CENACOLO  DEI  COGITANTI

PRIMA PAGINA

TUTTI I DOSSIER

CRONOLOGICA

 

 Report "Obama"   3-4 aprile 2009

IN EVIDENZA

LA STAMPA 4/5/2009 (18:42) - IL PIANO DELLA CASA BIANCA . Obama: battaglia ai paradisi fiscali

Il presidente Usa stringe la morsa: "Il codice ora è pieno di scappatoie"

 

ROMA
«A nessun piace pagare le tasse, soprattutto in tempi di crisi. Ma la maggior parte degli americani rispetta gli obblighi. Molti cittadini e imprese adempiono ai loro obblighi ma ci sono altri che non lo fanno». Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha annunciato un piano per combattere l’evasione fiscale oltreoceano e i paradisi fiscali. «Ho chiesto al Congresso di approvare misure di senso comune», ha detto il presidente, affiancato dal segretario al Tesoro Usa Timothy Geithner. Nel presentare il proprio piano di riforma, il presidente ha sottolineato che «il codice fiscale (americano) è pieno di scappatoie che agevolano le aziende», e che non «possiamo premiare quelle società americane che operano oltreoceano» e che riescono a trovare il modo di evadere le tasse. Anche perché «pagare le tasse è un obbligo legato alla cittadinanza». Per questo, ha ribadito Obama, «ho parlato della necessità di chiudere i paradisi fiscali oltreoceano».

La battaglia di Obama è in particolare contro quelle società americane che riescono a evadere le tasse trasferendo le proprie operazioni o i loro conti bancari al di fuori degli Stati Uniti. L’obiettivo della riforma annunciata oggi è dunque quello di impedire che le aziende Usa riescano a rimandare il pagamento dei loro oneri fiscali come hanno fatto finora, ricorrendo all’imputazione degli utili a bilanci di società estere invece di registrare i profitti negli Usa.

Obama, che ha lanciato un appello anche per una maggiore trasparenza dei conti bancari delle società estere nelle isole Cayman, ha precisato che il suo piano garantirà nuove tasse per un valore di 210 miliardi di dollari nel corso dei prossimi dieci anni, «rendendo più facile» per le società creare nuovi posti di lavoro negli Stati Uniti. Il presidente ha continuato affermando che «i risparmi potranno essere utilizzati per ridurre il deficit».

 

 

Indice degli articoli

 

Il virus è arrivato in Asia A Hong Kong 300 ricoveri ( da "Stampa, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 300 ricoveri Ammalati nel mondo Un malato accertato in Corea del Sud L'allarme di Obama «Rischio pandemia» [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Barack Obama lancia l'allarme sul rischio di una pandemia di febbre suina. A Hong Kong le autorità cinesi mettono in quarantena un intero albergo e suoi 300 ospiti per il rischio di un'infezione di massa, mentre Seul conferma il primo caso.

"Così creiamo l'auto che piace a Obama" ( da "Stampa, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: auto che piace a Obama" I piani segreti del "papà" di Common rail e Multiair PIERO BIANCO C'è una tradizione di genio innovativo che tedeschi e giapponesi ci invidiano TORINO Rinaldo Rinolfi Quando sviluppammo il common rail a fine Anni 80, mi chiesi quale nuova rivoluzione potesse affrontare con realismo il mondo dell'auto.

Vendola: "Vi prego di vincere per i diritti umani e il lavoro" ( da "Stampa, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: «Obama ha chiesto a Sarkozy di non chiudere sull'allargamento dell'Unione Europea. Il presidente francese invece ha parlato come un Borghezio, un leghista qualunque. Non ha colto la lungimiranza e la vera sfida. Soltanto un grande continente moderno, che gestisce i flussi e non ghettizza, può vincere i fondamentalismi.

e domani per marchionne la missione impossibile - eugenio scalfari ( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: annuncio dalla viva voce di Barack Obama che l´operazione Fiat-Chrysler era stata definitivamente decisa, mi è venuto in mente Gianni Agnelli. Come avrebbe reagito l´Avvocato di fronte a quella scelta? Di fronte all´internazionalizzazione della sua Fiat? Perché di questo in sostanza si tratta e non di Torino che conquista Detroit, come molti semplicisticamente hanno pensato.

il regime teme le interferenze dall'esterno - renzo guolo (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: "Invito" subito recepito da Hashemi-Shahroudi, che ha ordinato un rapido processo d´appello. Mostrare "cedevolezza" due volte sarebbe parso inconcepibile al regime. Tanto più in una situazione in cui l´irrigidimento interno pare la contropartita per andare a vedere le carte di Obama sul nucleare.

berlusconi: "nuove case a settembre all'aquila ospedale aperto a maggio" - gianluca luzi ( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama solo al 59. Sono il leader più amato del mondo». Salvo poi correggersi qualche ora dopo a L´Aquila dicendo che «scherzava». Certo, vantarsi di un distacco così abissale dal presidente degli Stati Uniti, da cui Berlusconi attende ancora un invito («forse ci vedremo a metà giugno», ha buttato lì Berlusconi a Napoli) non aiuta la diplomazia.

e l'italia scivolò tra i paesi "semi-liberi" - giovanni valentini ( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama, proprio dagli Stati Uniti arriva la notizia che l´Italia viene declassata per la prima volta da Paese "libero" (free) a "parzialmente libero" (partly free). Siamo l´unico caso nell´Europa occidentale, preceduti di una sola posizione dalla Grecia che però mantiene la valutazione "free".

virus, in toscana il primo caso "si diffonderà fino all'estate" - marina cavallieri ( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: «Ho ascoltato la dichiarazione del presidente Obama che si è detto al sicuro avendo 50 milioni di scorte di antivirali, noi ne abbiamo 40 milioni e l´Italia non è gli Stati Uniti, questo tanto per rispondere a chi ha detto che non avremmo scorte sufficienti». Ma se le polemiche sono inutili, i controlli no.

l'oms: non sappiamo quanto sia grave l'epidemia ( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 3 - Cronaca Obama: stiamo rispondendo in maniera aggressiva. Calciatore messicano sputa all´ avversario: "Prenditi la febbre" L´Oms: non sappiamo quanto sia grave l´epidemia ROMA - Secondo L´Organizzazione mondiale per la sanità bisognerà attendere i prossimi giorni per valutare la diffusione del virus dell´influenza A.

Primo contagiato in Italia ( da "Stampa, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama alla radio: rischio di pandemia, dobbiamo tenere alta la guardia Primo contagiato in Italia Febbre suina, un caso in Toscana: è già guarito. Tornava dal Messico L'influenza suina è arrivata in Italia ma l'uomo su cui è stata riscontrata è già guarito.

Sneakers da 540 dollari insidiano il mito Michelle ( da "Stampa, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: governo sono serviti a svelare la vera identità della signora Obama. Michelle del resto ha costruito la propria popolarità in patria e all'estero grazie a carattere, bellezza e semplicità. Il suo guardaroba, oltre a capi di valore destinati alle occasioni importanti, dove eleganza e fasto sono l'imperativo categorico, ha un'ampia serie di vestiti «prêt-à-porter» sobri e divertenti,

obama, un'altra donna alla corte suprema - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: autunno scorso che «se Obama vincerà sarò il primo a ritirarmi», ma anche la Casa Bianca è stata colta di sorpresa dalla sua decisione. A rendere ufficiali le dimissioni di Souter è stato lo stesso Obama venerdì pomeriggio. Con una mossa irrituale il presidente ha interrotto il briefing del suo portavoce Robert Gibbs con i giornalisti,

quelle scarpe troppo care la prima gaffe di michelle ( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Michelle Obama si è presentata a un evento benefico organizzato da Feeding America, un ente che si batte contro la povertà in Usa, indossando scarpe da ginnastica da 540 dollari, per di più di una maison francese. Le sneakers griffate Lanvin - del tutto esaurite nella boutique-chic statunitensi - sono già un cult.

marchionne fa rotta sulla opel da domani trattative a berlino - salvatore tropea ( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: lusinghieri di Obama in America è cresciuta notevolmente la considerazione nei confronti della Fiat e del suo ad al quale verrà affidata verosimilmente la guida dell´azienda ancor prima che essa raggiunga il 51 per cento e quindi il controllo. La continuità operativa e la difesa dei posti di lavoro sono due temi ancora vivi mentre Marchionne si appresta ad aggredire la questione della Gm:

la sfida del sogno italo-americano alla leadership che viene dall'asia - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Asia è in netto vantaggio proprio nella corsa all´auto "pulita" su cui punta l´Amministrazione Obama. Toyota e Honda dominano da anni il motore ibrido. Insieme al Giappone, la Corea del Sud è l´altro leader globale nelle batterie al litio per auto ibride o elettriche. E dell´auto elettrica la Cina sta facendo il suo fiore all´occhiello.

"Contro di me fischiatori organizzati" ( da "Stampaweb, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: anche Obama («io ho il 75.1% , Obama il 59%»). Affermazioni che successivamente Berlusconi aveva ridimensionato facendo presente di aver parlato con «ironia», ossia di aver fatto una battuta. A dar fuoco alle polveri è Franceschini da Bologna: «Se Berlusconi non ha un sondaggio di popolarità al giorno che gli dà un punto in più -

LA SFIDA CRUDELE DI UN REGIME ( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la mano tesa di Obama hanno prodotto risultati. L'Iran non dà segnali di voler normalizzare i suoi rapporti con il resto del mondo. Sfortunatamente, la normalizzazione non può esserci, e non ci sarà, senza significativi cambiamenti del regime. Quanto meno, senza cambiamenti che segnalino il passaggio dalla fase rivoluzionaria (iniziata con Khomeini nel 1979 e mai terminata)

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: rassicurato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ricordando agli americani che il governo ha scorte di antivirali pari a 50 milioni di dosi. Un dato che ha offerto lo spunto al ministro della Salute Maurizio Sacconi, durante la conferenza stampa di ieri con il sottosegretario Ferruccio Fazio (foto), per rimarcare quanto le polemiche dei giorni scorsi sull'impreparazione dell'

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministratore delegato che dopo aver convinto Barack Obama su Chrysler ora tenta il raddoppio con Angela Merkel su Opel. E in Germania le barricate sono già state alzate, la Fiat un po' di paura - anche - la fa, dunque «lasciamo che Sergio si muova come sa». Ovviamente però conferma, il presidente del Lingotto, che la casa tedesca «sarebbe per noi una straordinaria opportunità,

Liquidazione-lampo Sfida contro il tempo per il giudice di Enron ( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Credo alle promesse di Obama sulla validità della garanzia e mi hanno fatto un discreto sconto. E, poi, la macchina mi piace». È una 300Lx, un modello di successo negli Usa, che potrebbe tornare utile anche alla Fiat, mai stata fortissima nelle «ammiraglie». I clienti fedeli che continuano a comprare Jeep e coupé Dodge dai concessionari dell'Ohio o della «

Missione tedesca, Marchionne a Berlino ( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: sindacato e socialdemocratici sono la punta avanzata della vasta opposizione tedesca alla proposta italiana. Situazione complessa. Improbabile che, a Berlino, Marchionne possa contare su un decisionista come Barack Obama a Washington. Danilo Taino Il ministro tedesco Karl-Theodor zu Guttenberg Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat

Sopralluogo Usa per il vertice ( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Dopo lo staff di Barack Obama, pure quello del presidente francese Nicholas Sarkozy ha manifestato la propria disponibilità. Adesso si apre la fase più delicata. Entro la fine della prossima settimana cominceranno i sopralluoghi degli addetti alla sicurezza che dovranno analizzare le misure di protezione e proporre le eventuali modifiche.

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il pure amato Obama il gradimento è del 59%, quello nei suoi confronti è ormai arrivato «al 75%», evidentemente non intaccato dal caso Veronica che comunque il premier sta facendo di tutto, con le sue frequenti uscite pubbliche, per far dimenticare. Numeri sui quali il leader del pd Franceschini ironizza: «Se non ha un sondaggio di popolarità al giorno che gli dà un punto in più,

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: i repubblicani accusano Obama di debolezza, dicono che Ahmadinejad si faccia beffe di lui. «Secondo me invece la mano tesa di Obama è stata accolta favorevolmente da molti iraniani, e Ahmadinejad e i suoi sostenitori si sono dovuti difendere all'interno. Questa reazione del presidente del-- l'Iran e degli ayatollah, non l'offerta di trattare di Obama,>Tribunali militari: Obama cambia idea ( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama cambia idea WASHINGTON Il presidente Barack Obama, che aveva criticato da candidato l'amministrazione Bush per l'uso dei tribunali militari per processare i «nemici combattenti» reclusi a Guantánamo, potrebbe usare a sua volta speciali commissioni giudicanti militari per decidere il destino dei sospetti terroristi.

Corte Suprema, una nuova sfida tra liberal e conservatori ( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: americana si prepara a seppellire le residue ambizioni bipartisan dell'era Obama. Primo leader democratico della Casa Bianca in 15 anni, il neo-presidente si vede offerto inaspettatamente il rischioso regalo di poter nominare un giudice della Corte Suprema, l'organo costituzionale che più di ogni altro indirizza le scelte della nazione sui più controversi temi sociali, come l'aborto,

Michelle a un evento benefico con scarpe da 540 dollari ( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Michelle a un evento benefico con scarpe da 540 dollari WASHINGTON Piccola gaffe per Michelle Obama: la quasi-perfetta First Lady americana s'è infatti presentata a un evento benefico di Feeding America (che si batte contro la povertà in Usa) con il solito cardigan J.Crew, pantaloni sportivi e scarpe da tennis. Ma queste ultime, ha scoperto il Daily News Online, costano 540 dollari.

Obama, un'altra donna alla Corte suprema ( da "Repubblica.it" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: autunno scorso che "se Obama vincerà sarò il primo a ritirarmi", ma anche la Casa Bianca è stata colta di sorpresa dalla sua decisione. A rendere ufficiali le dimissioni di Souter è stato lo stesso Obama venerdì pomeriggio. Con una mossa irrituale il presidente ha interrotto il briefing del suo portavoce Robert Gibbs con i giornalisti,

"La nostra ricchezza era illusoria" ( da "Stampaweb, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama spiega come gran parte del suo lavoro, adesso, sia proprio di «costruire un ponte sul vuoto esistente tra lo status quo e quello che dobbiamo fare per il nostro futuro». Per fare questo - ragiona Obama - «abbiamo bisogno di più talenti e più risorse da destinare ad altri settori dell?

Terrorismo, Cuba nella lista nera Fidel contro Obama: "Si vergogni" ( da "Stampaweb, La" del 03-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama ha reso pubblica l?elenco in cui L?Avana si trova accanto a Siria, Iran e Sudan. Il Dipartimento di Stato riconosce i passi avanti fatti dal regime comunista anche in questo campo, come ad esempio quando si lamentò dei rapimenti di politici messi in atto dalle Farc colombiane, ma mantiene nel mirino le relazioni dell?

TORINESI IN GERMANIA ( da "Stampa, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: esplicita approvazione nientemeno che da parte del presidente Obama. Insomma, che cosa ci riservano ancora questi italiani?, si chiedono molti tedeschi, forse è meglio non fidarsi troppo di loro. L'«inaffidabilità» degli italiani agli occhi di molti tedeschi ha una lunga radicata tradizione. Ma è stata compensata e corretta anche da smentite grazie a una reciproca,

RITROVARE LA FIDUCIA DELLA GENTE ( da "Stampa, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dottrina Barack Obama in Afghanistan: dimostrare di saper proteggere i civili al punto tale da conquistarne i cuori come le menti per poter così accelerare la sconfitta dei taleban. Behooshahr è l'adolescente afghana uccisa da una pattuglia dei nostri soldati che hanno fatto fuoco sulla Toyota bianca dove si trovava dopo aver invano tentato di fermarla mentre procedeva ad alta velocità.

Fidel: "Obama, vergognati" ( da "Stampa, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama, vergognati" 19 aprile Obama: molti errori Al Summit delle Americhe Obama ammette che la politica americana negli ultimi cinquant'anni nei confronti di Cuba «non ha funzionato». 23 aprile «Stop all'embargo» Il Senato Usa vota all'unanimità la mozione bipartisan che chiede il superamento dell'embargo economico e finanziario emesso 50 anni fa contro Cuba.

Parlamento Ue i voti di quelli che ci riprovano ( da "Stampa, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: di dieci giorni più vecchio di Obama, vicepresidente candidato alla presidenza, primo italiano che potrebbe farcela da trent'anni. E' un supercattolico che crede anche in Facebook e vanta 368 interventi in aula, record nazionale. Guida la classifica degli attivi, più numerosi di quanto la loro celebrità relativa lasci immaginare.

La filiale tedesca di Detroit azzoppata dalla crisi Usa ( da "Stampa, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Grido di battaglia, una parodia dello slogan elettorale di Obama: sì, possiamo farcela. Ma con l'aggiunta di una sfida emblematica: anche senza General Motors. Per la prima volta, i lavoratori della Opel comunicarono al mondo la volontà di svincolarsi, dopo ottant'anni, dall'abbraccio mortale di Detroit.

il regista: "dal vaticano quanti ostacoli per i nostri set" - maria pia fusco roma ( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Le regole sono quelle di un democratico, convinto sostenitore di Obama. «I suoi cento giorni di governo sono niente rispetto ai problemi da risolvere. I presidenti in genere arrivano alla Casa Bianca e cominciano a realizzare il loro programma, nessuno si è trovato come Obama, costretto ad occuparsi di tante crisi dolorose e difficili.

lo spin-off fiat, applausi e dubbi - gino li veli ( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: due borse di plastica piene di sigarette e i complimenti di Obama, al Lingotto scatta l´operazione spin-off. Il comunicato stampa che esce nel tardo pomeriggio da via Nizza è molto più prudente («il Gruppo potrebbe valutare varie operazioni societarie, compreso lo spin-off di Fiat Group Automobiles in una società quotata che n unisca le attività con quelle di General Motors Europe»

"così si consolida il settore auto ma su iveco e cnh c'è un'ombra" - (segue dalla prima pagina) pier paolo luciano ( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: L´accordo voluto da Obama ci ha innalzati agli onori del mondo. E questo non può che avere effetti positivi sotto l´aspetto dell´attrazione. Oggi c´è più gente in giro per il mondo che sa che a Torino non solo esiste Fiat, ma ci sono certe competenze, determinate tecnologie che ne fanno una delle capitali dell´auto».

fiat, divisi sulla mossa spin-off - (segue dalla prima pagina) gino li veli ( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Proprio come sta facendo Obama negli States, dove ha trovato una missione per l´auto del futuro. Qui invece nessuno parla di politica del prodotto. Così non si può stare certo tranquilli: perché l´operazione che Marchionne si prepara a realizzare avrà come primo effetto una supercapacità produttiva considerati anche i nove stabilimenti dell´Opel.

il tabù della guerra nell'inferno di kabul - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ne ha fatto il fronte centrale dello sforzo bellico americano. Associandovi il Pakistan, che una frontiera inesistente divide dall´Afghanistan. Ecco l´«Afpak». Buco nero in cui convivono jihadismo ascendente e pallidissimi poteri formali, bombe atomiche (pachistane) e contenziosi territoriali irrisolti,

fidel a obama: "dovresti vergognarti" - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Esteri Fidel a Obama: "Dovresti vergognarti" Gli Usa confermano Cuba nella lista dei Paesi terroristi ed è di nuovo gelo Solo due giorni fa Hillary Clinton aveva detto di voler cambiare politica verso il Sudamerica Duro attacco del lider maximo: "Da 50 anni sono gli Usa a fare terrorismo" ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK -

motori verdi, cambi, linee produttive così torino vuole sedurre i tedeschi - paolo griseri ( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: schemi: gli stessi che hanno convinto Obama nella partita tra Fiat e Chrysler Tra le carte vincenti il sistema Multiair che dà più potenza abbattendo tutti i consumi, il doppio cambio e la nuova generazione Fire PAOLO GRISERI TORINO - La valigia è la stessa con cui è sbarcato dalla trasferta a Detroit.

obama: "insostenibile la finanza usa" - luca iezzi ( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Economia Obama: "Insostenibile la finanza Usa" Oggi la Ue abbassa le stime del Pil: -4%. Bce verso il taglio dei tassi L´allarme della Casa Bianca. Pil della Ue verso il -4%, la Bce taglierà i tassi "Così la finanza Usa è insostenibile" LUCA IEZZI ROMA - «è importante comprendere che parte della ricchezza generata nell´ultimo decennio era puramente illusoria»

Boom dei gruppi pro-Lario ( da "Corriere della Sera" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il «Veronica Lario fan club» ha raggiunto oltre duemila iscritti. Il fondatore Alessandro Buoni ha creato il «Gruppo a sostegno del divorzio di Veronica Lario». Tra gli altri, «Veronica ha vinto e le veline restano a casa» e «Veronica Lario: la nostra Obama»

( da "Corriere della Sera" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: neppure Obama. Trattandosi di ricchi e famosi, naturalmente, nessuno crede e nessuno crederà che i due protagonisti di questa storia soffrano, almeno un po' e ciascuno in proporzione alla vita che si è scelto: Silvio Berlusconi potrà, in questo momento, consolarsi con l'ammirazione che milioni di italiani, il 76% della popolazione sondata (

E Obama invita a Washington i leader di Kabul e Islamabad ( da "Corriere della Sera" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 9 Il vertice mercoledì E Obama invita a Washington i leader di Kabul e Islamabad WASHINGTON Barack Obama riceverà mercoledì per un mini-vertice i presidenti di Afghanistan e Pakistan, Hamid Karzai e Asif Ali Zardari. Per Obama, che ha scelto di concentrare sull'area afghano-pachistana gran parte degli sforzi che Bush dedicava all'Iraq,

Franceschini: Italia a rischio Turkmenistan Il premier ha un solo scopo, prendersi tutto ( da "Corriere della Sera" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Se McCain avesse affrontato Obama avendo il controllo delle tv e di una parte crescente dell'apparato finanziario e produttivo o cento volte in più di fondi per le campagne elettorali, avrebbe forse perso? Il problema non è solo la tv. In Italia si stanno assuefacendo anche i mondi che contano.>La Regione: 100 milioni per l'energia pulita ( da "Corriere della Sera" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama? «La similitudine ci sta, ma l'ordine dei fattori va invertito. Se è vero come è vero che da anni la regione Lombardia investe sulle energie rinnovabili». Così ieri sera si commentava al Pirellone la decisione del presidente della Regione di stanziare 100 milioni di euro per incentivare famiglie e aziende a investire nel risparmio energetico e nelle fonti energetiche rinnovabili.

Fidel Castro sgrida Obama: ( da "Corriere della Sera" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 17 Cuba e il terrorismo Fidel Castro sgrida Obama: «Si vergogni» L'AVANA Fidel Castro «sgrida» Obama: il presidente statunitense, sostiene il líder maximo, dovrebbe «vergognarsi» di tenere Cuba nella lista nera dei Paesi considerati terroristi dopo i «50 anni terrorismo» orchestrati proprio da Washington contro l'isola comunista.

Europee, un "pirata digitale" italiano a Strasburgo ( da "Stampaweb, La" del 04-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: può rivelarsi uno strumento vincente, come ha dimostrato anche Barack Obama...». Insomma, Bottoni ci spera. Ma che ci fa un "hacktivist" in un?aula parlamentare? «Proprio come un hacker mi voglio "infiltrare" nel sistema per raccontare quel che succede sui temi che ci stanno a cuore e far viaggiare le informazioni.


Articoli

Il virus è arrivato in Asia A Hong Kong 300 ricoveri (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

658 Il virus è arrivato in Asia A Hong Kong 300 ricoveri Ammalati nel mondo Un malato accertato in Corea del Sud L'allarme di Obama «Rischio pandemia» [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Barack Obama lancia l'allarme sul rischio di una pandemia di febbre suina. A Hong Kong le autorità cinesi mettono in quarantena un intero albergo e suoi 300 ospiti per il rischio di un'infezione di massa, mentre Seul conferma il primo caso. Il presidente americano utilizza il consueto discorso radio-web del sabato per mantenere alta la guardia contro il nuovo virus N1H1 perché a differenza delle altre forme di influenza animale, questa si sta diffondendo da uomo a uomo. «Ciò crea le condizioni per una pandemia, ecco perché stiamo agendo in modo rapido e aggressivo». Obama, che ha raccomandato alle scuole e agli asili nido di chiudere per due settimane in presenza di casi accertati, precisa che gli Usa dispongono di 50 milioni di dosi di antivirale, mentre il governo ha chiesto al Congresso di stanziare 1,5 miliardi di dollari per acquistare altri farmaci. Del resto l'America del Nord rimane la zona maggiormente colpita visto che l'epicentro dell'epidemia è nel vicino Messico. Negli Usa sono aumentati da 109 a 141 i casi accertati e sono coinvolti 19 Stati «coast-to-coast», spiega il Center for Desease Control, anche se l'unica vittima rimane il bimbo messicano di 23 mesi trasportato negli Usa per ragioni mediche e morto alcuni giorni fa. Tuttavia il Paese è in preda a una vera e propria sindrome da contagio e le autorità corrono ai ripari per tranquillizzare i cittadini: sono state chiuse 400 scuole in 17 Stati, le compagnie aree hanno deciso di ridurre sino al 50% i voli verso il Messico, mentre un aereo della United che dalla Germania doveva andare a Washington è stato fatto atterrare a Boston perché una passeggera ha accusato sintomi simili a quelli della nuova influenza. Stessa sorte è toccata a un altro uomo fatto scendere a Philadelphia da un volo che da Montego Bay, Jamaica, si stava dirigendo in North Carolina. A New York è stata posticipato il festival del Cinco de Mayo che ogni anno si svolge nel Queens per celebrare la vittoria messicana sui francesi nella battaglia di Puebla del 1862. In Canada sono 51 i casi accertati mentre ben più pesante è il bilancio del Messico: 16 morti e 440 casi sicuri, per la maggioranza si tratta di donne, mentre è diminuito da 176 a 101 il numero di decessi sospetti. L'Organizzazione mondiale della sanità, lancia un nuovo allarme, l'emergenza sieropositivi, considerati assai più vulnerabili. Meno pesante è il bilancio negli altri continenti: non ci sono prove di una «massiccia diffusione della nuova influenza al di fuori del Nord America», avverte l'organizzazione anche se non è chiaro «a quale punto sia la pandemia» dice l'Oms secondo cui sarà determinante l'evoluzione della situazione «in Europa». Il numero globale degli ammalati è di 658, 17 i morti. In Spagna ci sono 13 casi accertati, due in Francia, uno in Irlanda e tredici in Gran Bretagna tra cui un uomo che non si è recato in Messico ma avrebbe contratto il virus nel corso di un incontro di lavoro con una collega da poco tornata dal Paese ma che a sua volta non è risultata positiva ai test. Nel resto del mondo un caso è stato accertato in Corea del Sud, tre in Israele mentre centinaia sono quelli sospetti in altri Paesi. A Hong Kong oltre 300 persone sono state sottoposte a quarantena in un grande albergo del distretto di Wanchai, dove un cliente, un giovane di 25 anni arrivato dal Messico via Shanghai, è risultato positivo al test del virus dell'influenza da suini. Nel frattempo l'Egitto ha dato il via all'eliminazione di 300 mila maiali, mentre Usa, Messico e Canada hanno rivolto un appello comune perché l'epidemia non sia usata come pretesto per bloccare il commercio di alcuni prodotti, come la carne suina.

Torna all'inizio


"Così creiamo l'auto che piace a Obama" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Personaggio Rinaldo Rinolfi "Così creiamo l'auto che piace a Obama" I piani segreti del "papà" di Common rail e Multiair PIERO BIANCO C'è una tradizione di genio innovativo che tedeschi e giapponesi ci invidiano TORINO Rinaldo Rinolfi Quando sviluppammo il common rail a fine Anni 80, mi chiesi quale nuova rivoluzione potesse affrontare con realismo il mondo dell'auto. Ed ecco altre soluzioni epocali, come quest'ultima magia che si chiama Multiair». Rinaldo Rinolfi ha i capelli bianchi, una laurea in chimica e l'ingegneria dei motori nel sangue. Responsabile «Ricerca & Tecnologia» della Fiat Powertrain diretta da Alfredo Altavilla (il ministro degli esteri di Marchionne), è il papà dei propulsori che hanno cambiato e cambieranno il mondo. Schivo, pragmatico e poco incline alla vetrina mediatica, Rinolfi ha confezionato anche l'ultima innovativa arma tecnologica con cui il Lingotto è partito alla conquista dell'America. Guidava il team che al Centro Ricerche (con Elasis e Magneti Marelli) s'inventò il diesel a iniezione diretta portando il gasolio allo storico sorpasso sulla benzina. «Lo stesso nucleo di 50-60 specialisti - racconta - ha realizzato il Multiair, che si basa sul controllo elettronico delle valvole per l'alimentazione a benzina. Una rivoluzione vera, come fu il common rail». È questo il motore che Chrysler attende per proporre vetture finalmente eco-compatibili. Compatto e potente, figlio del concetto di downsizing (riduzione di pesi, consumi, emissioni), debutterà in autunno sull'Alfa MiTo ed evolverà in una famiglia anche per modelli medio-grandi, senza perdere le caratteristiche che lo rendono unico: incremento del 10% di potenza e del 15% di coppia, consumi ridotti dal 10 al 25% (in versione turbo), emissioni abbattute di idrocarburi nocivi e monossido di carbonio (fino al 40%) e di ossidi d'azoto (60%). Perché tutte queste meraviglie sono nate proprio a Torino? «C'è una tradizione italiana di genio creativo - sorride Rinolfi - fin dai tempi di Meucci e Marconi. Tedeschi e giapponesi sono precisi e razionali, ma invidiano il nostro estro. Il segreto? Estrarre dalla routine concetti innovativi, lo facciamo sotto l'impulso degli ingegneri italiani. Proprio il successo del common rail ci ha fatto acquisire sicurezza e metodologia operativa, ci ha dato la spinta per gli studi successivi, compresi quelli legati al metano. Il bicilindrico Multiair in arrivo è ideale per le auto moderne, compatto, ecologico e potente. Introdurremo la stessa filosofia anche sui diesel». Avviatissimo inoltre il progetto dell'ibrido (Multiair più motore elettrico), soluzione che dovrebbe adottare per prima la 500. Forse già nel 2012. Fiat Powertrain Technologies lavora in simbiosi con il Centro Ricerche di Orbassano, un altro dei poli di eccellenza che hanno sedotto Obama. È il regno delle nanotecnologie, degli studi su ibrido e idrogeno, di modelli avveniristici come la Phylla che si nutre anche di celle solari. «La nostra missione è la ricerca nel campo dei motori, dei materiali e del loro trattamento - dice il responsabile Nevio di Giusto -. Il punto di forza è poter innovare su prodotti di piccole dimensioni, anche in termini di costi per vetture compatte. Siamo bravi a "fare rete", primi nello sviluppo dei progetti europei perché veloci e aggiornati. Abbiamo le antenne aperte sul mondo e velocità decisiva nel time to market». Non meno importante, la seduzione delle forme. Lorenzo Ramaciotti guida il Centro Stile nell'Officina 83 di Mirafiori: «L'accoglienza riservata alla 500 in Usa - dice - dimostra che abbiamo nel Dna la capacità di trasformare anche una scatoletta, una vettura popolare a larga diffusione, in oggetto di desiderio che comunica emozioni forti in ogni Paese».

Torna all'inizio


Vendola: "Vi prego di vincere per i diritti umani e il lavoro" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

INCONTRO.PER VEDOVATO CON «SINISTRA E LIBERTA'» Vendola: "Vi prego di vincere per i diritti umani e il lavoro" «Il Primo Maggio di Parigi è la cura contro la tendenza a deprimerci» [FIRMA]MARIA PAOLA ARBEIA NOVARA Nichi Vendola, presidente della Puglia e eurocandidato, fa tappa a Novara per la campagna elettorale: «E parto subito con una nota positiva». Invita i sostenitori di «Sinistra e Libertà» - che a loro volta appoggiano Vedovato presidente della Provincia, di nuovo in corsa - a seguire la cura francese «contro la tendenza della sinistra alla psicanalisi con tendenze depressive». Primo applauso. «Pensate a Parigi e al milione e mezzo di cittadini in corteo il Primo Maggio. C'è aria di Maggio Francese anche altrove». Lavoro, diritti e vera libertà i temi, all'Albergo Parmigiano, sala affollata: «Di recente sono stato a Marcinelle dove morirono in miniera anche 22 pugliesi. Lì i lavoratori erano numeri. Ho incontrato un signore di 98 anni, era il numero 709 e mi ha fatto da guida. Una grande lezione. Anche oggi rischiamo di avere "numeri" invece di lavoratori con nome e diritti». Su Usa e Europa: «Obama ha chiesto a Sarkozy di non chiudere sull'allargamento dell'Unione Europea. Il presidente francese invece ha parlato come un Borghezio, un leghista qualunque. Non ha colto la lungimiranza e la vera sfida. Soltanto un grande continente moderno, che gestisce i flussi e non ghettizza, può vincere i fondamentalismi. Sarkozy e altri non lo capiscono. Così l'Europa rischia sempre più di sembrare una fortezza assediata. Obama negli Usa ha cambiato marcia e "europeizza" nel senso migliore su diritti umani, scuola e sanità pubblica». L'Italia: «Vedete in quale oblio siamo precipitati». Arriverà l'accenno a Veline e Berlusconi. Tornando ai temi: primo, difendere i diritti umani e sociali, secondo non cedere all'oblio. Vendola: «Siamo di fronte a progressive violazioni dei diritti umani anche qui. L'asticella si alza un poco ogni giorno. E' pericoloso». Attenzione pure a «una certa cultura leghista che si diffonde pure nel centrosinistra». Dà la carica a Vedovato, saluta Nicola Fonzo, Ilaria Sorrentino, gli altri novaresi impegnati a vario titolo in campagna elettorale. Rileva con ironia «il tenore gastronomico» del messaggio della paniscia di Vedovato ma vuole parlare di ben altro per la sua «Sinistra e Libertà». Lavoro, diritti, gli Usa di Obama che cercano il futuro nella lezione di un'Europa che fu coraggiosa dopo la Seconda Guerra, «un'Europa con radici nella filosofia greca e nel nostro Mare, culla di grandi religioni e culture. Anche per tutto questo vi chiedo, vi prego di vincere a Novara».

Torna all'inizio


e domani per marchionne la missione impossibile - eugenio scalfari (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina E DOMANI PER MARCHIONNE LA MISSIONE IMPOSSIBILE EUGENIO SCALFARI Quando il 30 aprile è arrivato l´annuncio dalla viva voce di Barack Obama che l´operazione Fiat-Chrysler era stata definitivamente decisa, mi è venuto in mente Gianni Agnelli. Come avrebbe reagito l´Avvocato di fronte a quella scelta? Di fronte all´internazionalizzazione della sua Fiat? Perché di questo in sostanza si tratta e non di Torino che conquista Detroit, come molti semplicisticamente hanno pensato. Di fronte alla crisi di domanda che ha investito l´industria automobilistica mondiale il numero dei protagonisti dovrà necessariamente diminuire; pochi campioni resteranno in campo, i punti di forza saranno quelli dell´innovazione tecnologica e delle economie di scala, la nazionalità cederà il posto alla multinazionalità, la competizione avrà come campo di gara l´intero pianeta. Ho conosciuto Gianni Agnelli nel 1963, quarantasei anni fa. Lui allora era alla guida della Riv, la società produttrice dei cuscinetti a sfera lasciatagli in eredità dal nonno, e capo riconosciuto della famiglia che controllava la Fiat con il 35 per cento delle azioni ordinarie. Ma alla testa della compagnia automobilistica c´era Vittorio Valletta e il vero capo era lui. Poi la situazione cambiò: nel ´67 Valletta lasciò l´incarico e Gianni Agnelli prese il posto che gli spettava. Immaginare la sua reazione ai fatti di oggi può essere utile per capire la strategia di suo nipote, John Elkann. SEGUE A PAGINA 25

Torna all'inizio


il regime teme le interferenze dall'esterno - renzo guolo (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 15 - Esteri Il regime teme le interferenze dall´esterno RENZO GUOLO (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) E così a metterle il cappio al collo è stato proprio il figlio della vittima. Un rituale non inconsueto in un Paese retto dalla sharia, la legge di origine religiosa, secondo cui un omicidio può essere lavato dal diyeh, il prezzo del sangue: un indennizzo che si offre ai parenti della vittima perché concedano il perdono. Norma formalmente coerente con una concezione del mondo fondata sull´asse ordinativo din-dunya-dawla: religione, società, politica. Gerarchia che, in questi casi, impone allo Stato di rinunciare al monopolio della violenza a favore della famiglia. Il rinvio dell´esecuzione, annunciato dal potente capo dell´apparato giudiziario ayatollah Mahmud Hashemi Shahroudi, aveva fatto sperare. Ma, appunto, di rinvio e non di annullamento si trattava: in attesa delle decisioni della famiglia della vittima, divisa sul da farsi. La decisione è arrivata secondo copione. Delara e la vittima erano parenti e la violazione del legame familiare è molto difficile da accettare in società solistiche come quelle islamiche. Inoltre la famiglia offesa era benestante e il denaro non poteva influire più che tanto. A momento dell´omicidio Delara aveva diciassette anni, età che non consente di sfuggire alla forca. Sebbene l´Iran abbia aderito, al tempo dello Shah, a una Convenzione internazionale che impegna a non applicare la pena di morte ai condannati che, al momento del reato, non abbiano raggiunto la maggiore età, è quest´ultima ad aver subito, dopo l´instaurazione della Repubblica Islamica, un drastico abbassamento. Per le ragazze la maggiore età si raggiunge a nove anni, l´età in cui è possibile stipulare un contratto matrimoniale, mentre per i ragazzi a quindici. Nel regno degli ayatollah bambini sono solo quelli che non hanno raggiunto la pubertà legale. Gli altri sono punibili penalmente. Questo significa che, secondo gli hudud, le pene imposte dalla sharia, una bambina di 9 anni può teoricamente essere punita come un adulto: fustigata, giustiziata, perfino lapidata. Sull´esecuzione della condanna hanno inciso anche valutazioni politiche. Quello di Delara era diventato un caso internazionale e i duri e puri del regime non amano le interferenze esterne. Delara non era Roxana Saberi, la giornalista americana di origini iraniane accusata di spionaggio e condannata a otto anni, per la quale si è mobilitata la diplomazia americana e Ahmadinejad ha chiesto sia garantito il diritto alla difesa. "Invito" subito recepito da Hashemi-Shahroudi, che ha ordinato un rapido processo d´appello. Mostrare "cedevolezza" due volte sarebbe parso inconcepibile al regime. Tanto più in una situazione in cui l´irrigidimento interno pare la contropartita per andare a vedere le carte di Obama sul nucleare.

Torna all'inizio


berlusconi: "nuove case a settembre all'aquila ospedale aperto a maggio" - gianluca luzi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Interni Berlusconi: "Nuove case a settembre all´Aquila ospedale aperto a maggio" Fischi e applausi per il premier. Lite con Franceschini sui sondaggi Il leader Pd: "Senza sondaggi non prende sonno". Il presidente del Consiglio: "Dormo benissimo". E annuncia: negli Usa a giugno GIANLUCA LUZI ROMA - Berlusconi vuole togliersi di dosso al più presto l´immagine della lite coniugale, del party nella discoteca di Casoria e delle veline candidate alle europee e poi tolte in extremis. «Noi pensiamo a lavorare» è la parola d´ordine che lo ha accompagnato il Primo maggio a Napoli e poi a L´Aquila. Ma ieri i giornali non sono usciti, quindi serviva un "supplemento mediatico" ed ecco confezionata una conferenza stampa di sabato sera alle sette: mai accaduto prima. Soprattutto per annunciare - accanto a Bertolaso - che «il 10 settembre inizieremo a consegnare le case. Daremo a 13 mila persone appartamenti completamente funzionanti e arredati». Una «mission impossible» ma «io speriamo che me la cavo». Berlusconi è preoccupato perché la gente non vuole rientrare nelle case dichiarate agibili, il 53,7 per cento. «Lo comprendo, ci sono ancora scosse e c´è una ragionevole paura. Ci vorrebbe una settimana senza scosse». Però c´è «una buona notizia: abbiamo verificato che potremo riaprire entro fine maggio l´ospedale dell´Aquila» che potrà funzionare tra il 60 e il 70%. Le apparecchiature per la Tac saranno spostate negli ospedali più vicini e «l´ospedale del G8 sarà portato all´Aquila dalla Maddalena». Infine il conto delle chiese danneggiate. «Sono 300 quelle inagibili». Arrivato a Palazzo Chigi Berlusconi è sceso dalla macchina davanti all´ingresso per concedersi un bagno di folla. Applausi, foto, una ragazza si è precipitata a stringergli la mano. Ma, inaspettatamente, anche qualche fischio sonoro e un paio di «buffone buffone», urlato da un contestatore particolarmente arrabbiato. Il guaio è che la contestazione, per quanto piccola, si è ripetuta per il secondo giorno di fila: l´altro ieri, infatti, davanti al teatro San Carlo è stato accolto oltre che dagli applausi anche da una salva di fischi. «Continuiamo a lavorare nonostante impazzino i fischiatori organizzati. Sono sempre i soliti 10-12 professionisti», ha liquidato il problema il presidente del consiglio, ma evidentemente quella sottile crepa nel consenso popolare è qualcosa che gli dà fastidio e rende un po´ stonati i sondaggi che ha sbandierato anche il Primo maggio a Napoli: «Io sono al 75 per cento, Obama solo al 59. Sono il leader più amato del mondo». Salvo poi correggersi qualche ora dopo a L´Aquila dicendo che «scherzava». Certo, vantarsi di un distacco così abissale dal presidente degli Stati Uniti, da cui Berlusconi attende ancora un invito («forse ci vedremo a metà giugno», ha buttato lì Berlusconi a Napoli) non aiuta la diplomazia. Ma si sa che il premier usa i sondaggi come un barometro quotidiano. Per questo lo critica Franceschini: «Berlusconi se non ha un sondaggio sulla popolarità che alla sera gli dice che è salito di un punto, non si addormenta bene». E Berlusconi gli risponde: «Siccome questo punto in più c´è sempre, io dormo benissimo». Ma anche Di Pietro e Casini non hanno risparmiato attacchi al Cavaliere. Per il leader dell´Udc vuole diventare imperatore. E lui ironizza: «Il vantaggio c´è sempre... quindi, se non fosse così, come potrei affrontare quell´attacco alla democrazia che sto conducendo secondo Di Pietro e arrivare ad essere un imperatore degli italiani e dell´Italia come dice Casini».

Torna all'inizio


e l'italia scivolò tra i paesi "semi-liberi" - giovanni valentini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 7 - Interni Libertà di stampa, ricerca di Freedom House: eccessiva concentrazione della proprietà dei media nelle mani del presidente del Consiglio E l´Italia scivolò tra i paesi "semi-liberi" GIOVANNI VALENTINI C´è un rapporto inversamente proporzionale fra la popolarità di Silvio Berlusconi e la libertà d´informazione nel nostro Paese. E non dev´essere una coincidenza del tutto occasionale. Mentre il premier-tycoon rivendica pubblicamente - ultimi sondaggi alla mano - di aver raggiunto (per ora) il 75,1 per cento dei consensi e di aver superato così anche il presidente americano "bello e abbronzato", Barack Obama, proprio dagli Stati Uniti arriva la notizia che l´Italia viene declassata per la prima volta da Paese "libero" (free) a "parzialmente libero" (partly free). Siamo l´unico caso nell´Europa occidentale, preceduti di una sola posizione dalla Grecia che però mantiene la valutazione "free". Né può confortare la constatazione di ritrovarci allineati, in questa assai poco edificante classifica, alla Turchia. A dirlo, non sono però i soliti giornali di sinistra che riescono a ingannare nell´intimità familiare perfino la signora Veronica Lario in Berlusconi. Per ironia del destino, il giudizio sul governo del Popolo della libertà reca l´imprimatur di "Freedom House", la Casa della Libertà, l´organizzazione autonoma americana che esamina dal 1980, cioè da prima della fatidica "discesa in campo", lo stato dell´informazione in 195 Paesi di tutto il mondo. Si tratta, dunque, di una retrocessione su scala planetaria che relega l´Italia al settantatreesimo posto, dopo Benin e Israele. Qual è esattamente la motivazione? Ecco il testo dell´inappellabile sentenza: "Nonostante l´Europa occidentale goda a tutt´oggi della più ampia libertà di stampa, l´Italia è stata retrocessa nella categoria dei Paesi parzialmente liberi, dal momento che la libertà di parola è stata limitata da nuove leggi, dai tribunali, dalle crescenti intimidazioni subite dai giornalisti da parte della criminalità organizzata e dei gruppi di estrema destra, e a causa dell´eccessiva concentrazione della proprietà dei media". Sono più o meno gli stessi argomenti che fanno scandalo quando li pronuncia Sabina Guzzanti dal palcoscenico, nel suo provocatorio spettacolo di satira e denuncia politica intitolato "Vilipendio". A conferma poi del fatto che questa non è una mania nostrana né tantomeno un´ossessione, il verdetto di "Freedom House" cita esplicitamente la "concentrazione della proprietà dei media" e quindi la mai abbastanza vituperata legge Gasparri con cui il precedente governo Berlusconi introdusse norme che - secondo l´organizzazione autonoma americana - favoriscono l´azienda televisiva del medesimo Berlusconi. La conclusione, già ampiamente nota ai lettori di questo giornale, è che il nostro presidente del Consiglio possiede Mediaset e, attraverso il governo, controlla anche la Rai. Per completezza dell´informazione, dobbiamo aggiungere che su un universo di 195 Paesi solo 70 sono classificati "free", pari a poco più di un terzo; 61 sono "parzialmente liberi", come noi; e 64 "non liberi". La situazione è particolarmente peggiorata, oltre che in Italia, nell´Est asiatico, a cominciare dalla Cambogia. Mentre nell´Europa occidentale, a giudizio di "Freedom House", i Paesi più liberi risultano - nell´ordine - l´Islanda al primo posto, poi al secondo la Finlandia e la Norvegia, seguiti da Danimarca e Svezia. In attesa ora che la crescente popolarità di Berlusconi conquisti anche il residuo 24,9 per cento dei consensi, converrà magari programmare un viaggio verso Nord, ai confini della realtà, per verificare in loco le condizioni effettive della libertà di stampa. Chi vuole, eventualmente, può staccare il biglietto di ritorno anche dopo.

Torna all'inizio


virus, in toscana il primo caso "si diffonderà fino all'estate" - marina cavallieri (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 2 - Cronaca Virus, in Toscana il primo caso "Si diffonderà fino all´estate" Già guarito, altri 13 sotto osservazione. Berlusconi: niente panico Già guarito, altri 13 sotto osservazione. Berlusconi: niente panico Timori a Malpensa per una hostess arrivata da Cancun, ma le analisi danno esito negativo MARINA CAVALLIERI ROMA - «Era un episodio atteso, era inesorabilmente probabile che anche in Italia ci sarebbero stati dei casi». Il ministro Sacconi annuncia ufficialmente il primo caso in Italia di influenza H1N1, chiamata, ormai a torto, "febbre suina". Per farlo sceglie una conferenza stampa, organizzata però più «per fare il punto» che per allarmare, più per «illustrare la rete dei controlli, molto efficace» che per mettere in guardia contro una catastrofe. Il "paziente zero" è un cinquantenne di Massa Carrara, tornato dal Messico, che si è scoperto infettato dal virus globale. Il signor B. M. aveva mal di gola, tosse, una febbre leggera, mai più di 37,2. Una serie di sintomi blandi. Ricoverato lunedì scorso, è già guarito. Questo però è stato il primo caso accertato sui 21 sospetti, di cui 13 ancora sotto osservazione. «Con la globalizzazione è inevitabile che il virus si diffonda ma in questo momento non siamo preoccupati per la salute dei cittadini italiani», dice Sacconi con ragionevole ottimismo. L´influenza messicana ha raccolto intorno al ministro lo Stato maggiore della Sanità: il sottosegretario Ferruccio Fazio, il direttore dell´Aifa, l´agenzia del farmaco, Guido Rasi e Antonio Cassone, direttore del dipartimento Malattie infettive dell´Iss. Tutti vogliono rassicurare. «Ora si registrerà una progressiva diffusione del virus fino all´estate e il numero dei contagi è destinato a crescere», spiega il sottosegretario Fazio. «L´obiettivo sarà tenere i contagi sotto controllo fino a quando l´ondata diminuirà e ci lascerà il tempo di organizzarci per la seconda fase». Solo allora il pericolo potrebbe aumentare. «I rischi nascono da due cose - dice Fazio - una mutazione del virus e la possibilità che si mescoli all´influenza stagionale, se arrivasse una seconda ondata avrebbe un grosso impatto anche dal punto di vista economico». Ma se il virus non è pericoloso perché i morti in Messico? «Una possibilità, ma è solo un´ipotesi, è che il virus abbia ridotto la sua aggressività nel passaggio da animale ad uomo e poi da uomo a uomo». Una seconda ipotesi è la possibilità di «una co-circolazione di virus che si sarebbe verificata in Messico: l´influenza stagionale insieme alla "febbre suina". Questo ci preoccuperebbe». Comunque è già pronto un programma per lo stadio di massima allerta: «In caso di necessità, l´Agenzia italiana del farmaco potrà prevedere procedure speciali per l´immissione rapida in commercio dei lotti di farmaci antivirali», ha detto Guido Rasi. Tra le misure prese ci sono anche canali sanitari differenziati per chi arriva in aereo dal Messico. Dunque, «situazione sotto controllo». Lo ha detto lo stesso presidente del Consiglio Berlusconi che ieri ha voluto rassicurare: «Niente panico». Rassicurazioni istituzionali e per il ministro Sacconi anche una piccola rivincita. «Ho ascoltato la dichiarazione del presidente Obama che si è detto al sicuro avendo 50 milioni di scorte di antivirali, noi ne abbiamo 40 milioni e l´Italia non è gli Stati Uniti, questo tanto per rispondere a chi ha detto che non avremmo scorte sufficienti». Ma se le polemiche sono inutili, i controlli no. Un equipaggio arrivato da Cancun è sotto osservazione, si era temuto per una hostess ma poi i test hanno dato esito negativo. Per tutti gli altri non resta che attendere.

Torna all'inizio


l'oms: non sappiamo quanto sia grave l'epidemia (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 3 - Cronaca Obama: stiamo rispondendo in maniera aggressiva. Calciatore messicano sputa all´ avversario: "Prenditi la febbre" L´Oms: non sappiamo quanto sia grave l´epidemia ROMA - Secondo L´Organizzazione mondiale per la sanità bisognerà attendere i prossimi giorni per valutare la diffusione del virus dell´influenza A. La pandemia è data come ancora probabile, ma «non c´è una massiccia diffusione del virus A/H1N1 al di fuori del Nordamerica». In tutto, sempre in base ai dati ufficiali Oms, nel mondo i morti sono 17 e i casi accertati 615, dei quali 397 nel solo Messico. Da Città del Messico, però, il ministero della Salute afferma che la situazione sta migliorando e che si è entrati in «una fase di stabilizzazione» del contagio. Che la paura ci sia, però, lo dimostra anche una curiosità come quella del calciatore Hector Reynoso, capitano della formazione messicana del Chivas. In un diverbio di gioco, Reynoso ha sputato su un avversario e gli ha detto: «Prenditi la febbre suina». Dell´influenza A ha parlato nel suo messaggio del sabato il presidente degli Stati Uniti, dopo che erano stati confermati 160 casi sparsi in 21 stati. Barack Obama ha detto che «ci sono le condizioni per una pandemia» e per questo il governo sta «agendo rapidamente ed aggressivamente». Cresce intanto la polemica sulle misure prese dalle autorità cinesi ad Hong Kong, dove l´ospite di un hotel, proveniente dal Messico, è risultato affetto dal virus. Le autorità hanno sigillato l´edificio e trattenuto gli ospiti in quarantena: «Abbiamo avuto troppi problemi con l´aviaria, non possiamo rischiare».

Torna all'inizio


Primo contagiato in Italia (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

L'epidemia ha raggiunto anche l'Asia. Obama alla radio: rischio di pandemia, dobbiamo tenere alta la guardia Primo contagiato in Italia Febbre suina, un caso in Toscana: è già guarito. Tornava dal Messico L'influenza suina è arrivata in Italia ma l'uomo su cui è stata riscontrata è già guarito. Il direttore generale della Asl 1 di Massa, Antonio Delvino, ha confermato: «Il paziente non presenta più nessuna sintomatologia. Dopo due giorni non aveva già più febbre, che ha toccato 37,3 °C». L'epidemia ha raggiunto anche l'Asia. Obama alla radio: rischio di pandemia, dobbiamo tenere alta la guardia. DA PAG. 2 A PAG. 5

Torna all'inizio


Sneakers da 540 dollari insidiano il mito Michelle (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

il caso Clamoroso scivolone di look della First Lady LA CRITICA Le più care Sneakers da 540 dollari insidiano il mito Michelle Le ha calzate a un pranzo per clochard. Irritata mezza America FRANCESCO SEMPRINI Errore strategico Le scarpe dello scandalo «La smania per le calzature da ricchi rivela il vero volto della moglie del Presidente» Lo stilista e il rapper per l'ultimo modello NEW YORK Oops, Michelle! «Questo non ce lo saremmo aspettato proprio da te, specie in tempi di recessione e per giunta in un'occasione del genere». Così la maggioranza degli americani commenta la scelta della First Lady di indossare un paio di scarpe da ginnastica del valore di 540 dollari per partecipare a un evento benefico. «Una gaffe» secondo alcuni, mentre per altri, meno simpatizzanti, questi primi cento giorni di governo sono serviti a svelare la vera identità della signora Obama. Michelle del resto ha costruito la propria popolarità in patria e all'estero grazie a carattere, bellezza e semplicità. Il suo guardaroba, oltre a capi di valore destinati alle occasioni importanti, dove eleganza e fasto sono l'imperativo categorico, ha un'ampia serie di vestiti «prêt-à-porter» sobri e divertenti, realizzati da stilisti popolari. E' il caso di J. Crew, una delle catene più famose d'America, dove milioni di uomini e donne della classe media si riforniscono d'abitudine a prezzi tutto sommato ragionevoli. Di J. Crew erano il cardigan bianco a rombi gialli e il Caprì grigio, il pantalone lungo sino al polpaccio, indossati durante la manifestazione della «Banca del cibo» a Washington. E' un evento che si ripete ogni anno per ricordare che nel XXI secolo la piaga della fame rimane un flagello planetario e per stimolare lo spirito di solidarietà degli americani verso i concittadini meno fortunati. In un'occasione come questa, dove dai grandi capannoni allestiti dal comitato «Feeding America» (Sfama l'America) vengono sfornati piatti caldi destinati a senza tetto, poveri e bisognosi, la frugalità di Michelle calzava a pennello, non fosse stato per quella stonatura ai piedi, quelle scarpe che a prima vista ricordano le All Star, storiche calzature da basket stile Anni 50. Ma a differenza delle Converse, che tutti o quasi hanno indossato almeno una volta nella vita, le scarpe di Michelle sul cartellino hanno uno zero in più. Ovviamente a destra. Si tratta infatti di un paio di «sneaker» (nome americano delle scarpe da ginnastica) dello stilista francese Lanvin, in pelle scamosciata grigio chiaro, lacci in seta lavorata e punta rinforzata con pelle rosa metallizzato. Il prezzo? Circa 540 dollari, a seconda che si acquistino in boutique o su Internet perché, data la grande richiesta e il numero limitato, le scorte finiscono velocemente e l'articolo viene contrattato sul mercato secondario, come avviene per le auto o titoli finanziari. Del resto si tratta di scarpe di valore, quasi un investimento, visto che, a serie finita, si offrono a prezzi maggiorati su eBay o altri siti. Così come a venderle non sono i normali negozi di sport o di moda, ma boutique o grandi magazzini esclusivi, come Barneys New York o Jeffrey, la boutique trendy del MeatPacking district di Manhattan, l'ex zona dei mattatoi che da anni detta le tendenze della «nightlife». Tra i fan delle Lanvin ci sono la conduttrice Ellen Degeneres e il rapper Kany West, oltre a facoltosi professionisti che le indossano abbinate a giacche sportive e jeans «vintage» in linea con il casual chic stagionale. Nel caso della First Lady, l'acquisto è avvenuto, secondo indiscrezioni, da Ikram, un negozio di Chicago di proprietà di Ikram Goldman, per un certo periodo consulente di moda di Michelle. Del resto la passione per le calzature della signora Obama è nota, come si era capito il giorno dell'insediamento quando indossava le «Glacier» targate Jimmy Choo, o lo stivale dello stesso marchio usato per l'inaugurazione dell'orto della Casa Bianca. «Sono scarpe», risponde Michelle dopo aver notato l'attenzione dei cronisti per i piedi. «Mi sveglio alle 5,15 per portare fuori il cane. Ecco come iniziano le mie giornate»: così spiega il suo bisogno di scarpe comode per le sue lunghe giornate. Certo è che l'occasione richiedeva maggiore sobrietà, secondo il 59 per cento degli americani sentiti in un sondaggio del «Daily News». Mentre Noelle Watters, anchor della tv filo-repubblicana Fox News, non perde occasione per un affondo: «La scelta non è in linea con la recessione». Del resto prima di Michelle erano stati i gioielli di Cindy McCain e lo shopping pre-convention di Sarah Palin a destare scalpore. «Solo una gaffe», dicono i simpatizzanti della First Lady, ma i suoi critici non intendono soprassedere: «La scarpa da ricco, il discutibile look scelto per il G-20 di Londra e il saluto fuori protocollo alla regina d'Inghilterra, hanno rivelato il vero volto di Michelle». Queste sneakers sono più care di quelle indossate da Michelle e saranno disponibili da giugno prossimo. Le ha firmate Louis Vuitton, che per l'occasione si è avvalso dei suggerimenti del famoso rapper americano Kanye West (foto). Otto i modelli a disposizione, che vanno da 600 euro fino a toccare gli 800 per il modello a stivaletto con velcro e senza lacci. Le signore le stanno già prenotando. Le sneakers grigie con la punta rosa argento che la First Lady calzava per servire al pranzo di beneficenza «Sfama l'America». Perfette per l'occasione, insieme al semplice cardigan a rombi gialli e ai pantaloni grigi «Capri» lunghi fino al polpaccio che Michelle Obama aveva scelto di indossare. Queste scarpe da ginnastica però sono di grande marca e di grandissimo costo: inappropriate al momento di crisi

Torna all'inizio


obama, un'altra donna alla corte suprema - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 18 - Esteri Obama, un´altra donna alla Corte suprema Si dimette un giudice nominato da Bush. Un´ispanica tra le favorite per la nomina La maggioranza conservatrice non è a rischio, ma i repubblicani sono pronti allo scontro ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - Che nel corso del suo mandato Obama potesse nominare uno o più giudici della Corte Suprema era prevedibile, ma nessuno si attendeva che accadesse così presto. Le dimissioni a sorpresa di David H. Souter aprono un nuovo scenario e offrono al presidente la possibilità di incidere subito sul più alto tribunale degli Stati Uniti. Probabilmente scegliendo una donna. Souter è un giudice di nomina repubblicana (lo aveva scelto Bush padre nel 1990) ma aveva ben presto deluso il Grand Old Party schierandosi sui temi più importanti (come l´aborto) con l´ala liberal della Corte. Una scelta di campo che nel dicembre 2000 lo portò a votare (in minoranza) contro la sentenza che assegnò la Casa Bianca a George W. Bush. Uno sgarbo, fatto al figlio di chi lo aveva nominato, che i conservatori non gli hanno mai perdonato. A 69 anni, con una carica che è a vita, Souter sembrava il meno indicato a farsi da parte. Si era ipotizzato un possibile ritiro di John Paul Stevens, il decano dei Supreme Justices liberal (ha 89 anni) o quello di Ruth Bader Ginsburg, l´unica donna della Corte Suprema, 76 anni e malata di cancro. Souter ha giocato d´anticipo. Nei circoli di Washington la sua insofferenza per la vita nella capitale era nota, agli amici aveva confessato l´autunno scorso che «se Obama vincerà sarò il primo a ritirarmi», ma anche la Casa Bianca è stata colta di sorpresa dalla sua decisione. A rendere ufficiali le dimissioni di Souter è stato lo stesso Obama venerdì pomeriggio. Con una mossa irrituale il presidente ha interrotto il briefing del suo portavoce Robert Gibbs con i giornalisti, annunciando di aver appena parlato al telefono con il giudice. Lo ha ringraziato per il suo lavoro «imparziale e indipendente» e ha fatto l´identikit del successore: «Cercherò qualcuno che comprenda che la giustizia non è una teoria legale astratta, qualcuno con una mente intelligente e indipendente, che abbia avuto un percorso di eccellenza e integrità. Qualcuno che onori le nostre tradizioni costituzionali. Mi auguro che possa giurare in tempo per la sessione autunnale» (che inizia il primo ottobre). A Washington è scattato subito il toto-nomine, nella (quasi) certezza che il prescelto sarà una donna. Le favorite sono Sonia Sotomayor, giudice della corte di appello di New York, Diane Wood (che ha insegnato come Obama alla University of Chicago Law School), Elena Kagan (ex-rettore della Harvard Law School), la governatrice del Michigan Jennifer Granholm e Kathleen Sullivan, ex-rettore della Stanford Law School. I repubblicani affilano le armi per la prima grande battaglia "ideologica" della presidenza Obama. La Corte Suprema nei prossimi anni avrà di fronte scelte importanti (i matrimoni gay, l´aborto, il possesso d´armi, la pena di morte, la privacy su Internet) e anche se la maggioranza repubblicana (5 a 4) non è in discussione (salvo quando il moderato Kennedy si schiera con i liberal), il Gop tenterà di bloccare un giudice troppo progressista.

Torna all'inizio


quelle scarpe troppo care la prima gaffe di michelle (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 18 - Esteri Quelle scarpe troppo care la prima gaffe di Michelle WASHINGTON - Piccola gaffe per la First Lady americana. Michelle Obama si è presentata a un evento benefico organizzato da Feeding America, un ente che si batte contro la povertà in Usa, indossando scarpe da ginnastica da 540 dollari, per di più di una maison francese. Le sneakers griffate Lanvin - del tutto esaurite nella boutique-chic statunitensi - sono già un cult.

Torna all'inizio


marchionne fa rotta sulla opel da domani trattative a berlino - salvatore tropea (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Economia Marchionne fa rotta sulla Opel da domani trattative a Berlino Marcegaglia: la nostra industria adesso è più forte Chrysler, vendite giù del 48%. Avviata la procedura per il Chapter 11 davanti al tribunale La guida del colosso di Detroit passerà all´ad del Lingotto prima che raggiunga il 51% SALVATORE TROPEA WASHINGTON - Adesso è l´ora della Gm che per la Fiat vuol dire soprattutto Opel. Per questo domani Sergio Marchionne vola a Berlino a incontrare gli esponenti del governo e dei sindacati. Ma anche se la partita si giocherà prevalentemente con le regole dell´Unione Europea e della Germania di Angela Merkel, il via dovrà essere dato da Washington ovvero da quel governo al quale la Gm ha chiesto un aiuto finanziario per uscire da una crisi finanziaria e industriale che, per alcuni versi, è peggiore di quella della Chrysler. Si dovrà fare molto in fretta, ma questo non sembra essere un problema per gli americani. L´alleanza tra Fiat e Chrysler era argomento delle prime pagine dei giornali quando, nella mattinata del primo maggio, davanti al giudice Arthur Gonzalez presso la Corte della bancarotta di New York, sono comparse le parti per cominciare a dirimere la questione sollevata dai creditori che hanno resistito in sede di negoziato rendendo necessario il ricorso al Chapter 11 ovvero al fallimento pilotato. Questo meccanismo legale, come è stato detto nei giorni scorsi, non impedisce l´operatività dell´accordo tra il Lingotto e la Chrysler che, secondo quanto dichiarato da un rappresentante dell´azienda americana, consentirà di salvare oltre 5 mila posti di lavoro. Anche se il rischio è quello di una controversia legale piuttosto lunga, come segnalava ieri il Wall Street Journal. Ma non c´è molto tempo da perdere. A confermare l´urgenza c´è la notizia che la più piccola delle big three americane in aprile ha venduto 76 mila 682 vetture con una flessione del 48 per cento, per arginare la quale ci vuole qualcosa di più energico dell´annunciato taglio del 50 per cento delle spese di marketing. In sede legale si è appreso che Chrysler prevede di lasciare in bancarotta otto impianti per un totale di 6 mila 500 lavoratori per i quali si dovrà trovare una sistemazione. Intanto è stata presentata la prima tranche di finanziamenti al governo per 4,5 miliardi di dollari su una richiesta complessiva di 6 miliardi. Un finanziamento vitale per l´azienda che deve vedersela con i fornitori i quali hanno rallentato e in qualche caso bloccato i flussi di componenti. Tutto questo accade mentre prosegue il countdown per il salvataggio di Gm, che in Europa vuol dire Opel: «Adesso dobbiamo concentrarci sulla Opel, sono loro i nostri partner ideali» ha dichiarato Sergio Marchionne. Nonostante l´autonomia di cui gode la provincia tedesca del colosso americano, l´ad del Lingotto dovrà tornare in America molto presto. Anche perché la possibilità della Fiat di annettersi la Opel passa per le decisioni che saranno prese tra Washington e Detroit entro il 31 di questo mese. Marchionne, ancora una volta, sarà costretto a misurarsi con la clessidra del tempo tra Torino, Berlino e Washington. E anche se la Marcegaglia saluta l´intesa con Chrysler affermando che «l´operazione della Fiat darà più forza a tutto il sistema imprenditoriale italiano, anche alle piccole e medie imprese», è chiaro che l´accoglienza tedesca non sarà delle migliori. A questo punto sono in molti a chiedersi, in America come in Europa e nel resto del mondo vista l´attenzione riservata dai giapponesi al caso Chrysler, se ce la farà Marchionne a chiudere e ad aggiungere questo pezzo importante al mosaico delle alleanze Fiat. Dopo Chrysler e grazie anche ai ripetuti giudizi lusinghieri di Obama in America è cresciuta notevolmente la considerazione nei confronti della Fiat e del suo ad al quale verrà affidata verosimilmente la guida dell´azienda ancor prima che essa raggiunga il 51 per cento e quindi il controllo. La continuità operativa e la difesa dei posti di lavoro sono due temi ancora vivi mentre Marchionne si appresta ad aggredire la questione della Gm: con la sicurezza di chi a Detroit si sente di casa. Tanto di casa da avvertire il bisogno di chiarire che non è diventato «Marchionne l´americano».

Torna all'inizio


la sfida del sogno italo-americano alla leadership che viene dall'asia - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 13 - Economia La sfida del sogno italo-americano alla leadership che viene dall´Asia Cina e India sulla scia del Giappone, così nasce l´auto del futuro Quest´anno il salone di Shanghai ha surclassato quelli di Detroit e Francoforte L´estremo oriente è il primo mercato del mondo ed è destinato a crescere FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente PECHINO - Un´operazione difensiva, che non aggredisce i mercati del futuro, e parte con un handicap nella sfida dell´auto "verde". Visto dall´Asia, l´ingresso di Fiat nella Chrysler solleva più interrogativi che applausi. Al Salone dell´auto di Shanghai la notizia non ha avuto l´attenzione che ci si poteva aspettare. L´osservatorio cinese è importante. Da quest´anno per la prima volta nella storia la Repubblica Popolare è il primo mercato mondiale. Sulla base dei dati del primo trimestre, la Cina supera la soglia dei 10 milioni di auto vendute all´anno, e sorpassa d´un balzo gli Stati Uniti. Il Salone di Shanghai ha surclassato quelli di Detroit e Francoforte, per il numero e l´importanza dei nuovi modelli presentati. Perfino la Porsche ha voluto riservare al pubblico cinese il battesimo della sua ammiraglia. Le ragioni per cui il futuro dell´auto si gioca a Oriente sono diverse. Nel 2008 lo scettro del numero uno per le vendite mondiali è passato dalla General Motors alla giapponese Toyota. Il mercato asiatico non è grosso solo nel suo potenziale demografico, per i tre miliardi di abitanti fra Cina, India, Indonesia, Vietnam, Filippine. Di fatto queste nazioni sono entrate di prepotenza nella fase della prima motorizzazione. Quindi per decenni avranno ancora spazio per aumenti vigorosi delle vendite, a differenza dai mercati "di sostituzione" caratteristici dei vecchi paesi industrializzati. La nuova piccola borghesia che trainerà i consumi nel XXI secolo è in Asia, dove centinaia di milioni di nuovi appartenenti al ceto medio hanno un potere d´acquisto in crescita. La recessione globale qui si declina in modi diversi. Certo la crescita cinese è in netta decelerazione rispetto agli anni precedenti. Ma grazie alle robuste iniezioni di spesa pubblica varate da Pechino, la Banca mondiale stima che nel 2009 il Pil cinese aumenterà ancora dell´8%. Una quota della manovra di rilancio è affidata a nuovi investimenti in infrastrutture, con l´ulteriore ampliamento della rete autostradale che per estensione ha raggiunto quella americana. Il governo di Pechino offre incentivi all´acquisto di vetture, ha dimezzato dal 10% al 5% l´Iva sulle cilindrate sotto 1,6 litri, e dà sussidi diretti all´acquisto nelle regioni rurali. Fiat e Chrysler hanno una presenza modesta su questi mercati trainanti, dove invece sono forti le case giapponesi, Volkswagen, perfino General Motors e Ford. Una "dote" che Sergio Marchionne porta a Detroit è l´eccellenza Fiat nella gamma delle vetture medio-piccole, fin qui assenti dall´offerta Chrysler. Ma nelle piccole cilindrate gli asiatici sono competitivi da tempo. Giapponesi e coreani producono negli stessi Stati Uniti, con costi del lavoro inferiori a Detroit perché impiegano negli Stati del Sud manodopera non sindacalizzata e più giovane. Cina e India producono in casa propria con un vantaggio evidente sul costo del lavoro. Finora questo non è bastato: ritardi nella qualità, nell´affidabilità e soprattutto nella sicurezza hanno rinviato l´invasione. Tata ha preferito riservare la Nano all´India e ai paesi emergenti. La Cina ha esportato 680.000 auto l´anno scorso, ma quasi tutte in America latina, Medio Oriente, Russia e Africa. Presto però arriveranno nuovi modelli fatti su misura per la clientela più sofisticata, europea e nordamericana. Avendo definito l´auto un "settore strategico", il governo cinese obbliga le case straniere ad associarsi in joint venture con produttori locali, una scorciatoia classica per catturare le tecnologie più avanzate. Marche come Chery e Geely usano sistematicamente designer giapponesi ed europei. L´Asia è in netto vantaggio proprio nella corsa all´auto "pulita" su cui punta l´Amministrazione Obama. Toyota e Honda dominano da anni il motore ibrido. Insieme al Giappone, la Corea del Sud è l´altro leader globale nelle batterie al litio per auto ibride o elettriche. E dell´auto elettrica la Cina sta facendo il suo fiore all´occhiello. Il gruppo Byd di Shenzhen si è diversificato nelle batterie per auto e sviluppa un modello a motore interamente elettrico. Nel settembre 2008 il gruppo finanziario americano Berkshire (che fa capo a Warren Buffett) ha acquistato una quota del 10% nel capitale della Byd, scommettendo che la Cina sarà tra i vincitori di questa sfida. Il primo modello di berlina quattroporte ad alimentazione solo elettrica della Byd sarà in vendita in America nel 2011. Marchionne ha spiegato che la sua corsa alle acquisizioni è fondata su una previsione: al termine di questa crisi sopravviverà solo una mezza dozzina di grandi gruppi, quelli capaci di produrre (e vendere) 6 milioni di auto all´anno. E´ ancora presto per dire quanti dei superstiti saranno occidentali.

Torna all'inizio


"Contro di me fischiatori organizzati" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

ROMA Tensione sempre più alta tra Pdl e Pd sulla crisi economica, che per il partito di Franceschini è grave e non va sottovalutata, mentre il centrodestra insiste nel dire che il peggio è passato, che si intravede l’uscita dal tunnel. E le previsioni diffuse oggi dal Tesoro, con la Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica (Ruef), hanno gettato altra benzina sul fuoco della polemica. Niente luci e tante ombre in quelle cifre, secondo Dario Franceschini «preoccupato» ma che vede la «conferma» della fondatezza del suo atto di accusa: dalla crisi non si è affatto usciti e quindi il governo nega l’evidenza. Da qui la reazione infastidita del Pdl che accusa l’opposizione di «allarmismo irresponsabile», di incarnare il classico uccello del malaugurio. Ma la polemica oggi si è estesa anche ai sondaggi proprio all’indomani delle affermazioni del premier sul suo consenso record che batte tutti, anche Obama («io ho il 75.1% , Obama il 59%»). Affermazioni che successivamente Berlusconi aveva ridimensionato facendo presente di aver parlato con «ironia», ossia di aver fatto una battuta. A dar fuoco alle polveri è Franceschini da Bologna: «Se Berlusconi non ha un sondaggio di popolarità al giorno che gli dà un punto in più - esordisce - non si addormenta bene». Ieri, insiste, il premier ha preso «qualche fischio a Napoli e un suo collaboratore gli ha subito portato un sondaggio che gli dava il 75% di preferenze. Così lui si è calmato». L’affondo del segretario del Pd non passa sotto silenzio e in serata, da palazzo Chigi, dove ha convocato una riunione per fare il punto sull’azione del governo in Abruzzo, il Cavaliere contrattacca: «Franceschini dice che io non posso dormire se non ho un punto di vantaggio nei sondaggi. Io invece dormo benissimo». Se non fosse così, aggiunge ironicamente, «come potrei affrontare quell’attacco alla democrazia che starei conducendo secondo Di Pietro e arrivare ad essere l’imperatore degli italiani come dice Casini?».

Torna all'inizio


LA SFIDA CRUDELE DI UN REGIME (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 03/05/2009 - pag: 1 DELARA GIUSTIZIATA IN IRAN LA SFIDA CRUDELE DI UN REGIME di ANGELO PANEBIANCO I n Iran, una giovane pittrice, Delara Darabi, è stata giustiziata per omicidio dopo un processo che Amnesty International ha giudicato non equo, non rispettoso dei diritti della difesa. Amnesty non è l'oracolo e la valutazione sui procedimenti giudiziari che comportano pene capitali è sempre controversa. Ma la notizia segue di poche settimane quella sulla condanna a otto anni «per spionaggio» alla giornalista americana-iraniana Roxana Saberi e contribuisce a ribadire la fosca reputazione del regime. Non più fosca di quella di altri regimi autoritari, naturalmente. Ma con la differenza che l'Iran è una grande potenza regionale le cui scelte in gran parte decideranno se ci sarà pace o guerra in Medio Oriente nei prossimi anni. Sfrondata dagli usuali toni retorici, la questione della violazione sistematica dei diritti umani incide in due modi sui rapporti internazionali. Da un lato, radicalizza la distanza, culturale e psicologica, fra i regimi democratici e i regimi autoritari. Dall'altro, in caso di gravi contenziosi geo-politici, rende difficile trovare forme di risoluzione pacifica delle controversie: nessuno può fidarsi di nessuno. Ad esempio, nel caso dell'Iran e della sua volontà di diventare una potenza nucleare, a fare paura non è la bomba nucleare iraniana in sé. A fare paura è la bomba nucleare in mano a un regime come quello degli ayatollah. Contro l'opinione di coloro che mettono sullo stesso piano i regimi autoritari e quelli democratici ricordando le magagne di questi ultimi, si può osservare che la differenza resta comunque netta. Non è che i primi violino i diritti umani e i secondi no. La differenza è che nel caso dei regimi autoritari la violazione di quei diritti è la norma, rispecchia la quotidianità dei rapporti fra potere politico e sudditi, mentre nel caso dei regimi democratici è l'eccezione. Quando una dura politica repressiva all'interno si sposa, come in Iran, a una politica estera «rivoluzionaria », a una proiezione aggressiva verso l'esterno (programma nucleare, appoggio ad Hamas e Hezbollah, aspirazione all'egemonia regionale, minacce a Israele, radicale contrapposizione ideologica all'Occidente), i margini di manovra per chi aspira a instaurare un modus vivendi con la potenza in questione diventano quasi nulli. Persino quando ci sarebbe, come c'è nei confronti del-- l'Iran, l'interesse a trovare un accomodamento: contro l'Iran sarà infatti difficile stabilizzare l'Iraq, trovare soluzioni al conflitto israeliano-palestinese, concentrare ogni sforzo nella guerra afghano-pachistana. Né il pugno chiuso di Bush né (finora) la mano tesa di Obama hanno prodotto risultati. L'Iran non dà segnali di voler normalizzare i suoi rapporti con il resto del mondo. Sfortunatamente, la normalizzazione non può esserci, e non ci sarà, senza significativi cambiamenti del regime. Quanto meno, senza cambiamenti che segnalino il passaggio dalla fase rivoluzionaria (iniziata con Khomeini nel 1979 e mai terminata) a quella post-rivoluzionaria. Il giorno in cui avvenisse quel passaggio, l'inaugurazione di una politica estera più cauta e pragmatica potrebbe accompagnarsi alla decisione di migliorare l'immagine internazionale del regime. Ne conseguirebbe una minore propensione a fare uso del pugno di ferro nei confronti degli iraniani. Al momento, però, di tutto questo non c'è traccia alcuna.

Torna all'inizio


(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 03/05/2009 - pag: 2 In Italia «Antivirali, 40 milioni di dosi» WASHINGTON «Stiamo agendo rapidamente e in modo aggressivo», ha rassicurato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ricordando agli americani che il governo ha scorte di antivirali pari a 50 milioni di dosi. Un dato che ha offerto lo spunto al ministro della Salute Maurizio Sacconi, durante la conferenza stampa di ieri con il sottosegretario Ferruccio Fazio (foto), per rimarcare quanto le polemiche dei giorni scorsi sull'impreparazione dell'Italia fossero senza fondamento: «Noi di dosi ne abbiamo 40 milioni». Il presidente americano ha ricordato i passi che la sua amministrazione ha fatto per contrastare il virus, inclusa la raccomandazione alle scuole e agli asili nido di chiudere per due settimane in presenza di casi accertati. «A differenza delle varie forme di influenza animale del passato, questa si sta diffondendo da persona a persona. Ciò crea le condizioni per una pandemia, ecco perché stiamo agendo rapidamente ed aggressivamente», ha sottolineato Obama, precisando di aver chiesto al Congresso lo stanziamento di 1,5 miliardi di dollari per ulteriori farmaci. «Gli Stati e il governo federale dispongono di piani operativi per fronteggiare l'emergenza, sono preparati meglio di quanto non siano mai stati», ha aggiunto.

Torna all'inizio


(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 03/05/2009 - pag: 5 «E adesso Opel, partner ideale di una grande Fiat» Il presidente: con Chrysler occasione irripetibile ma sappiamo che ora inizia il lavoro duro MILANO E adesso Berlino? «Sarebbe la chiusura del cerchio». Molto oltre non vuole andare, Luca Cordero di Montezemolo. Il dossier è aperto, Sergio Marchionne è al lavoro, è l'amministratore delegato che dopo aver convinto Barack Obama su Chrysler ora tenta il raddoppio con Angela Merkel su Opel. E in Germania le barricate sono già state alzate, la Fiat un po' di paura - anche - la fa, dunque «lasciamo che Sergio si muova come sa». Ovviamente però conferma, il presidente del Lingotto, che la casa tedesca «sarebbe per noi una straordinaria opportunità, sarebbero i nostri partner ideali, nascerebbe un gruppo molto forte». Neanche il tempo di festeggiare Detroit, avvocato? Non è un po' troppo? «È una necessità. Guardate: in Fiat noi, tutti, proviamo orgoglio e soddisfazione per l'operazione Chrysler e per le parole del presidente degli Stati Uniti. A me, come presidente del Lingotto, lasci aggiungere l'enorme gratitudine per un management che ha sempre mantenuto le promesse fatte, si trattasse di risultati o di strategie. Però il nostro primo sentimento è l'umiltà. Umiltà e una grande determinazione. Da un mese, da quando Obama ha parlato per la prima volta di noi, siamo sotto la lente del mondo. Lo sappiamo e sappiamo soprattutto che è un'impresa molto difficile, da far tremare i polsi. L'affrontiamo con entusiasmo, ma raddoppiando impegno e lavoro per rafforzare Fiat e risanare Chrysler. È un'occasione irripetibile, ma il lavoro duro inizia adesso». Avrete brindato, però. Sei anni fa la Fiat andava con il cappello in mano ad Arcore, Paolo Fresco e Gabriele Galateri costretti all'umiliazione. Oggi vi chiama la Casa Bianca. A salvare l'auto americana. «Dico sempre che bisogna guardare avanti. Però sì, qualche volta è giusto anche ricordare da dove si è partiti. E io ricordo molto bene i primi giorni a Torino. Il giovedì mattina ero diventato presidente di Confindu-- stria, la sera morì Umberto Agnelli. Sergio e io ci siamo conosciuti grazie a lui: era stato lui a volerci in consiglio. E il giorno dopo il suo funerale ci siamo ritrovati Sergio a gestire l'azienda, io alla presidenza. Sui giornali del mondo la Fiat era data per fallita ». In effetti lo era. «Le prime notti non ci abbiamo dormito». E oggi? L'ha detto lei: già Chrysler fa tremare i polsi... «Ma oggi partiamo dal lavoro enorme fatto dal management. È con questo che ci siamo creati un punto fondamentale che, se vuole, è il nostro plus: la credibilità. Ed è la credibilità che ha fatto sì che il presidente Obama dicesse di noi quel che ha detto». È anche però, forse non a caso, un' operazione fatta fuori dal capitalismo di relazione o dei salotti. «Ma è un'operazione-Paese. Ed è, credo, un orgoglio anche per l'Italia e la sua industria. Gli uomini e le donne della Fiat in questi anni hanno lavorato tornando a occuparsi di auto, fuori dalle stanze della politica. È così che siamo tornati a essere un po' un 'ritratto di famiglia' dell'impresa italiana: impresa familiare, privata, grande o piccola non importa, che va per il mondo, raccoglie le sfide, si mette in gioco con i propri prodotti e nient' altro. Al di là dei discorsi sul primo o sul quarto capitalismo, è questa l'Italia delle mille eccellenze. Il manifatturiero è uno dei suoi pilastri, e l'orgoglio è anche una Fiat che traina, con sé, un intero sistema industriale grazie al lavoro duro, di squadra, di tutti: da Sergio Marchionne all'ultimo operaio ». Gli operai, oggi, in America li avrete come soci. Insieme a due governi. Un inedito rapporto pubblico-privato: si potrebbe replicare, in Italia? «Sono due Paesi, due culture, due situazioni totalmente diverse. Io ho sempre sostenuto la necessità di un forte coinvolgimento dei dipendenti nei risultati delle aziende. Ma la proprietà è un'altra cosa». Vale anche per eventuali soci pubblici? «Ho detto prima che il risanamento è stato possibile grazie al gioco di squadra. Nel quale metto le banche, senza il cui appoggio non ce l'avremmo fatta. Ci metto, oggi, gli incentivi al settore che il governo italiano, come tutti gli altri, ha varato per contrastare una crisi mondiale senza precedenti. Ma il punto fermo resta uno: l'aver sentito sempre gli azionisti, prima Ifi-Ifil con Gianluigi Gabetti e ora Exor con John Elkann, dietro di noi. Hanno rischiato, ci hanno creduto e continuano a crederci». Dicono però che una parte della famiglia Agnelli sia, ora, preoccupata: giusto orgoglio, ma timori per il peso che sta assumendo l'auto. Che patisce la crisi meno di altri, sì, però i debiti sono 6 miliardi e gli unici utili si vedono da Ferrari e Maserati. «Intanto, Fiat non è solo auto. È camion, trattori, altro ancora. Dopodiché: se guardo agli ultimi due mesi, stiamo reagendo bene alla crisi. In marzo siamo diventati il terzo gruppo più venduto in Germania, e non era mai accaduto. Siamo cresciuti molto in altri Paesi, come la Francia, e abbiamo superato il 9% di quota in Europa. Sulle alleanze, il nostro è un disegno con obiettivi a medio termine. Azionisti preoccupati, dice? Io ho visto grande soddisfazione e grande appoggio. È chiaro che ogni volta che fai un'operazione importante assumi dei rischi. Ma è cambiato tutto, nel mondo. La Fiat da sola forse poteva sopravvivere, certo non essere protagonista. Aver anticipato il cambiamento, aver dato il via ai giochi che comunque scompagineranno gli assetti dell'auto mondiale avrà effetti positivi. Con Chrysler oggi. E con qualcos'altro, spero, nei prossimi mesi». Se non andasse Opel? Potrebbero essere le attività sudamericane di Gm? O un ritorno su Peugeot? E comunque: si aspettava lo sbarramento tedesco? «Piano, lasciamo lavorare Sergio. Quel che posso dire è che noi perseguiamo coerentemente una strategia. E poi vediamo. Sappiamo quali sono le nostre carte: ce le giocheremo». Che cosa direbbe Giovanni Agnelli del tutto e di Chrysler? «Lui raccontava sempre che quando il nonno, il fondatore, mandò i primi tecnici negli Usa la raccomandazione fu: non cambiate niente, copiate e basta...». Ora saranno loro a copiare noi, quindi... «Quindi gli Usa, che sono sempre stati il link dell'Avvocato, sarebbero oggi per lui il sogno che si avvera. L'accordo Chrysler ci apre per la prima volta il più grande mercato di consumo del mondo. Perfetto, spero, per i prodotti che abbiamo: abbiamo lavorato su tecnologia e motori 'puliti', ma non abbiamo trascurato il design. Un'auto come la 500 può essere un' icona anche negli Usa». Con la squadra come farete? Snella e vincente: ma ora basterà? «Panchina corta, vuol dire? Sappiamo valore e potenzialità di tante persone che ancora non vedete in campo: ne abbiamo molte, pronte ad assumersi responsabilità di primo piano». Nell'euforia del momento storico abbiamo tutti un po' perso di vista le difficoltà qui. La crisi è tutt'altro che passata, la cassa integrazione c'è ancora, il sindacato chiede garanzie per gli stabilimenti italiani. «Senza scivolare nel romanticismo, ricordo che Fiat sta per Fabbrica Italiana Automobili Torino. Nemmeno per un secondo abbandoneremo l'impegno verso Torino, l'Italia, i nostri dipendenti. Non siamo diventati americani: il contrario. Bisogna però riconoscere la realtà del momento. Ci sono nodi strutturali che, anche a causa della caduta della domanda, dobbiamo affrontare in modo responsabile insieme al governo e ai sindacati. Poi, non dimentichiamo l'Europa: la Ue si giocherebbe la propria credibilità se assecondasse nazionalismi superati quando, in palio, c'è il futuro di un settore fondamentale come l'auto». Pensa anche lei che, comunque, il peggio della crisi l'abbiamo già visto, che il fondo sia già stato toccato? «Sarei molto prudente: rischiamo di alimentare facili ottimismi. Credo che sia rallentata la velocità della discesa, che i primi segnali di risalita ci siano. Ma dobbiamo fare ancora molta attenzione». L'Italia ha fatto quel che doveva? «Ci sono questioni che, mi rendo conto, è più facile affrontare dalla tribuna che non dal campo. Ma restano nodi che sono il frutto di decenni di non scelte: il taglio delle spese improduttive, la burocrazia, le pensioni, la sanità. E dobbiamo stare più che mai attenti a che non aumentino i tanti divari. Ricchi e poveri. Nord e Sud. Sarebbe bello se dalle imprese l'intero Paese imparasse il gusto del cambiamento e la voglia di anticiparlo». Curiosità: con Marchionne, nei giorni caldi di Washington, anche lei parlava via sms? «Sì. Ma io usavo dieci parole, lui mi rispondeva con una. Io mi firmo Luca, lui 'S.'. Lo stile di uno che per portarci Chrysler non ha dormito per un mese». L'ha convinto a farsi almeno questo weekend? «Ci ho rinunciato: sono partite perse ». Raffaella Polato

Torna all'inizio


Liquidazione-lampo Sfida contro il tempo per il giudice di Enron (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 03/05/2009 - pag: 6 Caso Chrysler Gonzalez difende l'autonomia della corte Liquidazione-lampo Sfida contro il tempo per il giudice di Enron DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Dennis Salleby, che ha comprato da un concessionario del Queens una grossa berlina Chrysler il giorno in cui l'azienda è entrata nelle procedure di bancarotta, si è guadagnato un'intera pagina di intervista sul «New York Post»: «Sono un po' spaventato, ma voglio sostenere il 'made in Usa'. Credo alle promesse di Obama sulla validità della garanzia e mi hanno fatto un discreto sconto. E, poi, la macchina mi piace». È una 300Lx, un modello di successo negli Usa, che potrebbe tornare utile anche alla Fiat, mai stata fortissima nelle «ammiraglie». I clienti fedeli che continuano a comprare Jeep e coupé Dodge dai concessionari dell'Ohio o della «Bay Area» di San Francisco, fanno notizia anche su «Usa Today» e sul «Los Angeles Times». Già, ma quanto potrà resistere la struttura commerciale di un'azienda che, con l'avvio delle procedure del cosiddetto «Chapter 11» e la conseguente sospensione delle consegne da parte dei fornitori di componenti, da venerdì ha «sigillato» tutti i suoi stabilimenti americani? La scommessa è quella di una bancarottalampo: 30 giorni, 60 al massimo, come promesso dallo stesso presidente degli Stati Uniti. Anche perché la situazione potrebbe deteriorarsi rapidamente: mentre fino a marzo Chrysler aveva perso quote di mercato, ma meno del rivale Gm, ad aprile l'azienda è stata il fanalino di coda delle vendite negli Usa: - 48%, molto peggio di Gm (-33%) e Ford (-31%). Obama ha bisogno di una bancarotta «che funziona» anche per poter trattare «con la pistola sul tavolo» nell'altro negoziato ancor più grosso e complesso che lo attende: quello per il futuro di Gm che ha creditori ancor più famelici e che, a differenza di Chrysler, i tagli industriali veri ancora non li ha fatti. Tutto dipende, adesso, da come Arthur Gonzalez, il giudice del tribunale fallimentare di New York al quale è stato affidato il caso, gestirà una bancarotta che, per le sue caratteristiche, è senza precedenti. Irritati col presidente americano che ha attaccato, trattandoli da «avidi speculatori», «hedge fund» e finanziarie che hanno rifiutato l'accordo che avrebbe evitato il «Capitolo 11», i liberisti del «Wall Street Journal» giudicano inevitabile una procedura giudiziaria molto più lunga di quanto auspicato e dagli esiti diversi da quelli concordati dal governo con Chrysler, Fiat e sindacati. Ma non è solo ostilità dei «puristi» del libero mercato: Gonzalez, 62 anni, uno dei giudici americani più qualificati, è già celebre per aver gestito nel 2001, dopo lo scandalo che la travolse, la liquidazione della Enron, e, negli anni successivi, il caso WorldCom: 107 miliardi di dollari di patrimonio, la più grande bancarotta della storia. Tutte le parti coinvolte nel giudizio Enron riconoscono a Gonzalez di essersi comportato in modo equilibrato, applicando la legge senza cedere alle pressioni politiche. Se anche stavolta usasse lo stesso metro, probabilmente darebbe qualche dispiacere a Obama: gli uomini di Wall Street che hanno preferito la bancarotta all'accordo, lo hanno fatto perché convinti che l'offerta del governo favorisse i sindacati anche rispetto a loro che invece, alla legge, sono i creditori privilegiati. Nei casi precedenti Gonzalez è stato considerato affidabile dai creditori finanziari. Stavolta, però, il giudice è alle prese con una situazione completamente diversa: un'azienda industriale che sta andando avanti da mesi coi «soldi della politica» (cioè dei contribuenti) e il cui patrimonio ha un valore solo se si creano le condizioni per riattivare le catene di montaggio. Le incertezze rimangono molte: Mark Roe, che insegna proprio diritto della bancarotta alla «Law School» di Harvard, sostiene che gli ostacoli giuridici a una procedura-lampo sono enormi, pressoché insormontabili, mentre alcuni dei documenti presentati venerdì al tribunale di New York sembrano indicare che la stessa Chrysler si prepara a una procedura di quattro mesi, non di 60 giorni. Gonzalez, che già lunedì prenderà decisioni importanti (compresa l'autorizzazione a spendere i 3,5 miliardi di dollari che Chrysler riceverà dal Tesoro), deve affrontare nodi delicati. Deve, ad esempio, tener conto, che la bancarotta è stata voluta da una minoranza di creditori mentre la larga maggioranza le grandi banche titolari del 70% del debito Chrysler avevano accettato l'accordo offerto dal governo. La legge gli impone, però, anche di verificare se i creditori hanno votato «in buona fede», cioè con indipendenza di giudizio. E possono essere considerate indipendenti dal governo banche che dipendono dai finanziamenti del Tesoro per la loro sopravvivenza? Tutti i cavilli giuridici dovrebbero, comunque, cadere davanti alla considerazione pragmatica che, se gli «asset» della Chrysler non vengono subito conferiti alla nuova società costituita con la Fiat, non ci sarà alcun futuro per l'azienda americana, né alcun dollaro da recuperare. Gonzalez sarà abbastanza flessibile da capire che si muove in un terreno, anche giuridico, davvero nuovo? L'incognita è questa. I primi atti da lui autorizzati venerdì (essenzialmente pagamenti ai dipendenti del gruppo), giustificano un prudente ottimismo. Massimo Gaggi Capitolo 11 Il direttore finanziario Ronald Kolka, in primo piano, e il gruppo di alti dirigenti della Chrysler mentre escono dal palazzo newyorkese dove ha sede la Corte che si occupa delle procedure fallimentari in base al «Chapter 11», alla quale hanno presentato l'istanza del gruppo di Detroit

Torna all'inizio


Missione tedesca, Marchionne a Berlino (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 03/05/2009 - pag: 6 Missione tedesca, Marchionne a Berlino Domani gli incontri con i ministri dell'Economia e degli Esteri. I dubbi dei sindacati DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO Domani Sergio Marchionne sarà a Berlino. Dopo avere realizzato l'accordo americano con la Chrysler, ora punta alla Opel: sarebbe, ha detto, «il nostro partner ideale ». Nella capitale tedesca, incontrerà esponenti del governo e del sindacato per presentare le linee della sua strategia: formare un gruppo che, tra Italia, Germania e Stati Uniti, possa raggiungere una produzione di cinque milioni di automobili l'anno. Potrebbe diventare ha calcolato venerdì la rivista Automotive News Europe il secondo produttore mondiale del settore per volumi, dopo la giapponese Toyota. L'amministratore delegato della Fiat accelera dunque l'iniziativa che vede il gruppo torinese protagonista della ristrutturazione internazionale del settore. Il viaggio tedesco non sarà però facile. Molti politici, sindacalisti ed esperti dell'industria dell'auto dichiarano la loro opposizione alla Fiat, in verità senza conoscere i termini della proposta italiana e senza dare peso al futuro della casa automobilistica tedesca. In compenso, danno un certo credito a un'offerta che dovrebbe arrivare dal gruppo austro-canadese Magna in partnership con il costruttore russo Gaz di Oleg Deripaska e con la banca pubblica moscovita Sberbank: questa proposta, secondo il settimanale «Spiegel» in edicola lunedì, sarebbe appoggiata in veste di lobbista dall'ex cancelliere Gerhard Schröder. Domani, Marchionne incontrerà il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, il ministro dell'Economia Karl-Theodor von und zu Guttenberg e, poi, Klaus Franz, capo del consiglio di fabbrica della Opel. L'amministratore delegato della Fiat dovrebbe anticipare le linee di fondo della sua proposta. Si sa che non intende, come con Chrysler, avanzare offerte in denaro ma qualcosa di più «creativo», adatto alla situazione anomala dei mercati dell'auto e della finanza. Ieri, un sindacalista tedesco ha detto che la Fiat offrirebbe meno di 750 milioni per prendere la maggioranza della Opel. In realtà il piano potrebbe consistere nella fusione tra Opel una volta separata dalla casa madre General Motors e le attività Fiat legate all'auto. In più, Torino garantirebbe di non chiudere gli stabilimenti Opel. Un'idea che ha il suo punto di forza nella creazione di un gruppo internazionale capace di competere su tutti i mercati e di arrivare a quella soglia di produzione di cinque o sei milioni di autovetture all'anno che Marchionne individua come soglia necessaria nel mercato automobilistico mondiale. Steinmeier ha segnalato di non essere entusiasta del-- l'idea, come un po' tutti i socialdemocratici, ed è sembrato meglio disposto verso la soluzione Magna, la quale garantirebbe un investimento di alcuni miliardi in Opel ma ha alcuni punti deboli. Innanzitutto, Magna non potrebbe essere coinvolta nella gestione perché è un fornitore di componenti a molte case automobilistiche e se controllasse Opel rischierebbe di perdere gli altri clienti. Quindi, la soluzione austro-canadese-russa lascerebbe Opel da sola o forse collegata alla Gaz, produttore di auto sul quale nelle scorse settimane sono corse voci, smentite da Deripaska, di una possibile bancarotta. Anche Guttenberg, che inizialmente si era mostrato aperto alle proposte della Fiat, negli ultimi giorni è sembrato più freddo. È che nessuno, nella politica tedesca, vuole fare un passo falso che potrebbe rivelarsi fatale tra oggi e il 27 settembre, giorno delle elezioni federali. La cancelliera Merkel ha comunque garantito ieri che ogni proposta sarà presa in considerazione. Marchionne incontrerà poi Franz. Il timore che il sindacalista avanza con toni duri è che Torino tagli posti di lavoro, preoccupazione condivisa anche dai sindacati italiani. Fatto sta che, in questi giorni, sindacato e socialdemocratici sono la punta avanzata della vasta opposizione tedesca alla proposta italiana. Situazione complessa. Improbabile che, a Berlino, Marchionne possa contare su un decisionista come Barack Obama a Washington. Danilo Taino Il ministro tedesco Karl-Theodor zu Guttenberg Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat

Torna all'inizio


Sopralluogo Usa per il vertice (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Politica data: 03/05/2009 - pag: 11 La visita Da stasera a martedì esame alle strutture per il summit. Il governo conferma l'affitto di due navi Sopralluogo Usa per il vertice «Non si parla di sedi alternative» ROMA I «nulla osta» sono arrivati per via diplomatica e consegnati al ministero degli Esteri: tutti i Paesi che compongono il G8 accettano la città dell'Aquila come sede del vertice che si terrà in Italia dall'8 al 10 luglio. Via libera anche all'ipotesi che prevede di alloggiare i capi di Stato e di governo all'interno della caserma della Guardia di Finanza a Coppito. Dopo lo staff di Barack Obama, pure quello del presidente francese Nicholas Sarkozy ha manifestato la propria disponibilità. Adesso si apre la fase più delicata. Entro la fine della prossima settimana cominceranno i sopralluoghi degli addetti alla sicurezza che dovranno analizzare le misure di protezione e proporre le eventuali modifiche. L'ipotesi che si chieda un ulteriore trasferimento del summit rimane in piedi, ma i contatti che già ci sono stati tra i governi in particolare con il Dipartimento di Stato americano consentirebbero di escluderla. Del resto, come conferma il portavoce del National Security Council Michael A. Hammer, «la squadra statunitense sarà all'Aquila per visionare le strutture del summit, ma dopo aver ricevuto la comunicazione della volontà di trasferirsi da La Maddalena in Abruzzo non si è mai discussa la possibilità di trovare una sede alternativa». E così è proprio da Oltreoceano che giunge il primo segnale di collaborazione con la comunicazione di aver ridotto da 1.000 a circa 400 persone i componenti della propria delegazione. Tagli consistenti sono stati promessi anche dagli altri Paesi, Francia in testa, che a loro volta hanno avviato le trattative per lo svolgimento delle ispezioni. L'agenda del prefetto Antonio Manganelli che dovrà coordinare l'attuazione delle misure di sicurezza prevede di far concludere le visite dei team stranieri nella cittadella «Vincenzo Giudice» entro la metà di maggio, in modo da far partire la ristrutturazione dell'appartamento che ospiterà Obama per trasformarlo in una suite e degli altri alloggi riservati alle personalità. L'advance team della Casa Bianca arriverà nella capitale questa sera e dovrebbe ripartire dall'Italia martedì al termine di una missione che è soltanto la prima di una serie che andrà avanti fino a luglio proprio per verificare ogni dettaglio. Esclusa l'eventualità di trasferire il presidente americano in elicottero, ma anche di farlo viaggiare più volte sull'autostrada che collega Roma all'Abruzzo (ritenuta rischiosa per la presenza di tunnel e viadotti) si è già deciso che tutti gli eventi avranno luogo all'interno della caserma dove c'è un auditorium che contiene oltre 1.400 persone e un altro salone attualmente destinato allo svolgimento dei concorsi per i finanzieri per 500 persone. Nessun problema è stato posto al momento per pranzi e cene, visto che le cucine sono predisposte per la preparazione di 2.500 pasti ogni ora. Il governo ha deciso di confermare anche per evitare il pagamento di forti penali l'affitto delle due navi che erano state scelte per il G8 a La Maddalena. Saranno ancorate al largo di Teramo o di Pescara e, qualora non fosse possibile utilizzarle per ospitare parte delle delegazioni, potranno essere trasformate in quartier generale di alcuni reparti delle forze dell'ordine. Si sta valutando anche l'ipotesi di sfruttare la capienza delle strutture predisposte a Chieti per i Giochi del Mediterraneo in modo da alloggiare lì altre 2.500 persone. Non bisogna infatti dimenticare che oltre agli otto Grandi, al vertice parteciperanno le delegazioni di almeno altri 15 Stati alle quali bisogna riservare accoglienza e tutela. La relazione presentata dal ministro dell'Interno Roberto Maroni prevede uno stanziamento per la sicurezza di 90 milioni di euro che potrà essere ampliato quando le esigenze di tutti gli staff saranno state comunicate e approvate. Fiorenza Sarzanini

Torna all'inizio


(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Politica data: 03/05/2009 - pag: 11 Premier e ricostruzione Il capo del governo dopo la visita in Abruzzo: la mia una mission impossible, io speriamo che me la cavo «Da settembre le prime case per gli aquilani» Berlusconi: il G8 si terrà tutto nella cittadella della Finanza. I fischi? Gruppi organizzati ROMA Un Primo Maggio prima a Napoli e poi all'Aquila, a stringere mani nelle tendopoli e a visionare per la decima volta la città ferita, un sabato passato a Roma a studiare il dossier terremoto con Bertolaso, Letta e Bonaiuti per presentare le ultime novità su ricostruzione e G8. Non si ferma Silvio Berlusconi, anzi approfitta del ponte per parlare a più riprese a taccuini e telecamere, per assicurare che la «mission impossible » di far uscire definitivamente dalle tende e trasferire in case vere gli aquilani entro novembre (e a partire dal 10 settembre) è a portata di mano, incrociando le dita («Io speriamo che me la cavo...», scherza) e che per il G8 sui «luoghi del dolore » è tutto in marcia e sotto controllo: «Si terrà tutto nella cittadella della Guardia di Finanza, e la Sardegna sarà ricompensata, perché i lavori termineranno e si terranno altri eventi ». Non solo: a maggio riaprirà gran parte dell'ospedale dell'Aquila lesionato e, appena si avrà una tregua dello sciame sismico che spaventa la popolazione, potranno tornare a casa propria i cittadini che abitavano nel 53% delle abitazioni che sono agibili. Berlusconi sembra dunque voler legare moltissimo la sua immagine e quella del governo alla soluzione dell'emergenza Abruzzo, confortato anche dal fatto che le frequenti visite e l'attivismo dimostrato rendono non solo in termini di realizzazioni sul territorio, ma anche di consenso popolare. È stato proprio lui, venerdì, a dichiarare soddisfatto che se per il pure amato Obama il gradimento è del 59%, quello nei suoi confronti è ormai arrivato «al 75%», evidentemente non intaccato dal caso Veronica che comunque il premier sta facendo di tutto, con le sue frequenti uscite pubbliche, per far dimenticare. Numeri sui quali il leader del pd Franceschini ironizza: «Se non ha un sondaggio di popolarità al giorno che gli dà un punto in più, non si addormenta bene ». E Berlusconi se la prende, infatti apre la sua conferenza stampa serale con una risposta piccata, in cui ce n'è per tutti gli avversari: «Siccome quel punto c'è sempre, io dormo benissimo. Quindi come potrei affrontare quell'attacco alla democrazia come dice Di Pietro per diventare l'imperatore degli italiani come dice Casini? Continuiamo a lavorare, nonostante impazzino gli sparlatori». C'è poi un'altra cosa che dà fastidio a Berlusconi, e sono i fischi che, insieme a molti applausi peraltro, ha ricevuto venerdì a Napoli all'uscita dal teatro San Carlo e ieri al suo ingresso a Palazzo Chigi: «Noi pensiamo alle cose serie, concrete. Continuiamo a lavorare nonostante impazzino i fischiatori organizzati. Sono sempre i soliti 10-12 professionisti». Per il resto, il premier parla della crisi economica continuando a spargere fiducia. I segnali che arrivano, dice, sono abbastanza «positivi», per esempio i mobilieri ai quali ha fatto visita in settimana lo hanno rassicurato. E se il Papa appare invece molto preoccupato, è per ragioni diverse: «Non credo che si possano attribuire al Papa volontà di interferire sul merito delle decisioni. Lui intende richiamare tutti contro l'egoismo e superarlo: non è intervenuto sulla crisi. Ci sono cifre orripilanti di uomini nel mondo che soffrono la fame e ne muoiono». Paola Di Caro Primo Maggio Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al termine della visita al Duomo dell'Aquila (Emmevi/Rizzo/Morandi)

Torna all'inizio


(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 03/05/2009 - pag: 15 Dialogo e diritti umani Benjamin Barber «Così l'ala dura risponde a >Obama» WASHINGTON Per Benjamin Barber, l'autore di Guerra santa contro McMondo, le crescenti violazioni dei diritti umani in Iran sono «un'operazione preventiva dei conservatori» per intimidire non solo l'opposizione ma anche i moderati e per rimanere al potere. A suo parere le aperture di Barack Obama hanno messo in difficoltà Ahmadinejad e gli ayatollah schierati per lui, rendendone la condotta ancora più repressiva. Il filosofo politico rimprovera all'Occidente di premer troppo sull'Iran perché abbandoni il programma nucleare relegando in secondo piano il problema dei diritti umani: «Questa linea, non le aperture di Obama, è stata ed è controproducente». La soluzione, conclude Barber, «può essere soltanto a lungo termine: bisogna incentivare l'Iran a passare gradualmente alla democrazia, esiste un precedente, la Libia». In America, i repubblicani accusano Obama di debolezza, dicono che Ahmadinejad si faccia beffe di lui. «Secondo me invece la mano tesa di Obama è stata accolta favorevolmente da molti iraniani, e Ahmadinejad e i suoi sostenitori si sono dovuti difendere all'interno. Questa reazione del presidente del-- l'Iran e degli ayatollah, non l'offerta di trattare di Obama, è un segno di incipiente debolezza. Credo che li elettori iraniani ne terranno conto andando alle urne». Perché considera un errore l'enfasi posta dagli Usa e dalla Ue sul disarmo nucleare? «Perché ha permesso al potere a Teheran di passare per il custode della sicurezza nazionale non scordiamoci che l'Iran è circondato da potenze atomiche e di avere mano libera contro l'opposizione. Se l'Occidente avesse prestato più attenzione ai diritti umani, forse gli ultimi episodi in Iran non si sarebbero verificati. La maggioranza degli iraniani è fiera del programma nucleare, ma si vergogna della mancanza di libertà civili». Lei parla di incentivazione alla democrazia come l'unico modo di promuovere i diritti umani. «La sola denuncia delle violazioni non ha mai dato frutti. Un regime dittatoriale non cede a pressioni come le sanzioni o l'isolamento. Bisogna operare sulla cultura, il costume, la politica, l'economia delle nazioni, ma in modo positivo, dimostrando che una società aperta, con dei media liberi, un libero mercato, è più stabile e prospera. Non si può farlo in un anno, a volte occorrono decenni». Perché la Libia è un buon esempio? «Perché con essa siamo passati dagli scontri al dialogo. Abbiamo smesso di accusarla negoziando dietro le quinte, le abbiamo aperto commerci, investimenti, fatto capire i vantaggi dell'integrazione con l'Occidente. Oggi in Libia c'è una sia pur lenta evoluzione democratica. Mi sembra che un altro Paese mediorientale si stia avviando sulla stessa strada: la Siria». Ritiene che le elezioni in Iran segneranno una svolta verso la democrazia? «Spero di sì, ma è troppo presto per dirlo. Ripeto: bisogna capire che mentre il problema nucleare unifica gli iraniani le violazioni dei diritti umani li dividono. Su quanto Ahmadinejad sta facendo o anche solo dicendo, per esempio contro Israele, è polemica in Iran. Le spinte per le riforme sono destinate ad aumentare. Chiediamoci come aiutarle. Ritornando alla politica di Bush? Certamente no. Diamo tempo a Obama e agli iraniani». Ennio Caretto Benjamin Barber, filosofo politico, autore di «Guerra santa contro McMondo»

Torna all'inizio


Tribunali militari: Obama cambia idea (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 03/05/2009 - pag: 16 Guantánamo Tribunali militari: Obama cambia idea WASHINGTON Il presidente Barack Obama, che aveva criticato da candidato l'amministrazione Bush per l'uso dei tribunali militari per processare i «nemici combattenti» reclusi a Guantánamo, potrebbe usare a sua volta speciali commissioni giudicanti militari per decidere il destino dei sospetti terroristi. Lo ha rivelato ieri il New York Times ricordando come tali corti fossero state create da George W. Bush per evitare il ricorso alla giustizia ordinaria, che avrebbe potuto annullare gran parte delle prove ottenute con l'uso di interrogatori «aggressivi» o vere e proprie torture. Obama aveva duramente condannato l'uso dei tribunali speciali e ordinato la chiusura del carcere di Guantánamo «entro un anno»; nella sera della sua investitura aveva chiesto la sospensione dei procedimenti giudiziari fino a maggio. Ma i legali della nuova Amministrazione, sostiene il New York Times, sarebbero ora arrivati alla stessa conclusione dei legali di Bush: processare i sospetti terroristi in tribunali normali non è consigliabile, anche se il sistema in caso venga mantenuto verrà rivisto in modo da fornire agli imputati garanzie giuridiche finora assenti. Le corti speciali «non appaiono così una cattiva soluzione come apparivano il 20 gennaio scorso», ha infatti detto al quotidiano una fonte della Casa Bianca, da cui è attesa una decisione nei prossimi giorni. Ma se i tribunali militari resteranno in vigore per i sospetti terroristi, le reazioni di molti elettori di Obama e delle associazioni per i diritti umani saranno sicuramente durissime.

Torna all'inizio


Corte Suprema, una nuova sfida tra liberal e conservatori (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 03/05/2009 - pag: 16 Usa La Casa Bianca dovrà scegliere il sostituto del progressista Souter. Ma i repubblicani vogliono dare battaglia Corte Suprema, una nuova sfida tra liberal e conservatori DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON La capitale americana si prepara a seppellire le residue ambizioni bipartisan dell'era Obama. Primo leader democratico della Casa Bianca in 15 anni, il neo-presidente si vede offerto inaspettatamente il rischioso regalo di poter nominare un giudice della Corte Suprema, l'organo costituzionale che più di ogni altro indirizza le scelte della nazione sui più controversi temi sociali, come l'aborto, i diritti delle minoranze, il ruolo della religione, la pena di morte, il porto d'armi. Il prossimo ritiro del giudice David Souter, che in una lettera alla Casa Bianca ha annunciato di volersi dimettere entro l'estate, apre infatti un vuoto nel collegio dei nove, che da un lato mette alla prova l'abilità fin qui mostrata da Obama di evitare ogni distrazione dall'emergenza economica, dall'altro serve ai repubblicani la prima opportunità di un ricompattamento politico, dopo mesi di sconfitte e lacerazioni interne. I due campi sono già in piena mobilitazione. Anche perché sostituire Souter è un rebus complicato. Nominato nel 1990 da Bush padre, quindi teoricamente in quota all'ala destra della Corte, il quasi settantenne membro della consulta ha deluso le aspettative repubblicane, collocandosi sul fronte progressista in molte decisioni cruciali, fra cui quelle favorevoli ai diritti dei gay, i programmi governativi per rimediare le passate ingiustizie della segregazione, i diritti costituzionali per i presunti terroristi. Con un'apparizione a sorpresa nella sala stampa della Casa Bianca, Obama ha dato venerdì alcune indicazioni sui criteri che intende seguire per la scelta. Ex direttore della Harvard Law Review e docente di diritto costituzionale a Chicago, il presidente ha detto di «cercare qualcuno che veda la giustizia non solo come astratta teoria legale, ma si preoccupi anche di come la legge influenzi la vita quotidiana delle persone». E anche se ha poi aggiunto, che dovrà essere «uno dedito al principio della legalità, fedele alle nostre tradizioni costituzionali, rispettoso dell'integrità del processo giuridico e dei giusti limiti al potere giudiziario», la formulazione ha allarmato i conservatori, preoccupati che Obama voglia nominare un giudice con una visione troppo «attiva» del ruolo della Corte. Fra i nomi di possibili candidati già in circolazione, quelli di molti giuristi donne, ispanici e afro-americani. Uno dei primi, Sonia Sotomayor, attualmente giudice nella corte federale d'Appello di New York. Paolo Valentino

Torna all'inizio


Michelle a un evento benefico con scarpe da 540 dollari (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 03/05/2009 - pag: 16 Gaffe della First Lady Michelle a un evento benefico con scarpe da 540 dollari WASHINGTON Piccola gaffe per Michelle Obama: la quasi-perfetta First Lady americana s'è infatti presentata a un evento benefico di Feeding America (che si batte contro la povertà in Usa) con il solito cardigan J.Crew, pantaloni sportivi e scarpe da tennis. Ma queste ultime, ha scoperto il Daily News Online, costano 540 dollari. Non solo: sono un modello della maison francese Lanvin, del tutto esaurite nelle boutique-chic degli Usa dove sono diventate un cult. «Sono solo scarpe», ha risposto Michelle notando i cronisti le fissavano i piedi. Esclusive Le scarpe firmate Lanvin indossate da Michelle Obama a un evento benefico (destra)

Torna all'inizio


Obama, un'altra donna alla Corte suprema (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - Che nel corso del suo mandato Obama potesse nominare uno o più giudici della Corte Suprema era prevedibile, ma nessuno si attendeva che accadesse così presto. Le dimissioni a sorpresa di David H. Souter aprono un nuovo scenario e offrono al presidente la possibilità di incidere subito sul più alto tribunale degli Stati Uniti. Probabilmente scegliendo una donna. Souter è un giudice di nomina repubblicana (lo aveva scelto Bush padre nel 1990) ma aveva ben presto deluso il Grand Old Party schierandosi sui temi più importanti (come l'aborto) con l'ala liberal della Corte. Una scelta di campo che nel dicembre 2000 lo portò a votare (in minoranza) contro la sentenza che assegnò la Casa Bianca a George W. Bush. Uno sgarbo, fatto al figlio di chi lo aveva nominato, che i conservatori non gli hanno mai perdonato. A 69 anni, con una carica che è a vita, Souter sembrava il meno indicato a farsi da parte. Si era ipotizzato un possibile ritiro di John Paul Stevens, il decano dei Supreme Justices liberal (ha 89 anni) o quello di Ruth Bader Ginsburg, l'unica donna della Corte Suprema, 76 anni e malata di cancro. Souter ha giocato d'anticipo. Nei circoli di Washington la sua insofferenza per la vita nella capitale era nota, agli amici aveva confessato l'autunno scorso che "se Obama vincerà sarò il primo a ritirarmi", ma anche la Casa Bianca è stata colta di sorpresa dalla sua decisione. A rendere ufficiali le dimissioni di Souter è stato lo stesso Obama venerdì pomeriggio. Con una mossa irrituale il presidente ha interrotto il briefing del suo portavoce Robert Gibbs con i giornalisti, annunciando di aver appena parlato al telefono con il giudice. OAS_RICH('Middle'); Lo ha ringraziato per il suo lavoro "imparziale e indipendente" e ha fatto l'identikit del successore: "Cercherò qualcuno che comprenda che la giustizia non è una teoria legale astratta, qualcuno con una mente intelligente e indipendente, che abbia avuto un percorso di eccellenza e integrità. Qualcuno che onori le nostre tradizioni costituzionali. Mi auguro che possa giurare in tempo per la sessione autunnale" (che inizia il primo ottobre). A Washington è scattato subito il toto-nomine, nella (quasi) certezza che il prescelto sarà una donna. Le favorite sono Sonia Sotomayor, giudice della corte di appello di New York, Diane Wood (che ha insegnato come Obama alla University of Chicago Law School), Elena Kagan (ex-rettore della Harvard Law School), la governatrice del Michigan Jennifer Granholm e Kathleen Sullivan, ex-rettore della Stanford Law School. I repubblicani affilano le armi per la prima grande battaglia "ideologica" della presidenza Obama. La Corte Suprema nei prossimi anni avrà di fronte scelte importanti (i matrimoni gay, l'aborto, il possesso d'armi, la pena di morte, la privacy su Internet) e anche se la maggioranza repubblicana (5 a 4) non è in discussione (salvo quando il moderato Kennedy si schiera con i liberal), il Gop tenterà di bloccare un giudice troppo progressista. (3 maggio 2009

Torna all'inizio


"La nostra ricchezza era illusoria" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK Il presidente degli Stati uniti preconizza una rifondazione economica del Paese basata su una maggiore regolamentazione dei mercati finanziari. In un’intervista con il New York Times di oggi, Barack Obama qualifica come «insostenibile» il modello di Borsa in vigore nell’ultimo decennio, ma si dice «ottimista» sulla ripresa economica, anche se «servirà del tempo» per riconquistare «fiducia e fede». «Ciò che credo cambierà, ciò che ritengo fosse un’aberrazione, era una situazione in cui i profitti corporativi del settore finanziario costituivano una parte così consistente della nostra redditività complessiva. Questo, credo, cambierà», spiega il presidente degli Stati uniti, aggiungendo: «È importante comprendere che parte della ricchezza generata nell’ultimo decennio per i benefici delle imprese era puramente illusoria». Obama spiega come gran parte del suo lavoro, adesso, sia proprio di «costruire un ponte sul vuoto esistente tra lo status quo e quello che dobbiamo fare per il nostro futuro». Per fare questo - ragiona Obama - «abbiamo bisogno di più talenti e più risorse da destinare ad altri settori dell’economia» che non siano quello finanziario. E il capo di stato americano auspica «un numero sempre maggiore di titoli di studio superiori, in particolare per specializzazioni come la matematica, le scienze, l’ingegneria». Poi il presidente rassicura i cittadini e lancia un messaggio improntato alla speranza: «Quando mi sveglio al mattino e quando vado a letto la sera sento che la direzione che abbiamo dato all’economia è quella giusta e che le decisioni adottate sono adeguate».

Torna all'inizio


Terrorismo, Cuba nella lista nera Fidel contro Obama: "Si vergogni" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 03-05-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON Cuba resta nella «lista nera» dei Paesi che gli Stati Uniti considerano sostenitori del terrorismo internazionale. Nonostante la mano tesa ai fratelli Castro (soprattutto a Raul), l’amministrazione Obama ha reso pubblica l’elenco in cui L’Avana si trova accanto a Siria, Iran e Sudan. Il Dipartimento di Stato riconosce i passi avanti fatti dal regime comunista anche in questo campo, come ad esempio quando si lamentò dei rapimenti di politici messi in atto dalle Farc colombiane, ma mantiene nel mirino le relazioni dell’Avana con l’Eta, le stesse Farc e con i membri di organizzazioni violente che agiscono sul suolo statunitense, come l’Esercito nero di liberazione. Anche se«da tempo sostiene attivamente» la lotta armata, si legge nel rapporto, «il governo cubano continua a fornire un rifugio sicuro ai diversi terroristi». La reazione de L'Avana è dura. Fidel Castro ha sostenuto che Obama dovrebbe «vergognarsi» della decisione, dopo i «50 anni di terrorismo orchestrati proprio da Washington» contro l’isola comunista. Il leader cubano, in un commento pubblicato oggi sul sito internet www.cubadebate.cu, ha scritto che gli Usa «si sono talmente invischiati nei propri crimini e menzogne che anche Obama non ha potuto liberarsi da questo groviglio. Un uomo di cui nessuno nega il talento dovrebbe vergognarsi di questo culto della menzogna».

Torna all'inizio


TORINESI IN GERMANIA (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Gian Enrico Rusconi TORINESI IN GERMANIA Un intenso fuoco di sbarramento accoglie a Berlino Sergio Marchionne, dopo l'inaspettato successo americano. L'uomo della Fiat. L'italiano che (come dicono i giornali) vuol dare la scalata alla Opel. Ma l'opposizione è forte. Gli sono contro sia le maestranze delle fabbriche sia il ministro dell'Economia, il cristiano-sociale zu Guttenberg. In realtà in queste ore è evidente una contrarietà generalizzata (anche se camuffata) alla Fiat piuttosto che il delinearsi di alternative realistiche. Naturalmente il «politicamente corretto» costringe a dire che non c'è «nulla contro gli italiani» come tali. Ma la situazione è ambigua. E la sfida per Marchionne è alta. Chi, come lo scrivente, non ha illusioni circa la «razionalità» del mercato, si chiede quanta influenza hanno nella vicenda Fiat-Opel i giudizi precostruiti, le idiosincrasie storicamente depositate - in una parola le «irrazionalità». Soprattutto quando è in gioco la politica con le sue ragioni molto particolari. Dichiaro subito la mia incompetenza tecnica nel merito economico della questione. Ma altrettanto schiettamente non nascondo la mia diffidenza verso chi giura di ragionare in termini strettamente tecnico-economici o seguendo un esclusivo interesse aziendale. A ciò si aggiunga il fatto che l'intera vicenda si sta sviluppando dentro un sistema di comunicazione giornalistico e mediatico in cui è impossibile distinguere le competenze tecniche dalle preferenze personali di tipo culturale o politico. È un sistema esposto a informazioni mirate o semplicemente al gusto del gossip esteso al mondo manageriale, in un momento in cui questo ha perduto la sua intoccabilità. Marchionne è tra quanti ritengono che il mondo degli affari e del management si debba muovere in una dimensione di rigorosa razionalità economica («eticamente responsabile», ovviamente - ma questo è un altro discorso). Nel contempo però deve tenere positivamente conto di fattori di natura diversa - politica innanzitutto. Così è stato per il caso Chrysler, così si configura per il caso Opel. In effetti l'uomo della Fiat incontra a Berlino due ministri politicamente importanti, non solo quello dell'Economia ma anche il ministro degli Esteri e candidato socialdemocratico alla cancelleria Frank-Walter Steinmeier (che è in diretta competizione con Angela Merkel) oltre ad altri politici e rappresentanti del sindacato. Non so quanto Marchionne conosca il mondo politico tedesco e la particolarissima congiuntura politica attuale in cui hanno luogo i suoi incontri odierni. La Germania è entrata in un clima pre-elettorale con prospettive molto incerte, mentre la posta in gioco - il destino della Opel e sullo sfondo quello dell'intero settore automobilistico - ha acquistato un peso reale e simbolico notevolissimo. Immagino che Marchionne e i suoi collaboratori colgano la profonda differenza di sostanza e di stile tra la politica americana, in cui il team Fiat si è mosso con grande perizia, e la politica tedesca, che è costruita in modo diverso e non è priva di diffidenze specifiche verso l'Italia. Con questa affermazione entriamo in un terreno minato, che suscita le proteste dei difensori d'ufficio dei buoni rapporti tra Italia e Germania. Chiariamo il punto critico. I ceti dirigenti tedeschi sono presi tra l'imbarazzo verso la politica italiana in generale e i comportamenti del presidente del Consiglio Berlusconi che non approvano, e la sorpresa per il dinamismo di alcuni settori economici, segnatamente della Fiat. Fanno fatica a trovare il giusto confine e rapporto tra le due Italie. Quando durante il telegiornale viene presentato il marchio Fiat che si sovrappone a quello della Opel, non si capisce a quale Italia si faccia riferimento. Soprattutto quando nel corso di sommari servizi si presenta un aggressivo pretendente italiano di fronte a una tranquilla combinazione austro-canadese affiancata da due partner russi, pronti a dare una mano alla soluzione. L'ambivalenza verso il pretendente italiano si fa ancora più evidente nel modo in cui vengono mescolati giudizi contrastanti: dubbi sulla solidità della tenuta dell'impresa Fiat e insieme timore che la sua capacità produttiva concorrenziale prevarichi sulla produzione Opel; paura di un vantaggio nazionale (italiano) e insieme sospetto di avventurismo finanziario; addirittura accusa di mirare semplicemente ai soldi statali ecc. Sullo sfondo c'è l'inatteso successo americano, con l'esplicita approvazione nientemeno che da parte del presidente Obama. Insomma, che cosa ci riservano ancora questi italiani?, si chiedono molti tedeschi, forse è meglio non fidarsi troppo di loro. L'«inaffidabilità» degli italiani agli occhi di molti tedeschi ha una lunga radicata tradizione. Ma è stata compensata e corretta anche da smentite grazie a una reciproca, sebbene spesso asimmetrica attenzione, che può riservare sorprese. Questa è la sfida per Marchionne a Berlino. Deve sgombrare il campo da tutti i sospetti precostituiti. Aprire un capitolo nuovo di una storia lunga, proprio nel campo della produzione e della identità automobilistica già carico di ambivalenze nel passato. Dalla competizione popolare tra Fiat e Volkswagen sino alla leggenda Ferrari-Schumacher, sullo sfondo della grande emigrazione che dal Meridione ha portato centinaia di migliaia di lavoratori nelle fabbriche automobilistiche del Nord (a Torino e a Wolfsburg, indifferentemente). Nel caso Fiat-Opel non si tratta di una semplice operazione economica, ma di qualcosa di più profondo. CONTINUA A PAGINA 29

Torna all'inizio


RITROVARE LA FIDUCIA DELLA GENTE (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Maurizio Molinari RITROVARE LA FIDUCIA DELLA GENTE La morte della tredicenne Behooshahr a Herat pone l'Italia di fronte alla sfida di applicare la dottrina Barack Obama in Afghanistan: dimostrare di saper proteggere i civili al punto tale da conquistarne i cuori come le menti per poter così accelerare la sconfitta dei taleban. Behooshahr è l'adolescente afghana uccisa da una pattuglia dei nostri soldati che hanno fatto fuoco sulla Toyota bianca dove si trovava dopo aver invano tentato di fermarla mentre procedeva ad alta velocità. E' una dinamica simile a quella che il 4 marzo 2005 portò una pattuglia di marines a fare fuoco a Baghdad sulla Toyota Corolla che trasportava l'ex ostaggio Giuliana Sgrena, uccidendo sul colpo l'agente del Sismi Nicola Calipari che l'aveva appena liberata. Adesso come allora i militari da cui sono partiti i colpi-killer affermano di aver correttamente applicato le regole di ingaggio previste per una zona di guerra, facendo fuoco nel timore che la vettura fosse un'auto-kamikaze destinata a mettere a segno un sanguinoso attentato. Nella Baghdad infestata da Al Qaeda di quattro anni fa come nella Herat minacciata oggi dai taleban i militari hanno il dovere di proteggersi per evitare di subire attacchi sanguinosi come quello di Nassiryah - dove l'Italia nel 2003 contò 19 vittime - ma l'attuale situazione strategica in Afghanistan suggerisce all'Italia di andare oltre la semplice ricostruzione della dinamica dell'incidente, la difesa dei propri soldati, la riaffermazione delle tecniche di ingaggio, la presentazione delle scuse a Kabul e il versamento di risarcimenti economici alla famiglia della giovane vittima. La differenza fra l'Afghanistan 2009 e l'Iraq 2005 sta nella dottrina militare applicata per vincere i duelli con i terroristi. La svolta avvenne nel 2006 quando il generale americano David Petraeus, designato da Bush alla guida delle truppe in Iraq, impostò la contro-guerriglia attorno alla priorità di proteggere i civili, di garantirgli migliori servizi e più in generale di accrescerne il tenore di vita. Questo approccio ha consentito di ottenere una consistente riduzione delle violenze in Iraq e Barack Obama, divenuto presidente, l'ha rilanciata sul fronte afghano affidando proprio a Petraeus, divenuto capo delle truppe in tutto il Medio Oriente, il compito di conquistare "i cuori e le menti" degli afghani al fine di fare terra bruciata attorno ai taleban alleati di Al Qaeda. Durante il recente vertice Nato di Strasburgo-Kehl, Obama ha elevato tale approccio a livello di strategia di lungo termine, facendo capire che la Nato riuscirà a piegare i taleban e consolidare la giovane democrazia afghana solo riuscendo a dare più sicurezza, fisica e economica, ai civili. L'uccisione di Behnooshahr obbliga dunque l'Italia a trasformare in fatti concreti la dottrina Obama. La sfida per i nostri comandi a Herat è di rispondere alla tragedia avvenuta adottando rimedi che aumentino la protezione dei civili senza per questo abbassare la guardia nei confronti della perdurante minaccia jihadista. Dovranno essere rimedi talmente visibili e consistenti da essere percepiti da chiunque vive nella provincia di Herat. Più in fretta ciò avverrà, più fiducia le nostre truppe guadagneranno fra gli afghani, più sarà difficile per i talebani trovare rifornimenti e sostegni. CONTINUA A PAGINA 7

Torna all'inizio


Fidel: "Obama, vergognati" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Il piccolo disgelo GIÀ A RISCHIO LA RIPRESA DEI RAPPORTI TRA L'ISOLA E IL SUO GRANDE VICINO L'illusione dei passi avanti Per Castro, l'America ha «il culto della bugia e nemmeno Barack riesce a liberarsene» Fidel: "Obama, vergognati" 19 aprile Obama: molti errori Al Summit delle Americhe Obama ammette che la politica americana negli ultimi cinquant'anni nei confronti di Cuba «non ha funzionato». 23 aprile «Stop all'embargo» Il Senato Usa vota all'unanimità la mozione bipartisan che chiede il superamento dell'embargo economico e finanziario emesso 50 anni fa contro Cuba. 27 aprile Prove di dialogo A Washington si incontrano un funzionario del Dipartimento di Stato e un diplomatico cubano per esplorare argomenti di comune interesse, dall'immigrazione al traffico di droga. [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK E' di nuovo gelo tra Washington e l'Avana dopo la decisione del dipartimento di Stato americano di mantenere Cuba nella lista dei Paesi che sostengono il terrorismo. Una decisione giunta a sorpresa dopo i timidi segnali di distensione nel corso del vertice delle Americhe a Trinidad, e che ha fatto andare su tutte le furie Fidel Castro. Gli Stati Uniti «sono talmente impregnati della loro natura criminosa e bugiarda che anche Barack Obama non riesce a liberarsene. Un uomo di cui nessuno nega il talento dovrebbe vergognarsi di questo culto della menzogna». Il lider maximo parla in occasione della festa del primo maggio attraverso il sito cubadebate.cu, con un commento dal titolo: «Riflessioni del compagno Fidel: Cuba un Paese terrorista?». Il riferimento è al rapporto aggiornato come ogni anno da Foggy Bottom, nel quale vengono individuati i Paesi sponsor del terrorismo. Il dipartimento guidato da Hillary Clinton ha iscritto nella lista nera i soliti Iran, Siria e Sudan confermando anche l'isola caraibica. Una decisione che ha colto di sorpresa non solo l'Avana ma anche molti in America, specie dopo «il nuovo inizio» di cui aveva parlato il presidente Usa a Port of Spain riferendosi alla nuova era di relazione tra Usa, Cuba e America Latina. Secondo il lider maximo, Obama dovrebbe «vergognarsi» di tenere l'isola nella lista nera specie alla luce dei «cinquanta anni di terrorismo» attuato da Washington nei confronti del suo governo. Il riferimento è all'embargo e alle sanzioni economiche che mettono a dura prova da anni la popolazione dell'isola. L'impressione durante i lavori di Trinidad del resto era di andare verso una revoca in tempi brevi, anche se il consigliere economico della Casa Bianca, Larry Summers, aveva frenato dicendo che la fine dell'embargo «é lontana», e che molto «dipenderà da cosa farà Cuba». E' chiaro secondo Castro, 82 anni, che il perdono americano è sottoposto alla condizione che «l'Avana si pieghi al ruolo di schiava» dell'America. «Dopo aver ottenuto la libertà vogliono costringerci a stare al loro gioco e inchinarci al cospetto di Washington, ma sappiano che non ci arrenderemo mai», prosegue il leader comunista, che due anni fa ha passato i poteri al fratello Raul. La decisione di includere Cuba nella lista nera è stata motivata dal fatto che il regime castrista «continua a offrire rifugio a diversi terroristi, anche se non li sostiene più in maniera attiva». Il riferimento è all'ospitalità ad alcuni separatisti baschi dell'Eta, a membri del gruppo colombiano Eln, così come a esponenti delle Farc, le cui attività sono ancora «pubblicamente sostenute» da Raul Castro. Anche se, come nota lo stesso rapporto di Foggy Bottom, lo scorso 6 luglio l'ex presidente Fidel Castro aveva chiesto alle Farc di liberare gli ostaggi senza porre condizioni, condannandole per tenere prigionieri rappresentanti politici che «nulla hanno a che fare con la lotta armata». Sono gli Usa i veri «criminali internazionali» sferza il ministro degli Esteri dell'Avana, Bruno Rodriguez, che accusa l'America di «aver dato rifugio» a Luis Posada Carriles, ex agente della Cia coinvolto nell'attentato all'aereo cubano del 1976 dove morirono 73 persone. Arrestato negli Usa nel 2005 per reati legati alla violazione delle leggi sull'immigrazione, è stato rilasciato nel maggio 2007 da un giudice federale del Texas che ha fatto cadere tutte le incriminazioni. Sulla vicenda si è pronunciato anche Raul Castro spiegando che Cuba non farà alcun gesto di apertura solo per accontentare gli Usa, pur lasciando la porta aperta al dialogo. «Non siamo noi che impediamo ai nostri cittadini di fare affari con gli Usa. Non siamo noi che puniamo le nostre banche se fanno transazioni finanziarie con quelle americane. Non siamo noi che abbiamo una base militare a casa loro. Sono quindi loro a dover fare il primo passo».

Torna all'inizio


Parlamento Ue i voti di quelli che ci riprovano (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Inchiesta PREMIO «STAKANOV» DONNE AL TOP MARCO ZATTERIN La cantante Iva Zanicchi si è esibita in aula una volta sola in dodici mesi. Con un discorso sulla «Strategia di Lisbona» Il record 368 interventi per Mario Mauro (Pdl), primo italiano che potrebbe diventare presidente dell'Europarlamento Parlamento Ue i voti di quelli che ci riprovano Grandi ex e carneadi, ecco le pagelle dell'Europa Presenze assidue per il leghista Mario Borghezio e il socialista Gianni Pittella Tra le migliori Roberta Angelilli e Cristiana Muscardini, entrambe di An. E la verde Monica Frassoni CORRISPONDENTE DA BRUXELLES Iva Zanicchi si è esibita in aula una volta sola in dodici mesi. Non cantava. Recitava, piuttosto, un testo in politichese in cui parlava della Strategia di Lisbona come della «linea guida per un proficuo e inarrestabile processo di integrazione, modernizzazione e sviluppo di questa nostra casa comune». Era il 2 settembre 2008 e da allora all'Europarlamento s'è vista solo nel backstage, in genere dietro occhiali da sole grandi e retrò. A un periodico ha detto che magari non si sarebbe ricandidata perchè facendo serate guadagna di più. Ci ha ripensato: il 7 giugno sarà in lista (al fondo, però) per tentare di tornare in Europa «senza amore». E' un caso piuttosto isolato. Gli eurodeputati sono una categoria che gode di visibilità ridotta e, alla lunga, inseguono una vocazione piuttosto che una necessità. Certo a Strasburgo transitano pattuglie di trombati di lusso e «grandi ex», ma si tratta di una minoranza. I più lavorano duro mentre la penisola si dimentica di loro. «Cinque anni quassù tagliano i ponti con l'Italia» ammette Luigi Cocilovo (pd), vicepresidente che ha scelto di tornare a casa. Vero, sopratutto a sinistra. Lo dimostra il fatto che uno solo dei cinque capilista del Pd è un parlamentare uscente (Luigi Berlinguer) e due protagonisti della legislatura che si chiude, Paolo Costa e Guido Sacconi, sono stati congedati. Nel Pdl, invece, se non ci fosse Berlusconi, i deputati in carica ai piani alti sarebbero quattro. Nel complesso si ricandidano in una cinquantina su 78 in carica, quasi tutti maratoneti delle europrocedure. Tre esempi al femminile, per cominciare. Come Roberta Angelilli, pasionaria di An, paladina dei deboli, grafomane di scuola An che ha messo la firma su 582 interrogazioni in cinque anni. O la storica esponente della destra a Bruxelles, Cristiana Muscardini, plurirelatrice il cui nome appare in calce a 418 questioni sollevate davanti alle istituzioni Ue. O a Monica Frassoni, copresidente dei verdi, oratrice dai settanta discorsi che ha strapazzato Gordon Brown per l'europeismo «solo di facciata». Berlusconi ha puntato parecchio sugli uscenti, sopratutto su Mario Mauro da San Giovanni Rotondo, di dieci giorni più vecchio di Obama, vicepresidente candidato alla presidenza, primo italiano che potrebbe farcela da trent'anni. E' un supercattolico che crede anche in Facebook e vanta 368 interventi in aula, record nazionale. Guida la classifica degli attivi, più numerosi di quanto la loro celebrità relativa lasci immaginare. In corsa per un Premio Assiduità il leghista Borghezio, mite di persona e furia antislamica su carta, immancabile come il numero uno degli italiani del gruppo socialista Pittella, avanguardia del centrosinistra con Fava e Cappato. Non sorprenderà che il loro flusso di email ai giornalisti è al limite dello spam. Sempre presenti, e si vedono, il presidente della Commissione giuridica Gargani (Forza Italia), i LibDem Prodi, Toia e Susta, l'astronauta comunista Guidoni, i rifondaroli Musacchio e Catania, tutti parlamentari impegnati per opere, comunicati, e missioni. Nei corridoi dicono che Francesco Ferrari (pd, 10 interventi in 19 mesi), scuola Coldiretti, è «inchiodato alla poltrona pure se non c'è sessione». Lo stesso per il capogruppo Pdl, Francesco Zappalà, celeberrimo su Youtube per avere negato fra i fischi in ventitre lingue che il premier possieda delle televisioni. I confronti sono difficili, meno della metà dei nostri deputati ha fatto tutta la legislatura. Però colpisce che Eleonora Gardini sia intervenuta una sola volta in aula in dodici mesi - sullo «Scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra» -, un discorso tecnico in cui è comunque riuscita a parlar bene di Berlusconi. Deve essere l'influenza dell'ex sindaco meneghino Albertini, con vanta appena undici discorsi in cinque anni, neanche uno memorabile come quelli del suo alias Teo Teocoli: il voto imminente lo ha smosso e convinto ad una interrogazione sul futuro degli slot Alitalia a Malpensa. Guarda caso. Dietro, staccati, sono quelli che la parola non l'hanno mai presa. Il forzista Aldo Patriciello (24 le interrogazioni, molte sul natio Molise), inquisito, uno dei pochi a cui hanno tolto l'immunità parlamentare. E il golden boy di Italia-Germania 4 a 3, Gianni Rivera (Udc), zero interventi, zero interrogazioni, non aiutato dall'essere un «non iscritto», il gruppo di chi non ha un gruppo. Sono soli sul fondo classifica. Dove, se fosse restato, sarebbero in compagnia di Umberto Bossi che, in tre anni, non mai fatto sentire la sua roca voce in aula ai colleghi europei.

Torna all'inizio


La filiale tedesca di Detroit azzoppata dalla crisi Usa (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

I PROBLEMI APERTI IL BRAND DI ADAM OPEL La storia In fuga dagli States Il sito Chrysler Produzione in eccesso del 30% Serve denaro fresco previsti tagli per 3.500 posti Rappresenta l'80% del venduto di Gm nel Vecchio Continente Saab e Chevrolet in affanno PIERO BIANCO La filiale tedesca di Detroit azzoppata dalla crisi Usa «Un'azienda nuova» TORINO Yes we can, even without Gm». Era fine febbraio e migliaia di dipendenti della fabbrica di Rüsselsheim inscenarono una clamorosa rivolta contro la casa madre. Grido di battaglia, una parodia dello slogan elettorale di Obama: sì, possiamo farcela. Ma con l'aggiunta di una sfida emblematica: anche senza General Motors. Per la prima volta, i lavoratori della Opel comunicarono al mondo la volontà di svincolarsi, dopo ottant'anni, dall'abbraccio mortale di Detroit. «Free Opel», urlavano inferociti in risposta al piano di ristrutturazione annunciato dall'America: almeno 3.500 tagli e la possibile chiusura - o comunque il drastico ridimensionamento - di tre stabilimenti (Bochum ed Eisenach in Germania, più un terzo non indicato fuori dai confini tedeschi). «Opel ha un eccesso di capacità produttiva del 30% - spiegò il responsabile di Gm Europe, Carl-Peter Forster -. Mancano 3,3 miliardi e oltre agli esuberi saranno necessarie riduzioni salariali». L'allarme dei dipendenti si propagò a macchia d'olio agli altri siti continentali e lo stato di mobilitazione continua, in attesa che si decida il futuro. In realtà il marchio tedesco fondato nel 1862 da Adam Opel per costruire biciclette, e convertito all'auto nel 1898 dai suoi eredi, è stato fortemente penalizzato nell'ultimo decennio dalla crisi di liquidità (e di identità) del padrone americano, che lo aveva acquisito nel 1929 e lo ha sempre considerato come un prezioso bancomat per far cassa nel Vecchio Continente, oltre che un vettore per esportare le (poche) Chevrolet a stelle e strisce, emblema dell'ex impero. Anche in occasione del precedente gemellaggio con il Lingotto, Opel imputò a Gm di averne «frenato» le possibili risorse di espansione industriale per eccesso di burocrazia e scarsa «elasticità mentale». Da soli, hanno sempre pensato i dipendenti (e pure molti manager tedeschi) adesso non saremmo in queste condizioni, all'asta e con il rischio permanente di insolvenza. Proprio per questo i sindacati temono, ignorandone i possibili benefici, risvolti negativi dalla nuova eventuale alleanza: che partirebbe evidentemente da presupposti ben diversi rispetto al tormentato passato. Il brand Opel (con la sua divisione britannica Vauxhall) rappresenta oggi più dell'80% delle vendite europee per General Motors, mentre Saab è una palla al piede (64.916 unità consegnate lo scorso anno, -22,7%) e anche Chevrolet registra una penetrazione limitata (181.317 consegne, soprattutto per merito della citycar economica Matiz). Pur avendo accusato a sua volta una flessione del 14% (contro il calo medio del 7,8%), Opel ha comunque piazzato nel 2008 sul mercato continentale 1.155.422 vetture totalizzando il 7,85% di quota. Non proprio un trionfo, tuttavia il successo della nuova medio-grande Insignia, eletta Auto dell'Anno 2009 e già richiestissima, promette un futuro migliore (in attesa della prossima generazione Astra). È un modello di indubbio successo, per produrla da maggio nello stabilimento di Rüsselsheim si lavorerà anche al sabato. Opel (denominazione ufficiale Adam Opel GmbH) è dal 2005 una società a responsabilità limitata con circa 26 mila dipendenti, lo scorso anno ha fatturato 26,4 miliardi. Dei 9 siti produttivi, 4 sono in Germania: oltre alla sede di Rüsselsheim, i tre grandi impianti di Bochum (per Zafira e Astra), Eisenach (Corsa) e Kaiserslautern (motori e componentistica). A Saragozza (Spagna, capacità di 490.000 veicoli l'anno) vengono assemblate in prevalenza Corsa e Meriva; a Gliwice (Polonia, 190.000 vetture) soprattutto Agila, Astra e Zafira; ad Anversa (Belgio) nascono 200.000 Astra; a Ellesmere Port (Gran Bretagna) 130.000 Astra marchiate Vauxhall. Inoltre il 7 novembre scorso è stato inaugurato il sito di San Pietroburgo con l'obiettivo di 170.000 veicoli Opel e Chevrolet per il mercato russo. Parallelamente operano impianti di componentistica e assemblaggio delle filiali e delle joint-venture extra eropee, ad esempio quelle in Turchia (Opel Turkiye) e in Sud Corea dove viene realizzato il Suv Antara. Come Fiat, Opel è un costruttore «generalista», cioè impegnato in ogni segmento di mercato con prevalenza storica nelle piccole e nelle medie, comprese berline a larga diffusione come la Vectra (ora sostituita dall'Insignia). Le sinergie industriali con il Lingotto garantirebbero vantaggi comuni: non solo la composizione di un maxi-gruppo in grado di competere con gli altri colossi, ma anche la possibilità di ridurre notevolmente i costi adottando piattaforme e componenti comuni. Senza snaturare, ovviamente, l'identità dei singoli marchi, patrimonio a cui i tedeschi tengono particolarmente. Quando Georg von Opel, ultimo rampollo della dinastia, a 17 anni consegnò la Opel agli americani, incassò l'equivalente di 20 milioni di lire. Non immaginando che un giorno lontano quell'affare sarebbe diventato un cappio al collo. «Stiamo costruendo una nuova casa automobilistica». Con questa frase in questi giorni il sito ufficiale di Chrysler saluta i suoi visitatori. Sotto, un link all'intesa siglata il 30 aprile con Fiat: porta al testo con cui il Ceo Chrysler Bob Nardelli ha comunicato l'operazione negli Stati Uniti.

Torna all'inizio


il regista: "dal vaticano quanti ostacoli per i nostri set" - maria pia fusco roma (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 34 - Spettacoli Il regista: "Dal Vaticano quanti ostacoli per i nostri set" Anteprima mondiale del nuovo thriller tratto dal romanzo di Dan Brown che uscirà il 13 maggio Già presentato un esposto contro il film. Ma Ron Howard e Tom Hanks lo difendono MARIA PIA FUSCO ROMA Chiunque tema di sentirsi offeso da Angeli e demoni non vada a vederlo. Anche per me ci sono film offensivi, non vedo le storie di tortura come la serie "Saw"». è la reazione di Tom Hanks alle proteste di personalità cattoliche, tra le quali il vescovo di Potenza Antonio Rosario Mennone, anni 103, contro il film di Ron Howard dal bestseller di Dan Brown, presentato ieri a Roma in prima mondiale alla stampa internazionale. La Sony, che distribuisce Angeli e demoni - in Italia dal 13 maggio in 800 copie e nel resto del mondo dal 15 - ha scelto Roma per l´evento perché il film è stato girato qui. Almeno in parte, visto che, ricorda Ron Howard, «dopo i primi giorni di riprese ci hanno negato molte location. Non mi aspettavo una collaborazione né di girare nelle chiese o nella Cappella Sistina, ma non credevo che l´influenza del Vaticano fosse così forte da impedirci di girare anche in luoghi esterni. Abbiamo risolto altrimenti, la frustrazione è che volevamo mostrare il film ad alcuni prelati, ma non hanno accettato. Lo criticano senza averlo visto». Del resto, secondo il regista, «Angeli e demoni non è anticattolico, è solo un thriller pieno d´azione e di tensione. è la prima volta che faccio un sequel, ma non potevo rifiutare un film in cui si intreccia l´antimateria con l´elezione di un Papa. Il Codice da Vinci era più fedele al libro, aveva un ritmo più pacato e il tema era più provocatorio nei confronti della Chiesa. Però quando parlo con i preti off records tutti ammettono che né il libro né il film hanno influito sulla fede dei credenti». Se pure San Pietro e quasi tutti gli interni sono stati ricostruiti a Hollywood, Roma in Angeli e demoni c´è, anzi il film è un grandioso spot per la città, dove il professor Robert Langdon (Hanks) è chiamato ad interpretare i segni dell´antica setta degli Illuminati, che hanno rapito i quattro cardinali papabili e minacciano la distruzione della città con l´antimateria rubata al Cern in Svizzera. Nel cast internazionale ci sono l´israeliana Ayelet Zurer (un scienziata), l´inglese Ewan McGregor (il Camerlengo), lo svedese Stellan Skarsgaard (capo della guardia svizzera), il tedesco Armin Mueller-Stahl (cardinale). Per l´Italia, oltre al prelato interpretato da Cosimo Fusco, c´è Pierfrancesco Favino, l´ispettore Olivetti che accompagna Langdon nella frenetica ricerca di risolvere il mistero dei segni. Tom Hanks conosceva Roma da turista, «ma stavolta ci sono rimasto quattro mesi e, girando tra chiese e monumenti, ho capito il potere del Vaticano, che non è solo una città di governo, ma una corporazione multinazionale con tanto di business, una specie di Toshiba». L´attore capisce «il fascino del mistero della Chiesa, della ritualità del Concilio, dei costumi dei cardinali. Ogni categoria ha i suoi costumi, a Washington i politici si vestono tutti nello stesso modo. E quando lavoravo come bell-boy dovevo portare la giacca uguale a quella degli altri ragazzi». Figlio di «genitori che hanno divorziato più volte, ho vissuto in famiglie di varie religioni, tutte con la certezza assoluta della verità: per questo non riesco ad affidarmi a nessuna. Ma rispetto chi crede, mia moglie è greco-ortodossa e i miei due figli sono battezzati», dice l´attore. Che è anche regista e produttore. «Non volevo stare alla mercè del telefono in attesa di un ruolo e ho cominciato a scrivere storie e sviluppare progetti. Adesso non sono più un uomo da affittare, ho una mia attività creativa». Attore da Oscar, Tom Hanks è anche una persona simpatica, ironica, generosa, lodato oltre che da Howard - «Con lui c´è un legame di complicità, da compagni di stanza al college» - da tutti quelli del cast. Senza difetti? «Da bambino rubavo la marmellata, finché mi hanno scoperto. A parte gli scherzi, non sono perfetto, è solo che evito di dire verità sgradevoli. E mi diverto a rispettare le regole: nel lavoro e nella vita». Le regole sono quelle di un democratico, convinto sostenitore di Obama. «I suoi cento giorni di governo sono niente rispetto ai problemi da risolvere. I presidenti in genere arrivano alla Casa Bianca e cominciano a realizzare il loro programma, nessuno si è trovato come Obama, costretto ad occuparsi di tante crisi dolorose e difficili. Per giudicare Obama e il suo programma dobbiamo aspettare».

Torna all'inizio


lo spin-off fiat, applausi e dubbi - gino li veli (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina I - Torino Airaudo: "Mossa forse troppo azzardata per un cacciatore di piccola taglia". Chiamparino: "Giudizi prematuri" Lo spin-off Fiat, applausi e dubbi Carbonato: "Il direttore d´orchestra del nuovo gruppo è a Torino" GINO LI VELI Mentre la città ancora discute l´accordo con Chrysler e il Tg regionale rimanda le immagini di Marchionne che rientra a Caselle dall´America con due borse di plastica piene di sigarette e i complimenti di Obama, al Lingotto scatta l´operazione spin-off. Il comunicato stampa che esce nel tardo pomeriggio da via Nizza è molto più prudente («il Gruppo potrebbe valutare varie operazioni societarie, compreso lo spin-off di Fiat Group Automobiles in una società quotata che n unisca le attività con quelle di General Motors Europe»), ma la sostanza non cambia: Fiat Auto si staccherà dalle altre "sorelle" a cominciare da Iveco e Cnh. E così Torino si trova a discutere su questa nuova mossa di Marchionne, condivisa da John Elkann e Luca Cordero di Montezemolo: porterà vantaggi oppure la città perderà il quartier generale della nuova società? Il più ottimista è Gianfranco Carbonato, presidente dell´Unione industriale: «I dettagli dell´operazione non li conosco, ma era nell´aria. Si sapeva che l´accordo con Chrysler non sarebbe stato l´ultimo». SEGUE A PAGINA III

Torna all'inizio


"così si consolida il settore auto ma su iveco e cnh c'è un'ombra" - (segue dalla prima pagina) pier paolo luciano (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina III - Torino Torino Il sociologo Gallino e lo scorporo della holding: "La partita con Opel resta comunque tutta da giocare" "Così si consolida il settore auto ma su Iveco e Cnh c´è un´ombra" Il marchio della città ne guadagnerà: sarà più facile attrarre imprese dall´estero dopo queste operazioni (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) PIER PAOLO LUCIANO (segue dalla prima di cronaca) Professore, lo spin-off tante volte auspicato dalla Borsa sta per concretizzarsi, Fiat auto si staccherà dal resto del gruppo per dare vita al secondo colosso mondiale del settore con Chrysler e Opel. Un´operazione positiva per Torino? «Sicuramente la mossa consolida il futuro dell´auto anche se aspetterei a dare già per chiusa la partita con Opel. Senza dubbio l´operazione può essere vista come una mano tesa ai tedeschi, ma credo che la trattativa sarà tutt´altro che facile. Non dimentichiamoci che nella nuova società dovrebbero incontrarsi e scontrarsi culture industriali diverse e i precedenti - penso al matrimonio fallito proprio tra Daimler e Chrysler - non inducono affatto all´ottimismo. Questa operazione è qualcosa di diverso dall´accordo con Chrysler». Quali effetti avrà sull´indotto? «Questo è uno dei fronti che sicuramente si aprirà: oggi come oggi i due terzi di Opel e Fiat sono prodotti altrove, tanto che gli stabilimenti dei due gruppi possono essere immaginati come grandi fabbriche di Lego dove vengono assemblati pezzi prodotti altrove. A fornire Opel è l´austro-canadese Magna, in assoluto uno dei primi gruppi a livello mondiale della componentistica. Chiaro che i rapporti con un simile gigante dell´automotive comporterà un ridisegno di tutta la fornitura per la nuova società». Ci saranno benefici per l´occupazione? «Lo spin-off credo che sotto questo punto di vista regali più incognite che certezze. Penso innanzitutto ad alcuni stabilimenti italiani come Termini Imerese e Pomigliano già oggi poco competitivi». E Torino si avvantaggerà da questa operazione? «In un´epoca in cui i brand sono importantissimi il marchio Torino sta acquisendo una notorietà non indifferente sul mercato internazionale. Già l´operazione Chrysler ha portato alla città un guadagno sotto il profilo del brand. L´accordo voluto da Obama ci ha innalzati agli onori del mondo. E questo non può che avere effetti positivi sotto l´aspetto dell´attrazione. Oggi c´è più gente in giro per il mondo che sa che a Torino non solo esiste Fiat, ma ci sono certe competenze, determinate tecnologie che ne fanno una delle capitali dell´auto». Quali effetti avrà lo spin-off sulle altre società del gruppo, in particolare quelle del settore veicoli, come Iveco e Cnh? «Questa è al momento l´incognita più grossa. L´auto si consolida, ma cosa succederà agli altri pezzi della holding? Non è una questione da poco soprattutto sotto il profilo occupazionale, considerato quanta gente lavora tra Torino e provincia negli stabilimenti dell´Iveco e della Cnh». Dunque per Marchionne una nuova grande sfida? «Sicuramente sì. D´altronde non è un´impresa da poco riuscire a far convivere e cooperare tre diverse culture industriali come quelle che si incontreranno nella nuova società automobilistica. Una partita davvero tutta da giocare».

Torna all'inizio


fiat, divisi sulla mossa spin-off - (segue dalla prima pagina) gino li veli (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina III - Torino Fiat, divisi sulla mossa spin-off Carbonato: va nella direzione giusta, Airaudo: un azzardo Il sindaco: un asso in più per Marchionne, però aspettiamo a dare giudizi definitivi (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) GINO LI VELI «D´altronde - aggiunge Carbonato - c´è un progetto preciso, che punta a raggiungere una dimensione considerata ottimale per un player mondiale. Chiaro che in questo quadro si va verso un assetto più internazionale di Fiat. Le grandi manovre sono in corso. Credo che di positivo per Torino ci sia il fatto che abbiamo saldamente in mano la bacchetta della direzione dell´orchestra. In altre parole, stavolta Torino ha un ruolo attivo. Non è poco, per il resto viviamo alla giornata». Il più pessimista è Giorgio Airaudo, segretario della Fiom: «Tecnicamente la società si era preparata a questo passo da tempo, per la precisione da quel lontano 2002 quando si pensava che l´auto potesse finire a Gm. Un secolo fa se confrontato con la realtà attuale. Oggi la Fiat da preda si è trasformata in cacciatore. Un cacciatore però di piccola taglia. Ecco perché mi sorge il dubbio che si stia un po´ esagerando. La Fiat è esposta sul terreno dei debiti come dimostra il rafforzamento della linea dei crediti. Quindi questa mossa può apparire azzardata, soprattutto perché già Chrysler rappresenta una sfida impegnativa. Ma con Opel significa mettersi insieme a un´azienda che non ha più operatività, è decotta e soprattutto rappresenta uno spauracchio non indifferente per gli stabilimenti italiani». E così Airaudo rilancia ciò che ha chiesto anche Nanni Tosco, segretario della Cisl, dal palco del Primo Maggio: che si apra un negoziato sul futuro del gruppo, ancora più urgente alla luce del via libera allo spin-off. Airaudo la spiega così: «La Fiat non andrebbe lasciata sola, anzi non va lasciata sola. Serve che il governo la affianchi e la indirizzi anche. Proprio come sta facendo Obama negli States, dove ha trovato una missione per l´auto del futuro. Qui invece nessuno parla di politica del prodotto. Così non si può stare certo tranquilli: perché l´operazione che Marchionne si prepara a realizzare avrà come primo effetto una supercapacità produttiva considerati anche i nove stabilimenti dell´Opel. Che pensa di fare?». Tra i sindacati torna l´incubo sul futuro delle fabbriche italiane: da Termini Imerese a Pomigliano, a Cassino. Neanche Mirafiori appare così sicura nonostante le parole di Marchionne, meno di un mese fa. Ancora Airaudo: «In autunno uscirà di produzione la vecchia Punto, non c´è a Torino un altro modello che garantisca una così alta produzione giornaliera. E i modelli che rimangono, a parte la Mito, sono tutti un po´ vecchiotti. Con cosa Marchionne pensa di sostituire la Punto per garantire occupazione a Mirafiori?». Il più prudente è il sindaco Sergio Chiamparino: «Da quel che capisco dalla lettura del comunicato, non mi sembra una notizia negativa, anzi. Si sta andando nelle direzione di un potenziamento delle alleanze in cui la Fiat ha un ruolo da protagonista, da aggregatore. Ma è assolutamente prematuro avventurarsi in giudizi e valutazioni. Bisognerà esaminare i termini esatti dell´operazione e capire i riflessi per il ruolo di Torino. Quello che è stato deciso ieri è certamente un´opportunità in più per Marchione nella trattativa da avviare con Opel».

Torna all'inizio


il tabù della guerra nell'inferno di kabul - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 16 - Esteri IL TABù DELLA GUERRA NELL´INFERNO DI KABUL Spesso ci preoccupiamo più di come travestire le missioni militari che di definirne scopi e strumenti (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) I NOSTRI MILITARI - in circostanze che vorremmo subito chiarite - hanno ucciso per errore una bambina di tredici anni. In Afghanistan stiamo facendo la guerra, appunto. Una guerra che rischiamo di perdere, insieme agli americani e agli altri alleati. Ma in cui abbiamo già perso la faccia, non avendo il coraggio di chiamare guerra la guerra. E di spiegare perché ne siamo parte, in vista di quali obiettivi. Proviamo a ricordarlo. L´Italia è in Afghanistan per gli Stati Uniti. Punto. Vogliamo dimostrare al nostro maggiore alleato di essere un partner affidabile in un teatro in cui gli americani si giocano la reputazione di potenza leader nel mondo. In questa campagna si gioca, secondo l´interpretazione corrente nelle cancellerie occidentali, il destino stesso della Nato, che non reggerebbe alla sconfitta. E senza Nato ci troveremmo in una terra di nessuno quanto a sicurezza nazionale e rango internazionale. Per questo partecipiamo alla missione atlantica Isaf, che originariamente poteva parere una missione di pacificazione e stabilizzazione postbellica. Poco costosa e poco pericolosa. Ma da parecchio tempo - quali che siano le intenzioni nostre e degli altri partecipanti - questa missione atlantica è di fatto inglobata nella guerra contro i taliban a guida angloamericana. Immaginare che si possa ritagliare per noi stessi o per chiunque altro uno spazio illibato in tale carnaio, significa giocare con la vita dei soldati nostri e alleati, oltre che con quella dei civili afgani. Basti ricordare che lo scorso anno, su 2.200 afgani non combattenti uccisi, il 40% circa sono stati vittime delle forze internazionali o di quelle di Kabul, da noi addestrate. Con ciò contribuendo a screditare lo pseudo-governo Karzai, raro esempio di inefficienza e corruzione, e favorendo il reclutamento di ribelli locali, come di terroristi che un giorno potrebbero colpirci a casa nostra. C´è un rapporto diretto fra aumento delle vittime civili e avanzata talibana. Una progressione evidente anche nel settore occidentale, in cui è incardinato il grosso delle truppe italiane (2.350 uomini in tutto). Negli ultimi mesi l´importanza strategica della guerra contro i taliban è cresciuta di molto. Obama ne ha fatto il fronte centrale dello sforzo bellico americano. Associandovi il Pakistan, che una frontiera inesistente divide dall´Afghanistan. Ecco l´«Afpak». Buco nero in cui convivono jihadismo ascendente e pallidissimi poteri formali, bombe atomiche (pachistane) e contenziosi territoriali irrisolti, forse irresolubili. Di qui, secondo l´intelligence Usa, potrebbe un giorno partire il segnale per un altro 11 settembre. Stavolta con armi di distruzione di massa. Per conseguenza, Obama sta spostando una quota del contingente Usa in Iraq verso il fronte afgano-pachistano. Il rischio di cadere fra due sedie, perdendo posizioni in Mesopotamia senza conquistarne nell´Hindukush, è forte. Così come la consapevolezza che una vittoria militare è impossibile. E che qualche rabberciato, provvisorio compromesso con questo o quel tagliagole - non certo l´Afghanistan para-occidentale di cui si delirava un tempo, né il Pakistan liberaldemocratico evocato dalla propaganda - è il massimo cui possiamo aspirare. Intanto gli americani chiedono a noi europei, italiani inclusi, più soldi e più soldati per l´Afghanistan. Ma quando Obama è venuto a dircelo, il mese scorso, non ha ottenuto che vaghe promesse. Poco più di nulla. Se l´«Afpak» è davvero la prova della persistenza in vita dell´alleanza occidentale, siamo fritti. Sul terreno, poi, l´alleanza si è divisa in due tronconi, con relativi sottogruppi. Quelli che combattono in prima linea senza limitazioni di brutalità, a cominciare da americani, canadesi e britannici; e quelli che cercano di non farlo, in ossequio all´interpretazione più restrittiva della missione Nato e di ogni sorta di caveat. Tra cui noi, o almeno la gran parte del nostro contingente Isaf. Con ciò attirandoci qualche sarcasmo da parte degli alleati angloamericani, i quali pensavamo di compiacere spingendoci fin lì. E persino le recriminazioni di europei più disposti al rischio, come i danesi. Insomma, noi fra due sedie ci siamo finiti da un pezzo. Per eccesso di furbizia. L´Italia è un paese sovrano che può decidere se combattere o meno una guerra, dopo averne discusso come si conviene in democrazia. Ma quando mandiamo nostri soldati al fronte, spesso ci preoccupiamo più di come travestire la missione che di definirne scopi e strumenti. Così ci capita di attaccare un paese - la Jugoslavia - spacciando una campagna di bombardamenti aerei come «difesa integrata», oppure di trovarci coinvolti nella guerra che gli Stati Uniti considerano decisiva senza trovare la forza di comunicarlo a noi stessi. Pare che a Herat, ieri, la pioggia fosse talmente fitta da ridurre al minimo la visibilità. Ma all´origine di quella tragedia non c´era solo l´oscurità meteorologica. C´era - e resta - anche la foschia che noi stessi abbiamo sparso attorno ai nostri soldati, ai loro compiti e ai mezzi di cui dovrebbero disporre per eseguirli. Se non disperderemo questa nebbia strategica, continueremo a pagarne le conseguenze. E a farle pagare a chi non vorremmo.

Torna all'inizio


fidel a obama: "dovresti vergognarti" - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 16 - Esteri Fidel a Obama: "Dovresti vergognarti" Gli Usa confermano Cuba nella lista dei Paesi terroristi ed è di nuovo gelo Solo due giorni fa Hillary Clinton aveva detto di voler cambiare politica verso il Sudamerica Duro attacco del lider maximo: "Da 50 anni sono gli Usa a fare terrorismo" ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - La Cuba dei fratelli Castro resta nella lista nera del Dipartimento di Stato americano, e Fidel lancia un duro attacco a Barack Obama. Sono passati pochi giorni dal vertice panamericano di Trinidad&Tobago, in cui Cuba - una sorta di "convitato di pietra" - era riuscita ad attirare l´attenzione (e una cauta apertura) della Casa Bianca, e ora il lider maximo rimette tutto in discussione con un pesante attacco al presidente Usa: «Si sono talmente invischiati nei propri crimini e menzogne che anche Obama non ha potuto liberarsi da questo groviglio. Un uomo di cui nessuno nega il talento dovrebbe vergognarsi di questo culto della menzogna». In un articolo intitolato «Cuba: un paese terroristico?» Fidel Castro se la prende con il rapporto annuale del Dipartimento di Stato sui paesi che sostengono il terrorismo. Cuba resta nella lista nera, insieme a paesi come Iran, Siria e Sudan, e il comandante en jefe replica rispolverando gli slogan di cinquant´anni di "anti-imperialismo". Riparte dall´invasione della Baia dei Porci del 1961 (opera di oppositori cubani finanziati e sostenuti dalla Cia) e dalle «centinaia di piani frustrati» con cui gli americani avrebbero voluto assassinarlo; accusa gli Stati Uniti di terrorismo ricordando l´attentato contro un aereo di linea cubano nel 1976 (ci furono 73 morti); ritira fuori vecchi e più recenti slogan dell´antimperialismo sostenendo che l´America ha «introdotto» a Cuba prima la dengue (la febbre emorragica) e adesso «la febbre porcina che geneticamente non esisteva in questo emisfero». «L´attuale amministrazione non si vergogna di queste azioni?», si chiede retoricamente Fidel, che in più di un´occasione si è dimostrato poco convinto delle recenti aperture del fratello Raul all´America di Obama. Quanto al presidente Usa dovrebbe «vergognarsi» di tenere Cuba nella lista nera dei Paesi terroristi dopo «cinquanta anni di atti di terrorismo orchestrati proprio da Washington» contro l´isola comunista. Per Fidel Castro se «il Dipartimento di Stato vuole discuetere con Bruno (Rodriguez, il ministro degli Esteri cubano, ndr), ci sono molti motivi per «inchiodarlo alle proprie menzogne». Parole dure, che arrivano dopo giorni in cui i segnali di disgelo tra gli Stati Uniti e Cuba non erano mancati. Solo pochi giorni fa, alla vigilia del primo maggio, lo stesso Fidel aveva parlato di Obama in ben altri termini («è presto per dire l´ultima parola sull´evoluzione dell´attuale amministrazione nordamericana, ci sono delle novità, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, noi studiamo e osserviamo con cura ognuno dei suoi passi»), pur ribadendo che «il nemico non dovrebbe mai illudersi che Cuba si arrenderà». Appena sabato scorso, anche il segretario di Stato Hillary Clinton aveva confermato l´intenzione di cambiare la politica nei confronti di paesi come Cuba, Venezuela, Ecuador, Bolivia e Nicaragua per contrastare la crescente influenza di Iran e Cina nell´emisfero latino-americano. «è decisamente di disturbo lo spazio che sta conquistando l´Iran, che si sta conquistando la Cina, in modo particolare in America Latina dove cernao di costruire relazioni politiche ed economiche molto forti con i leader di questi Paesi. Non abbiamo alcuna garanzia di successo con Paesi che hanno una politica e una economia molto diversa dalla nostra, ma pensiamo che valga la pena di tentare».

Torna all'inizio


motori verdi, cambi, linee produttive così torino vuole sedurre i tedeschi - paolo griseri (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Economia Motori verdi, cambi, linee produttive così Torino vuole sedurre i tedeschi Il dossier Nella valigia di Marchionne, progetti, disegni, schemi: gli stessi che hanno convinto Obama nella partita tra Fiat e Chrysler Tra le carte vincenti il sistema Multiair che dà più potenza abbattendo tutti i consumi, il doppio cambio e la nuova generazione Fire PAOLO GRISERI TORINO - La valigia è la stessa con cui è sbarcato dalla trasferta a Detroit. Contiene gli attrezzi del mestiere, quelli con cui è riuscito a convincere Obama a scegliere la Fiat come partner. Progetti, disegni, schemi: ecco quali sono le tecnologie che Sergio Marchionne propone questa mattina di scambiare con azioni a Berlino dopo esserci riuscito a Washington. Il principale atout è rappresentato dai motori. E in particolare dalla tecnologia «Multiair» che consente, a parità di cilindrata, di aumentare la potenza abbattendo i consumi. Il sistema Multiair agisce sull´apertura delle valvole regolando l´alimentazione in modo da ridurre al minimo gli sprechi di carburante e le emissioni di CO2. Per i diesel un sistema analogo, in grado di aumentare le prestazioni e di abbattere l´inquinamento, è l´«High pressure common». Le nuove famiglie di motori Fiat che utilizzeranno questi sistemi di alimentazione e sono quelle che hanno convinto l´amministrazione Usa che la casa di Torino aveva degli standard ecologici decisamente superiori alle case americane. Così le nuove generazioni dei motori Fire e della «Famiglia B» (le cilindrate superiori) entreranno nelle linee di montaggio della Chrysler di domani. Ma la vera novità sarà certamente il futuro Sge 900, un motore a due cilindri (come quelli delle moto e delle vecchie 500) in grado di erogare fino a 110 cavalli di potenza con consumi molto ridotti. Verrà montato sulle piccole di classe A come la nuova 500 e verrà prodotto sia in versione turbo che in versione aspirata. L´ultima novità della meccanica è un nuovo tipo di cambio, il «Dual Clutch» a doppia frizione, in grado di ridurre i costi mantenendo alte prestazioni. Nella valigia di Marchionne ci sono, naturalmente, la capacità di progettare piattaforme e linee di produzione per auto di piccola cilindrata. Una caratteristica che ha avuto molta presa sugli interlocutori americani mentre non può certo rappresentare una leva decisiva con la Opel, che opera sullo stesso mercato. Negli Stati Uniti l´ad del Lingotto si è presentato con una proposta di utilizzo in comune degli stabilimenti che rispetta sostanzialmente lo stesso criterio che si segue in Europa. Cioè producendo le auto più piccole (e a minore valore aggiunto) nelle aree meno ricche (la 500, ad esempio, verrà prodotta in Messico). Non sarà facile estrarre dalla valigia una carta geografica simile che possa convincere i tedeschi che il matrimonio è possibile senza cancellare stabilimenti.

Torna all'inizio


obama: "insostenibile la finanza usa" - luca iezzi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 14 - Economia Obama: "Insostenibile la finanza Usa" Oggi la Ue abbassa le stime del Pil: -4%. Bce verso il taglio dei tassi L´allarme della Casa Bianca. Pil della Ue verso il -4%, la Bce taglierà i tassi "Così la finanza Usa è insostenibile" LUCA IEZZI ROMA - «è importante comprendere che parte della ricchezza generata nell´ultimo decennio era puramente illusoria». Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama vuole rifondare l´economia e ricostruire la fiducia verso le banche anche grazie a una maggiore regolamentazione dei mercati finanziari. In un´intervista con il New York Times, ha definito «insostenibile» il modello imposto da Wall Street e sfociato nella crisi attuale: «Ciò che credo cambierà, ciò che ritengo fosse un´aberrazione - ha spiegato - era una situazione in cui i profitti delle aziende del settore finanziario costituivano una parte così consistente della nostra ricchezza complessiva. Una parte di questo cambiamento deve essere l´effetto di una regolazione che inibisce l´indebitamento e l´assunzione di rischi enormi, entrambi diventati così comuni». Il suo lavoro consiste dunque «nel costruire un ponte sul vuoto esistente tra lo status quo e quello che dobbiamo fare per il nostro futuro», rivoluzione che secondo il presidente è già in atto: «Sento che la direzione che abbiamo dato all´economia è quella giusta e che le decisioni adottate sono adeguate», ha ribadito. Decisioni adeguate che gli investitori europei si aspettano da Francoforte, dove giovedì si riunirà il Consiglio direttivo della Bce. I banchieri centrali opteranno per un probabile taglio del costo del denaro di un quarto di punto, per abbassare il tasso d´interesse all´1%, nuovo minimo storico. All´interno dell´Eurotower è già in corso il dibattito se quel livello sia una sorta di limite invalicabile per il costo del denaro oppure se, con il perdurare della crisi, si potrà ridurlo ancora. Non solo, il Direttivo dovrebbe approvare anche un pacchetto di misure "non convenzionali" per aiutare le banche, risposta europea ai piani di riacquisto di asset tossici messi in atto dall´americana Federal Reserve e dalla Banca d´Inghilterra. L´approccio sarà molto diverso: al massimo si allungheranno i prestiti di rifinanziamento a lungo termine concessi alle banche dai sei mesi attuali ad un anno. Oggi invece la Commissione Ue procederà nella "contabilità della recessione", tagliando drasticamente le sue previsioni di crescita per il 2009 di tutta l´Unione e indicando una possibile ripresa nel 2010, seppur lenta e graduale. Per Eurolandia la nuova stima dice meno 4% con tutti i principali Stati membri dell´Ue in crescita negativa: il dato peggiore è per la Germania con un meno 6%. Peraltro, ieri i Paesi della moneta unica hanno visto salire la disoccupazione complessiva all´8,9%, nuovo record negativo. Di conseguenza netto peggioramento per gli indicatori sui deficit pubblici tutti rivisti al rialzo e tutti superiori al 3% (nel caso dell´Italia si dovrebbe arrivare al 4-4,5%). Di qui l´invito a tutti i Paesi di proseguire, nonostante la crisi, sulla strada delle riforme, come quelle previdenziali. E di lavorare ad una "exit strategy" per tornare rapidamente entro i parametri di Maastricht una volta iniziata la ripresa.

Torna all'inizio


Boom dei gruppi pro-Lario (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 04/05/2009 - pag: 3 Facebook Boom dei gruppi pro-Lario I gruppi L'annuncio di Veronica Lario di voler divorziare dal premier è approdato anche su Facebook (nella foto). In poco tempo sono stati creati numerosi gruppi. Il «Veronica Lario fan club» ha raggiunto oltre duemila iscritti. Il fondatore Alessandro Buoni ha creato il «Gruppo a sostegno del divorzio di Veronica Lario». Tra gli altri, «Veronica ha vinto e le veline restano a casa» e «Veronica Lario: la nostra Obama»

Torna all'inizio


(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 04/05/2009 - pag: 5 «L'ho aiutato fino all'ultimo ma ora ha superato i limiti» Veronica: che futuro ha un Paese che cerca soldi facili in tv? di MARIA LATELLA Chissà quanti ricordi riaffiorano, in queste ore, nella mente di Veronica Berlusconi. I più dolorosi, forse, non sono ancora ricordi, ma delusioni recenti. Leggere che suo marito era stato alla festa di compleanno di tale Noemi, diciotto anni appena compiuti, sarà stato un dolore o una delusione? Il patto siglato nel 2007 dopo la lettera inviata a Repubblica è andato in frantumi in un momento: la giovane Noemi che racconta «Lo chiamo papi, vado a trovarlo, a Roma, a Milano» e Veronica che vede confermata quella «mancanza di rispetto» nei suoi confronti per la quale nel 2007 aveva chiesto pubbliche scuse. In confronto ai giorni del 2007, però, oggi c'è qualcosa di più. Sembra a Veronica che la mancanza di rispetto sia una questione più generale, che questo Paese manchi di rispetto anche nei confronti di se stesso. Alle amiche racconta che l'Italia del momento è uno specchio che riflette brutte cose: genitori pronti a chiudere tutti e due gli occhi purché la figlia diventi una Velina, ragazzi convinti che la vita valga solo se partecipi al Grande Fratello. La decisione è stata presa mercoledì mattina. E ora è il momento dei ricordi che fanno male. Gli altri, quelli belli, fin quando si sta insieme contano relativamente. Solo mentre ci si separa struggono e distruggono anche le più coriacee: provi a cacciarli indietro, scopri che ci riesci, sì, ma solo se non freni le lacrime. Un paio di ricordi felici me li aveva raccontati proprio lei, Veronica, mentre lavoravamo al libro. Quando, nei primi anni Ottanta, lui la portava al mare di domenica e insieme canticchiavano quella canzone che le piaceva tanto: «Che domenica bestiale, la domenica con teeee». La nascita di Barbara, figlia fortemente voluta dopo il dolore di un aborto terapeutico. La coperta di lana che Silvio le portò a Roma (erano ancora molto meno che fidanzati) perché al telefono lei gli aveva confidato di aver freddo. Il travestimento da berbero, a Marrakesh, tre anni fa, quando erano già una coppia distante e ciononostante lui riuscì a sorprenderla e a farla piangere perfino, presentandosi inatteso alla festa per i suoi 50 anni. I ricordi felici, le emozioni affiorano sempre nei giorni in cui si sancisce la fine di una storia. Chi ci è passato lo sa. Gli altri, quelli abituati a valutare l'annuncio di un divorzio col metro degli avvocati e delle star di Hollywood, cinicamente se ne fregano. Chi si appassiona al pettegolezzo si impegnerà ora nel solito conteggio del dare e dell'avere, guadagni e perdite nel divorzio dell'anno, quanto «ci perde lei», «quanto guadagna lui» e vai con la valutazione dell'effetto sondaggi, impegnati tutti nell'attribuire al premier un consenso al quale nessuno arriva, >neppure Obama. Trattandosi di ricchi e famosi, naturalmente, nessuno crede e nessuno crederà che i due protagonisti di questa storia soffrano, almeno un po' e ciascuno in proporzione alla vita che si è scelto: Silvio Berlusconi potrà, in questo momento, consolarsi con l'ammirazione che milioni di italiani, il 76% della popolazione sondata (addirittura), gli tributano. Una consolazione (lo sanno bene le star di Hollywood) capace di alleggerire le tensioni, se non il dolore. Veronica, da oggi ufficialmente ex first lady, potrà consolarsi sapendo che i tre figli, ai quali ha dedicato i primi 52 anni della sua vita, non le rimproverano né la decisione né il modo in cui l'ha gestita. Sono con lei, i tre figli, a patto che il padre venga rispettato quanto la madre, in tutta questa storia. Luigi, Barbara ed Eleonora hanno con lui un legame vero perciò quando Berlusconi dice «i miei figli mi amano» dice la verità. «E io di questo sono contenta, ho contribuito a costruire il loro rapporto e l'ultima cosa che vorrei fare è danneggiare mio marito ha ripetuto Veronica ai pochi che, oltre al suo avvocato, hanno potuto parlarle . Non l'ho mai danneggiato per trent'anni, ho solo cercato di aiutarlo, fino all'ultimo. Se i sondaggi sono oggi tutti per lui questo non può che farmi piacere. Nessuno potrà dire che con la mia decisione politicamente gli creo un problema. La smetteranno, forse, con la scemenza di Veronica manovrata dalla sinistra». Come se fosse facile, poi, manovrare una come lei. E il resto, quel che interessa ai pettegoli? Si arrangino con le leggende, così come si sono arrangiati in questi anni. Quelli che non vedono oltre il dollaro e l'euro (e perciò ripetono, come in un disco rotto, «divorzia per la robba, per l'eredità»), non sanno che, separandosi, probabilmente Veronica Berlusconi rinuncerà a quel 25% del patrimonio che, in quanto moglie, le sarebbe spettato alla morte del marito. Del resto, essendo sposata con uno destinato all'immortalità, la rinuncia si presenta tutto sommato teorica. In ogni caso, nel raccontare la storia di quei due, Silvio e Veronica bisognerà piuttosto ricordare che la separazione sarà anche per loro un vero dolore, per dirla con Battisti. Basta riavvolgere il film dei ricordi, per stare male. Chi ci è passato lo sa. Sa che quelle sensazioni dolorose sbiadiranno, pian piano, ma mai del tutto. Ripensando al giorno dell'addio, anche vent'anni dopo, può capitare di aver voglia di piangere. E allora eccola, la nostra prima coppia d'Italia che così di rado abbiamo visto in coppia. Per l'ultima volta insieme, nel ricordo di lui («Quando l'ho vista la prima volta, a teatro, sono rimasto senza parole. Era bellissima») e nei ricordi di lei: «La prima volta l'ho incontrato a Milano, a una cena. Era il padrone di casa e con le sue ospiti si comportava come se fosse single, invece aveva moglie e due bambini. Sono sicura di averlo conosciuto in quell'occasione, ma lui nega, non se lo ricorda» mi raccontò Veronica all'epoca in cui raccoglievo materiale per il libro. Chi, anche di recente, aveva avuto occasione di vederli insieme, non poteva non riconoscere in quei due il rapporto di chi si conosce fino in fondo all'anima. Punzecchiature reciproche ma, si sarebbe detto, in fondo affettuose. Tra coniugi che sanno, volendo, dove andare a parare. Ogni tanto, si chiamavano amore. «Da quando è nato Alessandro, anche mia moglie mi vuole più bene» raccontava il premier radioso per la ritrovata pace familiare. L'estate scorsa, pur di farla sorridere una sera in cui era un po' giù, le aveva perfino offerto il sacrificio supremo, la rinuncia al prediletto ferragosto a Villa Certosa, la sua Disneyland: «Resta tu in Sardegna con Alessandro, vado via, vado ad Antigua». A dirlo così, sembra la battuta di un film di Natale, Christian De Sica e Neri Parenti, ma chi conosce Berlusconi sa quanto tenga al suo Ferragosto coi fuochi d'artificio, le ballerine, l'amato chitarrista napoletano. Fino a poche settimane fa, insomma, la coppia sembrava avviata verso una sia pur turbolenta sopportazione. Sabato scorso, per dire, Veronica era stata invitata dal marito al concerto di Napoli, al teatro San Carlo. E ci sarebbe andata. E adesso? Adesso, lascia filtrare Veronica, il problema non è più suo. Il problema è di chi accetta. «Bisogna specchiarci in questo Paese, vederlo per quello che è in realtà. Un Paese nel quale le madri offrono le figlie minorenni in cambio di un'illusoria notorietà. Un Paese in cui nessuno vuole più fare sacrifici perché tanto la fama, i soldi, la fortuna arrivano con la tv, col Grande Fratello. Che futuro si prepara per un Paese così?». Veronica in quello specchio non ci si trova. E vuole avere la libertà di dirlo. \\ Ho contribuito a costruire il suo rapporto con i figli e di questo sono contenta \\ I sondaggi tutti per lui mi fanno piacere. Basta con la scemenza di me manovrata dalla sinistra

Torna all'inizio


E Obama invita a Washington i leader di Kabul e Islamabad (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 04/05/2009 - pag: 9 Il vertice mercoledì E Obama invita a Washington i leader di Kabul e Islamabad WASHINGTON Barack Obama riceverà mercoledì per un mini-vertice i presidenti di Afghanistan e Pakistan, Hamid Karzai e Asif Ali Zardari. Per Obama, che ha scelto di concentrare sull'area afghano-pachistana gran parte degli sforzi che Bush dedicava all'Iraq, sarà l'occasione per stabilire le prossime mosse nella cooperazione. In particolare, nei mesi scorsi il presidente Usa aveva espresso insoddisfazione per la situazione afghana, ma Karzai arriva a Washington da favorito per le presidenziali di agosto e il governo americano si prepara ad averlo come interlocutore per i prossimi anni. Tra i temi principali da affrontare con il leader pachistano Zardari c'è la questione degli attacchi americani con missili lanciati da droni nelle regioni di confine, dove si nascondono talebani e uomini di Al Qaeda. Gli Usa stanno aumentando il ritmo degli attacchi ma cercano un modo di condividere l'impegno con il governo di Islamabad.

Torna all'inizio


Franceschini: Italia a rischio Turkmenistan Il premier ha un solo scopo, prendersi tutto (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Politica data: 04/05/2009 - pag: 13 L'intervista Il leader pd: l'8 giugno se ci sarà netto disequilibrio tra maggioranza e opposizione, ci sveglieremo in una repubblica asiatica Franceschini: Italia a rischio Turkmenistan Il premier ha un solo scopo, prendersi tutto «Ma a destra non vedono che si sente al di sopra di legge e morale? O hanno paura?» «Vorrei fare una domanda alla borghesia produttiva, agli imprenditori, agli intellettuali, ai moderati, anche a una parte delle gerarchie ecclesiastiche italiane: possibile che non vediate dove ci sta conducendo Berlusconi? Possibile che non vediate che ormai si considera al di sopra della legge e di ogni morale, che pensa di avere così tanto potere da permettersi tutto? Vorrei suonare un campanello d'allarme: siamo ben oltre il conflitto di interessi e il controllo delle tv; siamo all'intreccio di ogni potere, economico, bancario, finanziario. Sulla spinta della crisi, intrecciando la sua forza di imprenditore con il controllo dello Stato, Berlusconi sta allungando le mani su tutto, sta riducendo ogni potere autonomo. La Sardegna è stata la prova generale. Vuole stravincere se l'8 giugno, dopo le Europee e le Amministrative, l'Italia si risveglierà con un netto disequilibrio tra maggioranza e opposizione, vale a dire tra Pdl e Pd, sarà un'altra Italia. Berlusconi cercherà di prendersi tutto: non solo la Rai, non solo le modifiche costituzionali; diventeremo un Paese profondamente diverso da quello di oggi. Altro che Peron: il modello di Berlusconi sono alcune delle repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale, dal Turkmenistan all'Uzbekistan. Paesi in cui il potere personale del capo è intrecciato con il potere dello Stato e i poteri economici ». Dario Franceschini, non le pare di esagerare? «Questa sua domanda mi conferma che lo spirito diffuso è ormai di assuefazione. L'Italia si sta assuefacendo a cose che in qualsiasi Paese occidentale provocherebbero una rivolta morale, a cominciare dalla stampa. Invece arriva la notizia della classifica di Freedom House, che colloca l'Italia al 73Ú posto, tra i Paesi 'parzialmente liberi', e sui giornali vedo al più un titoletto. Intendo rivolgermi non tanto al mio campo, quanto agli ambienti che negli altri Paesi tendono a stare dall'altra parte, sul fronte conservatore: non vedete che Berlusconi non c'entra nulla con le destre europee? Che non ha niente in comune con la Merkel, con Sarkozy, con Aznar, con Cameron? Non parlate perché non avete capito i rischi per il vostro Paese? O perché avete paura?». Franceschini, lei farebbe bene a rivolgersi anche al campo che in teoria è suo. I giornali riferiscono anche un sondaggio Ipsos, secondo cui la maggioranza degli operai vota per Berlusconi, non per il Pd. «È un problema serio. Ma non è un alibi ricordare che, dal '94 a oggi, ogni partita elettorale è truccata, perché si svolge in condizioni totalmente anomale. Se McCain avesse affrontato Obama avendo il controllo delle tv e di una parte crescente dell'apparato finanziario e produttivo o cento volte in più di fondi per le campagne elettorali, avrebbe forse perso? Il problema non è solo la tv. In Italia si stanno assuefacendo anche i mondi che contano. Noi siamo ancora qui a contare i secondi che ci dedicano i vari tg, peraltro con un disequilibrio vergognoso, ma intanto la tv in questi vent'anni ha costruito un modello sociale: non ha solo informato, ha formato gli italiani a gerarchie di valore e di comportamento. Eppure a Berlusconi non basta: attacca Sky, blocca la concorrenza. Il degrado populistico si intreccia con il degrado morale, e comporta un forte rischio neoautoritario». Diranno che lei è dilaniato dall'odio. «Ma quale odio? Anzi, quando lo ascolto mi mette di buon umore. Ma questo non mi impedisce di vedere che Italia ha in mente. Ho sperato che la nascita del Pdl consentisse di superare il rapporto proprietario di Berlusconi con Forza Italia, che introducesse un elemento di controllo. Ma non è così». Come no? E Fini? «Il fatto stesso che dire qualcosa di buon senso trasformi chi lo fa in una sorta di 'eroe civile', è un altro segno di dove siamo arrivati». Che effetto le fa Veronica Berlusconi che chiede il divorzio? «Ripeto: tra moglie e marito non mettere il dito. La saggezza popolare torna sempre utile. E poi ogni italiano si sarà già fatto un'opinione senza bisogno di commenti politici». La Chiesa secondo lei si è ormai schierata con il governo? «No. Questa è una semplificazione tutta italiana. Né io ho titoli per dare consigli. Ma un'attenzione rigorosa alla coerenza tra valori proclamati in pubblico e comportamenti personali di chi ha responsabilità politiche, me la aspetterei ». Una mano a Berlusconi gliela date anche voi. Il Pdl candida il leader e i ministri, voi rispondete con Cofferati e Berlinguer: non proprio un segno di rinnovamento. «Le nostre candidature sono tutte indicate dai partiti regionali e radicate nel territorio. Tranne i cinque capilista, scelti con il criterio dell'autorevolezza e della competenza: l'età non è un ostacolo, semmai una garanzia. E poi non sono liste bloccate: saranno gli italiani a scegliere chi eleggere con le preferenze, non i politologi o i blog». Ma perché lei non è sceso in campo di persona a fronteggiare Berlusconi? «Finché rivesto questo ruolo, sono pronto a condividere i risultati positivi con tutto il partito, e ad assumermi da solo la responsabilità di quelli negativi. Ma non arretro di un centimetro su un'esigenza: la serietà. In nessuno dei ventisei Paesi d'Europa si candidano il capo del governo e il capo dell'opposizione. Ho posto la domanda a Parigi, a Madrid, a Berlino: non capivano, se la facevano ripetere. Sarkozy, Zapatero, la Merkel governano e affrontano la crisi, non puntano a un plebiscito permanente ». D'Alema le chiede di rompere l'alleanza con Di Pietro. «Le alleanze si fanno per governare. Noi siamo all'opposizione, con Di Pietro, Casini e la sinistra radicale. Sarebbe bene che l'opposizione fosse il più possibile unita: le liti interne sono a somma zero. Purtroppo, Di Pietro e Casini attaccano ogni giorno me e il Pd molto più di quanto non contrastino Berlusconi. Ma io non risponderò». Una parte consistente del suo partito, a cominciare da Enrico Letta, preme per l'alleanza proprio con Casini. «Fare bene l'opposizione insieme è il modo migliore per preparare un'alleanza. Ma dobbiamo sapere che tenersi le mani libere è la ragione sociale dell'Udc: le alleanze alle prossime Politiche non le deciderà prima del 2012. Può farci piacere o dispiacere, ma è così». Sempre dall'interno del Pd, in particolare dagli ambienti vicini a Rutelli, viene la richiesta di cambiare linea sul referendum elettorale: il sì rafforzerebbe Berlusconi. «Anche qui: serietà. Il referendum ci chiede se abolire o no la legge che il suo stesso autore ha definito 'una porcata'. La risposta di chi ha contrastato questa legge non può che essere sì. La direzione del Pd ha approvato questa linea con oltre cento voti contro cinque. Tornare indietro per una battuta detta da Berlusconi camminando nelle vie di Varsavia significherebbe non essere un partito, ma solo un gruppo di persone impaurite ». Il Pdl avverte che, se vince il sì, non si farà una nuova legge elettorale. «Dimentica di avere 271 deputati su 630. Gli altri potrebbero decidere di farla ». Resta il fatto che Berlusconi è così forte perché il Pd appare inconsistente. «Il problema non è solo il Pd. Io non chiedo agli elettori di farsi carico dell'opposizione, ma del Paese in cui vivranno i loro figli. È evidente che, se il Pd terrà, il progetto ne uscirà rafforzato. Ma è il futuro dell'Italia la vera posta in gioco. Se il giorno dopo le elezioni il disequilibrio sarà troppo netto, troppo lontano dalla differenza tra il 37,4 del Pdl e il 33,2 del Pd delle Politiche, se Berlusconi sarà messo in condizioni di portare all'estremo la sua volontà di conquista del Paese, allora rischieremmo di risvegliarci davvero in una repubblica ex sovietica dell'Asia centrale. E se succedesse gran parte della colpa sarà di chi, da qui ad allora, sarà rimasto inerte o zitto. Per scelta o per paura». Aldo Cazzullo

Torna all'inizio


La Regione: 100 milioni per l'energia pulita (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Cronaca di Milano data: 04/05/2009 - pag: 3 Fonti rinnovabili e incentivi per le famiglie La Regione: 100 milioni per l'energia pulita Roberto Formigoni come Barack Obama? «La similitudine ci sta, ma l'ordine dei fattori va invertito. Se è vero come è vero che da anni la regione Lombardia investe sulle energie rinnovabili». Così ieri sera si commentava al Pirellone la decisione del presidente della Regione di stanziare 100 milioni di euro per incentivare famiglie e aziende a investire nel risparmio energetico e nelle fonti energetiche rinnovabili. La notizia non è ancora ufficiale. Di certo Formigoni ne parlerà oggi con il «gotha» dell'imprenditoria della regione durante una cena di lavoro del tavolo per la Competitività in agenda alle 20.30 di stasera al trentunesimo piano del Pirellone. A tavola siederanno, tra gli altri, Giandomenico Auricchio, Alberto Bombassei, Diana Bracco, Bruno Ermolli, Giuseppe Fontana, Corrado Passera, Michele Perini, Gianfelice Rocca, Giorgio Squinzi, Lucio Stanca, Marco Tronchetti Provera. Con gli imprenditori lombardi la Regione si confronterà anche sul piano Casa che dovrebbe vedere la luce a breve, dopo il via libera a Roma. Per quanto riguarda gli investimenti in campo energetico, la Regione intende puntare su fonti rinnovabili, risparmio energetico, teleriscaldamento. L'obiettivo è quello di firmare un vero e proprio patto per il clima con istituzioni, imprese e cittadini. Per finire c'è il capitolo «competitività». A questo proposito Formigoni intende proporre alle imprese un pacchetto di interventi in cui si combinino insieme semplificazione amministrativa e accompagnamento delle aziende sul territorio. Il comitato strategico per la Competitività è stato istituito nel maggio del 2005. Da allora ha funzionato come laboratorio consultivo di strategie regionali nei campi dell'economia, delle infrastrutture, della compatibilità ambientale, dell'educazione e del lavoro. Al desco imbandito al trentunesimo piano del Pirellone non siederanno sindacati e associazioni dei consumatori. I confederali saranno invece presenti stamattina a un incontro della cabina di regia sugli ammortizzatori sociali in cui si discuterà di come utilizzare il milione e mezzo di euro (su otto totali) che arriverà in Lombardia per sostenere i dipendenti delle piccole imprese e i lavoratori flessibili senza posto di lavoro per colpa della crisi globale. Ri. Que. rquerze@corriere.it

Torna all'inizio


Fidel Castro sgrida Obama: (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 04/05/2009 - pag: 17 Cuba e il terrorismo Fidel Castro sgrida Obama: «Si vergogni» L'AVANA Fidel Castro «sgrida» Obama: il presidente statunitense, sostiene il líder maximo, dovrebbe «vergognarsi» di tenere Cuba nella lista nera dei Paesi considerati terroristi dopo i «50 anni terrorismo» orchestrati proprio da Washington contro l'isola comunista. Il leader cubano ha scritto (su www.cubadebate.cu) che gli Usa «si sono talmente invischiati nei propri crimini e menzogne che anche Obama non ha potuto liberarsi da questo groviglio. Un uomo di cui nessuno nega il talento dovrebbe vergognarsi di questo culto della menzogna».

Torna all'inizio


Europee, un "pirata digitale" italiano a Strasburgo (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 04-05-2009)

Argomenti: Obama

ROMA Alessandro Bottoni è candidato alle europee con "Sinistra e libertà" ed è un "hacktivist", come si definisce egli stesso: 48 anni, consulente informatico, technical writer e segretario del Partito pirata italiano, l’associazione che si ispira a The Pirate Bay. Bottoni vuole arrivare a Strasburgo per difendere i "diritti digitali" degli internauti europei. Solo pochi giorni fa, in Svezia i pirati digitali sono stati condannati per violazione del diritto d’autore. Ma la dura sentenza contro i fondatori del famoso sito di file-sharing ha avuto l’effetto di rafforzare il ’Piratpartiet’, passato da 14mila a 36 mila iscritti e punta con più decisione a Strasburgo con una lista di 20 candidati. Sul versante svedese, ed ora anche su quello italiano, i paladini dei diritti digitali sperano di poter condurre nelle aule del Parlamento europeo la loro battaglia per una maggiore libertà in rete. »è ormai inevitabile -spiega Bottoni- riconoscere al privato cittadino il diritto di creare copie di file multimediali, siano essi film o brani musicali, ed anche di distribuirle senza scopo di lucro«. «Ormai è chiaro che la battaglia contro il "downloading" non può essere vinta perchè i "pirati" troveranno sempre il modo di aggirare gli ostacoli. Lo sa anche la controparte ed è quindi saggio pensare ad un compromesso. Far capire queste cose da un’aula parlamentare sarebbe molto importante, anche per combattere decisioni sbagliate come quella adottata da Sarkozy di tagliare la connessione Internet a chi "si comporta male": una misura punitiva che vuol favorire le case discografiche e di distribuzione cinematografica», sottolinea Bottoni. Non solo la battaglia per la libera circolazione su Internet di informazioni e cultura nel programma elettorale del pirata italiano: «con l’avvento delle nuove tecnologie e con la loro rapida evoluzione -spiega Bottoni- sono nati molti diritti digitali. è giunto il momento di rendere più semplice a tutti i cittadini l’accesso agli strumenti che ci mette a disposizione la tecnologia in tutte le sue forme di comunicazione». «Per quel che riguarda ad esempio i gestori di telefonia mobile- sottolinea Bottoni- l’utente avrebbe diritto ad una maggiore trasparenza e semplicità. Alcune funzionalità dei cellulari di ultima generazione possono risultare incomprensibili ma in realtà nascondono vincoli per chi li utilizza, prevedendo ad esempio per chi li utilizza "percorsi obbligati" per scaricare file. Sarebbe come acquistare un’auto con tutti gli optional ma che non può andare a Milano perchè deve seguire tragitti prestabiliti...». Il pirata digitale italiano, dunque, scende in campo in politica. Ma perchè, allora, non fondare un partito come quello nato in Svezia? «Non ci piaceva -spiega Bottoni- l’idea di mettere in piedi l’ennesimo partitino. Certo, se il consenso attorno alle nostre idee dovesse crescere, allora, magari in futuro, ci si può fare un pensierino. Per ora tentiamo l’avventura europea con questa candidatura da indipendente nelle liste di "Sinistra e libertà"». Il punto di partenza, se Bottoni otterrà un seggio a Strasburgo, sarà la proposta di legge presentata nel 2007 con la collaborazione del professor Alberto Maria Gambino, già presidente della commissione permanente per la riforma del diritto d’autore. «Ci rendiamo comunque conto -sottolinea il candidato di Sl- che attorno alla rete e ai temi del diritto d’autore e della libertà di scaricare da Internet vi sia un business consistente. E quando è così, è difficile che da parte delle classi dirigenti vi sia una approccio sereno e razionale alle questioni sul tappeto». E la campagna elettorale? Rigorosamente in rete, risponde Bottoni. «La verità, e non c’è niente di male a dirlo -spiega- è che non ci sono soldi. Avevamo anche pensato ad un finanziamento online con donazioni volontarie di almeno un euro. Ma non è così semplice per un’associazione aprire un conto corrente, ci sono molti adempimenti burocratici e il tempo stringe. La rete, comunque, può rivelarsi uno strumento vincente, come ha dimostrato anche Barack Obama...». Insomma, Bottoni ci spera. Ma che ci fa un "hacktivist" in un’aula parlamentare? «Proprio come un hacker mi voglio "infiltrare" nel sistema per raccontare quel che succede sui temi che ci stanno a cuore e far viaggiare le informazioni. Naturalmente -conclude il pirata italiano- utilizzando la rete». (Adnkronos) + Europee, meno manifesti e più Web per la campagna elettorale + Europee, uno strumento online aiuta gli indecisi + Nasce Intergruppo parlamentare Web 2.0: "Colleghi, svegliatevi" + Condannati i titolari di Pirate Bay + Luca Neri: la condanna dei "pirati" apre un caso politico + Pirate Bay non si arrende "Rifare il processo da capo" + Il blog di Alessandro Bottoni SCRIVI Discutine su Web Notes con ANNA MASERA

Torna all'inizio