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Report "Obama" 27 luglio 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

Niente foie gras al presidente ( da "Stampa, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama preferisce la pallacanestro, Gordon Brown è sedentario, Berlusconi se ne guarda bene, Zapatero sta sempre al telefono con Madrid, la signora Merkel non è certo una praticante delle arti atletiche. Rimane Sarkozy a difendere l'onore del jogging.

Il dovere dell'Italia a Kabul ( da "Stampa, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: attitudine italiana è stata vigorosamente apprezzata dal presidente Obama in occasione sia della visita a Washington del nostro presidente del Consiglio, sia dell'ultimo G8 aquilano. Ma se le forze a disposizione sono estremamente limitate, occorre selezionare gli impegni con estremo rigore, alla luce del nostro interesse nazionale.

Cina, operai in rivolta uccidono un manager ( da "Stampa, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: inviato di Obama a Damasco e Tel Aviv "Sbloccare i negoziati" Cina, operai in rivolta uccidono un manager Il Nord del Paese era una grande fonderia Adesso è una «cintura della ruggine» Nigeria, setta talebana assalta posto di polizia Uccisi 40 miliziani L'India superpotenza Varato il primo sottomarino nucleare DAMASCO Riparte da una visita dell'

L'Amministrazione Obama ha completamente ripensato la strategia in Afghanistan perché la minaccia terrorista agli Stati Uniti non è stata smantellata E' lì che dobbiamo concentrare ( da "Stampa, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: L'Amministrazione Obama ha completamente ripensato la strategia in Afghanistan perché la minaccia terrorista agli Stati Uniti non è stata smantellata E' lì che dobbiamo concentrare tutte le nostre energie

Hillary all'Iran: la bomba mai ( da "Stampa, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Per il presidente Obama, è una guerra per necessità o è diventata una guerra per scelta? «Ritengo che il Presidente sia stato molto chiaro - in campagna elettorale come alla Casa Bianca - nel dire che la linea politica seguita in Afghanistan non ha funzionato.

Barack Obama Basket e palestra L'attuale inquilino della Casa Bianca gioca a pallacanestr... ( da "Stampa, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama Basket e palestra L'attuale inquilino della Casa Bianca gioca a pallacanestro tutti i giorni

La sicurezza e la Formula 1 Ho avuto paura per Felipe Massa come se si trattasse di un con... ( da "Stampa, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: altra lezione da Barack Obama Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha pubblicamente ammesso di «aver misurato male le parole» quando mercoledì scorso, durante una conferenza stampa, aveva definito «stupido» il comportamento della polizia di Cambridge nella vicenda tra il professor Henry Louis Gates e il poliziotto James Crawley.

in un clima di odio e di paura - (segue dalla prima pagina) dal nostro inviato ( da "Repubblica, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama ma gli ha reso. All´inizio di luglio l´unico sondaggio gli attribuiva un vantaggio largo sui suoi principali sfidanti (31% contro il 7 di Abdullah e il 3 di Ghani). Però da allora Abdullah sembra in rimonta, e Karzai lontano dalla maggioranza assoluta che gli è necessaria per evitare il ballottaggio,

obama studia il modello cinese contro la crisi funziona meglio - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 23 - Commenti OBAMA STUDIA IL MODELLO CINESE CONTRO LA CRISI FUNZIONA MEGLIO (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Non c´è questione strategica per la quale l´America non abbia bisogno della cooperazione cinese: rilancio della crescita economica, risanamento dell´ambiente, Iran, Corea del Nord.

la schiappa - pico floridi ( da "Repubblica, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: accanto a giganti come Oprah Winfrey, Jeff Bezos e Barack Obama. è difficile immaginare Jeff Kinney nei panni di una Schiappa: è alto, ha spalle larghe e un gran sorriso. E non solo perché è uno dei tre autori ad avere ben due titoli nella lista dei venticinque titoli più venduti negli Stati Uniti quest´anno.

l'uomo di obama a damasco: "cerchiamo la pace" ( da "Repubblica, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 17 - Esteri Medio Oriente L´uomo di Obama a Damasco: "Cerchiamo la pace" DAMASCO - è ripartito da una visita dell´emissario di Barack Obama, George Mitchell, in Siria, Israele e Territori palestinesi ed Egitto il pressing degli Stati Uniti per il rilancio del processo di pace in Medio Oriente.

Afghanistan, incubo Taliban Verso le urne in un clima di odio ( da "Repubblica.it" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama ma gli ha reso. All'inizio di luglio l'unico sondaggio gli attribuiva un vantaggio largo sui suoi principali sfidanti (31% contro il 7 di Abdullah e il 3 di Ghani). Però da allora Abdullah sembra in rimonta, e Karzai lontano dalla maggioranza assoluta che gli è necessaria per evitare il ballottaggio,

"Ora un libro, la tv e la Casa Bianca" Sarah Palin si dimette da governatore ( da "Stampaweb, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: economia del presidente Barack Obama. «Siate vigilanti - ha detto - prima di accettare le elargizioni del governo, non sono dei regali». I parlamentari dell?Alaska hanno tuttavia già deciso di riunirsi in sessione speciale il 10 agosto per aggirare il suo veto e accettare gli aiuti federali.

Agguato con i razzi contro il candidato alla vicepresidenza ( da "Corriere della Sera" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il presidente Obama ha voluto lanciare la più massiccia offensiva dall'attacco di Falluja, in Iraq, nel 2004: 4 mila marines sono stati inviati il 2 luglio per ripulire la zona dai talebani in vista delle elezioni. Nella stessa regione combattono le truppe inglesi, per le quali luglio è stato il mese più cruento dall'inizio del conflitto:

Il coraggio della responsabilità ( da "Corriere della Sera" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: pag: 3 Il commento Il coraggio della responsabilità SEGUE DALLA PRIMA Obama ha risposto con una massiccia offensiva al sud, ma gli americani morti in luglio sono finora 39 e nello stesso mese i britannici hanno una media di un morto al giorno (cifre da non dimenticare, quando pensiamo alle pur tragiche perdite italiane).

Nicolas: quanti sacrifici per avere il ventre piatto ( da "Stampaweb, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama preferisce la pallacanestro, Gordon Brown è sedentario, Berlusconi se ne guarda bene, Zapatero sta sempre al telefono con Madrid, la signora Merkel non è certo una praticante delle arti atletiche. Rimane Sarkozy a difendere l?onore del jogging.

Afghanistan, tensione nel governo Frattini: "Lì anche per Calderoli" ( da "Repubblica.it" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Usa di Barack Obama. Miliband - intervenuto al quartier generale alla Nato a Bruxelles per presentare una nuova strategia politico-militare in Afghanistan - ha sottolineato che il "processo di riconciliazione" deve essere condotto dalle autorità afgane, a cui ha chiesto anche di assicurare un "governo credibile, efficace e onesto" a tutti i livelli provinciali e distrettuali.

Obama, appello alla Cina "Insieme per un futuro migliore" ( da "Repubblica.it" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: invito che Barak Obama rivolge alla Cina. In apertura del vertice sul dialogo stretegico economico al via oggi a Washington, il presidente Usa si rivolge a Pechino, tendendo la mano per la creazione di un futuro migliore. Si parlano le due superpotenze, sapendo che gran parte del futuro del pianeta dipende dalle loro azioni.

Appello di Barack Obama alla Cina: "Rispettare sempre i diritti umani" ( da "Stampaweb, La" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha invitato la Cina ad essere un partner affidabile nel combattere i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale. Parlando da Washington, all?apertura di una serie di incontri di alto profilo tra politici americani e cinesi, Obama ha detto che gli Stati Uniti e la Cina hanno un interesse comune a creare fonti di energia pulite e sicure.

Afghanistan, tensione nel governo La Lega frena: "Basta polemiche" ( da "Repubblica.it" del 27-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Usa di Barack Obama. Miliband - intervenuto al quartier generale alla Nato a Bruxelles per presentare una nuova strategia politico-militare in Afghanistan - ha sottolineato che il "processo di riconciliazione" deve essere condotto dalle autorità afgane, a cui ha chiesto anche di assicurare un "governo credibile, efficace e onesto" a tutti i livelli provinciali e distrettuali.


Articoli

Niente foie gras al presidente (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 27-07-2009)

Argomenti: Obama

Carlo Rossella Niente foie gras al presidente CONTINUA A PAGINA 6Basta vederlo mangiare al Bristol, un grand'hotel a pochi passi dall'Eliseo, per capire che Nicolas Sarkozy è uno sportivo. Anzi, un praticante del jogging, della bicicletta, mountain e normale, dello squash e della ginnastica da spa. Sarkozy ha un fisico asciutto, muscoloso, secco, nervoso, scattante, anche la mascella e il volto, spesso abbronzato, sono quelli di un uomo dedito alla cultura del proprio fisico. Mangia solo piatti leggeri, verdure soprattutto, insalate, accompagnato in questi pranzi frugali dalla moglie Carlà. Gli chef del Bristol gli servono, oltre ai vegetali, pezzetti di pesce crudo o sushi alla giapponese. A mezzogiorno Monsieur le Président non mangia altro. Ma anche ai pranzi ufficiali, quando gli chef dell'Eliseo sono costretti a sfoggiare i pezzi da novanta della cucina francese come il foie gras, si guarda bene dagli eccessi, accarezza con la lingua lo champagne, centellina il vino rosso, è molto attento agli intingoli e ai gateaux. Carlà lo tiene d'occhio per evitare qualche eccesso diplomatico. Lei non è sportiva, lo accompagna solo nelle passeggiate e quando Sarkozy inizia a camminare con passo troppo veloce, lei lo trattiene. Ma lo spirito del jogger è troppo forte: se lo ricordano anche gli agenti del secret service della Casa Bianca. Quando Sarkozy andò con la prima moglie a visitare il presidente Bush nella sua residenza di vacanze nel Maine, chiese subito indicazioni per il percorso di jogging. Ma corse poco, perché era più impegnato nei litigi con la sua consorte di allora, Cécilia. Fece solo qualche corsetta per vincere la rabbia e qualche decina di piegamenti all'aperto. I suoi amici sanno che per piacere a Monsieur le Président non si deve essere flaccidi ma bisogna avere un addome abbastanza «tirato», come si dice, ed essere disponibili a parlare di affari di Stato anche correndo. Rachida Dati era ed è molto brava nel jogging. Peccato che dopo il matrimonio tra Sarkozy e Carlà, sia costretta a praticarlo da sola e non più in compagnia del primo cittadino di Francia. I Capi di Stato che fanno jogging ai vertici del G8 sono pochissimi. Obama preferisce la pallacanestro, Gordon Brown è sedentario, Berlusconi se ne guarda bene, Zapatero sta sempre al telefono con Madrid, la signora Merkel non è certo una praticante delle arti atletiche. Rimane Sarkozy a difendere l'onore del jogging. Bisognerebbe suggerirgli una frase che a Roma si attribuisce all'ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Una volta, vedendo passare un gruppo di joggers, rivolgendosi a un amico che esaltava le qualità salutari di questo esercizio, gli rispose: «Sono stato ai funerali di alcuni che facevano abitualmente jogging...» Vera o falsa che sia la frase di Andreotti, è un monito che i fanatici della corsetta non dovrebbero mai dimenticare, specie sopra i trent'anni.

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Il dovere dell'Italia a Kabul (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 27-07-2009)

Argomenti: Obama

Vittorio Emanuele Parsi Il dovere dell'Italia a Kabul Hanno ormai cadenza quasi quotidiana le notizie di attentati, attacchi e operazioni militari di più vasta portata in cui sono coinvolte le truppe italiane in Afghanistan, che di per sé attestano quantomeno un inasprimento della situazione tattica e di teatro. A fronte di quanto sta già accadendo, e del prevedibile innalzamento della conflittualità che non si esaurirà con le elezioni di metà di agosto, il quesito che innanzitutto il governo e la sua maggioranza devono porsi è uno solo: l'Italia e le sue Forze Armate sono nelle condizioni di poter sostenere una campagna dalla durata ancora indefinita, nella quale i nostri soldati saranno chiamati sempre più a svolgere con crescente continuità un ruolo più aggressivo nei confronti degli insorti (come peraltro stanno già, egregiamente, facendo)? Evidentemente, la risposta implica due dimensioni. La prima riguarda la dinamica politica interna. L'uscita solo apparentemente estemporanea di Umberto Bossi («torniamocene a casa») esprime il crescere delle perplessità sul senso della missione all'interno delle file della maggioranza. Per motivi di bilancio, oltretutto, il governo sta operando per la riduzione degli organici della difesa, dove l'Esercito è in grado di schierare non più di 7 brigate operative per un totale di circa 20-25.000 uomini. Un numero così esiguo da rendere impossibile adempiere per tempi prolungati a più missioni internazionali di un certo respiro. D'altronde l'idea che, per conservare un certo rango nella politica internazionale, l'Italia debba dimostrare concretamente la capacità di assumersi maggiori oneri per il mantenimento dell'ordine internazionale sembra ormai un'acquisizione bipartisan. Dall'Iraq all'Afghanistan al Libano, questa consapevolezza ha guidato le decisioni di governi di opposto orientamento politico nelle scelte di prendere parte a operazioni militari internazionali. E, qualora ce lo fossimo già dimenticati, questa «nuova» attitudine italiana è stata vigorosamente apprezzata dal presidente Obama in occasione sia della visita a Washington del nostro presidente del Consiglio, sia dell'ultimo G8 aquilano. Ma se le forze a disposizione sono estremamente limitate, occorre selezionare gli impegni con estremo rigore, alla luce del nostro interesse nazionale. La missione Isaf rientra tra questi? La risposta affermativa riposa sulla convinzione che una ritirata dall'Afghanistan si presenterebbe come una sconfitta militare dell'Occidente e della Nato (la cui credibilità politica e militare verrebbe seriamente scossa); galvanizzerebbe e rinvigorirebbe le formazioni jihadiste ovunque nel mondo, privando ulteriormente della volontà di resistere e della speranza di prevalere tutti quelli che, nella vasta e variegata umma dei fedeli di Allah, lottano affinché islam e democrazia possano trovare una sintesi felice e originale: cioè renderebbe ancora più instabile e ostile il nostro «estero vicino». In termini globali, poi, paleserebbe la perdurante irrilevanza dell'Europa come fornitore di sicurezza e la sua marginalità politica, così avvicinando la prospettiva di un G2 sinoamericano. Affinché a ogni nuovo futuro scontro che dovesse coinvolgere le nostre truppe, con il presumibile, doloroso e quasi inevitabile bilancio di vittime, non si ricominci a parlar di caveat e «Tornado», ovvero a invocare precipitosi ritiri, la consapevolezza delle ragioni strategiche della nostra presenza in Afghanistan è il solo rimedio possibile. E sarebbe opportuno che il governo lo chiarisse all'opinione pubblica con la giusta fermezza, cosa che solo in parte è avvenuta in questi mesi. Esiste una sola possibilità alternativa. È quella che suggestivamente ricorda che fu proprio Osama Bin Laden il primo a perseguire quella politica di internazionalizzazione della crisi afghana, che culminò con gli attentati dell'11 settembre 2001 e l'invasione alleata. Da quando abbiamo seguito Bin Laden sulla politica da lui imposta, non solo non abbiamo fatto grandi passi avanti in Afghanistan, ma siamo riusciti addirittura a mettere a repentaglio il Pakistan. Se invece il diretto coinvolgimento occidentale cessasse, e il conflitto si «afghanizzasse», probabilmente il Pakistan continuerebbe a tessere le sue trame nel Paese vicino come ha sempre fatto (almeno dagli Anni Settanta), nelle vesti di burattinaio, piuttosto che in quelle di potenziale prossima vittima del contagio talebano. Sarebbe evidentemente un cambio di strategia drastico, dagli esiti incerti e neppure molto onorevole. La cui decisione, comunque, dovrebbe esser assunta dalla coalizione nel suo complesso. Ma le mezze misure, tantopiù in guerra, portano solo a sconfitte complete.

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Cina, operai in rivolta uccidono un manager (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 27-07-2009)

Argomenti: Obama

GEORGE MITCHELL INCONTRA OGGI NETANYAHU LA RISTRUTTURAZIONE DELL'INDUSTRIA PESANTE, IN MANCIURIA 30 MILA IN PIAZZA I «MUHAJIRUN» VOGLIONO IMPORRE LA SHARIA COSTRUITO CON L'AIUTO DEI RUSSI L'inviato di Obama a Damasco e Tel Aviv "Sbloccare i negoziati" Cina, operai in rivolta uccidono un manager Il Nord del Paese era una grande fonderia Adesso è una «cintura della ruggine» Nigeria, setta talebana assalta posto di polizia Uccisi 40 miliziani L'India superpotenza Varato il primo sottomarino nucleare DAMASCO Riparte da una visita dell'emissario George Mitchell in Siria, Israele e territori palestinesi il pressing degli Stati Uniti per il rilancio del processo di pace in Medio Oriente. L'obbiettivo è la ripresa «in tempi brevi» del negoziato fra Damasco e Gerusalemme. Reduce da un incontro definito «molto franco e positivo» con il presidente siriano, Bashar Al Assad, l'inviato di Barack Obama è sbarcato ieri a Tel Aviv. Mitchell - che precede in Israele il capo del Pentagono, Robert Gates, atteso oggi, e l'emissario della Casa Bianca per l'Iran, Dennis Ross - ha incontrato il ministro della Difesa, Ehud Barak. Oggi sarà a Ramallah (Cisgiordania), per vedere il leader dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen (Mahmud Abbas). Domani, a Gerusalemme, avrà un confronto decisivo con il premier conservatore israeliano Benyamin Netanyahu e poi si sposterà in Egitto. L'obiettivo è far ripartire - sulle base della Road Map, - il negoziato, bloccato soprattutto dal rifiuto di Netanyahu di congelare gli insediamenti in Cisgiordania. \[FIRMA]FRANCESCO SISCI PECHINO La classe operaia cinese, non più avanguardia comunista verso il socialismo reale, non più aristocrazia sociale, riportata al suo valore antico di braccia da comprare e vendere un tanto al mese, si è ribellata di nuovo. Circa 30 mila metalmeccanici si sono scontrati violentemente con la polizia venerdì a Tonghua, nel Nord-Est del paese, in quella che una volta era la Manciuria, la culla dell'industria pesante cinese, e che oggi è «la cintura della ruggine», con le vetuste fabbriche in via di dismissione. La protesta è stata accesa dalla notizia che la locale fonderia sarebbe stata comprata dalle acciaierie Jianlong, un'azienda basata a Pechino. Gli operai temevano altri licenziamenti. Ma l'evento che più ha scosso l'opinione pubblica, cinese e mondiale, è il pestaggio a morte di un dirigente dell'azienda, Chen Guojun. È stato attaccato dagli operai, massacrato di botte e lasciato morire, mentre la folla non faceva passare medici e ambulanza. La Cina è il primo Paese al mondo per produzione dell'acciaio. Ma, anche prima della crisi, soffriva un eccesso di capacità produttiva, tanto più adesso. La Cina produceva troppo acciaio di bassa qualità e poco acciaio di alta qualità, quello che serve nell'industria moderna. Il governo ha lanciato un massiccio piano di modernizzazione, con feroci tagli ai «rami secchi», cosa che nello Jilin significa mandare a casa decine di migliaia di operai, con liquidazioni e protezioni sociali risibili. Per questo molte località si oppongono con le unghie e con i denti ai piani di chiusura degli impianti, per salvare posti di lavoro e livelli di vita. A Tonghua gli operai non protestavano tanto contro la ristrutturazione dell'azienda, ma contro le liquidazioni da fame. E l'ira dei metalmeccanici era puntata soprattutto contro il direttore generale della fabbrica, Chen Guojun, che avrebbe ricevuto l'anno scorso un bonus di tre milioni di yuan (300 mila euro) per la cessione dell'azienda, mentre agli operai restava solo una specie di cassa integrazione da 200 yuan al mese (20 euro). Venerdì gli operai hanno bloccato l'autostrada e tre auto della polizia erano state attaccate e distrutte. Poi il manager è stato trucidato, scatenando la repressione. Le rivolte come quella di Tonghua evidenziano, con la loro carica di violenza, due ordini di problemi molto profondi: uno è il sistema disordinato, e propenso ai soprusi, di gestire il licenziamento degli operai. L'altro è la mancanza di una forza «interclassista», che stia in mezzo alle richieste divergenti di parti diverse della società. Perché lo sforzo interclassista del partito comunista si scontra con la tradizione usata fino a ieri, che inneggiava alla lotta di classe e disprezzava, con spirito quasi religioso, il frutto naturale dell'economia di mercato, cioè i ricchi contrapposti ai molti che restano poveri. LAGOS Armati di pistole e bombe a mano, alcune decine di adepti di una setta integralista islamica (Muhajirun) di ispirazione talebana hanno attaccato ieri una stazione di polizia nella città di Bauchi, in Nigeria. Ne è seguita una violenta sparatoria con le forze di sicurezza che ha lasciato sul terreno decine di morti. Almeno 42 le vittime, per lo più attaccanti. L'assalto è stato seguito da una retata alle moschee e ai covi della setta. Secondo la polizia sono stati arrestati almeno 200 miliziani islamici. Un membro della setta, ferito nell'azione e che ha dichiarato di chiamarsi Abdullah, ha detto che «la polizia arrestava i nostri leader e così abbiamo deciso la rappresaglia». Lo scopo dei Muhajirun, secondo Abdullah, è quello di «ripulire la società inquinata dalla cultura occidentale e imporre la sharia in tutto il Paese». I talebani nigeriani sono nati nel 2004 su iniziativa di circa 200 studenti. \NEW DELHI Un nuovo gigante militare si affaccia in Asia. New Delhi ha varato ieri il suo primo sottomarino a propulsione nucleare dotato di missili balistici. L'India è così diventato il sesto Paese dopo Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna a possedere sottomarini nucleari. L'unità, costruita in India con l'aiuto di tecnici russi, è stata battezzata dal premier Manmohan Singh «Arihant» (Il distruttore di nemici). Lungo 111 metri, ha un dislocamento di 6.000 tonnellata ed è spinto da un reattore di 85 megawatt che gli consente di raggiungere una velocità massima di 44 chilometri l'ora (24 nodi) in immersione. Ha un equipaggio di 95 uomini e sarà il primo di una nuova classe di sei sottomarini realizzati in India. Singh ha chiarito che l'India non vuole minacciare nessuno ma «è importante per noi prendere tutte le misure necessarie per difendere il nostro paese». In precedenza l'India aveva noleggiato un sottomarino nucleare russo e nel 2005 ha sottoscritto un contratto da 2,4 miliardi di euro per 6 sommergibili a propulsione convenzionale Scorpene di fabbricazione franco-spagnola. \

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L'Amministrazione Obama ha completamente ripensato la strategia in Afghanistan perché la minaccia terrorista agli Stati Uniti non è stata smantellata E' lì che dobbiamo concentrare (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 27-07-2009)

Argomenti: Obama

L'Amministrazione Obama ha completamente ripensato la strategia in Afghanistan perché la minaccia terrorista agli Stati Uniti non è stata smantellata E' lì che dobbiamo concentrare tutte le nostre energie

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Hillary all'Iran: la bomba mai (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 27-07-2009)

Argomenti: Obama

Intervista Il Segretario di Stato Usa Hillary all'Iran: la bomba mai "La corsa all'atomica è inutile e inaccettabile, useremo tutti i mezzi per bloccarla" DAVID GREGORY WASHINGTON Segretario di Stato Clinton, la sua dichiarazione dei giorni scorsi sull'«ombrello difensivo» da costruire con gli alleati del Golfo Persico in funzione anti-Teheran ha sorpreso molti. «Vogliamo che l'Iran rifletta su un punto importante: se gli Stati Uniti aprono un ombrello difensivo sulla regione, difficilmente l'Iran sarà più forte o più sicuro, perché non potrà minacciare o dominare come pensa di poter fare una volta costruita la bomba atomica. I loro sforzi sono inutili». Lei sta dicendo ai Paesi arabi che un attacco a loro è come un attacco agli Stati Uniti, dai quali partirebbe un'immediata ritorsione? «E' chiaro che stiamo cercando di contrastare i calcoli del regime iraniano. Il nostro messaggio a chi prende le decisioni in Iran è questo: se pensate di ottenere l'arma atomica per intimidire e proiettare la vostra potenza non ve lo lasceremo fare. Riteniamo inaccettabile che Teheran abbia l'atomica e non lo permetteremo, a qualunque costo». Entriamo nei dettagli. Allude a un ombrello nucleare? «Non intendo entrare nei dettagli, perché questi arriverebbero in un secondo tempo, ammesso che ce ne sia bisogno. La nostra speranza è che l'Iran capisca che è nel suo interesse assecondare la comunità internazionale, che dice in maniera molto chiara che diritti e responsabilità vanno di pari passo. Tutti hanno il diritto a un uso pacifico del nucleare, non alla bomba atomica». Lei ritiene illegittimo il nuovo governo iraniano? «Ogni valutazione sulla legittimità del regime iraniano spetta al popolo iraniano. Le sue grida di libertà mi hanno commosso. Gente con una cultura e una storia così grandi merita di meglio di quello che ha adesso». Una delle grandi sfide è impedire a Israele di agire per primo. Se gli israeliani penseranno di trovarsi in una situazione di vita o di morte, colpiranno l'Iran per rendere inoffensivi i suoi siti nucleari. E il vicepresidente Usa Biden ha detto che non è possibile imporre a un altro Stato sovrano quello che può o non può fare. «Il vicepresidente ha sottolineato un dato di fatto: Israele è uno Stato sovrano e non ascolterà altri se si sentirà in pericolo di vita. Noi però continuiamo a credere negli sforzi diplomatici e contemporaneamente, con le nostre azioni, diciamo a Israele: "Gli Stati Uniti sono con voi, e con il vostro diritto alla sicurezza"». L'Iran è un regime illegittimo? «Tocca agli iraniani scegliere, noi non entriamo nelle dinamiche interne alla società. Credo però che un popolo con una cultura e una storia come la loro si meriti di più di quello che ha adesso». Passiamo all'Afghanistan. Per il presidente Obama, è una guerra per necessità o è diventata una guerra per scelta? «Ritengo che il Presidente sia stato molto chiaro - in campagna elettorale come alla Casa Bianca - nel dire che la linea politica seguita in Afghanistan non ha funzionato. Sappiamo che la minaccia agli Stati Uniti non è stata smantellata, chi ha complottato contro di noi e ha portato a termine gli attacchi dell'11 settembre non è ancora stato portato davanti alla giustizia, né ucciso o catturato. Così l'obiettivo del presidente è smantellare, distruggere e alla fine sconfiggere Al Qaeda». Intende dire che è tutto concentrato sulla lotta ai taleban? Vorrei che rispondesse all'editorialista Thomas Friedman, che ha scritto: «Siamo andati in Afghanistan per distruggere Al Qaeda e adesso ci troviamo invischiati in una lunga guerra con i taleban. E' questo un buon uso della forza americana?». «Abbiamo avuto una radicale revisione strategica, perché Al Qaeda sta utilizzando i suoi alleati estremisti, compresi i taleban, per estendere il suo raggio d'azione nel mondo. Così, per sradicare e distruggere questa rete del terrore, dobbiamo sfidare coloro che offrono ad Al Qaeda un porto sicuro. Come sapete, il confine tra Afghanistan e Pakistan è permeabile, continuamente attraversato da una parte all'altra. La nostra nuova strategia, appoggiata da un alto numero di Paesi - alcuni dei quali sono in disaccordo con noi su molti altri temi - è concentrata sul nostro obiettivo primario. Dall'Iraq abbiamo imparato una durissima lezione: perché l'intervento militare sia efficace, occorre migliorare la capacità della comunità locale di difendersi da sola. Questa è la nuova strategia. Ma è appena cominciata». Lei pensa che i taleban sentano la vostra pressione? «Sì, e credo che questa sia nell'interesse nazionale americano. Abbiamo l'esercito più straordinario del mondo, con vertici perfettamente allineati con i nostri obiettivi. Spero che vedremo presto i benefici della loro azione e del loro sacrificio in vite umane». Passiamo all'Iraq. Siete soddisfatti del bilancio di questi primi sei mesi di nuova amministrazione alla Casa Bianca? «Abbiamo cominciato a mettere in pratica il nostro impegno a ritirarci e così adesso, quando incontriamo il primo ministro Maliki e il suo governo, parliamo di istruzione e di agricoltura». Parliamo di un'altra regione difficile, la Russia. E della frase pronunciata dal presidente Obama: «Dobbiamo fare un "reset" dei nostri rapporti con Mosca». «Sì, questo ha detto il Presidente poco dopo il suo ingresso alla Casa Bianca. Sappiamo che non è un compito facile. Richiede tempo e fiducia. Noi vogliamo una Russia forte, pacifica e prospera. Stiamo lavorando insieme per ridurre i reciproci arsenali atomici, assicurarci che il materiale fissile non cada nelle mani sbagliate, combattere la minaccia dell'estremismo violento. Ma diciamo anche chiaramente a Mosca che rifiutiamo la sua politica di ricostruire una sfera di influenza nell'Europa dell'Est. I Paesi che facevano parte dell'Unione Sovietica hanno il diritto di scegliersi gli alleati che vogliono, Nato compresa. I russi sanno che noi mettiamo in discussione alcune loro politiche, così come loro mettono in discussione alcune delle nostre».

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Barack Obama Basket e palestra L'attuale inquilino della Casa Bianca gioca a pallacanestr... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 27-07-2009)

Argomenti: Obama

Barack Obama Basket e palestra L'attuale inquilino della Casa Bianca gioca a pallacanestro tutti i giorni

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La sicurezza e la Formula 1 Ho avuto paura per Felipe Massa come se si trattasse di un con... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 27-07-2009)

Argomenti: Obama

La sicurezza e la Formula 1 Ho avuto paura per Felipe Massa come se si trattasse di un conoscente, che sollievo sapere che non ci sono danni cerebrali. Tuttavia serve una soluzione definitiva per evitare altre vittime, solo una settimana prima un pilota di F2 è morto colpito da un pneumatico. Di recente la F1 ha rischiato di chiudere i battenti, ma il tema non era la sicurezza bensì il tetto di spesa. Avrei un'idea, destinare il 20% del budget di ogni singola scuderia per la costruzione di una capsula protettiva, composta da un cristallo durissimo come il diamante. Niki Lauda afferma che potrebbero esserci problemi di visibilità, forse l'ex ferrarista non considera che così si potrebbe eliminare il casco. FABRIZIO VINCI, MESSINA Il valore del pezzo di carta Nell'editoriale dei lettori offerto da La Stampa del 24 luglio u.s. il prof. Paolo Fai, docente di latino e greco, racconta un episodio che sarebbe sconcertante se non fosse dimostrativo dell'annunciato degrado che - con attività ininterrotta e corrosiva - è arrivato al punto di rottura. «Nei bagni del mio liceo ho letto coi miei occhi la confessione di un anonimo studente che, con l'arroganza dell'impunità, ha consegnato, a futura memoria, a un muro dei gabinetti: "Ho preso la maturità senza conoscere nemmeno un verbo greco"». Se uno studente arriva a vantarsi, con orgoglio, di un simile risultato, è chiaro che si è toccato il fondo. Era prevedibile che il voto politico e la promozione a ogni costo avrebbero finito con il premiare l'inettitudine, favorendo i furbastri. Ora pare che ci sia un ritorno a valori quali l'impegno, la buona volontà e l'abolizione di vergognose scorciatoie. Se il ritorno alla meritocrazia sarà costante ed effettivo potremo sperare che il famoso «pezzo di carta» ritorni a essere l'attestato di meriti comprovati ed effettivi. E io credo che ci siano validi motivi per ritrovare la speranza. RENATA MUCCI, BRESCIA Un'altra lezione da Barack Obama Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha pubblicamente ammesso di «aver misurato male le parole» quando mercoledì scorso, durante una conferenza stampa, aveva definito «stupido» il comportamento della polizia di Cambridge nella vicenda tra il professor Henry Louis Gates e il poliziotto James Crawley. Quando vedremo - anche in Italia - un politico, fosse anche un semplice consigliere di quartiere, ammettere di aver sbagliato e chiedere scusa? Non so, ma credo ne passerà ancora tanto di tempo. SERGIO GAIOTTI Scherzar coi santi Confessando di non essere un santo, Berlusconi ottiene in un sol colpo due notevoli risultati: da un lato ingraziarsi la Chiesa, dall'altro entusiasmare il popolo che, storicamente, idolatra i presidenti sciupafemmine. Sennonché (ecco l'inciampo) pentendosi il peccatore ammette, nello stesso tempo, di essere un mentitore. Il che indurrà la Chiesa a chiedersi se vale la pena aver fiducia in un pentito che fa della menzogna il suo stile di vita. Quanto alla gggente, a poco a poco si farà strada il dubbio che le tanto vantate prodezze copulatorie altro non siano che puerili vanterie messe in giro a fini pubblicitari. GINO SPADON Nell'interesse del Paese. E perché? I politici di oggi diventano i ripetitori dell'insopportabile frase «gli italiani lo sanno, è nell'interesse del Paese». Purtroppo in nessuna occasione nessuno chiede loro il perché. Lo chiedo io: ammesso e non concesso che gli italiani veramente lo sappiano, qualcuno mi saprebbe spiegare perché lo scudo fiscale è «nell'interesse del Paese»? E perché la non processabilità delle quattro più alte cariche dello Stato è «nell'interesse del Paese»? E perché il limite alle intercettazioni e il divieto di pubblicazione è «nell'interesse del Paese»? DUCCIO IVO PLATONE, ASTI Latin lovers e incubo stalking Ultimamente si parla molto di stalking, anche a sproposito. È chiaro che in questa materia bisogna usare cautela e intelligenza, ma credo che alcune donne abbiano abusato della nuova legiferazione in questo campo. Certamente avvengono da parte dell'uomo persecuzioni vere, ma bisogna anche chiedersi il motivo. Mogli o ex che non permettono ai padri di vedere i figli, uomini lasciati senza una spiegazione. È umano che questi si trovino spaesati e commettano scorrettezze. Spero di non venire frainteso, la materia è eticamente sensibile e non vorrei essere tacciato di misoginia. Però eravamo un popolo di «latin lovers» e oggi il sesso forte non è più l'uomo bensì la donna, che per emancipazione e carriera sta perdendo una cosa molto importante: la femminilità. GIUSEPPE CAROSELLA Togliere i treni ai terremotati Non so se oggi abbia ancora senso sopprimere treni regionali nei mesi estivi. Però posso affermare con certezza che la soppressione non era opportuna in Abruzzo, dove ai pendolari abituali si sono aggiunti i pendolari terremotati. Risultato: nelle ore di punta i treni non soppressi che partono, ad esempio, da Montesilvano si riempiono al punto da costringere le persone a viaggiare in piedi. Il che non accadeva prima del terremoto. FRANCESCA RIBEIRO Cavour pensaci tu Sarebbe cosa ben grave se ci fosse qualcuno al governo che volesse sabotare persino il ricordo storico del Risorgimento in una nuova vampata estiva di secessionismo. L'Unità Nazionale resta un valore fondante, così come resta un valore fondante il Risorgimento, oltre ad altre scadenze che dovrebbero imporre una riflessione storica: la II guerra d'Indipendenza del 1859, la spedizione dei Mille, il bicentenario dalla nascita di Cavour. Credo che non ci vogliano celebrazioni o demolizioni, ma una riflessione che richiami al Paese le sue origini unitarie, in un rapporto solidale tra Nord e Sud. Ricordo Mario Pannunzio che teneva, lui non piemontese, dietro la sua scrivania di direttore del Mondo il ritratto di Cavour. PIER FRANCO QUAGLIENI, DIRETTORE DEL «CENTRO PANNUNZIO»

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in un clima di odio e di paura - (segue dalla prima pagina) dal nostro inviato (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 2 - Esteri IN UN CLIMA DI ODIO E DI PAURA Il reportage E il Paese si prepara al voto Per la prima volta l´elettorato potrebbe esprimere un massiccio voto di protesta La Casa Bianca tifa per un economista, Ashraf Ghani, che promette 1 milione di posti di lavoro Privato dei sostegni internazionali, Karzai tesse alleanze con figure controverse (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) DAL NOSTRO INVIATO guido rampoldi Però con la piccola folla che ora gli si accalca intorno, discute, maledice insieme a lui la corruzione, si materializza un Afghanistan insolito, svincolato da obbedienze etniche o tribali, stufo, indignato, capace di un pensiero autonomo. Proprio la probabilità che questo elettorato esprima un massiccio voto di protesta giustifica non solo le modeste speranze di notorietà del colonnello Rahamani, ma anche le ambizioni di ben più poderosi sfidanti del presidente in carica, Hamid Karzai, la cui vittoria non è scontata. Se i Taliban non riusciranno a sabotarle, saranno le prime vere elezioni nella storia afgana. Incerte come non lo furono le presidenziali del 2004, organizzate dagli americani nel modo più vantaggioso per Karzai. Oggi la sua sconfitta sarebbe accolta con sollievo al Dipartimento di Stato, dove si tifa sommessamente per Ashraf Ghani, l´economista acuto e scontroso cui Hillary Clinton ha suggerito un consulente d´eccezione, James Carville. Nel 1994 Carville condusse Bill Clinton alla Casa Bianca con l´intuizione che riassunse nel motto It´s the economy, stupid: per intendere che è l´economia, l´interesse concreto, a determinare l´elettorato. Quindici anni dopo Carville prova a far vincere Ghani applicando la stessa idea nientemeno che in Afghanistan. Non scommetteremmo sul risultato. Ghani promette un milione di posti di lavoro, ha un curriculum di alto profilo e in tv risulta convincente. Ma in un Paese dove il 42% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, It´s the economy, stupid andrebbe tradotto anche con più concrete e tradizionali dimostrazioni di liquidità. E forse per questo le quotazioni di Ghani sono in ribasso rispetto a quelle di rivali più solvibili, in grado di pagare sull´unghia rimborsi, ingaggi e banchetti alle centinaia che affollano i loro uffici elettorali. Il vuoto che trovo nel suo quartier generale sembra indicare che dagli Stati Uniti l´economista non ha ottenuto altro che la considerazione di Hillary e i consigli di Carville. Molto meno di quanto hanno ricevuto dall´estero i suoi rivali. Lontano dai microfoni, ciascun candidato di peso attribuisce agli altri uno o più finanziatori stranieri. Britannici e pakistani per il presidente del parlamento Mirwais Yasini (che però si è venduto la casa per finanzare la propria campagna). Sauditi per un altro. Indiani per un terzo. Non sfuggono a questi sospetti neppure il presidente Karzai e il suo principale sfidante, l´ex ministro degli Esteri Abdullah Abdullah. Karzai è appoggiato da capi di milizie etniche ciascuno sponsorizzato da uno Stato straniero. Abdullah dispone di fondi notevoli, come attesta la sua rete imponente di sedi elettorali, e poichè negli anni in cui l´Alleanza del nord combatteva i Taliban, era il recettore dei finanziamenti iraniani, tutti sono convinti che i suoi benefattori siano a Teheran. Il capo della sua campagna, Fazel Sancharaki, non nega il passato («L´Afghanistan era piombato nella guerra civile e nessuno in Occidente se ne proccupava: era ovvio che cercassimo aiuti dai Paesi vicini). Ma adesso, giura, contiamo soltanto su amici afgani. In ogni caso, è scontato che tutte le potenze dell´area abbiano scommesso poste su questo o su quello, in genere puntando su più cavalli. Probabilmente anche Paesi occidentali hanno impegnato qualche somma. Ma nel complesso l´Occidente ha scelto la neutralità. Il nuovo ambasciatore statunitense, Ricciardone, assicura che il candidato di Washington è «la legalità» (della consultazioni). Lo ha ripetuto stamane anche a Fazel Sancharaki, e lo ha convinto. «La nuova amministrazione americana - mi dice adesso l´afgano - ha capito che i presidenti imposti non funzionano». La neutralità occidentale ha un´implicazione forte: Hamid Karzai non è più il nostro uomo a Kabul. E questo cambia le cose. Privato dei sostegni internazionali che nel 2004 lo portarono alla presidenza, Karzai ha sopperito tessendo alleanze locali con i personaggi più vari, inclusi figuri che il capo dello Stato dovrebbe combattere - comandanti dal passato criminale, poliziotti rapaci, governatori corrotti, ora tutti parte della sua macchina elettorale. Questo tattica spregiudicata ha acuito il disagio dell´amministrazione Obama ma gli ha reso. All´inizio di luglio l´unico sondaggio gli attribuiva un vantaggio largo sui suoi principali sfidanti (31% contro il 7 di Abdullah e il 3 di Ghani). Però da allora Abdullah sembra in rimonta, e Karzai lontano dalla maggioranza assoluta che gli è necessaria per evitare il ballottaggio, evenienza per lui molto rischiosa. Nel secondo turno, infatti, il voto contro di lui non sarebbe più disperso tra i vari sfidanti. Dunque è probabile che non menta Yasini, il presidente del parlamento, quando mi racconta di un Karzai «molto nervoso». Il presidente non si fida degli occidentali («Non se ne è mai fidato», commenta Yasini). E chiede rassicurazione a diplomatici in visita: sospetta che americani ed europei abbiano deciso di fargli perdere le elezioni. Davvero resterete spettatori neutrali?, domanda e si domanda. Il suo rovello è comprensibile. In queste elezioni l´Occidente di fatto è anche un arbitro. E gli arbitri sono sempre sospettati di favorire l´uno o l´altro. Come? Per esempio attraverso gli osservatori internazionali. Quelli inviati dall´Unione europea sono guidati da Philippe Morillon, il generale francese che durante la guerra bosniaca fu, allo stesso tempo, il comandante delle truppe Onu e un esecutore della politica mitterandiana nell´ex Jugoslavia. Se non bastasse l´attitudine di Morillon a interpretare ruoli doppi, ad inquietare gli uomini di Karzai concorre la fama del francese, noto come un vecchio amico dell´Alleanza del Nord. E quella consorteria di ex guerrieri tagichi oggi è gran parte della macchina elettorale di Abdullah. Come si difende, generale? «Io sono un vecchio amico dell´Afghanistan, non di questo o di quello», protesta Morillon. «E´ vero che venni qui la prima volta su invito dell´Alleanza del nord, ma sono tornato altre otto volte. E non ho alcun problema ad essere imparziale». Non v´è ragione per non credergli. Però è evidente che il controllo sulle elezioni può essere interpretato dagli occidentali nei modi più vari. Un rapporto confidenziale giunto alla presidenza stima che la polizia e l´esercito afghani non riescono a garantire la sicurezza nel 18% dei seggi, perciò esposti agli attacchi dei Taliban. Soprattutto in alcune circoscrizioni del sud e dell´est, votare sarà pericoloso per gli uomini e molto più per le donne, che rischierebbero una pallottola a tradimento se soltanto si avventurassero fuori di casa nella giornata delle elezioni. Tanto più è sospetto che le afghane risultino essersi iscritte in massa nelle liste elettorali proprio dove pare scontato il loro forzato astensionismo. Per esempio: mentre in una città sicura come Kabul le elettrici registrate sono la metà degli elettori, nell´insicura provincia di Paktika avrebbero superato largamente i maschi (come nel 2005, quando risultarono 90mila su 166mila iscritti). E laggiù perfino andare a scuola comporta rischi per le femmine. Minaccia la correttezza delle elezioni anche il consueto caos afgano, per il quale, ad esempio, nel Nuristan gli iscritti nelle liste elettorali risultano 443mila, contro una popolazione di 130mila, neonati inclusi. Dunque le irregolarità non saranno poche. Molti elettori voteranno più volte. Molte elettrici non voteranno affatto ma qualcuno compilerà le loro schede. Consapevoli, americani ed europei hanno abbassato le aspettative. Se prima volevano elezioni regolari, ora chiedono soltanto elezioni «credibili», l´aggettivo ripetuto la settimana scorsa a Kabul da due alti emissari dell´Unione europea, Javier Solana ed Ettore Sequi. Ma `credibilità´ è un criterio vago. Vi fossero brogli massicci, il più sospettato sarebbe inevitabilmente Karzai, che controllando lo Stato ha più strumenti dei suoi rivali per manipolare i risultati. Come si comporterebbero in quel caso gli occidentali? Come reagirebbero i candidati sconfitti? E gli elettori? Scendereste in piazza, imitereste la protesta degli iraniani? domanda ai passanti il tg della Tolo, la tv afgana più seguita, ostile a Karzai. L´intervistatore non li molla finchè quelli non convengono: sì, come gli iraniani, in piazza fin quando Karzai non riconvocasse le elezioni. Uno spettacolo `iraniano´ a Kabul non contribuirebbe a convincere le nostre opinioni pubbliche che la missione della Nato sta rimettendo in sesto l´Afghanistan. E l´imbarazzo dei governi occidentali aumenterebbe se le tifoserie dei principali candidati prendessero a scontrarsi nelle strade. C´è una certa animosità in giro. La gente di Karzai ha ammazzato uno dei nostri quadri e ne ha ferito un altro, mi racconta uno tra gli ex mujahiddin che guidano a Kabul la campagna elettorale di Abdullah. Questi reduci vengono tutti dal Panshir, una regione del nord dove, con la forza e con le minacce, impediscono a Karzai di tenere comizi. Però finora la contesa elettorale nel complesso è stata incruenta, in tv i dibattiti sono molto professionali, i candidati si mostrano rispetto. Non è poco, in un Paese da trent´anni in guerra che pullula di armi e di armigeri. Nei comizi si parla soprattutto della miseria, della corruzione e dei Taliban. I principali candidati sono tutti favorevoli al negoziato con il nemico, e lasciano intendere che un accordo di pace sia raggiungibile con facilità (ma non è così). Tanto Karzai quanto il più accreditato tra i suoi sfidanti, Abdullah, annunciano che rinegozieranno con l´Alleanza atlantica i termini della presenza occidentale, per garantirsi che non vi siano più bombardamenti sommarii, `danni collaterali´ e oltraggi alle tradizioni locali (ma il comando Nato ha già provveduto a rettificare le relative procedure militari). Karzai ed Abdullah esprimono spesso opinioni simili, sembrano più complementari che antagonisti. Cinque anni lavoravano di buon accordo nel governo e non è improbabile che in futuro tornino a collaborare. Forse per questo nel quartier generale di Abdullah Fazel Sancharaki descrive così il presidente: «Troppo erratico, ragione per cui gli afgani non gli credono più. Però, un democratico, un patriota, un politico con una visione nazionale». Più che di un avversario sembra la descrizione di un futuro alleato.

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obama studia il modello cinese contro la crisi funziona meglio - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-07-2009)

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Pagina 23 - Commenti OBAMA STUDIA IL MODELLO CINESE CONTRO LA CRISI FUNZIONA MEGLIO (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Non c´è questione strategica per la quale l´America non abbia bisogno della cooperazione cinese: rilancio della crescita economica, risanamento dell´ambiente, Iran, Corea del Nord. Mai nella storia due superpotenze rivali hanno avuto tanto bisogno l´una dell´altra. E nell´immediato è l´America che sembra affrontare questo dialogo in stato di necessità. Alla vigilia di questo G2 le riserve valutarie della banca centrale cinese hanno fatto un ulteriore balzo in avanti, superando i 2.130 miliardi di dollari: un arsenale finanziario unico al mondo, con cui Pechino compra titoli del Tesoro Usa, finanziando il crescente debito pubblico di Obama. Sullo sfondo di questo G2 c´è una domanda che i dirigenti americani sono costretti a porsi. Perché la strategia anti-recessiva cinese ha funzionato meglio? Con 586 miliardi di dollari di spesa pubblica aggiuntiva, prontamente varati alla fine del 2008, la Cina è l´unica grande economia mondiale che può vantarsi di avere evitato il contagio della recessione. Ha subìto solo un rallentamento temporaneo della crescita, ora è già ripartita. A fine anno il suo Pil aumenterà attorno al 7,9%. Un exploit che sembrava impossibile. Ancora pochi mesi fa tra gli esperti e le istituzioni internazionali il consenso era unanime: nessun paese sarebbe riuscito a "sganciarsi" dal convoglio della globalizzazione avviato verso la crisi. Lo sganciamento c´è stato. Dall´altra parte del Pacifico i 787 miliardi di dollari di investimenti pubblici pro-crescita varati dal Congresso di Washington all´inizio di quest´anno hanno al massimo attutito e forse accorciato la recessione, che ancora non si è conclusa. Questa divaricazione si spiega con la diversa natura del sistema cinese. Economia mista; con tanto mercato e tanto Stato; con elementi di concorrenza e una forte capacità di pianificazione; con la vitalità imprenditoriale del capitalismo e insieme il decisionismo di un governo autoritario. 140 enti di Stato, dall´energia alle banche, dalle telecom ai trasporti, dalle miniere alle assicurazioni, sono la cinghia di trasmissione che diffonde in tutto il sistema economico gli impulsi dati dall´alto della catena di comando. Perciò è vano interrogarsi sull´attendibilità delle statistiche cinesi. Agli occidentali sembra una coincidenza sospetta, il fatto che la crescita nel 2009 si avvicinerà proprio all´8% annunciato dal governo molti mesi fa. Ma nel sistema cinese tra i piani del governo e i risultati la distanza è più corta che altrove: i 140 presidenti dei colossi pubblici sono parte integrante della nomenklatura comunista che ha deciso un´eccezionale mobilitazione di risorse per impedire la recessione. Una parte si perderà per strada, nei rivoli della corruzione e nei conti cifrati dei gerarchi comunisti a Hong Kong e Macao. Gran parte della spesa però arriva a destinazione. La si vede già nei cantieri di autostrade, porti, aeroporti, centrali nucleari e solari, aperti in tempi record. Nella gara sulla modernità delle infrastrutture, è l´America che arranca con anni di ritardo dietro alla Cina. Avendo scampato la recessione, Pechino ne approfitta per accelerare la rincorsa nei rapporti di forze con la grande rivale. «Espandetevi nel mondo», è la direttiva esplicita che il premier Wen Jiabao ha dato alle grandi aziende cinesi: esortandole a riciclare il giacimento di capitali interni, usandoli per prendere il controllo di interi pezzi dell´economia globale. Gli investimenti cinesi all´estero, che erano appena 143 milioni di dollari nel 2002 (l´anno dopo l´ingresso di Pechino nel Wto), sono saliti a 40 miliardi l´anno scorso e raddoppieranno entro la fine del 2009. Miniere australiane e argentine, petrolio iracheno e gas pachistano, grandi magazzini giapponesi e automobili sudcoreane: il mondo intero scopre un´altra ondata di invasori cinesi, sono capitalisti con il libretto degli assegni in mano pronti ad acquistare aziende, terreni, risorse naturali. Anche la Opel, sfuggita alla Fiat, è nel loro mirino. è probabile che la globalizzazione stia entrando in una fase sino-centrica. Africa e America Latina vengono risucchiate in una densa rete di rapporti politico-economici con Pechino. I leader cinesi promuovono accordi di libero scambio proprio mentre l´Occidente è diventato scettico e protezionista. Venti accordi di libero scambio in dirittura di arrivo hanno per protagonista la Cina. Uno di questi, aprendo ulteriormente le frontiere tra 1,3 miliardi di cinesi e 500 milioni di abitanti del sudest-asiatico, segna l´avvio del più grande "mercato comune" della storia. La marcia trionfale della Cina è turbata però da incidenti molto seri. Si è appena spenta l´eco della rivolta islamica nello Xinjiang - soffocata dalla forza militare e dal silenzio stampa - e un´altra protesta è esplosa con violenza. 30.000 operai metalmeccanici nella provincia nord-orientale di Jilin si sono ribellati ai licenziamenti nell´acciaieria di Stato Tonghua. Hanno aggredito l´amministratore delegato nel suo ufficio, lo hanno ucciso a botte, hanno impedito l´arrivo dell´ambulanza, hanno dato fuoco alle auto della polizia e bloccato l´autostrada. Non tolleravano che il top manager ricevesse 250.000 euro di stipendio all´anno, mentre i pensionati e i cassaintegrati dell´acciaieria devono sopravvivere con 20 euro al mese. La tragica esplosione di rabbia di quegli operai è un evento più frequente di quanto si venga a sapere. L´accumularsi di risentimenti per le diseguaglianze sociali è il risultato di uno sviluppo dominato dagli interessi delle grandi imprese. In base alle sue stesse statistiche ufficiali la Cina ha 300.000 ultramilionari, ma la quota dei salari sul Pil è scesa dal 53% al 40% negli ultimi dieci anni. Per placare le tensioni create da questo modello economico, i leader di Pechino hanno una sola risposta: correre sempre più velocemente, in modo che la diffusione del benessere a nuovi strati della popolazione anestetizzi le richieste di giustizia. è una ricetta che per il momento funziona: i conflitti sociali proliferano ma restano frammentati. A differenza dall´Iran, non si vede all´orizzonte una sfida alla legittimità del regime cinese. Ben diversa da tante altre nazioni emergenti, Pechino governa in modo efficiente una società complessa che ha le dimensioni di un continente. La sua classe dirigente non mostra di avere divisioni interne, un ingrediente essenziale per segnare l´inizio di una crisi. L´Amministrazione Obama che oggi riceve la "delegazione imperiale" della grande rivale, scopre nei rapporti con la Cina una serie di dilemmi ben più intricati rispetto a ciò che fu il confronto con l´Urss per Kennedy, Nixon, Carter e Reagan. Mai in passato l´America ebbe come principale concorrente un paese che le era al tempo stesso indispensabile come lo è la Repubblica Popolare. è una Cina con la quale l´Occidente ha un´irriducibile divergenza di valori, politici e morali; ma nessun leader democratico può augurarsi a cuor leggero che il gigante asiatico sprofondi in una crisi. In che mondo vivremmo, se Pechino perdesse il controllo della situazione? A meno di improvvisi scherzi della storia, Obama e i suoi preferiranno lasciare quella domanda aperta, a una prossima generazione.

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la schiappa - pico floridi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-07-2009)

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Pagina 33 - Cultura LA SCHIAPPA Intervista all´autore, l´americano Jeff kinney Il ragazzino imbranato da 13 milioni di copie di successo "Time" lo ha messo nella classifica delle 100 persone più influenti I genitori ringraziano per aver "sottratto" i ragazzi a computer e playstation PICO FLORIDI Chi è la Schiappa? Chi è questo ragazzino di inchiostro che riesce a convertire alla lettura milioni di teenager in carne ed ossa distraendoli dalla playstation? Il personaggio creato da Jeff Kinney si chiama Greg Heffley, e le pagine in cui racconta le sue disavventure sono i volumi del Diario di una schiappa (Editrice il Castoro, euro 11, traduzione di Rossella Bernascone). Già, la Schiappa è proprio lui, il ragazzino filiforme, un po´ curvo, con tre peli sulla testa, con un fratello piccolo viziato, un fratello grande prepotente, dei genitori che non lo apprezzano e dei compagni che non se lo filano. è lui il solo, infatti, ad essere molle, fuori gioco, "uccio", una Schiappa, insomma. Una Schiappa che inizia il suo anno scolastico barcamenandosi fra i compagni divenuti degli energumeni irsuti e muscolosi e le compagne che non lo guardano più perché ormai adolescenti, piccole star. Ma Greg, con tutte le sue esilaranti traversie, è un vero eroe, riuscito nel compito impossibile di appassionare almeno sedici milioni di lettori – tante sono le copie dei suoi libri venduti nel mondo. Un risultato che ha valso al suo autore la recente nomina nella celebre lista dei cento personaggi più influenti dell´anno di Time magazine, accanto a giganti come Oprah Winfrey, Jeff Bezos e Barack Obama. è difficile immaginare Jeff Kinney nei panni di una Schiappa: è alto, ha spalle larghe e un gran sorriso. E non solo perché è uno dei tre autori ad avere ben due titoli nella lista dei venticinque titoli più venduti negli Stati Uniti quest´anno. Essere considerato un maestro, un mentore, è un´idea che lo diverte, «sono stati due anni pazzeschi», ma non ci crede tanto: «figuriamoci, io non avevo nemmeno pensato di diventare un autore per ragazzi, volevo diventare vignettista». Un inizio difficile, quindi. «Beh, volevo fare il vignettista per un giornale. Ma il mio tratto non era all´altezza, e così ho deciso di mettermi nei panni di un dodicenne, in modo che nessuno potesse criticare i miei disegni». Una reazione da Schiappa? «Mah, veramente all´inizio pensavo di stare scrivendo per gli adulti. In tutti gli otto anni che mi ci sono voluti per pubblicare il mio primo libro, non ho mai lavorato pensando ai ragazzi. è stato il mio editore a volerne fare un libro per ragazzi, poi non ho cambiato il mio stile». Kinney scriveva per i grandi. E proprio questo è stato il suo segreto, anche se all´inizio ne era preoccupato: «Non mi vedevo come uno scrittore per ragazzi, pensavo che gli adulti si sarebbero divertiti a ritrovare i loro dilemmi di adolescenti. Greg non è perfetto, avevo paura che i ragazzini non lo avrebbero capito». Riuscire ad accalappiare i non lettori ha vari segreti, il primo è di «essere molto accessibili, di sfidarli con un testo poco impegnativo. Puoi aprire i miei libri in qualsiasi pagina e iniziare a divertirti. La comicità gioca un grande ruolo in questo senso. Ho lavorato molto per trovare le battute giuste». Sono trentamila i genitori e insegnanti che gli hanno scritto via mail, e molti lo ringraziano perché la Schiappa è il primo libro nel quale i loro ragazzi si tuffano con piacere. «Già, e molti mi dicono che poi continuano a leggere, che apro la strada alla lettura legittima». Ecco, Kinney non ha le presunzioni di un maestro: «I miei libri non hanno un messaggio. La letteratura per ragazzi è spesso molto didattica. Io cerco di evitare di dare lezioni. L´importante è avere fiducia nei ragazzi e tenere conto del fatto che il loro punto di vista è complesso e sofisticato. E che capiscono molto di più di quanto gli adulti non siano disposti ad ammettere». Eppure Greg non è esente da difetti. «No, è una persona normale. E sta crescendo. La comicità viene proprio dalle imperfezioni che attraversiamo tutti. Molti libri rappresentano i bambini come degli adulti in miniatura. Greg è un ragazzino autentico, per questo funziona». E che tipo di riflessione fa nei confronti di sé stesso? «Beh, come tutti noi, fa sempre dei buoni proponimenti. Nel terzo libro, inizia il nuovo anno con la decisione che il migliore è lui e che quindi sta a lui cambiare gli altri». Il proponimento di Kinney riguarda invece l´autenticità: «Voglio che Greg sia realistico. Fra trent´anni sapremo se il mio personaggio è universale e memorabile». L´intenzione c´è, se è vero che il rosso bruciato della copertina del primo volume vuole essere un omaggio al Giovane Holden di Salinger. «Già, è stata un´idea che ho avuto insieme al mio editore. Anche Greg vede negli altri i propri difetti, ed è il primo a fare tutto ciò che critica negli altri. Ha una voce forte, anche se imperfetta». La sua storia è abbastanza autobiografica: «è tutto verosimile anche se non è tutto vero. Ho avuto anch´io i miei momenti da Schiappa». Kinney continua a fare la vita di sempre: ha tenuto il suo lavoro di programmatore di giochi online, vive con la moglie e due bambini in un paesotto del Massachussets, Plainville – nome perfetto per una Schiappa. E la storia editoriale del suo successo è una di quelle a rovescio, che racconta come la carta stampata abbia a volte da imparare dal digitale: «Ho iniziato a pubblicare le storie di Greg sul sito di Funbrain nel 2004 e da allora hanno avuto ottanta milioni di lettori online, anche se ho smesso di aggiungere contenuti nel 2005. Dall´idea del libro alla sua pubblicazione, sono passati vari anni, durante i quali ho riempito il mio "idea book" con migliaia di pagine. Il primo Diario è diventato un bestseller due settimane dopo l´uscita. Ed è in lista da centotrenta settimane. Ho un contratto per cinque titoli, ma vorrei scriverne sette». Da un anno a questa parte, Kinney sta lavorando con la 20th Century Fox alla sceneggiatura del film tratto da la Schiappa, che uscirà a primavera prossima. Il casting per l´attore protagonista è durato per mesi e adesso hanno "probabilmente" trovato il ragazzino giusto. Crescerà Greg? «Ci sto pensando. I migliori personaggi a fumetti non crescono mai».

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l'uomo di obama a damasco: "cerchiamo la pace" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri Medio Oriente L´uomo di Obama a Damasco: "Cerchiamo la pace" DAMASCO - è ripartito da una visita dell´emissario di Barack Obama, George Mitchell, in Siria, Israele e Territori palestinesi ed Egitto il pressing degli Stati Uniti per il rilancio del processo di pace in Medio Oriente. Mitchell è stato ieri a Damasco, dove ha avuto un colloquio, definito «molto franco e positivo» con il presidente siriano, Bashar al Assad. La posizione di Assad nella regione è fondamentale: per questo, dopo l´isolamento di Bush, Obama ha deciso di tentare di riavviare il dialogo con la Siria. Da Damasco, Mitchell è poi partito per Israele, per un primo round di incontri, e poi è andato in Egitto dove ha visto il presidente Hosni Mubarak. Oggi l´incontro con il presidente Abu Mazen nei Territori palestinesi, martedì quello con il premier israeliano Benjamin Nethanyau. Ieri Mitchell ha ribadito che gli Usa vogliono «una pace globale» in Medio Oriente. Con Nethanyau, l´inviato di Obama discuterà anche della possibilità di un dialogo diretto fra Siria e Israele.

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Afghanistan, incubo Taliban Verso le urne in un clima di odio (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 27-07-2009)

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KABUL - Il colonnello in pensione Din Rahmani stamane si presenta all'elettorato con gran parte di quel che possiede: un doppiopetto celestino, occhiali cerchiati e una bicicletta di fabbricazione cinese. Si ferma ai margini del bazar, smonta, prende dal portapacchi duecento volantini, o più esattamente fotocopie, e spiega ai passanti perché dovrebbero votarlo nelle presidenziali del 20 agosto. Velleitario, patetico. Però con la piccola folla che ora gli si accalca intorno, discute, maledice insieme a lui la corruzione, si materializza un Afghanistan insolito, svincolato da obbedienze etniche o tribali, stufo, indignato, capace di un pensiero autonomo. Proprio la probabilità che questo elettorato esprima un massiccio voto di protesta giustifica non solo le modeste speranze di notorietà del colonnello Rahamani, ma anche le ambizioni di ben più poderosi sfidanti del presidente in carica, Hamid Karzai, la cui vittoria non è scontata. Se i Taliban non riusciranno a sabotarle, saranno le prime vere elezioni nella storia afgana. Incerte come non lo furono le presidenziali del 2004, organizzate dagli americani nel modo più vantaggioso per Karzai. Oggi la sua sconfitta sarebbe accolta con sollievo al Dipartimento di Stato, dove si tifa sommessamente per Ashraf Ghani, l'economista acuto e scontroso cui Hillary Clinton ha suggerito un consulente d'eccezione, James Carville. Nel 1994 Carville condusse Bill Clinton alla Casa Bianca con l'intuizione che riassunse nel motto It's the economy, stupid: per intendere che è l'economia, l'interesse concreto, a determinare l'elettorato. Quindici anni dopo Carville prova a far vincere Ghani applicando la stessa idea nientemeno che in Afghanistan. Non scommetteremmo sul risultato. Ghani promette un milione di posti di lavoro, ha un curriculum di alto profilo e in tv risulta convincente. OAS_RICH('Middle'); Ma in un Paese dove il 42% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, It's the economy, stupid andrebbe tradotto anche con più concrete e tradizionali dimostrazioni di liquidità. E forse per questo le quotazioni di Ghani sono in ribasso rispetto a quelle di rivali più solvibili, in grado di pagare sull'unghia rimborsi, ingaggi e banchetti alle centinaia che affollano i loro uffici elettorali. Il vuoto che trovo nel suo quartier generale sembra indicare che dagli Stati Uniti l'economista non ha ottenuto altro che la considerazione di Hillary e i consigli di Carville. Molto meno di quanto hanno ricevuto dall'estero i suoi rivali. Lontano dai microfoni, ciascun candidato di peso attribuisce agli altri uno o più finanziatori stranieri. Britannici e pakistani per il presidente del parlamento Mirwais Yasini (che però si è venduto la casa per finanzare la propria campagna). Sauditi per un altro. Indiani per un terzo. Non sfuggono a questi sospetti neppure il presidente Karzai e il suo principale sfidante, l'ex ministro degli Esteri Abdullah Abdullah. Karzai è appoggiato da capi di milizie etniche ciascuno sponsorizzato da uno Stato straniero. Abdullah dispone di fondi notevoli, come attesta la sua rete imponente di sedi elettorali, e poiché negli anni in cui l'Alleanza del nord combatteva i Taliban, era il recettore dei finanziamenti iraniani, tutti sono convinti che i suoi benefattori siano a Teheran. Il capo della sua campagna, Fazel Sancharaki, non nega il passato ("L'Afghanistan era piombato nella guerra civile e nessuno in Occidente se ne proccupava: era ovvio che cercassimo aiuti dai Paesi vicini). Ma adesso, giura, contiamo soltanto su amici afgani. In ogni caso, è scontato che tutte le potenze dell'area abbiano scommesso poste su questo o su quello, in genere puntando su più cavalli. Probabilmente anche Paesi occidentali hanno impegnato qualche somma. Ma nel complesso l'Occidente ha scelto la neutralità. Il nuovo ambasciatore statunitense, Ricciardone, assicura che il candidato di Washington è "la legalità" (della consultazioni). Lo ha ripetuto stamane anche a Fazel Sancharaki, e lo ha convinto. "La nuova amministrazione americana - mi dice adesso l'afgano - ha capito che i presidenti imposti non funzionano". La neutralità occidentale ha un'implicazione forte: Hamid Karzai non è più il nostro uomo a Kabul. E questo cambia le cose. Privato dei sostegni internazionali che nel 2004 lo portarono alla presidenza, Karzai ha sopperito tessendo alleanze locali con i personaggi più vari, inclusi figuri che il capo dello Stato dovrebbe combattere - comandanti dal passato criminale, poliziotti rapaci, governatori corrotti, ora tutti parte della sua macchina elettorale. Questo tattica spregiudicata ha acuito il disagio dell'amministrazione Obama ma gli ha reso. All'inizio di luglio l'unico sondaggio gli attribuiva un vantaggio largo sui suoi principali sfidanti (31% contro il 7 di Abdullah e il 3 di Ghani). Però da allora Abdullah sembra in rimonta, e Karzai lontano dalla maggioranza assoluta che gli è necessaria per evitare il ballottaggio, evenienza per lui molto rischiosa. Nel secondo turno, infatti, il voto contro di lui non sarebbe più disperso tra i vari sfidanti. Dunque è probabile che non menta Yasini, il presidente del parlamento, quando mi racconta di un Karzai "molto nervoso". Il presidente non si fida degli occidentali ("Non se ne è mai fidato", commenta Yasini). E chiede rassicurazione a diplomatici in visita: sospetta che americani ed europei abbiano deciso di fargli perdere le elezioni. Davvero resterete spettatori neutrali?, domanda e si domanda. Il suo rovello è comprensibile. In queste elezioni l'Occidente di fatto è anche un arbitro. E gli arbitri sono sempre sospettati di favorire l'uno o l'altro. Come? Per esempio attraverso gli osservatori internazionali. Quelli inviati dall'Unione europea sono guidati da Philippe Morillon, il generale francese che durante la guerra bosniaca fu, allo stesso tempo, il comandante delle truppe Onu e un esecutore della politica mitterandiana nell'ex Jugoslavia. Se non bastasse l'attitudine di Morillon a interpretare ruoli doppi, ad inquietare gli uomini di Karzai concorre la fama del francese, noto come un vecchio amico dell'Alleanza del Nord. E quella consorteria di ex guerrieri tagichi oggi è gran parte della macchina elettorale di Abdullah. Come si difende, generale? "Io sono un vecchio amico dell'Afghanistan, non di questo o di quello", protesta Morillon. "E' vero che venni qui la prima volta su invito dell'Alleanza del nord, ma sono tornato altre otto volte. E non ho alcun problema ad essere imparziale". Non v'è ragione per non credergli. Però è evidente che il controllo sulle elezioni può essere interpretato dagli occidentali nei modi più vari. Un rapporto confidenziale giunto alla presidenza stima che la polizia e l'esercito afghani non riescono a garantire la sicurezza nel 18% dei seggi, perciò esposti agli attacchi dei Taliban. Soprattutto in alcune circoscrizioni del sud e dell'est, votare sarà pericoloso per gli uomini e molto più per le donne, che rischierebbero una pallottola a tradimento se soltanto si avventurassero fuori di casa nella giornata delle elezioni. Tanto più è sospetto che le afghane risultino essersi iscritte in massa nelle liste elettorali proprio dove pare scontato il loro forzato astensionismo. Per esempio: mentre in una città sicura come Kabul le elettrici registrate sono la metà degli elettori, nell'insicura provincia di Paktika avrebbero superato largamente i maschi (come nel 2005, quando risultarono 90mila su 166mila iscritti). E laggiù perfino andare a scuola comporta rischi per le femmine. Minaccia la correttezza delle elezioni anche il consueto caos afgano, per il quale, ad esempio, nel Nuristan gli iscritti nelle liste elettorali risultano 443mila, contro una popolazione di 130mila, neonati inclusi. Dunque le irregolarità non saranno poche. Molti elettori voteranno più volte. Molte elettrici non voteranno affatto ma qualcuno compilerà le loro schede. Consapevoli, americani ed europei hanno abbassato le aspettative. Se prima volevano elezioni regolari, ora chiedono soltanto elezioni "credibili", l'aggettivo ripetuto la settimana scorsa a Kabul da due alti emissari dell'Unione europea, Javier Solana ed Ettore Sequi. Ma 'credibilità' è un criterio vago. Vi fossero brogli massicci, il più sospettato sarebbe inevitabilmente Karzai, che controllando lo Stato ha più strumenti dei suoi rivali per manipolare i risultati. Come si comporterebbero in quel caso gli occidentali? Come reagirebbero i candidati sconfitti? E gli elettori? Scendereste in piazza, imitereste la protesta degli iraniani? domanda ai passanti il tg della Tolo, la tv afgana più seguita, ostile a Karzai. L'intervistatore non li molla finché quelli non convengono: sì, come gli iraniani, in piazza fin quando Karzai non riconvocasse le elezioni. Uno spettacolo 'iranianò a Kabul non contribuirebbe a convincere le nostre opinioni pubbliche che la missione della Nato sta rimettendo in sesto l'Afghanistan. E l'imbarazzo dei governi occidentali aumenterebbe se le tifoserie dei principali candidati prendessero a scontrarsi nelle strade. C'è una certa animosità in giro. La gente di Karzai ha ammazzato uno dei nostri quadri e ne ha ferito un altro, mi racconta uno tra gli ex mujahiddin che guidano a Kabul la campagna elettorale di Abdullah. Questi reduci vengono tutti dal Panshir, una regione del nord dove, con la forza e con le minacce, impediscono a Karzai di tenere comizi. Però finora la contesa elettorale nel complesso è stata incruenta, in tv i dibattiti sono molto professionali, i candidati si mostrano rispetto. Non è poco, in un Paese da trent'anni in guerra che pullula di armi e di armigeri. Nei comizi si parla soprattutto della miseria, della corruzione e dei Taliban. I principali candidati sono tutti favorevoli al negoziato con il nemico, e lasciano intendere che un accordo di pace sia raggiungibile con facilità (ma non è così). Tanto Karzai quanto il più accreditato tra i suoi sfidanti, Abdullah, annunciano che rinegozieranno con l'Alleanza atlantica i termini della presenza occidentale, per garantirsi che non vi siano più bombardamenti sommarii, 'danni collateralì e oltraggi alle tradizioni locali (ma il comando Nato ha già provveduto a rettificare le relative procedure militari). Karzai ed Abdullah esprimono spesso opinioni simili, sembrano più complementari che antagonisti. Cinque anni lavoravano di buon accordo nel governo e non è improbabile che in futuro tornino a collaborare. Forse per questo nel quartier generale di Abdullah Fazel Sancharaki descrive così il presidente: "Troppo erratico, ragione per cui gli afgani non gli credono più. Però, un democratico, un patriota, un politico con una visione nazionale". Più che di un avversario sembra la descrizione di un futuro alleato. (27 luglio 2009

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"Ora un libro, la tv e la Casa Bianca" Sarah Palin si dimette da governatore (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 27-07-2009)

Argomenti: Obama

ANCHORAGE (STATI UNITI) Sarah Palin, la ex candidata repubblicana alla vicepresidenza degli Stati Uniti a fianco di John McCain, ha ufficialmente lasciato ieri la sua carica di governatore dell’Alaska, senza nulla svelare dei suoi progetti per il futuro. In una cerimonia al Pioneer Park di Fairbanks, seconda città del più grande stato degli Usa, la Palin, 45 anni, ha passato il testimone al suo vice Sean Parnell. Le sue ultime parole da governatore sono state dedicate al suo bilancio, caratterizzato in particolare dall’aumento della tassa sui profitti derivanti dal petrolio e alla nuova legislazione sull’etica e il buon governo. Nel suo discorso Sarah Palin, che amava definirsi nella campagna presidenziale come un «pitbull col rossetto» ha esortato gli abitanti dell’Alaska a «resistere all’asservimento al grande governo centrale», in un probabile riferimento al piano di sostegno all’economia del presidente Barack Obama. «Siate vigilanti - ha detto - prima di accettare le elargizioni del governo, non sono dei regali». I parlamentari dell’Alaska hanno tuttavia già deciso di riunirsi in sessione speciale il 10 agosto per aggirare il suo veto e accettare gli aiuti federali. La Palin, cui alcuni osservatori attribuiscono ambizioni politiche sulla scena nazionale, non ha parlato dei suoi progetti per il futuro, limitandosi a ripetere quando detto all’inizio di luglio durante l’annuncio a sorpresa delle sue dimissioni. «Prendendo questa decisione - ha dichiarato - potrò battermi ancora di più per voi, per ciò che è giusto, per la verità; e non ho mai pensato che ci volesse una carica (da governatore) per fare tutto ciò». Il futuro, per ora, resta avvolto nel mistero. Di certo la Palin ha un’autobiografia in cantiere e un futuro in tv, ma il suo vero obiettivo è la Casa Bianca nel 2012. Dal giorno dell’annuncio delle dimissioni, il 3 luglio, la ex vice di John McCain è rimasta vaga. Unici punti fermi sono le parcelle degli avvocati in ascesa e gli indici di gradimento in calo (il 40% degli americani le sono favorevoli contro il 53% contrari), oltre al fatto che la governatrice dell’Alaska non ha alcuna intenzione di abbandonare le luci della ribalta. Quanto ai piani in politica, Sarah potrebbe annunciarli l’8 agosto, quando è attesa per un discorso alla Biblioteca Presidenziale Ronald Reagan in California. Di lì ad allora la «regina dei ghiacci» continuerà a dire la sua su Twitter: «Non chiuderò la bocca/ so che ci sono centinaia di milioni come me/ che cercano di essere liberi», ha «cinguettato» la Palin in un recente messaggino parafrasando la canzone Rollin’ del duo Big and Rich. Un’opzione che la ex governatrice ha in caldo è l’autobiografia: la pubblicheranno la prossima primavera HarperCollins e una casa editrice specializzata in edizioni della Bibbia. Un’altra è il talk show: Sarah, che nella meteorica apparizione in campagna elettorale, ha dimostrato di essere un volto fotogenico, potrebbe parcheggiarsi in tv in attesa che si muovano i buoi della prossima campagna presidenziale. Intanto il trasferimento dei poteri: li eredita il suo vice e alleato Sean Parnell. La Palin, che ha 45 anni, ha citato le accuse sul fronte dell’etica mosse contro di lei e i suoi figli come distrazioni che le hanno reso impossibile continuare a lavorare. In realtà c’è chi sostiene che da quando è rientrata in Alaska dopo la fine della campagna di McCain il suo governo ha cominciato a girare a vuoto. La governatrice non è riuscita a far approvare quest’anno nessuna delle sue 90 proposte di legge.

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Agguato con i razzi contro il candidato alla vicepresidenza (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 27-07-2009)

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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 27/07/2009 - pag: 2 In 24 ore 22 morti Agguato con i razzi contro il candidato alla vicepresidenza Un'altra giornata di attentati ieri in Afghanistan. A meno di un mese dalle elezioni del 20 agosto, si combatte ovunque e cresce la violenza dei talebani. Dopo gli attacchi di sabato nella zona orientale e in quella occidentale dove sono rimasti feriti tre soldati italiani in due distinti agguati i ribelli colpiscono anche nel Nord e nel Sud del Paese. Almeno 22 morti nel weekend, secondo i rappresentanti della missione Isaf a Kabul. Nella provincia settentrionale di Kunduz, l'obiettivo è Mohammad Qasim Fahim, uno dei due candidati alla vicepresidenza scelti da Hamid Karzai. Lo attaccano a colpi di razzi e mitragliatrici lungo la strada che porta nella vicina provincia di Takhar, durante uno spostamento per la campagna elettorale. Sano e salvo, fa sapere il portavoce della squadra di Karzai, Waheed Omar: «L'auto di Fahim è stata colpita ma è blindata, così lui non è stato sfiorato». Ferita, invece, una delle guardie del corpo; morti alcuni ribelli nella controffensiva. I talebani rivendicano l'attacco e sostengono di aver ucciso 4 guardie del corpo. Fahim, anziano signore della guerra di etnia tagika, ex capo dell'alleanza che destituì il regime talebano nel 2001, già ministro della Difesa nel governo provvisorio di Karzai (rimosso nel 2004), è diventato in seguito uno dei leader dell'opposizione. Karzai lo ha scelto per la vicepresidenza a maggio, nel tentativo di riunificare il Paese. L'attacco di ieri è il secondo contro un candidato in pochi giorni: lo scorso mercoledì Mullah Salam Rocketi ex capo talebano, ora uno dei 38 sfidanti di Karzai è uscito illeso da un'imboscata mentre tornava a Kabul dopo una trasferta nella provincia settentrionale di Baghlan. Altre vittime, intanto, nel Paese: 16 ribelli nel Nuristan, a nordest, 2 soldati afghani nella provincia meridionale di Paktika e un soldato Nato nel sud, secondo l'Isaf. Le autorità militari americane, inoltre, fanno sapere che un loro uomo è morto sabato in uno scontro nella zona meridionale, ucciso dal fuoco degli insorti. Nessun altro particolare sull'episodio, che porta a 39 i militari Usa uccisi nell'ultimo mese. Proprio nel sud, nella roccaforte talebana della provincia di Helmand, il presidente Obama ha voluto lanciare la più massiccia offensiva dall'attacco di Falluja, in Iraq, nel 2004: 4 mila marines sono stati inviati il 2 luglio per ripulire la zona dai talebani in vista delle elezioni. Nella stessa regione combattono le truppe inglesi, per le quali luglio è stato il mese più cruento dall'inizio del conflitto: 20 morti, compreso il soldato della Royal Artillery ucciso sabato nell'Helmand da un'esplosione contro il suo blindato durante una ricognizione. Una fine simile a quella del parà italiano Alessandro Di Lisio, ucciso 13 giorni fa vicino a Farah, nell'ovest, da un ordigno lungo la carreggiata. Bombe rudimentali sempre più diffuse e potenti: la tattica che i talebani hanno perfezionato e contro cui le forze occidentali devono confrontarsi. Alessia Rastelli arastelli@ corriere. it Alleati Il candidato vice Fahim (a sinistra) con Karzai ( Reuters) Elezioni A meno di un mese dalle elezioni del 20 agosto, si combatte ovunque e cresce la violenza talebana

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Il coraggio della responsabilità (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 27-07-2009)

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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 27/07/2009 - pag: 3 Il commento Il coraggio della responsabilità SEGUE DALLA PRIMA Obama ha risposto con una massiccia offensiva al sud, ma gli americani morti in luglio sono finora 39 e nello stesso mese i britannici hanno una media di un morto al giorno (cifre da non dimenticare, quando pensiamo alle pur tragiche perdite italiane). Una parte dei Talebani, sotto pressione, tende a ripiegare verso nord-est moltiplicando i contatti con le forze italiane dislocate a Farah e a Herat (oltre che nella zona di Kabul) . E' questa circostanza, assai più della modifica del regime dei caveat, ad accrescere i rischi per i nostri. Può essere anche utile ripetere che i reparti italiani in Afghanistan sono forze Nato, alleanza dalla quale soltanto pochi estremisti vorrebbero farci uscire, e che la missione ha una legittimità internazionale ben diversa da quella dell'operazione angloamericana in Iraq. Bossi e Di Pietro a ciò sembrano anteporre le loro convenienze elettorali, ben sapendo che nessuna opinione pubblica ama piangere soldati morti o feriti. Peccato, perché tutti i nostri soldati meriterebbero, soprattutto da un uomo di governo, il coraggio di un maggior senso di responsabilità. Franco Venturini

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Nicolas: quanti sacrifici per avere il ventre piatto (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 27-07-2009)

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Basta vederlo mangiare al Bristol, un grand’hotel a pochi passi dall’Eliseo, per capire che Nicolas Sarkozy è uno sportivo. Anzi, un praticante del jogging, della bicicletta, mountain e normale, dello squash e della ginnastica da spa. Sarkozy ha un fisico asciutto, muscoloso, secco, nervoso, scattante, anche la mascella e il volto, spesso abbronzato, sono quelli di un uomo dedito alla cultura del proprio fisico. Mangia solo piatti leggeri, verdure soprattutto, insalate, accompagnato in questi pranzi frugali dalla moglie Carlà. Gli chef del Bristol gli servono, oltre ai vegetali, pezzetti di pesce crudo o sushi alla giapponese. A mezzogiorno Monsieur le Président non mangia altro. Ma anche ai pranzi ufficiali, quando gli chef dell’Eliseo sono costretti a sfoggiare i pezzi da novanta della cucina francese come il foie gras, si guarda bene dagli eccessi, accarezza con la lingua lo champagne, centellina il vino rosso, è molto attento agli intingoli e ai gateaux. Carlà lo tiene d’occhio per evitare qualche eccesso diplomatico. Lei non è sportiva, lo accompagna solo nelle passeggiate e quando Sarkozy inizia a camminare con passo troppo veloce, lei lo trattiene. Ma lo spirito del jogger è troppo forte: se lo ricordano anche gli agenti del secret service della Casa Bianca. Quando Sarkozy andò con la prima moglie a visitare il presidente Bush nella sua residenza di vacanze nel Maine, chiese subito indicazioni per il percorso di jogging. Ma corse poco, perché era più impegnato nei litigi con la sua consorte di allora, Cécilia. Fece solo qualche corsetta per vincere la rabbia e qualche decina di piegamenti all’aperto. I suoi amici sanno che per piacere a Monsieur le Président non si deve essere flaccidi ma bisogna avere un addome abbastanza «tirato», come si dice, ed essere disponibili a parlare di affari di Stato anche correndo. Rachida Dati era ed è molto brava nel jogging. Peccato che dopo il matrimonio tra Sarkozy e Carlà, sia costretta a praticarlo da sola e non più in compagnia del primo cittadino di Francia. I Capi di Stato che fanno jogging ai vertici del G8 sono pochissimi. Obama preferisce la pallacanestro, Gordon Brown è sedentario, Berlusconi se ne guarda bene, Zapatero sta sempre al telefono con Madrid, la signora Merkel non è certo una praticante delle arti atletiche. Rimane Sarkozy a difendere l’onore del jogging. Bisognerebbe suggerirgli una frase che a Roma si attribuisce all’ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Una volta, vedendo passare un gruppo di joggers, rivolgendosi a un amico che esaltava le qualità salutari di questo esercizio, gli rispose: «Sono stato ai funerali di alcuni che facevano abitualmente jogging...» Vera o falsa che sia la frase di Andreotti, è un monito che i fanatici della corsetta non dovrebbero mai dimenticare, specie sopra i trent’anni.

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Afghanistan, tensione nel governo Frattini: "Lì anche per Calderoli" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 27-07-2009)

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ROMA - Malessere nella maggioranza di governo tra Lega e Pdl sulla missione militare italiana in Afghanistan, dopo le dichiarazioni di Umberto Bossi ("Io riporterei a casa tutti i soldati") e quelle del ministro Roberto Calderoli che in un'intervista a Repubblica ha chiesto il ritiro dei militari italiani da altre missioni come Balcani e Libano, e il ripensamento di quella in Afghanistan. "Lavoriamo in Afghanistan per la sicurezza anche dell'Italia, quindi anche di Calderoli", ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, interpellato dai giornalisti a Bruxelles. "Sono tutte opinioni rispettabili - ha detto Frattini - ma sono opinioni personali il governo ha una visione che è già stata approfondita, le missioni internazionali sono un biglietto da visita dell'Italia nel mondo". In merito alla verifica della missione italiana in Afghanistan, il titolare della Farnesina ha detto che "dipenderà molto dai risultati delle elezioni del 20 agosto". "Noi vogliamo che quelle elezioni siano credibili - ha aggiunto - e quindi realmente rappresentative del popolo afghano, quindi che ci sia partecipazione adeguata alla urne". "La missione in Afghanistan è irrinunciabile", ha ribadito il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, a margine di un incontro a Palazzo Marino a Milano. La Russa ha poi spiegato che "ci sarebbe un problema solo se la Lega votasse contro. Faccio un appello a non usare questi argomenti per avere visibilità. Questo dibattito se c'è, e non c'è, lo dobbiamo fare prima in Consiglio dei ministri. Non ho mai sentito in Consiglio dei ministri e in Parlamento gli amici della Lega in difformità dalle posizioni del governo italiano". La Russa rispondendo alle parole di Bossi e di Calderoli ricorda che "ci siamo assunti degli obblighi per quanto riguarda le missioni internazionali. Se ci sono delle novità si usino le sedi opportune. Io leggo le parole di Calderoli come una garbata precisazione e rettifica alle frasi di Bossi tanto che parla di Kosovo e Libano dove, non è una novità, il governo intende ridurre la presenza". OAS_RICH('Middle'); Quello espresso dal leader della Lega, Umberto Bossi, è stato "un pensiero con il cuore" ha detto il viceministro delle Infrastrutture, Roberto Castelli, che, commentando il desiderio di Bossi di riportare a casa i militari in missione, ha chiarito come il leader del Carroccio "sia sempre molto spontaneo". Nella realtà, per Castelli "si tratta di capire che cosa fare a livello di interesse del Paese". Il viceministro ha comunque sottolineato di condividere il "moto dell'animo" del capo del partito. Nel dettaglio della missione in Afghanistan, Castelli ha detto che "si sapeva che ci sarebbe stata un'escalation. Deciderà il Consiglio dei Ministri cosa fare. Ma - ha concluso - non c'è nessuna polemica tra La Russa e Bossi". "Non è il momento di far rientrare i ragazzi italiani dall'Afghanistan: è il momento di completare quel lavoro" ha detto il segretario del Pd Dario Franceschini, oggi a Udine. "Penso che i ragazzi italiani, che sono là perché lo Stato li ha mandati, hanno il diritto di non vedere ministri che litigano fra di loro con interviste sui giornali semplicemente per raccogliere qualche consenso o qualche voto in più". "Hanno il diritto - ha concluso Franceschini - di avere un governo e un Parlamento che compattamente stanno alle loro spalle". La tregua sul terreno. Il governo afgano ha siglato la prima tregua con i talebani, in vista delle elezioni presidenziali del 20 agosto. L'accordo per un cessate il fuoco è stato raggiunto nella remota provincia di Badghis, dove è presente il contingente italiano. Si tratta della prima intesa di questo genere mai raggiunta nel Paese. Lo ha annunciato oggi un portavoce della presidenza a Kabul. La tregua è in vigore da sabato nell'area di Bala Murghab, nella provincia nordoccidentale di Badghis, ed è stata definita attraverso, ha riferito Kabul, "gli sforzi e le mediazioni degli anziani" dei villaggi. Dal campo talebano, però, non è giunta conferma dell'accordo. Gb, dialogare con i guerriglieri "moderati". Per vincere la guerra in Afghanistan bisogna avviare un dialogo con i guerriglieri "moderati", separandoli dai talebani "irriducibili". E' quanto ha dichiarato il ministro degli Esteri britannico, David Miliband, nella scia di quanto già affermato dall'amministrazione Usa di Barack Obama. Miliband - intervenuto al quartier generale alla Nato a Bruxelles per presentare una nuova strategia politico-militare in Afghanistan - ha sottolineato che il "processo di riconciliazione" deve essere condotto dalle autorità afgane, a cui ha chiesto anche di assicurare un "governo credibile, efficace e onesto" a tutti i livelli provinciali e distrettuali. (27 luglio 2009

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Obama, appello alla Cina "Insieme per un futuro migliore" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 27-07-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - Cooperiamo. Per migliorare il clima, combattere la minaccia nuclare e migliorare la crescita. E' ad ampio raggio l'invito che Barak Obama rivolge alla Cina. In apertura del vertice sul dialogo stretegico economico al via oggi a Washington, il presidente Usa si rivolge a Pechino, tendendo la mano per la creazione di un futuro migliore. Si parlano le due superpotenze, sapendo che gran parte del futuro del pianeta dipende dalle loro azioni. A partire dal clima e dalla crescita economica. E proprio dall'ambiente parte il discorso di Obama. Che prosegue con l'invito a Pechino a cooperare per una risposta globale per un futuro energetico "pulito, sicuro e prospero". Per risolvere la questione dei cambiamenti climatici bisogna che "i nostri mercati siano aperti a nuove idee" e che ci sia una forte partnership tra Stati Uniti e Cina. Poi tocca alla crescita economica. Per Obama Stati Uniti e Cina dovrebbero "cooperare per avere una crescita economica equilibrata e sostenibile, togliendo più persone dalla povertà e creando maggiore ricchezza". "L'attuale crisi - dice il leader Usa - ha chiarito che le scelte che facciamo all'interno dei nostri confini si riflettono per tutta l'economia globale e questo è vero non solo per New York e Seattle, ma anche per Shanghai e Shenzhen. Per questo dobbiamo impegnarci in un forte coordinamento bilaterale e multilaterale". Infine la richiesta di fare fronte comune contro la minaccia nuclare in Nord Corea e in Iran. Nel suo discorso il presidente americano cita anche Yao Ming, stella cinese della squadra di basket professionista di Houston. Lo fa quando si rivolge al presidente cinese Hu: "Come nuovo presidente e come tifoso di basket, ho imparato molto da Yao Ming che una volta ha detto: 'non importa se sei un giocatore esperto o se sei agli inizi. Comunque hai bisogno di tempo per adattarti al gioco di squadra'. Per questo, a partire dal confronto di oggi così costruttivo, sono fiducioso che insieme faremo come ci ha detto Ming e raggiungeremo il suo livello di gioco". OAS_RICH('Middle'); (27 luglio 2009

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Appello di Barack Obama alla Cina: "Rispettare sempre i diritti umani" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 27-07-2009)

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WASHINGTON «La religione e la cultura di tutti i popoli devono essere rispettate e protette». Lo ha detto il presidente Barack Obama in apertura della due giorni a Washington sul dialogo strategico e economico con la Cina. Per il presidente Usa gli Stati Uniti e la Cina dovrebbero «cooperare per avere una crescita economica equilibrata e sostenibile, togliendo più persone dalla povertà e creando maggiore ricchezza». Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha invitato la Cina ad essere un partner affidabile nel combattere i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale. Parlando da Washington, all’apertura di una serie di incontri di alto profilo tra politici americani e cinesi, Obama ha detto che gli Stati Uniti e la Cina hanno un interesse comune a creare fonti di energia pulite e sicure. Essendo i due maggiori consumatori al mondo, né Stati Uniti né Cina traggono profitto dalla dipendenza dal petrolio importato dall’estero, ha detto Obama. Il miglior modo per sviluppare nuove fonti di energia è «mantenere i mercati aperti a nuove idee», ha detto.

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Afghanistan, tensione nel governo La Lega frena: "Basta polemiche" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 27-07-2009)

Argomenti: Obama

ROMA - Malessere nella maggioranza di governo tra Lega e Pdl sulla missione militare italiana in Afghanistan, dopo le dichiarazioni di Umberto Bossi ("Io riporterei a casa tutti i soldati") e quelle del ministro Roberto Calderoli che in un'intervista a Repubblica ha chiesto il ritiro dei militari italiani da altre missioni come Balcani e Libano, e il ripensamento di quella in Afghanistan. "Lavoriamo in Afghanistan per la sicurezza anche dell'Italia, quindi anche di Calderoli", ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, interpellato dai giornalisti a Bruxelles. "Sono tutte opinioni rispettabili - ha detto Frattini - ma sono opinioni personali il governo ha una visione che è già stata approfondita, le missioni internazionali sono un biglietto da visita dell'Italia nel mondo". E per smorzare la polemica, nel pomeriggio, il Carroccio affida ai capigruppo il compito di chiedere uno "stop" a quelle che definisce " polemiche strumentali". Non c'è alcun contrasto a livello di maggioranza, spiegano i parlamentari del Carroccio, che rimandano la discussione sulle scelte future al dopo elezioni afgane. E anche Frattini spiega come la verifica della missione italiana "dipenderà molto dai risultati delle elezioni del 20 agosto". "Noi vogliamo che quelle elezioni siano credibili - ha aggiunto - e quindi realmente rappresentative del popolo afghano, quindi che ci sia partecipazione adeguata alla urne". OAS_RICH('Middle'); "La missione in Afghanistan è irrinunciabile", ha ribadito il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, a margine di un incontro a Palazzo Marino a Milano. La Russa ha poi spiegato che "ci sarebbe un problema solo se la Lega votasse contro. Faccio un appello a non usare questi argomenti per avere visibilità. Questo dibattito se c'è, e non c'è, lo dobbiamo fare prima in Consiglio dei ministri. Non ho mai sentito in Consiglio dei ministri e in Parlamento gli amici della Lega in difformità dalle posizioni del governo italiano". La Russa rispondendo alle parole di Bossi e di Calderoli ricorda che "ci siamo assunti degli obblighi per quanto riguarda le missioni internazionali. Se ci sono delle novità si usino le sedi opportune. Io leggo le parole di Calderoli come una garbata precisazione e rettifica alle frasi di Bossi tanto che parla di Kosovo e Libano dove, non è una novità, il governo intende ridurre la presenza". Quello espresso dal leader della Lega, Umberto Bossi, è stato "un pensiero con il cuore" ha detto il viceministro delle Infrastrutture, Roberto Castelli, che, commentando il desiderio di Bossi di riportare a casa i militari in missione, ha chiarito come il leader del Carroccio "sia sempre molto spontaneo". Nella realtà, per Castelli "si tratta di capire che cosa fare a livello di interesse del Paese". Il viceministro ha comunque sottolineato di condividere il "moto dell'animo" del capo del partito. Nel dettaglio della missione in Afghanistan, Castelli ha detto che "si sapeva che ci sarebbe stata un'escalation. Deciderà il Consiglio dei Ministri cosa fare. Ma - ha concluso - non c'è nessuna polemica tra La Russa e Bossi". "Non è il momento di far rientrare i ragazzi italiani dall'Afghanistan: è il momento di completare quel lavoro" ha detto il segretario del Pd Dario Franceschini, oggi a Udine. "Penso che i ragazzi italiani, che sono là perché lo Stato li ha mandati, hanno il diritto di non vedere ministri che litigano fra di loro con interviste sui giornali semplicemente per raccogliere qualche consenso o qualche voto in più". "Hanno il diritto - ha concluso Franceschini - di avere un governo e un Parlamento che compattamente stanno alle loro spalle". D'accordo con la proposta della Lega di rivedere gli obiettivi della missione italiana il leader dell'Idv Antonio Di Pietro: "Meglio tardi che mai- esordisce l'ex pm - siamo contrari al passaggio da una fase di difesa della popolazione ad una fase di guerra guerreggiata". Ma ammette : "Se c'è in corso una guerra, però, non si può andare lì con i garofani, ma armati di tutto dente". Nessun tregua. Giallo sulla tregua in vista delle elezioni presidenziali del 20 agosto. L'accordo per un cessate il fuoco è stato annunciato da un portavoce della presidenza a Kabul. Ma il principale portavoce dei taliban ha smentito l'intesa. "Non abbiamo alcun accordo di cessate il fuoco con le autorità", ha detto Yusuf Ahmadi. Gb, dialogare con i guerriglieri "moderati". Per vincere la guerra in Afghanistan bisogna avviare un dialogo con i guerriglieri "moderati", separandoli dai talebani "irriducibili". E' quanto ha dichiarato il ministro degli Esteri britannico, David Miliband, nella scia di quanto già affermato dall'amministrazione Usa di Barack Obama. Miliband - intervenuto al quartier generale alla Nato a Bruxelles per presentare una nuova strategia politico-militare in Afghanistan - ha sottolineato che il "processo di riconciliazione" deve essere condotto dalle autorità afgane, a cui ha chiesto anche di assicurare un "governo credibile, efficace e onesto" a tutti i livelli provinciali e distrettuali. (27 luglio 2009

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