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Report "Obama"  20-7-2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

Video disperato del soldato Usa "Voglio casa mia" ( da "Stampa, La" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama, spingendo l'opinione pubblica americana a mobilitarsi contro la guerra. Tantopiù che Bergdahl fa parte proprio dei primi rinforzi mandati da Obama in Afghanistan, giunti in febbraio. Nel video, trasmesso con un logo dei taleban, il soldato Bergdahl si rivolge agli americani dicendo: «Cari concittadini che avete qui dei vostri cari,

Le storie "fortunate" di Mario Calabresi tra Torino e l'America ( da "Stampa, La" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: MAURIZIO FICO BORGHETTO Da nonna Maria a Obama: si potrebbe riassumere così la presentazione del suo nuovo libro «La fortuna non esiste», fatta da Mario Calabresi, direttore de La Stampa, ieri sera a Borghetto S. Spirito nei giardini di Sala Marexiano, ospite della rassegna «Serate d'autore», organizzata dall'assessorato alla Cultura.

Mi sono candidato alla Presidenza degli Stati Uniti perché non potevo essere Bruce Springsteen&... ( da "Stampa, La" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ha detto Barack Obama in tempi non sospetti. Una figura positiva alla Bruce - non lamentosa, idealista, pugnace anche nei momenti più bui, capace di coniugare arte e divertimento ai massimi livelli - sembra latitare nel panorama della musica popolare italiana, i cui idoli impegnati si sono ritirati sul monte, in attesa di ispirazioni migliori;

messaggio diverso da al qaeda trattato come prigioniero di guerra - (segue dalla prima pagina) renzo guolo ( da "Repubblica, La" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama ha deciso piuttosto di rafforzare il suo impegno nel "Paese dei monti". Invertendo le priorità dell´era Bush. Certo non spetta a un soldato, tanto più prigioniero, la comprensione della complessità dello scenario strategico Afpak. Sotto il pervasivo suggerimento dei suoi carcerieri l´ostaggio Bergdahl non può che definire la presenza Usa in Afghanistan come "

"partito del sud? batte solo cassa ma non avrà un euro" - rodolfo sala ( da "Repubblica, La" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: è bisogno di un Obama, non di Pulcinella lamentosi. Questi Pulcinella però sono nella vostra maggioranza. «Io mi auguro solo che si possa proseguire sulla strada che abbiamo intrapreso insieme noi della Lega e Raffaele Lombardo: tenere conto dei bisogni territoriali del Sud, parlando ad esempio di fiscalità di vantaggio per le imprese che operano in quella parte del Paese.

l'effetto della candidatura blair nell'incertezza dell'europa - ferdinando salleo ( da "Repubblica, La" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: tanto che Obama si è affrettato a risuscitare il paciere dell´Irlanda, Mitchell. è difficile valutare le possibilità di Blair, sempre che Lisbona giunga a buon porto, ancora più difficile giudicare se sia il più adatto a ricoprire un incarico complesso quanto generico e in fondo inafferrabile come è l´Europa di questa fase costituente.

cia, così nacquero gli interrogatori "duri" - vittorio zucconi ( da "Repubblica, La" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: mentre il governo Obama sta cercando di ridefinire i criteri, i limiti, le responsabilità, togliendo il monopolio alla Cia di futuri interrogatori, perché il pericolo non è passato e la speranza non è una difesa contro i folli suicidi. Ma l´apertura di quegli armadi serve almeno a ricordare, a questo e ai futuri presidenti,

netanyahu dice no a obama ruspe in azione a gerusalemme ( da "Repubblica, La" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Netanyahu dice no a Obama Ruspe in azione a Gerusalemme GERUSALEMME - «Gerusalemme unificata è la capitale del popolo ebraico e dello stato di Israele. La nostra sovranità non può essere messa in discussione». Lo ha dichiarato il premier israeliano Netanyahu, commentando le notizie su pressioni statunitensi per il congelamento di un progetto edilizio ebraico nel rione di Sheikh Jarrah,

L'hotel che fa litigare Usa e Israele ( da "Corriere della Sera" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: hanno contribuito a finanziare la crisi diplomatica più seria tra Stati Uniti e Israele dall'arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca. Il bingo (ma anche il casinò, un ospedale e varie organizzazioni benefiche) appartengono a Irving Moskowitz, ebreo di origine polacca, nono di dodici figli, nato a New York e trapiantato negli affari tra la California e Miami, dove vive.

Le scelte del Partito democratico e l'ipotesi di alleanza con l'Udc ( da "Corriere della Sera" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Così è avvenuto dopo il durissimo scontro tra Barack Obama e Hillary Clinton: avverrà anche per il Pd? È ancora troppo presto per rispondere a questa domanda in un modo o nell'altro. Ma è già possibile sostenere che, almeno per una questione importante, il confronto ci sarà e con esso un necessario chiarimento.

Springsteen parla in italiano: io porto il rock, voi fate rumore ( da "Corriere della Sera" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama) con un discorso in italiano: «Stasera costruiamo una casa di musica, spirito e rumore. Noi portiamo la musica, abbiamo bisogno che voi facciate rumore ». La batteria di Max Weinberg segna il ritmo impetuoso, la chitarra di Nils Lofgren incide, affidabile e sicura, i riff elettrici, le note che escono dal sax di Clarence Clemons arricchiscono le canzoni di sorprendenti sfumature.

( da "Corriere della Sera" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Dopo la carbonara servita a Lady Obama nella sempre meno riservata piazza delle Coppelle, gli esercenti del centro tornano alla routine assai meno composta del fine settimana. Su cinque locali ispezionati tra piazza Farnese, Campo de' Fiori, Corso Vittorio Emanuele, via del Governo Vecchio e limitrofe, quattro sono stati sanzionati.

450 ( da "Corriere della Sera" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Veneto Zonin nel Piemonte di Virginia fa il Nebbiolo per la Casa Bianca D a Thomas Jefferson a Barack Obama. La presenza di vini Zonin alla Casa bianca sembra ormai un appuntamento fisso: li hanno richiesti Bill Clinton e George Bush, mentre Obama li ha utilizzati per la cena del suo «Inauguration Gala» . Come nasce il legame tra la casa vinicola veneta e i presidenti degli States?

Il nuovo volto della jihad ( da "Repubblica.it" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama ha deciso piuttosto di rafforzare il suo impegno nel "Paese dei monti". Invertendo le priorità dell'era Bush. Certo non spetta a un soldato, tanto più prigioniero, la comprensione della complessità dello scenario strategico Afpak. Sotto il pervasivo suggerimento dei suoi carcerieri l'ostaggio Bergdahl non può che definire la presenza Usa in Afghanistan come "

Cia, così nacquero gli interrogatori "duri" ( da "Repubblica.it" del 20-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: mentre il governo Obama sta cercando di ridefinire i criteri, i limiti, le responsabilità, togliendo il monopolio alla Cia di futuri interrogatori, perché il pericolo non è passato e la speranza non è una difesa contro i folli suicidi. Ma l'apertura di quegli armadi serve almeno a ricordare, a questo e ai futuri presidenti,


Articoli

Video disperato del soldato Usa "Voglio casa mia" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-07-2009)

Argomenti: Obama

Video disperato del soldato Usa "Voglio casa mia" Rapito dai jihadisti 18 giorni fa: ho paura [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Tunica grigia, completamente rapato e con una barba «alla taleban» che inizia a crescergli attorno al volto. Così gli americani hanno visto in tv il soldato Bowe Bergdahl, 23 anni, dell'Idaho, catturato dai guerriglieri islamici in Afghanistan il 2 luglio nella provincia orientale di Paktika e da allora scomparso nel nulla. Nelle ultime due settimane il Pentagono ha condotto una massiccia operazione di ricerca - lanciando migliaia di volantini sui villaggi vicino alla località dove era scomparso assieme a tre militari afghani - ma l'esito è stato vano perché, secondo fonti afghane, il comandante taleban Maulvi Sangin, sarebbe riuscito a spostarlo in una località di Ghazni dopo aver rinunciato a trasferirlo in Pakistan. «Sono 15 giorni che lo cerchiamo senza esito» ha ammesso il generale afghano Asrar Ahmad Kahn, comandante delle truppe nel Sud-Est del Paese. La diffusione del video in coincidenza con l'offensiva dei 4000 marines nell'Helmand appare mirata ad aprire un fronte interno per l'amministrazione Obama, spingendo l'opinione pubblica americana a mobilitarsi contro la guerra. Tantopiù che Bergdahl fa parte proprio dei primi rinforzi mandati da Obama in Afghanistan, giunti in febbraio. Nel video, trasmesso con un logo dei taleban, il soldato Bergdahl si rivolge agli americani dicendo: «Cari concittadini che avete qui dei vostri cari, voi che sapete cosa significa sentire la loro mancanza, voi avete il potere di spingere il nostro governo a farli tardare a casa». E ancora: «Per favore, per favore, portateci a casa così da poter tornare nelle nostre case e non qui, perdendo il nostro tempo e le nostre vite preziose che potremmo adoperare in patria. Portateci a casa. E' il popolo americano che ha tale potere». Come dire, tocca ai parenti dei soldati al fronte dare vita ad un movimento per il ritiro delle truppe. Il soldato rapito ripeteva con evidenza un testo suggerito dai sequestratori ma è apparso comunque in buone condizioni di salute, mangiando anche da una ciotola. In un'altra parte del filmano, che in tutto dura circa 30 minuti ed è costituto da frammenti ripresi in momenti diversi, Bergdahl ammette di «avere paura di non poter tornare a casa», si dice «innervosito dall'essere in prigionia», «interessato ad approfondire l'Islam» e parla, tradendo attimi di emozione, della fidanzata, dei nonni e della famiglia «che mi manca ogni singolo giorno». Finora i gruppi islamici avevano diffuso simili video di ostaggi americani rapiti dall'Iraq ma questa è la prima volta che ciò si ripete con un soldato in Aghanistan. Se è vero che i video iracheni, spesso firmati da Al Qaeda, erano più violenti il messaggio affidato al prigioniero conteneva comunque sempre l'appello al ritiro delle truppe che ora Bergdahl recapita al presidente Obama. La reazione dell'amministrazione Usa è arrivata con un comunicato del Pentagono che ha denunciato la «violazione delle leggi internazionali» che impediscono di mostrare immagini di prigionieri di guerra, prendendo comunque atto delle «buone condizioni» del soldato. Fonti militari a Kabul e Washington negano di essere a conoscenza di richieste specifiche da parte dei rapitori e ciò lascia intendere che i taleban vogliano usare il soldato come arma politica contro Washington. Ieri intanto nella maggiore base Nato nel Sud dell'Afghanistan, nei pressi di Kandahar, è caduto un elicottero civile russo causando la morte di tutte le 16 persone a bordo. Sebbene non vi siano indicazioni che sia stato abbattuto i ripetuti incidenti degli ultimi giorni a elicotteri ed aerei in Afghanistan sollevano dubbi sulla possibilità che i taleban siano entrati in possesso di armi più sofisticate.

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Le storie "fortunate" di Mario Calabresi tra Torino e l'America (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-07-2009)

Argomenti: Obama

BORGHETTO INCONTRO CON IL DIRETTORE DE «LA STAMPA» Le storie "fortunate" di Mario Calabresi tra Torino e l'America [FIRMA]MAURIZIO FICO BORGHETTO Da nonna Maria a Obama: si potrebbe riassumere così la presentazione del suo nuovo libro «La fortuna non esiste», fatta da Mario Calabresi, direttore de La Stampa, ieri sera a Borghetto S. Spirito nei giardini di Sala Marexiano, ospite della rassegna «Serate d'autore», organizzata dall'assessorato alla Cultura. «La fortuna non esiste», sottotitolo «Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi», già dalle prime pagine, lancia un messaggio positivo, che l'autore basa sempre su personaggi reali. In «Nata due volte» (ieri a dar voce ad alcuni personaggi c'era il lettore/attore Bruno Telese», con Graziella Frasca Gallo a curare l'introduzione del libro) Calabresi racconta come sua nonna Maria fu salvata miracolosamente da un medico coraggioso e ottimista, il dottor Buscaglino, baffi rossi, padre di due figli, pronto a lottare contro la rassegnazione di tutti tutti quando lei era data ormai per spacciata, gettata in un fagotto appoggiato su un mobile, in una fredda mattinata dell'inverno torinese del 1915. Nonna Maria, scomparsa nelle scorse settimane, all'età di 94 anni, era nata prematura dopo una caduta accidentale della madre. Il medico si accorse però che la piccola era ancora tiepida e la salvò costruendo per lei un'incubatrice artigianale in cucina e tenendo per mesi la stufa sempre accesa. Da Torino all'America: «Un grande Paese in crisi che ha deciso di reagire e cambiare completamente, affidandosi al carisma e agli ideali di un giovane nero che ne è diventato presidente». Un diario dei due anni trascorsi al seguito della campagna elettorale di Obama. Nomi, luoghi, date, storie come quella del sindaco e della bibliotecaria di Braddock, paese-simbolo della crisi, rimasto senza lavoro, abitanti, scuole, bar, ristoranti, cinema e piscina, ma dove qualcuno ha ricominciato a seminare. Poi, altre vicende, tra cui quella di Jawad, ragazzo poliomelitico, analfabeta fino a 13 anni, che, grazie alla tenacia della madre e alla scommessa di un medico, è riuscito a camminare e prendere quattro lauree. Calabresi ha incontrato più volte anche Michelle Obama di cui descrive la semplicità e lo straordinario carisma. Un fiume di ricordi e di persone, un libro che non può lasciare indifferenti e che lancia a ripetizione, declinato da decine di personaggi diversi l'identico messaggio: «Anche quando la crisi sembra travolgerti e ti porta via la casa e il conto in banca, si può ricominciare. Basta volerlo». Calabresi, accolto dal sindaco Santiago Vacca e dal consigliere delegato alla Cultura, Roberto Moreno, è stato salutato da un lungo applauso, e i battimani si sono più volte ripetuti durante la lettura di alcuni capitoli del libro. Non è mancato nemmeno un accenno al precedente «Spingendo la notte più in là», definita una sorta di prologo a questo ultimo lavoro: «Anche mia madre e le altre vittime del terrorismo hanno avuto la forza di rimettersi in piedi e ricominciare»

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Mi sono candidato alla Presidenza degli Stati Uniti perché non potevo essere Bruce Springsteen&... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 20-07-2009)

Argomenti: Obama

Mi sono candidato alla Presidenza degli Stati Uniti perché non potevo essere Bruce Springsteen», ha detto Barack Obama in tempi non sospetti. Una figura positiva alla Bruce - non lamentosa, idealista, pugnace anche nei momenti più bui, capace di coniugare arte e divertimento ai massimi livelli - sembra latitare nel panorama della musica popolare italiana, i cui idoli impegnati si sono ritirati sul monte, in attesa di ispirazioni migliori; sarà anche per questo che la febbre per il rocker del New Jersey è montata alla vigilia della tranche italiana del tour mondiale, iniziata ieri sera allo Stadio Olimpico davanti a circa 45 mila persone: tardissimo, alle 22,30, e dopo un tira-e-molla fra le autorità che ha coinvolto pure il ministro Maroni, per via della concomitanza a pochi passi dei Mondiali di Nuoto. Domani sarà a Torino, il 23 a Udine. Palco piccolo, tra l'altro, rispetto ai gigantismi di Madonna e U2: e semplicissimo, con una fila di luci, due schermoni ai lati, uno dietro e amen: ché qui lo show son le 25 canzoni e lui, con la sua contagiosa, incredibile energia. Quando l'Uomo ci è salito su - maniche arrotolate, chitarra a tracolla, sorriso da un orecchio all'altro per rispondere all'allegro tuono del pubblico - è stato subito chiaro che si annunciava una lunga festa. «Siamo venuti da mille miglia per mantenere la nostra promessa - dice -: curare le nostre anime e costruire una casa di musica e rumore». E il Boss non dimentica «la gente dell'Aquila», a cui dedica nei bis My city of ruins. Omaggiato Morricone, con il tema di C'era una volta in America, la prima canzone scelta, la vecchissima Badlands, suonava come un trascinante predicone: «Non perdere il tempo aspettando». Tre ore di musica, pescata spesso molto indietro nel repertorio: No surrender espone un concetto antico, «Abbiamo imparato più da un disco di 3 minuti/che da quello che ci hanno insegnato a scuola»; Out in the Street invita la ragazza a mettersi a nuovo per uscire. Porge il microfono a un paio di bimbetti sotto palco, che tentano di cantare Waiting on a Sunny Day, e se la ride. Bruce è un diavolo buono d'energia inesausta, alla faccia dell'anagrafe che annuncia i 60 anni per il prossimo 23 settembre; il tempo sembra accanirsi più sui suoi storici compagni della E-Street Band, divertiti ma un po' provati. Little Steven con il suo foulardone nero in testa, ormai da vecchia zia, suonava per la prima volta con Bruce a Roma, perché nell'88, al Flaminio, ancora non era entrato nel gruppo. Nel debutto assoluto all'Olimpico, tracima la voglia di compiacere le richieste che sta dominando tutto il tour: saltata la tradizionale scaletta, in 35 concerti dall'inizio nel New Jersey, Bruce ha cantato 117 dei suoi brani e 35 cover. A metà serata, smette di suonare e va raccogliendo i cartelli che i fans famelici gli porgono, salta sul pianoforte come Elton John da piccolo, si diverte a spiazzare i suoi con pezzi a richiesta come Paint Cadillac, fa pensare con American Skin contro la violenza della polizia sui neri. Fra i titoli dall'ultimo Working on a Dream, c'è una superba prova interpretativa, quasi attorale, in Outlaw Pete, ulteriore omaggio ai western: racconta un tipo che da infante rapina una banca indossando solo un pannolino, ispirata a una storia che mamma Adele gli raccontava da piccolo (lo scrive Ermanno Labianca nel libro appena uscito per Arcana). Tra l'altro, l'arzilla ottantenne maman Adele Zirilli è qui con il figlio, mentre Evan e Sam, 18 e 15 anni, i due nipoti maschi, sono partiti ieri per tornare dalla sorella Jessica, rimasta a casa con mamma Patti Scialfa. Chissà se il matrimonio dura; in scena, due coriste la rimpiazzano ormai. Trovano spazio pezzi che parlano di recessione, come Seeds e una Johnny '99 da Nebraska, in versione quasi rockabilly. Raccontano vite disperate travolte dalla stessa crisi che travaglia ora tutti noi, ma Bruce ama pure coprire questi temi con sonorità consolatoriamente giocose. La voglia di riscatto suona in vari brani come una tromba della speranza, in una lezione tutta americana che è sempre piacevole ripassare, per gente come noi. Ci sono facce giovani sugli spalti: un bel segno, sperando che prima o poi si veda in giro un erede universale (per ora, nemmeno l'ombra). Trionfo, e bravura suprema, esagerata.

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messaggio diverso da al qaeda trattato come prigioniero di guerra - (segue dalla prima pagina) renzo guolo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 20-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 7 - Esteri Messaggio diverso da Al Qaeda trattato come prigioniero di guerra è una jihad sulla difensiva: niente armi né proclami Il militare è spaventato, gli Usa non trattano per la liberazione dei loro ostaggi (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) RENZO GUOLO Nel video trasmesso da Al Jazeera, e finito subito in Rete, a dimostrazione che l´arcaismo comunicativo del movimento è andato in soffitta dopo l´alleanza con i qaedisti, appare il soldato catturato a fine giugno nell´area di Paktika. Dopo l´inizio dell´operazione militare nel sud del paese che, se non decisiva per chiudere una guerra comunque difficile vincere, dovrebbe almeno ridimensionare il controllo territoriale dei Taliban nell´area per il tempo delle elezioni. Bergdahl, che veste abiti tradizionali afgani e ha una barba folta, quasi fosse presentato come sulla via della conversione, dice di essere spaventato e di voler tornare a casa; chiede al governo di far rientrare le truppe e, naturalmente, lui con loro. Che appaia in buona salute è importante ma non rassicura: la cattività tra miliziani in turbante e kalashnikov regala momenti di serenità del tutto provvisori. Tanto che i suoi carcerieri hanno minacciato di ucciderlo se le richieste formulate non fossero esaudite. Richiesta disperata, quella del "tutti a casa". Avviene in un momento in cui l´amministrazione Obama ha deciso piuttosto di rafforzare il suo impegno nel "Paese dei monti". Invertendo le priorità dell´era Bush. Certo non spetta a un soldato, tanto più prigioniero, la comprensione della complessità dello scenario strategico Afpak. Sotto il pervasivo suggerimento dei suoi carcerieri l´ostaggio Bergdahl non può che definire la presenza Usa in Afghanistan come "un perdita di tempo". Anche se lo fa guardando in basso, quasi a mandare segnali in codice. Ma è difficile che in riva al Potomac le sue parole possano essere ascoltate. Oltretutto gli Usa non trattano per la liberazione dei loro ostaggi, che puntano a liberare mediante operazioni militari. Bergdahl lo sa, come qualunque soldato a stelle e strisce, tanto più quelli coinvolti in un teatro di guerra. La sua sorte è affidata all´occhiuto sguardo dei Predator, pure spesso ciechi un uno scenario in cui tutto è mimetico, anche l´elemento umano, alla capacità delle forze speciali di seguire le tracce. Quanto al video, appare diverso da quelli girati da Al Qaeda. In particolare da quell´altro americano, Johnny, che tra gli jihadisti milita invece volontariamente. Qui tutto è essenziale, senza enfasi, anche se si tratta di un´essenzialità che svela la nuda vita e, drammaticamente, rimanda a un pericolo mortale. La parole sono intervallate da riprese in cui Bergdahl mangia, immagini che nell´intento dei registi del sequestro intendono mostrare l´ospitalità locale contrapposta alla presenza di quanti si presentano in armi. Niente proclami, quasi a dimostrare che chi lo tiene prigioniero lo giudica un "prigioniero di guerra" e non è interessato alla jihad globale, a quella deriva filoqaedista che ha perduto l´Emirato dell´Afghansitan, ma solo al ritiro degli americani e della coalizione. Forze, insomma, con le quali si potrebbe persino trattare, decise a praticare il jihad solo in via difensiva. Un argomento cui l´amministrazione Obama, intenta a separare i gruppi islamisti in neo-tradizionalisti e radicali, e quest´ultimi in localisti e globalisti, potrebbe in futuro essere sensibile.

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"partito del sud? batte solo cassa ma non avrà un euro" - rodolfo sala (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 20-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 11 - Interni Cavalli di razza Perché a L´Aquila Altolà del ministro leghista Calderoli al gruppo-Miccichè e al documento di esponenti del Pdl che chiede più soldi per il Meridione "Partito del Sud? Batte solo cassa ma non avrà un euro" Nel Pd ci sono cavalli di razza come Errani e Chiamparino. Magari si affidassero a loro Non si poteva tenere il vertice di governo a Santa Margherita. è un posto da ricchi RODOLFO SALA MILANO - «Altro che neo-federalisti del Sud, quelli a cui assistiamo in questi giorni non sono altro che i rigurgiti del centralismo e dell´assistenzialismo più frusto». è il saluto del leghista Roberto Calderoli all´iniziativa presa da un nutrito gruppo di parlamentari meridionali pidiellini, una sorta di fronda nella galassia berlusconiana. Capitanata da Gianfranco Micchiché, punta (anche con un documento da presentare presto in Parlamento) a riequilibrare i rapporti di forza nel governo, che sarebbero troppo sbilanciati sugli interessi del Nord. E della Lega. Ministro Calderoli, lei ha detto che al Sud c´è bisogno di un Obama, non di Pulcinella lamentosi. Questi Pulcinella però sono nella vostra maggioranza. «Io mi auguro solo che si possa proseguire sulla strada che abbiamo intrapreso insieme noi della Lega e Raffaele Lombardo: tenere conto dei bisogni territoriali del Sud, parlando ad esempio di fiscalità di vantaggio per le imprese che operano in quella parte del Paese. Mi creda, non è stato facile farlo digerire al nostro movimento». La strada intrapresa a Sorrento non è quella? «La speranza è che Lombardo non si accodi a questi Pulcinella che ripropongono una politica per il Sud basata su una sola richiesta: "Quanto ci date?"». Ma non temete che in Parlamento il "Partito del Sud" possa allargare i consensi e mettere così in difficoltà voi della Lega? «Sembrerà paradossale, ma siccome loro vogliono solo più risorse, e al di fuori di ogni concertazione nazionale, dimostreranno che abbiamo ragione noi. La Lega ha fatto la sua parte. Abbiamo detto sì al ponte sullo Stretto, perché nello stesso tempo portavamo a casa la Pedemontana e la Brebemi al Nord. è chiaro che se la richiesta che sale dal Sud va verso vecchie forme di assistenzialismo, noi non siamo disposti a scucire neppure un euro». Parlerete anche di questo nel Consiglio dei ministri che il premier ha convocato all´Aquila in agosto? «Intanto una precisazione. Berlusconi voleva fare questa riunione a Santa Margherita Ligure, sono stato io a dirgli che in tempi di crisi non era il caso di scegliere un luogo di vacanza per ricchi, quasi una Costa Smeralda del Nord. Io ho suggerito l´Aquila». E cosa farete a L´Aquila? «La riunione darà l´occasione a tutti i ministri di scrivere una specie di libro dei sogni. Ma ha più senso avviare una sintesi politica per stabilire le priorità dei progetti presentati da ciascuno di noi. Ce lo impone la crisi». Fase-due del governo? «Non esiste. E neppure il tagliando. Pensiamo piuttosto a razionalizzare le spese di ogni dicastero». Bossi insiste: riforme condivise. Ma nel Pd che va al congresso le voci sono più di una. Voi con chi preferireste trattare? «Beh, l´apertura di Franceschini sulle riforme da condividere mi sembra interessante». Meglio lui di Bersani? «Sì. Ma io spero che emerga anche qualcun altro». Qualche nome? «Il Pd ha dei cavalli di razza, che io stimo moltissimo. Gente cresciuta nelle amministrazioni locali, abituata a misurarsi con i problemi veri della gente. Ne conosco un paio: Sergio Chiamparino e Vasco Errani. Con loro non si parla a vanvera. E se non sono accordo te lo dicono sul muso, sempre a ragion veduta. Magari il Pd si affidasse a persone così: ne guadagneremmo tutti. Opposizione e maggioranza».

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l'effetto della candidatura blair nell'incertezza dell'europa - ferdinando salleo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 20-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 24 - Commenti L´EFFETTO DELLA CANDIDATURA BLAIR NELL´INCERTEZZA DELL´EUROPA FERDINANDO SALLEO Dopo le insistenti voci che duravano da mesi, la candidatura di Tony Blair alla presidenza "lunga" dell´Europa è stata ventilata scopertamente dal governo di Londra, dallo stesso ministro degli Affari Europei. Una mossa che coglie l´Europa in un momento di incertezza, gravido di polemiche che la crisi e la recessione hanno reso più evidenti e rilancia poi l´attenzione politica sugli equivoci che costellano lo stato del processo europeo. La contrapposizione tra i minimalisti che guardano al futuro dell´Europa come poco più di un mercato unico da completare e i fautori dell´integrazione sopranazionale sembra destinata ad acuirsi dopo i risultati delle elezioni per il Parlamento di Strasburgo che hanno fatto uscire dalla marginalità gli euroscettici rafforzando i conservatori e riducendo fortemente il peso dei socialisti. Una candidatura certo prematura, anzitutto perché pende incerto in attesa delle ratifiche il destino del Trattato di Lisbona che istituisce la presidenza del Consiglio Europeo per due anni e mezzo rinnovabili, la presidenza "lunga" appunto. Alle assurde bizze degli euroscettici presidenti polacco e ceco si è aggiunta adesso la sorprendente sentenza della Corte Costituzionale tedesca che autorizza la ratifica assortendola di condizioni che innovano pericolosamente sulla storica posizione integrazionista della Germania e danno ampio spazio al rinascente sovranismo che si percepisce un po´ ovunque. Il secondo referendum irlandese, adempiute equivocamente le richieste di Dublino, è atteso per settembre con un certo ottimismo, sempre che le polemiche estive sulla presidenza "lunga" non creino nuovi intralci. Infine, se il processo di ratifica del trattato dovesse prolungarsi e Gordon Brown fosse costretto nelle more a gettare la spugna, Londra vedrebbe al governo David Cameron, fautore di un referendum dall´esito prevedibilmente negativo. Senza Lisbona non ci sarebbe più la presidenza cui aspira Blair e, peggio ancora, il marasma regnerebbe nell´Unione a Ventisette. è singolare che sia stata avanzata adesso una candidatura di alto profilo, come ha precisato il ministro britannico, per un incarico che il testo di Lisbona definisce ben poco nei compiti e nelle funzioni, a parte la presidenza del Consiglio Europeo e la generale rappresentanza esterna dell´Unione. Certo, ma il testo evita di definirne il rapporto con il "ministro degli Esteri" dell´Europa che pure Lisbona istituisce dotando di un servizio diplomatico proprio un vice presidente della Commissione che riunirà i compiti del commissario alle relazioni esterne con quelli dell´Alto Rappresentante, oggi ricoperto da Javier Solana, emanazione dell´assetto intergovernativo. Anche per quell´incarico non mancano candidature di buon livello. Appena comparso formalmente il nome di Blair, altri possibili candidati sono stati ventilati, da Felipe Gonzalez a Wolfgang Schuessel, anche se l´ex premier britannico aveva ricevuto espressioni di appoggio, pur se premature e non impegnative. Né le voci che si propalano veloci a Bruxelles escludono che un conservatore collaudato, di modesto profilo ma gradito a molti come Barroso, possa rivelarsi un compromesso accettabile malgrado il suo rinnovo alla presidenza della Commissione, deciso e approvato ma non ancora formalizzato. Tony Blair ha certo una personalità carismatica, senso dell´innovazione e visione politica internazionale, capacità di condurre un organismo politico caratterizzato da sovranità condivise in cui la sopranazionalità e le prerogative degli Stati membri convivono in un disegno evolutivo. Si è sempre dimostrato abile negoziatore, anche se il ruolo affidatogli per il Vicino Oriente è stato invisibile, tanto che Obama si è affrettato a risuscitare il paciere dell´Irlanda, Mitchell. è difficile valutare le possibilità di Blair, sempre che Lisbona giunga a buon porto, ancora più difficile giudicare se sia il più adatto a ricoprire un incarico complesso quanto generico e in fondo inafferrabile come è l´Europa di questa fase costituente. All´Europa Tony Blair ha sempre dedicato particolare attenzione e, nei limiti della politica britannica, un pregiudizio favorevole. Tuttavia, sul carattere di Blair, non meno che sul disegno europeo a cui potrebbe legare il suo nome in caso di successo, resta però un interrogativo su cui pesa la firma che ha apposto a Roma, solennemente, ma con tutte le riserve mentali dettate dal pragmatismo britannico o dalla disinvoltura della politica, sullo sfortunato Trattato Costituzionale la cui ratifica sapeva di non poter portare a compimento.

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cia, così nacquero gli interrogatori "duri" - vittorio zucconi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 20-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 9 - Esteri Cia, così nacquero gli interrogatori "duri" Dal panico post-11 settembre al waterboarding. L´inchiesta del Washington Post Le prove generali furono fatte in una cella di Bangkok, dopo l´arresto di Abu Zubayda Assorbito il trauma dell´attacco alle Torri gemelle, ora gli scheletri escono dagli armadi VITTORIO ZUCCONI La discesa nella valle degli orrori della Cia avvenne un passo alla volta, come sempre avviene, senza accorgersi che la fortezza della democrazia si stava trasformando nel nemico che voleva combattere. E diventava un´altra «Villa Triste» globale per sadici e aguzzini, nel nome della sicurezza nazionale. Siamo soltanto all´inizio di questo processo, tipicamente americano, di catarsi e di autoflagellazione attraverso la verità, appena sei mesi dopo il cambio di amministrazione. Dagli armadi socchiusi della "guerra al terrore" avanza ormai una processione di scheletri destinata soltanto ad allungarsi, perché finalmente, ora che il padrone è cambiato, le coscienze si sentono libere di parlare, almeno a mezza bocca. Sono storie di sospetti terroristi - sospetti, neppure colpevoli accertati - sottoposti al finto annegamento chiamato waterboarding fino a 83 volte in cinque giorni, come Abu Zubayda, nella speranza di strappare loro quei piani e quei nomi che avrebbero protetto l´America, secondo il mito isterico della "bomba che ticchetta" da telefilm «24», che anche giureconsulti come il professor Alan Dershowitz di Harvard giustificavano. Il Washington Post enumera cataloghi grandguignoleschi di privazione di sonno, una delle tecniche più atroci; sequestri in scatole di legno troppo piccole, costretti a restare per giorni in posizione anchilosata fino all´esplosione di dolori lancinanti alle giunture; teste ripetutamente pestate contro il muro, ma avvolte in asciugamani per non lasciare tracce. è un campionario che sembra tratto dall´ordine di servizio emesso nel 1937 dal leader della Gestapo, Heinrich Mueller, inventore della "Verschaerfte Vernhemung". L´interrogatorio inasprito, adottato dall´America di Bush. Come già nelle fosse dell´Afghanistan, nel carcere di Abu Grahib o nella pratica di appaltare le torture dei prigioneri ad altre nazioni più ruvide, al cuore di questa tragedia dell´onore americano stanno due elementi: 1) Il panico dell´11 settembre, con la rivelazione lancinante della vulnerabilità dell´America e della inettitudine dei servizi segreti; 2) La commistione tossica fra funzionari di governo e contractors privati, di ex militari, agenti, avventurieri passati ai migliori redditi offerti da chi prendeva in appalto quello che militari e agenti in servizio non volevano o non potevano fare. Sciolti da ogni codice di comportamento, fuori dai confini nazionali e ubriachi del loro potere assoluto sulle vittime. L´imperativo di "proteggere la nazione" sembrava giustificare tutto, nel solito commercio luciferino fra sicurezza e libertà, fra la legge e le scorciatoie. Se la guerra segreta condotta dallo spionaggio nei 50 anni di Guerra Fredda non era mai stata un tè per nobildonne, almeno qualche elementare codice di comportamento fra Usa e Urss esisteva, nella certezza che ciò che tu avessi fatto al mio agente, io avrei fatto al tuo. Ma questi parametri saltarono quella mattina dell´11 settembre, di fronte a macellai accecati dal fanatismo e indifferenti alla propria morte. Se un personaggio come Zayn al-bidin Mohammed, Abu Zubayda, cadeva nelle mani della Cia in Pakistan, la macchina dell´interrogatorio "verschaerfte", inasprito, scattava, e le squadra miste di agenti ufficiali e di contractors si metteva in azione. Tutto era lecito, anche la tecnica di «far diventare blu» gli interrogati, tenendoli a bagno nell´acqua ghiacciata per ore, già denunciata al processo di Norimberga come crimine di guerra. A volte autorizzata, a volta improvvisata, ma sempre nella certezza che fosse stata approvata downtown, in centro, cioè dal governo di Washington. Ci fu chi si ribellò, come sempre c´è, come lo psicologo dr. Mitchell, aguzzino poi disgustato, ex Cia passato a una delle tante società per la guerra private. Nel 2005, anche il Ministero della Giustzia a Washington, quello che sfornava ambigui documenti legali a comando per autorizzare le torture, dichiarò non più necessari gli interrogatori "inaspriti". La ubriacatura del terrore, che non è la necessaria protezione, si stava riassorbendo, insieme con il sospetto che quelle sevizie non producessero niente e nuocessero all´anima, prima ancora che all´immagine, dell´America. Ora è naturalmente la Cia a essere chiamata a rispondere, mentre il governo Obama sta cercando di ridefinire i criteri, i limiti, le responsabilità, togliendo il monopolio alla Cia di futuri interrogatori, perché il pericolo non è passato e la speranza non è una difesa contro i folli suicidi. Ma l´apertura di quegli armadi serve almeno a ricordare, a questo e ai futuri presidenti, il rischio eterno di confermare la profezia di un famoso personaggio di fumetti americani che formarono una generazione di lettori negli anni ‘50 e ‘60, l´opossum Pogo. Che annunciò agli altri animali della foresta inquieti di «avere finalmente incontrato il nemico». E di avere scoperto «che il nemico siamo noi».

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netanyahu dice no a obama ruspe in azione a gerusalemme (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 20-07-2009)

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Pagina 16 - Esteri Netanyahu dice no a Obama Ruspe in azione a Gerusalemme GERUSALEMME - «Gerusalemme unificata è la capitale del popolo ebraico e dello stato di Israele. La nostra sovranità non può essere messa in discussione». Lo ha dichiarato il premier israeliano Netanyahu, commentando le notizie su pressioni statunitensi per il congelamento di un progetto edilizio ebraico nel rione di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est. «La nostra politica è che tutti gli abitanti di Gerusalemme possono acquistare appartamenti in tutto il territorio urbano», ha proseguito Netanyahu, che così dice "no" al presidente Usa Obama, che aveva invitato Israele a bloccare gli insediamenti. «Questa è stata la politica di tutti i governi israeliani», ha detto Netanyahu.

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L'hotel che fa litigare Usa e Israele (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 20-07-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 20/07/2009 - pag: 14 Tensione Washington: stop al progetto del «re dei bingo» a Gerusalemme Est. No di Netanyahu L'hotel che fa litigare Usa e Israele DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME Ad Hawaiian Gardens, contea di Los Angeles, chi non è disoccupato lavora al bingo, chi è disoccupato ci va a giocare i pochi dollari racimolati. Gli immigrati messicani affollano la sala 120 partite a notte per «il gioco più veloce in città» e non sanno che i loro spiccioli, moltiplicati per milioni, hanno contribuito a finanziare la crisi diplomatica più seria tra Stati Uniti e Israele dall'arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca. Il bingo (ma anche il casinò, un ospedale e varie organizzazioni benefiche) appartengono a Irving Moskowitz, ebreo di origine polacca, nono di dodici figli, nato a New York e trapiantato negli affari tra la California e Miami, dove vive. I profitti vanno alla fondazione creata da questo medico internista in pensione per sponsorizzare gruppi ultranazionalisti come Ateret Cohanim. Che comprano palazzi nella parte est di Gerusalemme e vogliono promuovere la presenza ebraica nei quartieri arabi. Quello che ancora oggi Moskowitz e i suoi affiliati considerano uno dei colpi migliori sta colpendo le relazioni con gli americani. All'inizio del mese, il comune di Gerusalemme ha dato il via libera per i lavori al vecchio Hotel Shepherd, comprato nel 1985. Moskowitz vuole ricavarci trenta appartamenti e un parcheggio sotterraneo di tre livelli. Il palazzo, nel quartiere di Sheikh Jarrah, è un simbolo per arabi ed ebrei: tra gli anni Venti e Quaranta è stata la residenza di Mohammed Amin al-Husseini, il muftì di Gerusalemme che guidò la rivolta in Palestina e nel 1941 si rifugiò in Germania, dove incontrò Adolf Hitler. Il Dipartimento di Stato ha convocato Michael Oren, lo storico israeliano nominato da pochi mesi ambasciatore a Washington, per avere chiarimenti, far notare che il momento nel mezzo dei negoziati sul congelamento delle colonie non è appropriato e per chiedere di bloccare il progetto. Come ulteriore pressione, George Mitchell, emissario di Obama per il Medio Oriente, avrebbe rinviato di una settimana la visita prevista in questi giorni. Oren ha replicato che l'acquisto è legale, la risposta di Benyamin Netanyahu è arrivata all'apertura della riunione di governo. «Non ci saranno limiti alle costruzioni nella Gerusalemme unificata. Non possiamo accettare che agli ebrei sia negato il diritto di poter acquistare e vivere in qualunque parte della città. La nostra sovranità su tutte le aree è indisputabile», ha dichiarato il primo ministro. Israele ha annesso nel 1981 le zone conquistate nel 1967 e ha proclamato Gerusalemme sua «eterna ed indivisibile capitale », uno status non riconosciuto dalla comunità internazionale e di sicuro non dai palestinesi: «Se Gerusalemme Est non sarà la capitale del futuro Stato, non si arriverà mai alla pace», ha commentato il negoziatore Saeb Erekat. Lo Shin Bet è convinto che il presidente Abu Mazen e Hamas abbiano organizzato delle contromisure per impedire agli ebrei di comprare nella parte araba. Yuval Diskin, capo dei servizi segreti interni, ha riferito ai ministri di una donazione dallo sceicco Youssef al-Qaradawi, 25 milioni di dollari trasferiti dal Qatar al movimento fondamentalista per aprire o rafforzare le istituzioni religiose nella città. La strategia del mattone di Moskowitz ha già incrociato il destino politico (ed emotivo) di Netanyahu. I due si conoscono da quando il milionario americano ha sponsorizzato la nascita del centro studi intitolato a Yonatan, il fratello maggiore del premier caduto nell'operazione di Entebbe. Ed è stato lui nel 1996 a convincere il Bibi del primo mandato ad aprire una nuova uscita per il controverso tunnel sotto al Muro del pianto e la Spianata delle Moschee: settanta morti negli scontri successivi tra palestinesi e israeliani. Poco dopo, Moskowitz trasferisce tre famiglie in un palazzo nel quartiere di Ras al-Amud e Netanyahu è costretto a chiedergli di fermarsi. Madeleine K. Albright, allora segretario di Stato, ha appena lanciato un appello a evitare altre provocazioni contro gli arabi. Davide Frattini Il proprietario Irving Moskowitz ( Ynetnews.com) Diplomazia Il Dipartimento di Stato convoca l'ambasciatore israeliano. Netanyahu: «Sovranità sull'intera città»

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Le scelte del Partito democratico e l'ipotesi di alleanza con l'Udc (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 20-07-2009)

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Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 20/07/2009 - pag: 10 AL CONGRESSO Le scelte del Partito democratico e l'ipotesi di alleanza con l'Udc di MICHELE SALVATI SEGUE DALLA PRIMA E per questo è giustificato l'interesse di tanti osservatori non partigiani per le schermaglie iniziali del prossimo congresso del Pd: promettono i candidati sinora scesi in campo, le prime indicazioni delle loro posizioni politiche, di dar vita ad un confronto allo stesso tempo serio e non lacerante? Un confronto che non eluda i problemi che sinora hanno impedito a questo partito di conquistare consensi e però, alla fine, consenta all'intero partito di unirsi lealmente sul candidato e sulle posizioni politiche che prevarranno nel congresso? Così è avvenuto dopo il durissimo scontro tra Barack Obama e Hillary Clinton: avverrà anche per il Pd? È ancora troppo presto per rispondere a questa domanda in un modo o nell'altro. Ma è già possibile sostenere che, almeno per una questione importante, il confronto ci sarà e con esso un necessario chiarimento. Scrivendo una decina di giorni fa su questo giornale, prima della discesa in campo di Franceschini, affermavo che la natura del partito e le leggi elettorali auspicate proporzionali, come ai tempi della Prima Repubblica, oppure maggioritarie, come nella Seconda rischiavano di rimanere un convitato di pietra, che incombeva sul congresso ma non veniva affrontato di petto. Il discorso di candidatura di Franceschini ha tolto ogni equivoco. Il Partito democratico viene presentato come il centro di una alleanza elettorale che si confronta con l'alleanza di centrodestra nel contesto di un sistema maggioritario: vince l'una o vince l'altra. Evidentemente Franceschini non crede che in questo contesto il Pd e i suoi alleati siano necessariamente destinati a perdere, che il Paese sia strutturalmente «di destra», e scommette su un'alleanza credibile e su un messaggio politico capaci di attrarre molti elettori di centro che nelle ultime elezioni hanno votato massicciamente per la Lega e il Pdl. Sotto questo profilo si tratta di una strategia di continuità con quella adottata dal centrosinistra dal 1996 in poi, prima con l'Ulivo e poi con il Partito democratico. La scommessa è quella di trovare alleanze più convincenti di quelle tentate dall'Ulivo troppo eterogenee per governare e a malapena sufficienti per vincere o dal Partito democratico: il famoso «andiamo da soli» era in realtà un'alleanza con Di Pietro. Alleanze e messaggio politico capaci di evitare un pesante astensionismo a sinistra e di BEPPE GIACOBBE sottrarre un cospicuo numero di elettori a destra. È evidente che Bersani non crede con la stessa determinazione a questa prospettiva di continuità: finché la legge elettorale non cambia e l'attuale governo non ha alcuna intenzione di cambiarla anch'egli deve rassegnarsi alla costruzione di un'alleanza che combatta frontalmente con l'alleanza di centrodestra. Ma, appunto, di rassegnazione si tratta, non di un obiettivo politico: per chi la pensa come lui una democrazia nella quale sono gli elettori a Proporzionale Un punto di convergenza con i centristi potrebbe essere una legge elettorale proporzionale scegliere il capo del governo non è migliore di quella in cui i governi si fanno e si disfano in Parlamento. Se domani cambiassero le condizioni politiche e fosse possibile modificare la legge elettorale, probabilmente la scelta cadrebbe su una legge proporzionale alla tedesca, non su una legge maggioritaria più decente di quella attuale, che sarebbe invece la scelta di Franceschini. Ed è abbastanza chiara la strategia di alleanze che ne consegue. Solo promettendo all'Udc una legge proporzionale alla tedesca (o qualcosa di simile) è possibile convincere questo partito ad abbandonare la sua orgogliosa testimonianza centrista ed accettare un'alleanza elettorale con il Pd ed altri partiti della sinistra: difficile spiegare in altro modo la manifesta simpatia che molti dei suoi esponenti mostrano per la candidatura di Bersani, certamente più lontano di Franceschini dalla loro tradizione politica. Date le circostanze, la posizione di Bersani è forte, soprattutto se è realistica un'alleanza con l'Udc in nome dell'obiettivo di una legge elettorale proporzionale senza premi di maggioranza. Il suo costo è l'abbandono dell'intera strategia su cui si era mosso l'Ulivo e il Pd durante la Seconda Repubblica: il sistema bipolare e la fusione dei riformismi laico e cattolico in un nuovo amalgama. Insomma, un evidente: «Ci siamo sbagliati», come dicevo nel mio precedente articolo. Venga almeno pronunciato forte e chiaro e il congresso decida. E poi, quale che sia la decisione, se la presenza di un centrosinistra forte e non rissoso è un bene per il Paese, anche chi ha sostenuto tesi diverse si attenga alle decisioni congressuali.

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Springsteen parla in italiano: io porto il rock, voi fate rumore (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 20-07-2009)

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Corriere della Sera sezione: Spettacoli data: 20/07/2009 - pag: 32 Il debutto Quarantamila spettatori allo stadio Olimpico di Roma per la prima tappa del «Working on a Dream Tour» Springsteen parla in italiano: io porto il rock, voi fate rumore Un brano dedicato all'Aquila. Sul palco sale la mamma ROMA La dedica arriva alla fine del concerto. «Questa è una canzone per la gente dell'Aquila», dice in italiano Springsteen prima di intonare «My City Of Ruins». Non si è smentito il Boss: il suo rock è sempre dalla parte degli sfortunati e della povera gente. Sessant'anni a settembre, ma la grinta non gli manca: è pura energia quella che trasmette ai quarantamila dello Stadio Olimpico per il debutto italiano del «Working on a Dream Tour». «L'ora di Bruce», ieri sera, è arrivata in ritardo di trenta minuti rispetto all'orario (le 22) imposto dalle autorità per evitare la contemporaneità fra il concerto e le gare dei Mondiali di nuoto. E per questo, prima dell'inizio dello show, si sono alzati i fischi della folla spazientita. Ma l'atmosfera si è ricomposta subito, con le prime note dell'aria scritta da Ennio Morricone per «C'era una volta in America», mentre il maxischermo rimandava le immagini di un tramonto che sta per nascondersi dietro le montagne. «Ciao Roma», saluta Springsteen e attacca la travolgente «Badlands » circondato dalle potenti elettrificazioni della sua E-Street Band. «C'è qualcuno vivo là fuori?» urla Bruce. E lo stadio risponde con un boato. Il palco è quasi spoglio, arredato soltanto da un maxischermo: quattro passerelle, centrali e laterali, gli permettono di scendere per arrivare vicino agli spettatori e poterli toccare. È la vittoria del rock nella sua forma più ruvida ed essenziale: tre ore di canzoni per ripercorrere una vita dedicata alla musica. Pochissimo spazio per il nuovo album, «Working On A Dream», poi un viaggio indietro nel tempo che non punta tutto sui grandi successi, ma si snoda anche fra i pezzi meno frequentati del suo repertorio. Ogni sera è diversa dalle altre, non c'è una scaletta definita. E, per rendere ancor più difficile il compito, Springsteen si diverte a suonare alcuni brani richiesti dalla folla. Gli spettatori delle prime file lo aspettano impugnando cartelli con il loro pezzo preferito, Bruce ne afferra un bel mucchio e poi sceglie. Ieri è toccato a «Hungry Heart», «Pink Cadillac», «I'm on Fire» e «Surprise, Surprise». Uno spettacolo nello spettacolo, forse uno dei momenti più attesi della serata. Springsteen nei suoi concerti ci mette muscoli e passione. Il Boss con La E-Street Band suona fino all'una del mattino. Ma il pubblico vorrebbe che «l'ora di Bruce» andasse avanti a oltranza perché una serata con lui vuol dire soprattutto divertimento. La folla si agita, urla, si alzano i cori appena si avvertono le prime note dei pezzi più famosi. E il Boss per il blues di «Raise your hand» indossa un cappello rosso da cowboy, si siede sul pianoforte di Roy Bittan; si misura in un duetto feroce con la chitarra di Little Steven; per «Waiting on a Sunny Day» prende dalla folla un bambino, lo fa salire sul palco e gli fa cantare il ritornello; sulle note di «American Land» fa salire anche la mamma che balla insieme alla band. Si traveste, metaforicamente, anche da predicatore per convertire la folla (ce ne fosse bisogno) al verbo della E-Street Band. E introduce «Working on a Dream» (composta per Barack Obama) con un discorso in italiano: «Stasera costruiamo una casa di musica, spirito e rumore. Noi portiamo la musica, abbiamo bisogno che voi facciate rumore ». La batteria di Max Weinberg segna il ritmo impetuoso, la chitarra di Nils Lofgren incide, affidabile e sicura, i riff elettrici, le note che escono dal sax di Clarence Clemons arricchiscono le canzoni di sorprendenti sfumature. Finora il tour, partito a marzo, ha totalizzato un milione e mezzo di biglietti venduti e sono stati aggiunti altri venticinque concerti alle date americane. Segno di una popolarità e di un amore che non accennano a spegnersi. Come le luci che infine illuminano a giorno «Dancing on the Dark». Sandra Cesarale Il ritardo Avvio preceduto dai fischi del pubblico spazientito per i trenta minuti di ritardo: il concerto è iniziato alle 22.30 invece che alle 22

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 20-07-2009)

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Corriere della Sera sezione: Cronaca di Roma data: 20/07/2009 - pag: 2 Corso Vittorio Violate le norme igieniche e quelle relative all'occupazione di suolo pubblico «Sporchi e abusivi, chiudete tre locali» Breve l'estate glamour della ristorazione romana. Dopo la carbonara servita a Lady Obama nella sempre meno riservata piazza delle Coppelle, gli esercenti del centro tornano alla routine assai meno composta del fine settimana. Su cinque locali ispezionati tra piazza Farnese, Campo de' Fiori, Corso Vittorio Emanuele, via del Governo Vecchio e limitrofe, quattro sono stati sanzionati. E per tre, in particolare, le irregolarità hanno portato ad un provvedimento di chiusura che sarà notificato nella giornata di oggi. Secondo gli ispettori della azienda sanitaria di Roma A, due locali, in particolare, avevano accumulato una lunga serie di violazioni dal punto di vista delle norme igienico sanitarie. Mentre agli altri due sono state contestate trasgressioni alla normativa sull'occupazione di suolo pubblico. E non per la prima volta. Uno dei due esercenti si era espanso tre volte oltre il consentito. Un'evasione dalla legge che, a questo punto, gli costerà la chiusura del locale. «Di verifiche sull'occupazione di suolo pubblico da parte dei locali se ne fanno ogni giorno e, in molte piazze, i risultati sono visibili ma abbiamo notato che in occasione dei Mondiali sono aumentati i tavolini...», dice il comandante dei vigili di via Montecatini, Cesarino Caioni. Sarà il nuoto, saranno i turisti, sarà l'effetto First Lady. Morale: lo spazio concesso (e regolarmente pagato) non basta più e sedie, cavalletti e menù tornano a moltiplicarsi. La task force che, ormai da novembre, setaccia le zone della «movida» più invasiva del centro è composta dagli agenti del commissariato Trevi Campo Marzio più ispettori della Asl e vigili urbani del I Gruppo, autori, sempre tra venerdì e sabato di controlli ai locali dell'isola Tiberina. Discoteche già segnalate da residenti e comitati cittadini per violazioni delle norme acustiche. Nessuna multa però. «Al momento dei controlli - riferisce Caioni - tutto è risultato in regola». Quattrocentocinquanta invece sono stati gli automobilisti sanzionati nel fine settimana (soprattutto per «doppia fila» spiegano dalla municipale) tra via Giulia, Portico d'Ottavia, via dei Cerchi e area «movida». Dove, varchi o meno, le auto si spingono pressoché invariabilmente. Ilaria Sacchettoni Vigili urbani Il comandante Caioni: «In questi giorni, in coincidenza del Mondiali di nuoto, aumentano sedie e tavolini all'aperto»

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450 (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 20-07-2009)

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Corriere della Sera sezione: Economia data: 20/07/2009 - pag: 10 Veneto Zonin nel Piemonte di Virginia fa il Nebbiolo per la Casa Bianca D a Thomas Jefferson a Barack Obama. La presenza di vini Zonin alla Casa bianca sembra ormai un appuntamento fisso: li hanno richiesti Bill Clinton e George Bush, mentre Obama li ha utilizzati per la cena del suo «Inauguration Gala» . Come nasce il legame tra la casa vinicola veneta e i presidenti degli States? Tutto è iniziato nel 1976, quando Gianni Zonin rileva la tenuta di «Barboursville Vineyards », situata nel cuore della Virginia, in una terra che Thomas Jefferson definì (e che si chiama ancora) «Piedmont Region ». Nome per niente casuale visto che proprio in queste terre il Nebbiolo, il vitigno principe del Piemonte, ha trovato una collocazione ideale dove riesce ad esprimere le sue potenzialità proprio come in Italia. Nei 500 ettari della tenuta vengono prodotte circa 450 mila bottiglie l'anno, i terreni di argilla rossa permettono una coltivazione e una produzione molto vasta che comprende: Cabernet, Chardonnay, Nebbiolo, Merlot, Viognier, Pinot nero e Pinot grigio. Naturalmente una simile produzione ha rappresentato per i Zonin un perfetto trampolino di lancio per il mercato a stelle e strisce, un modo per aggredire uno tra i comparti più complessi del mondo: negli States infatti è difficile contrastare la concorrenza dei vini della Napa Valley (californiani), la consolidata tradizione dei francesi e i cosiddetti «vini del nuovo mondo», Australia, Cile e Sudafrica. La tenuta però ha un valore intrinseco culturale (in America è considerata residenza storica) oltre che architettonico. Proprio Thomas Jefferson, infatti, progettò e fece costruire quest'imponente villa, in stile palladiano, destinata all'amico James Barbour, allora governatore dello Stato. Il tutto immerso un parco di querce e «Dog Wood» (un albero di alto fusto che fiorisce nel mese di aprile) ma senza mai pensare a vigneti. «Al nostro arrivo, negli anni '70, non esistevano praticamente vigneti, mentre oggi sono oltre 90 le Wineries che producono uve e imbottigliano all'origine i vini prodotti nello stato dice Gianni Zonin, presidente Casa Vinicola Zonin . Oggi, oltre ad avere vini tra i più premiati negli Usa, ci dedichiamo anche all'enoturismo grazie a due strutture: la 'Mansion di Barboursville' e il 'Vineyard Cottage'. Il tutto senza dimenticare di promulgare il made in Italy. Con questo scopo è nato il 'Palladio Restaurant', all'interno della tenuta Barboursville Vineyards: è diventato il ristorante italiano di moda in Virginia per i suoi menù abbinati ai vini di Barboursville Vineyards» . I. TRO. 450 mila le bottiglie prodotte ogni anno su 500 ettari, nella tenuta che Thomas Jefferson definì «Piedmont Region» Imago Economica Leader Gianni Zonin, presidente della Casa vinicola di famiglia, che ha sede a Gambellara (Vicenza)

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Il nuovo volto della jihad (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 20-07-2009)

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Contro il " Colpo di spada" degli americani, i Taliban alzano lo scudo di Bowe Bergdahl. Per la prima volta dai tempi di Enduring Freedom gli Stati Uniti devono fare i conti con la cattura di un proprio soldato, caduto nelle mani dei seguaci del mullah Omar. O di uno dei tanti gruppi che ormai formano la galassia talebana. Nel video trasmesso da Al Jazeera, e finito subito in Rete, a dimostrazione che l'arcaismo comunicativo del movimento è andato in soffitta dopo l'alleanza con i qaedisti, appare il soldato catturato a fine giugno nell'area di Paktika. Dopo l'inizio dell'operazione militare nel sud del paese che, se non decisiva per chiudere una guerra comunque difficile vincere, dovrebbe almeno ridimensionare il controllo territoriale dei Taliban nell'area per il tempo delle elezioni. Bergdahl, che veste abiti tradizionali afgani e ha una barba folta, quasi fosse presentato come sulla via della conversione, dice di essere spaventato e di voler tornare a casa; chiede al governo di far rientrare le truppe e, naturalmente, lui con loro. Che appaia in buona salute è importante ma non rassicura: la cattività tra miliziani in turbante e kalashnikov regala momenti di serenità del tutto provvisori. Tanto che i suoi carcerieri hanno minacciato di ucciderlo se le richieste formulate non fossero esaudite. Richiesta disperata, quella del "tutti a casa". Avviene in un momento in cui l'amministrazione Obama ha deciso piuttosto di rafforzare il suo impegno nel "Paese dei monti". Invertendo le priorità dell'era Bush. Certo non spetta a un soldato, tanto più prigioniero, la comprensione della complessità dello scenario strategico Afpak. Sotto il pervasivo suggerimento dei suoi carcerieri l'ostaggio Bergdahl non può che definire la presenza Usa in Afghanistan come "un perdita di tempo". Anche se lo fa guardando in basso, quasi a mandare segnali in codice. Ma è difficile che in riva al Potomac le sue parole possano essere ascoltate. Oltretutto gli Usa non trattano per la liberazione dei loro ostaggi, che puntano a liberare mediante operazioni militari. Bergdahl lo sa, come qualunque soldato a stelle e strisce, tanto più quelli coinvolti in un teatro di guerra. La sua sorte è affidata all'occhiuto sguardo dei Predator, pure spesso ciechi un uno scenario in cui tutto è mimetico, anche l'elemento umano, alla capacità delle forze speciali di seguire le tracce. OAS_RICH('Middle'); Quanto al video, appare diverso da quelli girati da Al Qaeda. In particolare da quell'altro americano, Johnny, che tra gli jihadisti milita invece volontariamente. Qui tutto è essenziale, senza enfasi, anche se si tratta di un'essenzialità che svela la nuda vita e, drammaticamente, rimanda a un pericolo mortale. La parole sono intervallate da riprese in cui Bergdahl mangia, immagini che nell'intento dei registi del sequestro intendono mostrare l'ospitalità locale contrapposta alla presenza di quanti si presentano in armi. Niente proclami, quasi a dimostrare che chi lo tiene prigioniero lo giudica un "prigioniero di guerra" e non è interessato alla jihad globale, a quella deriva filoqaedista che ha perduto l'Emirato dell'Afghansitan, ma solo al ritiro degli americani e della coalizione. Forze, insomma, con le quali si potrebbe persino trattare, decise a praticare il jihad solo in via difensiva. Un argomento cui l'amministrazione Obama, intenta a separare i gruppi islamisti in neo-tradizionalisti e radicali, e quest'ultimi in localisti e globalisti, potrebbe in futuro essere sensibile. (20 luglio 2009

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Cia, così nacquero gli interrogatori "duri" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 20-07-2009)

Argomenti: Obama

La discesa nella valle degli orrori della Cia avvenne un passo alla volta, come sempre avviene, senza accorgersi che la fortezza della democrazia si stava trasformando nel nemico che voleva combattere. E diventava un'altra "Villa Triste" globale per sadici e aguzzini, nel nome della sicurezza nazionale. Siamo soltanto all'inizio di questo processo, tipicamente americano, di catarsi e di autoflagellazione attraverso la verità, appena sei mesi dopo il cambio di amministrazione. Dagli armadi socchiusi della "guerra al terrore" avanza ormai una processione di scheletri destinata soltanto ad allungarsi, perché finalmente, ora che il padrone è cambiato, le coscienze si sentono libere di parlare, almeno a mezza bocca. Sono storie di sospetti terroristi - sospetti, neppure colpevoli accertati - sottoposti al finto annegamento chiamato waterboarding fino a 83 volte in cinque giorni, come Abu Zubayda, nella speranza di strappare loro quei piani e quei nomi che avrebbero protetto l'America, secondo il mito isterico della "bomba che ticchetta" da telefilm "24", che anche giureconsulti come il professor Alan Dershowitz di Harvard giustificavano. Il Washington Post enumera cataloghi grandguignoleschi di privazione di sonno, una delle tecniche più atroci; sequestri in scatole di legno troppo piccole, costretti a restare per giorni in posizione anchilosata fino all'esplosione di dolori lancinanti alle giunture; teste ripetutamente pestate contro il muro, ma avvolte in asciugamani per non lasciare tracce. È un campionario che sembra tratto dall'ordine di servizio emesso nel 1937 dal leader della Gestapo, Heinrich Mueller, inventore della "Verschaerfte Vernhemung". L'interrogatorio inasprito, adottato dall'America di Bush. OAS_RICH('Middle'); Come già nelle fosse dell'Afghanistan, nel carcere di Abu Grahib o nella pratica di appaltare le torture dei prigioneri ad altre nazioni più ruvide, al cuore di questa tragedia dell'onore americano stanno due elementi: 1) Il panico dell'11 settembre, con la rivelazione lancinante della vulnerabilità dell'America e della inettitudine dei servizi segreti; 2) La commistione tossica fra funzionari di governo e contractors privati, di ex militari, agenti, avventurieri passati ai migliori redditi offerti da chi prendeva in appalto quello che militari e agenti in servizio non volevano o non potevano fare. Sciolti da ogni codice di comportamento, fuori dai confini nazionali e ubriachi del loro potere assoluto sulle vittime. L'imperativo di "proteggere la nazione" sembrava giustificare tutto, nel solito commercio luciferino fra sicurezza e libertà, fra la legge e le scorciatoie. Se la guerra segreta condotta dallo spionaggio nei 50 anni di Guerra Fredda non era mai stata un tè per nobildonne, almeno qualche elementare codice di comportamento fra Usa e Urss esisteva, nella certezza che ciò che tu avessi fatto al mio agente, io avrei fatto al tuo. Ma questi parametri saltarono quella mattina dell'11 settembre, di fronte a macellai accecati dal fanatismo e indifferenti alla propria morte. Se un personaggio come Zayn al-bidin Mohammed, Abu Zubayda, cadeva nelle mani della Cia in Pakistan, la macchina dell'interrogatorio "verschaerfte", inasprito, scattava, e le squadra miste di agenti ufficiali e di contractors si metteva in azione. Tutto era lecito, anche la tecnica di "far diventare blu" gli interrogati, tenendoli a bagno nell'acqua ghiacciata per ore, già denunciata al processo di Norimberga come crimine di guerra. A volte autorizzata, a volta improvvisata, ma sempre nella certezza che fosse stata approvata downtown, in centro, cioè dal governo di Washington. Ci fu chi si ribellò, come sempre c'è, come lo psicologo dr. Mitchell, aguzzino poi disgustato, ex Cia passato a una delle tante società per la guerra private. Nel 2005, anche il Ministero della Giustzia a Washington, quello che sfornava ambigui documenti legali a comando per autorizzare le torture, dichiarò non più necessari gli interrogatori "inaspriti". La ubriacatura del terrore, che non è la necessaria protezione, si stava riassorbendo, insieme con il sospetto che quelle sevizie non producessero niente e nuocessero all'anima, prima ancora che all'immagine, dell'America. Ora è naturalmente la Cia a essere chiamata a rispondere, mentre il governo Obama sta cercando di ridefinire i criteri, i limiti, le responsabilità, togliendo il monopolio alla Cia di futuri interrogatori, perché il pericolo non è passato e la speranza non è una difesa contro i folli suicidi. Ma l'apertura di quegli armadi serve almeno a ricordare, a questo e ai futuri presidenti, il rischio eterno di confermare la profezia di un famoso personaggio di fumetti americani che formarono una generazione di lettori negli anni '50 e '60, l'opossum Pogo. Che annunciò agli altri animali della foresta inquieti di "avere finalmente incontrato il nemico". E di avere scoperto "che il nemico siamo noi". (20 luglio 2009

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