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Report "Obama"   5 maggio 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

Il piano di Marchionne un miliardo di risparmi ( da "Stampa, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: quando scadrà anche il tempo che Barack Obama ha dato a General Motors per presentare il suo piano di ristrutturazione. Obama avrà un ruolo anche in questa partita. In settimana l'ad di Fiat volerà nuovamente in Usa per una prima visita alla casa di Detroit: occasione giusta per cercare sponsor a stelle e strisce anche per la partita tedesca.

Buffett contro gli stress test Non serve nuovo capitale ( da "Stampa, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il guru di Wall Street durante la campagna elettorale si era schierato con Obama e nei primi 100 giorni ha sostenuto le scelte dell'amministrazione, ma adesso, per la prima volta, cambia tono e accusa il ministro del Tesoro Timothy Geithner di aver ideato modelli che «sono sotto gli standard» previsti dalla comunità finanziaria per attestare la «forza dei creditori».

Il dazio stronca l'acqua italiana ( da "Stampa, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: grandi importatori di acqua italiane per sposarle ai piatti) e rivolta a Ronald Kirk, rappresentante di Obama nelle trattative commerciali. Nella lettera si chiede di sospendere il provvedimento perché «penalizzerebbe le vendite nei ristoranti, con conseguenti ricadute sui posti di lavoro». Naturalmente questo è solo uno dei danni dei super dazi.

Obama, guerra agli evasori fiscali ( da "Stampa, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ESTERO ED ELUDONO LE TASSE Obama, guerra agli evasori fiscali Il presidente mantiene una promessa elettorale e capovolge la politica di Bush Obiettivo: recuperare un gettito fiscale di almeno 210 miliardi di dollari in dieci anni [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Finisce l'era dei privilegi per le aziende americane che operano all'

I leader carismatici ti aspettano all'edicola Ho per Lei una sola breve domanda. Prim... ( da "Stampa, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dei media si sbracci a osannare Obama, ci dice in realtà qualcosa più sullo stato dell'informazione che sul Presidente. L'industria del giornalismo lotta per la sua sopravvivenza. Obama è l'unico vero prodotto che fa vendere giornali, settimanali e programmi tv. Non c'è sorpresa dunque nel vedere le centinaia di sezioni speciali, maratone tivù e numeri unici dedicate ai 100 giorni!

allarme ue per l'italia il pil crolla a meno 4,4% ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina BONANNI, PAGNI E PULEDDA ALLE PAGINE 4 E 26 Mentre Obama dichiara guerra al segreto bancario nell´area Ocse Allarme Ue per l´Italia il Pil crolla a meno 4,4%

se il marchio di fabbrica è uno stile inconfondibile - edmondo berselli ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: in cui il Logos è quello di Barack Obama, cioè il business «verde» e l´elogio della leggerezza. Perché può anche darsi che fra il gigantismo costruttivista e il futuro tecnologico post-crisi l´alternativa consista semplicemente nel brutale minimalismo indiano di Tata, privo di segno, con evidenti prospettive di sottoproletarizzazione dei consumi.

quando vince la bellezza - maurizio bono ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: effetto Obama? «Considero l´avvento di Obama come uno dei grandi miracoli della storia. Dimostra come l´educazione apra tutte le vie anche a un non wasp. E anche se non so molti dettagli del suo interessamento per l´accordo con la Fiat, stento a immaginare che un Bush avrebbe appoggiato un riconoscimento simbolico di questa portata a una nazioncina.

una legge per limitare il consumo di tabacco ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Anche il presidente Obama, contrariamente al precedente governo che aveva esercitato il diritto di veto su questo tema, si è espresso a favore della legge, ricordando che il fumo resta la causa principale di morte prevenibile fra gli americani, ma anche uno dei motivi di maggiore incremento della spesa sanitaria pubblica.

Francesco Semprini ( da "Stampa, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: come lo ha definito il presidente Obama, segna un precedente storico importante sia in termini procedurali sia per l'elevato numero di parti coinvolte in una stessa causa. Oltre al governo federale, al Lingotto, e ai sindacati, ci sono le banche e gli hedge fund, quelli che hanno votato a favore della ristrutturazione del debito e i dissidenti,

TEHERAN SALVERÀ IL PAKISTAN ( da "Stampa, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: rischierebbe di far pericolosamente accostare la figura di Barack Obama a Jimmy Carter (il presidente che perse l'Iran) piuttosto che a quella di Franklin Delano Roosevelt (il Presidente che donò prosperità e sicurezza all'America e al mondo). Ed è l'ultima cosa di cui il mondo e l'America hanno bisogno. CONTINUA A PAGINA 31

"Mrs Rice cosa pensa del water boarding?" ( da "Stampa, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Che cosa pensa delle critiche sollevate dal presidente Obama sui metodi adoperati dall'Amministrazione Bush per ottenere informazioni dai detenuti?». E' stata questa domanda sulla tortura, posta da un bambino di 9 anni, a mettere in imbarazzo l'ex Segretario di Stato Condoleezza Rice di fronte all'insolito pubblico di una quarta elementare di Washington.

Obama lancia la sfida ai paradisi fiscali Caccia a 210 miliardi ( da "Corriere della Sera" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 6 Obama lancia la sfida ai paradisi fiscali Caccia a 210 miliardi Nel mirino le attività delle multinazionali DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON L'Amministrazione Obama vuole tassare i profitti che le aziende Usa realizzano all'estero e intensificare la lotta contro gli evasori, che nascondono i loro guadagni nei paradisi fiscali.

Lieberman, debutto a Roma Critiche a Olmert e Sharon ( da "Corriere della Sera" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: sarà andato da Obama. Lieberman ha affermato di aver scelto l'Italia come prima tappa estera perché apprezza Berlusconi e Frattini e per il boicottaggio italiano della conferenza dell'Onu detta «Durban2 ». Al collega ha chiesto una mano per migliorare i rapporti con Libia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e «alzare di livello» le relazioni con l'

( da "Corriere della Sera" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Michelle Obama del tennis» «Amo la competizione e la vittoria Diventerò la più forte di sempre» ROMA Le spalle. Molto più larghe di come te le aspetti. Le cosce da centravanti, avvitate su caviglie da gazzella. E la bocca. Enorme. Non è difficile accorgersene perché Serena Jameka Williams, 27 anni, provvisoriamente numero 2 del mondo,

quando la politica e il candidato... - giovanna cosenza * ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: è questo il senso profondo della lezione di Obama: la buona politica oggi funziona così, multimediale e multimodale. Multitutto. E confrontare i nostri candidati con Obama non è mischiare la lana con la seta: anche i bolognesi ? ci scommetto ? sceglieranno il sindaco che con più perizia, passione e coerenza sarà andato in quella direzione.

"perché le torture?" così un bambino inchioda la rice - vittorio zucconi ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Che cosa pensa delle cose che Obama sta dicendo dei metodi di interrogatorio usati dal Presidente Bush?» domanda Misha Lerner, figlio di immigrati russi, dall´alto dei suoi nove anni, sotto lo sguardo terrorizzato della madre e delle insegnanti che lo avevano convinto a non usare almeno la parolaccia proibita - «tortura» - come lui avrebbe voluto fare.

"quell'auto sembrava sospetta" tra i soldati dopo la tragedia di herat - giampaolo cadalanu ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: E proprio ieri Hamid Karzai ha depositato la sua candidatura, partendo poi per Washington alla ricerca di una "ricucitura" con la nuova amministrazione americana. Lo staff di Obama ha già segnalato scarso entusiasmo per l´ipotesi di una riconferma di Karzai. Ma per ora alternative forti non sono comparse.

misha lerner ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 17 - Esteri Domanda e risposta Misha Lerner Condi Rice Il nostro dovere, carino, era quello di proteggere l´America dopo l´11 settembre Spero che tu capisca Cosa pensa di ciò che dice Obama dei metodi di interrogatorio usati dal presidente Bush?

germania, salvi 3 impianti su 4 e il marchio non sarà cancellato - paolo griseri ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: indomani delle elezioni tedesche e prima della scadenza fissata da Obama per il salvataggio della Gm. Il piano presentato ieri da Marchionne avrà bisogno di ulteriori dettagli. Ma nelle sue grandi linee è abbastanza chiaro: garantire gli stabilimenti di assemblaggio finale e risparmiare in quelli che realizzano componenti.

marchionne vola in america da gm e chiede aiuto ai governi della ue - salvatore tropea ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama di meritare i finanziamenti da cui dipende la sua sopravvivenza. Questo piano, che ieri Marchionne ha portato a Berlino, prevede una soluzione che coinvolge i governi europei i quali, sul modello adottato in Usa per la Chrysler, dovranno garantire finanziamenti a un tasso competitivo e accollarsi parte dell´esposizione dell´

obama contro i paradisi offshore "scoveremo gli evasori fiscali" - vittoria puledda ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Economia Obama contro i paradisi offshore "Scoveremo gli evasori fiscali" Norme più severe per recuperare 210 miliardi in 10 anni Le banche americane a caccia di nuovi capitali, dopodomani l´esito dello stress test VITTORIA PULEDDA MILANO - Lotta a tutto campo all´evasione fiscale e all´elusione che consente di non pagare le tasse.

i voli low cost diventano sempre più spartani ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ho fiducia in Obama,prepari la nuova governance LONDRA - Sui suoi voli i posti non sono pre-assegnati e i passeggeri siedono dove vogliono, cibo e bevande vengono pagati come extra, si parla anche di far pagare un euro a passeggero per andare alla toilette e di introdurre una «tassa sul grasso» per i passeggeri obesi,

tumori e malattie ereditarie ecco le terapie della speranza - (segue dalla copertina) ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il presidente Obama ha cancellato. Se dunque, dopo dieci anni, la scienza, pur fra ostacoli e battute d´arresto, non ha dubbi sulla via del Dna, molto più incerta è la società. E il problema non è quel farmaco mai arrivato al malato o quella nuova cura non ancora realizzata, ma un disagio più profondo che deriva dall´incapacità di elaborare un nuovo sistema di pensiero e valori,

toni morrison - new york ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: elezione di Barack Obama, al quale la Morrison ha scritto una lettera nella quale ha stigmatizzato come un «errore enorme identificare l´"affermative action" come qualcosa che ha a che fare con la gente di colore». «Ne sono convinta, e credo che sia giusto che ne abbia coscienza chiunque», racconta nel suo ufficio newyorkese l´autrice che ha vinto il Nobel nel '

diventa - vittorio zucconi ( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: saggio fra economia e psicologia gentile se lo stato Arriva in Italia "Nudge" il best seller che spiega la dottrina, fatta propria da Obama, per indurre i cittadini a scelte corrette Grazie a una "spintarella" Autori del libro sono l´economista Richard Thaler e il costituzionalista, Cass Sunstein, ora nello staff della Casa Bianca VITTORIO ZUCCONI a salvezza sarà la "spintarella".


Articoli

Il piano di Marchionne un miliardo di risparmi (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Retroscena Piattaforme e segmenti Come il Lingotto cerca di convincere i tedeschi Il piano di Marchionne un miliardo di risparmi GIANLUCA PAOLUCCI Il manager del Lingotto: la partita comincia adesso TORINO Quando ieri Sergio Marchionne ha incontrato l'esecutivo tedesco per illustrare il suo piano per Opel, è riuscito ancora una volta a sparigliare. «La partita comincia adesso», ha detto. E lui invece di proporre l'acquisto delle attività europee di General Motors, prospettiva sulla quale tutti scommettevano e che aveva già raccolto lo scetticismo dell'esecutivo e dei sindacati, è arrivato forte della delibera del cda di Fiat che domenica gli ha affidato il mandato per trattare un'alleanza da 80 miliardi di euro di ricavi e sei-sette milioni di auto all'anno, combinando insieme Fiat, Chrysler e Opel, con il Lingotto primo azionista (e Gm secondo) di una società quotata che tenga insieme i marchi dei tre gruppi. A questo punto, spiegano gli esperti del settore, la chiave di volta per Opel è la stessa che ha consentito di portare in fondo l'affare Chrysler: arrivare a trattare come unica alternativa veramente credibile e praticabile. Una prospettiva sempre più verosimile per Fiat: l'unico concorrente è Magna, il produttore di componenti e assemblatore canadese, ma «la soluzione Magna da sola la vedo difficile, per Magna stessa significherebbe cambiare pelle e fare un altro mestiere», dice Marco Santino, che segue il settore auto per la società di consulenza At Kerney. E la prospettiva di Magna testa di ponte di un investitore russo come Oleg Deripaska troverebbe nel governo di Berlino un'accoglienza ancora più tiepida. La proposta illustrata ieri da Marchionne presenta invece vantaggi chiari: «Le sinergie ci sono e sono evidenti, anche se alcune di queste dovranno per forza di cose venire da operazioni dolorose», dice ancora Santino. L'ad di Fiat quantifica queste sinergie in circa un miliardo di risparmi, una parte dei quali «potrebbero essere effettivi in un arco temporale relativamente breve, già dopo 12 o 18 mesi», indica Santino. Si tratta delle sinergie sugli acquisti, che pesano fino al 70-80% nel costo finale di un'auto considerando anche i motori, mentre servirà un arco temporale maggiore per realizzare quello che Marchionne va sostenendo da tempo, la produzione di un milione di auto su un'unica piattaforma. Nella piattaforma B, Punto e Corsa condividono già il pianale, frutto della vecchia alleanza con Gm rotta nel 2005, e maggiori volumi comporterebbero margini ancora più elevati. Sul segmento C la prospettiva temporale è più lunga, dato che Bravo-Delta è basata su una piattaforma «giovane», anche se l'expertise di Opel consentirebbe di coprire un segmento dove storicamente Fiat è in difficoltà ma che «ha anche una marginalità più elevata» rispetto alle piccole punto di forza di casa Fiat. Dove i frutti arriverebbero subito è il segmento superiore, il D, dove Opel ha da poco lanciato la Insigna. Frutto di forti investimenti ma con una scelta di tempo non proprio felice. Delle «operazioni dolorose» ne ha accennato lo stesso Marchionne al ministro delle finanze, Karl-Theodor zu Guttenberg: la ristrutturazione dello stabilimento di Kaiserslautern. «La parte più difficile sarà però quella delle "sinergie culturali", la capacità di integrare due sistemi diversi», aggiunge il consulente di At Kerney. Passaggio fondamentale per far digerire la proposta ai tedeschi è la prospettiva di una vera alleanza e non di una semplice «acquisizione»: lo scorporo dell'auto, ovvero la separazione di Fiat, Lancia e Alfa Romeo dal resto del gruppo, che si terrebbe però anche i «gioielli» Ferrari e Maserati. Prospettiva che razionalizza la struttura generale del gruppo. Ma che, con la quotazione in Borsa, apre la porta anche ad un'offerta pubblica di acquisto che consentirebbe di raccogliere nuova finanza senza gravare sulla struttura finanziaria di Fiat, già decisamente indebitata. Il tempo per un accordo dovrebbe essere decisamente breve: fine maggio, dice Marchionne, quando scadrà anche il tempo che Barack Obama ha dato a General Motors per presentare il suo piano di ristrutturazione. Obama avrà un ruolo anche in questa partita. In settimana l'ad di Fiat volerà nuovamente in Usa per una prima visita alla casa di Detroit: occasione giusta per cercare sponsor a stelle e strisce anche per la partita tedesca.

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Buffett contro gli stress test Non serve nuovo capitale (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

NEL MIRINO 19 BANCHE E GLI AIUTI PUBBLICI Buffett contro gli stress test «Non serve nuovo capitale» Warren Buffett critica il ministero del Tesoro per gli «stress test» previsti per le 19 banche che hanno ricevuto o riceveranno aiuti pubblici al fine di non farle cadere. Il guru di Wall Street durante la campagna elettorale si era schierato con Obama e nei primi 100 giorni ha sostenuto le scelte dell'amministrazione, ma adesso, per la prima volta, cambia tono e accusa il ministro del Tesoro Timothy Geithner di aver ideato modelli che «sono sotto gli standard» previsti dalla comunità finanziaria per attestare la «forza dei creditori». «Dalla lettura delle procedure che sono state varate posso affermare che non sono molto sofisticate», ha detto Buffett nel corso di una conferenza stampa a Omaha, in Nebraska, durante la quale ha contestato la scelta del Tesoro di definire le 19 banche destinatarie degli aiuti «troppo grandi per cadere». A suo avviso tre delle banche aiutate dallo Stato e nelle quali il suo fondo Berkshire ha delle quote - Wells Fargo, U.S. Bancorp e M.T. Bank Corp - «non hanno affatto bisogno di ulteriore capitale azionario» al punto tale che «comprerei le loro azioni ai prezzi attuali» indipendentemente dalla scelta del governo di versare gli aiuti. L'altro dubbio del finanziere è su «come il governo gestirà le informazioni ottenute con gli stress test» a causa del fatto che «la diffusione di informazioni su eventuali difficoltà potrebbe innescare vendite a pioggia».

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Il dazio stronca l'acqua italiana (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

RITORSIONE DI WASHINGTON PER IL RIFIUTO EUROPEO DI CONSUMARE CARNE AMERICANA AGLI ORMONI Il dazio stronca l'acqua italiana In Usa un 100% di sovrattassa sulla minerale d'importazione [FIRMA]LUIGI GRASSIA Il protezionismo strisciante (quella cosa perversa che sempre si manifesta nei periodi di crisi economica) fa una nuova vittima, che stavolta sono le acque minerali italiane esportate in America. Dal prossimo giorno 8, venerdì, gli Stati Uniti imporranno un dazio doganale del 100% sulle acque minerali in arrivo dal nostro Paese (e dal resto dell'Unione europea). In sostanza il prezzo raddoppia. Una botta del genere ha un intento palesemente provocatorio e infatti le autorità di Washington la giustificano come mossa tattica sulla complicata scacchiera dei rapporti commerciali. Secondo l'Associazione delle camere di commercio italiane all'estero, l'imposizione è stata decisa dalla United States Trade Representative (Ustr) «per riavviare le trattative sul divieto d'importazione di carni di manzo trattata con sostanze ormonali, imposto dall'Ue». Cioè si tratterebbe di una ripicca o meglio di una pressione per ottenere risultati su un altro fronte. Peccato che il Wto e altre sedi internazionali siano state concepite per creare dei fori ad hoc dove risolvere le controversie commerciali evitando questo genere di ritorsioni. Peccato, anche, che la vertenza sulla carne coinvolga l'Italia come la media dei Paesi europei mentre la faccenda delle acque minerali pesa sul nostro Paese molto di più: secondo il presidente dell'Italian American Chamber of Commerce Midwest, Robert Allegrini, «all'Italia è imposto il pagamento del 37% dei dazi sul totale delle esportazioni colpite dal provvedimento, lasciando il restante 63% da dividere tra gli altri 26 Paesi dell'Ue». Per questo motivo la Camera di commercio italiana di Chicago ha promosso una petizione sottoscritta da oltre 60 ristoratori italiani (grandi importatori di acqua italiane per sposarle ai piatti) e rivolta a Ronald Kirk, rappresentante di Obama nelle trattative commerciali. Nella lettera si chiede di sospendere il provvedimento perché «penalizzerebbe le vendite nei ristoranti, con conseguenti ricadute sui posti di lavoro». Naturalmente questo è solo uno dei danni dei super dazi. Fra l'altro va notato che la sovrattassa del 100% non rappresenta il raddoppio di un prezzo modesto ma di un prezzo che già in partenza è piuttosto elevato: infatti in un'America dove quasi tutto costa poco in confronto all'Italia, se c'è una cosa che si paga più cara è proprio l'acqua minerale. Dal punto di vista degli Usa a essere protezionista non è l'America ma l'Europa, perché il Vecchio continente si rifiuta di importare le carni allevate in America in quanto piene di ormoni (legali da loro, proibiti da noi); è una scusa per chiudere le frontiere ai loro prodotti, secondo gli Usa.

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Obama, guerra agli evasori fiscali (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

FINISCONO SOTTO TORCHIO LE IMPRESE AMERICANE CHE PRODUCONO ALL'ESTERO ED ELUDONO LE TASSE Obama, guerra agli evasori fiscali Il presidente mantiene una promessa elettorale e capovolge la politica di Bush Obiettivo: recuperare un gettito fiscale di almeno 210 miliardi di dollari in dieci anni [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Finisce l'era dei privilegi per le aziende americane che operano all'estero creando posti di lavoro per stranieri, celando i profitti ed evadendo le tasse da pagare. Parlando dal Grand Foyer della Casa Bianca è Barack Obama che illustra alla nazione un piano di riforma che punta a «identificare gli evasori» intervenendo sugli aspetti dell'attuale codice fiscale che si applicano alle imprese Usa presenti all'estero. L'amministrazione Bush le proteggeva in nome della globalizzazione ma ora Obama fa proprie le obiezioni sollevate negli ultimi anni da numerosi leader democratici del Congresso - da Max Baucus a Charlie Rangel fino a Carl Levin - al fine di «far loro pagare le tasse proprio come fanno tutti i normali cittadini». Il presidente ribadisce la fiducia nella globalizzazione dell'economia e conta sulle aziende Usa «affinché si affermino ovunque nel mondo» ma il vulnus che vuole sanare sta nel fatto che «un codice fiscale con molte falle, opera dei lobbisti, consente a numerose aziende di non pagare le imposte come invece dovrebbero». Il riferimento è a quelle imprese che, proprio grazie a tali norme, «pagano meno tasse in America creando posti di lavoro a Bangalore, India anziché a Buffalo, New York» in quanto possono celare all'estero i profitti, rimandando o rinunciando a fare la dovuta dichiarazione alle autorità degli Stati Uniti. «Capisco bene che uno dei punti di forza della nostra economia è la capacità di espandersi delle imprese e desidero che restino competitive - sottolinea il presidente - ma bisogna evitare che ciò porti a far affluire nei paradisi fiscali le imposte che dovrebbero essere versate allo Stato». Da qui la decisione di «porre fine alle facilitazioni fiscali per le imprese che operano all'estero» puntando a recuperare nei prossimi dieci anni entrate per 210 miliardi di dollari. Tenendo presente che il deficit federale nel 2010 sarà di 1,2 trilioni di dollari il recupero fiscale non ha dimensioni rilevanti ma ciò che conta per Obama è mantenere la promessa fatta all'inizio della campagna elettorale di aiutare le imprese che «creano lavoro in patria e non all'estero». E' un messaggio diretto in primo luogo alle famiglie della classe media degli Stati del Mid-West e del Sud che più hanno pagato il prezzo dello spostamento all'estero di impianti industriali. «Da anni sapevamo che cosa avremmo dovuto fare e ora manteniamo le promesse» sottolinea Obama, facendo il concreto esempio delle Isole Cayman dove «c'è un edificio dove hanno sede i quartier generali di 12 mila imprese» dando vita a un paradosso che «si spiega con il fatto che o si tratta del più grande edificio del Pianeta o della maggiore vergogna fiscale del Pianeta». E' una dichiarazione di guerra nei confronti dei paradisi fiscali che finora hanno corteggiato, ospitato e protetto i proventi di molte aziende nazionali. A condurre la caccia all'evasore che adesso si apre sarà l'Irs -l'Ente federale per la riscossione dei tributi - al quale la Casa Bianca promette di fornire «tutti gli strumenti dei quali avrà bisogno» a cominciare dalla creazione di una task force di 800 agenti speciali il cui compito sarà di «identificare e perseguire gli evasori fiscali che si trovano all'estero». Al tempo stesso il presidente assicura alle aziende nazionali che operano rispettando le regole aiuti per consentirgli di «creare posti di lavoro e aumentare i profitti» al fine di ribadire che ogni tassello della sua azione punta a rafforzare l'American Dream (il sogno americano) rafforzando il sistema di produzione nazionale. Obama pensa a un rilancio in grande stile dell'industria tradizionale, e in particolare del settore manifatturiero che più ha sofferto negli ultimi anni, nel quadro di un riassetto interno che «porterà Wall Street a pesare molto di meno sulla nostra economia».

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I leader carismatici ti aspettano all'edicola Ho per Lei una sola breve domanda. Prim... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

I leader carismatici ti aspettano all'edicola Ho per Lei una sola breve domanda. Prima o poi la finiremo con la celebrazione quotidiana dei leader? Che si tratti di Obama o Berlusconi, faccia Lei. MARIO ARPINO, ROMA Sulla questione delle lodi a Silvio Berlusconi preferisco non entrare, dal momento che si entra in un terreno che diviene immediatamente politico e dunque di parte. Preferisco risponderle parlando di Obama, citandole un editoriale che sembra porsi la sua stessa domanda: «Ne ho abbastanza di questi cento giorni» (traduzione libera di «Enough With the 100 Days Already»), apparso nella pagina degli editoriali del «New York Times», il 3 maggio, a firma di Frank Rich. Ne cito una buona parte, perché credo che Lei vi troverà la risposta che cercava. «Credeteci o no, ma ci sono degli americani che hanno un'opinione "molto negativa" di Barack Obama (13%, secondo il "Wall Street Journal"). Ce ne sono alcuni che sono addirittura arrabbiati con lui (10% per cento, "New York Times"/Cbs News). Quando è cominciato il festival del Primi Cento Giorni ho cercato così d'immedesimarmi e di guardare il mondo attraverso i loro occhi. All'inizio è stato difficile, ma un'intervista con il fotografo della Casa Bianca, Pete Souza, sulla Cnn, mi ha dato la spinta giusta. Souza mostrava tutte queste seducenti foto "private" - ma ufficialmente pubblicate - che più o meno sono passate come lavoro giornalistico su tutti i mezzi d'informazione. Inevitabilmente siamo arrivati al cane. "Voglio mostrarvi questa immagine perché la trovo affascinante", diceva il conduttore della Cnn, John King, "il Presidente che corre nell'ampio corridoio con il suo nuovo partner di jogging, Bo", e chiede a Souza: "Cosa significa per lei aggiungere questo scatto così diverso al suo lavoro alla Casa Bianca"? Lascio alla vostra immaginazione la risposta del fotografo... Confesso di essere nell'81% ("Wall Street Journal"/Nbc) a cui il Presidente piace. E condivido la fiducia dei due terzi degli americani che sostiene che è partito benissimo, che sta facendo quello che aveva promesso, e che lo sta facendo con la concentrazione, l'intelligenza e quella straordinaria calma con cui ha tenuto la barra della campagna elettorale, mentre i media lo trattavano come un ingenuo che sfidava l'esperta e ricca Hillary. Che ora quella stessa banda dei media si sbracci a osannare Obama, ci dice in realtà qualcosa più sullo stato dell'informazione che sul Presidente. L'industria del giornalismo lotta per la sua sopravvivenza. Obama è l'unico vero prodotto che fa vendere giornali, settimanali e programmi tv. Non c'è sorpresa dunque nel vedere le centinaia di sezioni speciali, maratone tivù e numeri unici dedicate ai 100 giorni!». Che ne dice caro lettore? È una buona spiegazione della passione per i leaders carismatici, a qualunque latitudine essi siano? A proposito: la foto di Obama che corre col cane non è stata risparmiata neanche a noi italiani.

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allarme ue per l'italia il pil crolla a meno 4,4% (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina BONANNI, PAGNI E PULEDDA ALLE PAGINE 4 E 26 Mentre Obama dichiara guerra al segreto bancario nell´area Ocse Allarme Ue per l´Italia il Pil crolla a meno 4,4%

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se il marchio di fabbrica è uno stile inconfondibile - edmondo berselli (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 42 - Cultura Fashion tricolore Il sogno Che cosa significa "immagine italiana" in questa America devastata dai subprime? Che impatto può avere ancora la griffe dei grandi disegnatori e il segno assoluto degli stilisti? Prima di questo raid che ha forzato il paradigma americano, l´ultima volta di un´auto italiana negli Stati Uniti è stata la "Duetto" di Dustin Hoffman nel "Laureato" Se il marchio di fabbrica è uno stile inconfondibile L´accordo tra Fiat e Chrysler rilancia nel mondo l´immagine italiana, la capacità di fare impresa e quella di saper creare con gusto oggetti di consumo EDMONDO BERSELLI L´ultimo ricordo di un´auto italiana in America è la Duetto dell´Alfa nel Laureato con Dustin Hoffman. Storie del nostro design dorato. Poi starnuti del motore nella notte, mentre la spider sussulta sugli ultimi accordi di Mrs. Robinson. E adesso invece ecco un autentico raid, a forzare il paradigma americano, con le sue macchine enormi addobbate come slot machine, per cercare di rimpiazzarlo con i piccoli totem torinesi, testa di ponte di un metodo e di uno stile che nel tempo ha definito l´impareggiabile capacità nazionale di inventare sogni estetici, in ogni reparto dell´oggettistica, dal cucchiaio al reggiseno. Dice lo storico dell´industria Giuseppe Berta che gli impianti americani sono attesi da uno choc schumpeteriano, che la Fiat porterà i layout nuovi, e la modernità light dei modelli europei potrebbe avere una chance. Sempre ammesso di trovare una distribuzione capace di valorizzare le scatolette italiane, i loro motorini compressi, i diesel common rail, i nuovi motori multi-air e soprattutto le loro soluzioni nel fashion. Ma c´è poi davvero un panorama infrastrutturale per l´auto siglata Torino, fuori dagli spazi urbani degli Stati Uniti? Le highway si prestano alle crociere e a nuovi Easy Rider con le vetturette vintage dell´italiano in gita? E poi occorre capire che cosa significhi tecnologia e soprattutto immagine italiana in questa America devastata dai subprime. Che impatto può avere ancora la griffe dei grandi disegnatori del passato, il segno assoluto degli stilisti, della moda, del diavolo che veste Prada, del satanismo metropolitano che riuscì facilmente a trasformarsi in stile, anche tra i diktat di Andy Warhol e le factory del postmoderno. Cioè nella purissima leggenda del fashion tricolore. Perché è vero che sullo sfondo dell´Italian Mith c´è sempre l´immagine reale e virtuale della Ferrari, con la sua metafisica del glamour milionario; ma si dovrebbe capire che il successo della casa di Maranello, rilanciata dopo i primi Novanta del secolo scorso e dopo infinite mortificazioni anche di qualità, è dipeso anche da una disseminazione tecnologica avvenuta sul territorio, praticamente in tutto il Nord del paese, fra cattedrali come la Brembo e piccolissime software house, che fra una ceramica e l´altra hanno fatto da incubatore all´innovazione, ai materiali inediti, alle soluzioni esasperate per la Formula Uno (e per il piacere della clientela che viene a vedere l´unicità della sua vettura uscire dalla linea di montaggio come da una romanticissima quinta teatrale). Come del resto è avvenuto nell´indotto del Lingotto. E come è successo tra le numerosissime aziende del tessile che hanno clonato la suggestione estetica di Ferré o di Armani nei campionari di provincia. Anche se poi, per contrasto, si potrebbe giocare con il mito glocal e no logo di un Made in Italy tutto particolare, andando a osservare il capannone di Campagnola (Reggio Emilia), dove lavora Gianni Torelli, uno degli ultimi meccanici al mondo capaci di fabbricare in un´auto «tutto ciò che si muove»: miliardari californiani gli mandano uno schizzo su un pezzo di carta quadrettata, lui gli fornisce il mostro da tremilacinquecento cc di cilindrata. Dunque una possibilità commerciale andrebbe cercata fra meccanismi di mercato e di consumer choice ancora tutti da individuare, anche se sperimentati dagli store di New York. D´altronde basta circolare per Milano e restare sbalorditi dagli oltre mille taxi della Toyota Prius, l´ibrida elettrico-benzina colma di agevolazioni pubbliche, consumi irrisori in città sotto i 50 all´ora, un gadget che è diventato un asset. Quindi la filiera ideale per la Fiat, l´industria che doveva «fare come la Ford», sembra ancora quella di replicare in forma creativa un´America di specchi intellettuali e di grandi consumi molecolari, proiettando il dono della piccolezza nella scena erotica di Sex and the City e facendolo diventare irrinunciabile, un concentrato stilisticamente esclusivo, si tratti di auto o di configurazioni e accessori dell´eros. Sempre ammesso che regga un discorso di marketing davvero virale, in cui il Logos è quello di Barack Obama, cioè il business «verde» e l´elogio della leggerezza. Perché può anche darsi che fra il gigantismo costruttivista e il futuro tecnologico post-crisi l´alternativa consista semplicemente nel brutale minimalismo indiano di Tata, privo di segno, con evidenti prospettive di sottoproletarizzazione dei consumi. Mentre una visione fair dell´industria, con la ricomparsa di forme di sindacalizzazione e di tutela collettiva, potrebbe trovare una composizione capitalistica più originale in una versione «renana», con il sindacato coinvolto nei tagli di salario ma anche nella gestione, e un punto d´equilibrio progettuale, tecnico e di mercato nelle auto medie, da borghesia non ancora degradata, e con il San Gimignano Touch nelle icone commerciali per rendere chiaro oltreoceano che «Italians do it better». Sempre in attesa dell´auto elettrica, del bi-fuel, del litio, dell´articolazione del parco viaggiante in una serie di sottosegmenti che possano frammentare funzionalmente lo spaventoso aggregato della motorizzazione nordamericana, suddividerlo in flussi commerciali gestibili e riconoscibili in una serie di brand della buona italianità. Già sarebbe interessante osservare la riconversione del gigantismo liberista di Detroit in processi più limitati; e sotto questa luce chissà se non sarebbe culturalmente irresistibile, nella drammatica crisi di sovraproduzione dell´auto, e nell´altrettanto ovvia decrescita, vedere un prodotto italiano diventare il simbolo luccicante di un nuovo comunitarismo industriale, insomma un punto di equilibrio anche morale, non solo di design, tra il New Deal e l´Obama Mission.

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quando vince la bellezza - maurizio bono (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 43 - Cultura Cultura e idee Il nostro Paese ha saputo esportare le sue idee: siamo al primo posto globale per il design e per la moda Grazie alla cultura della grazia Intervista allo studioso di estetica Gillo Dorfles Quando vince la bellezza MAURIZIO BONO «Fa piacere, certo, ma prima ancora stupisce. Siamo così abituati a considerare l´Italia come il fanale di coda dell´industria mondiale, che veder trattare la nostra creatività come uno strumento di salvataggio per la potenza economica americana può lasciare a bocca aperta». Addirittura increduli? «Ma no, viene piuttosto da dire beata l´ora! L´economia non è il mio campo, ma per ciò che riguarda l´evoluzione e la qualità del gusto le premesse ci sono tutte, e da tanti anni. Abbiamo appena avuto anche dal Salone del Mobile la conferma che siamo al primo posto globale per il design e la moda. L´accordo Fiat-Chrysler aggiunge solo la certezza che adesso gli Usa sono ancora più attenti a certe nostre "piccolezze"». Gillo Dorfles, studioso del gusto, dell´arte e, fin dal suo celebre saggio del 1963 Il disegno industriale e la sua estetica, dei segni e dei modi con cui il bello e l´innovazione sono diventati un patrimonio della produzione di massa, saluta l´avventura americana del made in Italy automobilistico come una di quelle sorprese della storia che hanno radici lunghe. Ma sbocciano quando trovano un catalizzatore inaspettato. Pensa all´effetto Obama? «Considero l´avvento di Obama come uno dei grandi miracoli della storia. Dimostra come l´educazione apra tutte le vie anche a un non wasp. E anche se non so molti dettagli del suo interessamento per l´accordo con la Fiat, stento a immaginare che un Bush avrebbe appoggiato un riconoscimento simbolico di questa portata a una nazioncina. Voglio dire che l´elezione di Obama è solo uno schiaffo al razzismo, ma soprattutto la rivendicazione della centralità dell´educazione, della cultura e delle idee». Cosa c´entra con l´appello alla fabbrica della 500 per aiutare la Chrysler a uscire dai guai? «C´entra con l´apertura mentale, con una visione internazionale e con la rottura di un paradigma molto americano che ha sempre privilegiato la potenza alla grazia, la forza sulla bellezza. Sa, il design americano in tutto il secolo non eccelle, lì non sono di casa leggende del gusto come le lampade di Castiglioni, la tv di Zanuso o la 500 di Dante Giacosa. Nella stessa epoca le automobili americane colpivano per il gigantismo. Ma vorrei raccontare un episodio di quei Cinquanta che fa capire come ci fosse anche un problema di disconoscimento della cultura come valore assoluto: la prima volta che andai negli States, venne a prendermi un professore nero dell´Università di Howard, Washington. E dovette aspettarmi fuori dall´albergo». Ma lei ci crede che il "piccolo è bello" Fiat salverà quel simbolo del Novecento che è l´auto? L´intera industria vecchia maniera non l´avevamo data un po´ tutti per spacciata? «Che sia finita l´età dei ferro e del carbone mi sembra incontrovertibile. Ma è una storia più complessa. Industrie come la Marelli o la Falck hanno lasciato il posto a un´industria più leggera, basta pensare a come l´elettronica e la digitalizzazione hanno cambiato il volto agli oggetti e alla società, all´intero arredamento del mondo. Quanto al futuro dell´auto, è così incerto tra l´auto elettrica, a idrogeno o a vecchio combustibile, che credo non si possano fare profezie. Meglio accontentarsi delle auto piccole che consumano meno, magari in attesa di ricominciare a farne di colossali a impatto zero». E la velocità? Un altro mito infranto della modernità? «Chi l´ha detto? Le informazioni non sono mai andate così veloci. Ma è già da un po´ che una Ferrari a trecento all´ora in autostrada non suscita più ammirazione, ma ribrezzo».

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una legge per limitare il consumo di tabacco (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina I - Palermo Lettera dall´America Una legge per limitare il consumo di tabacco ignazio marino claudia cirillo Negli Stati Uniti, la Camera dei deputati ha votato a larga maggioranza un provvedimento che conferisce alla Food and drug administration (Fda), l´agenzia responsabile della salute pubblica, più ampio potere sulla composizione dei prodotti derivati dal tabacco. In Senato il voto si preannuncia più difficile, nonostante perfino l´industria leader del settore, la Philip Morris, sostenga l´iniziativa e nonostante uno degli uomini simbolo del parlamento e della storia moderna americana, il senatore Edward Kennedy, sia uno dei principali sponsor della proposta legislativa. Anche il presidente Obama, contrariamente al precedente governo che aveva esercitato il diritto di veto su questo tema, si è espresso a favore della legge, ricordando che il fumo resta la causa principale di morte prevenibile fra gli americani, ma anche uno dei motivi di maggiore incremento della spesa sanitaria pubblica. La proposta di legge prevede la creazione presso la Fda di un ente finanziato da privati, che avrebbe il potere di limitare l´utilizzo delle dannose componenti chimiche contenute nelle sigarette. Potrebbe inoltre approvare o negare la commercializzazione di nuovi prodotti a base di tabacco e a imporre messaggi informativi aggiuntivi rispetto a quelli già in uso. SEGUE A PAGINA XV

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Francesco Semprini (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

REPORTAGE Francesco Semprini NEW YORK Già alle sette del mattino davanti ai cancelli della Corte di giustizia di Lower Manhattan, la fila è molto lunga. Avvolti nei completi gessati e con la tazza di caffè in mano, avvocati, mediatori, assistenti e praticanti studiano i dossier prima di mettere piede in aula. La stessa per gran parte di loro, quella dove si tengono le udienze sul «Chapter 11» di Chrysler. La bancarotta della casa automobilistica di Auburn Hills, passaggio preliminare per l'alleanza con Fiat, è divenuto un caso di grande rilevanza negli Stati Uniti, non solo perché si decidono le sorti di una delle più grandi industrie del Paese. Il ricorso al tribunale fallimentare, per operare il riassetto «chirurgico» della società, come lo ha definito il presidente Obama, segna un precedente storico importante sia in termini procedurali sia per l'elevato numero di parti coinvolte in una stessa causa. Oltre al governo federale, al Lingotto, e ai sindacati, ci sono le banche e gli hedge fund, quelli che hanno votato a favore della ristrutturazione del debito e i dissidenti, ovvero quelli che hanno costretto al dirottamento verso il Chapter 11. Ci sono i fornitori, alcuni in guerra con la società per essersi rifiutati di inviare parti e ricambi col rischio di non essere pagati, le finanziarie, che hanno bloccato i prestiti per le vendite rateali, i consulenti esterni con contratti ancora pendenti, e i rivenditori che rischiano di chiudere a causa dei tagli alla produzione. Ognuno è rappresentato da una squadra di avvocati, guru di diritto societario, commerciale e fallimentare, gli stessi che sin dalle prime ore del mattino fanno la fila davanti One Bowling Street. La «soft bankruptcy» ha scatenato una vera e propria corsa al Chapter 11 di Chrysler degli studi legali, piccoli o grandi, disposti a perorare una qualsivoglia causa pur di apparire dinanzi ad Arthur Gonzalez, il giudice designato a presiedere il procedimento (che ieri a dato il via libera alla prima tranche di prestito da 4,5 miliardi di dollari e autorizzato il pagamento dei conti di fornitori ricambi e concessionari). Del resto un caso di questa portata fa gola a tutti sia in termini economici sia per motivi di visibilità. Il Chapter 11 è una procedura di riorganizzazione aziendale gestita da un tribunale preposto. Di solito non si tratta di una bancarotta in senso stretto, ma di una sorta di amministrazione controllata o di un concordato preventivo, nel quale si garantisce protezione ai creditori e si cerca di riparare l'azienda tenendo conto dell'interesse di tutte le parti in causa. In casi come questo, che vedono coinvolte grandi corporation, sono in ballo decine di miliardi di dollari di dollari e pertanto le parcelle degli avvocati schizzano alle stelle, oltre al prestigio che ne deriva per gli studi legali in caso di successo. La corsa al Chapter 11 rischia però di amplificare i conflitti allungando i tempi necessari all'azienda per emergere dalla «bancarotta», 30-60 giorni secondo il governo americano. Per il gruppo di Auburn Hills è cruciale «incassare a breve termine il via libera all'alleanza con Fiat e alla vendita di asset» per due miliardi di dollari alla Nuova Chrysler, spiega Corinne Ball, il legale che rappresenta la società. La designazione di Gonzalez fa ben sperare visto che il giudice è noto per essere molto scrupoloso ma anche veloce nel deliberare. Ma è soprattutto interesse degli avvocati raggiungere una soluzione rapida e condivisa perché se l'accordo dovesse essere bocciato «la società sarebbe liquidata», avverte la Ball. Questo, oltre a decretare la scomparsa di un'icona a stelle e strisce e la perdita di quasi 39 mila posti di lavoro, trasformerebbe la corsa forense al Chapter 11 in un'arma a doppio taglio. CONTINUA A PAGINA 5

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TEHERAN SALVERÀ IL PAKISTAN (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Vittorio Emanuele Parsi TEHERAN SALVERÀ IL PAKISTAN E' cosa risaputa che la situazione in Afghanistan continui a essere tutt'altro che brillante, nonostante il progressivo potenziamento del contingente americano e il timido rilassamento dei caveat delle forze alleate. E sarebbe grave se il tragico evento occorso a Herat due giorni fa, con l'uccisione accidentale di una ragazzina ad opera di militari italiani, divenisse un pretesto per provocare un'ulteriore burocratizzazione delle regole d'ingaggio dei nostri soldati. Quel dramma, che ci colpisce così particolarmente all'interno del più ampio dramma afghano, deve semmai ricordarci come sia irta di pericoli e di vittime, anche innocenti, la via che porta alla stabilizzazione del Paese e dell'intera regione circostante. Che, per arrivare a destinazione, questa via debba passare per Teheran, e vedere un qualche coinvolgimento della Repubblica islamica è un'opinione che va prendendo corpo, soprattutto in Europa e anche in forza del sostegno a favore di questa ipotesi da parte della Farnesina. Secondo i più audaci sostenitori di un maggior ruolo iraniano nella crisi afghana, in questo modo sarebbe possibile contrastare il doppio e forse triplo gioco che il Pakistan sta conducendo rispetto ai talebani. Giova ricordare che gli studenti islamici sono una creatura dell'Isi (i servizi segreti militari pachistani, potentissimi e sostanzialmente autonomi dalle autorità politiche) e che ci volle la minaccia da parte di Bush di «portare il Pakistan all'età della pietra» per convincere Musharraf a sospendere (almeno ufficialmente) l'assistenza che i propri servizi fornivano ai talebani, in termini di armi, addestramento e protezione. La crescente presenza nello stesso Pakistan dei gruppi integralisti pashtun (etnia maggioritaria in Afghanistan, fortissima anche in Pakistan e particolarmente ben rappresentata tra i quadri dell'Isi) allunga del resto più di un'ombra sulla lealtà che è lecito attendersi dallo strategico «alleato» pachistano il quale, mentre combatte l'islamismo militante al di là del confine, lo blandisce al di qua, autorizzando l'applicazione della Sharia nella valle dello Swat (a 150 km da Islamabad) o tollerando la presenza di talebani pachistani nel distretto di Bruner (100 km dalla capitale). Washington appare particolarmente preoccupata della prospettiva che il fragile ma determinante alleato possa finire frammentato in tanti potentati de facto: un vero e proprio incubo nell'ipotesi che alcuni dei possibili «signori della guerra» si trovino a esercitare il proprio controllo su alcuni dei siti di stoccaggio delle testate nucleari pachistane (stimate tra 60 e 100), di cui Washington non conosce neppure l'esatta ubicazione. Infatti, proprio per evitare che di fronte a un simile esito gli americani potessero decidere di bombardare i siti nucleari pachistani (ipotesi alquanto rocambolesca, in realtà), le autorità pachistane si sono sempre ben guardate dal fornire a Washington informazioni troppo dettagliate al riguardo. Ma un simile scenario è scavalcato, in peggio e di gran lunga, dalla possibilità che il Pakistan sia oggi in una situazione analoga a quella dell'Iran negli Anni 70. Nel 1979, la rivoluzione guidata dall'ayatollah Khomeini trasformò l'Iran da uno dei tre pilastri (insieme con Turchia e Israele) dell'ordine regionale patrocinato da Washington nel suo più radicale contestatore e più attivo destabilizzatore. Più di una rivoluzione in stile iraniano, con l'improbabile avvento di una teocrazia a Islamabad, ciò che viene ipotizzato è la progressiva e sempre più decisa penetrazione dell'islam radicale e dei suoi adepti all'interno dei gangli dello Stato pachistano, soprattutto degli apparati di sicurezza. Questi ultimi, proprio per i lunghi decenni di sostegno ai talebani, appaiono tutt'altro che ostili o impermeabili a quei «nemici» che dovrebbero combattere. Inoltre, e contrariamente a quanto era vero per il laico «impero» dello Sha Palhavi, lo Stato pachistano è stato già parzialmente ma pesantemente «islamizzato». Uno dei più decisi in questa direzione fu, guarda caso, un generale: quello Zhia ul Haq il cui colpo di Stato portò all'impiccagione del padre di Benazir Bhutto, a sua volta uccisa in un attentato da molti ritenuto irrealizzabile senza la partecipazione dell'Isi, proprio mentre un altro generale, Musharraf, si apprestava a lasciare il potere. Probabilmente nemmeno Teheran sarebbe contenta di vedere una replica della sua lezione, se ciò dovesse portare alla nascita di una potenza nucleare islamica sunnita e integralista. Inutile nascondersi che un simile disastro strategico, evidentemente, rischierebbe di far pericolosamente accostare la figura di Barack Obama a Jimmy Carter (il presidente che perse l'Iran) piuttosto che a quella di Franklin Delano Roosevelt (il Presidente che donò prosperità e sicurezza all'America e al mondo). Ed è l'ultima cosa di cui il mondo e l'America hanno bisogno. CONTINUA A PAGINA 31

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"Mrs Rice cosa pensa del water boarding?" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

UN BAMBINO DI 9 ANNI "Mrs Rice cosa pensa del water boarding?" [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK «Che cosa pensa delle critiche sollevate dal presidente Obama sui metodi adoperati dall'Amministrazione Bush per ottenere informazioni dai detenuti?». E' stata questa domanda sulla tortura, posta da un bambino di 9 anni, a mettere in imbarazzo l'ex Segretario di Stato Condoleezza Rice di fronte all'insolito pubblico di una quarta elementare di Washington. Sulla carta il discorso della Rice al giovane pubblico della «Jewish Primary Day School» si annunciava come un ritorno morbido sulla piazza di Washington nella stagione di Obama. E all'inizio infatti tutto sembrava andare liscio: la Rice aveva parlato del suo amore per i viaggi, del sostegno per Israele e dell'importanza di apprendere lingue straniere. Anche le prime domande erano state innocue, del tipo: «Che cosa ha significato crescere in una città segregata come Birmingham in Alabama? o «Per quali qualità vuole essere ricordata?». Poi però a prendere la parola è stato il piccolo e combattivo Misha Lerner, di Bethesda, che le ha posto senza preamboli il quesito che evocava le torture sui detenuti di Guantanamo. L'ex Segretario di Stato prima ha mostrato una certa sorpresa, ha detto di essere «riluttante a criticare il presidente Obama» ma poi si è lasciata prendere la mano, difendendo a spada tratta l'operato dell'Amministrazione repubblicana: «Il presidente Bush ha detto con chiarezza che avrebbe fatto di tutto per proteggere il Paese dopo l'11 settembre, ma ha anche detto che non avrebbe fatto nulla contro le nostre leggi e i nostri obblighi internazionali». Solo pochi giorni prima Condi Rice si era dovuta difendere dalle critiche degli studenti dell'Università di Stanford, in California, affermando che «non abbiamo torturato nessuno» ma scivolando nel dire che il «waterboarding», l'affogamento simulato, era legale solo perché «autorizzato dal presidente». L'imprevista domanda di Misha Lerner ha avuto l'effetto di rilanciare le polemiche seguite alla risposta data a Stanford. Ma per Condi poteva andare anche peggio. Ad assicurarlo è Irene, madre dell'intraprendente alunno, che ha svelato il retroscena della domanda: «Hanno chiesto a mio figlio di addolcire la domanda iniziale aui aveva pensato, perché lui avrebbe voluto chiederle se trovandosi a lavorare per Obama avrebbe proposto ancora le torture...».

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Obama lancia la sfida ai paradisi fiscali Caccia a 210 miliardi (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 05/05/2009 - pag: 6 Obama lancia la sfida ai paradisi fiscali Caccia a 210 miliardi Nel mirino le attività delle multinazionali DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON L'Amministrazione Obama vuole tassare i profitti che le aziende Usa realizzano all'estero e intensificare la lotta contro gli evasori, che nascondono i loro guadagni nei paradisi fiscali. Parte di una più vasta iniziativa tesa a «semplificare e rendere più efficiente» il codice fiscale degli Stati Uniti, la proposta è stata annunciata ieri dal presidente americano, secondo il quale il sistema impositivo in vigore «ha fallito ». L'attuale codice, ha detto Obama, «rende fin troppo facile per un piccolo gruppo di individui e aziende abusare dei paradisi fiscali esteri, spesso evitando di pagare qualsiasi tassa». Semplicemente non rimpatriando i profitti ottenuti in Paesi stranieri, le imprese Usa evitano oggi legalmente di pagare ogni imposta. Obama vuole chiudere questo varco retributivo, per un principio di equità, ma anche perché intende scoraggiare la tendenza delle multinazionali americane a spostare all'estero gran parte delle loro attività: «Oggi si pagano meno tasse se si crea un posto a Bangalore, di quanto non accade se lo si crea a Buffalo». La Casa Bianca calcola in tal modo di poter generare 210 miliardi di dollari di nuove entrate, nell'arco di 10 anni. Non sarà facile tuttavia per Obama far passare la misura al Congresso. Osteggiata dai grandi gruppi come Microsoft, General Electric e Cisco, che accusano l'Amministrazione di minare la loro capacità di competere sui mercati internazionali, la proposta incontra la totale opposizione dei repubblicani e lascia perplessi anche alcuni settori democratici. «Occorrerà studiare ulteriormente il suo impatto sulle aziende americane», ha detto il senatore del Montana Max Baucus, presidente della commissione Finanze, secondo il quale bisognerà assicurare che «le nostre politiche fiscali non danneggino la competitività globale del sistema americano ». Critiche all'Amministrazione sono venute anche da Marty Regalia, capoeconomista dell'Unione delle Camere di Commercio: «Gli Stati Uniti sono l'unico Paese che attua la doppia tassazione sui profitti esteri delle nostre aziende. Così si finirà per ostacolare la crescita e la creazione di posti di lavoro». Il «no» dei colossi Usa La reazione negativa dei grandi gruppi americani come Microsoft, Cisco e General Electric P. Val.

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Lieberman, debutto a Roma Critiche a Olmert e Sharon (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 05/05/2009 - pag: 16 Diplomazia Primo viaggio del nuovo ministro degli Esteri israeliano Lieberman, debutto a Roma Critiche a Olmert e Sharon «Il mio governo? Niente slogan, risultati concreti» ROMA Nella prima visita oltrefrontiera da ministro degli Esteri, ieri a Roma, l'israeliano Avigdor Lieberman ha cercato di smussare gli angoli della sua immagine di mastino dell'estrema destra. Per non appoggiare l'orientamento europeo e americano a favorire la nascita di uno Stato palestinese, si è risparmiato colpi di martello su una posizione che non ha condiviso. Le sue distanze da quell'impostazione le ha marcate con un'impostazione che in ebraico si definirebbe da tachless, da pragmatico. Soltanto che poi gli è partita qualche botta verso altri politici israeliani. «Il nostro governo intende non proporre slogan e dichiarazioni pompose, ma assicurare risultati concreti», ha detto Lieberman al fianco del collega italiano Franco Frattini. «L'attuale governo di Israele riuscirà senza tanti slogan a portare a una pace con i palestinesi e i Paesi arabi che ci stanno vicini», ha sostenuto. Niente accenni ai suoi pensieri su Abu Mazen, tantomeno al progetto della campagna elettorale di pretendere dagli arabi-israeliani giuramenti di fedeltà allo Stato ebraico. Poi un'analisi congegnata così: «Nei 16 anni dagli accordi di Oslo dal 1993, comunità internazionale e Israele hanno avuto incontri come Oslo A, Oslo B, Camp David, Annapolis, ma il risultato finale è un'impasse. Il governo precedente, privo di Lieberman e Bibi Netanyahu, aveva rivolto offerte lungimiranti. Cionono-- stante, nessun risultato». Ecco le botte, assestate indossando quasi i panni del moderato: «I risultati concreti del governo di Ehud Olmert sono stati la Seconda guerra del Libano, l'operazione di Gaza, l'interruzione dei rapporti diplomatici con Mauritania e Qatar, Gilad Shalit tuttora prigioniero». Nel tenersi alla larga dalla tesi «due popoli, due Stati» sulla quale i giornalisti gli avevano chiesto di pronunciarsi, Lieberman non ha mostrato gran tatto verso Ariel Sharon, uomo di destra di durezza anche maggiore: «Il governo Sharon compì la mossa del disimpegno da Gaza sradicando dalle case migliaia di israeliani. Il risultato è che Hamas si è impossessato di Gaza, cadono missili sui nostri villaggi». Da qui, in sostanza, il messaggio: non offro formule, produrrò pace. «Benvenuto al ministro degli Esteri israeliano, il razzista Avigdor Lieberman», è stato scritto in uno striscione appeso domenica verso Fiumicino dal «Forum Palestina » e da gruppi di estrema sinistra. I fascisti di Militia Christi, che non risparmiano in antisemitismo, ne hanno messo un altro: «Lieberman: razzismo sionista». Militanti del «Forum» ieri in largo Argentina lanciavano scarpe su una foto del ministro israeliano, come fece un iracheno con G. W. Bush. Oggi Lieberman sarà ricevuto da Silvio Berlusconi. Nelle prossime tappe del suo giro in Europa, appuntamenti non sono previsti con Nicolas Sarkozy né con i capi di governo a Berlino e Praga. Fonti ufficiose fanno sapere che a porte chiuse Frattini ha suggerito di conservare l'orizzonte dei due Stati, ma nella conferenza stampa con l'ospite il ministro italiano non lo ha affermato, pur avendolo ribadita giorni fa. Si è augurato «che la pace con i palestinesi sia un obiettivo chiaro del governo israeliano ». Le posizioni di quest'ultimo appariranno più definite dopo che il premier Netanyahu, il 18 maggio, sarà andato da Obama. Lieberman ha affermato di aver scelto l'Italia come prima tappa estera perché apprezza Berlusconi e Frattini e per il boicottaggio italiano della conferenza dell'Onu detta «Durban2 ». Al collega ha chiesto una mano per migliorare i rapporti con Libia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e «alzare di livello» le relazioni con l'Unione europea. Frattini ha risposto di sì, altri nell'Ue ritengono che lo Stato ebraico debba prima procedere nel processo di pace. In mattinata Lieberman era stato all'arco di Tito, punto nel quale nel 70 d. C. vennero portati a forza ebrei e parti del Tempio di Gerusalemme conquistata da Roma. Guida, il sindaco Gianni Alemanno. Affacciati Lieberman in Campidoglio con Alemanno (Afp/Simon) Maurizio Caprara

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Sport data: 05/05/2009 - pag: 51 L'intervista I segreti della minore delle Williams: «Vorrei lasciare un messaggio, ispirare i giovani a seguire i loro sogni» «Io, Serena, Michelle Obama del tennis» «Amo la competizione e la vittoria Diventerò la più forte di sempre» ROMA Le spalle. Molto più larghe di come te le aspetti. Le cosce da centravanti, avvitate su caviglie da gazzella. E la bocca. Enorme. Non è difficile accorgersene perché Serena Jameka Williams, 27 anni, provvisoriamente numero 2 del mondo, arriva preceduta da un pantagruelico sbadiglio. «Yawn, mi scusi, dev'essere il jet lag». La mano, in proporzione, è piccola, con unghie curatissime. E la stretta lieve e svagata, da adolescente. Il ghetto di Los Angeles è lontano mille anni luce dalla vita a cinque stelle dell'unica rockstar del tennis. Eccessiva e vezzosa. Sprezzante e infantile. Dieci Slam già vinti e la netta sensazione che se ne possa prendere, quando vuole, altrettanti. Serena, c'è il rischio che lei diventi la più grande tennista di sempre. «Dice? Be', non mi dispiacerebbe!». Come trova motivazioni nuove? «Amo giocare a tennis e, ancora di più, vincere. Senza adrenalina, competizione, sudore, non potrei vivere». Il titolo a cui è più affezionata? «Il primo. Us Open '99 contro Martina Hingis. Mi aggiudicai singolo e doppio. Indimenticabile ». Chi erano i suoi miti, da bambina? «Monica Seles. Mi piaceva tutto di lei: i suoi colpi bimani, il suo stile, trovavo affascinanti persino i suoi grugniti. Non le dico come mi emozionai quando ci giocai la prima volta, nel '97 a Chicago... E poi spendevo ore in ammirazione dei poster di Mariah Carey e Janet Jackson». E oggi chi è il suo punto di riferimento? «Mia madre Oracene. È divertente, pazza, selvaggia, sincera e appassionata. È una persona molto spirituale che mi ha trasmesso i valori in cui credo». Di quali valori parla? «Onestà, fede, rispetto. Sono una donna nera e orgogliosa di esserlo». Sembra di sentir parlare Michelle Obama. «Michelle è un'icona universale, una personalità affascinante e positiva in grado di influenzare la vita di milioni di donne. La trovo meravigliosa, perfetta in tutto ciò che fa, ma se la incontrassi avrei una domanda...». Se vuole approfittarne. «Perché mai ha scelto un cane d'acqua portoghese per Malia e Sasha? I Jack Russell sono i cani più belli del mondo!». Chi le ha dato il consiglio migliore, finora? «Venus mi dà ottimi suggerimenti. Nessuna mi conosce come lei. Siamo in perfetta sintonia, vivrei con lei ovunque, anche nell'appartamento in piazza del Popolo, a Roma, che sogna di comprare. E quando ci affrontiamo in una finale dello Slam, ed è già successo sette volte, la nostra routine non cambia...». Scusa mi passi il sale, come se niente fosse. «Proprio così. A Wimbledon, l'anno scorso, facemmo colazione insieme come se stessimo per uscire a fare shopping». Il vostro segreto? «Quando credi nelle stesse cose, Dio e la famiglia, condividere il resto è facile». È innamorata? «Mmmmm... Sì». Non sembra convinta. «Di certo so che non sono pronta per il matrimonio e i figli. Anzi, dovrebbero farmi un esame prima di permettermi di andare all'altare!». La persona più carismatica che abbia mai incontrato? «Denzel Washington. Ma l'ha visto il sorriso di quell'uomo? Abbaglia! Sì, è l'essere umano più incredibilmente figo che abbia mai conosciuto ». Non resta che finire di scrivere la sceneggiatura alla quale sta lavorando e scritturarlo come protagonista. «Ottima idea. Niente è impossibile ». Ci rincuori. Ci dica che a novembre non avrà nessuna voglia di venire in Italia per la Fed Cup. «Al contrario! L'Italia è meglio di qualsiasi altro Paese. Riferisca che ci sarò, con Venus. Ovunque si giocherà». Che ricordo di sé vorrebbe lasciare a fine carriera? «Essere ricordata come la migliore non mi basta. Vorrei andare oltre, lasciare un messaggio, ispirare i giovani a seguire i loro sogni. Penso all'esempio di Nelson Mandela, ma forse è troppo...». Forse. Dinara Safina è una degna numero 1? «Sappiamo tutti chi è la vera numero 1». E allora che cosa aspetta a tornare in vetta? «A Roma comincio la stagione sulla terra, desidero far bene a Parigi dove non vinco dal 2002. Poi c'è Wimbledon, dove devo rifarmi del k.o. con Venus del 2008. È solo questione di tempo. C'mon, diciamocelo: la più forte di tutte sono io». \\ Mia madre è il riferimento, ma nessuno mi conosce come mia sorella Venus \\ Denzel Washington è l'uomo più figo che io abbia mai conosciuto Gaia Piccardi

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quando la politica e il candidato... - giovanna cosenza * (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina V - Bologna QUANDO LA POLITICA E IL CANDIDATO... GIOVANNA COSENZA * (segue dalla prima di cronaca) Anche gli slogan di Delbono potrebbero funzionare per qualunque candidato; ma il gioco sul cognome è possibile solo con lui, ed è questa la forza della campagna. Pasquino non ha potuto puntare sul cognome, ma ha ugualmente cercato il doppio senso, proponendo un sindaco «che fa bene a Bologna», dove la città è sia luogo che beneficiaria. Monteventi, dal canto suo, vuole una Bologna libera da molte cose. Giuseppina Tedde, infine, sottolinea la diversità del suo essere donna e chiama «Altra città» la sua lista civica. Ma perché questa carrellata? Per simulare su carta quello che la gente prova per strada: se va bene indifferenza, se va male nausea e rifiuto. Parole parole parole, diceva la canzone. Insomma, quest´anno i politici locali (come quelli nazionali) sembrano ammalati di sloganite. Anche a sinistra, che di solito non lo facevano. Credo sia colpa di Obama. Anch´io voglio comunicare come lui, devono aver pensato. Al che, ognuno si è industriato come ha potuto. Il problema è che gli slogan non bastano. Neppure se sono arguti. Per cominciare, ci vogliono contenuti e programmi chiari, semplici e ben calibrati sulla realtà. Poi bisogna saperli comunicare, certo, ma non basta moltiplicare slogan e affissioni: occorre coinvolgere i cittadini nella costruzione dei programmi, farli discutere, partecipare. E per ottenere questo bisogna sapersi muovere in una grande varietà di mezzi e modi: dalle apparizioni tv ai discorsi in piazza, da Internet (sito, blog, facebook) alle visite nei quartieri. è questo il senso profondo della lezione di Obama: la buona politica oggi funziona così, multimediale e multimodale. Multitutto. E confrontare i nostri candidati con Obama non è mischiare la lana con la seta: anche i bolognesi – ci scommetto – sceglieranno il sindaco che con più perizia, passione e coerenza sarà andato in quella direzione. *Dipartimento di Discipline della Comunicazione www.giovannacosenza.it

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"perché le torture?" così un bambino inchioda la rice - vittorio zucconi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 16 - Esteri "Perché le torture?" così un bambino inchioda la Rice Condi in imbarazzo tra gli alunni delle elementari Il bimbo è parso poco soddisfatto della risposta dell´ex consigliere di Bush Il piccolo si chiama Misha Lerner, figlio di immigrati russi, nove anni VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - I bambini. Sono sempre i bambini a scoprire che il re è nudo, anche se in questo caso nuda era la ex regina della diplomazia americana, Condi Rice, costretta a spiegare, senza successo, che cosa sia la tortura ai fanciulli. Eppure, le insegnanti della quarta elementare raccolti nella Sinagoga di Washington erano state accuratamente indottrinate dal direttore, quando avevano saputo della visita che l´ex segretaria di stato Condoleezza Rice avrebbe fatto alle classi, e le maestre avevano preparato i bambini, preselezionando le domande che avrebbero potuto rivolgere all´illustre ospite, per non metterla in imbarazzo. Questa visita a una scuola elementare ebraica era la prima «rentrée» pubblica della Rice nella capitale che l´aveva vista per quattro anni al timone della politica estera nazionale, e altri quattro come massima consigliere per la sicurezza nazionale, al fianco del Presidente Bush, e dunque l´incontro con gli scolaretti voleva essere un ritorno morbido sulla scena. Ma poi spunta il solito bambino, quello con la mano alzata fino a quando non gli danno retta. «Che cosa pensa delle cose che Obama sta dicendo dei metodi di interrogatorio usati dal Presidente Bush?» domanda Misha Lerner, figlio di immigrati russi, dall´alto dei suoi nove anni, sotto lo sguardo terrorizzato della madre e delle insegnanti che lo avevano convinto a non usare almeno la parolaccia proibita - «tortura» - come lui avrebbe voluto fare. Ma tutti, Rice per prima, avevano capito benissimo a che cosa alludesse e l´ex segretaria di Stato ha dovuto remare. «Il nostro dovere, carino, era quello di proteggere l´America dopo l´11 settembre», «fare tutto quello che si poteva fare», «ma niente che non fosse autorizzato dal Presidente e quindi legale». Poi, un po´ più lamentosa: «Spero che tu capisca, Misha, che tutta la nazione capisca che noi stavamo soltanto cercando di proteggere la nazione». Misha si è rimesso a sedere, poco soddisfatto dalla risposta che non ha risposto, come poi dirà la madre, piccola voce bianca di una nazione intera che ancora cerca di capire perchè l´America «che non tortura», l´America che si immagina migliore del resto del mondo e immune da pratiche indecenti, abbia torturato quei prigionieri. E si chiedono se anch´essa possa scivolare nei comportamenti che sempre rimprovera agli altri, purchè i massimi dirigenti del governo dichiarino essere legale quello che legale non è, soltanto perchè così vogliono. E la Rice non sa davvero che cosa rispondere, oltre la formula classica del «lo abbiamo fatto per il vostro bene». Pochi giorni prima dell´incontro con gi scolaretti delle elementari a Washington, aveva dovuto affrontare i meno teneri studenti dell´università di Stanford, in California, che l´avevano rosolata sul punto chiave del caso torture, sulla falsa dottrina, cara a Bush, della legalità definita dal sovrano. La tesi del «tutto ciò che è presidenziale è legale» sostenuta dalla Rice a Stanford e poi ripetuta ai bambini, non convince, fa paura, in una nazione che ancora crede ai limiti del potere esecutivo e che ricorda come questa fosse stata esattamente la «dottrina Nixon» quando cercava di salvarsi dal processo di impeachment e dalle dimissioni forzate. Non persuade neppure Obama e i suoi, che si contorcono in questi giorni fra la rivelazione delle torture inflitte ai prigionieri, certamente illegali, e il timore di aprire una Norimberga, un processo formale a chi le volle, come Bush e il suo burattinaio Cheney, a chi le accettò e le fece passare, secondo la classica formula dell´»ubbidire agli ordini», come la Rice o il direttore della Cia Goss, riaprendo una piaga infetta. «Il passato è passato, non camminiamo con la testa voltata all´indietro» invocava Peggy Noonan, una delle voci più moderate della generazione reaganiana, mentre Dick Cheney, l´oscuro principe del regno Bush, è tornato inopportunamente a ringhiare in pubblico per difendere quella pratiche di interrogatorio, come l´annegamento simulato, il waterboarding già entusiasticamente praticato dai Santi Inquisitori su eretici e marrani, che sono inequivocabilmente torture. Quello che in realtà tutti vorrebbero, dal team Obama agli ex bushisti meno fanatici come la Rice, sarebbe ammettere il peccato ma senza mandare al rogo i peccatori, voltare pagina, giustificarsi con lo stato di emergenza e di panico nelle ore dopo l´11 settembre. Ma ci sono sempre i bambini, come Misha, o i vecchi che si comportano da bambini, come il capriccioso Cheney, che non vogliono star buoni e scuotono gli scheletri dagli armadi. Alla fine della visita alla scuola elementare, la Rice è andata a cercare quel bambino che l´aveva messa in difficoltà come mai neppure i Putin, gli Chirac o i Blair avevano fatto e ha voluto farsi fare una foto con lui, che sorrideva imbarazzato, ma poi l´ha abbracciata, perchè nove anni sono nove anni.

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"quell'auto sembrava sospetta" tra i soldati dopo la tragedia di herat - giampaolo cadalanu (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri "Quell´auto sembrava sospetta" tra i soldati dopo la tragedia di Herat Il padre della ragazza uccisa aveva azzardato uno strano sorpasso Il comandante del contingente ha incontrato i familiari della giovane vittima GIAMPAOLO CADALANU DAL NOSTRO INVIATO HERAT - I militari guardano il cartello rosso appeso sul retro del blindato Lince e scuotono la testa. C´è disegnata una figura umana con la mano alzata in segno di "stop" e una grande scritta in lingua dari: «Tenetevi lontano». Sotto c´è l´immagine di un mezzo militare e di un´auto civile, con l´indicazione della distanza obbligatoria. Serve ad avvertire gli automobilisti che non devono accostarsi ai convogli. Ma domenica non è servita. Non sono serviti neanche i volantini distribuiti nei mesi scorsi dalle forze Isaf, che dicevano: «Guida con attenzione. Pensaci». Il giorno dopo la tragedia, nella testa di tutti i militari italiani c´è una sola domanda: com´è potuto succedere? A Camp Arena fra i paracadutisti della Brigata Folgore l´aria è tetra. C´è la coscienza che l´incidente sulla Ring road e l´uccisione della giovanissima Behnooshahr Wali per mano di un mitragliere italiano possono intaccare il rapporto costruito con i locali nella provincia di Herat. Il comandante del contingente, Rosario Castellano, ha fatto quello che da lui ci si aspettava, contattando le autorità locali ma anche la famiglia della bambina. Le formule sono quelle di rito: cordoglio, rammarico, forse un primo accenno a possibili risarcimenti. Ma quello che conta, per i militari italiani, è cercare di ricostruire un rapporto prezioso. «La comunità percepisce che è stato solo un disgraziato incidente», dice il portavoce Marco Amoriello. «C´è un´inchiesta della magistratura (il fascicolo, ancora senza ipotesi di reato, è stato aperto dalla procura di Roma, ndr), non possiamo dire nient´altro fino alle sue conclusioni». Poi però fra la truppa vince la voglia di spiegarsi, di sottolineare di nuovo che gli italiani sono in Afghanistan per aiutare, non per uccidere. Filtra qualche particolare in più: la Toyota Corolla della famiglia Wali era in fila, la quarta dopo altre tre auto. Incrociando la colonna italiana che veniva da Camp Stone, le altre vetture hanno accostato a destra, ma Ahmad Wali ha deciso di sorpassare. La pioggia limitava la visibilità e quando l´afgano ha notato il convoglio era troppo tardi. Altri militari fanno osservare che la ricostruzione ufficiale dell´incidente non è in conflitto con le foto che mostrano il lunotto distrutto e fori di proiettile nella parte posteriore della fiancata. La spiegazione è semplice, suggerisce un veterano: chi ha ormai deciso di sparare, con l´auto arrivata a dieci metri, non può che sparare una raffica intera. L´ipotesi di uno sciagurato errore appare l´unica presa in considerazione anche dagli afgani: «Non c´è stata nessuna manifestazione» dice Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera in visita a Herat. Ma forse ha un ruolo anche il tradizionale fatalismo afgano e la coscienza che il Paese è tutt´altro che pacificato. Ieri la France Presse segnalava 29 attentati, legati all´approssimarsi delle elezioni presidenziali, il 20 agosto. E proprio ieri Hamid Karzai ha depositato la sua candidatura, partendo poi per Washington alla ricerca di una "ricucitura" con la nuova amministrazione americana. Lo staff di Obama ha già segnalato scarso entusiasmo per l´ipotesi di una riconferma di Karzai. Ma per ora alternative forti non sono comparse.

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misha lerner (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri Domanda e risposta Misha Lerner Condi Rice Il nostro dovere, carino, era quello di proteggere l´America dopo l´11 settembre Spero che tu capisca Cosa pensa di ciò che dice Obama dei metodi di interrogatorio usati dal presidente Bush?

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germania, salvi 3 impianti su 4 e il marchio non sarà cancellato - paolo griseri (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Economia Germania, salvi 3 impianti su 4 e il marchio non sarà cancellato Ma ci saranno sacrifici per il personale del settore motori Nonostante gli incentivi, il mercato ad aprile è sceso del 7,5 per cento PAOLO GRISERI TORINO - Diventare la costola occidentale di un costruttore russo o entrare a far parte di una delle maggiori aziende di auto dell´Occidente. Questo è il dilemma tedesco di fronte alle offerte contrapposte del Lingotto e dell´alleanza tra gli austriaci di Magna e i russi di Gaz. Dilemma non nuovo in una nazione divisa tra Est e Ovest per quasi mezzo secolo. Entrerà anche questo nella trattativa tra Torino, Vienna e Berlino che promette di definirsi nella settimana che va dal 24 al 31 maggio, vale a dire all´indomani delle elezioni tedesche e prima della scadenza fissata da Obama per il salvataggio della Gm. Il piano presentato ieri da Marchionne avrà bisogno di ulteriori dettagli. Ma nelle sue grandi linee è abbastanza chiaro: garantire gli stabilimenti di assemblaggio finale e risparmiare in quelli che realizzano componenti. Così l´ad di Torino salva i tre stabilimenti tedeschi di Eisenach, Bochum e Russelsheim dove nascono le auto Opel ma non quello di Kaiserlautern dove si costruiscono i motori. Tre stabilimenti sui quattro che occupano in tutto 25 mila addetti. Secondo la filosofia che era già stata applicata ai tempi dell´alleanza con Gm: mantenere distinto ciò che appare, come i marchi che sarebbe un errore abolire, e unificare ciò che non si vede in quel grande retrobottega che sono diventati gli stabilimenti di produzione dei componenti, dai motori alle altre parti meno nobili dell´automobile, dove spesso tutti producono per tutti. Infatti l´eventuale riduzione del numero degli addetti a Kaiserlautern si può spiegare con il fatto che Fiat e Gm Europa hanno già in corso una produzione comune di motori nello stabilimento polacco di Bielsko Biala, dove vengono realizzati i propulsori della 500 e della Panda e dove viene costruito, insieme a Opel, il motore 1.300 diesel. In realtà a temere maggiormente l´effetto dei tagli potrebbero essere i dipendenti degli stabilimenti Opel fuori dalla Germania che non godono dell´ombrello protettivo dei rispettivi governi. Che la capacità produttiva installata in Europa sia del trenta per cento superiore alle necessità (e che dunque si fosse alla vigilia di duri tagli di organico) era un dato già noto prima che la crisi facesse sentire i suoi effetti. E non è assolutamente detto che, cessata la tempesta, i mercati dell´auto tornino in Occidente agli stessi livelli che avevano due anni fa. Ieri, nonostante gli incentivi, il mercato dell´auto italiano è sceso del 7,5 per cento mentre i marchi del gruppo Fiat sono scesi del 3 rispetto all´aprile 2008, aumentando di conseguenza al 35,2 per cento la loro quota in Italia. A far scendere il mercato è stata anche la scarsa disponibilità di modelli ecologici letteralmente trascinati dagli aiuti statali. Fatto curioso visto che dall´autunno scorso molti impianti sono rimasti fermi in cassa integrazione. In ogni caso il nuovo calo dei mercati è un campanello d´allarme per chi sta trattando fusioni come quella tra Fiat e Opel.

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marchionne vola in america da gm e chiede aiuto ai governi della ue - salvatore tropea (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 7 - Economia Marchionne vola in America da Gm e chiede aiuto ai governi della Ue L´ad si candida a guidare un gruppo da 80 miliardi. Ft parla di un piano B con Peugeot e Bmw SALVATORE TROPEA TORINO - Un intervento strutturato degli Stati interessati in grado di alleggerire il peso dei debiti che schiacciano l´azienda tedesca: è questo il passaggio stretto attraverso il quale la Fiat può arrivare all´annessione della Opel dopo la Chrysler. Non è una strada in discesa anche perché nella partita dell´auto, fortemente politicizzata, sono chiamati in causa i governi e fanno sentire sempre di più la loro voce preoccupata i sindacati. Ma è quella che Sergio Marchionne sta seguendo passo dopo passo verso la realizzazione del suo progetto mirato alla costruzione di un colosso da 6 milioni di vetture all´anno e 80 miliardi di fatturato. Convinto che il bandolo della matassa sia ancora sull´altra sponda dell´Atlantico, ieri l´ad del Lingotto, dopo i colloqui di Berlino, è ripartito per l´America. Lo ha fatto portandosi come viatico un verdetto della Borsa che, con un aumento dell´8 per cento del titolo, sembra premiare la sua strategia. Ad attenderlo tra Washington e Detroit, i suoi collaboratori con i quali oggi riprenderà a tessere la tela delle alleanze con al centro la Opel. Perché se è vero che il negoziato sul futuro di questa azienda si svolge in Europa è altrettanto vero che l´ultima parola spetterà alla casa madre di Detroit ovvero a quella Gm che entro il 31 maggio, con un piano credibile, dovrà convincere l´amministrazione Obama di meritare i finanziamenti da cui dipende la sua sopravvivenza. Questo piano, che ieri Marchionne ha portato a Berlino, prevede una soluzione che coinvolge i governi europei i quali, sul modello adottato in Usa per la Chrysler, dovranno garantire finanziamenti a un tasso competitivo e accollarsi parte dell´esposizione dell´azienda verso i fondi previdenziali. A questo proposito c´è un precedente dell´Inghilterra in occasione del passaggio di Jaguar e Rover al gruppo indiano che fa capo a Ratan Tata. Senza questo supporto pubblico è difficile che Marchionne o chiunque altro si avventuri nell´operazione Opel per dire un´azienda che si porta dietro un bagaglio di oltre 15 miliardi di debiti. Ieri sono circolate delle cifre anche in relazione alla cordata alternativa a Fiat ovvero all´austro-canadese Magna assieme alla russa Gaz dell´oligarca Deripaska che però, a giudicare da quanto sostengono i vertici della stessa Magna, non andrebbe più in la di una collaborazione. Ciò vuol dire che il Lingotto resta ancora il solo protagonista. Con riferimento al tentativo di chiudere il cerchio con Opel dopo quanto fatto con Chrysler, Marchionne ha detto al Financial Times che si tratta di un´operazione perfetta «dal punto di vista ingegneristico e industriale». A costo zero? E´ possibile che sia così almeno nella prima fase anche perché, visto lo stato di salute finanziaria dell´azienda e tenuto conto delle intenzioni di Obama di muoversi solo per salvare gli impianti americani e, per ragioni politiche quelli dislocati in Cina, il primo giugno Opel potrebbe trovarsi senza nessun paracadute. Il problema delle risorse finanziarie per Fiat si porrà dopo la conquista di Opel, nella fase di risanamento e rilancio. A quel punto il discorso della riorganizzazione industriale avrebbe un costo e potrebbe coinvolgere anche le aziende italiane del Lingotto ed è questa la ragione per la quale i sindacati continuano a sollecitare un incontro con l´azienda e con il governo. E´ in questa prospettiva che l´ad del Lingotto ha messo in piedi il progetto dello spin off di Fiat Group Automobiles in una società quotata in Borsa che conta di realizzare entro l´estate e che verosimilmente sarà da lui guidato. Non è un caso, infatti, che egli abbia annunciato l´intenzione di non ricandidarsi in Ubs. «Non posso fare tutto» a detto a Ft, pensando di rinunciare alla carica di vicepresidente. Dunque al momento il suo obiettivo è la Opel, in alternativa alla quale sempre Ft ripropone l´alleanza di Fiat con Peugeot e Bmw. Un piano B di riserva che il Lingotto continua a smentire decisamente.

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obama contro i paradisi offshore "scoveremo gli evasori fiscali" - vittoria puledda (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 26 - Economia Obama contro i paradisi offshore "Scoveremo gli evasori fiscali" Norme più severe per recuperare 210 miliardi in 10 anni Le banche americane a caccia di nuovi capitali, dopodomani l´esito dello stress test VITTORIA PULEDDA MILANO - Lotta a tutto campo all´evasione fiscale e all´elusione che consente di non pagare le tasse. Parola del presidente Usa Barack Obama, che ieri ha dichiarato guerra alle «scorciatoie contenute in un codice delle imposte scritto da lobbysti, per tutelare interessi particolari», sfruttando i paradisi fiscali. «A nessuno piace pagare le tasse, soprattutto in tempi di crisi, ma la maggior parte degli americani rispetta gli obblighi», ha detto Obama, presentando nuove norme fiscali (che entreranno in vigore dal 2011) e da cui il governo si aspetta di recuperare 210 miliardi di dollari in dieci anni. «Diciamo basta ad agevolazioni indifendibili», ha aggiunto il segretario al Tesoro Timothy Geithner, ricordando che un mese fa a Londra il G20 ha raggiunto un accordo per agire contro i paradisi fiscali e sottolineando che una decina di paesi, Svizzera e Lussemburgo compresi, si sono impegnati a adottare standard internazionali. Un riferimento non casuale: da mesi l´amministrazione ha avviato un braccio di ferro con l´elvetica Ubs per ottenere i nomi dei cittadini Usa potenziali evasori. Nel mirino di Obama sono finite in particolare le regole che consentono di nascondere all´ufficio delle entrate il ruolo giocato dalle controllate estere nel far defluire gli utili verso regimi fiscali particolarmente favorevole. Solo da questa voce, il presidente americano conta di recuperare circa 95,2 milioni (sempre spalmati su dieci anni). Stop anche alle deduzioni per chi sposta unità produttive all´estero: 103,1 miliardi di risparmi, che per tre quarti andranno a costituire un «credito d´imposta permanente per gli investimenti in ricerca e innovazione negli Usa». In queste ore l´amministrazione Obama è impegnata anche nella valutazione degli stress test cui sono state sottoposte 19 banche americane. I risultati ufficiali verranno resi noti solo giovedì, ma nel frattempo si fanno sempre più intense le voci che danno molti colossi del credito alla ricerca di nuovi capitali. Tra questi - scrive il Financial Times on line - Bank of America e Citigroup avrebbero bisogno di 10 miliardi di mezzi freschi ciascuno (anche se Bofa ha smentito le indiscrezioni). Citigroup, invece, starebbe studiando formule intermedie, per convertire solo in parte le azioni preferred in mano allo Stato ed evitare così di essere nazionalizzata, mentre starebbe cercando capitali privati per irrobustire i ratio patrimoniali. Il Wall Street Journal, dal canto suo, scrive che le autorità Usa hanno chiesto anche a Wells Fargo di rafforzare il capitale. Il governo, comunque, non chiederà al Congresso l´impiego di nuovi fondi pubblici per sostenere le banche che hanno bisogno di più liquidità. Lo ha chiarito il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs secondo cui ora «il primo e il miglior luogo per reperire capitali sia il settore privato». In queste ore, i principali istituti stanno continuando a dialogare con la Fed sui risultati (e le conseguenze) degli stress test. Che, a detta del guru di Wall Street, Warren Buffet, non sarebbero così attendibili: «Leggendo i risultati dei test - ha detto - si ha l´impressione» di un approccio «non molto sofisticato».

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i voli low cost diventano sempre più spartani (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 27 - Economia I voli low cost diventano sempre più spartani Non è difendibile che il governo di un solo Paese abbia la supervisione di Internet che viene usato da milioni di persone in tutto il mondo. Ho fiducia in Obama,prepari la nuova governance LONDRA - Sui suoi voli i posti non sono pre-assegnati e i passeggeri siedono dove vogliono, cibo e bevande vengono pagati come extra, si parla anche di far pagare un euro a passeggero per andare alla toilette e di introdurre una «tassa sul grasso» per i passeggeri obesi, che pesano troppo e invadono lo spazio del vicino. Ma l´ultima inziativa della Ryan Air è ancora più drastica: eliminare il check-in negli aeroporti. Dal prossimo ottobre saranno possibili soltanto facendo un check-in online su Internet almeno 24 ore prima della partenza. La scomparsa dei banconi del check-in, insieme a misure per costringere i passeggeri a portare meno bagaglio a bordo, farà risparmiare all´azienda irlandese, tra riduzioni del personale e taglio di strutture negli aeroporti, 50 milioni di euro l´anno, «un grande supporto alll´attivo», in un anno difficile per tutti in cui la Ryan Air si aspetta di realizzare comunque da 60 a 80 milioni di euro di profitti. Enrico Franceschini [La germania e il fisco] BERLINO - La guerra sul fisco di domani spacca la CduCsu, il potente partito della cancelliera Angela Merkel. A cinque mesi dalle elezioni politiche, il problema è serio nei ranghi della Dc tedesca. Da un lato Merkel insiste convinta della necessità di prevedere e proporre sgravi fiscali almeno a medio termine. Dall´altro i governatori cdu di tre dei sedici Stati tedeschi la contestano. Due sono dell´est, ma il terzo è occidentale, lo Schleswig-Holstein. Le loro obiezioni sono semplici e solide: meglio non fare promesse poi non mantenibili, tra crisi economica, disoccupazione e pacchetti di aiuti all´economia, non vediamo margini per sgravi tributari. Le prognosi di gettito fiscale del ministero delle Finanze (guidato dal socialdemocratico Peer Steinbrueck) danno ragione ai governatori ribelli: la crisi economica ridurrà gli entroiti tributari tedeschi di qualche centinaio di miliardi di euro. Andrea Tarquini

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tumori e malattie ereditarie ecco le terapie della speranza - (segue dalla copertina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 37 - Cronaca Per Umberto Veronesi la conoscenza dei geni ha già dato risultati straordinari in medicina Tumori e malattie ereditarie ecco le terapie della speranza Ma la genomica apre il dibattito su questioni etiche che la società deve affrontare (SEGUE DALLA COPERTINA) Per l´uomo, dalla conoscenza dei geni delle malattie ereditarie si è sviluppata la medicina predittiva in grado di evitare l´insorgenza stessa delle malattie. Abbiamo la possibilità di effettuare diagnosi preimpianto e diagnosi prenatali che offrono l´opportunità anche a chi è portatore di una malattia genetica di non trasmetterla ai propri figli, salvando esistenze straziate da patologie devastanti. Abbiamo fatto progressi rilevanti nello studio di queste malattie fino a ieri senza speranza, per le quali si apre lo spiraglio della terapia genica, e delle patologie degenerative, per le quali la clonazione delle cellule staminali embrionali, già sperimentata negli animali, è oggi la più realistica prospettiva di salvezza. Nella lotta al cancro, il Dna ha aperto nuove possibilità di ricerca molto concrete. Se è vero che la causa dei tumori è al 90% nell´ambiente, è vero anche che i fattori ambientali creano un danno al Dna, che può essere riparato. Oggi possiamo conoscere il profilo genico delle cellule tumorali, informazione molto preziosa per la diagnosi precoce e per le terapie personalizzate. è nata infatti la farmacogenomica che si occupa della creazione di farmaci meno tossici, che abbiano come bersaglio esclusivo le cellule tumorali, in quanto hanno un genoma alterato. Già ce ne sono in uso almeno una decina, anche in combinazione con i farmaci tradizionali. Ancora i geni sono la piattaforma di studio per la nutrigenomica, la scienza che indaga come combinare il profilo genetico individuale con i cibi, per arrivare a un´alimentazione protettiva per le principali malattie, o addirittura terapeutica. Oppure per la medicina forense, che con l´esame del Dna, aiuta la giustizia ad identificare gli autori dei crimini. Tutto questo non impedisce che il mondo inizi a chiedersi se le aspettative di dieci anni fa circa la rivoluzione del Dna siano state in parte disattese e se le grandi promesse di malattie sconfitte e calamità debellate, rimarranno tali. Io credo di no. Perché in realtà sono tante le conquiste del Dna e una sola la colpa: di aver infranto nelle menti il mistero affascinante delle nostre identità, del nostro corpo, del nostro carattere, della nostra e delle altre vite. Un duro colpo inferto all´intero sistema culturale che per secoli ha retto il mondo più evoluto. E c´è una colpa anche di noi uomini di scienza, che abbiamo sinceramente pensato che l´accelerazione della ricerca scientifica sarebbe stata fortissima e immediata. Abbiamo fatto male i conti, però, con i freni degli investimenti - la ricerca genomica si basa su tecnologie costosissime e non facili da applicare - e, appunto, con quelli del pensiero. Il messaggio sconvolgente della decodifica del genoma è infatti che, per l´uomo come per un virus o la mosca, un elefante un filo d´erba, la vita ha lo stesso primo punto di partenza: quella identica struttura del Dna, formata da quattro basi azotate, che si comportano come le quattro lettere (a,c,g,t) di un alfabeto semplicissimo, e che, combinandosi fra loro, scrivono il libro della vita, qualsiasi forma di vita. Come conciliare questa realtà con l´idea di un uomo Signore dell´Universo, unica creatura a immagine e somiglianza di Dio? E, poiché se tutti i geni degli esseri viventi sono uguali , allora si possono trasferire da un organismo all´altro ( da un uomo ad un altro uomo , ma anche da un uomo a una pianta o a un batterio) quale etica spiegherà che l´uomo è in grado di intervenire su ogni forma di vita, anche la sua, fino a crearla artificialmente o riprodurla per clonazione? La possibilità di conoscere e modificare la struttura biologica pone la società di fronte a responsabilità pesantissime e le prime ricadute pratiche della rivoluzione del Dna hanno già provocato fratture profonde. Pensiamo ai vincoli alla fecondazione assistita, imposti in Italia agitando lo spettro dell´eugenetica , o allo stop alla ricerca sulle cellule staminali embrionali in molte parti del mondo, che solo recentemente il presidente Obama ha cancellato. Se dunque, dopo dieci anni, la scienza, pur fra ostacoli e battute d´arresto, non ha dubbi sulla via del Dna, molto più incerta è la società. E il problema non è quel farmaco mai arrivato al malato o quella nuova cura non ancora realizzata, ma un disagio più profondo che deriva dall´incapacità di elaborare un nuovo sistema di pensiero e valori, che tenga conto del fatto che l´uomo ha poteri diversi, più estesi, sulla vita e sulla morte Per questo il vero dibattito sulla genomica nei prossimi dieci anni non è una questione scientifica, ma dovrebbe scendere nell´agorà, entrare nelle famiglie, essere oggetto di dialogo fra genitori e figli e di confronto fra opinioni e generazioni diverse. La Conferenza di Venezia sul futuro della scienza, "The Dna Revolution", incentrata sui problemi etici, sociali e filosofici legati alla rivoluzione del Dna, vuole essere un contributo in questa direzione.

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toni morrison - new york (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 45 - Cultura Toni morrison Intervista / Esce oggi "Il dono", nuovo romanzo del nobel "la mia supplica contro lo schiavismo" nel mondo dei vinti In questa storia ambientata nel 1680, una donna regala sua figlia a un mercante sperando di garantirle una vita "La pietà è una forma d´amore che rende meno penosa l´esistenza" "Updike ha torto: ho ammirato Faulkner, ma non mi ha influenzata" NEW YORK Il nono romanzo di Toni Morrison, in uscita oggi in Italia da Frassinelli con il titolo Il dono e la traduzione di Silvia Fornasiero (pagg. 192, euro 17.50), affronta nuovamente l´abominio della schiavitù, ma con una prospettiva ribaltata rispetto ad Amatissima. Nel suo libro più celebre e potente, l´autrice raccontava la scelta tragica di una donna che arrivava ad uccidere la propria figlia pur di non farla diventare una schiava. Invece, nel Dono, ambientato nel 1680, una donna dona la figlia ad un mercante, nella speranza di garantirle una vita in un mondo devastato da una terribile epidemia di vaiolo. Il tragico paradosso della vicenda trasforma quindi un atto terribile in un gesto di pietà (è questo il titolo originale: A Mercy), e lancia un´ombra raggelante su una società giovane dominata dalla violenza e l´ingiustizia, convinta di esser civile ma con fondamenta già marce. Il libro, che è stato definito dal New York Times "una gemma scintillante" e dal Washington Post un "piccolo e ricco capolavoro", è uscito negli Stati Uniti a pochi giorni di distanza dall´elezione di Barack Obama, al quale la Morrison ha scritto una lettera nella quale ha stigmatizzato come un «errore enorme identificare l´"affermative action" come qualcosa che ha a che fare con la gente di colore». «Ne sono convinta, e credo che sia giusto che ne abbia coscienza chiunque», racconta nel suo ufficio newyorkese l´autrice che ha vinto il Nobel nel ´93. «La norma che prevede di assumere a parità di condizioni chi proviene da una minoranza ha avuto affetti importanti, ma oggi il vero problema è quello della miseria. La povertà si ciba di razzismo e lo scatena, e mai come ora è necessario fare gesti forti. Oggi in America il numero dei bianchi in welfare è superiore a quello dei neri, ma c´è ancora il rischio della propaganda che tende ad identificare i neri con i poveri». Lei ha dichiarato di aver voluto descrivere un mondo «precedente al momento in cui la schiavitù è stata legata imprescindibilmente con il dato razziale". «In America razzismo e schiavitù hanno rappresentato due facce della stessa medaglia, ed è stata istituzionalizzata per proteggere deliberatamente la classe dominante: il lavoro non pagato rappresentava uno dei pilastri del benessere e della "civiltà"». A partire dall´incipit "Non aver paura", uno dei temi principali è quello della costante situazione di paura e incertezza in cui si trovano i protagonisti. «è proprio così, e non mi riferisco solo ai personaggi che descrivo. Non è un caso che nel finale chi ascolta quelle parole dice l´opposto: "hai paura". Il libro nasce da una supplica ed evolve in maniera intima, forse spirituale». Un altro tema centrale è quello delle persecuzioni religiose. Si può leggere un riferimento ai nostri tempi? «Non era la mia intenzione primaria, ma non sono contraria al fatto che faccia riflettere. Il Maryland nasce come un´enclave nella quale i cattolici sfuggivano alle persecuzioni puritane. In seguito la situazione si è complicata ed è degenerata. Oggi il tema della religione è centrale: penso alle degenerazioni come il fondamentalismo, ma anche all´opposto: la solidarietà, l´apprezzamento di un´armonia che rivela la trascendenza, la costruzione di qualcosa di meraviglioso come una cattedrale». Il mondo che descrive sembra incapace di provare pietà, e l´epidemia di vaiolo appare come una piaga biblica. «Il nuovo mondo era per molti versi già antico, forse eterno. Un luogo nel quale uomini e donne provenienti da ogni parte del mondo trovavano una terra incontaminata nella quale hanno scatenato i loro istinti primordiali. Svedesi, francesi, olandesi e, prima degli stermini, almeno venti milioni di nativi». L´unica rivoluzione possibile sembra quella della pietà. «Si tratta di una forma di amore che consente di rendere più sopportabile e meno penosa l´esistenza. Uno degli elementi più orribili della schiavitù consisteva nella separazione violenta tra genitori e figli. Florens chiede un miracolo, e troverà la pietà». In una delle sue ultime recensioni John Updike ha citato Faulkner. «è una influenza molto minore di quanto possa immaginare, anche se si tratta di un autore che ho ammirato enormemente, in particolare per il talento con cui sapeva immortalare il linguaggio del Sud. Mi hanno affascinato anche i suoi temi, al punto che la mia tesi di laurea è stata sul modo in cui ha rappresentato il suicidio in rapporto a Virginia Woolf. Per il primo è debolezza e abbandono, per la seconda una scelta forte». Lei ha dichiarato: "Mio padre non credeva ad alcun bianco e non li faceva neanche entrare in casa. Ma per fortuna mia madre era completamente diversa". «Da bambino mio padre ha assistito con i propri occhi a numerosi linciaggi nel proprio quartiere. Per tutta la vita rimaneva sconvolto non appena vedeva un gruppo di bianchi. Mia madre non ha avuto questa esperienza, ma c´è da dire che lei non è mai più tornata nel posto dove era cresciuta, mentre mio padre andò ripetutamente in quei luoghi segnati da atrocità». Quando Obama è stato eletto lei ha detto che la sua "immaginazione creativa, accoppiata alla brillantezza, porta alla saggezza". Qual è la sua valutazione dopo i primi cento giorni? «Estremamente positiva: sta prendendo decisioni impopolari e questo è segno di forza. Molta gente ha paura di esserne sedotta e non dimentichi le incredibili aspettative che ha generato. Ho settantasette anni e non ho mai visto nulla di simile. Ma si tratta di un presidente e non di un re». Alcune scelte di politica estera sono molto più simili a quelle di Bush di quanto in molti si potessero aspettare. «Non mi sembra che abbia smentito quello che aveva detto in campagna elettorale. Ma bisogna aggiungere: hai sentito cosa dicono i nostri nemici di noi? Cosa minacciano, non solo contro l´America? La novità oggi è che grazie a questo presidente oltre alla minacce c´è, forse, una timida apertura al dialogo».

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diventa - vittorio zucconi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 46 - Cultura DIVENTA Un saggio fra economia e psicologia gentile se lo stato Arriva in Italia "Nudge" il best seller che spiega la dottrina, fatta propria da Obama, per indurre i cittadini a scelte corrette Grazie a una "spintarella" Autori del libro sono l´economista Richard Thaler e il costituzionalista, Cass Sunstein, ora nello staff della Casa Bianca VITTORIO ZUCCONI a salvezza sarà la "spintarella". No, non l´odiosa pratica della raccomandazione, dei favori, del concorso truccato, che distorce l´economia e deprime il merito. Sarà il "Nudge", la gentile, ma convincente spinta a fare le scelte giuste, senza imporle, che due autori americani, l´economista della scuola di Chicago, Richard Thaler, e il costituzionalista di Harvard, Cass Sunstein, hanno teorizzato in un libro che non ha soltanto venduto bene, ma è divenuto uno dei testi che Barack Obama ha letto e riletto, portandolo con sé durante la campagna elettorale. E trovandolo convincente al punto di chiamare proprio Cass Sunstein a divenire lo "zar" delle nuove regole, colui che nei prossimi mesi dovrà ridisegnare l´edificio delle regole del gioco economico nazionale, devastate nel casinò di Wall Street. (Il libro esce giovedì in Italia: Nudge. La spinta gentile, Feltrinelli, pagg. 284, euro 16, traduzione di Adele Oliveri). La "dottrina della spintarella" educata e gentile ha il fascino necessario dell´essere "post" tutto e insieme un cocktail genetico di tutti gli organismi estinti, falliti o in via di estinzione, dei modelli sociali economici spazzati dalla scopa della storia. Thaler, che pure viene dalla scuola di Chicago fatta grande dai liberisti e monetaristi ideologici da Hayek a Friedman, non crede più alla capacità miracolosamente autoregolante del mercato. Sunstein, che accanto alla sua formazione di costituzionalista coltiva e studia le teorie del comportamento umano, era addirittura un supporter di Bush e di Greenspan, prima di convincersi che la libertà di scelta e di "ricerca della felicità" garantita dalla Costituzione può condurre a scelte disastrose per l´individuo e per la collettività. Ecco allora la formula della spinta garbata, non la mano pesante dello "Stato mamma" che pianifica e predetermina le decisioni, condiziona e indirizza gli investimenti, ma convince, salvando l´autonomia e la libertà di tutti, a modificare comportamenti e fare le scelte migliori. è l´atteggiamento del buon padre, della madre saggia, del docente illuminato, in fondo socratico, che non dice all´allievo o al figlio "devi tornare a mezzanotte", ma che mette il proprio soggetto in condizione di capire che rientrare a mezzanotte e non fare la notte in bianco è meglio, più divertente, più utile. Lo hanno chiamato "liberismo paternalista", in un apparente ossimoro che il nuovo signore delle regole nel tempo di Obama spiega con uno di quegli esempi concreti e divulgativi che l´accademia americana adora e impiega, libera da quei complessi da iniziati che spesso opprimono la letteratura professorale italiana. «In America non si risparmia abbastanza - dice - perché gli americani faticano a vedere il vantaggio del risparmio. Basterebbe che le aziende offrissero ai dipendenti un programma nel quale dal loro stipendio viene prelevata progressivamente una trattenuta più alta con il crescere dello stipendio, accantonata a tassi sempre migliori. Nelle società che ci hanno provato, il grado di risparmio è triplicato». Siamo, dice il "behaviourista" in lui, animali notoriamente abitudinari e condizionabili. Lo sanno i casinò, che da tempo conoscono l´architettura del gioco e studiano arredamenti e percorsi nei quali noi topolini smarriamo il senso del tempo e del luogo e siamo indotti a giocare. Dunque, perché non applicare alla vita quotidiana quella che Thaler e Sunstein battezzano "l´architettura della scelta"? «Immaginate la caffetteria di una scuola o il bancone di un buffet. La prima cosa che chi entra vede sono le patate fritte, gli hamburger, la pancetta, mentre frutta, verdura, cibi sani sono spesso i più lontani. Vi garantisco che chiunque, anche il più igienista, tenderà a cadere in tentazione. Io non voglio che le patate fritte o le salsicce siano proibite. Vorrei che fossero la scelta più difficile, più lontana. Poi, se uno vuole imbottirsi di pancetta fritta, lo faccia pure. Ma noi lo avremo spinto, senza costringerlo, a prendere la decisione migliore per lui, per l´ambiente, per l´economia generale». Negli anni folli dei mutui poi divenuti inesorabilmente "tossici", la caffetteria della finanza offriva ai poveri consumatori rintronati e agli stessi operatori professionali, un buffet di opzioni nel quale le peggiori, le più rischiose, erano le meglio esposte, le più ghiotte. Ovvio che i topolini si sarebbero indirizzati verso di esse. L´esperienza dimostra che, di fronte a troppe scelte, il cittadino tende a procrastinare, a rinviare, a buttarsi sulla prima che vede, pur di non perdere la testa. Inutile imporre norme e briglie, se la confusione rimane stordente, il predatore avrà sempre buon gioco. Ma ingiusto sarebbe ancora ridurle d´imperio governativo. Il "liberista paternalista" deve invece indirizzare verso le opzioni più intelligenti e obbiettivamente dimostrabili e documentate. Se poi preferisce puntare tutto alla roulette, buona fortuna. Dunque, gomitatine gentili, "spintarelle garbate", "architettura delle buone scelte" in un quadro politico che garantisca ogni libertà di azione, ma non abbia paura di indicare quali siano giuste e quali sbagliate, sono il pensiero che spiega non soltanto il successo di questo libro, stampato e ristampato come best seller in ogni edizione, ma che spiega anche un po´ di quell´enigma Obama che sta facendo impazzire i denigratori e innervosisce spesso anche gli estimatori. Sempre troppo statalista per gli ultraliberisti, sempre troppo liberista per i nostalgici del keynesismo, la chiave per capire chi sia, e come veda il ruolo del governo centrale il nuovo presidente sta in questo libro che i critici, gli ortodossi delle varie confessioni ideologiche ed economiche trovano eccessivamente ottimista, quasi utopistico nella sua speranza di poter riformare gentilmente i comportamenti fallimentari del consumismo onnivoro e della speculazione furiosa. E infatti questa, di essere in fondo troppo ottimista, è l´accusa che viene rivolta a Obama, dopo gli anni del torvo catastrofismo bushista, ed è la ragione per cui questo presidente "paternalisticamente progressista" o "liberalmente interventista" continua a piacere tanto e a far sperare.

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