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Report "Obama"  23-24 maggio 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

Obama consegna il diploma al figlio di McCain ( da "Stampa, La" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ad Annapolis Obama consegna il diploma al figlio di McCain Barack Obama ieri ha consegnato i diplomi ai cadetti della famosa Accademia Annapolis del Maryland, tra i quali John Sidney McCain IV, figlio dell'ex-candidato repubblicano alla Casa Bianca. Il ragazzo, abbracciato calorosamente dal presidente alla cerimonia (foto),

Due detenuti da Guantanamo in Italia ( da "Stampa, La" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: con cui il presidente americano Barack Obama - dopo avere rilanciato l'allarme per la minaccia di nuovi attacchi di Al Qaeda, condiviso da Frattini - ha indicato il percorso attraverso il quale arrivare alla chiusura di Guantanamo. Il carcere, ha detto il presidente, sarà chiuso entro l'anno e il governo «non rimetterà in libertà nessuno che possa minacciare la sicurezza nazionale»

"L'offerta Magna in pole position" Germania spaccata ( da "Stampa, La" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama si starebbe preparando a guidare il colosso dell'auto verso la bancarotta. Lo dice il Washington Post secondo cui la casa automobilistica potrebbe ricevere un ulteriore prestito federale di circa 30 miliardi di dollari dal Tesoro. Nonostante le smentite provenienti da fonti di mercato, ad avvalorare l'ipotesi di un Chapter 11 è la bocciatura da parte degli obbligazionisti di

Il gioco delle pipeline dietro la guerra a Kabul ( da "Stampa, La" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: una nuova megabase per le truppe di Obama. Il rivale di Tapi è l'Ipi - Iran-Pakistan-India -, il corridoio osteggiato dagli americani che mal digeriscono l'idea che India e Pakistan importino gas dal «malvagio» Iran. Teoricamente la costruzione del Tapi inizerà nel 2010 e il gas comincerà a scorrere a partire dal 2015.

"Stop alle ideologie e largo ai giovani" ( da "Stampa, La" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: a una specie di "green revolution", simile a quella di Obama». Intanto, però, il tessile sta agonizzando... «Certo, perché l'economia locale è stata protetta per anni in un mondo globalizzato, non ha saputo investire sul futuro e ora non riesce più a reggere sul mercato». Morale? «Bisogna puntare sulla ricerca, sullo sviluppo.

beirut, la sfida di biden a hezbollah - alberto stabile ( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dice candidamente il vice di Obama, Joe Biden, appena arrivato in una Beirut immersa nell´atmosfera paranoica e incandescente dello scontro elettorale. Ma poi lascia cadere dall´alto un avvertimento chiarissimo: «Gli Stati Uniti valuteranno la forma del loro programma di aiuti (al Libano) sulla base della composizione del nuovo governo e delle politiche proposte»

guantanamo, obama all'italia "accogliete due detenuti" - vincenzo nigro ( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama all´Italia "Accogliete due detenuti" Berlusconi andrà alla Casa Bianca il 15 giugno Sono tunisini, Frattini ne discuterà venerdì col ministro della Giustizia Usa VINCENZO NIGRO ROMA - Silvio Berlusconi non credeva potesse essere così difficile: per incontrare Barack Obama il presidente del Consiglio italiano ha dovuto aspettare 5 lunghi mesi,

l'ultima parola sarà della casa bianca ( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama L´ultima parola sarà della Casa Bianca Gli americani aspettano un pronunciamento della Merkel. Gm crolla in Borsa TORINO - A giorni la decisione. Arriverà da Berlino o da Detroit con la benedizione di Washington? In questo week end si capirà, anche se è ragionevole ipotizzare che sui governatori e i borgomastri teutonici prevarrà la parola di un signore chiamato Fritz Henderson,

gm sudamerica, peugeot o bmw il lingotto studia il "piano b" - salvatore tropea ( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: orologio alla sera del 30 aprile quando Obama gli consegnò ufficialmente la Chrysler. Chi saranno questa volta i suoi interlocutori? Cominciamo dall´Europa dove, sinora, gli altri grandi dell´auto si sono limitati a stare alla finestra. Con i francesi di Psa, con i quali Fiat ha da oltre vent´anni una collaborazione nel campo dei veicoli commerciali,

allarme oms: "prepariamoci al peggio" e obama stanzia un miliardo di dollari - elena dusi ( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Prepariamoci al peggio" e Obama stanzia un miliardo di dollari Margaret Chan: speriamo nel vaccino entro fine giugno Il dossier Allerta per i paesi poveri, ieri primo caso nella Repubblica del Congo ELENA DUSI ROMA - Il virus della nuova influenza è «furbo e subdolo» avverte la direttrice dell´Organizzazione mondiale della sanità.

mirafiori, la opel e il modello renano - salvatore tropea ( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: auto quel futuro sostenibile tratteggiato di recente da Barack Obama per il salvataggio di Chrysler e Gm. Naturalmente in una prospettiva concreta di difesa del tessuto occupazionale. In fondo l´operazione Mirafiori, per dire il progetto realizzato quattro anni fa di concerto tra la Fiat e le istituzioni locali, rappresenta un precedente interessante.

negli stati uniti la prima rabbina afro-americana ( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: un cugino della first lady Michelle Obama. Ma donne rabbino di colore, ancora non se n´erano viste. In realtà era solo questione di tempo: "riformati" e "conservatori" sono ormai la maggioranza degli ebrei d´America (il cui totale oscilla, a seconda delle stime, tra i 5 e i 6 milioni), e gli ebrei afro-americani sono diverse decine di migliaia.

usa, un sindaco di colore nel feudo del ku klux klan - arturo zampaglione ( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama. Il Mississippi, tra i più poveri degli Stati americani, è anche quello in cui le cariche elettive sono ricoperte in proporzione dal maggior numero di neri: ma raramente sono espressi da un elettorato bianco. A Philadelphia i bianchi sono il 56 per cento rispetto al 40 per cento di neri: ciò non ha impedito a Young di battere martedì il suo avversario nelle primarie democratiche,

Olimpiadi 2016, effetto Obama per Chicago ( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: i temi e le suggestioni che fecero la fortuna di Obama '08, la campagna presidenziale perfetta: speranza, rispetto, tolleranza e dialogo. La strategia sta già pagando dividendi altissimi: «Senza Obama, Chicago non avrebbe avuto alcuna chance di vincere. Ma la sua elezione e il suo coinvolgimento fanno pendere la bilancia fortemente in favore della candidatura americana »

Comitato ( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: consigliere di Obama, guida l'offensiva diplomatica per Chicago 2016. Del gruppo non-profit che gestisce la candidatura, fanno parte molti fedelissimi di Barack Obama. Presidente è Pat Ryan; tesoriere John Rogers; membri del gruppo sono Penny Pritzker (foto), l'ereditiera che è stata la mente finanziaria della campagna elettorale,

Così il made in Italy ritesse i rapporti ( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama. La Fiat di Marchionne non ha questo tipo di problemi: non era legata alla vecchia amministrazione e non ha avuto finora necessità di creare rapporti privilegiati con gli uomini di Obama o i «congressmen». A Marchionne è bastato convincere gli esperti della «task force» della Casa Bianca con la validità del suo piano industriale per Chrysler e il suo modo di comportarsi ed

E Barack stringe la mano al figlio di McCain ( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Accademia E Barack stringe la mano al figlio di McCain Il presidente statunitense Barack Obama (al centro) saluta i diplomati all'Accademia Navale di Annapolis, al termine della cerimonia di consegna dei diplomi. Qui a fianco, Obama stringe la mano a John McCain IV, figlio del suo ex rivale alle presidenziali, il senatore repubblicano dell'Arizona John McCain (Epa/Matthew Cavanaugh)

Il nuovo colosso automobilistico ( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Corriere della Sera sezione: Esteri data: 23/05/2009 - pag: 17 Business e politica Il nuovo colosso automobilistico Il 30 aprile scorso viene firmato l'accordo tra Fiat e Chrysler. Lo annuncia il presidente Obama. Al Lingotto va il 20% e il 51% dal 2013

Frattini: sì in un quadro europeo ( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: sì in un quadro europeo Verso un incontro Obama-Berlusconi prima del G8 ROMA A oltre sei mesi dall'elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti e quattro mesi dopo il suo insediamento, la prima visita di Silvio Berlusconi a Barack Obama si fa più vicina. La data al momento più quotata per l'appuntamento alla Casa Bianca è lunedì 15 giugno,

Il governo Usa: satelliti vecchi, Gps al collasso ( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il vento della nuova amministrazione Obama comincia soffiare anche sul fronte dello spazio militare dopo le revisioni di vari programmi aeronautici usciti dai bilanci. Ma in questo caso c'è la preoccupazione per il rischio portato a vari sistemi legati ai Gps, dall'impiego dei missili alla posizione delle nostre automobili.

Aig cambia ancora , lascia anche Liddy ( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: avrebbe dovuto fronteggiare l'insofferenza del nuovo governo di Obama e gli insulti di molti parlamentari. Fino all'assurdo del «processo» pubblico in diretta televisiva da parte di un Congresso che lo ha criminalizzato per la scelta di rispettare impegni e contratti assicurativi sottoscritti da Aig prima del suo arrivo.

Via libera alla riforma ( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: pag: 35 Carte di credito Via libera alla riforma Il presidente degli Usa, Barack Obama ( foto), ha firmato la nuova legge sulle carte di credito. La riforma «farà una grande differenza per i consumatori» ha affermato Obama, aggiungendo che non intende graziare «chi ha utilizzato le carte di credito in modo irresponsabile».

COMMISSIONI MILITARI USA PERCHÉ OBAMA LE CONSERVA ( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 41 Risponde Sergio Romano COMMISSIONI MILITARI USA PERCHÉ OBAMA LE CONSERVA Ho letto la sua risposta al lettore che le chiedeva se e quando l'operato di George W. Bush sarà rivalutato. Io penso che la rivalutazione dell'ex presidente Usa sia già nei fatti. L'attuale presidente Obama ha confermato i tribunali speciali militari per i carcerati di Guantanamo.

Taxi to the Dark Side ( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Vicenda reale di un taxista prigioniero senza prove del sadismo yankee che parte da un reportage del New York Times. Di questi inferni i papaveri della Casa Bianca dicevano di non saper nulla, che se c'erano dormivano: a Obama il compito della Verità Nuovo Orchidea

Un sindaco afro-americano nel paese di ( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ispirandosi al presidente Barack Obama, il neoeletto sostiene di aver portato in città «la bomba atomica del cambiamento », del si può fare anche in una regione come questa. Si rallegrano della svolta ribattezzato «Mississippi Turning » anche coloro che sono stanchi di essere ricordati solo per quello che avvenne nel luglio 1964.

Ho messo in rete il mio Dna Solo così saremo in grado di capire le nostre differenze ( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: WATSON Proprio come Barack Obama, io stesso sono un prodotto di Chicagosud, essendo cresciuto in due camere e cucina del quartiere di South Shore, dove i libri, gli uccelli e Franklin Delano Roosevelt ci permettevano di guardare con fiducia al futuro. Da mio padre e da mia madre ereditai i quattro valori familiari di base: la ricerca della conoscenza,

fiat rilancia su opel, offerta migliorata - paolo griseri ( da "Repubblica, La" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama: sarà più forte Magna corre ai ripari in Westfalia e tratta sui tagli allo stabilimento di Bochum Il ministro Guttenberg: il Lingotto pronto a una quota più alta nel capitale PAOLO GRISERI TORINO - A turbare la navigazione di Magna verso la Opel ci pensa il ministro tedesco dell´Economia, zu Guttenberg,

il cavaliere non è più né felice né contento - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ha capito fin dall´inizio questa situazione ed ha infatti patrocinato l´ingresso di Fiat in Chrysler; anche i sindacati e i creditori di Chrysler hanno capito ed hanno accettato i necessari sacrifici. Ora tocca al governo e ai sindacati tedeschi e alla General Motor decidere.

I PERDENTI CHE VIVONO DI SCONFITTE ( da "Stampa, La" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e il risparmio energetico voluto da Obama lo attesta: ogni auto nuova deve avere un motore capace di fare 35,5 miglia per ogni gallone (57,1 chilometri con 3,8 litri). Un mutamento che può incoraggiare la reinvenzione dell'industria ma che sarà costoso per tutti: consumatori, imprese, operai, politici bisognosi di popolarità.

Il primo nero alla direzione ( da "Stampa, La" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: La nomina, fatta dal presidente Obama, dovrà essere confermata dal Senato, ma ha già riscosso il gradimento dei dipendenti dell'agenzia spaziale. Bolden, il secondo astronauta a diventare amministratore Nasa, sarà affiancato da Lori Garver, consigliere per lo spazio di Obama.

Obama a Cuba "Confronto sugli immigrati" ( da "Stampa, La" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama a Cuba "Confronto sugli immigrati" [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Barack Obama chiede al regime cubano di riprendere i colloqui sull'immigrazione legale e rilancia il dialogo, iniziato con le timide aperture del vertice delle Americhe lo scorso aprile a Trinidad ma subito rientrato dopo la decisione americana di mantenere Cuba nella lista dei Paesi sponsor del terrorismo.

Franco Frattini ( da "Stampa, La" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il nuovo prestito è stato accordato dal governo di Obama per far fronte alle crescenti esigenze di liquidità prima della scadenza del primo giugno per la bancarotta controllata prevista dal Chapter 11. La soluzione in tribunale appare ormai quasi certa anche nel caso in cui il 100% dei creditori aderisse all'offerta di conversione del debito entro la scadenza del 27 maggio.

emiliano show nella tana di simeone - giuliano foschini ( da "Repubblica, La" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Per fortuna non è come la mamma di Fitto») per poi concludere citando Obama e ricordando che la sua amministrazione, «sarà sempre quella della gente». «Il direzionale e la metropolitana del San Paolo - ha detto - sono due gioielli: molte signore del centro, prima, si lamentavano che le cameriere arrivassero in ritardo.

Tremonti-Prodi: sigari, chiacchiere e anti-mercatismo ( da "Corriere della Sera" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: non cita Barack Obama, bensì Benito Mussolini. O meglio, l'economista Pasquale Saraceno che gli riferisce un colloquio tra Alberto Beneduce, fondatore dell'Iri, e il Duce: Mussolini, cosa dobbiamo fare? La risposta è stata: fate qualcosa per le imprese. E Tremonti corregge sorridendo: per le banche.

L'America di Obama in pressing su Gm guarda al modello Fiat ( da "Corriere della Sera" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: America di Obama in pressing su Gm guarda al modello Fiat DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Un po' c'entra lo stile dell'uomo. I tedeschi sono abituati al «mettiamoci attorno a un tavolo e troviamo una soluzione tutti insieme». Un interlocutore come Sergio Marchionne che si sforza di essere diplomatico, ma nei cui occhi leggi un «levatevi di torno e vi faccio vedere io come si fa»

( da "Corriere della Sera" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Sui siti dei giornali italiani spesso le notizie più cliccate sono quelle di gossip. Negli Stati Uniti è diverso? «Mentre Barack Obama annunciava lo smantellamento di Guantanamo, sui siti americani la notizia più cliccata riguardava la donna che aveva avuto due gemelli concepiti da due padri diversi». Dino Messina

Obama nomina il primo nero a capo della Nasa ( da "Corriere della Sera" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 24/05/2009 - pag: 13 Stati Uniti /1 Obama nomina il primo nero a capo della Nasa La Casa Bianca ha annunciato ieri la nomina dell'afro-americano Charles Bolden, 62 anni, come nuovo responsabile della Nasa. Ex generale dei marine, veterano del Vietnam e dello spazio, ha partecipato a quattro missioni della navetta shuttle.>

Il rilancio del ministro di Obama ( da "Corriere della Sera" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: atomo Il rilancio del ministro di Obama «Con l'Italia nel nuovo nucleare» Il sottosegretario Chu rinnova l'asse energetico con Roma ROMA - Asse Italia-Usa non solo sulle auto ma anche sul fronte dell'energia pulita, carbone e nucleare. Il sottosegretario americano per l'Energia e premio Nobel Steven Chu (di origine cinese ma nato a S.

Taxi to the dark side ( da "Corriere della Sera" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Vicenda reale di un taxista prigioniero senza prove del sadismo yankee che parte da un reportage del New York Times. Di questi inferni i papaveri della Casa Bianca dicevano di non saper nulla, che se c'erano dormivano: a Obama il compito della Verità Nuovo Orchidea>

nucleare, l'italia si allea con gli usa - antonio cianciullo ( da "Repubblica, La" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama gli ha dato l´incarico più pesante: rimettere gli Stati Uniti in corsa sulle nuove energie investendo 150 miliardi di dollari in 10 anni. E lui ha già cominciato a spiegare quello che si può fare. Ieri pomeriggio ha annunciato, assieme al ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola, una cooperazione tra Italia e Stati Uniti per il sequestro dell´

Il Cavaliere non è più felice né contento ( da "Repubblica.it" del 24-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ha capito fin dall'inizio questa situazione ed ha infatti patrocinato l'ingresso di Fiat in Chrysler; anche i sindacati e i creditori di Chrysler hanno capito ed hanno accettato i necessari sacrifici. Ora tocca al governo e ai sindacati tedeschi e alla General Motor decidere.


Articoli

Obama consegna il diploma al figlio di McCain (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Ad Annapolis Obama consegna il diploma al figlio di McCain Barack Obama ieri ha consegnato i diplomi ai cadetti della famosa Accademia Annapolis del Maryland, tra i quali John Sidney McCain IV, figlio dell'ex-candidato repubblicano alla Casa Bianca. Il ragazzo, abbracciato calorosamente dal presidente alla cerimonia (foto), è il quarto McCain a diplomarsi ad Annapolis: il primo era stato il bisnonno. Obama ha promesso ai cadetti che non manderà mai nessun militare Usa in guerra «se non assolutamente necessario».

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Due detenuti da Guantanamo in Italia (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

In breve MA IL LORO STATUS GIURIDICO È ANCORA TUTTO DA DEFINIRE Si tratta di prigionieri indagati dalla procura di Milano nel 2007 per legami con Al Qaeda Due detenuti da Guantanamo in Italia Dopo le elezioni India, Singh giura come primo ministro Il primo ministro Manmohan Singh ha avviato ieri il suo secondo mandato alla guida del governo indiano giurando a New Delhi fedeltà alla Costituzione nelle mani della presidente Pratibha Patil, insieme a un gruppo di 19 ministri. Singh, un economista di 76 anni, è considerato uno degli artefici della vittoria del partito del Congresso nelle recenti legislative, insieme a Sonia Gandhi e al figlio Rahul. Lo dice Hezbollah «Israele progetta di uccidere Nasrallah» Il movimento sciita libanese Hezbollah crede che Israele stia pianificando l'uccisione del suo segretario generale, Hasan Nasrallah. Lo ha affermato l'esponente del Partito di Dio, Nawaf al-Mussawi, secondo il quale della congiura fanno parte «molti Paesi complici», inclusi alcuni Stati arabi». Quasi tutti civili Mogadiscio, 45 morti nella controffensiva Una strage ieri a Mogadiscio: almeno 45 morti e oltre 128 feriti, in maggioranza civili. E' il bilancio, senza precedenti per una sola giornata di scontri, della battaglia innescata dal contrattacco lanciato all'alba dalle truppe governative somale contro i ribelli islamici che da una decina di giorni controllano quasi tutta la capitale. Una donna di 66 anni Prima eutanasia nello Stato di Washington Una donna di 66 anni è la prima persona a morire nello Stato di Washington, nel nordovest degli Stati Uniti, usufruendo della legge sul suicidio assistito approvata lo scorso anno. Quello di Washington è uno dei soli due Stati degli Usa (l'altro è l'Oregon), a permettere ai medici di prescrivere farmaci letali. La donna si chiamava Linda Fleming e aveva un cancro al pancreas in fase terminale. [FIRMA]EMANUELE NOVAZIO ROMA Gli Stati Uniti hanno chiesto all'Italia di accogliere due dei 240 detenuti di Guantanamo: Moez Fezzani e Riadh Nasri, due tunisini indagati nel 2007 dalla Procura di Milano perché ritenuti punti di riferimento all'estero di una cellula italiana di Al Qaeda. Roma non ha ancora dato il proprio consenso: ma il ministro degli Esteri Franco Frattini, ieri sera, ha dichiarato che si tratta di una richiesta «da considerare anzitutto con spirito positivo». Anche se, ha precisato il ministro, bisognerà valutare «i singoli casi, che non conosciamo, sulla base di un quadro europeo», perché in Europa «c'è un regime di libera circolazione Schengen e quindi non possiamo prendere una persona e imprigionarla. Ci dev'essere una regola che permette agli altri 26 Paesi di condividere i principi». Frattini discuterà il caso venerdì prossimo con il ministro della Giustizia americano Eric Holder. Washington non ha commentato ufficialmente la notizia, filtrata in serata («non discutiamo i contatti diplomatici su questo tema», si è limitato a dire un portavoce del Pentagono). Ma «l'assistenza della comunità internazionale è vitale per permettere di chiudere il carcere», ha precisato più tardi il portavoce del ministero della Giustizia, sottolineando che gli Usa continuano a «lavorare in stretto contatto coi partner per ottenere questo obiettivo». Secondo fonti diplomatiche, i due tunisini sarebbero stati individuati durante la missione del ministro della Giustizia Alfano a Washington, il mese scorso, come gli unici detenuti del super carcere che potrebbero essere estradati nel nostro Paese. Ma nel recente passato non sono mancate le polemiche, all'interno del centro destra: il presidente della Camera Gianfranco Fini aveva assicurato, ricevendo la speaker del Congresso Nancy Pelosi lo scorso febbraio, che la chiusura di Guantanamo non avrebbe «alcuna conseguenza sull'Italia». Il ministro degli Interni Roberto Maroni era stato netto: «Non li voglio, gli Usa sono grandi e possono spostarli altrove», aveva reagito alla disponibilità manifestata da Silvio Berlusconi. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa si era invece detto «disponibile in linea di principio». Lo stesso Frattini, intervenendo nel dibattito interno al governo, aveva però precisato di «non immaginare la detenzione in Italia» per i prigionieri di Guantanamo, «persone non processate nè processabili, perché sarebbe contrario alla nostra Costituzione». Le persone che eventualmente potrebbero essere ospitate non sarebbero «rinchiuse in galera, ma custodite e protette, perché nei Paesi d'origine rischierebbero la tortura o la condanna a morte». La notizia della richiesta americana arriva all'indomani del discorso con cui il presidente americano Barack Obama - dopo avere rilanciato l'allarme per la minaccia di nuovi attacchi di Al Qaeda, condiviso da Frattini - ha indicato il percorso attraverso il quale arrivare alla chiusura di Guantanamo. Il carcere, ha detto il presidente, sarà chiuso entro l'anno e il governo «non rimetterà in libertà nessuno che possa minacciare la sicurezza nazionale». La soluzione, concordano Frattini e Maroni, dev'essere europea: in una recente riunione dei 27 è stato convenuto di affidare al Coreper - composto dai rappresentanti dei Paesi Ue a Bruxelles - il compito di definire un sistema di scambio delle informazioni sui detenuti di Guantanamo che Washington vorrebbe fossero accolti dall'Europa. Le posizioni, per ora, divergono: solo la Gran Bretagna ne ha accolto qualcuno, Portogallo e Lituania hanno deciso in senso positivo. Ieri il Belgio si è detto disponibile. Francia e Germania sembrano orientate al sì.

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"L'offerta Magna in pole position" Germania spaccata (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Il Washington Post Retroscena I politici si dividono IL FRONTE DEL NO IL FRONTE DEL SÌ "L'offerta Magna in pole position" Germania spaccata «General Motors più vicina alla bancarotta» ALESSANDRO ALVIANI Sul tavolo 700 milioni di euro, in parte garantiti dal governo tedesco, ma "Nessuno resta escluso" Il Nord-Reno Vestfalia contro la cordata di Wolf «I tagli sono tutti qui» Il governatore della regione che ospita la sede «Avanti con i canadesi» BERLINO Sarà anche vero che non è stata presa ancora nessuna decisione, come assicura il ministro tedesco dell'Economia Karl-Theodor zu Guttenberg, eppure nella corsa al controllo di Opel gli equilibri sembrano spostarsi sempre più a favore di Magna. Il fornitore austro-canadese è in testa nelle preferenze del governo federale e dei Länder, hanno riferito ieri i governatori regionali di Assia, Turingia e Renania-Palatinato al termine di un vertice convocato dall'esecutivo tedesco a Berlino. Magna e il suo partner russo Sberbank Rossii hanno fatto un'offerta di 700 milioni di euro, l'investimento sarebbe in parte garantito dal governo tedesco. La proprietà Opel sarebbe così ripartita: 35% General Motors, 35% Sberbank, 20% Magna e 10% i dipendenti della casa di Ruesselsheim. Sostegno trasversale In Germania Magna incassa un sostegno trasversale: la sua offerta è «al momento quella più interessante», ha chiarito il cristiano-democratico Roland Koch, governatore dell'Assia, il Land che ospita il quartier generale e il maggior numero di dipendenti di Opel; le trattative vanno portate avanti con tutti, ma «ponendo l'accento su Magna», gli ha fatto eco il socialdemocratico Kurt Beck, capo del governo della Renania-Palatinato. A riassumere la posizione di Berlino è stato il vicecancelliere e ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier: tutti e tre i potenziali investitori che hanno inviato una manifestazione di interesse per Opel - Magna, Fiat e il fondo Usa Ripplewood - sono ancora in corsa, ma bisogna concentrarsi sugli austro-canadesi. La loro è un'offerta «molto solida», ha aggiunto Steinmeier. Per la stampa tedesca anche General Motors, attuale proprietario di Opel, propenderebbe per Magna, così come i rappresentanti dei lavoratori in Germania. Paura a Kaiserslautern Il fronte pro-Magna, comunque, è tutt'altro che compatto. Il governatore del Nordreno-Vestfalia, Jürgen Rüttgers, ha infatti annunciato il suo no. Si tratta di un'offerta «inaccettabile» in quanto prevede troppi tagli nello stabilimento di Bochum, ha tuonato Rüttgers. E in effetti, stando a quanto riferito da Beck, quello di Bochum sarebbe l'impianto più colpito nel caso di un successo di Magna nella corsa ad Opel. Su circa 2.500 esuberi previsti in Germania dal fornitore austro-canadese 2.200 riguarderebbero soltanto lo stabilimento del Nordreno-Vestfalia, che ne uscirebbe quasi dimezzato. A Kaiserslautern - la fabbrica della Renania-Palatinato considerata più a rischio nel caso di un matrimonio tra Fiat ed Opel - ci sarebbero 280 tagli; gli impianti di Rüsselsheim ed Eisenach non verrebbero quasi toccati. Ruettgers, comunque, non ha chiuso tutte le porte. Anzi. Quello di Magna, ha puntualizzato, è un «buon piano», ma è necessario equilibrare meglio gli oneri. Ora, insomma, si tratta di sedersi a un tavolo per risolvere quelle che Steinmeier ha definito «questioni ancora aperte». E farlo presto. La decisione a giorni Già la prossima settimana dovrebbe arrivare una decisione di massima sull'acquisizione di Opel, ha affermato il ministro dell'Economia zu Guttenberg. I tempi, del resto, si fanno ogni giorno più stretti. General Motors rischia di dover dichiarare insolvenza entro fine mese. E il governo tedesco punta a far chiarezza prima di quel giorno, pur sapendo che alla fine sarà Gm a scegliere il nome del compratore delle sue attività in Europa. Il governo: tagli necessari Ieri a Berlino è arrivato anche il numero uno di Magna, Siegfried Wolf, per illustrare i piani del consorzio guidato dalla sua società. L'obiettivo di Magna, ha spiegato, è conquistare il 20% di Opel; il 35% andrebbe a due partner russi, il costruttore automobilistico Gaz e l'istituto Sberbank; il 10% dovrebbe finire nelle mani dei dipendenti del marchio tedesco, mentre a Gm resterebbe il 35%. Il consorzio vuole investire dai 500 ai 700 milioni nella nuova Opel, ha aggiunto Wolf. Intanto Fiat in una nota ha puntualizzato che la notizia di 18.000 esuberi programmati nel caso di un'alleanza con Opel è «totalmente falsa». «In realtà il piano Fiat prevede che la riduzione degli organici, distribuita in tutta Europa e in maniera progressiva nel tempo, sarà complessivamente inferiore a 10.000». Da Berlino zu Guttenberg ha già messo le mani avanti: indipendentemente dall'investitore che sarà scelto, ci saranno non pochi posti di lavoro a rischio in tutta Europa. Sembra sempre più vicino l'approdo al tribunale fallimentare per General Motors. A una settimana dalla scadenza per la consegna dei piani di ristrutturazione societaria, l'amministrazione di Barack Obama si starebbe preparando a guidare il colosso dell'auto verso la bancarotta. Lo dice il Washington Post secondo cui la casa automobilistica potrebbe ricevere un ulteriore prestito federale di circa 30 miliardi di dollari dal Tesoro. Nonostante le smentite provenienti da fonti di mercato, ad avvalorare l'ipotesi di un Chapter 11 è la bocciatura da parte degli obbligazionisti di Gm della proposta di conversione del debito in azioni per il 10% del capitale della società ristrutturata. Lo swap necessita del via libera del 90% dei creditori, le cui istanze sono sostenute da alcuni deputati repubblicani, per procedere alla ristrutturazione fuori dai tribunali. Intanto Detroit, dopo l'accordo con Uaw, raggiunge l'intesa col sindacato canadese sul taglio dei costi e il congelamento sino al 2015 dei benefit pensionistici. «L'accordo è stato possibile grazie a un coinvolgimento dei governi canadesi e statunitensi senza precedenti», spiega il presidente del Canadian Auto Workers, Ken Lewenza.

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Il gioco delle pipeline dietro la guerra a Kabul (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Analisi La Guerra Liquida dall'Iran al Pacifico Il gioco delle pipeline dietro la guerra a Kabul Le strategie per tener fuori dai flussi energetici Mosca e Pechino PEPE ESCOBAR Nel Grande Gioco, sempre mutevole, dell'Eurasia, una domanda fondamentale - perché l'Afghanistan conta tanto? - negli Stati Uniti è semplicemente ignorata. Forse l'idea che l'energia e l'Afghanistan possano avere qualcosa in comune è «verboten», proibita. Eppure, statene certi, nulla di significativo avviene nell'Eurasia senza un'implicazione energetica. Nel caso dell'Afghanistan occorre poi ricordare che il Centro e il Sud dell'Asia sono stati considerati dagli strateghi americani luoghi cruciali sui quali piantare la bandiera; e una volta crollata l'Unione Sovietica, il controllo delle ex repubbliche ricche di energia è subito stato visto come essenziale per il futuro della potenza globale americana. Sarebbe stato lì che le basi militari Usa avrebbe intersecato gas e oleodotti, mettendo Russia e Cina sulla difensiva. Pensate l'Afghanistan, allora, come un trascurato intreccio secondario dell'attuale Guerra Liquida che si combatte nel Pipelinestan, l'immenso campo della battaglia energetica che va dall'Iran all'Oceano Pacifico. Dopo tutto, uno degli obiettivi della politica estera americana sin dall'era Nixon nei primi Anni 70 è stato quello di dividere Russia e Cina. La leadership della Sco - la Shanghai Cooperative Organization, la risposta asiatica alla Nato - si è concentrata su questo punto da quando il congresso americano votò la legge della Strategia della Via della Seta, e proprio cinque giorni prima di iniziare i bombardamenti sulla Serbia, nel marzo 1999. Quella legge identificava chiaramente gli interessi geostrategici americani dal Mar Nero alla Cina occidentale con la costruzione di un mosaico di protettorati americani nell'Asia centrale e la militarizzazione del corridoio energetico eurasiatico. L'Afghanistan si trova all'incrocio di qualunque Via della Seta che colleghi il Caucaso con la Cina occidentale e quattro potenze nucleari (Cina, Russia, Pakistan, India) stanno in agguato nelle vicinanze. «Perdere» l'Afghanistan e la sua rete di basi militari Usa sarebbe, dal punto di vista del Pentagono, un disastro, anche perché il Paese è molto più delle montagne dell'Hindu Kush e degli immensi deserti: si ritiene sia ricco di giacimenti inesplorati di gas naturale, petrolio, carbone, rame, cromo, talco, barite, zolfo, piombo, zinco e minerali di ferro, oltre a pietre preziose e semipreziose. C'è poi qualcosa di altamente tossico da aggiungere a questa miscela già letale: i cartelli globali dell'eroina che impazzano in Afghanistan e lavorano solo in dollari Usa. Per la Sco, la massima minaccia alla sicurezza in Afghanistan non sono i taleban ma il business della droga. Lo zar dell'anti-droga russa, Viktor Ivanov, ha fatto sapere che l'eroina afghana uccide ogni anno 30 mila russi, il doppio dei morti per la jihad afghana antisovietica Anni 90. Poi, ovviamente, ci sono quei corridoi energetici che, se mai verranno costruiti, escluderanno o includeranno Iran e Russia. Nell'aprile 2008 Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India hanno firmato un accordo per costruire un gasdotto da 7,6 miliardi di dollari - acronimo Tapi - che fornirà il gas dal Turkmenistan a Pakistan e India senza coinvolgere Iran e Russia. Tapi taglierebbe il cuore dell'Afghanistan occidentale, a Herat, e punterebbe a Sud attraverso le popolosissime province di Nimruz e Helmand, dove tra taleban, guerriglieri pashtun e rapinatori assortiti si raggiunge un numero che supera di gran lunga le forze Usa e Nato. E dove - sorpresa! - gli Usa stanno costruendo, a Saht-e-Margo («Il deserto della morte»), una nuova megabase per le truppe di Obama. Il rivale di Tapi è l'Ipi - Iran-Pakistan-India -, il corridoio osteggiato dagli americani che mal digeriscono l'idea che India e Pakistan importino gas dal «malvagio» Iran. Teoricamente la costruzione del Tapi inizerà nel 2010 e il gas comincerà a scorrere a partire dal 2015. Il presidente afghano Hamid Karzai - che a stento, e con l'aiuto delle forze internazionali, riesce a garantire la sicurezza del centro di Kabul - l'anno scorso ha assicurato che libererà il Paese dalle mine antiuomo sparse lungo il percorso di Tapi e in qualche modo si sbarazzerà anche dei taleban. Caso mai ci fossero investitori tanto deliranti da pompare i loro denari in un gasdotto di questo genere, l'Afghanistan raccoglierebbe solo 160 milioni di dollari all'anno di pedaggi, una bagatella, anche se rappresenta una bella fetta delle attuali entrate annue di Karzai. La storia del Tapi incomincia a metà degli Anni 90, l'era Clinton, quando la compagnia petrolifera Unocal - con base in California - ebbe l'idea di una pipeline che girasse intorno all'Iran e alla Russia. Unocal parlò con il presidente del Turkmenistan, poi con i taleban e così fece una classica mossa da Nuovo Grande Gioco, indispensabile per capire l'Afghanistan che Obama ha ereditato. L'accordo non andò in porto perché i taleban chiedevano eccessivi diritti di transito e Washington si infuriò. Al G8 di Genova del 2001, diplomatici occidentali lasciarono intendere che l'amministrazione Bush intendeva far cadere i taleban entro la fine dell'anno (diplomatici pakistani a Islamabad più tardi mi confermarono la notizia). Tra i primi frutti dell'invasione afghana 2001 ci fu la firma, da parte di Karzai, del pakistano Musharraf e del turkmeno Nyazov, di un impegno a costruire la Tap, una pipeline dal Centro al Sud dell'Asia con il timbro Usa. Il presidente russo Putin non reagì fino al settembre 2006, quando Gazprom fece un accordo con Nyaziv che era un calcio in faccia agli Stati Uniti. Cinque anni più tardi, con l'Afghanistan in un caos mortale, Tap sembrava morto. Ma questa è la bellezza del Pipelinestan: come zombie, accordi morti ritornano in vita e così il gioco continua. Copyright Pepe Escobar

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"Stop alle ideologie e largo ai giovani" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Intervista Nicolò Sapellani ISPIRATI DA GRILLO RIVOLUZIONE VERDE "Niente autostrada, meglio Internet gratis a tutti" GIUSEPPE BUFFA "Stop alle ideologie e largo ai giovani" «La politica ha deluso molti Ora servono programmi più a misura di cittadino» «No agli inceneritori e sì alle energie rinnovabili e ai negozi del riciclo» BIELLA Nicolò Sapellani è nato a Biella il 16 agosto 1983. Dopo la laurea di primo livello in Scienze politiche, sta prendendo quella specialistica, e intanto collabora ad alcune testate come giornalista pubblicista. Appassionato di snowboard, s'è cimentato anche con lo skate, ma ora ha smesso perché dice di non avere più l'età. In passato ha fatto molto sport, anche a livello agonistico: nuoto, basket, rugby e scherma. Il suo libro preferito è un classico russo, «Il maestro e Margherita», di Michail Bulgakov. Come film vota un altro classico: «Easy Rider», di Dennis Hopper. Ama molto il repertorio di Fabrizio De Andrè, soprattutto «La canzone di Marinella». Luogo del cuore: «La montagna, in particolare Bardonecchia e il Sestriere». Sogno nel cassetto: «Diventare un giornalista».Il suo slogan è: «Vuoi fare qualcosa per i giovani? Votali». E Nicolò Sapellani, dottore in Scienze politiche, coi suoi 25 anni è giovane davvero: la mascotte fra i candidati sindaci, capo della lista «Biella a cinque stelle». Un po' grillina e un po' civica «pura». E, soprattutto, con un'età media veramente bassa. Come vi siete messi insieme? «Ci siamo trovati con altri ragazzi con cui avevamo fondato un'associazione sportiva, per promuovere lo skate-park del Villaggio La Marmora. Poi il gruppo s'è sciolto, ma è rimasta la voglia di pensare a idee nuove per Biella. E così è nata la lista». Le formazioni «a cinque stelle» sono quelle che si ispirano a Grillo, giusto? «Sicuramente condividiamo alcune interpretazioni di Beppe Grillo: il degrado della nostra classe dirigente, l'idea che i cittadini tornino a interessarsi della cosa pubblica senza essere legati a interessi personali. Grillo dice tante cose, a volte ci azzecca e a volte no. Ma su quelle che ho citato siamo d'accordo». Alcuni grillini biellesi, però, hanno contestato la vostra lista, dicendo che non eravate «certificati», che non garantivate «trasparenza»... «Hanno detto che il simbolo è registrato, ma non mi risulta. E quanto alla certificazione, non c'è una scadenza precisa per farla. Evidentemente, all'associazione di volontariato che ci accusa non basta la mia dichiarazione sul fatto che siamo tutti incensurati e tutti apartitici. Comunque faremo questa certificazione, così almeno dimostreremo anche ai più increduli che siamo persone perbene». Ma lei è di destra o di sinistra? «Io ho smesso di crederci. Mi sembra una classificazione un po' vecchia, e che comunque, a livello locale, non ha alcun senso. Per noi contano solo i programmi». E che cosa dicono i programmi? «Che bisogna rivalutare il territorio, perché un circondario vivo rende più vivace anche la città. Biella dovrebbe diventare un "angolo di paradiso" per chi fugge dalle metropoli, e per questo sarebbe utile anche investire sulle fonti rinnovabili (soprattutto il fotovoltaico) e sul recupero dei rifiuti. Pensiamo, insomma, a una specie di "green revolution", simile a quella di Obama». Intanto, però, il tessile sta agonizzando... «Certo, perché l'economia locale è stata protetta per anni in un mondo globalizzato, non ha saputo investire sul futuro e ora non riesce più a reggere sul mercato». Morale? «Bisogna puntare sulla ricerca, sullo sviluppo. E' più utile Internet che l'autostrada, ad esempio per il telelavoro. Una delle nostre proposte è quella di concedere a tutti un collegamento gratuito al Web, per eliminare code e burocrazia. Non ci vogliono molti soldi per fornire una connessione a spese del Comune». Di sicuro siete contrari agli inceneritori. «Non bisogna più bruciare rifiuti. Producono polveri sottili (Pm10) che uccidono. Solo in Italia, le vittime vanno dalle 8 mila (secondo gli studi più ottimistici) alle 35 mila. Noi con l'immondizia vogliamo produrre soldi, non veleno. Siamo quindi per l'opzione "rifiuti zero" e pensiamo ai "negozi del riciclo", dove portare bottiglie di plastica, vetro e altro. Più roba si riesce a riusare, meglio è per tutti». La vostra sembra la più «civica» delle liste, perché non avete avuto frequentazioni partitiche. Come spiega questa allergia generale alla politica? «Ai nostri banchetti, più della metà delle persone diceva: basta, della politica non ne possiamo più. La classe dirigente è fumosa, da una parte come dall'altra. E le persone hanno voglia di applicare programmi più vicini ai cittadini che ad altri tipi di interessi». Se si andasse al ballottaggio, come vi schierereste? «Come dicevo prima, non ci interessa il colore, ma il programma. Il Pd, in teoria, appoggia molte delle iniziative in cui crediamo anche noi, ma è pure favorevole agli inceneritori. Barazzotto, nel suo programma, punta molto sulle energie rinnovabili, ma in questi 5 anni ha fatto ben poco in tal senso. Gentile, invece, sposa il telelavoro, ma sembra più interessato all'autostrada. Entrambi si contraddicono, insomma. Perciò è molto difficile scegliere fra una parte e l'altra. Al limite, ci si tura il naso...». Beh, magari diventa sindaco lei... «Non sono così illuso. Noi puntiamo decisamente più in basso. Per la nostra lista sarebbe già una vittoria riuscire a far passare qualche punto del programma. Ed avere un consigliere comunale che faccia da controllore, soprattutto sulla trasparenza della spesa pubblica. Bisogna poter chiarire ai cittadini come il Comune spende ogni euro, anche perché i bilanci non sono di facile lettura, nemmeno per i consiglieri comunali». Perché la gente dovrebbe votare «Biella a 5 stelle»? «Perché abbiamo idee di buonsenso, che possono creare benessere. E poi perché siamo giovani, e non ancorati a ideologie del passato. Ci proponiamo come il nuovo, e in effetti, nella nostra lista, solo 8 candidati sono sopra i 40 anni. Gli altri 21 sono sotto i trenta».

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beirut, la sfida di biden a hezbollah - alberto stabile (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri Beirut, la sfida di Biden a Hezbollah Aiuti al Libano solo dopo le elezioni. Il capo degli sciiti: "è un´ingerenza" Il Partito di Dio potrebbe strappare il governo alla coalizione sunnita e filo occidentale ALBERTO STABILE dal nostro corrispondente GERUSALEMME - «Non sono venuto a sostenere alcun partito», dice candidamente il vice di Obama, Joe Biden, appena arrivato in una Beirut immersa nell´atmosfera paranoica e incandescente dello scontro elettorale. Ma poi lascia cadere dall´alto un avvertimento chiarissimo: «Gli Stati Uniti valuteranno la forma del loro programma di aiuti (al Libano) sulla base della composizione del nuovo governo e delle politiche proposte». Il che ha spinto gli Hezbollah a denunciare la visita del vicepresidente americano come una «aperta ingerenza» negli affari libanesi. Per gli amanti delle statistiche, pare che un così alto esponente dell´amministrazione non mettesse piede in Libano da più di 25 anni. Ma non occorre spulciare negli annali per cercare la prova del rinnovato interesse americano verso il Libano e, in generale, verso questa parte del mondo. Il viaggio di Biden, infatti, segue, ad appena un mese di distanza, la visita del Segretario di Stato, Hillary Clinton. Ma adesso mancano soltanto due settimane alle elezioni del 7 Giugno. Anche se la campagna elettorale non ha finora riservato colpi di teatro, né drammatici, né spettacolari, s´avverte l´importanza della posta in gioco. Riuscirà l´Hezbollah, emanazione della gerarchia sciita iraniana e, di conseguenza, alleato della Siria, grande nemico d´Israele e, di conseguenza, avverso agli Stati Uniti, riuscirà il partito di Dio con i suoi alleati a vincere le elezioni e a strappare la maggioranza dei seggi alla coalizione antisiriana e filo americana, che in questi quattro anni, dall´uccisione di Rafik Hariri (14 Febbraio 2005) in poi ha cercato, tra mille difficoltà, di governare il paese? Ora, che un´eventuale vittoria dello schieramento cosiddetto dell´8 Marzo capeggiato dagli Hezbollah, con un alleato di scorta come il Generale Michele Aoun, rappresenti per l´amministrazione americana un´ipotesi malaugurata, traspare dalle stesse parole di Biden: «Esorto coloro che pensano di stare accanto ai distruttori della pace a non perdere l´occasione di allontanarsi», ha detto. Anche se Obama ha deciso di tendere la mano del dialogo all´Iran e di verificare concretamente la possibilità di concludere il lungo periodo di gelo con la Siria, la scelta, per quanto riguarda il Libano è di sostenere la sovranità della piccola repubblica libanese anche con adeguati aiuti militari. Biden ha così scelto di incontrare interlocutori istituzionali: il presidente Suleiman, un presidente «di consenso», eletto con l´accordo di tutti ma del quale gli Hezbollah cominciano a diffidare; il premier Sinora, che, anche se dovesse vincere l´attuale maggioranza, la coalizione del 14 Marzo, guidata dal figlio di Rafik Hariri, Saad, non sarà più della partita; il presidente del parlamento, l´inossidabile Nabi Berry. Ai quali ha promesso l´appoggio americano ad un Libano «indipendente e sovrano». Un Libano che tuttavia sembra dominato da agende diverse e contrastanti. Ieri, per citare l´ultimo caso, gli Hezbollah hanno denunciato le prossime manovre israeliane del cosiddetto Fronte interno (le manovre civili in caso di guerra) come la prova che Israele voglia uccidere il loro leader Hassan Nasrallah, ed in vista dell´eliminazione di Nasrallah, si prepari a fronteggiare la reazione che inevitabilmente seguirà al delitto. Sinora ha detto, invece, di aver ricevuto assicurazioni dalle forze di pace dislocate nel sud del Libano (Unifil) che le manovre israeliane sono a scopo difensivo.

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guantanamo, obama all'italia "accogliete due detenuti" - vincenzo nigro (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 16 - Esteri Guantanamo, Obama all´Italia "Accogliete due detenuti" Berlusconi andrà alla Casa Bianca il 15 giugno Sono tunisini, Frattini ne discuterà venerdì col ministro della Giustizia Usa VINCENZO NIGRO ROMA - Silvio Berlusconi non credeva potesse essere così difficile: per incontrare Barack Obama il presidente del Consiglio italiano ha dovuto aspettare 5 lunghi mesi, un faticoso Purgatorio in cui ha fatto di tutto per richiamare l´attenzione del presidente americano che aveva definito «bello, giovane e abbronzato». Le porte della Casa Bianca si apriranno al premier italiano soltanto il 15 o il 16 di giugno, dopo mesi di insistenze per rompere il freddo con cui l´amministrazione democratica aveva reagito ai segnali negativi arrivati da Roma. «Stiamo negoziando i dettagli finali, ma il vertice bilaterale dovrebbe esserci il 15 giugno», dice una fonte della diplomazia italiana. Ultimo dopo Brown, Merkel, Sarkozy e dopo molti altri leader, Berlusconi paga lo scotto innanzitutto di aver difeso la guerra di Putin in Georgia nel 2008, affermando tra l´altro che «la Russia è stata provocata dagli Usa con l´idea di allargare la Nato all´Ucraina, con lo scudo antimissile in Polonia, con il sostegno alla Georgia». Ancora, durante la campagna elettorale americana, il premier aveva appoggiato - scherzando, ma lo aveva fatto - la candidatura del repubblicano John McCain. Segnali a cui prima il "transition team" di Obama e poi gli uomini in carica della nuova amministrazione avevano reagito in maniera semplice: facendo scendere Berlusconi in fondo alla lista d´attesa per il un vertice bilaterale. A riavvicinare i due governi ha lavorato anche il ministro degli Esteri Frattini, che ha incontrato due volte la Clinton e ha aperto con gli Usa molti dossier di interesse comune. L´ultimo tema è quello dei detenuti di Guantanamo che l´Italia potrebbe accettare come segno di sostegno politico all´amministrazione democratica. Frattini ha deciso di studiare e curare personalmente la pratica sin dall´inizio: da buon Consigliere di Stato ha affrontato innanzitutto gli aspetti legali di una decisione del genere. Una volta liberi i detenuti di Guantanamo non avranno nessun capo di imputazione che possa esser fatto valere in un tribunale italiano. E gli Usa non possono rimandarli nei paesi d´origine, dove verrebbero castigati sommariamente per il solo fatto di essere stati associati al nome di Al Qaeda. Ieri Frattini ha confermato che sta valutando «positivamente» la possibilità di accoglierne in Italia qualcuno. I nomi che girano sono quelli di due tunisini: Moez Fezzani e Riadh Nasri, indagati nel 2007 dalla procura di Milano perchè considerati punti di riferimento all´estero di una cellula italiana del "Gruppo di combattimento salafita". Formalmente i nomi non sono stati ancora fatti all´Italia: Frattini venerdì incontrerà a Roma il ministro della Giustizia Usa Eric Holkder jr. L´"attorney general" è un giovane avvocato che ha già conosciuto sia il ministro degli Esteri che quello della Giustizia Angelino Alfano. Il buon rapporto personale che ne è nato potrebbe aiutare a chiudere il dossier Guantanamo, aiutando ad aprire le porte della Casa Bianca per Silvio Berlusconi.

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l'ultima parola sarà della casa bianca (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 2 - Economia La decisione finale spetta al numero uno di General Motors che dovrà avere il via libera da Obama L´ultima parola sarà della Casa Bianca Gli americani aspettano un pronunciamento della Merkel. Gm crolla in Borsa TORINO - A giorni la decisione. Arriverà da Berlino o da Detroit con la benedizione di Washington? In questo week end si capirà, anche se è ragionevole ipotizzare che sui governatori e i borgomastri teutonici prevarrà la parola di un signore chiamato Fritz Henderson, presidente della Gm. Il quale a sua volta dovrà rendere conto a un altro signore chiamato Barack Obama che entro il 31 maggio aspetta dall´ex colosso di Detroit un piano per accordargli il prestito della sopravvivenza. Il capitolo della Opel e dei suoi pretendenti di casa a Torino e a Vienna è tutto qui. Ad accendere dunque la luce verde sarà la Casa Bianca che, secondo quanto scrive il Washington Post, si sta preparando a guidare la Gm (che ieri ha perso il 23% in Borsa) verso la bancarotta pilotata già alla fine della settimana prossima. Nella speranza, sia della casa automobilistica sia dell´amministrazione Obama, che i tempi del Chapter 11 possano essere rapidi come per la Chrysler la quale a giorni si appresta a chiudere il capitolo del fallimento e ad avviare nei fatti la collaborazione con il Lingotto. Secondo i piani del Tesoro americano Gm potrebbe ricevere altri 30 miliardi di dollari in prestito oltre i 15,4 già incassati per potersi rimettere in rotta. Fonti americane vicine al dossier assicurano che il processo attraverso il quale maturerà la scelta su Opel dovrà essere concordato tra la Gm e il governo tedesco, senza che nessuno dei due abbia il potere di imporsi sull´altro. E´ dunque una decisione comune quella che dirà se la Opel passerà sotto l´ombrello Fiat, Magna o Ripplewood. Ciò fa ritenere che Detroit e Berlino saranno costrette a trovare una linea comune. Al momento le posizioni sono distanti e il superamento degli ostacoli sarà possibile soltanto dopo che l´esecutivo di Angela Merkel avrà analizzato le offerte. Cosa che ieri sera non aveva ancora fatto. A questo punto il prestito-ponte che Berlino, con l´aiuto delle banche, potrebbe mettere a disposizione della Opel allo scopo di garantire la continuità produttiva nelle fabbriche, diventa un fattore decisivo. Posando sul tavolo una somma che, secondo quanto si è appreso sinora, sarebbe tra i 5 e i 7 miliardi di euro, Berlino contribuirebbe ad allentare la pressione finanziaria sulla casa madre e con questo acquisirebbe un peso nella scelta finale che diversamente non avrebbe. Sull´altra sponda dell´Atlantico però vogliono essere sicuri che questo finanziamento-ponte ci sia realmente e che non si tratti di un escamotage temporaneo oltre il quale i vertici di Gm si troverebbero ancora sul groppone una Opel di cui da tempo si è capito che farebbero volentieri a meno. Proprio per questo ancora ieri sera nessuno, tra Washington e Detroit, si è sbilanciato a favore di Magna piuttosto che di Fiat. «Aspettiamo che sia Angela Merkel a fare la prima mossa, poi diremo se a nostro parere va o meno nella direzione giusta» ha fatto sapere un negoziatore di parte Gm. Lasciando intendere in ogni caso che una parola definitiva sulla partita Opel dovrà essere pronunciata prima che la casa madre possa entrare nel processo del fallimento pilotato. Ovvero entro la fine di maggio. (p.g., s.t.)

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gm sudamerica, peugeot o bmw il lingotto studia il "piano b" - salvatore tropea (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 3 - Economia Gm Sudamerica, Peugeot o Bmw il Lingotto studia il "piano B" L´alternativa di un nuovo alleato per recuperare due milioni di auto Torino è numero uno in Brasile ma cerca più spazio in Venezuela e Argentina Destinata a diventare più stretta la collaborazione con gli indiani di Tata SALVATORE TROPEA TORINO - E se la scelta cadrà su Magna? Il Lingotto non ha mai accantonato questo scenario. Anche nei momenti in cui la strada verso Berlino sembrava più agevole, il team di Sergio Marchionne ha continuato a lavorare a un piano B, che è stato sempre ufficialmente negato, per raggiungere la soglia della sicurezza dei 6 milioni di auto prodotte all´anno. E chiaro che senza la conquista della Opel verrebbero a mancare poco meno di 2 milioni di vetture. In questo caso, come farà la Fiat a colmare il vuoto? Marchionne rimarrà nella Vecchia Europa oppure riprenderà la strada che porta in Asia? O ancora penserà di rimediare conquistando la ricca provincia di Gm Latino America? «L´Asia è un posto complicato che richiede tempi lunghi» ha sempre ammesso l´ad del Lingotto, facendo capire che sui tempi brevi, quelli necessari per sopravvivere alla grande crisi, era preferibile la solidità dei mercati occidentali e la comunanza di cultura con le aziende che operano in questi. Una propensione più che naturale per un manager italo-canadese. Un fatto è certo: se fallisce il colpo tedesco Marchionne deve pensare a una exit strategy riportando l´orologio alla sera del 30 aprile quando Obama gli consegnò ufficialmente la Chrysler. Chi saranno questa volta i suoi interlocutori? Cominciamo dall´Europa dove, sinora, gli altri grandi dell´auto si sono limitati a stare alla finestra. Con i francesi di Psa, con i quali Fiat ha da oltre vent´anni una collaborazione nel campo dei veicoli commerciali, i contatti non sono stati mai interrotti. Ma è noto che con gli orgogliosi «cugini» d´Oltralpe, oltre al problema del ponte di comando in bilico tra Torino e Parigi, si riproporrebbe l´ostacolo della sovrapposizione di modelli. E già questo, come si sta constatando in Germania, allarma non poco il fronte sindacale e politico. Paradossalmente un´altra strada potrebbe portare la Fiat nel cuore della Baviera, ovvero in casa Bmw, che Marchionne ha già frequentato quando ancora la prospettiva americana non sembrava a portata di mano. Se il Lingotto dovesse riannodare il filo con la prestigiosa casa tedesca, sicuramente non avrebbe problemi di sovrapposizione di modelli, potendo integrare la gamma dei prodotti senza eccessivi rischi per l´occupazione. Semmai qualche conflitto potrebbe insorgere al momento dello sbarco in America di Alfa Romeo previsto dall´accordo con Chrysler. L´altra rotta di Marchionne potrebbe portare in Asia dove un accordo, più corposo di quelli già esistenti, con il gruppo che fa capo a Ratan Tata, potrebbe in tempi non lunghi creare la massa critica necessaria al Lingotto. Già oggi Tata siede nel consiglio della Fiat e con lui è noto che Marchionne riesce a intendersi meglio di quanto non avvenga, ad esempio, con i cinesi. Proprio ieri, comunque, il Lingotto ha chiuso un accordo con il gruppo Guangzhou per creare un nuovo stabilimento. Resta in ogni caso l´incognita circa gli effetti della crisi sui mercati asiatici e dunque la difficoltà a prevedere quale sarà in futuro il trend di quei mercati. Un´uscita di Fiat dalla scena della Opel non comporta automaticamente l´interruzione del dialogo che ancora in questi giorni è in corso a Detroit per la conquista di Gm Latino America, provincia ricca che la casa madre ha sempre cercato di tenere ben distinta dalla vicenda tedesca. Oggi la Fiat è il numero uno sul mercato brasiliano, il più interessante del Cono Sud, contendendo il primato alla Volkswagen. A livello continentale, ovvero dal Venezuela all´Argentina, a fare la parte del leone è però la Gm. Se la Fiat vincesse il round sudamericano, e sempre tenendo conto di Chrysler, potrebbe avvicinarsi alla soglia dei 6 milioni o comunque assicurarsi le premesse per farlo.

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allarme oms: "prepariamoci al peggio" e obama stanzia un miliardo di dollari - elena dusi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 7 - Cronaca Allarme Oms: "Prepariamoci al peggio" e Obama stanzia un miliardo di dollari Margaret Chan: speriamo nel vaccino entro fine giugno Il dossier Allerta per i paesi poveri, ieri primo caso nella Repubblica del Congo ELENA DUSI ROMA - Il virus della nuova influenza è «furbo e subdolo» avverte la direttrice dell´Organizzazione mondiale della sanità. «Non avverte prima del suo arrivo, non segnala la sua presenza, riesce a mutare in modo inaspettato» spiega Margaret Chan. Per questo l´Oms si mantiene pronta a innalzare il livello del rischio pandemia da 5 (l´attuale) fino a 6 (il più alto, equivalente a una pandemia conclamata). L´agenzia che ha sede a Ginevra annuncia che la produzione del vaccino potrebbe iniziare alla fine di giugno, mentre il Dipartimento per la salute americano ieri ha previsto lo stanziamento di un miliardo di dollari per confinare i contagi, produrre un vaccino e testarlo sulla popolazione. Gli Usa, con 6.552 casi, sono il paese maggiormente colpito dal virus in termini di contagi, anche se registrano 9 vittime contro le 75 del Messico. A preoccupare l´Oms, tuttavia, sono le aree del mondo più povere. «Nei paesi in via di sviluppo - ha detto la Chan - la popolazione è più vulnerabile e ci aspettiamo un numero di casi maggiore rispetto ai paesi già colpiti finora». Finora le diagnosi sono avvenute nei laboratori più avanzati del mondo. «Ma nelle aree povere ci aspettiamo un buco nero nei controlli» avverte la direttrice dell´Oms. E a conferma delle sue parole, ieri è arrivata la notizia del primo caso africano di contagio dal virus H1N1. Si tratta di un minatore della provincia del Katanga, nella Repubblica democratica del Congo. Altri malati sono stati registrati in Russia (un uomo da poco tornato da New York, non è grave) e in Spagna, dove 11 cadetti di una scuola militare di Hoyo de Manzanares, nel centro del paese, sono stati messi in quarantena con i sintomi della nuova influenza. Le autorità sanitarie guardano con attenzione anche ai paesi dell´emisfero australe, dove con l´arrivo dell´inverno il virus dell´influenza stagionale si mescolerà a quello della febbre suina. Ma se è vero che H1N1 ha raggiunto una diffusione mondiale, e l´Oms avrebbe tecnicamente ragione a innalzare il livello di allerta fino a 6, le autorità esitano a prendere una misura così drastica, che non aggiungerebbe nulla alle misure di prevenzione ma spaventerebbe la popolazione. «La decisione di dichiarare il grado massimo di allerta è una responsabilità che non prendiamo sotto gamba» ha detto la Chan nel corso dell´assemblea annuale dell´agenzia a Ginevra. Anche perché la nuova influenza si è dimostrata piuttosto lieve, con 86 decessi su 11.168 contagi in 42 paesi (l´influenza aviaria era letale in circa il 50% dei casi). «Nel decidere il grado di allerta non dobbiamo guardare solo alla diffusione geografica del virus - sostiene Keiji Fukuda, numero due dell´Oms - ma anche alla gravità delle malattia, che per ora non appare alta, per non correre il rischio di scatenare un panico ingiustificato».

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mirafiori, la opel e il modello renano - salvatore tropea (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina XIII - Torino Mirafiori, la Opel e il modello renano SALVATORE TROPEA Consegnata a un passato che appare preistoria, l´epoca dei grandi comizi di piazza è del tutto ignota ai giovani delle ultime generazioni: del resto, se riproposta, risulterebbe anacronistica. Il "viaggio" tra la gente delle piazze, dei mercati, dei locali, delle fabbriche, che era stato inaugurato con qualche successo nella breve stagione della società civile, anche questo è stato gettato alle ortiche. Sopravvivono solo quei lunari, soporiferi, bizzarri dibattiti nelle tivù locali che l´augusta autorità del telecomando cancella in una frazione di secondo senza che rimanga traccia. Eppure gli argomenti per rimediare a tanto disinteresse non mancano. Tanto per non andare lontano e non finire nel generico c´è il caso Fiat che, visto da Torino, non è roba da poco e neppure qualcosa di cui si debbano preoccupare solo i lavoratori americani e canadesi della Chrysler o quelli tedeschi della Opel. E´ un argomento servito in casa e che non si esaurirà con le operazioni di ingegneria industriale e societaria alle quali si sta dedicando Sergio Marchionne. Né l´ad del Lingotto sembra pretendere questa esclusiva. Anzi tra una missione e l´altra, da Torino a Washington e da Berlino a Detroit, non trascura di chiamare in causa i governi, nazionali e locali, nel tentativo di coinvolgerli in un´impresa che potrebbe fare di Torino il ponte di comando di un colosso mondiale dell´auto. E con qualche incognita che il governo Berlusconi sinora non ha fatto nulla per risolvere rinunciando a quel ruolo attivo che premier e ministri stanno assolvendo in altri Paesi. E´ probabile che ragioni di urgenza e di inquietudine abbiano indotto i governatori dei Lander tedeschi dove sono dislocati impianti produttivi della Opel a scendere in campo per perorare la causa dei lavoratori. E´ abbastanza scontato che a motivare il loro attivismo ci siano anche interessi elettorali che curiosamente dovrebbero esserci anche in Piemonte: con la differenza che lì la politica è scesa in campo mentre qui preferisce parlar d´altro. Con un´eccezione che ripropone l´accostamento con la Germania e, non solo per questo, meriterebbe maggiore attenzione. Ci riferiamo all´iniziativa presa dal presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso che tre giorni fa ha scritto una lettera ai dieci colleghi che governano altrettante regioni in cui sono presenti impianti Fiat per invitarli a evitare il rischio della guerra tra territori per la difesa di questo o quello stabilimento e a trovare una linea d´azione comune. Su quali basi? La proposta della signora Bresso è quella di «creare un fondo per promuovere la produzione di un modello ecologico negli stabilimenti Fiat». In concreto questo fondo dovrebbe ammontare a 1,2 miliardi, metà a carico delle Regioni interessate e metà carico dello Stato. Quando e come si possa diventare operativo è cosa di cui si potrà discutere. Adesso ciò che conta è il fatto che all´apatia del governo qualcuno abbia pensato di contrapporre l´idea di un progetto. Che la mossa sia partita dalla Regione Piemonte non è né casuale né solamente riconducibile alla presenza sul suo territorio della roccaforte Fiat. Bresso ha scelto di muoversi con l´autonomia e l´autorevolezza dei governatori dei Lander tedeschi, ipotizzando un modello che, se non è quello renano inteso come compartecipazione dei lavoratori alla società, intende quanto meno mettere in piedi una sorta di collaborazione pubblico-privato che affaccia per l´industria dell´auto quel futuro sostenibile tratteggiato di recente da Barack Obama per il salvataggio di Chrysler e Gm. Naturalmente in una prospettiva concreta di difesa del tessuto occupazionale. In fondo l´operazione Mirafiori, per dire il progetto realizzato quattro anni fa di concerto tra la Fiat e le istituzioni locali, rappresenta un precedente interessante. La cui importanza non sfugge a Marchionne quando rilancia l´idea di un intervento strutturato per l´auto che coinvolga governi e amministrazioni locali. Esattamente come sta avvenendo in Germania. Tutto questo non è fantapolitica ma quello che si vorrebbe sentire in questi giorni nei comizi elettorali o in quelle manifestazioni che li hanno sostituiti. Come fanno governatori e borgomastri tedeschi in questi giorni. E forse un discorso sul mix modello renano e modello Mirafiori avrebbe successo anche davanti ai cancelli della Fiat, nelle piazze, nei circoli e ovunque rimbomba invece il silenzio della politica.

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negli stati uniti la prima rabbina afro-americana (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 19 - Esteri Negli Stati Uniti la prima rabbina afro-americana CLEVELAND - Alysa Stanton, 45 anni, è cresciuta in una famiglia protestante. Abbandonata la chiesa pentecostale in cui era stata allevata e convertitasi all´ebraismo, è ora in procinto di diventare rabbino: la prima donna rabbino nera della storia. La cerimonia di ordinazione avverrà il 6 giugno, un sabato, a Cincinnati, in Ohio. Poi Alysa, assieme a sua figlia, si trasferirà a sud, in North Carolina, dove assumerà la guida della locale sinagoga Bayt Shalom, Casa della Pace, che raccoglie ebrei sia "riformati" che "conservatori": due rami dell´ebraismo che - contrariamente agli ortodossi - consentono l´accesso delle donne al rabbinato. Attualmente le donne rabbino sono poco meno di un migliaio, la maggior parte delle quali negli Stati Uniti. E ormai da tempo, sempre in America, sono diventati rabbini numerosi afro-americani. Tra questi c´è anche Capers Funnye, un cugino della first lady Michelle Obama. Ma donne rabbino di colore, ancora non se n´erano viste. In realtà era solo questione di tempo: "riformati" e "conservatori" sono ormai la maggioranza degli ebrei d´America (il cui totale oscilla, a seconda delle stime, tra i 5 e i 6 milioni), e gli ebrei afro-americani sono diverse decine di migliaia. Prima di darsi agli studi religiosi, Alysa Stanton ha lavorato a lungo come psicoterapeuta. Nel 1999 viveva a Denver, in Colorado, quando fu chiamata a prestare i primi soccorsi nel liceo di Columbine, dove due studenti uccisero a colpi d´arma da fuoco 12 loro compagni e un´insegnante.

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usa, un sindaco di colore nel feudo del ku klux klan - arturo zampaglione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 19 - Esteri Usa, un sindaco di colore nel feudo del Ku Klux Klan Storica elezione nella città di "Mississippi burning" A Philadelphia nel 1964 furono trucidati tre giovani attivisti dei diritti civili ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - Mezzo secolo fa, quando nel Sud degli Stati Uniti infuriavano le battaglie contro la segregazione razziale, tre giovani militanti per i diritti civili furono sequestrati da un gruppo di incappucciati del Ku Klux Klan, picchiati a sangue e uccisi a colpi di pistola. La strage lasciò un marchio indelebile nella coscienza americana, anche grazie a "Misssissippi burning", il film del 1988 di Alan Parker, interpretato da Gene Hackman e premiato con sette Oscar. Ma ora Philadelphia, la cittadina di poco più di 7mila abitanti, soprattutto bianchi, che fu teatro dell´infame episodio, ha trovato il modo di riscattarsi: per la prima volta nella sua storia ha infatti eletto un sindaco nero, James Young, 53 anni, pastore pentecostale e funzionario della contea. «Ancora mi ricordo quando gli uomini del Ku Klux Klan dettavano legge nei nostri quartieri», dice Young quasi con le lacrime agli occhi per una vittoria così carica di simbolismi. «Mio padre - continua - teneva sempre in soggiorno una pistola pronta a sparare contro eventuali aggressori. E avevo undici anni quando divenni il primo ragazzino nero iscritto nella scuola elementare Neshoba dopo la fine della segregazione: i compagni bianchi mi lanciavano solo occhiate gelide. Insomma, chi come me è cresciuto in quel clima non può non rallegrarsi per la svolta». Il neosindaco non ne parla, forse per pudore, ma è chiaro che la sua nomina è anche legata al nuovo capitolo apertosi negli Stati Uniti con l´ascesa alla Casa Bianca di Barack Obama. Il Mississippi, tra i più poveri degli Stati americani, è anche quello in cui le cariche elettive sono ricoperte in proporzione dal maggior numero di neri: ma raramente sono espressi da un elettorato bianco. A Philadelphia i bianchi sono il 56 per cento rispetto al 40 per cento di neri: ciò non ha impedito a Young di battere martedì il suo avversario nelle primarie democratiche, il bianco Raymond Waddell, e di aggiudicarsi così la poltrona di sindaco, dal momento che non c´erano candidati repubblicani. «Un traguardo importantissimo», osserva Joseph Crispino, storico della razza alla Emory University di Atlanta. «Ed è il momento di cambiare pagina», aggiunge Young. Come dire: è ora di smorzare le polemiche e la sete di vendetta che dal giugno 1964 hanno tormentato la cittadina del Mississippi. In quella estate Andrew Goodman e Michel Schwerner, due newyokersi poco più che ventenni arrivarono a Philadephia assieme a un attivista afroamericano del Mississippi, James Chaney, 21 anni. Il loro obiettivo: iscrivere nelle liste elettorali il maggior numero di neri, per lo più discendenti di schiavi che vivevano nelle aree rurali, in modo che potessero partecipare al voto (negli Stati Uniti l´iscrizione non è automatica). Il 21 giugno la polizia arrestò i tre con un pretesto e poi li liberò in mezzo alla notte, di fatto consegnandoli al Ku Klux Klan. I cadaveri dei tre giovani furono fatti sparire, la cittadina si chiuse dietro a un muro di omertà, le indagini vennero ostacolate in tutti i modi. E anche se la strage finì su tutte le pagine dei quotidiani nazionali, di fatto accelerando l´approvazione il 2 luglio 1964 della legge sui diritti civili che mise al bando ogni forma di discriminazione razziale, fu difficile condannare i responsabili. Un processo nel 1967 si concluse con pene leggere per sette dei 18 uomini accusati. E solo nel 2005 fu possibile condannare a 60 anni per omicidio plurimo Edgar Ray Killen, un ex-dirigente del Ku Klux Kan che ora ha 84 anni e finirà i suoi giorni in prigione. Finora la cittadina di Philadelphia non si era mai ripresa da quel trauma. Ma la campagna per l´elezione del sindaco si è svolta in una atmosfera ben diversa. «Sulle porte delle case - ricorda Young - molti cittadini, sapendo che sarei passato, avevano appeso un cartello con la scritta "Welcome", benvenuto».

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Olimpiadi 2016, effetto Obama per Chicago (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Focus Vuota data: 23/05/2009 - pag: 11 L'obiettivo Il presidente vuole ringraziare con i Giochi il luogo dal quale è partita la corsa alla Casa Bianca La strategia L'idea «elettorale» usa gli stessi modelli, i temi, le suggestioni della campagna presidenziale: speranza, rispetto, tolleranza, dialogo Olimpiadi 2016, effetto Obama per Chicago La città è una delle 4 candidate, Barack testimonial «Vogliamo accogliere tutto il mondo a casa nostra» DAL NOSTRO INVIATO CHICAGO Diceva il grande Saul Bellow, che «nessuna persona sana andrebbe in giro per Chicago senza protezione ». Una reputazione difficile da smentire per la metropoli dell'Illinois, dove Al Capone sosteneva di «aver speso i migliori anni della vita da pubblico benefattore» e dove il penultimo governatore, il democratico Rod Blagojevich, cercava di vendere al miglior offerente un posto di senatore e minacciava di bloccare gli aiuti statali al Chicago Tribune, se non avesse licenziato i giornalisti a lui invisi. Non bastava la grande tradizione urbanistica, che da Frank Lloyd Wright a Renzo Piano, con la Modern Wing del Chicago Art Institute appena inaugurata, ha fatto della città l'autentico laboratorio dell'architettura moderna e contemporanea in America e nel mondo. Non bastava l'eccellenza musicale della Chicago Symphony Orchestra, che ora rinnova i suoi fasti affidandosi a Riccardo Muti. A primeggiare, nella fama della città, c'era sempre l'ombra sinistra dell'Outfit, com'è chiamata la mafia sul lago Michigan, dove non si è mai divisa in famiglie come a New York. C'è voluta l'ascesa di un suo figlio adottivo alla Casa Bianca, perché la «città del vento» cominciasse a scrollarsi di dosso la sua cattiva aura, diventando la nuova capitale morale degli Stati Uniti, polo d'attrazione per milioni di americani e, soprattutto, ritrovandosi in pole position, nella più ambiziosa delle sfide: ospitare le Olimpiadi del 2016. Il 2 ottobre prossimo, a Copenhagen, il Cio farà la sua scelta. Ma nella short list delle quattro città rimaste in gara, è proprio Chicago a ritrovarsi in mano la carta in più, quella che potrebbe farla preferire a Tokyo, Madrid e Rio de Janeiro: sarà probabilmente Barack Obama il testimonial d'eccezione nella volata finale in Danimarca. L'impegno di un leader politico, a sostegno della candidatura olimpica di una città del suo Paese, non è una novità. Basti pensare al ruolo decisivo avuto da Tony Blair, nell'assicurare a Londra i Giochi del 2012. In America però non usa. Nessun presidente americano lo ha mai fatto. Per questo, la Casa Bianca non vuole in alcun modo impegnare formalmente Barack Obama. Ma come ha rivelato nei giorni scorsi «Politico», la nuova Amministrazione è mobilitata anima e corpo per portare fra sette anni le Olimpiadi sulle rive del lago Michigan. A guidare e coordinare la discreta ma agguerritissima offensiva diplomatica è Valerie Jarrett, amica e consigliere del presidente. Non solo: tutti i ruoli più importanti di Chicago 2016, il gruppo non-profit che gestisce la candidatura, sono coperti da fedelissimi di Obama: presidente e amministratore delegato è Pat Ryan; tesoriere e direttore è John Rogers; membri del board sono Penny Pritzker (l'ereditiera che è stata la mente finanziaria della campagna elettorale) e Bill Daley, ex segretario al Commercio di Bill Clinton e fratello del sindaco di Chicago, Richard, epigoni di una dinastia politica democratica che ha dominato la città sin dagli Anni 50. Prima di diventare segretaria sociale alla Casa Bianca, anche Desirée Rogers sedeva nel consiglio di Chicago 2016. L'idea è semplice: identificare la città col presidente, fargli simbolicamente portare la torcia olimpica puntando sul suo star power, l'immensa popolarità di cui gode nel mondo. Obama ha già registrato due video in appoggio al bid di Chicago: uno per la presentazione all'assemblea generale del Comitato Olimpico a Istanbul, l'altro il mese scorso, per i membri del Cio in visita nella «wind city». «Considero le Olimpiadi un'opportunità per la nostra nazione di tendere la mano, dare il benvenuto al mondo a casa nostra, rafforzare i nostri legami d'amicizia globali». In verità, è l'intera candidatura di Chicago a usare gli stessi modelli, i temi e le suggestioni che fecero la fortuna di Obama '08, la campagna presidenziale perfetta: speranza, rispetto, tolleranza e dialogo. La strategia sta già pagando dividendi altissimi: «Senza Obama, Chicago non avrebbe avuto alcuna chance di vincere. Ma la sua elezione e il suo coinvolgimento fanno pendere la bilancia fortemente in favore della candidatura americana », dice Richard Pound, membro canadese del Cio. I primi calcoli indiscreti (che si fanno negli Usa) dicono in ogni caso che Madrid, pur avendo un'ottima proposta, sarebbe sfavorita perché è difficile vendere l'idea di Giochi in Europa per due volte consecutive; Tokyo non ha tutte le carte a posto e Rio de Janeiro, candidatura geograficamente ideale, è penalizzata dal fatto che nel 2014 il Brasile ospiterà i mondiali di calcio e tutte le risorse rischiano di essere concentrate su quell'evento. Argomento finale: come si farà a dire di no a un presidente americano? Se Chicago fosse prescelta, Valerie Jarrett avrebbe già pronta una speciale task-force, da insediare alla Casa Bianca, per coordinare il lavoro delle molte agenzie federali, che avranno un ruolo nell'organizzazione dei Giochi Olimpici. Ma prima ancora che ciò accada, Barack Obama un regalo alla sua città elettiva lo ha già fatto. Sono passati poco più di tre mesi dalla sua elezione e Chicago, anche lei morsa dalla crisi, trova un po' di sollievo nell'inedito fenomeno dell'Obama tourism: decine di migliaia di americani, che arrivano nella metropoli con il solo scopo di visitare i luoghi dove il presidente ha vissuto, lavorato, cenato, giocato a basket, insegnato, si è fatto tagliare i capelli, ha baciato per la prima volta la sua futura moglie Michelle Robinson, ha tenuto il discorso della vittoria il 4 novembre scorso. L'ufficio del turismo e almeno 15 agenzie private hanno inserito un Obama tour nei loro programmi: due ore in bus, dalla casa di Hyde Park al Grant Park, passando per il salone del barbiere Zariff e l'ex gelateria galeotta. Per citare Sarah Bernhard, una che adorava Chicago, in questa ricerca del genius loci c'è «il nuovo battito dell'America». Paolo Valentino

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Comitato (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Focus Vuota data: 23/05/2009 - pag: 11 Comitato Valerie Jarrett ( foto qui sotto), consigliere di Obama, guida l'offensiva diplomatica per Chicago 2016. Del gruppo non-profit che gestisce la candidatura, fanno parte molti fedelissimi di Barack Obama. Presidente è Pat Ryan; tesoriere John Rogers; membri del gruppo sono Penny Pritzker (foto), l'ereditiera che è stata la mente finanziaria della campagna elettorale, e Bill Daley, ex segretario al Commercio di Bill Clinton

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Così il made in Italy ritesse i rapporti (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 23/05/2009 - pag: 17 La partita economica Fiat avvantaggiata nelle relazioni industriali Così il made in Italy ritesse i rapporti Eni e Finmeccanica si riposizionano con la nuova Amministrazione DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Senza elicottero «italiano» per la Casa Bianca, i rapporti delle nostre industrie con l'America di Obama devono ricominciare dalle foto ingiallite della Fiat Ritmo rossa con la quale il futuro presidente scorazzava nei «campus» universitari un quarto di secolo fa. E anche dal confronto Usa-Russia per l'egemonia nella regione petrolifera del Caspio, dove un ruolo rilevante lo giocano l'Eni e lo stesso Berlusconi, per i suoi rapporti privilegiati con Putin. La Finmeccanica non ha subito danni materiali dalla cancellazione del VH-71, l'elicottero che era stato commissionato dal Pentagono alla Lockheed e che è sostanzialmente un Agusta-Westland «americanizzato». La quota di lavoro italiano nella prima serie di velivoli è, infatti, già stata pagata. E le aziende del gruppo continueranno ad essere fornitrici della Difesa Usa in vari programmi. Ma è evidente che il gruppo guidato da Pier Francesco Guarguaglini non ha più, a Washington, l'influenza che aveva nell'era Bush. Un'influenza legata ai rapporti con l'Amministrazione, ma anche a quella con i governatori degli Stati nei quali Finmeccanica ha una presenza industriale diretta o indiretta, dalla Pennsylvania al Texas di Rick Perry, grande amico del «texano» George Bush. Per la Finmeccanica si tratta, ora, di ricostruire i rapporti col nuovo gruppo dirigente: ci vorrà tempo, anche perché l'ambasciata italiana a Washington vive un periodo di transizione mentre lo stesso Berlusconi fatica a costruire un rapporto con Obama. La Fiat di Marchionne non ha questo tipo di problemi: non era legata alla vecchia amministrazione e non ha avuto finora necessità di creare rapporti privilegiati con gli uomini di Obama o i «congressmen». A Marchionne è bastato convincere gli esperti della «task force» della Casa Bianca con la validità del suo piano industriale per Chrysler e il suo modo di comportarsi ed esprimersi come un manager americano. Certo, già prima che si aprisse la partita dell'auto, l'amministratore delegato della Fiat andava spesso a Chicago dove ha sede la CNH, la società del gruppo torinese che produce trattori, scavatrici e bulldozer. Una realtà importante nella città del presidente con la quale, però, Obama non ha mai avuto rapporti. E nemmeno negoziando l'ingresso nella terza Casa automobilistica Usa, Marchionne ha avuto bisogno di creare una rete di rapporti politici. Probabilmente le cose cambieranno in futuro quando il manager italo-canadese diventerà (anche) amministratore delegato di Chrysler. Intanto, però, ha già incassato due volte i complimenti a scena aperta di Obama col quale, peraltro, non si è mai incontrato. Quanto alle altre grandi aziende italiane presenti negli Usa, il cambio della guardia alla Casa Bianca ha avuto un peso soprattutto per l'Eni e, in misura molto minore, per l'Enel. Quanto all'Eni, che l'anno scorso ha incrementato i suoi investimenti negli Usa acquistando alcuni impianti petroliferi nel Golfo del Messico, la ricostruzione dei rapporti politici con la nuova amministrazione ha una grande rilevanza strategica. Per il gruppo guidato da Paolo Scaroni la situazione è, al tempo stesso, più facile e più difficile che per la Finmeccanica. Più facile perché, essendo l'energia un fattore che influenza la politica in ogni parte del mondo, l'interlocutore naturale dell'Eni a Washington è il Dipartimento di Stato di Hillary Clinton. E l'ente petrolifero italiano ha già avuto molti rapporti con l'amministrazione Clinton negli anni '90. Più difficile perché sul dossier principale, quello iraniano, l'amministrazione Obama mostra di avere una chiusura non diversa da quella di Bush e Cheney. L'Eni vorrebbe tornare a investire nel Paese degli «ayatollah», ma Washington dice «no». Evidentemente il nuovo presidente - che pure vorrebbe dialogare con Teheran - non vuole privarsi di un'arma di pressione. Quando, a metà giugno, Berlusconi arriverà a Washington, si discuterà anche di questo. E dei rapporti del premier con la Russia di Putin che hanno portato l'Italia a seguire una politica dei gasdotti diversa da quella auspicata da Washington. Massimo Gaggi

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E Barack stringe la mano al figlio di McCain (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 23/05/2009 - pag: 17 Accademia E Barack stringe la mano al figlio di McCain Il presidente statunitense Barack Obama (al centro) saluta i diplomati all'Accademia Navale di Annapolis, al termine della cerimonia di consegna dei diplomi. Qui a fianco, Obama stringe la mano a John McCain IV, figlio del suo ex rivale alle presidenziali, il senatore repubblicano dell'Arizona John McCain (Epa/Matthew Cavanaugh)

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Il nuovo colosso automobilistico (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 23/05/2009 - pag: 17 Business e politica Il nuovo colosso automobilistico Il 30 aprile scorso viene firmato l'accordo tra Fiat e Chrysler. Lo annuncia il presidente Obama. Al Lingotto va il 20% e il 51% dal 2013

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Frattini: sì in un quadro europeo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 23/05/2009 - pag: 17 Rapporti bilaterali La questione terrorismo e le relazioni Italia-Usa «In Italia due di Guantánamo» Frattini: sì in un quadro europeo Verso un incontro Obama-Berlusconi prima del G8 ROMA A oltre sei mesi dall'elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti e quattro mesi dopo il suo insediamento, la prima visita di Silvio Berlusconi a Barack Obama si fa più vicina. La data al momento più quotata per l'appuntamento alla Casa Bianca è lunedì 15 giugno, ma non è escluso il 16 o un altro di giorno di quella settimana che non coincida con il Consiglio europeo (18 e 19 giugno, a Bruxelles). Fino a poche ore fa, per trovare l'occasione di un contatto la diplomazia guardava anche al prossimo viaggio del primo presidente afro-americano degli Usa al di là dell'Atlantico: il 4 giugno al Cairo, poi in Europa, però con tappe che sembrano limitate a Francia e Germania. Da giorni a Palazzo Chigi si aspetta con una certa ansia che la Casa Bianca dia comunicazione ufficiale che il colloquio è in agenda. E la ragione c'è. Si sente che a Washington Berlusconi non ha più l'amico George W. Bush. Una grana dagli Usa è arrivata in forma meno vaga ieri. Per chiudere il carcere di Guantánamo aperto dalla precedente Amministrazione repubblicana, all'Italia è stato chiesto di prendere sul suo territorio due degli attuali prigionieri. Che prima o poi dovesse succedere si sapeva, e forse i due saranno soltanto l'inizio. L'Ansa ha informato che si tratterebbe dei tunisini Riadh Nasri e Moez Fezzani, già indagati a Milano con l'accusa di agire per una cellula di integralisti islamici. Per avere buoni rapporti con l'Amministrazione democratica, Palazzo Chigi e Farnesina avevano messo nel conto un pegno del genere. Il fastidio, taciuto, sta nell'emergere della sollecitazione prima delle elezioni europee del 6 giugno, mentre la Lega e altri nella maggioranza non hanno certo interesse a festeggiare l'evento. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha sostenuto che le richieste sui detenuti saranno esaminate «con spirito positivo», tuttavia ci si atterrà alle regole comuni europee. Lo dice da mesi, ed è anche un modo per prendere tempo. Venerdì gli toccherà di ricevere a Roma il ministro della Giustizia americano Eric Holder. Il presidente del Consiglio andrebbe alla Casa Bianca in qualità di presidente di turno del G8 fissato per luglio, grazie alla consuetudine dei viaggi in varie capitali previsti dall'incarico. Quella è la veste che gli permetterà l'incontro. Quando Obama ha girato tra Europa e Turchia in aprile, pur trovandoselo vicino nei vertici con più Paesi Berlusconi è stato l'unico leader di Stato del G8 a non avere un colloquio bilaterale con lui. «Perché dovrebbe occuparsi dell'Italia? Obama ha altri problemi da gestire, e l'Italia non lo è», dice l'americano Joseph La Palombara, politologo per anni a Yale e autore con Luigi Tivelli di un libro appena pubblicato da Rubbettino, Stati uniti? Italia e Usa a confronto, che analizza in parallelo l'America del nuovo corso obamiano e l'Italia del Cavaliere. «Che nel 2008 Berlusconi abbia ripetuto di essere un caro amico del presidente uscente non può non aver influito nella sua collocazione tra i capi di governo ai quali dedicare tempo», osserva La Palombara. E uno dei motivi di divergenza si intravedeva già con l'Amministrazione Bush, mai entusiasta della tendenza italiana a rafforzare la dipendenza energetica dalla Russia di Vladimir Putin. Maurizio Caprara

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Il governo Usa: satelliti vecchi, Gps al collasso (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Cronache data: 23/05/2009 - pag: 25 Navigatori Il governo accusa l'Air Force Il governo Usa: satelliti vecchi, Gps al collasso MILANO Allarme per i satelliti di navigazione americani Navstar/Gps: presto non sarebbero in grado di fornire dati precisi sulla posizione tanto ai militari quanto ai civili. Il preoccupato segnale è lanciato dall'US Government Accountability Office, l'ufficio federale che controlla i conti pubblici, il quale critica con toni aspri il Pentagono proprietario della costellazione spaziale, per i ritardi nella sostituzione di alcuni satelliti ormai quasi in fin di vita, quindi troppo vecchi e presto inaffidabili nelle loro trasmissioni. Il problema, secondo l'Office, si presenterà entro un anno se non si interviene prima. Nel prossimo novembre la Boeing sarebbe pronta a lanciare il Navstar IIF, ma la data, ancora non garantita, ha già accumulato tre anni di ritardo. Boeing si difende dicendo che è derivato dall'introduzione di migliorie capaci di allungare la vita in orbita. Ciò non ha impedito all'Office di intervenire, facendo notare che ciò potrebbe anche far slittare la partenza della successiva nuova generazione di satelliti di navigazione costruiti invece dalla Lockheed Martin (battezzata IIA) con una prima partenza fissata nel 2014. In aggiunta l'ufficio federale se la prende con l'Usaf, l'aviazione militare che gestisce la costellazione, precisando che «negli ultimi anni ci sono stati significativi problemi tecnici e di conduzione d'appalto. Non sappiamo aggiunge se l'Us Air Force sarà in grado di acquistare nuovi satelliti in tempo per mantenere il servizio Gps ed evitare interruzioni a operazioni militari e utenza civile». Il vento della nuova amministrazione Obama comincia soffiare anche sul fronte dello spazio militare dopo le revisioni di vari programmi aeronautici usciti dai bilanci. Ma in questo caso c'è la preoccupazione per il rischio portato a vari sistemi legati ai Gps, dall'impiego dei missili alla posizione delle nostre automobili. Il sistema Gps americano è entrato in funzione nel 1978 per le necessità della Difesa ed è aperto agli utilizzi civili. Per questi ultimi consente di calcolare la posizione con un'incertezza di due metri in orizzontale e 10 metri in verticale. Migliore è il dettaglio per gli impieghi della difesa. Per ottenere questi dati devono però entrare in funzione simultaneamente quattro satelliti. La costellazione è formata da 24 satelliti operativi più altri 7 di riserva. Ciascuno ha un costo intorno a 60-80 milioni di euro. «Il problema non è immediato, ma presto si potrebbe materializzare conferma Francesco D'Amore, responsabile delle operazioni di navigazione satellite a Telespazio . Ci sono ritardi nella pianificazione per la sostituzione di questi veicoli spaziali che hanno una vita media intorno a 5-7 anni». Gli Usa sono inquieti perché gli slittamenti potrebbero favorire la costellazione europea Galileo contrastata fino a ieri, che «è totalmente civile aggiunge D'Amore e con una precisione superiore determinando la posizione con un margine di 30-60 centimetri. L'anno prossimo si inizieranno a lanciare i primi dei 30 satelliti previsti entro il 2013». Giovanni Caprara

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Aig cambia ancora , lascia anche Liddy (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 23/05/2009 - pag: 33 Il salvataggio Aig cambia ancora «Accuse ingiuste», lascia anche Liddy DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - L'incredibile storia della crisi finanziaria che, partita due anni fa da Wall Street, ha travolto l'economia del mondo intero, trabocca di gente che ha combinato disastri (banchieri come Fuld e Prince), «pentiti» (l'ex capo della Fed, Alan Greenspan), camaleonti (Larry Summers che oggi alla Casa Bianca fa una politica pressoché opposta rispetto a quella seguita 10 anni fa, quando era al fianco di Bill Clinton), furfanti (Madoff e dintorni), vittime (investitori che hanno perso tutto, finanzieri suicidi). Fino a oggi mancava, però, la figura dell'«eroe», quella alla quale gli americani sono più affezionati, nelle vittorie come nelle disgrazie (vedi i pompieri di «Ground Zero»). Adesso anche questo vuoto sta per essere colmato: lasciando la guida dell'Aig senza prendere un soldo né come stipendio né come bonus, Edward Liddy si candida, infatti, a divenire il primo eroe della faticosa operazione di salvataggio del sistema creditizio americano. Un eroe incompreso i cui meriti verranno riconosciuti in futuro. Liddy, ex capo delle assicurazioni Allstate, se ne stava tranquillamente in pensione quando, otto mesi fa, un trafelato Henry Paulson, ministro del Tesoro di Bush, lo chiamò chiedendogli - come patriota, più che come manager - di prendere la guida di Aig: un gruppo assicurativo alla deriva, fortemente esposto, al cui vertice si erano succeduti, in rapida successione, tre amministratori delegati, ognuno dei quali aveva lasciato problemi più grossi di quelli che aveva ereditato. Paulson lo avvertì che c'era da evitare una bancarotta per insolvenza e che non avrebbe guadagnato praticamente nulla. E, per decidere, gli lasciò meno di un giorno. Il manager accettò. Per spirito di servizio o forse solo perché a casa si annoiava. Il ritorno ad un ruolo visibile, la gratitudine degli americani. Mai avrebbe immaginato che, davanti alla crescita esponenziale delle perdite di Aig, non solo per lui non ci sarebbe stata riconoscenza, ma, addirittura, avrebbe dovuto fronteggiare l'insofferenza del nuovo governo di Obama e gli insulti di molti parlamentari. Fino all'assurdo del «processo» pubblico in diretta televisiva da parte di un Congresso che lo ha criminalizzato per la scelta di rispettare impegni e contratti assicurativi sottoscritti da Aig prima del suo arrivo. Certo, Aig è costata ai contribuenti più di 180 miliardi di dollari e forse i suoi dirigenti non meritavano i bonus erogati, ma Liddy cosa c'entrava? Alla fine il manager ha deciso di tornarsene a Chicago, a godersi la pensione. Adesso tocca al governo (ormai azionista di controllo di Aig) trovare un nuovo capo pronto a farsi crocifiggere per uno stipendio di un dollaro. Massimo Gaggi Edward Liddy giura prima di deporre al Congresso Usa

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Via libera alla riforma (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 23/05/2009 - pag: 35 Carte di credito Via libera alla riforma Il presidente degli Usa, Barack Obama ( foto), ha firmato la nuova legge sulle carte di credito. La riforma «farà una grande differenza per i consumatori» ha affermato Obama, aggiungendo che non intende graziare «chi ha utilizzato le carte di credito in modo irresponsabile».

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COMMISSIONI MILITARI USA PERCHÉ OBAMA LE CONSERVA (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Lettere al Corriere data: 23/05/2009 - pag: 41 Risponde Sergio Romano COMMISSIONI MILITARI USA PERCHÉ OBAMA LE CONSERVA Ho letto la sua risposta al lettore che le chiedeva se e quando l'operato di George W. Bush sarà rivalutato. Io penso che la rivalutazione dell'ex presidente Usa sia già nei fatti. L'attuale presidente Obama ha confermato i tribunali speciali militari per i carcerati di Guantanamo. La guerra in Afghanistan continua, l'Iraq è una nazione che procede, anche se a fatica, sulla strada della democrazia ed è un grande richiamo per tutti i popoli della zona. Stefano Gandolfi stefano.gandolfi@ italtrike.com Caro Gandolfi, N ella sua lettera, troppo lunga per lo spazio di questa rubrica, lei elenca altre ragioni per cui la presidenza di George W. Bush può essere considerata, complessivamente, un successo. Sono temi di cui abbiamo già discusso più volte. Nuovo, invece, è quello delle Commissioni militari (noi le chiameremmo corti marziali) di cui Obama ha ripristinato il funzionamento. Ne ha dunque riconosciuto l'utilità? Gli osservatori benevoli sottolineano che il presidente le ha rese meno arbitrarie con alcune riforme procedurali e che questi, per l'appunto, erano gli impegni presi durante la campagna elettorale. A me sembra che vi siano altre ragioni, più interessanti. Vi sono ancora a Guantanamo 241 prigionieri, ed è improbabile che gli alleati degli Stati Uniti li aiutino a ridurre considerevolmente il loro numero ammettendone molti nel proprio territorio. Prima o dopo, quindi, queste persone dovranno essere processate. Se il processo avesse luogo in un tribunale ordinario le autorità americane sarebbero costrette ad ammettere che alcune confessioni sono state ottenute con la tortura e che molte prove sono state raccolte con operazioni inconfessabili dei servizi segreti. Non sarebbe facile, per esempio, mantenere la segretezza sulla rete di agenti, informatori e infiltrati di cui i servizi americani dispongono in giro per il mondo. Le rivelazioni avrebbero alcuni effetti negativi. Ridurrebbero l'efficacia dei servizi, demoralizzerebbero le forze armate ed esporrebbero entrambi a un pericoloso tifone mediatico. Suppongo che queste considerazioni siano state esposte al presidente e che Obama sia giunto alla conclusione di non potere rinunciare alla fedeltà e alla funzionalità di due importanti corpi dello Stato. Lo stesso è accaduto, per certi aspetti, quando fu deciso di pubblicare le istruzioni segrete della Casa Bianca e del Pentagono sull'uso della tortura. La Cia cercò di opporsi alla pubblicazione e Obama difese il principio della trasparenza. Ma si affrettò a tranquillizzare gli agenti della Cia e i militari dichiarando che chi aveva obbedito a ordini superiori non sarebbe stato punito. Incidentalmente questo è lo stesso argomento con cui i generali tedeschi si difesero nei processi di Norimberga, e dimostra quanto sia avventato parlare di «giustizia internazionale». Nei rapporti fra gli Stati il principio della eguaglianza di fronte alla legge non esiste. Non credo, per concludere, che Obama potesse fare diversamente. Quando è succeduto a Bush ha ereditato gli errori del suo predecessore e non può sconfessarli tutti senza mettere in crisi le istituzioni da cui dipende la sicurezza dello Stato.

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Taxi to the Dark Side (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Tempo Libero data: 23/05/2009 - pag: 21 DOCUMENTARIO RRRR Taxi to the Dark Side Il documentario di Alex Gibley, Oscar 2008, vuol rimuovere dalla coscienza americana la peggior vergogna dell'era Bush le torture del carcere di Bagram, Afghanistan, ripetute poi nei campi lager di Abu Ghraib, Guantanamo. Vicenda reale di un taxista prigioniero senza prove del sadismo yankee che parte da un reportage del New York Times. Di questi inferni i papaveri della Casa Bianca dicevano di non saper nulla, che se c'erano dormivano: a Obama il compito della Verità Nuovo Orchidea

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Un sindaco afro-americano nel paese di (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 23/05/2009 - pag: 18 La storia Nella cittadina di Philadelphia eletto il reverendo James Young Un sindaco afro-americano nel paese di «Mississippi Burning» Quarant'anni dopo i crimini del Ku Klux Klan raccontati nel film di Parker WASHINGTON Quarant'anni fa Philadelphia, piccola cittadina del Mississippi, non era un bel posto se avevi la pelle nera. E non lo era neppure se eri un bianco che prendeva le difese degli afro-americani. Rischiavi di essere linciato. Destino riservato, il 21 giugno 1964, ad Andrew Goodman, Michael Schwerner e James Cheney. I primi due erano attivisti per i diritti civili, il terzo un loro amico «negro». Vennero assassinati da una banda di incappucciati del Ku Klux Klan, infuriati dalla campagna per la registrazione del voto. Un episodio che è diventato un simbolo. Una dramma che ha ispirato il film Mississippi Burning di Alan Parker. Ieri Philadelphia ha forse davvero voltato pagina, con un altro avvenimento che diventerà storia: il nuovo sindaco sarà un afro-americano. James A. Young, 53 anni, democratico, ha sconfitto alle primarie l'avversario Rayburn Waddell. Un testa a testa marcato da 1.021 voti contro 957. E non essendosi presentato alcun candidato repubblicano, sulla poltrona di primo cittadino andrà Young, un esponente della chiesa pentestocale e per anni responsabile del servizio di ambulanze. Un risultato ancora più significativo vista la composizione della città: 56 per cento bianchi, 40 per cento neri e un 2 per cento di nativi- americani. Per vincere diffidenze e difficoltà economiche, il neosindaco ha puntato sulla partecipazione e il coinvolgimento. Niente t-shirt da regalare, bottoni con gli slogan e poster. Non c'erano soldi e non c'era bisogno date le dimensioni: solo 7.300 abitanti. Young ha battuto, strada per strada, la cittadina a bordo del suo vecchio pick-up Ford del 1981. Strette di mano, chiacchierate con gli avventori del fast food, paziente scambio di idee con chiunque volesse capire il suo programma. Gli afro-americani lo hanno visto come l'uomo del riscatto, qualche bianco forse lo ha votato, nessuno assicura gli ha sbattuto la porta in faccia. Alla fine è stato premiato. Il sindaco riconosce che dovrà impegnarsi a conquistare chi non ha creduto in lui, soprattutto quelli che la pensano come i repubblicani. A Philadelphia ci sono ancora delle sacche di nostalgici, persone che credono nel Sud ribelle e segregazionista. Un'esperienza che Young ha vissuto in prima persona. Ricorda ancora i giorni del terrore, quando il padre dormiva sul divano con il fucile accanto, pronto ad usarlo contro i possibili assalitori. Il KKK non scherzava, non era qualcosa di coreografico. Poteva essere letale e crudele. Poi c'era la vita di ogni giorno, con due mondi separati. Young si commuove rammentando come fosse dura all'epoca: i bianchi da una parte, i neri dell'altra. Guai a sgarrare. «Quando sei trattato in un certo modo.», è la sua frase. Non aggiunge altro mentre il suo volto è rigato dalle lacrime, segno di ferite interiori e prove personali. Lui è stato uno dei primi ragazzi di colore ad essere «integrato» nella scuola. Momenti non facili, dove il futuro sembrava inesistente. Ora per Young tutto è cambiato: «Finalmente è arrivata la mia stagione». Ispirandosi al presidente Barack Obama, il neoeletto sostiene di aver portato in città «la bomba atomica del cambiamento », del si può fare anche in una regione come questa. Si rallegrano della svolta ribattezzato «Mississippi Turning » anche coloro che sono stanchi di essere ricordati solo per quello che avvenne nel luglio 1964. Un'onta, un'ombra, il simbolo della discriminazione violenta. Un passato che è difficile da rimandare indietro e non solo in questa contea. L'Fbi, da oltre due anni, ha ripreso a indagare su decine di delitti razziali. Vengono rilette le carte delle inchieste, si confrontano le prove, si cercano nuove testimonianze, spesso ignorate da giurie e sceriffi compiacenti o addirittura complici. È quello che è accaduto con i responsabili del triplice delitto di Philadelphia. Il primo processo nel 1967 condanna solo alcuni degli accusati mentre altri sono lasciati liberi. Compreso Edgar Ray Killen, detto «il predicatore». Sarà solo l'impegno di un giornalista, Jerry Mitchell, che con l'aiuto di alcuni volontari porta alla riapertura del file su Killen, un uomo che non si è mai pentito delle sue scelte. Il 21 giugno 2005, nell'anniversario del linciaggio, il membro del KKK, ormai ottantenne, viene condannato a 60 anni di prigione. In agosto lo rilasciano su cauzione. Killen cerca pietà giocando sull'età e sostenendo di avere la parte destra del corpo paralizzata. È una finta. Testimoni diversi lo vedono camminare, guidare l'auto e usare la mano destra. Al giudice non rimane che riordinare l'arresto. Oggi il sindaco Young non ha tempo di pensare a Killen, deve guardare avanti per non deludere chi lo ha scelto. Anche se non nasconde l'attesa per quando assumerà l'incarico. «Avrò le chiavi del posto dove ci rinchiudevano. Avrò accesso a luoghi che ci erano proibiti. C'è forse qualcosa di meglio di questo? ». Guido Olimpio Pioniere James Young, 53 anni, afroamericano e pastore pentecostale, è il primo sindaco nero di Philadelphia. Ha vinto le primarie democratiche, diventando, in assenza di candidati repubblicani, primo cittadino. Una svolta per l'ex fortino del KKK, già ribattezzata Mississippi turning in riferimento al film di Alan Parker (sopra la locandina)

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Ho messo in rete il mio Dna Solo così saremo in grado di capire le nostre differenze (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 23-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Scienza data: 23/05/2009 - pag: 29 Un articolo del Premio Nobel: lo studio del genoma sta cambiando il mondo Ho messo in rete il mio Dna Solo così saremo in grado di capire le nostre differenze Watson: no a imposizioni, la genetica resti libera Il Premio Nobel James D. Watson ha ricevuto il Premio Capo d'Orlando assegnato a Vico Equense (Na) da un comitato scientifico guidato dal Nobel Riccardo Giacconi. Pubblichiamo il testo scritto per l'occasione di JAMES D. WATSON Proprio come Barack Obama, io stesso sono un prodotto di Chicagosud, essendo cresciuto in due camere e cucina del quartiere di South Shore, dove i libri, gli uccelli e Franklin Delano Roosevelt ci permettevano di guardare con fiducia al futuro. Da mio padre e da mia madre ereditai i quattro valori familiari di base: la ricerca della conoscenza, l'onestà, la lealtà verso il prossimo e la responsabilità civile nei riguardi dei meno fortunati. Solo venti minuti di macchina mi separavano dalla grande università di Chicago. Lì, fra il 1943 e il 1947, mi immersi nei Grandi Libri del suo carismatico Rettore, Robert Maynard Hutchins, e divenni schiavo dell'incessante bisogno di risolvere dispute usando la ragione e sfruttando le conoscenze del passato e del presente, giungendo così ad affrontare i problemi di oggigiorno. Nei miei primi anni di università la mia giovanile passione per la storia naturale mi portò a specializzarmi in zoologia, incontrando così le leggi di Mendel sull'ereditarietà. Grazie a queste, mi resi conto di non essere soltanto il risultato dell' educazione datami dai miei genitori, né dell'eccellenza dei miei insegnanti e dei libri. Forse ero solo il prodotto della natura: il complesso di geni trasmessi da mia madre e mio padre. A metà degli Anni 80, il dilemma ambiente/genetica mi investì con maggior forza, quando scoprimmo che il nostro altrimenti intelligentissimo figlio Rufus non era in grado di scrivere saggi sufficientemente coerenti quand'era all'università di Exeter. Forse che mia moglie Liz ed io avevamo posto su di lui una pressione eccessiva affinché eccellesse all'università? O aveva piuttosto ereditato un gene difettoso da uno dei due, o ancora era diventato vittima di nuovi eventi mutazionali? Avevo quindi abbondantemente ragione di diventare un pioniere del Progetto Genoma Umano, in quel periodo appena proposto. I progressi delle tecnologie di sequenzializzazione del Dna in quel momento lasciavano sperare di poter ordinare esattamente i tre miliardi di lettere del messaggio genetico umano, in soli 15 anni e con fondi per tre miliardi di dollari. A partire dall'autunno del 1988, per quattro anni, oltre al mio lavoro a Cold Spring Harbor, sono stato a Washington a collaborare per il lancio del progetto. Per la gioia di tutti, il progetto fu completato nel 2003. Oggi, grazie ai sempre più rapidi progressi delle tecnologie del Dna, la nuova era dei genomi personali ci fornirà solide argomentazioni per risolvere razionalmente la controversia natura/ ambiente. Il mio genoma personale fu il primo ad essere studiato, avendolo messo a disposizione di tutti su Internet nel 2007. Quando Jonathan Rothberg, il fondatore del 454 Life Sciences di New Haven, venne nel mio ufficio per chiedermi se avessi permesso di sequenziare il mio Dna, acconsentii immediatamente. Essere sequenziato non era una questione di vanità personale, ma era una necessità molto personale. Mi resi conto che fra i suoi tre miliardi di informazioni genetiche ci sarebbero potuti essere gli indizi che un giorno avrebbero permesso a Rufus di condurre un'esistenza più indipendente o all'altro mio meraviglioso figlio Duncan di affrontare il futuro con maggiore sicurezza. Da solo o anche con l'aiuto di molti amici, non sarei stato capace di interpretare i dettagli straordinariamente complessi del mio genoma personale. Meglio metterlo sul web e ricevere l'aiuto di tutti i ricercatori del mondo per capire com'era fatto. Il mio genoma personale è costato un milione di dollari. Oggi, grazie a tecnologie sempre più moderne, non si spendono più di 100.000 dollari. In meno di dieci anni, con 100 dollari ciascuno potrà acquistare il proprio genoma. Le uniche sequenze genetiche che non volevo che qualcuno (me compreso) potesse conoscere erano quelle dei miei due geni Apo E, le cui varianti specifiche predispongono fortemente al morbo di Alzheimer. Proprio dopo che fu scoperta la Doppia Elica, mia nonna Nana morì a novant'anni con questa brutta malattia che distrugge il cervello. Se dietro ai suoi ultimi difficili anni di vita c'è stata una variante del gene Apo E, c'è una probabilità su quattro che io vi sia predisposto. Più determinante per il mio benessere immediato fu l'apprendere dal mio genoma che avevo due copie della variante 10 (allele) dell'importante gene citocromo farmacometabolizzante (CYP2D6), che si incontra molto più facilmente nelle popolazioni asiatiche che in quelle caucasiche, dove predomina l'allele 1. Gli individui che possiedono gli alleli 10 metabolizzano più lentamente molti importanti farmaci medicinali rispetto alle persone che hanno la variante 1. Meglio tardi che mai, ho imparato che i betabloccanti, che prendevo per abbassare la pressione arteriosa, mi facevano venire sonno, quindi li ho abbandonati. La società trarrà enormi benefici se altri individui, oltre a Craig Venter e me stesso, renderanno pubblico il loro genoma. Solo quando centinaia di migliaia di genomi saranno studiati approfonditamente, potremo cominciare a comprendere il significato di molte, molte differenze sequenziali che distinguono un essere umano dall'altro. Spero tanto che la decisione di sequenziare il nostro genoma o quello di bambini affetti da particolari patologie resti una decisione personale, non un'imposizione dettata dall'alto di autorità regolamentari. Che la genetica resti libera, così che ci possa aiutare a costruire un mondo migliore. Rabbrividisco al pensiero di un futuro in cui comitati di «saggi» mi dicano quello che è bene per me e la mia famiglia. Mentre il governo può essere sicuramente l'ente più appropriato per costruire le nostre autostrade o gestire le nostre prigioni, non può certo essere quello che ci dice che cosa fare delle nostre conoscenze genetiche. Il modo in cui risponderemo ai tanti dilemmi impegnativi che il futuro ci porrà in questo campo, dovrebbe dipendere dai nostri valori personali. Per il futuro prevedibile, gli Stati Uniti potrebbero saggiamente seguire il vecchio suggerimento del pioniere del genoma, Maynard Olson, che ha chiuso la recente conferenza sul Genoma Personale al Cold Spring Harbor Laboratory incitando tutti a «Democratizzare, Decentrare e Darwinizzare» approcci futuri per la gestione delle informazioni genetiche. Illustrazione di FABIO SIRONI

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fiat rilancia su opel, offerta migliorata - paolo griseri (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 24-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 8 - Economia Fiat rilancia su Opel, offerta migliorata Lo rivela il governo di Berlino. Altri 4 miliardi a Gm. Obama: sarà più forte Magna corre ai ripari in Westfalia e tratta sui tagli allo stabilimento di Bochum Il ministro Guttenberg: il Lingotto pronto a una quota più alta nel capitale PAOLO GRISERI TORINO - A turbare la navigazione di Magna verso la Opel ci pensa il ministro tedesco dell´Economia, zu Guttenberg, con una dichiarazione di prima mattina: «La Fiat - annuncia - ha portato dei miglioramenti al suo piano». Frase di sicuro impatto perché viene dallo stesso ministro che 24 ore prima, pur dichiarando che il governo di Berlino non aveva ancora scelto, definiva «interessante» l´offerta dei rivali della Fiat. Che cosa è successo dunque nelle ultime ore? Secondo quanto riferito da Guttenberg, Torino avrebbe «migliorato l´offerta facendosi carico di un rischio maggiore, aumentando la propria quota nella futura società». Una mossa che comincia a produrre effetti anche tra i governatori delle regioni dove si trovano gli stabilimenti tedeschi del gruppo. Robert Koch, che governa l´Assia, pur ripetendo anche ieri la sua preferenza per Magna, ha giudicato «positivo il fatto che Fiat abbia migliorato la sua proposta», perché «il fatto che diverse aziende si battano per contendersi la Opel significa che tutto questo va a vantaggio dei lavoratori». La stessa Magna ha dovuto correre ai ripari per controbattere al Lingotto. E ieri i dirigenti del gruppo austro-canadese hanno fatto tappa in Westfalia per incontrare il governatore Juergen Ruettgers che venerdì aveva definito l´offerta di Magna «inaccettabile». In Westfalia si trova infatti lo stabilimento di Bochum, dove il gruppo austriaco vorrebbe tagliare migliaia di posti di lavoro. L´unico che sembra non avere dubbi sulla scelta è il numero due di Angela Merkel, il socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier che ieri ha ripetuto al giornale popolare Bild la sua preferenza per Magna. La battaglia, insomma, è entrata nella fase calda. Con Marchionne che dichiara allo Spiegel di non voler chiedere elemosine ai tedeschi e si lascia andare a qualche frecciata ironica: «Vedo che anche la Magna ha scoperto la Russia dove noi siamo presenti da decenni». Ottimista si dichiara Silvio Berlusconi: «La battaglia per la Opel - ha detto il Presidente del Consiglio - non è ancora perduta e io sono fiducioso perché so che il governo tedesco è imparziale di fronte alle diverse offerte». La parola fine verrà detta, come tutti si attendono, dagli Usa. Ieri Barak Obama ha voluto ricordarlo dichiarando di lavorare «perché Gm sia una compagnia più forte dopo la ristrutturazione». Il governo americano, ha aggiunto il presidente «potrà tirarsi fuori dall´auto non appena ci sarà la ripresa». La Casa Bianca ha così accordato altri 4 miliardi di credito alla Gm facendo salire a 19 miliardi la somma totale erogata a Detroit. Nei prossimi giorni dovrebbero recarsi oltreoceano sia i manager della Fiat sia il ministro dell´economia tedesco. Zu Guttenberg dovrebbe annunciare qual è la scelta che Berlino farà entro la fine della settimana tra i diversi piani giunti sul tavolo di Angela Merkel.

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il cavaliere non è più né felice né contento - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 24-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 33 - Commenti il cavaliere non è più né felice né contento Non sembra esserci un´impennata per il partito del premier. C´è da chiedersi perché Lo strapotere, reale e ostentato, inizia a stancare una quota crescente di italiani (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) La Fiat di Marchionne e della famiglia Agnelli ha preso già da qualche mese l´iniziativa di mettere insieme un gruppo di imprese automobilistiche che raggiunga una capacità produttiva di almeno sei milioni di autovetture. Prodotte e collocate nel mercato mondiale. Si è detto con legittimo orgoglio nazionale che in questo caso la Fiat non è una preda ma il predatore. Le prede sarebbero la Chrysler, la Opel e la Vauxhall possedute dalla General Motor e forse anche le aziende che la GM possiede in Brasile e in Argentina. L´orgoglio nazionale è legittimo, ma l´immagine di prede e predatori è del tutto impropria. In realtà la genialità di Marchionne è stata quella di attaccare per difendersi. Non mi sembra che questa verità sia stata compresa né dal governo italiano né dai sindacati italiani e tedeschi né dai governatori dei lander dove sorgono le fabbriche Opel. Non ci sono prede né predatori. C´è la necessità di creare un gruppo capace di competere sul mercato mondiale. Non è un obiettivo opzionale, ripeto: è una necessità. Se l´obiettivo non sarà raggiunto avremo delle aziende destinate a soccombere entro un breve arco di anni dopo essere state mantenute a stralcio a carico dei contribuenti dei rispettivi paesi. Obama ha capito fin dall´inizio questa situazione ed ha infatti patrocinato l´ingresso di Fiat in Chrysler; anche i sindacati e i creditori di Chrysler hanno capito ed hanno accettato i necessari sacrifici. Ora tocca al governo e ai sindacati tedeschi e alla General Motor decidere. Non è un caso che la Fiat abbia impostato l´operazione a costo zero. Non si tratta infatti di una scalata societaria (predatore-preda) ma d´una operazione di reciproca sopravvivenza dove non ci saranno né vincitori né vinti. All´ultima ora Marchionne ha migliorato l´offerta Fiat diminuendo a diecimila i previsti esuberi per quanto riguarda la Opel. L´accordo prevede una ristrutturazione che mantenga le quote di mercato ma diminuisca i costi attraverso sinergie di qualità e aumento di produttività per unità di prodotto, con la conseguente diminuzione dei posti di lavoro. L´alternativa è perire. Non stupisce che i ministri Scajola e Sacconi non se ne rendano conto; stupisce invece che non lo capiscano Epifani, Bonanni e i sindacati tedeschi, che di queste questioni ne dovrebbero sapere ben più dei ministri. Si spera che nelle prossime ore la ragione prevalga. Ma resta il problema della General Motors, gigante di argilla sulla soglia del fallimento. Obama riuscirà ad avviarla sulla strada di un´effettiva salvezza? E il cancelliere signora Merkel saprà pilotare la sua gente sull´unica strada seriamente percorribile? * * * Veniamo alla politica, non senza molta ansia per quanto accadrà a Berlino e a Detroit nelle prossime ore. Gli ultimi sondaggi compiuti da una decina di agenzie specializzate e diffusi dalla stampa nei giorni scorsi, prima che scattasse il divieto imposto dalla legge, danno risultati sostanzialmente omogenei: il Pdl oscilla in una forchetta tra il 39 e il 42 per cento; il Pd tra il 26 e il 29; la Lega tra il 9 e il 10, Di Pietro tra l´8 e il 9; le due sinistre sfiorano ma non arrivano alla soglia del 4; l´Udc tra il 6 e il 7. Si tratta di sondaggi e quindi fallibili, ma sono il solo telaio sul quale ora possiamo ragionare. E cominciamo con il partito di Berlusconi. La forchetta 39-42 è indubbiamente un´ipotesi molto forte ma non è certo uno sfondamento. Sfiorò il 38 per cento alle politiche del 2008 dopo le quali ci fu l´indubbio successo sui rifiuti di Napoli e il terremoto d´Abruzzo: una sciagura nazionale ma oggettivamente un´occasione benissimo gestita per il governo. Era dunque legittimo prevedere un´impennata di consensi che invece, stando ai sondaggi, non c´è stata. C´è stato un freno e bisogna domandarsi quali ne siano le cause. Una delle cause è certamente connessa con la crisi economica che è ancora ben lontana dalla soluzione. I suoi effetti negativi sull´economia italiana non sono ancora arrivati al culmine che secondo le previsioni si verificherà nel secondo semestre dell´anno in termini di rallentamento del Pil e di aumento della disoccupazione. Il governo ha finora impegnato, per combattere la crisi, meno di mezzo punto di Pil, 6-7 miliardi di euro. Il resto, per usare un termine caro a Tremonti, è stato "movimentazione", risorse prese da un capitolo di spesa e trasferite ad un altro oppure promesse ma non spese. «Si farà a tempo debito» ripete il ministro dell´Economia suscitando le ire gentili della Marcegaglia e la rabbia nei sindacati e nell´opposizione. Questo comportamento frena il consenso, ma lo frena anche lo strapotere di quello che Veronica Lario ha chiamato l´imperatore. Questo strapotere, reale ed ostentato, comincia a stancare una crescente quota di italiani. Non solo quelli che sono sempre stati all´opposizione ma anche molti che un anno fa gli hanno dato il voto. C´è una crepa nel muraglione del consenso e lentamente si sta allargando. Probabilmente non rifluirà sulle forze di opposizione ma andrà ad ingrossare l´area dell´astensione. Che cosa accade nel frattempo dalle parti dell´ex centrosinistra? Stando ai sondaggi sopracitati il Partito democratico oscilla tra il 26 e il 29 per cento. Realisticamente con quale dato dobbiamo paragonarlo? Nel voto di un anno fa il Pd di Veltroni ottenne il 33,3. Ci si era illusi in una vittoria e perciò sembrò una cocente sconfitta ma in realtà non lo era, non era mai accaduto in Italia che un partito riformista ottenesse il consenso di un terzo degli elettori. Mai. Quel risultato inoltre si ebbe dopo la pessima esperienza della coalizione prodiana, lacerata da una rissa continua. L´estrema sinistra crollò ma i suoi voti non andarono ai riformisti bensì all´astensione. Allora assumere come riferimento il 31 per cento dell´Ulivo alle europee del 2004? Oppure il 22 per cento dei sondaggi dello scorso febbraio, dopo la sconfitta in Sardegna e le dimissioni di Veltroni? Nel primo caso ci sarebbe un calo di quattro punti, nel secondo un aumento di altrettanti e forse più. * * * Intanto il premier straparla e nessuno dei suoi è in grado di contenerne gli eccessi. Lo preoccupa un´erosione percepibile tra la gente di buon senso che l´ha votato e si sta domandando se ne sia valsa la pena. Lo preoccupano le rampogne cattoliche sui temi dell´emigrazione e della civile convivenza. Lo preoccupa la Lega. Lo preoccupa persino Tremonti. E lo preoccupa infine la spina quotidiana di Franceschini. Il solo con cui va a nozze è Di Pietro che non passa giorno senza attaccare il Pd e fornire un "assist" a Berlusconi. Di Pietro oggi come Diliberto e Pecoraro Scanio ieri. Le elezioni europee, oltre a rinnovare il Parlamento di Strasburgo, serviranno a misurare il distacco tra Pdl e Pd. I voti ottenuti da Di Pietro non avranno alcun peso su quella bilancia, perciò non influiranno sul rapporto di forza tra governo e opposizione. L´esempio più recente dell´"assist" dipietrino sta nell´eventuale presentazione d´una mozione di sfiducia alle Camere destinata a ricompattare il fronte berlusconiano. Non sono errori ma improvvide furbizie e documentano che il nemico di Di Pietro non è Berlusconi ma il Pd. Il problema dei democratici è quello di mobilitare gli elettori che hanno lasciato il Partito democratico e si sono rifugiati nell´area dell´astensione. Se c´è un momento in cui non ha senso astenersi è questo. Non ha senso criticare Berlusconi e astenersi. Non ha senso proclamarsi di sinistra e astenersi. Non ha senso avvertire sulla propria pelle l´imbarbarimento sociale e astenersi. Non ha senso temere una svolta autoritaria che è sotto gli occhi di tutti e astenersi. Dopo le europee ci saranno ancora quattro anni di legislatura e ci saranno altre occasioni importanti per contare le forze, scegliere le alleanze, selezionare il personale politico. Dieci giorni dopo il voto del 6 e 7 giugno ci saranno i ballottaggi e il referendum, ma il primo appuntamento è tra due settimane. Gli elettori diranno se in quella giornata la democrazia italiana sarà sconfitta oppure se le europee saranno una sorta di linea del Piave da cui ripartire. Gli elettori, ricordiamocelo, hanno sempre ragione qualunque sia il verdetto. L´altra sera, in una trasmissione televisiva, mi sono imbattuto prima di cambiar canale in Borghezio e nella Santanchè. Dico la verità: dopo averli ascoltati m´è venuta la voglia di espatriare.

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I PERDENTI CHE VIVONO DI SCONFITTE (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 24-05-2009)

Argomenti: Obama

Barbara Spinelli I PERDENTI CHE VIVONO DI SCONFITTE Hans Magnus Enzensberger, scrittore tedesco, li chiama i perdenti radicali. Sono coloro che non si guardano intorno e non cercano di capire come il mondo si disfa e si rifà, quando sono alle prese con traumi sociali, ma vivono le calamità come una specie di giudizio universale anticipato. Non hanno altra misura che se stessi: sono loro le uniche grandi vittime, loro gli umiliati e gli offesi. La solidarietà con popoli o persone che soffrono più di loro è inesistente. Potrebbero anche non essere perdenti in modo radicale, potrebbero sforzarsi di vedere quel che in ogni crisi è opportunità, mutazione. Ma la scelta che hanno fatto di essere perdenti ha qualcosa di definitivo, di fatale. La realtà ha poco peso in quel che dicono e che pretendono di vedere. C'era un po' di tutto questo nei tumulti della scorsa settimana a Torino: prima al Lingotto, quando alcuni appartenenti ai Comitati di base hanno contestato e malmenato il sindacalista Rinaldini, segretario della Fiom; poi il 18 e 19 maggio, quando due-trecento violenti hanno rovinato la manifestazione dell'Onda e scatenato, come avevano promesso, una guerriglia urbana davanti al Castello del Valentino dove si svolgeva il G-8 dei rettori. L'uso del nome G-8 è stato una provocazione stupida, certo: dopo gli eventi del 2001 a Genova, la sigla evoca un potere che agisce impunemente con inaudita violenza. Ma una sigla errata non giustifica le armi scelte nei tumulti torinesi: gli spintoni brutali al Lingotto e poi, al G-8 universitario, i sassi, le spranghe, i fumogeni, i caschi e le mazze, gli estintori, le auto e i bidoni incendiati. La storia non si ripete mai eguale a se stessa e nessun movimento ripete le gesta anteriori. Non è nemmeno vero che la tragedia si ripete in farsa, come diceva Marx. La storia è capriccio inopinato e anche quello che dopo chiamiamo tragedia non era all'inizio che gioco, parola. Rudi Dutschke non era affatto un terrorista, ma fu lui, nel febbraio 1966, ad auspicare la guerriglia urbana nelle democrazie. Spesso le tragedie cominciano con discorsi che tollerano, incitano: i romanzi di Dostoevskij - i Demoni, i Fratelli Karamazov - narrano precisamente questo. Uno parla con leggerezza, poi arriva il perdente radicale e passa all'atto cruento. Per questo è giustificato quel che ha scritto Luigi La Spina, il 20 maggio su La Stampa: la memoria di passate violenze «può essere un incubo, ma anche un vaccino». La crisi economica che stiamo vivendo è una prova, ben più grave per milioni di persone di quel che conobbe la generazione del '68 o '77: non a caso i tumulti tendono ovunque a moltiplicarsi (periferie in rivolta, sequestri di manager). Per questo converrà studiarne le radici, e comunque non sottovalutarli. Ma occorrerà farlo evitando se possibile le scorciatoie, che sono due. La prima consiste nel concentrarsi esclusivamente sull'ordine pubblico, reprimendo ogni scontento come se il legame tra scontento e terrorismo fosse automatico. È la via militarizzata, simile alla guerra mondiale al terrore: il male è combattuto solo con le armi. Non meno insidiosa tuttavia è la seconda scorciatoia. È la via che psicologizza, socio-analizza: che condona piccole violenze, e tratta gli estremisti come fossero bambini, non cittadini maggiorenni. Essa rinuncia a indicare il limite invalicabile delle proteste, e s'accomoda - soprattutto in Italia - con una cultura dell'illegalità diffusa sin nei vertici dello Stato. La gioventù è un soffio scottante che viene e che va: basta fidarsi della biologia. La psicologia ha fatto molti danni nell'ultimo secolo e mezzo. I politici e le classi dirigenti non sono incolpevoli, in questa faccenda. Se si accumulano tante incomprensioni, se piccoli ma numerosi gruppi sono attratti dalla violenza e faticano a guardare il mondo come cambia, è anche perché sono rari i responsabili che esplorano e dicono quel che davvero sta accadendo. I più cercano di nascondere gli scombussolamenti che la crisi porta con sé: il rischio che nella vita di ciascuno si dilata, i risparmi e i salari che scemano, la vasta trasformazione dei costumi che s'imporrà. Gian Enrico Rusconi spiega le differenze che esistono, ad esempio, fra italiani e tedeschi: ci sono sciagure anche in Germania, ma minore tensione sociale. Questo perché il cittadino è meglio informato, da politici e stampa. Diversamente dai governanti italiani, i tedeschi «non hanno mai diffuso ottimismo di maniera» (La Stampa, 17-5). In Italia e a Torino quel che infiamma gli spiriti è da qualche tempo la Fiat. Quanti impieghi saranno sacrificati per salvare l'industria dandole l'indispensabile dimensione transnazionale? E lo Stato che fa, per proteggere il lavoro italiano? Il caso è emblematico perché rivela tre pericoli al tempo stesso: lo stacco dalla realtà, il nazional-protezionismo, e il nuovo potere dello Stato in questa crisi (uno Stato intrusivo più che spendaccione, scrive Martin Wolf sul Financial Times). Occultare la realtà vuol dire aspettare che «tutto torni come prima, meglio di prima» (Berlusconi, 17-5). Vuol dire ignorare quel che nella crisi dell'auto non è episodico. L'auto ha conosciuto un'espansione straordinaria grazie al petrolio abbondante e poco caro, e all'indifferenza verso il clima devastato. Tante scelte sono legate a quell'epoca - i Suv, il fenomeno delle città residenziali periferiche, i suburbia americani dai quali ci si muove essenzialmente con automobili - e son destinate a diminuire o sparire (è la tesi di James Kunstler, nel libro The Long Emergency uscito nel 2006). Oggi siamo a un bivio, e il risparmio energetico voluto da Obama lo attesta: ogni auto nuova deve avere un motore capace di fare 35,5 miglia per ogni gallone (57,1 chilometri con 3,8 litri). Un mutamento che può incoraggiare la reinvenzione dell'industria ma che sarà costoso per tutti: consumatori, imprese, operai, politici bisognosi di popolarità. Quel che dice Sergio Marchionne è difficilmente confutabile: si producono troppe auto nel mondo (95 milioni) per un pianeta che va tutelato. 20 milioni sono di troppo. I manifestanti al Lingotto scandivano, lunedì: «Marchionne, tu vvò fà l'americano», occultando anch'essi la realtà. Se si vuol aggiustare il clima, occorre dire queste verità e trarne conclusioni. Secondo alcuni studiosi, bisogna uscire dal mondo auto-industriale: puntando sul trasporto pubblico e su veicoli che risparmino energia drasticamente. Lo scrive l'economista Emma Rothschild in un saggio sul New York Review of Books del 26 febbraio, nel quale è criticata la vista corta di produttori e governi. Lo scrive l'analista Max Fraser il 13 maggio su The Nation. Fraser cita le parole di una sindacalista americana, Dianne Feeley, ex lavoratrice alla Ford: «Salvare l'industria dell'auto così com'è non ci darà impieghi, non ci metterà sulla buona strada per il clima, non aiuterà le nostre città. La strategia deve concentrarsi su come salvare la classe operaia e le nostre comunità». Marchionne dice un'altra cosa importante: l'America ha più mezzi di noi europei, pur traversando una crisi maggiore. Ha un governo unitario, sindacati che cooperano. L'Europa non è a questo punto: qui è lotta di ogni nazione contro le altre, qui non si pensa in grande (geograficamente, industrialmente, politicamente). Non stupisce che sia così anche dentro le società, come spiega bene lo storico Marco Revelli: al classico conflitto verticale - tra lavoratori e impresa - si sta sostituendo il conflitto orizzontale: lavoratori contro lavoratori, nazioni contro nazioni. Ogni scheggia mira a farsi vedere, «come in un reality show» (La Stampa, 18-5). Il perdente radicale vive di scontri orizzontali e reality show. Vive di sconfitte, che teme ma segretamente agogna. Esattamente come i mercati, i perdenti radicali «si scatenano quando sentono odore del sangue». CONTINUA A PAGINA 27

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Il primo nero alla direzione (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 24-05-2009)

Argomenti: Obama

Nasa Il primo nero alla direzione Per la prima volta un afroamericano guiderà la Nasa. E' Charles Bolden, (foto), 62 anni, generale della Marina in pensione, veterano del Vietnam e dello spazio, dov'è stato quattro volte: due come pilota dello shuttle, due come comandante. La nomina, fatta dal presidente Obama, dovrà essere confermata dal Senato, ma ha già riscosso il gradimento dei dipendenti dell'agenzia spaziale. Bolden, il secondo astronauta a diventare amministratore Nasa, sarà affiancato da Lori Garver, consigliere per lo spazio di Obama.

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Obama a Cuba "Confronto sugli immigrati" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 24-05-2009)

Argomenti: Obama

I COLLOQUI ERANO STATI FERMATI DA BUSH NEL 2005 Obama a Cuba "Confronto sugli immigrati" [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Barack Obama chiede al regime cubano di riprendere i colloqui sull'immigrazione legale e rilancia il dialogo, iniziato con le timide aperture del vertice delle Americhe lo scorso aprile a Trinidad ma subito rientrato dopo la decisione americana di mantenere Cuba nella lista dei Paesi sponsor del terrorismo. Questa nuova iniziativa, secondo il dipartimento di Stato, ha l'obiettivo di «riavviare un confronto concreto e confermare l'impegno reciproco per garantire flussi ordinati, sicuri e legali da Cuba verso gli Usa». Il presidente Obama «vuole essere sicuro di fare tutto il possibile per garantire ai cittadini cubani che vogliono vivere in libertà il sostegno di cui hanno bisogno», spiega la portavoce del dipartimento di Stato, Darla Jordan. L'iniziativa segue la revoca delle restrizioni ai viaggi e alle rimesse per gli americani che hanno famiglia nell'isola, concessa da Washington in aprile. L'amministrazione Obama vuole riaprire il confronto sospeso oltre cinque anni fa da George W. Bush, in vista dei lavori dell'Organizzazione degli Stati americani (Oas), dove si discuterà il rientro di Cuba, che era stata esclusa nel 1962. Il segretario di Stato, Hillary Clinton, ha però precisato che non sosterrà la riammissione dell'Avana finché il presidente Raul Castro non avvierà le riforme democratiche e non rilascerà i prigionieri politici. Il futuro delle relazioni Usa-Cuba e l'eventuale revoca dell'embargo dipendono dunque dalle prossime mosse del regime. Per ora Cuba non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali ma sembra che stia valutando attentamente la proposta di Washington. Da Miami la Fondazione nazionale dei cubano-americani, che rappresenta buona parte degli esuli, ha accolto positivamente l'iniziativa americana, vista come «un'opportunità per risolvere questioni di interesse nazionale per gli Usa stessi». Alcuni politici repubblicani della Florida, originari di Cuba, parlano invece di «una pericolosa concessione unilaterale di Obama alla dittatura», e difendono la decisione di sospendere i colloqui che George W. Bush prese per la sistematica violazione degli Accordi sulla migrazione del 1995. Il dialogo si interruppe bruscamente nel gennaio del 2004, dopo un duro scambio di accuse. Gli Usa dissero che i cubani avevano fatto saltare un round di colloqui all'ultimo momento «a causa del rifiuto di discutere le questioni di fondo». L'Avana replicò che «l'unica responsabile della cancellazione dell'incontro» era l'amministrazione Bush. Washington, per garantire un'emigrazione «legale, ordinata e senza pericoli», aveva preparato un memorandum in cinque punti, tra cui l'obbligo per Cuba di concedere visti d'uscita a tutti gli emigrati con i requisiti per trasferirsi negli Usa e l'autorizzazione al personale diplomatico americano di controllare il trattamento riservato ai cubani rientrati in patria. Furono proprio le violazioni di questi due punti a causare la rottura.

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Franco Frattini (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 24-05-2009)

Argomenti: Obama

«L'offerta avanzata da Torino è conveniente e importante» Franco Frattini Ministro degli Esteri Fiat è «già preoccupata» per il «deterioramento del valore» degli asset di Chrysler e chiede alla corte fallimentare di New York di impedire ogni forma di ostruzionismo sulla vendita dei beni alla nuova società controllata per un 20% dal Lingotto. I timori del gruppo torinese emergono dai documenti depositati presso il tribunale distrettuale della City secondo cui «ogni eventuale ritardo nella vendita rischia di rivelarsi fatale per il rilancio di Chrysler, lasciare senza lavoro centinaia di migliaia di persone e avere ricadute devastanti su molte comunità in Canada e negli Usa». Il riferimento è alla campagna avviata da tre fondi pensione dell'Indiana, che hanno chiesto al tribunale di bloccare la ristrutturazione di Chrysler in quanto viola i loro diritti legali, perché il governo «riserva un trattamento migliore a creditori non di prima linea ed utilizza in modo non appropriato fondi che dovrebbero essere destinati al salvataggio delle banche e non dell'azienda». Una minaccia che arriva a pochi giorni dall'udienza per la vendita degli asset di Chrysler, in programma il 27 maggio, mentre il governo ha fissato al 15 giugno la scadenza massima per completare la vendita alla Nuova Chrysler. Il timore di Fiat è che col passare del tempo aumenti il rischio di un deterioramento degli asset, visto che la chiusura di impianti e stabilimenti ha ricadute sulla rete di fornitori e concessionari. L'azienda di Auburn Hills da parte sua fa il possibile per accelerare i tempi iniziando a pagare ad alcuni dei suoi fornitori la metà dei debiti contratti prima di finire in amministrazione controllata. Sul fronte General Motors invece la società incassa altri quattro miliardi di dollari dal Tesoro facendo salire il totale degli aiuti pubblici concessi da inizio anno a 19,4 miliardi, mentre per la fase successiva saranno necessari altri 7,6 miliardi. Il nuovo prestito è stato accordato dal governo di Obama per far fronte alle crescenti esigenze di liquidità prima della scadenza del primo giugno per la bancarotta controllata prevista dal Chapter 11. La soluzione in tribunale appare ormai quasi certa anche nel caso in cui il 100% dei creditori aderisse all'offerta di conversione del debito entro la scadenza del 27 maggio. Il piano prevederebbe l'iniezione di «decine di miliardi di dollari» da parte del governo e stima nel prossimo autunno l'uscita dalla bancarotta. Gm punterebbe a incassare il via libera per la cessione degli asset buoni a una nuova società entro il 1 luglio. La vicenda rimbalza a Capitol Hill dove un gruppo di repubblicani guidati dal deputato del Texas, Jeb Hensarling, chiede una convocazione della task force, e accusa l'amministrazione di aver usato i soldi Tarp per avvantaggiare i sindacati, vicini al partito democratico «penalizzando invece i creditori». Dall'altra un gruppo di 36 membri del Congresso, democratici e repubblicani, prendono le difese di fornitori e rivenditori costretti a chiudere e temono che un nuovo intervento federale per Gm possa costare troppo ai contribuenti.

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emiliano show nella tana di simeone - giuliano foschini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 24-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina V - Bari Emiliano show nella tana di Simeone Comizio del primo cittadino nel Murattiano a caccia dei voti moderati Accordo con la Dec: i box di corso Cavour spostati fuori dal quadrilatero. Una parte del lungomare intitolato a Tatarella GIULIANO FOSCHINI Nessun parcheggio in corso Cavour, «abbiamo un accordo con la Dec per trasferire senza costi per l´amministrazione quel progetto in un´altra zona della città, fuori dal centro». Un omaggio alla destra cittadina, partendo dal ricordo di Pinuccio Tatarella, «perché non si può negare al sindaco di Bari di omaggiarlo intitolandogli un lungomare». E poi, la svolta di Rosa Marina: «Tutti i proprietari di case, ville, masserie sappiano che Simeone Di Cagno Abbrescia e soprattutto l´uomo che gli dà ordini, Raffaele Fitto, vogliono costruire una centrale nucleare lì accanto». Michele Emiliano ha provato così, ieri sera in piazza San Ferdinando, ad andare alla caccia dei voti moderati del Murattiano. Il sindaco ha deciso di inaugurare la sua campagna elettorale in centro, l´unico quartiere dove secondo tutti i sondaggi è in vantaggio il sua avversario, Simeone Di Cagno Abbrescia. Duemila persone ad ascoltarlo, sotto il palco le bandiere di tutto lo schieramento, da Rifondazione ai Moderati per Emiliano, da Sinistra e Libertà al Pd. «Chi vota Di Cagno - ha detto Emiliano - non può non tenere conto che questo signore è un servo di Fitto: fa tutto quello che gli viene ordinato. E soprattutto lo farà anche da sindaco». Emiliano, però, è convinto di vincere. «I sondaggi ci danno sette punti sopra. Ma dobbiamo farcela al primo turno». Un´ora e più di discorso, il suo, tra rivendicazioni sul lavoro svolto anche in centro (il progetto di via Sparano, per esempio) della sua amministrazione e duri attacchi sulla legalità: ha parlato di «mercimonio di voti», accusato «chi, con il denaro, costringe la gente a vendere la propria dignità», ricordato come «Bari non è più la città della malavita e dei contrabbandieri, delinquenti che orientavano migliaia di voti». A tratti non ha resistito al suo populismo, saltando per esempio sul palco a ritmo di cori da stadio (il Parigino, il capoultras del Bari candidato, era in prima fila). è poi scivolato su un paio di battute («mia madre, qui in prima fila, mi dice di non gridare troppo. Per fortuna non è come la mamma di Fitto») per poi concludere citando Obama e ricordando che la sua amministrazione, «sarà sempre quella della gente». «Il direzionale e la metropolitana del San Paolo - ha detto - sono due gioielli: molte signore del centro, prima, si lamentavano che le cameriere arrivassero in ritardo. Scusateci, signore, ma non l´abbiamo fatto per voi».

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Tremonti-Prodi: sigari, chiacchiere e anti-mercatismo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 24-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 24/05/2009 - pag: 6 Due giorni «a braccetto» Tremonti-Prodi: sigari, chiacchiere e anti-mercatismo DA UNO DEI NOSTRI INVIATI VENEZIA Forse qualcuno dirà che anche questo nuovo sodalizio è, in fondo, un po' figlio della crisi finanziaria. Ma vederli chiacchierare amabilmente sul ponte del ferry che li porta a San Marco, seguirli mentre fumano il sigaro con il banchiere «comune», ascoltarli mentre dirigono il dibattito su Stato e mercato fra abbracci sul metodo e solo qualche lieve puntura accademica, ha reso la ventisettesima edizione degli Aspen seminars for leaders un'esperienza inedita. I veri protagonisti della due giorni che si è svolta a Venezia sono stati loro: il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi. O meglio, la loro sintonia, che ha colpito e forse contagiato un po' tutta la «classe dirigente» chiamata a discutere a porte chiuse sull'isola di San Clemente. Se si esclude un pacato disaccordo fra il ministro Tremonti e l'ex primo ministro Giuliano Amato sull'opportunità di spingere la domanda interna per contrastare la caduta dell'export, il dibattito è sembrato più un incontro fra sensibilità comuni che un confronto fra chi oggi potrebbe stare anche su «barricate» differenti. Come, per esempio, il leader della Cgil Guglielmo Epifani. Il seminario lo hanno introdotto loro, Tremonti e Prodi, con Amato e Mario Monti. E qui c'è stato subito il pizzicotto accademico. Inserito però in una sorta di comune «disclaimer» di fondo: qui di «mercatisti» non c'è ombra. Lo Stato deve regolare, ma la crisi ha fatto capire, soprattutto all'estero, che la proprietà può diventare necessità e virtù. Prodi si definisce un keynesiano da sempre, anche se non fanatico dello Stato. Ma per far capire quanto in realtà il rapporto fra pubblico e mercato sia una questione di pragmatismo, non cita Barack Obama, bensì Benito Mussolini. O meglio, l'economista Pasquale Saraceno che gli riferisce un colloquio tra Alberto Beneduce, fondatore dell'Iri, e il Duce: Mussolini, cosa dobbiamo fare? La risposta è stata: fate qualcosa per le imprese. E Tremonti corregge sorridendo: per le banche. Ma è il solo «buffetto», restituito da Prodi quando, riprendendo un piccolo inciampo di Franco Bernabé sulle cariche di Tremonti, chiama quest'ultimo «ministro dei ministri». Per il resto quasi stupisce l'uno-due sul metodo degli ex nemici. Prodi dice: oggi tutti studiano macroeconomia, ma chi se ne frega? La manifattura è il passato o il futuro? Lui, il Professore, ha studiato la struttura industriale da Amburgo a Firenze. Una dorsale europea. Mentre in Gran Bretagna oggi l'industria conta per il 12% del pil. E anche la Francia è più debole di quanto si pensi. La nostra struttura industriale è ben diversa. Parole che piacciono a Tremonti: apprezza il «discorso sul metodo del Professor Prodi», che parte dai dati e non dai pregiudizi, ed è anche disposto a riconoscere ai passati governi, compreso quindi quello guidato dall'economista emiliano, «prudenza» nella gestione del debito pubblico. Certo, poi aggiunge: oggi per la prima volta negli ultimi 10 anni la crescita del nostro deficit è inferiore alla media europea. Ma c'è una linea di continuità. Rintracciabile anche nell'aneddoto che Tremonti racconta quando il discorso si sposta sulla social card: il governo si aspettava 1,2 milioni di richieste e ne sono arrivate 770 mila, di cui 220 mila sbagliate o false. Difficile «individuare» la povertà. Tremonti narra di sé in montagna subito dopo la nomina a ministro. Una signora lo ringrazia perché il governo le ha già consegnato un bonus sulla pensione. In realtà il bonus era di Prodi, ammette Tremonti, ma non l'ho detto. E aggiunge: la signora aveva un gippone. Sergio Bocconi

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L'America di Obama in pressing su Gm guarda al modello Fiat (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 24-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 24/05/2009 - pag: 5 La scommessa di Washington L'America di Obama in pressing su Gm guarda al modello Fiat DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Un po' c'entra lo stile dell'uomo. I tedeschi sono abituati al «mettiamoci attorno a un tavolo e troviamo una soluzione tutti insieme». Un interlocutore come Sergio Marchionne che si sforza di essere diplomatico, ma nei cui occhi leggi un «levatevi di torno e vi faccio vedere io come si fa», a Berlino suscita diffidenza, mentre piace all'America che premia l'audacia, che è affascinata dall'imprenditore che va controcorrente. Ed è proprio mostrandosi audace (dall'alba al tramonto, ha scritto la stampa Usa, un «player» europeo è diventato un titano mondiale) e andando controcorrente (il gruppo torinese arriva nel mercato Usa quando l'era delle vacche grasse è finita da un pezzo e affronta il mondo dei ciclopi con la «500») che la Fiat di Marchionne ha fatto dimenticare agli americani le antiche diffidenze. Nessuno parla più delle vetture che trent'anni fa davano grattacapi ai proprietari, tanto da trasformare il nome della casa torinese nello scherzoso acronimo di «Fix It Again Tony» (aggiustala di nuovo Tony, classico nome da meccanico) perché oggi la Fiat torna sul suolo americano tuffandosi con coraggio in un'impresa rifiutata da molti altri: ridare vita a una Chrysler agonizzante. Con una sfida nella sfida: trasformare una Casa specializzata in mezzi pesanti - soprattutto Suv, camioncini e minivan - in un produttore molto più orientato verso piccole e medie vetture a basso consumo. Un progetto sostenuto apertamente da Obama, che ha più volte espresso in pubblico il suo apprezzamento per la Fiat e per Marchionne, e che gode di rispetto e considerazione anche al Congresso (nessun intervento diretto, ma l'esplicita simpatia di leader come Nancy Pelosi) mentre tutti i tentativi di suscitare una reazione contro l'«invasore» straniero sono finiti nel nulla: un po' perché l'italo-canadese Marchionne, anche quando assume atteggiamenti un po' guasconi, agli americani fa venire in mente John Wayne a cavallo, non lo stereotipo dell'italiano un po' sbruffone, e anche perché gli Usa sono già pieni di impianti automobilistici giapponesi, tedeschi, coreani. E poi, come detto, quello azzannato dalla Fiat non è un boccone prelibato, ma un osso già molto spolpato. Un po' di polpa è attaccata a un altro osso: quella Opel che Marchionne sta cercando di comprare dalla General Motors. Qui l'amministratore delegato della Fiat si è trovato a dover fronteggiare l'ostilità dei tedeschi (il cui ruolo è essenziale perché il piano di risanamento può funzionare solo se adeguatamente finanziato dal governo di Berlino), ma anche a Detroit (Opel è, comunque, proprietà di GM) la strada è in salita. Rispetto alla trattativa Chrysler, la maggior durezza negoziale mostrata da Fritz Henderson nei confronti della Casa italiana è stata attribuita ai rancori lasciati dal divorzio di tre anni fa tra le due Case (costato a quella di Detroit un paio di miliardi di dollari). Ma, tra quelli che seguono direttamente la trattativa, c'è chi giura che il manager che ha sostituito Wagoner al vertice della General Motors non sia affatto ostile alla Fiat: con la bancarotta alle porte non può permettersi di essere umorale e sa che il governo Usa - di fatto, ormai, azionista di maggioranza di GM - ha scommesso sulla Casa torinese. Oltretutto, alla fine della ristrutturazione, la nuova società automobilistica alla quale dovrebbe fare capo la galassia Fiat-Chrysler-Opel non sarà una società italiana, ma una multinazionale nella quale, con la quota della famiglia Agnelli destinata a ridursi, il primo azionista potrebbe anche essere americano. Tutto il resto sono umori: lo stile e il «design» italiano piacciono ovunque, in Germania come negli Stati Uniti, ai conservatori come ai progressisti. Ma la promessa della Fiat di costruire negli Usa vetture economiche e a basso consumo, basate sui pianali Punto e Bravo e con motori dotati di un'ottima tecnologia di risparmio energetico, piace all'America giovane, ambientalista e «liberal» che si identifica nella nuova presidenza Obama; molto meno all'America profonda delle campagne e degli Stati dell'interno, che considera sacrilego rinunciare all' ortodossia dei «macchinoni» d'acciaio, con un trionfo di pistoni e cilindri sotto il cofano. Massimo Gaggi Il presidente Usa Barack Obama (sotto) per il rilancio di Chrysler si affida alla scommessa sul successo delle «piccole» della Fiat Da sinistra Fritz Henderson, Ceo di Gm, e Ron Gettelfinger, leader del sindacato Uaw

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 24-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Politica data: 24/05/2009 - pag: 10 Da Matrix Vinci: assurde le contestazioni a Confalonieri «No al gossip per screditare Ma c'è qualcosa da chiarire» MILANO Alessio Vinci, conduttore di «Matrix» su Canale 5, giornalista di grande esperienza internazionale - ha lavorato a lungo negli Stati Uniti prima di essere inviato per la Cnn nei posti caldi del mondo - dice di non aver difficoltà a condividere il giudizio di Massimo D'Alema sull'eccesso di pettegolezzo presente nei media italiani. Di gossip, ha detto ieri l'esponente del Pd a Bagnaia, «ce n'è così tanto che se ne può fare anche a meno». «Se ne può fare a meno commenta Vinci quando diventa un'arma per screditare questo o quel politico. E attorno a Noemi Letizia mi sembra è stata costruita una vicenda che può essere definita un caso di 'accanimento terapeutico' ». Il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri ieri ha detto che è stato «toccato il fondo». «A Confalonieri si contesta di essersi seduto al tavolo con Noemi Letizia e sua madre Anna Palumbo durante un galà del Milan cui hanno partecipato novecento persone. Non capisco dove sia la notizia, poiché lo stesso Silvio Berlusconi non ha mai negato di conoscere le due donne». I giornali americani sarebbero stati più o meno aggressivi? «Il giornalismo anglosassone è più aggressivo, vedi il caso di Monica Lewinsky e di Bill Clinton, dove si è insistito sui particolari più scabrosi. Qualche tempo dopo lo scandalo, un consigliere di Clinton, Lanny Davis, scrisse un libro, Truth to tell (verità da dire), che contiene un consiglio valido per tutti i politici: se avete qualcosa da dire, ditelo subito, ditelo tutto, ditelo voi stessi, così ammazzerete ogni gossip». Come paragona il caso Lewinsky al caso Noemi? «Sono completamente diversi, perché Monica Lewinsky, a differenza di Noemi Letizia, dichiarò di aver avuto un rapporto sessuale. Alla stampa seria americana non interessava del resto sapere se la Lewinsky e Clinton avessero fatto sesso. I giornali importanti si occuparono del caso poiché il presidente aveva mentito». Anche Silvio Berlusconi ha fatto affermazioni, che sono state smentite, sulla sua partecipazione alla festa di compleanno di Noemi. «Nella vicenda ci sono aspetti da chiarire. Berlusconi all'inizio disse una cosa che si è dimostrata non vera, cioè che aveva conosciuto il padre di Noemi ai tempi in cui faceva l'autista di Bettino Craxi ». A chi giova secondo lei il gossip? «Ai giornali che vogliono vendere più copie e alle televisioni in cerca di ascolti. È un calcolo cinico». Sui siti dei giornali italiani spesso le notizie più cliccate sono quelle di gossip. Negli Stati Uniti è diverso? «Mentre Barack Obama annunciava lo smantellamento di Guantanamo, sui siti americani la notizia più cliccata riguardava la donna che aveva avuto due gemelli concepiti da due padri diversi». Dino Messina

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Obama nomina il primo nero a capo della Nasa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 24-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 24/05/2009 - pag: 13 Stati Uniti /1 Obama nomina il primo nero a capo della Nasa La Casa Bianca ha annunciato ieri la nomina dell'afro-americano Charles Bolden, 62 anni, come nuovo responsabile della Nasa. Ex generale dei marine, veterano del Vietnam e dello spazio, ha partecipato a quattro missioni della navetta shuttle. Se la sua nomina sarà confermata dal Senato diventerà il primo afro-americano alla guida della Nasa.

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Il rilancio del ministro di Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 24-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 24/05/2009 - pag: 23 G8 Firmato con Scajola un accordo sul carbone pulito, a settembre quello sull'>atomo Il rilancio del ministro di Obama «Con l'Italia nel nuovo nucleare» Il sottosegretario Chu rinnova l'asse energetico con Roma ROMA - Asse Italia-Usa non solo sulle auto ma anche sul fronte dell'energia pulita, carbone e nucleare. Il sottosegretario americano per l'Energia e premio Nobel Steven Chu (di origine cinese ma nato a S.Louis), nella sua prima visita in Italia, ha affermato che oltre all'intesa di cooperazione firmata ieri sulle tecnologie di 'clean coal', proseguirà la collaborazione per il rilancio del nucleare nel nostro Paese. «Naturalmente con le centrali di nuova generazione più sicure e vantaggiose - ha detto ancora Chu - anche gli Usa hanno in programma di costruirne 4 visto che gli ultimi impianti risalgono alla fine degli anni Settanta». Il ministro dello Sviluppo Claudio Scajola, che sotto i flash dei fotografi ha messo la sua firma accanto a quella di Chu sul testo dell'accordo fatto di soli tre articoli, ha anticipato che «entro settembre nascerà un gruppo di lavoro bilaterale di collaborazione tecnologia e industriale per il nucleare ». Un passo importante perché allontana i timori espressi dalla diplomazia italiana per un minor interesse degli Usa dopo il recente accordo sul nucleare siglato con la Francia. Lo stesso Steven Chu, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha detto di auspicarsi «che gli Stati Uniti possano avere al più presto un simile rapporto di collaborazione ». Una attenzione particolare verso l'Italia che si spiega anche con l'interesse mostrato dal dipartimento dell'energia americano nei confronti delle nostre «reti elettriche intelligenti» così definite dopo l'installazione dei contatori digitali. L'Enel, in questi ultimi mesi all'indomani della nuova amministrazione che ha capovolto la politica energetica di Bush, è stata molto attiva per far conoscere le sue tecnologie. Il G8 dell'energia, che si apre ufficialmente oggi per concludersi domani, è atteso come un laboratorio globale per nuove intese sulle fonti energetiche alternative e per un impegno sulla riduzione delle emissioni nocive. Il Summit è stato allargato a 23 Paesi che rappresentano l'80% della produzione del consumo di energia di tutto il Pianeta. Un impegno preso a questo livello geo-politico può essere in grado di condizionare l'andamento del prezzo del petrolio, che peraltro ha ricominciato a salire, la cui stabilizzazione «è determinante - ha commentato il sottosegretario Chu - per non avere conseguenze negativa sulla possibile ripresa economica a livello mondiale». In occasione di questo Summit nasce a Roma anche il primo «G8 delle Authority» i cui lavori saranno allargati ai regolatori di Brasile, Egitto, India, Messico, Arabia Saudita, Sud Africa, Corea del Sud, Grecia e alle nove maggiori associazioni internazionali del settore. L'obiettivo è quello di elaborare un documento comune che dovrebbe essere approvato dal board - «G8 regulators energy statement» - come contributo al superamento della crisi mondiale anche attraverso l'armonizzazione e il coordinamento dei sistemi regolatori e di controllo per favorire gli investimenti infrastrutturali e uno sviluppo della concorrenza a vantaggio dei consumatori. Molto atteso anche l'intervento del ministro russo dell'energia Sergei Shmatko che, all'indomani del sostanziale fallimento del vertice bilaterale con Bruxelles per evitare un'altra guerra del gas, oggi potrebbe fare qualche apertura per aderire alla Carta europea dell'energia che Mosca fino ad oggi ha sempre criticato. Il ministro Scajola ha ricordato l'importanza strategica di un altro summit che si svolge in contemporanea a Roma, quello delle 20 più importanti compagnie energetiche del mondo che chiederanno ai politici regole più semplici e più «stabili» per pianificare gli investimenti. Roberto Bagnoli

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Taxi to the dark side (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 24-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Tempo Libero data: 24/05/2009 - pag: 23 DOCUMENTARIO RRRR Taxi to the dark side Il documentario di Alex Gibley, Oscar 2008, vuol rimuovere dalla coscienza americana la peggior vergogna dell'era Bush le torture del carcere di Bagram, Afghanistan, ripetute poi nei campi lager di Abu Ghraib, Guantanamo. Vicenda reale di un taxista prigioniero senza prove del sadismo yankee che parte da un reportage del New York Times. Di questi inferni i papaveri della Casa Bianca dicevano di non saper nulla, che se c'erano dormivano: a Obama il compito della Verità Nuovo Orchidea

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nucleare, l'italia si allea con gli usa - antonio cianciullo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 24-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 31 - Economia Nucleare, l´Italia si allea con gli Usa Asse anche sul carbone pulito. Il ministro Steven Chu: subito risparmio e rinnovabili ANTONIO CIANCIULLO ROMA - La girandola delle opzioni tecnologiche, accelerata dall´urgenza di un cambiamento di rotta, rischia di rendere turbolento il G8 energia che si apre oggi a Roma. Ma la presenza di uno scienziato al timone del segretariato americano per l´Energia ha già prodotto un primo risultato positivo dando una scansione temporale che semplifica l´accavallarsi delle alternative. Steven Chu, un nonno sbarcato dalla Cina negli States all´inizio del Novecento e un Nobel per la fisica conquistato a Stanford nel 1997, ha il sorriso leggero di chi prende le distanze dalla sua fama e l´entusiasmo di chi è abituato a superare i problemi. Obama gli ha dato l´incarico più pesante: rimettere gli Stati Uniti in corsa sulle nuove energie investendo 150 miliardi di dollari in 10 anni. E lui ha già cominciato a spiegare quello che si può fare. Ieri pomeriggio ha annunciato, assieme al ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola, una cooperazione tra Italia e Stati Uniti per il sequestro dell´anidride carbonica e per le tecnologie mirate ad abbassare l´impatto ambientale del carbone. Avrebbe potuto fermarsi qui e lustrare la medaglietta dell´accordo raggiunto. Invece ha voluto sottolineare vantaggi e limiti della scommessa sul sequestro della CO2: «La cattura dell´anidride carbonica comporta problemi che nel mondo non sono stati ancora risolti. Ma è una frontiera importante che va gestita in modo da risultare compatibile con le esigenze di una ripresa economica». Così come è importante - ha aggiunto Chu - la ricerca per arrivare a reattori nucleari più sicuri e più convenienti, in modo da interrompere la lunga fase di inattività che negli Stati Uniti da 30 anni impedisce la costruzione di una nuova centrale. La nuova generazione di centrali nucleari (sull´atomo è stato annunciato un tavolo per la collaborazione industriale Italia-Usa) e il sequestro dell´anidride carbonica rimangono scelte a cui Washington e Roma guardano in uno scenario di medio e lungo periodo. Ma nell´immediato - ha aggiunto Chu ricordando che le evidenze del cambiamento climatico obbligano a scelte rapide - bisogna dare risposte concrete ed economicamente vincenti al bisogno crescente di energia: «Un´enorme riserva di energia sarà resa disponibile dall´aumento dell´efficienza. Gli edifici, con un migliore isolamento, potranno abbattere i consumi mantenendo o migliorando la qualità della vita di chi li abita. I nuovi veicoli, anche grazie alle prossime generazioni di batterie, permetteranno di spostarsi usando poca energia. I biocarburanti, e in particolare quelli ottenuti dalla trasformazione dello zucchero in etanolo, daranno un altro contributo. E il peso delle fonti rinnovabili crescerà rapidamente». Uno scenario ottimista («Gli scienziati sono abituati a fare cose che nessuno ha mai fatto, devono essere ottimisti per forza») con una proiezione così ravvicinata da diventare estremamente interessante sul piano industriale. In 5 anni, assicura il segretario dell´Energia americano, alcuni di questi sogni saranno già diventati realtà.

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Il Cavaliere non è più felice né contento (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 24-05-2009)

Argomenti: Obama

MANCANO due settimane al voto per il Parlamento europeo e per molte amministrazioni locali, Province e Comuni. Il loro rinnovo fornirà un quadro aggiornato dei rapporti di forza dei partiti sul territorio e in tutto il Paese. Per di più, per quanto riguarda il voto europeo, i rapporti di forza sia in Europa, che in Italia saranno ottenuti con un meccanismo proporzionale, tre preferenze esprimibili nelle cinque circoscrizioni e una soglia di sbarramento del 4 per cento. Questo è dunque il tema sul quale si deve fissare oggi la nostra attenzione: dopo tanti sondaggi una vera misurazione del consenso con una validità politica che inevitabilmente andrà al di là dei problemi specifici, locali ed europei. Prima di affrontarla credo tuttavia opportuna una riflessione su un altro tema di non minore importanza e attualità: il caso Fiat-Opel. È in gioco un'operazione che riguarda il futuro dell'industria automobilistica europea e mondiale, con effetti di prima grandezza sulle imprese coinvolte, sui lavoratori che prestano ad esse la loro opera, sui consumatori, sulla divisione internazionale del lavoro. Per certi aspetti questo tema economico e sociale ha un peso anche maggiore di quello politico-elettorale. Lo tratterò dunque per primo anche perché ho la sensazione che il pubblico, ma perfino le istituzioni coinvolte, non abbiano percepito fino in fondo la realtà della sfida in atto che si sta giocando a Torino, a Berlino, a Detroit, a Washington. Una diagnosi chiara mi sembra perciò necessaria e questo cercherò di fare. La Fiat di Marchionne e della famiglia Agnelli ha preso già da qualche mese l'iniziativa di mettere insieme un gruppo di imprese automobilistiche che raggiunga una capacità produttiva di almeno sei milioni di autovetture. Prodotte e collocate nel mercato mondiale. OAS_RICH('Middle'); Si è detto con legittimo orgoglio nazionale che in questo caso la Fiat non è una preda ma il predatore. Le prede sarebbero la Chrysler, la Opel e la Vauxhall possedute dalla General Motor e forse anche le aziende che la GM possiede in Brasile e in Argentina. L'orgoglio nazionale è legittimo, ma l'immagine di prede e predatori è del tutto impropria. In realtà la genialità di Marchionne è stata quella di attaccare per difendersi. Non mi sembra che questa verità sia stata compresa né dal governo italiano né dai sindacati italiani e tedeschi né dai governatori dei lander dove sorgono le fabbriche Opel. Non ci sono prede né predatori. C'è la necessità di creare un gruppo capace di competere sul mercato mondiale. Non è un obiettivo opzionale, ripeto: è una necessità. Se l'obiettivo non sarà raggiunto avremo delle aziende destinate a soccombere entro un breve arco di anni dopo essere state mantenute a stralcio a carico dei contribuenti dei rispettivi paesi. Obama ha capito fin dall'inizio questa situazione ed ha infatti patrocinato l'ingresso di Fiat in Chrysler; anche i sindacati e i creditori di Chrysler hanno capito ed hanno accettato i necessari sacrifici. Ora tocca al governo e ai sindacati tedeschi e alla General Motor decidere. Non è un caso che la Fiat abbia impostato l'operazione a costo zero. Non si tratta infatti di una scalata societaria (predatore-preda) ma d'una operazione di reciproca sopravvivenza dove non ci saranno né vincitori né vinti. All'ultima ora Marchionne ha migliorato l'offerta Fiat diminuendo a diecimila i previsti esuberi per quanto riguarda la Opel. L'accordo prevede una ristrutturazione che mantenga le quote di mercato ma diminuisca i costi attraverso sinergie di qualità e aumento di produttività per unità di prodotto, con la conseguente diminuzione dei posti di lavoro. L'alternativa è perire. Non stupisce che i ministri Scajola e Sacconi non se ne rendano conto; stupisce invece che non lo capiscano Epifani, Bonanni e i sindacati tedeschi, che di queste questioni ne dovrebbero sapere ben più dei ministri. Si spera che nelle prossime ore la ragione prevalga. Ma resta il problema della General Motors, gigante di argilla sulla soglia del fallimento. Obama riuscirà ad avviarla sulla strada di un'effettiva salvezza? E il cancelliere signora Merkel saprà pilotare la sua gente sull'unica strada seriamente percorribile? * * * Veniamo alla politica, non senza molta ansia per quanto accadrà a Berlino e a Detroit nelle prossime ore. Gli ultimi sondaggi compiuti da una decina di agenzie specializzate e diffusi dalla stampa nei giorni scorsi, prima che scattasse il divieto imposto dalla legge, danno risultati sostanzialmente omogenei: il Pdl oscilla in una forchetta tra il 39 e il 42 per cento; il Pd tra il 26 e il 29; la Lega tra il 9 e il 10, Di Pietro tra l'8 e il 9; le due sinistre sfiorano ma non arrivano alla soglia del 4; l'Udc tra il 6 e il 7. Si tratta di sondaggi e quindi fallibili, ma sono il solo telaio sul quale ora possiamo ragionare. E cominciamo con il partito di Berlusconi. La forchetta 39-42 è indubbiamente un'ipotesi molto forte ma non è certo uno sfondamento. Sfiorò il 38 per cento alle politiche del 2008 dopo le quali ci fu l'indubbio successo sui rifiuti di Napoli e il terremoto d'Abruzzo: una sciagura nazionale ma oggettivamente un'occasione benissimo gestita per il governo. Era dunque legittimo prevedere un'impennata di consensi che invece, stando ai sondaggi, non c'è stata. C'è stato un freno e bisogna domandarsi quali ne siano le cause. Una delle cause è certamente connessa con la crisi economica che è ancora ben lontana dalla soluzione. I suoi effetti negativi sull'economia italiana non sono ancora arrivati al culmine che secondo le previsioni si verificherà nel secondo semestre dell'anno in termini di rallentamento del Pil e di aumento della disoccupazione. Il governo ha finora impegnato, per combattere la crisi, meno di mezzo punto di Pil, 6-7 miliardi di euro. Il resto, per usare un termine caro a Tremonti, è stato "movimentazione", risorse prese da un capitolo di spesa e trasferite ad un altro oppure promesse ma non spese. "Si farà a tempo debito" ripete il ministro dell'Economia suscitando le ire gentili della Marcegaglia e la rabbia nei sindacati e nell'opposizione. Questo comportamento frena il consenso, ma lo frena anche lo strapotere di quello che Veronica Lario ha chiamato l'imperatore. Questo strapotere, reale ed ostentato, comincia a stancare una crescente quota di italiani. Non solo quelli che sono sempre stati all'opposizione ma anche molti che un anno fa gli hanno dato il voto. C'è una crepa nel muraglione del consenso e lentamente si sta allargando. Probabilmente non rifluirà sulle forze di opposizione ma andrà ad ingrossare l'area dell'astensione. Che cosa accade nel frattempo dalle parti dell'ex centrosinistra? Stando ai sondaggi sopracitati il Partito democratico oscilla tra il 26 e il 29 per cento. Realisticamente con quale dato dobbiamo paragonarlo? Nel voto di un anno fa il Pd di Veltroni ottenne il 33,3. Ci si era illusi in una vittoria e perciò sembrò una cocente sconfitta ma in realtà non lo era, non era mai accaduto in Italia che un partito riformista ottenesse il consenso di un terzo degli elettori. Mai. Quel risultato inoltre si ebbe dopo la pessima esperienza della coalizione prodiana, lacerata da una rissa continua. L'estrema sinistra crollò ma i suoi voti non andarono ai riformisti bensì all'astensione. Allora assumere come riferimento il 31 per cento dell'Ulivo alle europee del 2004? Oppure il 22 per cento dei sondaggi dello scorso febbraio, dopo la sconfitta in Sardegna e le dimissioni di Veltroni? Nel primo caso ci sarebbe un calo di quattro punti, nel secondo un aumento di altrettanti e forse più. * * * Intanto il premier straparla e nessuno dei suoi è in grado di contenerne gli eccessi. Lo preoccupa un'erosione percepibile tra la gente di buon senso che l'ha votato e si sta domandando se ne sia valsa la pena. Lo preoccupano le rampogne cattoliche sui temi dell'emigrazione e della civile convivenza. Lo preoccupa la Lega. Lo preoccupa persino Tremonti. E lo preoccupa infine la spina quotidiana di Franceschini. Il solo con cui va a nozze è Di Pietro che non passa giorno senza attaccare il Pd e fornire un "assist" a Berlusconi. Di Pietro oggi come Diliberto e Pecoraro Scanio ieri. Le elezioni europee, oltre a rinnovare il Parlamento di Strasburgo, serviranno a misurare il distacco tra Pdl e Pd. I voti ottenuti da Di Pietro non avranno alcun peso su quella bilancia, perciò non influiranno sul rapporto di forza tra governo e opposizione. L'esempio più recente dell'"assist" dipietrino sta nell'eventuale presentazione d'una mozione di sfiducia alle Camere destinata a ricompattare il fronte berlusconiano. Non sono errori ma improvvide furbizie e documentano che il nemico di Di Pietro non è Berlusconi ma il Pd. Il problema dei democratici è quello di mobilitare gli elettori che hanno lasciato il Partito democratico e si sono rifugiati nell'area dell'astensione. Se c'è un momento in cui non ha senso astenersi è questo. Non ha senso criticare Berlusconi e astenersi. Non ha senso proclamarsi di sinistra e astenersi. Non ha senso avvertire sulla propria pelle l'imbarbarimento sociale e astenersi. Non ha senso temere una svolta autoritaria che è sotto gli occhi di tutti e astenersi. Dopo le europee ci saranno ancora quattro anni di legislatura e ci saranno altre occasioni importanti per contare le forze, scegliere le alleanze, selezionare il personale politico. Dieci giorni dopo il voto del 6 e 7 giugno ci saranno i ballottaggi e il referendum, ma il primo appuntamento è tra due settimane. Gli elettori diranno se in quella giornata la democrazia italiana sarà sconfitta oppure se le europee saranno una sorta di linea del Piave da cui ripartire. Gli elettori, ricordiamocelo, hanno sempre ragione qualunque sia il verdetto. L'altra sera, in una trasmissione televisiva, mi sono imbattuto prima di cambiar canale in Borghezio e nella Santanché. Dico la verità: dopo averli ascoltati m'è venuta la voglia di espatriare. (24 maggio 2009

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