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Report "Obama"   4-6-2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

Sbarco in Normandia Dal Cuneese per il 65 anniversario ( da "Stampa, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: E' prevista la partecipazione anche di Capi di Stato come il presidente francese, Nicolas Sarkozy; si parla addirittura dell'arrivo del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Per essere collezionisti di mezzi militari d'epoca bisogna coltivare due passioni: la storia e la meccanica». \

Un amico mi ha telefonato l'altro giorno dicendo che mentre stava guardando la tv ha sentito battere... ( da "Stampa, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: perché Obama rivolge il suo messaggio al mondo islamico dal Cairo, così hanno fatto pressioni per avere il Presidente anche a casa loro». Un giovane che sta fumando il narghilè dice di essere orgoglioso che Obama abbia scelto l'Egitto. «È chiaro - dice - che il nostro prestigio è alle stelle, siamo il più importante paese musulmano»

Osama sfida Obama "Sei uguale a Bush" ( da "Stampa, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama e questa amministrazione hanno gettato nuovi semi dell'odio e della vendetta contro l'America, i semi sono tanti quanti i profughi della valle di Swat». Nel messaggio il leader di Al Qaeda ripete «amministrazioni Bush-Obama» puntando a delegittimare Barack proprio nel momento in cui arriva in Medio Oriente per proiettare una nuova immagine degli Stati Uniti.

"Il nucleare iraniano spaventa anche l'Arabia e l'Egitto" ( da "Stampa, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il vero problema è assicurarsi che questi non siano usati per scopi militari. Sarà questo l'argomento del grande negoziato». Perché per aprire un dialogo coi musulmani Obama ha scelto l'Arabia Saudita? « Saranno Arabia ed Egitto gli interlocutori diretti di Obama in questa nuova fase storica».

"Un sì all'Islam non agli ultrà" ( da "Stampa, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: niente attese eccessive perché la decisione di Obama di riportare l'America nel mondo musulmano è «robusta e durerà nel tempo». In questa cornice un approccio particolare che Rhodes ha messo per iscritto su indicazione di Obama è che «l'identità islamica fa parte di quella americana» come dimostrano i milioni di cittadini seguaci di Maometto che fanno degli Stati Uniti «

La Corte federale frena sulla vendita della Chrysler ( da "Stampa, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama garantisce di voler restare fuori dalle strategie di rilancio dell'azienda, Carl Levin, senatore democratico del Michigan, assicura invece che farà pressioni affinché l'azienda mantenga aperto un impianto nel suo Stato. Mentre il deputato repubblicano dell'Ohio, Steve LaTourette, ha chiesto una relazione dettagliata sulle decisioni del governo e delle società che operano nel

il linguaggio del cuore - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il vero problema impossibile di Obama non è, non ancora, il negoziato fra Israele e i palestinesi. è quello di rassicurare i despoti arabi dei quali ha bisogno, accendendo contemporaneamente l´entusiasmo e la fiducia delle piazze per questa nuova America. Dunque accendere il fuoco della speranza sotto la pentola senza far saltare il coperchio dei regimi dei quali ha bisogno,

gm, il giallo del centro ricerche - diego longhin ( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: benedetto dal presidente Obama, per puntare sui motori puliti. E all´interno del Poli si rafforza la voce che per queste ragioni il centro tornerebbe tutto in carico a Detroit, rimanendo strategico per lo sviluppo dei motori. «è ancora presto per capire - dice però Francesco Profumo, rettore del Politecnico - il centro non pare in bilico,

Obama e l'Islam, Bin Laden minaccia ( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: attenzione dalla strategia di pace Obama e l'Islam, Bin Laden minaccia Oggi il presidente americano in Egitto: rispetto, non scontro di civiltà Il network Al-Jazeera ha diffuso ieri un video di Osama Bin Laden che accusa Obama di «piantare i semi della vendetta e dell'odio» verso gli Usa, sulle orme del suo precedessore, George Bush.

LA FORZA DEL DIALOGO ( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama, appena giunto a Riad, accusato di «spargere i semi dell'odio». Ben sapendo che l'appello del presidente Usa punta a prosciugare le cause che, nel passato, avevano consentito di far lievitare proprio il fronte dell' odio. Obama non è paragonabile al filo-arabo Jimmy Carter, che benedisse la pace di Camp David tra Israele ed Egitto ma poi favorì il rientro in Iran di Khomeini,

L'ombra di Bin Laden sul viaggio di Obama ( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: viaggio di Obama «Pianta i semi dell'odio». La Casa Bianca: provano a oscurare il discorso di oggi al Cairo DAL NOSTRO INVIATO RIAD Non c'era solo il re Abdullah, ad accogliere ieri pomeriggio sul suolo saudita Barack Obama. Con una scelta dei tempi che segnala nervosismo e preoccupazione di fronte all'offensiva diplomatica del presidente americano verso il mondo arabo e musulmano,

Rispetto e cooperazione Ecco le parole chiave dell'appello all'Islam ( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la consulente di Obama per i rapporti con il mondo musulmano, che in Egitto è nata, ha raccomandato al presidente tre temi: «Rispetto, empatia e cooperazione », dice al telefono da Washington. Ma nota anche che contribuire alla risoluzione di conflitti come quello tra Israele e i palestinesi è fondamentale se gli Stati Uniti vogliono migliorare i rapporti con il mondo musulmano.

( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: al mondo islamico del presidente democratico Barack Obama? «Mi pare un errore politico mandare un messaggio prima del discorso cruciale sul Medio Oriente (oggi al Cairo, ndr) osserva il professore . Quella di Osama è una dichiarazione di guerra continua. Mentre Obama sta cercando chiaramente una miscela di diplomazia e forza, diversa da quella adottata dall'amministrazione Bush.

La mappa dei siti nucleari Usa finisce su Internet ( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Secondo la ricostruzione del New York Times tutto è iniziato lo scorso 5 maggio, quando il presidente Barack Obama ha inviato al Congresso, per una revisione, la lista dei siti nucleari americani e relative mappe 266 pagine in tutto accompagnandola con una lettera autografa nella quale definiva le informazioni «altamente confidenziali ma non secretate».

Berlino: su Opel giochi ancora aperti ( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dopo una decisiva telefonata tra la cancelliera e Barack Obama e insieme al via libera di Berlino al prestito-ponte da 1,5 miliardi. Passano solo tre giorni, e Merkel comincia a esternare i dubbi: l'operazione comporta «molti rischi». Almeno però, aggiunge, l'intesa con Magna-Sberbank «non è vincolante».

In Cina i miti extralarge Usa ( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: con Obama, l'era della nuova sobrietà. E' un'America che scopre all'improvviso di aver inseguito per troppo tempo il sogno della crescita senza limiti. Dopo la conquista del West, quella dei mega veicoli, degli hamburger «jumbo», delle casette che diventano «mansion», delle luci mai spente, dei condizionatori che funzionano senza soste,

Svolta tra Usa e Medio Oriente? ( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il discorso che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama (foto) ha tenuto oggi al Cairo segnerà una svolta per la crisi del Medio Oriente? Sarà questo l'interrogativo al centro dello speciale di stasera (che durerà un'ora), interamente dedicato all'analisi della visita del presidente statunitense in Egitto.

le frasi di obama ( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Esteri Le frasi di Obama Dove inizia l´Islam Un uomo saggio La frattura Prima di apprestarmi ad andare al Cairo, penso fosse molto importante venire nel luogo dove l´Islam ha avuto inizio Gli Stati Uniti e l´Arabia Saudita hanno una lunga storia di amicizia e rapporti strategici, re Abdullah è un uomo saggio Si è innegabilmente creata una frattura tra l´

obama nel cuore dell'islam scatena la rabbia di bin laden - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama un «criminale» che «segue gli stessi passi» di Bush. Minacce che non hanno sorpreso la Casa Bianca, convinta che il nuovo audio del capo di Al Qaeda sia l´inutile tentativo di «distogliere l´attenzione» dal viaggio di Obama e soprattutto dalle parole che questa mattina il presidente rivolgerà dall´Università del Cairo al miliardo e mezzo di musulmani di ogni parte del mondo.

bush, le parole non bastano" - alberto stabile ( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: caso della vittoria di Hamas ALBERTO STABILE DAL NOSTRO INVIATO BEIRUT - Cosa si aspettano gli Hezbollah dal discorso di Obama? «Non voglio fare previsioni - risponde Ammar Mussawi, nel salotto dove esercita il suo ruolo di "ministro degli Esteri" del partito di Dio - mi limito a rilevare che questa è la seconda volta che il presidente Obama si rivolge al mondo arabo e islamico.

"il messaggio dimostra la debolezza di osama" - arturo zampaglione ( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Bin Laden si è fatto vivo proprio alla vigilia del discorso di Obama ai musulmani. Non sembra una coincidenza, né un segno di debolezza. «Al tempo: il messaggio mandato in onda ieri da Al Jezeera è stato registrato molto tempo prima. Sono convinto che la rete televisiva abbia scelto per la diffusione il momento di massimo ascolto.

la paura torna a tienanmen alta tensione vent'anni dopo ( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Amministrazione Obama è stata affidata a Hillary Clinton. «Una Cina che ha fatto enormi progressi economici e aspira a una leadership globale - ha dichiarato il segretario di Stato - deve affrontare apertamente gli eventi più bui del suo passato, deve dire la verità sui morti, i detenuti, gli scomparsi, per imparare la lezione e per sanare le ferite»

la svolta degli stati americani cuba riammessa dopo 47 anni - omero ciai ( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: isola si diffondono da giorni voci su una malattia di Raul Castro OMERO CIAI Potrebbe diventare un altro colpo di Obama lanciato nel campo dell´avversario: l´Onu americana (Osa, organizzazione degli Stati americani) ha votato ieri in Honduras una risoluzione che annulla l´espulsione di Cuba quarantasette anni dopo. Ma non "senza condizioni" come volevano Venezuela ed Ecuador.

google-android sfonda sui pc low cost ( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 37 - R2 PROCREAZIONE DA UOMO IN COMA: CHE NE PENSATE? Il Sondaggio Il Festival Tecno Viaggi Consumi Repubblica Tv Tre giorni a tutto yoga a Roma Dolomiti patrimonio Unesco In diretta il discorso di Obama Google-Android sfonda sui pc low cost Le "multe pazze": un manuale per difendersi

Tienanmen, Pechino contro la Clinton "Accuse infondate alla Cina" ( da "Repubblica.it" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama aveva invitato il governo a fornire un bilancio completo della repressione e a "esaminare apertamente le pagine oscure del proprio passato". Centinaia, forse migliaia, di manifestanti, studenti e cittadini solidali con la protesta furono uccisi nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 dopo che i carriarmati erano stati dispiegati nelle strade della capitale per reprimere le

Obama, il linguaggio del cuore ( da "Repubblica.it" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il vero problema impossibile di Obama non è, non ancora, il negoziato fra Israele e i palestinesi. È quello di rassicurare i despoti arabi dei quali ha bisogno, accendendo contemporaneamente l'entusiasmo e la fiducia delle piazze per questa nuova America. Dunque accendere il fuoco della speranza sotto la pentola senza far saltare il coperchio dei regimi dei quali ha bisogno,

Obama al Cairo, storico discorso all'Islam "Ci ha lavorato fino all'ultimo minuto" ( da "Repubblica.it" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ha lavorato sino all'ultimo momento al testo del discorso sul dialogo col mondo musulmano che pronuncerà oggi all'Università del Cairo. La Casa Bianca ha rivelato che Obama, che ha cominciato a scrivere il discorso alcuni mesi fa, ha dato gli ultimi ritocchi al testo ieri notte mentre era ospite a Riad nella tenuta del sovrano saudita Abdullah.

Obama incontra Mubarak Prove di dialogo con l'Islam ( da "Stampaweb, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il presidente Barack Obama ha in programma di visita, accompagnato dal segretario di Stato Hillary Clinton, in visita alla moschea del sultano Hassan. Subito dopo, poco dopo le 12 ora italiana, l?atteso discorso all?università del Cairo con cui Obama si rivolgerà agli islamici di tutto il mondo per cercare di sanare «l?

Maturità, parte il toto-tema da Obama al terremoto ( da "Stampaweb, La" del 04-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti. E ancora l?immigrazione clandestina e il terremoto in Abruzzo. Ma fanno capolino anche altri suggerimenti che pescano nella cronaca dell?anno, e dunque perché non pensare a una traccia sull?evoluzione del mondo giovanile legata a fenomeni come la contestazione studentesca,


Articoli

Sbarco in Normandia Dal Cuneese per il 65 anniversario (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Personaggio Con le bisarche portati dieci mezzi militari storici Sbarco in Normandia Dal Cuneese per il 65° anniversario ROASCHIA Ci saranno anche dieci mezzi militari storici provenienti dalla provincia di Cuneo, il prossimo fine settimana, in Normandia, alle celebrazioni del 65° anniversario dello sbarco delle truppe alleate impegnate nella liberazione dell'Europa dal nazifascismo. Coordinatore della spedizione è Lorenzo Scarlata, 69 anni, titolare con la moglie di un agriturismo a Roaschia. «Siamo arrivati sull'Atlantico giovedì scorso - spiega Scarlata, tra gli organizzatori del "Military vehicle collectors club Italia" -. Dall'Italia sono partiti un centinaio di mezzi, dalle classiche jeep ai mezzi anfibi. Complessivamente ci saranno quasi diecimila mezzi. Il punto d'incontro è Isigny, villaggio vicino a Omaha Beach, la più sanguinosa delle spiagge dello sbarco. I mezzi cuneesi sono stati trasportati con cinque bisarche. La sfilata storica è in programma domenica a Bayeux. Il nostro gruppo partecipa alla manifestazione ogni cinque anni. Un modo per ricordare la storia e tenere alta la memoria di quei giorni. Sia ben chiaro, noi siamo pacifisti con la passione del collezionismo. Una passione anche costosa, visto che per mettere in sesto un residuato bellico a volte bisogna sborsare dai 30 ai 40 mila euro. Organizziamo manifestazioni anche a livello locale, ad esempio il 4 ottobre abbiamo in programma un raduno di veicoli militari storici a Entracque e la ripetizione della salita sulla strada dello Chaberton il 6 settembre. Lo scorso anno abbiamo organizzato un raduno di veicoli militari a Cuneo, portando in via Roma e corso Nizza anche due carri armati». Piero Brezza, presidente del "Military vehicle collectors club Italia": «Le celebrazioni del 65° anniversario dello sbarco in Normandia dureranno fino al 10 giugno. E' prevista la partecipazione anche di Capi di Stato come il presidente francese, Nicolas Sarkozy; si parla addirittura dell'arrivo del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Per essere collezionisti di mezzi militari d'epoca bisogna coltivare due passioni: la storia e la meccanica». \

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Un amico mi ha telefonato l'altro giorno dicendo che mentre stava guardando la tv ha sentito battere... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Un amico mi ha telefonato l'altro giorno dicendo che mentre stava guardando la tv ha sentito battere violentemente alla porta. «Chi è?», chiede. «Polizia - fa una voce imperiosa - vogliamo i documenti di tutti quelli che abitano in questa casa». Siamo alla vigilia della visita di Obama e il mio amico vive vicino all'Università del Cairo dove il Presidente parlerà. Eppure quell'appartamento non dà sui luoghi cruciali, da lì è impossibile compiere alcun attentato. La stessa cosa è accaduta ai suoi vicini. Mentre mi raccontavano quella storia, stavo guidando verso l'aeroporto del Cairo per andare a prendere un mio cugino. Appena arrivo, la polizia mi ferma e mi chiede la carta d'identità. È la prima volta in vita mia, dopo tanti su e giù all'aeroporto. Non so perché gli agenti siano così ossessionati dal controllo dei documenti. Il giorno dopo, sono seduto al caffè in un vicolo stretto del centro. Le sedie arrivano fino in mezzo alla strada. Ordino un carcadè. Vicino a me, si discute animatamente sulla visita del Presidente americano. «Avete sentito? - chiede un tale - hanno arrestato duecento studenti dell'Università teologica di Al Azhar. Quasi tutti dell'Asia centrale o russi. Nessuno sa dove li abbiano portati. E questo solo perché Obama visiterà la loro facoltà». Qualcuno spiega che l'ospite ha aggiunto al suo programma una tappa in Arabia Saudita. Il vicino fa una battuta: «Suppongo che il governo egiziano abbia rifiutato di pagare i costi del viaggio, così l'Arabia Saudita come al solito ha dovuto mettere mano al portafoglio». Poi il discorso si fa serio. Uno dice che i sauditi da quando non ci sono più i Bush, padre e figlio, si sentono orfani. «Riad è furiosa, perché Obama rivolge il suo messaggio al mondo islamico dal Cairo, così hanno fatto pressioni per avere il Presidente anche a casa loro». Un giovane che sta fumando il narghilè dice di essere orgoglioso che Obama abbia scelto l'Egitto. «È chiaro - dice - che il nostro prestigio è alle stelle, siamo il più importante paese musulmano». Un vecchio scuote la testa: «Essere il migliore o il peggiore dipende dalle condizioni reali e non dal giudizio degli altri. Siamo ormai un Paese fuori gara, come lo era la Cina all'inizio del secolo scorso. La visita non rimetterà in moto la nostra sgangherata macchina: dobbiamo farlo da soli». Interviene una donna seduta al mio fianco che sta aspirando il fumo dalla pipa ad acqua: «Obama è soltanto un abile chirurgo plastico. Va in giro per migliorare il volto brutale dell'America nel mondo che Bush ha deturpato. Eh sì, è proprio un abile chirurgo plastico». Anche il cameriere, che ha appena portato una tazza di tè, vuole dire la sua: «Chiedo una sola cosa a Obama: che risolva una volta per tutte la crisi mediorientale. Se lo facesse diventerebbe il migliore Presidente nella storia americana. Peccato che non ho mai visto un politico mantenere la parola». Poi si lancia: «È vero che in campagna elettorale aveva promesso di fare a meno del petrolio nel giro di dieci anni? Se lo facesse Israele perderebbe la sua importanza strategica e l'intero Medio Oriente diventerebbe una scatola vuota. Non si sacrificherà mai più un popolo per il petrolio, come è successo agli Iracheni. Ci lasceranno finalmente in pace». La ragazza che fuma il narghilè sbotta: «Viva Obama il chirurgo plastico. Il più bell'uomo d'America». Ma se il Presidente americano intende davvero inventare un'alternativa al petrolio, potrebbe trovare anche un'alternativa alla visita al Cairo. Magari parlando al mondo islamico dagli Stati Uniti. Intanto non cambierebbe niente e noi ci eviteremmo tutti questi fastidiosi controlli di polizia. *Scrittore del Cairo. Autore di «Taxi», (Edito in Italia da Il Sirente)

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Osama sfida Obama "Sei uguale a Bush" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

I quattro obiettivi MEDIO ORIENTE Osama sfida Obama "Sei uguale a Bush" Il sovrano saudita chiede pressioni su Israele perché faccia concessioni LA TAPPA IN ARABIA SAUDITA Identità Far capire che l'identità musulmana è parte integrante degli Stati Uniti d'America e che per questo è necessaria una stretta cooperazione. [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI INVIATO A RIAD Osama Bin Laden sfida Barack Obama alla vigilia dell'odierno discorso del Cairo sull'apertura all'Islam. Il leader di Al Qaeda è tornato a farsi vivo con un messaggio audio del quale la tv araba Al Jazeera ha dato notizia, in coincidenza con l'atterraggio dell'Air Force One a Riad, prima tappa del viaggio presidenziale in Medio Oriente ed Europa. Mentre le tv saudite trasmettevano in diretta le 21 salve di cannone, gli inni nazionali e la stretta di mano fra re Abdullah e l'ospite americano, Al Jazeera rubava la scena con Bin Laden che accusava gli Stati Uniti di «condurre una campagna di morte, bombardamenti e distruzione» nella valle dello Swat nel nord-ovest del Pakistan, dove le forze di Islamabad alleate di Washington stanno attaccando le roccaforti dei taleban. «Anziani, donne e bambini hanno perso la dignità con le loro case, ora vivono in tende» dice Bin Laden, ammonendo: «Americani, preparatevi a raccogliere quanto i leader della Casa Bianca hanno seminato». L'affondo contro l'attuale Presidente è diretto: «Obama e questa amministrazione hanno gettato nuovi semi dell'odio e della vendetta contro l'America, i semi sono tanti quanti i profughi della valle di Swat». Nel messaggio il leader di Al Qaeda ripete «amministrazioni Bush-Obama» puntando a delegittimare Barack proprio nel momento in cui arriva in Medio Oriente per proiettare una nuova immagine degli Stati Uniti. Il riferimento alla valle dello Swat è mirato a sollevare agli occhi dei fondamentalisti un preciso capo d'accusa contro Obama, in quanto le operazioni anti-taleban dei pakistani sono iniziate dopo il suo insediamento. Le minacce di Bin Laden vengono all'indomani del messaggio del suo vice, l'egiziano Ayman Al Zawahiri, che aveva paragonato Obama a Bush e coincidono con l'esecuzione dell'ostaggio britannico Edwin Dyer in Mali suggerendo la possibilità che Al Qaeda tenti di riprendere l'iniziativa. Obama e il re saudita hanno discusso dei messaggi di Al Qaeda durante il summit nel ranch del monarca fra le dune alla periferia di Riad mentre i rispettivi portavoce tentavano di gettare acqua sul fuoco. «Nelle parole di Bin Laden contro l'America non c'è molto di nuovo, sono simili a quelle del passato, Al Qaeda tenta di allontanare l'attenzione dal discorso del Cairo» ha detto il portavoce Usa Robert Gibbs mentre Niaj al-Juber, del ministero dell'Informazione saudita, ha parlato di «rantoli che provengono da chi si rifugia nelle caverne». I due leader hanno voluto sfruttare il summit nel deserto per sottolineare la forte intesa, personale e politica, sull'agenda da perseguire in Medio Oriente. Re Abdullah ha consegnato all'ospite un medaglione dorato - alta decorazione ufficiale del regno - paragonando l'incontro nel ranch a quello avuto nello stesso luogo fra Franklin Delano Roosevelt e il fondatore della monarchia, Abdul Aziz. L'ospite ha risposto ribadendo la volontà di dare inizio ad un «capitolo nuovo nei rapporti fra America e musulmani» con la tappa «nella terra dove l'Islam è iniziato» dicendosi fiducioso sulla possibilità di «lavorare assieme su temi di mutuo interesse» a cominciare dalla comune opposizione ad un Iran dotato di armi nucleari e dalla composizione del conflitto arabo-israeliano sulla base della proposta saudita del 2002 che prevede totale riconoscimento di Israele da parte dei Paesi arabi in cambio del totale ritiro dai territori occupati nel 1967. A tale riguardo Abdullah ha chiesto a Obama di «mandare un segnale chiaro sulla soluzione del problema palestinese». Obama nel colloquio ha sollevato anche le questioni energetiche, facendo presente che è nell'interesse saudita la riduzione delle importazioni di greggio americane perché «stabilizzeranno i prezzi» e in quanto «le risorse di greggio non sono illimitate». Washington cerca il sostegno di Riad a un accordo sulla riduzione delle emissioni di gas serra da siglare in dicembre alla conferenza Onu di Copenhagen. www.lastampa.it/molinari

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"Il nucleare iraniano spaventa anche l'Arabia e l'Egitto" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Intervista Moses Naim "Il nucleare iraniano spaventa anche l'Arabia e l'Egitto" Il direttore di «Foreign Policy» FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK «Non più bastione contro la minaccia islamo-fascismo ma Paese pronto a collaborare col mondo arabo per la soluzione del nodo mediorientale. È questo, secondo Moisés Naím direttore di Foreign Policy e massimo esperto di politica estera americana, il biglietto da visita col quale Barack Obama si presenta alla corte di Riyadh. Cosa cerca di ottenere il presidente in Arabia Saudita? «Vuole avviare un nuovo corso di rapporti tra Usa e mondo arabo». Non c'è il dossier nucleare iraniano dietro la visita? «Non è il tema centrale del viaggio né il motivo della riunione col re Abdullah. È ovvio che nel corso dei lavori se ne parlerà, anche perché non c'è leader arabo, dal Qatar all'Egitto, dal Kuwait ad Abu Dhabi, che non esprima preoccupazioni al riguardo». È in atto un tentativo di alleanza strategica Washington-Riyadh? «L'impostazione voluta non è di creare assi in funzione anti-iraniana, ma piuttosto di inquadrare una strategia comune per risolvere le grandi questioni del nodo mediorientale». Cosa intende per nuovo corso nei rapporti tra Usa e mondo arabo? «È quello rappresentato da Barack Obama, di un'America che non è schierata sempre con Israele o che appoggia comunque ogni iniziativa dello Stato ebraico. Il messaggio è che gli Usa non sono in guerra religiosa contro l'Islam ma sono in grado di coesistere e cooperare col mondo arabo, di essere vicini alla cultura e ai Paesi islamici. Il presidente prende le distanze dalla denuncia della minaccia islamo-fascismo dell'era Bush». Quale sarà l'approccio con Teheran? «Nessun mezzo sarà escluso, si userà il dialogo, il sistema delle alleanze e gli incentivi, ma anche le sanzioni e le pressioni diplomatiche più pesanti». Come giudica il fatto che Obama riconosce all'Iran il diritto di sviluppare programmi atomici ad uso civile? «È la presa di coscienza del fatto che sarà difficile impedire o contenere lo sviluppo di programmi ad uso civile da parte della Repubblica islamica. Il vero problema è assicurarsi che questi non siano usati per scopi militari. Sarà questo l'argomento del grande negoziato». Perché per aprire un dialogo coi musulmani Obama ha scelto l'Arabia Saudita? « Saranno Arabia ed Egitto gli interlocutori diretti di Obama in questa nuova fase storica».

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"Un sì all'Islam non agli ultrà" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

"Un sì all'Islam non agli ultrà" Trentuno anni di età, laureato in «fiction» alla New York University, sherpa dei democratici sull'Iraq e con un romanzo incompiuto sulla scrivania del suo monocamera di Manhattan, intitolato «Oasi d'amore». Questo è Ben Rhodes, lo «speechwriter» di politica estera con cui Barack Obama ha lavorato da quasi un anno per redigere il discorso che oggi pronuncerà al Cairo. Finora Rhodes è rimasto nell'ombra, alle spalle di Jov Favreau capo del team degli «speechwriters» e di quattro anni più giovane di lui, ma alla vigilia dell'appuntamento all'Università Al Azhar esce allo scoperto per la prima volta presentandosi nella sala stampa della Casa Bianca all'hotel Marriott di Riad. Il look è quello dello stakanovista: completo blu impolverato, volto affaticato, un po' calvo. Attorno a lui ci sono consiglieri ben più noti del presidente: il guru politico David Axelrod, il portavoce Robert Gibbs e Denis McDonough, nome emergente nel consiglio di sicurezza nazionale. Ma tutti fanno un passo indietro per lasciare a lui palco e riflettori. E' un debutto che gli insiders di Washington aspettavano dal 2006, quando fu lui a scrivere per il democratico Lee Hamilton il rapporto dello «Iraqi Study Group» che suggerì a Bush di cambiare strategia a Baghdad, e Obama aveva deciso di premiarlo al ritorno dal recente viaggio a Praga, quando l'«Economist» pubblicò integrale il discorso contro le armi di distruzione che lo sherpa-romanziere aveva redatto con cura. «Questa volta è stato diverso - esordisce Rhodes, voce bassa e cartella di cuoio sotto il braccio, forse con dentro la versione finale del testo - perché il Presidente è intervenuto a più riprese nel corso di mesi, confermando la grande attenzione che assegna al messaggio all'Islam». I reporter lo subissano di domande tentando di strappargli qualche anticipazione e lui non li delude. «Il primo punto sarà l'impegno diretto con il mondo dell'Islam, nel mutuo rispetto e con mutui interessi» e subito dopo «il presidente affronterà a viso aperto le incomprensioni esistenti parlando dell'estremismo violento e della risposta che l'America ha deciso di dargli, di che cosa facciamo in Afghanistan e Pakistan, del nostro ruolo in Iraq, della sua visione sulla pace in Medio Oriente, della democrazia, dei diritti umani e delle iniziative positive che l'America e i Paesi musulmani possono intraprendere assieme, creando partnership su terreni come la salute e la tecnologia». Rhodes non tradisce neanche una citazione ma quella che descrive è la scaletta di un discorso di 45 minuti «sul quale lavoriamo dai tempi della campagna ma che è solo un passo nel percorso iniziato con l'intervista ad Al Arabiya, il messaggio agli iraniani per Nowruz e quanto detto al Parlamento di Ankara e agli studenti di Istanbul». Come dire: niente attese eccessive perché la decisione di Obama di riportare l'America nel mondo musulmano è «robusta e durerà nel tempo». In questa cornice un approccio particolare che Rhodes ha messo per iscritto su indicazione di Obama è che «l'identità islamica fa parte di quella americana» come dimostrano i milioni di cittadini seguaci di Maometto che fanno degli Stati Uniti «uno dei Paesi con più musulmani». Ma non è tutto: il giovane romanziere newyorkese è, come tutti gli «Obama boys», proiettato nel mondo delle nuove tecnologie e dunque una delle caratteristiche del discorso del Cairo sarà la poderosa operazione mediatica con cui Washington si appresta a diffonderlo dal Marocco all'Indonesia. Il Dipartimento di Stato metterà in rete in tempo reale versioni in arabo, persiano, urdu, inglese ed ebraico consentendo a chi lo desidera di inviare sms di commento attraverso il sito www.america.gov.sms. Al tempo stesso il discorso verrà diffuso attraverso Facebook «il sito di socialnetwoking più diffuso nel mondo musulmano con 20 milioni di utenti» come anche via Twitter e siti analoghi molto popolari fra i giovani dell'Estremo Oriente. Alla fine è Axelrod a trarre le conclusioni di quanto detto da Rhodes: «Il fine del Presidente è parlare chiaro con tutti, come fa in America».\

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La Corte federale frena sulla vendita della Chrysler (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Retroscena La bancarotta pilotata della big di Detroit Tre fondi creditori ottengono una richiesta di sospensione La Corte federale frena sulla vendita della Chrysler FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Prima battuta d'arresto per Chrysler nella procedura di bancarotta. La corte federale d'appello ha chiesto la sospensione della vendita degli asset sani alla nuova società controllata per il 20% da Fiat per consentire lo svolgimento delle audizioni dei creditori dissidenti rappresentati da tre fondi pensioni dell'Indiana. Gli oppositori contestano la vendita perché la ritengono penalizzante e discriminatoria per i propri investitori rispetto al trattamento riservato al sindacato Uaw e ad altri operatori. Lo stop temporaneo rischia di far slittare il trasferimento degli asset previsto per il 5 giugno, in anticipo rispetto alla data del 15 giugno fissata inizialmente dal giudice della corte fallimentare di New York, Arthur Gonzalez. L'obiettivo di Auburn Hills rimane quello di consentire quanto prima l'emersione dallo stato di amministrazione controllata anche perché ogni giorno perso equivale a un costo aggiuntivo di cento milioni di dollari. L'ostruzionismo dei fondi, i cui asset in questione equivalgono a 42,5 milioni di dollari, meno dell'1% dei 6,9 miliardi di debito garantito, potrebbe però durare molto poco. «Il blocco sarà revocato subito, la corte stessa si rende conto dei rischi legati a un ritardo nella procedura di vendita», avverte Stephen Lubben, esperto di bancarotta e professore di legge della Seton Hall University. Nel frattempo proseguono le grandi manovre ad Auburn Hills, dove Sergio Marchionne, amministratore delegato designato della Nuova Chrysler, sta lavorando col gruppo manageriale. La società ha raggiunto un'intesa con Pension Benefit Guaranty, Cerberus Capital Management e Daimler per risolvere il nodo del buco di dieci miliardi dei fondi pensionistici, mentre il giudice Gonzalez ha rimandato ad oggi l'udienza per la cancellazione dei contratti con 789 concessionari. Chrysler si sta inoltre muovendo sul fronte delle vendite concedendo prestiti a cinque anni a interessi zero su alcuni modelli giacenti in magazzino. La promozione dura tutto giugno e mira a smaltire la maggior parte di veicoli invenduti, almeno 250 mila, prima di riavviare i gli impianti chiusi dal primo maggio. I tagli sulla rete delle vendite sono stati l'argomento delle audizioni di ieri in commissione Commercio del Senato. Il direttore generale di Chrysler, James Press, e il ceo di Gm, Fritz Henderson, sono stati concordi nell'ammettere che ci sono troppi concessionari e che le reti sono obsolete perchè risalgono agli anni Quaranta e Cinquanta, quando i produttori Usa erano leader mondiali indiscussi. «L'obiettivo è avere un minor numero di punti vendita ma molto più solidi», spiega il numero uno di Gm che all'inizio del mese ha annunciato il taglio di 1100 concessionari. Punti di vista discordanti sul colosso di Detroit sono emersi tra Casa Bianca e Congresso nel corso dei lavori di ieri a Capitol Hill: se Obama garantisce di voler restare fuori dalle strategie di rilancio dell'azienda, Carl Levin, senatore democratico del Michigan, assicura invece che farà pressioni affinché l'azienda mantenga aperto un impianto nel suo Stato. Mentre il deputato repubblicano dell'Ohio, Steve LaTourette, ha chiesto una relazione dettagliata sulle decisioni del governo e delle società che operano nel settore. Gli interventi del Congresso stridono con le promesse del governo che, nonostante controlli il 60% nella società, ha demandato pieni poteri a cda e management «su come rimettere in sesto la casa automobilistica». Proseguono intanto le operazioni di snellimento del gruppo di Detroit con la cessione di Saab: la lista dei potenziali acquirenti è stata scremata da sedici a due. Anche Fiat ha mostrato un interesse per il marchio svedese ma non è chiaro se il gruppo torinese sia uno dei finalisti. Sugli altri fronti, Gm ha assicurato che non cederà le attività in Cina, considerato il mercato extra-Usa più redditizio, così come manterrà il controllo sui preziosi asset in America Latina anch'essi finiti nel mirino del Lingotto.

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il linguaggio del cuore - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 35 - Commenti IL LINGUAGGIO DEL CUORE (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) è ovvio dire che dopo otto anni di Bush, mentre sono ancora in corso due guerre d´occupazione in nazioni musulmane, la sua impresa è proibitiva, e che le aspettative per il suo discorso in quella università del Cairo da mille anni centro del mondo sunnita, sono troppo grandi perché non producano delusioni. Già la voce spettrale di Osama bin Laden si è alzata per svuotare ed esorcizzare la sua presenza in Egitto, segnando le sue controparole di condanna e di odio con l´assassinio rituale di un diplomatico inglese rapito in Mali, e avvertendo che «l´America raccoglierà i frutti dell´odio che semina». Ci sono quasi 100 anni di storia, dalla dichiarazione di lord Balfour che fece la prima spartizione arbitraria e insensata della regione nel 1916 a dimostrare che nessuno ha mai trovato – o voluto trovare – la chiave per aprire la porta della pace. Chi osò farlo, come Ytzhak Rabin o Anwar Sadat proprio al Cairo, pagò con la propria vita. Ma nessuno prima di questo presidente americano aveva portato nella terra del Verbo e del Libro la novità preoccupante di una persona e di una storia che sta, come dimostra la bordata preventiva lanciata da una preoccupatissima al Qaeda in ben due messaggi, sparigliando le carte dei luoghi comuni. Un capo di stato occidentale e genericamente «cristiano» con il suo viso, con un nome come Hussein, la «piazza araba» non lo aveva mai visto. E su questo lui apertamente punta, ostentando in tutte le interviste e le dichiarazioni quei legami familiari con il mondo islamico e quel nome, che durante la campagna elettorale aveva cercato di minimizzare o nascondere. Così sensazionale è la novità dell´uomo che parla un linguaggio diverso prima ancora di aprire bocca, che persino il teorico più arcigno della missione provvidenziale della forza americana, Paul Wolfowitz, ha dovuto riconoscere che «la maggioranza nel mondo musulmano riconosce il risultato che lui rappresenta». Una maggioranza che non si traduce ancora in un atteggiamento diverso nei confronti degli Stati Uniti, visti da tre quarti dei musulmani come un avversario, se non come il demonio che insidia l´esistenza stessa della cultura dell´Islam. Qui sta la parte più facile di questa «missione della parola» che Barack cercherà di compiere oggi nell´università di al-Azhar al Cairo semplicemente usando un linguaggio diverso e dicendo ciò che anche Bush ripeteva nei discorsi, ma smentiva nelle azioni. Il suo sarà un cambio culturale, prima che politico, e un ritorno al pensiero, prima dell´azione. L´America non è la nemica dell´Islam; ogni disarmo verbale e culturale deve partire dall´affermazione del reciproco rispetto; il concetto stesso di «scontro di civiltà» è un nonsenso ideologico perché presuppone l´esistenza di due inconciliabili monoliti da un miliardo di cloni per parte. In questo, la missione sarà un successo, ma non potrà essere un successo troppo grande perché il rischio che correrà il presidente non è quello di non essere preso sul serio. è quello di essere semmai preso troppo sul serio e quindi chiamato a tradurre in pratica il verbo e il messaggio nei confronti di quei regimi arabi che sono lo strumento di oppressione e di arretratezza che alimenta la fuga verso fondamentalismo religioso. Ci saranno infatti due pubblici arabi opposti che lo ascolteranno: quello delle strade, che rispondono disciplinatamente alle tv di stato che la questione palestinese è la ferita che li offende. Ma che, se fossero padroni di rispondere, come disse il direttore della network al-Arabya, direbbero invece che sono la loro vita quotidiana, il futuro dei figli, la loro condizione frustrante a essere in cima alle preoccupazioni. E ci saranno le orecchie tese dei governanti, dalla Siria all´Egitto, dall´Arabia Saudita all´Iran alla Libia, che vivono nel timore proprio di quella piazza araba, tenuta al guinzaglio corto e zittita. Il vero problema impossibile di Obama non è, non ancora, il negoziato fra Israele e i palestinesi. è quello di rassicurare i despoti arabi dei quali ha bisogno, accendendo contemporaneamente l´entusiasmo e la fiducia delle piazze per questa nuova America. Dunque accendere il fuoco della speranza sotto la pentola senza far saltare il coperchio dei regimi dei quali ha bisogno, per le trattative con Israele e per il petrolio. Tutto sotto lo sguardo degli americani, a casa – il suo terzo pubblico e alla fine quello principale – che non amano l´idea di un presidente troppo filo islamico. Tre miracoli contraddittori fra loro, che soltanto un uomo dotato di enorme fede nel proprio verbo può sperare di compiere.

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gm, il giallo del centro ricerche - diego longhin (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina XII - Torino Gm, il giallo del centro ricerche Futuro incerto tra Opel e gli Usa, ma il 16 c´è l´inaugurazione Al Poli rassicurano: "Arcamone ci ha confermato gli impegni su progetti e personale" DIEGO LONGHIN Una data certa, il 16 giugno, e un impegno confermato più volte, anche di recente: «Non si chiude né si ridimensiona». Impegno più volte rimarcato dallo stesso numero uno del centro di ricerche General Motors di Torino, Mike Arcamone, vicepresidente della Gm Powertrain Europe. La data certa, almeno fino a ieri, è quella dell´inaugurazione del nuovo polo di sviluppo dei motori diesel sotto la Mole del colosso, anche se in grave difficoltà. Il 16 giugno ci sarà il taglio del nastro del centro alle spalle del Politecnico con cui Gm ha stretto rapporti solidi e dove ormai gli ingegneri sono stati trasferiti da mesi. A molti chilometri di distanza da Torino si stanno prendendo decisioni che nel breve potrebbero avere effetti sul polo nato dopo il divorzio tra Gm e Fiat, nel 2005, e cresciuto fino a raggiungere i 370 dipendenti. I piani di sviluppo prevedevano di arrivare a cifre ancora più generose, ma la crisi ha poi portato a un ridimensionamento delle nuove assunzioni, senza però mettere in forse la presenza e il consolidamento del centro. Sulla facciata di corso Mediterraneo svetta la scritta Gm Powertrain Europe. In futuro sarà ancora così? La vendita di Opel alla Magna-Style, anche se Gm rimane in società con un 35 per cento, che effetto avrà? Il polo di Torino rimarrà nell´orbita europea oppure sarà riagganciato alla casa madre americana, in questo momento in amministrazione controllata? Poco è trapelato dal centro. Formalmente il polo fa parte, come ramo, del gruppo Opel e i dipendenti scommettono che nei prossimi mesi poco cambierà. Anche perché tra Gm e il marchio tedesco la collaborazione continuerà: il 70 per cento dei veicoli nei segmenti medio-alti venduti dalla Germania montano propulsori diesel. Torino rimane quindi fondamentale in quest´ottica. Anche se proprio lo studio di questi motori è importante per Gm, che deve risollevarsi puntando sull´ecologico. Non a caso Chrysler ha cercato un accordo con Fiat, benedetto dal presidente Obama, per puntare sui motori puliti. E all´interno del Poli si rafforza la voce che per queste ragioni il centro tornerebbe tutto in carico a Detroit, rimanendo strategico per lo sviluppo dei motori. «è ancora presto per capire - dice però Francesco Profumo, rettore del Politecnico - il centro non pare in bilico, ma su quale sarà la sua collocazione futura non sappiamo ancora nulla». Sulla stessa linea il vicesindaco Tom Dealessandri: «Ci vorranno ancora una o due settimane per avere un quadro chiaro». Oggi i dipendenti potrebbero sapere qualche cosa in più, visto che è in programma un´informativa per aggiornare i tecnici e gli impiegati sul futuro e la situazione delle trattative, in vista del 16 giugno, giorno in cui si inaugurerà il nuovo polo e dall´America arriveranno i top manager: «Speriamo - dice Dealessandri - che la data sia confermata».

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Obama e l'Islam, Bin Laden minaccia (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 04/06/2009 - pag: 1 Messaggio audio del terrorista. La Casa Bianca: vuole distrarre l'attenzione dalla strategia di pace Obama e l'Islam, Bin Laden minaccia Oggi il presidente americano in Egitto: rispetto, non scontro di civiltà Il network Al-Jazeera ha diffuso ieri un video di Osama Bin Laden che accusa Obama di «piantare i semi della vendetta e dell'odio» verso gli Usa, sulle orme del suo precedessore, George Bush. Il riferimento è al Pakistan e alla controffensiva del governo di Islamabad contro i talebani. Il leader di Al Qaeda ha messo in guardia gli americani a «prepararsi per le guerre che verranno». La Casa Bianca: «Non siamo sorpresi che Al Qaeda cerchi di sviare l'attenzione dallo storico e continuo sforzo del presidente di avere un dialogo aperto e onesto col mondo musulmano». ALLE PAGINE 2E3 Coppola, Mazza, Valentino

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LA FORZA DEL DIALOGO (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 04/06/2009 - pag: 1 LA FORZA DEL DIALOGO di ANTONIO FERRARI M ai una missione nel Medio Oriente di un presidente degli Stati Uniti aveva calamitato tante speranze ed era stata caricata di tante aspettative. A Barack Obama, che in meno di 48 ore visita due soli paesi, Arabia Saudita ed Egitto, tradizionali alleati di Washington, tutti hanno qualcosa da chiedere. Esiste poi il motivato timore che molti siano pronti a piegare le sue parole, individuandovi le coordinate di sempre: più amico degli arabi e meno amico di Israele, o viceversa. Errore grave, perché Obama ha già anticipato quel che dirà oggi all'università del Cairo: volontà di dialogare con tutti, rinuncia all' imposizione ma appello alla condivisione di valori che sono universali, come la libertà, i diritti umani e una democrazia che, germogliando su basi culturali diverse, educhi al rispetto dell'altro. Messaggio semplice ma assai importante, perché non è rivolto alle passioni, alle appartenenze, ma va diritto alle menti di tutti i protagonisti: moderati ed estremisti. Parlare alla mente può essere più incisivo e devastante di una guerra. Quindi non stupisce, anzi era quasi scontato che dalle catacombe della ragione si alzassero le minacce registrate del redivivo Osama bin Laden, capo-terrorista a comando, contro Barack Obama, appena giunto a Riad, accusato di «spargere i semi dell'odio». Ben sapendo che l'appello del presidente Usa punta a prosciugare le cause che, nel passato, avevano consentito di far lievitare proprio il fronte dell' odio. Obama non è paragonabile al filo-arabo Jimmy Carter, che benedisse la pace di Camp David tra Israele ed Egitto ma poi favorì il rientro in Iran di Khomeini, diventando alla fine la vittima politica della stessa rivoluzione degli ayatollah. Non è Bill Clinton, che pensava con frettolosa determinazione di risolvere tutti i conflitti del Medio Oriente (dagli accordi di Oslo al fallito vertice di Ginevra con il presidente siriano Hafez el Assad, fino al fiasco di Camp David con il premier israeliano Barak e Arafat). Non è ovviamente Bush jr. ma non somiglia neppure a Bush padre, che nel '91, per costringere Israele a partecipare alla conferenza di pace di Madrid, non esitò a ricorrere ad un quasi-ricatto finanziario, negando le garanzie su un prestito di 10 miliardi di dollari. Al contrario, Obama punta tutto sulla diplomazia: «Che - sono sue parole - ha tempi lunghi, lenti, ma sicuramente proficui. Non si possono mai avere risultati immediati». Vale per il congelamento degli insediamenti, per rilanciare la formula dei «Due stati», nonostante l'opposizione del premier israeliano Netaniahu. Vale per l'Iran di Ahmadinejad e le sue ambizioni nucleari offensive. Che la forza del dialogo, coniugata con la determinazione a combattere chi lo rifiuta, risulti vincente si vedrà. Ma alla richiesta dello scrittore e accademico egiziano Ezzedine Choukri Fishere dalle colonne di «Al Ahram weekly» («Lei non ha bisogno di visitare moschee, di partecipare a celebrazioni esotiche, di abbracciare leader religiosi. Se vuole conquistare i nostri cuori conquisti prima le nostre menti»), Barack Obama ha già risposto. E' quel che si propone di fare.

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L'ombra di Bin Laden sul viaggio di Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 04/06/2009 - pag: 2 L'ombra di Bin Laden sul viaggio di Obama «Pianta i semi dell'odio». La Casa Bianca: provano a oscurare il discorso di oggi al Cairo DAL NOSTRO INVIATO RIAD Non c'era solo il re Abdullah, ad accogliere ieri pomeriggio sul suolo saudita Barack Obama. Con una scelta dei tempi che segnala nervosismo e preoccupazione di fronte all'offensiva diplomatica del presidente americano verso il mondo arabo e musulmano, anche Osama Bin Laden ha voluto minacciosamente essere presente da lontano alla prima tappa dello storico viaggio di Obama in terra islamica. Ventiquattr'ore dopo il messaggio del suo vice, Ayman al-Zawahiri, secondo il quale solo «i ladri, gli occupanti e i criminali d'Egitto» daranno il benvenuto al capo della Casa Bianca nell'odierna visita al Cairo, il network Al Jazeera ha diffuso un audio del leader di Al Qaeda, che accusa Obama di «piantare i semi della vendetta e dell'odio» verso gli Stati Uniti, sulle orme del suo precedessore, George Bush. Riferendosi al Pakistan, dove la controffensiva del governo di Islamabad ha ricacciato i talebani dalla Valle di Swat, Bin Laden ha puntato il dito sulla Casa Bianca, che avrebbe ordinato la repressione, fomentando la divisione fra i musulmani. E ha messo in guardia gli americani a «prepararsi per le guerre che verranno ». «Non siamo sorpresi che Al Qaeda cerchi di sviare l'attenzione dallo storico e continuo sforzo del presidente di avere un dialogo aperto e onesto col mondo musulmano», ha commentato poche ore dopo il portavoce di Obama, Robert Gibbs, secondo il quale «se i capi del terrorismo fossero stati soddisfatti della loro situazione attuale, non avrebbero diffuso due messaggi nel giro di poche ore». Detto altrimenti, il ritmo ansiolitico delle esternazioni di Bin Laden e compagni suggerisce che la strategia di apertura all'Islam inaugurata da Obama colpisca nel segno e che il presidente intenda andare avanti. La visita a re Abdullah, guardiano dei luoghi santi, garante economico e politico di ogni possibile equazione mediorientale, va inquadrata in questo scenario. «Sono venuto qui, alle origini dell' Islam ha detto Obama per chiedere il consiglio di Sua maestà e discutere con lui di tutti i temi che abbiamo davanti». Al centro dei colloqui, ospitati dal sovrano wahabita nella cosiddetta «farm», che in realtà è un palazzo nel deserto poco fuori Riad, sono stati l'aumento del prezzo del petrolio, l'Iran e il rilancio dell'iniziativa di pace saudita nella partita israelopalestinese, che prevede la restituzione delle terre occupate in cambio del riconoscimento dello Stato ebraico da parte di tutti i Paesi arabi. Obama e Abdullah hanno discusso a lungo anche della sorte di 100 prigionieri yemeniti di Guantanamo, che gli Stati Uniti vorrebbero liberare, affidandoli ai centri di rieducazione sauditi, invece di rimandarli nello Yemen. Ma il passo più simbolico e spettacolare del nuovo dialogo con il mondo islamico è il discorso che Barack Obama terrà oggi all'Università del Cairo, per l'occasione rimessa a nuovo dopo anni di degrado. Sarà il primo confronto di civiltà interattivo, tradotto in 13 lingue, diffuso sulla rete attraverso Facebook, MySpace e Twitter, con la possibilità di inviare commenti via testo mentre viene pronunciato. Come hanno anticipato i suoi collaboratori, il presidente offrirà una cooperazione a tutto campo, senza rinunciare a toccare i temi controversi che hanno alimentato l'incomprensione tra americani e musulmani: l'estremismo; la lotta contro i terroristi in Afghanistan e Pakistan; la necessità di uno Stato palestinese. E naturalmente il rischio di un Iran nucleare, che secondo Obama (lo ha detto ieri in un'intervista al New York Times) «preoccupa molti Paesi arabi più della cosiddetta minaccia d'Israele, anche se non lo ammettono». Anche i diritti umani sono nell'agenda di Obama, che in tal modo vuole parare le critiche di chi obietta alla scelta dell'Egitto, dove il raìs Hosni Mubarak governa da 30 anni con pugno di ferro. Paolo Valentino Dono reale Il sovrano saudita Abdallah allaccia una collana d'oro al collo del presidente americano Barack Obama

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Rispetto e cooperazione Ecco le parole chiave dell'appello all'Islam (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 04/06/2009 - pag: 2 La strategia Dalia Mogahed, consulente musulmana del presidente Rispetto e cooperazione Ecco le parole chiave dell'appello all'Islam Dalia Mogahed, la consulente di Obama per i rapporti con il mondo musulmano, che in Egitto è nata, ha raccomandato al presidente tre temi: «Rispetto, empatia e cooperazione », dice al telefono da Washington. Ma nota anche che contribuire alla risoluzione di conflitti come quello tra Israele e i palestinesi è fondamentale se gli Stati Uniti vogliono migliorare i rapporti con il mondo musulmano. E aggiunge che «sono necessarie delle scadenze, altrimenti il processo di dialogo perde credibilità ». Musulmana, velata, Mogahed ha lasciato Il Cairo a 5 anni con la famiglia borghese. Cittadina americana, laurea in ingegneria e master in business administration, è il capo del Centro Gallup per gli Studi musulmani. I suoi consigli a Obama sono basati sul sondaggio più ampio mai realizzato nei Paesi islamici, rappresentativo di un miliardo di musulmani. Mogahed e John Esposito hanno pubblicato i risultati nel libro Who Speaks for Islam? che uscirà in Italia a ottobre ( Il libro che l'Islam non ti farebbe mai leggere, Newton Compton editori). Secondo la ricerca, solo il 7% dei musulmani sono estremisti (identificati come coloro che giustificano l'11 settembre). Ma anche tra la maggioranza moderata, il 60% ha una visione negativa degli Usa. «Le ragioni principali sono tre dice Mogahed : la percezione di una mancanza di rispetto, la rabbia per conflitti acuti come quello israelo-palestinese, le guerre in Iraq e Afghanistan, e altre come quella tra Hezbollah e Israele nel 2006 e l'ultima a Gaza, in cui viene percepito un coinvolgimento diretto o indiretto degli Usa. E infine la percezione che l'America manipoli la realtà politica della regione. Perciò ho proposto al presidente di continuare a dare enfasi al tema del ri- Ricerche Dalia Mogahed, musulmana, porta il velo

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 04/06/2009 - pag: 3 L'intervista Il filosofo liberal americano: «Miscela di diplomazia e forza» «Ma Barack non è Bush Arabi pronti ad ascoltarlo» Walzer: ha ereditato un disastro in Afghanistan, non può andarsene Un'altra retorica, un'altra politica: rispetto agli anni di Bush, è un nuovo corso. Che al filosofo liberal americano Michael Walzer, apertamente, piace. Le minacce di Al Qaeda possono mettere in difficoltà le aperture al mondo islamico del presidente democratico Barack Obama? «Mi pare un errore politico mandare un messaggio prima del discorso cruciale sul Medio Oriente (oggi al Cairo, ndr) osserva il professore . Quella di Osama è una dichiarazione di guerra continua. Mentre Obama sta cercando chiaramente una miscela di diplomazia e forza, diversa da quella adottata dall'amministrazione Bush. Credo che le persone intelligenti in Medio Oriente dovrebbero aspettare di vedere qual è la ricetta prima di criticarla. È presto per dirlo, ma probabilmente ora nel mondo islamico c'è più gente disposta ad ascoltare gli Stati Uniti». Alla vigilia del viaggio, Obama ha già dato alcune indicazioni sulla nuova formula, marcando una distanza dalla precedente amministrazione repubblicana e dalla dottrina dell'esportazione della democrazia. Solo forma, come dicono i detrattori? «Il modo in cui la gente parla influenza il modo in cui si comporta. Mi chiedete se è anche un cambiamento politico. Non ho mai avuto fiducia nella seria convinzione dei bushiani di imporre la democrazia: hanno spinto per le elezioni e poi, scontenti dei risultati, hanno smesso di fare pressioni. La politica estera si svolge nell'ambito della società internazionale, che include ogni sorta di Stati, anche brutali e barbari: sono comunque membri di questa che è la più tollerante delle società. I diplomatici vanno in capitali come Mosca, Teheran, Pechino e stringono mani di funzionari che rappresentano governi anche sgradevoli. Ma è così che la comunità internazionale funziona: devi cercare di farla andare avanti e mantenere la pace. Militanti di sinistra e attivisti per i diritti umani hanno un'agenda diversa: sono impegnati per il cambiamento dei regimi». E criticano la stretta di mano di Obama con il re saudita Abdallah o con il presidente egiziano Mubarak... «Abbiamo bisogno di una visione complessa dei regimi autoritari come quello di Mubarak. Pensiamo al passato, ad Atatürk: anche se autoritario, ha reso possibile la democrazia turca moderna. Bisogna mantenere questa doppia visione: da un lato questi regimi hanno un necessario ruolo storico; dall'altro noi liberal e democratici dobbiamo opporci». Obama è interessato a un ruolo da mediatori per Riad e il Cairo nel conflitto araboisraeliano. Anche in questo contesto, soprattutto nei confronti dello Stato ebraico, la politica americana è cambiata... «L'amministrazione Obama non sembra volere negoziare la pace con un governo che sostiene gli insediamenti. Ed è giusto fare forti pressioni su Israele, così come sui palestinesi per il terrorismo. È un lavoro che va necessariamente fatto all'interno, prima di un accordo. Dopo la vittoria sui coloni e sul terrorismo, la pace sarà facile». Se in Iraq l'amministrazione Obama cerca un ritiro a breve, in Afghanistan è sempre più coinvolta. Una «guerra giusta», per usare una sua espressione? «L'amministrazione Bush ha lanciato l'attacco dopo l'11 settembre 2001 come pura guerra di combattimento, ma combattuta molto male, con poche risorse e nessun impegno per la ricostruzione. Obama ha ereditato un disastro. Non può semplicemente andarsene: eravamo lì per delle buone ragioni, è stata una guerra giusta, ora abbiamo degli obblighi nei confronti degli afghani. Ed è importante che riesca: un buon risultato può avere ripercussioni in tutto il mondo islamico». Alessandra Coppola \\ Dopo la vittoria sui coloni e sul terrorismo islamico, la pace tra israeliani e palestinesi sarà facile

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La mappa dei siti nucleari Usa finisce su Internet (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 04/06/2009 - pag: 16 Il caso In Rete il documento destinato all'Agenzia atomica dell'Onu La mappa dei siti nucleari Usa finisce su Internet «per errore» Imbarazzo dell'Amministrazione, avviata un'inchiesta DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK Il pasticcio dell'Air Force One che volò a bassa quota sopra New York, lo scorso 27 aprile, impallidisce al confronto. Un documento contenente preziose informazioni su centinaia di siti nucleari civili statunitensi è finito lunedì per errore sul web. Gaffe o giallo politico? Nessuno lo sa anche se le autorità di Washington hanno avviato un'indagine interna per appurare eventuali responsabilità e non è da escludersi che, come nel caso dell' Air Force One, potrebbe finire con qualche testa che rotola. Secondo la ricostruzione del New York Times tutto è iniziato lo scorso 5 maggio, quando il presidente Barack Obama ha inviato al Congresso, per una revisione, la lista dei siti nucleari americani e relative mappe 266 pagine in tutto accompagnandola con una lettera autografa nella quale definiva le informazioni «altamente confidenziali ma non secretate». Il materiale era stato raccolto per essere trasmesso nei prossimi mesi all'Agenzia per l'Energia Atomica dell'Onu (Aiea), nell'ambito di un processo di maggiore trasparenza riguardo al nucleare civile che gli Stati Uniti ha avviato nella speranza di poter spingere l'Iran ed altri Paesi ritenuti in possesso di programmi segreti a fare altrettanto. Due settimane più tardi il Government Printing Office, che diffonde documenti ufficiali del governo, ha pubblicato il rapporto sul proprio sito, dove le preziose informazioni sono state a disposizione di tutti fino a martedì sera, quando sono state precipitosamente ritirate dopo le telefonate dei giornalisti del New York Times. L'incidente ha destato grande preoccupazione negli Stati Uniti, sebbene alcuni esperti abbiano ridimensionato i rischi connessi al macroscopico errore. «Queste sviste accadono ma non sembra una cosa grave », ha detto John Deutch, ex direttore dell'intelligence oggi docente al Massachusetts Institute of Technology di Boston. Ma per David Albright, presidente dell'Istituto per la Scienza e la Sicurezza Internazionale, i dati sui siti di stoccaggio del carburante nucleare «possono fornire a ladri e terroristi informazioni utili ad organizzare furti ed è per questo che non vengono mai diffusi». Alessandra Farkas Energia atomica La centrale nucleare di Spring City, Tennessee (Ap/Tennessee Valley Authority) L'esperto David Albright: «Dati che possono offrire informazioni utili ai terroristi: perciò non vanno diffusi»

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Berlino: su Opel giochi ancora aperti (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 04/06/2009 - pag: 36 Italia-Germania Il giallo dei 300 milioni. Balzo delle vendite del Lingotto: +101%. Sacconi convoca le parti sul blocco di Melfi Berlino: su Opel giochi ancora aperti I dubbi su Magna. Berlusconi: pronti a intervenire ma non siamo una merchant bank MILANO Lo spazio di un weekend. Il tempo di arrivare al primo impegno da onorare: quei 300 milioni, spuntati all'ultimo, che Sergio Marchionne si era rifiutato di «bruciare» e Frank Stronach, invece, aveva promesso a scatola chiusa. «Un nuovo buco Opel? Nessun problema. Copriamo noi». Già. Peccato che il versamento fosse urgente. E che se ne siano perse le tracce. Magari si materializzerà, prima o poi. Ma quel cash, a Berlino erano stati chiari, era questione di sopravvivenza: a Rüsselsheim serviva «subito», fallimento di Gm o no. Morale: l'assegno così almeno si legge tra le righe di comunicati sempre più imbarazzati l'ha dovuto staccare il governo tedesco. È lì che Angela Merkel ha toccato con mano quello che in Germania molti, a partire dal titolare dell'Economia Karl-Theodor zu Guttenberg, sospettavano dall'inizio della saga. Che cioè l'offerta di Magna-Sberbank non fosse solo «molto meno chiara del piano Fiat» (definizione del ministro inglese Peter Mandelson, parte in causa per via di Vauxhall), ma nascondesse anche qualche sorpresa. Voilà. Forse i giochi si riapriranno davvero, forse no, forse sul serio l'affaire terrà banco fin dopo le elezioni. Di sicuro è già tornato tutto in discussione. Con ulteriori, pesanti grattacapi arrivati per Frau Merkel in largo anticipo rispetto a quanto lei stessa, in fondo, temeva. L'intesa con i russo-canadesi e con Gm è stata firmata venerdì, dopo una decisiva telefonata tra la cancelliera e Barack Obama e insieme al via libera di Berlino al prestito-ponte da 1,5 miliardi. Passano solo tre giorni, e Merkel comincia a esternare i dubbi: l'operazione comporta «molti rischi». Almeno però, aggiunge, l'intesa con Magna-Sberbank «non è vincolante». Ieri, altra botta: quei colloqui sono ancora in fase preliminare, «il processo è ancora aperto a tutti i candidati». Modo scontatamente diplomatico con cui Ulrich Wilhelm, portavoce del governo, ribadisce che no, i contatti con Fiat (e con la cinese Baic) non sono ripresi, ma le porte restano spalancate. Ne approfitterà, la Beijing Automotive? Probabile. Ma tutto sommato secondario. Perché l'altro candidato «vero» era il Lingotto, e dunque la domanda riguarda in prima battuta Torino. Rientrerà? Altrettanto probabile, se davvero si ricomincerà da dove il «piatto» era saltato giovedì. Ovvio però che intanto osservino e basta, in Fiat. Mentre Silvio Berlusconi fa sapere che «non ci hanno chiesto niente, siamo pronti a intervenire ma non siamo la merchant bank di Massimo D'Alema», Marchionne è a Detroit (rientra oggi) e il suo messaggio è chiaro: per ora di concreto c'è Chrysler, e lì ci concentriamo. Il resto sono ipotesi, voci, «aperture», sì, che però dal gruppo scelgono di non commentare. O dovrebbero riparlare di soap opera, e adesso non è proprio il caso. Meglio godersi le vendite raddoppiate, in Germania, anche a maggio. Gli ingredienti, tuttavia, a una soap assomigliano sempre più. Non c'è solo il nuovo giallo intorno ai 300 milioni, i soliti: quelli che prima hanno fatto volare insulti tra governo americano e governo tedesco e che, alla fine, hanno visto Fiat sfilarsi da un'asta diventata «rischio irragionevole ». Ci sono, in parallelo, i russi che esultano: «Porteremo qui parte della produzione Opel». C'è Stronach che butta lì: «Gli accordi con Gm ci precludono i mercati di Usa e Cina». Il suo vice che annuncia la firma per settembre mentre il capo di Opel smorza: «Ancora molto da chiarire». E poi Volkswagen, sullo sfondo, che avverte: «L'operazione con Magna crea conflitti d'interesse. Vigileremo». Insomma: caos totale. Anche per la Merkel e il suo governo. I quali, ironia, ieri si sono visti omaggiare da una pagina di pubblicità sui principali quotidiani: «Opel ringrazia!». Sarà ritirata? Raffaella Polato

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In Cina i miti extralarge Usa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 04/06/2009 - pag: 36 La conquista di Hummer In Cina i miti extralarge Usa SEGUE DALLA PRIMA Meno di un anno fa l'allora capo di General Motors, Rick Wagoner, cercò di convincere l'opinione pubblica che sarebbe bastato disfarsi di questo «brand» divenuto ormai troppo ingombrante, politicamente ed ecologicamente scorretto per rimettere a posto un gruppo industriale che, in realtà, era già in caduta libera. Un gigante della strada spigoloso che ha affascinato anche molti di quelli che alla fine l'hanno combattuto come Arnold Schwarzenegger che è stato «testimonial» dell'H1, il gippone messo in vendita dalla Gm nel 1999 a 140 mila dollari, prima di diventare, da governatore della California, il predicatore di una nuova era di risparmio energetico. Mentre la flotta di «Suv» di «Terminator» (gli H1 e i più piccoli H2 e H3, «appena» 3,3 e 2,4 tonnellate, rispettivamente) restava sprangata in garage (salvo quello a propulsione ibrida), è cominciata, con Obama, l'era della nuova sobrietà. E' un'America che scopre all'improvviso di aver inseguito per troppo tempo il sogno della crescita senza limiti. Dopo la conquista del West, quella dei mega veicoli, degli hamburger «jumbo», delle casette che diventano «mansion», delle luci mai spente, dei condizionatori che funzionano senza soste, giorno e notte, qualunque sia la temperatura esterna. La nazione sempre più obesa, l'epidemia di diabete, l'effettoserra galoppante: gli americani si guardano allo specchio e cominciano a capire di aver esagerato. Ma la sobrietà è per molti una medicina troppo amara. E' l'opposto dello spirito della frontiera: un triste vincolo che i più responsabili accettano senza entusiasmo, mentre molti preferiscono chiudere gli occhi. Chiedete a chi ha avuto un Hummer per «amante»: non sono solo «cow boy» motorizzati del Colorado o del Kansas. Ci sono finanzieri di Wall Street, uomini di cultura, celebri giornalisti europei trapiantati negli «States» che, anno dopo anno, si sono innamorati delle aragoste «oversize«, delle superbistecche, che hanno messo su anche una pancia «oversize» e si sono ostinati a scorrazzare sugli Hummer anche quando restavano incastrati nei bassi ingressi dei garage sotterranei di molte aree urbane. Alla fine quasi tutti si rendono conto, razionalmente, che è giunta l'ora di diventare consumatori meno incontinenti. Ma questa «europeizzazione» forzata col ridimensionamento dei veicoli, l'adozione di regole e tecnologie ambientali più severe, la ricerca di un modello di spesa sanitaria più simile a quello del vecchio Continente sembra a molti un'abdicazione, la rinuncia al sogno. Molti hanno letto già da anni che il pendolo del benessere si sta spostando da un lato all'altro del Pacifico, che è la Cina la «terra promessa» dei nuovi ricchi e del nuovo ceto medio. Una classe sociale che in Occidente ha perso terreno fin quasi a sparire. Eppure l'idea che la fiaccola dell'iperconsumismo ammainata nella baia di New York possa risorgere con orgoglio in quella di Hong Kong, provoca fremiti di insofferenza. I grattacieli più alti e moderni costruiti nelle paludi di Shanghai che sfidano quelli edificati sul granito di Manhattan. La Cina che si riempie di centrali a carbone come l'Ohio degli anni dell'industrializzazione a tutto vapore. I ricchi cinesi della costa che diventano gran consumatori di carne bovina facendo saltare il mercato mondiale dei mangimi e dei cereali. C'è chi osserva e sospira. Ma anche chi è convinto che i cinesi siano arrivati a tavola quando il banchetto è alla fine: recessione e vincoli ambientali sono ormai un condizionamento per tutti. E si consola pensando che la «decrescita » possa avere il sapore di una Chrysler resa di nuovo attraente dall'«Italian style». Massimo Gaggi

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Svolta tra Usa e Medio Oriente? (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Spettacoli TV data: 04/06/2009 - pag: 62 PER CAPIRE Svolta tra Usa e Medio Oriente? Il discorso che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama (foto) ha tenuto oggi al Cairo segnerà una svolta per la crisi del Medio Oriente? Sarà questo l'interrogativo al centro dello speciale di stasera (che durerà un'ora), interamente dedicato all'analisi della visita del presidente statunitense in Egitto. I conduttori Lilli Gruber e Federico Guiglia ospiteranno in studio Fiamma Nirenstein, deputato del Pdl e vicepresidente della commissione Affari Esteri e Comunitari; Giovanna Melandri, responsabile Cultura del Pd e la giornalista Paola Caridi, corrispondente dal Medio Oriente per Lettera22. Speciale Otto e mezzo La7, ore 20.30

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le frasi di obama (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri Le frasi di Obama Dove inizia l´Islam Un uomo saggio La frattura Prima di apprestarmi ad andare al Cairo, penso fosse molto importante venire nel luogo dove l´Islam ha avuto inizio Gli Stati Uniti e l´Arabia Saudita hanno una lunga storia di amicizia e rapporti strategici, re Abdullah è un uomo saggio Si è innegabilmente creata una frattura tra l´Islam e gli Stati Uniti, non è una frattura che possiamo ricomporre nell´arco di una amministrazione

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obama nel cuore dell'islam scatena la rabbia di bin laden - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri Obama nel cuore dell´Islam scatena la rabbia di Bin Laden Audio dello sceicco, oggi dal Cairo il discorso del Presidente Usa ALBERTO FLORES D´ARCAIS DAL NOSTRO INVIATO RIAD - L´abbraccio con re Abdullah e le minacce di Bin Laden. Lo sbarco di Barack Obama nel mondo musulmano, alla vigilia del "discorso all´Islam", ha avuto due volti: quello ufficiale e cortese dell´Arabia Saudita, il regno wahabita guardiano delle città sante di Mecca e Medina, con scambi di complimenti («re Abdullah è un uomo saggio», «il presidente è un uomo di talento») e un colloquio che è andato ben oltre il tempo previsto; e quello dell´integralismo terrorista che torna a minacciare gli Stati Uniti e definisce Obama un «criminale» che «segue gli stessi passi» di Bush. Minacce che non hanno sorpreso la Casa Bianca, convinta che il nuovo audio del capo di Al Qaeda sia l´inutile tentativo di «distogliere l´attenzione» dal viaggio di Obama e soprattutto dalle parole che questa mattina il presidente rivolgerà dall´Università del Cairo al miliardo e mezzo di musulmani di ogni parte del mondo. Analisi che trova d´accordo anche i sauditi, che hanno bollato le invettive di Bin Laden - arrivate via audio da Al Jazeera pochi minuti dopo che l´Air Force One era atterrato a Riad - come «un atto di disperazione» che arriva «dal fondo della caverna» dove i terroristi sono nascosti. Bin Laden accusa Obama di «aver piantato i semi dell´odio e della vendetta» in Pakistan, con l´espulsione di «un milione di vecchi, donne e bambini» dai villaggi nella valle dello Swat ordinata dal presidente Zardari, con i «combattimenti, i bombardamenti e le distruzioni che hanno impedito di applicare la sharia». Poi lancia la sua lugubre minaccia: «Gli americani si preparino a raccogliere quello che hanno seminato i capi della Casa Bianca». Il presidente americano, che è venuto a Riad anche per chiedere ai sauditi una mano nel conflitto pakistano, gli risponde indirettamente chiedendo al Congresso di stanziare altri 200 milioni di dollari per i profughi dello Swat. Di Afghanistan e Pakistan Obama ha parlato a lungo con Abdullah. La Casa Bianca preme su Riad: vorrebbe che si impegnasse direttamente, facendo pesare la propria leadership religiosa e intervenendo sul flusso di denaro che arriva agli integralisti attraverso le "opere pie" islamiche e i grandi donatori privati sauditi. Difficile che Abdullah possa accontentarlo, ma anche questo punto può essere merce (diplomatica) di scambio tra due Paesi che hanno relazioni molto strette. Legami che Obama non ha esitato a sottolineare («gli Stati Uniti e l´Arabia Saudita hanno lunga storia di amicizia, abbiamo un rapporto strategico. E mentre intraprendo questo viaggio e mi appresto a visitare il Cairo, penso fosse molto importante venire nel luogo dove è iniziato l´Islam»). Obama e Abdullah hanno parlato anche dell´Iran e della minaccia nucleare, e di quello che è forse il punto che sta più a cuore al re saudita, il conflitto israelo-palestinese. Il piano saudita, riconoscimento di Israele in cambio del ritiro totale dai Territori, con le dovute correzioni e le garanzie su Gerusalemme, non dispiace alla Casa Bianca ma trova il rifiuto, per ora netto, di Netanyahu. Sarà uno dei temi che Obama affronterà questa mattina nel suo discorso. Il presidente americano sta ancora lavorando sul testo e lo farà fino all´ultimo momento disponibile, ma la Casa Bianca ha anticipato ieri i temi salienti. La prima parte sarà dedicata alle «percezioni sbagliate» e agli errori che rendono difficile il dialogo tra le due parti. Obama metterà in evidenza il contributo dato dai musulmani al mondo e all´America, con accenni personali alla sua famiglia e alla sua vita in Indonesia. Poi parlerà della necessità di rispettare i diritti umani e i valori democratici, e infine della guerra al terrorismo, e delle possibili partnership scientifiche e tecnologiche. Il discorso sarà solo il primo gradino di una strada lunga («si è creata innegabilmente, nel tempo, una frattura tra l´Islam e gli Stati Uniti, non è una frattura che possiamo ricomporre con un solo discorso o anche nell´arco di una intera amministrazione»). Perché raggiunga tutti sarà posto sul sito Internet della Casa Bianca in tredici lingue diverse. Oltre alla diffusione su MySpace, Facebook e via Twitter.

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bush, le parole non bastano" - alberto stabile (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri Obama mostra una volontà nuova ma sarà capace di mantenere le sue promesse? Parla Ammar Mussawi, responsabile internazionale di Hezbollah: Bush, le parole non bastano" "Ma per essere migliori di Non si può predicare la democrazia e poi respingerne i risultati come nel caso della vittoria di Hamas ALBERTO STABILE DAL NOSTRO INVIATO BEIRUT - Cosa si aspettano gli Hezbollah dal discorso di Obama? «Non voglio fare previsioni - risponde Ammar Mussawi, nel salotto dove esercita il suo ruolo di "ministro degli Esteri" del partito di Dio - mi limito a rilevare che questa è la seconda volta che il presidente Obama si rivolge al mondo arabo e islamico. La prima volta fu in Turchia. E questo rivela il profondo deterioramento provocato dalla precedente Amministrazione nel ruolo degli Stati Uniti e nei rapporti con questa parte del mondo». Ad osservare Ammar Mussawi, esponente di una dinastia sciita originaria della Bekaa, che vanta anche un segretario generale assassinato dagli israeliani, si direbbe che Hezbollah si stia già preparando alla conquista del potere (che secondo le previsioni avverrà alle elezioni di domenica prossima) in una maniera soft, senza clamore e senza eccitare le paure dell´Occidente. Sui 40 anni, appena un accenno di barba molto curata, Mussawi, invece della tonaca e il turbante dei religiosi, indossa un elegante abito blu, una camicia bianca perfettamente stirata, stivaletti leggeri, all´ultima moda. Un diplomatico, nelle maniere e nel linguaggio, di stampo europeo. Ma cosa dovrebbe dire Obama per conquistare la vostra fiducia? «Questa è l´essenza del problema. Non è questione di parole ma di fatti, di azioni. Mi spiego. Vi sono alcuni problemi talmente grandi e pericolosi che non possono essere affrontati e risolti con un discorso, per quanto decorativo. Cito, per esempio, l´assoluto sostegno dato dagli Usa a Israele accompagnato da uno sforzo assai limitato per risolvere il conflitto. La propagazione della guerra in varie aree del Medio Oriente sotto la bandiera discutibile della "war on terror", la guerra al terrorismo. Lo sfruttamento sistematico delle risorse della regione. La paura d´instabilità emersa dopo la crisi finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti, una crisi in cui molti uomini d´affari arabi hanno visto bruciare centinaia di miliardi di dollari. Se Obama sente il bisogno di venire in medio Oriente a parlare di tutto ciò, questo è un segnale positivo. Ma non basta un discorso a costruire dei ponti». Tuttavia ci sono parole che pesano come fatti. Per esempio, quando Obama dice: basta allo scontro di civiltà. «Va bene. Obama manifesta una volontà nuova. Il punto è, in che misura avrà la capacità di adempiere queste promesse. Francamente, ho dei dubbi sullo staff che lo circonda. Non vorrei che tutto si risolvesse in un´operazione di pubbliche relazioni». Obama ha detto anche che la democrazia e la libertà sono valori universali che non vanno imposti con la forza. E´ una svolta rispetto a Bush. O no? «D´accordo, la democrazia non va imposta con la forza. Ma non si può predicare la democrazia e poi respingerne i risultati. Prendiamo il caso di Hamas che, dopo aver vinto le elezioni del 2006, ha dato via ad un governo legittimo. Ebbene quel governo è stato boicottato. E potrei citare anche i recenti discorsi sul Libano: vediamo i risultati delle elezioni, hanno detto, e poi decideremo la nostra politica. Alla fine, mi sembra che la posizione americana sia basata non sui valori ma su delle convenienze». Ma non è un fatto proporre il dialogo all´Iran? «E solo l´inizio, e come ho già detto, vedremo». Ma voi lo sostenete? «Non siamo contrari». Ma quante possibilità di successo assegna al dialogo? «Avrà possibilità di successo se riflette i desideri dell´uno e i bisogni e gli interessi dell´altro. Gli Stati Uniti hanno grandi problemi nella regione e l´Iran può aiutarli a risolverli. Ma il punto è: Obama darà a questo dialogo il tempo necessario per avanzare? Se Netanyahu continua a minacciare azioni militari contro l´Iran, chiaramente cerca di ostruire il dialogo». Altro fatto è la richiesta a Israele di congelare gli insediamenti. «Non mi sembra un passo così rilevante. Israele s´era già impegnata con la Road Map e nella Conferenza di Annapolis a fermare gli insediamenti. Ma hanno violato gli impegni presi per guadagnare tempo. La mia impressione è che l´approccio di Obama non sia poi così forte e che il conflitto israelo-palestinese non sia molto in alto nella scala delle sue priorità». Veniamo alle elezioni di domenica. L´opinione pubblica si chiede cosa cambierà in Libano se Hezbollah, o meglio, l´opposizione di cui fa parte, dovesse vincere. «Non cambierà nulla. Il mondo non ha nulla da temere. Saremo amici di tutti ma non accetteremo diktat da nessuno».

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"il messaggio dimostra la debolezza di osama" - arturo zampaglione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 13 - Esteri "Il messaggio dimostra la debolezza di Osama" Bergen: "è stato registrato settimane fa" ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - Peter Bergen, biografo di Osama Bin Laden e uno dei più noti esperti di terrorismo islamico, non appare preoccupato per le ultime minacce dei leader di Al Qaeda. «In realtà sono una dimostrazione di debolezza», spiega, «Mi sembrano soprattutto dettate dalle preoccupazioni per l´offensiva dell´esercito pachistano nello Swat. E a differenza dei messaggi di tanti anni fa, non fanno pensare a un imminente attacco terroristico di grandi dimensioni, per il quale la struttura di Al Qaeda non è certamente pronta». Bergen ha sempre studiato il fenomeno Bin Laden, soprattutto da quando riuscì a fargli nel 1997 la prima intervista televisiva. Oggi insegna all´università John Hopkins di Washington. Bin Laden si è fatto vivo proprio alla vigilia del discorso di Obama ai musulmani. Non sembra una coincidenza, né un segno di debolezza. «Al tempo: il messaggio mandato in onda ieri da Al Jezeera è stato registrato molto tempo prima. Sono convinto che la rete televisiva abbia scelto per la diffusione il momento di massimo ascolto. Bin Laden si riferisce ad esempio a un milione di rifugiati in Pachistan: era la cifra di qualche settimana fa, ora siamo già a due milioni. Inoltre nel messaggio mancano riferimenti all´appuntamento del presidente all´università del Cairo». Eppure Bin Laden si è scagliato contro Obama parlando di "semi di odio" e addossandogli le stesse colpe di Bush. «Non è una novità: Al Qaeda non ha mai fatto grandi differenze tra presidenti democratici e repubblicani. Nel passato, ad esempio, nei campi di addestramento in Afghanistan, venivano usate come bersagli le foto di Bill Clinton. Del resto l´alternanza dei partiti alla Casa Bianca non ha mai modificato l´approccio Usa contro Bin Laden: che è sempre stato bi-partisan». Ma qual è, oggi, il potere reale di Bin Laden e del suo vice Al Zawahiri, costretti a vivere nei nascondigli e sotto la minaccia costante dagli aerei-robot e delle teste di cuoio del Pentagono? «Non hanno un controllo sui militanti integralisti. Ma i due rappresentano ancora un punto di riferimento strategico: è bastato che Bin Laden dicesse a marzo di accentuare la pressione in Somalia per registrare un flusso di militanti verso quell´area. La situazione in Pakistan è un ulteriore pericolo per Al Qaeda: e non stupisce che il messaggio di ieri attacchi il neopresidente Zardari con la stessa violenza con cui veniva denunciato Musharraf».

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la paura torna a tienanmen alta tensione vent'anni dopo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 14 - Esteri La paura torna a Tienanmen alta tensione vent´anni dopo Pechino blindata. Hillary: "Liberate i dissidenti" Zhang Xianling, una delle madri: "Il dolore resta vivo nel più profondo del cuore" L´ordine regna a Pechino, ma l´ombra di Tienanmen ossessiona ancora il regime. Nel ventesimo anniversario del massacro ieri una cappa di silenzio è calata su tutta la Cina: blindata la piazza dove i carriarmati soffocarono la protesta democratica, censurati i giornali e i siti Internet, arrestati i dissidenti. Una dura protesta è venuta da Washington. La più forte presa di posizione dall´avvento dell´Amministrazione Obama è stata affidata a Hillary Clinton. «Una Cina che ha fatto enormi progressi economici e aspira a una leadership globale - ha dichiarato il segretario di Stato - deve affrontare apertamente gli eventi più bui del suo passato, deve dire la verità sui morti, i detenuti, gli scomparsi, per imparare la lezione e per sanare le ferite». La Clinton ha chiesto al governo di Pechino di «rilasciare tutti coloro che ancora scontano le pene». Sono 30 i prigionieri politici che non hanno finito di pagare per la loro colpa: aver creduto nel sogno di libertà che nella primavera del 1989 mobilitò gli studenti e fece vacillare la presa del partito comunista. L´atteso anniversario è stato vissuto come una giornata ad altissima tensione. Furgoni di polizia erano appostati a tutti gli angoli di Piazza Tienanmen, agenti e pattuglie militari rafforzate controllavano gli ingressi, perquisivano i passanti, impedivano alle tv straniere di riprendere il quadrilatero più celebre di tutto il paese. Il silenzio-stampa era stato imposto già da settimane a tutti i media nazionali, proibito ogni riferimento alla tragedia del 4 giugno. Ieri si è aggiunto un giro di vite eccezionale contro i mezzi d´informazione stranieri. La censura si è abbattuta sui siti Internet di Cnn e Bbc, oscurando ogni riferimento al 1989. I blackout hanno colpito Twitter, Youtube, la posta Hotmail e gli archivi fotografici online di Flickr. Non sono stati risparmiati i giornali stranieri, nonostante la loro limitata diffusione: le copie dell´International Herald Tribune circolavano solo dopo che una mano anonima aveva strappato la pagina con un articolo sul Dalai Lama. Ma nonostante sia un "non evento", di cui la propaganda ha cancellato ogni traccia nella memoria ufficiale, ieri il regime ha temuto qualche gesto individuale, proteste o testimonianze di ricordo. Ne hanno fatto le spese i più noti intellettuali dissidenti. Qi Zhiyong, che perse una gamba negli scontri del 4 giugno, è stato sequestrato dalla polizia e portato lontano da Pechino. Sotto scorta lo scrittore Yu Jie, che ha dichiarato: «Il 4 giugno non è stato dimenticato ma la gente ha paura di parlare». Wu Gaoxing è stato arrestato sabato sera vicino Shanghai: non gli hanno perdonato la lettera aperta che aveva rivolto pochi giorni fa al presidente Hu Jintao chiedendo la fine delle vessazioni contro gli ex-detenuti politici. "Anche se non siamo più in prigione - ha scritto Wu - il solo diritto che ci resta è quello di aspettare la morte". A nome delle vittime della repressione militare ha parlato ieri la 72enne Zhang Xianling, fondatrice dell´associazione delle Madri di Tienanmen: "Il dolore rimane vivo nel luogo più profondo dei nostri cuori". è palpabile il terrore dei dirigenti comunisti di fare i conti con il passato, di rivelare il bilancio delle vittime, e di aprire un dibattito sull´89. Le autorità accademiche di Pechino e Shanghai hanno ricevuto precise direttive per sorvegliare anche i movimenti degli studenti stranieri. Perfino Hong Kong e Macao, le due isole dotate di statuto autonomo dove vige una libertà di espressione, hanno chiuso le frontiere agli esuli dell´89 che tentavano di rientrare per l´anniversario. Ed è proprio un padre spirituale di Hong Kong ad aver lanciato un verdetto severo. Il cardinale cattolico Zen Ze-kiun, che a Hong Kong ha speso una vita per difendere i diritti umani, ha ammonito i dirigenti cinesi a spezzare questa congiura del silenzio. «Vent´anni dopo - ha dichiarato Zen - il regime rimane dispotico e corrotto. Ancora deve rispondere dell´orrendo crimine commesso. Quel massacro non era inevitabile e non ha portato nulla di buono. Il sistema politico è oppressivo, la corruzione dilaga, l´informazione è censurata, la ricchezza ha beneficiato una minoranza. Se avesse prevalso la linea del dialogo di Zhao Ziyang (l´allora segretario del partito che voleva le riforme democratiche, ndr), la storia sarebbe stata migliore per i cinesi». I dirigenti comunisti sono riusciti a imporre nel senso comune il loro revisionismo sull´89: l´intervento armato come un male minore, che ha garantito l´ordine e la stabilità, consentendo un ventennio di boom economico. Ogni altra versione non ha diritto di parola. (f. ramp.)

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la svolta degli stati americani cuba riammessa dopo 47 anni - omero ciai (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 18 - Esteri La svolta degli Stati Americani Cuba riammessa dopo 47 anni Dagli Usa approvazione con riserva: più democrazia Nell´isola si diffondono da giorni voci su una malattia di Raul Castro OMERO CIAI Potrebbe diventare un altro colpo di Obama lanciato nel campo dell´avversario: l´Onu americana (Osa, organizzazione degli Stati americani) ha votato ieri in Honduras una risoluzione che annulla l´espulsione di Cuba quarantasette anni dopo. Ma non "senza condizioni" come volevano Venezuela ed Ecuador. Mentre dall´Avana Fidel Castro si mostra completamente indifferente all´idea di tornare a far parte dell´organizzazione. Dopo due lunghe giornate di trattative il testo approvato precisa che: «la partecipazione di Cuba nell´organismo sarà il risultato di un processo di dialogo che verrà avviato su proposta delle autorità cubane (quindi l´Avana dovrà fare il primo passo) ed in accordo con le norme, i propositi e i principi dell´Osa». Decisiva per arrivare ad un voto favorevole anche di Washington è stata la mediazione del ministro degli Esteri brasiliano, Celso Amorin. Che ha evitato una rottura e ottenuto sostanzialmente un pareggio perché la risoluzione mentre annulla l´espulsione, condiziona il ritorno, come voleva Hillary Clinton. Era il ‘62 e c´erano state la Baia dei Porci e la crisi dei missili quando l´Osa votò l´ostracismo di Cuba con l´intenzione di frenare quella che Washington vedeva come una pericolosa penetrazione dell´Urss in America Latina. Oggi lo scenario è completamente diverso e l´elezione di Obama alla Casa Bianca ha riacceso le speranze sulla possibilità che una nuova politica americana verso l´isola porti con sé anche dei cambiamenti all´interno del regime. La risposta per ora è gelida. Mentre i 34 paesi dell´Osa si azzuffavano sul testo, Fidel scriveva che l´organizzazione degli Stati americani è stata fin dall´inizio «complice di tutti i crimini contro Cuba». Per Fidel l´Osa è stato il "cavallo di Troia" che ha consentito agli Stati Uniti di diffondere in tutta la regione «il neoliberalismo, le basi militari e le crisi economiche»; mentre Cuba ha dimostrato che «si può resistere all´embargo economico ed avanzare in molti campi e anche cooperare con gli altri paesi». Completamente diversa la lettura di altre cancellerie latinoamericane che tendono invece a sottolineare «l´accordo storico» e la riparazione «dell´onta subita nel ´62 da Cuba». Si vedrà. Molto dipenderà dai prossimi rapporti di forza tra i paesi che mantengono una posizione più moderata verso Washington, come il Brasile, e l´ala più radicale (Venezuela, Nicaragua, Ecuador). Intanto nessuna reazione, a parte Fidel, dal presidente cubano in carica, ossia il fratello Raul. La circostanza ha provocato nuovi rumors sul suo stato di salute. Da giorni gli specialisti notano che Raul, 78 anni, è assente. Si dice che sia ammalato, più o meno gravemente, secondo le fonti.

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google-android sfonda sui pc low cost (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 37 - R2 PROCREAZIONE DA UOMO IN COMA: CHE NE PENSATE? Il Sondaggio Il Festival Tecno Viaggi Consumi Repubblica Tv Tre giorni a tutto yoga a Roma Dolomiti patrimonio Unesco In diretta il discorso di Obama Google-Android sfonda sui pc low cost Le "multe pazze": un manuale per difendersi

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Tienanmen, Pechino contro la Clinton "Accuse infondate alla Cina" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

PECHINO - La Cina ha espresso "forte insoddisfazione" per l'appello del segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, che ha invitato Pechino a pubblicare i nomi delle vittime e dei dispersi della repressione di Piazza Tienanmen, di cui oggi ricorre il ventesimo anniversario. "L'iniziativa americana rivolge accuse infondate al governo cinese ed esprimiamo forte insoddisfazione", ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri, Qin Gang, nel corso del briefing svoltosi nel ventesimo anniversario della repressione della protesta studentesca. In un comunicato, ieri, il segretario di Stato dell'Amministrazione Obama aveva invitato il governo a fornire un bilancio completo della repressione e a "esaminare apertamente le pagine oscure del proprio passato". Centinaia, forse migliaia, di manifestanti, studenti e cittadini solidali con la protesta furono uccisi nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 dopo che i carriarmati erano stati dispiegati nelle strade della capitale per reprimere le rivendicazioni di democratizzazione che da sette settimane venivano avanzate in modo pacifico dai ragazzi dell'Università di Pechino. Ricordando le vittime della repressione, Hillary Clinton ha dichiarato: "Una Cina che ha fatto enormi progressi economici e che sta trovando il suo giusto posto di primo piano sulla scena internazionale dovrebbe esaminare apertamente le pagine oscure del proprio passato e pubblicare il conto di coloro che sono stati uccisi, arrestati o sono scomparsi, e trarne delle lezioni". Invece di tentare di impedire ogni forma di commemorazione dell'anniversario e ammutolire l'opposizione, ha aggiunto Clinton, le autorità cinesi dovrebbero "aprire un dialogo con le famiglie delle vittime, comprese le Madri di Tienanmen. Questo anniversario - ha aggiunto - dà alle autorità cinesi l'opportunità di liberare tutti coloro che sono stati incarcerati per i loro legami con la rivolta del 4 giugno 1989". OAS_RICH('Middle'); (4 giugno 2009

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Obama, il linguaggio del cuore (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

Nelle terre del "libro", dunque nella culla del Verbo, il nuovo presidente americano si affida proprio alla forza della parola per fare quello che nessuno prima di lui è riuscito a fare, toccare i cuori e le menti del mondo arabo. È ovvio dire che dopo otto anni di Bush, mentre sono ancora in corso due guerre d'occupazione in nazioni musulmane, la sua impresa è proibitiva, e che le aspettative per il suo discorso in quella università del Cairo da mille anni centro del mondo sunnita, sono troppo grandi perché non producano delusioni. Già la voce spettrale di Osama bin Laden si è alzata per svuotare ed esorcizzare la sua presenza in Egitto, segnando le sue controparole di condanna e di odio con l'assassinio rituale di un diplomatico inglese rapito in Mali, e avvertendo che "l'America raccoglierà i frutti dell'odio che semina". Ci sono quasi 100 anni di storia, dalla dichiarazione di lord Balfour che fece la prima spartizione arbitraria e insensata della regione nel 1916 a dimostrare che nessuno ha mai trovato - o voluto trovare - la chiave per aprire la porta della pace. Chi osò farlo, come Ytzhak Rabin o Anwar Sadat proprio al Cairo, pagò con la propria vita. Ma nessuno prima di questo presidente americano aveva portato nella terra del Verbo e del Libro la novità preoccupante di una persona e di una storia che sta, come dimostra la bordata preventiva lanciata da una preoccupatissima al Qaeda in ben due messaggi, sparigliando le carte dei luoghi comuni. Un capo di stato occidentale e genericamente "cristiano" con il suo viso, con un nome come Hussein, la "piazza araba" non lo aveva mai visto. E su questo lui apertamente punta, ostentando in tutte le interviste e le dichiarazioni quei legami familiari con il mondo islamico e quel nome, che durante la campagna elettorale aveva cercato di minimizzare o nascondere. OAS_RICH('Middle'); Così sensazionale è la novità dell'uomo che parla un linguaggio diverso prima ancora di aprire bocca, che persino il teorico più arcigno della missione provvidenziale della forza americana, Paul Wolfowitz, ha dovuto riconoscere che "la maggioranza nel mondo musulmano riconosce il risultato che lui rappresenta". Una maggioranza che non si traduce ancora in un atteggiamento diverso nei confronti degli Stati Uniti, visti da tre quarti dei musulmani come un avversario, se non come il demonio che insidia l'esistenza stessa della cultura dell'Islam. Qui sta la parte più facile di questa "missione della parola" che Barack cercherà di compiere oggi nell'università di al-Azhar al Cairo semplicemente usando un linguaggio diverso e dicendo ciò che anche Bush ripeteva nei discorsi, ma smentiva nelle azioni. Il suo sarà un cambio culturale, prima che politico, e un ritorno al pensiero, prima dell'azione. L'America non è la nemica dell'Islam; ogni disarmo verbale e culturale deve partire dall'affermazione del reciproco rispetto; il concetto stesso di "scontro di civiltà" è un nonsenso ideologico perché presuppone l'esistenza di due inconciliabili monoliti da un miliardo di cloni per parte. In questo, la missione sarà un successo, ma non potrà essere un successo troppo grande perché il rischio che correrà il presidente non è quello di non essere preso sul serio. È quello di essere semmai preso troppo sul serio e quindi chiamato a tradurre in pratica il verbo e il messaggio nei confronti di quei regimi arabi che sono lo strumento di oppressione e di arretratezza che alimenta la fuga verso fondamentalismo religioso. Ci saranno infatti due pubblici arabi opposti che lo ascolteranno: quello delle strade, che rispondono disciplinatamente alle tv di stato che la questione palestinese è la ferita che li offende. Ma che, se fossero padroni di rispondere, come disse il direttore della network al-Arabya, direbbero invece che sono la loro vita quotidiana, il futuro dei figli, la loro condizione frustrante a essere in cima alle preoccupazioni. E ci saranno le orecchie tese dei governanti, dalla Siria all'Egitto, dall'Arabia Saudita all'Iran alla Libia, che vivono nel timore proprio di quella piazza araba, tenuta al guinzaglio corto e zittita. Il vero problema impossibile di Obama non è, non ancora, il negoziato fra Israele e i palestinesi. È quello di rassicurare i despoti arabi dei quali ha bisogno, accendendo contemporaneamente l'entusiasmo e la fiducia delle piazze per questa nuova America. Dunque accendere il fuoco della speranza sotto la pentola senza far saltare il coperchio dei regimi dei quali ha bisogno, per le trattative con Israele e per il petrolio. Tutto sotto lo sguardo degli americani, a casa - il suo terzo pubblico e alla fine quello principale - che non amano l'idea di un presidente troppo filo islamico. Tre miracoli contraddittori fra loro, che soltanto un uomo dotato di enorme fede nel proprio verbo può sperare di compiere. (4 giugno 2009

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Obama al Cairo, storico discorso all'Islam "Ci ha lavorato fino all'ultimo minuto" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

IL CAIRO - Il presidente statunitense Barack Obama è arrivato al Cairo, tappa principale del suo viaggio oltreoceano che lo porterà, dopo il Medio Oriente, alle celebrazioni per il D-day in Europa. Tappa attesissima, quella del Cairo, perché qui questa mattina il presidente Usa pronuncerà all'Università del Cairo l'attesissimo discorso al mondo islamico. Obama ha lavorato sino all'ultimo momento al testo del discorso sul dialogo col mondo musulmano che pronuncerà oggi all'Università del Cairo. La Casa Bianca ha rivelato che Obama, che ha cominciato a scrivere il discorso alcuni mesi fa, ha dato gli ultimi ritocchi al testo ieri notte mentre era ospite a Riad nella tenuta del sovrano saudita Abdullah. Obama, per mettere a punto il discorso, ha consultato numerosi esponenti musulmani d'America e di altri Paesi cercando di comprendere il loro punto di vista sui rapporti tra Islam e Stati Uniti. Il presidente ha dedicato molto tempo a rivedere il discorso negli ultimi sette giorni ed ha lavorato al testo anche durante il volo sull'Air Force One da Washington a Riad. I Fratelli musulmani. Nella platea dell'università ci saranno anche ospiti d'eccezione: i rappresentanti dei Fratelli musulmani, ala radicale e politicizzata dell'islam sunnita. "Siamo stati invitati ad ascoltare il discorso del presidente americano e undici nostri deputati andranno a farlo stamane all'università del Cairo", ha fatto sapere alla tv satellitare Al Jazeera Mohammed Habib, vice guida generale dei fratelli musulmani egiziani. "Ben venga Obama - ha detto Habib - se contribuirà davvero a raggiungere una pace giusta per il popolo palestinese". Secondo fonti citate dall'emittente araba, l'amministrazione americana avrebbe chiesto al governo egiziano che tra il pubblico che ascolterà il discorso di obama al mondo islamico, "ci fossero almeno 2500 rappresentati di tutte le correnti di pensiero dell'islam". La stessa tv fa sapere che tra gli invitati, "c'è anche l'addetto agli affari iraniani in Egitto", paese che non ha relazioni diplomatiche con Teheran. OAS_RICH('Middle'); L'Iran. E proprio dall'Iran è arrivata la doccia fredda di uno dei maggiori leader, la Guida della rivoluzione iraniana Ali Khamenei: "Non basteranno cento discorsi a cambiare l'immagine degli Usa nel mondo musulmano", ha detto. "In questa regione i popoli odiano profondamente le amministrazioni americane" per la politica seguita, ha affermato Khamenei, mentre dalla folla si alzava ripetutamente lo slogan di "Morte all'America". (4 giugno 2009

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Obama incontra Mubarak Prove di dialogo con l'Islam (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

IL CAIRO «Abbiamo discusso la situazione degli israeliani e palestinesi, abbiamo discusso come andare avanti in modo costruttivo per portare pace e prosperità». È quanto ha detto Barack Obama dopo il suo colloquio oggi al Cairo con Hosny Mubarak, sottolineando il suo desiderio «di continuare a consultarmi con il presidente egiziano nei prossimi mesi ed anni». «Voglio anche portare al popolo egiziano il saluto dell’America» ha detto ancora il presidente statunitense arrivato questa mattina da Riad al Cairo, completamente blindata per l’attesa visita che prevede anche una puntata alle piramidi di Giza. Dopo l’incontro con il presidente Honsi Mubarak, il presidente Barack Obama ha in programma di visita, accompagnato dal segretario di Stato Hillary Clinton, in visita alla moschea del sultano Hassan. Subito dopo, poco dopo le 12 ora italiana, l’atteso discorso all’università del Cairo con cui Obama si rivolgerà agli islamici di tutto il mondo per cercare di sanare «l’innegabile frattura che si è creata tra l’America ed il mondo islamico», come ha spiegato il suo principale consigliere David Axerlod. «La frattura si è creata in diversi anni e non sarà sanata con un solo discorso - ha spiegato ancora Axerlod - e forse neanche da una sola amministrazione». Per quanto riguarda i contenuti del discorso, uno degli speechwriter della Casa Bianca Ben Rhodes ha spiegato che Obama non mancherà di essere «diretto» sul problema della democrazia e dei diritti umani nei paesi islamici, così come è stato esplicito con gli israeliani. Per il presidente il discorso di oggi è la continuazione dello sforzo iniziato dai primi giorni della sua amministrazione - che ha visto momenti salienti nel messaggio di Nowruz e nel discorso pronunciato durante la sua visita in Turchia - «per iniziare un nuovo capitolo tra Stati Uniti e mondo islamico», ha detto ancora Rhodes, basato su «mutuo rispetto ed interesse». E per farlo dovrà essere «franco sulle questioni che hanno provocato alcune tensioni». In un’intervista all’editorialista del New York Times Thomas Friedman lo stesso Obama ha sottolineato che «in questo momento il dire la verità è la cosa più importante in Medio Oriente». Nel suo messaggio quindi inviterà a «smettere di dire una cosa a porte chiuse ed un’altra in pubblico: ci sono molti paesi che sono più preoccupati di un Iran che sviluppa armi atomiche più della minaccia di Israele, ma non lo ammettono». E - ha poi aggiunto -ci «sono molti israeliani che risconoscono che l’attuale cammino è insostenibile, e che è necessario fare scelte difficili sugli insediamenti per arrivare alla soluzione dei due stati, ma non ci sono abbastanza persone disposte a riconoscerlo in pubblico». Come del resto, ci sono molti palestinesi «che riconoscono che una retorica negativa e di incitamento con Israele» non ha portato a nessun «beneficio per il loro popolo» ed hanno «preso un atteggiamento più costruttivo, ma non lo dicono abbastanza ad alta voce».

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Maturità, parte il toto-tema da Obama al terremoto (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 04-06-2009)

Argomenti: Obama

ROMA Manca meno di un mese all’esame di maturità e inizia sui vari sit degli studenti il toto-tema. La prova di italiano proposta in varie tipologie (analisi di un testo letterario, saggio breve o articolo di giornale, tema di argomento storico o di attualità) è la prima e quella uguale per tutti gli indirizzi di studio. E allora ecco che per l’edizione 2009 si danno come autori probabili per l’analisi del testo Verga, Svevo, Dante (nonostante negli ultimi anni sia stato proposto più volte), Quasimodo, ma anche, sebbene con minori chance, Calvino, Moravia, Pavese, Pirandello e Ungaretti. Una bella fetta di spunti arriva dagli anniversari: 1989 caduta del Muro di Berlino, 1969 il primo uomo atterra sulla luna, 1909 manifesto del Futurismo, 1809 nascita di Darwin. Tra le tracce più gettonate c’è senz’altro la crisi economica mondiale, in parallelismo con la crisi del ’29 (di cui peraltro ricorre pure l’anniversario), il boom dei Social network come nuova forma di comunicazione, l’elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti. E ancora l’immigrazione clandestina e il terremoto in Abruzzo. Ma fanno capolino anche altri suggerimenti che pescano nella cronaca dell’anno, e dunque perché non pensare a una traccia sull’evoluzione del mondo giovanile legata a fenomeni come la contestazione studentesca, il bullismo o le morti sulle strade legate all’abuso di alcol e droghe? Se per il primo scritto i pronostici si rincorrono, sui possibili autori della versione di latino (la materia scelta per il secondo scritto al classico) il tam tam non è ancora partito.

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