CENACOLO
DEI COGITANTI |
Il piano di Marchionne un
miliardo di risparmi ( da "Stampa,
La" del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: quando scadrà anche il tempo che
Barack Obama ha dato a General Motors per presentare il suo piano di
ristrutturazione. Obama avrà un ruolo anche in questa partita. In settimana
l'ad di Fiat volerà nuovamente in Usa per una prima visita alla casa di Detroit:
occasione giusta per cercare sponsor a stelle e strisce anche per la partita
tedesca.
Buffett contro gli stress
test Non serve nuovo capitale ( da "Stampa,
La" del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il guru di Wall Street durante la
campagna elettorale si era schierato con Obama e nei primi 100 giorni ha
sostenuto le scelte dell'amministrazione, ma adesso, per la prima volta, cambia
tono e accusa il ministro del Tesoro Timothy Geithner di aver ideato modelli
che «sono sotto gli standard» previsti dalla comunità finanziaria per attestare
la «forza dei creditori».
Il dazio stronca l'acqua
italiana ( da "Stampa,
La" del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: grandi importatori di acqua
italiane per sposarle ai piatti) e rivolta a Ronald Kirk, rappresentante di
Obama nelle trattative commerciali. Nella lettera si chiede di sospendere il
provvedimento perché «penalizzerebbe le vendite nei ristoranti, con conseguenti
ricadute sui posti di lavoro». Naturalmente questo è solo uno dei danni dei
super dazi.
Obama, guerra agli evasori
fiscali ( da "Stampa,
La" del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ESTERO ED ELUDONO LE TASSE Obama,
guerra agli evasori fiscali Il presidente mantiene una promessa elettorale e
capovolge la politica di Bush Obiettivo: recuperare un gettito fiscale di
almeno 210 miliardi di dollari in dieci anni [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE
DA NEW YORK Finisce l'era dei privilegi per le aziende americane che operano
all'
I leader carismatici ti
aspettano all'edicola Ho per Lei una sola breve domanda. Prim...
( da "Stampa, La" del
05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: dei media si sbracci a osannare
Obama, ci dice in realtà qualcosa più sullo stato dell'informazione che sul
Presidente. L'industria del giornalismo lotta per la sua sopravvivenza. Obama è
l'unico vero prodotto che fa vendere giornali, settimanali e programmi tv. Non
c'è sorpresa dunque nel vedere le centinaia di sezioni speciali, maratone tivù
e numeri unici dedicate ai 100 giorni!
allarme ue per l'italia il
pil crolla a meno 4,4% ( da "Repubblica,
La" del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina BONANNI,
PAGNI E PULEDDA ALLE P
se il marchio di fabbrica
è uno stile inconfondibile - edmondo berselli
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: in cui il Logos è quello di Barack
Obama, cioè il business «verde» e l´elogio della leggerezza. Perché può anche
darsi che fra il gigantismo costruttivista e il futuro tecnologico post-crisi
l´alternativa consista semplicemente nel brutale minimalismo indiano di Tata,
privo di segno, con evidenti prospettive di sottoproletarizzazione dei consumi.
quando vince la bellezza -
maurizio bono ( da "Repubblica,
La" del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: effetto Obama? «Considero l´avvento
di Obama come uno dei grandi miracoli della storia. Dimostra come l´educazione
apra tutte le vie anche a un non wasp. E anche se non so molti dettagli del suo
interessamento per l´accordo con la Fiat, stento a immaginare che un Bush
avrebbe appoggiato un riconoscimento simbolico di questa portata a una
nazioncina.
una legge per limitare il
consumo di tabacco ( da "Repubblica,
La" del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Anche il presidente Obama,
contrariamente al precedente governo che aveva esercitato il diritto di veto su
questo tema, si è espresso a favore della legge, ricordando che il fumo resta
la causa principale di morte prevenibile fra gli americani, ma anche uno dei
motivi di maggiore incremento della spesa sanitaria pubblica.
Francesco Semprini
( da "Stampa, La" del
05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: come lo ha definito il presidente
Obama, segna un precedente storico importante sia in termini procedurali sia
per l'elevato numero di parti coinvolte in una stessa causa. Oltre al governo
federale, al Lingotto, e ai sindacati, ci sono le banche e gli hedge fund,
quelli che hanno votato a favore della ristrutturazione del debito e i
dissidenti,
TEHERAN SALVERÀ IL
PAKISTAN ( da "Stampa,
La" del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: rischierebbe di far pericolosamente
accostare la figura di Barack Obama a Jimmy Carter (il presidente che perse
l'Iran) piuttosto che a quella di Franklin Delano Roosevelt (il Presidente che
donò prosperità e sicurezza all'America e al mondo). Ed è l'ultima cosa di cui
il mondo e l'America hanno bisogno. CONTINUA A P
"Mrs Rice cosa pensa
del water boarding?" ( da "Stampa,
La" del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Che cosa pensa delle critiche
sollevate dal presidente Obama sui metodi adoperati dall'Amministrazione Bush
per ottenere informazioni dai detenuti?». E' stata questa domanda sulla
tortura, posta da un bambino di 9 anni, a mettere in imbarazzo l'ex Segretario
di Stato Condoleezza Rice di fronte all'insolito pubblico di una quarta
elementare di Washington.
Obama lancia la sfida ai
paradisi fiscali Caccia a 210 miliardi
( da "Corriere della Sera"
del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 6 Obama lancia la sfida ai paradisi
fiscali Caccia a 210 miliardi Nel mirino le attività delle multinazionali DAL
NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON L'Amministrazione Obama vuole tassare i
profitti che le aziende Usa realizzano all'estero e intensificare la lotta
contro gli evasori, che nascondono i loro guadagni nei paradisi fiscali.
Lieberman, debutto a Roma
Critiche a Olmert e Sharon ( da "Corriere
della Sera" del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: sarà andato da Obama. Lieberman ha
affermato di aver scelto l'Italia come prima tappa estera perché apprezza
Berlusconi e Frattini e per il boicottaggio italiano della conferenza dell'Onu
detta «Durban2 ». Al collega ha chiesto una mano per migliorare i rapporti con
Libia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e «alzare di livello» le relazioni
con l'
Argomenti:
Obama
Abstract: Michelle Obama del tennis» «Amo la
competizione e la vittoria Diventerò la più forte di sempre» ROMA Le spalle.
Molto più larghe di come te le aspetti. Le cosce da centravanti, avvitate su
caviglie da gazzella. E la bocca. Enorme. Non è difficile accorgersene perché
Serena Jameka Williams, 27 anni, provvisoriamente numero 2 del mondo,
quando la politica e il
candidato... - giovanna cosenza *
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: è questo il senso profondo della
lezione di Obama: la buona politica oggi funziona così, multimediale e
multimodale. Multitutto. E confrontare i nostri candidati con Obama non è
mischiare la lana con la seta: anche i bolognesi ? ci scommetto ? sceglieranno
il sindaco che con più perizia, passione e coerenza sarà andato in quella
direzione.
"perché le
torture?" così un bambino inchioda la rice - vittorio zucconi
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Che cosa pensa delle cose che Obama
sta dicendo dei metodi di interrogatorio usati dal Presidente Bush?» domanda
Misha Lerner, figlio di immigrati russi, dall´alto dei suoi nove anni, sotto lo
sguardo terrorizzato della madre e delle insegnanti che lo avevano convinto a
non usare almeno la parolaccia proibita - «tortura» - come lui avrebbe voluto
fare.
"quell'auto sembrava
sospetta" tra i soldati dopo la tragedia di herat - giampaolo cadalanu
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: E proprio ieri Hamid Karzai ha
depositato la sua candidatura, partendo poi per Washington alla ricerca di una
"ricucitura" con la nuova amministrazione americana. Lo staff di
Obama ha già segnalato scarso entusiasmo per l´ipotesi di una riconferma di
Karzai. Ma per ora alternative forti non sono comparse.
misha lerner
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina 17 - Esteri Domanda e
risposta Misha Lerner Condi Rice Il nostro dovere, carino, era quello di
proteggere l´America dopo l´11 settembre Spero che tu capisca Cosa pensa di ciò
che dice Obama dei metodi di interrogatorio usati dal presidente Bush?
germania, salvi 3 impianti
su 4 e il marchio non sarà cancellato - paolo griseri
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: indomani delle elezioni tedesche e
prima della scadenza fissata da Obama per il salvataggio della Gm. Il piano
presentato ieri da Marchionne avrà bisogno di ulteriori dettagli. Ma nelle sue
grandi linee è abbastanza chiaro: garantire gli stabilimenti di assemblaggio
finale e risparmiare in quelli che realizzano componenti.
marchionne vola in america
da gm e chiede aiuto ai governi della ue - salvatore tropea
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione Obama di meritare i
finanziamenti da cui dipende la sua sopravvivenza. Questo piano, che ieri
Marchionne ha portato a Berlino, prevede una soluzione che coinvolge i governi
europei i quali, sul modello adottato in Usa per la Chrysler, dovranno
garantire finanziamenti a un tasso competitivo e accollarsi parte
dell´esposizione dell´
obama contro i paradisi
offshore "scoveremo gli evasori fiscali" - vittoria puledda
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Economia Obama contro i paradisi
offshore "Scoveremo gli evasori fiscali" Norme più severe per
recuperare 210 miliardi in 10 anni Le banche americane a caccia di nuovi
capitali, dopodomani l´esito dello stress test VITTORIA PULEDDA MILANO - Lotta
a tutto campo all´evasione fiscale e all´elusione che consente di non pagare le
tasse.
i voli low cost diventano
sempre più spartani ( da "Repubblica,
La" del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Ho fiducia in Obama,prepari la
nuova governance LONDRA - Sui suoi voli i posti non sono pre-assegnati e i
passeggeri siedono dove vogliono, cibo e bevande vengono pagati come extra, si
parla anche di far pagare un euro a passeggero per andare alla toilette e di
introdurre una «tassa sul grasso» per i passeggeri obesi,
tumori e malattie
ereditarie ecco le terapie della speranza - (segue dalla copertina)
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il presidente Obama ha cancellato.
Se dunque, dopo dieci anni, la scienza, pur fra ostacoli e battute d´arresto,
non ha dubbi sulla via del Dna, molto più incerta è la società. E il problema
non è quel farmaco mai arrivato al malato o quella nuova cura non ancora
realizzata, ma un disagio più profondo che deriva dall´incapacità di elaborare
un nuovo sistema di pensiero e valori,
toni morrison - new york
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: elezione di Barack Obama, al quale
la Morrison ha scritto una lettera nella quale ha stigmatizzato come un «errore
enorme identificare l´"affermative action" come qualcosa che ha a che
fare con la gente di colore». «Ne sono convinta, e credo che sia giusto che ne
abbia coscienza chiunque», racconta nel suo ufficio newyorkese l´autrice che ha
vinto il Nobel nel '
diventa - vittorio zucconi
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: saggio fra economia e psicologia
gentile se lo stato Arriva in Italia "Nudge" il best seller che
spiega la dottrina, fatta propria da Obama, per indurre i cittadini a scelte
corrette Grazie a una "spintarella" Autori del libro sono
l´economista Richard Thaler e il costituzionalista, Cass Sunstein, ora nello
staff della Casa Bianca VITTORIO ZUCCONI a salvezza sarà la
"spintarella".
( da "Stampa, La" del
05-05-2009)
Argomenti: Obama
Retroscena
Piattaforme e segmenti Come il Lingotto cerca di convincere i tedeschi Il piano
di Marchionne un miliardo di risparmi GIANLUCA PAOLUCCI Il manager del
Lingotto: la partita comincia adesso TORINO Quando ieri Sergio Marchionne ha incontrato
l'esecutivo tedesco per illustrare il suo piano per Opel, è riuscito ancora una
volta a sparigliare. «La partita comincia adesso», ha detto. E lui invece di
proporre l'acquisto delle attività europee di General Motors, prospettiva sulla
quale tutti scommettevano e che aveva già raccolto lo scetticismo
dell'esecutivo e dei sindacati, è arrivato forte della delibera del cda di Fiat
che domenica gli ha affidato il mandato per trattare un'alleanza da 80 miliardi
di euro di ricavi e sei-sette milioni di auto all'anno, combinando insieme
Fiat, Chrysler e Opel, con il Lingotto primo azionista (e Gm secondo) di una
società quotata che tenga insieme i marchi dei tre gruppi. A questo punto,
spiegano gli esperti del settore, la chiave di volta per Opel è la stessa che
ha consentito di portare in fondo l'affare Chrysler: arrivare a trattare come
unica alternativa veramente credibile e praticabile. Una prospettiva sempre più
verosimile per Fiat: l'unico concorrente è Magna, il produttore di componenti e
assemblatore canadese, ma «la soluzione Magna da sola la vedo difficile, per
Magna stessa significherebbe cambiare pelle e fare un altro mestiere», dice
Marco Santino, che segue il settore auto per la società di consulenza At
Kerney. E la prospettiva di Magna testa di ponte di un investitore russo come
Oleg Deripaska troverebbe nel governo di Berlino un'accoglienza ancora più
tiepida. La proposta illustrata ieri da Marchionne presenta invece vantaggi
chiari: «Le sinergie ci sono e sono evidenti, anche se alcune di queste
dovranno per forza di cose venire da operazioni dolorose», dice ancora Santino.
L'ad di Fiat quantifica queste sinergie in circa un miliardo di risparmi, una
parte dei quali «potrebbero essere effettivi in un arco temporale relativamente
breve, già dopo 12 o 18 mesi», indica Santino. Si tratta delle sinergie sugli
acquisti, che pesano fino al 70-80% nel costo finale di un'auto considerando
anche i motori, mentre servirà un arco temporale maggiore per realizzare quello
che Marchionne va sostenendo da tempo, la produzione di un milione di auto su
un'unica piattaforma. Nella piattaforma B, Punto e Corsa condividono già il
pianale, frutto della vecchia alleanza con Gm rotta nel 2005, e maggiori volumi
comporterebbero margini ancora più elevati. Sul segmento C la prospettiva
temporale è più lunga, dato che Bravo-Delta è basata su una piattaforma
«giovane», anche se l'expertise di Opel consentirebbe di coprire un segmento
dove storicamente Fiat è in difficoltà ma che «ha anche una marginalità più
elevata» rispetto alle piccole punto di forza di casa Fiat. Dove i frutti
arriverebbero subito è il segmento superiore, il D, dove Opel ha da poco
lanciato la Insigna. Frutto di forti investimenti ma con una scelta di tempo
non proprio felice. Delle «operazioni dolorose» ne ha accennato lo stesso
Marchionne al ministro delle finanze, Karl-Theodor zu Guttenberg: la
ristrutturazione dello stabilimento di Kaiserslautern. «La parte più difficile
sarà però quella delle "sinergie culturali", la capacità di integrare
due sistemi diversi», aggiunge il consulente di At Kerney. Passaggio
fondamentale per far digerire la proposta ai tedeschi è la prospettiva di una
vera alleanza e non di una semplice «acquisizione»: lo scorporo dell'auto,
ovvero la separazione di Fiat, Lancia e Alfa Romeo dal resto del gruppo, che si
terrebbe però anche i «gioielli» Ferrari e Maserati. Prospettiva che
razionalizza la struttura generale del gruppo. Ma che, con la quotazione in
Borsa, apre la porta anche ad un'offerta pubblica di acquisto che consentirebbe
di raccogliere nuova finanza senza gravare sulla struttura finanziaria di Fiat,
già decisamente indebitata. Il tempo per un accordo dovrebbe essere decisamente
breve: fine maggio, dice Marchionne, quando scadrà anche il
tempo che Barack Obama ha dato a General Motors per presentare il suo piano di
ristrutturazione. Obama avrà un ruolo anche in questa partita. In settimana l'ad di Fiat
volerà nuovamente in Usa per una prima visita alla casa di Detroit: occasione
giusta per cercare sponsor a stelle e strisce anche per la partita tedesca.
( da "Stampa, La" del
05-05-2009)
Argomenti: Obama
NEL MIRINO 19 BANCHE
E GLI AIUTI PUBBLICI Buffett contro gli stress test «Non serve nuovo capitale»
Warren Buffett critica il ministero del Tesoro per gli «stress test» previsti
per le 19 banche che hanno ricevuto o riceveranno aiuti pubblici al fine di non
farle cadere. Il guru di Wall Street durante la campagna
elettorale si era schierato con Obama e nei primi
100 giorni ha sostenuto le scelte dell'amministrazione, ma adesso, per la prima
volta, cambia tono e accusa il ministro del Tesoro Timothy Geithner di aver
ideato modelli che «sono sotto gli standard» previsti dalla comunità
finanziaria per attestare la «forza dei creditori». «Dalla lettura delle
procedure che sono state varate posso affermare che non sono molto
sofisticate», ha detto Buffett nel corso di una conferenza stampa a Omaha, in
Nebraska, durante la quale ha contestato la scelta del Tesoro di definire le 19
banche destinatarie degli aiuti «troppo grandi per cadere». A suo avviso tre
delle banche aiutate dallo Stato e nelle quali il suo fondo Berkshire ha delle
quote - Wells Fargo, U.S. Bancorp e M.T. Bank Corp - «non hanno affatto bisogno
di ulteriore capitale azionario» al punto tale che «comprerei le loro azioni ai
prezzi attuali» indipendentemente dalla scelta del governo di versare gli
aiuti. L'altro dubbio del finanziere è su «come il governo gestirà le
informazioni ottenute con gli stress test» a causa del fatto che «la diffusione
di informazioni su eventuali difficoltà potrebbe innescare vendite a pioggia».
( da "Stampa, La" del
05-05-2009)
Argomenti: Obama
RITORSIONE DI
WASHINGTON PER IL RIFIUTO EUROPEO DI CONSUMARE CARNE AMERICANA AGLI ORMONI Il
dazio stronca l'acqua italiana In Usa un 100% di sovrattassa sulla minerale
d'importazione [FIRMA]LUIGI GRASSIA Il protezionismo strisciante (quella cosa
perversa che sempre si manifesta nei periodi di crisi economica) fa una nuova
vittima, che stavolta sono le acque minerali italiane esportate in America. Dal
prossimo giorno 8, venerdì, gli Stati Uniti imporranno un dazio doganale del
100% sulle acque minerali in arrivo dal nostro Paese (e dal resto dell'Unione
europea). In sostanza il prezzo raddoppia. Una botta del genere ha un intento palesemente
provocatorio e infatti le autorità di Washington la giustificano come mossa
tattica sulla complicata scacchiera dei rapporti commerciali. Secondo
l'Associazione delle camere di commercio italiane all'estero, l'imposizione è
stata decisa dalla United States Trade Representative (Ustr) «per riavviare le
trattative sul divieto d'importazione di carni di manzo trattata con sostanze
ormonali, imposto dall'Ue». Cioè si tratterebbe di una ripicca o meglio di una
pressione per ottenere risultati su un altro fronte. Peccato che il Wto e altre
sedi internazionali siano state concepite per creare dei fori ad hoc dove
risolvere le controversie commerciali evitando questo genere di ritorsioni.
Peccato, anche, che la vertenza sulla carne coinvolga l'Italia come la media
dei Paesi europei mentre la faccenda delle acque minerali pesa sul nostro Paese
molto di più: secondo il presidente dell'Italian American Chamber of Commerce
Midwest, Robert Allegrini, «all'Italia è imposto il pagamento del 37% dei dazi
sul totale delle esportazioni colpite dal provvedimento, lasciando il restante
63% da dividere tra gli altri 26 Paesi dell'Ue». Per questo motivo la Camera di
commercio italiana di Chicago ha promosso una petizione sottoscritta da oltre
60 ristoratori italiani (grandi importatori di acqua
italiane per sposarle ai piatti) e rivolta a Ronald Kirk, rappresentante di Obama nelle trattative commerciali. Nella lettera si chiede di
sospendere il provvedimento perché «penalizzerebbe le vendite nei ristoranti,
con conseguenti ricadute sui posti di lavoro». Naturalmente questo è solo uno
dei danni dei super dazi. Fra l'altro va notato che la sovrattassa del
100% non rappresenta il raddoppio di un prezzo modesto ma di un prezzo che già
in partenza è piuttosto elevato: infatti in un'America dove quasi tutto costa
poco in confronto all'Italia, se c'è una cosa che si paga più cara è proprio
l'acqua minerale. Dal punto di vista degli Usa a essere protezionista non è
l'America ma l'Europa, perché il Vecchio continente si rifiuta di importare le
carni allevate in America in quanto piene di ormoni (legali da loro, proibiti
da noi); è una scusa per chiudere le frontiere ai loro prodotti, secondo gli
Usa.
( da "Stampa, La" del
05-05-2009)
Argomenti: Obama
FINISCONO SOTTO
TORCHIO LE IMPRESE AMERICANE CHE PRODUCONO ALL'ESTERO ED
ELUDONO LE TASSE Obama, guerra agli evasori fiscali Il presidente mantiene una promessa
elettorale e capovolge la politica di Bush Obiettivo: recuperare un gettito
fiscale di almeno 210 miliardi di dollari in dieci anni [FIRMA]MAURIZIO
MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Finisce l'era dei privilegi per le aziende
americane che operano all'estero creando posti di lavoro per stranieri,
celando i profitti ed evadendo le tasse da pagare. Parlando dal Grand Foyer
della Casa Bianca è Barack Obama che illustra alla
nazione un piano di riforma che punta a «identificare gli evasori» intervenendo
sugli aspetti dell'attuale codice fiscale che si applicano alle imprese Usa
presenti all'estero. L'amministrazione Bush le proteggeva in nome della
globalizzazione ma ora Obama fa proprie le obiezioni
sollevate negli ultimi anni da numerosi leader democratici del Congresso - da
Max Baucus a Charlie Rangel fino a Carl Levin - al fine di «far loro pagare le
tasse proprio come fanno tutti i normali cittadini». Il presidente ribadisce la
fiducia nella globalizzazione dell'economia e conta sulle aziende Usa «affinché
si affermino ovunque nel mondo» ma il vulnus che vuole sanare sta nel fatto che
«un codice fiscale con molte falle, opera dei lobbisti, consente a numerose
aziende di non pagare le imposte come invece dovrebbero». Il riferimento è a
quelle imprese che, proprio grazie a tali norme, «pagano meno tasse in America
creando posti di lavoro a Bangalore, India anziché a Buffalo, New York» in
quanto possono celare all'estero i profitti, rimandando o rinunciando a fare la
dovuta dichiarazione alle autorità degli Stati Uniti. «Capisco bene che uno dei
punti di forza della nostra economia è la capacità di espandersi delle imprese
e desidero che restino competitive - sottolinea il presidente - ma bisogna evitare
che ciò porti a far affluire nei paradisi fiscali le imposte che dovrebbero
essere versate allo Stato». Da qui la decisione di «porre fine alle
facilitazioni fiscali per le imprese che operano all'estero» puntando a
recuperare nei prossimi dieci anni entrate per 210 miliardi di dollari. Tenendo
presente che il deficit federale nel 2010 sarà di 1,2 trilioni di dollari il
recupero fiscale non ha dimensioni rilevanti ma ciò che conta per Obama è mantenere la promessa fatta all'inizio della
campagna elettorale di aiutare le imprese che «creano lavoro in patria e non
all'estero». E' un messaggio diretto in primo luogo alle famiglie della classe
media degli Stati del Mid-West e del Sud che più hanno pagato il prezzo dello
spostamento all'estero di impianti industriali. «Da anni sapevamo che cosa
avremmo dovuto fare e ora manteniamo le promesse» sottolinea Obama,
facendo il concreto esempio delle Isole Cayman dove «c'è un edificio dove hanno
sede i quartier generali di 12 mila imprese» dando vita a un paradosso che «si
spiega con il fatto che o si tratta del più grande edificio del Pianeta o della
maggiore vergogna fiscale del Pianeta». E' una dichiarazione di guerra nei
confronti dei paradisi fiscali che finora hanno corteggiato, ospitato e
protetto i proventi di molte aziende nazionali. A condurre la caccia
all'evasore che adesso si apre sarà l'Irs -l'Ente federale per la riscossione
dei tributi - al quale la Casa Bianca promette di fornire «tutti gli strumenti
dei quali avrà bisogno» a cominciare dalla creazione di una task force di 800
agenti speciali il cui compito sarà di «identificare e perseguire gli evasori
fiscali che si trovano all'estero». Al tempo stesso il presidente assicura alle
aziende nazionali che operano rispettando le regole aiuti per consentirgli di
«creare posti di lavoro e aumentare i profitti» al fine di ribadire che ogni
tassello della sua azione punta a rafforzare l'American Dream (il sogno
americano) rafforzando il sistema di produzione nazionale. Obama
pensa a un rilancio in grande stile dell'industria tradizionale, e in
particolare del settore manifatturiero che più ha sofferto negli ultimi anni,
nel quadro di un riassetto interno che «porterà Wall Street a pesare molto di
meno sulla nostra economia».
( da "Stampa, La" del
05-05-2009)
Argomenti: Obama
I leader carismatici
ti aspettano all'edicola Ho per Lei una sola breve domanda. Prima o poi la
finiremo con la celebrazione quotidiana dei leader? Che si tratti di Obama o Berlusconi, faccia Lei. MARIO ARPINO, ROMA Sulla
questione delle lodi a Silvio Berlusconi preferisco non entrare, dal momento
che si entra in un terreno che diviene immediatamente politico e dunque di
parte. Preferisco risponderle parlando di Obama,
citandole un editoriale che sembra porsi la sua stessa domanda: «Ne ho
abbastanza di questi cento giorni» (traduzione libera di «Enough With the 100
Days Already»), apparso nella pagina degli editoriali del «New York Times», il
3 maggio, a firma di Frank Rich. Ne cito una buona parte, perché credo che Lei
vi troverà la risposta che cercava. «Credeteci o no, ma ci sono degli americani
che hanno un'opinione "molto negativa" di Barack Obama
(13%, secondo il "Wall Street Journal"). Ce ne sono alcuni che sono
addirittura arrabbiati con lui (10% per cento, "New York Times"/Cbs
News). Quando è cominciato il festival del Primi Cento Giorni ho cercato così
d'immedesimarmi e di guardare il mondo attraverso i loro occhi. All'inizio è
stato difficile, ma un'intervista con il fotografo della Casa Bianca, Pete
Souza, sulla Cnn, mi ha dato la spinta giusta. Souza mostrava tutte queste
seducenti foto "private" - ma ufficialmente pubblicate - che più o
meno sono passate come lavoro giornalistico su tutti i mezzi d'informazione.
Inevitabilmente siamo arrivati al cane. "Voglio mostrarvi questa immagine
perché la trovo affascinante", diceva il conduttore della Cnn, John King,
"il Presidente che corre nell'ampio corridoio con il suo nuovo partner di
jogging, Bo", e chiede a Souza: "Cosa significa per lei aggiungere
questo scatto così diverso al suo lavoro alla Casa Bianca"? Lascio alla
vostra immaginazione la risposta del fotografo... Confesso di essere nell'81%
("Wall Street Journal"/Nbc) a cui il Presidente piace. E condivido la
fiducia dei due terzi degli americani che sostiene che è partito benissimo, che
sta facendo quello che aveva promesso, e che lo sta facendo con la
concentrazione, l'intelligenza e quella straordinaria calma con cui ha tenuto
la barra della campagna elettorale, mentre i media lo trattavano come un
ingenuo che sfidava l'esperta e ricca Hillary. Che ora quella stessa banda dei media si sbracci a osannare Obama, ci dice in
realtà qualcosa più sullo stato dell'informazione che sul Presidente.
L'industria del giornalismo lotta per la sua sopravvivenza. Obama è l'unico vero prodotto che fa vendere giornali, settimanali e
programmi tv. Non c'è sorpresa dunque nel vedere le centinaia di sezioni
speciali, maratone tivù e numeri unici dedicate ai 100 giorni!». Che ne
dice caro lettore? È una buona spiegazione della passione per i leaders
carismatici, a qualunque latitudine essi siano? A proposito: la foto di Obama che corre col cane non è stata risparmiata neanche a
noi italiani.
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
1 - Prima Pagina BONANNI, PAGNI E PULEDDA ALLE P
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 42 - Cultura
Fashion tricolore Il sogno Che cosa significa "immagine italiana" in
questa America devastata dai subprime? Che impatto può avere ancora la griffe
dei grandi disegnatori e il segno assoluto degli stilisti? Prima di questo raid
che ha forzato il paradigma americano, l´ultima volta di un´auto italiana negli
Stati Uniti è stata la "Duetto" di Dustin Hoffman nel
"Laureato" Se il marchio di fabbrica è uno stile inconfondibile
L´accordo tra Fiat e Chrysler rilancia nel mondo l´immagine italiana, la
capacità di fare impresa e quella di saper creare con gusto oggetti di consumo
EDMONDO BERSELLI L´ultimo ricordo di un´auto italiana in America è la Duetto
dell´Alfa nel Laureato con Dustin Hoffman. Storie del nostro design dorato. Poi
starnuti del motore nella notte, mentre la spider sussulta sugli ultimi accordi
di Mrs. Robinson. E adesso invece ecco un autentico raid, a forzare il
paradigma americano, con le sue macchine enormi addobbate come slot machine,
per cercare di rimpiazzarlo con i piccoli totem torinesi, testa di ponte di un
metodo e di uno stile che nel tempo ha definito l´impareggiabile capacità
nazionale di inventare sogni estetici, in ogni reparto dell´oggettistica, dal
cucchiaio al reggiseno. Dice lo storico dell´industria Giuseppe Berta che gli
impianti americani sono attesi da uno choc schumpeteriano, che la Fiat porterà
i layout nuovi, e la modernità light dei modelli europei potrebbe avere una
chance. Sempre ammesso di trovare una distribuzione capace di valorizzare le
scatolette italiane, i loro motorini compressi, i diesel common rail, i nuovi
motori multi-air e soprattutto le loro soluzioni nel fashion. Ma c´è poi
davvero un panorama infrastrutturale per l´auto siglata Torino, fuori dagli
spazi urbani degli Stati Uniti? Le highway si prestano alle crociere e a nuovi
Easy Rider con le vetturette vintage dell´italiano in gita? E poi occorre
capire che cosa significhi tecnologia e soprattutto immagine italiana in questa
America devastata dai subprime. Che impatto può avere ancora la griffe dei
grandi disegnatori del passato, il segno assoluto degli stilisti, della moda,
del diavolo che veste Prada, del satanismo metropolitano che riuscì facilmente
a trasformarsi in stile, anche tra i diktat di Andy Warhol e le factory del
postmoderno. Cioè nella purissima leggenda del fashion tricolore. Perché è vero
che sullo sfondo dell´Italian Mith c´è sempre l´immagine reale e virtuale della
Ferrari, con la sua metafisica del glamour milionario; ma si dovrebbe capire
che il successo della casa di Maranello, rilanciata dopo i primi Novanta del secolo
scorso e dopo infinite mortificazioni anche di qualità, è dipeso anche da una
disseminazione tecnologica avvenuta sul territorio, praticamente in tutto il
Nord del paese, fra cattedrali come la Brembo e piccolissime software house,
che fra una ceramica e l´altra hanno fatto da incubatore all´innovazione, ai
materiali inediti, alle soluzioni esasperate per la Formula Uno (e per il
piacere della clientela che viene a vedere l´unicità della sua vettura uscire
dalla linea di montaggio come da una romanticissima quinta teatrale). Come del
resto è avvenuto nell´indotto del Lingotto. E come è successo tra le
numerosissime aziende del tessile che hanno clonato la suggestione estetica di
Ferré o di Armani nei campionari di provincia. Anche se poi, per contrasto, si
potrebbe giocare con il mito glocal e no logo di un Made in Italy tutto
particolare, andando a osservare il capannone di Campagnola (Reggio Emilia),
dove lavora Gianni Torelli, uno degli ultimi meccanici al mondo capaci di
fabbricare in un´auto «tutto ciò che si muove»: miliardari californiani gli
mandano uno schizzo su un pezzo di carta quadrettata, lui gli fornisce il
mostro da tremilacinquecento cc di cilindrata. Dunque una possibilità
commerciale andrebbe cercata fra meccanismi di mercato e di consumer choice
ancora tutti da individuare, anche se sperimentati dagli store di New York.
D´altronde basta circolare per Milano e restare sbalorditi dagli oltre mille
taxi della Toyota Prius, l´ibrida elettrico-benzina colma di agevolazioni
pubbliche, consumi irrisori in città sotto i 50 all´ora, un gadget che è
diventato un asset. Quindi la filiera ideale per la Fiat, l´industria che
doveva «fare come la Ford», sembra ancora quella di replicare in forma creativa
un´America di specchi intellettuali e di grandi consumi molecolari, proiettando
il dono della piccolezza nella scena erotica di Sex and the City e facendolo
diventare irrinunciabile, un concentrato stilisticamente esclusivo, si tratti
di auto o di configurazioni e accessori dell´eros. Sempre ammesso che regga un
discorso di marketing davvero virale, in cui il Logos è
quello di Barack Obama, cioè il business «verde» e l´elogio della leggerezza. Perché
può anche darsi che fra il gigantismo costruttivista e il futuro tecnologico
post-crisi l´alternativa consista semplicemente nel brutale minimalismo indiano
di Tata, privo di segno, con evidenti prospettive di sottoproletarizzazione dei
consumi. Mentre una visione fair dell´industria, con la ricomparsa di
forme di sindacalizzazione e di tutela collettiva, potrebbe trovare una
composizione capitalistica più originale in una versione «renana», con il
sindacato coinvolto nei tagli di salario ma anche nella gestione, e un punto
d´equilibrio progettuale, tecnico e di mercato nelle auto medie, da borghesia
non ancora degradata, e con il San Gimignano Touch nelle icone commerciali per
rendere chiaro oltreoceano che «Italians do it better». Sempre in attesa
dell´auto elettrica, del bi-fuel, del litio, dell´articolazione del parco
viaggiante in una serie di sottosegmenti che possano frammentare funzionalmente
lo spaventoso aggregato della motorizzazione nordamericana, suddividerlo in
flussi commerciali gestibili e riconoscibili in una serie di brand della buona
italianità. Già sarebbe interessante osservare la riconversione del gigantismo
liberista di Detroit in processi più limitati; e sotto questa luce chissà se
non sarebbe culturalmente irresistibile, nella drammatica crisi di
sovraproduzione dell´auto, e nell´altrettanto ovvia decrescita, vedere un
prodotto italiano diventare il simbolo luccicante di un nuovo comunitarismo
industriale, insomma un punto di equilibrio anche morale, non solo di design,
tra il New Deal e l´Obama Mission.
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 43 - Cultura
Cultura e idee Il nostro Paese ha saputo esportare le sue idee: siamo al primo
posto globale per il design e per la moda Grazie alla cultura della grazia
Intervista allo studioso di estetica Gillo Dorfles Quando vince la bellezza
MAURIZIO BONO «Fa piacere, certo, ma prima ancora stupisce. Siamo così abituati
a considerare l´Italia come il fanale di coda dell´industria mondiale, che
veder trattare la nostra creatività come uno strumento di salvataggio per la
potenza economica americana può lasciare a bocca aperta». Addirittura
increduli? «Ma no, viene piuttosto da dire beata l´ora! L´economia non è il mio
campo, ma per ciò che riguarda l´evoluzione e la qualità del gusto le premesse
ci sono tutte, e da tanti anni. Abbiamo appena avuto anche dal Salone del
Mobile la conferma che siamo al primo posto globale per il design e la moda.
L´accordo Fiat-Chrysler aggiunge solo la certezza che adesso gli Usa sono
ancora più attenti a certe nostre "piccolezze"». Gillo Dorfles,
studioso del gusto, dell´arte e, fin dal suo celebre saggio del 1963 Il disegno
industriale e la sua estetica, dei segni e dei modi con cui il bello e
l´innovazione sono diventati un patrimonio della produzione di massa, saluta
l´avventura americana del made in Italy automobilistico come una di quelle
sorprese della storia che hanno radici lunghe. Ma sbocciano quando trovano un
catalizzatore inaspettato. Pensa all´effetto Obama? «Considero l´avvento di Obama come uno dei
grandi miracoli della storia. Dimostra come l´educazione apra tutte le vie
anche a un non wasp. E anche se non so molti dettagli del suo interessamento
per l´accordo con la Fiat, stento a immaginare che un Bush avrebbe appoggiato
un riconoscimento simbolico di questa portata a una nazioncina. Voglio
dire che l´elezione di Obama è solo uno schiaffo al
razzismo, ma soprattutto la rivendicazione della centralità dell´educazione,
della cultura e delle idee». Cosa c´entra con l´appello alla fabbrica della 500
per aiutare la Chrysler a uscire dai guai? «C´entra con l´apertura mentale, con
una visione internazionale e con la rottura di un paradigma molto americano che
ha sempre privilegiato la potenza alla grazia, la forza sulla bellezza. Sa, il
design americano in tutto il secolo non eccelle, lì non sono di casa leggende del
gusto come le lampade di Castiglioni, la tv di Zanuso o la 500 di Dante
Giacosa. Nella stessa epoca le automobili americane colpivano per il
gigantismo. Ma vorrei raccontare un episodio di quei Cinquanta che fa capire
come ci fosse anche un problema di disconoscimento della cultura come valore
assoluto: la prima volta che andai negli States, venne a prendermi un
professore nero dell´Università di Howard, Washington. E dovette aspettarmi
fuori dall´albergo». Ma lei ci crede che il "piccolo è bello" Fiat salverà
quel simbolo del Novecento che è l´auto? L´intera industria vecchia maniera non
l´avevamo data un po´ tutti per spacciata? «Che sia finita l´età dei ferro e
del carbone mi sembra incontrovertibile. Ma è una storia più complessa.
Industrie come la Marelli o la Falck hanno lasciato il posto a un´industria più
leggera, basta pensare a come l´elettronica e la digitalizzazione hanno
cambiato il volto agli oggetti e alla società, all´intero arredamento del
mondo. Quanto al futuro dell´auto, è così incerto tra l´auto elettrica, a
idrogeno o a vecchio combustibile, che credo non si possano fare profezie.
Meglio accontentarsi delle auto piccole che consumano meno, magari in attesa di
ricominciare a farne di colossali a impatto zero». E la velocità? Un altro mito
infranto della modernità? «Chi l´ha detto? Le informazioni non sono mai andate
così veloci. Ma è già da un po´ che una Ferrari a trecento all´ora in
autostrada non suscita più ammirazione, ma ribrezzo».
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina I - Palermo
Lettera dall´America Una legge per limitare il consumo di tabacco ignazio
marino claudia cirillo Negli Stati Uniti, la Camera dei deputati ha votato a
larga maggioranza un provvedimento che conferisce alla Food and drug
administration (Fda), l´agenzia responsabile della salute pubblica, più ampio
potere sulla composizione dei prodotti derivati dal tabacco. In Senato il voto
si preannuncia più difficile, nonostante perfino l´industria leader del
settore, la Philip Morris, sostenga l´iniziativa e nonostante uno degli uomini
simbolo del parlamento e della storia moderna americana, il senatore Edward
Kennedy, sia uno dei principali sponsor della proposta legislativa. Anche il presidente Obama,
contrariamente al precedente governo che aveva esercitato il diritto di veto su
questo tema, si è espresso a favore della legge, ricordando che il fumo resta la
causa principale di morte prevenibile fra gli americani, ma anche uno dei
motivi di maggiore incremento della spesa sanitaria pubblica. La
proposta di legge prevede la creazione presso la Fda di un ente finanziato da
privati, che avrebbe il potere di limitare l´utilizzo delle dannose componenti
chimiche contenute nelle sigarette. Potrebbe inoltre approvare o negare la
commercializzazione di nuovi prodotti a base di tabacco e a imporre messaggi
informativi aggiuntivi rispetto a quelli già in uso. SEGUE A P
( da "Stampa, La" del
05-05-2009)
Argomenti: Obama
REPORTAGE Francesco
Semprini NEW YORK Già alle sette del mattino davanti ai cancelli della Corte di
giustizia di Lower Manhattan, la fila è molto lunga. Avvolti nei completi
gessati e con la tazza di caffè in mano, avvocati, mediatori, assistenti e
praticanti studiano i dossier prima di mettere piede in aula. La stessa per
gran parte di loro, quella dove si tengono le udienze sul «Chapter 11» di
Chrysler. La bancarotta della casa automobilistica di Auburn Hills, passaggio
preliminare per l'alleanza con Fiat, è divenuto un caso di grande rilevanza
negli Stati Uniti, non solo perché si decidono le sorti di una delle più grandi
industrie del Paese. Il ricorso al tribunale fallimentare, per operare il
riassetto «chirurgico» della società, come lo ha definito
il presidente Obama, segna un precedente storico importante sia in termini
procedurali sia per l'elevato numero di parti coinvolte in una stessa causa.
Oltre al governo federale, al Lingotto, e ai sindacati, ci sono le banche e gli
hedge fund, quelli che hanno votato a favore della ristrutturazione del debito
e i dissidenti, ovvero quelli che hanno costretto al dirottamento verso
il Chapter 11. Ci sono i fornitori, alcuni in guerra con la società per essersi
rifiutati di inviare parti e ricambi col rischio di non essere pagati, le
finanziarie, che hanno bloccato i prestiti per le vendite rateali, i consulenti
esterni con contratti ancora pendenti, e i rivenditori che rischiano di
chiudere a causa dei tagli alla produzione. Ognuno è rappresentato da una
squadra di avvocati, guru di diritto societario, commerciale e fallimentare,
gli stessi che sin dalle prime ore del mattino fanno la fila davanti One
Bowling Street. La «soft bankruptcy» ha scatenato una vera e propria corsa al
Chapter 11 di Chrysler degli studi legali, piccoli o grandi, disposti a
perorare una qualsivoglia causa pur di apparire dinanzi ad Arthur Gonzalez, il
giudice designato a presiedere il procedimento (che ieri a dato il via libera
alla prima tranche di prestito da 4,5 miliardi di dollari e autorizzato il
pagamento dei conti di fornitori ricambi e concessionari). Del resto un caso di
questa portata fa gola a tutti sia in termini economici sia per motivi di
visibilità. Il Chapter 11 è una procedura di riorganizzazione aziendale gestita
da un tribunale preposto. Di solito non si tratta di una bancarotta in senso
stretto, ma di una sorta di amministrazione controllata o di un concordato
preventivo, nel quale si garantisce protezione ai creditori e si cerca di
riparare l'azienda tenendo conto dell'interesse di tutte le parti in causa. In
casi come questo, che vedono coinvolte grandi corporation, sono in ballo decine
di miliardi di dollari di dollari e pertanto le parcelle degli avvocati
schizzano alle stelle, oltre al prestigio che ne deriva per gli studi legali in
caso di successo. La corsa al Chapter 11 rischia però di amplificare i
conflitti allungando i tempi necessari all'azienda per emergere dalla
«bancarotta», 30-60 giorni secondo il governo americano. Per il gruppo di
Auburn Hills è cruciale «incassare a breve termine il via libera all'alleanza
con Fiat e alla vendita di asset» per due miliardi di dollari alla Nuova
Chrysler, spiega Corinne Ball, il legale che rappresenta la società. La
designazione di Gonzalez fa ben sperare visto che il giudice è noto per essere
molto scrupoloso ma anche veloce nel deliberare. Ma è soprattutto interesse
degli avvocati raggiungere una soluzione rapida e condivisa perché se l'accordo
dovesse essere bocciato «la società sarebbe liquidata», avverte la Ball. Questo,
oltre a decretare la scomparsa di un'icona a stelle e strisce e la perdita di
quasi 39 mila posti di lavoro, trasformerebbe la corsa forense al Chapter
( da "Stampa, La" del
05-05-2009)
Argomenti: Obama
Vittorio Emanuele
Parsi TEHERAN SALVERÀ IL PAKISTAN E' cosa risaputa che la situazione in
Afghanistan continui a essere tutt'altro che brillante, nonostante il
progressivo potenziamento del contingente americano e il timido rilassamento
dei caveat delle forze alleate. E sarebbe grave se il tragico evento occorso a
Herat due giorni fa, con l'uccisione accidentale di una ragazzina ad opera di militari
italiani, divenisse un pretesto per provocare un'ulteriore burocratizzazione
delle regole d'ingaggio dei nostri soldati. Quel dramma, che ci colpisce così
particolarmente all'interno del più ampio dramma afghano, deve semmai
ricordarci come sia irta di pericoli e di vittime, anche innocenti, la via che
porta alla stabilizzazione del Paese e dell'intera regione circostante. Che,
per arrivare a destinazione, questa via debba passare per Teheran, e vedere un
qualche coinvolgimento della Repubblica islamica è un'opinione che va prendendo
corpo, soprattutto in Europa e anche in forza del sostegno a favore di questa
ipotesi da parte della Farnesina. Secondo i più audaci sostenitori di un
maggior ruolo iraniano nella crisi afghana, in questo modo sarebbe possibile
contrastare il doppio e forse triplo gioco che il Pakistan sta conducendo
rispetto ai talebani. Giova ricordare che gli studenti islamici sono una
creatura dell'Isi (i servizi segreti militari pachistani, potentissimi e
sostanzialmente autonomi dalle autorità politiche) e che ci volle la minaccia
da parte di Bush di «portare il Pakistan all'età della pietra» per convincere
Musharraf a sospendere (almeno ufficialmente) l'assistenza che i propri servizi
fornivano ai talebani, in termini di armi, addestramento e protezione. La
crescente presenza nello stesso Pakistan dei gruppi integralisti pashtun (etnia
maggioritaria in Afghanistan, fortissima anche in Pakistan e particolarmente
ben rappresentata tra i quadri dell'Isi) allunga del resto più di un'ombra
sulla lealtà che è lecito attendersi dallo strategico «alleato» pachistano il
quale, mentre combatte l'islamismo militante al di là del confine, lo blandisce
al di qua, autorizzando l'applicazione della Sharia nella valle dello Swat (a
( da "Stampa, La" del
05-05-2009)
Argomenti: Obama
UN BAMBINO DI 9 ANNI
"Mrs Rice cosa pensa del water boarding?" [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI
CORRISPONDENTE DA NEW YORK «Che cosa pensa delle critiche
sollevate dal presidente Obama sui metodi adoperati dall'Amministrazione Bush per ottenere
informazioni dai detenuti?». E' stata questa domanda sulla tortura, posta da un
bambino di 9 anni, a mettere in imbarazzo l'ex Segretario di Stato Condoleezza
Rice di fronte all'insolito pubblico di una quarta elementare di Washington.
Sulla carta il discorso della Rice al giovane pubblico della «Jewish Primary
Day School» si annunciava come un ritorno morbido sulla piazza di Washington
nella stagione di Obama. E all'inizio infatti tutto
sembrava andare liscio: la Rice aveva parlato del suo amore per i viaggi, del
sostegno per Israele e dell'importanza di apprendere lingue straniere. Anche le
prime domande erano state innocue, del tipo: «Che cosa ha significato crescere
in una città segregata come Birmingham in Alabama? o «Per quali qualità vuole
essere ricordata?». Poi però a prendere la parola è stato il piccolo e
combattivo Misha Lerner, di Bethesda, che le ha posto senza preamboli il
quesito che evocava le torture sui detenuti di Guantanamo. L'ex Segretario di
Stato prima ha mostrato una certa sorpresa, ha detto di essere «riluttante a
criticare il presidente Obama» ma poi si è lasciata
prendere la mano, difendendo a spada tratta l'operato dell'Amministrazione
repubblicana: «Il presidente Bush ha detto con chiarezza che avrebbe fatto di
tutto per proteggere il Paese dopo l'11 settembre, ma ha anche detto che non
avrebbe fatto nulla contro le nostre leggi e i nostri obblighi internazionali».
Solo pochi giorni prima Condi Rice si era dovuta difendere dalle critiche degli
studenti dell'Università di Stanford, in California, affermando che «non
abbiamo torturato nessuno» ma scivolando nel dire che il «waterboarding»,
l'affogamento simulato, era legale solo perché «autorizzato dal presidente».
L'imprevista domanda di Misha Lerner ha avuto l'effetto di rilanciare le
polemiche seguite alla risposta data a Stanford. Ma per Condi poteva andare
anche peggio. Ad assicurarlo è Irene, madre dell'intraprendente alunno, che ha
svelato il retroscena della domanda: «Hanno chiesto a mio figlio di addolcire
la domanda iniziale aui aveva pensato, perché lui avrebbe voluto chiederle se
trovandosi a lavorare per Obama avrebbe proposto
ancora le torture...».
( da "Corriere della Sera"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Primo Piano data: 05/05/2009 - pag: 6 Obama lancia la sfida ai paradisi fiscali Caccia a 210 miliardi Nel
mirino le attività delle multinazionali DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON
L'Amministrazione Obama vuole tassare i profitti che le aziende Usa realizzano
all'estero e intensificare la lotta contro gli evasori, che nascondono i loro
guadagni nei paradisi fiscali. Parte di una più vasta iniziativa tesa a
«semplificare e rendere più efficiente» il codice fiscale degli Stati Uniti, la
proposta è stata annunciata ieri dal presidente americano, secondo il quale il
sistema impositivo in vigore «ha fallito ». L'attuale codice, ha detto Obama, «rende fin troppo facile per un piccolo gruppo di
individui e aziende abusare dei paradisi fiscali esteri, spesso evitando di
pagare qualsiasi tassa». Semplicemente non rimpatriando i profitti ottenuti in
Paesi stranieri, le imprese Usa evitano oggi legalmente di pagare ogni imposta.
Obama vuole chiudere questo varco retributivo, per un
principio di equità, ma anche perché intende scoraggiare la tendenza delle
multinazionali americane a spostare all'estero gran parte delle loro attività:
«Oggi si pagano meno tasse se si crea un posto a Bangalore, di quanto non
accade se lo si crea a Buffalo». La Casa Bianca calcola in tal modo di poter
generare 210 miliardi di dollari di nuove entrate, nell'arco di 10 anni. Non
sarà facile tuttavia per Obama far passare la misura
al Congresso. Osteggiata dai grandi gruppi come Microsoft, General Electric e
Cisco, che accusano l'Amministrazione di minare la loro capacità di competere
sui mercati internazionali, la proposta incontra la totale opposizione dei
repubblicani e lascia perplessi anche alcuni settori democratici. «Occorrerà
studiare ulteriormente il suo impatto sulle aziende americane», ha detto il
senatore del Montana Max Baucus, presidente della commissione Finanze, secondo
il quale bisognerà assicurare che «le nostre politiche fiscali non danneggino
la competitività globale del sistema americano ». Critiche all'Amministrazione
sono venute anche da Marty Regalia, capoeconomista dell'Unione delle Camere di
Commercio: «Gli Stati Uniti sono l'unico Paese che attua la doppia tassazione
sui profitti esteri delle nostre aziende. Così si finirà per ostacolare la
crescita e la creazione di posti di lavoro». Il «no» dei colossi Usa La
reazione negativa dei grandi gruppi americani come Microsoft, Cisco e General
Electric P. Val.
( da "Corriere della Sera"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Esteri data: 05/05/2009 - pag: 16 Diplomazia Primo viaggio del nuovo
ministro degli Esteri israeliano Lieberman, debutto a Roma Critiche a Olmert e
Sharon «Il mio governo? Niente slogan, risultati concreti» ROMA Nella prima visita
oltrefrontiera da ministro degli Esteri, ieri a Roma, l'israeliano Avigdor
Lieberman ha cercato di smussare gli angoli della sua immagine di mastino
dell'estrema destra. Per non appoggiare l'orientamento europeo e americano a
favorire la nascita di uno Stato palestinese, si è risparmiato colpi di
martello su una posizione che non ha condiviso. Le sue distanze da
quell'impostazione le ha marcate con un'impostazione che in ebraico si
definirebbe da tachless, da pragmatico. Soltanto che poi gli è partita qualche
botta verso altri politici israeliani. «Il nostro governo intende non proporre
slogan e dichiarazioni pompose, ma assicurare risultati concreti», ha detto
Lieberman al fianco del collega italiano Franco Frattini. «L'attuale governo di
Israele riuscirà senza tanti slogan a portare a una pace con i palestinesi e i
Paesi arabi che ci stanno vicini», ha sostenuto. Niente accenni ai suoi
pensieri su Abu Mazen, tantomeno al progetto della campagna elettorale di
pretendere dagli arabi-israeliani giuramenti di fedeltà allo Stato ebraico. Poi
un'analisi congegnata così: «Nei 16 anni dagli accordi di Oslo dal 1993,
comunità internazionale e Israele hanno avuto incontri come Oslo A, Oslo B,
Camp David, Annapolis, ma il risultato finale è un'impasse. Il governo precedente,
privo di Lieberman e Bibi Netanyahu, aveva rivolto offerte lungimiranti.
Cionono-- stante, nessun risultato». Ecco le botte, assestate indossando quasi
i panni del moderato: «I risultati concreti del governo di Ehud Olmert sono
stati la Seconda guerra del Libano, l'operazione di Gaza, l'interruzione dei
rapporti diplomatici con Mauritania e Qatar, Gilad Shalit tuttora prigioniero».
Nel tenersi alla larga dalla tesi «due popoli, due Stati» sulla quale i
giornalisti gli avevano chiesto di pronunciarsi, Lieberman non ha mostrato gran
tatto verso Ariel Sharon, uomo di destra di durezza anche maggiore: «Il governo
Sharon compì la mossa del disimpegno da Gaza sradicando dalle case migliaia di
israeliani. Il risultato è che Hamas si è impossessato di Gaza, cadono missili
sui nostri villaggi». Da qui, in sostanza, il messaggio: non offro formule,
produrrò pace. «Benvenuto al ministro degli Esteri israeliano, il razzista
Avigdor Lieberman», è stato scritto in uno striscione appeso domenica verso
Fiumicino dal «Forum Palestina » e da gruppi di estrema sinistra. I fascisti di
Militia Christi, che non risparmiano in antisemitismo, ne hanno messo un altro:
«Lieberman: razzismo sionista». Militanti del «Forum» ieri in largo Argentina
lanciavano scarpe su una foto del ministro israeliano, come fece un iracheno
con G. W. Bush. Oggi Lieberman sarà ricevuto da Silvio Berlusconi. Nelle
prossime tappe del suo giro in Europa, appuntamenti non sono previsti con
Nicolas Sarkozy né con i capi di governo a Berlino e Praga. Fonti ufficiose
fanno sapere che a porte chiuse Frattini ha suggerito di conservare l'orizzonte
dei due Stati, ma nella conferenza stampa con l'ospite il ministro italiano non
lo ha affermato, pur avendolo ribadita giorni fa. Si è augurato «che la pace con
i palestinesi sia un obiettivo chiaro del governo israeliano ». Le posizioni di
quest'ultimo appariranno più definite dopo che il premier Netanyahu, il 18
maggio, sarà andato da Obama. Lieberman
ha affermato di aver scelto l'Italia come prima tappa estera perché apprezza
Berlusconi e Frattini e per il boicottaggio italiano della conferenza dell'Onu
detta «Durban2 ». Al collega ha chiesto una mano per migliorare i rapporti con
Libia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e «alzare di livello» le relazioni
con l'Unione europea. Frattini ha risposto di sì, altri nell'Ue
ritengono che lo Stato ebraico debba prima procedere nel processo di pace. In
mattinata Lieberman era stato all'arco di Tito, punto nel quale nel 70 d. C.
vennero portati a forza ebrei e parti del Tempio di Gerusalemme conquistata da
Roma. Guida, il sindaco Gianni Alemanno. Affacciati Lieberman in Campidoglio
con Alemanno (Afp/Simon) Maurizio Caprara
( da "Corriere della Sera"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Sport data: 05/05/2009 - pag:
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina V - Bologna
QUANDO LA POLITICA E IL CANDIDATO... GIOVANNA COSENZA * (segue dalla prima di
cronaca) Anche gli slogan di Delbono potrebbero funzionare per qualunque
candidato; ma il gioco sul cognome è possibile solo con lui, ed è questa la
forza della campagna. Pasquino non ha potuto puntare sul cognome, ma ha
ugualmente cercato il doppio senso, proponendo un sindaco «che fa bene a
Bologna», dove la città è sia luogo che beneficiaria. Monteventi, dal canto
suo, vuole una Bologna libera da molte cose. Giuseppina Tedde, infine,
sottolinea la diversità del suo essere donna e chiama «Altra città» la sua
lista civica. Ma perché questa carrellata? Per simulare su carta quello che la
gente prova per strada: se va bene indifferenza, se va male nausea e rifiuto.
Parole parole parole, diceva la canzone. Insomma, quest´anno i politici locali
(come quelli nazionali) sembrano ammalati di sloganite. Anche a sinistra, che
di solito non lo facevano. Credo sia colpa di Obama.
Anch´io voglio comunicare come lui, devono aver pensato. Al che, ognuno si è
industriato come ha potuto. Il problema è che gli slogan non bastano. Neppure
se sono arguti. Per cominciare, ci vogliono contenuti e programmi chiari,
semplici e ben calibrati sulla realtà. Poi bisogna saperli comunicare, certo,
ma non basta moltiplicare slogan e affissioni: occorre coinvolgere i cittadini
nella costruzione dei programmi, farli discutere, partecipare. E per ottenere
questo bisogna sapersi muovere in una grande varietà di mezzi e modi: dalle
apparizioni tv ai discorsi in piazza, da Internet (sito, blog, facebook) alle
visite nei quartieri. è questo il senso profondo della lezione di Obama: la buona politica oggi funziona così, multimediale e
multimodale. Multitutto. E confrontare i nostri candidati con Obama non è mischiare la lana con la seta: anche i bolognesi
ci scommetto sceglieranno il sindaco che con più
perizia, passione e coerenza sarà andato in quella direzione. *Dipartimento di
Discipline della Comunicazione www.giovannacosenza.it
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 16 - Esteri
"Perché le torture?" così un bambino inchioda la Rice Condi in
imbarazzo tra gli alunni delle elementari Il bimbo è parso poco soddisfatto
della risposta dell´ex consigliere di Bush Il piccolo si chiama Misha Lerner,
figlio di immigrati russi, nove anni VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - I bambini.
Sono sempre i bambini a scoprire che il re è nudo, anche se in questo caso nuda
era la ex regina della diplomazia americana, Condi Rice, costretta a spiegare,
senza successo, che cosa sia la tortura ai fanciulli. Eppure, le insegnanti
della quarta elementare raccolti nella Sinagoga di Washington erano state
accuratamente indottrinate dal direttore, quando avevano saputo della visita
che l´ex segretaria di stato Condoleezza Rice avrebbe fatto alle classi, e le
maestre avevano preparato i bambini, preselezionando le domande che avrebbero
potuto rivolgere all´illustre ospite, per non metterla in imbarazzo. Questa
visita a una scuola elementare ebraica era la prima «rentrée» pubblica della
Rice nella capitale che l´aveva vista per quattro anni al timone della politica
estera nazionale, e altri quattro come massima consigliere per la sicurezza
nazionale, al fianco del Presidente Bush, e dunque l´incontro con gli
scolaretti voleva essere un ritorno morbido sulla scena. Ma poi spunta il
solito bambino, quello con la mano alzata fino a quando non gli danno retta. «Che cosa pensa delle cose che Obama sta dicendo
dei metodi di interrogatorio usati dal Presidente Bush?» domanda Misha Lerner,
figlio di immigrati russi, dall´alto dei suoi nove anni, sotto lo sguardo
terrorizzato della madre e delle insegnanti che lo avevano convinto a non usare
almeno la parolaccia proibita - «tortura» - come lui avrebbe voluto fare.
Ma tutti, Rice per prima, avevano capito benissimo a che cosa alludesse e l´ex
segretaria di Stato ha dovuto remare. «Il nostro dovere, carino, era quello di
proteggere l´America dopo l´11 settembre», «fare tutto quello che si poteva
fare», «ma niente che non fosse autorizzato dal Presidente e quindi legale».
Poi, un po´ più lamentosa: «Spero che tu capisca, Misha, che tutta la nazione
capisca che noi stavamo soltanto cercando di proteggere la nazione». Misha si è
rimesso a sedere, poco soddisfatto dalla risposta che non ha risposto, come poi
dirà la madre, piccola voce bianca di una nazione intera che ancora cerca di
capire perchè l´America «che non tortura», l´America che si immagina migliore del
resto del mondo e immune da pratiche indecenti, abbia torturato quei
prigionieri. E si chiedono se anch´essa possa scivolare nei comportamenti che
sempre rimprovera agli altri, purchè i massimi dirigenti del governo dichiarino
essere legale quello che legale non è, soltanto perchè così vogliono. E la Rice
non sa davvero che cosa rispondere, oltre la formula classica del «lo abbiamo
fatto per il vostro bene». Pochi giorni prima dell´incontro con gi scolaretti
delle elementari a Washington, aveva dovuto affrontare i meno teneri studenti
dell´università di Stanford, in California, che l´avevano rosolata sul punto
chiave del caso torture, sulla falsa dottrina, cara a Bush, della legalità
definita dal sovrano. La tesi del «tutto ciò che è presidenziale è legale»
sostenuta dalla Rice a Stanford e poi ripetuta ai bambini, non convince, fa
paura, in una nazione che ancora crede ai limiti del potere esecutivo e che
ricorda come questa fosse stata esattamente la «dottrina Nixon» quando cercava
di salvarsi dal processo di impeachment e dalle dimissioni forzate. Non
persuade neppure Obama e i suoi, che si contorcono in
questi giorni fra la rivelazione delle torture inflitte ai prigionieri,
certamente illegali, e il timore di aprire una Norimberga, un processo formale
a chi le volle, come Bush e il suo burattinaio Cheney, a chi le accettò e le
fece passare, secondo la classica formula dell´»ubbidire agli ordini», come la
Rice o il direttore della Cia Goss, riaprendo una piaga infetta. «Il passato è
passato, non camminiamo con la testa voltata all´indietro» invocava Peggy
Noonan, una delle voci più moderate della generazione reaganiana, mentre Dick
Cheney, l´oscuro principe del regno Bush, è tornato inopportunamente a
ringhiare in pubblico per difendere quella pratiche di interrogatorio, come
l´annegamento simulato, il waterboarding già entusiasticamente praticato dai
Santi Inquisitori su eretici e marrani, che sono inequivocabilmente torture.
Quello che in realtà tutti vorrebbero, dal team Obama
agli ex bushisti meno fanatici come la Rice, sarebbe ammettere il peccato ma
senza mandare al rogo i peccatori, voltare pagina, giustificarsi con lo stato
di emergenza e di panico nelle ore dopo l´11 settembre. Ma ci sono sempre i
bambini, come Misha, o i vecchi che si comportano da bambini, come il
capriccioso Cheney, che non vogliono star buoni e scuotono gli scheletri dagli
armadi. Alla fine della visita alla scuola elementare, la Rice è andata a
cercare quel bambino che l´aveva messa in difficoltà come mai neppure i Putin,
gli Chirac o i Blair avevano fatto e ha voluto farsi fare una foto con lui, che
sorrideva imbarazzato, ma poi l´ha abbracciata, perchè nove anni sono nove
anni.
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 17 - Esteri
"Quell´auto sembrava sospetta" tra i soldati dopo la tragedia di
Herat Il padre della ragazza uccisa aveva azzardato uno strano sorpasso Il
comandante del contingente ha incontrato i familiari della giovane vittima
GIAMPAOLO CADALANU DAL NOSTRO INVIATO HERAT - I militari guardano il cartello
rosso appeso sul retro del blindato Lince e scuotono la testa. C´è disegnata
una figura umana con la mano alzata in segno di "stop" e una grande
scritta in lingua dari: «Tenetevi lontano». Sotto c´è l´immagine di un mezzo
militare e di un´auto civile, con l´indicazione della distanza obbligatoria.
Serve ad avvertire gli automobilisti che non devono accostarsi ai convogli. Ma
domenica non è servita. Non sono serviti neanche i volantini distribuiti nei
mesi scorsi dalle forze Isaf, che dicevano: «Guida con attenzione. Pensaci». Il
giorno dopo la tragedia, nella testa di tutti i militari italiani c´è una sola
domanda: com´è potuto succedere? A Camp Arena fra i paracadutisti della Brigata
Folgore l´aria è tetra. C´è la coscienza che l´incidente sulla Ring road e
l´uccisione della giovanissima Behnooshahr Wali per mano di un mitragliere
italiano possono intaccare il rapporto costruito con i locali nella provincia
di Herat. Il comandante del contingente, Rosario Castellano, ha fatto quello
che da lui ci si aspettava, contattando le autorità locali ma anche la famiglia
della bambina. Le formule sono quelle di rito: cordoglio, rammarico, forse un
primo accenno a possibili risarcimenti. Ma quello che conta, per i militari
italiani, è cercare di ricostruire un rapporto prezioso. «La comunità
percepisce che è stato solo un disgraziato incidente», dice il portavoce Marco
Amoriello. «C´è un´inchiesta della magistratura (il fascicolo, ancora senza
ipotesi di reato, è stato aperto dalla procura di Roma, ndr), non possiamo dire
nient´altro fino alle sue conclusioni». Poi però fra la truppa vince la voglia
di spiegarsi, di sottolineare di nuovo che gli italiani sono in Afghanistan per
aiutare, non per uccidere. Filtra qualche particolare in più: la Toyota Corolla
della famiglia Wali era in fila, la quarta dopo altre tre auto. Incrociando la
colonna italiana che veniva da Camp Stone, le altre vetture hanno accostato a
destra, ma Ahmad Wali ha deciso di sorpassare. La pioggia limitava la
visibilità e quando l´afgano ha notato il convoglio era troppo tardi. Altri
militari fanno osservare che la ricostruzione ufficiale dell´incidente non è in
conflitto con le foto che mostrano il lunotto distrutto e fori di proiettile
nella parte posteriore della fiancata. La spiegazione è semplice, suggerisce un
veterano: chi ha ormai deciso di sparare, con l´auto arrivata a dieci metri,
non può che sparare una raffica intera. L´ipotesi di uno sciagurato errore
appare l´unica presa in considerazione anche dagli afgani: «Non c´è stata
nessuna manifestazione» dice Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera in visita
a Herat. Ma forse ha un ruolo anche il tradizionale fatalismo afgano e la
coscienza che il Paese è tutt´altro che pacificato. Ieri la France Presse
segnalava 29 attentati, legati all´approssimarsi delle elezioni presidenziali,
il 20 agosto. E proprio ieri Hamid Karzai ha depositato la
sua candidatura, partendo poi per Washington alla ricerca di una
"ricucitura" con la nuova amministrazione americana. Lo staff di Obama ha già segnalato scarso entusiasmo per l´ipotesi di una
riconferma di Karzai. Ma per ora alternative forti non sono comparse.
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
17 - Esteri Domanda e risposta Misha Lerner Condi Rice Il nostro dovere,
carino, era quello di proteggere l´America dopo l´11 settembre Spero che tu
capisca Cosa pensa di ciò che dice Obama dei metodi di
interrogatorio usati dal presidente Bush?
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 6 - Economia
Germania, salvi 3 impianti su 4 e il marchio non sarà cancellato Ma ci saranno
sacrifici per il personale del settore motori Nonostante gli incentivi, il
mercato ad aprile è sceso del 7,5 per cento PAOLO GRISERI TORINO - Diventare la
costola occidentale di un costruttore russo o entrare a far parte di una delle
maggiori aziende di auto dell´Occidente. Questo è il dilemma tedesco di fronte
alle offerte contrapposte del Lingotto e dell´alleanza tra gli austriaci di
Magna e i russi di Gaz. Dilemma non nuovo in una nazione divisa tra Est e Ovest
per quasi mezzo secolo. Entrerà anche questo nella trattativa tra Torino,
Vienna e Berlino che promette di definirsi nella settimana che va dal 24 al 31
maggio, vale a dire all´indomani delle elezioni tedesche e
prima della scadenza fissata da Obama per il
salvataggio della Gm. Il piano presentato ieri da Marchionne avrà bisogno di
ulteriori dettagli. Ma nelle sue grandi linee è abbastanza chiaro: garantire
gli stabilimenti di assemblaggio finale e risparmiare in quelli che realizzano
componenti. Così l´ad di Torino salva i tre stabilimenti tedeschi di
Eisenach, Bochum e Russelsheim dove nascono le auto Opel ma non quello di
Kaiserlautern dove si costruiscono i motori. Tre stabilimenti sui quattro che occupano
in tutto 25 mila addetti. Secondo la filosofia che era già stata applicata ai
tempi dell´alleanza con Gm: mantenere distinto ciò che appare, come i marchi
che sarebbe un errore abolire, e unificare ciò che non si vede in quel grande
retrobottega che sono diventati gli stabilimenti di produzione dei componenti,
dai motori alle altre parti meno nobili dell´automobile, dove spesso tutti
producono per tutti. Infatti l´eventuale riduzione del numero degli addetti a
Kaiserlautern si può spiegare con il fatto che Fiat e Gm Europa hanno già in
corso una produzione comune di motori nello stabilimento polacco di Bielsko
Biala, dove vengono realizzati i propulsori della 500 e della Panda e dove
viene costruito, insieme a Opel, il motore 1.300 diesel. In realtà a temere
maggiormente l´effetto dei tagli potrebbero essere i dipendenti degli
stabilimenti Opel fuori dalla Germania che non godono dell´ombrello protettivo
dei rispettivi governi. Che la capacità produttiva installata in Europa sia del
trenta per cento superiore alle necessità (e che dunque si fosse alla vigilia
di duri tagli di organico) era un dato già noto prima che la crisi facesse
sentire i suoi effetti. E non è assolutamente detto che, cessata la tempesta, i
mercati dell´auto tornino in Occidente agli stessi livelli che avevano due anni
fa. Ieri, nonostante gli incentivi, il mercato dell´auto italiano è sceso del
7,5 per cento mentre i marchi del gruppo Fiat sono scesi del 3 rispetto
all´aprile 2008, aumentando di conseguenza al 35,2 per cento la loro quota in
Italia. A far scendere il mercato è stata anche la scarsa disponibilità di
modelli ecologici letteralmente trascinati dagli aiuti statali. Fatto curioso
visto che dall´autunno scorso molti impianti sono rimasti fermi in cassa
integrazione. In ogni caso il nuovo calo dei mercati è un campanello d´allarme
per chi sta trattando fusioni come quella tra Fiat e Opel.
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 7 - Economia
Marchionne vola in America da Gm e chiede aiuto ai governi della Ue L´ad si
candida a guidare un gruppo da 80 miliardi. Ft parla di un piano B con Peugeot
e Bmw SALVATORE TROPEA TORINO - Un intervento strutturato degli Stati
interessati in grado di alleggerire il peso dei debiti che schiacciano
l´azienda tedesca: è questo il passaggio stretto attraverso il quale la Fiat
può arrivare all´annessione della Opel dopo la Chrysler. Non è una strada in
discesa anche perché nella partita dell´auto, fortemente politicizzata, sono
chiamati in causa i governi e fanno sentire sempre di più la loro voce
preoccupata i sindacati. Ma è quella che Sergio Marchionne sta seguendo passo
dopo passo verso la realizzazione del suo progetto mirato alla costruzione di
un colosso da 6 milioni di vetture all´anno e 80 miliardi di fatturato.
Convinto che il bandolo della matassa sia ancora sull´altra sponda
dell´Atlantico, ieri l´ad del Lingotto, dopo i colloqui di Berlino, è ripartito
per l´America. Lo ha fatto portandosi come viatico un verdetto della Borsa che,
con un aumento dell´8 per cento del titolo, sembra premiare la sua strategia.
Ad attenderlo tra Washington e Detroit, i suoi collaboratori con i quali oggi
riprenderà a tessere la tela delle alleanze con al centro la Opel. Perché se è
vero che il negoziato sul futuro di questa azienda si svolge in Europa è
altrettanto vero che l´ultima parola spetterà alla casa madre di Detroit ovvero
a quella Gm che entro il 31 maggio, con un piano credibile, dovrà convincere l´amministrazione Obama di meritare i finanziamenti da
cui dipende la sua sopravvivenza. Questo piano, che ieri Marchionne ha portato
a Berlino, prevede una soluzione che coinvolge i governi europei i quali, sul
modello adottato in Usa per la Chrysler, dovranno garantire finanziamenti a un
tasso competitivo e accollarsi parte dell´esposizione dell´azienda verso
i fondi previdenziali. A questo proposito c´è un precedente dell´Inghilterra in
occasione del passaggio di Jaguar e Rover al gruppo indiano che fa capo a Ratan
Tata. Senza questo supporto pubblico è difficile che Marchionne o chiunque
altro si avventuri nell´operazione Opel per dire un´azienda che si porta dietro
un bagaglio di oltre 15 miliardi di debiti. Ieri sono circolate delle cifre
anche in relazione alla cordata alternativa a Fiat ovvero all´austro-canadese
Magna assieme alla russa Gaz dell´oligarca Deripaska che però, a giudicare da
quanto sostengono i vertici della stessa Magna, non andrebbe più in la di una
collaborazione. Ciò vuol dire che il Lingotto resta ancora il solo
protagonista. Con riferimento al tentativo di chiudere il cerchio con Opel dopo
quanto fatto con Chrysler, Marchionne ha detto al Financial Times che si tratta
di un´operazione perfetta «dal punto di vista ingegneristico e industriale». A
costo zero? E´ possibile che sia così almeno nella prima fase anche perché,
visto lo stato di salute finanziaria dell´azienda e tenuto conto delle
intenzioni di Obama di muoversi solo per salvare gli
impianti americani e, per ragioni politiche quelli dislocati in Cina, il primo
giugno Opel potrebbe trovarsi senza nessun paracadute. Il problema delle
risorse finanziarie per Fiat si porrà dopo la conquista di Opel, nella fase di
risanamento e rilancio. A quel punto il discorso della riorganizzazione
industriale avrebbe un costo e potrebbe coinvolgere anche le aziende italiane
del Lingotto ed è questa la ragione per la quale i sindacati continuano a sollecitare
un incontro con l´azienda e con il governo. E´ in questa prospettiva che l´ad
del Lingotto ha messo in piedi il progetto dello spin off di Fiat Group
Automobiles in una società quotata in Borsa che conta di realizzare entro
l´estate e che verosimilmente sarà da lui guidato. Non è un caso, infatti, che
egli abbia annunciato l´intenzione di non ricandidarsi in Ubs. «Non posso fare
tutto» a detto a Ft, pensando di rinunciare alla carica di vicepresidente.
Dunque al momento il suo obiettivo è la Opel, in alternativa alla quale sempre
Ft ripropone l´alleanza di Fiat con Peugeot e Bmw. Un piano B di riserva che il
Lingotto continua a smentire decisamente.
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 26 - Economia Obama contro i paradisi offshore "Scoveremo gli evasori
fiscali" Norme più severe per recuperare 210 miliardi in 10 anni Le banche
americane a caccia di nuovi capitali, dopodomani l´esito dello stress test
VITTORIA PULEDDA MILANO - Lotta a tutto campo all´evasione fiscale e
all´elusione che consente di non pagare le tasse. Parola del presidente
Usa Barack Obama, che ieri ha dichiarato guerra alle
«scorciatoie contenute in un codice delle imposte scritto da lobbysti, per
tutelare interessi particolari», sfruttando i paradisi fiscali. «A nessuno
piace pagare le tasse, soprattutto in tempi di crisi, ma la maggior parte degli
americani rispetta gli obblighi», ha detto Obama,
presentando nuove norme fiscali (che entreranno in vigore dal 2011) e da cui il
governo si aspetta di recuperare 210 miliardi di dollari in dieci anni.
«Diciamo basta ad agevolazioni indifendibili», ha aggiunto il segretario al
Tesoro Timothy Geithner, ricordando che un mese fa a Londra il G20 ha raggiunto
un accordo per agire contro i paradisi fiscali e sottolineando che una decina
di paesi, Svizzera e Lussemburgo compresi, si sono impegnati a adottare
standard internazionali. Un riferimento non casuale: da mesi l´amministrazione
ha avviato un braccio di ferro con l´elvetica Ubs per ottenere i nomi dei
cittadini Usa potenziali evasori. Nel mirino di Obama
sono finite in particolare le regole che consentono di nascondere all´ufficio
delle entrate il ruolo giocato dalle controllate estere nel far defluire gli
utili verso regimi fiscali particolarmente favorevole. Solo da questa voce, il
presidente americano conta di recuperare circa 95,2 milioni (sempre spalmati su
dieci anni). Stop anche alle deduzioni per chi sposta unità produttive
all´estero: 103,1 miliardi di risparmi, che per tre quarti andranno a
costituire un «credito d´imposta permanente per gli investimenti in ricerca e
innovazione negli Usa». In queste ore l´amministrazione Obama
è impegnata anche nella valutazione degli stress test cui sono state sottoposte
19 banche americane. I risultati ufficiali verranno resi noti solo giovedì, ma
nel frattempo si fanno sempre più intense le voci che danno molti colossi del
credito alla ricerca di nuovi capitali. Tra questi - scrive il Financial Times
on line - Bank of America e Citigroup avrebbero bisogno di 10 miliardi di mezzi
freschi ciascuno (anche se Bofa ha smentito le indiscrezioni). Citigroup,
invece, starebbe studiando formule intermedie, per convertire solo in parte le
azioni preferred in mano allo Stato ed evitare così di essere nazionalizzata,
mentre starebbe cercando capitali privati per irrobustire i ratio patrimoniali.
Il Wall Street Journal, dal canto suo, scrive che le autorità Usa hanno chiesto
anche a Wells Fargo di rafforzare il capitale. Il governo, comunque, non
chiederà al Congresso l´impiego di nuovi fondi pubblici per sostenere le banche
che hanno bisogno di più liquidità. Lo ha chiarito il portavoce della Casa
Bianca, Robert Gibbs secondo cui ora «il primo e il miglior luogo per reperire
capitali sia il settore privato». In queste ore, i principali istituti stanno
continuando a dialogare con la Fed sui risultati (e le conseguenze) degli
stress test. Che, a detta del guru di Wall Street, Warren Buffet, non sarebbero
così attendibili: «Leggendo i risultati dei test - ha detto - si ha
l´impressione» di un approccio «non molto sofisticato».
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 27 - Economia
I voli low cost diventano sempre più spartani Non è difendibile che il governo
di un solo Paese abbia la supervisione di Internet che viene usato da milioni
di persone in tutto il mondo. Ho fiducia in Obama,prepari la nuova governance LONDRA - Sui suoi voli i posti non
sono pre-assegnati e i passeggeri siedono dove vogliono, cibo e bevande vengono
pagati come extra, si parla anche di far pagare un euro a passeggero per andare
alla toilette e di introdurre una «tassa sul grasso» per i passeggeri obesi,
che pesano troppo e invadono lo spazio del vicino. Ma l´ultima inziativa della
Ryan Air è ancora più drastica: eliminare il check-in negli aeroporti. Dal
prossimo ottobre saranno possibili soltanto facendo un check-in online su
Internet almeno 24 ore prima della partenza. La scomparsa dei banconi del
check-in, insieme a misure per costringere i passeggeri a portare meno bagaglio
a bordo, farà risparmiare all´azienda irlandese, tra riduzioni del personale e
taglio di strutture negli aeroporti, 50 milioni di euro l´anno, «un grande
supporto alll´attivo», in un anno difficile per tutti in cui la Ryan Air si
aspetta di realizzare comunque da
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 37 - Cronaca
Per Umberto Veronesi la conoscenza dei geni ha già dato risultati straordinari
in medicina Tumori e malattie ereditarie ecco le terapie della speranza Ma la
genomica apre il dibattito su questioni etiche che la società deve affrontare (SEGUE
DALLA COPERTINA) Per l´uomo, dalla conoscenza dei geni delle malattie
ereditarie si è sviluppata la medicina predittiva in grado di evitare
l´insorgenza stessa delle malattie. Abbiamo la possibilità di effettuare
diagnosi preimpianto e diagnosi prenatali che offrono l´opportunità anche a chi
è portatore di una malattia genetica di non trasmetterla ai propri figli,
salvando esistenze straziate da patologie devastanti. Abbiamo fatto progressi
rilevanti nello studio di queste malattie fino a ieri senza speranza, per le
quali si apre lo spiraglio della terapia genica, e delle patologie
degenerative, per le quali la clonazione delle cellule staminali embrionali,
già sperimentata negli animali, è oggi la più realistica prospettiva di
salvezza. Nella lotta al cancro, il Dna ha aperto nuove possibilità di ricerca
molto concrete. Se è vero che la causa dei tumori è al 90% nell´ambiente, è
vero anche che i fattori ambientali creano un danno al Dna, che può essere
riparato. Oggi possiamo conoscere il profilo genico delle cellule tumorali,
informazione molto preziosa per la diagnosi precoce e per le terapie
personalizzate. è nata infatti la farmacogenomica che si occupa della creazione
di farmaci meno tossici, che abbiano come bersaglio esclusivo le cellule tumorali,
in quanto hanno un genoma alterato. Già ce ne sono in uso almeno una decina,
anche in combinazione con i farmaci tradizionali. Ancora i geni sono la
piattaforma di studio per la nutrigenomica, la scienza che indaga come
combinare il profilo genetico individuale con i cibi, per arrivare a
un´alimentazione protettiva per le principali malattie, o addirittura
terapeutica. Oppure per la medicina forense, che con l´esame del Dna, aiuta la
giustizia ad identificare gli autori dei crimini. Tutto questo non impedisce
che il mondo inizi a chiedersi se le aspettative di dieci anni fa circa la
rivoluzione del Dna siano state in parte disattese e se le grandi promesse di
malattie sconfitte e calamità debellate, rimarranno tali. Io credo di no.
Perché in realtà sono tante le conquiste del Dna e una sola la colpa: di aver
infranto nelle menti il mistero affascinante delle nostre identità, del nostro
corpo, del nostro carattere, della nostra e delle altre vite. Un duro colpo
inferto all´intero sistema culturale che per secoli ha retto il mondo più
evoluto. E c´è una colpa anche di noi uomini di scienza, che abbiamo
sinceramente pensato che l´accelerazione della ricerca scientifica sarebbe
stata fortissima e immediata. Abbiamo fatto male i conti, però, con i freni
degli investimenti - la ricerca genomica si basa su tecnologie costosissime e
non facili da applicare - e, appunto, con quelli del pensiero. Il messaggio
sconvolgente della decodifica del genoma è infatti che, per l´uomo come per un
virus o la mosca, un elefante un filo d´erba, la vita ha lo stesso primo punto
di partenza: quella identica struttura del Dna, formata da quattro basi
azotate, che si comportano come le quattro lettere (a,c,g,t) di un alfabeto
semplicissimo, e che, combinandosi fra loro, scrivono il libro della vita,
qualsiasi forma di vita. Come conciliare questa realtà con l´idea di un uomo
Signore dell´Universo, unica creatura a immagine e somiglianza di Dio? E,
poiché se tutti i geni degli esseri viventi sono uguali , allora si possono
trasferire da un organismo all´altro ( da un uomo ad un altro uomo , ma anche
da un uomo a una pianta o a un batterio) quale etica spiegherà che l´uomo è in
grado di intervenire su ogni forma di vita, anche la sua, fino a crearla
artificialmente o riprodurla per clonazione? La possibilità di conoscere e
modificare la struttura biologica pone la società di fronte a responsabilità
pesantissime e le prime ricadute pratiche della rivoluzione del Dna hanno già
provocato fratture profonde. Pensiamo ai vincoli alla fecondazione assistita,
imposti in Italia agitando lo spettro dell´eugenetica , o allo stop alla
ricerca sulle cellule staminali embrionali in molte parti del mondo, che solo
recentemente il presidente Obama ha
cancellato. Se dunque, dopo dieci anni, la scienza, pur fra ostacoli e battute
d´arresto, non ha dubbi sulla via del Dna, molto più incerta è la società. E il
problema non è quel farmaco mai arrivato al malato o quella nuova cura non
ancora realizzata, ma un disagio più profondo che deriva dall´incapacità di elaborare
un nuovo sistema di pensiero e valori, che tenga conto del fatto che
l´uomo ha poteri diversi, più estesi, sulla vita e sulla morte Per questo il
vero dibattito sulla genomica nei prossimi dieci anni non è una questione
scientifica, ma dovrebbe scendere nell´agorà, entrare nelle famiglie, essere
oggetto di dialogo fra genitori e figli e di confronto fra opinioni e
generazioni diverse. La Conferenza di Venezia sul futuro della scienza,
"The Dna Revolution", incentrata sui problemi etici, sociali e filosofici
legati alla rivoluzione del Dna, vuole essere un contributo in questa
direzione.
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 45 - Cultura
Toni morrison Intervista / Esce oggi "Il dono", nuovo romanzo del
nobel "la mia supplica contro lo schiavismo" nel mondo dei vinti In
questa storia ambientata nel 1680, una donna regala sua figlia a un mercante
sperando di garantirle una vita "La pietà è una forma d´amore che rende
meno penosa l´esistenza" "Updike ha torto: ho ammirato Faulkner, ma
non mi ha influenzata" NEW YORK Il nono romanzo di Toni Morrison, in
uscita oggi in Italia da Frassinelli con il titolo Il dono e la traduzione di
Silvia Fornasiero (pagg. 192, euro 17.50), affronta nuovamente l´abominio della
schiavitù, ma con una prospettiva ribaltata rispetto ad Amatissima. Nel suo
libro più celebre e potente, l´autrice raccontava la scelta tragica di una
donna che arrivava ad uccidere la propria figlia pur di non farla diventare una
schiava. Invece, nel Dono, ambientato nel 1680, una donna dona la figlia ad un
mercante, nella speranza di garantirle una vita in un mondo devastato da una
terribile epidemia di vaiolo. Il tragico paradosso della vicenda trasforma
quindi un atto terribile in un gesto di pietà (è questo il titolo originale: A
Mercy), e lancia un´ombra raggelante su una società giovane dominata dalla
violenza e l´ingiustizia, convinta di esser civile ma con fondamenta già marce.
Il libro, che è stato definito dal New York Times "una gemma
scintillante" e dal Washington Post un "piccolo e ricco
capolavoro", è uscito negli Stati Uniti a pochi giorni di distanza
dall´elezione di Barack Obama, al quale la Morrison ha
scritto una lettera nella quale ha stigmatizzato come un «errore enorme
identificare l´"affermative action" come qualcosa che ha a che fare
con la gente di colore». «Ne sono convinta, e credo che sia giusto che ne abbia
coscienza chiunque», racconta nel suo ufficio newyorkese l´autrice che ha vinto
il Nobel nel ´93. «La norma che prevede di assumere a parità di condizioni chi
proviene da una minoranza ha avuto affetti importanti, ma oggi il vero problema
è quello della miseria. La povertà si ciba di razzismo e lo scatena, e mai come
ora è necessario fare gesti forti. Oggi in America il numero dei bianchi in
welfare è superiore a quello dei neri, ma c´è ancora il rischio della
propaganda che tende ad identificare i neri con i poveri». Lei ha dichiarato di
aver voluto descrivere un mondo «precedente al momento in cui la schiavitù è
stata legata imprescindibilmente con il dato razziale". «In America
razzismo e schiavitù hanno rappresentato due facce della stessa medaglia, ed è
stata istituzionalizzata per proteggere deliberatamente la classe dominante: il
lavoro non pagato rappresentava uno dei pilastri del benessere e della
"civiltà"». A partire dall´incipit "Non aver paura", uno
dei temi principali è quello della costante situazione di paura e incertezza in
cui si trovano i protagonisti. «è proprio così, e non mi riferisco solo ai
personaggi che descrivo. Non è un caso che nel finale chi ascolta quelle parole
dice l´opposto: "hai paura". Il libro nasce da una supplica ed evolve
in maniera intima, forse spirituale». Un altro tema centrale è quello delle
persecuzioni religiose. Si può leggere un riferimento ai nostri tempi? «Non era
la mia intenzione primaria, ma non sono contraria al fatto che faccia
riflettere. Il Maryland nasce come un´enclave nella quale i cattolici
sfuggivano alle persecuzioni puritane. In seguito la situazione si è complicata
ed è degenerata. Oggi il tema della religione è centrale: penso alle
degenerazioni come il fondamentalismo, ma anche all´opposto: la solidarietà,
l´apprezzamento di un´armonia che rivela la trascendenza, la costruzione di
qualcosa di meraviglioso come una cattedrale». Il mondo che descrive sembra
incapace di provare pietà, e l´epidemia di vaiolo appare come una piaga
biblica. «Il nuovo mondo era per molti versi già antico, forse eterno. Un luogo
nel quale uomini e donne provenienti da ogni parte del mondo trovavano una
terra incontaminata nella quale hanno scatenato i loro istinti primordiali.
Svedesi, francesi, olandesi e, prima degli stermini, almeno venti milioni di nativi».
L´unica rivoluzione possibile sembra quella della pietà. «Si tratta di una
forma di amore che consente di rendere più sopportabile e meno penosa
l´esistenza. Uno degli elementi più orribili della schiavitù consisteva nella
separazione violenta tra genitori e figli. Florens chiede un miracolo, e
troverà la pietà». In una delle sue ultime recensioni John Updike ha citato
Faulkner. «è una influenza molto minore di quanto possa immaginare, anche se si
tratta di un autore che ho ammirato enormemente, in particolare per il talento
con cui sapeva immortalare il linguaggio del Sud. Mi hanno affascinato anche i
suoi temi, al punto che la mia tesi di laurea è stata sul modo in cui ha
rappresentato il suicidio in rapporto a Virginia Woolf. Per il primo è debolezza
e abbandono, per la seconda una scelta forte». Lei ha dichiarato: "Mio
padre non credeva ad alcun bianco e non li faceva neanche entrare in casa. Ma
per fortuna mia madre era completamente diversa". «Da bambino mio padre ha
assistito con i propri occhi a numerosi linciaggi nel proprio quartiere. Per
tutta la vita rimaneva sconvolto non appena vedeva un gruppo di bianchi. Mia
madre non ha avuto questa esperienza, ma c´è da dire che lei non è mai più
tornata nel posto dove era cresciuta, mentre mio padre andò ripetutamente in
quei luoghi segnati da atrocità». Quando Obama è stato
eletto lei ha detto che la sua "immaginazione creativa, accoppiata alla
brillantezza, porta alla saggezza". Qual è la sua valutazione dopo i primi
cento giorni? «Estremamente positiva: sta prendendo decisioni impopolari e
questo è segno di forza. Molta gente ha paura di esserne sedotta e non
dimentichi le incredibili aspettative che ha generato. Ho settantasette anni e
non ho mai visto nulla di simile. Ma si tratta di un presidente e non di un
re». Alcune scelte di politica estera sono molto più simili a quelle di Bush di
quanto in molti si potessero aspettare. «Non mi sembra che abbia smentito
quello che aveva detto in campagna elettorale. Ma bisogna aggiungere: hai
sentito cosa dicono i nostri nemici di noi? Cosa minacciano, non solo contro
l´America? La novità oggi è che grazie a questo presidente oltre alla minacce
c´è, forse, una timida apertura al dialogo».
( da "Repubblica, La"
del 05-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 46 - Cultura
DIVENTA Un saggio fra economia e psicologia gentile se lo
stato Arriva in Italia "Nudge" il best seller che spiega la dottrina,
fatta propria da Obama, per indurre i cittadini a scelte corrette Grazie a una
"spintarella" Autori del libro sono l´economista Richard Thaler e il
costituzionalista, Cass Sunstein, ora nello staff della Casa Bianca VITTORIO
ZUCCONI a salvezza sarà la "spintarella". No, non l´odiosa
pratica della raccomandazione, dei favori, del concorso truccato, che distorce
l´economia e deprime il merito. Sarà il "Nudge", la gentile, ma
convincente spinta a fare le scelte giuste, senza imporle, che due autori
americani, l´economista della scuola di Chicago, Richard Thaler, e il costituzionalista
di Harvard, Cass Sunstein, hanno teorizzato in un libro che non ha soltanto
venduto bene, ma è divenuto uno dei testi che Barack Obama
ha letto e riletto, portandolo con sé durante la campagna elettorale. E
trovandolo convincente al punto di chiamare proprio Cass Sunstein a divenire lo
"zar" delle nuove regole, colui che nei prossimi mesi dovrà
ridisegnare l´edificio delle regole del gioco economico nazionale, devastate
nel casinò di Wall Street. (Il libro esce giovedì in Italia: Nudge. La spinta
gentile, Feltrinelli, pagg. 284, euro 16, traduzione di Adele Oliveri). La
"dottrina della spintarella" educata e gentile ha il fascino
necessario dell´essere "post" tutto e insieme un cocktail genetico di
tutti gli organismi estinti, falliti o in via di estinzione, dei modelli
sociali economici spazzati dalla scopa della storia. Thaler, che pure viene
dalla scuola di Chicago fatta grande dai liberisti e monetaristi ideologici da
Hayek a Friedman, non crede più alla capacità miracolosamente autoregolante del
mercato. Sunstein, che accanto alla sua formazione di costituzionalista coltiva
e studia le teorie del comportamento umano, era addirittura un supporter di
Bush e di Greenspan, prima di convincersi che la libertà di scelta e di
"ricerca della felicità" garantita dalla Costituzione può condurre a
scelte disastrose per l´individuo e per la collettività. Ecco allora la formula
della spinta garbata, non la mano pesante dello "Stato mamma" che
pianifica e predetermina le decisioni, condiziona e indirizza gli investimenti,
ma convince, salvando l´autonomia e la libertà di tutti, a modificare
comportamenti e fare le scelte migliori. è l´atteggiamento del buon padre,
della madre saggia, del docente illuminato, in fondo socratico, che non dice
all´allievo o al figlio "devi tornare a mezzanotte", ma che mette il
proprio soggetto in condizione di capire che rientrare a mezzanotte e non fare
la notte in bianco è meglio, più divertente, più utile. Lo hanno chiamato
"liberismo paternalista", in un apparente ossimoro che il nuovo
signore delle regole nel tempo di Obama spiega con uno
di quegli esempi concreti e divulgativi che l´accademia americana adora e
impiega, libera da quei complessi da iniziati che spesso opprimono la
letteratura professorale italiana. «In America non si risparmia abbastanza -
dice - perché gli americani faticano a vedere il vantaggio del risparmio.
Basterebbe che le aziende offrissero ai dipendenti un programma nel quale dal
loro stipendio viene prelevata progressivamente una trattenuta più alta con il
crescere dello stipendio, accantonata a tassi sempre migliori. Nelle società
che ci hanno provato, il grado di risparmio è triplicato». Siamo, dice il
"behaviourista" in lui, animali notoriamente abitudinari e
condizionabili. Lo sanno i casinò, che da tempo conoscono l´architettura del
gioco e studiano arredamenti e percorsi nei quali noi topolini smarriamo il
senso del tempo e del luogo e siamo indotti a giocare. Dunque, perché non
applicare alla vita quotidiana quella che Thaler e Sunstein battezzano "l´architettura
della scelta"? «Immaginate la caffetteria di una scuola o il bancone di un
buffet. La prima cosa che chi entra vede sono le patate fritte, gli hamburger,
la pancetta, mentre frutta, verdura, cibi sani sono spesso i più lontani. Vi
garantisco che chiunque, anche il più igienista, tenderà a cadere in
tentazione. Io non voglio che le patate fritte o le salsicce siano proibite.
Vorrei che fossero la scelta più difficile, più lontana. Poi, se uno vuole
imbottirsi di pancetta fritta, lo faccia pure. Ma noi lo avremo spinto, senza
costringerlo, a prendere la decisione migliore per lui, per l´ambiente, per
l´economia generale». Negli anni folli dei mutui poi divenuti inesorabilmente
"tossici", la caffetteria della finanza offriva ai poveri consumatori
rintronati e agli stessi operatori professionali, un buffet di opzioni nel
quale le peggiori, le più rischiose, erano le meglio esposte, le più ghiotte.
Ovvio che i topolini si sarebbero indirizzati verso di esse. L´esperienza
dimostra che, di fronte a troppe scelte, il cittadino tende a procrastinare, a
rinviare, a buttarsi sulla prima che vede, pur di non perdere la testa. Inutile
imporre norme e briglie, se la confusione rimane stordente, il predatore avrà
sempre buon gioco. Ma ingiusto sarebbe ancora ridurle d´imperio governativo. Il
"liberista paternalista" deve invece indirizzare verso le opzioni più
intelligenti e obbiettivamente dimostrabili e documentate. Se poi preferisce
puntare tutto alla roulette, buona fortuna. Dunque, gomitatine gentili,
"spintarelle garbate", "architettura delle buone scelte" in
un quadro politico che garantisca ogni libertà di azione, ma non abbia paura di
indicare quali siano giuste e quali sbagliate, sono il pensiero che spiega non
soltanto il successo di questo libro, stampato e ristampato come best seller in
ogni edizione, ma che spiega anche un po´ di quell´enigma Obama
che sta facendo impazzire i denigratori e innervosisce spesso anche gli
estimatori. Sempre troppo statalista per gli ultraliberisti, sempre troppo
liberista per i nostalgici del keynesismo, la chiave per capire chi sia, e come
veda il ruolo del governo centrale il nuovo presidente sta in questo libro che
i critici, gli ortodossi delle varie confessioni ideologiche ed economiche
trovano eccessivamente ottimista, quasi utopistico nella sua speranza di poter
riformare gentilmente i comportamenti fallimentari del consumismo onnivoro e
della speculazione furiosa. E infatti questa, di essere in fondo troppo
ottimista, è l´accusa che viene rivolta a Obama, dopo
gli anni del torvo catastrofismo bushista, ed è la ragione per cui questo
presidente "paternalisticamente progressista" o "liberalmente
interventista" continua a piacere tanto e a far sperare.