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Report "Obama"  26-27 maggio 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

UN TEST PER OBAMA ( da "Stampa, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Boris Biancheri UN TEST PER OBAMA Lì per lì i sismografi l'avevano scambiata per una scossa di terremoto di medio-alta potenza avvenuta in qualche inospitale landa dell'Estremo Oriente: 4,5 gradi della scala Richter. Più di un punto al di sotto di quella che ha devastato l'Abruzzo.

General Motors corsa contro il tempo ( da "Stampa, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione di Obama abbia simpatie per la soluzione Fiat, sia per l'impegno del Lingotto negli Usa sia per la solidità industriale del progetto del gruppo torinese. Anche per questo sembra che Marchionne sia venuto prima negli States, per sondare il terreno e valutare le diverse ipotesi in vista della trattativa europea,

"Sul dialogo Barack sbagliava Ecco la prova" ( da "Stampa, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: nucleari compiuti dalla Corea del Nord rappresentano un test cruciale per Barack Obama che si trova ad affrontare la prima vera crisi internazionale dal momento del suo insediamento a gennaio. E' questa, in sintesi, la riflessione di John Bolton, il falco neoconservatore del governo Bush già sottosegretario di Stato per il disarmo ed ex ambasciatore americano presso il Palazzo di Vetro.

Test nucleare di Pyongyang Obama furioso ( da "Stampa, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ma Seul accusa: "America e Cina sapevano" Barack Obama [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK La Corea del Nord rilancia la sfida alla comunità internazionale con un nuovo test nucleare che provoca le ire di Barack Obama: «Il mondo intero deve imporsi con Pyongyang affinché rispetti l'impegno a desistere dai propri piani atomici».

Gli esperimenti nucleari compiuti dalla Corea del Nord rappresentano un test cruciale per Barack Oba... ( da "Stampa, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: nucleari compiuti dalla Corea del Nord rappresentano un test cruciale per Barack Obama che si trova ad affrontare la prima vera crisi internazionale dal momento del suo insediamento a gennaio. E' questa, in sintesi, la riflessione di John Bolton, il falco neoconservatore del governo Bush già sottosegretario di Stato per il disarmo ed ex ambasciatore americano presso il Palazzo di Vetro.

Gli immigrati? Io penso sia più umano riportarli là da dove sono partiti e consegnarli alle agenzie Onu ( da "Stampa, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: è la situazione Andrò da Obama prima del G8 Il presidente Usa non ha sbagliato una sola mossa in politica estera Opel-Fiat? Le offerte saranno valutate oggettivamente anche per i rapporti che abbiamo col governo tedesco Gli immigrati? Io penso sia più umano riportarli là da dove sono partiti e consegnarli alle agenzie Onu Silvio Berlusconi

A vederli affiancati e sorridenti, nella foto ufficiale che domenica celebrava quel loro vertice tri... ( da "Stampa, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: incontro appena tenuto alla Casa Bianca con Obama. E, a differenza di Bush, con quei due il presidente americano non ci va tanto facile, perché vede l'ambiguità - o comunque l'inadeguatezza - delle loro politiche, e pensa con qualche seria preoccupazione al neghittoso confronto con l'Iran mullacratico e alle avanzate massicce dei Taliban nelle vallate afghane e nelle montagne pakistane.

l'ambiguità di pechino - pechino ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il dittatore Kim Jong Il sfida la condanna unanime delle nazioni, sicuro di poter reggere il bluff del terrore. è l´America il suo vero obiettivo: vuole piegare Barack Obama, estorcere concessioni economiche, conquistarsi lo status permanente di mini-superpotenza regionale nel teatro strategico dell´Estremo Oriente. SEGUE A PAGINA 13

la corea sfida il mondo con un nuovo test atomico - arturo zampaglione ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama ha denunciato il test di Pyongyang come «un atto di incoscienza» che «rappresenta una grave minaccia alla pace e alla sicurezza del mondo». Il presidente americano, che ieri era al cimitero militare di Arlington per il Memorial day, la giornata dei caduti, ha sollecitato un´adeguata risposta da parte della comunità internazionale.

il ricatto a obama, l'ambiguità di pechino così kim jong il gioca la carta bomba - (segue dalla prima pagina) dal nostro corrispondente ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ieri un comunicato di Pyongyang si esprimeva così: "L´analisi della politica di Obama negli ultimi 100 giorni dimostra che non è cambiato nulla. E´ inutile sedersi a un tavolo con un interlocutore che ci è ostile". Obama non può neppure invocare gli errori del suo predecessore. Lo stesso George Bush aveva già rettificato il tiro.

sulle rive del po il polo europeo della meccanica (obama sponsor) - pier paolo luciano ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama sponsor) "Prestiti frenati? Quando in banca arriva un´azienda brindiamo" PIER PAOLO LUCIANO Vincenzo Ilotte, presidente dell´Amma, ha un sogno: candidare il Torinese a polo europeo della meccatronica. Lo dice, con convinzione, a metà del suo primo discorso da presidente dell´associazione che riunisce le aziende meccaniche e metalmeccaniche dell´

"qui il polo europeo della meccanica" - (segue dalla prima pagina) pier paolo luciano ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama alla Fiat: un´impareggiabile iniezione di fiducia. Come l´alleanza con Chrysler Servono più sinergie tra imprese, ma occorre anche ridurre alcuni gap: le infrastrutture inadeguate e un aeroporto con pochi voli e prezzi alti (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) PIER PAOLO LUCIANO (segue dalla prima di cronaca) «La migliore testimonianza è nel discorso con cui il presidente Obama ha tributato

"yes, we go", e la sopraelevata si illumina di rossoblu ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: che somiglia non casualmente al "Yes we can" di Barak Obama, campeggia dalla notte scorsa su un gigantesco cartellone, ben visibile dalla Sopraelevata. Le elezioni non c´entrano. E l´Europa raffigurata ha due colori: il rosso e il blu. Come il volto di chi, idealmente, pronuncia questa frase: Enrico Preziosi.

RICATTI GLOBALI ( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: GLOBALI di FRANCO VENTURINI P er bussare alla porta di Obama la Corea del Nord ha scelto l'unico metodo che conosce: il ricatto nucleare. Il test atomico di ieri è il primo dal 2006, quando alla Casa Bianca c'era ancora George Bush e Pyongyang voleva alzare la posta di un balbettante negoziato. L'anno dopo, in effetti, si arrivò a un accordo molto vantaggioso per i nord-coreani.

La bomba coreana spaventa il mondo ( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama: una minaccia alla pace, bisogna reagire La bomba coreana spaventa il mondo Test atomico e missilistico. Usa, Cina e Russia insieme nella condanna all'Onu Test nucleare della Corea del Nord nei pressi della città nordorientale di Kilju.

Il test nordcoreano unisce Usa, Cina e Russia ( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Cina e Russia Obama: «Minaccia alla stabilità mondiale». All'Onu condanna unanime DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO Il mondo forse si era distratto. Non Kim Jong-il, non i suoi generali. Alle 9.54 di ieri mattina, a circa 10 chilometri di profondità, la Corea del Nord ha condotto un test nucleare nei pressi della città nordorientale di Kilju.

( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Alcuni giorni fa Obama ha fatto intendere che era pronto a negoziare con Teheran sul nucleare. La leadership nordcoreana ha capito istantaneamente l'esitazione americana: per Pyongyang, equivale ad accettare una potenza atomica iraniana. Il nuovo atteggiamento verso l'Iran è, per loro, un segnale che la politica di non proliferazione è stata di fatto abbandonata dalla Casa Bianca.

Merkel convoca Marchionne ( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il ruolo di Obama DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO La cancelliera Angela Merkel è finalmente scesa in campo nella battaglia per Opel. Oggi incontrerà l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne. Domenica sera dopo che sabato aveva parlato al telefono con il primo ministro russo Vladimir Putin ha incontrato Frank Stronach e Siegfried Wolf,>

Gm, bancarotta vicina L'effetto sull'Europa ( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ecco allora che occorre passare al livello superiore, quello politico-istituzionale. E in questo caso il presidente Usa Barack Obama è considerato un alleato di Marchionne, da lui definito in più di un'occasione il manager ideale per rilanciare l'auto Usa. Fritz Henderson Giacomo Ferrari gferrari@corriere.it

Stipendi alti e pochi risultati America delusa dai grandi manager ( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: pare funzionale a una loro subordinazione al potere del nuovo «superCeo», il presidente Obama. Sul New York Times David Brooks sostiene, invece, che l'emergere di Washington come motore di una nuova, pervasiva politica industriale, determinerà un'altra mutazione genetica nei Ceo, spingendoli ad assorbire alcuni tratti tipici dell'uomo politico.

L'artista di Obama ( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 32 Verso la Biennale L'artista di Obama «Un mio graffito per salvare Venezia» L a sua preoccupazione sembra essere adesso soprattutto una: «Nessuna provocazione, ma grande rispetto». Certo che, comunque, le sue maxi affissioni sul Canal Grande, alle Procuratie Nuove e in Piazza San Marco sono destinate a non passare inosservate.

"sono peter pan ed è questa la mia salvezza" - fulvio paloscia ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama? «Dovrà dipanare molti nodi senza scontentare nessuno: riuscirà a sfuggire ai cattivi consiglieri, a ammonire Israele riguardo alla distruzione di Gaza? Una cosa è certa: Obama sarà un uomo buono se gli americani torneranno ad essere un popolo buono».

i tifosi preparano la grande festa in tribuna gli eroi di anfield road ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Associazione Club Genoani ha intanto invitato a colorare la città di rossoblù per dare il giusto palcoscenico alla domenica della festa ed anche la società ha provveduto a realizzare un nuovo cartellone pubblicitario. "Yes we go", recita, parafrasando Obama per sottolineare i prossimi viaggi in Europa di squadra e tifoseria.

l'ultima battaglia di powell "voglio salvare i repubblicani" - vittorio zucconi ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: endorsement dell´ex generale per Obama brucia ancora. Lui ribatte "Dei due era il candidato migliore" VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - L´ultima battaglia del vecchio soldato contro il vecchio politicante non si combatte più per le paludi del Mekong o per le sabbie d´Arabia, ma per l´anima e per il futuro della destra americana.

"mai più guerre inutili" ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: lo ha detto ieri il presidente Barack Obama, nel corso di una cerimonia nel cimitero nazionale di Arlington, in occasione del Memorial Day, la giornata in cui gli Stati Uniti ricordano i caduti di tutte le guerre. Nel suo primo Memorial Day da presidente Obama ha, come da tradizione, deposto una corona sulla tomba del Milite Ignoto ad Arlington e ha poi parlato nel cimitero,

- alessandra retico venezia ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ma le manette ora le indossa da uomo famoso: il ritratto di Obama con la scritta "Hope", una foto in rosso e blu che ha fatto il giro del mondo diventando un´icona della campagna presidenziale, gli ha cambiato la vita. «Mi danno spazi per lavorare. Ma a me continua a piacere l´aria aperta, le città, la gente dentro».

marchionne, missione lampo in usa per portare alla merkel il sì di gm - salvatore tropea ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: missione lampo in Usa per portare alla Merkel il sì di Gm La task force di Obama potrebbe essere convinta da un piano che non lascia strascichi SALVATORE TROPEA TORINO - C´è un viaggio lampo al di là dell´Atlantico prima dell´incontro con Angela Merkel. Ufficialmente a Torino e in partenza per Berlino, in realtà, ieri, Sergio Marchionne era in America.

opel, volata finale tra fiat e magna - paolo griseri ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: A Washington si dà per scontato che Obama non farà slittare il termine del primo giugno per prendere una decisione. In Italia si attendono gli esiti della battaglia tedesca. Il presidente onorario di Exor, Gianluigi Gabetti, ha fatto sapere ieri che la diluizione del capitale della finanziaria degli Agnelli nel nuovo colosso dell´auto «non è scontata» e che «

"io, il graffitaro che ha inventato il volto pop di obama" ( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 33 - R2 ALESSANDRA RETICO Il personaggio "Io, il graffitaro che ha inventato il volto pop di Obama" SEGUE A PAGINA 36

Corea del Nord, lanciati due missili a corto raggio ( da "Repubblica.it" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente Usa barak Obama definisce l'esperimento di Pyongyang una "minaccia per la pace e la sicurezza" nonchè una "sfida alla comunità intenazionale". Obama, ha telefonato ieri sera alla sua controparte sudcoreana, il presidente Lee Myung-bak e al premier giapponese Taro Aso per "coordinare" eventuali reazioni ai test nucleari.

"Pronti a reagire ad un attacco Usa" La Nord Corea lancia altri due missili ( da "Stampaweb, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione di Barack Obama» è il commento del regime comunista affidato all?agenzia ufficiale, la Kcna, dopo l'allarme del presidente Usa. Per questo motivo - continua la nota - Pyongyang è preparata a qualsiasi «sconsiderato» tentativo di attacco degli Usa. «Il nostro esercito e la nostra gente - aggiunge ancora la Kcna,

Nord Corea, condanna da Onu e Ue ( da "Stampaweb, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama, ha parlato ieri sera al telefono col collega sudcoreano Lee Myung-bak e con primo ministro giapponese Taro Aso per «coordinare una reazione al test nucleare della Corea del Nord. Lo ha reso noto la Casa Bianca. Obama ha parlato a Lee «per consultare e coordinare la nostra reazione al test nucleare nordcoreano» ha riferito la Casa Bianca.

Web, tutti pazzi per la T-shirt dei lupi ( da "Stampaweb, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: anonimi buzziconi, e uomini famosissimi, come Obama (ovviamente), Elvis, Che Guevara, persino Bin Laden sotto la sua mimetica. Poi sono piovute dicerie leggendarie, che coinvolgono il superacceleratore di adroni in Svizzera, l?eros, la fortuna. Quei tre lupacchiotti stampati, s?è detto, hanno superpoteri.

La Corea del Nord continua la sfida lanciati due missili a corto raggio ( da "Repubblica.it" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente americano Barak Obama definisce l'esperimento di Pyongyang una "minaccia per la pace e la sicurezza" nonché una "sfida alla comunità intenazionale". Obama ha telefonato ieri sera alla sua controparte sudcoreana, il presidente Lee Myung-bak e al premier giapponese Taro Aso per "coordinare" eventuali reazioni ai test nucleari.

Corte Suprema, tocca alla Sotomayor ( da "Stampaweb, La" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: WASHINGTON Il presidente americano Barack Obama ha scelto Sonia Sotomayor, giudice federale di New York, come nuovo membro della Corte Suprema: se confermata dal Congresso, sarà il primo giudice ispanico nella storia americana. Sonya Sotomayor, che sostituirà il dimissionario David Souter, è una giurista che si è fatta da sè.

Sonia Sotomayor, la giudice ispanica scelta da Obama per la Corte suprema ( da "Repubblica.it" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: pressioni su Obama affinché ristabilisse un equilibrio all'interno della massima corte americana più vicino alla realtà del Paese erano dunque evidenti. Decisione storica. In una recente intervista televisiva, Obama aveva dichiarato che il nuovo giudice avrebbe dovuto avere "statura intellettuale, sapere rapportarsi alla gente comune e avere senso pratico su come funziona il mondo"

Sonia Sotomayor, la scelta di Obama dal Bronx alla Corte Suprema ( da "Repubblica.it" del 26-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: pressioni su Obama affinché ristabilisse un equilibrio all'interno della massima corte americana più vicino alla realtà del Paese erano dunque evidenti. Decisione storica. In una recente intervista televisiva, Obama aveva dichiarato che il nuovo giudice avrebbe dovuto avere "statura intellettuale, sapere rapportarsi alla gente comune e avere senso pratico su come funziona il mondo"

Obama sceglie una portoricana ( da "Stampa, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Corte Suprema Sonia Sotomayor, figlia di immigrati del Bronx, è il primo giudice ispanico a entrare tra i nove super-magistrati Obama sceglie una portoricana Molinari e Semprini A PAGINA 17

Chamberlain il fantasma e la bomba coreana Ricorda la famosa faccia sorridente con cui Cha... ( da "Stampa, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: È bastato insomma che Obama, supportato da tutto quel codazzo europeo che non riesce a rimanere a galla nella propria sinistra ex-comunista, mostrasse una vaga intenzione di aprire un dialogo, un colloquio con quella parte del mondo chiusa nella propria evidente a-storicità, nell'indiscussa, incontestabile arretratezza culturale,

Scandali romanzati In questo periodo, più che mai, si usa spesso la parola crisi rife... ( da "Stampa, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ENRICA CHIODI Obama e il sogno americano Sono trascorsi più di 5 mesi dall'insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca, e fino ad ora non ho visto un significativo cambiamento di strategia della politica estera americana. Nonostante il 20 gennaio i media ci proponevano il sogno americano che si realizzava, in verità non è andata in modo così fiabesco.

L'Armée di Sarkozy sfida gli ayatollah ( da "Stampa, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: pieno titolo vuole diventare un protagonista della fluida era del dopo Bush e dell'apprendistato internazionale di Obama. Sa che il Medio Oriente è il serpaio pericoloso ma obbligato. Gli servivano alleati. Li ha trovati nei ricchissimi ma fragili emirati già corteggiati al tempo di Mitterrand e Chirac, che hanno paura dell'Iran sciita e sono alla ricerca di tutori diversi dagli Usa.

Usa, la prima ispanica della Corte Suprema ( da "Stampa, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ala più liberal [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Obama nomina una giudice di origine ispanica alla Corte suprema, rafforza il legame dell'amministrazione con le donne e la comunità latina e invia un segnale di apertura al partito repubblicano. Sonia Sotomayor, questo il suo nome, venne nominata giudice federale nel 1992 da George W.

Dalla miseria del Bronx alla laurea a Princeton ( da "Stampa, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: a cui Obama appartiene, è stato un compagno di studi di Sotomayor e ricorda bene come «quell'articolo facesse prevalere la riflessione sulle emozioni». Ciò che accomuna Sotomayor a Obama è vivere l'appartenenza ad una minoranza senza cedere ai sentimenti estremi - dal vittimismo al rabbia - che hanno distinto le battaglie per l'

"l'affare opel è una lotteria" ( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama: decidete in fretta "L´affare Opel è una lotteria" ROMA - «L´incontro con Angela Merkel è stato costruttivo. Noi restiamo fiduciosi ma la partita per la Opel è diventata una lotteria». Lo ha detto ieri l´amministratore delegato di Fiat Auto Sergio Marchionne al termine di un incontro con il cancelliere tedesco.

complotti e guerra di successione l'ultima sfida di kim jong-il - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Un messaggio agli Usa" Obama spinge per una risoluzione di condanna dell´Onu, ma Russia e Cina frenano Il "monarca rosso" è reduce da un ictus. Il figlio minore Jong-un è il suo preferito FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente PECHINO - Sfidando per il secondo giorno consecutivo le condanne della comunità internazionale,

dal bronx alla corte suprema - vittorio zucconi ( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Esteri Dal Bronx alla Corte Suprema Obama sceglie Sonia Sotomayor, la prima ispanica nel tempio della giustizia Usa Donna, liberal e di origine latina: nel 1995 salvò il campionato di baseball VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - Stupendo esempio di donna che non deve nulla alla fortuna e tutto alla propria intelligenza e volontà, Sonia Sotomayor,

california, no ai matrimoni gay - arturo zampaglione ( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: in cui i californiani avevano votato per Barack Obama, si erano anche espressi a favore della "Proposition 8", cioè di un emendamento costituzionale di iniziativa popolare che stabilisce che a contrarre un matrimonio possano essere solo un uomo e una donna. In California questo tema è sempre stato un tema molto caldo, anche perché, soprattutto a San Francisco,

tbilisi, l'opposizione in piazza saakashvili: "ma io non lascio" - pietro del re ( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Che relazioni intrattiene con Obama? «Bush l´ho incontrato diverse volte, mentre con Obama ancora non ci siamo conosciuti di persona. Ma ho parlato con lui per telefono, e il presidente mi ha garantito l´interesse americano di mantenere una partnership strategica con il mio paese.

ecco il mobbing rosa in ufficio è guerra di eva contro eva - (segue dalla prima pagina) cinzia sasso ( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ha messo in subbuglio il politically correct che sembrava dominare l´era Obama e ha risvegliato le coscienze delle femministe: studiando le molestie sul lavoro, dati alla mano, l´istituto di ricerca ha concluso che il 40% dei responsabili di mobbing sono donne, ma soprattutto ha scoperto che quando tocca a loro, le donne mobbizzano nel 70% dei casi altre donne.

"fiducioso su opel, ma è una lotteria" - andrea tarquini ( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama. E il parere di Berlino come si sa è decisivo, perché da Berlino verranno concesse le indispensabili garanzie pubbliche. «E´ stato un colloquio costruttivo», ha detto Marchionne dopo il vertice con la Merkel, «ma è una lotteria, sono in gioco tantissime variabili e non posso stabilire quali siano le probabilità di successo.

obama mette fretta ai tedeschi e fiat gioca la carta americana - salvatore tropea ( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: accordo su Opel Obama mette fretta ai tedeschi e Fiat gioca la carta americana Il finanziamento di Opel da parte delle banche non risolve-rebbe i problemi dell´azienda Per Washington se Fiat è un buon partner di Chrysler può esserlo anche per la casa tedesca SALVATORE TROPEA TORINO - «Spero, penso che sia l´economia a pesare più della politica»

- pietro del re ( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il presidente Obama, perché la sua "rivoluzione ecologica" è stata così immediata ed eclatante che i suoi effetti si potranno misurare «perfino sulle future generazioni». Uno di loro, il pediatra trentottenne Kristian Olson, ha appena fabbricato un´incubatrice per neonati con pezzi di automobile, per far sì che sia possibile ripararla anche nelle regioni più povere.

la rivista "scientific american" ha stilato la lista delle personalità più impegnate per migliorare il futuro tra loro, medici e ricercatori, ma anche barack obama, bill gates e il ( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 41 - Esteri La rivista "Scientific american" ha stilato la lista delle personalità più impegnate per migliorare il futuro Tra loro, medici e ricercatori, ma anche Barack Obama, Bill Gates e il sindaco di New York Michael Bloomberg

da adriano alla thatcher ecco l'arte del comando - giancarlo bosetti ( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama quando è stato attaccato per il suo imbarazzante legame con il reverendo Jeremiah Wright e le sue prediche violente, radicali, che giravano sul web ? un fatto che da solo stava per liquidare la sua corsa alla Casa Bianca ? ha rovesciato la situazione con un discorso che ha fatto della questione razza un punto di forza della sua candidatura.

barack obama e bill gates nella top ten dei benefattori ( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 37 - R2 PIETRO DEL RE La ricerca Barack Obama e Bill Gates nella top ten dei benefattori SEGUE A PAGINA 41

La Corea del nord lancia il terzo missile e minaccia Seul: "Pronti a colpire" ( da "Repubblica.it" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il Tesoro americano, dopo le dure parole di Obama sulle "conseguenze" inevitabili delle azioni di Kim, ha reso noto che sono allo studio nuove sanzioni al Paese, dove già vige un regime di isolamento assoluto imposto dal regime e la popolazione vive nella totale privazione dei beni di consumo più comuni.

Amnesty, poveri indifesi dalla crisi Italia all'indice per i respingimenti ( da "Repubblica.it" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Amnesty riconosce agli Stati Uniti di Obama un'inversione di tendenza rispetto alla politica di Bush, ma si aspetta ancora molto. Se da un lato nel rapporto 2009 si plaude alla chiusura di Guantanamo e alla presa di posizione sulla tortura, da Obama ci si aspettano "franchezza e forza" nel chiedere "il rispetto dei diritti umani a paesi come Israele e Cina,

Filantropi, scienziati, politici ( da "Repubblica.it" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il presidente Obama, perché la sua "rivoluzione ecologica" è stata così immediata ed eclatante che i suoi effetti si potranno misurare "perfino sulle future generazioni". Uno di loro, il pediatra trentottenne Kristian Olson, ha appena fabbricato un'incubatrice per neonati con pezzi di automobile, per far sì che sia possibile ripararla anche nelle regioni più povere.

Marchionne fiducioso ( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dai delegati dell'americana General Motors (Gm) e dagli inviati di Barack Obama a Berlino. Ieri Marchionne dopo oltre un'ora di faccia a faccia con la Merkel ha detto: è una lotteria, ma sono fiducioso. Intanto è arrivata anche una proposta della cinese Baic, che ha promesso di non tagliare neppure un posto di lavoro.

Gm al capolinea Il 70% a Obama Sindacati nel board ( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 5 La trattativa a Detroit Gm al capolinea Il 70% a Obama Sindacati nel board MILANO Comunque vada a finire, amministrazione controllata o no, ci sarà sempre un po' di vecchia Germania nella nuova (e ristrutturata) Gm. E si chiamerà cogestione, uno dei pilastri del modello renano che apre ai lavoratori le porte delle stanze dei bottoni e del management.

Così la Fiat negozia ancora ( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: quando il governo tedesco si incontrerà con la task force di Barack Obama e con i vertici di Gm per una decisione congiunta, sarà complicato per chiunque scommettere su quale direzione prenderà il «pendolo Opel». Di sicuro non lo fa lui. Che anzi si infastidisce, con chi la mette in termini da bookmakers: «Sono fiducioso perché stiamo facendo un grandissimo lavoro.

Il giorno dell'asta per Opel, gli Usa in campo ( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: gli inviati di Barack Obama a Berlino. Dovranno spiegare perché le loro proposte dovrebbero salvarsi dalla Nomination. Poi, alle nove di sera, una megariunione dei ministri interessati alla vicenda con gli uomini di Gm (proprietaria di Opel) e la task force di Washington che sta curando il salvataggio di Gm dovrebbe arrivare a una prima soluzione:

Barack: liberate Suu Kyi subito ( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 16 Birmania Barack: liberate Suu Kyi subito Il presidente Usa Barack Obama ha chiesto ieri alle autorità birmane di liberare «subito e senza condizioni» Aung San Suu Kyi. Il premio Nobel per la pace, sotto processo in carcere, ha negato ieri di aver violato le regole degli arresti domiciliari, la cui scadenza era prevista per oggi.

Altri tre missili nordcoreani Gli Usa: ( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il Giappone pretende misure decise, subito rassicurato da Barack Obama sulla protezione statunitense. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, per ironia della sorte coreano, ha invocato «il ritorno al tavolo del negoziato», una posizione analoga a quella espressa dai ministri europei e asiatici riuniti in Vietnam.

Donna e ispanica: la giurista di Obama ( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la giurista di Obama Il presidente nomina Sonia Sotomayor, progressista, alla Corte Suprema DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Per la Corte Suprema degli Stati Uniti, Barack Obama ha scelto Sonia Sotomayor, giudice di Corte d'Appello a New York. Alla prima opportunità di una nomina alla massima magistratura americana,

Il jazz che fa bene ( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il sassofonista Francesco Cafiso (esibizione alla cerimonia di insediamento del presidente Obama), e il pianista Dino Rubino (miglior talento emergente al concorso Urbani), si esibiscono domani alle 20.30 al Teatro San Domenico di Crema, piazza Trento e Trieste, per un evento di sensibilizzazione sulla Sla, malattia di cui si ignorano le cause.

Se a mezzogiorno va la ( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e arrivando al presidente Obama. C'è, nella differenza tra quelle due parole, la storia dei diritti civili americani. Lei, mi perdoni, rischia di farsi suggestionare dal martellamento di questi mesi. Ciò che fa alla Garbatella e, presumo, anche girando per il resto dei quartieri di Roma quando capita, non è un'attività di ronda: è sano e normale civismo.

Gli Usa di Obama e l'Italia di Silvio ( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 05/2009 - pag: 10 CENTRO STUDI AMERICANI Gli Usa di Obama e l'Italia di Silvio Che cosa accomuna e che cosa rende diverse l'America di Obama e l'Italia di Berlusconi? Alle 17 nel Centro Studi Americani, via Caetani 32, si presenta «Stati uniti? Italia e Usa a confronto» (Rubbettino) di Joseph La Palombara e Luigi Tivelli.


Articoli

UN TEST PER OBAMA (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Boris Biancheri UN TEST PER OBAMA Lì per lì i sismografi l'avevano scambiata per una scossa di terremoto di medio-alta potenza avvenuta in qualche inospitale landa dell'Estremo Oriente: 4,5 gradi della scala Richter. Più di un punto al di sotto di quella che ha devastato l'Abruzzo. Poi si è capito che non si trattava di una scossa ma di un'esplosione e se ne è avuta conferma quando l'agenzia di stampa di Pyongyang, Kcna, ha diffuso ufficialmente la notizia che un test atomico sotterraneo era stato eseguito da parte della Corea del Nord alle 10 ora locale mentre a Washington ci si apprestava al sonno e in California era pomeriggio. Un ordigno considerevole, di forza stimabile tra 10 e 20 chilotoni, superiore, per intenderci, alla bomba atomica che nel 1945 distrusse la città di Hiroshima. Non è cosa nuova, naturalmente. Da anni la Corea del Nord tiene in agitazione i governi di buona parte del mondo e soprattutto quelli di Washington e di Tokyo con un progressivo aumento della propria capacità nucleare. Il Paese ha da tempo superato la fase di produzione del materiale fissile e ha tradotto questa capacità in un primo test sotterraneo di alcuni anni fa, cui hanno fatto seguito riuscite prove di lancio di missili a corto e medio raggio, l'ultima delle quali recentissima, al principio di aprile. A dire il vero, anche questa volta come nel passato alcuni Paesi - Stati Uniti, Cina, Corea del Sud - erano stati avvertiti dell'esplosione con un'ora di anticipo: non si tratta beninteso di una questione di buone maniere. I nordcoreani si sono premuniti di non far scattare in America uno stato di allarme nucleare con le ripercussioni che ciò potrebbe comportare sia sul piano interno che su quello internazionale. Le reazioni della comunità internazionale all'avvenimento sono state, come prevedibile, di riprovazione e di allarme, con alcune sfumature. Vi è stata la rituale richiesta di convocazione d'urgenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite affinché emani una non meno rituale risoluzione di condanna. Il segretario generale dell'Onu ha espresso preoccupazione e altrettanto hanno fatto i singoli governi, chi - come il ministro Frattini - definendola una minaccia alla pace, e chi - come Solana - parlando di atti irresponsabili. Se i nordcoreani volevano saggiare i tempi di reazione di Obama a questa provocazione, hanno riscontrato che essi sono stati immediati: il Presidente americano ha fatto capire che Pyongyang sta sfidando in modo sconsiderato il mondo e che il mondo è legittimamente autorizzato a reagire. Di quale reazione possa trattarsi, tuttavia, non si è parlato. Tutto ciò era, alla fin fine, prevedibile. Non si investe quel che la Corea del Nord - che non abbonda né di capitali né di ricchezze del suolo - ha investito nel proprio programma nucleare e missilistico senza spingere fino in fondo la propria azione. L'Iran, che è il solo Paese che non si sia finora associato alla riprovazione generale, sfida da anni il mondo su questo stesso terreno riscuotendo se non l'assenso quantomeno solo un modesto dissenso da parte di Russia e di Cina, la reprimenda dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica e incassando una sull'altra cinque risoluzioni negative del Consiglio di Sicurezza dell'Onu senza battere ciglio. Quel che è più difficile capire è perché, dopo essersi pochi anni fa dichiarata disposta a rinunciare al programma nucleare in cambio di aiuti e garanzie di sicurezza, la Corea del Nord abbia contraddetto tali intenzioni riprendendo il suo programma e abbia scelto una stagione internazionale ricca di speranze di pacificazione e dialogo come quella inaugurata dalla presidenza Obama per dare a tale programma una clamorosa e minacciosa visibilità. Può darsi che proprio questo, oltre alla ben nota imprevedibilità delle dittature, sia stato l'elemento che ha dettato il gesto nordcoreano: la condizione che l'amministrazione Obama e il nuovo corso più multilaterale e meno decisionista inaugurato a Washington assicuri perfino ai reprobi maggiore immunità. A fronte del benessere crescente che ha segnato a lungo l'esistenza dei Paesi dell'Asia orientale, la Corea del Nord, arroccata nel proprio isolamento, vive una vita di miti illusori. La forza militare e l'appartenenza al club esclusivo dei detentori di armi nucleari è uno di questi miti. Ora non sarà facile dare una risposta al comportamento di Pyongyang che vada al di là delle espressioni di preoccupazione e di condanna. Ci accorgeremo sempre più che il superamento dell'unilateralismo americano dell'era Bush richiede una volontà di collaborazione da parte di tutti nel far osservare quelle regole di comportamento internazionale che da troppo tempo le Nazioni Unite non sembrano più in grado di far rispettare. CONTINUA A PAGINA 35

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General Motors corsa contro il tempo (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Retroscena 50% La partita vista dall'altra sponda dell'Atlantico General Motors corsa contro il tempo Nelle prossime 48 ore si decide il futuro di Detroit FRANCESCO SEMPRINI la quota del Tesoro NEW YORK Si decide nelle prossime 48 ore il futuro di General Motors le cui sorti sono appese a un negoziato incrociato tra le due sponde dell'Atlantico che vede coinvolti Fiat, Opel, e i governi tedesco e statunitense. L'amministratore delegato Sergio Marchionne è di nuovo in Germania dopo una breve tappa americana, secondo fonti di mercato, per un round di incontri con i vertici di Detroit e la task force del Tesoro. Il futuro della società in patria è del resto intimamente legato all'esito delle trattative europee e per questo Gm ha tutto l'interesse a sciogliere quanto prima il nodo Opel. Il Chapter 11 appare certo per la società a causa del forte indebitamento, cresciuto di altri 4 miliardi con una nuova iniezione di capitali del Tesoro che porta a 19,4 miliardi lo sforzo finanziario nell'azienda. La prima scadenza è alla mezzanotte del 26, le sei del mattino del 27 in Italia, termine ultimo entro il quale far pervenire l'adesione dei creditori allo swap del debito. La società offre il 10% della nuova Gm in cambio della ristrutturazione dei 27 miliardi di dollari di debito. La proposta è stata rigettata dagli obbligazionisti e anche se il consenso raggiungesse a sorpresa il quorum fissato del 90% la bancarotta sarebbe inevitabile. L'ipotesi è ottenere agli inizi di luglio il via libera del tribunale per la cessione degli asset buoni a una nuova società, che dovrebbe emergere dal Chapter 11 entro l'autunno. La società ristrutturata vedrebbe presenti nel capitale la United Auto Workers, con una quota del 39%, mentre al Tesoro andrebbe il 50%. Mercoledì è inoltre il giorno del maxivertice Opel al quale, oltre al governo tedesco, parteciperanno le società che hanno presentato le offerte per le attività europee della casa automobilistica americana. A meno di proroghe dell'ultima ora, quindi, l'incontro di Berlino di mercoledì avverrà anche alla luce del risultato della conversione del debito e il suo esito servirebbe per capire quale tipo di impostazione dare alla bancarotta. Il futuro di Opel serve a sua volta al Tesoro per capire quali garanzie avere nell'operazione. Da questo punto di vista sembra che l'amministrazione di Obama abbia simpatie per la soluzione Fiat, sia per l'impegno del Lingotto negli Usa sia per la solidità industriale del progetto del gruppo torinese. Anche per questo sembra che Marchionne sia venuto prima negli States, per sondare il terreno e valutare le diverse ipotesi in vista della trattativa europea, come la definizione delle quote e altri aspetti incrociati. Resta aperto anche il nodo latino-americano, ovvero le preziose attività di General Motors in America Latina, corteggiate da Fiat ma che Detroit non sembra intenzionato a cedere tanto facilmente. La seconda scadenza è quella fissata da Obama per il 1 giugno termine ultimo per la presentazione del piano di ristrutturazione di Gm. Non è escluso però un annuncio prima della scadenza, già alla vigilia del fine settimana visto che il primo giorno di giugno scade un bond di Gm da un miliardo di dollari che la società ha già annunciato che non rinnoverà o liquiderà. Pertanto se la bancarotta dovesse essere dichiarata prima la società potrebbe evitare penali o altre sanzioni, oltre al fatto che per Gm ogni giorno in più prima della bancarotta rischia di trasformarsi in perdita di valore del titolo in borsa. Infine nel prossimo week-end il segretario al Tesoro, Timothy Geithner, partirà per la sua prima missione in Cina e appare difficile che un annuncio sul futuro del gruppo possa avvenire senza il titolare del ministero che controlla la task force dell'auto, in prima fila durante l'annuncio su Chrysler dello scorso 30 aprile.

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"Sul dialogo Barack sbagliava Ecco la prova" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

"Sul dialogo Barack sbagliava Ecco la prova" Gli esperimenti nucleari compiuti dalla Corea del Nord rappresentano un test cruciale per Barack Obama che si trova ad affrontare la prima vera crisi internazionale dal momento del suo insediamento a gennaio. E' questa, in sintesi, la riflessione di John Bolton, il falco neoconservatore del governo Bush già sottosegretario di Stato per il disarmo ed ex ambasciatore americano presso il Palazzo di Vetro. Bolton, tradizionalmente diffidente verso l'approccio al dialogo con Pyongyang delineato dall'esecutivo di Obama, ha parlato a Fox News e Afp, spiegando che per l'amministrazione democratica è giunto «il momento della verità». Il gesto di Pyongyang era realmente inaspettato? «Non direi, a mio avviso i nordcoreani cercavano il momento giusto per fare un nuovo test anche perché il primo, compiuto nel 2006, non era andato bene». Lei lo aveva previsto? «Sì, l'ho scritto mercoledì scorso sul Wall Street Journal: compiere un secondo test è stato un imperativo categorico dal punto di vista scientifico e militare negli ultimi due anni per Pyongyang. Le informazioni e i dati ottenuti con un nuovo esperimento nucleare avevano un'importanza strategica per il regime di Kim Jong Il». Quindi gli Usa erano preparati? «No, ma l'amministrazione Obama ha favorito l'occasione quando l'emissario americano Stephen Bosworth aveva detto, circa due settimane or sono, di non vedere segnali di crisi sperando di rilanciare in questo modo al più presto i negoziati a Sei con Pyongyang». Quindi il governo americano è in parte responsabile? «Hanno riposto tutte le loro speranze nei colloqui a Sei - le due Coree, gli Usa, Cina, Giappone e Russia - e questo è il risultato. Per la nuova amministrazione, che puntava anche a un dialogo diretto, è giunto il momento della verità». Cosa dovrebbero fare Obama? «La prima cosa da fare è inserire di nuovo la Corea del Nord nella lista dei Paesi sponsor del terrorismo, da cui fu depennata durante la fase calante della presidenza di George W. Bush. Pyongyang ha tutto l'interesse a volere un arsenale atomico visto che il suo obiettivo è quello di preservare l'isolazionismo della dittatura. Del negoziato sul nucleare non gli interessa nulla». E le Nazioni Unite come dovrebbero agire? «Il Consiglio di Sicurezza deve imporre nuove e più severe sanzioni sui programmi militari del regime nordcoreano e introdurre tutte le misure economiche previste nei casi più estremi». E se non bastasse? «Per le sue violazioni reiterate il Paese potrebbe anche essere espulso dalle Nazioni Unite. I test nucleari hanno dato prova del fatto che Pyongyang non era stata affatto seria sui propri impegni per il disarmo presi nel corso delle trattative internazionali». \

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Test nucleare di Pyongyang Obama furioso (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Test nucleare di Pyongyang Obama furioso La Corea del Nord sta sfidando direttamente e in modo sconsiderato la comunità internazionale I test sono una minaccia per la pace a cui dobbiamo rispondere Il presidente Usa: "Il mondo reagisca subito" Ma Seul accusa: "America e Cina sapevano" Barack Obama [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK La Corea del Nord rilancia la sfida alla comunità internazionale con un nuovo test nucleare che provoca le ire di Barack Obama: «Il mondo intero deve imporsi con Pyongyang affinché rispetti l'impegno a desistere dai propri piani atomici». L'ennesimo provocazione del regime di Kim Jong-Il avviene poco prima delle 10 locali (le 3 di notte in Italia) quando i sismografi registrano una scossa di terremoto in Corea del Nord di magnitudo 4.5. La natura dell'onda fa pensare all'ipotesi più inquietante, il test nucleare. La conferma giunge poco dopo dall'agenzia ufficiale di Pyongyang, la Kcna: «Abbiamo condotto con successo un test nucleare sotterraneo per rafforzare le nostre capacità nucleari di autodifesa». E' il secondo esperimento dopo quello dell'ottobre 2006, ed è una chiara ritorsione contro la condanna dell'Onu per il lancio in orbita del missile-satellite il 5 aprile. Del resto Pyongyang aveva avvertito che avrebbe continuato i suoi esperimenti. Ma non è finita perché subito dopo Kim Jong-Il ordina di procedere al lancio di un missile a corto raggio, uno Yonhap dalla gittata stimata di 130 chilometri. Seul definisce i test una minaccia e mobilita le truppe, Tokyo parla di «gesto inammissibile» e chiede la convocazione del Consiglio di Sicurezza Onu, appoggiato da Mosca che poco dopo condanna anche lei. A Washington è tarda sera e il primo a farsi sentire è il dipartimento di Stato che esprime «gravi preoccupazioni». L'Europa condanna compatta, la Cina rompe il silenzio dopo qualche ora e dice di essere «fortemente contraria» al test accusando la Corea del Nord di aver «ignorato le obiezioni della comunità internazionale». L'Iran invece, che ieri ha detto di considerare chiusi i negoziati con i 5+1 sul nucleare, dice che il test «non ci riguarda». Per gli scienziati russi il test nucleare sotterraneo ha avuto una potenza fra i 10 e i 20 kiloton, rispetto ai 5-15 kiloton del 2006. La vicenda si tinge di giallo quando Seul rivela che Usa e Cina erano stati avvertiti, ma Washington si affretta a precisare che si è trattato di un «alert» meno di un'ora prima. E sulla questione si pronuncia il presidente Obama: «I test rappresentano una minaccia per la pace e una sfida sconsiderata alla comunità internazionale». Obama esorta il mondo ad affrontare Pyongyang affinché rispetti la promessa di rinunciare ai programmi atomici e afferma che a questo punto appare «giustificata un'azione da parte della comunità internazionale». L'inquilino della Casa Bianca si fa sentire di nuovo in mattinata con una breve dichiarazione dal Giardino delle rose nella quale esprime «la forte condanna» degli Usa e chiede alla comunità internazionale di «agire e rispondere compatti». La macchina burocratica del Palazzo di Vetro si mette in moto rapidamente. Per l'Onu i test sono una violazione della risoluzione 1718 del Cds che chiede a Pyongyang di abbandonare i programmi nucleari. Il segretario generale Ban Ki-moon esprime preoccupazione, e convoca il Cds per le 10 di sera italiane. I cinque membri stavolta sembrano meno divisi. In meno di un'ora arriva una netta condanna, «unanime». L'ambasciatore russo riferisce che i 15 membri del Cds hanno deciso di «iniziare immediatamente a lavorare su una risoluzione». La condanna della Russia e soprattutto della Cina potrebbe consentire di adottare misure più severe senza il rischio di un veto e della consueta spaccatura.

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Gli esperimenti nucleari compiuti dalla Corea del Nord rappresentano un test cruciale per Barack Oba... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Gli esperimenti nucleari compiuti dalla Corea del Nord rappresentano un test cruciale per Barack Obama che si trova ad affrontare la prima vera crisi internazionale dal momento del suo insediamento a gennaio. E' questa, in sintesi, la riflessione di John Bolton, il falco neoconservatore del governo Bush già sottosegretario di Stato per il disarmo ed ex ambasciatore americano presso il Palazzo di Vetro. Bolton, tradizionalmente diffidente verso l'approccio al dialogo con Pyongyang delineato dall'esecutivo di Obama, ha parlato a Fox News e Afp, spiegando che per l'amministrazione democratica è giunto «il momento della verità». Il gesto di Pyongyang era realmente inaspettato? «Non direi, a mio avviso i nordcoreani cercavano il momento giusto per fare un nuovo test anche perché il primo, compiuto nel 2006, non era andato bene». Lei lo aveva previsto? «Sì, l'ho scritto mercoledì scorso sul Wall Street Journal: compiere un secondo test è stato un imperativo categorico dal punto di vista scientifico e militare negli ultimi due anni per Pyongyang. Le informazioni e i dati ottenuti con un nuovo esperimento nucleare avevano un'importanza strategica per il regime di Kim Jong Il». Quindi gli Usa erano preparati? «No, ma l'amministrazione Obama ha favorito l'occasione quando l'emissario americano Stephen Bosworth aveva detto, circa due settimane or sono, di non vedere segnali di crisi sperando di rilanciare in questo modo al più presto i negoziati a Sei con Pyongyang». Quindi il governo americano è in parte responsabile? «Hanno riposto tutte le loro speranze nei colloqui a Sei - le due Coree, gli Usa, Cina, Giappone e Russia - e questo è il risultato. Per la nuova amministrazione, che puntava anche a un dialogo diretto, è giunto il momento della verità». Cosa dovrebbero fare Obama? «La prima cosa da fare è inserire di nuovo la Corea del Nord nella lista dei Paesi sponsor del terrorismo, da cui fu depennata durante la fase calante della presidenza di George W. Bush. Pyongyang ha tutto l'interesse a volere un arsenale atomico visto che il suo obiettivo è quello di preservare l'isolazionismo della dittatura. Del negoziato sul nucleare non gli interessa nulla». E le Nazioni Unite come dovrebbero agire? «Il Consiglio di Sicurezza deve imporre nuove e più severe sanzioni sui programmi militari del regime nordcoreano e introdurre tutte le misure economiche previste nei casi più estremi». E se non bastasse? «Per le sue violazioni reiterate il Paese potrebbe anche essere espulso dalle Nazioni Unite. I test nucleari hanno dato prova del fatto che Pyongyang non era stata affatto seria sui propri impegni per il disarmo presi nel corso delle trattative internazionali». \

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Gli immigrati? Io penso sia più umano riportarli là da dove sono partiti e consegnarli alle agenzie Onu (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Politica e autodifesa Mi accusano di avere mentito? Allora spiegherò esattamente com'è la situazione Andrò da Obama prima del G8 Il presidente Usa non ha sbagliato una sola mossa in politica estera Opel-Fiat? Le offerte saranno valutate oggettivamente anche per i rapporti che abbiamo col governo tedesco Gli immigrati? Io penso sia più umano riportarli là da dove sono partiti e consegnarli alle agenzie Onu Silvio Berlusconi

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A vederli affiancati e sorridenti, nella foto ufficiale che domenica celebrava quel loro vertice tri... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

A vederli affiancati e sorridenti, nella foto ufficiale che domenica celebrava quel loro vertice trino, i presidenti di Iran, Pakistan e Afghanistan davano l'impressione di essere una combriccola ben affiatata. Non è che tra sunniti e sciiti corra proprio buon sangue, ma in gioco c'è il controllo del potere personale e comunque un pezzo rilevante della leadership della umma musulmana; la partita è assai grossa, e allora al Dipartimento di Stato gli analisti si sono dedicati con cura a interpretare quei sorrisi, perché capire che cosa gli si cela dietro è vitale non solo per gli interessi strategici degli Usa nel Golfo ma per l'intero Grande Gioco che in quell'area sta decidendo quale fine faranno i processi di stabilizzazione d'una crisi avvitata sul nuovo potere sciita, sul controllo delle risorse energetiche , e sulle 30 testate atomiche di Islamabad. Incontrando Ahmadinejad, Zardari e Karzai arrivavano da un incontro appena tenuto alla Casa Bianca con Obama. E, a differenza di Bush, con quei due il presidente americano non ci va tanto facile, perché vede l'ambiguità - o comunque l'inadeguatezza - delle loro politiche, e pensa con qualche seria preoccupazione al neghittoso confronto con l'Iran mullacratico e alle avanzate massicce dei Taliban nelle vallate afghane e nelle montagne pakistane. Ufficialmente, i tre dovevano parlare di cooperazione economica. Ma nessuno crede che si sia discusso soltanto di affari commerciali, perché Obama un qualche "pizzino" lo ha fatto scivolare dentro la tasche del mantellone di Karzai e anche, per sicurezza, tra le pieghe dello shalwar kamiz del collega pakistano. Il dialogo a distanza tra Washington e Teheran va avanti con alti e bassi , ma Karzai e lo stesso Zardari non sono semplici satelliti di Washington anche se con Washington (e con i suoi aiuti, economici e militari) devono fare i conti d'ogni giorno; e la visita a Teheran non era dunque un semplice viaggio per la consegna d'un "pizzino". Ognuno dei tre gioca una sua partita personale (Ahmadinejad è poi candidato al rinnovo del mandato tra un mese, e Karzai tra tre mesi), e la variabile che Washington si trova costretta a valutare nei suoi piani strategici sta proprio in quei sorrisi, di tre che s'intendono assai bene senza dover parlare l'inglese. (Mimmo Cándito)

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l'ambiguità di pechino - pechino (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina L´AMBIGUITà DI PECHINO PECHINO La Corea del Nord alza la posta del ricatto nucleare, osa il secondo test nucleare in due anni e mezzo. Il dittatore Kim Jong Il sfida la condanna unanime delle nazioni, sicuro di poter reggere il bluff del terrore. è l´America il suo vero obiettivo: vuole piegare Barack Obama, estorcere concessioni economiche, conquistarsi lo status permanente di mini-superpotenza regionale nel teatro strategico dell´Estremo Oriente. SEGUE A PAGINA 13

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la corea sfida il mondo con un nuovo test atomico - arturo zampaglione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri La Corea sfida il mondo con un nuovo test atomico Condanna unanime, riunione d´emergenza all´Onu L´esplosione, di potenza simile a quella di Nagasaki, ha anche provocato un terremoto Si sperava che le promesse di aiuti economici facessero desistere il dittatore ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - L´esplosione sotterranea di una bomba nucleare nord-coreana, della stessa potenza di quella di Nagasaki, ha provocato ieri una scossa tellurica nella zona di Kilju, nel nord-est del paese, e ha avuto forti contraccolpi politici nelle capitali di tutto il mondo. Il test, infatti, il secondo condotto dal regime autocratico della Corea del nord dopo quello dell´ottobre 2006, non solo ha confermato i progressi degli scienziati nucleari di Pyongyang e ha alimentato le congetture sulla successione del leader Kim Jong-il, ma è stata vista come una aperta sfida alle risoluzioni dell´Onu e ai tentativi internazionali di limitare la proliferazione atomica. Ieri sera, a poche ore dall´annuncio dell´esperimento e del contemporaneo lancio di tre missili terra-aria di breve gittata, il consiglio di sicurezza dell´Onu si è riunito per consultazioni di emergenza sulla crisi nord-coreana. Nel corso della giornata la provocazione di Kim Jong-il è stata duramente condannata dai maggiori protagonisti della politica estera: anche dalla Cina, che è stata storicamente l´interlocutore privilegiato di Pyongyang, e che, come gli Stati Uniti, era stata preavvertita un´ora prima dell´esplosione. «Chiediamo che i nord-coreani rispettino le promesse di de- nuclearizzazione e ritornino al tavolo delle trattative a sei», ha detto Pechino in un comunicato, riferendosi ai negoziati condotti tra Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone, Corea del Sud e del Nord. Mosca ha evidenziato gli effetti destabilizzanti del test. Il presidente della Corea del Sud, dove gli indici azionari hanno perso il 6 per cento, ha convocato una riunione del consiglio della sicurezza interna. Il segretario generale dell´Onu Ban Ki- moon ha espresso «profonda preoccupazione». La reazione della Casa Bianca è stata particolarmente dura. Costretto ad affrontare la prima vera crisi internazionale della sua presidenza, Barack Obama ha denunciato il test di Pyongyang come «un atto di incoscienza» che «rappresenta una grave minaccia alla pace e alla sicurezza del mondo». Il presidente americano, che ieri era al cimitero militare di Arlington per il Memorial day, la giornata dei caduti, ha sollecitato un´adeguata risposta da parte della comunità internazionale. Un´ipotesi di cui ha parlato il segretario di stato Hillary Clinton in una serie di contatti telefonici con altre capitali è quella di un inasprimento delle sanzioni economiche nei confronti di Pyongyang. è una arma a doppio taglio e con dolorosi effetti sociali: la Corea del Nord, infatti, è un paese poverissimo, molti dei 23 milioni di abitanti non hanno né elettricità né abbastanza cibo per nutrirsi, e le sanzioni rischiano così di creare ulteriori sofferenze. Ma quali altri strumenti può usare l´Onu? Finora tutti gli sforzi internazionali sono falliti. Si sperava che la promessa di aiuti economici e forniture petrolifere convincesse Kim Jong-il, 67 anni, a desistere dalle sue ambizioni balistiche e nucleari. Per qualche anno sembrava che la strategia funzionasse. Ma dopo l´ictus dell´agosto scorso il figlio ed erede di Kim Il-sung ha capito - secondo quanto dicono esponenti dell´intelligence - che aveva bisogno di rafforzare il suo prestigio all´interno e l´alleanza con i militari per garantire il futuro della dinastia, cioè che la presidenza passi a suo figlio Kim Jong-un. Di qui la nuova escalation militare. Ad aprile di quest´anno la Corea del Nord aveva lanciato un missile balistico e il consiglio di sicurezza aveva subito inasprito l´isolamento commerciale. Offesa per la decisione, Pyongyang ha minacciato di riaprire gli impianti di arricchimento del plutonio e di riprendere gli esperimenti nucleari. E ieri è passata dalla parole ai fatti: la bomba esplosa a Kilju è quasi venti volte più potente di quella con cui nel 2006 Kim Jong-il entrò nel «club» dei paesi nucleari.

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il ricatto a obama, l'ambiguità di pechino così kim jong il gioca la carta bomba - (segue dalla prima pagina) dal nostro corrispondente (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 13 - Esteri La Cina formalmente protesta, in realtà preferisce lo status quo. Evitando il crollo del regime di Pyongyang Il ricatto a Obama, l´ambiguità di Pechino così Kim Jong Il gioca la carta bomba Al regime basta alzare di un livello la pericolosità virtuale per attirare l´attenzione (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) DAL NOSTRO CORRISPONDENTE federico rampini L´imbarazzo di Obama è evidente. Le parole del presidente americano sono pesanti, definisce il test nucleare e missilistico "una grave minaccia alla pace e alla sicurezza nel mondo, azioni irresponsabili". Chiama la comunità internazionale a "reagire". Ma come reagire? Gli unici ad avere reali strumenti di pressione sul regime comunista di Pyongyang sono i cinesi. Pechino in questa partita mantiene un ruolo ambiguo e cinico; nasconde le sue carte; si associa alle condanne ma si ferma sempre un passo prima di ogni azione risoluta. Non importa il colore dei suoi presidenti, l´America è presa in ostaggio in una zona vitale per i suoi interessi. Washington dipende dalla buona volontà della Cina e non può denunciarne la doppiezza. Prepotenza e provocazione sono le tattiche predilette dal leader nordcoreano. Hanno sempre funzionato. Anche se la maggioranza del suo popolo vive nel terrore e nella fame, il regime comunista di Pyongyang ha smentito finora chi si aspettava un suo crollo. Il test nucleare di ieri s´inserisce in una strategia razionale, massimizza il potere contrattuale verso l´America e i suoi alleati vicini: Corea del Sud, Giappone. Il test di ieri prosegue una escalation della tensione. Le puntate più recenti: il 5 aprile il lancio di un missile a lunga gittata inabissatosi nel Pacifico tra il Giappone e le Hawaii; l´arresto di due giornaliste americane tuttora in carcere a Pyongyang; il congelamento della pur limitata cooperazione economica con la Corea del Sud. Come giustifica questi gesti la dittatura nordocreana? Ieri un comunicato di Pyongyang si esprimeva così: "L´analisi della politica di Obama negli ultimi 100 giorni dimostra che non è cambiato nulla. E´ inutile sedersi a un tavolo con un interlocutore che ci è ostile". Obama non può neppure invocare gli errori del suo predecessore. Lo stesso George Bush aveva già rettificato il tiro. Dopo l´11 settembre 2001 aveva messo la Corea del Nord tra i paesi dell´"asse del male". Poi, frustrato dallo stallo, aveva tentato l´approccio soft. Nel febbraio 2007 Bush accettò di levare molte sanzioni in cambio di un arresto del programma nucleare nordcoreano. Tra quelle sanzioni una infastidisce particolarmente Kim Jong Il: il blocco dei suoi conti bancari personali su una banca offshore di Macao. Bush aveva offerto la fine di quell´embargo bancario. Ma il disgelo si interruppe bruscamente nel dicembre 2008, con il rifiuto della Corea del Nord di accettare ispezioni nei suoi impianti nucleari. Qual è l´effettiva capacità di nuocere di questi test? Gli esperti di armi nucleari hanno definito un flop il test del 2006. La potenza dell´esplosione di ieri è forse inferiore all´arcaica bomba-A lanciata su Hiroshima. Ma la vicinanza della Corea del Sud e del Giappone, nonché di decine di migliaia di soldati americani dislocati in quell´area, consente a Kim di infliggere danni anche con mezzi rudimentali. Gli basta alzare di un livello la propria pericolosità virtuale, per attirare l´attenzione. Pyongyang in passato ha strappato aiuti economici, finiti regolarmente a ingrassare la nomenklatura, proprio alternando le minacce e le (effimere) concessioni. La chiave sta a Pechino. In questa fase in cui il "monarca rosso" Kim prepara la propria successione, i legami che la Cina ha mantenuto con le alte gerarchie militari di Pyongyang sono una leva potente. E la Corea del Nord non sopravviverebbe più di poche settimane, se la Repubblica Popolare le facesse mancare le forniture di energia o gli approvvigionamenti alimentari. E´ proprio il tipo di pressione che Pechino non ha mai voluto evocare. Neppure l´arma spuntata delle sanzioni Onu riesce a passare oltre il veto cinese. Pechino preferisce lo status quo, in cui la sua diplomazia giostra con abilità. I governanti cinesi esercitano pressioni verbali sui nordcoreani, guadagnandosi così gli apprezzamenti di Washington. Ma il loro intervento evita qualsiasi atto che possa accelerare una decomposizione della dittatura di Pyongyang. Lo sbocco finale sarebbe la riunificazione con la Corea del Sud. La penisola coreana diventerebbe la prima democrazia filo-americana ad avere un confine terrestre con la Cina. Conviene invece prolungare questa sceneggiata tragica e grottesca: mette a nudo la fragilità del potere americano in Asia.

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sulle rive del po il polo europeo della meccanica (obama sponsor) - pier paolo luciano (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina I - Torino STEFANO PAROLA A PAGINA XI Piemonte economia Maestri (Intesa): linee di credito impiegate al cinquanta per cento Sulle rive del Po il polo europeo della meccanica (Obama sponsor) "Prestiti frenati? Quando in banca arriva un´azienda brindiamo" PIER PAOLO LUCIANO Vincenzo Ilotte, presidente dell´Amma, ha un sogno: candidare il Torinese a polo europeo della meccatronica. Lo dice, con convinzione, a metà del suo primo discorso da presidente dell´associazione che riunisce le aziende meccaniche e metalmeccaniche dell´area, la più importante per numeri e peso nell´Unione industriale di Torino. «Crediamo profondamente di avere le carte in regola» sostiene. E aggiunge: «Ricordo con orgoglio che a Torino esiste una straordinaria concentrazione di competenze, capacità, sapere fare tecnico e organizzativo riferiti all´intero ciclo dell´auto». E un modello a cui ispirarsi (la Fiat) per «affrontare la crisi come un´opportunità e non soltanto come un´emergenza straordinaria». SEGUE A PAGINA IX

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"qui il polo europeo della meccanica" - (segue dalla prima pagina) pier paolo luciano (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina IX - Torino I punti d´orgoglio I punti dolenti "Qui il polo europeo della meccanica" Ilotte all´assemblea dell´Amma: abbiamo le competenze e le capacità La migliore testimonianza del nostro sapere fare è nell´elogio di Obama alla Fiat: un´impareggiabile iniezione di fiducia. Come l´alleanza con Chrysler Servono più sinergie tra imprese, ma occorre anche ridurre alcuni gap: le infrastrutture inadeguate e un aeroporto con pochi voli e prezzi alti (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) PIER PAOLO LUCIANO (segue dalla prima di cronaca) «La migliore testimonianza è nel discorso con cui il presidente Obama ha tributato uno straordinario elogio alla Fiat e alla nostra industria. Per il settore dell´auto, l´alleanza Fiat-Chrysler rappresenta una svolta su scala mondiale che ha il valore di un passaggio epocale. E un´impareggiabile iniezione di fiducia. La Fiat, con la sua proprietà e il suo management, ha affrontato la crisi secondo l´approccio costruttivo che è condiviso da gran parte delle imprese torinesi. Ha dimostrato con i fatti che, anche nei frangenti più difficili, occorre continuare a progettare il futuro e sostenere quei progetti in cui è racchiuso il significato autentico del "fare industria". Dobbiamo proseguire su questa via, ponendoci nel solco che la Fiat ha aperto con la sua mossa coraggiosa e non aver paura di fissare obiettivi ambiziosi e saper sparigliare il nostro gioco. La scelta del presidente americano ha conferito un´eccezionale legittimazione al nostro sistema imprenditoriale. L´intesa americana, d´altronde, ha dimensioni e portata tali da offrire concrete possibilità di sviluppo per le aziende torinesi dell´automotive». Tutto bene, dunque? Non proprio. Ilotte non si nasconde che «riscoprire l´orgoglio industriale possa essere pura retorica» se poi non si supportano concretamente le imprese nello sforzo di «resistenza alla crisi e di rilancio competitivo». E il primo pensiero va proprio alle associate all´Amma, «da novant´anni la punta di diamante della nostra Unione industriale». Ecco allora qualche numero: 1200 imprese sparse nel territorio provinciale, 160mila addetti, pari al 70% dell´intero comparto manifatturiero e al 21% di tutti gli occupati nel Torinese. Di queste l´Amma ne rappresenta 800, con una forza lavoro pari a centomila addetti. I comparti dove è più accentuata la specializzazione sono tre: l´automotive, l´aerospazio e la meccatronica. «Autentici punti di forza della nostra organizzazione industriale che, grazie anche alla presenza di Politecnico e università, hanno saputo attrarre investitori esteri, che hanno deciso di impiantare qui nuovi insediamenti industriali, che oggi occupano 34mila addetti» aggiunge Ilotte. Altri numeri: nel 2007 il comparto ha esportato merci per 14 miliardi e sono più di cento (127 per la precisione) le aziende che hanno oltreconfine uno o più stabilimenti, dove producono il 25-30% del loro fatturato. Ma non mancano i punti deboli. Il numero dell´Amma li riassume così: «Una capacità di innovazione diseguale, la debole inclinazione a fare network, le dimensioni talvolta insufficienti, la discrepanza tra l´offerta di lavoro e la richiesta di competenze delle imprese. Siamo ancora troppo deboli nei confronti dei concorrenti più agguerriti, nella nostra capacità di fare sistema». Per superare questi handicap, si punta a creare un polo di innovazione della meccatronica e dei sistemi avanzati di produzione. L´ambizioso progetto, finanziato dalla Regione, ha coinvolto finora 70 imprese, con circa novemila addetti, favorendo una filiera diretta fra il mondo della ricerca e quello della produzione. «Vogliamo aumentare la sinergia fra le imprese e i centri di ricerca, sviluppando il networking, fondamentale per diffondere capacità innovative». Per questo Ilotte chiede alla classe politica, e al governo in primis, di «definire i settori strategici e, in una visione di lungo termine, dare a questi la possibilità di competere a livello internazionale». Ma non è tutto. Ci sono altri «tallone d´Achille» sulla strada dell´impresa torinese. A cominciare dalle infrastrutture «che non hanno fatto sufficienti passi avanti. Il Torinese e il Piemonte più in generale sono penalizzati dalla loro posizione decentrata rispetto alle reti di trasporto e della logistica. I nostri assi ferroviari e autostradali non sono così sviluppati da sopperire alle necessità del territorio. Per non parlare di Caselle: pochi voli con gli hub internazionali e prezzi 3-4 volte più cari degli altri scali». Senza dimenticare l´energia, un´altra questione che si impone per l´urgenza. Forse per questo Ilotte, sia pure indirettamente, non nasconde di tifare per la nascita di una vera, grande utility del Nord nel campo: insomma, Iride e Enia e poi forse anche Hera.

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"yes, we go", e la sopraelevata si illumina di rossoblu (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

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Pagina I - Genova "Yes, We Go", e la Sopraelevata si illumina di rossoblu "Yes, we go". Lo slogan, che somiglia non casualmente al "Yes we can" di Barak Obama, campeggia dalla notte scorsa su un gigantesco cartellone, ben visibile dalla Sopraelevata. Le elezioni non c´entrano. E l´Europa raffigurata ha due colori: il rosso e il blu. Come il volto di chi, idealmente, pronuncia questa frase: Enrico Preziosi. La festa della Genova rossoblù è appena cominciata. Appuntamento per tutti, domenica, a Marassi. I SERVIZI A PAGINA XVIII

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RICATTI GLOBALI (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 26/05/2009 - pag: 1 RICATTI GLOBALI di FRANCO VENTURINI P er bussare alla porta di Obama la Corea del Nord ha scelto l'unico metodo che conosce: il ricatto nucleare. Il test atomico di ieri è il primo dal 2006, quando alla Casa Bianca c'era ancora George Bush e Pyongyang voleva alzare la posta di un balbettante negoziato. L'anno dopo, in effetti, si arrivò a un accordo molto vantaggioso per i nord-coreani. Ma poi nel mondo sono sorti nuovi problemi e soprattutto è arrivato Barack Obama. Secondaria rispetto alle molte urgenze che attendevano il nuovo presidente, la Corea del Nord si è sentita trascurata. Ecco, allora, il promemoria del 5 aprile: il lancio di un missile balistico a lunga gittata. In Occidente, proteste e nient'altro. Forse, deve aver pensato il carissimo leader Kim Jong-il, serve un messaggio più forte. È il turno dell'esplosione sotterranea di un ordigno atomico. La cronaca di queste ore ci riferisce di altre proteste, di altra indignazione, di altri impegni all'intransigenza. Ma in realtà l'America e la comunità internazionale nascondono un segreto: la loro impotenza, oggi come ieri, davanti alle reiterate provocazioni di Pyongyang. La più parossistica e isolata dittatura comunista del pianeta ha l'atomica e un esercito di un milione di uomini, ma senza massicci aiuti non è in grado di nutrire decentemente i suoi cittadini. Gli Usa di Bush avevano pensato di percorrere questa strada. A Pyongyang arrivarono tanti generi di prima necessità. Ma tutto quel ben di Dio, invece di indurre i gerarchi nord-coreani al pragmatismo, ebbe l'effetto contrario: Pyongyang ruppe con Seul e cacciò gli ispettori dell'Agenzia atomica prima di rinnovare, per due volte, il suo solito ricatto. Evidentemente alla casta paranoica che governa la Corea del Nord serve anche quello status che soltanto l'attenzione dell'America può conferire e serve soprattutto che il Paese continui a essere un grande campo di concentramento privo di rischi per il potere. Un potere misterioso, che dopo la malattia di Kim Jong-il potrebbe essere oggi nelle mani di militari oltranzisti. Il risultato è la sconfitta di tutti. Della Cina, che si vanta di esercitare su Pyongyang una certa influenza. Della Russia, che usa citare la sua mediazione con i nord-coreani come esempio di comportamento costruttivo. Ma anche dell'America di Obama, che vede aprirsi un nuovo fronte di crisi proprio mentre l'iraniano Ahmadinejad restituisce al mittente l'idea di negoziare sull'arricchimento dell'uranio. Proprio nei confronti dei programmi atomici del-- l'Iran e delle bombe atomiche già esistenti nella Corea del Nord si è detto spesso che gli Usa di Bush abbiano applicato due pesi e due misure. È vero, per ragioni ovvie: l'Iran minaccia Israele e può far scattare la proliferazione nucleare nel grande forziere mondiale del petrolio, la Corea del Nord è inattaccabile perché garantita dalla Cina e non crea un pericolo di proliferazione in aree cruciali. Eppure Obama, malgrado queste differenze, dovrà porsi il problema. Forse è il caso che sia lui, per una volta, a ritirare la mano che era stata tesa ai ricattatori di Pyongyang.

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La bomba coreana spaventa il mondo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 26/05/2009 - pag: 1 Prova di forza del dittatore dopo la malattia. Obama: una minaccia alla pace, bisogna reagire La bomba coreana spaventa il mondo Test atomico e missilistico. Usa, Cina e Russia insieme nella condanna all'Onu Test nucleare della Corea del Nord nei pressi della città nordorientale di Kilju. È il secondo della sua storia, dopo quello del 2006. Ma è il più potente: tra i 10 e i 20 chilotoni, l'equivalente degli ordigni americani sganciati nel '45 su Hiroshima e Nagasaki. Lanciati anche tre missili a corto raggio. Il mondo ha reagito con allarme. Per il presidente Usa, Obama, la sfida di Pyongyang «minaccia la stabilità». Anche il governo cinese ha espresso la sua irritazione: «Risolutamente contrario al test». La Russia ha convocato una riunione d'emergenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu che si è chiusa con la condanna unanime: Usa, Cina e Russia hanno votato insieme. ALLE PAGINE 2E3 Del Corona, Salom

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Il test nordcoreano unisce Usa, Cina e Russia (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 26/05/2009 - pag: 2 Il test nordcoreano unisce Usa, Cina e Russia Obama: «Minaccia alla stabilità mondiale». All'Onu condanna unanime DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO Il mondo forse si era distratto. Non Kim Jong-il, non i suoi generali. Alle 9.54 di ieri mattina, a circa 10 chilometri di profondità, la Corea del Nord ha condotto un test nucleare nei pressi della città nordorientale di Kilju. E' il secondo della sua storia, dopo quello dell'ottobre 2006. ma è il più potente: tra i 10 e i 20 chilotoni (3 anni fa non si arrivava a uno), cioè l'equivalente degli ordigni americani che nel '45 spianarono Hiroshima e Nagasaki. E mentre nel sottosuolo si propagava una scossa sismica percepita anche in Cina, l'agenzia «Kcna» annunciava al mondo che era stato «condotto con successo un nuovo esperimento atomico sotterraneo» nell'ambito di «misure per rafforzare la deterrenza nucleare d'autodifesa». Il mondo ha reagito con il consueto allarme. Per dirla con le parole di Barack Obama, la sfida di Pyongyang è «materia di grave preoccupazione per tutte le nazioni», «minaccia la stabilità » e «non può che rendere più profondo l'isolamento della Corea del Nord». A completare il menu della giornata, dal poligono costiero di Musudanri sono stati lanciati tre missili a corto raggio. Dell'imminente deflagrazione i nordcoreani avevano informato sia i loro vicini cinesi sia gli arcinemici americani. Non i russi né i giapponesi. La Russia ha convocato una riunione d'emergenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che si è conclusa ieri notte con la condanna unanime del test nordcoreano, definito una «chiara violazione» della risoluzione 1718 delle Nazioni Unite. Persino la Cina si è detta «risolutamente contraria» al test. Il Consiglio di sicurezza ha deciso di preparare una nuova risoluzione, che comporterà nuove sanzioni. Allerta tra i militari sudcoreani, in un Paese tramortito dal suicidio dell'ex presidente Roh Moo-hyun. «Sempre la stessa strategia. Mostrare forza, arrivare sull'orlo del precipizio, forzare la trattativa», spiega al Corriere Yu Yingli, ricercatrice allo Shanghai Institute of International Affairs. Tra il test del 2006 e questo aggiunge «c'è una differenza. Il primo serviva a far della Nord Corea una potenza nucleare. Il secondo a certificare i progressi di una tecnologia sempre più sofisticata ». Il regime di Kim Jong-il era consapevole di aver violato la risoluzione 1718. Ma lo sapeva anche ad aprile, quando (il 5) ha testato un missile a lungo raggio che ha scavalcato il Giappone. All'Onu, allora, Pechino e Mosca avevano evitato che si giungesse a una risoluzione o a nuove sanzioni: una settimana dopo il lancio balistico, è arrivata una «dichiarazione » di condanna che è bastata alla Corea del Nord per rompere il tenue legame diplomatico con il mondo, il tavolo a sei sul programma nucleare. Come ulteriore schiaffo a tutti, il 14 aprile aveva ripreso le attività nell'impianto di Yongbyon ed espulso gli ispettori dell'agenzia atomica Onu. Reduce da (o ancora nel mezzo di) una lunga convalescenza, a Kim Jong-il il test di ieri è perlomeno servito a sigillare ulteriormente il legame con l'elite militare. Quanto a indurre Obama a trattative dirette, la Bomba sembra destinata a fare cilecca. In piazza Dimostranti anti-Corea del Nord in una protesta ieri a Seul, capitale della Corea del Sud ( sopra) (Reuters). Il leader nord-coreano Kim Jong-il ispeziona una base dell'aeronautica militare ( al centro) (Ap). Kim Jong-il è salito al potere nel 1994, succedendo al padre, il «presidente eterno» Kim Il-sung M.D.C.

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 26/05/2009 - pag: 2 L'intervista Lo storico Pierre Rigoulot «Kim dice all'America: se c'è posto per l'Iran, fateci entrare nel club» Un messaggio molto chiaro per la Casa Bianca. Ma anche una dimostrazione, secondo le leggi perenni degli Stati totalitari, di quanto un regime dato per finito abbia ancora risorse da spendere sulla scena del mondo. Per Pierre Rigoulot, direttore dell'Istituto di storia sociale a Parigi, grande conoscitore della realtà estremo-orientale e autore di Corea del Nord. Fame e atomica, (Guerini e Associati, 2004), l'esperimento nucleare di ieri è tutt'altro che un «incidente di percorso», considerato anche che «Pechino ha reagito con fastidio» al test. Un terremoto politico internazionale: perché lo hanno fatto? «Tutti hanno condannato il test, Cina compresa. Per mettermi nei panni di Pyongyang: nel 2006 un'esplosione analoga scompaginò i colloqui a Sei. Questa volta non c'erano negoziati, nessun contatto con nessuno. Credo che volessero dire qualcos'altro». Cosa esattamente? «Intanto hanno reagito molto velocemente ai segnali inviati dall'Amministrazione Usa in un altro scenario. >Alcuni giorni fa Obama ha fatto intendere che era pronto a negoziare con Teheran sul nucleare. La leadership nordcoreana ha capito istantaneamente l'esitazione americana: per Pyongyang, equivale ad accettare una potenza atomica iraniana. Il nuovo atteggiamento verso l'Iran è, per loro, un segnale che la politica di non proliferazione è stata di fatto abbandonata dalla Casa Bianca. Dunque se può Teheran, perché non Pyongyang? Luce verde agli esperimenti nucleari». Altri segnali? «Secondo punto: la relazione tra Corea del Sud e Corea del Nord è ai minimi storici. La politica del sorriso, o 'sunshine policy' (voluta dallo scomparso presidente Roh Moo-hyun, ndr) di fatto è stata mes- Storico Pierre Rigoulot

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Merkel convoca Marchionne (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 26/05/2009 - pag: 6 Merkel convoca Marchionne «Decisione entro domani» Il verdetto del governo e dei Länder. Il ruolo di Obama DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO La cancelliera Angela Merkel è finalmente scesa in campo nella battaglia per Opel. Oggi incontrerà l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne. Domenica sera dopo che sabato aveva parlato al telefono con il primo ministro russo Vladimir Putin ha incontrato Frank Stronach e Siegfried Wolf, i rappresentanti di Magna, la società che guida la cordata russo-canadese che vuole comprare Opel in competizione con Fiat e Ripplewood. Soprattutto, domani presiederà una riunione, che probabilmente sarà tesa e lunghissima, per decidere l'orientamento del suo governo sul salvataggio della casa automobilistica tedesca e probabilmente per scegliere uno dei tre offerenti e aprire con esso trattative esclusive. Lo showdown di domani potrebbe essere una delle immagini più straordinarie di come si fa business nel dopo crisi finanziaria, sotto le ali dei governi. Il destino della Opel sarà infatti discusso e forse deciso da tutti i ministri del governo di Grande Coalizione, dai quattro premier dei Länder dove la casa automobilistica ha impianti e in contatto con l'Amministrazione Obama a Washington per coordinare il salvataggio con la probabile bancarotta di General Motors. Forse, sarà chiesto ai rappresentanti dei tre gruppi interessati a Opel di rimanere a Berlino per dare chiarimenti se necessario. Comunque, non è un affare che si decide tra un venditore Gm e un compratore uno dei tre offerenti: è questione decisa dalla politica perché Berlino dovrà dare garanzie finanziarie al progetto che risulterà vincente. Entro la notte di mercoledì, dunque, il governo tedesco dovrebbe fare sapere chi ha scelto per assicurare un futuro alla Opel. Al momento, prima cioè dell'incontro Merkel-Marchionne, la proposta di Magna e del produttore di auto russo Gaz, pesantemente sostenuta dal Cremlino, sembra la preferita. Ma la situazione è in movimento. Oggi, tra l'altro, il vicepresidente della Fiat John Elkann, già a Berlino per un impegno non rilevante, incontrerà il ministro dell'Economia Karl-Theodor zu Guttenberg. La Fiat ce la può ancora fare ad affermare la sua idea che punta alla creazione del secondo gruppo dell'auto nel mondo, dopo Toyota. Ma non sarà facile. Secondo i più seri analisti economici e politici, la situazione, al momento, è la seguente. La proposta della casa torinese è la migliore dal punto di vista industriale, quella che potrebbe dare a Opel un ruolo in un gruppo globale. La proposta di Magna e Gaz, che vede la partecipazione rilevante della banca vicina a Putin Sberbank, è invece la più forte dal punto di vista della politica tedesca, perché evita una rottura nella Grosse Koalition di governo, tra i cristiano-democratici di Frau Merkel e i socialdemocratici di Frank-Walter Steinmeier decisamente schierati con il progetto Magna- Gaz. E anche dal punto di vista del venditore formale di Opel, la Gm americana, la soluzione russo-canadese di Magna è la migliore perché impedisce la creazione di un gruppo globale e forte che sarebbe suo concorrente diretto. La scelta di Berlino si gioca, domani, in questa cornice. Sullo sfondo, le elezioni federali del 27 settembre nelle quali il salvataggio Opel avrà un ruolo decisivo. Il mercato... un'altra volta. Sergio Marchionne Danilo Taino

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Gm, bancarotta vicina L'effetto sull'Europa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 26/05/2009 - pag: 6 Il piano Scadenza a mezzanotte Gm, bancarotta vicina L'effetto sull'Europa MILANO Ancora poche ore. I creditori di General Motors hanno tempo fino alla mezzanotte di oggi (le 6 del mattino di domani in Italia) per convertire i loro crediti in azioni. Ma se la decisione non riguarderà almeno il 90% del debito complessivo, salterà il piano che l'azienda sta mettendo a punto e che dovrà presentare entro fine mese al governo Usa. Aprendo così la strada al Chapter 11, la procedura di bancarotta assistita. Ebbene, al momento sembra essere proprio quest'ultima la soluzione più probabile, dal momento che gran parte degli obbligazionisti ha già detto di non volere la conversione. Il passaggio è importante. Dalla piega che prenderanno gli eventi dipenderà infatti anche il destino di Opel, la consociata europea di General Motors contesa da tre pretendenti, tra cui la Fiat di Sergio Marchionne. Che la società tedesca stia marciando verso un nuovo proprietario non è in discussione. Le attività in Europa nel 2008 hanno generato perdite per 2,5 miliardi di dollari e nel solo primo trimestre del 2009 hanno già accumulato un risultato negativo di 2 miliardi. Si tratta di oneri insostenibili per la casa madre di Detroit, alle prese con i problemi del mercato interno e già abbondantemente finanziata dal governo Usa. Ma chiunque riesca a vincere la corsa la Fiat, la cordata russo-canadese Magna-Gaz-Sberbank, il fondo Ripplewood per rilanciare il marchio Opel avrà bisogno di aiuti pubblici. Ecco perché nella complessa partita la posizione del governo tedesco diventa decisiva. In Germania Opel ha quattro stabilimenti e 25 mila dipendenti. Tutti i piani presentati contemplano tagli. Quello della Fiat sembra prevedere il sacrificio minore (2 mila persone), ma la proposta è più articolata e complessa. A sfavore del Lingotto gioca l'aspetto più strettamente commerciale: i manager di Gm (anche se il numero uno Fritz Henderson non è di questo avviso) giudicano la casa torinese, ormai alleata di Chrysler, il loro più temibile concorrente. La soluzione, però, va ben oltre il semplice livello aziendale, proprio a causa della eccezionalità della situazione. Ecco allora che occorre passare al livello superiore, quello politico-istituzionale. E in questo caso il presidente Usa Barack Obama è considerato un alleato di Marchionne, da lui definito in più di un'occasione il manager ideale per rilanciare l'auto Usa. Fritz Henderson Giacomo Ferrari gferrari@corriere.it

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Stipendi alti e pochi risultati America delusa dai grandi manager (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 26/05/2009 - pag: 8 LA CRISI DEL CAPITALISMO Stipendi alti e pochi risultati America delusa dai grandi manager di MASSIMO GAGGI T orna? Non torna? Torna, ma a «mezzo servizio»? Tra qualche settimana metà o fine giugno Steve Jobs dovrebbe riprendere la guida della Apple dopo un semestre passato a curare la sua malattia: non un nuovo tumore, pare, ma gli squilibri metabolici provocati dall'intervento del 2004 per la rimozione di un cancro al pancreas. Stavolta, però, anziché con trepidante attesa e umana comprensione, l'avventura dell'uomo che col Macintosh ha trasformato l'industria dei computer e che con iPod e iPhone ha rivoluzionato il modo di ascoltare la musica e di usare il telefonino, viene seguita con un certo fastidio. Non è solo l'irritazione dei mercati per un'incertezza che si riflette sul valore della Apple in Borsa: è anche il riflesso del cambiamento di umori di un'America che ha smesso di adorare i suoi Ceo, gli amministratori delegati delle grandi «corporation» che negli ultimi trent'anni da quando Lee Iacocca salvò la Chrysler sono stati le figure più ammirate. Vere icone di un Paese perennemente a caccia di eroi. Ancora due anni fa i giornali erano pieni di articoli che ne celebravano il coraggio, la propensione al rischio, la capacità di inventare il futuro. «Titani», masters of the universe in grado, da soli, di cambiare il destino di aziende globali con centinaia di migliaia di dipendenti. Chi poteva azzardare nei loro confronti obiezioni terra-terra come quelle sull'entità di maxistipendi chiaramente sfuggiti alla forza di gravità? Anche se Jim Collins nel suo bestseller del 2001 Good to Great aveva sentenziato, dopo averne studiato le avventure, che gli amministratori di maggior successo non sono i grandi visionari ma gli umili e infaticabili costruttori di solide strutture aziendali, fino all'altro ieri l'esaltazione dell'indomito coraggio dei Ceo è stato il pane quotidiano dell'America: l'addestramento in campi paramilitari dove i manager andavano ad apprendere le tecniche di sopravvivenza, l'amministratore delegato della Southwestern Airlines che si lanciava col paracadute perché «le idee migliori ti vengono quando sei pieno di adrenalina», le corse in moto sull'asfalto bagnato del capo della Bmw Usa, i voli acrobatici del Ceo di Micron Technologies, folle di manager improvvisamente pazzi per il bungee jumping, tutti in fila su un ponte, pronti a gettarsi nel vuoto. Più prudente, il fondatore di Amazon Jeff Bezos si accontentava dell'adrenalina procurata dalle attrazioni di Disneyworld, di cui rimane un assiduo frequentatore. Poi è arrivato il 2008 con molti dei più celebrati banchieri cacciati a raffica con l'accusa di aver distrutto i loro istituti, esposti a rischi folli. E col Congresso che ha cominciato a «processare» pubblicamente, in diretta tv, i capi dell'industria petrolifera, della finanza di Wall Street, dell'auto. Ex «signori dell'universo» ridotti a balbettare giustificazioni per l'uso dei loro jet aziendali. Tra un mese allo Stock Exchange di New York verrà incoronato il Ceo dell'anno. Per il 2009 è stato scelto il capo di McDonald's, Jim Skinner: uno che è entrato in azienda a 17 anni, partendo dalle cucine di un «fast food» e che, dopo una straordinaria carriera interna e la nomina ad amministratore delegato, nel 2004, ha rilanciato il gigante della ristorazione rinnovando l'arredamento dei suoi locali e migliorando i menu con l'inserimento di cibi salutari, in aggiunta alle classiche polpette e alle patate fritte. Ma possono bastare dei solerti manutentori di aziende per restaurare un capitalismo che ha bisogno di essere rilanciato se non, addirittura, reinventato? La rivista The Atlantic è stata tra le prime a porre il problema: «Abbiamo esagerato con i 'supereroi', è vero. Ma siamo sicuri di poter rinunciare ai manager visionari?». Ai conservatori, rimasti fedeli all'impostazione classica del liberismo, la demolizione della cultura dei Ceo «imperiali» pare funzionale a una loro subordinazione al potere del nuovo «superCeo», il presidente Obama. Sul New York Times David Brooks sostiene, invece, che l'emergere di Washington come motore di una nuova, pervasiva politica industriale, determinerà un'altra mutazione genetica nei Ceo, spingendoli ad assorbire alcuni tratti tipici dell'uomo politico. Chrysler è l'azienda simbolo di questa era magmatica. Non ha inventato l'auto, ma l'ha reinventata varie volte: il Suv, il minivan, le berline sportive Dodge. Il leader carismatico Iacocca e Bob Nardelli, l'uomo venuto dai supermercati che ha accompagnato senza un sussulto l'azienda fin sulla porta dell'obitorio. Tocca ora a Sergio Marchionne farla risuscitare. Un uomo solo al comando, un visionario, uno che non ha paura di rischiare. Che, però, da Washington a Berlino, ha rapidamente imparato a trattare coi governi. Gli esperti americani di management lo osservano con grande curiosità. Un vero uomo-laboratorio della nuova era. Visionari capaci di reinterpretare la realtà o solidi gestori dell'esistente? Tre studiosi dell'università di Chicago (Steven Kaplan, Mark Klebanov e Morten Sorensen) che recentemente hanno completato uno studio sulle caratteristiche dei Ceo analizzando le personalità di 316 capiazienda, sono giunti alla conclusione che più della capacità di costruire una squadra di manager ben assortita, di saper comunicare e saper ascoltare conta la tempestività nelle decisioni, la capacità di organizzare la produzione, l'attenzione ai dettagli e la presenza a oltranza in azienda. A mettere d'accordo sostenitori e detrattori del manager «visionario» arrivano, ora, Naom Wasserman, Bharat Anand e Nitin Nohriasay. Tre professori di Harvard che in autunno pubblicheranno uno studio ( When does leadership matter?, ultima versione di una ricerca iniziata nel 2001) nel quale sostengono che i compassati ed efficienti gestori dell'esistente sono i manager ideali per le società elettriche, parte di quelle alimentari, le imprese che erogano servizi pubblici e, in genere, tutte quelle che operano in un ambiente fortemente regolamentato dai governi. Il manager visionario rimane, invece, essenziale, nelle imprese dell'alta tecnologia, delle comunicazioni digitali e dove la scelta di un solo prodotto sbagliato può decretare la scomparsa di un'azienda. BEPPE GIACOBBE

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L'artista di Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Libri data: 26/05/2009 - pag: 32 Verso la Biennale L'artista di Obama «Un mio graffito per salvare Venezia» L a sua preoccupazione sembra essere adesso soprattutto una: «Nessuna provocazione, ma grande rispetto». Certo che, comunque, le sue maxi affissioni sul Canal Grande, alle Procuratie Nuove e in Piazza San Marco sono destinate a non passare inosservate. Al pari dei suoi quadri itineranti (realizzati con altri street artist americani) messi all'asta per finanziare i restauri promossi dall'onlus SMS Venice. Dopo le quotazioni da record di Bansky, è forse arrivato il tempo dello sdoganamento definitivo di murales e graffiti: il luogo prescelto è appunto Venezia dove, in concomitanza della 53esima edizione della Biennale, per due settimane (fino al 7 giugno) sarà all'opera Shepard Fairey ovvero l'inventore del poster di Obama: l'artista (Charleston 1950) che ha trasformato definitivamente il presidente Usa in un'icona del XXI secolo, che ha firmato la bicicletta di Lance Armstrong per il Giro d'Italia e altre immagini ormai celebri ( Obey Giant). E che in pochi anni è transitato da un passato di «emergente» ( skateboard artist era definito visto che aveva iniziato a lavorare disegnando appunto skateboard e T-shirt) ad un presente «eccellente» diviso tra il Moma e il Victoria and Albert di Londra. È la prima volta che Fairey lavora in Italia («c'ero stato ventiquattro anni fa, in vacanza») e si dice «affascinato» dalla sfida con Venezia (la stessa Venezia che nel 2003, sempre alla Biennale, aveva ospitato un'opera come Donkey di Paola Pivi all'apparenza assai vicina allo spirito di Fairey): «A New York dice i miei graffiti devono confrontarsi con una realtà quotidiana fatta di muri scrostati e di pubblicità, qui sarà tutto più difficile, perché il confronto è con l'intera storia dell'arte, della cultura e dell'architettura». E nuovamente precisa: «È un'opportunità eccezionale, sarò il più rispettoso possibile». Dunque, due settimane di lavoro per SMS Venice (www.smsvenice.com) nell'ambito di un progetto nato da un'idea di Marialina Marcucci e Fran Tomasi («Fairey fotografa perfettamente la nostra missione ovvero l'arte salva l'arte»). L'idea è certo quella di finanziare restauri (tra le opere all'asta ci saranno Evolve Devolve e Shark Waves), ma anche quella di dimostrare («grazie al supporto di Comune e Soprintendenze») che Venezia (per oggi è previsto l'incontro con il sindaco Cacciari) «non è solo un souvenir per turisti mordi e fuggi, ma un luogo da vivere e amare». C'è da credere che da qualche parte (tra lo Iuav, Ca' Corner della Regina, Ca' Pesaro o Palazzo Moncenigo) troverà spazio anche qualche variazione sul tema (come quella pubblicata in copertina del «Times Magazine») di quel suo poster for Obama dove all'inizio c'era scritto «Progress» e poi «Hope» («Ho dimostrato che anche il talento di un'artista può servire per lanciare un messaggio politico»). D'altra parte l'impegno di Fairey (che ha avuto tra i clienti del suo studio BLK-MRKT la multinazionale Pepsi come l'associazione no-profit «Iraq Veterans against the War») è da sempre quello di dimostrare che l'arte non conosce divisioni: «Amo Warlhol come Michelangelo e il Bauhaus: perché, allora, dovrei mancare di rispetto ad un gioiello dell'arte universale come Venezia?». Il poster Il manifesto per Obama creato da Shepard Fairey (sotto) e «Evolve Devolve» una delle sue opere all'asta per SMS Venice Stefano Bucci

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"sono peter pan ed è questa la mia salvezza" - fulvio paloscia (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina IX - Firenze "Sono Peter Pan ed è questa la mia salvezza" "Delle Rime di Michelangelo amo il riferimento alle piccole cose del suo lavoro, che ne svelano il lato dell´artigiano" A colloquio con la musicista dopo il reading di domenica davanti al David FULVIO PALOSCIA (segue dalla prima di cronaca) Cosa è rimasto di quella furente Patti Smith di trent´anni fa? «Non è cambiato il rapporto con l´Italia, e questa meravigliosa predisposizione nei miei confronti si è riflessa anche sui miei figli: Jackson, chitarrista, che si è sposato due giorni fa con Meg White dei White Stripes, ha suonato nel mio ultimo tour e proprio dai concerti italiani ha acquisito una consapevolezza musicale maggiore; così mi auguro che accadrà anche a Jesse. Per il resto, spero di essere migliorata rispetto ad allora». In Wave c´era una canzone dedicata a Papa Luciani. Cosa ne pensa di Ratzinger? «Credo che Benedetto XVI si trovi di fronte ad un dilemma di difficile soluzione: continuare con una dottrina ecclesiastica lontana dalla Storia, oppure mettere in atto importanti riforme in sintonia con i tempi di oggi. Purtroppo, non mi sembra che abbia colto questa occasione. La demonizzazione dei profilattici, oggi, non è sottoscrivibile: equivale ad una condanna a morte nei paesi dove l´Aids ancora prolifica o dove il sovrappopolamento è causa di povertà estrema. Credo che i leader di tutte le religioni monoteiste dovrebbero riportare il loro operato ad una dimensione spirituale: dovrebbero difendere noi, e non posizioni politiche». Obama? «Dovrà dipanare molti nodi senza scontentare nessuno: riuscirà a sfuggire ai cattivi consiglieri, a ammonire Israele riguardo alla distruzione di Gaza? Una cosa è certa: Obama sarà un uomo buono se gli americani torneranno ad essere un popolo buono». Rockstar, poetessa, fotografa. Creatrice e allo stesso tempo soggetto di opere d´arte, come le foto che tanti maestri hanno fatto di lei. Come vive tutti questi opposti? «Cerco di fare tutto nel migliore dei modi. C´è qualcosa che lega queste dimensioni, e che per me conta davvero: comunicare. Testimoniare. Tra essere l´autrice o il soggetto di una fotografia, non ho dubbi. Preferisco stare dietro l´obiettivo. E non ho dubbi sul fatto che Mapplethorpe sia stato colui che ha colto in profondità la mia essenza. Perché non ha fotografato me, ma la nostra storia, l´intesa profonda». In molti scatti che hanno lei come protagonista, Mapplethorpe la ritrae in abiti e atteggiamenti mascolini. Si sente un´icona della lotta contro il sessismo? «In realtà il genere sessuale non è stato uno dei punti fondamentali della mia arte. Non mi piace essere confinata nei movimenti, politici o artistici. La lotta femminista è stata senza dubbio importante, ma io non l´ho vissuta. E ho sempre aspirato ad altro: a tempi in cui certe rivendicazioni non saranno più necessarie, a tempi in cui ognuno potrà essere ciò che vuole». Cosa ama di Michelangelo? «La sua arte scaturisce dalla lotta tra umano e divino. Ed ha come obiettivo la conoscenza. Nelle Rime, il riferimento alle più piccole cose del suo lavoro disegnano uno splendido racconto del processo creativo, svelano un Michelangelo artigiano che conosce la bellezza ma anche la fatica del creare». Rimbaud e William Blake sono le altre due ossessioni che hanno ispirato la sua produzione poetica e musicale. «La loro poesia è una strenua difesa dell´infanzia. E l´infanzia è stata fondamentale nella mia vita. Credevo molto in me stessa, e non desideravo un futuro banale. In fondo non sono mai cresciuta. Sono come Peter Pan. E questa è la mia salvezza».

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i tifosi preparano la grande festa in tribuna gli eroi di anfield road (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina XVIII - Genova L´evento I tifosi preparano la grande festa in tribuna gli eroi di Anfield Road Blindato il quinto posto, il Genoa si prepara a celebrare degnamente la conclusione di un campionato esaltante. Domenica contro il Lecce si cercherà di regalare a Milito il titolo di capocannoniere, sempre sfuggitogli di pochissimo in carriera, e di fare festa dal primo minuto al dopo partita. La società ha già provveduto ad invitare tanti campioni del passato, a partire dalla squadra che nel 1991-92 conquistò l´Europa: quasi certamente non ci sarà il timoniere di allora Osvaldo Bagnoli, ma buona parte dei suoi allievi presenzieranno in tribuna pronti ad applaudire i loro degni eredi: allo studio anche altre iniziative all´interno dello stadio per rendere davvero memorabile la giornata. L´Associazione Club Genoani ha intanto invitato a colorare la città di rossoblù per dare il giusto palcoscenico alla domenica della festa ed anche la società ha provveduto a realizzare un nuovo cartellone pubblicitario. "Yes we go", recita, parafrasando Obama per sottolineare i prossimi viaggi in Europa di squadra e tifoseria.

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l'ultima battaglia di powell "voglio salvare i repubblicani" - vittorio zucconi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri L´ultima battaglia di Powell "Voglio salvare i Repubblicani" Duello a distanza con Cheney sulle macerie del partito Il "Grand Old Party" sconfitto al voto si contorce fra la tentazione dell´estremismo e la ragione del moderatismo L´endorsement dell´ex generale per Obama brucia ancora. Lui ribatte "Dei due era il candidato migliore" VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - L´ultima battaglia del vecchio soldato contro il vecchio politicante non si combatte più per le paludi del Mekong o per le sabbie d´Arabia, ma per l´anima e per il futuro della destra americana. Colin Powell, il settantaduenne generale che rifiuta di seguire la profezia di McArthur e di andarsene quieto nella dissolvenza della storia, contrattacca il suo ex superiore e antagonista, il sessantottenne Dick Cheney che lo aveva accusato - se accusa è - di non essere più un autentico Repubblicano e di essere passato al nemico Democratico. Gli ricorda che il loro partito, quello che fu di Lincoln, di Reagan, di Bush il Saggio, corre verso una deriva estremista e fanatica, e non è lui, il generale, a non essere più Repubblicano. è semmai il partito ad essersi gettato fra le braccia di idrofobi populisti e demagoghi alla Sarah Palin o alla Rush Limbaugh, il signore delle farneticazioni via radio che stanno impossessandosi del "Grand Old Party", dei Repubblicani in via di restringimento quotidiano. è un duello a distanza, condotto dagli studi dei talk show, fra due uomini che si sono sempre odiati, da quando Powell era il capo di stato maggiore costituzionalmente sottoposto all´autorità di Cheney, allora suo ministro della Difesa sotto la presidenza di Bush il Vecchio. Ma è anche un regolamento di conti non soltanto in un partito allo sbando dopo la Caporetto elettorale, che negli ultimi sondaggi gode dell´appoggio di appena un americano su cinque, il 21%, ma interno a una generazione che porterà dentro di sé fino alla tomba la cicatrice del Vietnam. Il pretesto, il "casus belli" per questo scambio di bordate, è apparentemente il rancore che i repubblicani, e l´anima nera della Presidenza Bush, Cheney, portano a Powell per avere dato la propria investitura a Barack Obama nelle presidenziali, un gesto che diede al giovane e inesperto senatore dell´Illinois quell´elemento di peso e di autorità che soltanto una figura come Powell poteva dare. «Lo ha fatto perché è un afroamericano come lui» abbaiò Cheney, sapendo quanto grave sarebbe stata per i Repubblicani questa investitura. «Un gesto maldestro», gli ha risposto ora il vecchio generale in pensione che ripete: «Io sono e resto un repubblicano, che nella propria vita ha sempre votato alle elezioni presidenziali per il candidato che considerava migliore». E «Obama era dei due il migliore». Ma la ruggine è assai più profonda e corrosiva di questo episodio elettorale, che pure ancora brucia. Arriva a quegli anni ‘60 nei quali un giovane sottotenente della riserva, figlio di immigrati giamaicani che aveva dovuto fare il corso allievi ufficiali per pagarsi gli studi, partì per due volte verso il fronte in Vietnam, restando ferito. Mentre il giovane (e bianco) Cheney, in età di leva, utilizzava, come altri della sua generazione, Clinton nascondendosi dietro gli studi universitari, Bush imboscandosi nella sinecura della aviazione Texana, ogni legittimo mezzo e mezzuccio per schivare la cartolina precetto. Per quanto importanti siano state le loro carriere fino alla Segreteria di Stato per Powell e alla vice presidenza per Cheney, la ruggine è rimasta, sotto le mani di vernice. All´ombra di Bush padre, che li adoperava l´uno contro l´altro, i due avevano convissuto di malavoglia. Il politico sfogando le sue smanie bellicose sparando alle quaglie, il soldato tenendosi lontano da armi e uniformi, trafficando con vecchie Volvo nei week end, fra i sospiri della moglie Alma. E avrebbero probabilmente portato con sé nella vecchiaia, afflitta da sei infarti e due pacemaker per Cheney, i loro odi se Powell non fosse stato costretto alla «più terribile umiliazione della mia vita». A quel giorno in cui fu mandato davanti alle Nazioni Unite per illustrare il libro dei sogni contro l´Iraq costruito proprio per volontà di Cheney. Ora, il duello finale sembra essere per il futuro di un´opposizione che, come tutte le forze di opposizione in difficoltà, si contorce fra la tentazione dell´estremismo e la ragione del moderatismo. Soldato fino all´ultimo, Powell, che fu buon profeta quando spiegò a Bush che nelle occupazioni militari vale «la legge delle cristallerie, quello che rompi, compri», rifiuta di attaccare Cheney sul terreno delle torture, che il vicepresidente si sbraccia per difendere in questo suo bizzarro e personale "post mortem": «Non so se siano servite, so che uomini dello Fbi dicono oggi che tutte le informazioni importanti furono ottenute prima di usare mezzi speciali di interrogatorio». Si preoccupa del futuro di una destra moderata e di governo che possa un giorno riprendere il timone del governo, che la destra furiosa alla Cheney, garrula alla Sarah Palin, o demente come quella degli arruffapopoli radiofonici alla Limbaugh, vorrebbero spostare verso le estreme. I neo-chenisti, malattia senile dei neo-con, fanno notare che da quando lui è tornato dal sepolcro, la sua popolarità è risalita. Ma anche la popolarità di Bush sta risalendo, pur non avendo detto più una parola. O proprio per questo.

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"mai più guerre inutili" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 35 - Esteri Obama al Memorial Day: "Il nostro cuore si spezza ogni volta che un soldato perde la vita" "Mai più guerre inutili" washington Gli uomini e le donne delle forze armate statunitensi rappresentano «il meglio dell´America»: lo ha detto ieri il presidente Barack Obama, nel corso di una cerimonia nel cimitero nazionale di Arlington, in occasione del Memorial Day, la giornata in cui gli Stati Uniti ricordano i caduti di tutte le guerre. Nel suo primo Memorial Day da presidente Obama ha, come da tradizione, deposto una corona sulla tomba del Milite Ignoto ad Arlington e ha poi parlato nel cimitero, il più importante luogo di sepoltura militare del paese, dove riposano soldati americani morti in combattimento fin dai tempi della Guerra d´Indipendenza. «Il nostro cuore- ha detto - si spezza ogni volta che un soldato perde la vita. Sono onorato di essere il comandante in capo delle migliori forze armate nella storia del mondo. E posso dirvi che per tutto il tempo in cui sarò presidente non metterò a rischio la vita dei nostri soldati se non sarà assolutamente necessario». Il primo presidente afro-americano degli Stati Uniti ha anche ha voluto che, per la prima volta, una corona di fiori con le insegne della presidenza fosse inviata anche al monumento che, in un´area tradizionalmente nera di Washington, commemora i neri che combatterono per l´Unione durante la Guerra civile. La scelta di Obama è arrivata dopo che la settimana scorsa un gruppo di professori universitari gli aveva chiesto di interrompere la tradizione che vede i presidenti Usa inviare fiori al monumento che commemora i soldati della Confederazione sudista. Obama ha scelto invece di onorare i caduti di entrambi i fronti.

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- alessandra retico venezia (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 36 - Cronaca Pranza alla Casa Bianca, le figlie giocano con quelle del presidente Usa "è un tipo carino" "Io non cancello: cito e continuo. Se un´immagine viene riusata, il copyright non ha più senso" ALESSANDRA RETICO VENEZIA dal nostro inviato Era un ragazzaccio che imbrattava le strade. Gli dicevano così quando lo portavano al commissariato. Adesso i musei e le gallerie internazionali se lo contendono. Shepard Fairey, 39 anni, continuano ad arrestarlo. L´ultima volta a febbraio, il giorno dell´inaugurazione di una sua retrospettiva (ancora in corso) all´Istitute of Contemporary Art di Boston. Ma le manette ora le indossa da uomo famoso: il ritratto di Obama con la scritta "Hope", una foto in rosso e blu che ha fatto il giro del mondo diventando un´icona della campagna presidenziale, gli ha cambiato la vita. «Mi danno spazi per lavorare. Ma a me continua a piacere l´aria aperta, le città, la gente dentro». Non fa l´artista, fa quello che ci crede che un altro mondo è possibile. «Basta cominciare a pensare differentemente». Pranza alla Casa Bianca. «Obama is a nice guy, è un tipo carino». è sposato con Amanda, che lavora con lui, ha due figlie che giocano con quelle del presidente. è a Venezia con la famiglia, ce lo ha portato Marialina Marcucci, ex Videomusic, insieme alla Sms Venice di Fran Tomasi che si occupa di restauri e conservazione dei monumenti. Rimarrà in Laguna fino al 7 giugno, esporrà nelle piazze e sui palazzi i suoi lavori con l´appoggio del comune e la Sovrintendenza, ne produrrà di nuovi in un loft attrezzato alla Giudecca. Poi la produzione andrà all´asta, i ricavati tutti destinati alla città. «Perché l´arte salva l´arte». Come ha cominciato? «Ritagli, giornali, riviste, pubblicità. Sono cresciuto con la musica, i Sex Pistols, il punk. Adoro le copertine dei dischi, lo skateboard, i graffiti, le magliette. Le scritte, le foto, i pali della luce». Paesaggio estetico molto diverso da Venezia. «Uno street artist con un´estetica metropolitana nella città incantata? Non è una contraddizione e Venezia è viva, basta continuarla. Molti segni grafici, architettonici che possono dialogare con il moderno. Io non cancello, cito, e continuo». Che cosa esporrà in Laguna? «Due tele da 60 metri quadri su palazzi storici. Altre opere in giro per la città. Produrrò anche delle cose nuove, ma non so ancora cosa e come, agisco sempre in modo spontaneo. Userò anche serigrafie antiche, monumenti, piazze. Venezia non è una Disneyland, non è un souvenir, non deve diventarlo. Questo è un posto magico e difficile, non un museo. L´acqua non vi preoccupa?». Sempre, ogni inverno. «Bisogna occuparsi del riscaldamento globale, il mondo non è una cartolina da ammirare». è la sua prossima campagna? «Ho combattuto per anni contro la politica di Bush. Ora spero che le cose possano essere diverse. L´ecologia è un punto, certo. Ma ci aspettano molte sfide. Obama ha parecchi problemi da affrontare, ma finora sta lavorando bene». E grazie a lui adesso lei è una celebrità. «Sono solo stato fortunato. Baciato dal caso: il mio Hope è piaciuto alla gente e anche al presidente, tutto qui. Mi propongono gli spazi che prima non avevo. è cominciato tutto per caso, appiccicando adesivi in giro con la faccia di un lottatore di wrestling francese, André The Giant, era l´89. Uno scherzo che è diventato serio, una critica alla propaganda politica e al consumismo di massa, che si è poi trasformato in un´altra icona, Obey, una specie di Grande Fratello urbano che ci controlla e comanda. Ho studiato alla scuola di design di Rhode Island, poi ho fondato il mio Studio number one a Echo Park: una contro-estetica metropolitana che riporti lo spazio pubblico alle idee di tutti. La street art ha il vantaggio di poter essere rovinata, è nella sua natura». Lei ha una causa aperta con l´Associated Press. «Mi hanno accusato di aver usato la loro foto per il poster di Obama, ma in realtà io l´ho trasformata. Non credo che il copyright abbia senso quando un´immagine o un prodotto vengono riusati per dare una diversa interpretazione delle cose. Il diritto alla proprietà intellettuale finisce dove inizia un´opera diversa, ed oggi con Internet questo processo è inevitabile. Non ci sarebbe un futuro del linguaggio senza un originale». Lei lavora anche per la pubblicità delle grandi corporation. Come si concilia la sua poetica con il capitalismo? «L´arte non mi dà da vivere, le aziende sì. Se la pubblicità può diventare comunicazione estetica e non solo ossessione al consumo, perché no? Io provo a estrarre il positivo o il negativo da quello che mi interessa, e anche i marchi offrono spunti perché parole della modernità». La crisi economica ha avuto effetti sul suo lavoro? «Io compro poco, mi basta poco. Ma mi assumo le colpe dell´America di Bush». Ci sono altre immagini di uomini e donne della politica o dell´arte sui quali le piacerebbe lavorare? «In questo momento no». Conosce il primo ministro italiano Silvio Berlusconi? «So di lui, ma non abbastanza. Studierò per una prossima occasione».

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marchionne, missione lampo in usa per portare alla merkel il sì di gm - salvatore tropea (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 4 - Economia L´ad di Fiat ieri a Washington e oggi a Berlino con Elkann dove incontrerà il cancelliere Marchionne, missione lampo in Usa per portare alla Merkel il sì di Gm La task force di Obama potrebbe essere convinta da un piano che non lascia strascichi SALVATORE TROPEA TORINO - C´è un viaggio lampo al di là dell´Atlantico prima dell´incontro con Angela Merkel. Ufficialmente a Torino e in partenza per Berlino, in realtà, ieri, Sergio Marchionne era in America. Per fare cosa? Per convincere la casa madre di Detroit e, non tanto indirettamente anche il governo di Washington, che la l´offerta della Fiat per la Opel è quella conveniente per la Gm e più in sintonia col disegno di Barack Obama sull´industria automobilistica. Oggi, di ritorno, in Europa, Marchionne proverà a raccogliere a Berlino quel che ha seminato a Washington. Non sarà facile anche se negli ultimi due giorni il fronte pro-Magna ha cominciato a mostrare vistosi cedimenti. Intanto per la stretta finale la Fiat scende in campo al gran completo. Con Sergio Marchionne in Germania ci sarà anche John Elkann. E´ del tutto casuale, visto che il vicepresidente della Fiat parteciperà a un dibattito con gli industriali tedeschi da tempo organizzato, ma la coincidenza questa volta ha un suo significato. Tanto più che l´ingegner Elkann avrà un incontro con il ministro zu Guttemberg: e si può immaginare quale sarà l´argomento. Insomma, sembra quasi un coinvolgimento diretto della proprietà del Lingotto in una vicenda che potrebbe essere destinata a modificare anche gli assetti societari di Fiat. Anche se alla domanda su un ridimensionamento della quota Exor, attraverso la quale la famiglia Agnelli controlla Fiat, Gianluigi Gabetti ieri ha risposto che «la famiglia Agnelli è compattissima e la diluizione di Exor non è scontata» ma dipende a dalla composizione delle futura società. L´attenzione del Lingotto è concentrata da questa mattina su Berlino dove Marchionne ha studiato nelle ultime ore come rintuzzare i colpi di quanti mostrano di preferire la soluzione Magna e di quella parte che tenta di imboccare la strada dei rinvii lunghi. La Fiat vuole chiudere conquistando la posta in gioco e facendolo subito. Dopo Chrysler e Opel, dicono infatti a Torino, dobbiamo riorganizzare il nuovo gruppo e gli altri avversaro, in Europa e fuori, non staranno a guardare. Riflettori dunque sulla Germania ma tenendo ben d´occhio l´America. Da lì dovrà arrivare entro fine settimana la luce verde per la Opel. Ad accenderla sarà la casa madre Gm che, entro la stessa data, dovrà presentare un piano a Obama per assicurarsi la sopravvivenza. Tra Detroit e Washington gli uomini dello staff di Marchionne stanno lavorando in queste ore sul versante Gm e su quello della task force della Casa Bianca. La Fiat ha interesse che da lì arrivi un segnale definitivo e sa che, per ragioni diverse e convergenti, sia la Gm sia il governo sono orientati verso una soluzione Opel che non abbia strascichi. Ciò vuol dire che sia l´escamotage del finanziamento-ponte sia un´alleanza basata sui soldi sono visti dall´America come una sorta di boomerang: nel senso che tra qualche mese o tra qualche anno il caso Opel potrebbe ripresentarsi. E´ questo è un effetto che sia il numero uno di Gm, Fritz Henderson, sia Obama, stanno facendo di tutto per evitare. Sul terreno negoziale il Lingotto lascia intendere di aver apportato tutti i ritocchi possibili alla sua offerta, ma questo non esclude che l´incontro tra Marchionne e la signora Merkel possa consigliare o imporre qualche ulteriore aggiustamento. Sui tagli Fiat ha già fatto sapere che saranno meno di 10 mila di cui 2 mila in Germania e ha ribadito che non ci saranno chiusure di stabilimenti tedeschi o italiani. E´ possibile invece che si vada incontro a ridimensionamenti di personale: operazione, questa, che il Lingotto, sostiene, sarebbe stata comunque avviata indipendentemente da Opel e che semmai con questa va a incrociare. Sulle linee di credito pubbliche la differenza tra Fiat (6-7 miliardi) e Magna (4 miliardi) starebbe nel fatto che nel piano degli austro-canadesi non sono stati inclusi 3 miliardi oneri previdenziali. Quanto alle quote nella newco al Lingotto sono convinti che, come per Chrysler alla fine si troverà un´intesa. Alla Merkel Marchionne riferirà il piano e le intenzioni di Torino, sottolineando soprattutto la validità di un progetto che, assieme a Chrysler, va oltre il puro salvataggio di Opel. E ricordando come dice lui che «i soldi finiscono, mentre le tecnologie non solo non finiscono ma producono altri soldi».

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opel, volata finale tra fiat e magna - paolo griseri (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 4 - Economia Opel, volata finale tra Fiat e Magna Berlino decide a metà settimana. Commerzbank con i rivali del Lingotto PAOLO GRISERI TORINO - L´atto finale sarà domani quando Angela Merkel riunirà nella stessa stanza tutti i protagonisti della «borgomastro story» della Opel. Dai ministri, ai governatori delle regioni e ai sindaci delle principali città coinvolte, tutti convergeranno in Cancelleria per assistere al momento della scelta finale. Ci saranno anche i protagonisti delle tre offerte che hanno giocato la partita: accanto a Sergio Marchionne siederanno i vertici di Magna e del fondo privato Ripplewood. E, spettatore non certo disinteressato, un rappresentante del governo di Washington. In preparazione del vertice finale, oggi Marchionne e lo stesso John Elkann si riuniranno con il governo di Berlino. Elkann incontrando in mattinata il ministro dell´Economia zu Guttenberg e Marchionne in un faccia a faccia con Angela Merkel. «Ora è il momento di tacere e di non modificare i piani», ha detto il presidente di Fiat, Luca di Montezemolo. Le prossime ore, dunque, saranno quelle decisive. L´orientamento del governo tedesco sembra ancora incerto anche se un´indiscrezione circolata in serata tornerebbe a far pendere il piatto della bilancia a favore degli austro-canadesi della Magna. Un sito on line attribuirebbe infatti alla Commerzbank l´intenzione di concedere un prestito da 4 miliardi di euro alla Magna a patto che aumenti le garanzie finora fornite a sostegno del suo piano. Commerzbank è partecipata al 25 per cento dal governo tedesco e dunque l´indiscrezione, se confermata, finirebbe per confermare le anticipazioni sulla vittoria degli austro canadesi. Ma quando mancano poche ore prima della decisione definitiva, anche le indiscrezioni possono far parte della battaglia. Per giungere all´appuntamento di domani con il quadro completo delle offerte, Angela Merkel ha deciso di prendere in mano personalmente la trattativa. Già domenica ha telefonato al leader russo Vladimir Putin per comprendere qual è la consistenza dell´aiuto che i russi potrebbero dare alla Magna. Se davvero Berlino deciderà entro domani, lo farà alla luce delle notizie che dovrebbero arrivare oggi dagli Usa: questa sera a mezzanotte infatti scade il termine per i creditori che intendono aderire alla ristrutturazione del credito proposto da Gm. Se, come è prevedibile, le adesioni non saranno sufficienti, scatterà quasi automaticamente la procedura di amministrazione controllata. A Washington si dà per scontato che Obama non farà slittare il termine del primo giugno per prendere una decisione. In Italia si attendono gli esiti della battaglia tedesca. Il presidente onorario di Exor, Gianluigi Gabetti, ha fatto sapere ieri che la diluizione del capitale della finanziaria degli Agnelli nel nuovo colosso dell´auto «non è scontata» e che «dipenderà dalle modalità dello spin off». Sul fronte sindacale si registra invece una divisione strategica: mentre Cgil e Cisl chiedono che «il governo convochi subito azienda e sindacati per conoscere il futuro della Fiat in Italia», il leader della Ui, Luigi Angeletti, ha proposto ieri che «il governo italiano attenda gli esiti della trattativa in corso oltralpe prima di convocare azienda e sindacati».

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"io, il graffitaro che ha inventato il volto pop di obama" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 33 - R2 ALESSANDRA RETICO Il personaggio "Io, il graffitaro che ha inventato il volto pop di Obama" SEGUE A PAGINA 36

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Corea del Nord, lanciati due missili a corto raggio (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

SEUL - La Corea del Nord continua a sfidare la comunità internazionale. All'indomani del test nucleare che ha suscitato preoccupazione e condanna in tutto il mondo, il regime di Pyongyang ha lanciato due missili a corto raggio dalla costa orientale del Paese. Lo riferisce l'agenzia Yonhap citando una fonte governativa sudcoreana. Pyongyang ha lanciato un missile terra-aria e terra-mare a largo della costa nei pressi della citta' di Hamhung, spiega la Yonhap. ''L'intelligence sta analizzando le motivazioni del lancio'', dicono fonti governative aggiungendo che ogni missile aveva un raggio di circa 130 chilometri. Il nuovo test dei due missili giunge all'indomani del secondo esperimento atomico sotterraneo deciso da Pyongyang, cui si sono accompagnati i lanci di altri tre vettori a corto raggio. In nottata il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha espresso dura condanna su quanto fatto ieri dal regime comunista, preparandosi al varo di nuove sanzioni. Sono soprattutto gli Usa a premere per una risoluzione forte. Il presidente Usa barak Obama definisce l'esperimento di Pyongyang una "minaccia per la pace e la sicurezza" nonchè una "sfida alla comunità intenazionale". Obama, ha telefonato ieri sera alla sua controparte sudcoreana, il presidente Lee Myung-bak e al premier giapponese Taro Aso per "coordinare" eventuali reazioni ai test nucleari. Rassicurando i due leader dell'"impegno inequivocabile" alla difesa della Corea del Sud. OAS_RICH('Middle'); La Corea del Nord "merita sanzioni severe e tutto il mondo le deve applicare" dice il ministro degli Esteri Franco Frattini - Dobbiamo essere uniti nella risposta se Russia e Cina questa volta faranno la loro parte sarà un grande passo avanti". (26 maggio 2009

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"Pronti a reagire ad un attacco Usa" La Nord Corea lancia altri due missili (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

SEUL Nonostante la condanna unanime del Consiglio di Sicurezza dell'Onu la Corea del Nord non ferma la sfida atomica. Il regime di Pyongyang prosegue con i test e annuncia di aver lanciato oggi due nuovi missili a corto raggio sulla costa orientale. Si tratterebbe, secondo l’agenzia stampa sudcoreana Kcna, di due missili, uno terra-aria e un altro antinave entrambi dalla gittata di 130 chilometri e lanciati dalla costa orientale, vicino alla città di Hamhung. La politica ostile degli Stati Uniti verso la Corea del Nord «non è cambiata sotto l’amministrazione di Barack Obama» è il commento del regime comunista affidato all’agenzia ufficiale, la Kcna, dopo l'allarme del presidente Usa. Per questo motivo - continua la nota - Pyongyang è preparata a qualsiasi «sconsiderato» tentativo di attacco degli Usa. «Il nostro esercito e la nostra gente - aggiunge ancora la Kcna, prendendo di mira la decisione degli Usa di riallocare i suoi aerei da caccia - sono pronti per la battaglia contro qualsiasi sconsiderato attacco degli Stati Uniti». La Corea del Nord intanto prepara il lancio di un missile a corto raggio tra oggi e domani, rende noto l’agenzia Yonhap, citando un funzionario sudcoreano. All’indomani del secondo esperimento nucleare della sua storia e del lancio di tre missili a corto raggio, costati la condanna del Consiglio di sicurezza dell’Onu e della comunità internazionale, Pyongyang si appresta ad altri test balistici sulla costa occidentale che si affaccia sul Mar Giallo. «La Corea del Nord ha dichiarato il divieto per le navi nel tratto di mare al largo della sua provincia di Pyongan del Sud dal 25 al 27 di maggio. Sembra che voglia provare uno dei missili a corto raggio tra oggi e domani», ha spiegato il funzionario anonimo citato dalla Yonhap.

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Nord Corea, condanna da Onu e Ue (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK Mentre la Corea del sud insiste con le provocazioni - questa mattina l’annuncio del lancio di altri due missili a corto raggio - le Nazioni Unite e gli Usa preparano le contromosse. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha condannato il nuovo test nucleare fatto dalla Corea del Nord e ha deciso di preparare una risoluzione che potrebbe comportare nuove sanzioni nei confronti di Pyongyang mentre Barack Obama ha avviato contatti sul tema con Giappone e Corea del Sud. I membri del Consiglio hanno espresso la loro ferma opposizione e la loro condanna del test nucleare effettuato il 25 maggio 2009 dalla Corea del Nord, che costituisce una chiara violazione della risoluzione 1718« ha dichiarato alla stampa l’ambasciatore russo Vitaly Churkin, a nome del Consiglio che presiede nel mese di maggio. I membri hanno deciso »di cominciare immediatamente a lavorare su una risoluzione del Consiglio su questa questione« ha aggiunto Churkin al termine di una riunione di consultazioni convocata d’urgenza su richiesta del Giappone dopo il test nucleare nordcoreano. I quindici membri «esigono» che la Corea del Nord rispetti pienamente i suoi obblighi secondo i termini delle risoluzioni del Consiglio, aggiunge la dichiarazione, la cui approvazione ha richiesto l’unanimità dei quindici membri del Consiglio. Diversi diplomatici occidentali hanno in seguito riferito il loro desiderio che la futura risoluzione comporti nuove sanzioni verso il regime comunista di Pyongyang. «La risoluzione dovrà contenere nuove sanzioni che si aggiungano a quelle già approvate» dal Consiglio, ha dichiarato l’ambasciatore francese aggiunto, Jean-Pierre Lacroix, senza precisare quali sanzioni auspichi. L’ambasciatrice degli Stati Uniti, Susan Rice, ha auspicato «misure forti» ma non ha pronunciato la parola sanzioni. Dal canto loro, gli Stati Uniti non stanno a guardare. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha parlato ieri sera al telefono col collega sudcoreano Lee Myung-bak e con primo ministro giapponese Taro Aso per «coordinare una reazione al test nucleare della Corea del Nord. Lo ha reso noto la Casa Bianca. Obama ha parlato a Lee «per consultare e coordinare la nostra reazione al test nucleare nordcoreano» ha riferito la Casa Bianca. I due capi di Stato hanno «convenuto di agire insieme per ottenere e appoggiare una risoluzione forte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu con misure concrete per limitare le attività nucleari e di lancio di missili dalla Corea del Nord». Nella conversazione con Taro Aso, Obama ha reiterato «l’impegno senza equivoci della difesa del Giappone e del mantenimento della pace e dell sicurezza nel nordest dell’Asia» da parte degli Stati Uniti. Intanto anche i ministri degli Esteri dell’Asia e dell’Unione europea hanno preparato ad Hanoi una bozza di documento che condanna il test nucleare della Corea del Nord che costituisce una «violazione evidente» delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu e degli accordi conclusi nel corso delle trattative a sei fra le due Coree, la Cina, il Giappone, gli Stati Uniti e la Russia.

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Web, tutti pazzi per la T-shirt dei lupi (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

TORINO La maglietta non è un granché. Raffigura tre lupi che ululano alla luna. Una semplice t-shirt di cotone come ce ne sono una, nessuna, centomila. E infatti nessuno se la filava. Ma da qualche tempo s’è mutata in uno degli oggetti più venduti su amazon.com, più dei soliti jeans o scarpette di marca, che furoreggiano tra i teenager malati di mode. Con annessi feedback (commenti) entusiastici. Che cos’è successo? Perché una banale maglia è diventata di punto in bianco indumento di culto? Le stregonerie della luna, care ai lupi, non c’entrano niente. Siamo di fronte a uno dei soliti miracoli del Web, dove basta un blog, un sito, un video, per scatenare tsunami di impensabile popolarità. La «Three Wolf Moon», che costa dai 7.65 dollari ai 17.93, è stata ignorata per anni. Giustamente, si potrebbe dire. Finché un sito un po’ goliardico, CollegeHumor.com, l’ha notata, citata, proposta in un link, per amore di scherzo kitsch. E il mostro è nato: le vendite sono aumentate del 2300%. Con un po’ di photoshop la maglietta è stata ironicamente messa addosso ai personaggi più svariati, anonimi buzziconi, e uomini famosissimi, come Obama (ovviamente), Elvis, Che Guevara, persino Bin Laden sotto la sua mimetica. Poi sono piovute dicerie leggendarie, che coinvolgono il superacceleratore di adroni in Svizzera, l’eros, la fortuna. Quei tre lupacchiotti stampati, s’è detto, hanno superpoteri. Chi li indossa si troverà la vita cambiata. «Ho comprato la maglietta e la fidanzata m’ha ritelefonato». «Io ero gravemente malato e sono guarito anche se i medici non ci credevano», «Io l’ho indossata nel deserto e sono arrivati gli ufo». Provare per crederci. Forse nessuno ci ha creduto. Ma la sfida della panzana, della pietra filosofale, ha funzionato, perché è sempre bello credere a un’elitropia e a simpatici cialtroni. A centinaia sono piovuti gli acquirenti, che a loro volta hanno partecipato al gioco, lasciando in rete commenti sulle mirabolanti svolte esistenziali avvenute dopo la compera. «L’ho usata al supermercato e una donna mi ha portato via con lei». «Non osavo andare a cena con i genitori della mia ragazza ricchi come Bill Gates, ma ho indossato la maglietta e mi sono fatto coraggio. Il padre, vedendo i lupi, m’ha staccato un assegno da 100mila dollari dicendomi che potevo chiedergli quel che volevo, la mamma mi carezzava piacevolmente la gamba». «Quando il postino mi ha portato il pacco tutte le vicine sono uscite di casa e hanno cominciato a guardarmi vogliose, dev’essere l’effetto dei feromoni lupeschi». E via dicendo. Ci sono anche i commenti delusi: «L’ho comprata e non è arrivata manco una top model. E’ una sòla?». Ma veri o ironici anch’essi fanno parte del gioco. La «Three Wolf Moon» diventa ogni giorno di più un fenomeno, autoalimentandosi di successo. Il «Washington Post», che ha dedicato un articolo al caso, spiega che CollegeHumor.com non è nuovo alle burle mediatiche. Lancia sondaggi farsa, che coinvolgono migliaia di persone vere. Rendendo sempre più labile il diaframma tra virtuale e reale, vero e falso. Quando la radio era padrona del mondo, prima della tv, Orson Welles spaventò l’America con lo scherzo che gli extraterrestri ci avevano invaso. Il settimanale «Time» s’è spaventato ora, a sua volta, vedendo i risultati del suo sondaggio sul personaggio più influente del 2009. Obama? Putin? Macché, ha vinto un nerd, Christopher Poole, fondatore di una web community, che ha ricevuto 16.794.368 preferenze. Bello il voto, bella la democrazia, bello il mercato. Se poi le masse riuscissero a non farsi sempre abbindolare, scegliendo, senza sapere perché, strambi totem, politicanti malandrini, oggetti inutili. Le maglie sono divertenti il resto, meno.

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La Corea del Nord continua la sfida lanciati due missili a corto raggio (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

SEUL - La Corea del Nord continua a sfidare la comunità internazionale. All'indomani del test nucleare che ha suscitato preoccupazione e condanna in tutto il mondo, il regime di Pyongyang ha lanciato due missili a corto raggio dalla costa orientale del Paese. Lo riferisce l'agenzia Yonhap citando una fonte governativa sudcoreana. Pyongyang ha lanciato missili terra-aria e terra-mare a largo della costa nei pressi della città di Hamhung, spiega la Yonhap. ''L'intelligence sta analizzando le motivazioni del lancio'', dicono fonti governative aggiungendo che ogni missile aveva un raggio di circa 130 chilometri. Il nuovo test giunge all'indomani del secondo esperimento atomico sotterraneo deciso da Pyongyang, cui si sono accompagnati i lanci di altri tre vettori a corto raggio. In nottata il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha espresso dura condanna su quanto fatto ieri dal regime comunista, preparandosi al varo di nuove sanzioni. Sono soprattutto gli Usa a premere per una risoluzione forte. Il presidente americano Barak Obama definisce l'esperimento di Pyongyang una "minaccia per la pace e la sicurezza" nonché una "sfida alla comunità intenazionale". Obama ha telefonato ieri sera alla sua controparte sudcoreana, il presidente Lee Myung-bak e al premier giapponese Taro Aso per "coordinare" eventuali reazioni ai test nucleari. Rassicurando i due leader sull'"impegno inequivocabile" alla difesa della Corea del Sud. OAS_RICH('Middle'); La Corea del Nord "merita sanzioni severe e tutto il mondo le deve applicare" dice il ministro degli Esteri Franco Frattini - Dobbiamo essere uniti nella risposta se Russia e Cina questa volta faranno la loro parte sarà un grande passo avanti". (26 maggio 2009

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Corte Suprema, tocca alla Sotomayor (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON Il presidente americano Barack Obama ha scelto Sonia Sotomayor, giudice federale di New York, come nuovo membro della Corte Suprema: se confermata dal Congresso, sarà il primo giudice ispanico nella storia americana. Sonya Sotomayor, che sostituirà il dimissionario David Souter, è una giurista che si è fatta da sè. Di origine portoricana, è nata e cresciuta nelle case popolari del Bronx e ha dato la scalata alla magistratura passando per la scuola di legge di Yale, dove si sono laureati anche l’ex presidente Bill Clinton e Hillary Clinton. La Sotomayor, 55 anni, è la terza donna alla Corte Suprema e il primo giudice di origine ispanica nella sua storia. Era stata nominata nel 1991 dal presidente repubblicano George H.W. Bush alla corte federale del distretto sud di New York. Il presidente Clinton l’aveva promossa alla Corte d’appello.

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Sonia Sotomayor, la giudice ispanica scelta da Obama per la Corte suprema (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Donna, ispanica, di umili origini, decisamente liberal. La scelta di Barack Obama per la Corte Suprema è arrivata questa mattina. Se sarà confermata dal Senato, Sonia Sotomayor sarà il primo giudice ispanico della storia dell'alta corte Usa, la terza donna nominata al massimo scranno giuridico dell'ordinamento americano, dopo Sandra Day O'Connor (che si è ritirata) e Ruth Bader Ginsburg, ancora in carica seppur molto malata. Sotomayor andrà a sostituire David Souter, 69 anni, che si è ritirato, e che era conosciuto per le sue posizioni tendenzialmente progressiste. Gli equilibri all'interno della Corte, composta da nove giudici, dovrebbero rimanere dunque sostanzialmente inalterati. Ma è possibile che la scelta di Obama incontri comunque le resistenze dei repubblicani in Senato. Il giudice che salvò le World Series. Nel totonomine della vigilia, quello della 54enne magistrato di origine portoricana, nominata da Bill Clinton nel secondo Circuito di New York, era tra i nomi più controversi. I democratici la suggerirono a George W. Bush come possibile rimpiazzo quando Sandra Day O'Connor annunciò le proprie dimissioni dalla Corte suprema nel 2005. In un caso di alto profilo, ora all'esame della Corte, Sotomayor aveva preso nettamente una posizione pro-azioni positive difendendo la municipalità di New Haven, nel Connecticut, per aver bloccato le promozioni nel locale dipartimento dei vigili del fuoco in quanto non c'erano abbastanza neri. La sua sentenza più famosa è però probabilmente quella con cui mise fine allo sciopero dei giocatori di baseball che bloccò per dieci mesi le World Series, per la prima volta in 90 anni. Fu lei infatti che nell'aprile del 1995, allora giudice distrettuale, mise fine alla protesta dei campioni con una sentenza che penalizzava i proprietari delle squadre e le fece guadagnare l'affetto dei tifosi e le celebrazioni della stampa specializzata. OAS_RICH('Middle'); Orfana di padre da quando aveva 9 anni, l'infanzia passata nelle case popolari del Bronx con il sostegno agli studi perseguito dalla madre - "eravamo gli unici bambini ad avere l'Enciclopedia britannica a casa", ricorda - è un esempio di success story per tutte le minoranze etniche. E un vero mastino in aula, dicono i suoi colleghi. Parla spesso dei tribunali come di "ultimo rifugio degli oppressi" e si autodefinisce come una "pragmatica con i piedi per terra". Divorziata, senza figli, è considerata per opinione comune una grande appassionata del suo lavoro. Ma anche molto intransigente e poco incline al compromesso. I giudici donna. La professione di magistrato ai massimi livelli è diventata appannaggio delle donne solo in tempi recenti, come dimostrano le statistiche. Sono oltre 200 le donne giudice tra corti distrettuali e corti d'appello federali, circa un quarto del totale, e oltre cento sono quelle designate nelle massime corti statali, mentre circa un terzo dei chief justice statali sono donne. In una paese in cui 1,2 milioni di persone esercitano la professione legale, circa il 45% degli associati di studio sono legali donne, e il 18% soci. Così come sono donne un quinto dei rettori delle facoltà di legge. Per storici e politologi, l'avvicinarsi delle donne alla professione legale e la loro affermazione è legata a grandi svolte storiche del Paese, in particolare allo squarcio della guerra del Vietnam. Nel 1964, la Bar Association indicava che solo il 4% degli studenti di legge erano donne. Nel '74 il dato si era quadruplicato, e nel decennio successivo è ancora raddoppiato. Oggi le donne sono poco meno del 50% degli studenti di giurisprudenza. Nello stesso tempo, i presidenti degli Stati Uniti, a cominciare da Jimmy Carter, hanno cominciato a nominare sempre più magistrati donne nelle corti d'appello federali, che sono il bacino principale da cui sono state attinte negli anni recenti le nomine per la Corte suprema. Nel 1981, quando Reagan nominò la O'Connor, c'erano solo 11 donne nelle corti federali. Nel 1993, quando Bill Clinton scelse Ruth Bader Ginsburg (che oggi ha 76 anni e gravi problemi di salute, con la possibilità che sia il prossimo giudice a doversi ritirare), erano 23. Oggi sono arrivate a 47. Le pressioni su Obama affinché ristabilisse un equilibrio all'interno della massima corte americana più vicino alla realtà del Paese erano dunque evidenti. Decisione storica. In una recente intervista televisiva, Obama aveva dichiarato che il nuovo giudice avrebbe dovuto avere "statura intellettuale, sapere rapportarsi alla gente comune e avere senso pratico su come funziona il mondo". Obama aveva già pronta una lista di una decina di possibili candidati che sono stati sottoposti ad un minuzioso esame di ciò che hanno fatto e di ciò che hanno scritto in passato. Obama ha inoltre detto che spera che il successore del giudice Souter possa entrare in funzione già in ottobre in occasione della nuova sessione della Corte. Gli ultimi due giudici nominati, John Roberts e Samuel Alito, sono stati entrambi confermati in circa 70 giorni, dopo le audizioni di prammatica al Senato. Con la maggioranza in Senato di 59-40 a favore dei democratici (e presto 60-40 quando verrà confermata la vittoria di Al Franken in Minnesota), la scelta di Obama non dovrebbe incontrare il pericolo di uno stallo nella Camera alta. David Souter, nominato nel 1990 da George Bush padre, è un alfiere dell'ala liberal e aveva annunciato la sua volontà di lasciare la Corte suprema per consentire ad Obama di procedere, per la prima volta dal suo ingresso alla Casa Bianca, alla scelta di un membro della massima istanza giudiziaria del paese. La nomina dei membri della Corte suprema è una delle decisioni più delicate e importanti nelle mani del presidente degli Stati Uniti, perché è l'unica carica "a vita" (oltre a essere non elettiva) del sistema istituzionale statunitense. Per molti costituzionalisti, è la reale eredità politica che un presidente può lasciare al Paese. Riguardo ai suoi "modelli" tra i giudici del passato, il presidente Obama aveva citato Antonin Scalia - "uno scrittore eccezionale" - e la giudice Sandra Day O'Connor, che ha saputo individuare l'applicazione pratica delle leggi: "Non era una grande teorica - ha detto Obama - ma alla fine ha avuto un'enorme infulenza sulla legge nel suo complesso". E lui stesso, Obama, con la sua formazione giuridica, non vorrebbe in futuro entrare a far parte della Corte, come fece il suo predecessore William Taft? "Non credo che passerei l'audizione in Senato", ha scherzato il presidente. (26 maggio 2009

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Sonia Sotomayor, la scelta di Obama dal Bronx alla Corte Suprema (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 26-05-2009)

Argomenti: Obama

Donna, ispanica, di umili origini, decisamente liberal. La scelta di Barack Obama per la Corte Suprema è arrivata questa mattina. Se sarà confermata dal Senato, Sonia Sotomayor sarà il primo giudice ispanico della storia dell'alta corte Usa, la terza donna nominata al massimo scranno giuridico dell'ordinamento americano, dopo Sandra Day O'Connor (che si è ritirata) e Ruth Bader Ginsburg, ancora in carica seppur molto malata. I principi stabiliti dai padri fondatori dell'America "sono oggi più decisivi che mai" per la vita degli Stati Uniti, ha dichiarato, visibilmente commossa, al fianco di Barack Obama: "Neppure nei miei sogni più folli d'infanzia avrei immaginato di essere qui. Sono una persona comune che è stata benedetta da opportunità straordinarie". Sotomayor andrà a sostituire David Souter, 69 anni, che si è ritirato, e che era conosciuto per le sue posizioni tendenzialmente progressiste. Gli equilibri all'interno della Corte, composta da nove giudici, dovrebbero rimanere dunque sostanzialmente inalterati. Ma è possibile che la scelta di Obama incontri comunque le resistenze dei repubblicani in Senato. Il giudice che salvò le World Series. Nel totonomine della vigilia, quello della 54enne magistrato di origine portoricana, nominata da Bill Clinton nel secondo Circuito di New York, era tra i nomi più controversi. I democratici la suggerirono a George W. Bush come possibile rimpiazzo quando Sandra Day O'Connor annunciò le proprie dimissioni dalla Corte suprema nel 2005. In un caso di alto profilo, ora all'esame della Corte, Sotomayor aveva preso nettamente una posizione pro-azioni positive difendendo la municipalità di New Haven, nel Connecticut, per aver bloccato le promozioni nel locale dipartimento dei vigili del fuoco in quanto non c'erano abbastanza neri. OAS_RICH('Middle'); La sua sentenza più famosa è però probabilmente quella con cui mise fine allo sciopero dei giocatori di baseball che bloccò per dieci mesi le World Series, per la prima volta in 90 anni. Fu lei infatti che nell'aprile del 1995, allora giudice distrettuale, mise fine alla protesta dei campioni con una sentenza che penalizzava i proprietari delle squadre e le fece guadagnare l'affetto dei tifosi e le celebrazioni della stampa specializzata. Orfana di padre da quando aveva 9 anni, l'infanzia passata nelle case popolari del Bronx con il sostegno agli studi perseguito dalla madre - "eravamo gli unici bambini ad avere l'Enciclopedia britannica a casa", ricorda - è un esempio di success story per tutte le minoranze etniche. E un vero mastino in aula, dicono i suoi colleghi. Parla spesso dei tribunali come di "ultimo rifugio degli oppressi" e si autodefinisce come una "pragmatica con i piedi per terra". Divorziata, senza figli, è considerata per opinione comune una grande appassionata del suo lavoro. Ma anche molto intransigente e poco incline al compromesso. E proprio la sua storia e il suo radicamento nel sociale hanno fatto pendere la bilancia della scelta di Obama verso di lei. Lo ha detto lo stesso presidente presentandola: "Non ha mai dimenticato da dove proviene", dotata di professionalità ma anche di "esperienza di vita" e sarà una donna capace di "ispirare", un modello insomma. Proprio come lo è il presidente. I giudici donna. La professione di magistrato ai massimi livelli è diventata appannaggio delle donne solo in tempi recenti, come dimostrano le statistiche. Sono oltre 200 le donne giudice tra corti distrettuali e corti d'appello federali, circa un quarto del totale, e oltre cento sono quelle designate nelle massime corti statali, mentre circa un terzo dei chief justice statali sono donne. In una paese in cui 1,2 milioni di persone esercitano la professione legale, circa il 45% degli associati di studio sono legali donne, e il 18% soci. Così come sono donne un quinto dei rettori delle facoltà di legge. Per storici e politologi, l'avvicinarsi delle donne alla professione legale e la loro affermazione è legata a grandi svolte storiche del Paese, in particolare allo squarcio della guerra del Vietnam. Nel 1964, la Bar Association indicava che solo il 4% degli studenti di legge erano donne. Nel '74 il dato si era quadruplicato, e nel decennio successivo è ancora raddoppiato. Oggi le donne sono poco meno del 50% degli studenti di giurisprudenza. Nello stesso tempo, i presidenti degli Stati Uniti, a cominciare da Jimmy Carter, hanno cominciato a nominare sempre più magistrati donne nelle corti d'appello federali, che sono il bacino principale da cui sono state attinte negli anni recenti le nomine per la Corte suprema. Nel 1981, quando Reagan nominò la O'Connor, c'erano solo 11 donne nelle corti federali. Nel 1993, quando Bill Clinton scelse Ruth Bader Ginsburg (che oggi ha 76 anni e gravi problemi di salute, con la possibilità che sia il prossimo giudice a doversi ritirare), erano 23. Oggi sono arrivate a 47. Le pressioni su Obama affinché ristabilisse un equilibrio all'interno della massima corte americana più vicino alla realtà del Paese erano dunque evidenti. Decisione storica. In una recente intervista televisiva, Obama aveva dichiarato che il nuovo giudice avrebbe dovuto avere "statura intellettuale, sapere rapportarsi alla gente comune e avere senso pratico su come funziona il mondo". Esattamente l'identikit di Sotomayor. Il presidente spera ora che il successore del giudice Souter possa entrare in funzione già in ottobre in occasione della nuova sessione della Corte. Gli ultimi due giudici nominati, John Roberts e Samuel Alito, sono stati entrambi confermati in circa 70 giorni, dopo le audizioni di prammatica al Senato. Con la maggioranza in Senato di 59-40 a favore dei democratici (e presto 60-40 quando verrà confermata la vittoria di Al Franken in Minnesota), la scelta di Obama non dovrebbe incontrare il pericolo di uno stallo nella Camera alta. David Souter, nominato nel 1990 da George Bush padre, è un alfiere dell'ala liberal e aveva annunciato la sua volontà di lasciare la Corte suprema per consentire ad Obama di procedere, per la prima volta dal suo ingresso alla Casa Bianca, alla scelta di un membro della massima istanza giudiziaria del paese. La nomina dei membri della Corte suprema è una delle decisioni più delicate e importanti nelle mani del presidente degli Stati Uniti, perché è l'unica carica "a vita" (oltre a essere non elettiva) del sistema istituzionale statunitense. Per molti costituzionalisti, è la reale eredità politica che un presidente può lasciare al Paese. Riguardo ai suoi "modelli" tra i giudici del passato, il presidente Obama aveva citato Antonin Scalia - "uno scrittore eccezionale" - e la giudice Sandra Day O'Connor, che ha saputo individuare l'applicazione pratica delle leggi: "Non era una grande teorica - ha detto Obama - ma alla fine ha avuto un'enorme infulenza sulla legge nel suo complesso". E lui stesso, Obama, con la sua formazione giuridica, non vorrebbe in futuro entrare a far parte della Corte, come fece il suo predecessore William Taft? "Non credo che passerei l'audizione in Senato", ha scherzato il presidente. (26 maggio 2009

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Obama sceglie una portoricana (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Corte Suprema Sonia Sotomayor, figlia di immigrati del Bronx, è il primo giudice ispanico a entrare tra i nove super-magistrati Obama sceglie una portoricana Molinari e Semprini A PAGINA 17

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Chamberlain il fantasma e la bomba coreana Ricorda la famosa faccia sorridente con cui Cha... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Chamberlain il fantasma e la bomba coreana Ricorda la famosa faccia sorridente con cui Chamberlain tornò felice e trionfante a Londra dopo aver firmato l'accordo del nuovo assetto europeo alla conferenza di Monaco, nel 1938, tra Daladier, Hitler e Mussolini, per mezzo del quale si sperava in una pacificazione del Continente (cedendo la Cecoslovacchia alla Germania)? Come tutti sanno, quella risata fu il passaporto per la seconda guerra mondiale. Quando vedo tanti esponenti delle Nazioni Unite, tanti politici impegnati, tanti giornalisti, che sorridono e dicono che, tutto sommato, la Corea del Nord e l'Iran vogliono solo un po' di spazio politico-economico nel contesto mondiale e bisogna comprenderli, tanto non hanno alcuna possibilità di espandersi, permettetemi, mi vengono i brividi, pensando al «ricorso storico vichiano» che non insegna mai nulla ai governanti rassicuratori, pacifisti, creduloni e a quei personaggi (più pericolosi di tutti) rappresentati dagli «amici di tutti» all over the world. È bastato insomma che Obama, supportato da tutto quel codazzo europeo che non riesce a rimanere a galla nella propria sinistra ex-comunista, mostrasse una vaga intenzione di aprire un dialogo, un colloquio con quella parte del mondo chiusa nella propria evidente a-storicità, nell'indiscussa, incontestabile arretratezza culturale, basata su di una primordiale a-civiltà sociale (politico-religiosa), che questo stesso mondo interpretasse i presupposti americani come un sintomo di debolezza politico-militare del resto del mondo. Il germe iraniano sta già dilagando in tutta la parte dell'Africa più povera e abbandonata dall'Occidente che, con la psicosi imperialista-colonialista, resta immobile e attonita a guardare che un manipolo di sgherri-pirati blocchi il traffico marittimo nel Mar Roso, mentre nell'entroterra i fondamentalisti al soldo dell'Iran occupano l'area, una volta culla di civiltà protocristiana. Domando a lei, cara Annunziata: la Corea del Nord, quando sarà classificata veramente «pericolosa»? Quando avrà i missili Icbm che arrivano in Usa? Allora: (purtroppo) presto! ROBERTO PEPE Chamberlain è l'iconico eroe negativo di ogni propugnatore di vigorose difese della civiltà occidentale. Solo negli ultimi 15 anni la sua ombra è stata evocata per ammonire l' «indecisione» occidentale sui Balcani e poi per la viltà europea nella guerra in Iraq. Lei lo ripropone ora per l'Iran. Conosco dunque bene il suo argomento. Di solito rispondo dicendo che prima di dannare per l'ennesima volta Chamberlain bisogna sempre essere sicuri di avere davvero dall'altra parte un Hitler. Finora mi pare che nessuno dei vari dittatorelli contro cui siamo stati mobilitati, ne abbia avuto la statura, per nostra fortuna. Ma se vuole confrontarsi con una difesa di Chamberlain fatta da un conservatore, le consiglio di leggere un articolo dedicatogli nel 2008 dal noto politico americano Patrick J. Buchanan.

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Scandali romanzati In questo periodo, più che mai, si usa spesso la parola crisi rife... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Scandali romanzati In questo periodo, più che mai, si usa spesso la parola crisi riferendosi principalmente all'ambito economico che ha un carattere globale. Io vorrei limitarmi però al nostro Paese nel quale si deve registrare anche una crisi di coscienze, di dignità, di onestà e di tanti altri valori dei quali spesso noi italiani ci siamo dimenticati. In pieno clima elettorale e con gravi problemi, vedi il terremoto e la crisi finanziaria, dove va a parare l'opposizione? Su illazioni, su scandali più o meno romanzati, ed è del tutto incurante di trascinare nella sporca vicenda famiglie e giovani ragazze. Tutto fa brodo, tutto serve a demonizzare per coltivare l'illusione di raccattare qualche misero voto. Questa è la grossa e preoccupante crisi, la crisi delle coscienze, di quei valori che tanti richiamano senza neanche sapere cosa sono e cosa rappresentano. I leader storici della sinistra potevano avere idee non condivisibili, ma sicuramente le portavano avanti con maggiore stile e dignità. LEONARDO CECCA RIVALTA (PIACENZA) Altri tipi di violenza Una considerazione in merito alla lettera scritta da Elio Sandri il 25 maggio. È vero che Berlusconi non è un personaggio malvagio e che il suo non può essere considerato un regime vero e proprio, perché in questo paese chiunque può dire ciò che pensa e le idee dei non allineati non sono assolutamente perseguite in maniera violenta, fisicamente parlando. Ma esistono anche altri tipi di violenza. 1) Quella verbale, dove con prepotenza e arroganza si tacciono le domande scomode dei giornalisti. 2) La violenza dell'ignoranza: il premier controlla la quasi totalità dell'informazione in Italia, soprattutto in ambito televisivo. Molti non si rendono conto di cosa sta accadendo perché credono ciecamente in ciò che vedono e sentono in tv, spesso si raccontano solo mezze verità se non addirittura sonore bugie. 3) La violenza dei numeri: io ho la maggioranza, il popolo è con me e faccio quello che mi pare, in barba alle leggi e alla costituzione (se non era per il lodo Alfano e santa prescrizione...). Trovo sia giustissimo governare in nome del popolo sovrano, magari lo si facesse sempre per davvero, ma mai travalicando e stravolgendo valori etici e morali che sono le fondamenta della democrazia. Sono convinto che Berlusconi sia pure una persona simpatica, io assolutamente non lo odio e neanche lo invidio, ma trovo sia assolutamente inadatto a guidare un Paese. STEFANO MORETTI Clima preelettorale Ci risiamo! In clima preelettorale tutti i partiti parlano di ridurre - chi più chi meno - il numero dei parlamentari. È un film già visto altre volte in passato, come l'abolizione delle Province, delle Comunità montane e quant'altro. Di una cosa si può essere certi: non se ne farà niente e finalmente una volta chiusa la campagna elettorale si parlerà di qualcos'altro. MARIO FEDERIGHI, MILANO Più attenzione per le fasce deboli In merito alla lettera del 23 maggio («Una strada chiamata accoglienza»), sarebbe opportuno ricordare che le istituzioni hanno precisi obblighi al fine di riconoscere e garantire «i diritti inviolabili dell'uomo» (art. 2 della Costituzione). Per esempio, in materia di assistenza è previsto che «ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale» (38, primo comma della Costituzione). Dal punto di vista attuativo, però, purtroppo oggi chi è nelle succitate condizioni (invalido civile al 100%) può contare per vivere su una pensione di circa 255 euro al mese! Questo misero importo è inferiore addirittura alla soglia della povertà assoluta (724,29 euro per una persona di età compresa tra i 18 e i 59 anni residente in un'area metropolitana nel Nord Italia, come evidenziato nella pubblicazione La povertà assoluta in Italia nel 2007, Istat, Statistiche in breve, 22 aprile 2009). Allora, nessuno chiede ai cittadini di accogliere tutti. Ma sarebbe assai urgente focalizzare una volta per tutte l'attenzione sulle fasce più deboli. E per loro, non per tutti, attuare - in tutta la misura del possibile - interventi garantiti e adeguati. GIUSEPPE D'ANGELO, TORINO ULCES, UNIONE PER LA LOTTA CONTRO L'EMARGINAZIONE SOCIALE Tu quoque Avis... L'assemblea nazionale dell'Avis, l'associazione volontari italiani sangue, conclusasi domenica a Roma, ha eletto per conto di oltre un milione di soci (1.157.000, per la precisione) il nuovo consiglio nazionale. Il consiglio è composto da 45 persone provenienti da tutta Italia. Di queste solo 3 (tre) sono donne, nominate da Avis regionali del Centro-Nord. Sono scandalizzata e demoralizzata dal sapere che persino in un consesso di volontari così grande il genere femminile viene così poco rappresentato e, probabilmente, considerato. ENRICA CHIODI Obama e il sogno americano Sono trascorsi più di 5 mesi dall'insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca, e fino ad ora non ho visto un significativo cambiamento di strategia della politica estera americana. Nonostante il 20 gennaio i media ci proponevano il sogno americano che si realizzava, in verità non è andata in modo così fiabesco. L'attuale presidente Usa non è uscito dal nulla, non si tratta di un afroamericano che ha iniziato lustrando scarpe: Barack Hussein Obama nasce a Honolulu il 4 agosto 1961 da Hussein Obama Senior e Ann Dunham, quasi subito (nel 1963) i genitori si separarono e successivamente divorziarono; il padre andò all'Università di Harvard per conseguire un dottorato e infine tornò in Kenya, dove morì in un incidente stradale nel 1982, rivide il figlio solo in un'occasione. Furono Stanley Dunham e Madelyn Payne Rolla McCurry, nonni materni a crescere il piccolo Obama. I Payne Rolla sono rinomati petrolieri del Kansas, imparentati con le più grandi stirpi nobiliari. FABRIZIO VINCI, MESSINA

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L'Armée di Sarkozy sfida gli ayatollah (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

UNA BASE CON CINQUECENTO SOLDATI, CACCIABOMBARDIERI E CAMPI DI ADDESTRAMENTO PER PROTEGGERE ABU DHABI L'Armée di Sarkozy sfida gli ayatollah [FIRMA]DOMENICO QUIRICO CORRISPONDENTE DA PARIGI Il nome scelto è strano, paradossale: «campo della pace». La base navale nel porto di Mina Zayed dove arroventano al sole da 40 gradi le fregate più moderne della marina francese; la base aerea per i Mirage e i Rafale ad al-Dhafra; e infine quella terrestre, in pieno deserto, che si specializzerà nell'addestramento al combattimento urbano. Proprio in faccia dall'altra parte del mare, c'è l'Iran con i suoi ayatollah tenacemente e provocatoriamente appassionati di atomiche; e le spume di Hormuz dove passa una delle vene chiave del petrolio. Uno dei promontori dove si arruffano tutte le tempeste geopolitiche del mondo. Verrebbe voglia, saggiamente, di evitarlo. È invece con questo «campo della pace» ad Abu Dhabi negli Emirati, zeppo di armi moderne, che la Francia di Sarkozy annuncia ad americani, inglesi e iraniani che nella zona arriva un nuovo aspirante protagonista. Nella base inaugurata ieri dal presidente, stazioneranno in media 500 soldati francesi. Non è molto: ma il numero non isteccolisce le ambizioni. E' la prima volta dopo la dichiarazione di indipendenza dell'impero africano che la Francia apre una base militare all'estero; e soprattutto Abu Dhabi è la prima fuori dell'Africa, tradizionale cortile di casa. Sarkozy rientrato nella Nato a pieno titolo vuole diventare un protagonista della fluida era del dopo Bush e dell'apprendistato internazionale di Obama. Sa che il Medio Oriente è il serpaio pericoloso ma obbligato. Gli servivano alleati. Li ha trovati nei ricchissimi ma fragili emirati già corteggiati al tempo di Mitterrand e Chirac, che hanno paura dell'Iran sciita e sono alla ricerca di tutori diversi dagli Usa. L'opera di seduzione è stata metodica: Parigi ha esportato i suoi marchi più famosi, il Louvre che ora ha una discussa filiale nel deserto, e l'accademia di Saint Cyr che sfornerà gli ufficiali. In cambio gli emiri investono a Parigi: centrali nucleari e soprattutto prodotti dell'industria bellica. La nuova base nasce come una grande vetrina commerciale della Francia. Ma la chiave è politica: è il trattato di sostegno militare firmato con Abu Dhabi. Lega l'esercito francese a un intervento diretto in caso di aggressione all'Emirato. L'accordo è segreto e non è stato sottoposto a nessun dibattito nel parlamento. In Iran hanno capito benissimo di essere il vero Nemico. Il ministero degli Esteri di Teheran ha salutato l'inaugurazione della nuova base con un minaccioso riferimento al «contributo alla insicurezza della regione». Risposta da Parigi, altrettanto secca: «Ci poniamo volontariamente in una logica di dissuasione: se l'Iran attacca, in effetti saremo anche noi ad essere attaccati».

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Usa, la prima ispanica della Corte Suprema (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

DECISIONE PROGRESSISTA E BI-PARTISAN: FU BUSH SENIOR A NOMINARLA GIUDICE Usa, la prima ispanica della Corte Suprema A 54 anni porta un cambio generazionale che potrebbe favorire l'ala più liberal [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Obama nomina una giudice di origine ispanica alla Corte suprema, rafforza il legame dell'amministrazione con le donne e la comunità latina e invia un segnale di apertura al partito repubblicano. Sonia Sotomayor, questo il suo nome, venne nominata giudice federale nel 1992 da George W. H. Bush. «Ha più esperienza di quanta ne avevano gli attuali membri della Corte al momento della nomina», spiega il presidente degli Stati Uniti durante la presentazione nella East Room della Casa Bianca. Sotomayor, 54 anni, un'infanzia trascorsa nelle case popolari del Bronx, un'adolescenza senza padre e una passione giovanile per Perry Mason, è il risultato di una lunga riflessione, spiega Obama, volta a individuare un giudice con «esperienza di vita» oltre che con una profonda conoscenza delle leggi. «Neppure nei miei sogni d'infanzia avrei immaginato di essere qui», ha risposto commossa la Sotomayor. Nel caso di conferma da parte del Senato, Sotomayor diventerà il secondo giudice donna, con Ruth Bader Ginsburg, e la terza in assoluto nella storia del massimo organo giudiziario Usa. Le attese della vigilia del resto erano tutte orientate verso una donna, ma la scelta di Obama, primo presidente democratico a nominare un giudice della Corte suprema negli ultimi quindici anni, è ancor più a effetto, perché Sotomayor venne nominata alle corti federali da Bush padre. Un'apertura ai repubblicani, quindi, e un invito a evitare ostruzionismi in Senato. Obama ha chiesto una conferma prima dell'inizio dell'anno giudiziario ad ottobre. Ma il via libera dei repubblicani alla nomina dell'ispanica Sonia Sotomayor alla Corte Suprema non è automatico. Lo ha voluto precisare in una nota il capo della minoranza dell'Elefante al Senato, Mitch McConnell. «I nostri colleghi democratici hanno spesso sottolineato che il Senato non è una macchina che appone timbri. Giudicheremo con equità il giudice Sotomayor. Ma ci assicureremo che ella sappia che il ruolo di un giudice è esercitare il proprio ruolo in maniera imparziale, accantonando le proprie sensibilità e preferenze politiche». Dal punto di vista degli equilibri politici, la Sotomayor prende il posto di David Souter, più liberal che conservatore e non va ad alterare tecnicamente i rapporti di forza anche se, essendo di una generazione più giovane del suo predecessore 70enne, potrebbe essere una voce «contro» le voci più conservatrici. In realtà all'interno della minoranza repubblicana molti pensano che Sonia Sotomayor abbia un'attitudine a fare politica più che a interpretare le leggi. Nonostante questo è poco plausibile l'ipotesi di una battaglia al Senato perché uno scontro di questo tipo sarebbe visto come uno sgarbo non da poco dalla comunità ispanica, in costante crescita, che se ne ricorderebbe già alle elezioni di metà mandato, nel 2010.

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Dalla miseria del Bronx alla laurea a Princeton (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Personaggio Come Barack lei incarna il sogno americano Dalla miseria del Bronx alla laurea a Princeton MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Cresciuta senza il padre, espressione di una società multietnica che è riuscita a coronare il proprio «American Dream» attraverso il successo negli studi, la vita di Sonia Sotomayor ricorda da vicino quella di Barack Obama, inclusa la tendenza ad essere «centrista» sulle questioni dei valori che più spaccano la nazione. Sotomayor nasce nel 1954 nel Bronx ispanico di New York da una coppia di immigrati portoricani che abita in case popolari fatiscenti. Il padre muore quando lei ha appena 9 anni e ad allevarla resta la madre, che fa l'infermiera. Crescere senza il padre la spinge, proprio come nel caso di Obama, a cercare l'affermazione negli studi: alle elementari eccelle nella lettura ed è questa passione a garantirle i voti per scalare la piramide dell'educazione fino a laurearsi con lode in legge a Yale e Princeton. Quest'ultimo è lo stesso ateneo di Michelle, moglie di Barack, ed anche per Sonia sono gli anni nei quali la propria identità etnica si incontra, scontra e infine si integra con quella bianca e anglosassone. A Yale dirige il Law Journal - come Obama la Harvard Law Review - e si distingue per una gestione moderata delle tensioni interetniche da lei ben conosciute: ad esempio fa scrivere uno studente portoricano sullo sfruttamento dei giacimenti minerari dell'isola da parte degli Usa ma il testo è tutt'altro che incendiario. Stephen Carter, primo docente afroamericano di legge a Yale e narratore con i suoi romanzi della «black upper class» a cui Obama appartiene, è stato un compagno di studi di Sotomayor e ricorda bene come «quell'articolo facesse prevalere la riflessione sulle emozioni». Ciò che accomuna Sotomayor a Obama è vivere l'appartenenza ad una minoranza senza cedere ai sentimenti estremi - dal vittimismo al rabbia - che hanno distinto le battaglie per l'integrazione e i diritti negli anni 60. Entrambi hanno conquistato la piena integrazione sommando educazione, lavoro duro e passione in una versione dell'«American Dream» che racchiude valori liberal e rifiuto di ogni estremismo. «E' liberal centrista, non certo di sinistra» dice di lei Alan Dershowitz, giurista di Harvard, un giudizio che si rispecchia in quanto dice George Pavia, l'avvocato di Manhattan per il quale lei lavorò anni fa occupandosi fra l'altro anche di Fiat: «Una liberal ma niente affatto da barricate, molto razionale, interessata non a battaglie ideologiche ma a fatti concreti». E' stato questo approccio pragmatico che spinse il presidente George H. W. Bush a nominarla nel 1991 giudice del distretto meridionale di Manhattan, prima ispanica a ricoprire l'incarico. Ha dimostrato la determinazione necessaria quando nel 1994 riuscì a porre fine allo sciopero nella lega professionista di baseball schierandosi con i giocatori contro le società. Tre anni dopo Bill Clinton la nominò giudice d'appello trovando il favore dei repubblicani ma ciò non le impedì di dare un dispiacere a Hillary autorizzando la pubblicazione dell'ultima lettera del suicida Vincent Foster, l'allora consigliere della Casa Bianca sospettato di avere una relazione con la First Lady. Fra le sentenze che più descrivono il «centrismo» di Sotomayor c'è quella a favore della «Mexico City Policy» di Bush che chiede agli enti stranieri destinatari di fondi americani di non promuovere l'aborto. Diventando il sesto giudice cattolico della Corte Suprema - su un totale di nove - la fede di Sotomayor è destinata ad essere protagonista del «dibattito aperto sull'aborto» che Obama ha auspicato parlando alla Notre Dame University dell'Indiana. Ma c'è anche qualcosa che la distingue da Barack, la famiglia: Sotomayor ha divorziato da giovane, non si è più risposata, non ha figli e a chi le chiede il perché di questa scelta risponde: «I miei figli sono gli impiegati dei tribunali dove lavoro».

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"l'affare opel è una lotteria" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Marchionne dalla Merkel. Obama: decidete in fretta "L´affare Opel è una lotteria" ROMA - «L´incontro con Angela Merkel è stato costruttivo. Noi restiamo fiduciosi ma la partita per la Opel è diventata una lotteria». Lo ha detto ieri l´amministratore delegato di Fiat Auto Sergio Marchionne al termine di un incontro con il cancelliere tedesco. Il ministro dell´Economia di Berlino Guttenberg: la proposta italiana è seria. Il presidente americano Obama stringe i tempi: serve una decisione al più presto possibile. TARQUINI E TROPEA A PAGINA 9

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complotti e guerra di successione l'ultima sfida di kim jong-il - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 14 - Esteri Complotti e guerra di successione l´ultima sfida di Kim Jong-il La Corea lancia altri 2 missili: "Un messaggio agli Usa" Obama spinge per una risoluzione di condanna dell´Onu, ma Russia e Cina frenano Il "monarca rosso" è reduce da un ictus. Il figlio minore Jong-un è il suo preferito FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente PECHINO - Sfidando per il secondo giorno consecutivo le condanne della comunità internazionale, la Corea del Nord ieri ha compiuto un altro test: due missili che sono finiti in mare al largo del Giappone. «Siamo pronti alla battaglia contro gli Stati Uniti», tuona il giornale del regime, Rodoang. Il crescendo di provocazioni da Pyongyang prosegue e sottolinea l´impotenza dell´America. Al Consiglio di sicurezza dell´Onu l´Amministrazione Obama spinge per una risoluzione di condanna, ma deve vedersela con altri due membri dotati del diritto di veto: la Russia e soprattutto la Cina. I governi di Pechino e Mosca hanno espresso giudizi duri sul test nucleare nordcoreano. «Ma basterebbe interrompere ogni finanziamento - osserva il ministro della Difesa della Corea del Sud, Lee Sang-hee - per esercitare una pressione molto efficace». E di fronte a sanzioni drastiche la Cina in passato si è sempre tirata indietro. Un enigma assilla gli osservatori occidentali: in che misura la tensione internazionale scatenata da Kim Jong-il è il risultato delle manovre per la sua successione? Il gioco che sta facendo Pyongyang non sembra sorprendere i cinesi. «L´urgenza con cui è stato fatto il test nucleare, e subito dopo i lanci dei missili, rivela la volontà di esaltare il morale del popolo», dice Shi Yinhong, direttore del dipartimento di politica internazionale all´università Renmin di Pechino e consulente del governo cinese. Sembra assurdo che un test nucleare possa esaltare una popolazione ridotta allo stremo, con gli alimenti razionati, bambini denutriti, l´elettricità che scarseggia anche nella capitale. Ma bisogna essere stati in Corea del Nord per capire in quale "bolla" d´irrealtà vive il paese. La propaganda ossessiva del regime crea una psicosi d´assedio, un orrido remake della guerra fredda, come se un´invasione militare americana fosse imminente. In quel clima la conquista del deterrente nucleare è l´agognata liberazione da un incubo. La tensione bellicosa ora raggiunge il parossismo per compattare la nazione e soffocare le tensioni interne. A 67 anni, il "monarca rosso" Kim è reduce da un ictus. In pochi mesi ha subito una metamorfosi: al posto dell´omino paffuto e rotondo c´è un anziano smagrito, pieno di rughe, con i capelli più radi. Il tempo stringe per la scelta dell´erede al trono. Dietro l´apparente monolitismo il regime ha tre centri di potere: la famiglia Kim, l´esercito, il partito comunista. Alleati finché il leader è solido, forse pronti a entrare in conflitto. L´ultima successione fu lineare. Il fondatore del regime, Kim Il-sung, aveva designato il figlio Kim Jong-il in un congresso del partito nel 1980, ben 14 anni prima di morire. Kim Jong-il invece ha mantenuto l´incertezza. Con ogni probabilità vuole prolungare il principio dinastico. Ma ha tre figli maschi avuti da due donne diverse, nessuna delle quali è la sua consorte ufficiale. Il maggiore è il 37enne Jong-nam. Sembrava il favorito fino a un incidente fatale. Nel 2001 venne fermato dalla polizia dell´aeroporto di Narita mentre cercava di entrare in Giappone con una falsa identità (un improbabile passaporto della Repubblica dominicana): voleva andare a Disneyland-Tokyo. In seguito è stato fotografato nei casinò di Macao. Ora la preferenza di Kim sembra spostarsi sul terzo figlio, il 25enne Jong-un. Un personaggio che può accendere qualche speranza in Occidente: Jong-un ha studiato in una scuola internazionale in Svizzera ed è un fanatico di pop music americana. L´identikit ideale per avviare un futuro disgelo con l´America? Ma i gusti personali possono ingannare. Lo stesso Kim Jong-il possiede una videoteca personale con 20.000 film di Hollywood, colleziona Mercedes, ed è un accanito bevitore di cognac Hennessy Vsop importato dalla Francia. L´edonismo nella vita privata non lo ha reso più malleabile. Se la scelta cadrà sul figlio minore, data la giovane età potrebbe essere affiancato da un "reggente" scelto sempre in famiglia: Chang Song-taek, il 62enne marito della sorella di Kim. Questa successione tutta interna al parentado può suscitare tensioni con i militari. I test nucleari e missilistici servono a rassicurare l´esercito e a tacitare ogni dissenso in un´atmosfera di mobilitazione generale. Solo i cinesi hanno i mezzi per "bucare" la bolla paranoica di Pyongyang. La grottesca messinscena del regime si regge sugli aiuti di Pechino, la fonte di approvvigionamenti energetici e alimentari. Perché alla Cina non conviene farlo? Non ha dubbi Shen Dingli, direttore all´Istituto di studi internazionali dell´università di Fudan: «Per decenni gli Stati Uniti hanno fornito armi a Taiwan, sfidando i nostri interessi vitali. Dal punto di vista strategico noi cinesi non possiamo fidarci di Washington. Qualunque atto che indebolisca un nostro alleato e vicino di casa sarebbe un errore da parte nostra. Questo vale anche per il programma nucleare nordcoreano».

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dal bronx alla corte suprema - vittorio zucconi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 15 - Esteri Dal Bronx alla Corte Suprema Obama sceglie Sonia Sotomayor, la prima ispanica nel tempio della giustizia Usa Donna, liberal e di origine latina: nel 1995 salvò il campionato di baseball VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - Stupendo esempio di donna che non deve nulla alla fortuna e tutto alla propria intelligenza e volontà, Sonia Sotomayor, il giudice scelto dal Presidente Obama per il seggio vacante della Suprema Corte, è l´incarnazione del sogno multietnico americano. Maschi e femmine, belli e brutti, bianchi, neri o "latino", come questa signora divorziata, di sangue portoricano, cresciuta orfana di padre e allevata dalla sola madre nei ghetti del Bronx, dove migliaia di altri giovani sprofondano senza lasciare tracce che non siano nei casellari giudiziari: tutti possono ancora credere, e sperare, di diventare davvero quello che riusciranno a essere quando nascono. In questa America nella quale un presidente afro americano sceglie per la Corte Suprema una donna portoricana. Forse mai, nel ruolino dei 111 magistrati che da due secoli si sono avvicendati sulle 9 poltrone dei giudici cambiando con le loro sentenze la vita della nazione ma riaffermando sempre il principio del "tutti sono uguali davanti alle legge", si era vista una persona più felice di quella piccola, graziosa signora rotondetta di 54 anni che ieri ha ascoltato Barack Obama investirla del sogno di ogni studente di legge. Sotto lo sguardo della madre, Celina, in estasi. E se la Costituzione richiede che la sua promozione sia approvata dalla Commissione Giustizia del Senato e poi dal Senato intero, si poteva capire quanto immensa fosse la felicità di questa donna che a 8 anni si scoprì afflitta da un diabete che ogni giorno la costringe a iniezioni per sopravvivere. Che a 9 anni perse il padre, immigrato da Puerto Rico. Che visse nei "projects", orride case popolari. Che studiò dalle suore cattoliche riuscendo a farsi accettare dalla schizzinosa università di Princeton dove poi studierà anche Michelle Obama e alla facoltà di legge a Yale, dove si laurearono i Clinton. E che oggi si trova a essere la terza donna nella storia dei 111 giudici supremi e la prima ispanica, nominata per quell´incarico. Che sarebbe stata una donna la persona scelta per sostituire il giudice dimissionario, Souter, e per affiancare l´altra donna, Ruth Ginsberg, che si batte contro un cancro al pancreas, era scontato, perché era la scelta più utile per un presidente che calcola ogni mossa con la cura di un giocatore di biliardo. Ma nessuna di loro riassumeva le coordinate politiche e la biografia che ha fatto di Sonia Sotomayor la scelta perfetta e squisitamente obamiana. Moderamente progressista, nelle sue sentenze che hanno sempre difeso le minoranze etniche, e favorirono i giocatori di baseball in sciopero contro il loro presidente nel 1995, donna, quindi implicitamente gradita al decisivo elettorato femminile, e ispanica, si presenta come un osso durissimo da azzannare per la minoranza repubblicana nel Senato, dunque di un partito che disperatamente spera negli immigrati dall´America Latina e Centrale per condurre la propria rimonta e non oserà offenderli. La sola accusa che le prime voci dell´opposizione, azzoppata dall´avere soltanto 40 senatori su 100, è quella di avere detto che «nella pratica la legge viene fatta più dai giudici che dai legislatori». La Sotomayor sarà quindi bollata come giudice "attivista", cosa che sconvolge gli stretti "applicazionisti" da quel 1973 nel quale la Corte Suprema lesse nel diritto alla privacy anche il diritto delle donne a scegliere la maternità. Perché l´aborto, dietro tutte le cortine fumogene e le apparenti dichiarazioni di equilibrio, sarà il terreno sul quale la destra tenterà di fare terra bruciata. Ma sarà la sua storia personale, il tasto sul quale Obama ha insistito per spiegare la propria scelta, «perchè non c´è applicazione della legge che non possa tenere conto della esperienza della vita reale» che renderà la bambina dei ghetti invulnerabile. Se nella furia di ricerche ostili che da ieri frugano in tutta la sua vita e nella attività di giudice federale nominata da Bush e poi di giudice d´appello voluta da Clinton, per trovare la frase, l´incidente, che la possano mettere in imbarazzo, non usciranno scheletri troppo vistosi. Questa "anti velina" che sbarcò a Princeton «pensando di essere arrivata su un altro pianeta» sarà un altro volto nuovo chiamato a rappresentare un´America del potere che finalmente comincia a somigliare a se stessa.

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california, no ai matrimoni gay - arturo zampaglione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 15 - Esteri California, no ai matrimoni gay Ma restano validi quelli già celebrati. Gli omosessuali: "Vergogna" Rabbia per la sentenza: "Adesso promuoviamo un referendum per il 2010" ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - Assediata da due gruppi di manifestanti pro e contro i matrimoni gay, che per tutta la mattinata hanno atteso il verdetto urlando slogan e brandendo cartelli, la Corte suprema della California ha confermato ieri con 6 voti favorevoli e uno contrario la validità del referendum che il 4 novembre dell´anno scorso aveva messo al bando le nozze tra persone dello stesso sesso. La Corte ha però anche convalidato i 18mila matrimoni celebrati da coppie omosessuali tra il giugno e il novembre del 2008, cioè nel breve periodo in cui è rimasta in vigore la legalizzazione di queste unioni. In pratica i gay non potranno più unirsi in matrimonio in California, ma nulla cambierà per quelli che lo hanno fatto l´anno scorso. La sentenza non ha sorpreso gli esperti di diritto, che avevano giù intuito l´orientamento dei giudici e che prevedevano - correttamente - che la Corte non si sarebbe frapposta alla volontà elettorale. Nello stesso giorno di novembre, infatti, in cui i californiani avevano votato per Barack Obama, si erano anche espressi a favore della "Proposition 8", cioè di un emendamento costituzionale di iniziativa popolare che stabilisce che a contrarre un matrimonio possano essere solo un uomo e una donna. In California questo tema è sempre stato un tema molto caldo, anche perché, soprattutto a San Francisco, c´è una nutrita comunità di gay e lesbiche. Che ieri, ovviamente, ha reagito alla sentenza con incredulità e rabbia, organizzando subito un corteo di protesta per le strade del centro al grido di «vergogna» e preannunciando una controffensiva a livello elettorale. L´obiettivo: promuovere nel 2010 un altro referendum per voltare definitivamente pagina. La speranza dei militanti è di far leva sul cambiamento di sensibilità che si registra negli Stati Uniti di Obama. Cinque stati (Massachusetts, Connecticut, Vermont, Maine, Iowa) hanno già legalizzato le unioni gay; altri, come New York e il New Hampshire, prevedono di farlo tra breve; e una conferma del mutato clima viene anche dalla decisione di Hillary Clinton di estendere ai partner dei diplomatici gay gli stessi riconoscimenti di cui godono mogli e mariti. Ad aiutare la nuova campagna per i matrimoni gay in California sarà la convalida dei 18mila già contratti. Organizzazioni religiose e movimenti conservatori avevano cercato di convincere la corte suprema ad annullarli e avevano addirittura assoldato Kenneth Starr, il procuratore speciale anti-Clinton nel caso Lewinski, per esporre le loro motivazioni. Ma i giudici hanno imboccato una strada meno ideologica, arrivando alla conclusione che quelle nozze erano state celebrate in maniera legale. «Il problema non è quello del mio matrimonio, che per fortuna è salvo, ma di continuare la lotta per garantire a tutti gli stessi diritti», ha dichiarato ieri subito dopo la sentenza Jeannie Rizzo, 62 anni, che assieme alla sua partner (e moglie), Polly Cooper, è stata tra le promotrici della battaglia costituzionale.

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tbilisi, l'opposizione in piazza saakashvili: "ma io non lascio" - pietro del re (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri Democrazia Tbilisi, l´opposizione in piazza Saakashvili: "Ma io non lascio" Parla il presidente georgiano: "Contro di me solo slogan" Ho costruito una democrazia, sono finiti i tempi della guerra civile PIETRO DEL RE ROMA - è un´opposizione fisiologica, di cui andrebbe fiera ogni democrazia. Così, il presidente georgiano Mikheil Saakashvili, minimizza le manifestazioni di protesta che da settimane chiedono le sue dimissioni. Ieri, nell´anniversario dell´indipendenza della piccola repubblica caucasica, oltre centomila persone sono scese in piazza a Tbilisi, gridando "Misha vattene" e "Lunga vita alla Georgia senza Saakashvili". Presidente, si direbbe che i georgiani vogliano disfarsi di lei. è così? «Non mi vogliono più quegli oppositori che ieri hanno bloccato la capitale e che chiedono la mia testa. Ma noi li trattiamo con molta più gentilezza di come, per esempio, la polizia italiana trattò gli studenti a Napoli o a Genova nel 2001. Ovunque ci sono battaglie politiche. Non vedo perché non dovrebbe essere così anche in Georgia». Eppure, ieri, la leader dell´opposizione Nino Burdzhanadze, che è anche la più accreditata come prossimo presidente, ha detto che ormai non si parla d´altro che delle sue dimissioni. «Posso garantirle che non parlano d´altro dal giorno della mia elezione, nel lontano 2004, eppure sono ancora al mio posto e i sondaggi mi assicurano ancora una forte maggioranza. Il resto sono soltanto slogan politici. Sono riuscito a costruire nel paese una democrazia simile ai modelli dell´Europa occidentale. Sono lontani i giorni della guerra civile, in cui in Georgia erano tutti armati e ci si ammazzava per le strade». Che cosa risponde a quegli oppositori che le rinfacciano di non saper affrontare la crisi economica? «Che sono falsità». E a coloro che la criticano per aver aggredito l´Ossezia del Sud e perso la guerra contro la Russia? «Mi dica lei che cosa potevamo fare contro duemila carri armati russi? Ad agosto siamo stati invasi dalle stesse truppe che invasero l´Afghanistan nel 1979 e la Cecoslovacchia nel 1968. Ora, sebbene il nostro territorio sia ancora occupato per il venti per cento della sua superficie, la nostra economia è ripartita alla grande. Noi non ci siamo mai arresi, eppure siamo riusciti ad evitare che la Georgia finisse nel caos. La guerra dell´estate scorsa ci ha semmai avvicinato ancora di più all´Europa e alla Nato». L´ex presidente Bush è sempre stato un suo grande sostenitore. Che relazioni intrattiene con Obama? «Bush l´ho incontrato diverse volte, mentre con Obama ancora non ci siamo conosciuti di persona. Ma ho parlato con lui per telefono, e il presidente mi ha garantito l´interesse americano di mantenere una partnership strategica con il mio paese. Per definire le operazioni russe in Georgia, Obama ha usato la parola "invasione", la stessa che usò Reagan riferendosi all´armata rossa in Afghanistan. Sono quindi molto ottimista sulla mia futura amicizia con il nuovo presidente americano». Per quale motivo è in visita a Roma in un momento così delicato per lei? «In Italia sono venuto due o tre volte in veste ufficiale, ma stavolta sono qui per presentare il mio libro Io vi parlo di libertà (edito da Spirali, ndr). Ne approfitterò per parlare del mio paese, poiché non credo gli italiani lo conoscano abbastanza bene».

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ecco il mobbing rosa in ufficio è guerra di eva contro eva - (segue dalla prima pagina) cinzia sasso (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 23 - Cronaca Ecco il mobbing rosa in ufficio è guerra di Eva contro Eva Il 70% delle donne vessate dalle loro superiori L´arma preferita è il pettegolezzo. "La solidarietà femminile? Una fandonia". La Melandri: rifarsi sul più debole è una legge immutabile (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) CINZIA SASSO E dall´altra si fa una guerra feroce perché in quel posto non ci vada un´altra. Raccontata dal New York Times, l´ultima ricerca del Workplace Bullying Institute, ha messo in subbuglio il politically correct che sembrava dominare l´era Obama e ha risvegliato le coscienze delle femministe: studiando le molestie sul lavoro, dati alla mano, l´istituto di ricerca ha concluso che il 40% dei responsabili di mobbing sono donne, ma soprattutto ha scoperto che quando tocca a loro, le donne mobbizzano nel 70% dei casi altre donne. Eva contro Eva, appunto. Ed ecco che è appena tornato nelle librerie d´America, ristampato sette anni dopo la burrascosa prima uscita, «Woman´s Inhumanity to Woman», che in italiano aveva un sottotitolo eloquente: «Rivalità, invidia e cattiverie nel mondo femminile». Un libro scritto da una femminista, che aveva provocato feroci polemiche proprio tra le femministe e che invece oggi, sulla Washington Post, viene accolto come una bella notizia: «Vedere le donne comportarsi come gli uomini non è né più né meno che riconoscere che le donne sono esseri umani». Che somiglia un po´ a quel che dice Lea Melandri, la testimone più lucida del movimento delle donne degli anni ‘70: «Non mi meraviglia affatto, quella di rifarsi sul più debole è una legge fisica immutabile, capitata agli schiavi di tutto il mondo». Che il mobbing sia una questione che ha molto a che fare con il genere è coscienza diffusa: Linda Laura Sabbadini, direttore dell´Istat, racconta di aver appena concluso un´indagine sui soprusi nel mondo del lavoro commissionata dal Ministero delle Pari Opportunità. L´intento, è evidente, era quello di capire se le donne siano vittime più degli uomini; la sorpresa, però, potrebbe stare proprio in questa sfaccettatura. Che del resto non è del tutto nuova. Antonio Vento, professore a La Sapienza di Roma, sta per mandare in libreria un saggio sul «mobbing sociale», cioè sui conflitti tra gruppi sociali simili, e ha dedicato un capitolo alle donne: «Prima - dice - si pensava che le donne venissero molestate dagli uomini; oggi appare chiaro che nelle aziende la conflittualità più pesante è tra donne perché si scatena una lotta di potere interna alla propria categoria». E la solidarietà femminile, la sorellanza di fronte a un nemico comune? «Fandonie - risponde Daniela Cantisani, avvocato, che ha fondato l´Apem, Associazione periti ed esperti di mobbing - la maggioranza dei miei casi riguardano donne vittime di altre donne. Aggrediscono con il pettegolezzo, ingiurie, diffamazioni, utilizzano fatti della vita privata per screditare». E conclude: «Condividere lo stesso ufficio con una donna è spesso un inferno». Che L. T., psicologa che lavora al Comune di Milano, racconta solo oggi, dopo un periodo di analisi, senza che sgorghino le lacrime: «Io e lei eravamo amiche al punto che quando è nata mia figlia è venuta in ospedale a trovarmi; poi quando è diventata la mia capa, sono entrata in un tunnel. Faceva errori e li scaricava su di me; si comportava come un kapò, bisognava obbedire e tacere. Sono stati tredici anni di persecuzione, non dormivo più, non riuscivo a mangiare, sono stata costretta a chiedere il trasferimento». «La maternità - afferma Harolh Ege, che a Bologna ha fondato Prima, associazione nata per dare un aiuto professionale alle vittime del mobbing - è il caso più tipico: quando una donna si permette di avere un figlio, dopo deve pagarla. Soprattutto se il suo capo è una donna che di figli non ne ha avuti». Non si stupisce dei dati nemmeno Susanna Camusso, segretaria della Cgil: «La logica è quella della guerra tra poveri, è chiaro che è più facile mobbizzare posizione deboli che posizioni forti». Dall´America Catalyst, l´istituto non profit che si batte per superare le differenze di genere, prova se non ad assolvere, a giustificare «le cattive»: «Le donne sbagliano qualsiasi cosa facciano: se lo stile di leadership è corretto sono considerate troppo deboli, se copiano gli uomini sono giudicate troppo dure». La strada per trovare «le magiche chiavi del potere», insomma, è ancora lunga.

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"fiducioso su opel, ma è una lotteria" - andrea tarquini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 9 - Economia "Fiducioso su Opel, ma è una lotteria" Marchionne incontra la Merkel. Intesa affianca il Lingotto. Gm, ecco la bancarotta Guttenberg: la proposta italiana è seria Interesse anche dalla Cina ANDREA TARQUINI dal nostro corrispondente BERLINO - E´ il momento della verità: siamo alle ore decisive per il futuro di Opel e quindi per la grande scommessa globale di Fiat. Mentre negli Usa General Motors, casa madre dello storico marchio tedesco, è a un passo dalla bancarotta, a Berlino il negoziato è alla stretta finale. Marchionne ha visto ieri la cancelliera Merkel per un´ora e mezzo. «è stato un incontro costruttivo ma è una lotteria», ha detto. La trattativa prosegue oggi. Magna, il concorrente canadese, sta concludendo un´intesa con il sindacato, sempre più ostile al Lingotto. Entra in scena (oltre a Fiat, Magna e Ripplewood) un quarto contendente, i cinesi di Baic, che promettono due anni senza licenziamenti e chiedono meno garanzie pubbliche. La partita ormai la giocano i politici, avverte il ministro dell´Economia Giulio Tremonti. E si schierano anche le grandi banche europee: IntesaSanPaolo con Torino, Commerzbank con Magna. Per stasera è attesa una decisione preliminare del governo federale, ma non si esclude che ritardi. La decisione finale su Opel spetta come è noto a Gm, che però è sull´orlo dell´amministrazione controllata. Sta fallendo la sua offerta (la scadenza è mezzanotte ora della East Coast americana) agli obbligazionisti, di convertire il 90% dei debiti che Gm ha con loro (27 miliardi di dollari) in titoli. L´azione Gm crolla di minuto in minuto, e il fiasco dell´offerta farebbe scattare il Capitolo 11, cioè l´amministrazione controllata, prima della scadenza del 1ºgiugno posta dall´amministrazione Obama. E il parere di Berlino come si sa è decisivo, perché da Berlino verranno concesse le indispensabili garanzie pubbliche. «E´ stato un colloquio costruttivo», ha detto Marchionne dopo il vertice con la Merkel, «ma è una lotteria, sono in gioco tantissime variabili e non posso stabilire quali siano le probabilità di successo. Sono qui per rispettare le regole del gioco del governo tedesco, stiamo facendo un grandissimo lavoro, abbiamo dato dettagli più specifici sugli stabilimenti e sull´impegno sul sistema produttivo tedesco. spero conti l´economia più della politica». Poi ha visto il vicecancelliere, il socialdemocratico Steinmeier. Un altro dei protagonisti, il ministro dell´Economia zu Guttenberg, incontrava John Elkann. Poi smentiva di aver detto che tutti i piani dei concorrenti sono inaccettabili. «Il piano Fiat non è male, ma sono necessari ulteriori miglioramenti. Nessun concorrente è favorito, c´è movimento ma non abbastanza», ha aggiunto. Marchionne ha anche ridotto la richiesta di garanzie, da 7 a 6 miliardi, e continua a trattare con impegno, «sono fiducioso, facciamo del nostro meglio per portare avanti il progetto». Ma si muovono anche gli altri. Magna offre a IgMetall chiusure in Belgio anziché in Germania, un´intesa è imminente ma i canadesi non vogliono coprire il fondo pensioni. Il capo di IgMetall a Opel, Klaus Franz, secondo cui «Magna è in pole position», ha sparato a zero su Fiat: «Sono arrabbiato, non parla con noi del sindacato, è un atteggiamento provocatorio».

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obama mette fretta ai tedeschi e fiat gioca la carta americana - salvatore tropea (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 9 - Economia Il presidente degli Stati Uniti punta ad incassare entro venerdì la fine del Chapter 11 di Chrysler e l´accordo su Opel Obama mette fretta ai tedeschi e Fiat gioca la carta americana Il finanziamento di Opel da parte delle banche non risolve-rebbe i problemi dell´azienda Per Washington se Fiat è un buon partner di Chrysler può esserlo anche per la casa tedesca SALVATORE TROPEA TORINO - «Spero, penso che sia l´economia a pesare più della politica». Per il rush finale della partita Opel Sergio Marchionne si affida alle coordinate industriali dell´offerta Fiat. E´ convinto che possano essere una garanzia di successo sulle manovre influenzate dalle scadenze elettorali tedesche. Ma sa anche, e lo ammette, che a Berlino è in corso «una lotteria con tantissime variabili in gioco» nella quale si può vincere e si può perdere. Perciò tiene d´occhio anche la politica perché non rimanga nulla di intentato. E la politica alla quale guarda, ancor prima che quella tedesca, è quella degli americani, intesa come le ragioni che possono influenzare le decisioni del governo di Washington sul finanziamento della Gm alla quale fa capo la Opel. Se la Fiat è stato un buon partner per Chrysler può esserlo anche per Opel. Nelle ore che precedono il verdetto del governo tedesco, il Lingotto punta molto su questa equazione della Casa Bianca e mobilita tutti i suoi uomini al di qua e al di là dell´Atlantico. La carta americana è molto importante, forse decisiva, per i torinesi perché li sottrae alle trappole dei rinvii e di un gioco al rialzo al quale Marchionne ha già fatto sapere di non essere interessato. E non è un caso che egli sia andato in America, prima di affrontare la volata di Berlino, sapendo che Angela Merkel avrebbe messo in programma per la giornata di oggi anche un incontro con i vertici della Gm e con i rappresentanti del Tesoro Usa. Nel corso della sua missione lampo in America, l´ad del Lingotto, ha avuto modo di appurare che Barack Obama entro il 31 maggio punta a incassare la chiusura della procedura di Chapter 11 per la Chrysler, e ad assicurarsi che per Opel ci sia un percorso ben definito e perciò tale da non riproporla tra qualche anno con i guai di oggi magari aggravati. Per questo il Lingotto confida che non s´imbocchi la strada della soluzione-ponte se non come misura estrema e con una durata ben definita. Un finanziamento da parte di banche «amiche» per un ammontare quantificato genericamente in 1,5 miliardi di euro, darebbe fiato ma non risolverebbe il problema di un´azienda di fatto ormai fallita. Senza contare che, superata la boa delle elezioni, la Opel potrebbe trovarsi su una strada senza ritorno. La Fiat spinge perciò per una scelta definitiva. E´ quella che sosterrà oggi Marchionne nell´ultimo incontro con la Cancelliera che di suo sembra orientata in questa direzione. Di fronte si troverà le offerte di Magna e di Ripplewood. Stando a quanto si dice a Torino, lui insisterà sul carattere industriale dell´offerta in contrapposizione alla soluzione Magna che ostenta, senza entrare in dettagli, l´appoggio finanziario delle banche russe e un non meglio precisato sostegno di Putin. A chi, nelle concitate ore di questa vigilia, gli chiede se dal governo tedesco si aspetta un si o un no Marchionne risponde: «Non ho la minima idea, sono qui per rispettare le regole del gioco, dipende da loro». Ma aggiunge anche di essere fiducioso «perché stiamo facendo un gran lavoro». Un´affermazione, questa, che negli ambienti del Lingotto viene tradotta con l´orgogliosa rivendicazione della lunga esperienza di Torino nella produzione di automobili. Come dire che la sua offerta ha come principale obiettivo quello di mettere assieme, se sarà possibile anche con Opel, un colosso da sei milioni di vetture all´anno da vendere anche in quei mercati dove oggi l´azienda di Russelsheim non è presente. Un pezzo importante c´è già dal 30 aprile e vale circa 4 milioni di vetture. Al ministro dell´Economia zu Guttenberg - ieri ha avuto un incontro anche col vicepresidente della Fiat John Elkann - che continua a sollecitare «miglioramenti» dell´offerta, attraverso le sue dichiarazioni, Marchionne risponde che questo è stato fatto. In realtà la Fiat ha abbassato da 7 a 6 miliardi di euro l´entità delle garanzie pubbliche, ha ritoccato al ribasso i tagli, lasciando aperta solo la questione delle quote azionarie, un´operazione sulla quale si potrà trovare un accordo, com´è avvenuto con Chrysler, quando sarà possibile definire meglio la costruzione della newco nella quale far convergere Fiat, Chrysler e Opel.

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- pietro del re (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 41 - Esteri Il presidente Usa "premiato" per la sua svolta radicale nella politica scientifica Due le donne: l´antropologa Eugenie Scott e Wafaa El-Sadr che si batte contro l´Aids PIETRO DEL RE Tra i tanti benefattori che lavorano alacremente per migliorare il futuro dell´umanità, dieci ci riescono meglio di altri. Sono insegnanti, medici, ricercatori, filantropi e industriali che sognano un mondo nuovo, più verde e più compassionevole, e che per realizzarlo si adoperano con determinazione, sapere e fantasia. Grazie al loro operato, una fetta sempre più larga di uomini e donne può già beneficiare delle nuove tecnologie e delle ultime scoperte scientifiche, poiché non basta trovare un farmaco miracoloso, bisogna anche produrlo e distribuirlo là dove ce n´è più bisogno. La lista di questi eroi è stata compilata dalla rivista Scientific american: tra loro si contano soprattutto biologi e fisici, ma anche un politico, il presidente Obama, perché la sua "rivoluzione ecologica" è stata così immediata ed eclatante che i suoi effetti si potranno misurare «perfino sulle future generazioni». Uno di loro, il pediatra trentottenne Kristian Olson, ha appena fabbricato un´incubatrice per neonati con pezzi di automobile, per far sì che sia possibile ripararla anche nelle regioni più povere. Un altro, Andras Nagy, biologo del Mount Sinai Hospital di Toronto, è riuscito a trasformare cellule mature nell´equivalente di cellule staminali, risolvendo controversie etiche e fornendo alla ricerca uno prezioso materiale a basso costo. Un terzo, Bryan Willson, professore di Ingegneria alla Colorado State University, ha disegnato forni ecologici che consentono alle famiglie più povere dell´India o delle Filippine di cuocere alimenti risparmiando sul carburante e inquinando l´atmosfera molto meno di una volta. Quanto a Shai Agassi, fondatore dell´azienda "Better place", grazie alle sue batterie al litio, ha già reso le auto elettriche una realtà. Wafaa El-Sadr, direttrice dell´Infectious Disease Division all´Harlem Hospital Center, si batte invece da anni per contenere la pandemia di Aids nell´Africa sub-Sahariana. In quell´angolo sfortunato del pianeta, questa signora di origini egiziane cerca di impedire che la malattia si trasmetta dalle madri ai figli e di fornire le terapie anti-virali ad almeno un paziente su dieci. C´è anche un´altra donna tra i dieci prescelti. è l´antropologa Eugenie Scott, che si definisce "la golden retriever di Charles Darwin", parafrasando Thomas Henry Huxley, il biologo che nell´Ottocento si fece difensore delle teoria dell´evoluzione e che per questo motivo divenne "il bulldog di Darwin". Il merito della Scott è stato di evitare che il darwinismo fosse tolto dal programma delle scuole statunitensi a favore del cosiddetto "creazionismo", quella pseudo-scienza che vuole a tutti i costi conciliare biologia, geologia e religione. Per fronteggiare i disastri provocati dal fumo due giganti hanno unite le loro forze: il creatore della Microsoft Bill Gates e il sindaco di New York e magnate Michael Bloomberg. Per finanziare la loro guerra al tabacco hanno già sborsato 375 milioni di dollari. Soldi che servono a educare i ragazzi nelle scuole sui danni della sigaretta, ad aiutare chi vuole smettere di fumare e a stabilire nuove strategie politiche per contenere il flagello. Barack Obama, infine. Il presidente è stato inserito tra i dieci facitori di miracoli per aver posto le problematiche legate al cambio del clima al centro della sua agenda politica e per aver nominato alcuni scienziati - come il fisico John Holdren e la biologa marina Jane Lubchenco - a posti chiave della sua amministrazione. Come se non bastasse, lo scorso marzo Obama ha liberato la ricerca sulle cellule staminali e promosso nuove leggi per proteggere il lavoro degli scienziati. Tutto questo, poche settimane dopo aver giurato da presidente.

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la rivista "scientific american" ha stilato la lista delle personalità più impegnate per migliorare il futuro tra loro, medici e ricercatori, ma anche barack obama, bill gates e il (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 41 - Esteri La rivista "Scientific american" ha stilato la lista delle personalità più impegnate per migliorare il futuro Tra loro, medici e ricercatori, ma anche Barack Obama, Bill Gates e il sindaco di New York Michael Bloomberg

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da adriano alla thatcher ecco l'arte del comando - giancarlo bosetti (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 46 - Cultura DA ADRIANO ALLA THATCHER ECCO L´ARTE DEL COMANDO A Nixon è mancata l´intelligenza contestuale, nel suo gruppo non si affacciavano dubbi Per essere credibili se si è numeri uno si può dire solo qualche volta "qui si fa come dico io" Forza, seduzione. Dall´antichità a oggi le qualità per arrivare al potere Un saggio di Joseph Nye sulla fenomenologia storica del capo GIANCARLO BOSETTI La buona notizia per partiti ed elettori in cerca di una leadership vincente è che si tratta di una cosa che si può imparare. Quella cattiva è che ci vuole del tempo, a meno che il candidato non abbia un prorompente talento naturale. Lo spiega con tanti esempi Joseph Nye, politologo di Harvard, già nell´amministrazione di Bill Clinton, al Pentagono come vicesegretario alla Difesa, nel suo Leadership e potere (Laterza pagg. 224, 15 €). Si vede il talento da leader? Difficile sbagliarsi, anche se non c´è una teoria generale. Obama quando è stato attaccato per il suo imbarazzante legame con il reverendo Jeremiah Wright e le sue prediche violente, radicali, che giravano sul web – un fatto che da solo stava per liquidare la sua corsa alla Casa Bianca – ha rovesciato la situazione con un discorso che ha fatto della questione razza un punto di forza della sua candidatura. Quel genere di talento sa mescolare retorica, persuasione, storie tratte dalla propria vita, intelligenza emotiva, intelligenza contestuale, senso del tempo, visione progettuale, carisma… E quando si arriva alla parola «carisma» ci si deve arrendere alla formula canonica di Max Weber: è quella qualità di un individuo che lo eleva sopra le persone comuni e lo «legittima» in ragione di un acume e di un successo che suscitano l´obbedienza dei seguaci. Non c´è una regola che spieghi chi e come diventi un capo: sia i leader democratici che quelli totalitari hanno caratteristiche contraddittorie. Nye descrive non i precetti sul «come si diventa», ma la fenomenologia storica del «come hanno fatto» in modo da individuare virtù ed errori. Prendiamo una dote più diffusa rispetto al talento, raro, di Obama: quella della predisposizione per le «amicizie superficiali», impegnative perché devono essere tante e devono apparire autentiche. Fondamentale in un leader è ricordare volti, nomi, erogare simpatia personalizzata, non solo stringere le mani, ma «fare del mondo una tabula rasa sulla quale», come scriveva la Yourcenar immedesimandosi nell´imperatore Adriano, in quel momento «non esiste che il tale banchiere, il tale veterano, la tale vedova», pensare per qualche minuto davvero «al loro problema», appartenere completamente a ciascuno durante la breve durata dell´udienza. Il difficile delle «amicizie superficiali» è che l´altro ti deve pensare come «intimo» e per questo occorre che il leader sappia rievocare un precedente incontro con dettagli che garantiscano la sincerità del ricordo. La «dote di Adriano» è programmatica in Berlusconi, che la applicava fin dall´inizio come leader aziendale: raccontava alle conventions di quando passava i sabati a visitare i dipendenti malati negli ospedali. La «dote di Adriano» – Nye non la chiama così, ma possiamo considerarla affine al suo «soft power» – ce l´aveva anche Clinton, simpatico e seducente con tutti, al punto che, diventato presidente ne ebbe un contraccolpo, a causa di una drastica riduzione dei tempi, che lasciò delusi tanti degli «intimi». Clinton però figura nella rassegna di Nye soprattutto perché di fronte allo scandalo Lewinski riuscì a gestire con maestria la separazione tra morale pubblica e morale privata. Operazione che invece non era riuscita a Nixon con i nastri del Watergate, perché privo di quella che si può chiamare «intelligenza contestuale», ovvero del senso della realtà «là fuori». Nel suo entourage quotidiano non si affacciavano dubbi: «Se lo fa il presidente vuol dire che non è illegale». La mancanza di integrità personale può spingere su una brutta china, senza freni fino al disastro. Qualche somiglianza con l´idea nixoniana di un potere senza limiti ce l´ha avuta anche la condotta di Bush e Cheney nella lotta al terrorismo. La «dote di Adriano» era invece del tutto assente nella Thatcher, che era prepotente nei modi e scorbutica. Molto più dolce di lei John Major, che la sostituì, però perse le elezioni. Quindi non c´è un metodo che garantisca il leader vincente, se vi rientrano casi così distanti come Clinton e la Thatcher. Di sicuro non conta solo l´aspetto soft del potere; le vie della leadership sono sia morbide che hard, dure. La leadership ha bisogno della carota, ma anche del bastone: e la somma dei due, «soft più hard» – è la formula di Nye – fa il potere «smart», ovvero intelligente, brillante, capace di fare centro. Un abile leader sa individuare il giusto dosaggio di dolcezza e autorità, sia in politica che nelle aziende, e deve combinare la guida del gruppo con la capacità di farsi da esso influenzare. Celebre il detto di Mirabeau: «La folla va di là, devo seguirla perché sono il suo capo». Ma un capo ha da essere anche «trasformativo», non solo «transazionale». Quanto l´uno e quanto l´altro? Dipende naturalmente dal contesto. Nye propone la battuta di un manager americano: «Quando si è a capo della General Electric, vi sono da sette a dodici occasioni all´anno in cui bisogna dire: "qui si fa come dico io". Se lo fai diciotto volte i migliori se ne vanno. Se lo fai soltanto tre volte, l´azienda cade a pezzi». In questo genere di testi l´italiano più citato è sempre Machiavelli, che consigliava al principe di preferire il lato hard del potere, quando proprio non si poteva «accozzare insieme» i due aspetti: «…è molto più sicuro essere temuto che amato». Quanto ai leader del centrosinistra dell´ultima stagione, se vogliamo applicare le categorie di Nye, Prodi aveva uno stile consultivo e morbido con i seguaci, i quali erano però troppo variopinti e divisi per produrre un risultato efficace. Avrebbe forse usato, potendo, il bastone (hard), ma non glielo lasciavano fare. Gli altri, D´Alema (vocazione hard), Veltroni e Rutelli (vocazione soft) hanno cercato il punto di equilibrio vincente senza trovarlo, se non per brevi periodi. A favore della funzione dinamica della durezza vi sono varie testimonianze: spesso i «grandi intimidatori» sono baciati dal successo. A Silicon Valley assicurano che gli innovatori sono persone «estremamente sgradevoli» e che Larry Ellison, Steve Jobs e Bill Gates non sono famosi per la loro gentilezza. Tra i leader politici capacità trasformative ha avuto indubbiamente Blair, che ha saputo mutare il clima generale nel suo paese, un leader soft per le sue virtù seduttive (nei confronti dell´opinione pubblica): capo indiscusso e anche maestro di spin-doctoring, capace di cancellare dalla scena per un decennio i conservatori. Più consultiva la Merkel (guida una coalizione), ha cominciato con molta circospezione, risalendo la corrente delle molte critiche, e poi però si è consolidata, diventando autorevole; dal soft si è spostata verso il lato duro del potere. Reagan, invece, secondo Nye, ha seguito gli eventi più che guidarli (soft); Gorbaciov è stato un leader trasformativo – di più non si poteva – ma malgré soi, come chi tira un filo per correggere un difetto del maglione e finisce per disfarlo (lavoro hard, ma involontario). E Sarkozy? Una carriera da duro indubbiamente: ora in tempi di crisi potrebbe sbattere contro conflitti insuperabili, l´equilibrio smart si fa più difficile. Ricoprire una carica di leader, assicura Nye, è come avere una licenza di pesca, non assicura che porti a casa il pesce.

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barack obama e bill gates nella top ten dei benefattori (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 37 - R2 PIETRO DEL RE La ricerca Barack Obama e Bill Gates nella top ten dei benefattori SEGUE A PAGINA 41

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La Corea del nord lancia il terzo missile e minaccia Seul: "Pronti a colpire" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

PYONGYANG - La sfida della Corea del Nord alla comunità internazionale non si ferma. Oggi Pyongyang ha effettuato un nuovo lancio di missile a corto raggio, all'indomani del lancio di altri due. E ha minacciato una risposta militare alla Corea del Sud dopo la decisione di Seul di aderire alla Proliferation Security Initiative (Psi), dichiarandosi di non sentirsi più legata all'armistizio del '53. Intanto i satelliti spia americani hanno accertato che è ripartito l'impianto nucleare -2. L'agenzia sudcoreana Yonhap, citando una fonte anonima del governo di Pyongyang, ha riferito che il lancio del nuovo missile a corto raggio è avvenuto dalla costa orientale verso il Mar Giallo. Il quotidiano sudcoreano Chosun Ilbo, citando una fonte anonima del governo di Seul, ha riferito che un satellite spia statunitense ha rilevato vapore uscire da un impianto nucleare a Yongbyon, generati dalla struttura di lavorazione del plutonio che si trova a 80 chilometri da Pyongyang. La Corea del Nord aveva già annunciato di aver riavviato le operazioni di ritrattamento del combustibile atomico a Yongbyon, in segno di protesta verso la condanna dell'Onu per il lancio del missile-satellite effettuato il 5 aprile scorso, che secondo i servizi Usa e sudcoereani era però il test di un nuovo missile nucleare. L'ultimo atto della sfida al mondo è la dichiarazione di Pyongyang non sertirsi più legata all'armistizio del 1953, siglato alla fine della guerra di Corea. La notizia è stata diffusa dalla Kcna, l'agenzia ufficiale del regime. E' la risposta alla decisione del vicino di aderire all'iniziativa lanciata nel 2003 da George W. Bush per interdire il trasferimento di tecnologie e armi di distruzione di massa. Il regime di Kim Jong-il ha diramato una nota per avvertire che risponderà "immediatamente e con forti misure militari" ad una eventuale decisione del Sud di fermare e ispezionare navi nordcoreane. OAS_RICH('Middle'); Finora la reazione della comunità internazionale è stata ferma ma non sostanziale. Il Tesoro americano, dopo le dure parole di Obama sulle "conseguenze" inevitabili delle azioni di Kim, ha reso noto che sono allo studio nuove sanzioni al Paese, dove già vige un regime di isolamento assoluto imposto dal regime e la popolazione vive nella totale privazione dei beni di consumo più comuni. Ma il gruppo di lavoro dell'Onu incaricato di formulare una nuova risoluzione ha annunciato ieri sera che "occorre ancora del tempo" per arrivare a un pronunciamento definitivo. (27 maggio 2009

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Amnesty, poveri indifesi dalla crisi Italia all'indice per i respingimenti (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

LA CRISI globale non causa soltanto fame e malattie, serve ad alimentare "un barile di miscela esplosiva composta di disuguaglianza, ingiustizia e insicurezza". E "la miscela sta per esplodere". È quanto denuncia il rapporto annuale di Amnesty International, che accusa i governi mondiali di aver messo mano al portafoglio con tempismo per salvare le banche e per finanziare pacchetti di stimolo alle economie, ma di non aver fatto altrettanto per tutelare le fasce più deboli dagli effetti drammatici della recessione. Ancora una volta l'organizzazione per la salvaguardia dei diritti umani, Nobel per la pace nel 1977, punta il dito contro i Paesi che compongo il G20, quelli che hanno le economie più forti e dovrebbero per questo essere di esempio. Quei Paesi, dice Amnesty ancora una volta, non sono in grado di indicare la direzione e anzi, pensano più al profitto dei pochi che ai diritti dei molti. "Vediamo crescere i segnali di scontro e di violenza politica, che si aggiungono all'insicurezza globale già esistente a causa di quei conflitti morali che la comunità internazionale non sa o non vuole risolvere", sostiene la ong. "Negli ultimi due decenni, lo stato ha fatto un passo indietro rispetto ai propri obblighi in materia di diritti umani (se non li ha addirittura rinnegati) in favore del mercato - scrive nell'introduzione al Rapporto annuale 2009 Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International - nella convinzione che la crescita economica avrebbe imbarcato tutti a bordo". Per Irene Khan non è ancora possibile, nonostante i dati del 2008 contenuti nel rapporto siano allarmanti, stabilire quale sarà l'impatto complessivo della dissolutezza di questi ultimi anni, ma "è chiaro che il costo e le conseguenze della crisi economica gettano un'ombra minacciosa sui diritti umani". OAS_RICH('Middle'); Meno risorse, meno lavoro, cibo e acqua potabile scatenano tumulti, proteste, violenze. Amnesty denuncia come in molti Paesi alle legittime richieste delle fasce più deboli le risposte siano state la repressione e le incarcerazioni arbitrarie. I governi hanno tagliato le risorse per le politiche sociali, accrescendo disuguaglianza e insicurezza e l'aumento della disoccupazione ha reso ancora più drammatica la situazione dei migranti, accolti da razzismo e xenofobia. "Dietro alla crisi economica si cela un'esplosiva crisi dei diritti umani" - ha dichiarato Christine Weise, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International - La recessione ha aggravato le violazioni dei diritti umani, distolto l'attenzione da esse e creato nuovi problemi. Prima, i diritti umani erano messi in secondo piano in nome della sicurezza, ora in nome della crisi economica". Il caso italiano. Per Amnesty International in Italia i diritti e l'incolumità di migranti e richiedenti asilo sono a rischio e i Rom sono oggetto di discriminazione e razzismo. Sebbene il rapporto annuale si riferisca ai dati del 2008, la scheda sul nostro Paese denuncia i respingimenti di migranti del mese scorso. "Venendo meno a una politica che le ha viste spendersi per la salvezza di vite umane nel Mediterraneo - accusa Amnesty - nel 2009 le istituzioni italiane hanno mancato ai principi fondamentali dei diritti umani mentre esercitavano le proprie funzioni in mare". Ancora una volta si punta il dito contro le condizioni delle persone rinchiuse a Lampedusa e si guarda con preoccupazione alle norme contenute nel pacchetto sicurezza che "lungi dal rappresentare una pianificazione chiara e comprensibile della politica sull'immigrazione, hanno un impatto pericoloso sui diritti umani". In particolare, Amnesty sottolinea come alcune norme, se approvate, possano "produrre un'allarmante conseguenza sui diritti umani dei migranti irregolari. Costretti dalla minaccia incombente di una denuncia da parte di ogni pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, essi sarebbero indotti a sottrarsi dall'incontro con ogni tipo di istituzione e ufficio pubblico, tenendosi alla larga da ospedali, scuole, uffici comunali, con immaginabili conseguenze sul diritto alla salute, all'istruzione per i figli, alla registrazione dei nuovi nati". Il rapporto annuale 2009 denuncia ancora una volta che a distanza di 20 anni dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura (Cat) in Italia non esiste uno specifico reato di tortura nel codice penale. Il nostro Paese non ha meccanismi di prevenzione della tortura e dei maltrattamenti e i pubblici ufficiali nell'esercizio delle proprie funzioni che si rendono colpevoli di tali reati vengono perseguiti attraverso figure di reato ordinarie (lesioni, abuso d'ufficio, falso) e puniti con pene non adeguatamente severe, o non puniti affatto per la prescrizione. Amnesty fa esplicito riferimento ai fatti di Genova e alle sentenze relative emesse nel luglio e nel settembre 2008, sottolineando che proprio la lacuna nel nostro codice penale farà sì che "è improbabile che i funzionari e gli agenti imputati sconteranno le condanne, a causa dell'intervento della prescrizione. In questi anni la ricerca della verità non è stata agevolata dalle istituzioni coinvolte, né nell'ambito dei processi, né attraverso l'istituzione di strumenti di monitoraggio, quali una commissione indipendente o di una commissione parlamentare d'inchiesta". Infine, come già fatto negli ultimi due anni, Amnesty richiama l'Italia e gli altri Paesi europei a fare luce sul caso delle rendition illegali, che non sono ancora state condannate pubblicamente. Il nuovo cammino americano e l'Europa. Amnesty riconosce agli Stati Uniti di Obama un'inversione di tendenza rispetto alla politica di Bush, ma si aspetta ancora molto. Se da un lato nel rapporto 2009 si plaude alla chiusura di Guantanamo e alla presa di posizione sulla tortura, da Obama ci si aspettano "franchezza e forza" nel chiedere "il rispetto dei diritti umani a paesi come Israele e Cina, così come sta facendo verso altri, quali Sudan e Iran". "L'impegno dell'Unione europea sui diritti umani resta ancora ambiguo - osserva Amnesty - Determinati su temi come la pena di morte, la libertà d'espressione e la protezione dei difensori dei diritti umani, gli Stati membri si mostrano meno intenzionati a rispettare gli obblighi internazionali in materia di tutela dei rifugiati e di eliminazione di razzismo e discriminazione al proprio interno, così come ad ammettere le proprie collusioni col programma Cia di consegne straordinarie di sospetti terroristi". Alcune cifre. Il Rapporto annuale 2009 (pubblicato in Italia da EGA Editore) fornisce una panoramica globale sulla situazione dei diritti umani nel mondo e contiene capitoli su oltre 150 paesi, oltre a documentare l'azione di Amnesty International nel 2008 per promuovere il rispetto dei diritti umani e contrastare le violazioni. Il dato sconcertante è che sulle cifre totali delle varie violazioni di diritti umani, un'ampia percentuale spetti ai Paesi del G20, quelli che, come si diceva in apertura, dovrebbero dare il buon esempio. Nel rapporto sono descritte limitazioni alla libertà di espressione in almeno 81 paesi e la messa a morte di almeno 2390 prigionieri in 25 paesi. Il 78 per cento delle esecuzioni ha avuto luogo nei paesi del G20, dove sono state riscontrate anche il 47 per cento delle esecuzioni extragiudiziali, od omicidi illegali, commessi in oltre 50 paesi. Torture e altre forme di maltrattamento sono state compiute, nel corso degli interrogatori, in circa 80 paesi, il 79% nei paesi del G20. Processi iniqui sono stati celebrati in circa 50 paesi, ancora una volta il 47% di essi nel gruppo dei G20. Altissima la percentuale di prigionieri sottoposti a periodi di detenzione prolungata, spesso senza accusa né processo, nei Paesi ricchi, il 74% su 90 totali. Persone che chiedevano asilo politico sono state respinte da almeno 27 paesi verso stati in cui sono andate incontro ad arresti, torture e morte; obiettori di coscienza sono finiti in carcere in almeno 50 paesi. Almeno 24 Paesi hanno eseguito sgomberi forzati e deportazioni. Questi i casi documentati, ma Amnesty mette in guardia che le cifre possono essere molto più alte. La campagna per la dignità. La presentazione del rapporto annuale serve anche per lanciare una nuova campagna di mobilitazione dell'opinione pubblica. Con lo slogan "Io pretendo dignità", Amnesty vuole infatti chiedere conto a livello nazionale e internazionale delle violazioni dei diritti umani che conducono alla povertà e la acuiscono. "Oggi noi pretendiamo dignità per i prigionieri della povertà, affinché possano cambiare la loro vita" è il progetto che Amnesty, nata quasi 50 anni fa per chiedere il rilascio dei prigionieri di coscienza. Per ottenere tale dignità la ong intende chiedere responsabilità a governi, imprese e istituzioni finanziarie internazionali; l'accesso ai diritti e ai servizi essenziali per la dignità umana senza discriminazione e la partecipazione attiva delle persone che vivono in povertà e dei loro rappresentanti alla lotta contro la povertà. (27 maggio 2009

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Filantropi, scienziati, politici (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

i 10 benefattori dell'umanità Tra i tanti benefattori che lavorano alacremente per migliorare il futuro dell'umanità, dieci ci riescono meglio di altri. Sono insegnanti, medici, ricercatori, filantropi e industriali che sognano un mondo nuovo, più verde e più compassionevole, e che per realizzarlo si adoperano con determinazione, sapere e fantasia. Grazie al loro operato, una fetta sempre più larga di uomini e donne può già beneficiare delle nuove tecnologie e delle ultime scoperte scientifiche, poiché non basta trovare un farmaco miracoloso, bisogna anche produrlo e distribuirlo là dove ce n'è più bisogno. La lista di questi eroi è stata compilata dalla rivista Scientific american: tra loro si contano soprattutto biologi e fisici, ma anche un politico, il presidente Obama, perché la sua "rivoluzione ecologica" è stata così immediata ed eclatante che i suoi effetti si potranno misurare "perfino sulle future generazioni". Uno di loro, il pediatra trentottenne Kristian Olson, ha appena fabbricato un'incubatrice per neonati con pezzi di automobile, per far sì che sia possibile ripararla anche nelle regioni più povere. Un altro, Andras Nagy, biologo del Mount Sinai Hospital di Toronto, è riuscito a trasformare cellule mature nell'equivalente di cellule staminali, risolvendo controversie etiche e fornendo alla ricerca uno prezioso materiale a basso costo. Un terzo, Bryan Willson, professore di Ingegneria alla Colorado State University, ha disegnato forni ecologici che consentono alle famiglie più povere dell'India o delle Filippine di cuocere alimenti risparmiando sul carburante e inquinando l'atmosfera molto meno di una volta. OAS_RICH('Middle'); Quanto a Shai Agassi, fondatore dell'azienda "Better place", grazie alle sue batterie al litio, ha già reso le auto elettriche una realtà. Wafaa El-Sadr, direttrice dell'Infectious Disease Division all'Harlem Hospital Center, si batte invece da anni per contenere la pandemia di Aids nell'Africa sub-Sahariana. In quell'angolo sfortunato del pianeta, questa signora di origini egiziane cerca di impedire che la malattia si trasmetta dalle madri ai figli e di fornire le terapie anti-virali ad almeno un paziente su dieci. C'è anche un'altra donna tra i dieci prescelti. E' l'antropologa Eugenie Scott, che si definisce "la golden retriever di Charles Darwin", parafrasando Thomas Henry Huxley, il biologo che nell'Ottocento si fece difensore delle teoria dell'evoluzione e che per questo motivo divenne "il bulldog di Darwin". Il merito della Scott è stato di evitare che il darwinismo fosse tolto dal programma delle scuole statunitensi a favore del cosiddetto "creazionismo", quella pseudo-scienza che vuole a tutti i costi conciliare biologia, geologia e religione. Per fronteggiare i disastri provocati dal fumo due giganti hanno unite le loro forze: il creatore della Microsoft Bill Gates e il sindaco di New York e magnate Michael Bloomberg. Per finanziare la loro guerra al tabacco hanno già sborsato 375 milioni di dollari. Soldi che servono a educare i ragazzi nelle scuole sui danni della sigaretta, ad aiutare chi vuole smettere di fumare e a stabilire nuove strategie politiche per contenere il flagello. Barack Obama, infine. Il presidente è stato inserito tra i dieci facitori di miracoli per aver posto le problematiche legate al cambio del clima al centro della sua agenda politica e per aver nominato alcuni scienziati - come il fisico John Holdren e la biologa marina Jane Lubchenco - a posti chiave della sua amministrazione. Come se non bastasse, lo scorso marzo Obama ha liberato la ricerca sulle cellule staminali e promosso nuove leggi per proteggere il lavoro degli scienziati. Tutto questo, poche settimane dopo aver giurato da presidente. (27 maggio 2009

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Marchionne fiducioso (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 27/05/2009 - pag: 1 Trattativa Fiat-Opel Marchionne fiducioso «Ma è una lotteria» di DANILO TAINO E' il giorno delle grandi decisioni sul destino della Opel. I rappresentanti di Fiat, Magna e Ripplewood saranno sentiti separatamente dai politici tedeschi, dai delegati dell'americana General Motors (Gm) e dagli inviati di Barack Obama a Berlino. Ieri Marchionne dopo oltre un'ora di faccia a faccia con la Merkel ha detto: è una lotteria, ma sono fiducioso. Intanto è arrivata anche una proposta della cinese Baic, che ha promesso di non tagliare neppure un posto di lavoro. A PAGINA 5 de Feo, Polato, Stringa

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Gm al capolinea Il 70% a Obama Sindacati nel board (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 27/05/2009 - pag: 5 La trattativa a Detroit Gm al capolinea Il 70% a Obama Sindacati nel board MILANO Comunque vada a finire, amministrazione controllata o no, ci sarà sempre un po' di vecchia Germania nella nuova (e ristrutturata) Gm. E si chiamerà cogestione, uno dei pilastri del modello renano che apre ai lavoratori le porte delle stanze dei bottoni e del management. Il gruppo di Detroit, infatti, concederà al (creditore) fondo Veba del sindacato United Auto Workers il 17,5% delle azioni della società ristrutturata, seguendo la strada già battuta da Chrysler, e 6,5 miliardi di dollari di titoli privilegiati più 2,5 miliardi di dollari in obbligazioni, per la copertura dei costi sanitari dei dipendenti in pensione; e, dulcis in fundo, il sindacato potrà nominare un componente del consiglio di amministrazione del gruppo, secondo quanto annunciato dall'emittente Cnbc. Le notizie sono arrivate nel bel mezzo della gara a quattro sulla controllata tedesca Opel, per cui è in corsa Fiat. Ma, soprattutto, a poche ore da quella che a Detroit è diventata la «deadline» per eccellenza: a mezzanotte (il primo mattino di oggi in Italia) scade il termine concesso ai creditori per convertire i propri titoli in azioni. Le adesioni, qualche ora prima della scadenza dell'offerta, sono scarse, ben lontane dal tetto del 90% fissato dalla casa americana per il successo dell'operazione: senza la conversione di almeno 24 dei circa 27 miliardi di debito non garantito, ha avvertito Gm, il gruppo automobilistico sarà costretto a fare ricorso al Chapter 11, una sorta di amministrazione controllata o fallimento pilotato, con pesanti ricadute sull'occupazione. I creditori che avrebbero aderito finora allo swap (ritenuto poco conveniente da alcuni analisti) sarebbero soprattutto investitori retail. In ogni caso, c'è chi è convinto che anche con il 100% delle adesioni il Chapter 11 sarebbe inevitabile. Da parte sua la Casa Bianca ha però ribadito che per Washington è il primo giugno, e non oggi, la scadenza per entrare in amministrazione controllata: quel giorno verrà a scadere un bond da 1 miliardo che la casa automobilistica ha dichiarato di non poter onorare. Ma, Chapter 11 o no, non si sono fermati i tavoli a tre (azienda-sindacati-Casa Bianca) per garantire un futuro, quali che siano le sue dimensioni, all'ex gloria storica del capitalismo Usa. Si parla di nuovi finanziamenti pubblici. E secondo gli ultimi accordi sono previste nuove offerte per facilitare i prepensionamenti, come assegni da 20 mila dollari e buoni acquisto di vetture Gm da 25 mila dollari. Con esborsi che, singolarmente, potranno anche superare i 100 mila dollari. Gm, inoltre, dovrebbe entrare in possesso di cinque stabilimenti che appartengono al fornitore Delphi. E, in caso di amministrazione controllata, si parla di cessione degli asset buoni a una nuova società controllata dal governo, che dovrebbe poi uscire dal Chapter 11 entro l'autunno. Per traghettare Gm dalla crisi alla ripresa il Tesoro potrebbe stanziare, secondo il New York Times, circa 50 miliardi di dollari, dopo aver già sborsato dall'inizio dell'anno 19,4 miliardi. Ottenendo in cambio il 70% della nuova Gm. Giovanni Stringa gstringa@corriere.it

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Così la Fiat negozia ancora (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 27/05/2009 - pag: 5 Retroscena La missione di John Elkann a Berlino, l'appoggio delle banche Così la Fiat negozia ancora «Pronti, ma non a tutti i costi» MILANO Anche per Chrysler aveva parlato di «biglietto della lotteria». Un biglietto che poi si era rivelato vincente. Ma là, Stati Uniti, le regole erano precise. Qui, Germania, se di «lotteria» si tratta è perché «in campo ci sono tantissime variabili ». E quella industriale rischia alla fine di non essere la principale. Sergio Marchionne andrà fino in fondo, la carta che gioca resta l'unico progetto di integrazione strategica sul tavolo Opel e, probabilmente, nel finale di partita potrà contare sull'appoggio della task force americana, conquistata proprio con Chrysler e proprio a base di tecnologia e asset industriali. Il piano Fiat ha però precisi paletti di sostenibilità economica, per l'una e per l'altra azienda. Marchionne ha già fatto delle concessioni. Resta flessibile (e infatti rimane a Berlino per il «giro» finale). Ma molto oltre, soprattutto se in risposta ad altre logiche, non intende andare. Difficile dire cosa segnasse, ieri sera, il barometro. Certo, dal faccia a faccia in Cancelleria era uscito con parole di apprezzamento per Angela Merkel: «Incontro costruttivo», l'ha definito. «Spero», anzi correzione immediata, e in questo caso non solo in omaggio alla diplomazia «penso che sia l'economia a pesare più della politica». Marchionne doveva però ancora vedere il vicepremier Frank-Walter Stenmeier, capofila del forte schieramento sin dall'inizio apertamente pro-Magna. E fino a oggi, quando il governo tedesco si incontrerà con la task force di Barack Obama e con i vertici di Gm per una decisione congiunta, sarà complicato per chiunque scommettere su quale direzione prenderà il «pendolo Opel». Di sicuro non lo fa lui. Che anzi si infastidisce, con chi la mette in termini da bookmakers: «Sono fiducioso perché stiamo facendo un grandissimo lavoro. Ma non stiamo scommettendo: facciamo del nostro meglio e cerchiamo di portare avanti un progetto. Se sono qui è per tentare di chiudere seriamente un accordo. Se ci riusciremo bene, sennò riprendo l'aereo per tornare». E questo è il punto. Al Lingotto non mancano le cose da fare: Chrysler da rivoltare come avvenne per Fiat cinque anni fa, l'Italia a sua volta in attesa di un piano industriale, due gruppi pur sempre da integrare. E sì, Opel sarebbe il completamento del cerchio, quel «matrimonio perfetto » che è l'obiettivo finale. Non però a qualsiasi costo. Torino ha già migliorato la propria offerta e tra l'altro, come conferma lo stesso Marchionne, «abbiamo dato maggiori dettagli sul sistema produttivo tedesco e abbassato la somma delle garanzie statali: da sette miliardi a sei» (da restituire in quattro anni, secondo indiscrezioni, contro i cinque di Magna, che a differenza di Fiat non si accollerebbe il debito pensionistico di Opel). Ora, però, la «serena e fiduciosa attesa» di cui parlavano ieri sera i vertici del Lingotto (Marchionne e John Elkann da Berlino, Luca Cordero di Montezemolo dal-- l'Italia) va di pari passo con la «consapevolezza di quanto sia complessa una partita in cui si sommano tante posizioni diverse ». E se questo, oggi, dovesse tradursi in una sorta di asta, Torino potrebbe anche sfilarsi: «L'aereo» cui accennava il numero uno. Non c'è la minima aria di resa, però. Anzi. È vero, anche da Roma Giulio Tremonti mette l'accento sul fatto che «è una partita complicata che si gioca ormai tra i governi: tedesco, russo, americano» (non cita quello italiano, ma dirà poi che «era implicito»). Ciò non toglie che, finché rimane aperta, Marchionne continui a predisporre ogni mossa. Gli advisor Unicredit, Intesa e Goldman Sachs preparano tutte le operazioni che seguirebbero l'eventuale «sì» a Fiat. Ed è Corrado Passera, l'amministratore delegato di Intesa, a confermare: «Siamo pronti a dare supporto finanziario al progetto, ci metteremo il meglio di noi». Gli chiedono: anche soldi, nuove linee di credito? «Perché, le banche cosa fanno di mestiere?». Angela Merkel con Theodor zu Guttenberg Raffaella Polato

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Il giorno dell'asta per Opel, gli Usa in campo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 27/05/2009 - pag: 5 Il giorno dell'asta per Opel, gli Usa in campo Quarta offerta della cinese Baic. Marchionne, più di un'ora dalla Merkel: è una lotteria ma sono fiducioso DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO Il giorno delle grandi decisioni sul destino della Opel, oggi, rischia di prendere i toni dell'operetta. Nel pomeriggio, i rappresentanti di Fiat, Magna e Ripplewood le tre entità interessate ad acquisire la casa automobilistica entreranno nella cancelleria di Berlino, sede di Angela Merkel, e saranno confinati in tre stanze diverse. Sul modello del confessionale del Grande Fratello, dovranno rispondere alle domande che verranno loro poste, di volta in volta, dai diversi interessati alla soluzione del caso: i membri del governo tedesco che non hanno ancora trovato un accordo, i quattro primi ministri dei Länder che ospitano fabbriche Opel, i rappresentanti dell'americana General Motors (Gm), gli inviati di Barack Obama a Berlino. Dovranno spiegare perché le loro proposte dovrebbero salvarsi dalla Nomination. Poi, alle nove di sera, una megariunione dei ministri interessati alla vicenda con gli uomini di Gm (proprietaria di Opel) e la task force di Washington che sta curando il salvataggio di Gm dovrebbe arrivare a una prima soluzione: individuare la lepre (o due), cioè chi tra Fiat, Magna e Ripplewood avrà il diritto di trattare in via privilegiata il salvataggio Opel. Un funzionario del governo, però, ha detto che anche chi non sarà scelto potrà essere interpellato nelle prossime settimane. Niente di chiaro. Marchionne ha parlato di una sorta di «lotteria, nel senso che ci sono tantissime variabili che sono in gioco, quindi non posso stabilire quali sono le probabilità di successo». Potrebbe anche essere rinviato tutto. Ieri, tra l'altro, è arrivata una proposta della cinese Baic per acquisire Opel con la promessa di non tagliare nemmeno un posto di lavoro. La cancelliera Merkel, dopo settimane che i suoi ministri dicono cose diverse sul destino Opel, ha affermato che la decisione finale spetterà comunque alla Gm. L'intervento del governo di Berlino, in effetti, è giustificato dal fatto che dovrà emettere garanzie per mantenere la Opel operativa nei prossimi mesi e anni. Ciò nonostante, la battaglia è diventata un caotico fatto politico tedesco giocato su chi taglia meno posti di lavoro. Ieri, in attesa di entrare nel confessionale, l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne ha incontrato Frau Merkel, il ministro dell'Economia Karl-Theodor zu Guttenberg e il ministro degli Esteri e candidato contro la cancelliera alle elezioni del 27 settembre Frank-Walter Steinmeier: ha detto di avere «dato maggiori dettagli» sul suo piano. Dopo gli incontri, Guttenberg ha sostenuto che la proposta Fiat è «seria» ma a 24 ore dal gran finale «non c'è un favorito». Il presidente dei parlamentari della Spd, Peter Struck, che non ha partecipato alle trattative, ha invece spiegato che il «piano migliore» è quello di Magna, in linea con la posizione che il suo partito ha preso addirittura prima di vedere i piani stessi. Momenti di commedia, se non fosse che in gioco ci sono migliaia di posti di lavoro. Mentre Marchionne incontrava Steinmeier, per dire, i potenti sindacati della Opel si scandalizzavano perché non stava partecipando a un incontro a cui l'avevano invitato, a Rüsselsheim: «Una provocazione», ha detto il capo del consiglio di fabbrica Klaus Franz. Stanotte forse si decide, se volete trattenere il fiato. Il vertice L'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne ieri al suo arrivo alla cancelleria tedesca per l'offerta su Opel Danilo Taino

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Barack: liberate Suu Kyi subito (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 27/05/2009 - pag: 16 Birmania Barack: liberate Suu Kyi subito Il presidente Usa Barack Obama ha chiesto ieri alle autorità birmane di liberare «subito e senza condizioni» Aung San Suu Kyi. Il premio Nobel per la pace, sotto processo in carcere, ha negato ieri di aver violato le regole degli arresti domiciliari, la cui scadenza era prevista per oggi.

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Altri tre missili nordcoreani Gli Usa: (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 27/05/2009 - pag: 16 Contromossa Seul accelera l'adesione al Trattato di non-proliferazione atomica Altri tre missili nordcoreani Gli Usa: «Misure severe» L'Onu si compatta: anche la Cina condanna l'«alleato» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO Altri tre. Dopo aver fatto esplodere lunedì un ordigno nucleare nel suo poligono sotterraneo, la Corea del Nord ha reagito a modo suo alla condanna della comunità internazionale. Altri tre missili. L'ultimo, a corto raggio, ieri notte, quando a Pyongyang era già mattina. Gli altri due in giornata. Uno terra-aria, uno anti-navale, gittata 130 chilometri. Con i tre che avevano chiuso la giornata di lunedì, fanno 6 in due giorni. Al triplo lancio si è unito il fuoco della propaganda: «Il nostro esercito e il nostro popolo sono pronti a opporsi in battaglia a ogni sconsiderato tentativo Usa di attacco preventivo ». La comunità internazionale sembra aver trovato una (almeno apparente) compattezza. La Russia, presidente di turno del Consiglio di sicurezza dell'Onu, ha annunciato l'elaborazione di una nuova risoluzione di condanna, alla luce della flagrante violazione della 1718 varata nel 2006 dopo il primo test nucleare nordcoreano. Gli Stati Uniti parlano di «severe misure» da varare contro Pyongyang. La Cina ammette che il regime di Kim Jong-il «crea solo problemi», come ha sostenuto sul Global Times lo specialista Sun Zhe. La Francia chiede sanzioni, il ministro Franco Frattini le ha evocate, «la Nord Corea ne merita di severe e tutto il mondo le deve applicare». Il Giappone pretende misure decise, subito rassicurato da Barack Obama sulla protezione statunitense. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, per ironia della sorte coreano, ha invocato «il ritorno al tavolo del negoziato», una posizione analoga a quella espressa dai ministri europei e asiatici riuniti in Vietnam. I suoi compatrioti di Seul, invece, sono intenzionati ad accelerare l'adesione alla Psi (l'iniziativa contro la proliferazione atomica), che consentirebbe alle unità della sua marina di intercettare ogni movimento da e per la Corea del Nord legato al traffico di tecnologia sensibile. Per Pyongyang l'eventuale ingresso di Seul nella Psi sarebbe una provocazione. Il quadro resta opaco. A complicarlo due fattori. Primo: l'interpretazione, sostenuta con convinzione negli Usa, che sia in corso, se non un passaggio di consegne, almeno il tentativo da parte di Kim Jong-il di preparare la strada al figlio Kim Jong-un, almeno assicurandogli la lealtà dei mi-- litari e chiarendo le posizioni rispetto agli Usa. E secondo il fatto che il 4 giugno comincerà a Pyongyang il processo alle due giornaliste americane catturate il 17 marzo dai nordcoreani al confine con la Cina (forse dentro la Cina stessa): rischiano pesanti condanne, per spionaggio e ingresso illegale nel Paese. Di fatto sono ostaggi, e intorno a loro tra un test atomico e un missile la partita fra Pyongyang e Washington è appena cominciata. In tv Sudcoreani osservano le immagini del lancio di un razzo nordcoreano su uno schermo pubblico Marco Del Corona

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Donna e ispanica: la giurista di Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 27/05/2009 - pag: 17 La scelta Nata povera nel Bronx, ha studiato nelle migliori università. La conferma spetta al Senato Donna e ispanica: la giurista di Obama Il presidente nomina Sonia Sotomayor, progressista, alla Corte Suprema DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Per la Corte Suprema degli Stati Uniti, Barack Obama ha scelto Sonia Sotomayor, giudice di Corte d'Appello a New York. Alla prima opportunità di una nomina alla massima magistratura americana, il presidente ha optato per una decisione storica, indicando la figlia di emigrati portoricani, cresciuta in una casa popolare del Bronx, ma educata per merito nelle migliori università del Paese, con una commovente vicenda personale che per molti versi riecheggia quella dello stesso Obama. Se fosse confermata dal Senato, come tutto lascia prevedere, Sotomayor, 54 anni, sarebbe la prima ispanoamericana a servire nell' esclusivo collegio costituzionale. «Una donna capace di ispirare, che credo sarà un grande giudice», ha detto Obama nel presentarla nella East Room della Casa Bianca, spiegando di essere arrivato alla scelta «dopo profonda riflessione e attenta deliberazione». Il presidente ha spiegato che «il rigore intellettuale, la maestria del diritto e il riconoscimento dei limiti del ruolo dei giudici» sono le qualità che fanno di Sotomayor la scelta ideale. Non solo quelle però. «È altrettanto vitale che un giudice conosca come funziona il mondo e come vive la gente comune», ha aggiunto il presidente, che ha indicato la storia personale e pubblica del magistrato come motivazioni forti alla base della sua scelta: «Sonia Sotomayor ha lavorato a ogni livello del sistema giudiziario, acquistando una profondità di esperienza e un'ampiezza di prospettiva di valore inestimabile». Obama ha ricordato i sacrifici di Celina Sotomayor, la madre rimasta vedova molto giovane, che faceva un doppio lavoro per assicurare l'educazione dei figli: «Questa famiglia esemplifica il sogno americano: nella Corte, Sonia porterà non solo le sue conoscenze legali, ma la saggezza accumulata dalla vita». «Il mio cuore è gonfio di gratitudine», ha detto Sotomayor in un breve discorso di ringraziamento, descrivendo la propria selezione come «l' onore della mia vita che più ispira un senso di umiltà». Nell'annunciare la nomina, Barack Obama ha auspicato che il processo di conferma sia completato entro il 7 agosto, data d'inizio della pausa estiva per il Senato, in modo che il nuovo giudice possa prendere il suo posto già all'inizio d'ottobre. Se confermata, Sotomayor sostituirebbe il giudice David Souter, ritiratosi dopo 19 anni nonostante la nomina sia a vita. Scelto da George Bush padre e considerato all'inizio un conservatore, Souter si era in realtà quasi sempre schierato con l'ala liberal della Corte Suprema: l'arrivo di Sotomayor, che sarebbe la terza donna nella Storia a farne parte, non dovrebbe quindi alterare gli equilibri attuali del collegio dei nove. Nonostante i democratici dispongano in Senato di 59 voti e potrebbero presto arrivare (con la fine della lunga contesa in Minnesota) ai 60 necessari per bloccare ogni tentativo di filibustering (ostruzionismo, ndr) repubblicano, la conferma di Sotomayor potrebbe registrare qualche momento polemico. I gruppi della destra conservatrice sono infatti già mobilitati contro di lei, considerata paladina di una visione troppo attivista del ruolo del giudice: «Pensa che i giudici debbano dettare la politica e che il sesso, la razza o l'etnia debbano influenzare le decisioni della Corte», ha commentato Wendy Long, del Judicial Confirmation Network. Ma Obama sembra aver fatto bene i suoi calcoli. Anche perché, nominando la prima ispano-americana, si è probabilmente assicurato il consenso futuro della più vasta e crescente minoranza etnica del Paese. La destra I gruppi della destra conservatrice sono già mobilitati contro di lei Nomina Sonia Sotomayor sorride tra gli applausi di Obama (Ap/ Brandon) Paolo Valentino

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Il jazz che fa bene (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Tempo Libero data: 27/05/2009 - pag: 19 SOLIDARIETÀ Il jazz che fa bene I due più noti «enfant prodige» del jazz italiano, il sassofonista Francesco Cafiso (esibizione alla cerimonia di insediamento del presidente Obama), e il pianista Dino Rubino (miglior talento emergente al concorso Urbani), si esibiscono domani alle 20.30 al Teatro San Domenico di Crema, piazza Trento e Trieste, per un evento di sensibilizzazione sulla Sla, malattia di cui si ignorano le cause. Al termine cocktail e vendita di abiti firmati. Conduce la serata Edoardo Raspelli. (ingr. 30 euro, per il centro Nemo di Niguarda. (Marta Ghezzi)

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Se a mezzogiorno va la (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Lettere data: 27/05/2009 - pag: 8 Caro amico ti scrivo di Goffredo Buccini Se a mezzogiorno va la «minironda della Garbatella» Caro Buccini, sento spesso parlare di ronde di volontari che, con mia sorpresa, vengono da molti avversate. Nel quartiere in cui abito (Garbatella), ma penso anche altrove, la notte si è continuamente svegliati dal suono degli antifurto delle auto e la mattina si vedono i marciapiedi coperti dai vetri dei parabrezza infranti, i muri appena ripuliti sono di nuovo imbrattati da «writers», dappertutto bottiglie ed escrementi lasciati dagli ubriachi, etc... Io, nel mio piccolo, sono da sempre una «minironda» diurna, che segnala a chi di dovere i casi di rischio e di illegalità nei quali mi imbatto (purtroppo spesso inutilmente). Cordiali saluti. Mario Minissi Caro Minissi, la faccenda delle ronde è tema quotidiano della parte nazionale del giornale. Tuttavia mi sembra che lei ponga una questione nominalistica che ha la sua importanza e che merita perciò un approfondimento. Vede, le parole hanno un peso, non sono indifferenti. Tra nero e negro, per dire, passa la distanza che in America è stata compiuta partendo da Rosa Parks, la signora che rifiutò di alzarsi in autobus per far posto a un bianco, e arrivando al presidente Obama. C'è, nella differenza tra quelle due parole, la storia dei diritti civili americani. Lei, mi perdoni, rischia di farsi suggestionare dal martellamento di questi mesi. Ciò che fa alla Garbatella e, presumo, anche girando per il resto dei quartieri di Roma quando capita, non è un'attività di ronda: è sano e normale civismo. Vede un reato, chiama i vigili o i carabinieri. Tutt'altra faccenda è infilarsi una pettorina e andarsene in giro di notte in quella che mi continua a sembrare una pericolosa deriva d'un vecchio film di successo: «Amici miei». gbuccini@rcs.it

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Gli Usa di Obama e l'Italia di Silvio (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 27-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Tempo Libero data: 27/05/2009 - pag: 10 CENTRO STUDI AMERICANI Gli Usa di Obama e l'Italia di Silvio Che cosa accomuna e che cosa rende diverse l'America di Obama e l'Italia di Berlusconi? Alle 17 nel Centro Studi Americani, via Caetani 32, si presenta «Stati uniti? Italia e Usa a confronto» (Rubbettino) di Joseph La Palombara e Luigi Tivelli. Ne parlano Giuliano Amato, Maurizio Lupi, Roberto Napoletano, Sergio Vento. Modera Maurizio Caprara.

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