Abstract: Il ruolo di Obama DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO La cancelliera Angela Merkel è finalmente scesa in campo nella battaglia per Opel. Oggi incontrerà l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne. Domenica sera dopo che sabato aveva parlato al telefono con il primo ministro russo Vladimir Putin ha incontrato Frank Stronach e Siegfried Wolf,>
Gm, bancarotta vicina
L'effetto sull'Europa ( da "Corriere
della Sera" del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Ecco allora che occorre passare al
livello superiore, quello politico-istituzionale. E in questo caso il
presidente Usa Barack Obama è considerato un alleato di Marchionne, da lui
definito in più di un'occasione il manager ideale per rilanciare l'auto Usa.
Fritz Henderson Giacomo Ferrari gferrari@corriere.it
Stipendi alti e pochi
risultati America delusa dai grandi manager
( da "Corriere della Sera"
del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: pare funzionale a una loro
subordinazione al potere del nuovo «superCeo», il presidente Obama. Sul New
York Times David Brooks sostiene, invece, che l'emergere di Washington come
motore di una nuova, pervasiva politica industriale, determinerà un'altra mutazione
genetica nei Ceo, spingendoli ad assorbire alcuni tratti tipici dell'uomo
politico.
L'artista di Obama (
da "Corriere della Sera"
del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 32 Verso la Biennale L'artista di
Obama «Un mio graffito per salvare Venezia» L a sua preoccupazione sembra
essere adesso soprattutto una: «Nessuna provocazione, ma grande rispetto».
Certo che, comunque, le sue maxi affissioni sul Canal Grande, alle Procuratie
Nuove e in Piazza San Marco sono destinate a non passare inosservate.
"sono peter pan ed è
questa la mia salvezza" - fulvio paloscia
( da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama? «Dovrà dipanare molti nodi
senza scontentare nessuno: riuscirà a sfuggire ai cattivi consiglieri, a
ammonire Israele riguardo alla distruzione di Gaza? Una cosa è certa: Obama
sarà un uomo buono se gli americani torneranno ad essere un popolo buono».
i tifosi preparano la
grande festa in tribuna gli eroi di anfield road
( da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Associazione Club Genoani ha
intanto invitato a colorare la città di rossoblù per dare il giusto
palcoscenico alla domenica della festa ed anche la società ha provveduto a
realizzare un nuovo cartellone pubblicitario. "Yes we go", recita,
parafrasando Obama per sottolineare i prossimi viaggi in Europa di squadra e
tifoseria.
l'ultima battaglia di
powell "voglio salvare i repubblicani" - vittorio zucconi
( da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: endorsement dell´ex generale per
Obama brucia ancora. Lui ribatte "Dei due era il candidato migliore"
VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - L´ultima battaglia del vecchio soldato contro il
vecchio politicante non si combatte più per le paludi del Mekong o per le sabbie
d´Arabia, ma per l´anima e per il futuro della destra americana.
"mai più guerre
inutili" ( da "Repubblica,
La" del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: lo ha detto ieri il presidente
Barack Obama, nel corso di una cerimonia nel cimitero nazionale di Arlington,
in occasione del Memorial Day, la giornata in cui gli Stati Uniti ricordano i
caduti di tutte le guerre. Nel suo primo Memorial Day da presidente Obama ha,
come da tradizione, deposto una corona sulla tomba del Milite Ignoto ad
Arlington e ha poi parlato nel cimitero,
- alessandra retico
venezia ( da "Repubblica,
La" del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Ma le manette ora le indossa da
uomo famoso: il ritratto di Obama con la scritta "Hope", una foto in
rosso e blu che ha fatto il giro del mondo diventando un´icona della campagna
presidenziale, gli ha cambiato la vita. «Mi danno spazi per lavorare. Ma a me
continua a piacere l´aria aperta, le città, la gente dentro».
marchionne, missione lampo
in usa per portare alla merkel il sì di gm - salvatore tropea
( da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: missione lampo in Usa per portare
alla Merkel il sì di Gm La task force di Obama potrebbe essere convinta da un
piano che non lascia strascichi SALVATORE TROPEA TORINO - C´è un viaggio lampo
al di là dell´Atlantico prima dell´incontro con Angela Merkel. Ufficialmente a
Torino e in partenza per Berlino, in realtà, ieri, Sergio Marchionne era in
America.
opel, volata finale tra
fiat e magna - paolo griseri ( da "Repubblica,
La" del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: A Washington si dà per scontato che
Obama non farà slittare il termine del primo giugno per prendere una decisione.
In Italia si attendono gli esiti della battaglia tedesca. Il presidente
onorario di Exor, Gianluigi Gabetti, ha fatto sapere ieri che la diluizione del
capitale della finanziaria degli Agnelli nel nuovo colosso dell´auto «non è
scontata» e che «
"io, il graffitaro
che ha inventato il volto pop di obama"
( da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina 33 - R2 ALESSANDRA RETICO Il
personaggio "Io, il graffitaro che ha inventato il volto pop di
Obama" SEGUE A PAGINA 36
Corea del Nord, lanciati
due missili a corto raggio ( da "Repubblica.it"
del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il presidente Usa barak Obama
definisce l'esperimento di Pyongyang una "minaccia per la pace e la
sicurezza" nonchè una "sfida alla comunità intenazionale".
Obama, ha telefonato ieri sera alla sua controparte sudcoreana, il presidente
Lee Myung-bak e al premier giapponese Taro Aso per "coordinare"
eventuali reazioni ai test nucleari.
"Pronti a reagire ad
un attacco Usa" La Nord Corea lancia altri due missili
( da "Stampaweb, La"
del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione di Barack Obama» è
il commento del regime comunista affidato all?agenzia ufficiale, la Kcna, dopo
l'allarme del presidente Usa. Per questo motivo - continua la nota - Pyongyang
è preparata a qualsiasi «sconsiderato» tentativo di attacco degli Usa. «Il
nostro esercito e la nostra gente - aggiunge ancora la Kcna,
Nord Corea, condanna da
Onu e Ue ( da "Stampaweb,
La" del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack Obama, ha parlato ieri sera
al telefono col collega sudcoreano Lee Myung-bak e con primo ministro
giapponese Taro Aso per «coordinare una reazione al test nucleare della Corea
del Nord. Lo ha reso noto la Casa Bianca. Obama ha parlato a Lee «per consultare
e coordinare la nostra reazione al test nucleare nordcoreano» ha riferito la
Casa Bianca.
Web, tutti pazzi per la
T-shirt dei lupi ( da "Stampaweb,
La" del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: anonimi buzziconi, e uomini
famosissimi, come Obama (ovviamente), Elvis, Che Guevara, persino Bin Laden
sotto la sua mimetica. Poi sono piovute dicerie leggendarie, che coinvolgono il
superacceleratore di adroni in Svizzera, l?eros, la fortuna. Quei tre
lupacchiotti stampati, s?è detto, hanno superpoteri.
La Corea del Nord continua
la sfida lanciati due missili a corto raggio
( da "Repubblica.it"
del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il presidente americano Barak Obama
definisce l'esperimento di Pyongyang una "minaccia per la pace e la
sicurezza" nonché una "sfida alla comunità intenazionale". Obama
ha telefonato ieri sera alla sua controparte sudcoreana, il presidente Lee
Myung-bak e al premier giapponese Taro Aso per "coordinare" eventuali
reazioni ai test nucleari.
Corte Suprema, tocca alla
Sotomayor ( da "Stampaweb,
La" del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: WASHINGTON Il presidente americano
Barack Obama ha scelto Sonia Sotomayor, giudice federale di New York, come
nuovo membro della Corte Suprema: se confermata dal Congresso, sarà il primo
giudice ispanico nella storia americana. Sonya Sotomayor, che sostituirà il
dimissionario David Souter, è una giurista che si è fatta da sè.
Sonia Sotomayor, la
giudice ispanica scelta da Obama per la Corte suprema
( da "Repubblica.it"
del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: pressioni su Obama affinché
ristabilisse un equilibrio all'interno della massima corte americana più vicino
alla realtà del Paese erano dunque evidenti. Decisione storica. In una recente
intervista televisiva, Obama aveva dichiarato che il nuovo giudice avrebbe
dovuto avere "statura intellettuale, sapere rapportarsi alla gente comune
e avere senso pratico su come funziona il mondo"
Sonia Sotomayor, la scelta
di Obama dal Bronx alla Corte Suprema
( da "Repubblica.it"
del 26-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: pressioni su Obama affinché
ristabilisse un equilibrio all'interno della massima corte americana più vicino
alla realtà del Paese erano dunque evidenti. Decisione storica. In una recente
intervista televisiva, Obama aveva dichiarato che il nuovo giudice avrebbe
dovuto avere "statura intellettuale, sapere rapportarsi alla gente comune
e avere senso pratico su come funziona il mondo"
Obama sceglie una
portoricana ( da "Stampa,
La" del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Corte Suprema Sonia Sotomayor,
figlia di immigrati del Bronx, è il primo giudice ispanico a entrare tra i nove
super-magistrati Obama sceglie una portoricana Molinari e Semprini A PAGINA 17
Chamberlain il fantasma e
la bomba coreana Ricorda la famosa faccia sorridente con cui Cha...
( da "Stampa, La"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: È bastato insomma che Obama,
supportato da tutto quel codazzo europeo che non riesce a rimanere a galla
nella propria sinistra ex-comunista, mostrasse una vaga intenzione di aprire un
dialogo, un colloquio con quella parte del mondo chiusa nella propria evidente
a-storicità, nell'indiscussa, incontestabile arretratezza culturale,
Scandali romanzati In
questo periodo, più che mai, si usa spesso la parola crisi rife...
( da "Stampa, La"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ENRICA CHIODI Obama e il sogno
americano Sono trascorsi più di 5 mesi dall'insediamento di Barack Obama alla
Casa Bianca, e fino ad ora non ho visto un significativo cambiamento di
strategia della politica estera americana. Nonostante il 20 gennaio i media ci
proponevano il sogno americano che si realizzava, in verità non è andata in
modo così fiabesco.
L'Armée di Sarkozy sfida
gli ayatollah ( da "Stampa,
La" del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: pieno titolo vuole diventare un
protagonista della fluida era del dopo Bush e dell'apprendistato internazionale
di Obama. Sa che il Medio Oriente è il serpaio pericoloso ma obbligato. Gli
servivano alleati. Li ha trovati nei ricchissimi ma fragili emirati già
corteggiati al tempo di Mitterrand e Chirac, che hanno paura dell'Iran sciita e
sono alla ricerca di tutori diversi dagli Usa.
Usa, la prima ispanica
della Corte Suprema ( da "Stampa,
La" del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ala più liberal [FIRMA]FRANCESCO
SEMPRINI NEW YORK Obama nomina una giudice di origine ispanica alla Corte
suprema, rafforza il legame dell'amministrazione con le donne e la comunità
latina e invia un segnale di apertura al partito repubblicano. Sonia Sotomayor,
questo il suo nome, venne nominata giudice federale nel 1992 da George W.
Dalla miseria del Bronx
alla laurea a Princeton ( da "Stampa,
La" del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: a cui Obama appartiene, è stato un
compagno di studi di Sotomayor e ricorda bene come «quell'articolo facesse
prevalere la riflessione sulle emozioni». Ciò che accomuna Sotomayor a Obama è
vivere l'appartenenza ad una minoranza senza cedere ai sentimenti estremi - dal
vittimismo al rabbia - che hanno distinto le battaglie per l'
"l'affare opel è una
lotteria" ( da "Repubblica,
La" del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama: decidete in fretta
"L´affare Opel è una lotteria" ROMA - «L´incontro con Angela Merkel è
stato costruttivo. Noi restiamo fiduciosi ma la partita per la Opel è diventata
una lotteria». Lo ha detto ieri l´amministratore delegato di Fiat Auto Sergio
Marchionne al termine di un incontro con il cancelliere tedesco.
complotti e guerra di
successione l'ultima sfida di kim jong-il - federico rampini
( da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Un messaggio agli Usa" Obama
spinge per una risoluzione di condanna dell´Onu, ma Russia e Cina frenano Il
"monarca rosso" è reduce da un ictus. Il figlio minore Jong-un è il
suo preferito FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente PECHINO - Sfidando per
il secondo giorno consecutivo le condanne della comunità internazionale,
dal bronx alla corte
suprema - vittorio zucconi ( da "Repubblica,
La" del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Esteri Dal Bronx alla Corte Suprema
Obama sceglie Sonia Sotomayor, la prima ispanica nel tempio della giustizia Usa
Donna, liberal e di origine latina: nel 1995 salvò il campionato di baseball
VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - Stupendo esempio di donna che non deve nulla alla
fortuna e tutto alla propria intelligenza e volontà, Sonia Sotomayor,
california, no ai
matrimoni gay - arturo zampaglione
( da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: in cui i californiani avevano
votato per Barack Obama, si erano anche espressi a favore della
"Proposition 8", cioè di un emendamento costituzionale di iniziativa
popolare che stabilisce che a contrarre un matrimonio possano essere solo un
uomo e una donna. In California questo tema è sempre stato un tema molto caldo,
anche perché, soprattutto a San Francisco,
tbilisi, l'opposizione in
piazza saakashvili: "ma io non lascio" - pietro del re
( da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Che relazioni intrattiene con
Obama? «Bush l´ho incontrato diverse volte, mentre con Obama ancora non ci
siamo conosciuti di persona. Ma ho parlato con lui per telefono, e il
presidente mi ha garantito l´interesse americano di mantenere una partnership
strategica con il mio paese.
ecco il mobbing rosa in
ufficio è guerra di eva contro eva - (segue dalla prima pagina) cinzia sasso
( da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ha messo in subbuglio il
politically correct che sembrava dominare l´era Obama e ha risvegliato le
coscienze delle femministe: studiando le molestie sul lavoro, dati alla mano,
l´istituto di ricerca ha concluso che il 40% dei responsabili di mobbing sono
donne, ma soprattutto ha scoperto che quando tocca a loro, le donne mobbizzano
nel 70% dei casi altre donne.
"fiducioso su opel,
ma è una lotteria" - andrea tarquini
( da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione Obama. E il parere
di Berlino come si sa è decisivo, perché da Berlino verranno concesse le
indispensabili garanzie pubbliche. «E´ stato un colloquio costruttivo», ha
detto Marchionne dopo il vertice con la Merkel, «ma è una lotteria, sono in
gioco tantissime variabili e non posso stabilire quali siano le probabilità di
successo.
obama mette fretta ai
tedeschi e fiat gioca la carta americana - salvatore tropea
( da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: accordo su Opel Obama mette fretta
ai tedeschi e Fiat gioca la carta americana Il finanziamento di Opel da parte
delle banche non risolve-rebbe i problemi dell´azienda Per Washington se Fiat è
un buon partner di Chrysler può esserlo anche per la casa tedesca SALVATORE
TROPEA TORINO - «Spero, penso che sia l´economia a pesare più della politica»
- pietro del re
( da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il presidente Obama, perché la sua
"rivoluzione ecologica" è stata così immediata ed eclatante che i
suoi effetti si potranno misurare «perfino sulle future generazioni». Uno di
loro, il pediatra trentottenne Kristian Olson, ha appena fabbricato un´incubatrice
per neonati con pezzi di automobile, per far sì che sia possibile ripararla
anche nelle regioni più povere.
la rivista
"scientific american" ha stilato la lista delle personalità più
impegnate per migliorare il futuro tra loro, medici e ricercatori, ma anche
barack obama, bill gates e il ( da "Repubblica,
La" del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina 41 - Esteri La rivista
"Scientific american" ha stilato la lista delle personalità più
impegnate per migliorare il futuro Tra loro, medici e ricercatori, ma anche
Barack Obama, Bill Gates e il sindaco di New York Michael Bloomberg
da adriano alla thatcher
ecco l'arte del comando - giancarlo bosetti
( da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama quando è stato attaccato per
il suo imbarazzante legame con il reverendo Jeremiah Wright e le sue prediche
violente, radicali, che giravano sul web ? un fatto che da solo stava per
liquidare la sua corsa alla Casa Bianca ? ha rovesciato la situazione con un
discorso che ha fatto della questione razza un punto di forza della sua
candidatura.
barack obama e bill gates
nella top ten dei benefattori ( da "Repubblica,
La" del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina 37 - R2 PIETRO DEL RE La
ricerca Barack Obama e Bill Gates nella top ten dei benefattori SEGUE A PAGINA
41
La Corea del nord lancia
il terzo missile e minaccia Seul: "Pronti a colpire"
( da "Repubblica.it"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il Tesoro americano, dopo le dure
parole di Obama sulle "conseguenze" inevitabili delle azioni di Kim,
ha reso noto che sono allo studio nuove sanzioni al Paese, dove già vige un
regime di isolamento assoluto imposto dal regime e la popolazione vive nella totale
privazione dei beni di consumo più comuni.
Amnesty, poveri indifesi
dalla crisi Italia all'indice per i respingimenti
( da "Repubblica.it"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Amnesty riconosce agli Stati Uniti
di Obama un'inversione di tendenza rispetto alla politica di Bush, ma si
aspetta ancora molto. Se da un lato nel rapporto 2009 si plaude alla chiusura
di Guantanamo e alla presa di posizione sulla tortura, da Obama ci si aspettano
"franchezza e forza" nel chiedere "il rispetto dei diritti umani
a paesi come Israele e Cina,
Filantropi, scienziati,
politici ( da "Repubblica.it"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il presidente Obama, perché la sua
"rivoluzione ecologica" è stata così immediata ed eclatante che i
suoi effetti si potranno misurare "perfino sulle future generazioni".
Uno di loro, il pediatra trentottenne Kristian Olson, ha appena fabbricato
un'incubatrice per neonati con pezzi di automobile, per far sì che sia
possibile ripararla anche nelle regioni più povere.
Marchionne fiducioso (
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: dai delegati dell'americana General
Motors (Gm) e dagli inviati di Barack Obama a Berlino. Ieri Marchionne dopo
oltre un'ora di faccia a faccia con la Merkel ha detto: è una lotteria, ma sono
fiducioso. Intanto è arrivata anche una proposta della cinese Baic, che ha promesso
di non tagliare neppure un posto di lavoro.
Gm al capolinea Il 70% a
Obama Sindacati nel board ( da "Corriere
della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 5 La trattativa a Detroit Gm al
capolinea Il 70% a Obama Sindacati nel board MILANO Comunque vada a finire,
amministrazione controllata o no, ci sarà sempre un po' di vecchia Germania
nella nuova (e ristrutturata) Gm. E si chiamerà cogestione, uno dei pilastri
del modello renano che apre ai lavoratori le porte delle stanze dei bottoni e
del management.
Così la Fiat negozia
ancora (
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: quando il governo tedesco si
incontrerà con la task force di Barack Obama e con i vertici di Gm per una
decisione congiunta, sarà complicato per chiunque scommettere su quale
direzione prenderà il «pendolo Opel». Di sicuro non lo fa lui. Che anzi si infastidisce,
con chi la mette in termini da bookmakers: «Sono fiducioso perché stiamo
facendo un grandissimo lavoro.
Il giorno dell'asta per
Opel, gli Usa in campo ( da "Corriere
della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: gli inviati di Barack Obama a
Berlino. Dovranno spiegare perché le loro proposte dovrebbero salvarsi dalla
Nomination. Poi, alle nove di sera, una megariunione dei ministri interessati
alla vicenda con gli uomini di Gm (proprietaria di Opel) e la task force di
Washington che sta curando il salvataggio di Gm dovrebbe arrivare a una prima
soluzione:
Barack: liberate Suu Kyi
subito ( da "Corriere
della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 16 Birmania Barack: liberate Suu
Kyi subito Il presidente Usa Barack Obama ha chiesto ieri alle autorità birmane
di liberare «subito e senza condizioni» Aung San Suu Kyi. Il premio Nobel per
la pace, sotto processo in carcere, ha negato ieri di aver violato le regole
degli arresti domiciliari, la cui scadenza era prevista per oggi.
Altri tre missili
nordcoreani Gli Usa: (
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il Giappone pretende misure decise,
subito rassicurato da Barack Obama sulla protezione statunitense. Il segretario
generale dell'Onu, Ban Ki-moon, per ironia della sorte coreano, ha invocato «il
ritorno al tavolo del negoziato», una posizione analoga a quella espressa dai
ministri europei e asiatici riuniti in Vietnam.
Donna e ispanica: la
giurista di Obama ( da "Corriere
della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: la giurista di Obama Il presidente
nomina Sonia Sotomayor, progressista, alla Corte Suprema DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE WASHINGTON Per la Corte Suprema degli Stati Uniti, Barack Obama
ha scelto Sonia Sotomayor, giudice di Corte d'Appello a New York. Alla prima
opportunità di una nomina alla massima magistratura americana,
Il jazz che fa bene
( da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il sassofonista Francesco Cafiso
(esibizione alla cerimonia di insediamento del presidente Obama), e il pianista
Dino Rubino (miglior talento emergente al concorso Urbani), si esibiscono
domani alle 20.30 al Teatro San Domenico di Crema, piazza Trento e Trieste, per
un evento di sensibilizzazione sulla Sla, malattia di cui si ignorano le cause.
Se a mezzogiorno va la (
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: e arrivando al presidente Obama.
C'è, nella differenza tra quelle due parole, la storia dei diritti civili
americani. Lei, mi perdoni, rischia di farsi suggestionare dal martellamento di
questi mesi. Ciò che fa alla Garbatella e, presumo, anche girando per il resto
dei quartieri di Roma quando capita, non è un'attività di ronda: è sano e
normale civismo.
Gli Usa di Obama e
l'Italia di Silvio ( da "Corriere
della Sera" del 27-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 05/2009 - pag: 10 CENTRO STUDI
AMERICANI Gli Usa di Obama e l'Italia di Silvio Che cosa accomuna e che cosa
rende diverse l'America di Obama e l'Italia di Berlusconi? Alle 17 nel Centro
Studi Americani, via Caetani 32, si presenta «Stati uniti? Italia e Usa a confronto»
(Rubbettino) di Joseph La Palombara e Luigi Tivelli.
( da "Stampa, La" del
26-05-2009)
Argomenti: Obama
Boris
Biancheri UN TEST PER OBAMA Lì per lì i sismografi l'avevano scambiata per una
scossa di terremoto di medio-alta potenza avvenuta in qualche inospitale landa
dell'Estremo Oriente: 4,5 gradi della scala Richter. Più di un punto al di
sotto di quella che ha devastato l'Abruzzo. Poi si è capito che non si
trattava di una scossa ma di un'esplosione e se ne è avuta conferma quando
l'agenzia di stampa di Pyongyang, Kcna, ha diffuso ufficialmente la notizia che
un test atomico sotterraneo era stato eseguito da parte della Corea del Nord
alle 10 ora locale mentre a Washington ci si apprestava al sonno e in
California era pomeriggio. Un ordigno considerevole, di forza stimabile tra 10
e 20 chilotoni, superiore, per intenderci, alla bomba atomica che nel 1945 distrusse
la città di Hiroshima. Non è cosa nuova, naturalmente. Da anni la Corea del
Nord tiene in agitazione i governi di buona parte del mondo e soprattutto
quelli di Washington e di Tokyo con un progressivo aumento della propria
capacità nucleare. Il Paese ha da tempo superato la fase di produzione del
materiale fissile e ha tradotto questa capacità in un primo test sotterraneo di
alcuni anni fa, cui hanno fatto seguito riuscite prove di lancio di missili a
corto e medio raggio, l'ultima delle quali recentissima, al principio di
aprile. A dire il vero, anche questa volta come nel passato alcuni Paesi -
Stati Uniti, Cina, Corea del Sud - erano stati avvertiti dell'esplosione con
un'ora di anticipo: non si tratta beninteso di una questione di buone maniere. I
nordcoreani si sono premuniti di non far scattare in America uno stato di
allarme nucleare con le ripercussioni che ciò potrebbe comportare sia sul piano
interno che su quello internazionale. Le reazioni della comunità internazionale
all'avvenimento sono state, come prevedibile, di riprovazione e di allarme, con
alcune sfumature. Vi è stata la rituale richiesta di convocazione d'urgenza del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite affinché emani una non meno rituale
risoluzione di condanna. Il segretario generale dell'Onu ha espresso
preoccupazione e altrettanto hanno fatto i singoli governi, chi - come il
ministro Frattini - definendola una minaccia alla pace, e chi - come Solana -
parlando di atti irresponsabili. Se i nordcoreani volevano saggiare i tempi di
reazione di Obama a questa provocazione, hanno
riscontrato che essi sono stati immediati: il Presidente americano ha fatto
capire che Pyongyang sta sfidando in modo sconsiderato il mondo e che il mondo
è legittimamente autorizzato a reagire. Di quale reazione possa trattarsi,
tuttavia, non si è parlato. Tutto ciò era, alla fin fine, prevedibile. Non si
investe quel che la Corea del Nord - che non abbonda né di capitali né di
ricchezze del suolo - ha investito nel proprio programma nucleare e missilistico
senza spingere fino in fondo la propria azione. L'Iran, che è il solo Paese che
non si sia finora associato alla riprovazione generale, sfida da anni il mondo
su questo stesso terreno riscuotendo se non l'assenso quantomeno solo un
modesto dissenso da parte di Russia e di Cina, la reprimenda dell'Agenzia
internazionale dell'energia atomica e incassando una sull'altra cinque
risoluzioni negative del Consiglio di Sicurezza dell'Onu senza battere ciglio.
Quel che è più difficile capire è perché, dopo essersi pochi anni fa dichiarata
disposta a rinunciare al programma nucleare in cambio di aiuti e garanzie di
sicurezza, la Corea del Nord abbia contraddetto tali intenzioni riprendendo il
suo programma e abbia scelto una stagione internazionale ricca di speranze di
pacificazione e dialogo come quella inaugurata dalla presidenza Obama per dare a tale programma una clamorosa e minacciosa
visibilità. Può darsi che proprio questo, oltre alla ben nota imprevedibilità
delle dittature, sia stato l'elemento che ha dettato il gesto nordcoreano: la
condizione che l'amministrazione Obama e il nuovo
corso più multilaterale e meno decisionista inaugurato a Washington assicuri
perfino ai reprobi maggiore immunità. A fronte del benessere crescente che ha
segnato a lungo l'esistenza dei Paesi dell'Asia orientale, la Corea del Nord,
arroccata nel proprio isolamento, vive una vita di miti illusori. La forza
militare e l'appartenenza al club esclusivo dei detentori di armi nucleari è
uno di questi miti. Ora non sarà facile dare una risposta al comportamento di
Pyongyang che vada al di là delle espressioni di preoccupazione e di condanna.
Ci accorgeremo sempre più che il superamento dell'unilateralismo americano
dell'era Bush richiede una volontà di collaborazione da parte di tutti nel far
osservare quelle regole di comportamento internazionale che da troppo tempo le
Nazioni Unite non sembrano più in grado di far rispettare. CONTINUA A PAGINA 35
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( da "Stampa, La" del
26-05-2009)
Argomenti: Obama
Retroscena 50% La
partita vista dall'altra sponda dell'Atlantico General Motors corsa contro il
tempo Nelle prossime 48 ore si decide il futuro di Detroit FRANCESCO SEMPRINI
la quota del Tesoro NEW YORK Si decide nelle prossime 48 ore il futuro di
General Motors le cui sorti sono appese a un negoziato incrociato tra le due
sponde dell'Atlantico che vede coinvolti Fiat, Opel, e i governi tedesco e
statunitense. L'amministratore delegato Sergio Marchionne è di nuovo in
Germania dopo una breve tappa americana, secondo fonti di mercato, per un round
di incontri con i vertici di Detroit e la task force del Tesoro. Il futuro
della società in patria è del resto intimamente legato all'esito delle
trattative europee e per questo Gm ha tutto l'interesse a sciogliere quanto
prima il nodo Opel. Il Chapter 11 appare certo per la società a causa del forte
indebitamento, cresciuto di altri 4 miliardi con una nuova iniezione di capitali
del Tesoro che porta a 19,4 miliardi lo sforzo finanziario nell'azienda. La
prima scadenza è alla mezzanotte del 26, le sei del mattino del 27 in Italia,
termine ultimo entro il quale far pervenire l'adesione dei creditori allo swap
del debito. La società offre il 10% della nuova Gm in cambio della
ristrutturazione dei 27 miliardi di dollari di debito. La proposta è stata
rigettata dagli obbligazionisti e anche se il consenso raggiungesse a sorpresa
il quorum fissato del 90% la bancarotta sarebbe inevitabile. L'ipotesi è
ottenere agli inizi di luglio il via libera del tribunale per la cessione degli
asset buoni a una nuova società, che dovrebbe emergere dal Chapter 11 entro
l'autunno. La società ristrutturata vedrebbe presenti nel capitale la United
Auto Workers, con una quota del 39%, mentre al Tesoro andrebbe il 50%.
Mercoledì è inoltre il giorno del maxivertice Opel al quale, oltre al governo
tedesco, parteciperanno le società che hanno presentato le offerte per le
attività europee della casa automobilistica americana. A meno di proroghe
dell'ultima ora, quindi, l'incontro di Berlino di mercoledì avverrà anche alla
luce del risultato della conversione del debito e il suo esito servirebbe per
capire quale tipo di impostazione dare alla bancarotta. Il futuro di Opel serve
a sua volta al Tesoro per capire quali garanzie avere nell'operazione. Da
questo punto di vista sembra che l'amministrazione di Obama abbia simpatie per la soluzione
Fiat, sia per l'impegno del Lingotto negli Usa sia per la solidità industriale
del progetto del gruppo torinese. Anche per questo sembra che Marchionne sia
venuto prima negli States, per sondare il terreno e valutare le diverse ipotesi
in vista della trattativa europea, come la definizione delle quote e
altri aspetti incrociati. Resta aperto anche il nodo latino-americano, ovvero
le preziose attività di General Motors in America Latina, corteggiate da Fiat
ma che Detroit non sembra intenzionato a cedere tanto facilmente. La seconda
scadenza è quella fissata da Obama per il 1 giugno
termine ultimo per la presentazione del piano di ristrutturazione di Gm. Non è
escluso però un annuncio prima della scadenza, già alla vigilia del fine
settimana visto che il primo giorno di giugno scade un bond di Gm da un
miliardo di dollari che la società ha già annunciato che non rinnoverà o
liquiderà. Pertanto se la bancarotta dovesse essere dichiarata prima la società
potrebbe evitare penali o altre sanzioni, oltre al fatto che per Gm ogni giorno
in più prima della bancarotta rischia di trasformarsi in perdita di valore del
titolo in borsa. Infine nel prossimo week-end il segretario al Tesoro, Timothy
Geithner, partirà per la sua prima missione in Cina e appare difficile che un
annuncio sul futuro del gruppo possa avvenire senza il titolare del ministero
che controlla la task force dell'auto, in prima fila durante l'annuncio su
Chrysler dello scorso 30 aprile.
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26-05-2009)
Argomenti: Obama
"Sul dialogo
Barack sbagliava Ecco la prova" Gli esperimenti nucleari
compiuti dalla Corea del Nord rappresentano un test cruciale per Barack Obama che si trova ad affrontare la
prima vera crisi internazionale dal momento del suo insediamento a gennaio. E'
questa, in sintesi, la riflessione di John Bolton, il falco neoconservatore del
governo Bush già sottosegretario di Stato per il disarmo ed ex ambasciatore
americano presso il Palazzo di Vetro. Bolton, tradizionalmente
diffidente verso l'approccio al dialogo con Pyongyang delineato dall'esecutivo
di Obama, ha parlato a Fox News e Afp, spiegando che
per l'amministrazione democratica è giunto «il momento della verità». Il gesto
di Pyongyang era realmente inaspettato? «Non direi, a mio avviso i nordcoreani
cercavano il momento giusto per fare un nuovo test anche perché il primo,
compiuto nel 2006, non era andato bene». Lei lo aveva previsto? «Sì, l'ho
scritto mercoledì scorso sul Wall Street Journal: compiere un secondo test è
stato un imperativo categorico dal punto di vista scientifico e militare negli
ultimi due anni per Pyongyang. Le informazioni e i dati ottenuti con un nuovo
esperimento nucleare avevano un'importanza strategica per il regime di Kim Jong
Il». Quindi gli Usa erano preparati? «No, ma l'amministrazione Obama ha favorito l'occasione quando l'emissario americano
Stephen Bosworth aveva detto, circa due settimane or sono, di non vedere
segnali di crisi sperando di rilanciare in questo modo al più presto i
negoziati a Sei con Pyongyang». Quindi il governo americano è in parte
responsabile? «Hanno riposto tutte le loro speranze nei colloqui a Sei - le due
Coree, gli Usa, Cina, Giappone e Russia - e questo è il risultato. Per la nuova
amministrazione, che puntava anche a un dialogo diretto, è giunto il momento
della verità». Cosa dovrebbero fare Obama? «La prima
cosa da fare è inserire di nuovo la Corea del Nord nella lista dei Paesi
sponsor del terrorismo, da cui fu depennata durante la fase calante della
presidenza di George W. Bush. Pyongyang ha tutto l'interesse a volere un
arsenale atomico visto che il suo obiettivo è quello di preservare
l'isolazionismo della dittatura. Del negoziato sul nucleare non gli interessa
nulla». E le Nazioni Unite come dovrebbero agire? «Il Consiglio di Sicurezza
deve imporre nuove e più severe sanzioni sui programmi militari del regime
nordcoreano e introdurre tutte le misure economiche previste nei casi più
estremi». E se non bastasse? «Per le sue violazioni reiterate il Paese potrebbe
anche essere espulso dalle Nazioni Unite. I test nucleari hanno dato prova del
fatto che Pyongyang non era stata affatto seria sui propri impegni per il
disarmo presi nel corso delle trattative internazionali». \
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( da "Stampa, La" del
26-05-2009)
Argomenti: Obama
Test nucleare di
Pyongyang Obama furioso La Corea del Nord sta sfidando
direttamente e in modo sconsiderato la comunità internazionale I test sono una
minaccia per la pace a cui dobbiamo rispondere Il presidente Usa: "Il
mondo reagisca subito" Ma Seul accusa: "America e
Cina sapevano" Barack Obama [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK La Corea del Nord rilancia la
sfida alla comunità internazionale con un nuovo test nucleare che provoca le
ire di Barack Obama: «Il
mondo intero deve imporsi con Pyongyang affinché rispetti l'impegno a desistere
dai propri piani atomici». L'ennesimo provocazione del regime di Kim
Jong-Il avviene poco prima delle 10 locali (le 3 di notte in Italia) quando i
sismografi registrano una scossa di terremoto in Corea del Nord di magnitudo
4.5. La natura dell'onda fa pensare all'ipotesi più inquietante, il test
nucleare. La conferma giunge poco dopo dall'agenzia ufficiale di Pyongyang, la
Kcna: «Abbiamo condotto con successo un test nucleare sotterraneo per
rafforzare le nostre capacità nucleari di autodifesa». E' il secondo
esperimento dopo quello dell'ottobre 2006, ed è una chiara ritorsione contro la
condanna dell'Onu per il lancio in orbita del missile-satellite il 5 aprile.
Del resto Pyongyang aveva avvertito che avrebbe continuato i suoi esperimenti.
Ma non è finita perché subito dopo Kim Jong-Il ordina di procedere al lancio di
un missile a corto raggio, uno Yonhap dalla gittata stimata di 130 chilometri.
Seul definisce i test una minaccia e mobilita le truppe, Tokyo parla di «gesto
inammissibile» e chiede la convocazione del Consiglio di Sicurezza Onu,
appoggiato da Mosca che poco dopo condanna anche lei. A Washington è tarda sera
e il primo a farsi sentire è il dipartimento di Stato che esprime «gravi
preoccupazioni». L'Europa condanna compatta, la Cina rompe il silenzio dopo
qualche ora e dice di essere «fortemente contraria» al test accusando la Corea
del Nord di aver «ignorato le obiezioni della comunità internazionale». L'Iran
invece, che ieri ha detto di considerare chiusi i negoziati con i 5+1 sul
nucleare, dice che il test «non ci riguarda». Per gli scienziati russi il test
nucleare sotterraneo ha avuto una potenza fra i 10 e i 20 kiloton, rispetto ai
5-15 kiloton del 2006. La vicenda si tinge di giallo quando Seul rivela che Usa
e Cina erano stati avvertiti, ma Washington si affretta a precisare che si è
trattato di un «alert» meno di un'ora prima. E sulla questione si pronuncia il
presidente Obama: «I test rappresentano una minaccia
per la pace e una sfida sconsiderata alla comunità internazionale». Obama esorta il mondo ad affrontare Pyongyang affinché
rispetti la promessa di rinunciare ai programmi atomici e afferma che a questo
punto appare «giustificata un'azione da parte della comunità internazionale».
L'inquilino della Casa Bianca si fa sentire di nuovo in mattinata con una breve
dichiarazione dal Giardino delle rose nella quale esprime «la forte condanna»
degli Usa e chiede alla comunità internazionale di «agire e rispondere
compatti». La macchina burocratica del Palazzo di Vetro si mette in moto rapidamente.
Per l'Onu i test sono una violazione della risoluzione 1718 del Cds che chiede
a Pyongyang di abbandonare i programmi nucleari. Il segretario generale Ban
Ki-moon esprime preoccupazione, e convoca il Cds per le 10 di sera italiane. I
cinque membri stavolta sembrano meno divisi. In meno di un'ora arriva una netta
condanna, «unanime». L'ambasciatore russo riferisce che i 15 membri del Cds
hanno deciso di «iniziare immediatamente a lavorare su una risoluzione». La
condanna della Russia e soprattutto della Cina potrebbe consentire di adottare
misure più severe senza il rischio di un veto e della consueta spaccatura.
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( da "Stampa, La" del
26-05-2009)
Argomenti: Obama
Gli esperimenti nucleari compiuti dalla Corea del Nord rappresentano un test
cruciale per Barack Obama
che si trova ad affrontare la prima vera crisi internazionale dal momento del
suo insediamento a gennaio. E' questa, in sintesi, la riflessione di John
Bolton, il falco neoconservatore del governo Bush già sottosegretario di Stato
per il disarmo ed ex ambasciatore americano presso il Palazzo di Vetro.
Bolton, tradizionalmente diffidente verso l'approccio al dialogo con Pyongyang
delineato dall'esecutivo di Obama, ha parlato a Fox
News e Afp, spiegando che per l'amministrazione democratica è giunto «il
momento della verità». Il gesto di Pyongyang era realmente inaspettato? «Non
direi, a mio avviso i nordcoreani cercavano il momento giusto per fare un nuovo
test anche perché il primo, compiuto nel 2006, non era andato bene». Lei lo
aveva previsto? «Sì, l'ho scritto mercoledì scorso sul Wall Street Journal:
compiere un secondo test è stato un imperativo categorico dal punto di vista
scientifico e militare negli ultimi due anni per Pyongyang. Le informazioni e i
dati ottenuti con un nuovo esperimento nucleare avevano un'importanza
strategica per il regime di Kim Jong Il». Quindi gli Usa erano preparati? «No,
ma l'amministrazione Obama ha favorito l'occasione
quando l'emissario americano Stephen Bosworth aveva detto, circa due settimane
or sono, di non vedere segnali di crisi sperando di rilanciare in questo modo
al più presto i negoziati a Sei con Pyongyang». Quindi il governo americano è
in parte responsabile? «Hanno riposto tutte le loro speranze nei colloqui a Sei
- le due Coree, gli Usa, Cina, Giappone e Russia - e questo è il risultato. Per
la nuova amministrazione, che puntava anche a un dialogo diretto, è giunto il
momento della verità». Cosa dovrebbero fare Obama? «La
prima cosa da fare è inserire di nuovo la Corea del Nord nella lista dei Paesi
sponsor del terrorismo, da cui fu depennata durante la fase calante della
presidenza di George W. Bush. Pyongyang ha tutto l'interesse a volere un
arsenale atomico visto che il suo obiettivo è quello di preservare
l'isolazionismo della dittatura. Del negoziato sul nucleare non gli interessa
nulla». E le Nazioni Unite come dovrebbero agire? «Il Consiglio di Sicurezza
deve imporre nuove e più severe sanzioni sui programmi militari del regime
nordcoreano e introdurre tutte le misure economiche previste nei casi più
estremi». E se non bastasse? «Per le sue violazioni reiterate il Paese potrebbe
anche essere espulso dalle Nazioni Unite. I test nucleari hanno dato prova del
fatto che Pyongyang non era stata affatto seria sui propri impegni per il
disarmo presi nel corso delle trattative internazionali». \
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( da "Stampa, La" del
26-05-2009)
Argomenti: Obama
Politica e
autodifesa Mi accusano di avere mentito? Allora spiegherò esattamente com'è la situazione Andrò da Obama prima del G8 Il presidente Usa non ha sbagliato una sola mossa
in politica estera Opel-Fiat? Le offerte saranno valutate oggettivamente anche
per i rapporti che abbiamo col governo tedesco Gli immigrati? Io penso sia più
umano riportarli là da dove sono partiti e consegnarli alle agenzie Onu Silvio
Berlusconi
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( da "Stampa, La" del
26-05-2009)
Argomenti: Obama
A vederli
affiancati e sorridenti, nella foto ufficiale che domenica celebrava quel loro
vertice trino, i presidenti di Iran, Pakistan e Afghanistan davano
l'impressione di essere una combriccola ben affiatata. Non è che tra sunniti e
sciiti corra proprio buon sangue, ma in gioco c'è il controllo del potere
personale e comunque un pezzo rilevante della leadership della umma musulmana;
la partita è assai grossa, e allora al Dipartimento di Stato gli analisti si sono
dedicati con cura a interpretare quei sorrisi, perché capire che cosa gli si
cela dietro è vitale non solo per gli interessi strategici degli Usa nel Golfo
ma per l'intero Grande Gioco che in quell'area sta decidendo quale fine faranno
i processi di stabilizzazione d'una crisi avvitata sul nuovo potere sciita, sul
controllo delle risorse energetiche , e sulle 30 testate atomiche di Islamabad.
Incontrando Ahmadinejad, Zardari e Karzai arrivavano da un incontro
appena tenuto alla Casa Bianca con Obama. E, a differenza di Bush, con quei due il presidente americano
non ci va tanto facile, perché vede l'ambiguità - o comunque l'inadeguatezza -
delle loro politiche, e pensa con qualche seria preoccupazione al neghittoso
confronto con l'Iran mullacratico e alle avanzate massicce dei Taliban nelle
vallate afghane e nelle montagne pakistane. Ufficialmente, i tre
dovevano parlare di cooperazione economica. Ma nessuno crede che si sia
discusso soltanto di affari commerciali, perché Obama un
qualche "pizzino" lo ha fatto scivolare dentro la tasche del
mantellone di Karzai e anche, per sicurezza, tra le pieghe dello shalwar kamiz
del collega pakistano. Il dialogo a distanza tra Washington e Teheran va avanti
con alti e bassi , ma Karzai e lo stesso Zardari non sono semplici satelliti di
Washington anche se con Washington (e con i suoi aiuti, economici e militari)
devono fare i conti d'ogni giorno; e la visita a Teheran non era dunque un
semplice viaggio per la consegna d'un "pizzino". Ognuno dei tre gioca
una sua partita personale (Ahmadinejad è poi candidato al rinnovo del mandato
tra un mese, e Karzai tra tre mesi), e la variabile che Washington si trova
costretta a valutare nei suoi piani strategici sta proprio in quei sorrisi, di
tre che s'intendono assai bene senza dover parlare l'inglese. (Mimmo Cándito)
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( da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 1 - Prima
Pagina L´AMBIGUITà DI PECHINO PECHINO La Corea del Nord alza la posta del
ricatto nucleare, osa il secondo test nucleare in due anni e mezzo. Il dittatore Kim Jong Il sfida la condanna unanime delle nazioni,
sicuro di poter reggere il bluff del terrore. è l´America il suo vero
obiettivo: vuole piegare Barack Obama, estorcere concessioni economiche, conquistarsi lo status
permanente di mini-superpotenza regionale nel teatro strategico dell´Estremo
Oriente. SEGUE A PAGINA 13
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( da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 12 -
Esteri La Corea sfida il mondo con un nuovo test atomico Condanna unanime,
riunione d´emergenza all´Onu L´esplosione, di potenza simile a quella di
Nagasaki, ha anche provocato un terremoto Si sperava che le promesse di aiuti
economici facessero desistere il dittatore ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK -
L´esplosione sotterranea di una bomba nucleare nord-coreana, della stessa
potenza di quella di Nagasaki, ha provocato ieri una scossa tellurica nella
zona di Kilju, nel nord-est del paese, e ha avuto forti contraccolpi politici
nelle capitali di tutto il mondo. Il test, infatti, il secondo condotto dal
regime autocratico della Corea del nord dopo quello dell´ottobre 2006, non solo
ha confermato i progressi degli scienziati nucleari di Pyongyang e ha
alimentato le congetture sulla successione del leader Kim Jong-il, ma è stata
vista come una aperta sfida alle risoluzioni dell´Onu e ai tentativi
internazionali di limitare la proliferazione atomica. Ieri sera, a poche ore
dall´annuncio dell´esperimento e del contemporaneo lancio di tre missili
terra-aria di breve gittata, il consiglio di sicurezza dell´Onu si è riunito
per consultazioni di emergenza sulla crisi nord-coreana. Nel corso della
giornata la provocazione di Kim Jong-il è stata duramente condannata dai
maggiori protagonisti della politica estera: anche dalla Cina, che è stata
storicamente l´interlocutore privilegiato di Pyongyang, e che, come gli Stati
Uniti, era stata preavvertita un´ora prima dell´esplosione. «Chiediamo che i
nord-coreani rispettino le promesse di de- nuclearizzazione e ritornino al
tavolo delle trattative a sei», ha detto Pechino in un comunicato, riferendosi
ai negoziati condotti tra Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone, Corea del Sud e
del Nord. Mosca ha evidenziato gli effetti destabilizzanti del test. Il
presidente della Corea del Sud, dove gli indici azionari hanno perso il 6 per
cento, ha convocato una riunione del consiglio della sicurezza interna. Il
segretario generale dell´Onu Ban Ki- moon ha espresso «profonda
preoccupazione». La reazione della Casa Bianca è stata particolarmente dura.
Costretto ad affrontare la prima vera crisi internazionale della sua
presidenza, Barack Obama ha denunciato il test di Pyongyang come «un atto di incoscienza»
che «rappresenta una grave minaccia alla pace e alla sicurezza del mondo». Il
presidente americano, che ieri era al cimitero militare di Arlington per il
Memorial day, la giornata dei caduti, ha sollecitato un´adeguata risposta da
parte della comunità internazionale. Un´ipotesi di cui ha parlato il
segretario di stato Hillary Clinton in una serie di contatti telefonici con
altre capitali è quella di un inasprimento delle sanzioni economiche nei
confronti di Pyongyang. è una arma a doppio taglio e con dolorosi effetti
sociali: la Corea del Nord, infatti, è un paese poverissimo, molti dei 23
milioni di abitanti non hanno né elettricità né abbastanza cibo per nutrirsi, e
le sanzioni rischiano così di creare ulteriori sofferenze. Ma quali altri
strumenti può usare l´Onu? Finora tutti gli sforzi internazionali sono falliti.
Si sperava che la promessa di aiuti economici e forniture petrolifere
convincesse Kim Jong-il, 67 anni, a desistere dalle sue ambizioni balistiche e
nucleari. Per qualche anno sembrava che la strategia funzionasse. Ma dopo
l´ictus dell´agosto scorso il figlio ed erede di Kim Il-sung ha capito -
secondo quanto dicono esponenti dell´intelligence - che aveva bisogno di
rafforzare il suo prestigio all´interno e l´alleanza con i militari per
garantire il futuro della dinastia, cioè che la presidenza passi a suo figlio
Kim Jong-un. Di qui la nuova escalation militare. Ad aprile di quest´anno la
Corea del Nord aveva lanciato un missile balistico e il consiglio di sicurezza
aveva subito inasprito l´isolamento commerciale. Offesa per la decisione,
Pyongyang ha minacciato di riaprire gli impianti di arricchimento del plutonio
e di riprendere gli esperimenti nucleari. E ieri è passata dalla parole ai
fatti: la bomba esplosa a Kilju è quasi venti volte più potente di quella con
cui nel 2006 Kim Jong-il entrò nel «club» dei paesi nucleari.
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( da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 13 -
Esteri La Cina formalmente protesta, in realtà preferisce lo status quo.
Evitando il crollo del regime di Pyongyang Il ricatto a Obama,
l´ambiguità di Pechino così Kim Jong Il gioca la carta bomba Al regime basta
alzare di un livello la pericolosità virtuale per attirare l´attenzione (SEGUE
DALLA PRIMA PAGINA) DAL NOSTRO CORRISPONDENTE federico rampini L´imbarazzo di Obama è evidente. Le parole del presidente americano sono
pesanti, definisce il test nucleare e missilistico "una grave minaccia
alla pace e alla sicurezza nel mondo, azioni irresponsabili". Chiama la
comunità internazionale a "reagire". Ma come reagire? Gli unici ad
avere reali strumenti di pressione sul regime comunista di Pyongyang sono i
cinesi. Pechino in questa partita mantiene un ruolo ambiguo e cinico; nasconde
le sue carte; si associa alle condanne ma si ferma sempre un passo prima di
ogni azione risoluta. Non importa il colore dei suoi presidenti, l´America è
presa in ostaggio in una zona vitale per i suoi interessi. Washington dipende
dalla buona volontà della Cina e non può denunciarne la doppiezza. Prepotenza e
provocazione sono le tattiche predilette dal leader nordcoreano. Hanno sempre
funzionato. Anche se la maggioranza del suo popolo vive nel terrore e nella
fame, il regime comunista di Pyongyang ha smentito finora chi si aspettava un
suo crollo. Il test nucleare di ieri s´inserisce in una strategia razionale,
massimizza il potere contrattuale verso l´America e i suoi alleati vicini:
Corea del Sud, Giappone. Il test di ieri prosegue una escalation della
tensione. Le puntate più recenti: il 5 aprile il lancio di un missile a lunga
gittata inabissatosi nel Pacifico tra il Giappone e le Hawaii; l´arresto di due
giornaliste americane tuttora in carcere a Pyongyang; il congelamento della pur
limitata cooperazione economica con la Corea del Sud. Come giustifica questi
gesti la dittatura nordocreana? Ieri un comunicato di
Pyongyang si esprimeva così: "L´analisi della politica di Obama negli ultimi 100 giorni dimostra
che non è cambiato nulla. E´ inutile sedersi a un tavolo con un interlocutore
che ci è ostile". Obama non può neppure invocare gli errori del suo predecessore. Lo
stesso George Bush aveva già rettificato il tiro. Dopo l´11 settembre
2001 aveva messo la Corea del Nord tra i paesi dell´"asse del male".
Poi, frustrato dallo stallo, aveva tentato l´approccio soft. Nel febbraio 2007
Bush accettò di levare molte sanzioni in cambio di un arresto del programma
nucleare nordcoreano. Tra quelle sanzioni una infastidisce particolarmente Kim
Jong Il: il blocco dei suoi conti bancari personali su una banca offshore di
Macao. Bush aveva offerto la fine di quell´embargo bancario. Ma il disgelo si
interruppe bruscamente nel dicembre 2008, con il rifiuto della Corea del Nord
di accettare ispezioni nei suoi impianti nucleari. Qual è l´effettiva capacità
di nuocere di questi test? Gli esperti di armi nucleari hanno definito un flop
il test del 2006. La potenza dell´esplosione di ieri è forse inferiore
all´arcaica bomba-A lanciata su Hiroshima. Ma la vicinanza della Corea del Sud
e del Giappone, nonché di decine di migliaia di soldati americani dislocati in
quell´area, consente a Kim di infliggere danni anche con mezzi rudimentali. Gli
basta alzare di un livello la propria pericolosità virtuale, per attirare
l´attenzione. Pyongyang in passato ha strappato aiuti economici, finiti
regolarmente a ingrassare la nomenklatura, proprio alternando le minacce e le
(effimere) concessioni. La chiave sta a Pechino. In questa fase in cui il
"monarca rosso" Kim prepara la propria successione, i legami che la
Cina ha mantenuto con le alte gerarchie militari di Pyongyang sono una leva
potente. E la Corea del Nord non sopravviverebbe più di poche settimane, se la
Repubblica Popolare le facesse mancare le forniture di energia o gli
approvvigionamenti alimentari. E´ proprio il tipo di pressione che Pechino non
ha mai voluto evocare. Neppure l´arma spuntata delle sanzioni Onu riesce a
passare oltre il veto cinese. Pechino preferisce lo status quo, in cui la sua
diplomazia giostra con abilità. I governanti cinesi esercitano pressioni
verbali sui nordcoreani, guadagnandosi così gli apprezzamenti di Washington. Ma
il loro intervento evita qualsiasi atto che possa accelerare una decomposizione
della dittatura di Pyongyang. Lo sbocco finale sarebbe la riunificazione con la
Corea del Sud. La penisola coreana diventerebbe la prima democrazia
filo-americana ad avere un confine terrestre con la Cina. Conviene invece
prolungare questa sceneggiata tragica e grottesca: mette a nudo la fragilità
del potere americano in Asia.
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( da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina I - Torino
STEFANO PAROLA A PAGINA XI Piemonte economia Maestri (Intesa): linee di credito
impiegate al cinquanta per cento Sulle rive del Po il polo europeo della
meccanica (Obama sponsor)
"Prestiti frenati? Quando in banca arriva un´azienda brindiamo" PIER
PAOLO LUCIANO Vincenzo Ilotte, presidente dell´Amma, ha un sogno: candidare il
Torinese a polo europeo della meccatronica. Lo dice, con convinzione, a metà
del suo primo discorso da presidente dell´associazione che riunisce le aziende
meccaniche e metalmeccaniche dell´area, la più importante per numeri e
peso nell´Unione industriale di Torino. «Crediamo profondamente di avere le
carte in regola» sostiene. E aggiunge: «Ricordo con orgoglio che a Torino
esiste una straordinaria concentrazione di competenze, capacità, sapere fare
tecnico e organizzativo riferiti all´intero ciclo dell´auto». E un modello a
cui ispirarsi (la Fiat) per «affrontare la crisi come un´opportunità e non
soltanto come un´emergenza straordinaria». SEGUE A PAGINA IX
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( da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina IX -
Torino I punti d´orgoglio I punti dolenti "Qui il polo europeo della
meccanica" Ilotte all´assemblea dell´Amma: abbiamo le competenze e le
capacità La migliore testimonianza del nostro sapere fare è nell´elogio di Obama alla Fiat: un´impareggiabile
iniezione di fiducia. Come l´alleanza con Chrysler Servono più sinergie tra
imprese, ma occorre anche ridurre alcuni gap: le infrastrutture inadeguate e un
aeroporto con pochi voli e prezzi alti (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) PIER PAOLO LUCIANO
(segue dalla prima di cronaca) «La migliore testimonianza è nel discorso con
cui il presidente Obama ha
tributato uno straordinario elogio alla Fiat e alla nostra industria.
Per il settore dell´auto, l´alleanza Fiat-Chrysler rappresenta una svolta su
scala mondiale che ha il valore di un passaggio epocale. E un´impareggiabile
iniezione di fiducia. La Fiat, con la sua proprietà e il suo management, ha
affrontato la crisi secondo l´approccio costruttivo che è condiviso da gran
parte delle imprese torinesi. Ha dimostrato con i fatti che, anche nei
frangenti più difficili, occorre continuare a progettare il futuro e sostenere
quei progetti in cui è racchiuso il significato autentico del "fare
industria". Dobbiamo proseguire su questa via, ponendoci nel solco che la
Fiat ha aperto con la sua mossa coraggiosa e non aver paura di fissare
obiettivi ambiziosi e saper sparigliare il nostro gioco. La scelta del
presidente americano ha conferito un´eccezionale legittimazione al nostro
sistema imprenditoriale. L´intesa americana, d´altronde, ha dimensioni e
portata tali da offrire concrete possibilità di sviluppo per le aziende
torinesi dell´automotive». Tutto bene, dunque? Non proprio. Ilotte non si
nasconde che «riscoprire l´orgoglio industriale possa essere pura retorica» se
poi non si supportano concretamente le imprese nello sforzo di «resistenza alla
crisi e di rilancio competitivo». E il primo pensiero va proprio alle associate
all´Amma, «da novant´anni la punta di diamante della nostra Unione
industriale». Ecco allora qualche numero: 1200 imprese sparse nel territorio
provinciale, 160mila addetti, pari al 70% dell´intero comparto manifatturiero e
al 21% di tutti gli occupati nel Torinese. Di queste l´Amma ne rappresenta 800,
con una forza lavoro pari a centomila addetti. I comparti dove è più accentuata
la specializzazione sono tre: l´automotive, l´aerospazio e la meccatronica.
«Autentici punti di forza della nostra organizzazione industriale che, grazie
anche alla presenza di Politecnico e università, hanno saputo attrarre
investitori esteri, che hanno deciso di impiantare qui nuovi insediamenti
industriali, che oggi occupano 34mila addetti» aggiunge Ilotte. Altri numeri:
nel 2007 il comparto ha esportato merci per 14 miliardi e sono più di cento
(127 per la precisione) le aziende che hanno oltreconfine uno o più
stabilimenti, dove producono il 25-30% del loro fatturato. Ma non mancano i
punti deboli. Il numero dell´Amma li riassume così: «Una capacità di
innovazione diseguale, la debole inclinazione a fare network, le dimensioni
talvolta insufficienti, la discrepanza tra l´offerta di lavoro e la richiesta
di competenze delle imprese. Siamo ancora troppo deboli nei confronti dei
concorrenti più agguerriti, nella nostra capacità di fare sistema». Per
superare questi handicap, si punta a creare un polo di innovazione della
meccatronica e dei sistemi avanzati di produzione. L´ambizioso progetto,
finanziato dalla Regione, ha coinvolto finora 70 imprese, con circa novemila
addetti, favorendo una filiera diretta fra il mondo della ricerca e quello
della produzione. «Vogliamo aumentare la sinergia fra le imprese e i centri di
ricerca, sviluppando il networking, fondamentale per diffondere capacità
innovative». Per questo Ilotte chiede alla classe politica, e al governo in
primis, di «definire i settori strategici e, in una visione di lungo termine,
dare a questi la possibilità di competere a livello internazionale». Ma non è
tutto. Ci sono altri «tallone d´Achille» sulla strada dell´impresa torinese. A
cominciare dalle infrastrutture «che non hanno fatto sufficienti passi avanti.
Il Torinese e il Piemonte più in generale sono penalizzati dalla loro posizione
decentrata rispetto alle reti di trasporto e della logistica. I nostri assi
ferroviari e autostradali non sono così sviluppati da sopperire alle necessità
del territorio. Per non parlare di Caselle: pochi voli con gli hub
internazionali e prezzi 3-4 volte più cari degli altri scali». Senza
dimenticare l´energia, un´altra questione che si impone per l´urgenza. Forse
per questo Ilotte, sia pure indirettamente, non nasconde di tifare per la
nascita di una vera, grande utility del Nord nel campo: insomma, Iride e Enia e
poi forse anche Hera.
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( da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina I - Genova
"Yes, We Go", e la Sopraelevata si illumina di rossoblu "Yes, we
go". Lo slogan, che somiglia non casualmente al
"Yes we can" di Barak Obama, campeggia dalla notte scorsa su un gigantesco cartellone, ben
visibile dalla Sopraelevata. Le elezioni non c´entrano. E l´Europa raffigurata
ha due colori: il rosso e il blu. Come il volto di chi, idealmente, pronuncia
questa frase: Enrico Preziosi. La festa della Genova rossoblù è appena
cominciata. Appuntamento per tutti, domenica, a Marassi. I SERVIZI A PAGINA
XVIII
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( da "Corriere della Sera"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Prima Pagina data: 26/05/2009 - pag: 1 RICATTI GLOBALI di FRANCO VENTURINI P er bussare alla porta di Obama la Corea del Nord ha scelto
l'unico metodo che conosce: il ricatto nucleare. Il test atomico di ieri è il
primo dal 2006, quando alla Casa Bianca c'era ancora George Bush e Pyongyang
voleva alzare la posta di un balbettante negoziato. L'anno dopo, in effetti, si
arrivò a un accordo molto vantaggioso per i nord-coreani. Ma poi nel
mondo sono sorti nuovi problemi e soprattutto è arrivato Barack Obama. Secondaria rispetto alle molte urgenze che
attendevano il nuovo presidente, la Corea del Nord si è sentita trascurata.
Ecco, allora, il promemoria del 5 aprile: il lancio di un missile balistico a
lunga gittata. In Occidente, proteste e nient'altro. Forse, deve aver pensato
il carissimo leader Kim Jong-il, serve un messaggio più forte. È il turno
dell'esplosione sotterranea di un ordigno atomico. La cronaca di queste ore ci
riferisce di altre proteste, di altra indignazione, di altri impegni
all'intransigenza. Ma in realtà l'America e la comunità internazionale
nascondono un segreto: la loro impotenza, oggi come ieri, davanti alle
reiterate provocazioni di Pyongyang. La più parossistica e isolata dittatura
comunista del pianeta ha l'atomica e un esercito di un milione di uomini, ma
senza massicci aiuti non è in grado di nutrire decentemente i suoi cittadini.
Gli Usa di Bush avevano pensato di percorrere questa strada. A Pyongyang
arrivarono tanti generi di prima necessità. Ma tutto quel ben di Dio, invece di
indurre i gerarchi nord-coreani al pragmatismo, ebbe l'effetto contrario:
Pyongyang ruppe con Seul e cacciò gli ispettori dell'Agenzia atomica prima di
rinnovare, per due volte, il suo solito ricatto. Evidentemente alla casta
paranoica che governa la Corea del Nord serve anche quello status che soltanto
l'attenzione dell'America può conferire e serve soprattutto che il Paese
continui a essere un grande campo di concentramento privo di rischi per il
potere. Un potere misterioso, che dopo la malattia di Kim Jong-il potrebbe
essere oggi nelle mani di militari oltranzisti. Il risultato è la sconfitta di
tutti. Della Cina, che si vanta di esercitare su Pyongyang una certa influenza.
Della Russia, che usa citare la sua mediazione con i nord-coreani come esempio
di comportamento costruttivo. Ma anche dell'America di Obama,
che vede aprirsi un nuovo fronte di crisi proprio mentre l'iraniano Ahmadinejad
restituisce al mittente l'idea di negoziare sull'arricchimento dell'uranio.
Proprio nei confronti dei programmi atomici del-- l'Iran e delle bombe atomiche
già esistenti nella Corea del Nord si è detto spesso che gli Usa di Bush
abbiano applicato due pesi e due misure. È vero, per ragioni ovvie: l'Iran
minaccia Israele e può far scattare la proliferazione nucleare nel grande
forziere mondiale del petrolio, la Corea del Nord è inattaccabile perché
garantita dalla Cina e non crea un pericolo di proliferazione in aree cruciali.
Eppure Obama, malgrado queste differenze, dovrà porsi
il problema. Forse è il caso che sia lui, per una volta, a ritirare la mano che
era stata tesa ai ricattatori di Pyongyang.
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( da "Corriere della Sera"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Prima Pagina data: 26/05/2009 - pag: 1 Prova di forza del
dittatore dopo la malattia. Obama:
una minaccia alla pace, bisogna reagire La bomba coreana spaventa il mondo Test
atomico e missilistico. Usa, Cina e Russia insieme nella condanna all'Onu Test
nucleare della Corea del Nord nei pressi della città nordorientale di Kilju.
È il secondo della sua storia, dopo quello del 2006. Ma è il più potente: tra i
10 e i 20 chilotoni, l'equivalente degli ordigni americani sganciati nel '45 su
Hiroshima e Nagasaki. Lanciati anche tre missili a corto raggio. Il mondo ha
reagito con allarme. Per il presidente Usa, Obama, la
sfida di Pyongyang «minaccia la stabilità». Anche il governo cinese ha espresso
la sua irritazione: «Risolutamente contrario al test». La Russia ha convocato
una riunione d'emergenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu che si è chiusa
con la condanna unanime: Usa, Cina e Russia hanno votato insieme. ALLE PAGINE
2E3 Del Corona, Salom
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( da "Corriere della Sera"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 26/05/2009 - pag: 2 Il test nordcoreano unisce
Usa, Cina e Russia Obama: «Minaccia alla stabilità mondiale». All'Onu condanna unanime
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO Il mondo forse si era distratto. Non Kim
Jong-il, non i suoi generali. Alle 9.54 di ieri mattina, a circa 10 chilometri
di profondità, la Corea del Nord ha condotto un test nucleare nei pressi della
città nordorientale di Kilju. E' il secondo della sua storia, dopo
quello dell'ottobre 2006. ma è il più potente: tra i 10 e i 20 chilotoni (3
anni fa non si arrivava a uno), cioè l'equivalente degli ordigni americani che
nel '45 spianarono Hiroshima e Nagasaki. E mentre nel sottosuolo si propagava
una scossa sismica percepita anche in Cina, l'agenzia «Kcna» annunciava al
mondo che era stato «condotto con successo un nuovo esperimento atomico sotterraneo»
nell'ambito di «misure per rafforzare la deterrenza nucleare d'autodifesa». Il
mondo ha reagito con il consueto allarme. Per dirla con le parole di Barack Obama, la sfida di Pyongyang è «materia di grave
preoccupazione per tutte le nazioni», «minaccia la stabilità » e «non può che
rendere più profondo l'isolamento della Corea del Nord». A completare il menu
della giornata, dal poligono costiero di Musudanri sono stati lanciati tre
missili a corto raggio. Dell'imminente deflagrazione i nordcoreani avevano
informato sia i loro vicini cinesi sia gli arcinemici americani. Non i russi né
i giapponesi. La Russia ha convocato una riunione d'emergenza del Consiglio di
sicurezza dell'Onu, che si è conclusa ieri notte con la condanna unanime del
test nordcoreano, definito una «chiara violazione» della risoluzione 1718 delle
Nazioni Unite. Persino la Cina si è detta «risolutamente contraria» al test. Il
Consiglio di sicurezza ha deciso di preparare una nuova risoluzione, che
comporterà nuove sanzioni. Allerta tra i militari sudcoreani, in un Paese
tramortito dal suicidio dell'ex presidente Roh Moo-hyun. «Sempre la stessa
strategia. Mostrare forza, arrivare sull'orlo del precipizio, forzare la
trattativa», spiega al Corriere Yu Yingli, ricercatrice allo Shanghai Institute
of International Affairs. Tra il test del 2006 e questo aggiunge «c'è una
differenza. Il primo serviva a far della Nord Corea una potenza nucleare. Il
secondo a certificare i progressi di una tecnologia sempre più sofisticata ».
Il regime di Kim Jong-il era consapevole di aver violato la risoluzione 1718.
Ma lo sapeva anche ad aprile, quando (il 5) ha testato un missile a lungo
raggio che ha scavalcato il Giappone. All'Onu, allora, Pechino e Mosca avevano
evitato che si giungesse a una risoluzione o a nuove sanzioni: una settimana
dopo il lancio balistico, è arrivata una «dichiarazione » di condanna che è
bastata alla Corea del Nord per rompere il tenue legame diplomatico con il
mondo, il tavolo a sei sul programma nucleare. Come ulteriore schiaffo a tutti,
il 14 aprile aveva ripreso le attività nell'impianto di Yongbyon ed espulso gli
ispettori dell'agenzia atomica Onu. Reduce da (o ancora nel mezzo di) una lunga
convalescenza, a Kim Jong-il il test di ieri è perlomeno servito a sigillare
ulteriormente il legame con l'elite militare. Quanto a indurre Obama a trattative dirette, la Bomba sembra destinata a fare
cilecca. In piazza Dimostranti anti-Corea del Nord in una protesta ieri a Seul,
capitale della Corea del Sud ( sopra) (Reuters). Il leader nord-coreano Kim
Jong-il ispeziona una base dell'aeronautica militare ( al centro) (Ap). Kim
Jong-il è salito al potere nel 1994, succedendo al padre, il «presidente
eterno» Kim Il-sung M.D.C.
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(sezione:
Obama)
(
da "Corriere della Sera"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 26/05/2009 - pag: 2 L'intervista Lo storico Pierre Rigoulot «Kim dice all'America: se c'è posto per l'Iran, fateci entrare nel club» Un messaggio molto chiaro per la Casa Bianca. Ma anche una dimostrazione, secondo le leggi perenni degli Stati totalitari, di quanto un regime dato per finito abbia ancora risorse da spendere sulla scena del mondo. Per Pierre Rigoulot, direttore dell'Istituto di storia sociale a Parigi, grande conoscitore della realtà estremo-orientale e autore di Corea del Nord. Fame e atomica, (Guerini e Associati, 2004), l'esperimento nucleare di ieri è tutt'altro che un «incidente di percorso», considerato anche che «Pechino ha reagito con fastidio» al test. Un terremoto politico internazionale: perché lo hanno fatto? «Tutti hanno condannato il test, Cina compresa. Per mettermi nei panni di Pyongyang: nel 2006 un'esplosione analoga scompaginò i colloqui a Sei. Questa volta non c'erano negoziati, nessun contatto con nessuno. Credo che volessero dire qualcos'altro». Cosa esattamente? «Intanto hanno reagito molto velocemente ai segnali inviati dall'Amministrazione Usa in un altro scenario. >Alcuni
giorni fa Obama ha fatto intendere che era pronto
a negoziare con Teheran sul nucleare. La leadership nordcoreana ha capito
istantaneamente l'esitazione americana: per Pyongyang, equivale ad accettare
una potenza atomica iraniana. Il nuovo atteggiamento verso l'Iran è, per loro,
un segnale che la politica di non proliferazione è stata di fatto abbandonata
dalla Casa Bianca. Dunque se può
Teheran, perché non Pyongyang? Luce verde agli esperimenti nucleari». Altri
segnali? «Secondo punto: la relazione tra Corea del Sud e Corea del Nord è ai
minimi storici. La politica del sorriso, o 'sunshine policy' (voluta dallo
scomparso presidente Roh Moo-hyun, ndr) di fatto è stata mes- Storico Pierre
Rigoulot
(
da "Corriere della Sera"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 26/05/2009 - pag: 6 Merkel convoca
Marchionne «Decisione entro domani» Il verdetto del governo e dei Länder. Il ruolo di Obama DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO La cancelliera Angela Merkel è
finalmente scesa in campo nella battaglia per Opel. Oggi incontrerà
l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne. Domenica sera dopo che
sabato aveva parlato al telefono con il primo ministro russo Vladimir Putin ha
incontrato Frank Stronach e Siegfried Wolf, i rappresentanti di Magna,
la società che guida la cordata russo-canadese che vuole comprare Opel in
competizione con Fiat e Ripplewood. Soprattutto, domani presiederà una
riunione, che probabilmente sarà tesa e lunghissima, per decidere
l'orientamento del suo governo sul salvataggio della casa automobilistica
tedesca e probabilmente per scegliere uno dei tre offerenti e aprire con esso
trattative esclusive. Lo showdown di domani potrebbe essere una delle immagini
più straordinarie di come si fa business nel dopo crisi finanziaria, sotto le
ali dei governi. Il destino della Opel sarà infatti discusso e forse deciso da
tutti i ministri del governo di Grande Coalizione, dai quattro premier dei
Länder dove la casa automobilistica ha impianti e in contatto con l'Amministrazione
Obama a Washington per coordinare il salvataggio con
la probabile bancarotta di General Motors. Forse, sarà chiesto ai
rappresentanti dei tre gruppi interessati a Opel di rimanere a Berlino per dare
chiarimenti se necessario. Comunque, non è un affare che si decide tra un
venditore Gm e un compratore uno dei tre offerenti: è questione decisa dalla
politica perché Berlino dovrà dare garanzie finanziarie al progetto che
risulterà vincente. Entro la notte di mercoledì, dunque, il governo tedesco dovrebbe
fare sapere chi ha scelto per assicurare un futuro alla Opel. Al momento, prima
cioè dell'incontro Merkel-Marchionne, la proposta di Magna e del produttore di
auto russo Gaz, pesantemente sostenuta dal Cremlino, sembra la preferita. Ma la
situazione è in movimento. Oggi, tra l'altro, il vicepresidente della Fiat John
Elkann, già a Berlino per un impegno non rilevante, incontrerà il ministro
dell'Economia Karl-Theodor zu Guttenberg. La Fiat ce la può ancora fare ad
affermare la sua idea che punta alla creazione del secondo gruppo dell'auto nel
mondo, dopo Toyota. Ma non sarà facile. Secondo i più seri analisti economici e
politici, la situazione, al momento, è la seguente. La proposta della casa
torinese è la migliore dal punto di vista industriale, quella che potrebbe dare
a Opel un ruolo in un gruppo globale. La proposta di Magna e Gaz, che vede la
partecipazione rilevante della banca vicina a Putin Sberbank, è invece la più
forte dal punto di vista della politica tedesca, perché evita una rottura nella
Grosse Koalition di governo, tra i cristiano-democratici di Frau Merkel e i
socialdemocratici di Frank-Walter Steinmeier decisamente schierati con il
progetto Magna- Gaz. E anche dal punto di vista del venditore formale di Opel,
la Gm americana, la soluzione russo-canadese di Magna è la migliore perché
impedisce la creazione di un gruppo globale e forte che sarebbe suo concorrente
diretto. La scelta di Berlino si gioca, domani, in questa cornice. Sullo
sfondo, le elezioni federali del 27 settembre nelle quali il salvataggio Opel
avrà un ruolo decisivo. Il mercato... un'altra volta. Sergio Marchionne Danilo
Taino
(
da "Corriere della Sera"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 26/05/2009 - pag: 6 Il piano Scadenza a
mezzanotte Gm, bancarotta vicina L'effetto sull'Europa MILANO Ancora poche ore.
I creditori di General Motors hanno tempo fino alla mezzanotte di oggi (le 6
del mattino di domani in Italia) per convertire i loro crediti in azioni. Ma se
la decisione non riguarderà almeno il 90% del debito complessivo, salterà il
piano che l'azienda sta mettendo a punto e che dovrà presentare entro fine mese
al governo Usa. Aprendo così la strada al Chapter 11, la procedura di
bancarotta assistita. Ebbene, al momento sembra essere proprio quest'ultima la
soluzione più probabile, dal momento che gran parte degli obbligazionisti ha
già detto di non volere la conversione. Il passaggio è importante. Dalla piega
che prenderanno gli eventi dipenderà infatti anche il destino di Opel, la
consociata europea di General Motors contesa da tre pretendenti, tra cui la
Fiat di Sergio Marchionne. Che la società tedesca stia marciando verso un nuovo
proprietario non è in discussione. Le attività in Europa nel 2008 hanno
generato perdite per 2,5 miliardi di dollari e nel solo primo trimestre del
2009 hanno già accumulato un risultato negativo di 2 miliardi. Si tratta di
oneri insostenibili per la casa madre di Detroit, alle prese con i problemi del
mercato interno e già abbondantemente finanziata dal governo Usa. Ma chiunque
riesca a vincere la corsa la Fiat, la cordata russo-canadese
Magna-Gaz-Sberbank, il fondo Ripplewood per rilanciare il marchio Opel avrà
bisogno di aiuti pubblici. Ecco perché nella complessa partita la posizione del
governo tedesco diventa decisiva. In Germania Opel ha quattro stabilimenti e 25
mila dipendenti. Tutti i piani presentati contemplano tagli. Quello della Fiat
sembra prevedere il sacrificio minore (2 mila persone), ma la proposta è più
articolata e complessa. A sfavore del Lingotto gioca l'aspetto più strettamente
commerciale: i manager di Gm (anche se il numero uno Fritz Henderson non è di
questo avviso) giudicano la casa torinese, ormai alleata di Chrysler, il loro
più temibile concorrente. La soluzione, però, va ben oltre il semplice livello
aziendale, proprio a causa della eccezionalità della situazione. Ecco allora che occorre passare al livello superiore, quello
politico-istituzionale. E in questo caso il presidente Usa Barack Obama è considerato un alleato di
Marchionne, da lui definito in più di un'occasione il manager ideale per
rilanciare l'auto Usa. Fritz Henderson Giacomo Ferrari gferrari@corriere.it
(
da "Corriere della Sera"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Opinioni data: 26/05/2009 - pag: 8 LA CRISI DEL CAPITALISMO
Stipendi alti e pochi risultati America delusa dai grandi manager di MASSIMO
GAGGI T orna? Non torna? Torna, ma a «mezzo servizio»? Tra qualche settimana
metà o fine giugno Steve Jobs dovrebbe riprendere la guida della Apple dopo un
semestre passato a curare la sua malattia: non un nuovo tumore, pare, ma gli
squilibri metabolici provocati dall'intervento del 2004 per la rimozione di un
cancro al pancreas. Stavolta, però, anziché con trepidante attesa e umana
comprensione, l'avventura dell'uomo che col Macintosh ha trasformato
l'industria dei computer e che con iPod e iPhone ha rivoluzionato il modo di
ascoltare la musica e di usare il telefonino, viene seguita con un certo
fastidio. Non è solo l'irritazione dei mercati per un'incertezza che si
riflette sul valore della Apple in Borsa: è anche il riflesso del cambiamento
di umori di un'America che ha smesso di adorare i suoi Ceo, gli amministratori
delegati delle grandi «corporation» che negli ultimi trent'anni da quando Lee
Iacocca salvò la Chrysler sono stati le figure più ammirate. Vere icone di un
Paese perennemente a caccia di eroi. Ancora due anni fa i giornali erano pieni
di articoli che ne celebravano il coraggio, la propensione al rischio, la
capacità di inventare il futuro. «Titani», masters of the universe in grado, da
soli, di cambiare il destino di aziende globali con centinaia di migliaia di
dipendenti. Chi poteva azzardare nei loro confronti obiezioni terra-terra come
quelle sull'entità di maxistipendi chiaramente sfuggiti alla forza di gravità?
Anche se Jim Collins nel suo bestseller del 2001 Good to Great aveva
sentenziato, dopo averne studiato le avventure, che gli amministratori di
maggior successo non sono i grandi visionari ma gli umili e infaticabili
costruttori di solide strutture aziendali, fino all'altro ieri l'esaltazione
dell'indomito coraggio dei Ceo è stato il pane quotidiano dell'America:
l'addestramento in campi paramilitari dove i manager andavano ad apprendere le
tecniche di sopravvivenza, l'amministratore delegato della Southwestern
Airlines che si lanciava col paracadute perché «le idee migliori ti vengono
quando sei pieno di adrenalina», le corse in moto sull'asfalto bagnato del capo
della Bmw Usa, i voli acrobatici del Ceo di Micron Technologies, folle di
manager improvvisamente pazzi per il bungee jumping, tutti in fila su un ponte,
pronti a gettarsi nel vuoto. Più prudente, il fondatore di Amazon Jeff Bezos si
accontentava dell'adrenalina procurata dalle attrazioni di Disneyworld, di cui
rimane un assiduo frequentatore. Poi è arrivato il 2008 con molti dei più
celebrati banchieri cacciati a raffica con l'accusa di aver distrutto i loro
istituti, esposti a rischi folli. E col Congresso che ha cominciato a
«processare» pubblicamente, in diretta tv, i capi dell'industria petrolifera,
della finanza di Wall Street, dell'auto. Ex «signori dell'universo» ridotti a
balbettare giustificazioni per l'uso dei loro jet aziendali. Tra un mese allo
Stock Exchange di New York verrà incoronato il Ceo dell'anno. Per il 2009 è
stato scelto il capo di McDonald's, Jim Skinner: uno che è entrato in azienda a
17 anni, partendo dalle cucine di un «fast food» e che, dopo una straordinaria
carriera interna e la nomina ad amministratore delegato, nel 2004, ha
rilanciato il gigante della ristorazione rinnovando l'arredamento dei suoi
locali e migliorando i menu con l'inserimento di cibi salutari, in aggiunta
alle classiche polpette e alle patate fritte. Ma possono bastare dei solerti
manutentori di aziende per restaurare un capitalismo che ha bisogno di essere
rilanciato se non, addirittura, reinventato? La rivista The Atlantic è stata
tra le prime a porre il problema: «Abbiamo esagerato con i 'supereroi', è vero.
Ma siamo sicuri di poter rinunciare ai manager visionari?». Ai conservatori,
rimasti fedeli all'impostazione classica del liberismo, la demolizione della
cultura dei Ceo «imperiali» pare funzionale a una loro
subordinazione al potere del nuovo «superCeo», il presidente Obama. Sul New York Times David Brooks
sostiene, invece, che l'emergere di Washington come motore di una nuova,
pervasiva politica industriale, determinerà un'altra mutazione genetica nei
Ceo, spingendoli ad assorbire alcuni tratti tipici dell'uomo politico.
Chrysler è l'azienda simbolo di questa era magmatica. Non ha inventato l'auto,
ma l'ha reinventata varie volte: il Suv, il minivan, le berline sportive Dodge.
Il leader carismatico Iacocca e Bob Nardelli, l'uomo venuto dai supermercati
che ha accompagnato senza un sussulto l'azienda fin sulla porta dell'obitorio.
Tocca ora a Sergio Marchionne farla risuscitare. Un uomo solo al comando, un
visionario, uno che non ha paura di rischiare. Che, però, da Washington a
Berlino, ha rapidamente imparato a trattare coi governi. Gli esperti americani
di management lo osservano con grande curiosità. Un vero uomo-laboratorio della
nuova era. Visionari capaci di reinterpretare la realtà o solidi gestori
dell'esistente? Tre studiosi dell'università di Chicago (Steven Kaplan, Mark
Klebanov e Morten Sorensen) che recentemente hanno completato uno studio sulle
caratteristiche dei Ceo analizzando le personalità di 316 capiazienda, sono
giunti alla conclusione che più della capacità di costruire una squadra di
manager ben assortita, di saper comunicare e saper ascoltare conta la
tempestività nelle decisioni, la capacità di organizzare la produzione,
l'attenzione ai dettagli e la presenza a oltranza in azienda. A mettere
d'accordo sostenitori e detrattori del manager «visionario» arrivano, ora, Naom
Wasserman, Bharat Anand e Nitin Nohriasay. Tre professori di Harvard che in
autunno pubblicheranno uno studio ( When does leadership matter?, ultima
versione di una ricerca iniziata nel 2001) nel quale sostengono che i compassati
ed efficienti gestori dell'esistente sono i manager ideali per le società
elettriche, parte di quelle alimentari, le imprese che erogano servizi pubblici
e, in genere, tutte quelle che operano in un ambiente fortemente regolamentato
dai governi. Il manager visionario rimane, invece, essenziale, nelle imprese
dell'alta tecnologia, delle comunicazioni digitali e dove la scelta di un solo
prodotto sbagliato può decretare la scomparsa di un'azienda. BEPPE GIACOBBE
(
da "Corriere della Sera"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Libri data: 26/05/2009 - pag: 32 Verso
la Biennale L'artista di Obama «Un mio graffito per salvare Venezia» L a sua preoccupazione
sembra essere adesso soprattutto una: «Nessuna provocazione, ma grande
rispetto». Certo che, comunque, le sue maxi affissioni sul Canal Grande, alle
Procuratie Nuove e in Piazza San Marco sono destinate a non passare inosservate.
Al pari dei suoi quadri itineranti (realizzati con altri street artist
americani) messi all'asta per finanziare i restauri promossi dall'onlus SMS
Venice. Dopo le quotazioni da record di Bansky, è forse arrivato il tempo dello
sdoganamento definitivo di murales e graffiti: il luogo prescelto è appunto
Venezia dove, in concomitanza della 53esima edizione della Biennale, per due
settimane (fino al 7 giugno) sarà all'opera Shepard Fairey ovvero l'inventore
del poster di Obama: l'artista (Charleston 1950) che
ha trasformato definitivamente il presidente Usa in un'icona del XXI secolo,
che ha firmato la bicicletta di Lance Armstrong per il Giro d'Italia e altre
immagini ormai celebri ( Obey Giant). E che in pochi anni è transitato da un
passato di «emergente» ( skateboard artist era definito visto che aveva
iniziato a lavorare disegnando appunto skateboard e T-shirt) ad un presente
«eccellente» diviso tra il Moma e il Victoria and Albert di Londra. È la prima
volta che Fairey lavora in Italia («c'ero stato ventiquattro anni fa, in
vacanza») e si dice «affascinato» dalla sfida con Venezia (la stessa Venezia
che nel 2003, sempre alla Biennale, aveva ospitato un'opera come Donkey di
Paola Pivi all'apparenza assai vicina allo spirito di Fairey): «A New York dice
i miei graffiti devono confrontarsi con una realtà quotidiana fatta di muri
scrostati e di pubblicità, qui sarà tutto più difficile, perché il confronto è
con l'intera storia dell'arte, della cultura e dell'architettura». E nuovamente
precisa: «È un'opportunità eccezionale, sarò il più rispettoso possibile».
Dunque, due settimane di lavoro per SMS Venice (www.smsvenice.com) nell'ambito
di un progetto nato da un'idea di Marialina Marcucci e Fran Tomasi («Fairey
fotografa perfettamente la nostra missione ovvero l'arte salva l'arte»). L'idea
è certo quella di finanziare restauri (tra le opere all'asta ci saranno Evolve
Devolve e Shark Waves), ma anche quella di dimostrare («grazie al supporto di
Comune e Soprintendenze») che Venezia (per oggi è previsto l'incontro con il
sindaco Cacciari) «non è solo un souvenir per turisti mordi e fuggi, ma un
luogo da vivere e amare». C'è da credere che da qualche parte (tra lo Iuav, Ca'
Corner della Regina, Ca' Pesaro o Palazzo Moncenigo) troverà spazio anche
qualche variazione sul tema (come quella pubblicata in copertina del «Times
Magazine») di quel suo poster for Obama dove
all'inizio c'era scritto «Progress» e poi «Hope» («Ho dimostrato che anche il
talento di un'artista può servire per lanciare un messaggio politico»). D'altra
parte l'impegno di Fairey (che ha avuto tra i clienti del suo studio BLK-MRKT
la multinazionale Pepsi come l'associazione no-profit «Iraq Veterans against
the War») è da sempre quello di dimostrare che l'arte non conosce divisioni:
«Amo Warlhol come Michelangelo e il Bauhaus: perché, allora, dovrei mancare di
rispetto ad un gioiello dell'arte universale come Venezia?». Il poster Il
manifesto per Obama creato da Shepard Fairey (sotto) e
«Evolve Devolve» una delle sue opere all'asta per SMS Venice Stefano Bucci
(
da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina IX
- Firenze "Sono Peter Pan ed è questa la mia salvezza" "Delle
Rime di Michelangelo amo il riferimento alle piccole cose del suo lavoro, che
ne svelano il lato dell´artigiano" A colloquio con la musicista dopo il
reading di domenica davanti al David FULVIO PALOSCIA (segue dalla prima di
cronaca) Cosa è rimasto di quella furente Patti Smith di trent´anni fa? «Non è
cambiato il rapporto con l´Italia, e questa meravigliosa predisposizione nei
miei confronti si è riflessa anche sui miei figli: Jackson, chitarrista, che si
è sposato due giorni fa con Meg White dei White Stripes, ha suonato nel mio
ultimo tour e proprio dai concerti italiani ha acquisito una consapevolezza
musicale maggiore; così mi auguro che accadrà anche a Jesse. Per il resto,
spero di essere migliorata rispetto ad allora». In Wave c´era una canzone
dedicata a Papa Luciani. Cosa ne pensa di Ratzinger? «Credo che Benedetto XVI
si trovi di fronte ad un dilemma di difficile soluzione: continuare con una
dottrina ecclesiastica lontana dalla Storia, oppure mettere in atto importanti
riforme in sintonia con i tempi di oggi. Purtroppo, non mi sembra che abbia
colto questa occasione. La demonizzazione dei profilattici, oggi, non è
sottoscrivibile: equivale ad una condanna a morte nei paesi dove l´Aids ancora
prolifica o dove il sovrappopolamento è causa di povertà estrema. Credo che i
leader di tutte le religioni monoteiste dovrebbero riportare il loro operato ad
una dimensione spirituale: dovrebbero difendere noi, e non posizioni
politiche». Obama? «Dovrà dipanare
molti nodi senza scontentare nessuno: riuscirà a sfuggire ai cattivi
consiglieri, a ammonire Israele riguardo alla distruzione di Gaza? Una cosa è
certa: Obama sarà un uomo
buono se gli americani torneranno ad essere un popolo buono». Rockstar,
poetessa, fotografa. Creatrice e allo stesso tempo soggetto di opere d´arte,
come le foto che tanti maestri hanno fatto di lei. Come vive tutti questi
opposti? «Cerco di fare tutto nel migliore dei modi. C´è qualcosa che lega
queste dimensioni, e che per me conta davvero: comunicare. Testimoniare. Tra
essere l´autrice o il soggetto di una fotografia, non ho dubbi. Preferisco
stare dietro l´obiettivo. E non ho dubbi sul fatto che Mapplethorpe sia stato
colui che ha colto in profondità la mia essenza. Perché non ha fotografato me,
ma la nostra storia, l´intesa profonda». In molti scatti che hanno lei come
protagonista, Mapplethorpe la ritrae in abiti e atteggiamenti mascolini. Si
sente un´icona della lotta contro il sessismo? «In realtà il genere sessuale
non è stato uno dei punti fondamentali della mia arte. Non mi piace essere
confinata nei movimenti, politici o artistici. La lotta femminista è stata
senza dubbio importante, ma io non l´ho vissuta. E ho sempre aspirato ad altro:
a tempi in cui certe rivendicazioni non saranno più necessarie, a tempi in cui
ognuno potrà essere ciò che vuole». Cosa ama di Michelangelo? «La sua arte
scaturisce dalla lotta tra umano e divino. Ed ha come obiettivo la conoscenza.
Nelle Rime, il riferimento alle più piccole cose del suo lavoro disegnano uno
splendido racconto del processo creativo, svelano un Michelangelo artigiano che
conosce la bellezza ma anche la fatica del creare». Rimbaud e William Blake
sono le altre due ossessioni che hanno ispirato la sua produzione poetica e
musicale. «La loro poesia è una strenua difesa dell´infanzia. E l´infanzia è
stata fondamentale nella mia vita. Credevo molto in me stessa, e non desideravo
un futuro banale. In fondo non sono mai cresciuta. Sono come Peter Pan. E
questa è la mia salvezza».
(
da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
XVIII - Genova L´evento I tifosi preparano la grande festa in tribuna gli eroi
di Anfield Road Blindato il quinto posto, il Genoa si prepara a celebrare
degnamente la conclusione di un campionato esaltante. Domenica contro il Lecce
si cercherà di regalare a Milito il titolo di capocannoniere, sempre
sfuggitogli di pochissimo in carriera, e di fare festa dal primo minuto al dopo
partita. La società ha già provveduto ad invitare tanti campioni del passato, a
partire dalla squadra che nel 1991-92 conquistò l´Europa: quasi certamente non
ci sarà il timoniere di allora Osvaldo Bagnoli, ma buona parte dei suoi allievi
presenzieranno in tribuna pronti ad applaudire i loro degni eredi: allo studio
anche altre iniziative all´interno dello stadio per rendere davvero memorabile
la giornata. L´Associazione Club Genoani ha intanto
invitato a colorare la città di rossoblù per dare il giusto palcoscenico alla
domenica della festa ed anche la società ha provveduto a realizzare un nuovo
cartellone pubblicitario. "Yes we go", recita, parafrasando Obama per sottolineare i prossimi viaggi
in Europa di squadra e tifoseria.
(
da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
17 - Esteri L´ultima battaglia di Powell "Voglio salvare i
Repubblicani" Duello a distanza con Cheney sulle macerie del partito Il
"Grand Old Party" sconfitto al voto si contorce fra la tentazione
dell´estremismo e la ragione del moderatismo L´endorsement
dell´ex generale per Obama
brucia ancora. Lui ribatte "Dei due era il candidato migliore"
VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - L´ultima battaglia del vecchio soldato contro il
vecchio politicante non si combatte più per le paludi del Mekong o per le
sabbie d´Arabia, ma per l´anima e per il futuro della destra americana.
Colin Powell, il settantaduenne generale che rifiuta di seguire la profezia di
McArthur e di andarsene quieto nella dissolvenza della storia, contrattacca il
suo ex superiore e antagonista, il sessantottenne Dick Cheney che lo aveva
accusato - se accusa è - di non essere più un autentico Repubblicano e di
essere passato al nemico Democratico. Gli ricorda che il loro partito, quello
che fu di Lincoln, di Reagan, di Bush il Saggio, corre verso una deriva
estremista e fanatica, e non è lui, il generale, a non essere più Repubblicano.
è semmai il partito ad essersi gettato fra le braccia di idrofobi populisti e
demagoghi alla Sarah Palin o alla Rush Limbaugh, il signore delle
farneticazioni via radio che stanno impossessandosi del "Grand Old
Party", dei Repubblicani in via di restringimento quotidiano. è un duello
a distanza, condotto dagli studi dei talk show, fra due uomini che si sono
sempre odiati, da quando Powell era il capo di stato maggiore
costituzionalmente sottoposto all´autorità di Cheney, allora suo ministro della
Difesa sotto la presidenza di Bush il Vecchio. Ma è anche un regolamento di
conti non soltanto in un partito allo sbando dopo la Caporetto elettorale, che
negli ultimi sondaggi gode dell´appoggio di appena un americano su cinque, il
21%, ma interno a una generazione che porterà dentro di sé fino alla tomba la
cicatrice del Vietnam. Il pretesto, il "casus belli" per questo
scambio di bordate, è apparentemente il rancore che i repubblicani, e l´anima
nera della Presidenza Bush, Cheney, portano a Powell per avere dato la propria
investitura a Barack Obama nelle presidenziali, un
gesto che diede al giovane e inesperto senatore dell´Illinois quell´elemento di
peso e di autorità che soltanto una figura come Powell poteva dare. «Lo ha
fatto perché è un afroamericano come lui» abbaiò Cheney, sapendo quanto grave
sarebbe stata per i Repubblicani questa investitura. «Un gesto maldestro», gli
ha risposto ora il vecchio generale in pensione che ripete: «Io sono e resto un
repubblicano, che nella propria vita ha sempre votato alle elezioni
presidenziali per il candidato che considerava migliore». E «Obama
era dei due il migliore». Ma la ruggine è assai più profonda e corrosiva di
questo episodio elettorale, che pure ancora brucia. Arriva a quegli anni 60 nei quali un giovane sottotenente della riserva,
figlio di immigrati giamaicani che aveva dovuto fare il corso allievi ufficiali
per pagarsi gli studi, partì per due volte verso il fronte in Vietnam, restando
ferito. Mentre il giovane (e bianco) Cheney, in età di leva, utilizzava, come
altri della sua generazione, Clinton nascondendosi dietro gli studi
universitari, Bush imboscandosi nella sinecura della aviazione Texana, ogni
legittimo mezzo e mezzuccio per schivare la cartolina precetto. Per quanto
importanti siano state le loro carriere fino alla Segreteria di Stato per
Powell e alla vice presidenza per Cheney, la ruggine è rimasta, sotto le mani
di vernice. All´ombra di Bush padre, che li adoperava l´uno contro l´altro, i
due avevano convissuto di malavoglia. Il politico sfogando le sue smanie
bellicose sparando alle quaglie, il soldato tenendosi lontano da armi e
uniformi, trafficando con vecchie Volvo nei week end, fra i sospiri della moglie
Alma. E avrebbero probabilmente portato con sé nella vecchiaia, afflitta da sei
infarti e due pacemaker per Cheney, i loro odi se Powell non fosse stato
costretto alla «più terribile umiliazione della mia vita». A quel giorno in cui
fu mandato davanti alle Nazioni Unite per illustrare il libro dei sogni contro
l´Iraq costruito proprio per volontà di Cheney. Ora, il duello finale sembra
essere per il futuro di un´opposizione che, come tutte le forze di opposizione
in difficoltà, si contorce fra la tentazione dell´estremismo e la ragione del
moderatismo. Soldato fino all´ultimo, Powell, che fu buon profeta quando spiegò
a Bush che nelle occupazioni militari vale «la legge delle cristallerie, quello
che rompi, compri», rifiuta di attaccare Cheney sul terreno delle torture, che
il vicepresidente si sbraccia per difendere in questo suo bizzarro e personale
"post mortem": «Non so se siano servite, so che uomini dello Fbi
dicono oggi che tutte le informazioni importanti furono ottenute prima di usare
mezzi speciali di interrogatorio». Si preoccupa del futuro di una destra
moderata e di governo che possa un giorno riprendere il timone del governo, che
la destra furiosa alla Cheney, garrula alla Sarah Palin, o demente come quella
degli arruffapopoli radiofonici alla Limbaugh, vorrebbero spostare verso le
estreme. I neo-chenisti, malattia senile dei neo-con, fanno notare che da
quando lui è tornato dal sepolcro, la sua popolarità è risalita. Ma anche la
popolarità di Bush sta risalendo, pur non avendo detto più una parola. O
proprio per questo.
(
da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
35 - Esteri Obama al Memorial Day: "Il nostro
cuore si spezza ogni volta che un soldato perde la vita" "Mai più
guerre inutili" washington Gli uomini e le donne delle forze armate
statunitensi rappresentano «il meglio dell´America»: lo ha
detto ieri il presidente Barack Obama, nel corso di una cerimonia nel cimitero nazionale di Arlington,
in occasione del Memorial Day, la giornata in cui gli Stati Uniti ricordano i
caduti di tutte le guerre. Nel suo primo Memorial Day da presidente Obama ha, come da tradizione, deposto
una corona sulla tomba del Milite Ignoto ad Arlington e ha poi parlato nel
cimitero, il più importante luogo di sepoltura militare del paese, dove
riposano soldati americani morti in combattimento fin dai tempi della Guerra
d´Indipendenza. «Il nostro cuore- ha detto - si spezza ogni volta che un
soldato perde la vita. Sono onorato di essere il comandante in capo delle
migliori forze armate nella storia del mondo. E posso dirvi che per tutto il
tempo in cui sarò presidente non metterò a rischio la vita dei nostri soldati
se non sarà assolutamente necessario». Il primo presidente afro-americano degli
Stati Uniti ha anche ha voluto che, per la prima volta, una corona di fiori con
le insegne della presidenza fosse inviata anche al monumento che, in un´area
tradizionalmente nera di Washington, commemora i neri che combatterono per
l´Unione durante la Guerra civile. La scelta di Obama
è arrivata dopo che la settimana scorsa un gruppo di professori universitari
gli aveva chiesto di interrompere la tradizione che vede i presidenti Usa
inviare fiori al monumento che commemora i soldati della Confederazione
sudista. Obama ha scelto invece di onorare i caduti di
entrambi i fronti.
(
da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
36 - Cronaca Pranza alla Casa Bianca, le figlie giocano con quelle del
presidente Usa "è un tipo carino" "Io non cancello: cito e
continuo. Se un´immagine viene riusata, il copyright non ha più senso"
ALESSANDRA RETICO VENEZIA dal nostro inviato Era un ragazzaccio che imbrattava
le strade. Gli dicevano così quando lo portavano al commissariato. Adesso i
musei e le gallerie internazionali se lo contendono. Shepard Fairey, 39 anni,
continuano ad arrestarlo. L´ultima volta a febbraio, il giorno dell´inaugurazione
di una sua retrospettiva (ancora in corso) all´Istitute of Contemporary Art di
Boston. Ma le manette ora le indossa da uomo famoso: il
ritratto di Obama con la
scritta "Hope", una foto in rosso e blu che ha fatto il giro del
mondo diventando un´icona della campagna presidenziale, gli ha cambiato la
vita. «Mi danno spazi per lavorare. Ma a me continua a piacere l´aria aperta,
le città, la gente dentro». Non fa l´artista, fa quello che ci crede che
un altro mondo è possibile. «Basta cominciare a pensare differentemente».
Pranza alla Casa Bianca. «Obama is a nice guy, è un
tipo carino». è sposato con Amanda, che lavora con lui, ha due figlie che
giocano con quelle del presidente. è a Venezia con la famiglia, ce lo ha
portato Marialina Marcucci, ex Videomusic, insieme alla Sms Venice di Fran
Tomasi che si occupa di restauri e conservazione dei monumenti. Rimarrà in
Laguna fino al 7 giugno, esporrà nelle piazze e sui palazzi i suoi lavori con
l´appoggio del comune e la Sovrintendenza, ne produrrà di nuovi in un loft
attrezzato alla Giudecca. Poi la produzione andrà all´asta, i ricavati tutti
destinati alla città. «Perché l´arte salva l´arte». Come ha cominciato?
«Ritagli, giornali, riviste, pubblicità. Sono cresciuto con la musica, i Sex
Pistols, il punk. Adoro le copertine dei dischi, lo skateboard, i graffiti, le
magliette. Le scritte, le foto, i pali della luce». Paesaggio estetico molto
diverso da Venezia. «Uno street artist con un´estetica metropolitana nella
città incantata? Non è una contraddizione e Venezia è viva, basta continuarla.
Molti segni grafici, architettonici che possono dialogare con il moderno. Io
non cancello, cito, e continuo». Che cosa esporrà in Laguna? «Due tele da 60
metri quadri su palazzi storici. Altre opere in giro per la città. Produrrò
anche delle cose nuove, ma non so ancora cosa e come, agisco sempre in modo
spontaneo. Userò anche serigrafie antiche, monumenti, piazze. Venezia non è una
Disneyland, non è un souvenir, non deve diventarlo. Questo è un posto magico e
difficile, non un museo. L´acqua non vi preoccupa?». Sempre, ogni inverno.
«Bisogna occuparsi del riscaldamento globale, il mondo non è una cartolina da
ammirare». è la sua prossima campagna? «Ho combattuto per anni contro la
politica di Bush. Ora spero che le cose possano essere diverse. L´ecologia è un
punto, certo. Ma ci aspettano molte sfide. Obama ha
parecchi problemi da affrontare, ma finora sta lavorando bene». E grazie a lui
adesso lei è una celebrità. «Sono solo stato fortunato. Baciato dal caso: il
mio Hope è piaciuto alla gente e anche al presidente, tutto qui. Mi propongono
gli spazi che prima non avevo. è cominciato tutto per caso, appiccicando
adesivi in giro con la faccia di un lottatore di wrestling francese, André The
Giant, era l´89. Uno scherzo che è diventato serio, una critica alla propaganda
politica e al consumismo di massa, che si è poi trasformato in un´altra icona,
Obey, una specie di Grande Fratello urbano che ci controlla e comanda. Ho
studiato alla scuola di design di Rhode Island, poi ho fondato il mio Studio
number one a Echo Park: una contro-estetica metropolitana che riporti lo spazio
pubblico alle idee di tutti. La street art ha il vantaggio di poter essere
rovinata, è nella sua natura». Lei ha una causa aperta con l´Associated Press. «Mi
hanno accusato di aver usato la loro foto per il poster di Obama,
ma in realtà io l´ho trasformata. Non credo che il copyright abbia senso quando
un´immagine o un prodotto vengono riusati per dare una diversa interpretazione
delle cose. Il diritto alla proprietà intellettuale finisce dove inizia
un´opera diversa, ed oggi con Internet questo processo è inevitabile. Non ci
sarebbe un futuro del linguaggio senza un originale». Lei lavora anche per la
pubblicità delle grandi corporation. Come si concilia la sua poetica con il
capitalismo? «L´arte non mi dà da vivere, le aziende sì. Se la pubblicità può
diventare comunicazione estetica e non solo ossessione al consumo, perché no?
Io provo a estrarre il positivo o il negativo da quello che mi interessa, e anche
i marchi offrono spunti perché parole della modernità». La crisi economica ha
avuto effetti sul suo lavoro? «Io compro poco, mi basta poco. Ma mi assumo le
colpe dell´America di Bush». Ci sono altre immagini di uomini e donne della
politica o dell´arte sui quali le piacerebbe lavorare? «In questo momento no».
Conosce il primo ministro italiano Silvio Berlusconi? «So di lui, ma non
abbastanza. Studierò per una prossima occasione».
(
da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 4
- Economia L´ad di Fiat ieri a Washington e oggi a Berlino con Elkann dove
incontrerà il cancelliere Marchionne, missione lampo in Usa
per portare alla Merkel il sì di Gm La task force di Obama potrebbe essere convinta da un piano che non lascia strascichi
SALVATORE TROPEA TORINO - C´è un viaggio lampo al di là dell´Atlantico prima
dell´incontro con Angela Merkel. Ufficialmente a Torino e in partenza per
Berlino, in realtà, ieri, Sergio Marchionne era in America. Per fare
cosa? Per convincere la casa madre di Detroit e, non tanto indirettamente anche
il governo di Washington, che la l´offerta della Fiat per la Opel è quella
conveniente per la Gm e più in sintonia col disegno di Barack Obama sull´industria automobilistica. Oggi, di ritorno, in
Europa, Marchionne proverà a raccogliere a Berlino quel che ha seminato a
Washington. Non sarà facile anche se negli ultimi due giorni il fronte
pro-Magna ha cominciato a mostrare vistosi cedimenti. Intanto per la stretta
finale la Fiat scende in campo al gran completo. Con Sergio Marchionne in
Germania ci sarà anche John Elkann. E´ del tutto casuale, visto che il
vicepresidente della Fiat parteciperà a un dibattito con gli industriali
tedeschi da tempo organizzato, ma la coincidenza questa volta ha un suo significato.
Tanto più che l´ingegner Elkann avrà un incontro con il ministro zu Guttemberg:
e si può immaginare quale sarà l´argomento. Insomma, sembra quasi un
coinvolgimento diretto della proprietà del Lingotto in una vicenda che potrebbe
essere destinata a modificare anche gli assetti societari di Fiat. Anche se
alla domanda su un ridimensionamento della quota Exor, attraverso la quale la
famiglia Agnelli controlla Fiat, Gianluigi Gabetti ieri ha risposto che «la
famiglia Agnelli è compattissima e la diluizione di Exor non è scontata» ma
dipende a dalla composizione delle futura società. L´attenzione del Lingotto è
concentrata da questa mattina su Berlino dove Marchionne ha studiato nelle
ultime ore come rintuzzare i colpi di quanti mostrano di preferire la soluzione
Magna e di quella parte che tenta di imboccare la strada dei rinvii lunghi. La
Fiat vuole chiudere conquistando la posta in gioco e facendolo subito. Dopo
Chrysler e Opel, dicono infatti a Torino, dobbiamo riorganizzare il nuovo
gruppo e gli altri avversaro, in Europa e fuori, non staranno a guardare.
Riflettori dunque sulla Germania ma tenendo ben d´occhio l´America. Da lì dovrà
arrivare entro fine settimana la luce verde per la Opel. Ad accenderla sarà la
casa madre Gm che, entro la stessa data, dovrà presentare un piano a Obama per assicurarsi la sopravvivenza. Tra Detroit e
Washington gli uomini dello staff di Marchionne stanno lavorando in queste ore
sul versante Gm e su quello della task force della Casa Bianca. La Fiat ha
interesse che da lì arrivi un segnale definitivo e sa che, per ragioni diverse
e convergenti, sia la Gm sia il governo sono orientati verso una soluzione Opel
che non abbia strascichi. Ciò vuol dire che sia l´escamotage del
finanziamento-ponte sia un´alleanza basata sui soldi sono visti dall´America
come una sorta di boomerang: nel senso che tra qualche mese o tra qualche anno
il caso Opel potrebbe ripresentarsi. E´ questo è un effetto che sia il numero
uno di Gm, Fritz Henderson, sia Obama, stanno facendo
di tutto per evitare. Sul terreno negoziale il Lingotto lascia intendere di
aver apportato tutti i ritocchi possibili alla sua offerta, ma questo non
esclude che l´incontro tra Marchionne e la signora Merkel possa consigliare o
imporre qualche ulteriore aggiustamento. Sui tagli Fiat ha già fatto sapere che
saranno meno di 10 mila di cui 2 mila in Germania e ha ribadito che non ci
saranno chiusure di stabilimenti tedeschi o italiani. E´ possibile invece che
si vada incontro a ridimensionamenti di personale: operazione, questa, che il
Lingotto, sostiene, sarebbe stata comunque avviata indipendentemente da Opel e
che semmai con questa va a incrociare. Sulle linee di credito pubbliche la
differenza tra Fiat (6-7 miliardi) e Magna (4 miliardi) starebbe nel fatto che
nel piano degli austro-canadesi non sono stati inclusi 3 miliardi oneri
previdenziali. Quanto alle quote nella newco al Lingotto sono convinti che,
come per Chrysler alla fine si troverà un´intesa. Alla Merkel Marchionne
riferirà il piano e le intenzioni di Torino, sottolineando soprattutto la
validità di un progetto che, assieme a Chrysler, va oltre il puro salvataggio
di Opel. E ricordando come dice lui che «i soldi finiscono, mentre le
tecnologie non solo non finiscono ma producono altri soldi».
(
da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 4
- Economia Opel, volata finale tra Fiat e Magna Berlino decide a metà
settimana. Commerzbank con i rivali del Lingotto PAOLO GRISERI TORINO - L´atto
finale sarà domani quando Angela Merkel riunirà nella stessa stanza tutti i
protagonisti della «borgomastro story» della Opel. Dai ministri, ai governatori
delle regioni e ai sindaci delle principali città coinvolte, tutti
convergeranno in Cancelleria per assistere al momento della scelta finale. Ci
saranno anche i protagonisti delle tre offerte che hanno giocato la partita:
accanto a Sergio Marchionne siederanno i vertici di Magna e del fondo privato
Ripplewood. E, spettatore non certo disinteressato, un rappresentante del
governo di Washington. In preparazione del vertice finale, oggi Marchionne e lo
stesso John Elkann si riuniranno con il governo di Berlino. Elkann incontrando
in mattinata il ministro dell´Economia zu Guttenberg e Marchionne in un faccia
a faccia con Angela Merkel. «Ora è il momento di tacere e di non modificare i
piani», ha detto il presidente di Fiat, Luca di Montezemolo. Le prossime ore,
dunque, saranno quelle decisive. L´orientamento del governo tedesco sembra
ancora incerto anche se un´indiscrezione circolata in serata tornerebbe a far
pendere il piatto della bilancia a favore degli austro-canadesi della Magna. Un
sito on line attribuirebbe infatti alla Commerzbank l´intenzione di concedere
un prestito da 4 miliardi di euro alla Magna a patto che aumenti le garanzie
finora fornite a sostegno del suo piano. Commerzbank è partecipata al 25 per
cento dal governo tedesco e dunque l´indiscrezione, se confermata, finirebbe
per confermare le anticipazioni sulla vittoria degli austro canadesi. Ma quando
mancano poche ore prima della decisione definitiva, anche le indiscrezioni
possono far parte della battaglia. Per giungere all´appuntamento di domani con
il quadro completo delle offerte, Angela Merkel ha deciso di prendere in mano
personalmente la trattativa. Già domenica ha telefonato al leader russo
Vladimir Putin per comprendere qual è la consistenza dell´aiuto che i russi
potrebbero dare alla Magna. Se davvero Berlino deciderà entro domani, lo farà
alla luce delle notizie che dovrebbero arrivare oggi dagli Usa: questa sera a
mezzanotte infatti scade il termine per i creditori che intendono aderire alla
ristrutturazione del credito proposto da Gm. Se, come è prevedibile, le
adesioni non saranno sufficienti, scatterà quasi automaticamente la procedura
di amministrazione controllata. A Washington si dà per
scontato che Obama non farà
slittare il termine del primo giugno per prendere una decisione. In Italia si
attendono gli esiti della battaglia tedesca. Il presidente onorario di Exor,
Gianluigi Gabetti, ha fatto sapere ieri che la diluizione del capitale della
finanziaria degli Agnelli nel nuovo colosso dell´auto «non è scontata» e che «dipenderà
dalle modalità dello spin off». Sul fronte sindacale si registra invece una
divisione strategica: mentre Cgil e Cisl chiedono che «il governo convochi
subito azienda e sindacati per conoscere il futuro della Fiat in Italia», il
leader della Ui, Luigi Angeletti, ha proposto ieri che «il governo italiano
attenda gli esiti della trattativa in corso oltralpe prima di convocare azienda
e sindacati».
(
da "Repubblica, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 33 - R2 ALESSANDRA RETICO Il personaggio "Io, il
graffitaro che ha inventato il volto pop di Obama"
SEGUE A PAGINA 36
(
da "Repubblica.it"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
SEUL -
La Corea del Nord continua a sfidare la comunità internazionale. All'indomani
del test nucleare che ha suscitato preoccupazione e condanna in tutto il mondo,
il regime di Pyongyang ha lanciato due missili a corto raggio dalla costa
orientale del Paese. Lo riferisce l'agenzia Yonhap citando una fonte
governativa sudcoreana. Pyongyang ha lanciato un missile terra-aria e
terra-mare a largo della costa nei pressi della citta' di Hamhung, spiega la
Yonhap. ''L'intelligence sta analizzando le motivazioni del lancio'', dicono
fonti governative aggiungendo che ogni missile aveva un raggio di circa 130
chilometri. Il nuovo test dei due missili giunge all'indomani del secondo
esperimento atomico sotterraneo deciso da Pyongyang, cui si sono accompagnati i
lanci di altri tre vettori a corto raggio. In nottata il Consiglio di Sicurezza
dell'Onu ha espresso dura condanna su quanto fatto ieri dal regime comunista,
preparandosi al varo di nuove sanzioni. Sono soprattutto gli Usa a premere per
una risoluzione forte. Il presidente Usa barak Obama definisce l'esperimento di
Pyongyang una "minaccia per la pace e la sicurezza" nonchè una
"sfida alla comunità intenazionale". Obama, ha telefonato ieri sera alla sua controparte sudcoreana, il
presidente Lee Myung-bak e al premier giapponese Taro Aso per "coordinare"
eventuali reazioni ai test nucleari. Rassicurando i due leader
dell'"impegno inequivocabile" alla difesa della Corea del Sud.
OAS_RICH('Middle'); La Corea del Nord "merita sanzioni severe e tutto il
mondo le deve applicare" dice il ministro degli Esteri Franco Frattini -
Dobbiamo essere uniti nella risposta se Russia e Cina questa volta faranno la
loro parte sarà un grande passo avanti". (26 maggio 2009
(
da "Stampaweb, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
SEUL
Nonostante la condanna unanime del Consiglio di Sicurezza dell'Onu la Corea del
Nord non ferma la sfida atomica. Il regime di Pyongyang prosegue con i test e
annuncia di aver lanciato oggi due nuovi missili a corto raggio sulla costa
orientale. Si tratterebbe, secondo lagenzia
stampa sudcoreana Kcna, di due missili, uno terra-aria e un altro antinave
entrambi dalla gittata di 130 chilometri e lanciati dalla costa orientale,
vicino alla città di Hamhung. La politica ostile degli Stati Uniti verso la Corea del Nord «non
è cambiata sotto lamministrazione di Barack Obama» è il commento del regime comunista affidato allagenzia ufficiale, la Kcna, dopo l'allarme del
presidente Usa. Per questo motivo - continua la nota - Pyongyang è preparata a
qualsiasi «sconsiderato»
tentativo di attacco degli Usa. «Il nostro esercito e la nostra gente -
aggiunge ancora la Kcna, prendendo di mira la decisione degli Usa di riallocare
i suoi aerei da caccia - sono pronti per la battaglia contro qualsiasi
sconsiderato attacco degli Stati Uniti». La Corea del Nord intanto prepara il
lancio di un missile a corto raggio tra oggi e domani, rende noto lagenzia Yonhap, citando un funzionario sudcoreano.
Allindomani del secondo esperimento nucleare della sua storia e del
lancio di tre
missili a corto raggio, costati la condanna del Consiglio di sicurezza dellOnu e della comunità internazionale, Pyongyang si
appresta ad altri test balistici sulla costa occidentale che si affaccia sul
Mar Giallo. «La Corea del Nord ha dichiarato il divieto per le navi nel tratto di
mare al largo della sua provincia di Pyongan del Sud dal 25 al 27 di maggio.
Sembra che voglia provare uno dei missili a corto raggio tra oggi e domani», ha
spiegato il funzionario anonimo citato dalla Yonhap.
(
da "Stampaweb, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
NEW YORK
Mentre la Corea del sud insiste con le provocazioni - questa mattina lannuncio del lancio di altri due missili a corto
raggio - le Nazioni Unite e gli Usa preparano le contromosse. Il Consiglio di
sicurezza dellOnu ha condannato il nuovo
test nucleare fatto dalla Corea del Nord e ha deciso di preparare una
risoluzione che potrebbe comportare nuove sanzioni nei confronti di Pyongyang
mentre Barack Obama ha avviato contatti sul tema con
Giappone e Corea del Sud. I membri del Consiglio hanno espresso la loro ferma
opposizione e la loro condanna del test nucleare effettuato il 25 maggio 2009
dalla Corea del Nord, che costituisce una chiara violazione della risoluzione
1718« ha dichiarato alla stampa lambasciatore
russo Vitaly Churkin, a nome del Consiglio che presiede nel mese di maggio. I
membri hanno deciso »di cominciare immediatamente a lavorare su una
risoluzione del Consiglio su questa questione« ha aggiunto Churkin al termine
di una riunione di consultazioni convocata durgenza
su richiesta del Giappone dopo il test nucleare nordcoreano. I quindici
membri «esigono» che la Corea del Nord rispetti pienamente i suoi obblighi
secondo i termini delle risoluzioni del Consiglio, aggiunge la dichiarazione,
la cui approvazione ha richiesto lunanimità
dei quindici membri del Consiglio. Diversi diplomatici occidentali hanno in
seguito riferito il loro desiderio che la futura risoluzione comporti nuove
sanzioni verso il regime comunista di Pyongyang. «La risoluzione dovrà
contenere nuove sanzioni che si aggiungano a quelle già approvate» dal
Consiglio, ha dichiarato lambasciatore francese
aggiunto,
Jean-Pierre Lacroix, senza precisare quali sanzioni auspichi. Lambasciatrice degli Stati Uniti, Susan Rice, ha
auspicato «misure forti» ma non ha pronunciato la parola sanzioni. Dal canto
loro, gli Stati Uniti non stanno a guardare. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama,
ha parlato ieri sera al telefono col collega sudcoreano Lee Myung-bak e con
primo ministro giapponese Taro Aso per «coordinare una reazione al test
nucleare della Corea del Nord. Lo ha reso noto la Casa Bianca. Obama ha parlato a Lee «per consultare e
coordinare la nostra reazione al test nucleare nordcoreano» ha riferito la Casa
Bianca. I due capi di Stato hanno «convenuto di agire insieme per
ottenere e appoggiare una risoluzione forte del Consiglio di Sicurezza dellOnu con misure concrete per limitare le attività
nucleari e di lancio di missili dalla Corea del Nord». Nella conversazione con
Taro Aso,
Obama ha reiterato «limpegno
senza equivoci della difesa del Giappone e del mantenimento della pace e dell
sicurezza
nel nordest dellAsia» da parte degli Stati
Uniti. Intanto anche i ministri degli Esteri dellAsia e dellUnione
europea hanno preparato ad Hanoi una bozza di documento che condanna il test
nucleare della Corea del Nord che costituisce una «violazione evidente» delle
risoluzioni del Consiglio di sicurezza dellOnu e
degli accordi conclusi nel corso delle trattative a sei fra le due Coree, la
Cina, il Giappone, gli Stati Uniti e la Russia.
(
da "Stampaweb, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
TORINO
La maglietta non è un granché. Raffigura tre lupi che ululano alla luna. Una
semplice t-shirt di cotone come ce ne sono una, nessuna, centomila. E infatti
nessuno se la filava. Ma da qualche tempo sè
mutata in uno degli oggetti più venduti su amazon.com, più dei soliti jeans o
scarpette di marca, che furoreggiano tra i teenager malati di mode. Con annessi
feedback (commenti) entusiastici. Che cosè
successo? Perché una banale maglia è diventata di punto in bianco indumento di
culto? Le stregonerie della luna, care ai lupi, non centrano niente.
Siamo di fronte a uno dei soliti miracoli del Web, dove basta un blog, un sito,
un video, per
scatenare tsunami di impensabile popolarità. La «Three Wolf Moon», che costa
dai 7.65 dollari ai 17.93, è stata ignorata per anni. Giustamente, si potrebbe
dire. Finché un sito un po goliardico,
CollegeHumor.com, lha notata, citata, proposta in un link, per amore di
scherzo kitsch. E il mostro è nato: le vendite sono aumentate del 2300%. Con un
po di photoshop la maglietta è stata ironicamente
messa addosso ai personaggi più svariati, anonimi buzziconi, e uomini
famosissimi, come Obama (ovviamente), Elvis, Che
Guevara, persino Bin Laden sotto la sua mimetica. Poi sono piovute dicerie
leggendarie, che coinvolgono il superacceleratore di adroni in Svizzera, leros, la fortuna. Quei tre lupacchiotti stampati,
sè detto, hanno superpoteri. Chi li indossa si troverà la vita
cambiata. «Ho comprato la maglietta e la fidanzata mha ritelefonato». «Io ero gravemente malato e sono
guarito anche se i medici non ci credevano», «Io lho indossata nel
deserto e sono arrivati gli ufo». Provare per crederci. Forse nessuno ci ha creduto.
Ma la sfida della panzana, della pietra filosofale, ha funzionato, perché è
sempre bello credere a unelitropia e a simpatici
cialtroni. A centinaia sono piovuti gli acquirenti, che a loro volta hanno
partecipato al gioco, lasciando in rete commenti sulle mirabolanti svolte
esistenziali avvenute dopo la compera. «Lho
usata al supermercato e una donna mi ha portato via con lei». «Non osavo andare
a cena con i genitori della mia ragazza ricchi come Bill Gates, ma ho indossato
la maglietta e mi sono fatto coraggio. Il padre, vedendo i lupi, mha staccato un assegno da 100mila dollari dicendomi che
potevo chiedergli quel che volevo, la mamma mi carezzava piacevolmente la
gamba». «Quando il postino mi ha portato il pacco tutte le vicine sono uscite di casa e
hanno cominciato a guardarmi vogliose, devessere
leffetto dei feromoni lupeschi». E via dicendo. Ci sono anche i commenti
delusi: «Lho comprata e non è arrivata manco una top model. E una
sòla?». Ma veri o ironici anchessi fanno parte del gioco. La
«Three Wolf Moon» diventa ogni giorno di più un fenomeno, autoalimentandosi di
successo. Il «Washington Post», che ha dedicato un articolo al caso, spiega che
CollegeHumor.com non è nuovo alle burle mediatiche. Lancia sondaggi farsa, che
coinvolgono migliaia di persone vere. Rendendo sempre più labile il diaframma
tra virtuale e reale, vero e falso. Quando la radio era padrona del mondo,
prima della tv, Orson Welles spaventò lAmerica
con lo scherzo che gli extraterrestri ci avevano invaso. Il settimanale
«Time» sè spaventato ora, a sua volta, vedendo i
risultati del suo sondaggio sul personaggio più influente del 2009. Obama? Putin? Macché, ha vinto un nerd, Christopher Poole,
fondatore di una web community, che ha ricevuto 16.794.368 preferenze. Bello il
voto, bella la democrazia, bello il mercato. Se poi le masse riuscissero a non
farsi sempre abbindolare, scegliendo, senza sapere perché, strambi totem,
politicanti malandrini, oggetti inutili. Le maglie sono divertenti il resto,
meno.
(
da "Repubblica.it"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
SEUL -
La Corea del Nord continua a sfidare la comunità internazionale. All'indomani
del test nucleare che ha suscitato preoccupazione e condanna in tutto il mondo,
il regime di Pyongyang ha lanciato due missili a corto raggio dalla costa
orientale del Paese. Lo riferisce l'agenzia Yonhap citando una fonte
governativa sudcoreana. Pyongyang ha lanciato missili terra-aria e terra-mare a
largo della costa nei pressi della città di Hamhung, spiega la Yonhap.
''L'intelligence sta analizzando le motivazioni del lancio'', dicono fonti
governative aggiungendo che ogni missile aveva un raggio di circa 130
chilometri. Il nuovo test giunge all'indomani del secondo esperimento atomico
sotterraneo deciso da Pyongyang, cui si sono accompagnati i lanci di altri tre
vettori a corto raggio. In nottata il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha
espresso dura condanna su quanto fatto ieri dal regime comunista, preparandosi
al varo di nuove sanzioni. Sono soprattutto gli Usa a premere per una
risoluzione forte. Il presidente americano Barak Obama definisce l'esperimento di
Pyongyang una "minaccia per la pace e la sicurezza" nonché una
"sfida alla comunità intenazionale". Obama ha telefonato ieri sera alla sua controparte sudcoreana, il
presidente Lee Myung-bak e al premier giapponese Taro Aso per
"coordinare" eventuali reazioni ai test nucleari. Rassicurando
i due leader sull'"impegno inequivocabile" alla difesa della Corea
del Sud. OAS_RICH('Middle'); La Corea del Nord "merita sanzioni severe e
tutto il mondo le deve applicare" dice il ministro degli Esteri Franco
Frattini - Dobbiamo essere uniti nella risposta se Russia e Cina questa volta
faranno la loro parte sarà un grande passo avanti". (26 maggio 2009
(
da "Stampaweb, La"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
WASHINGTON Il presidente americano Barack Obama
ha scelto Sonia Sotomayor, giudice federale di New York, come nuovo membro
della Corte Suprema: se confermata dal Congresso, sarà il primo giudice
ispanico nella storia americana. Sonya Sotomayor, che sostituirà il
dimissionario David Souter, è una giurista che si è fatta da sè. Di origine
portoricana, è nata e cresciuta nelle case popolari del Bronx e ha dato la
scalata alla magistratura passando per la scuola di legge di Yale, dove si sono
laureati anche lex presidente Bill Clinton
e Hillary Clinton. La Sotomayor, 55 anni, è la terza donna alla Corte Suprema e il
primo giudice di origine ispanica nella sua storia. Era stata nominata nel 1991
dal presidente repubblicano George H.W. Bush alla corte federale del distretto
sud di New York. Il presidente Clinton laveva
promossa alla Corte dappello.
(
da "Repubblica.it"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Donna,
ispanica, di umili origini, decisamente liberal. La scelta di Barack Obama per la Corte Suprema è arrivata questa mattina. Se
sarà confermata dal Senato, Sonia Sotomayor sarà il primo giudice ispanico
della storia dell'alta corte Usa, la terza donna nominata al massimo scranno
giuridico dell'ordinamento americano, dopo Sandra Day O'Connor (che si è
ritirata) e Ruth Bader Ginsburg, ancora in carica seppur molto malata.
Sotomayor andrà a sostituire David Souter, 69 anni, che si è ritirato, e che
era conosciuto per le sue posizioni tendenzialmente progressiste. Gli equilibri
all'interno della Corte, composta da nove giudici, dovrebbero rimanere dunque
sostanzialmente inalterati. Ma è possibile che la scelta di Obama
incontri comunque le resistenze dei repubblicani in Senato. Il giudice che
salvò le World Series. Nel totonomine della vigilia, quello della 54enne
magistrato di origine portoricana, nominata da Bill Clinton nel secondo
Circuito di New York, era tra i nomi più controversi. I democratici la
suggerirono a George W. Bush come possibile rimpiazzo quando Sandra Day
O'Connor annunciò le proprie dimissioni dalla Corte suprema nel 2005. In un
caso di alto profilo, ora all'esame della Corte, Sotomayor aveva preso
nettamente una posizione pro-azioni positive difendendo la municipalità di New
Haven, nel Connecticut, per aver bloccato le promozioni nel locale dipartimento
dei vigili del fuoco in quanto non c'erano abbastanza neri. La sua sentenza più
famosa è però probabilmente quella con cui mise fine allo sciopero dei
giocatori di baseball che bloccò per dieci mesi le World Series, per la prima
volta in 90 anni. Fu lei infatti che nell'aprile del 1995, allora giudice
distrettuale, mise fine alla protesta dei campioni con una sentenza che
penalizzava i proprietari delle squadre e le fece guadagnare l'affetto dei
tifosi e le celebrazioni della stampa specializzata. OAS_RICH('Middle'); Orfana
di padre da quando aveva 9 anni, l'infanzia passata nelle case popolari del
Bronx con il sostegno agli studi perseguito dalla madre - "eravamo gli
unici bambini ad avere l'Enciclopedia britannica a casa", ricorda - è un
esempio di success story per tutte le minoranze etniche. E un vero mastino in
aula, dicono i suoi colleghi. Parla spesso dei tribunali come di "ultimo
rifugio degli oppressi" e si autodefinisce come una "pragmatica con i
piedi per terra". Divorziata, senza figli, è considerata per opinione
comune una grande appassionata del suo lavoro. Ma anche molto intransigente e
poco incline al compromesso. I giudici donna. La professione di magistrato ai
massimi livelli è diventata appannaggio delle donne solo in tempi recenti, come
dimostrano le statistiche. Sono oltre 200 le donne giudice tra corti
distrettuali e corti d'appello federali, circa un quarto del totale, e oltre
cento sono quelle designate nelle massime corti statali, mentre circa un terzo
dei chief justice statali sono donne. In una paese in cui 1,2 milioni di
persone esercitano la professione legale, circa il 45% degli associati di
studio sono legali donne, e il 18% soci. Così come sono donne un quinto dei
rettori delle facoltà di legge. Per storici e politologi, l'avvicinarsi delle
donne alla professione legale e la loro affermazione è legata a grandi svolte
storiche del Paese, in particolare allo squarcio della guerra del Vietnam. Nel
1964, la Bar Association indicava che solo il 4% degli studenti di legge erano
donne. Nel '74 il dato si era quadruplicato, e nel decennio successivo è ancora
raddoppiato. Oggi le donne sono poco meno del 50% degli studenti di
giurisprudenza. Nello stesso tempo, i presidenti degli Stati Uniti, a cominciare
da Jimmy Carter, hanno cominciato a nominare sempre più magistrati donne nelle
corti d'appello federali, che sono il bacino principale da cui sono state
attinte negli anni recenti le nomine per la Corte suprema. Nel 1981, quando
Reagan nominò la O'Connor, c'erano solo 11 donne nelle corti federali. Nel
1993, quando Bill Clinton scelse Ruth Bader Ginsburg (che oggi ha 76 anni e
gravi problemi di salute, con la possibilità che sia il prossimo giudice a
doversi ritirare), erano 23. Oggi sono arrivate a 47. Le pressioni
su Obama affinché
ristabilisse un equilibrio all'interno della massima corte americana più vicino
alla realtà del Paese erano dunque evidenti. Decisione storica. In una recente
intervista televisiva, Obama aveva dichiarato che il nuovo giudice avrebbe dovuto avere
"statura intellettuale, sapere rapportarsi alla gente comune e avere senso
pratico su come funziona il mondo". Obama
aveva già pronta una lista di una decina di possibili candidati che sono stati
sottoposti ad un minuzioso esame di ciò che hanno fatto e di ciò che hanno
scritto in passato. Obama ha inoltre detto che spera
che il successore del giudice Souter possa entrare in funzione già in ottobre
in occasione della nuova sessione della Corte. Gli ultimi due giudici nominati,
John Roberts e Samuel Alito, sono stati entrambi confermati in circa 70 giorni,
dopo le audizioni di prammatica al Senato. Con la maggioranza in Senato di
59-40 a favore dei democratici (e presto 60-40 quando verrà confermata la
vittoria di Al Franken in Minnesota), la scelta di Obama
non dovrebbe incontrare il pericolo di uno stallo nella Camera alta. David
Souter, nominato nel 1990 da George Bush padre, è un alfiere dell'ala liberal e
aveva annunciato la sua volontà di lasciare la Corte suprema per consentire ad Obama di procedere, per la prima volta dal suo ingresso alla
Casa Bianca, alla scelta di un membro della massima istanza giudiziaria del
paese. La nomina dei membri della Corte suprema è una delle decisioni più
delicate e importanti nelle mani del presidente degli Stati Uniti, perché è
l'unica carica "a vita" (oltre a essere non elettiva) del sistema
istituzionale statunitense. Per molti costituzionalisti, è la reale eredità
politica che un presidente può lasciare al Paese. Riguardo ai suoi "modelli"
tra i giudici del passato, il presidente Obama aveva
citato Antonin Scalia - "uno scrittore eccezionale" - e la giudice
Sandra Day O'Connor, che ha saputo individuare l'applicazione pratica delle
leggi: "Non era una grande teorica - ha detto Obama
- ma alla fine ha avuto un'enorme infulenza sulla legge nel suo
complesso". E lui stesso, Obama, con la sua
formazione giuridica, non vorrebbe in futuro entrare a far parte della Corte,
come fece il suo predecessore William Taft? "Non credo che passerei
l'audizione in Senato", ha scherzato il presidente. (26 maggio 2009
(
da "Repubblica.it"
del 26-05-2009)
Argomenti: Obama
Donna,
ispanica, di umili origini, decisamente liberal. La scelta di Barack Obama per la Corte Suprema è arrivata questa mattina. Se
sarà confermata dal Senato, Sonia Sotomayor sarà il primo giudice ispanico
della storia dell'alta corte Usa, la terza donna nominata al massimo scranno
giuridico dell'ordinamento americano, dopo Sandra Day O'Connor (che si è
ritirata) e Ruth Bader Ginsburg, ancora in carica seppur molto malata. I
principi stabiliti dai padri fondatori dell'America "sono oggi più decisivi
che mai" per la vita degli Stati Uniti, ha dichiarato, visibilmente
commossa, al fianco di Barack Obama: "Neppure nei
miei sogni più folli d'infanzia avrei immaginato di essere qui. Sono una
persona comune che è stata benedetta da opportunità straordinarie".
Sotomayor andrà a sostituire David Souter, 69 anni, che si è ritirato, e che
era conosciuto per le sue posizioni tendenzialmente progressiste. Gli equilibri
all'interno della Corte, composta da nove giudici, dovrebbero rimanere dunque
sostanzialmente inalterati. Ma è possibile che la scelta di Obama
incontri comunque le resistenze dei repubblicani in Senato. Il giudice che
salvò le World Series. Nel totonomine della vigilia, quello della 54enne
magistrato di origine portoricana, nominata da Bill Clinton nel secondo
Circuito di New York, era tra i nomi più controversi. I democratici la
suggerirono a George W. Bush come possibile rimpiazzo quando Sandra Day
O'Connor annunciò le proprie dimissioni dalla Corte suprema nel 2005. In un
caso di alto profilo, ora all'esame della Corte, Sotomayor aveva preso
nettamente una posizione pro-azioni positive difendendo la municipalità di New
Haven, nel Connecticut, per aver bloccato le promozioni nel locale dipartimento
dei vigili del fuoco in quanto non c'erano abbastanza neri. OAS_RICH('Middle');
La sua sentenza più famosa è però probabilmente quella con cui mise fine allo
sciopero dei giocatori di baseball che bloccò per dieci mesi le World Series,
per la prima volta in 90 anni. Fu lei infatti che nell'aprile del 1995, allora
giudice distrettuale, mise fine alla protesta dei campioni con una sentenza che
penalizzava i proprietari delle squadre e le fece guadagnare l'affetto dei
tifosi e le celebrazioni della stampa specializzata. Orfana di padre da quando
aveva 9 anni, l'infanzia passata nelle case popolari del Bronx con il sostegno
agli studi perseguito dalla madre - "eravamo gli unici bambini ad avere
l'Enciclopedia britannica a casa", ricorda - è un esempio di success story
per tutte le minoranze etniche. E un vero mastino in aula, dicono i suoi
colleghi. Parla spesso dei tribunali come di "ultimo rifugio degli
oppressi" e si autodefinisce come una "pragmatica con i piedi per
terra". Divorziata, senza figli, è considerata per opinione comune una grande
appassionata del suo lavoro. Ma anche molto intransigente e poco incline al
compromesso. E proprio la sua storia e il suo radicamento nel sociale hanno
fatto pendere la bilancia della scelta di Obama verso
di lei. Lo ha detto lo stesso presidente presentandola: "Non ha mai
dimenticato da dove proviene", dotata di professionalità ma anche di
"esperienza di vita" e sarà una donna capace di "ispirare",
un modello insomma. Proprio come lo è il presidente. I giudici donna. La
professione di magistrato ai massimi livelli è diventata appannaggio delle
donne solo in tempi recenti, come dimostrano le statistiche. Sono oltre 200 le
donne giudice tra corti distrettuali e corti d'appello federali, circa un
quarto del totale, e oltre cento sono quelle designate nelle massime corti statali,
mentre circa un terzo dei chief justice statali sono donne. In una paese in cui
1,2 milioni di persone esercitano la professione legale, circa il 45% degli
associati di studio sono legali donne, e il 18% soci. Così come sono donne un
quinto dei rettori delle facoltà di legge. Per storici e politologi,
l'avvicinarsi delle donne alla professione legale e la loro affermazione è
legata a grandi svolte storiche del Paese, in particolare allo squarcio della
guerra del Vietnam. Nel 1964, la Bar Association indicava che solo il 4% degli
studenti di legge erano donne. Nel '74 il dato si era quadruplicato, e nel
decennio successivo è ancora raddoppiato. Oggi le donne sono poco meno del 50%
degli studenti di giurisprudenza. Nello stesso tempo, i presidenti degli Stati
Uniti, a cominciare da Jimmy Carter, hanno cominciato a nominare sempre più
magistrati donne nelle corti d'appello federali, che sono il bacino principale
da cui sono state attinte negli anni recenti le nomine per la Corte suprema.
Nel 1981, quando Reagan nominò la O'Connor, c'erano solo 11 donne nelle corti
federali. Nel 1993, quando Bill Clinton scelse Ruth Bader Ginsburg (che oggi ha
76 anni e gravi problemi di salute, con la possibilità che sia il prossimo
giudice a doversi ritirare), erano 23. Oggi sono arrivate a 47. Le pressioni su Obama affinché ristabilisse un equilibrio all'interno della massima
corte americana più vicino alla realtà del Paese erano dunque evidenti.
Decisione storica. In una recente intervista televisiva, Obama aveva dichiarato che il nuovo
giudice avrebbe dovuto avere "statura intellettuale, sapere rapportarsi
alla gente comune e avere senso pratico su come funziona il mondo".
Esattamente l'identikit di Sotomayor. Il presidente spera ora che il successore
del giudice Souter possa entrare in funzione già in ottobre in occasione della
nuova sessione della Corte. Gli ultimi due giudici nominati, John Roberts e
Samuel Alito, sono stati entrambi confermati in circa 70 giorni, dopo le
audizioni di prammatica al Senato. Con la maggioranza in Senato di 59-40 a
favore dei democratici (e presto 60-40 quando verrà confermata la vittoria di
Al Franken in Minnesota), la scelta di Obama non
dovrebbe incontrare il pericolo di uno stallo nella Camera alta. David Souter,
nominato nel 1990 da George Bush padre, è un alfiere dell'ala liberal e aveva
annunciato la sua volontà di lasciare la Corte suprema per consentire ad Obama di procedere, per la prima volta dal suo ingresso alla
Casa Bianca, alla scelta di un membro della massima istanza giudiziaria del
paese. La nomina dei membri della Corte suprema è una delle decisioni più
delicate e importanti nelle mani del presidente degli Stati Uniti, perché è
l'unica carica "a vita" (oltre a essere non elettiva) del sistema
istituzionale statunitense. Per molti costituzionalisti, è la reale eredità
politica che un presidente può lasciare al Paese. Riguardo ai suoi
"modelli" tra i giudici del passato, il presidente Obama
aveva citato Antonin Scalia - "uno scrittore eccezionale" - e la
giudice Sandra Day O'Connor, che ha saputo individuare l'applicazione pratica
delle leggi: "Non era una grande teorica - ha detto Obama
- ma alla fine ha avuto un'enorme infulenza sulla legge nel suo
complesso". E lui stesso, Obama, con la sua
formazione giuridica, non vorrebbe in futuro entrare a far parte della Corte,
come fece il suo predecessore William Taft? "Non credo che passerei
l'audizione in Senato", ha scherzato il presidente. (26 maggio 2009
(
da "Stampa, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Corte Suprema Sonia Sotomayor, figlia di immigrati del Bronx,
è il primo giudice ispanico a entrare tra i nove super-magistrati Obama
sceglie una portoricana Molinari e Semprini A PAGINA 17
(
da "Stampa, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Chamberlain
il fantasma e la bomba coreana Ricorda la famosa faccia sorridente con cui
Chamberlain tornò felice e trionfante a Londra dopo aver firmato l'accordo del
nuovo assetto europeo alla conferenza di Monaco, nel 1938, tra Daladier, Hitler
e Mussolini, per mezzo del quale si sperava in una pacificazione del Continente
(cedendo la Cecoslovacchia alla Germania)? Come tutti sanno, quella risata fu
il passaporto per la seconda guerra mondiale. Quando vedo tanti esponenti delle
Nazioni Unite, tanti politici impegnati, tanti giornalisti, che sorridono e
dicono che, tutto sommato, la Corea del Nord e l'Iran vogliono solo un po' di
spazio politico-economico nel contesto mondiale e bisogna comprenderli, tanto
non hanno alcuna possibilità di espandersi, permettetemi, mi vengono i brividi,
pensando al «ricorso storico vichiano» che non insegna mai nulla ai governanti
rassicuratori, pacifisti, creduloni e a quei personaggi (più pericolosi di
tutti) rappresentati dagli «amici di tutti» all over the world. È bastato insomma che Obama, supportato da tutto quel codazzo europeo che non riesce a
rimanere a galla nella propria sinistra ex-comunista, mostrasse una vaga
intenzione di aprire un dialogo, un colloquio con quella parte del mondo chiusa
nella propria evidente a-storicità, nell'indiscussa, incontestabile
arretratezza culturale, basata su di una primordiale a-civiltà sociale
(politico-religiosa), che questo stesso mondo interpretasse i presupposti
americani come un sintomo di debolezza politico-militare del resto del mondo.
Il germe iraniano sta già dilagando in tutta la parte dell'Africa più povera e
abbandonata dall'Occidente che, con la psicosi imperialista-colonialista, resta
immobile e attonita a guardare che un manipolo di sgherri-pirati blocchi il
traffico marittimo nel Mar Roso, mentre nell'entroterra i fondamentalisti al
soldo dell'Iran occupano l'area, una volta culla di civiltà protocristiana.
Domando a lei, cara Annunziata: la Corea del Nord, quando sarà classificata
veramente «pericolosa»? Quando avrà i missili Icbm che arrivano in Usa? Allora:
(purtroppo) presto! ROBERTO PEPE Chamberlain è l'iconico eroe negativo di ogni
propugnatore di vigorose difese della civiltà occidentale. Solo negli ultimi 15
anni la sua ombra è stata evocata per ammonire l' «indecisione» occidentale sui
Balcani e poi per la viltà europea nella guerra in Iraq. Lei lo ripropone ora
per l'Iran. Conosco dunque bene il suo argomento. Di solito rispondo dicendo
che prima di dannare per l'ennesima volta Chamberlain bisogna sempre essere
sicuri di avere davvero dall'altra parte un Hitler. Finora mi pare che nessuno
dei vari dittatorelli contro cui siamo stati mobilitati, ne abbia avuto la
statura, per nostra fortuna. Ma se vuole confrontarsi con una difesa di
Chamberlain fatta da un conservatore, le consiglio di leggere un articolo
dedicatogli nel 2008 dal noto politico americano Patrick J. Buchanan.
(
da "Stampa, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Scandali
romanzati In questo periodo, più che mai, si usa spesso la parola crisi
riferendosi principalmente all'ambito economico che ha un carattere globale. Io
vorrei limitarmi però al nostro Paese nel quale si deve registrare anche una
crisi di coscienze, di dignità, di onestà e di tanti altri valori dei quali
spesso noi italiani ci siamo dimenticati. In pieno clima elettorale e con gravi
problemi, vedi il terremoto e la crisi finanziaria, dove va a parare
l'opposizione? Su illazioni, su scandali più o meno romanzati, ed è del tutto
incurante di trascinare nella sporca vicenda famiglie e giovani ragazze. Tutto
fa brodo, tutto serve a demonizzare per coltivare l'illusione di raccattare
qualche misero voto. Questa è la grossa e preoccupante crisi, la crisi delle
coscienze, di quei valori che tanti richiamano senza neanche sapere cosa sono e
cosa rappresentano. I leader storici della sinistra potevano avere idee non
condivisibili, ma sicuramente le portavano avanti con maggiore stile e dignità.
LEONARDO CECCA RIVALTA (PIACENZA) Altri tipi di violenza Una considerazione in
merito alla lettera scritta da Elio Sandri il 25 maggio. È vero che Berlusconi
non è un personaggio malvagio e che il suo non può essere considerato un regime
vero e proprio, perché in questo paese chiunque può dire ciò che pensa e le
idee dei non allineati non sono assolutamente perseguite in maniera violenta,
fisicamente parlando. Ma esistono anche altri tipi di violenza. 1) Quella
verbale, dove con prepotenza e arroganza si tacciono le domande scomode dei
giornalisti. 2) La violenza dell'ignoranza: il premier controlla la quasi
totalità dell'informazione in Italia, soprattutto in ambito televisivo. Molti
non si rendono conto di cosa sta accadendo perché credono ciecamente in ciò che
vedono e sentono in tv, spesso si raccontano solo mezze verità se non
addirittura sonore bugie. 3) La violenza dei numeri: io ho la maggioranza, il
popolo è con me e faccio quello che mi pare, in barba alle leggi e alla
costituzione (se non era per il lodo Alfano e santa prescrizione...). Trovo sia
giustissimo governare in nome del popolo sovrano, magari lo si facesse sempre
per davvero, ma mai travalicando e stravolgendo valori etici e morali che sono
le fondamenta della democrazia. Sono convinto che Berlusconi sia pure una
persona simpatica, io assolutamente non lo odio e neanche lo invidio, ma trovo
sia assolutamente inadatto a guidare un Paese. STEFANO MORETTI Clima
preelettorale Ci risiamo! In clima preelettorale tutti i partiti parlano di
ridurre - chi più chi meno - il numero dei parlamentari. È un film già visto
altre volte in passato, come l'abolizione delle Province, delle Comunità
montane e quant'altro. Di una cosa si può essere certi: non se ne farà niente e
finalmente una volta chiusa la campagna elettorale si parlerà di qualcos'altro.
MARIO FEDERIGHI, MILANO Più attenzione per le fasce deboli In merito alla
lettera del 23 maggio («Una strada chiamata accoglienza»), sarebbe opportuno
ricordare che le istituzioni hanno precisi obblighi al fine di riconoscere e
garantire «i diritti inviolabili dell'uomo» (art. 2 della Costituzione). Per
esempio, in materia di assistenza è previsto che «ogni cittadino inabile al
lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e
all'assistenza sociale» (38, primo comma della Costituzione). Dal punto di
vista attuativo, però, purtroppo oggi chi è nelle succitate condizioni
(invalido civile al 100%) può contare per vivere su una pensione di circa 255
euro al mese! Questo misero importo è inferiore addirittura alla soglia della
povertà assoluta (724,29 euro per una persona di età compresa tra i 18 e i 59
anni residente in un'area metropolitana nel Nord Italia, come evidenziato nella
pubblicazione La povertà assoluta in Italia nel 2007, Istat, Statistiche in
breve, 22 aprile 2009). Allora, nessuno chiede ai cittadini di accogliere
tutti. Ma sarebbe assai urgente focalizzare una volta per tutte l'attenzione
sulle fasce più deboli. E per loro, non per tutti, attuare - in tutta la misura
del possibile - interventi garantiti e adeguati. GIUSEPPE D'ANGELO, TORINO
ULCES, UNIONE PER LA LOTTA CONTRO L'EMARGINAZIONE SOCIALE Tu quoque Avis...
L'assemblea nazionale dell'Avis, l'associazione volontari italiani sangue,
conclusasi domenica a Roma, ha eletto per conto di oltre un milione di soci
(1.157.000, per la precisione) il nuovo consiglio nazionale. Il consiglio è
composto da 45 persone provenienti da tutta Italia. Di queste solo 3 (tre) sono
donne, nominate da Avis regionali del Centro-Nord. Sono scandalizzata e demoralizzata
dal sapere che persino in un consesso di volontari così grande il genere
femminile viene così poco rappresentato e, probabilmente, considerato. ENRICA CHIODI Obama e il sogno americano Sono trascorsi più di 5 mesi
dall'insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca, e fino ad ora non ho visto un significativo
cambiamento di strategia della politica estera americana. Nonostante il 20
gennaio i media ci proponevano il sogno americano che si realizzava, in verità
non è andata in modo così fiabesco. L'attuale presidente Usa non è
uscito dal nulla, non si tratta di un afroamericano che ha iniziato lustrando
scarpe: Barack Hussein Obama nasce a Honolulu il 4
agosto 1961 da Hussein Obama Senior e Ann Dunham,
quasi subito (nel 1963) i genitori si separarono e successivamente
divorziarono; il padre andò all'Università di Harvard per conseguire un
dottorato e infine tornò in Kenya, dove morì in un incidente stradale nel 1982,
rivide il figlio solo in un'occasione. Furono Stanley Dunham e Madelyn Payne
Rolla McCurry, nonni materni a crescere il piccolo Obama.
I Payne Rolla sono rinomati petrolieri del Kansas, imparentati con le più
grandi stirpi nobiliari. FABRIZIO VINCI, MESSINA
(
da "Stampa, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
UNA BASE
CON CINQUECENTO SOLDATI, CACCIABOMBARDIERI E CAMPI DI ADDESTRAMENTO PER
PROTEGGERE ABU DHABI L'Armée di Sarkozy sfida gli ayatollah [FIRMA]DOMENICO
QUIRICO CORRISPONDENTE DA PARIGI Il nome scelto è strano, paradossale: «campo
della pace». La base navale nel porto di Mina Zayed dove arroventano al sole da
40 gradi le fregate più moderne della marina francese; la base aerea per i
Mirage e i Rafale ad al-Dhafra; e infine quella terrestre, in pieno deserto,
che si specializzerà nell'addestramento al combattimento urbano. Proprio in
faccia dall'altra parte del mare, c'è l'Iran con i suoi ayatollah tenacemente e
provocatoriamente appassionati di atomiche; e le spume di Hormuz dove passa una
delle vene chiave del petrolio. Uno dei promontori dove si arruffano tutte le
tempeste geopolitiche del mondo. Verrebbe voglia, saggiamente, di evitarlo. È
invece con questo «campo della pace» ad Abu Dhabi negli Emirati, zeppo di armi
moderne, che la Francia di Sarkozy annuncia ad americani, inglesi e iraniani
che nella zona arriva un nuovo aspirante protagonista. Nella base inaugurata
ieri dal presidente, stazioneranno in media 500 soldati francesi. Non è molto:
ma il numero non isteccolisce le ambizioni. E' la prima volta dopo la
dichiarazione di indipendenza dell'impero africano che la Francia apre una base
militare all'estero; e soprattutto Abu Dhabi è la prima fuori dell'Africa,
tradizionale cortile di casa. Sarkozy rientrato nella Nato a pieno titolo vuole diventare un protagonista della fluida era del
dopo Bush e dell'apprendistato internazionale di Obama. Sa che il Medio Oriente è il serpaio pericoloso ma obbligato.
Gli servivano alleati. Li ha trovati nei ricchissimi ma fragili emirati già
corteggiati al tempo di Mitterrand e Chirac, che hanno paura dell'Iran sciita e
sono alla ricerca di tutori diversi dagli Usa. L'opera di seduzione è
stata metodica: Parigi ha esportato i suoi marchi più famosi, il Louvre che ora
ha una discussa filiale nel deserto, e l'accademia di Saint Cyr che sfornerà
gli ufficiali. In cambio gli emiri investono a Parigi: centrali nucleari e
soprattutto prodotti dell'industria bellica. La nuova base nasce come una
grande vetrina commerciale della Francia. Ma la chiave è politica: è il
trattato di sostegno militare firmato con Abu Dhabi. Lega l'esercito francese a
un intervento diretto in caso di aggressione all'Emirato. L'accordo è segreto e
non è stato sottoposto a nessun dibattito nel parlamento. In Iran hanno capito
benissimo di essere il vero Nemico. Il ministero degli Esteri di Teheran ha
salutato l'inaugurazione della nuova base con un minaccioso riferimento al
«contributo alla insicurezza della regione». Risposta da Parigi, altrettanto
secca: «Ci poniamo volontariamente in una logica di dissuasione: se l'Iran
attacca, in effetti saremo anche noi ad essere attaccati».
(
da "Stampa, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
DECISIONE
PROGRESSISTA E BI-PARTISAN: FU BUSH SENIOR A NOMINARLA GIUDICE Usa, la prima
ispanica della Corte Suprema A 54 anni porta un cambio generazionale che
potrebbe favorire l'ala più liberal [FIRMA]FRANCESCO
SEMPRINI NEW YORK Obama
nomina una giudice di origine ispanica alla Corte suprema, rafforza il legame
dell'amministrazione con le donne e la comunità latina e invia un segnale di
apertura al partito repubblicano. Sonia Sotomayor, questo il suo nome, venne
nominata giudice federale nel 1992 da George W. H. Bush. «Ha più
esperienza di quanta ne avevano gli attuali membri della Corte al momento della
nomina», spiega il presidente degli Stati Uniti durante la presentazione nella
East Room della Casa Bianca. Sotomayor, 54 anni, un'infanzia trascorsa nelle
case popolari del Bronx, un'adolescenza senza padre e una passione giovanile
per Perry Mason, è il risultato di una lunga riflessione, spiega Obama, volta a individuare un giudice con «esperienza di
vita» oltre che con una profonda conoscenza delle leggi. «Neppure nei miei
sogni d'infanzia avrei immaginato di essere qui», ha risposto commossa la
Sotomayor. Nel caso di conferma da parte del Senato, Sotomayor diventerà il
secondo giudice donna, con Ruth Bader Ginsburg, e la terza in assoluto nella
storia del massimo organo giudiziario Usa. Le attese della vigilia del resto
erano tutte orientate verso una donna, ma la scelta di Obama,
primo presidente democratico a nominare un giudice della Corte suprema negli
ultimi quindici anni, è ancor più a effetto, perché Sotomayor venne nominata
alle corti federali da Bush padre. Un'apertura ai repubblicani, quindi, e un
invito a evitare ostruzionismi in Senato. Obama ha
chiesto una conferma prima dell'inizio dell'anno giudiziario ad ottobre. Ma il
via libera dei repubblicani alla nomina dell'ispanica Sonia Sotomayor alla
Corte Suprema non è automatico. Lo ha voluto precisare in una nota il capo
della minoranza dell'Elefante al Senato, Mitch McConnell. «I nostri colleghi
democratici hanno spesso sottolineato che il Senato non è una macchina che
appone timbri. Giudicheremo con equità il giudice Sotomayor. Ma ci assicureremo
che ella sappia che il ruolo di un giudice è esercitare il proprio ruolo in
maniera imparziale, accantonando le proprie sensibilità e preferenze
politiche». Dal punto di vista degli equilibri politici, la Sotomayor prende il
posto di David Souter, più liberal che conservatore e non va ad alterare
tecnicamente i rapporti di forza anche se, essendo di una generazione più
giovane del suo predecessore 70enne, potrebbe essere una voce «contro» le voci
più conservatrici. In realtà all'interno della minoranza repubblicana molti
pensano che Sonia Sotomayor abbia un'attitudine a fare politica più che a
interpretare le leggi. Nonostante questo è poco plausibile l'ipotesi di una
battaglia al Senato perché uno scontro di questo tipo sarebbe visto come uno
sgarbo non da poco dalla comunità ispanica, in costante crescita, che se ne
ricorderebbe già alle elezioni di metà mandato, nel 2010.
(
da "Stampa, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Personaggio
Come Barack lei incarna il sogno americano Dalla miseria del Bronx alla laurea
a Princeton MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Cresciuta senza il
padre, espressione di una società multietnica che è riuscita a coronare il
proprio «American Dream» attraverso il successo negli studi, la vita di Sonia
Sotomayor ricorda da vicino quella di Barack Obama,
inclusa la tendenza ad essere «centrista» sulle questioni dei valori che più
spaccano la nazione. Sotomayor nasce nel 1954 nel Bronx ispanico di New York da
una coppia di immigrati portoricani che abita in case popolari fatiscenti. Il
padre muore quando lei ha appena 9 anni e ad allevarla resta la madre, che fa
l'infermiera. Crescere senza il padre la spinge, proprio come nel caso di Obama, a cercare l'affermazione negli studi: alle elementari
eccelle nella lettura ed è questa passione a garantirle i voti per scalare la
piramide dell'educazione fino a laurearsi con lode in legge a Yale e Princeton.
Quest'ultimo è lo stesso ateneo di Michelle, moglie di Barack, ed anche per
Sonia sono gli anni nei quali la propria identità etnica si incontra, scontra e
infine si integra con quella bianca e anglosassone. A Yale dirige il Law
Journal - come Obama la Harvard Law Review - e si
distingue per una gestione moderata delle tensioni interetniche da lei ben
conosciute: ad esempio fa scrivere uno studente portoricano sullo sfruttamento
dei giacimenti minerari dell'isola da parte degli Usa ma il testo è tutt'altro
che incendiario. Stephen Carter, primo docente afroamericano di legge a Yale e
narratore con i suoi romanzi della «black upper class» a
cui Obama appartiene, è
stato un compagno di studi di Sotomayor e ricorda bene come «quell'articolo
facesse prevalere la riflessione sulle emozioni». Ciò che accomuna Sotomayor a Obama è vivere l'appartenenza ad una
minoranza senza cedere ai sentimenti estremi - dal vittimismo al rabbia - che
hanno distinto le battaglie per l'integrazione e i diritti negli anni
60. Entrambi hanno conquistato la piena integrazione sommando educazione,
lavoro duro e passione in una versione dell'«American Dream» che racchiude
valori liberal e rifiuto di ogni estremismo. «E' liberal centrista, non certo
di sinistra» dice di lei Alan Dershowitz, giurista di Harvard, un giudizio che
si rispecchia in quanto dice George Pavia, l'avvocato di Manhattan per il quale
lei lavorò anni fa occupandosi fra l'altro anche di Fiat: «Una liberal ma
niente affatto da barricate, molto razionale, interessata non a battaglie
ideologiche ma a fatti concreti». E' stato questo approccio pragmatico che
spinse il presidente George H. W. Bush a nominarla nel 1991 giudice del
distretto meridionale di Manhattan, prima ispanica a ricoprire l'incarico. Ha
dimostrato la determinazione necessaria quando nel 1994 riuscì a porre fine
allo sciopero nella lega professionista di baseball schierandosi con i
giocatori contro le società. Tre anni dopo Bill Clinton la nominò giudice
d'appello trovando il favore dei repubblicani ma ciò non le impedì di dare un
dispiacere a Hillary autorizzando la pubblicazione dell'ultima lettera del
suicida Vincent Foster, l'allora consigliere della Casa Bianca sospettato di
avere una relazione con la First Lady. Fra le sentenze che più descrivono il
«centrismo» di Sotomayor c'è quella a favore della «Mexico City Policy» di Bush
che chiede agli enti stranieri destinatari di fondi americani di non promuovere
l'aborto. Diventando il sesto giudice cattolico della Corte Suprema - su un
totale di nove - la fede di Sotomayor è destinata ad essere protagonista del
«dibattito aperto sull'aborto» che Obama ha auspicato
parlando alla Notre Dame University dell'Indiana. Ma c'è anche qualcosa che la
distingue da Barack, la famiglia: Sotomayor ha divorziato da giovane, non si è
più risposata, non ha figli e a chi le chiede il perché di questa scelta
risponde: «I miei figli sono gli impiegati dei tribunali dove lavoro».
(
da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 1
- Prima Pagina Marchionne dalla Merkel. Obama: decidete in fretta "L´affare Opel è una lotteria"
ROMA - «L´incontro con Angela Merkel è stato costruttivo. Noi restiamo
fiduciosi ma la partita per la Opel è diventata una lotteria». Lo ha detto ieri
l´amministratore delegato di Fiat Auto Sergio Marchionne al termine di un
incontro con il cancelliere tedesco. Il ministro dell´Economia di
Berlino Guttenberg: la proposta italiana è seria. Il presidente americano Obama stringe i tempi: serve una decisione al più presto
possibile. TARQUINI E TROPEA A PAGINA 9
(
da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
14 - Esteri Complotti e guerra di successione l´ultima sfida di Kim Jong-il La
Corea lancia altri 2 missili: "Un messaggio agli
Usa" Obama spinge per
una risoluzione di condanna dell´Onu, ma Russia e Cina frenano Il "monarca
rosso" è reduce da un ictus. Il figlio minore Jong-un è il suo preferito
FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente PECHINO - Sfidando per il secondo
giorno consecutivo le condanne della comunità internazionale, la Corea
del Nord ieri ha compiuto un altro test: due missili che sono finiti in mare al
largo del Giappone. «Siamo pronti alla battaglia contro gli Stati Uniti», tuona
il giornale del regime, Rodoang. Il crescendo di provocazioni da Pyongyang
prosegue e sottolinea l´impotenza dell´America. Al Consiglio di sicurezza dell´Onu
l´Amministrazione Obama spinge per una risoluzione di
condanna, ma deve vedersela con altri due membri dotati del diritto di veto: la
Russia e soprattutto la Cina. I governi di Pechino e Mosca hanno espresso
giudizi duri sul test nucleare nordcoreano. «Ma basterebbe interrompere ogni
finanziamento - osserva il ministro della Difesa della Corea del Sud, Lee
Sang-hee - per esercitare una pressione molto efficace». E di fronte a sanzioni
drastiche la Cina in passato si è sempre tirata indietro. Un enigma assilla gli
osservatori occidentali: in che misura la tensione internazionale scatenata da
Kim Jong-il è il risultato delle manovre per la sua successione? Il gioco che
sta facendo Pyongyang non sembra sorprendere i cinesi. «L´urgenza con cui è
stato fatto il test nucleare, e subito dopo i lanci dei missili, rivela la
volontà di esaltare il morale del popolo», dice Shi Yinhong, direttore del
dipartimento di politica internazionale all´università Renmin di Pechino e
consulente del governo cinese. Sembra assurdo che un test nucleare possa
esaltare una popolazione ridotta allo stremo, con gli alimenti razionati,
bambini denutriti, l´elettricità che scarseggia anche nella capitale. Ma
bisogna essere stati in Corea del Nord per capire in quale "bolla" d´irrealtà
vive il paese. La propaganda ossessiva del regime crea una psicosi d´assedio,
un orrido remake della guerra fredda, come se un´invasione militare americana
fosse imminente. In quel clima la conquista del deterrente nucleare è
l´agognata liberazione da un incubo. La tensione bellicosa ora raggiunge il
parossismo per compattare la nazione e soffocare le tensioni interne. A 67
anni, il "monarca rosso" Kim è reduce da un ictus. In pochi mesi ha
subito una metamorfosi: al posto dell´omino paffuto e rotondo c´è un anziano
smagrito, pieno di rughe, con i capelli più radi. Il tempo stringe per la
scelta dell´erede al trono. Dietro l´apparente monolitismo il regime ha tre
centri di potere: la famiglia Kim, l´esercito, il partito comunista. Alleati
finché il leader è solido, forse pronti a entrare in conflitto. L´ultima
successione fu lineare. Il fondatore del regime, Kim Il-sung, aveva designato
il figlio Kim Jong-il in un congresso del partito nel 1980, ben 14 anni prima
di morire. Kim Jong-il invece ha mantenuto l´incertezza. Con ogni probabilità
vuole prolungare il principio dinastico. Ma ha tre figli maschi avuti da due
donne diverse, nessuna delle quali è la sua consorte ufficiale. Il maggiore è
il 37enne Jong-nam. Sembrava il favorito fino a un incidente fatale. Nel 2001
venne fermato dalla polizia dell´aeroporto di Narita mentre cercava di entrare
in Giappone con una falsa identità (un improbabile passaporto della Repubblica
dominicana): voleva andare a Disneyland-Tokyo. In seguito è stato fotografato
nei casinò di Macao. Ora la preferenza di Kim sembra spostarsi sul terzo
figlio, il 25enne Jong-un. Un personaggio che può accendere qualche speranza in
Occidente: Jong-un ha studiato in una scuola internazionale in Svizzera ed è un
fanatico di pop music americana. L´identikit ideale per avviare un futuro
disgelo con l´America? Ma i gusti personali possono ingannare. Lo stesso Kim
Jong-il possiede una videoteca personale con 20.000 film di Hollywood,
colleziona Mercedes, ed è un accanito bevitore di cognac Hennessy Vsop
importato dalla Francia. L´edonismo nella vita privata non lo ha reso più
malleabile. Se la scelta cadrà sul figlio minore, data la giovane età potrebbe
essere affiancato da un "reggente" scelto sempre in famiglia: Chang
Song-taek, il 62enne marito della sorella di Kim. Questa successione tutta
interna al parentado può suscitare tensioni con i militari. I test nucleari e
missilistici servono a rassicurare l´esercito e a tacitare ogni dissenso in
un´atmosfera di mobilitazione generale. Solo i cinesi hanno i mezzi per
"bucare" la bolla paranoica di Pyongyang. La grottesca messinscena
del regime si regge sugli aiuti di Pechino, la fonte di approvvigionamenti
energetici e alimentari. Perché alla Cina non conviene farlo? Non ha dubbi Shen
Dingli, direttore all´Istituto di studi internazionali dell´università di
Fudan: «Per decenni gli Stati Uniti hanno fornito armi a Taiwan, sfidando i
nostri interessi vitali. Dal punto di vista strategico noi cinesi non possiamo
fidarci di Washington. Qualunque atto che indebolisca un nostro alleato e
vicino di casa sarebbe un errore da parte nostra. Questo vale anche per il
programma nucleare nordcoreano».
(
da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
15 - Esteri Dal Bronx alla Corte Suprema Obama sceglie Sonia Sotomayor, la prima
ispanica nel tempio della giustizia Usa Donna, liberal e di origine latina: nel
1995 salvò il campionato di baseball VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - Stupendo
esempio di donna che non deve nulla alla fortuna e tutto alla propria
intelligenza e volontà, Sonia Sotomayor, il giudice scelto dal
Presidente Obama per il seggio vacante della Suprema
Corte, è l´incarnazione del sogno multietnico americano. Maschi e femmine,
belli e brutti, bianchi, neri o "latino", come questa signora
divorziata, di sangue portoricano, cresciuta orfana di padre e allevata dalla
sola madre nei ghetti del Bronx, dove migliaia di altri giovani sprofondano
senza lasciare tracce che non siano nei casellari giudiziari: tutti possono
ancora credere, e sperare, di diventare davvero quello che riusciranno a essere
quando nascono. In questa America nella quale un presidente afro americano sceglie
per la Corte Suprema una donna portoricana. Forse mai, nel ruolino dei 111
magistrati che da due secoli si sono avvicendati sulle 9 poltrone dei giudici
cambiando con le loro sentenze la vita della nazione ma riaffermando sempre il
principio del "tutti sono uguali davanti alle legge", si era vista
una persona più felice di quella piccola, graziosa signora rotondetta di 54
anni che ieri ha ascoltato Barack Obama investirla del
sogno di ogni studente di legge. Sotto lo sguardo della madre, Celina, in estasi.
E se la Costituzione richiede che la sua promozione sia approvata dalla
Commissione Giustizia del Senato e poi dal Senato intero, si poteva capire
quanto immensa fosse la felicità di questa donna che a 8 anni si scoprì
afflitta da un diabete che ogni giorno la costringe a iniezioni per
sopravvivere. Che a 9 anni perse il padre, immigrato da Puerto Rico. Che visse
nei "projects", orride case popolari. Che studiò dalle suore
cattoliche riuscendo a farsi accettare dalla schizzinosa università di Princeton
dove poi studierà anche Michelle Obama e alla facoltà
di legge a Yale, dove si laurearono i Clinton. E che oggi si trova a essere la
terza donna nella storia dei 111 giudici supremi e la prima ispanica, nominata
per quell´incarico. Che sarebbe stata una donna la persona scelta per
sostituire il giudice dimissionario, Souter, e per affiancare l´altra donna,
Ruth Ginsberg, che si batte contro un cancro al pancreas, era scontato, perché
era la scelta più utile per un presidente che calcola ogni mossa con la cura di
un giocatore di biliardo. Ma nessuna di loro riassumeva le coordinate politiche
e la biografia che ha fatto di Sonia Sotomayor la scelta perfetta e
squisitamente obamiana. Moderamente progressista, nelle sue sentenze che hanno
sempre difeso le minoranze etniche, e favorirono i giocatori di baseball in
sciopero contro il loro presidente nel 1995, donna, quindi implicitamente
gradita al decisivo elettorato femminile, e ispanica, si presenta come un osso
durissimo da azzannare per la minoranza repubblicana nel Senato, dunque di un
partito che disperatamente spera negli immigrati dall´America Latina e Centrale
per condurre la propria rimonta e non oserà offenderli. La sola accusa che le
prime voci dell´opposizione, azzoppata dall´avere soltanto 40 senatori su 100,
è quella di avere detto che «nella pratica la legge viene fatta più dai giudici
che dai legislatori». La Sotomayor sarà quindi bollata come giudice
"attivista", cosa che sconvolge gli stretti
"applicazionisti" da quel 1973 nel quale la Corte Suprema lesse nel
diritto alla privacy anche il diritto delle donne a scegliere la maternità.
Perché l´aborto, dietro tutte le cortine fumogene e le apparenti dichiarazioni
di equilibrio, sarà il terreno sul quale la destra tenterà di fare terra
bruciata. Ma sarà la sua storia personale, il tasto sul quale Obama ha insistito per spiegare la propria scelta, «perchè
non c´è applicazione della legge che non possa tenere conto della esperienza
della vita reale» che renderà la bambina dei ghetti invulnerabile. Se nella
furia di ricerche ostili che da ieri frugano in tutta la sua vita e nella
attività di giudice federale nominata da Bush e poi di giudice d´appello voluta
da Clinton, per trovare la frase, l´incidente, che la possano mettere in
imbarazzo, non usciranno scheletri troppo vistosi. Questa "anti
velina" che sbarcò a Princeton «pensando di essere arrivata su un altro
pianeta» sarà un altro volto nuovo chiamato a rappresentare un´America del
potere che finalmente comincia a somigliare a se stessa.
(
da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
15 - Esteri California, no ai matrimoni gay Ma restano validi quelli già
celebrati. Gli omosessuali: "Vergogna" Rabbia per la sentenza:
"Adesso promuoviamo un referendum per il 2010" ARTURO ZAMPAGLIONE NEW
YORK - Assediata da due gruppi di manifestanti pro e contro i matrimoni gay,
che per tutta la mattinata hanno atteso il verdetto urlando slogan e brandendo
cartelli, la Corte suprema della California ha confermato ieri con 6 voti
favorevoli e uno contrario la validità del referendum che il 4 novembre
dell´anno scorso aveva messo al bando le nozze tra persone dello stesso sesso.
La Corte ha però anche convalidato i 18mila matrimoni celebrati da coppie
omosessuali tra il giugno e il novembre del 2008, cioè nel breve periodo in cui
è rimasta in vigore la legalizzazione di queste unioni. In pratica i gay non
potranno più unirsi in matrimonio in California, ma nulla cambierà per quelli
che lo hanno fatto l´anno scorso. La sentenza non ha sorpreso gli esperti di
diritto, che avevano giù intuito l´orientamento dei giudici e che prevedevano -
correttamente - che la Corte non si sarebbe frapposta alla volontà elettorale.
Nello stesso giorno di novembre, infatti, in cui i
californiani avevano votato per Barack Obama, si erano anche espressi a favore della "Proposition
8", cioè di un emendamento costituzionale di iniziativa popolare che
stabilisce che a contrarre un matrimonio possano essere solo un uomo e una
donna. In California questo tema è sempre stato un tema molto caldo, anche
perché, soprattutto a San Francisco, c´è una nutrita comunità di gay e
lesbiche. Che ieri, ovviamente, ha reagito alla sentenza con incredulità e
rabbia, organizzando subito un corteo di protesta per le strade del centro al
grido di «vergogna» e preannunciando una controffensiva a livello elettorale.
L´obiettivo: promuovere nel 2010 un altro referendum per voltare
definitivamente pagina. La speranza dei militanti è di far leva sul cambiamento
di sensibilità che si registra negli Stati Uniti di Obama.
Cinque stati (Massachusetts, Connecticut, Vermont, Maine, Iowa) hanno già
legalizzato le unioni gay; altri, come New York e il New Hampshire, prevedono
di farlo tra breve; e una conferma del mutato clima viene anche dalla decisione
di Hillary Clinton di estendere ai partner dei diplomatici gay gli stessi
riconoscimenti di cui godono mogli e mariti. Ad aiutare la nuova campagna per i
matrimoni gay in California sarà la convalida dei 18mila già contratti.
Organizzazioni religiose e movimenti conservatori avevano cercato di convincere
la corte suprema ad annullarli e avevano addirittura assoldato Kenneth Starr,
il procuratore speciale anti-Clinton nel caso Lewinski, per esporre le loro
motivazioni. Ma i giudici hanno imboccato una strada meno ideologica, arrivando
alla conclusione che quelle nozze erano state celebrate in maniera legale. «Il
problema non è quello del mio matrimonio, che per fortuna è salvo, ma di
continuare la lotta per garantire a tutti gli stessi diritti», ha dichiarato
ieri subito dopo la sentenza Jeannie Rizzo, 62 anni, che assieme alla sua
partner (e moglie), Polly Cooper, è stata tra le promotrici della battaglia
costituzionale.
(
da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
17 - Esteri Democrazia Tbilisi, l´opposizione in piazza Saakashvili: "Ma
io non lascio" Parla il presidente georgiano: "Contro di me solo
slogan" Ho costruito una democrazia, sono finiti i tempi della guerra
civile PIETRO DEL RE ROMA - è un´opposizione fisiologica, di cui andrebbe fiera
ogni democrazia. Così, il presidente georgiano Mikheil Saakashvili, minimizza
le manifestazioni di protesta che da settimane chiedono le sue dimissioni.
Ieri, nell´anniversario dell´indipendenza della piccola repubblica caucasica,
oltre centomila persone sono scese in piazza a Tbilisi, gridando "Misha
vattene" e "Lunga vita alla Georgia senza Saakashvili".
Presidente, si direbbe che i georgiani vogliano disfarsi di lei. è così? «Non
mi vogliono più quegli oppositori che ieri hanno bloccato la capitale e che
chiedono la mia testa. Ma noi li trattiamo con molta più gentilezza di come,
per esempio, la polizia italiana trattò gli studenti a Napoli o a Genova nel
2001. Ovunque ci sono battaglie politiche. Non vedo perché non dovrebbe essere
così anche in Georgia». Eppure, ieri, la leader dell´opposizione Nino
Burdzhanadze, che è anche la più accreditata come prossimo presidente, ha detto
che ormai non si parla d´altro che delle sue dimissioni. «Posso garantirle che
non parlano d´altro dal giorno della mia elezione, nel lontano 2004, eppure
sono ancora al mio posto e i sondaggi mi assicurano ancora una forte
maggioranza. Il resto sono soltanto slogan politici. Sono riuscito a costruire
nel paese una democrazia simile ai modelli dell´Europa occidentale. Sono
lontani i giorni della guerra civile, in cui in Georgia erano tutti armati e ci
si ammazzava per le strade». Che cosa risponde a quegli oppositori che le
rinfacciano di non saper affrontare la crisi economica? «Che sono falsità». E a
coloro che la criticano per aver aggredito l´Ossezia del Sud e perso la guerra
contro la Russia? «Mi dica lei che cosa potevamo fare contro duemila carri
armati russi? Ad agosto siamo stati invasi dalle stesse truppe che invasero
l´Afghanistan nel 1979 e la Cecoslovacchia nel 1968. Ora, sebbene il nostro
territorio sia ancora occupato per il venti per cento della sua superficie, la
nostra economia è ripartita alla grande. Noi non ci siamo mai arresi, eppure
siamo riusciti ad evitare che la Georgia finisse nel caos. La guerra
dell´estate scorsa ci ha semmai avvicinato ancora di più all´Europa e alla
Nato». L´ex presidente Bush è sempre stato un suo grande sostenitore. Che relazioni intrattiene con Obama? «Bush l´ho incontrato diverse volte, mentre con Obama ancora non ci siamo conosciuti di
persona. Ma ho parlato con lui per telefono, e il presidente mi ha garantito
l´interesse americano di mantenere una partnership strategica con il mio paese.
Per definire le operazioni russe in Georgia, Obama ha
usato la parola "invasione", la stessa che usò Reagan riferendosi
all´armata rossa in Afghanistan. Sono quindi molto ottimista sulla mia futura
amicizia con il nuovo presidente americano». Per quale motivo è in visita a
Roma in un momento così delicato per lei? «In Italia sono venuto due o tre
volte in veste ufficiale, ma stavolta sono qui per presentare il mio libro Io
vi parlo di libertà (edito da Spirali, ndr). Ne approfitterò per parlare del
mio paese, poiché non credo gli italiani lo conoscano abbastanza bene».
(
da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
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23 - Cronaca Ecco il mobbing rosa in ufficio è guerra di Eva contro Eva Il 70%
delle donne vessate dalle loro superiori L´arma preferita è il pettegolezzo.
"La solidarietà femminile? Una fandonia". La Melandri: rifarsi sul
più debole è una legge immutabile (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) CINZIA SASSO E
dall´altra si fa una guerra feroce perché in quel posto non ci vada un´altra.
Raccontata dal New York Times, l´ultima ricerca del Workplace Bullying
Institute, ha messo in subbuglio il politically correct che
sembrava dominare l´era Obama e ha risvegliato le coscienze delle femministe: studiando le
molestie sul lavoro, dati alla mano, l´istituto di ricerca ha concluso che il
40% dei responsabili di mobbing sono donne, ma soprattutto ha scoperto che
quando tocca a loro, le donne mobbizzano nel 70% dei casi altre donne. Eva
contro Eva, appunto. Ed ecco che è appena tornato nelle librerie d´America,
ristampato sette anni dopo la burrascosa prima uscita, «Woman´s Inhumanity to
Woman», che in italiano aveva un sottotitolo eloquente: «Rivalità, invidia e
cattiverie nel mondo femminile». Un libro scritto da una femminista, che aveva
provocato feroci polemiche proprio tra le femministe e che invece oggi, sulla
Washington Post, viene accolto come una bella notizia: «Vedere le donne
comportarsi come gli uomini non è né più né meno che riconoscere che le donne
sono esseri umani». Che somiglia un po´ a quel che dice Lea Melandri, la
testimone più lucida del movimento delle donne degli anni 70: «Non mi meraviglia affatto, quella di rifarsi
sul più debole è una legge fisica immutabile, capitata agli schiavi di tutto il
mondo». Che il mobbing sia una questione che ha molto a che fare con il genere
è coscienza diffusa: Linda Laura Sabbadini, direttore dell´Istat, racconta di aver
appena concluso un´indagine sui soprusi nel mondo del lavoro commissionata dal
Ministero delle Pari Opportunità. L´intento, è evidente, era quello di capire
se le donne siano vittime più degli uomini; la sorpresa, però, potrebbe stare
proprio in questa sfaccettatura. Che del resto non è del tutto nuova. Antonio
Vento, professore a La Sapienza di Roma, sta per mandare in libreria un saggio
sul «mobbing sociale», cioè sui conflitti tra gruppi sociali simili, e ha
dedicato un capitolo alle donne: «Prima - dice - si pensava che le donne
venissero molestate dagli uomini; oggi appare chiaro che nelle aziende la
conflittualità più pesante è tra donne perché si scatena una lotta di potere
interna alla propria categoria». E la solidarietà femminile, la sorellanza di
fronte a un nemico comune? «Fandonie - risponde Daniela Cantisani, avvocato,
che ha fondato l´Apem, Associazione periti ed esperti di mobbing - la
maggioranza dei miei casi riguardano donne vittime di altre donne. Aggrediscono
con il pettegolezzo, ingiurie, diffamazioni, utilizzano fatti della vita
privata per screditare». E conclude: «Condividere lo stesso ufficio con una
donna è spesso un inferno». Che L. T., psicologa che lavora al Comune di
Milano, racconta solo oggi, dopo un periodo di analisi, senza che sgorghino le
lacrime: «Io e lei eravamo amiche al punto che quando è nata mia figlia è
venuta in ospedale a trovarmi; poi quando è diventata la mia capa, sono entrata
in un tunnel. Faceva errori e li scaricava su di me; si comportava come un
kapò, bisognava obbedire e tacere. Sono stati tredici anni di persecuzione, non
dormivo più, non riuscivo a mangiare, sono stata costretta a chiedere il
trasferimento». «La maternità - afferma Harolh Ege, che a Bologna ha fondato
Prima, associazione nata per dare un aiuto professionale alle vittime del
mobbing - è il caso più tipico: quando una donna si permette di avere un
figlio, dopo deve pagarla. Soprattutto se il suo capo è una donna che di figli
non ne ha avuti». Non si stupisce dei dati nemmeno Susanna Camusso, segretaria
della Cgil: «La logica è quella della guerra tra poveri, è chiaro che è più
facile mobbizzare posizione deboli che posizioni forti». Dall´America Catalyst,
l´istituto non profit che si batte per superare le differenze di genere, prova
se non ad assolvere, a giustificare «le cattive»: «Le donne sbagliano qualsiasi
cosa facciano: se lo stile di leadership è corretto sono considerate troppo
deboli, se copiano gli uomini sono giudicate troppo dure». La strada per
trovare «le magiche chiavi del potere», insomma, è ancora lunga.
(
da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 9
- Economia "Fiducioso su Opel, ma è una lotteria" Marchionne incontra
la Merkel. Intesa affianca il Lingotto. Gm, ecco la bancarotta Guttenberg: la
proposta italiana è seria Interesse anche dalla Cina ANDREA TARQUINI dal nostro
corrispondente BERLINO - E´ il momento della verità: siamo alle ore decisive
per il futuro di Opel e quindi per la grande scommessa globale di Fiat. Mentre
negli Usa General Motors, casa madre dello storico marchio tedesco, è a un
passo dalla bancarotta, a Berlino il negoziato è alla stretta finale.
Marchionne ha visto ieri la cancelliera Merkel per un´ora e mezzo. «è stato un
incontro costruttivo ma è una lotteria», ha detto. La trattativa prosegue oggi.
Magna, il concorrente canadese, sta concludendo un´intesa con il sindacato,
sempre più ostile al Lingotto. Entra in scena (oltre a Fiat, Magna e
Ripplewood) un quarto contendente, i cinesi di Baic, che promettono due anni
senza licenziamenti e chiedono meno garanzie pubbliche. La partita ormai la
giocano i politici, avverte il ministro dell´Economia Giulio Tremonti. E si
schierano anche le grandi banche europee: IntesaSanPaolo con Torino,
Commerzbank con Magna. Per stasera è attesa una decisione preliminare del
governo federale, ma non si esclude che ritardi. La decisione finale su Opel
spetta come è noto a Gm, che però è sull´orlo dell´amministrazione controllata.
Sta fallendo la sua offerta (la scadenza è mezzanotte ora della East Coast
americana) agli obbligazionisti, di convertire il 90% dei debiti che Gm ha con
loro (27 miliardi di dollari) in titoli. L´azione Gm crolla di minuto in
minuto, e il fiasco dell´offerta farebbe scattare il Capitolo 11, cioè
l´amministrazione controllata, prima della scadenza del 1ºgiugno posta dall´amministrazione Obama. E il parere di Berlino come si sa è decisivo, perché da Berlino
verranno concesse le indispensabili garanzie pubbliche. «E´ stato un colloquio
costruttivo», ha detto Marchionne dopo il vertice con la Merkel, «ma è una
lotteria, sono in gioco tantissime variabili e non posso stabilire quali siano
le probabilità di successo. Sono qui per rispettare le regole del gioco
del governo tedesco, stiamo facendo un grandissimo lavoro, abbiamo dato
dettagli più specifici sugli stabilimenti e sull´impegno sul sistema produttivo
tedesco. spero conti l´economia più della politica». Poi ha visto il
vicecancelliere, il socialdemocratico Steinmeier. Un altro dei protagonisti, il
ministro dell´Economia zu Guttenberg, incontrava John Elkann. Poi smentiva di
aver detto che tutti i piani dei concorrenti sono inaccettabili. «Il piano Fiat
non è male, ma sono necessari ulteriori miglioramenti. Nessun concorrente è
favorito, c´è movimento ma non abbastanza», ha aggiunto. Marchionne ha anche
ridotto la richiesta di garanzie, da 7 a 6 miliardi, e continua a trattare con
impegno, «sono fiducioso, facciamo del nostro meglio per portare avanti il
progetto». Ma si muovono anche gli altri. Magna offre a IgMetall chiusure in
Belgio anziché in Germania, un´intesa è imminente ma i canadesi non vogliono
coprire il fondo pensioni. Il capo di IgMetall a Opel, Klaus Franz, secondo cui
«Magna è in pole position», ha sparato a zero su Fiat: «Sono arrabbiato, non
parla con noi del sindacato, è un atteggiamento provocatorio».
(
da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 9
- Economia Il presidente degli Stati Uniti punta ad incassare entro venerdì la
fine del Chapter 11 di Chrysler e l´accordo su Opel Obama mette fretta ai tedeschi e Fiat
gioca la carta americana Il finanziamento di Opel da parte delle banche non
risolve-rebbe i problemi dell´azienda Per Washington se Fiat è un buon partner
di Chrysler può esserlo anche per la casa tedesca SALVATORE TROPEA TORINO -
«Spero, penso che sia l´economia a pesare più della politica». Per il
rush finale della partita Opel Sergio Marchionne si affida alle coordinate
industriali dell´offerta Fiat. E´ convinto che possano essere una garanzia di
successo sulle manovre influenzate dalle scadenze elettorali tedesche. Ma sa
anche, e lo ammette, che a Berlino è in corso «una lotteria con tantissime
variabili in gioco» nella quale si può vincere e si può perdere. Perciò tiene
d´occhio anche la politica perché non rimanga nulla di intentato. E la politica
alla quale guarda, ancor prima che quella tedesca, è quella degli americani,
intesa come le ragioni che possono influenzare le decisioni del governo di
Washington sul finanziamento della Gm alla quale fa capo la Opel. Se la Fiat è
stato un buon partner per Chrysler può esserlo anche per Opel. Nelle ore che
precedono il verdetto del governo tedesco, il Lingotto punta molto su questa
equazione della Casa Bianca e mobilita tutti i suoi uomini al di qua e al di là
dell´Atlantico. La carta americana è molto importante, forse decisiva, per i
torinesi perché li sottrae alle trappole dei rinvii e di un gioco al rialzo al
quale Marchionne ha già fatto sapere di non essere interessato. E non è un caso
che egli sia andato in America, prima di affrontare la volata di Berlino,
sapendo che Angela Merkel avrebbe messo in programma per la giornata di oggi
anche un incontro con i vertici della Gm e con i rappresentanti del Tesoro Usa.
Nel corso della sua missione lampo in America, l´ad del Lingotto, ha avuto modo
di appurare che Barack Obama entro il 31 maggio punta
a incassare la chiusura della procedura di Chapter 11 per la Chrysler, e ad
assicurarsi che per Opel ci sia un percorso ben definito e perciò tale da non
riproporla tra qualche anno con i guai di oggi magari aggravati. Per questo il
Lingotto confida che non s´imbocchi la strada della soluzione-ponte se non come
misura estrema e con una durata ben definita. Un finanziamento da parte di
banche «amiche» per un ammontare quantificato genericamente in 1,5 miliardi di
euro, darebbe fiato ma non risolverebbe il problema di un´azienda di fatto
ormai fallita. Senza contare che, superata la boa delle elezioni, la Opel
potrebbe trovarsi su una strada senza ritorno. La Fiat spinge perciò per una
scelta definitiva. E´ quella che sosterrà oggi Marchionne nell´ultimo incontro
con la Cancelliera che di suo sembra orientata in questa direzione. Di fronte
si troverà le offerte di Magna e di Ripplewood. Stando a quanto si dice a
Torino, lui insisterà sul carattere industriale dell´offerta in
contrapposizione alla soluzione Magna che ostenta, senza entrare in dettagli,
l´appoggio finanziario delle banche russe e un non meglio precisato sostegno di
Putin. A chi, nelle concitate ore di questa vigilia, gli chiede se dal governo
tedesco si aspetta un si o un no Marchionne risponde: «Non ho la minima idea,
sono qui per rispettare le regole del gioco, dipende da loro». Ma aggiunge
anche di essere fiducioso «perché stiamo facendo un gran lavoro». Un´affermazione,
questa, che negli ambienti del Lingotto viene tradotta con l´orgogliosa
rivendicazione della lunga esperienza di Torino nella produzione di automobili.
Come dire che la sua offerta ha come principale obiettivo quello di mettere
assieme, se sarà possibile anche con Opel, un colosso da sei milioni di vetture
all´anno da vendere anche in quei mercati dove oggi l´azienda di Russelsheim
non è presente. Un pezzo importante c´è già dal 30 aprile e vale circa 4
milioni di vetture. Al ministro dell´Economia zu Guttenberg - ieri ha avuto un
incontro anche col vicepresidente della Fiat John Elkann - che continua a
sollecitare «miglioramenti» dell´offerta, attraverso le sue dichiarazioni,
Marchionne risponde che questo è stato fatto. In realtà la Fiat ha abbassato da
7 a 6 miliardi di euro l´entità delle garanzie pubbliche, ha ritoccato al
ribasso i tagli, lasciando aperta solo la questione delle quote azionarie,
un´operazione sulla quale si potrà trovare un accordo, com´è avvenuto con
Chrysler, quando sarà possibile definire meglio la costruzione della newco
nella quale far convergere Fiat, Chrysler e Opel.
(
da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
41 - Esteri Il presidente Usa "premiato" per la sua svolta radicale
nella politica scientifica Due le donne: l´antropologa Eugenie Scott e Wafaa
El-Sadr che si batte contro l´Aids PIETRO DEL RE Tra i tanti benefattori che
lavorano alacremente per migliorare il futuro dell´umanità, dieci ci riescono
meglio di altri. Sono insegnanti, medici, ricercatori, filantropi e industriali
che sognano un mondo nuovo, più verde e più compassionevole, e che per
realizzarlo si adoperano con determinazione, sapere e fantasia. Grazie al loro
operato, una fetta sempre più larga di uomini e donne può già beneficiare delle
nuove tecnologie e delle ultime scoperte scientifiche, poiché non basta trovare
un farmaco miracoloso, bisogna anche produrlo e distribuirlo là dove ce n´è più
bisogno. La lista di questi eroi è stata compilata dalla rivista Scientific
american: tra loro si contano soprattutto biologi e fisici, ma anche un
politico, il presidente Obama, perché la sua "rivoluzione ecologica" è stata così immediata
ed eclatante che i suoi effetti si potranno misurare «perfino sulle future
generazioni». Uno di loro, il pediatra trentottenne Kristian Olson, ha appena
fabbricato un´incubatrice per neonati con pezzi di automobile, per far sì che
sia possibile ripararla anche nelle regioni più povere. Un altro, Andras
Nagy, biologo del Mount Sinai Hospital di Toronto, è riuscito a trasformare
cellule mature nell´equivalente di cellule staminali, risolvendo controversie
etiche e fornendo alla ricerca uno prezioso materiale a basso costo. Un terzo,
Bryan Willson, professore di Ingegneria alla Colorado State University, ha
disegnato forni ecologici che consentono alle famiglie più povere dell´India o
delle Filippine di cuocere alimenti risparmiando sul carburante e inquinando
l´atmosfera molto meno di una volta. Quanto a Shai Agassi, fondatore
dell´azienda "Better place", grazie alle sue batterie al litio, ha
già reso le auto elettriche una realtà. Wafaa El-Sadr, direttrice
dell´Infectious Disease Division all´Harlem Hospital Center, si batte invece da
anni per contenere la pandemia di Aids nell´Africa sub-Sahariana. In
quell´angolo sfortunato del pianeta, questa signora di origini egiziane cerca
di impedire che la malattia si trasmetta dalle madri ai figli e di fornire le
terapie anti-virali ad almeno un paziente su dieci. C´è anche un´altra donna
tra i dieci prescelti. è l´antropologa Eugenie Scott, che si definisce "la
golden retriever di Charles Darwin", parafrasando Thomas Henry Huxley, il
biologo che nell´Ottocento si fece difensore delle teoria dell´evoluzione e che
per questo motivo divenne "il bulldog di Darwin". Il merito della
Scott è stato di evitare che il darwinismo fosse tolto dal programma delle
scuole statunitensi a favore del cosiddetto "creazionismo", quella
pseudo-scienza che vuole a tutti i costi conciliare biologia, geologia e
religione. Per fronteggiare i disastri provocati dal fumo due giganti hanno
unite le loro forze: il creatore della Microsoft Bill Gates e il sindaco di New
York e magnate Michael Bloomberg. Per finanziare la loro guerra al tabacco
hanno già sborsato 375 milioni di dollari. Soldi che servono a educare i
ragazzi nelle scuole sui danni della sigaretta, ad aiutare chi vuole smettere
di fumare e a stabilire nuove strategie politiche per contenere il flagello.
Barack Obama, infine. Il presidente è stato inserito
tra i dieci facitori di miracoli per aver posto le problematiche legate al
cambio del clima al centro della sua agenda politica e per aver nominato alcuni
scienziati - come il fisico John Holdren e la biologa marina Jane Lubchenco - a
posti chiave della sua amministrazione. Come se non bastasse, lo scorso marzo Obama ha liberato la ricerca sulle cellule staminali e
promosso nuove leggi per proteggere il lavoro degli scienziati. Tutto questo,
poche settimane dopo aver giurato da presidente.
(
da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 41 - Esteri La rivista "Scientific american"
ha stilato la lista delle personalità più impegnate per migliorare il futuro
Tra loro, medici e ricercatori, ma anche Barack Obama,
Bill Gates e il sindaco di New York Michael Bloomberg
(
da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
46 - Cultura DA ADRIANO ALLA THATCHER ECCO L´ARTE DEL COMANDO A Nixon è mancata
l´intelligenza contestuale, nel suo gruppo non si affacciavano dubbi Per essere
credibili se si è numeri uno si può dire solo qualche volta "qui si fa
come dico io" Forza, seduzione. Dall´antichità a oggi le qualità per
arrivare al potere Un saggio di Joseph Nye sulla fenomenologia storica del capo
GIANCARLO BOSETTI La buona notizia per partiti ed elettori in cerca di una
leadership vincente è che si tratta di una cosa che si può imparare. Quella
cattiva è che ci vuole del tempo, a meno che il candidato non abbia un
prorompente talento naturale. Lo spiega con tanti esempi Joseph Nye, politologo
di Harvard, già nell´amministrazione di Bill Clinton, al Pentagono come vicesegretario
alla Difesa, nel suo Leadership e potere (Laterza pagg. 224, 15 €). Si vede il
talento da leader? Difficile sbagliarsi, anche se non c´è una teoria generale. Obama quando è stato attaccato per il suo imbarazzante
legame con il reverendo Jeremiah Wright e le sue prediche violente, radicali,
che giravano sul web un fatto che da solo
stava per liquidare la sua corsa alla Casa Bianca ha rovesciato la
situazione con un discorso che ha fatto della questione razza un punto di forza
della sua candidatura. Quel genere di talento sa mescolare retorica, persuasione,
storie tratte dalla propria vita, intelligenza emotiva, intelligenza
contestuale, senso del tempo, visione progettuale, carisma
E quando si arriva alla parola «carisma» ci si deve
arrendere alla formula canonica di Max Weber: è quella qualità di un
individuo che lo eleva sopra le persone comuni e lo «legittima» in ragione di
un acume e di un successo che suscitano l´obbedienza dei seguaci. Non c´è una
regola che spieghi chi e come diventi un capo: sia i leader democratici che
quelli totalitari hanno caratteristiche contraddittorie. Nye descrive non i
precetti sul «come si diventa», ma la fenomenologia storica del «come hanno
fatto» in modo da individuare virtù ed errori. Prendiamo una dote più diffusa
rispetto al talento, raro, di Obama: quella della
predisposizione per le «amicizie superficiali», impegnative perché devono
essere tante e devono apparire autentiche. Fondamentale in un leader è
ricordare volti, nomi, erogare simpatia personalizzata, non solo stringere le
mani, ma «fare del mondo una tabula rasa sulla quale», come scriveva la
Yourcenar immedesimandosi nell´imperatore Adriano, in quel momento «non esiste
che il tale banchiere, il tale veterano, la tale vedova», pensare per qualche
minuto davvero «al loro problema», appartenere completamente a ciascuno durante
la breve durata dell´udienza. Il difficile delle «amicizie superficiali» è che
l´altro ti deve pensare come «intimo» e per questo occorre che il leader sappia
rievocare un precedente incontro con dettagli che garantiscano la sincerità del
ricordo. La «dote di Adriano» è programmatica in Berlusconi, che la applicava
fin dall´inizio come leader aziendale: raccontava alle conventions di quando
passava i sabati a visitare i dipendenti malati negli ospedali. La «dote di
Adriano» Nye non la chiama così, ma possiamo
considerarla affine al suo «soft power» ce l´aveva anche Clinton,
simpatico e seducente con tutti, al punto che, diventato presidente ne ebbe un
contraccolpo, a causa di una drastica riduzione dei tempi, che lasciò delusi
tanti degli «intimi». Clinton però figura nella rassegna di Nye soprattutto
perché di fronte allo scandalo Lewinski riuscì a gestire con maestria la
separazione tra morale pubblica e morale privata. Operazione che invece non era
riuscita a Nixon con i nastri del Watergate, perché privo di quella che si può
chiamare «intelligenza contestuale», ovvero del senso della realtà «là fuori».
Nel suo entourage quotidiano non si affacciavano dubbi: «Se lo fa il presidente
vuol dire che non è illegale». La mancanza di integrità personale può spingere
su una brutta china, senza freni fino al disastro. Qualche somiglianza con
l´idea nixoniana di un potere senza limiti ce l´ha avuta anche la condotta di
Bush e Cheney nella lotta al terrorismo. La «dote di Adriano» era invece del
tutto assente nella Thatcher, che era prepotente nei modi e scorbutica. Molto
più dolce di lei John Major, che la sostituì, però perse le elezioni. Quindi
non c´è un metodo che garantisca il leader vincente, se vi rientrano casi così
distanti come Clinton e la Thatcher. Di sicuro non conta solo l´aspetto soft
del potere; le vie della leadership sono sia morbide che hard, dure. La
leadership ha bisogno della carota, ma anche del bastone: e la somma dei due,
«soft più hard» è la formula di Nye
fa il potere «smart», ovvero intelligente, brillante, capace di fare
centro. Un abile leader sa individuare il giusto dosaggio di dolcezza e
autorità, sia in politica che nelle aziende, e deve combinare la guida del gruppo con
la capacità di farsi da esso influenzare. Celebre il detto di Mirabeau: «La
folla va di là, devo seguirla perché sono il suo capo». Ma un capo ha da essere
anche «trasformativo», non solo «transazionale». Quanto l´uno e quanto l´altro?
Dipende naturalmente dal contesto. Nye propone la battuta di un manager
americano: «Quando si è a capo della General Electric, vi sono da sette a
dodici occasioni all´anno in cui bisogna dire: "qui si fa come dico
io". Se lo fai diciotto volte i migliori se ne vanno. Se lo fai soltanto
tre volte, l´azienda cade a pezzi». In questo genere di testi l´italiano più
citato è sempre Machiavelli, che consigliava al principe di preferire il lato
hard del potere, quando proprio non si poteva «accozzare insieme» i due aspetti:
«
è molto più sicuro essere temuto che amato».
Quanto ai leader del centrosinistra dell´ultima stagione, se vogliamo applicare
le categorie di Nye, Prodi aveva uno stile consultivo e morbido con i seguaci,
i quali erano però troppo variopinti e divisi per produrre un risultato efficace.
Avrebbe forse usato, potendo, il bastone (hard), ma non glielo lasciavano fare.
Gli altri, D´Alema (vocazione hard), Veltroni e Rutelli (vocazione soft) hanno
cercato il punto di equilibrio vincente senza trovarlo, se non per brevi
periodi. A favore della funzione dinamica della durezza vi sono varie
testimonianze: spesso i «grandi intimidatori» sono baciati dal successo. A
Silicon Valley assicurano che gli innovatori sono persone «estremamente
sgradevoli» e che Larry Ellison, Steve Jobs e Bill Gates non sono famosi per la
loro gentilezza. Tra i leader politici capacità trasformative ha avuto
indubbiamente Blair, che ha saputo mutare il clima generale nel suo paese, un
leader soft per le sue virtù seduttive (nei confronti dell´opinione pubblica):
capo indiscusso e anche maestro di spin-doctoring, capace di cancellare dalla
scena per un decennio i conservatori. Più consultiva la Merkel (guida una
coalizione), ha cominciato con molta circospezione, risalendo la corrente delle
molte critiche, e poi però si è consolidata, diventando autorevole; dal soft si
è spostata verso il lato duro del potere. Reagan, invece, secondo Nye, ha
seguito gli eventi più che guidarli (soft); Gorbaciov è stato un leader
trasformativo di più non si poteva ma malgré soi, come chi tira un filo per correggere un
difetto del maglione e finisce per disfarlo (lavoro hard, ma involontario). E
Sarkozy? Una carriera da duro indubbiamente: ora in tempi di crisi potrebbe
sbattere contro conflitti insuperabili, l´equilibrio smart si fa più
difficile. Ricoprire una carica di leader, assicura Nye, è come avere una
licenza di pesca, non assicura che porti a casa il pesce.
(
da "Repubblica, La"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 37 - R2 PIETRO DEL RE La ricerca Barack Obama
e Bill Gates nella top ten dei benefattori SEGUE A PAGINA 41
(
da "Repubblica.it"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
PYONGYANG
- La sfida della Corea del Nord alla comunità internazionale non si ferma. Oggi
Pyongyang ha effettuato un nuovo lancio di missile a corto raggio, all'indomani
del lancio di altri due. E ha minacciato una risposta militare alla Corea del
Sud dopo la decisione di Seul di aderire alla Proliferation Security Initiative
(Psi), dichiarandosi di non sentirsi più legata all'armistizio del '53. Intanto
i satelliti spia americani hanno accertato che è ripartito l'impianto nucleare
-2. L'agenzia sudcoreana Yonhap, citando una fonte anonima del governo di
Pyongyang, ha riferito che il lancio del nuovo missile a corto raggio è
avvenuto dalla costa orientale verso il Mar Giallo. Il quotidiano sudcoreano
Chosun Ilbo, citando una fonte anonima del governo di Seul, ha riferito che un
satellite spia statunitense ha rilevato vapore uscire da un impianto nucleare a
Yongbyon, generati dalla struttura di lavorazione del plutonio che si trova a
80 chilometri da Pyongyang. La Corea del Nord aveva già annunciato di aver
riavviato le operazioni di ritrattamento del combustibile atomico a Yongbyon,
in segno di protesta verso la condanna dell'Onu per il lancio del
missile-satellite effettuato il 5 aprile scorso, che secondo i servizi Usa e
sudcoereani era però il test di un nuovo missile nucleare. L'ultimo atto della
sfida al mondo è la dichiarazione di Pyongyang non sertirsi più legata
all'armistizio del 1953, siglato alla fine della guerra di Corea. La notizia è
stata diffusa dalla Kcna, l'agenzia ufficiale del regime. E' la risposta alla
decisione del vicino di aderire all'iniziativa lanciata nel 2003 da George W.
Bush per interdire il trasferimento di tecnologie e armi di distruzione di
massa. Il regime di Kim Jong-il ha diramato una nota per avvertire che
risponderà "immediatamente e con forti misure militari" ad una eventuale
decisione del Sud di fermare e ispezionare navi nordcoreane.
OAS_RICH('Middle'); Finora la reazione della comunità internazionale è stata
ferma ma non sostanziale. Il Tesoro americano, dopo le dure
parole di Obama sulle
"conseguenze" inevitabili delle azioni di Kim, ha reso noto che sono
allo studio nuove sanzioni al Paese, dove già vige un regime di isolamento
assoluto imposto dal regime e la popolazione vive nella totale privazione dei
beni di consumo più comuni. Ma il gruppo di lavoro dell'Onu incaricato
di formulare una nuova risoluzione ha annunciato ieri sera che "occorre
ancora del tempo" per arrivare a un pronunciamento definitivo. (27 maggio
2009
(
da "Repubblica.it"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
LA CRISI
globale non causa soltanto fame e malattie, serve ad alimentare "un barile
di miscela esplosiva composta di disuguaglianza, ingiustizia e
insicurezza". E "la miscela sta per esplodere". È quanto
denuncia il rapporto annuale di Amnesty International, che accusa i governi
mondiali di aver messo mano al portafoglio con tempismo per salvare le banche e
per finanziare pacchetti di stimolo alle economie, ma di non aver fatto
altrettanto per tutelare le fasce più deboli dagli effetti drammatici della recessione.
Ancora una volta l'organizzazione per la salvaguardia dei diritti umani, Nobel
per la pace nel 1977, punta il dito contro i Paesi che compongo il G20, quelli
che hanno le economie più forti e dovrebbero per questo essere di esempio. Quei
Paesi, dice Amnesty ancora una volta, non sono in grado di indicare la
direzione e anzi, pensano più al profitto dei pochi che ai diritti dei molti.
"Vediamo crescere i segnali di scontro e di violenza politica, che si
aggiungono all'insicurezza globale già esistente a causa di quei conflitti
morali che la comunità internazionale non sa o non vuole risolvere",
sostiene la ong. "Negli ultimi due decenni, lo stato ha fatto un passo
indietro rispetto ai propri obblighi in materia di diritti umani (se non li ha
addirittura rinnegati) in favore del mercato - scrive nell'introduzione al
Rapporto annuale 2009 Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International
- nella convinzione che la crescita economica avrebbe imbarcato tutti a
bordo". Per Irene Khan non è ancora possibile, nonostante i dati del 2008
contenuti nel rapporto siano allarmanti, stabilire quale sarà l'impatto
complessivo della dissolutezza di questi ultimi anni, ma "è chiaro che il
costo e le conseguenze della crisi economica gettano un'ombra minacciosa sui
diritti umani". OAS_RICH('Middle'); Meno risorse, meno lavoro, cibo e
acqua potabile scatenano tumulti, proteste, violenze. Amnesty denuncia come in
molti Paesi alle legittime richieste delle fasce più deboli le risposte siano
state la repressione e le incarcerazioni arbitrarie. I governi hanno tagliato
le risorse per le politiche sociali, accrescendo disuguaglianza e insicurezza e
l'aumento della disoccupazione ha reso ancora più drammatica la situazione dei
migranti, accolti da razzismo e xenofobia. "Dietro alla crisi economica si
cela un'esplosiva crisi dei diritti umani" - ha dichiarato Christine
Weise, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International - La
recessione ha aggravato le violazioni dei diritti umani, distolto l'attenzione
da esse e creato nuovi problemi. Prima, i diritti umani erano messi in secondo
piano in nome della sicurezza, ora in nome della crisi economica". Il caso
italiano. Per Amnesty International in Italia i diritti e l'incolumità di
migranti e richiedenti asilo sono a rischio e i Rom sono oggetto di
discriminazione e razzismo. Sebbene il rapporto annuale si riferisca ai dati
del 2008, la scheda sul nostro Paese denuncia i respingimenti di migranti del
mese scorso. "Venendo meno a una politica che le ha viste spendersi per la
salvezza di vite umane nel Mediterraneo - accusa Amnesty - nel 2009 le
istituzioni italiane hanno mancato ai principi fondamentali dei diritti umani
mentre esercitavano le proprie funzioni in mare". Ancora una volta si
punta il dito contro le condizioni delle persone rinchiuse a Lampedusa e si
guarda con preoccupazione alle norme contenute nel pacchetto sicurezza che
"lungi dal rappresentare una pianificazione chiara e comprensibile della
politica sull'immigrazione, hanno un impatto pericoloso sui diritti
umani". In particolare, Amnesty sottolinea come alcune norme, se
approvate, possano "produrre un'allarmante conseguenza sui diritti umani
dei migranti irregolari. Costretti dalla minaccia incombente di una denuncia da
parte di ogni pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, essi
sarebbero indotti a sottrarsi dall'incontro con ogni tipo di istituzione e
ufficio pubblico, tenendosi alla larga da ospedali, scuole, uffici comunali,
con immaginabili conseguenze sul diritto alla salute, all'istruzione per i
figli, alla registrazione dei nuovi nati". Il rapporto annuale 2009
denuncia ancora una volta che a distanza di 20 anni dalla ratifica della
Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura (Cat) in Italia non esiste
uno specifico reato di tortura nel codice penale. Il nostro Paese non ha
meccanismi di prevenzione della tortura e dei maltrattamenti e i pubblici
ufficiali nell'esercizio delle proprie funzioni che si rendono colpevoli di
tali reati vengono perseguiti attraverso figure di reato ordinarie (lesioni,
abuso d'ufficio, falso) e puniti con pene non adeguatamente severe, o non
puniti affatto per la prescrizione. Amnesty fa esplicito riferimento ai fatti
di Genova e alle sentenze relative emesse nel luglio e nel settembre 2008,
sottolineando che proprio la lacuna nel nostro codice penale farà sì che
"è improbabile che i funzionari e gli agenti imputati sconteranno le
condanne, a causa dell'intervento della prescrizione. In questi anni la ricerca
della verità non è stata agevolata dalle istituzioni coinvolte, né nell'ambito
dei processi, né attraverso l'istituzione di strumenti di monitoraggio, quali
una commissione indipendente o di una commissione parlamentare
d'inchiesta". Infine, come già fatto negli ultimi due anni, Amnesty
richiama l'Italia e gli altri Paesi europei a fare luce sul caso delle
rendition illegali, che non sono ancora state condannate pubblicamente. Il
nuovo cammino americano e l'Europa. Amnesty riconosce agli
Stati Uniti di Obama
un'inversione di tendenza rispetto alla politica di Bush, ma si aspetta ancora
molto. Se da un lato nel rapporto 2009 si plaude alla chiusura di Guantanamo e
alla presa di posizione sulla tortura, da Obama ci si aspettano "franchezza e forza" nel chiedere
"il rispetto dei diritti umani a paesi come Israele e Cina, così
come sta facendo verso altri, quali Sudan e Iran". "L'impegno
dell'Unione europea sui diritti umani resta ancora ambiguo - osserva Amnesty -
Determinati su temi come la pena di morte, la libertà d'espressione e la
protezione dei difensori dei diritti umani, gli Stati membri si mostrano meno
intenzionati a rispettare gli obblighi internazionali in materia di tutela dei
rifugiati e di eliminazione di razzismo e discriminazione al proprio interno,
così come ad ammettere le proprie collusioni col programma Cia di consegne
straordinarie di sospetti terroristi". Alcune cifre. Il Rapporto annuale
2009 (pubblicato in Italia da EGA Editore) fornisce una panoramica globale
sulla situazione dei diritti umani nel mondo e contiene capitoli su oltre 150
paesi, oltre a documentare l'azione di Amnesty International nel 2008 per
promuovere il rispetto dei diritti umani e contrastare le violazioni. Il dato
sconcertante è che sulle cifre totali delle varie violazioni di diritti umani,
un'ampia percentuale spetti ai Paesi del G20, quelli che, come si diceva in
apertura, dovrebbero dare il buon esempio. Nel rapporto sono descritte
limitazioni alla libertà di espressione in almeno 81 paesi e la messa a morte
di almeno 2390 prigionieri in 25 paesi. Il 78 per cento delle esecuzioni ha
avuto luogo nei paesi del G20, dove sono state riscontrate anche il 47 per
cento delle esecuzioni extragiudiziali, od omicidi illegali, commessi in oltre
50 paesi. Torture e altre forme di maltrattamento sono state compiute, nel corso
degli interrogatori, in circa 80 paesi, il 79% nei paesi del G20. Processi
iniqui sono stati celebrati in circa 50 paesi, ancora una volta il 47% di essi
nel gruppo dei G20. Altissima la percentuale di prigionieri sottoposti a
periodi di detenzione prolungata, spesso senza accusa né processo, nei Paesi
ricchi, il 74% su 90 totali. Persone che chiedevano asilo politico sono state
respinte da almeno 27 paesi verso stati in cui sono andate incontro ad arresti,
torture e morte; obiettori di coscienza sono finiti in carcere in almeno 50
paesi. Almeno 24 Paesi hanno eseguito sgomberi forzati e deportazioni. Questi i
casi documentati, ma Amnesty mette in guardia che le cifre possono essere molto
più alte. La campagna per la dignità. La presentazione del rapporto annuale
serve anche per lanciare una nuova campagna di mobilitazione dell'opinione
pubblica. Con lo slogan "Io pretendo dignità", Amnesty vuole infatti
chiedere conto a livello nazionale e internazionale delle violazioni dei
diritti umani che conducono alla povertà e la acuiscono. "Oggi noi
pretendiamo dignità per i prigionieri della povertà, affinché possano cambiare
la loro vita" è il progetto che Amnesty, nata quasi 50 anni fa per
chiedere il rilascio dei prigionieri di coscienza. Per ottenere tale dignità la
ong intende chiedere responsabilità a governi, imprese e istituzioni
finanziarie internazionali; l'accesso ai diritti e ai servizi essenziali per la
dignità umana senza discriminazione e la partecipazione attiva delle persone
che vivono in povertà e dei loro rappresentanti alla lotta contro la povertà.
(27 maggio 2009
(
da "Repubblica.it"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
i 10 benefattori
dell'umanità Tra i tanti benefattori che lavorano alacremente per migliorare il
futuro dell'umanità, dieci ci riescono meglio di altri. Sono insegnanti,
medici, ricercatori, filantropi e industriali che sognano un mondo nuovo, più
verde e più compassionevole, e che per realizzarlo si adoperano con
determinazione, sapere e fantasia. Grazie al loro operato, una fetta sempre più
larga di uomini e donne può già beneficiare delle nuove tecnologie e delle
ultime scoperte scientifiche, poiché non basta trovare un farmaco miracoloso,
bisogna anche produrlo e distribuirlo là dove ce n'è più bisogno. La lista di
questi eroi è stata compilata dalla rivista Scientific american: tra loro si
contano soprattutto biologi e fisici, ma anche un politico, il presidente Obama, perché la sua "rivoluzione ecologica" è stata così
immediata ed eclatante che i suoi effetti si potranno misurare "perfino
sulle future generazioni". Uno di loro, il pediatra trentottenne Kristian
Olson, ha appena fabbricato un'incubatrice per neonati con pezzi di automobile,
per far sì che sia possibile ripararla anche nelle regioni più povere.
Un altro, Andras Nagy, biologo del Mount Sinai Hospital di Toronto, è riuscito
a trasformare cellule mature nell'equivalente di cellule staminali, risolvendo
controversie etiche e fornendo alla ricerca uno prezioso materiale a basso
costo. Un terzo, Bryan Willson, professore di Ingegneria alla Colorado State
University, ha disegnato forni ecologici che consentono alle famiglie più
povere dell'India o delle Filippine di cuocere alimenti risparmiando sul
carburante e inquinando l'atmosfera molto meno di una volta.
OAS_RICH('Middle'); Quanto a Shai Agassi, fondatore dell'azienda "Better
place", grazie alle sue batterie al litio, ha già reso le auto elettriche
una realtà. Wafaa El-Sadr, direttrice dell'Infectious Disease Division
all'Harlem Hospital Center, si batte invece da anni per contenere la pandemia
di Aids nell'Africa sub-Sahariana. In quell'angolo sfortunato del pianeta,
questa signora di origini egiziane cerca di impedire che la malattia si
trasmetta dalle madri ai figli e di fornire le terapie anti-virali ad almeno un
paziente su dieci. C'è anche un'altra donna tra i dieci prescelti. E'
l'antropologa Eugenie Scott, che si definisce "la golden retriever di
Charles Darwin", parafrasando Thomas Henry Huxley, il biologo che
nell'Ottocento si fece difensore delle teoria dell'evoluzione e che per questo
motivo divenne "il bulldog di Darwin". Il merito della Scott è stato
di evitare che il darwinismo fosse tolto dal programma delle scuole
statunitensi a favore del cosiddetto "creazionismo", quella
pseudo-scienza che vuole a tutti i costi conciliare biologia, geologia e
religione. Per fronteggiare i disastri provocati dal fumo due giganti hanno
unite le loro forze: il creatore della Microsoft Bill Gates e il sindaco di New
York e magnate Michael Bloomberg. Per finanziare la loro guerra al tabacco
hanno già sborsato 375 milioni di dollari. Soldi che servono a educare i
ragazzi nelle scuole sui danni della sigaretta, ad aiutare chi vuole smettere
di fumare e a stabilire nuove strategie politiche per contenere il flagello.
Barack Obama, infine. Il presidente è stato inserito
tra i dieci facitori di miracoli per aver posto le problematiche legate al
cambio del clima al centro della sua agenda politica e per aver nominato alcuni
scienziati - come il fisico John Holdren e la biologa marina Jane Lubchenco - a
posti chiave della sua amministrazione. Come se non bastasse, lo scorso marzo Obama ha liberato la ricerca sulle cellule staminali e
promosso nuove leggi per proteggere il lavoro degli scienziati. Tutto questo,
poche settimane dopo aver giurato da presidente. (27 maggio 2009
(
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Prima Pagina data: 27/05/2009 - pag: 1 Trattativa Fiat-Opel
Marchionne fiducioso «Ma è una lotteria» di DANILO TAINO E' il giorno delle
grandi decisioni sul destino della Opel. I rappresentanti di Fiat, Magna e
Ripplewood saranno sentiti separatamente dai politici tedeschi, dai delegati dell'americana General Motors (Gm) e dagli inviati
di Barack Obama a Berlino.
Ieri Marchionne dopo oltre un'ora di faccia a faccia con la Merkel ha detto: è
una lotteria, ma sono fiducioso. Intanto è arrivata anche una proposta della
cinese Baic, che ha promesso di non tagliare neppure un posto di lavoro.
A PAGINA 5 de Feo, Polato, Stringa
(
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 27/05/2009 - pag: 5
La trattativa a Detroit Gm al capolinea Il 70% a Obama Sindacati nel board MILANO Comunque vada a finire,
amministrazione controllata o no, ci sarà sempre un po' di vecchia Germania
nella nuova (e ristrutturata) Gm. E si chiamerà cogestione, uno dei pilastri
del modello renano che apre ai lavoratori le porte delle stanze dei bottoni e
del management. Il gruppo di Detroit, infatti, concederà al (creditore)
fondo Veba del sindacato United Auto Workers il 17,5% delle azioni della
società ristrutturata, seguendo la strada già battuta da Chrysler, e 6,5
miliardi di dollari di titoli privilegiati più 2,5 miliardi di dollari in
obbligazioni, per la copertura dei costi sanitari dei dipendenti in pensione;
e, dulcis in fundo, il sindacato potrà nominare un componente del consiglio di
amministrazione del gruppo, secondo quanto annunciato dall'emittente Cnbc. Le
notizie sono arrivate nel bel mezzo della gara a quattro sulla controllata
tedesca Opel, per cui è in corsa Fiat. Ma, soprattutto, a poche ore da quella
che a Detroit è diventata la «deadline» per eccellenza: a mezzanotte (il primo
mattino di oggi in Italia) scade il termine concesso ai creditori per
convertire i propri titoli in azioni. Le adesioni, qualche ora prima della
scadenza dell'offerta, sono scarse, ben lontane dal tetto del 90% fissato dalla
casa americana per il successo dell'operazione: senza la conversione di almeno
24 dei circa 27 miliardi di debito non garantito, ha avvertito Gm, il gruppo
automobilistico sarà costretto a fare ricorso al Chapter 11, una sorta di
amministrazione controllata o fallimento pilotato, con pesanti ricadute
sull'occupazione. I creditori che avrebbero aderito finora allo swap (ritenuto
poco conveniente da alcuni analisti) sarebbero soprattutto investitori retail.
In ogni caso, c'è chi è convinto che anche con il 100% delle adesioni il
Chapter 11 sarebbe inevitabile. Da parte sua la Casa Bianca ha però ribadito
che per Washington è il primo giugno, e non oggi, la scadenza per entrare in
amministrazione controllata: quel giorno verrà a scadere un bond da 1 miliardo
che la casa automobilistica ha dichiarato di non poter onorare. Ma, Chapter 11
o no, non si sono fermati i tavoli a tre (azienda-sindacati-Casa Bianca) per
garantire un futuro, quali che siano le sue dimensioni, all'ex gloria storica
del capitalismo Usa. Si parla di nuovi finanziamenti pubblici. E secondo gli
ultimi accordi sono previste nuove offerte per facilitare i prepensionamenti,
come assegni da 20 mila dollari e buoni acquisto di vetture Gm da 25 mila
dollari. Con esborsi che, singolarmente, potranno anche superare i 100 mila
dollari. Gm, inoltre, dovrebbe entrare in possesso di cinque stabilimenti che
appartengono al fornitore Delphi. E, in caso di amministrazione controllata, si
parla di cessione degli asset buoni a una nuova società controllata dal
governo, che dovrebbe poi uscire dal Chapter 11 entro l'autunno. Per
traghettare Gm dalla crisi alla ripresa il Tesoro potrebbe stanziare, secondo il
New York Times, circa 50 miliardi di dollari, dopo aver già sborsato
dall'inizio dell'anno 19,4 miliardi. Ottenendo in cambio il 70% della nuova Gm.
Giovanni Stringa gstringa@corriere.it
(
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 27/05/2009 - pag: 5 Retroscena La
missione di John Elkann a Berlino, l'appoggio delle banche Così la Fiat negozia
ancora «Pronti, ma non a tutti i costi» MILANO Anche per Chrysler aveva parlato
di «biglietto della lotteria». Un biglietto che poi si era rivelato vincente.
Ma là, Stati Uniti, le regole erano precise. Qui, Germania, se di «lotteria» si
tratta è perché «in campo ci sono tantissime variabili ». E quella industriale
rischia alla fine di non essere la principale. Sergio Marchionne andrà fino in
fondo, la carta che gioca resta l'unico progetto di integrazione strategica sul
tavolo Opel e, probabilmente, nel finale di partita potrà contare sull'appoggio
della task force americana, conquistata proprio con Chrysler e proprio a base
di tecnologia e asset industriali. Il piano Fiat ha però precisi paletti di
sostenibilità economica, per l'una e per l'altra azienda. Marchionne ha già
fatto delle concessioni. Resta flessibile (e infatti rimane a Berlino per il «giro»
finale). Ma molto oltre, soprattutto se in risposta ad altre logiche, non
intende andare. Difficile dire cosa segnasse, ieri sera, il barometro. Certo,
dal faccia a faccia in Cancelleria era uscito con parole di apprezzamento per
Angela Merkel: «Incontro costruttivo», l'ha definito. «Spero», anzi correzione
immediata, e in questo caso non solo in omaggio alla diplomazia «penso che sia
l'economia a pesare più della politica». Marchionne doveva però ancora vedere
il vicepremier Frank-Walter Stenmeier, capofila del forte schieramento sin
dall'inizio apertamente pro-Magna. E fino a oggi, quando il
governo tedesco si incontrerà con la task force di Barack Obama e con i vertici di Gm per una
decisione congiunta, sarà complicato per chiunque scommettere su quale
direzione prenderà il «pendolo Opel». Di sicuro non lo fa lui. Che anzi si
infastidisce, con chi la mette in termini da bookmakers: «Sono fiducioso perché
stiamo facendo un grandissimo lavoro. Ma non stiamo scommettendo:
facciamo del nostro meglio e cerchiamo di portare avanti un progetto. Se sono
qui è per tentare di chiudere seriamente un accordo. Se ci riusciremo bene,
sennò riprendo l'aereo per tornare». E questo è il punto. Al Lingotto non
mancano le cose da fare: Chrysler da rivoltare come avvenne per Fiat cinque
anni fa, l'Italia a sua volta in attesa di un piano industriale, due gruppi pur
sempre da integrare. E sì, Opel sarebbe il completamento del cerchio, quel
«matrimonio perfetto » che è l'obiettivo finale. Non però a qualsiasi costo.
Torino ha già migliorato la propria offerta e tra l'altro, come conferma lo
stesso Marchionne, «abbiamo dato maggiori dettagli sul sistema produttivo
tedesco e abbassato la somma delle garanzie statali: da sette miliardi a sei»
(da restituire in quattro anni, secondo indiscrezioni, contro i cinque di
Magna, che a differenza di Fiat non si accollerebbe il debito pensionistico di
Opel). Ora, però, la «serena e fiduciosa attesa» di cui parlavano ieri sera i
vertici del Lingotto (Marchionne e John Elkann da Berlino, Luca Cordero di
Montezemolo dal-- l'Italia) va di pari passo con la «consapevolezza di quanto
sia complessa una partita in cui si sommano tante posizioni diverse ». E se
questo, oggi, dovesse tradursi in una sorta di asta, Torino potrebbe anche
sfilarsi: «L'aereo» cui accennava il numero uno. Non c'è la minima aria di
resa, però. Anzi. È vero, anche da Roma Giulio Tremonti mette l'accento sul
fatto che «è una partita complicata che si gioca ormai tra i governi: tedesco,
russo, americano» (non cita quello italiano, ma dirà poi che «era implicito»).
Ciò non toglie che, finché rimane aperta, Marchionne continui a predisporre
ogni mossa. Gli advisor Unicredit, Intesa e Goldman Sachs preparano tutte le
operazioni che seguirebbero l'eventuale «sì» a Fiat. Ed è Corrado Passera,
l'amministratore delegato di Intesa, a confermare: «Siamo pronti a dare
supporto finanziario al progetto, ci metteremo il meglio di noi». Gli chiedono:
anche soldi, nuove linee di credito? «Perché, le banche cosa fanno di
mestiere?». Angela Merkel con Theodor zu Guttenberg Raffaella Polato
(
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 27/05/2009 - pag: 5 Il giorno dell'asta
per Opel, gli Usa in campo Quarta offerta della cinese Baic. Marchionne, più di
un'ora dalla Merkel: è una lotteria ma sono fiducioso DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO Il giorno delle grandi decisioni sul destino della Opel, oggi, rischia
di prendere i toni dell'operetta. Nel pomeriggio, i rappresentanti di Fiat,
Magna e Ripplewood le tre entità interessate ad acquisire la casa
automobilistica entreranno nella cancelleria di Berlino, sede di Angela Merkel,
e saranno confinati in tre stanze diverse. Sul modello del confessionale del
Grande Fratello, dovranno rispondere alle domande che verranno loro poste, di
volta in volta, dai diversi interessati alla soluzione del caso: i membri del
governo tedesco che non hanno ancora trovato un accordo, i quattro primi
ministri dei Länder che ospitano fabbriche Opel, i rappresentanti
dell'americana General Motors (Gm), gli inviati di Barack Obama a Berlino. Dovranno spiegare
perché le loro proposte dovrebbero salvarsi dalla Nomination. Poi, alle nove di
sera, una megariunione dei ministri interessati alla vicenda con gli uomini di
Gm (proprietaria di Opel) e la task force di Washington che sta curando il
salvataggio di Gm dovrebbe arrivare a una prima soluzione: individuare
la lepre (o due), cioè chi tra Fiat, Magna e Ripplewood avrà il diritto di
trattare in via privilegiata il salvataggio Opel. Un funzionario del governo,
però, ha detto che anche chi non sarà scelto potrà essere interpellato nelle
prossime settimane. Niente di chiaro. Marchionne ha parlato di una sorta di
«lotteria, nel senso che ci sono tantissime variabili che sono in gioco, quindi
non posso stabilire quali sono le probabilità di successo». Potrebbe anche
essere rinviato tutto. Ieri, tra l'altro, è arrivata una proposta della cinese
Baic per acquisire Opel con la promessa di non tagliare nemmeno un posto di
lavoro. La cancelliera Merkel, dopo settimane che i suoi ministri dicono cose
diverse sul destino Opel, ha affermato che la decisione finale spetterà
comunque alla Gm. L'intervento del governo di Berlino, in effetti, è
giustificato dal fatto che dovrà emettere garanzie per mantenere la Opel
operativa nei prossimi mesi e anni. Ciò nonostante, la battaglia è diventata un
caotico fatto politico tedesco giocato su chi taglia meno posti di lavoro.
Ieri, in attesa di entrare nel confessionale, l'amministratore delegato della
Fiat Sergio Marchionne ha incontrato Frau Merkel, il ministro dell'Economia
Karl-Theodor zu Guttenberg e il ministro degli Esteri e candidato contro la
cancelliera alle elezioni del 27 settembre Frank-Walter Steinmeier: ha detto di
avere «dato maggiori dettagli» sul suo piano. Dopo gli incontri, Guttenberg ha
sostenuto che la proposta Fiat è «seria» ma a 24 ore dal gran finale «non c'è
un favorito». Il presidente dei parlamentari della Spd, Peter Struck, che non
ha partecipato alle trattative, ha invece spiegato che il «piano migliore» è
quello di Magna, in linea con la posizione che il suo partito ha preso
addirittura prima di vedere i piani stessi. Momenti di commedia, se non fosse
che in gioco ci sono migliaia di posti di lavoro. Mentre Marchionne incontrava
Steinmeier, per dire, i potenti sindacati della Opel si scandalizzavano perché
non stava partecipando a un incontro a cui l'avevano invitato, a Rüsselsheim:
«Una provocazione», ha detto il capo del consiglio di fabbrica Klaus Franz.
Stanotte forse si decide, se volete trattenere il fiato. Il vertice
L'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne ieri al suo arrivo alla
cancelleria tedesca per l'offerta su Opel Danilo Taino
(
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 27/05/2009 - pag: 16
Birmania Barack: liberate Suu Kyi subito Il presidente Usa Barack Obama ha chiesto ieri alle autorità
birmane di liberare «subito e senza condizioni» Aung San Suu Kyi. Il premio
Nobel per la pace, sotto processo in carcere, ha negato ieri di aver violato le
regole degli arresti domiciliari, la cui scadenza era prevista per oggi.
(
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 27/05/2009 - pag: 16 Contromossa Seul accelera
l'adesione al Trattato di non-proliferazione atomica Altri tre missili
nordcoreani Gli Usa: «Misure severe» L'Onu si compatta: anche la Cina condanna
l'«alleato» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO Altri tre. Dopo aver fatto
esplodere lunedì un ordigno nucleare nel suo poligono sotterraneo, la Corea del
Nord ha reagito a modo suo alla condanna della comunità internazionale. Altri
tre missili. L'ultimo, a corto raggio, ieri notte, quando a Pyongyang era già
mattina. Gli altri due in giornata. Uno terra-aria, uno anti-navale, gittata
130 chilometri. Con i tre che avevano chiuso la giornata di lunedì, fanno 6 in
due giorni. Al triplo lancio si è unito il fuoco della propaganda: «Il nostro
esercito e il nostro popolo sono pronti a opporsi in battaglia a ogni
sconsiderato tentativo Usa di attacco preventivo ». La comunità internazionale
sembra aver trovato una (almeno apparente) compattezza. La Russia, presidente
di turno del Consiglio di sicurezza dell'Onu, ha annunciato l'elaborazione di
una nuova risoluzione di condanna, alla luce della flagrante violazione della
1718 varata nel 2006 dopo il primo test nucleare nordcoreano. Gli Stati Uniti
parlano di «severe misure» da varare contro Pyongyang. La Cina ammette che il
regime di Kim Jong-il «crea solo problemi», come ha sostenuto sul Global Times
lo specialista Sun Zhe. La Francia chiede sanzioni, il ministro Franco Frattini
le ha evocate, «la Nord Corea ne merita di severe e tutto il mondo le deve
applicare». Il Giappone pretende misure decise, subito
rassicurato da Barack Obama
sulla protezione statunitense. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon,
per ironia della sorte coreano, ha invocato «il ritorno al tavolo del negoziato»,
una posizione analoga a quella espressa dai ministri europei e asiatici riuniti
in Vietnam. I suoi compatrioti di Seul, invece, sono intenzionati ad
accelerare l'adesione alla Psi (l'iniziativa contro la proliferazione atomica),
che consentirebbe alle unità della sua marina di intercettare ogni movimento da
e per la Corea del Nord legato al traffico di tecnologia sensibile. Per
Pyongyang l'eventuale ingresso di Seul nella Psi sarebbe una provocazione. Il
quadro resta opaco. A complicarlo due fattori. Primo: l'interpretazione,
sostenuta con convinzione negli Usa, che sia in corso, se non un passaggio di
consegne, almeno il tentativo da parte di Kim Jong-il di preparare la strada al
figlio Kim Jong-un, almeno assicurandogli la lealtà dei mi-- litari e chiarendo
le posizioni rispetto agli Usa. E secondo il fatto che il 4 giugno comincerà a
Pyongyang il processo alle due giornaliste americane catturate il 17 marzo dai
nordcoreani al confine con la Cina (forse dentro la Cina stessa): rischiano
pesanti condanne, per spionaggio e ingresso illegale nel Paese. Di fatto sono
ostaggi, e intorno a loro tra un test atomico e un missile la partita fra
Pyongyang e Washington è appena cominciata. In tv Sudcoreani osservano le
immagini del lancio di un razzo nordcoreano su uno schermo pubblico Marco Del
Corona
(
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 27/05/2009 - pag: 17 La scelta Nata povera nel
Bronx, ha studiato nelle migliori università. La conferma spetta al Senato
Donna e ispanica: la giurista di Obama Il presidente nomina Sonia Sotomayor, progressista, alla Corte
Suprema DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Per la Corte Suprema degli Stati
Uniti, Barack Obama ha
scelto Sonia Sotomayor, giudice di Corte d'Appello a New York. Alla prima
opportunità di una nomina alla massima magistratura americana, il
presidente ha optato per una decisione storica, indicando la figlia di emigrati
portoricani, cresciuta in una casa popolare del Bronx, ma educata per merito
nelle migliori università del Paese, con una commovente vicenda personale che
per molti versi riecheggia quella dello stesso Obama.
Se fosse confermata dal Senato, come tutto lascia prevedere, Sotomayor, 54
anni, sarebbe la prima ispanoamericana a servire nell' esclusivo collegio
costituzionale. «Una donna capace di ispirare, che credo sarà un grande
giudice», ha detto Obama nel presentarla nella East
Room della Casa Bianca, spiegando di essere arrivato alla scelta «dopo profonda
riflessione e attenta deliberazione». Il presidente ha spiegato che «il rigore
intellettuale, la maestria del diritto e il riconoscimento dei limiti del ruolo
dei giudici» sono le qualità che fanno di Sotomayor la scelta ideale. Non solo
quelle però. «È altrettanto vitale che un giudice conosca come funziona il
mondo e come vive la gente comune», ha aggiunto il presidente, che ha indicato
la storia personale e pubblica del magistrato come motivazioni forti alla base
della sua scelta: «Sonia Sotomayor ha lavorato a ogni livello del sistema
giudiziario, acquistando una profondità di esperienza e un'ampiezza di
prospettiva di valore inestimabile». Obama ha
ricordato i sacrifici di Celina Sotomayor, la madre rimasta vedova molto
giovane, che faceva un doppio lavoro per assicurare l'educazione dei figli:
«Questa famiglia esemplifica il sogno americano: nella Corte, Sonia porterà non
solo le sue conoscenze legali, ma la saggezza accumulata dalla vita». «Il mio
cuore è gonfio di gratitudine», ha detto Sotomayor in un breve discorso di
ringraziamento, descrivendo la propria selezione come «l' onore della mia vita
che più ispira un senso di umiltà». Nell'annunciare la nomina, Barack Obama ha auspicato che il processo di conferma sia
completato entro il 7 agosto, data d'inizio della pausa estiva per il Senato,
in modo che il nuovo giudice possa prendere il suo posto già all'inizio
d'ottobre. Se confermata, Sotomayor sostituirebbe il giudice David Souter,
ritiratosi dopo 19 anni nonostante la nomina sia a vita. Scelto da George Bush
padre e considerato all'inizio un conservatore, Souter si era in realtà quasi
sempre schierato con l'ala liberal della Corte Suprema: l'arrivo di Sotomayor,
che sarebbe la terza donna nella Storia a farne parte, non dovrebbe quindi
alterare gli equilibri attuali del collegio dei nove. Nonostante i democratici
dispongano in Senato di 59 voti e potrebbero presto arrivare (con la fine della
lunga contesa in Minnesota) ai 60 necessari per bloccare ogni tentativo di
filibustering (ostruzionismo, ndr) repubblicano, la conferma di Sotomayor
potrebbe registrare qualche momento polemico. I gruppi della destra
conservatrice sono infatti già mobilitati contro di lei, considerata paladina
di una visione troppo attivista del ruolo del giudice: «Pensa che i giudici
debbano dettare la politica e che il sesso, la razza o l'etnia debbano
influenzare le decisioni della Corte», ha commentato Wendy Long, del Judicial
Confirmation Network. Ma Obama sembra aver fatto bene
i suoi calcoli. Anche perché, nominando la prima ispano-americana, si è
probabilmente assicurato il consenso futuro della più vasta e crescente
minoranza etnica del Paese. La destra I gruppi della destra conservatrice sono
già mobilitati contro di lei Nomina Sonia Sotomayor sorride tra gli applausi di
Obama (Ap/ Brandon) Paolo Valentino
(
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Tempo Libero data: 27/05/2009 - pag: 19 SOLIDARIETÀ Il jazz
che fa bene I due più noti «enfant prodige» del jazz italiano, il sassofonista Francesco Cafiso (esibizione alla cerimonia di
insediamento del presidente Obama), e il pianista Dino Rubino (miglior talento emergente al
concorso Urbani), si esibiscono domani alle 20.30 al Teatro San Domenico di
Crema, piazza Trento e Trieste, per un evento di sensibilizzazione sulla Sla,
malattia di cui si ignorano le cause. Al termine cocktail e vendita di
abiti firmati. Conduce la serata Edoardo Raspelli. (ingr. 30 euro, per il
centro Nemo di Niguarda. (Marta Ghezzi)
(
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Lettere data: 27/05/2009 - pag: 8 Caro amico ti scrivo di
Goffredo Buccini Se a mezzogiorno va la «minironda della Garbatella» Caro
Buccini, sento spesso parlare di ronde di volontari che, con mia sorpresa,
vengono da molti avversate. Nel quartiere in cui abito (Garbatella), ma penso
anche altrove, la notte si è continuamente svegliati dal suono degli antifurto
delle auto e la mattina si vedono i marciapiedi coperti dai vetri dei
parabrezza infranti, i muri appena ripuliti sono di nuovo imbrattati da
«writers», dappertutto bottiglie ed escrementi lasciati dagli ubriachi, etc...
Io, nel mio piccolo, sono da sempre una «minironda» diurna, che segnala a chi
di dovere i casi di rischio e di illegalità nei quali mi imbatto (purtroppo
spesso inutilmente). Cordiali saluti. Mario Minissi Caro Minissi, la faccenda
delle ronde è tema quotidiano della parte nazionale del giornale. Tuttavia mi
sembra che lei ponga una questione nominalistica che ha la sua importanza e che
merita perciò un approfondimento. Vede, le parole hanno un peso, non sono
indifferenti. Tra nero e negro, per dire, passa la distanza che in America è
stata compiuta partendo da Rosa Parks, la signora che rifiutò di alzarsi in
autobus per far posto a un bianco, e arrivando al
presidente Obama. C'è,
nella differenza tra quelle due parole, la storia dei diritti civili americani.
Lei, mi perdoni, rischia di farsi suggestionare dal martellamento di questi
mesi. Ciò che fa alla Garbatella e, presumo, anche girando per il resto dei
quartieri di Roma quando capita, non è un'attività di ronda: è sano e normale
civismo. Vede un reato, chiama i vigili o i carabinieri. Tutt'altra
faccenda è infilarsi una pettorina e andarsene in giro di notte in quella che
mi continua a sembrare una pericolosa deriva d'un vecchio film di successo:
«Amici miei». gbuccini@rcs.it
(
da "Corriere della Sera"
del 27-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Tempo Libero data: 27/05/2009 - pag: 10
CENTRO STUDI AMERICANI Gli Usa di Obama e l'Italia di Silvio Che cosa accomuna e che cosa rende diverse
l'America di Obama e
l'Italia di Berlusconi? Alle 17 nel Centro Studi Americani, via Caetani 32, si
presenta «Stati uniti? Italia e Usa a confronto» (Rubbettino) di Joseph La
Palombara e Luigi Tivelli. Ne parlano Giuliano Amato, Maurizio Lupi,
Roberto Napoletano, Sergio Vento. Modera Maurizio Caprara.