco. Non chi approva automaticamente qualunque cosa io faccia, dichiara il suo amore per me e mi accetta così come sono. A partire dalla grande vittoria militare di Israele nel 1967, quando venne respinta la grave minaccia militare rappresentata da Egitto, Siria e Giordania che proclamarono apertamente di volere distruggere lo Stato ebraico e concentrarono grandi eserciti lungo il suo confine, Israele è precipitato in un vortice ideologico e militare innescato dalla conquista di vasti territori durante quel conflitto. Doveva considerare fin dal principio quelle regioni come merce di scambio e indurre il mondo arabo e i palestinesi a cercare la pace. E invece Israele - vuoi per sfiducia nei confronti delle vere intenzioni dei suoi nemici e del loro impegno a rispettare fedelmente un'eventuale intesa di pace, vuoi per la sua aspirazione ad annettersi quei territori (soprattutto quelli con un significato storico e religioso) - ha iniziato una politica di insediamenti e creato una realtà difficile da sovvertire. Tali comunità civili erano, e sono tuttora, irrilevanti per la sicurezza dello Stato ebraico. Al contrario. Poiché ubicate nel cuore della popolazione palestinese sono obiettivo di attacchi terroristici e richiedono speciali misure di difesa e l'impegno di ingenti forze militari in compiti di sorveglianza e pattugliamento. Anche sulle alture del Golan, dove non c'è una presenza siriana, i centri ebraici situati a pochi chilometri da enormi concentrazioni di truppe siriane rappresentano un intralcio poiché, in caso di guerra, l'esercito israeliano si vedrebbe costretto ad evacuarli rapidamente, come è avvenuto nella guerra del Kippur nell'ottobre del 1973. Gli insediamenti israeliani acuiscono dunque l'odio dei palestinesi verso Israele. Infatti, oltre a occupare le loro terre, a sfruttare le loro risorse idriche e a imporre limiti alla loro libertà di circolazione, essi simboleggiano la volontà dello Stato ebraico di restare, la sua riluttanza a concedere l'indipendenza al popolo palestinese, anche qualora questi ne riconoscesse la legittimità e si mostrasse disposto a una convivenza pacifica. Israele ha investito grandi risorse finanziarie in quegli insediamenti, spesso ignorando importanti bisogni interni o lo sviluppo di centri abitati entro la linea verde. I coloni, in gran parte sostenitori di movimenti e partiti religiosi-nazionalisti, ostentano sovente un atteggiamento di superiorità nei confronti delle autorità israeliane, pretendono uno status speciale non solo rispetto ai palestinesi ma anche rispetto agli altri cittadini israeliani e, come possiamo renderci conto in questi giorni, c'è chi, fra loro, nemmeno riconosce più l'autorità giuridica dello Stato israeliano. Ciò che è difficile da accettare, ed è fonte di preoccupazione, è che se quegli insediamenti continueranno ad ampliarsi la soluzione di due Stati per due popoli sarà compromessa e, prima o poi, tra il Giordano e il Mar Mediterraneo si estenderà un unico Stato popolato da due etnie che, in ragione della crescita demografica palestinese, a poco a poco si trasformerà in uno Stato a maggioranza palestinese. Una ricetta sicura per la fine di Israele. La maggior parte degli israeliani ha ormai compreso tutto ciò eppure, come un tossicodipendente schiavo della droga, non è in grado di dire: basta, abbiamo commesso un errore a cui occorre porre rimedio prima che sia troppo tardi. È vero, quando fu firmato l'accordo di pace con l'Egitto coloni ebrei furono evacuati a forza dai territori del Sinai. E quando la situazione delle comunità civili ebraiche della Striscia di Gaza divenne insopportabile il leader della destra Ariel Sharon sgomberò a forza novemila coloni che vivevano frammisti a un milione e mezzo di palestinesi: un evento traumatico che ha lasciato cicatrici in entrambe le parti. Ma in Cisgiordania vivono 250.000 israeliani e la loro evacuazione potrebbe innescare una guerra civile. Tutti gli Stati del mondo disapprovano gli insediamenti israeliani sorti dopo la Guerra dei Sei giorni, e fra questi gli Stati Uniti. Eppure, malgrado in passato i governanti a Washington abbiano avuto l'opportunità di far valere la loro influenza, hanno preferito permettere a Israele, Stato alleato e amico, di fare ciò che voleva. È arrivato il momento della verità ed è un bene che un leader saggio e coraggioso quale Barack Obama che (non ne ho alcun dubbio) ancor prima che il rafforzamento della sua nazione agli occhi del mondo musulmano vede il bene di Israele e la sua sicurezza, proclami: basta, voi non fate che del male a voi stessi, danneggiate il vostro futuro. Pur non credendo a una genuina volontà di pace dei palestinesi, alla loro capacità di tenere a bada le organizzazioni terroristiche e a una sincera rinuncia alla pretesa del diritto del ritorno dei profughi, potete sempre garantire la vostra sicurezza grazie a una presenza militare nei territori palestinesi ed evitare di pregiudicare un'eventuale pace e la creazione di due Stati con ulteriori ampliamenti di insediamenti comunque inutili. Con un appello tanto diretto e chiaro al governo israeliano non solo il Presidente statunitense ha espresso ciò che gran parte degli israeliani ha nel cuore ma ha dato prova della sua profonda amicizia con lo Stato ebraico.

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"Un nuovo inizio con l'Islam" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Hamas: pronti al dialogo. Israele: morbido con Ahmadinejad. Il Vaticano: ha un sogno come Luther King. L'Iran: nessuna novità "Un nuovo inizio con l'Islam" Storico discorso di Obama al Cairo: basta con l'odio tra Occidente e musulmani

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Calabresi: "Il gossip uccide la politica" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Calabresi: "Il gossip uccide la politica" [FIRMA]WALTER LAMBERTI FOSSANO La fortuna non esiste. Esiste invece la capacità di rialzarsi in piedi, di re-inventarsi, di mettersi in gioco scommettendo sulla vita. È il messaggio di cui sono permeate le pagine del nuovo libro di Mario Calabresi, ospite ieri a Fossano su invito della condotta Slow Food, nella suo primo incontro pubblico in Piemonte da quando è direttore de La Stampa. Sala del castello degli Acaja gremita, un target di pubblico del tutto trasversale per età e provenienza. Perché il libro «La fortuna non esiste», frutto di incontri ed esperienze in due anni di viaggio americano durante la campagna elettorale per le presidenziali, parla a tutti. E parla soprattutto in questi tempi di crisi, con fabbriche che chiudono, con cassa integrazione, con disoccupazione. «L'impatto della crisi in America non è neppure paragonabile alla situazione nel nostro Paese - ha detto Calabresi -; ma nel Dna dell'americano c'è la capacità di inventarsi un nuovo inizio. Forse è una visione più naif, l'americano è più bambino di noi. Ovviamente non possiamo generalizzare, ma ha questa peculiarità». «La fortuna non esiste» racconta storie americane, che partono con una storia che americana non è, ma è perfettamente inserita in questo modo di vivere. La storia della nonna di Calabresi, Maria Teresa, nata nel 1915 e «salvata» dal gesto eroico di un dottore che l'ha presa in fasce e accudita quando tutti ormai la davano per spacciata. Maria Teresa è morta nei giorni scorsi all'età di 94 anni, dopo una vita che ha attraversato un secolo, la guerra, le crisi, la ricostruzione di un mondo, fino ad arrivare all'elezione epocale di un presidente nero negli Stati Uniti. Si è parlato di Obama e di come abbia saputo cogliere il bisogno di cambiamento del suo Paese. Qualche stoccata anche alla nostra Italia, più preoccupata per le vicende personali del cavaliere che dei programmi, dell'economia, della crisi e occupazione. Delle proposte per uscirne. All'incontro Carlin Petrini, il padre di Slow Food (in serata c'è stata la proiezione del documentario di Ermanno Olmi dedicato a Terra Madre) che ha salutato Calabresi definendolo «una delle coscienze civili più alte del nostro Paese».

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Una piccola protesta di cinque persone ha avuto luogo al Cairo prima che Obama pronunciasse il suo d... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Una piccola protesta di cinque persone ha avuto luogo al Cairo prima che Obama pronunciasse il suo discorso all'Università. È curioso il fatto che la polizia abbia acconsentito loro di avvicinarsi all'ateneo, mentre tutte le strade erano sbarrate. Come hanno potuto? La risposta è semplice, erano americani: erano venuti da Gaza per manifestare e attirare l'attenzione di Obama sulla tragedia palestinese. Obama ha difeso eroicamente i diritti del popolo palestinese: devo esserne contento. Ha utilizzato un linguaggio idealista parlando di un futuro prossimo in cui noi attueremo la visione di Dio qui sulla terra vivendo in pace e armonia in un mondo senza armi nucleari, dove il soldato Usa tornerà in patria e ogni uccello vivrà nel suo nido felice, nel suo stato. Obama ha chiesto ai giovani di non restare prigionieri del passato, di forgiare un futuro dove regni la pace e con questo - credo - ha chiesto di dimenticare la storia dell'umanità per rivolgersi al mondo fantastico di Disneyland. Ha citato versi del Corano, del Talmud, della Bibbia. Ha parlato come se vivessimo prima del Rinascimento citando le religioni e non le nazioni moderne. E' venuto nel mondo arabo per parlare ai musulmani e non agli arabi, come se qui non esistessero altre religioni, oppure formazioni laiche che risalgono ai primi anni del secolo scorso. Nel 1919 scoppiò in Egitto una rivoluzione per l'indipendenza il cui motto era «la fede è per Dio e la patria per tutti», e i cui leader edificarono l'Università del Cairo nel 1908. Cento anni dopo in quell'Università è venuto un presidente americano a parlarci di fede per tutti e di una patria che non c'è. Obama ha esordito con una serie di lodi e poi ha fissato alcuni punti nodali: primo, il terrorismo, la cui origine è da individuare in Al Qaeda e nei Taleban, senza menzionare chi li ha creati, armati e finanziati. Non ha spiegato che gli Usa, durante il loro scontro con l'Urss in Afghanistan, crearono Al Qaeda e i Taleban e finanziarono i movimenti islamisti in tutto il mondo arabo per combattere il comunismo e impedire l'avanzata del laicismo arabo. Secondo, ha parlato della tragedia palestinese ma non ha menzionato chi esercita la tortura contro quel popolo. Terzo, ha detto di voler bloccare la corsa agli armamenti in Medio Oriente, dicendo che impedirà all'Iran di avere l'atomica, senza accennare al fatto che nell'agone c'è un solo competitore: Israele. Quarto, la democrazia. Qui ha assicurato i regimi autocratici arabi che non si intrometterà nei loro affari. Quinto, la libertà religiosa accennando alle dispute fra sunniti e sciiti in Iraq, senza chiedere scusa per quello che gli Usa hanno fatto per dividere il popolo iracheno e tanto meno per il loro ruolo nel redigere una Costituzione che divide e alimenta le divisioni del paese alla stregua della Francia all'epoca dell'occupazione del Libano. L'Iraq infatti soltanto dopo l'occupazione Usa ha assistito a un conflitto fra sunniti e sciiti, cosa mai successa nei tempi moderni. Il Presidente ha insistito sul concetto di fratellanza e sulla divisione delle responsabilità per poter costruire un futuro migliore: tutti sono rimasti entusiasti delle sue parole e hanno tanto applaudito e sorriso. Obama è riuscito ad accontentare tutti. Credo che il suo discorso verrà considerato il miglior sermone religioso di quest'anno, inshallah. * Scrittore egiziano. Autore di «Taxi» (Edito in Italia da Il Sirente)

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Netanyahu: "Troppo morbido con l'Iran" Hamas: "C'è del buono" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Qui Gerusalemme Netanyahu: "Troppo morbido con l'Iran" Hamas: "C'è del buono" [FIRMA]ALDO BAQUIS TEL AVIV «È l'inizio di un cambiamento»: questa la sensazione di Hamas, a Gaza, espressa pochi minuti dopo che al Cairo si erano spenti gli echi degli applausi al discorso di Barack Obama. «Il presidente degli Stati Uniti si esprime con toni nuovi, ha finalmente abbandonato la retorica che contraddistingueva il suo predecessore George Bush», hanno concordato compiaciuti i dirigenti locali. Più tardi, in un comunicato, hanno confermato che a Washington sembra delinearsi ora un nuovo approccio, ma la strada da percorrere - a loro parere - resta lunga. Nel discorso di Obama hanno infatti rintracciato «contraddizioni». Perché, ad esempio, «condanna la violenza palestinese e tace su quella israeliana?». E perché insiste sulla necessità della democratizzazione nel mondo arabo e al tempo stesso chiede a Hamas, pur uscito vincente dalle elezioni politiche del 2006, ulteriori concessioni politiche per essere riconosciuto come legittimo interlocutore? Anche i dirigenti israeliani sono stati costretti a seguire alla televisione il discorso del presidente statunitense, non essendo stati informati in anticipo del contenuto. Il nervosismo a Gerusalemme era palpabile: dopo aver ordinato ai ministri di non rilasciare alcuna intervista, Benyamin Netanyahu ha poi analizzato per oltre tre ore (con i ministri Begin, Meridor e Yaalon) l'intervento di Obama, trovandolo in sostanza duro forse con Al Qaeda ma debole con l'Iran. Dopo di che il premier ha pubblicato un comunicato di otto righe. Israele, ha promesso Netanyahu, «compirà» ogni sforzo per allargare il cerchio della pace, proteggendo «i propri interessi e la sicurezza nazionale». Il Capo dello Stato Shimon Peres, da parte sua, ha reso omaggio «alla saggezza e al coraggio» manifestati dal presidente degli Stati Uniti.

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"Ha fatto cadere l'ultimo muro di Berlino Ci accetta come siamo" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Qui Beirut "Ha fatto cadere l'ultimo muro di Berlino Ci accetta come siamo" [FIRMA]FRANCESCA PACI INVIATA A BEIRUT Il presidente americano parla già da un quarto d'ora quando Samie Franjie, 62 anni, parlamentare del Fronte 14 marzo, il blocco sunnita-cristiano-druso guidato da Saad Hariri, spegne il cellulare e accende una Malboro. «Un discorso storico», mormora a Fares Souhaid che domenica sfida all'ultimo sangue l'avversario del Movimento Patriottico Libero del generale Michel Aoun nel collegio di Jbeil, avamposto del duello tra cristiani e cristiani che deciderà le elezioni libanesi. La segretaria Randa porta caffè nero e pane arabo e sbircia lo schermo da cui Obama afferma che «le nostre figlie possono contribuire alla società quanto i nostri figli maschi». Franjie prende nota sul post-it, unica concessione alla cancelleria nell'ufficio spartano adorno solo della foto dell'ex ministro dell'industria Pierre Gemayel, ucciso nel 2006: «È caduto il muro di Berlino tra America e mondo musulmano, milioni di persone hanno sentito che gli Usa vogliono vivere in pace con noi come siamo e non come vorrebbero che fossimo». Il quartier generale della maggioranza è in un palazzo malmesso dietro piazza Sassine, il cuore cristiano di Beirut. Se non fosse per le berline dai vetri neri sembrerebbe un condominio popolare, fa notare dalla finestra della sua agenzia di cambio George Makzel: «Ci provano ma non riescono a mascherare la corruzione, per questo sto con Aoun e nessun presidente americano mi farà cambiare idea». I suoi candidati, alleati con Hezbollah nella coalizione 8 marzo, non hanno voglia di commentare il Cairo. Sarà il basso profilo adottato da quando i sondaggi prevedono il testa a testa o l'ultimo duro giorno di campagna elettorale, come spiegano dagli uffici di Aoun e Nashrallah, ma da Ibrahim Canan a Hussein Hajj Hasan nessuno, pare, è riuscito ad ascoltare la radio. Dieci giorni fa la visita del vice di Obama, Biden, era apparsa un sostegno allo schieramento antisiriano di Hariri. Poi Hezbollah aveva rivelato d'aver discusso lo svincolo del programma d'assistenza dal risultato di domenica con il Fondo Monetario Internazionale, che versa al Libano 114 milioni di dollari. «Non vedo contraddizione tra votare Aoun e appaludire Obama», dice il commerciante Georges Khayat. Gliela illustreranno i giornali, osserva Khalil Harb, capo degli esteri del quotidiano As-Safir, «Il Cairo muta l'immagine ma non la sostanza della politica americana». Quell'immagine, a sera, è in ogni casa libanese.

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[FIRMA]ALDO BAQUIS TEL AVIV È l'inizio di un cambiamento : questa la sens... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

[FIRMA]ALDO BAQUIS TEL AVIV «È l'inizio di un cambiamento»: questa la sensazione di Hamas, a Gaza, espressa pochi minuti dopo che al Cairo si erano spenti gli echi degli applausi al discorso di Barack Obama. «Il presidente degli Stati Uniti si esprime con toni nuovi, ha finalmente abbandonato la retorica che contraddistingueva il suo predecessore George Bush», hanno concordato compiaciuti i dirigenti locali. Più tardi, in un comunicato, hanno confermato che a Washington sembra delinearsi ora un nuovo approccio, ma la strada da percorrere - a loro parere - resta lunga. Nel discorso di Obama hanno infatti rintracciato «contraddizioni». Perché, ad esempio, «condanna la violenza palestinese e tace su quella israeliana?». E perché insiste sulla necessità della democratizzazione nel mondo arabo e al tempo stesso chiede a Hamas, pur uscito vincente dalle elezioni politiche del 2006, ulteriori concessioni politiche per essere riconosciuto come legittimo interlocutore? Anche i dirigenti israeliani sono stati costretti a seguire alla televisione il discorso del presidente statunitense, non essendo stati informati in anticipo del contenuto. Il nervosismo a Gerusalemme era palpabile: dopo aver ordinato ai ministri di non rilasciare alcuna intervista, Benyamin Netanyahu ha poi analizzato per oltre tre ore (con i ministri Begin, Meridor e Yaalon) l'intervento di Obama, trovandolo in sostanza duro forse con Al Qaeda ma debole con l'Iran. Dopo di che il premier ha pubblicato un comunicato di otto righe. Israele, ha promesso Netanyahu, «compirà» ogni sforzo per allargare il cerchio della pace, proteggendo «i propri interessi e la sicurezza nazionale». Il Capo dello Stato Shimon Peres, da parte sua, ha reso omaggio «alla saggezza e al coraggio» manifestati dal presidente degli Stati Uniti.

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"Una nuova speranza per il mondo arabo Ora si pensi ai due Stati" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Qui Città del Vaticano "Una nuova speranza per il mondo arabo Ora si pensi ai due Stati" [FIRMA]GIACOMO GALEAZZI CITTA' DEL VATICANO Il Vaticano «benedice» l'Ostpolitik di Obama verso l'Islam. «Ha un sogno come Luther King», scrive il Sir, l'agenzia stampa dei vescovi italiani. «Ha lanciato la proposta di un nuovo inizio nei rapporti con il mondo musulmano, gli riconosce l'Osservatore romano. Si è spinto al di là delle formule politiche, evocando comuni interessi concreti in nome di una comune umanità». Esprime «grande apprezzamento» anche il portavoce papale, padre Federico Lombardi: «È un intervento molto importante e significativo che può dare un nuovo impulso alla pace. Vi è una forte sintonia tra Santa Sede e Casa Bianca, specie per il no allo scontro tra civiltà e alla proliferazione nucleare». Per il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, «la svolta strategica di Obama piacerà agli arabi e faciliterà la soluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi ». Il cardinale Giovanni Cheli, ex ministro dell'Immigrazione e ambasciatore vaticano all'Onu, manifesta «piena soddisfazione per il progetto di due Stati». Il porporato, appena tornato da Gerusalemme, sottoscrive l'appello del presidente Usa per la città santa. «Il Vaticano non ha peso economico e tanto meno militare nella regione - spiega - Tuttavia ha forti interessi da difendere: i luoghi più sacri del cristianesimo si trovano a Gerusalemme e Betlemme. Il riferimento di Obama ad Abramo e ai tre monoteismi è fondamentale». Adesso, aggiunge Cheli, servono il «divieto di acquisizione dei territori con la forza, il diritto di autodeterminazione dei popoli, il rispetto delle risoluzioni dell'Onu e delle convenzioni di Ginevra». E, puntualizza il cardinale, «se fallisce Obama molti paesi della regione avranno tensioni interne insopportabili, solo una pace giusta garantirà stabilità».

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Per Khamenei "Soltanto parole Nessuna novità" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Qui Teheran Per Khamenei "Soltanto parole Nessuna novità" [FIRMA]CLAUDIO GALLO Le parole di Obama ieri non sembravano in cima ai pensieri della gente di Teheran. Nel trentennale della morte dell'Ayatollah Khomeini la città era in festa, non c'erano giornali e la tv trasmetteva quasi soltanto programmi celebrativi. A rispondere al Presidente americano, prima ancora che pronunciasse il suo discorso al Cairo, ci aveva pensato l'Ayatollah Khamenei, il successore di Khomeini. «Non basteranno cento discorsi per cambiare i rapporti con l'Islam», ha detto la Guida Suprema, che sul fronte interno continua con i collaudati slogan antiamericani a sostenere Ahmadinejad nella corsa alle imminenti presidenziali. Il più aperto è stato il candidato riformista Mir Hossein Mousavi, l'unico forse in grado di impensierire Ahmadinejad, che ha apprezzato «il cambiamento di linguaggio», anche se ha chiesto che «alle parole seguano i fatti». Sui commenti pesa la retorica della campagna elettorale, certo alla diplomazia iraniana non sfugge che talvolta anche le parole sono fatti. In serata i telegiornali hanno trasmesso un breve servizio sulla visita di Obama al Cairo. Un'idea abbastanza completa di che cosa è successo in Egitto se l'è fatta solo chi ha seguito l'evento su internet o sulle tv satellitari: una minoranza robusta nelle grandi città. Informatissimo come sempre è il professor Davoud Hermidas Bavand, 76 anni, esperto di relazioni internazionali ed ex diplomatico al tempo dello Shah, che risponde al telefono nella sua bella casa nella Teheran alta. «È stato un discorso molto positivo - dice -. Parole che indicano un'approfondita conoscenza dell'Islam, un tentativo di portare l'enfasi sugli aspetti più concreti del dialogo. Ha individuato nell'estremismo la principale difficoltà nei rapporti reciproci ed è stato molto intelligente quando ha detto che le questioni dei diritti umani vanno affrontate nel giusto contesto culturale». «Sull'Iran? Ha ripetuto cose già dette, come il diritto al nucleare civile e l'inaccettabilità del nucleare militare. Ma è stato chiarissimo nell'offrire un vero negoziato. Mi ha colpito che abbia fatto una sorta di equazione tra il colpo di Stato con cui gli americani rovesciarono il premier iraniano Mossadeq e la cattura degli ostaggi americani all'ambasciata di Teheran nel 1979. Come dire: siamo pari, guardiamo avanti. Nessuno Presidente americano l'aveva mai detto». Emadeddin Baghi, 47 anni, uno dei più celebri dissidenti iraniani che da anni conduce (quando non è rinchiuso nel carcere speciale di Evin a Teheran) la sua solitaria campagna per l'abolizione della pena di morte e i diritti dei carcerati, sostiene il candidato riformista Karroubi. «Qui la gente è troppo presa dalle presidenziali - dice - per badare a Obama. Gli effetti del suo discorso si vedranno dopo il voto, specialmente se ci sarà un cambiamento. Ormai, a sette giorni dalle urne, le posizioni dei candidati sono irrimediabilmente cristallizate». Quindi il discorso di Obama non ha scalfito gli iraniani? Risponde: «Da noi radio e televisione sono statali. Il governo filtra soltanto le notizie che gli fanno comodo. Non esiste una libera circolazione di informazioni. Dal bavaglio si salva soltanto chi ha la televisione satellitare, non certo il popolo».

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"Adesso musical anche in Italia" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

PROSSIMAMENTE Intervista Alan Menken Gatti all'opera a Zurigo E la Scala può attendere «Due cartoon, "Snow Queen" e "Rapunzel" E un nuovo film» "Adesso musical anche in Italia" "La bella e la bestia" sbarca a Milano ADRIANA MARMIROLI MILANO ZURIGO Un altro italiano su un podio che conta. Da ieri Daniele Gatti (foto), milanese, classe '61, è direttore principale dell'Opera di Zurigo, che in questi anni è diventata una delle principali scene europee. Il contratto vale per le tre prossime stagioni, con un impegno in crescendo: un'opera nella prima (Elektra), due nella seconda (Falstaff e Parsifal), tre nella terza (Maestri cantori, Otello e un terzo titolo da decidere). Fin qui, buon per gli svizzeri. Ma si sa che nel Risiko delle grandi bacchette ogni spostamento incide anche sui territori confinanti. Per esempio, sulla Scala. Qui Gatti era considerato in pole position per la carica di direttore musicale. Le sue azioni sono un po' in ribasso dopo le polemiche e i fischi (ingiusti entrambi) piovuti sul Don Carlo inaugurale dell'ultima stagione, ma Gatti tornerà nella prossima con Lulu. Però è ormai chiaro che, alla faccia del totodirettori di questi mesi, fino al 2013 la Scala non avrà un «capo» musicale. Resterà Daniel Barenboim con il vago titolo di «maestro scaligèro» (Lissner lo pronuncia così), il resto è rimandato al 2013. Archiviata la superstagione Verdi-Wagner dei bicentenari, si riapriranno i giochi, cui parteciperà lo stesso Gatti (per quell'anno, a Zurigo avrà finito. E forse si spiega così un insolito contratto di tre stagioni). Giochi riaperti e con ogni probabilità non solo per il direttore musicale ma anche per il sovrintendente. \ Otto Oscar, 7 Golden Globe, 6 Grammy, colonne sonore di film come La bella e la bestia, La sirenetta, Il gobbo di Notre Dame, Aladdin, Pocahontas, lungamente legato al mondo Disney, Alan Menken è uno dei grandi compositori di musical del mondo. Dal 2 giugno, a Londra è in scena la sua versione di Sister Act. In Italia invece con La bella e la bestia Menken sarà protagonista dal prossimo autunno, quando il musical arriverà a Milano, al Nazionale: l'intenzione è farne un evento che regga tutta la stagione, alla maniera di Broadway. Per l'occasione, ieri Menken si è esibito cantando e accompagnandosi al piano in un medley dei suoi brani. Al suo fianco, i protagonisti della versione «made in Italy» del musical, Arianna e Michael Altieri. Sessant'anni il 22 luglio, la sua è una lunga storia che ha nella Piccola bottega degli orrori (1986) la prima hit. Da allora molti musical e molti Disney sono passati. Menken, quante volte ha fatto e rifatto La bella e la bestia? Non si annoia? «No. Insieme, faccio tante altre cose». E a lavorare per la Disney? «Non "per", ma "con". Annoiato no, semmai un po' frustrato per le opportunità che non mi si sono presentate. Se diventi famoso per un certo tipo di lavoro la gente tende a farti fare quello. E il pubblico lo aspetta». C'è una ricetta Disney? «L'equilibrio tra umorismo e audience è importante. Devi divertire e non offendere nessuno». Il cinema è pieno di musical derivati da «storici» show, i teatri di musical tratti da film: non è un indice di stanchezza? «Non direi. Storicamente il musical deriva da testi teatrali o da romanzi. Ora però le forme di intrattenimento vincenti sono cinema e tivù, quindi mi pare logico che il musical peschi da lì». Eppure quest'anno a Broadway la stagione non è andata bene, molti show hanno dovuto chiudere in anticipo. «Si sente la crisi generale più che quella creativa. Inoltre le produzioni sono molte ed è fisiologico che solo le migliori sopravvivano». Pochi giorni fa Obama e la moglie Michelle hanno interrotto la loro vita presidenziale per andare a teatro: un fatto che ha destato un certo scalpore. «È stupendo. Penso che per il teatro sia stato un ottimo segno. Era la precedente amministrazione, piuttosto, che rappresentava un'aberrazione». Che musical ama o ha amato? «Ricordo quando aprì Chorus Line. Era il '75, ero incredibilmente eccitato. Uno degli spettacoli più belli che abbia mai visti. Non tanto per le musiche (ottime), ma per la regia di Michael Bennett. Comunque non sono un critico: non amo giudicare il lavoro degli altri». Ma ci sarà pure stato qualche collega che le ha provocato una fitta di sana invidia. «Hairspray: grande colonna sonora. Mi avevano chiesto di scriverlo, ma era troppo simile alla Piccola bottega degli orrori e non ho accettato. La gelosia, l'invidia... quand'ero giovane, forse le provavo. Ora mi sento più sereno verso il lavoro degli altri compositori». Anche quando si vince un «Razzie» (pernacchio, il premio ai peggiori dell'anno, ndr)? «Ah, lo sa?... Fu per la canzone High Times, Hard Times di Newies ("Gli strilloni", in Italia). Era il '93. Ma avevo appena vinto due Oscar e due Golden Globe. Pazienza!». Nel suo futuro ancora Disney? «Ancora. Sto preparando le colonne sonore di due cartoon, Rapunzel e Snow Queen, e di un film musicale live tratto da La bella e la bestia. Contemporaneamente sto anche lavorando a un musical che debutterà nell'autunno 2010, Leap of Faith». Non ha voglia di tornare a scrivere cose un po' più «scorrette», come ai tempi della Piccola bottega degli orrori? «Sister Act in fondo lo è: si prendono in giro le suore. E ho scritto un musical dove si racconta la storia di un'attrice che subisce un grave incidente e resta menomata. Molti dei brani che ho composto hanno un tono decisamente oscuro. Ma non ci si ricorda di loro perché sono meno noti. Capita a chi compone musiche: di fare decine, centinaia di brani bellissimi e alla fine essere ricordato per una ballata facile facile. Pensi a Morricone: per tutti resterà sempre quello del fischio del Buono il brutto e il cattivo».

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la riscoperta dell'america - vittorio zucconi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina La riscoperta dell´america VITTORIO ZUCCONI SessantAcinque anni esatti dopo lo sbarco del soldato Ryan in Normandia, Barack Hussein Obama sta riportando nel mondo, e non soltanto nella galassia musulmana alla quale ha parlato ieri, la "voglia di America" e la possibilità di proclamarsi senza ipocrisia "tutti americani". «We love you Obama» gridava qualche studente della più grande, e antica, università islamica del mondo, al-Azhar al Cairo. SEGUE A PAGINA 31

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l'incontro di civiltà - bernardo valli (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina L´INCONTRO DI CIVILTà BERNARDO VALLI Le parole pronunciate ieri, al Cairo, dal presidente americano sono un balsamo. Lo sono per chi, seguendo da una vita, con passione, la tragedia mediorientale, le ha attese invano da un rappresentante della superpotenza: per chi le ha invocate spesso, tra critiche e incomprensioni, non esclusi gli insulti, ad ogni guerra o massacro, compiuto in uno dei due campi. Un anziano, molto anziano intellettuale, lacerato dal conflitto israelo-palestinese, essendo da un lato fedele alle sue origini ebraiche e dall´altro sensibile alle ingiustizie cui sono sottoposti i palestinesi, dopo il discorso di Barack Obama mi ha detto con slancio che «valeva la pena vivere abbastanza per ascoltarlo». SEGUE A PAGINA 30

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"e' l'ora di un nuovo inizio" obama tende la mano all'islam - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 2 - Esteri "E´ l´ora di un nuovo inizio" Obama tende la mano all´Islam Dal Cairo appello alla pace, mai usata la parola terrorismo Il discorso Ha parlato per quasi un´ora ed è stato interrotto 33 volte dagli applausi ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato IL CAIRO - «Salaam Aleikum». L´applauso scatta spontaneo quando Barack Obama pronuncia la prima parola in arabo, «la pace sia con voi». Applaudono tutti, dignitari del regime e Fratelli Musulmani, giovani vestiti all´occidentale e donne col velo, un pubblico selezionato con cura che già tre ore prima aveva riempito la grande sala tappezzata di rosso porpora dell´Università del Cairo. Di applausi ce ne saranno molti, durante i 55 minuti del "discorso all´Islam", che la Casa Bianca ha voluto titolare simbolicamente «un nuovo inizio». Per 33 volte il presidente americano viene interrotto mentre scandisce le parole con cui ha deciso di rivolgersi al miliardo e mezzo di fedeli musulmani in ogni parte del mondo, ma che è diretto anche all´Occidente, a Israele, al popolo americano. Un messaggio di dialogo e di pace che ha toccato tutti i punti che dividono gli Stati Uniti dal mondo islamico (Iran, Medio Oriente, democrazia, ruolo delle donne, terrorismo - un termine, quest´ultimo, che tuttavia Obama ha evitato con cura di utilizzare) senza timore dell´autocritica ma anche senza abdicare ai principi che ispirano la prima potenza mondiale. Gli occhi di tutti erano puntati sulla capitale egiziana e la visita del primo presidente afro-americano ha trasformato anche fisicamente il Cairo. Le strade vuote, il silenzio che ha zittito i clacson, le spalle alla strada di migliaia di poliziotti e agenti segreti, le retate della vigilia contro integralisti o liberali che dissentono dal lungo regime di Mubarak, hanno accolto il lungo corteo blindato che ha accompagnato Obama al suo appuntamento con la storia. Decine di agenti controllano meticolosamente ogni ingresso dell´università, scrivendo i nomi dei privilegiati che hanno ottenuto l´invito per ascoltare il presidente americano. Fra questi anche una decina di deputati integralisti (Fratelli Musulmani) e l´ambasciatore iraniano al Cairo. «Ci incontriamo in un momento di tensione tra gli Stati Uniti e i musulmani», dice ricordando le ragioni storiche di un´ostilità che spesso si è trasformata in odio e che ha portato all´11 settembre, ma questo «ciclo di sospetti deve finire». E per dare «un nuovo inizio» parte da se stesso, dalla sua storia di cristiano con «radici familiari musulmane», dai suoi anni trascorsi in Indonesia. Ricorda la grande civiltà islamica e l´importanza che i fedeli di Maometto hanno avuto ed hanno sempre più negli Stati Uniti, cita il deputato che ha giurato fedeltà alla Costituzione sul Corano che «apparteneva alla biblioteca di Jefferson» e l´atleta «che ha acceso il braciere olimpico» (l´ex pugile Mohammed Alì ad Atlanta 1996): «Il Sacro Corano insegna che chiunque uccida un innocente è come se uccidesse l´intera umanità e chiunque salva una persona è come se salvasse l´intera umanità». Il messaggio è chiaro, anche l´Islam è parte integrante dell´America, dei suoi sogni, dei suoi valori e del suo futuro, ma è un Islam che deve ripudiare la violenza e l´odio che sono la bandiera di minoranze consistenti. E´ questa la vera novità del suo discorso, accompagnata dai diversi richiami alle tre grandi religioni monoteiste. Cita la Bibbia («benedetti i promotori della pace, che saranno chiamati figli di Dio»), cita la Torah («l´obiettivo è quello di promuovere la pace»), cita più di una volta il Corano («tutto il genere umano, uomini e donne, sono stati raccolti in nazioni e tribù, in modo che si possano riconoscere», «sii consapevole di Dio e dì sempre la verità»), chiede il rispetto per le differenze religiose. Quando passa agli argomenti odierni è chiaro da che parte sta la platea. Che ascolta in silenzio le parole sugli ebrei e sull´Olocausto, sul diritto di Israele all´esistenza e applaude quando Obama chiede uno Stato anche per i palestinesi, la fine degli insediamenti israeliani e ricorda le sofferenze di Gaza. Che sottolinea con altri applausi l´autocritica sull´Iran, «gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo nell´abbattere un governo democraticamente eletto» (il riferimento è a Mossadeq) e il diritto di Teheran «al nucleare pacifico». E solo una parte della sala, quella femminile, lo applaude quando parla dei diritti delle donne a decidere della propria vita. Il finale è tutto per lui. «We love you», urlano studenti e studentesse dalla balconata del secondo piano quando parla di democrazia. Obama si ferma, risponde «thank you» e conclude ancora sul leit-motiv della pace e del dialogo: «Gli uomini di tutto il mondo possono vivere in pace. è la volontà di Dio. Ora ci deve essere il nostro impegno qui sulla Terra». E mentre la sala si alza in piedi parte dalle gradinate il grido ritmato: «Obama, Obama».

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hamas: "pronti al dialogo" ma israele è più cauto (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 3 - Esteri Hamas: "Pronti al dialogo" ma Israele è più cauto Esplode la rabbia dei coloni: "Non è imparziale" Burocratico il comunicato di Netanyahu: "Gli interessi dello Stato ebraico, a partire dalla sicurezza, restano decisivi" DAL NOSTRO INVIATO BEIRUT - Mai Hamas ha speso parole tanto lusinghiere verso un presidente americano, forse perché mai, fino a ora, un presidente americano aveva riconosciuto la popolarità del movimento islamico fra i palestinesi. Sta di fatto che, tra i molti commenti al discorso del Cairo delle parti coinvolte nel conflitto arabo-israeliano, spiccano le frasi positive adoperate dai portavoce di Hamas. Di contro, lo stesso non si può dire dei coloni israeliani. Il «tono ponderato esente dal linguaggio delle minacce cui ci aveva abituati la precedente amministrazione», è ciò che sembra aver fatto colpo su Fawzhi Barhum, il dirigente islamico incaricato dei rapporti con i media. Anche se lo stesso portavoce non sorvola sulle «contraddizioni» in cui Obama sarebbe incorso. Piace ad Hamas il riconoscimento venuto da Obama, secondo cui il Movimento islamico «ha il sostegno di alcuni palestinesi», ma se è così, obietta Barhum, perché il presidente americano non ha sottolineato la legittimità del nostro governo democraticamente eletto nel 2006? Di questo, sicuramente, si parlerà ancora. Dove il dibattito scaturito dal discorso del Cairo, sembra subito entrato in un vicolo cieco, è, invece, a proposito del blocco insediamenti ebraici nei Territori occupati e della risposta intollerante data dai coloni. «Hussein Obama - dice un comunicato del Consiglio degli insediamenti, come a sottolineare che uno con quel nome non può essere imparziale - ha dato priorità alle bugie degli arabi, ripetute con determinazioni dai loro leader, piuttosto che alle verità degli ebrei riferite con voce debole e insicura», sottinteso: dai nostri governanti. Il che chiama direttamente in causa il governo Netanyahu. Il premier israeliano ha avuto bisogno di una certa riflessione prima di rispondere alle cose dette da Obama al Cairo, con un comunicato cordiale nei toni ma burocratico nella sostanza. Israele apprezza il discorso di Obama, condivide le speranze del presidente americano, farà il possibile per allargare «il circolo della pace», ma gli interessi dello Stato ebraico, a cominciare dalla sicurezza, restano decisivi. Ora, non pare che Obama abbia chiesto al governo israeliano di sacrificare i propri interessi fondamentali. Piuttosto, ancora una volta Netanyahu ha preferito non accennare né alla questione degli insediamenti né allo Stato palestinese che non vuole. Dalla reazione dei coloni si capisce che su entrambi questi problemi la maggioranza di governo potrebbe facilmente traballare. (a. s.)

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gm: tempi lunghi per magna-opel e tremonti punta ancora su fiat - paolo griseri (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 25 - Economia Gm: tempi lunghi per Magna-Opel e Tremonti punta ancora su Fiat PAOLO GRISERI TORINO - La partita Opel torna in alto mare e, dopo un lungo periodo di attesa, anche il governo italiano promette di intervenire. Ci vorranno «diverse settimane», secondo una nota diffusa ieri da Gm, o addirittura «sei mesi», come dice il portavoce del governo di Berlino, «per giungere a un accordo definitivo» tra la Magna e la casa tedesca. Un tempo più che sufficiente per veder sfumare quello che Angela Merkel ha definito l´altro ieri «un accordo non vincolante». L´incertezza tedesca ha riaperto la polemica in Italia sull´atteggiamento del governo di Roma. Atteggiamento attendista, secondo l´opposizione. Alle critiche replica il ministro dell´economia, Giulio Tremonti: «Poco tempo fa un intervento di questo tipo del governo tedesco sarebbe stato impensabile». In ogni caso «su Opel Fiat non ha chiesto niente al governo e il governo non poteva intervenire». Oggi però Tremonti riconosce che «la partita tra governi è ancora aperta». Immediata la replica dell´ex ministro Cesare Damiano, del Pd: «Tremonti ci vuol far credere che Merkel è intervenuta per ragioni elettorali. Lo stesso ragionamento vale anche per Obama?». Per la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, «la scelta del governo tedesco di giocare direttamente la partita Opel lascia perplessi». In attesa di tornare a giocare sullo scacchiere europeo, il Lingotto cerca di evitare tensioni in Italia. E all´alba di ieri firma un accordo con i sindacati che pone fine alla vertenza nell´indotto che ha bloccato la produzione di Melfi. L´intesa garantisce il lavoro ai dipendenti interinali in scadenza con l´assunzione presso altre società della fornitura Fiat. Una soluzione giudicata positivamente dai sindacati: «è la dimostrazione che la solidarietà paga», commenta il leader della Fiom, Gianni Rinaldini. Sul fronte della produzione il Lingotto festeggia i 10 milioni di auto realizzate nello stabilimento brasiliano di Betim. E lo fa riprendendosi il primo posto tra i produttori in America Latina davanti a Volkswagen e Gm. Mentre sul fronte azionario il fondo Capital research torna a salire sopra la soglia del 5 per cento di Fiat, confermandosi al secondo posto tra i soci dietro la Giovanni Agnelli Sapaz.

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l'incontro di civiltà - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 30 - Commenti L´INCONTRO DI CIVILTà (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Altri, a Gerusalemme, animati da sentimenti meno torturati, più schietti, radicali, hanno subito il discorso del Cairo come uno schiaffo. Hanno detto che Obama crede alle bugie arabe e non alla verità israeliana. Il governo, dando per scontate le divergenze con la Casa Bianca, ha apprezzato diplomaticamente il desiderio di pace, e ha aggiunto che però Israele tiene anzitutto alla propria sicurezza. In Palestina hanno esultato per ricadere poi nello scetticismo di sempre, nell´attesa di fatti concreti. Al di là delle contrastanti emozioni immediate, il discorso di Obama è una netta rottura col passato. Non solo politica. Anche culturale. Lo stile, il linguaggio è cambiato. Pur essendo in questa stagione più diffidente che ricettivo, il mondo musulmano non può non averlo avvertito. I fatti non dovrebbero tardare troppo a dare consistenza alle impressioni suscitate da Obama. Per riallacciarsi a qualcosa di simile bisogna ritornare all´immagine di Clinton, che, nei primi anni Novanta, sullo sfondo della Casa Bianca, assiste alla stretta di mano tra Rabin e Arafat. Ci fu poi molto sangue versato e tante delusioni. Quello di Obama è comunque un disegno strategico più ampio. Più audace. Più ambizioso. Riguarda l´intero mondo musulmano, al quale il presidente, che cita Jefferson, si chiama Hussein e cita il Corano, offre un «nuovo inizio» per affrontare insieme l´estremismo violento e i richiami all´odio religioso. L´invito non si limita all´emisfero arabo; anche se il conflitto israelo-palestinese è ritenuto un nodo decisivo, da sciogliere se si vuole dar vita a un´altra epoca, rispetto a quella di Bush jr. Un texano che parlava di crociate e agiva come un crociato accendendo un odio senza precedenti nei confronti dell´America, e di riflesso dell´Occidente. Non si tratta di una rottura unicamente simbolica. è vero, Barack Obama non ha annunciato misure concrete. Questo non significa che le sue parole siano state soltanto una accorata ed elegante orazione propiziatrice. Non molto di più. è sbagliato giudicare il suo discorso un esercizio strappacuori, retorico, di cui è capace un oratore sperimentato come lui. Ci vuol altro per dissipare l´avvelenata, diffusa idea stando alla quale è in corso una inevitabile guerra di civiltà tra l´Islam e l´Occidente. Il discorso del Cairo non è certo bastato. Era tuttavia troppo impaziente chi si attendeva date e appuntamenti, scadenze e proposte; e si chiede adesso, non senza sufficienza, quando si passerà agli atti. è già un gesto esplicito, che equivale a un atto politico incisivo, l´avere detto, nella più importante capitale araba, che gli israeliani devono riconoscere anche ai palestinesi il diritto di esistere. Diritto ritenuto giusto per Israele. E che questo implica la creazione di uno Stato palestinese accanto allo Stato di Israele. E, ancora, che gli Stati Uniti non considerano legittime le continue installazioni di colonie israeliane in Palestina. Obama ha anche parlato delle «umiliazioni quotidiane - grandi e piccole - dovute all´occupazione». Non sono propositi nuovi. Obama li ha tenuti a quattrocchi al primo ministro Netanyahu, di recente in visita a Washington. Ripetuti davanti all´intero mondo musulmano in ascolto assumono tuttavia un diverso valore. Suonano come un fermo richiamo al governo di Gerusalemme. Un governo conservatore con una forte presenza di estrema destra. Il richiamo di Obama è senz´altro condiviso, o addirittura suggerito, dai suoi stretti collaboratori alla Casa Bianca. In particolare da Rahm Emanuel, capo gabinetto del presidente, e suo principale consigliere. E va ricordato che Emanuel ha servito nell´esercito israeliano, possiede un doppio passaporto, uno americano e uno israeliano, ed è notoriamente molto religioso, come il resto della sua famiglia. Egli non ispira certo idee anti israeliane al presidente. Ma considera evidentemente che la linea politica dell´attuale governo di Gerusalemme non porti il Paese sulla giusta strada, rifiutando tra l´altro l´idea di due Stati e l´impegno a non incrementare le colonie. Le parole in favore dei palestinesi sono state precedute da un´inequivocabile conferma dell´«indissolubile legame» che unisce Israele e gli Stati Uniti, da un ricordo dell´Olocausto e da una ferma condanna del negazionismo. E gli estremisti palestinesi, in particolare quelli di Hamas, sono stati invitati a riconoscere lo Stato ebraico. Obama è stato via via sferzante ma non imperiale. Fermo, ma senza l´arroganza del predecessore. Un discorso rivolto all´Islam nel suo insieme, a un miliardo e mezzo di uomini e donne dispersi ormai in tutti i continenti, è un esercizio che richiede un grande equilibrio: un´attenzione adeguata a un´ambizione che tende a riconciliare la superpotenza con quel mondo, dove è impigliata in almeno tre conflitti in corso o latenti: Afghanistan, Iraq, Pakistan. Con sullo sfondo crisi che vanno dal Libano alla Palestina. Senza contare l´Iran, candidato al nucleare. La strategia di Obama ha tra i suoi principali obiettivi proprio l´avvio di un dialogo con l´Iran. Questo non infastidisce soltanto l´Israele di Netanyahu. Il quale considera la minaccia nucleare di Teheran un problema prioritario rispetto a quello palestinese. I Paesi musulmani sunniti, quali l´Arabia Saudita e l´Egitto, non nascondono la loro preoccupazione per i progetti atomici iraniani, i quali accompagnano l´ascesa degli sciiti, avversari nella religione e nemici nella storia, diventati i principali alleati di movimenti integralisti come gli hezbollah libanesi e i palestinesi di Hamas. E con una forte influenza nell´Iraq a maggioranza sciita. Barack Obama è stato rassicurante. Ha spiegato che lo sperato dialogo con la Repubblica islamica non significa accettare che essa sia dotata di armi nucleari. Con Obama, gli Stati Uniti cercano di uscire il più possibile dalla mischia, per diventare arbitri autorevoli e credibili.

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la riscoperta dell'america - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 31 - Commenti LA RISCOPERTA DELL´AMERICA (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Anche scontando la coreografia organizzata, immaginare qualcuno che gridasse «we love you George» in Egitto sarebbe difficile. è di nuovo possibile, dicono i sondaggi e le reazioni internazionali a questa figura così felicemente anomala di presidente, innamorarsi di una nazione, e di una cultura, che per gli otto anni di Bush e poi nel collasso tossico della sua finanza, avevano messo a dura prova l´ammirazione per gli Stati Uniti e per i suoi valori. Questa è la vera novità, il "nuovo inizio", che il 44esimo presidente ha offerto agli elettori in casa e ora offre ai nemici come ai molti amici scoraggiati. Proprio l´anniversario della più cruenta operazione militare condotta dagli Stati Uniti dai tempi della Guerra Civile, l´invasione dell´Europa, serve a ricordare che non è l´azione bellica la discriminante invalicabile fra il giusto e l´ingiusto. è la qualità delle intenzioni che spingono all´azione ciò che fa la differenza fra la gratitudine e l´odio, fra gli ordinati, affettuosi cimiteri di guerra in Normandia e la macelleria di soldati americani dilaniati e dissacrati a migliaia nelle strade di Saigon, di Falluja o di Bagdad. Il senso della "operazione Obama" è che senza il sentimento che la democrazia americana resti davvero "l´ultima speranza", nessuna azione diplomatica od operazione militare od offensiva diplomatica può davvero vincere e ogni vittoria resta effimera. Se l´America ritrova la credibilità perduta, ogni suo intervento torna a essere efficace. Quando invece, come ha finalmente ammesso due giorni or sono l´ex burattinaio dell´amministrazione Bush, Dick Cheney, si spacciano come vere responsabilità inesistenti da parte dell´Iraq di Saddam nell´11 settembre, ogni parola, ogni azione è incurabilmente inquinata. L´America non perse la guerra in Vietnam perché le proprie armate fossero inferiori, ma perché la qualità delle sue intenzioni, la limpidezza del suo combattere, si consumarono in fretta. Non vinse la Guerra Fredda con i missili, ma con la potenza del proprio esempio. Ed è questa chiarezza che Obama sta cercando di ricostruire e che il resto del mondo ha detto di volere ritrovare, salutandolo dal novembre scorso come una novità e una speranza. «Finalmente siamo di nuovo orgogliosi di essere americani» ha scritto un ascoltatore alla Cnn dopo il discorso, «Obama torna a farci sentire intelligenti». In questo immenso serbatoio di buona volontà interna e internazionale il presidente cerca di pescare, quando rinnega la tortura, i campi di concentramento, le scorciatoie costituzionali e respinge la negazione dei "valori" democratici e costituzionali nel nome degli espedienti ideologici, sapendo di sfidare anche i propri elettori e la paura che il ritorno al Kennedy e al Reagan dei discorsi a Berlino sia un segno di debolezza o di resa. Se nella sua azione di governo i comportamenti sono assai meno rettilinei delle parole, l´opinione pubblica è disposta a tollerare e perdonare molto, se crede alla sincerità delle intenzioni. E pensa, come ripete Obama a israeliani e palestinesi, a europei e a americani, che sia nel loro interesse tornare ad avere fiducia. Da questa sensazione sgorga la nuova voglia di essere ancora "americani". Il senso che il mondo ha ancora bisogno dell´America migliore e la voglia riabbracciare, come 65 anni or sono.

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"una lapide in memoria di petru" presidio anticamorra a montesanto - ilaria urbani (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina IX - Napoli "Una lapide in memoria di Petru" presidio anticamorra a Montesanto Il cugino del romeno ucciso: vado via da questa città Alla manifestazione oltre 300 persone: artisti, utenti della Cumana, residenti e associazioni ILARIA URBANI Ionut con gli occhi verdi sbarrati dallo stupore ti guarda e con candore ti dice: «La camorra? Che cosa è la camorra? Io ho solo paura per me, per mia moglie e per il mio figlioletto. Da qui me ne vado subito». Ionut, 26 anni, fa il pasticciere alla Ferrovia, è il cugino di Petru Birladeandu, il ragazzo rom che suonava la fisarmonica, ucciso il 26 maggio per errore a Montesanto, vittima della nuova di camorra ai Quartieri Spagnoli. C´era anche Ionut ieri a deporre un fiore per il cugino al presidio organizzato dalle associazioni e dai cittadini di Montesanto. Appuntamento davanti alla stazione Cumana. Stesso posto e stessa ora del giorno in cui i killer di Petru hanno fatto fuoco. All´iniziativa hanno partecipato trecento persone tra residenti, associazioni e alcuni passeggeri che hanno ritardato il viaggio in Cumana per solidarietà all´artista di strada. Un ringraziamento postumo a chi suonava una canzone in cambio di qualche spicciolo. Le associazioni hanno chiesto alle autorità di ricordare Petru con una lapide da posare nella stazione della Sepsa e allo Stato di riconoscere alla moglie e ai figli il fondo nazionale per le vittime della mafia. C´era anche qualche volto noto. L´attrice Rosaria De Cicco ha donato una margheritina gialla con le lacrime agli occhi, il sassofonista Daniele Sepe e l´ex parlamentare del Pci Monica Tavernini. Sulla facciata della nuova stazione post-liberty Sepsa gli attivisti del Parco sociale Ventaglieri, Opera Nomadi, Chi rom e chi no e altre realtà che hanno aderito alla manifestazione esponendo uno striscione con su scritto: «Un fiore per Petru contro l´indifferenza e la violenza delle armi». I più arrabbiati e, al contempo, rassegnati però erano i residenti di Montesanto. Per loro le sparatorie non sono una novità, ma qualcosa di diverso ora c´è. Ha provato a spiegarlo Maurizio Braucci, lo scrittore da anni impegnato al centro sociale Damm nella zona dei Ventaglieri e coautore della sceneggiatura del film Gomorra. «Al di là delle contese del territorio c´è una cosa che dobbiamo capire tutti: a sparare ora sono ragazzini imbottiti di cocaina - spiega Braucci - dalla faida di Scampìa in poi i boss della camorra mandano loro in prima linea perciò può succedere che alla 7 di sera, in mezzo alla folla, arrivino dei sicari a sparare all´impazzata. Poteva essere una strage. Si tratta di una guerriglia combattuta da adolescenti cocainomani, senza neanche una strategia. Pare che gli unici a non avere capito il connubio tra emarginazione giovanile e camorra siano i politici. Il welfare qui è inesistente. Che dobbiamo sperare che arrivi Obama per salvarci?». Il presidio per Petru ha occupato la piazza fino a poco dopo le 20. Chi non ha portato un fiore, ha portato una poesia. "I ragazzi della fisarmonica hanno occhi di stelle nere - scrive Valeria - possono guardarti in fondo al cuore, toccarti l´anima". «Le bestie siamo noi, dobbiamo sentirci tutti coinvolti - spiega l´ex deputata Monica Tavernini - il marcio sta nella città, questo è solo l´inizio di una nuova faida, strisciante, a perdere come sempre sarà tutta la città, non soltanto Montesanto».

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pomodori e alberi da frutto un orto a palazzo marino (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina IX - Milano La novità Pomodori e alberi da frutto un orto a Palazzo Marino Un prato, un orto, qualche albero e un grande gioco dell´oca nel cortile di Palazzo Marino. Il Comune ospita il "Giardino della sostenibilità" creato in occasione della Giornata mondiale dell´ambiente. Invece del pavé di pietra, un tappeto erboso all´inglese si stende sotto i piedi di chi attraversa il cortile d´onore. Non resterà lì solo pochi giorni, com´era previsto inizialmente. La piccola oasi verde nel cuore di Palazzo Marino avrà vita più lunga. «Spero che resti lì per un po´ di tempo - ha detto il sindaco Moratti - Vorrei tenerlo. Non so se ho il potere di farlo, ma se posso, almeno per un po´ di tempo vorrei lasciare il prato. Comunque dovremo sentire il parere della Sovrintendenza prima di prendere una decisione definitiva». Letizia Moratti ha spiegato di essere una fan del verde e in particolare degli orti. Un po´ come Michelle Obama, la first lady americana. «Sul terrazzo della mia casa milanese coltivo, assieme a mio marito, melanzane, pomodori e insalate oltre ad alcune piante da frutto. Lo facciamo da anni ed è molto piacevole e rilassante». Ad accogliere i cittadini nel "Giardino della sostenibilità" c´erano una passerella erbosa e un pergolato di edera all´ingresso, poi il cortile verde con un angolo coltivato a piantine di pomodoro, cavolfiori, basilico, salvia e rosmarino, qualche albero e un percorso del "Gioco dell´oca". Lo spazio verde sarà aperto al pubblico dalle 10.30 alle 18.30. Per oggi sono in programma sei ore di gioco educativo legato ai temi dell´ambiente e riservate a 150 bambini delle scuole milanesi. I ragazzini potranno imparare l´abc dell´orto parlando con esperti, gli stessi che domani saranno a disposizione delle famiglie e associazioni che andranno in visita a Palazzo Marino. A presentare l´iniziativa c´erano oltre al sindaco gli assessori alla Mobilità, Edoardo Croci, alla Famiglia Mariolina Moioli, allo Sport Alan Rizzi. Come testimonial, il maratoneta Alberto Cova, il ginnasta Igor Cassina, la conduttrice Daria Bignardi e il designer Fabio Novembre. (f. c.)

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vendola, folla all'ultimo comizio "costruiamo la nuova sinistra" - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina II - Bari La replica Le trovate La polemica La guida Dinapoli indaga dopo le dichiarazioni di Russo Frattasi. Fitto: "Se ha i nomi li faccia". Frisullo: "Una verità che tutti conosciamo" Dal ministro per le Regioni al sindaco di Roma Alemanno a Mantovano in sostegno di Di Cagno Abbrescia e Schittulli Vendola, folla all´ultimo comizio "Costruiamo la nuova sinistra" Negli studi Rai fanno scintille Schittulli-Divella Quattro schede nell´urna seggi aperti da domani alle 15 L´assessore Ostilio attacca Palese "Spieghi le misure per il turismo" Dal Parigino al Moviola, sparsi in tutte le liste "Emiliano è il più forte, ma il Pd ha sbagliato" Verso il voto Voti comprati, scambio di accuse la Procura di Bari apre un´inchiesta Ressa di big sul palco, ma platea scarsa Quei candidati in campo con il nome di battaglia Tutto pur di stupire: c´è chi sceglie la marca della moto del cuore o chi si ispira al fascino di Marlon Brando La denuncia: "Un pacchetto di cinquecento preferenze costa 8mila euro" Un´ora di discorso da Benedetto Petrone a Obama davanti a oltre tremila persone (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) (segue dalla prima di cronaca) A proposito di Gagan, il re delle pescherie baresi, il paladino dei mercati (ieri due suoi camion stazionavano all´esterno del mercato della Manifattura), apre uno degli scenari più inaspettati di questa campagna elettorale: quello dei soprannomi o meglio dei "detto". In principio fu quell´Alberto Savarese detto il Parigino, poi è arrivato Gagan ma c´è molto, molto di meglio. Fabio Di Fonte (Bari vai avanti) è più semplicemente "Roccia". La lista della Lega di azione Meridionale propone al consiglio comunale Michele Fabiano detto Totip (il figlio si chiamerà Snai?) e Biagio Gregorio, in arte Moviola (pare sia un fan di Donda). Da Sinistra Critica rispondono con lo Zio (Federico Cuscito), Il Pumbaa (Walter Dabbicco), con il candidato fugace, Spizzico (Giuseppe De Giglio) e con quello che ha capito tutto della politica, il Mazzetta (Enrico Pistolese). Al San Paolo, invece, il candidato della Puglia pima di tutto, Vitangelo Mongelli ha fatto una chiara scelta di campo: abbasso Valentino Rossi, via queste Ducati, per votarlo basterà scrivere sulla scheda Kawasaki, il nome d´arte. A Carbonara, invece, chi sceglie il candidato del Psdi, Nicodemo Armenise potrà scrivere Coletta, a Japigia invece Cassandra Cardano si presenta come Marlon. Esistono poi le finezze elettorali. In tanti temono l´errore di scrittra. Ecco quindi che spunta il nome double face: il nome di Margherita Di Giesi si scriverebbe così ma per semplificare le cose la signora si è detta Mara Digiesi. Il candidato del Pdl, Giuseppe Guido invece è detto Pinoguido, tutto attaccato. Massimo Posca del Pdl è semplicemente Massimo mentre Vito De Benedictis è Bene. Ma le gioie non arrivano soltanto dai soprannomi. I manifesti, i santini, i programmi hanno dato grandi soddisfazioni. Lo shuttle sulla Rossani pensato dal candidato sindaco Marcello Signorile è un ever green mentre importante è il progetto del "Babbo comunale" (un uomo-tata per le donne sole con figli) di Tracy Fraddosio del Psdi. Avvenente la candidata Tracy almeno quanto Emilia Papeo, in campo con la lista di Simeone, una cugina lontana di Barby. Il popolo di Internet si è poi mobilitato con i tarocchi: la campagna "Io sono Simeone" oggettivamente prestava il fianco, ma degni di nota sono anche i gruppi nati su Facebook per riuscire a far parte della comitiva di Ninni Cea. Detto di Monno, non si può dimenticare Nico Carella della Puglia prima di tutto, fotografato come fosse Julio Iglesias sulla spiaggia di Pane e Pomodoro o non tener conto di Emanuele Martinelli che nella foto elettorale sembra un universitario. Con gli spot televisivi, invece, si è avuta la conferma che Antonio Decaro (Pd) è sostanzialmente un attore e che Gianni Paulicelli (il re della televendita) è sprecato, a Bari. Infine, la famiglia: il presidente del quartiere Murattiano, Mario Ferorelli, ha messo in lista il padre e la madre, i Sisto sono alla Provincia con Onofrio, al Comune con il cugino Ciccio e potenzialmente alle Europee con Francesco Paolo, deputato del Pdl. Poi c´è Pietro Petruzzelli, Pd: il suo slogan è "A giugno nasce un nuovo progetto", in foto porta in palmo di mano Alessandra, la sua compagna, con il pancione grande. L´altro giorno è nato Matteo Vito, che evidentemente ha scelto le elezioni anticipate. (g.fosch.)

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khaled al khamissi "troppa religione" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Esteri Khaled Al Khamissi "Troppa religione" Sono molto deluso: Obama ha scelto di usare lo stesso linguaggio religioso di Bush. Non sa che l´università del Cairo è stata fondata da scrittori e intellettuali laici? Ha parlato a me come musulmano: ma io sono prima di tutto un egiziano, un laico, un arabo. E poi ha parlato in modo molto irrealistico, il bene e il male. Lavorare insieme è bene. Il terrorismo è male. Ma queste divisioni non esistono nella realtà: in ognuno di noi c´è il bene e c´è il male. Sì, lo ammetto: il mio giudizio globale è negativo.

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paure, speranze e narghilè i giovani arabi colpiti da obama - alberto stabile (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Esteri Paure, speranze e narghilè i giovani arabi colpiti da Obama La diretta tv vista dal quartiere Hezbollah di Beirut Il mondo "Gli americani sono sempre stati dei gran bugiardi. Ma questo può avere successo. Piuttosto: dite che lo lasceranno fare?" ALBERTO STABILE DAL NOSTRO INVIATO BEIRUT - «Che dire? Un discorso perfetto, ma solo un discorso», commenta, diffidente, Yussef Ajour, il cinquantenne proprietario del "Family house", scintillante caffè-ristorante-healthclub (palestra con piscina di 25 metri) aperto due anni fa nel cuore di Dahiyeh, il quartiere Sud roccaforte degli Hezbollah, mentre l´immagine di Obama sfuma sul maxischermo solitamente acceso per seguire gli infuocati discorsi di Nasrallah, le partite di calcio e le telenovelas siriane in tempo di Ramadan. Oggi non c´è la folla delle grandi occasioni. La gente sembra più attenta agli ultimi scampoli di campagna elettorale. Per le strade del quartiere sciita le foto dei caduti nella guerra del 2006 s´alternano ai manifesti dei candidati alle elezioni di domenica. Poliziotti-miliziani vigilano sui cortei degli attivisti che fanno impazzire il traffico. Eppure, mentre s´avvicina l´ora del discorso di Obama, il salone lentamente si riempie di gruppi di giovani donne velate, di coppie intente in discussioni sommesse, di anziani signori dall´aria distratta avvolti dal fumo del tabacco alla mela che brucia nei narghilé. «Ma sì - concede Marwan Ali, un giovane tecnico informatico che ha studiato due anni negli Stati Uniti «ai tempi di Bush», dice come fosse un´altra era - sentiamo cosa ha da dire Obama, ma senza farci troppe illusioni». Il perché del pregiudizio è presto spiegato: «Per noi, almeno quelli di questo quartiere o, se vuole, di questa parte politica, gli americani sono dei bugiardi. E´ stata l´America a fare la guerra al Libano, nel 2006, non Israele». Dal maxischermo Obama pronuncia il suo «assalam allekuum», la pace sia con voi, che strappa applausi alla platea del Cairo e qui deboli sorrisi. L´umore di Marwan un po´ cambia, ma resta negativo: «Ammesso che lo voglia, Obama da solo non può fare niente». Un nuovo inizio, dialogo, rispetto reciproco, non è abbastanza? «Va bene il rispetto - interviene Yussef, il proprietario - va bene il dialogo, ma perché all´Iran deve essere negato quello che hanno gli israeliani? Io sono contro l´atomica, ma perché dobbiamo essere più deboli d´Israele e se cerchiamo di essere pari l´America fa di tutto per azzerarci?» E´ per questo che sostenete l´Iran? «No. è perché abbiamo lo stesso nemico». Il traduttore di Al Jazeera rimarca il diritto dei palestinesi a vivere in un loro stato. Il riconoscimento delle loro sofferenze. «Era ora», bisbiglia Mariam, una delle ragazze dai coloratissimi foulard e spolverini lunghi fino ai piedi che lasciano intravedere jeans e tacchi alti. «Ma lei pensa che Netanyahu si lascerà convincere? E se è vero quello che Obama dice adesso, allora vuol dire che la guerra contro Gaza è stata l´ennesima violenza gratuita». Questo ragionamento porta a un´unica conclusione: «Obama dovrebbe ammettere che se il diritto dei palestinesi è legittimo, anche la resistenza in difesa del diritto è legittima». E tira fuori una copia di As Safir, il giornale vicino all´opposzione, con l´ultima intervista di Naim Kassen, il N.2 di Hezbollah: "Il Libano può essere difeso solo coi cannoni, i missili, il coraggio dei cuori": Morale: «Gli Hezbollah continueranno ad armarsi». Gli applausi che per 33 volte sottolineano il discorso di Obama, non impressionano la piccola platea del "Family house": «Sappiamo che il pubblico del Cairo è stato selezionato dal mukabarat (i servizi di sicurezza)», sorride un giovane accompagnato dalla fidanzata completamente velata. «Loro, e i sauditi, sono gli alleati fidati degli Usa e d´Israele. Ma su una cosa sono d´accordo, quando Obama dice che i governanti arabi dovrebbero servire la gente e non viceversa. Questo vale soprattutto per questi regimi dove presidenti e re stanno al potere finché muoiono». E ancora una volta speranza e fatalismo si mischiano in una miscela avvelenata: «Speriamo che abbia successo - dice Yussef - ma lo lasceranno fare?»

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mohsin hamid: "un uomo sincero" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Esteri Mohsin Hamid: "Un uomo sincero" Quello che mi ha davvero impressionato nel discorso di Obama è stata la sincerità che ho visto quando diceva di volere relazioni diverse da quelle che ci sono state finora fra gli Stati Uniti e i musulmani. La tensione fondamentale che vedo in Obama è quella fra un uomo sincero, quando dice di voler cambiare le cose, e il presidente degli Stati Uniti, che invece ha la responsabilità di difendere gli interessi americani. Cerca un equilibrio fra queste due forze: se riuscirà a trovarlo ce lo dirà soltanto il tempo.

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marina nemat: "basta estremismi" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Esteri Marina Nemat: "Basta estremismi" Ho apprezzato soprattutto il passaggio in cui Obama ha detto che dobbiamo affrontare l´estremismo in ogni sua forma. Inoltre è stato molto importante il fatto che abbia ammesso che la reazione degli Stati Uniti all´11 settembre è stata illogica e che li ha portati ad allontanarsi dai propri ideali e dalla protezione dei diritti umani. E infine mi è piaciuto che abbia messo l´accento sulla libertà di religione, sui diritti delle donne e sull´importanza della non proliferazione nucleare: nessun paese dovrebbe avere armi nucleari.

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"sono parole che vanno al cuore non le sentono al qaeda e i coloni " - pietro del re (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 7 - Esteri Qualcosa di nuovo "Sono parole che vanno al cuore non le sentono al Qaeda e i coloni " David Grossman: "è questa la strada per la pace in Israele" Come ha dimostrato al Cairo, il presidente americano è la dimostrazione vivente che volendo si può creare qualcosa di nuovo PIETRO DEL RE «Sono parole di grande effetto, che colpiscono al cuore: gli unici che non le hanno apprezzate sono stati i terroristi di Al Qaeda e i coloni israeliani». Lo scrittore David Grossman loda senza riserve il discorso pronunciato ieri da Barack Obama. E aggiunge: «La strada che ci indica è la sola per arrivare alla pace in Israele. Le altre le abbiamo provate tutte, da entrambe le parti. Abbiamo provato con la violenza, con le imposizioni, con l´occupazione e con il terrore. Non è servito a nulla». Grossman, quali sono le novità contenute nel discorso del presidente americano? «Da una parte i contenuti, dall´altra il rispetto e il calore con cui Obama s´è rivolto al mondo islamico. Come sempre, ha invocato il dialogo tra i popoli, cercando di mettere in luce le similitudini tra chi si riconosce diverso, piuttosto che i punti di attrito. Sono certo che in Egitto e altrove, le sue parole siano state molto apprezzate». Qual è il pregio di Obama? «La chiarezza. Prendiamo, per esempio, la guerra in Medioriente. Pur riconoscendo il diritto di Israele di esistere come Stato ebraico, il presidente americano ha insistito sulla necessità di finirla con l´occupazione dei territori palestinesi e con la costruzione di nuove colonie. Ha detto cose giuste. Cose che in precedenza hanno detto anche altri presidenti, ma non con la stessa franchezza e la stessa lucidità». Cosa pensa del fatto che abbia anche accennato a problemi che riguardano il mondo arabo? «L´ha fatto con discrezione. Quando ha parlato della libertà religiosa o dell´eguaglianza delle donne, credo che l´abbia fatto per prestare man forte ai moderati della società musulmana. La sua stessa storia personale può essere interpretata come un messaggio positivo, perché è arrivato al vertice del potere mondiale contro tutti gli stereotipi e contro tutti i pregiudizi. Ebbene, per molte popolazioni oppresse, per tutti i discriminati, non solo nei paesi arabi, ma ovunque nel mondo, ciò può significare che cambiare in meglio è possibile». D´accordo. Obama è sinonimo di speranza. Ma può bastare per costruire un mondo migliore? «Come ha dimostrato al Cairo, il presidente è in grado di far nascere una grande energia nei cuori di chi l´ascolta. è la dimostrazione vivente che volendo si può creare qualcosa di muovo». Ma in Israele non lo vedono tutti di buon occhio? «No, e ciò è dovuto proprio al suo decisionismo. Il governo di Tel Aviv è molto preoccupato». Chi sono i suoi nemici? «Sono i nemici della pace, del dialogo e del compromesso. Detto questo, ci sono anche molti israeliani che l´apprezzano. Sono coloro, per esempio, che non ne possono più dell´occupazione dei territori». Lei è tra questi? «Certo, poiché credo che per la prima volta un presidente americano non collaborerà con la destra al potere in Israele, ma che al contrario le suggerirà la strada da seguire per ottenere la pace». Crede che questo atteggiamento gli creerà nemici anche negli Stati Uniti? «Sì, l´avverseranno tutti coloro per i quali essere amici di Israele significa schierarsi sempre dalla sua parte. Ieri, Obama ha detto: «Se sei davvero amico di qualcuno devi dirgli sinceramente quello che pensi di lui, anche quando commette degli sbagli». Ora, Israele è prigioniero di un tragico errore. Spero che il presidente americano possa aiutarci a trovare la strada per uscirne». E i palestinesi? «Siamo circondati da nemici. I palestinesi non sono partner né cordiali né affidabili. Perciò anche loro dovranno cambiare condotta, piegarsi alle nuove regole. Siamo giunti al capolinea. Se non riusciremo a percorrere insieme la strada che ci indica Obama, saremo condannati a vivere nella guerra e nella violenza per il resto della nostra vita». Anche Hamas s´è detto soddisfatto delle parole del presidente. «Ne sono lieto. I soli che hanno disapprovato Obama sono Al Qaeda e i coloni israeliani. E devo ammettere di sentirmi alquanto imbarazzato da questo binomio».

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- valerio gualerzi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 34 - Cronaca Le due superpotenze si sono convinte che la sfida delle fonti rinnovabili è decisiva. Non per ragioni etiche. Ma perché sanno che l´industria verde può essere la via per uscire dalla recessione Nella Giornata mondiale dell´ambiente vi spieghiamo qual è la vera posta in gioco I cinesi puntano sull´auto elettrica. Obama non vuole rassegnarsi al dominio asiatico Nel 2008 i capitali privati investiti nel "green business" hanno superato quelli pubblici Pechino, che parte in ritardo, ha già stanziato 220 miliardi di dollari. L´America la metà L´Unione europea adesso arranca nonostante sia stata a lungo un modello di virtù VALERIO GUALERZI Per molti ambientalisti è come se Erode promettesse di essere un buon maestro d´asilo, ma si tratta pur sempre di un segnale che non può essere ignorato. Se Wal Mart vuole fare della sostenibilità il faro del suo business significa che qualcosa sta davvero cambiando. Anche perché questa volta non si tratta di generici impegni a dare un tocco di «verde» ai suoi oltre seimila supermercati sparsi per il mondo, ma di qualcosa di ben più corposo. Qualche settimana fa, parlando a una convention del gruppo, il neopresidente Mike Duke ha messo in guardia tutti i dipendenti di Wal Mart collegati via web su cosa si aspetta per il futuro. «Non importa che mansioni abbiate - ha detto - la sostenibilità rappresenta un´opportunità per mostrare le vostra capacità di leadership, vi accorgerete che chi farà carriera con noi è chi dimostra il suo impegno nella sostenibilità». Duke non ha specificato come verrà valutata la devozione dei dipendenti a rendere la maggiore corporation al mondo più efficiente e ambientalista, ma in molti pensano che si potrebbero legare gli incentivi di carriera non più (o non solo) alla vecchia «produttività», ma alla nuova «sostenibilità». I contestatissimi bonus per i dirigenti potrebbero insomma essere calcolati sulla base dei risultati nel risparmio energetico e nel taglio delle emissioni di gas serra, come ha già annunciato di voler fare la National Grid, utility internazionale che opera nella fornitura di energia in Gran Bretagna e Stati Uniti. L´azienda ha lanciato una politica di retribuzioni dei dirigenti basata sulle emissioni con l´obiettivo di ridurre l´anidride carbonica prodotta del 45% entro il 2020. Un meccanismo di incentivazione alternativo che una delle maggiori società internazionali di consulenza ambientale, la Wsp Environmental, suggerisce ai suoi clienti di applicare non solo ai dirigenti, ma anche agli impiegati. Per farlo la Wsp ha preparato uno schema che prevede l´assegnazione a tutti i dipendenti di un «monte CO2» annuale di 5,5 tonnellate. Ogni loro comportamento dovrà essere improntato quindi al risparmio energetico per evitare di non sforare a fine anno la quota in dotazione. In ballo ci sono 100 sterline di premio o di penalità a seconda dei risultati ottenuti. Ma ci sono anche livelli molto più prosaici di incentivazione aziendale alla difesa del clima. «Molte imprese - raccontava il Guardian - hanno sperimentato un ampio campionario di premi per i dipendenti che risparmiano energia spegnendo i pc prima di andare via, compresi dei buoni acquisti e un croissant omaggio al giorno».

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l'azienda premia chi non inquina - (segue dalla copertina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 35 - Cronaca Il caso Da Wal Mart alle piccole imprese, boom di incentivi a manager e dipendenti virtuosi L´azienda premia chi non inquina (SEGUE DALLA COPERTINA) federico rampini E almeno in un settore l´America si piazza in testa in questo duello: negli ultimi 12 mesi ha installato 8.300 megawatt di impianti eolici, un record storico, mentre la Cina arriva seconda con 6.300 megawatt di energia prodotta dal vento. Entro la fine del 2009 però il colosso asiatico sarà il primo esportatore mondiale di turbine eoliche. Arranca un po´ indietro l´Unione europea, che pure fu a lungo un modello di virtù per avere sottoscritto quasi da sola gli impegni di Kyoto sulla riduzione delle emissioni carboniche. Ma anche sul Vecchio continente spira un vento di ottimismo. La battaglia ambientale non è più percepita come una zavorra, un sovrappiù di costi, e un ostacolo allo sviluppo. Al contrario la Commissione di Bruxelles annuncia che «i benefici delle energie rinnovabili in termini di sicurezza e di lotta all´inquinamento vanno a braccetto con consistenti vantaggi economici». Non sono affermazioni volontaristiche. Già oggi il solo business delle energie rinnovabili occupa 1,4 milioni di europei, per lo più ricercatori, tecnici, manodopera altamente qualificata. «Altri 410.000 posti di lavoro aggiuntivi verranno creati - spiega la Commissione - se l´Unione europea raggiunge l´obiettivo del 20% di energie rinnovabili sul totale entro il 2020». Più dei proclami politici, più delle esortazioni lanciate da istituzioni internazionali, l´ottimismo è sorretto dalla nuova attenzione che il mondo del business rivolge all´ambiente. Un sorpasso significativo è avvenuto nel corso del 2008, lo annuncia ora lo United Nations Environmental Program. Per la prima volta nella storia, l´anno scorso i capitali privati globalmente investiti nelle fonti rinnovabili (140 miliardi di dollari) hanno superato quelli investiti negli idrocarburi e altre energie fossili (110 miliardi). Il contributo decisivo a questo sorpasso lo hanno dato le nazioni emergenti. Guidate da Cina e Brasile, hanno aumentato del 27% i loro investimenti in energie pulite. Certo i problemi da risolvere restano immani. La Cina si è risvegliata solo dopo che il suo modello di sviluppo energivoro ha seminato distruzione. Oggi sui 600 milioni di cinesi che abitano in zone urbane, solo l´1% respira un´aria che sarebbe considerata "non tossica" in base agli standard europei. E la recessione può esercitare un pericoloso effetto anestetizzante. Grazie al crollo della produzione industriale, ai fallimenti, alle chiusure di fabbriche, il 2008 ha visto per la prima volta una riduzione parallela delle emissioni di Co2 sia in Cina che in America. Questo è un effetto tipicamente temporaneo, non deriva da cambiamenti strutturali. Guai se lo choc recessivo crea l´illusione che si possa abbassare la guardia. La decrescita può far male all´ambiente se inaridisce i finanziamenti nella ricerca. Il più grande inquinatore del pianeta sembra deciso a fare sul serio. L´ultimo rapporto del Climate Group sulla Cina è intitolato "La Rivoluzione Pulita". Negli ultimi mesi Pechino ha già investito 12 miliardi di dollari in energie rinnovabili: è seconda solo alla Germania. La Repubblica Popolare pianifica di raddoppiare il peso delle energie pulite portandole al 15% del totale entro il 2020. è un obiettivo ambizioso vista la situazione di partenza: oggi l´80% della corrente in Cina è generata da centrali termoelettriche a carbone. Anche sul carbone, la materia prima più inquinante in termini di Co2, c´è uno spiraglio. L´Agenzia Internazionale dell´Energia spiega che «le scelte cinesi saranno la chiave per un uso meno inquinante del carbone, la sfida in assoluto più urgente». Secondo l´Aie la Repubblica Popolare può diventare «leader nel business del carbone pulito, dove sta sviluppando innovazioni tecnologiche uniche, che altri paesi dovrebbero adottare». Un segnale della nuova attenzione che si respira su questi temi: dopo averlo ignorato per anni, il governo cinese ha accolto a braccia aperte Al Gore. Il Premio Nobel è stato finalmente autorizzato a organizzare un importante convegno a Pechino, sul cambiamento climatico, con il contributo parallelo dell´Accademia delle Scienze e dell´Asia Society di Orville Schell (un think tank di New York che in passato non ha lesinato le critiche alla politica cinese). Il disgelo è avvenuto con la benedizione del mondo industriale: nella recessione globale, il business verde è uno dei pochi motori ancora trainanti. In questo caso l´economia di mercato aiuta l´ambiente, perché è pilotata da una guida politica. Da Washington a Pechino, il ruolo dello Stato è cruciale nel mandare impulsi al settore privato, costruendo la nuova cornice di incentivi e disincentivi entro cui si muove il mercato. La logica del profitto, piegata a fini virtuosi, è all´opera in un settore che a lungo è stato l´imputato numero uno per l´inquinamento atmosferico: l´automobile. Anche in questo caso la Cina è un laboratorio interessante. Pechino punta a battere tutti sul traguardo dell´auto elettrica, "saltando" una generazione nel percorso di sviluppo della sua industria automobilistica. Il gruppo Byd di Shenzhen, partito da una posizione di forza come fornitore mondiale di batterie per telefonini, si è diversificato nelle batterie per auto e sviluppa un modello a motore interamente elettrico. I capitali privati ci credono, al punto che l´operazione coinvolge il nome più illustre della finanza americana. Nel settembre 2008 il gruppo Berkshire Hathaway che fa capo a Warren Buffett (detto il "saggio di Omaha", il secondo uomo più ricco del pianeta) ha acquistato una quota del 10% nel capitale della Byd, scommettendo che la Cina sarà tra i vincitori nella corsa. Il primo modello di berlina quattroporte ad alimentazione solo elettrica della Byd sarà in vendita in America nel 2011. Barack Obama non vuole rassegnarsi al dominio asiatico nell´auto pulita. Annunciando la bancarotta della General Motors, che deve sfociare nel parto di una casa più snella e competitiva, il presidente ha ribadito che tra i compiti del nuovo management c´è il rinnovamento della gamma per ridurre i consumi energetici. Gli effetti si sentiranno a cascata perché l´industria automobilistica è al centro di una vasta ragnatela: l´indotto è l´universo di aziende che forniscono componenti, si stima che raggiunga fino a due milioni di persone negli Stati Uniti. Come dimostra il caso delle aziende giapponesi, sudcoreane e cinesi che producono batterie al litio per auto elettriche o ibride, attorno alla domanda di un´auto pulita si genera un intera attività industriale nuova. Inaugurando una fase di interventismo statale che non ha precedenti dai tempi di Franklin Roosevelt, Obama ha chiarito che ambiente e profitto devono andare d´accordo. è questa la cifra distintiva della sua politica industriale. Il sociologo inglese Anthony Giddens è convinto che sia la strada giusta per superare le resistenze del passato: «Obama riesce a trasformare l´ambientalismo in un messaggio positivo. Rende evidente il nesso tra energie alternative, sicurezza, e crescita economica. è capace di ispirare una vera svolta, e questa può contagiare anche l´Europa».

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veltroni, appello per il pd "fermare l'italia violenta" - goffredo de marchis (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 11 - Interni Colpa della destra L´ex leader interviene su Facebook Veltroni, appello per il Pd "Fermare l´Italia violenta" Il partito teme l´astensione e spera nel 27% La destra sta seminando violenza reale, mai così diffusa. Per questo nostro sfortunato paese il Pd è la principale speranza Allarme anche per le amministrative: il centrosinistra confermerebbe solo 15 province L´obiettivo principale è contenere la forbice rispetto al centrodestra GOFFREDO DE MARCHIS ROMA - Un nuovo appello a non dimenticare il voto di domani e dopodomani e a dare la preferenza al Partito democratico. L´ex segretario Walter Veltroni deposita un post su Facebook per denunciare l´Italia violenta che «la destra sta edificando». «Violenza reale, mai così diffusa», precisa. La principale «speranza» per arginare questo pericolo è il Pd, l´unica soluzione per girare pagina «è il riformismo che mostra il suo volto nuovo nel disegno di Barack Obama». Quello di Veltroni è un "grido" che si somma ai richiami di Dario Franceschini e Romano Prodi, un nuovo invito agli elettori democratici che solo un anno fa consegnavano il 33,2 per cento al nuovo partito del centrosinistra. Oggi il Pd combatte per ripartire anche da esiti inferiori. In questi giorni Franceschini e i vertici democratici, nelle pieghe della campagna elettorale, compulsano sondaggi dell´ultima ora, quelli che non si possono più rendere pubblici. Ieri mattina l´ultimo monitoraggio. Sul tavolo della segreteria le ricerche di più di un istituto, con un range che va dal 25 per cento a un insperato 28,5. Quest´ultimo dato sarebbe cinque punti sotto il dato delle politiche di un anno fa, ma meno di tre punti dal traguardo delle scorse Europee quando Ds e Margherita si presentarono sotto il simbolo prodiano di Uniti per l´Ulivo (31,1). Una mezza impresa, viste tutte le difficoltà di questi mesi. E nel quartier generale si è diffuso un clima di maggior buonumore. A Largo del Nazareno infatti è stata fissata la vera soglia minima di agibilità politica, quella che dovrebbe portare al congresso di ottobre senza troppi sconquassi. L´obiettivo è il 27 per cento. Così, è la speranza, si potrebbe contenere la forbice rispetto al Pdl, se la forza berlusconiana si fermasse al 38. Sono 11 punti di distacco, ovvero un sacco di voti, ma siamo lontani dal fantasma doppiaggio temuto nel periodo di massima popolarità del Cavaliere quando si realizzò l´accoppiata terremoto dell´Abruzzo-25 aprile. Le variabili sono legate anche all´astensionismo. Al Pd hanno potuto esaminare, attraverso un lavoro di intelligence, le previsioni degli esperti berlusconiani sull´affluenza. I sondaggisti del premier non escludono affatto un crollo verticale dei votanti. Le urne potrebbero essere disertate addirittura dal 40 per cento del corpo elettorale, nonostante l´election day coinvolga anche le amministrative. In altri Paesi della Ue l´astensione ha questi contorni già da molti anni. L´ipotesi peggiore danneggerebbe il Pd (in bilico tra il 25 e il 27), il 65 per cento di affluenza invece gli regalerebbe un punto e mezzo, il 70 (vicino al precedente dato del 2004) riporterebbe i democratici un poco più indietro. Calcoli difficilissimi (soprattutto quelli sull´affluenza) ma che vengono vagliati con grande attenzione per capire cosa succederà nel centrosinistra da lunedì in poi. Anche le amministrative saranno una cartina di tornasole. Si vota in 30 capoluoghi e per 62 amministrazione provinciali (tre di nuova costituzione: Monza, Barletta, Fermo). Nel 2004 il centrosinistra fece quasi l´en plein: 50 a 9. Approfittando anche delle divisioni tra Lega e Casa delle libertà. Oggi però Carroccio e Pdl sono uniti dappertutto e i risultati delle politiche (non i sondaggi) sembrano molto sfavorevoli al Pd e ai suoi alleati. Con i dati del 2008, il centrosinistra confermerebbe solo 15 province. Ma non mancano le variabili: il doppio turno e la forza di alcune buone amministrazioni e di candidati migliori che possono compensare il calo dei partiti. Il Pd anche in questo caso ha fissato una soglia minima di soddisfazione: la conferma, dopo i ballottaggi, di 27-28 giunte provinciali. «Con questi numeri - dicono a Largo del Nazareno - significherebbe comunque poter ricominciare dal territorio». Non è sfuggita ai dirigenti democratici l´intervista di Giulio Tremonti al Messaggero in cui si vaticina il futuro della sinistra: «Diventerà un partito appenninico», con un riferimento chiaro alle storiche regioni rosse. L´obiettivo del Pd è tenere al Nord, giocarsi le carte al secondo turno, sfruttare una classe politica locale in alcune realtà più apprezzata anche se il cuore degli elettori batte da un´altra parte.

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il riscaldamento globale rimane la vera emergenza. ma per la prima volta dopo anni bui, forse si può essere ottimisti. ecco perché - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 33 - R2 Il riscaldamento globale rimane la vera emergenza. Ma per la prima volta dopo anni bui, forse si può essere ottimisti. Ecco perché FEDERICO RAMPINI «La Cina si candida a diventare il Dragone Verde, vuole vincere la corsa mondiale verso un´economia low-carbon, a bassa emissione di Co2». Non è propaganda del regime di Pechino. L´affermazione, fatta alla vigilia della Giornata mondiale dell´Ambiente dell´Onu che si celebra oggi, è di Steve Howard che dirige il Climate Group, importante ong ambientalista americana. Howard indica la chiave di questa conversione: «I dirigenti cinesi si sono convinti che questa è la nuova ricetta del profitto». Via via che si svelano i contenuti della maximanovra di investimenti pubblici varati dalla Repubblica Popolare per rilanciare la crescita, ecco che cosa si scopre: su 586 miliardi di dollari di spesa pubblica aggiuntiva, ben 220 miliardi (il 40%) va a finanziare l´industria verde, dal risparmio energetico alle fonti rinnovabili, dall´auto elettrica al motore ibrido. L´Amministrazione Obama rincorre la lepre cinese: sui 787 miliardi di dollari di manovra di rilancio della crescita, Washington ne stanzia una quota inferiore ma comunque importante (112 miliardi) per l´ambiente. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN ARTICOLO DI VALERIO GUALERZI SEGUE A PAGINA 34

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Ecco perché Stati Uniti e Cina sono in corsa per pulire il mondo (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

"LA CINA si candida a diventare il Dragone Verde, vuole vincere la corsa mondiale verso un'economia low-carbon, a bassa emissione di Co2". Non è propaganda del regime di Pechino. L'affermazione, fatta alla vigilia della Giornata mondiale dell'Ambiente dell'Onu che si celebra oggi, è di Steve Howard che dirige il Climate Group, importante ong ambientalista americana. Howard indica la chiave di questa conversione: "I dirigenti cinesi si sono convinti che questa è la nuova ricetta del profitto". Via via che si svelano i contenuti della maximanovra di investimenti pubblici varati dalla Repubblica Popolare per rilanciare la crescita, ecco che cosa si scopre: su 586 miliardi di dollari di spesa pubblica aggiuntiva, ben 220 miliardi (il 40%) va a finanziare l'industria verde, dal risparmio energetico alle fonti rinnovabili, dall'auto elettrica al motore ibrido. L'Amministrazione Obama rincorre la lepre cinese: sui 787 miliardi di dollari di manovra di rilancio della crescita, Washington ne stanzia una quota inferiore ma comunque importante (112 miliardi) per l'ambiente. E almeno in un settore l'America si piazza in testa in questo duello: negli ultimi 12 mesi ha installato 8.300 megawatt di impianti eolici, un record storico, mentre la Cina arriva seconda con 6.300 megawatt di energia prodotta dal vento. Entro la fine del 2009 però il colosso asiatico sarà il primo esportatore mondiale di turbine eoliche. Arranca un po' indietro l'Unione europea, che pure fu a lungo un modello di virtù per avere sottoscritto quasi da sola gli impegni di Kyoto sulla riduzione delle emissioni carboniche. Ma anche sul Vecchio continente spira un vento di ottimismo. La battaglia ambientale non è più percepita come una zavorra, un sovrappiù di costi, e un ostacolo allo sviluppo. Al contrario la Commissione di Bruxelles annuncia che "i benefici delle energie rinnovabili in termini di sicurezza e di lotta all'inquinamento vanno a braccetto con consistenti vantaggi economici". Non sono affermazioni volontaristiche. Già oggi il solo business delle energie rinnovabili occupa 1,4 milioni di europei, per lo più ricercatori, tecnici, manodopera altamente qualificata. "Altri 410.000 posti di lavoro aggiuntivi verranno creati - spiega la Commissione - se l'Unione europea raggiunge l'obiettivo del 20% di energie rinnovabili sul totale entro il 2020". OAS_RICH('Middle'); Più dei proclami politici, più delle esortazioni lanciate da istituzioni internazionali, l'ottimismo è sorretto dalla nuova attenzione che il mondo del business rivolge all'ambiente. Un sorpasso significativo è avvenuto nel corso del 2008, lo annuncia ora lo United Nations Environmental Program. Per la prima volta nella storia, l'anno scorso i capitali privati globalmente investiti nelle fonti rinnovabili (140 miliardi di dollari) hanno superato quelli investiti negli idrocarburi e altre energie fossili (110 miliardi). Il contributo decisivo a questo sorpasso lo hanno dato le nazioni emergenti. Guidate da Cina e Brasile, hanno aumentato del 27% i loro investimenti in energie pulite. Certo i problemi da risolvere restano immani. La Cina si è risvegliata solo dopo che il suo modello di sviluppo energivoro ha seminato distruzione. Oggi sui 600 milioni di cinesi che abitano in zone urbane, solo l'1% respira un'aria che sarebbe considerata "non tossica" in base agli standard europei. E la recessione può esercitare un pericoloso effetto anestetizzante. Grazie al crollo della produzione industriale, ai fallimenti, alle chiusure di fabbriche, il 2008 ha visto per la prima volta una riduzione parallela delle emissioni di Co2 sia in Cina che in America. Questo è un effetto tipicamente temporaneo, non deriva da cambiamenti strutturali. Guai se lo choc recessivo crea l'illusione che si possa abbassare la guardia. La decrescita può far male all'ambiente se inaridisce i finanziamenti nella ricerca. Il più grande inquinatore del pianeta sembra deciso a fare sul serio. L'ultimo rapporto del Climate Group sulla Cina è intitolato "La Rivoluzione Pulita". Negli ultimi mesi Pechino ha già investito 12 miliardi di dollari in energie rinnovabili: è seconda solo alla Germania. La Repubblica Popolare pianifica di raddoppiare il peso delle energie pulite portandole al 15% del totale entro il 2020. È un obiettivo ambizioso vista la situazione di partenza: oggi l'80% della corrente in Cina è generata da centrali termoelettriche a carbone. Anche sul carbone, la materia prima più inquinante in termini di Co2, c'è uno spiraglio. L'Agenzia Internazionale dell'Energia spiega che "le scelte cinesi saranno la chiave per un uso meno inquinante del carbone, la sfida in assoluto più urgente". Secondo l'Aie la Repubblica Popolare può diventare "leader nel business del carbone pulito, dove sta sviluppando innovazioni tecnologiche uniche, che altri paesi dovrebbero adottare". Un segnale della nuova attenzione che si respira su questi temi: dopo averlo ignorato per anni, il governo cinese ha accolto a braccia aperte Al Gore. Il Premio Nobel è stato finalmente autorizzato a organizzare un importante convegno a Pechino, sul cambiamento climatico, con il contributo parallelo dell'Accademia delle Scienze e dell'Asia Society di Orville Schell (un think tank di New York che in passato non ha lesinato le critiche alla politica cinese). Il disgelo è avvenuto con la benedizione del mondo industriale: nella recessione globale, il business verde è uno dei pochi motori ancora trainanti. In questo caso l'economia di mercato aiuta l'ambiente, perché è pilotata da una guida politica. Da Washington a Pechino, il ruolo dello Stato è cruciale nel mandare impulsi al settore privato, costruendo la nuova cornice di incentivi e disincentivi entro cui si muove il mercato. La logica del profitto, piegata a fini virtuosi, è all'opera in un settore che a lungo è stato l'imputato numero uno per l'inquinamento atmosferico: l'automobile. Anche in questo caso la Cina è un laboratorio interessante. Pechino punta a battere tutti sul traguardo dell'auto elettrica, "saltando" una generazione nel percorso di sviluppo della sua industria automobilistica. Il gruppo Byd di Shenzhen, partito da una posizione di forza come fornitore mondiale di batterie per telefonini, si è diversificato nelle batterie per auto e sviluppa un modello a motore interamente elettrico. I capitali privati ci credono, al punto che l'operazione coinvolge il nome più illustre della finanza americana. Nel settembre 2008 il gruppo Berkshire Hathaway che fa capo a Warren Buffett (detto il "saggio di Omaha", il secondo uomo più ricco del pianeta) ha acquistato una quota del 10% nel capitale della Byd, scommettendo che la Cina sarà tra i vincitori nella corsa. Il primo modello di berlina quattroporte ad alimentazione solo elettrica della Byd sarà in vendita in America nel 2011. Barack Obama non vuole rassegnarsi al dominio asiatico nell'auto pulita. Annunciando la bancarotta della General Motors, che deve sfociare nel parto di una casa più snella e competitiva, il presidente ha ribadito che tra i compiti del nuovo management c'è il rinnovamento della gamma per ridurre i consumi energetici. Gli effetti si sentiranno a cascata perché l'industria automobilistica è al centro di una vasta ragnatela: l'indotto è l'universo di aziende che forniscono componenti, si stima che raggiunga fino a due milioni di persone negli Stati Uniti. Come dimostra il caso delle aziende giapponesi, sudcoreane e cinesi che producono batterie al litio per auto elettriche o ibride, attorno alla domanda di un'auto pulita si genera un intera attività industriale nuova. Inaugurando una fase di interventismo statale che non ha precedenti dai tempi di Franklin Roosevelt, Obama ha chiarito che ambiente e profitto devono andare d'accordo. È questa la cifra distintiva della sua politica industriale. Il sociologo inglese Anthony Giddens è convinto che sia la strada giusta per superare le resistenze del passato: "Obama riesce a trasformare l'ambientalismo in un messaggio positivo. Rende evidente il nesso tra energie alternative, sicurezza, e crescita economica. È capace di ispirare una vera svolta, e questa può contagiare anche l'Europa". (5 giugno 2009

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 05/06/2009 - pag: 1 Il presidente assicura che il legame con Israele è indissolubile. «La situazione dei palestinesi resta intollerabile» «Usa e Islam contro gli estremismi» Obama dal Cairo: basta sospetti, adesso un nuovo inizio «Un nuovo inizio» per spezzare il circolo vizioso di «sospetti e contrasti ». E' l'offerta del presidente degli Stati Uniti al mondo islamico nel discorso del Cairo: «Combattiamo insieme l'estremismo violento» Due Stati. Affrontando la questione palestinese, Barack Obama ha ribadito che due Stati per due popoli è «l'unica soluzione»: la situazione dei palestinesi è «intollerabile », ha sottolineato. Rapporto incrollabile. Obama ha assicurato che tra Israele e Stati Uniti il rapporto resta «incrollabile ». Quanto all'Iran, «dovrebbe avere diritto all'energia nucleare da usare per scopi pacifici. Visita Il presidente Obama con Hillary Clinton (al centro) nella moschea di Hassan ALLE PAGINE 2E3 Battistini e Valentino

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Obama per un nuovo inizio (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 05/06/2009 - pag: 2 Obama per un nuovo inizio «Islam parte dell'America» «Ho il dovere di combattere l'estremismo violento» DAL NOSTRO INVIATO IL CAIRO Un discorso per la modernità. Meticcio e complesso. Come l'uomo che l'ha pronunciato. La ridefinizione politica e narrativa di una nuova America. Che rivendica la sua leadership e i valori. Ma trova nella propria biografia collettiva e in quella personale del giovane presidente le ragioni per rifiutare il conflitto di civiltà, cercando invece «un nuovo inizio» nei travagliati rapporti con l'universo musulmano. Dove i grandi principi comuni di «giustizia e progresso » prendano il posto delle differenze. «La tolleranza e la dignità di tutti gli esseri umani » esorcizzino l'esclusione, il sospetto, la discordia. As-Salamu alaykum, la pace sia con voi, dice Barack Obama salutando i 4 mila studenti e dignitari venuti ad ascoltarlo e applaudirlo nell'Aula Magna dell'Università del Cairo. Mesi di preparazione e maniacale limatura, per offrire al mondo l'audacia della speranza, declinando verso l'Islam il teorema col quale ha conquistato gli americani. Umilmente consapevole che la forza della parola, pur liberata con la solita maestria oratoria e l'aria ogni tanto professorale, «non possa da sola sradicare anni di sfiducia». Ma convinto che «occorra dire apertamente le cose che abbiamo in cuore», che lo sforzo reciproco di ascoltare, imparare, capire, rispettarsi e cercare un terreno comune, non sia più rinviabile. «Sii cosciente di Dio e dì sempre la verità», è stato il motto scelto da >Obama, nella prima delle tre citazioni dal Corano che ne hanno scandito il discorso. Una costruzione di lemmi rovesciati, per cambiare la percezione dell'America nel mondo che crede al Profeta: la sua storia di cristiano con le radici islamiche e la realtà di un Paese, dove anche i soldati, gli eroi degli stadi, i premi Nobel e le icone come il grande Mohammed Alì sanno conciliare la Costituzione di Franklin e Jefferson con le sure. Sette milioni di musulmanoamericani e 1200 moschee, non ci possono essere dubbi: «L'Islam è parte dell'America ». Con un doppio corollario: «Così come considero mia responsabilità da presidente combatterne gli stereotipi ovunque essi appaiono, lo stesso principio deve applicarsi alle percezioni islamiche dell'America». Che non è prototipo dell'impero egoista, ma «è nata dalla rivoluzione contro un impero ed è stata una grande forza di progresso». E pluribus unum. Una premessa ambiziosa e originale, che è servita a Obama per addentare senza troppi complimenti i frutti della discordia. L'estremismo violento, in primo luogo, che il dovere di «proteggere il popolo americano» gl'impone di combattere. Una battaglia dove però «l'Islam non è parte del problema», ma alleato nella promozione della pace. Parole chiare e forti ha riservato al nodo dei nodi, il conflitto tra Israele e Palestina. Nessun piano. Ma la conferma che la stella polare siano i due Stati, in pace l'uno fianco all'altro. Il legame con lo Stato ebraico è «indistruttibile ». Ma non è più carta bianca. Hamas deve fermare la violenza e riconoscere il diritto all'esistenza d'Israele, se vuol essere parte dell'equazione. L'Autorità palestinese deve saper governare al servizio del popolo. Ma la situazione dei palestinesi «non è tollerabile » e «l'America non volgerà le spalle alle loro legittime aspirazioni». Dall'alleato prediletto, Obama si aspetta la fine dell'espansione: «Gli Stati Uniti non riconoscono la legittimità dei continui insediamenti israeliani ». E poi l'Iran, le sue pericolose ambizioni nucleari. Pronti ad andare avanti, negoziando senza precondizioni. Impegnati a un mondo senza atomiche, ma convinti che «ogni nazione, incluso l'Iran, abbia il diritto di accedere al nucleare civile, se accetta le sue responsabilità» sotto le regole internazionali. Ancora, la democrazia, la libertà religiosa, i diritti delle donne. Riconoscendo i propri torti e attribuendo quelli degli altri, fossero pure gli anfitrioni egiziani. Un finale ispirato. Il dovere di lavorare «insieme per il mondo che vogliamo ». Ricordando ancora le scritture: Corano, Talmud e Bibbia. Dove pace e conoscenza sono verbo comune. AGiza Obama e la Sfinge (Ansa/Epa) In India Una famiglia musulmana (Ap/Das) In Iraq Dentro una casa, a Bagdad (Emmevi) In Somalia Tv all'aperto a Mogadiscio (Ap) Paolo Valentino

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Marocco primo alleato (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 05/06/2009 - pag: 2 Storia Marocco primo alleato Nel suo discorso al Cairo Barak Obama ha ricordato che è stato il Marocco il primo Paese al mondo a riconoscere gli Stati Uniti. Sotto il regno di Mohamed ben Abdullah (nel ritratto, 1757-1790) il Marocco aveva adottato una politica di apertura verso il resto del mondo ed è nel 1777 che riconosce l'indipendenza del nuovo Stato, un anno dopo la sua nascita e quando ancora non ha un «vero» presidente (il primo fu Washington, nel 1789). Nel 1786 i due Paesi firmano un accordo di amicizia e cooperazione tutt'ora in vigore. Nel 1787 hanno inizio le relazioni ufficiali con lo scambio di ambasciatori.

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Sponsor l'ateneo anti-Usa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 05/06/2009 - pag: 2 Paradossi Sponsor l'ateneo anti-Usa L'Università islamica di Al Azhar, la cui fondazione risale alla fine del primo millennio, e che ha co-sponsorizzato il discorso del presidente Obama, è indicata come il secondo ateneo d'Egitto e il decimo in Africa. Ospita anche la massima autorità teologica sunnita, il Grande Imam di Al Azhar. Dal pulpito della moschea annessa ad Al Azhar, tuttavia, in passato non sono mancati sermoni decisamente anti-americani o comunque anti-occidentali. Così come spesso gli imam si sono scagliati contro i «costumi promiscui» della stessa società egiziana.

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 05/06/2009 - pag: 3 L'intervista La scrittrice iraniana trasferitasi negli Stati Uniti «Dialogare va bene Ma facciamo luce sui diritti umani» Nafisi: «Lanciamo un messaggio agli oppressi» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK «Il discorso di Obama al Cairo mi ha delusa ». Parla Azar Nafisi, la 53enne scrittrice iraniana dal '97 residente negli Usa (dove insegna letteratura inglese alla Johns Hopkins di Washington), autrice del bestseller Leggere Lolita a Teheran, tradotto in ben 32 lingue che l'ha consacrata come una delle più capaci e promettenti scrittrici iraniane della sua generazione. Che cosa non le è piaciuto del discorso? «La sua vaghezza. Obama dice di voler riavviare il dialogo col mondo islamico, eppure non ha indicato alcuna strategia su come farlo. Nell' era Obama la politica estera Usa continua a essere tattica, e, come in passato, più focalizzata a capovolgere le scelte dei predecessori che non ad affrontare i problemi del momento. Dialogare è sempre una buona idea, non mi fraintenda. Ma le parole resteranno solo parole, se non seguite da piani concreti su come implementarle». La maggior parte dei media americani l'hanno definito un discorso «storico». «Penso che tra 20 anni sarà ricordato più per le sue omissioni, che non per i suoi traguardi. Un vero dialogo implica il diritto di criticare, anche se civilmente, l'interlocutore. Obama non l'ha fatto ». Cosa avrebbe dovuto criticare? «Avrebbe dovuto usare il linguaggio sfumato della diplomazia per lanciare agli oppressi l'inequivocabile messaggio che egli capisce e sostiene le loro lotte. Doveva puntare i riflettori sulle gravi e continue violazioni dei diritti umani in Paesi quali Iran, Arabia Saudita ed Egitto ». Però ha difeso il diritto all'eguaglianza delle donne. «Le donne che nel mondo islamico si battono contro la sharia si sono sentite abbandonate. Obama ha parlato del loro diritto ad indossare il velo, rispettando la tradizione. Ma tranne forse la Turchia, in quei Paesi nessuno vuole togliere alle donne il diritto di indossare il velo. Il problema è tutt'altro». Quale? «Che una donna veramente libera deve avere il diritto di scegliere. Girando in minigonna se vuole. Questo Obama non l'ha detto. E visto che il fulcro del suo discorso è stato il rispetto, come donna mi sarei sentita rispettata se avesse preso atto che anche io ho gli stessi identici diritti degli altri. Sarebbe stato bello, inoltre, se avesse ricordato nel suo discorso che le donne egiziane del secolo scorso erano tra le più emancipate e innovatrici del pianeta ». Perché non l'ha fatto? «Come il suo segretario di Stato Hillary Clinton ha già dimostrato in Cina, questa amministrazione è pronta a sacrificare i diritti umani sull'altare della Realpolitik. Se non fosse stato per i media, gli avvocati dei diritti umani e gli attivisti che rischiano la vita nelle dittature, Roxana Saberi e Haleh Esfandiari sarebbero ancora in carcere». È d'accordo con la proposta di dialogo Usa-Iran rilanciata da Obama anche ieri? «Se chiedi scusa all'Iran per aver contribuito alla caduta del governo democratico di Mossadeq negli Anni 50, non puoi allo stesso tempo sostenere il regime teocratico che oggi in Iran sta distruggendo il suo stesso popolo. Se l'America si autocritica per Abu Ghraib, deve anche poter criticare i Paesi che continuano ad infliggere le stesse torture ai propri cittadini ». Molti nel mondo arabo hanno apprezzato il nuovo tono, rispettoso dell'Islam, e le tante citazioni dal Corano. «Obama si è dimenticato però di citare i diritti delle minoranze che esistono tra mille difficoltà all'interno dell'Islam. Non una parola su cristiani, ebrei, atei, bahai e agnostici che da secoli fanno parte della storia di quei Paesi. In Iraq, ad esempio, il gruppo più antico è rappresentato dai cristiani». Deve ammettere, però, che il dialogo ora può ripartire... «Certo, estremismo genera estremismo e da oggi certi leader non si potranno più nascondere dietro i toni bellicosi di un Bush per giustificare il proprio odio. Resta il fatto che Obama si è rivolto soltanto a loro, snobbando la piazza islamica. Se io fossi un cittadino della Malaysia o della Turchia mi sentirei completamente escluso». Come sarà recepito il discorso dall'opinione pubblica di quei Paesi? «Come tanti media e politici occidentali, Obama si è rivolto al 'mondo arabo' come se fosse un'unica entità omogenea. È un grossolano errore che ferirà molte sensibilità perché le realtà storiche, culturali e politiche di Paesi quali Egitto, Iran e Arabia Saudita non potrebbero essere più diverse fra loro. Non dimentichiamoci poi che la maggioranza dei musulmani oggi non vive in Medio Oriente ma in Indonesia». \\ Se l'America si critica per Abu Ghraib, deve anche poter criticare i Paesi che torturano Alessandra Farkas

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Berlusconi: Milano sembra una città africana (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 05/06/2009 - pag: 5 Berlusconi: Milano sembra una città africana Ovazione dei duemila al comizio finale con Bossi. E sui voli di Stato: c'è un mandante, ma sarò assolto MILANO Se ne è accorto lui, «girando per le vie del centro »: «Camminando in città come Milano per il numero di persone non italiane sembra di essere non in una città italiana o europea, ma in una città africana». Silvio Berlusconi parla di immigrazione e conquista così l'ovazione del pubblico che lo ascolta al Palaghiaccio, due migliaia di persone che non riempiono lo spazio prenotato per la conclusione della campagna elettorale. Per ovviare a questa situazione «inaccettabile», è necessario «procedere con la politica dei respingimenti «che ci ha consentito di non far entrare più neppure un africano in Italia negli ultimi giorni». La giornata milanese di Silvio Berlusconi, pensata per chiamare al voto gli indecisi e per tirare la volata al candidato presidente della Provincia Guido Podestà, che deve vedersela con un osso duro come Filippo Penati, comincia prestissimo. Alle 7.40 è già al telefono per rispondere agli spettatori di Telelombardia. Da lì, alla domanda sui voli di Stato, affonda: «Non significa niente e l'indagine sarà prontamente archiviata». Prosegue: «C'è una norma della Presidenza del Consiglio che prevede che il premier che usa i voli di Stato per ragioni di sicurezza, possa portare con sé a costo zero persone che ritiene di dover portare. Questa vicenda sarà un altro boomerang per la sinistra». Poi aggiunge: «È evidente che si nasconde qualcuno dietro questi attacchi». Dopo la diretta agli studi di Mattino Cinque, il passaggio a Gold 7 e a Milan Channel, il premier accetta l'invito nella tana del lupo, dove per lupo si intende quel Rudolph Murdoch che usò gli schermi della sua Sky per attaccarlo dopo l'aumento dell'Iva, «che però non era stata una decisione del premier, ma l'inevitabile risposta ad una richiesta della Ue al Governo Prodi». Qui il clima è molto cordiale. Spiega ai giornalisti «che questa televisione l'avevo inventata io e si chiamava Telepiù », né si sottrae alle domande sulle vicende personali che hanno tenuto banco nell'ultimo mese. Sul capitolo Noemi, ribadisce che «tornerei a quella festa, ma non ho intenzione di dar legno a questa campagna di maldicenza contro l'Italia e contro di me». Sulle gaffe internazionali ogni punzecchiatura è inutile: «Non ne ho fatte mai», scandisce. La vicenda Merkel? «Con lei ho instaurato un rapporto di amicizia e confidenza». La frase a Buckingham Palace? «Dissi solo Mr Obama, I suppose. E la Regina non si è mai arrabbiata ». Obama abbronzato? «Era un complimento assoluto». Quella milanese è poi la giornata dell'abbraccio e del-- l'affetto ribadito a Bossi, che sale sul palco del Palaghiaccio inondato di applausi. Il premier gli sta addosso: «In questa campagna elettorale ci siamo sentiti al telefono ogni giorno, io lo ringrazio di essere qui e di essere alleato leale, lui e i suoi ministri». Altri abbracci e altre dichiarazioni di stima vanno all'europarlamentare Guido Podestà: «Lo conosco da 33 anni, ha lavorato nel mio gruppo per 18 e poi ha accettato di scendere in politica con me facendosi stimare tantissimo al Parlamento Europeo». Berlusconi è sicuro: «Vincerà al primo turno e finalmente verrà risolta questa distonia per cui a Milano le tre istituzioni lavoreranno insieme». Formigoni annuisce, Ignazio La Russa (che si taglierà barba e baffi se il Pdl non arriverà al 40 per cento) e Mariastella Gelmini applaudono, Podestà quasi si emoziona: «Mi impegno a fare e fare bene contro il partito del no». Inevitabile, per fare il pieno alle urne, il messaggio finale: «Agli amici della Lega dico che qua nessuno vi tradirà mai». Elisabetta Soglio

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Vendola: Rifondazione? È Restaurazione Togliamo il comunismo dalla naftalina (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 05/06/2009 - pag: 10 Intervista al leader di Sinistra e libertà Vendola: Rifondazione? È Restaurazione Togliamo il comunismo dalla naftalina ROMA «Ho girato tutte le regioni e quasi tutte le province...». Nichi Vendola, leader di 'Sinistra e libertà', racconti cosa ha visto. «Ho visto punti di crisi come le miniere del Sulcis e i cantieri di Monfalcone. E poi, operai dello zinco, dell'alluminio, tessili, elettronici, lavoratori Fiat». In questa campagna elettorale si è parlato molto di erotismo. «L'Italia è rimasta prigioniera di un reality che cela le crepe, il dolore sociale. Ho sotto gli occhi due diciassettenni». Chi sono? «La prima è Noemi. Che avrebbe avuto il diritto di non diventare una specie di eroe del nostro tempo. La seconda è Ester Ada, la nigeriana morta, incinta, sulla nave Pinar al largo di Lampedusa. Poi, ho in mente due capi di governo». Quali? «Uno è Obama che legge Corano, Bibbia e Talmud e cerca l'incontro di culture e civiltà. L'altro è Berlusconi impegnato a mobilitare le forze dell'ordine per requisire

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<È il momento di un nuovo inizio Come dice il Corano, Dio ci guarda>(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 05/06/2009 - pag: 14 IL DISCORSO DEL PRESIDENTE OBAMA AL CAIRO «È il momento di un nuovo inizio Come dice il Corano, Dio ci guarda» di BARACK OBAMA S ono onorato di trovarmi nell'antichissima città del Cairo, ospite di due illustri istituzioni. Da un millennio Al-Azhar rappresenta un faro di cultura islamica e da oltre un secolo l'università del Cairo è fonte e stimolo di progresso per l'intero Egitto. Insieme, queste due istituzioni incarnano un sodalizio tra sviluppo e tradizione. Vi ringrazio della vostra ospitalità, e dell'accoglienza del popolo egiziano. Sono inoltre fiero di portare con me la buona volontà del popolo americano e un saluto di pace da parte delle comunità musulmane del mio paese: Assalaamu alaykum! («Che la pace sia con voi», ndr). Il nostro incontro avviene in un periodo di tensione tra gli Stati Uniti e i musulmani del mondo intero, una tensione generata da forze storiche che travalicano l'attuale dibattito politico. Le relazioni tra Islam e Occidente si basano su secoli di coesistenza e cooperazione, ma anche su conflitti e guerre di religione. In tempi recenti, le tensioni sono state attizzate dal colonialismo, che negava diritti legittimi e opportunità a molti musulmani, e dalla Guerra fredda, nel corso della quale i Paesi a maggioranza musulmana troppo spesso sono stati trattati come semplici pedine, senza tener conto delle loro aspirazioni. Inoltre, i cambiamenti profondi avviati dalla modernizzazione e dalla globalizzazione hanno spinto non pochi musulmani a vedere nell'Occidente un nemico delle tradizioni dell'Islam. La violenza estremista ha sfruttato queste tensioni all'interno di piccole ma potenti minoranze musulmane. Gli attacchi dell'11 settembre del 2001, e le ripetute azioni sanguinose di questi estremisti contro la popolazione civile, hanno spinto una parte del mio paese a considerare l'Islam come inesorabilmente ostile non solo all'America e ai paesi occidentali, ma anche ai diritti umani. Di qui sono scaturite nuove paure e diffidenze. Fintanto che i nostri rapporti saranno fondati su divergenze, daremo mano libera a coloro che vogliono seminare odio, anziché pace. (...) Sono venuto qui da voi per gettare le basi di un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulmani di tutto il mondo; un nuovo rapporto fondato sul reciproco rispetto e su interessi comuni; e basato su questa verità, che l'America e l'Islam non si escludono a vicenda e non sono in competizione. Anzi, i nostri paesi hanno in comune molti principi, i principi della giustizia e del progresso, della tolleranza e della dignità di tutti gli esseri umani. Voglio affermare questa verità, pur sapendo che i cambiamenti non avvengono dall'oggi al domani(...) Occorre fare uno sforzo sostenuto per ascoltarci a vicenda; per imparare gli uni dagli altri; per rispettarci e cercare un terreno d'intesa. Come dice il Corano «Dio ti guarda, di' sempre la verità». Sono cristiano, ma mio padre veniva da una famiglia kenyota che vanta generazioni di musulmani. Da bambino, negli anni passati in Indonesia, ascoltavo l'invocazione dell'azaan all'alba e al tramonto. Da giovane, ho lavorato nelle comunità di Chicago dove molti avevano trovato pace e dignità nella fede islamica. Lo studio della storia mi ha insegnato quanto è grande il debito della nostra civiltà verso l'Islam (...) Ho conosciuto l'Islam in tre continenti prima di metter piede nella regione che ne è stata la culla. E l'esperienza mi dice che la collaborazione tra l'America e l'Islam dovrà essere impostata su quello che l'Islam è, non su quello che non è. Sarà mia responsabilità, quale presidente degli Stati Uniti, combattere gli stereotipi negativi dell'Islam dovunque essi si manifestino. Lo stesso principio, tuttavia, dovrà ispirare la percezione dell'America tra i musulmani. Proprio come i musulmani mal si attagliano a un vile stereotipo, l'America non incarna il vile stereotipo di un impero egoista (...) Ha fatto molto discutere il fatto che un afro-americano, di nome Barack Hussein Obama, sia stato eletto presidente. Ma la mia storia personale non è poi così eccezionale. Se il sogno americano non si è avverato per tutti in America, quella promessa esiste sempre per coloro che approdano ai nostri lidi, compresi i quasi sette milioni di musulmani americani che oggi vivono nel nostro Paese e possono vantare un reddito e un'istruzione superiori alla media. Inoltre, la libertà in America è inscindibile dalla libertà di praticare la propria fede religiosa. Per questo motivo c'è una moschea in ogni stato della nostra Unione, per un totale di oltre 1.200 luoghi di culto musulmani. E il governo americano è arrivato fino alla Corte Suprema per proteggere i diritti di donne e ragazze che vogliono portare l'hijab, condannando coloro che vorrebbero negarlo. Infine, è venuto il momento di spazzar via ogni dubbio: l'Islam fa parte dell'America. Animato da questo spirito, desidero perciò esprimermi con semplicità e chiarezza su specifiche questioni che dovremo finalmente affrontare insieme. Il primo argomento è la violenza estremista in tutte le sue forme. Ad Ankara ho ribadito che l'America non è e non sarà mai in guerra con l'Islam. Siamo pronti tuttavia a combattere senza mezzi termini gli estremisti che mettono a repentaglio la nostra sicurezza. Perché anche noi respingiamo quello che tutte le religioni respingono: l'uccisione di uomini, donne e bambini innocenti. E il mio primo dovere, come Presidente, è proteggere il popolo americano. La situazione in Afghanistan dimostra quali sono gli obiettivi dell'America e la necessità di lavorare assieme. Più di sette anni fa, gli Stati Uniti sono intervenuti contro Al Qaeda e i Talebani con un forte appoggio internazionale. Non siamo andati in Afghanistan per nostra scelta, ma per necessità. So bene che alcuni mettono in dubbio o addirittura giustificano gli eventi dell'11 settembre. Ma lo ripeto con fermezza: quel giorno Al Qaeda ha ucciso quasi tremilapersone. Nonvoglioesserefrainteso: non abbiamo alcuna intenzione di mantenere le nostre truppe in Afghanistan. Non vogliamo insediare basi militari. L'America vive nell'angoscia di veder cadere i suoi ragazzi. (...) Saremmo felicissimi di riportare a casa tutti i nostri soldati se fossimo certi che in Afghanistan e in Pakistan non ci sono più estremisti decisi a sterminare quanti più americani possibile. Ma le cose non stanno ancora così. È per questo motivo che siamo affiancati da una coalizione di 46 Paesi. E malgrado gli ingenti costi, l'impegno americano non verrà meno. Vorrei toccare anche il tema dell'Iraq. A differenza dell'Afghanistan, la guerra in Iraq è stata una scelta che ha scatenato fortissime polemiche nel mio Paese e in tutto il mondo. Sebbene sia convinto che, tutto sommato, gli iracheni non rimpiangono affatto la tirannia di Saddam Hussein, credo tuttavia che gli eventi in Iraq abbiano fatto capire all'America che per risolvere i nostri problemi occorre rivolgersi alla diplomazia e costruire il consenso internazionale laddove possibile (...) Ho esplicitamente proibito l'uso della tortura negli Stati Uniti e ordinato la chiusura della prigione di Guantánamo nei primi mesi del prossimo anno. (...) La seconda, importante causa di tensione da discutere è la situazione tra israeliani, palestinesi e il mondo arabo. I forti legami che uniscono l'America e Israele sono ben noti. È un nodo indissolubile, fondato su vincoli storici e culturali e sulla consapevolezza che l'aspirazione a una patria ebraica affonda le radici in eventi tragici e incontestabili. Il popolo ebraico è stato perseguitato per secoli in tutto il mondo e in Europa l'antisemitismo è sfociato in un Olocausto senza precedenti. Sei milioni di ebrei sono stati sterminati, più dell'intera popolazione di Israele ai nostri giorni. Negare questi fatti è un atto di viltà, di ignoranza e di odio. D'altro canto, è innegabile che il popolo palestinese cristiani e musulmani abbia sofferto a sua volta alla ricerca di una patria. Da più di sessant'anni non conosce la tutela di uno Stato. I palestinesi sono soggetti a umiliazioni quotidiane grandi e piccole che derivano dall'occupazione. Lo ribadisco con forza: la situazione del popolo palestinese è intollerabile. L'America non volterà le spalle davanti alle legittime aspirazioni dei palestinesi di vivere dignitosamente in uno Stato proprio. L'unica soluzione è quella di far convergere le aspirazioni di entrambi i popoli con la creazione di due Stati, in cui israeliani e palestinesi vivranno in pace e sicurezza.(...) La terza causa di tensione è il nostro comune interesse per i diritti e le responsabilità delle nazioni per quel che riguarda gli armamenti nucleari, che tante divergenze ha sollevato tra gli Stati Uniti e la Repubblica islamica dell'Iran. Tutti i Paesi - anche l'Iran - hanno il diritto di accedere all'energia nucleare a scopo pacifico, se accettano le proprie responsabilità sotto il trattato di Non proliferazione nucleare. Il quarto argomento che intendo affrontare riguarda la democrazia. Negli ultimi anni, non poche controversie hanno circondato il concetto di diffusione della democrazia, specie a proposito della guerra in Iraq. In questa sede pertanto vorrei ribadire che nessuna nazione può permettersi di imporre a un'altra un qualsivoglia sistema di governo. L'America è pronta ad ascoltare tutte le voci pacifiche e rispettose della legalità che vogliono farsi sentire nel mondo, anche se siamo in disaccordo. E noi accogliamo tutti i governi pacifici ed eletti dal popolo, purché siano rispettosi dei loro cittadini. Il quinto tema da affrontare insieme è la liberà di religione. La libertà di religione è un concetto fondamentale per garantire la convivenza pacifica dei popoli e dovremo fare molta attenzione nel tutelarla. Il sesto argomento riguarda i diritti delle donne. Respingo quanto si sostiene talvolta in Occidente, che la donna che decide di coprirsi il capo si consideri in un certo senso inferiore. Sono fermamente convinto, invece, che negare l'istruzione alle donne significa negar loro il diritto all'uguaglianza. Non è una coincidenza che i Paesi dove le donne godono di elevati livelli di istruzione hanno maggiori possibilità di sviluppo. (..) Questo è il mondo che vogliamo, ma potremo realizzarlo soltanto con l'impegno di tutti. Sta a noi decidere, ma solo se avremo il coraggio di impostare un nuovo inizio, tenendo a mente le Scritture. Dice il Corano: «Umanità, ti abbiamo creato maschio e femmina e moltiplicato in nazioni e tribù per farvi conoscere». Dice il Talmud: «La Torah intera ha lo scopo di promuovere la pace ». Dice la Bibbia: «Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio». I popoli del mondo sanno vivere assieme pacificamente. Sappiamo che è questa la volontà di Dio. E questo sarà il nostro compito sulla Terra. Grazie, e che la pace del Signore sia con voi. DOWNING/REUTERS traduzione di Rita Baldassarre

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Sì R 46,0 No R 54,0 (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Lettere al Corriere data: 05/06/2009 - pag: 51 SUL WEB Risposte alle 19 di ieri La tua opinione su corriere.it La domanda di oggi Respinta la richiesta di una donna che voleva avere un figlio dal marito in coma. Sentenza giusta? Sì R 46,0 No R 54,0 Avete trovato il discorso del presidente Obama convincente e utile per una svolta nei rapporti con l'Islam?

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Perché il mondo deve diventare (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Cultura data: 05/06/2009 - pag: 48 Antologia In un volume curato da Pino Buongiorno capi di Stato, scrittori, esperti spiegano il senso dei vertici dei Grandi Perché il mondo deve diventare «un'unica famiglia» di SERGIO BOCCONI D entro: saloni affrescati, foto di gruppo, cene di gala. Fuori: le barricate. I vari G8 e G20 sono percepiti così dall'opinione pubblica. E per colmare ciò che lui definisce il «pauroso distacco» tra ciò che avviene effettivamente «dentro» e l'idea che ne hanno i cittadini, il vicedirettore di Panorama Pino Buongiorno, dal Natale 2008 a oggi, ha fatto il giro del mondo: Stati Uniti, Cina, Pakistan, Afghanistan, Abu Dhabi, India, Messico. Obiettivo: chiedere contributi e interviste ai Grandi che partecipano ai vertici, agli scrittori che li vivono sì «alla finestra» ma contribuiscono a trasmetterne il senso a chi è lontano, agli esperti che spesso preparano le riunioni globali e ad alcuni imprenditori. Il risultato è Il mondo che verrà, volume di oltre 400 pagine pubblicato dall'Università Bocconi che esce in libreria lunedì, quando mancano poche settimane al G8 che si svolgerà in Italia ai primi di luglio, come ricorda nella prefazione-appello («Più uniti, più forti, più prosperi») il premier Silvio Berlusconi. Fra gli 11 capi di Stato, il primo a «consegnare » il manoscritto (nessuno ha rispettato gli spazi, tutti hanno scritto ben oltre le righe richieste) è stato Luiz Inácio da Silva, cioè Lula, trentanovesimo presidente del Brasile. Fra gli ultimi invece sono arrivati i contributi di Frank-Walter Steinmeier, vicecancelliere e ministro degli Esteri di Angela Merkel, e di Manmohan Singh, che prima di «spedire» ha voluto essere sicuro di aver fatto il bis alla guida del governo indiano. Ma la curiosità forse più significativa, e che dà il senso dell'entusiasmo che ha raccolto l'iniziativa, è la presenza di alcuni «raddoppi»: il presidente cinese Hu Jintao e il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan hanno contribuito con due interventi. Assente, e si nota, è invece la Francia. Nicolas Sarkozy non ha voluto partecipare e ha stoppato anche il suo ministro degli Esteri Bernard Kouchner perché il G8 è materia dell'Eliseo. Ma qual è il senso che si raccoglie da questa «antologia», che pubblica quasi tutti interventi inediti (fra i quali alcuni italiani come quello del ministro dell'Economia Giulio Tremonti) con poche ma attuali eccezioni, come il discorso al G20 di Londra di Barack Obama o quello del presidente della Fed, Ben Bernanke? In fondo è facile lasciarlo indicare dal premier indiano Singh, che cita la saggezza del suo Paese: Vasudhaiva Kutumbakam, «il mondo intero è un'unica famiglia». Facile perché è una frase che colpisce, ma soprattutto perché riunisce in sé il grande cambiamento che oggi la governance del mondo sta attraversando con il passaggio dal vecchio ordine fondato sul primato occidentale e soprattutto statunitense, a quello multilaterale, con nuove potenze mondiali e società diventate pluraliste e multiculturali. Un cambiamento che richiede un nuovo tipo di intervento: non più basato sullo scontro, ma sull'alleanza delle civiltà. L'«unica famiglia» è certo un auspicio. Ma forse anche una inevitabile necessità.

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L'incontro di civiltà (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

LE parole pronunciate ieri, al Cairo, dal presidente americano sono un balsamo. Lo sono per chi, seguendo da una vita, con passione, la tragedia mediorientale, le ha attese invano da un rappresentante della superpotenza: per chi le ha invocate spesso, tra critiche e incomprensioni, non esclusi gli insulti, ad ogni guerra o massacro, compiuto in uno dei due campi. Un anziano, molto anziano intellettuale, lacerato dal conflitto israelo-palestinese, essendo da un lato fedele alle sue origini ebraiche e dall'altro sensibile alle ingiustizie cui sono sottoposti i palestinesi, dopo il discorso di Barack Obama mi ha detto con slancio che "valeva la pena vivere abbastanza per ascoltarlo". Altri, a Gerusalemme, animati da sentimenti meno torturati, più schietti, radicali, hanno subito il discorso del Cairo come uno schiaffo. Hanno detto che Obama crede alle bugie arabe e non alla verità israeliana. Il governo, dando per scontate le divergenze con la Casa Bianca, ha apprezzato diplomaticamente il desiderio di pace, e ha aggiunto che però Israele tiene anzitutto alla propria sicurezza. In Palestina hanno esultato per ricadere poi nello scetticismo di sempre, nell'attesa di fatti concreti. Al di là delle contrastanti emozioni immediate, il discorso di Obama è una netta rottura col passato. Non solo politica. Anche culturale. Lo stile, il linguaggio è cambiato. Pur essendo in questa stagione più diffidente che ricettivo, il mondo musulmano non può non averlo avvertito. I fatti non dovrebbero tardare troppo a dare consistenza alle impressioni suscitate da Obama. Per riallacciarsi a qualcosa di simile bisogna ritornare all'immagine di Clinton, che, nei primi anni Novanta, sullo sfondo della Casa Bianca, assiste alla stretta di mano tra Rabin e Arafat. Ci fu poi molto sangue versato e tante delusioni. OAS_RICH('Middle'); Quello di Obama è comunque un disegno strategico più ampio. Più audace. Più ambizioso. Riguarda l'intero mondo musulmano, al quale il presidente, che cita Jefferson, si chiama Hussein e cita il Corano, offre un "nuovo inizio" per affrontare insieme l'estremismo violento e i richiami all'odio religioso. L'invito non si limita all'emisfero arabo; anche se il conflitto israelo-palestinese è ritenuto un nodo decisivo, da sciogliere se si vuole dar vita a un'altra epoca, rispetto a quella di Bush jr. Un texano che parlava di crociate e agiva come un crociato accendendo un odio senza precedenti nei confronti dell'America, e di riflesso dell'Occidente. Non si tratta di una rottura unicamente simbolica. È vero, Barack Obama non ha annunciato misure concrete. Questo non significa che le sue parole siano state soltanto una accorata ed elegante orazione propiziatrice. Non molto di più. È sbagliato giudicare il suo discorso un esercizio strappacuori, retorico, di cui è capace un oratore sperimentato come lui. Ci vuol altro per dissipare l'avvelenata, diffusa idea stando alla quale è in corso una inevitabile guerra di civiltà tra l'Islam e l'Occidente. Il discorso del Cairo non è certo bastato. Era tuttavia troppo impaziente chi si attendeva date e appuntamenti, scadenze e proposte; e si chiede adesso, non senza sufficienza, quando si passerà agli atti. È già un gesto esplicito, che equivale a un atto politico incisivo, l'avere detto, nella più importante capitale araba, che gli israeliani devono riconoscere anche ai palestinesi il diritto di esistere. Diritto ritenuto giusto per Israele. E che questo implica la creazione di uno Stato palestinese accanto allo Stato di Israele. E, ancora, che gli Stati Uniti non considerano legittime le continue installazioni di colonie israeliane in Palestina. Obama ha anche parlato delle "umiliazioni quotidiane - grandi e piccole - dovute all'occupazione". Non sono propositi nuovi. Obama li ha tenuti a quattrocchi al primo ministro Netanyahu, di recente in visita a Washington. Ripetuti davanti all'intero mondo musulmano in ascolto assumono tuttavia un diverso valore. Suonano come un fermo richiamo al governo di Gerusalemme. Un governo conservatore con una forte presenza di estrema destra. Il richiamo di Obama è senz'altro condiviso, o addirittura suggerito, dai suoi stretti collaboratori alla Casa Bianca. In particolare da Rahm Emanuel, capo gabinetto del presidente, e suo principale consigliere. E va ricordato che Emanuel ha servito nell'esercito israeliano, possiede un doppio passaporto, uno americano e uno israeliano, ed è notoriamente molto religioso, come il resto della sua famiglia. Egli non ispira certo idee anti israeliane al presidente. Ma considera evidentemente che la linea politica dell'attuale governo di Gerusalemme non porti il Paese sulla giusta strada, rifiutando tra l'altro l'idea di due Stati e l'impegno a non incrementare le colonie. Le parole in favore dei palestinesi sono state precedute da un'inequivocabile conferma dell'"indissolubile legame" che unisce Israele e gli Stati Uniti, da un ricordo dell'Olocausto e da una ferma condanna del negazionismo. E gli estremisti palestinesi, in particolare quelli di Hamas, sono stati invitati a riconoscere lo Stato ebraico. Obama è stato via via sferzante ma non imperiale. Fermo, ma senza l'arroganza del predecessore. Un discorso rivolto all'Islam nel suo insieme, a un miliardo e mezzo di uomini e donne dispersi ormai in tutti i continenti, è un esercizio che richiede un grande equilibrio: un'attenzione adeguata a un'ambizione che tende a riconciliare la superpotenza con quel mondo, dove è impigliata in almeno tre conflitti in corso o latenti: Afghanistan, Iraq, Pakistan. Con sullo sfondo crisi che vanno dal Libano alla Palestina. Senza contare l'Iran, candidato al nucleare. La strategia di Obama ha tra i suoi principali obiettivi proprio l'avvio di un dialogo con l'Iran. Questo non infastidisce soltanto l'Israele di Netanyahu. Il quale considera la minaccia nucleare di Teheran un problema prioritario rispetto a quello palestinese. I Paesi musulmani sunniti, quali l'Arabia Saudita e l'Egitto, non nascondono la loro preoccupazione per i progetti atomici iraniani, i quali accompagnano l'ascesa degli sciiti, avversari nella religione e nemici nella storia, diventati i principali alleati di movimenti integralisti come gli hezbollah libanesi e i palestinesi di Hamas. E con una forte influenza nell'Iraq a maggioranza sciita. Barack Obama è stato rassicurante. Ha spiegato che lo sperato dialogo con la Repubblica islamica non significa accettare che essa sia dotata di armi nucleari. Con Obama, gli Stati Uniti cercano di uscire il più possibile dalla mischia, per diventare arbitri autorevoli e credibili. (5 giugno 2009

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America, ultima speranza (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 05-06-2009)

Argomenti: Obama

Con Barack Hussein Obama è tornata nel mondo, e non soltanto nella galassia mussulmana alla quale ha parlato ieri, la "voglia di America" e la possibilità di proclamarsi senza ipocrisia "tutti americani". "We love you Obama" gridava qualche studente della più grande, e antica, università islamica del mondo, al-Azhar al Cairo. Anche scontando la coreografia organizzata, immaginare qualcuno che gridasse "we love you George" in Egitto sarebbe difficile. IL TESTO DEL DISCORSO E' di nuovo possibile, in questi giorni del 65esimo anniversario dello sbarco in Normandia, innamorarsi di una nazione, e di una cultura, che per gli ultimi otto anni di confusa, arrogante leadership, e poi nel collasso tossico della sua finanza, avevano messo a dura prova l'ammirazione per gli Stati Uniti e per i suoi valori. Questa è la vera novità, il "nuovo inizio", che il 44esimo presidente ha offerto ai nemici e ha indicato ai molti amici scoraggiati dalla deriva ideologica subita dall'America ricaduta nella tentazione di confondere la potenza militare con l'idealismo "in action". Proprio l'anniversario della più cruenta operazione militare condotta dagli Stati Uniti dai tempi della Guerra Civile, l'invasione dell'Europa nazificata, serve a ricordare che non è l'azione bellica la discriminante invalicabile fra il giusto e l'ingiusto. E' la qualità delle intenzioni che spingono all'azione ciò che fa la differenza fra la gratitudine e l'odio, fra gli ordinati, affettuosi cimiteri di guerra in Normandia e la macelleria di soldati americani dilaniati e dissacrati a migliaia nelle strade di Saigon, di Falluja o di Baghdad. OAS_RICH('Middle'); Senza il sentimento che la pur imperfetta democrazia americana resta davvero "l'ultima speranza", nessuna azione diplomatica od operazione militare può sciogliere i nodi di sangue come il conflitto fra arabi e israeliani, o spegnere i fuochi di un terrorismo che ha, nelle sue accuse di ipocrisia all'Occidente, il proprio alibi. Se l'America ritrova la credibilità perduta nella montagna di menzogne e di false prove costruita per giustificare la guerra in Iraq, ogni suo intervento torna a essere efficace. Quando, come ha finalmente ammesso due giorni or sono l'ex burattinaio dell'amministrazione Bush, Dick Cheney, si spacciano come vere responsabilità inesistenti da parte dell'Iraq di Saddam nell'11 settembre, ogni parola, ogni azione è incurabilmente inquinata. L'America non perse la guerra in Vietnam perché le proprie armate erano inferiori, per spirito e ancor di più per mezzi, alle forze del Nord Vietnam o alla guerriglia comunista nel Sud. La perse, ignominiosamente, perché la qualità delle sue intenzioni, la limpidezza del suo combattere, si consumarono in fretta. Ed è questa chiarezza che Obama sta cercando di ricostruire e che il resto del mondo ha detto di volere ritrovare, salutandolo come una novità e una speranza. "Finalmente siamo di nuovo orgogliosi di essere americani" ha scritto un ascoltatore alla CNN dopo il discorso "Obama torna a farci sentire intelligenti" In questo immenso serbatoio di buona volontà interna e internazionale il presidente sta cercando di pescare, quando rinnega la tortura, i campi di concentramento, le scorciatoie costituzionali, la negazione dei "valori" democratici nel nome degli espedienti ideologici. Se nella sua azione di governo i comportamenti sono assai meno rettilinei delle parole, l'opinione pubblica sa per esperienza personale, che fra il dire e il fare esiste sempre un oceano, ed è disposta a tollerare e perdonare molto, se crede alla sincerità delle intenzioni. E se pensa, come ripete Obama a israeliani e palestinesi, che sia nel suo e nel loro interesse tornare ad avere fiducia. Da questa sensazione che Obama riesce a trasmettere sgorga la nuova voglia di essere ancora "americani". Il senso che il mondo ha ancora bisogno dell'America migliore, come 65 anni or sono. (4 giugno 2009

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