CENACOLO
DEI COGITANTI |
Il primo viaggio
intercontinentale di un nuovo presidente americano assume sempre un significato
che... ( da "Stampa,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione Obama dovrà
diventare un test della sua capacità di armonizzare gli interessi nazionali con
problemi globali e multilaterali. Obama è entrato in carica in un momento di
opportunità unica. La crisi economica assorbe le energie delle maggiori
potenze, che nonostante i contrasti hanno tutte bisogno di una pausa nel
confronto internazionale.
Crisi, Tremonti assicura
"Finita la grande paura"
( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Citando il presidente americano,
Obama, il ministro dell'Economia rassicura: ci sono segnali di speranza, il
peggio della crisi è alle spalle. Mentre Maurizio Sacconi chiede una moratoria
alle imprese: «Non licenziate». Barbera e Grassia A PAGINA
Una finale, il Sud Africa
film in bianco e nero ( da "Stampa,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: che però pochi giorni fa ha
minacciato di dimettersi per gli attacchi razzisti dei dirigenti, dai quali è
tollerato per convenienza politica. Mandela non è più presidente, Pienaar non
si occupa più di rugby. Resta quella foto. Che qualcuno, nella nuova America di
Obama, ha voluto rimettere in movimento.
Skype e Youtube le nuove
tribune del sindaco ( da "Stampa,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: sul modello del presidente
statunitense Barack Obama. In più il sindaco sarà disponibile a rispondere
direttamente, sia sul proprio cellulare (il numero è pubblicato on line) che
attraverso il programma Skype, software di messaggistica istantanea, che
consente di chattare, conversare e videochiamare: il suo nome utente è marco.
Ahmadinejad:
"Veglierò sui diritti della reporter"
( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama: "Liberatela
subito" NEW YORK Mahmoud Ahmadinejad invoca il diritto ad una giusta
difesa nel processo di appello a Roxana Saberi, la giornalista
iraniano-americana condannata sabato per spionaggio da un tribunale
rivoluzionario di Teheran a otto anni di reclusione.
Un Presidente che fa
troppi compromessi ( da "Stampa,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack Obama è eccessivamente cauto
e tende troppo al compromesso politico. E' lapidario il «New York Times» nel
giudicare i primi tre mesi di governo del nuovo presidente Usa colpevole,
secondo il più liberal dei grandi quotidiani americani, di aver dimostrato di
capitolare da subito su alcune importanti azioni riformiste annunciate durante
la campagna elettorale.
L'AVANA VICINO SCOMODO
( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: LE SFIDE DI OBAMA L'AVANA VICINO
SCOMODO Washington Ha ammesso che sono sbagliate le politiche adottate contro
Fidel negli ultimi 50 anni
Il piccolo disgelo di
Barack ( da "Stampa,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama certamente non è Bush,
tuttavia la conclusione della «cumbre» delle Americhe lascia il senso amaro di
un risultato molto inferiore alle attese che si erano accese un paio di giorni
fa. Nel vertice continentale dei presidenti, i problemi al centro dell'agenda
erano due, intrecciati ma allo stesso tempo anche indipendenti:
Il nodo di Cuba guasta il
vertice delle Americhe ( da "Stampa,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: mentre il presidente Barack Obama è
impegnato nel discorso finale del summit di Port of Spain, da lui stesso
definito «un nuovo inizio» nelle relazioni tra Stati Uniti, Cuba e America
Latina. La fine dell'embargo «è lontana sulla strada», dice Summers convinto
che questo passaggio cruciale non sia un evento che possa avvenire dall'oggi al
domani.
Durban, rinuncia anche la
Germania il summit verso il fallimento
( da "Repubblica.it"
del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Ecco perché ieri Barack Obama in
persona ha confermato il boicottaggio Usa, facendolo con un ragionamento
politico consequenziale: "Io sono un presidente degli Usa che crede nel
multilateralismo e nelle Nazioni Unite, ma non posso accettare un linguaggio
controproducente come quello proposto.
fresco:"bene il
pressing di marchionne i sindacati usa difendono un privilegio" - paolo
griseri ( da "Repubblica,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Capisco che Obama lo voglia alla
guida della Chrysler ma starei attento a caricare troppe responsabilità sulle
spalle di una stessa persona». Staccherebbe l´auto dal resto del gruppo per
fare un accordo? «L´avrei già fatto da tempo». Che cosa c´è dopo l´alleanza con
Detroit?
la politica equilibrista -
(segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il rifiuto di Obama, e il ritiro
della delegazione americana che pure fino a pochi giorni or sono aveva
partecipato alla preparazione di questa "Durban 2", come si chiama
perché è la continuazione della prima, organizzata nella città sudafricana di
Durban nel 2001, vengono dopo settimane di esitazione, di "nì", di
"forse" e di "ma",
miracoli di san giulio -
(segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il realismo di Barack Obama è un
valido antidoto: insieme alla paura, che resta, si affaccia qualche speranza.
Ma come dice il presidente americano, non siamo affatto usciti dal tunnel, i
tempi restano molto difficili, il credito continua a non fluire. Se poi dal
villaggio globale restringiamo l´orizzonte alla piccola Italia,
arriva la principessa
tiana prima lady nera della disney - carlo moretti roma
( da "Repubblica, La"
del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: prime apparizioni proprio mentre
Michelle Obama assumeva il suo ruolo di First lady e le due ragazze Obama
prendevano possesso delle loro stanze dei giochi alla Casa Bianca, la
coincidenza di una nuova linea di Barbie nere "So in style" che verrà
lanciata durante la prossima estate, sono tutti elementi che annunciano un anno
di straordinaria visibilità per le donne afroamericane.
"troppi compromessi
mr. president" tutti i dubbi dell'america liberal - jackie calmes david m.
herszenhorn ( da "Repubblica,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: HERSZENHORN WASHINGTON - Il
presidente Obama è noto per le sue proposte ambiziose che hanno aumentato le
aspettative di tutti, ma la sua Amministrazione ha già evidenziato una tendenza
al compromesso e alla prudenza, e addirittura una certa disponibilità a cedere
su alcune delle sue iniziative.
obama: mea culpa su cuba
ma resta l'embargo - alberto flores d'arcais
( da "Repubblica, La"
del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il principale consigliere economico
di Obama, in una intervista alla Nbc. «Dipenderà da cosa fa Cuba e da come Cuba
intende proseguire nel cammino». Il vertice si è concluso con un altro
siparietto di Chavez. Visto che il libro di Eduardo Galeano che ha regalato ad
Obama (Le vene aperte dell´America Latina) in America è schizzato ai primi
posti delle vendite di Amazon,
ahmadinejad:
"garantire i diritti alla saberi" - vanna vannuccini
( da "Repubblica, La"
del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama: "Liberatela" A
sorpresa, Teheran sospende l´esecuzione di una donna condannata per omicidio
VANNA VANNUCCINI Le prime reazioni americane non erano state polemiche. Certo,
la Casa Bianca aveva espresso «profonda delusione» per la dura condanna
pronunciata dal Tribunale della Rivoluzione di Teheran contro la giornalista
americana di origine iraniana Roxana Saberi,
usa, la retromarcia global
scatta dai call center indiani - (segue dalla copertina) federico rampini
( da "Repubblica, La"
del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: e Amministrazione Obama, annuncia
la chiusura del centro di assistenza dopo-vendita (al telefono e online) che da
anni era operativo in India. Licenziare gli indiani è un passaggio obbligato
per convincere i colletti blu di Detroit ad accettare nuovi tagli su salari,
pensioni e assistenza sanitaria.
SINISTRA, PAURA DI UN VERO
LEADER ( da "Stampa,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Perché Blair e Obama vanno bene, ma
da noi - in Italia - un leader non ci può essere, e quando prova a esserci
viene rapidamente logorato e sostituito? Perché la destra può avere un leader
nonostante l'ombra di Hitler e Mussolini, e la sinistra che ne ha sempre avuti
- da Stalin a Togliatti a Berlinguer - ora lo teme come la peste?
Il vertice Onu sul
razzismo spacca l'Occidente ( da "Corriere
della Sera" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 1 No di Obama, sì del Vaticano, Ue
divisa. E Ahmadinejad attacca Israele Il vertice Onu sul razzismo spacca
l'Occidente L'Occidente si è spaccato sulla partecipazione alla conferenza
Durban II. Chi ha deciso di boicottarla (Stati Uniti, Israele, Italia,
Australia, Canada, Olanda e Germania) teme che in Svizzera vada in scena una
replica del summit nella città sudafricana,
Durban II: gli Usa non
vanno, Europa divisa ( da "Corriere
della Sera" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama difende Israele. L'arrivo di
Ahmadinejad: «Sionisti ladri» Si apre oggi a Ginevra la Conferenza sul razzismo
tra accuse e rinunce. Vaticano, Gran Bretagna e Francia: noi andiamo DAL NOSTRO
INVIATO GINEVRA Diciassette pagine. Parole da eliminare o limare.
Caso Roxana,
Argomenti:
Obama
Abstract: Il presidente Usa Obama chiede il
suo rilascio immediato. La magistratura iraniana ha rinviato di 2 mesi
l'esecuzione della pittrice iraniana Delara Darabi, condannata a morte per un
omicidio commesso a 17 anni (si dice innocente). Ma i parenti della vittima
rifiutano di concedere il perdono che salverebbe Delara.
Abstract: Su Obama, secondo me, ha pesato altresì il timore che una presenza americana a Ginevra gli alienasse l'opinione pubblica interna oltre che Israele, che diffida di lui». Una divisione inattesa tra Londra e Washington? «Diciamo una divisione in contrasto con la Storia.>
Tremonti: finita la paura
dell'apocalisse ( da "Corriere
della Sera" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Possiamo guardare al futuro con
qualche prospettiva che sostituisce, come dice Obama, la speranza alla paura».
La cautela è comunque d'obbligo. Tremonti evita di fornire date e cifre mentre
Barack Obama dalle isole Trinidad sposa la teoria del suo consigliere economico
Larry Summers: «Non siamo ancora fuori dal tunnel, per l'economia si
prospettano tempi difficili».
Obama: basta soldi dei
contribuenti nel buco nero delle banche
( da "Corriere della Sera"
del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 6 Il presidente Usa Obama: basta
soldi dei contribuenti nel buco nero delle banche «Se ci sarà bisogno di altro
denaro per le banche ha detto il presidente Usa Barack Obama (foto) dal vertice
delle Americhe a Trinidad io ho la responsabilità di assicurare la trasparenza:
non intendo gettare i soldi dei contribuenti in un buco nero».
Chávez rimanda
l'ambasciatore negli Usa ( da "Corriere
della Sera" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ambasciatore negli Usa Obama: «Da
Cuba vogliamo fatti, ma abbiamo sbagliato politica per 50 anni» Il leader
bolivarista chiederà il gradimento per Roy Gaderton, attuale rappresentante di
Caracas all'«Oas» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Il regalo del libro, fra
l'altro in spagnolo quindi di improbabile lettura per Barack Obama,
stagione
( da "Corriere della Sera"
del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Corriere della Sera sezione: Esteri
data: 20/04/2009 - pag: 12 Nuova stagione Dialogo Il presidente Usa Barack
Obama arriva alla conferenza stampa conclusiva del vertice panamericano di
Trinidad e Tobago
Gli intellettuali
avvertono:
Argomenti:
Obama
Abstract: mentre il fratello Raúl, leader in
carica, ammette che con Obama può discutere di tutto, senza condizioni. Ha
addirittura pronunciato parole proibite finora, come «dissidenti» e «diritti
umani». Il regime sa che con Obama è difficile vendere ai cubani l'immagine del
«demonio», come invece veniva facile con Bush.
G8 agricoltura Intesa
sulla lotta alla speculazione ( da "Corriere
della Sera" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: La novità sembra essere Obama:
difficilmente gli Stati Uniti di un anno fa avrebbero potuto firmare un
documento «multilaterale» come quello che sarà presentato domani. È invece
mancato un documento condiviso anche dagli altri otto Paesi partecipanti al
summit (Cina, India, Messico, Brasile, Sud Africa e Argentina, Australia,
Rendere utile l'embargo,
revocandolo ( da "Corriere
della Sera" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: pag: 26 OBAMA E CUBA Rendere utile
l'embargo, revocandolo di FRANCO VENTURINI D a quando Barack Obama è alla Casa
Bianca il mondo gira decisamente più veloce. Dopo la Russia, l'Iran e i
«talebani buoni », un altro ponte è stato gettato dal nuovo presidente Usa
verso quell'America Latina che Bush aveva tanto trascurato.
Pomigliano non somiglia a
Detroit ( da "Corriere
della Sera" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: cittadinanza che lega la società
americana e per onorare le promesse elettorali di Barack Obama. Nella vecchia
Europa, invece, il sindacalismo si agita tanto senza concludere niente. Tiene
la piazza con manifestazioni imponenti, che si rivelano frutto però più di una
straordinaria forza organizzativa che di una reale sintonia con le ansie e le
aspettative più profonde del mondo del lavoro.
Chi c'è ha torto
( da "Corriere della Sera"
del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: regime che Ahmadinejad rappresenta
o se la risposta alle aperture del presidente americano Obama sia già contenuta
per intero nella condanna a otto anni per spionaggio appena inflitta alla
giornalista americanairaniana Roxana Saberi. Sapendo, naturalmente, che
Ahmadinejad è comunque un presidente in scadenza e che dovrà, nel giugno
prossimo, affrontare il giudizio degli elettori.
"L'incubo Borse è
finito" ( da "Stampa,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Una prospettiva che sostituisce,
«per usare le parole di Barack Obama, la speranza alla paura». Questo non
significa che i numeri del 2009 cambieranno di segno, anzi. Non a caso Sacconi,
temendo ancora un forte calo dell'occupazione in Italia, ha ribadito la sua
richiesta alle imprese di una «moratoria per i licenziamenti».
Borse mondiali tra
rimbalzo e vera ripresa ( da "Stampa,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: dollaro con una moneta
internazionale come valuta per gli scambi e per le riserve dei paesi
esportatori, e Obama ha detto di no. Che cosa succederà? "Il dollaro e' e
rimarra' la valuta di scelta per riserve e scambi per il prevedibile
futuro", dice Tarallo. "Lo vedo scendere però dagli attuali livelli
entro fine anno per l'enorme debito pubblico Usa dovuto allo stimolo di
Obama".
In aprile il Dow Jones
delle blue chips americane sta confermandosi sopra quota 8000 punti - ha
chiu... ( da "Stampa,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: dollaro con una moneta
internazionale come valuta per gli scambi e per le riserve dei paesi
esportatori, e Obama ha detto di no. Che cosa succederà? "Il dollaro e' e
rimarra' la valuta di scelta per riserve e scambi per il prevedibile
futuro", dice Tarallo. "Lo vedo scendere però dagli attuali livelli
entro fine anno per l'enorme debito pubblico Usa dovuto allo stimolo di
Obama".
Diffuso un nuovo video di
Al Zawahiri "Con Obama per noi non cambia nulla"
( da "Repubblica.it"
del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il medico egiziano considera la
vittoria di Obama un successo dei combattenti islamici: "Non è altro che
il riconoscimento da parte del popolo americano del fallimento della politica
di Bush, conferma che mentivano gli americani quando sostenevano di aver vinto
sui mujahidin. Obama ha sfruttato la sconfitta in Iraq per vincere le elezioni.
La politica equilibrista
( da "Repubblica.it"
del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: con il quale ci si sgancia
educatamente da un noioso invito a cena, che Barack Obama non parteciperà alla
conferenza dell'Onu contro il razzismo da oggi a Ginevra, creando in apparenza
un colossale paradosso: quello del primo presidente americano nero, eletto nel
trionfo dell'antirazzismo, assente da un'iniziativa internazionale contro il
razzismo.
Il Papa benedice il
vertice dell'Onu Ebrei infuriati, e l'Europa si spacca
( da "Stampaweb, La"
del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: mentre Obama la diserta perché
«controproducente e inaccettabile per il suo linguaggio sbagliato su Israele».
La Santa Sede si smarca dal boicottaggio degli Stati Uniti, dell?Italia e di
altri Paesi contrari all?impostazione anti-israeliana di «Durban II», il
vertice Onu che oggi si apre a Ginevra tra le polemiche per le pesanti critiche
contro lo Stato d?
Vertice sul razzismo,
mondo diviso Israele richiama il suo ambasciatore
( da "Stampaweb, La"
del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack Obama ha difeso il no degli
Usa alla partecipazione alla Conferenza sul razzismo e la xenofobia, ribadendo
di essere un presidente che «crede nell?Onu» ma spiegando di non poter
accettare «linguaggio controproducente» contenuto nella bozza del documento
finale.
Fidel a Obama: "Stop
all'embargo" ( da "Stampaweb,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ex presidente cubano Fidel Castro
ha chiesto al presidente degli Stati Uniti Barack Obama di togliere l?embargo
Usa a Cuba. Obama «è stato duro ed evasivo in merito all?embargo» durante la
conferenza stampa di chiusura del vertice delle Americhe che si è tenuto a
Trinidad Tobago, ha scritto il lider maximo in un commento pubblicato sul sito
internet ufficiale Cubadebate.
Al Qaeda: "Obama non
cambia nulla" ( da "Stampaweb,
La" del 20-04-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: WASHINGTON Barack Obama «non ha
cambiato» la percezione che i musulmani hanno degli Stati Uniti: ne è convinto
il numero due di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, che ha parlato in un nuovo video
diffuso su Internet. A darne conto è il centro di sorveglianza dei siti
islamici Site.
( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti: Obama
Il primo viaggio
intercontinentale di un nuovo presidente americano assume sempre un significato
che va al di là dell'itinerario. Per il presidente è l'occasione per saggiare
l'impatto della propria politica, per i suoi interlocutori l'opportunità di conoscere
il leader col quale dovranno trattare nei prossimi quattro anni. Obama ha approfittato della circostanza per tracciare il suo
approccio personale alla politica estera: multilateralismo, una reiterata presa
di distanza pubblica dal suo predecessore, negoziati ad ampio spettro su più
fronti, enfasi sulla costruzione di relazioni personali con i suoi
interlocutori. Mai dalla visita di John Kennedy in Europa nel 1961 un
presidente americano ha conquistato tali manifestazioni di sostegno. La sfida
di Obama consiste ora nell'articolare le sue
iniziative ad ampio respiro in una strategia di politica estera coerente. Per
lanciare negoziati su una tale varietà di dossier ci vuole coraggio. Alcune
iniziative, come il dialogo strategico con la Cina, sono dibattiti già in corso
ma elevati a un livello più alto. Altre, come il negoziato sul controllo delle
armi con la Russia, sono rimaste in letargo per più di un decennio. L'apertura
all'Iran non ha precedenti. I negoziati mediorientali hanno una lunga storia di
iniziative fresche sconfitte da difficoltà sempre nuove. Ciascuno di questi
negoziati ha una componente politica, ma anche strategica. Ciascuno rischia di
incontrare ostacoli che oscureranno gli obiettivi finali, o di lasciar
seppellire la sostanza dalla tattica. Tutti sono strettamente legati. Il
dialogo sul controllo delle armi con la Russia influirà sul ruolo di Mosca
nella non-proliferazione iraniana. Il dialogo strategico con la Cina aiuterà a
dare forma al negoziato sulla Corea del Nord. Il negoziato con l'Iran verrà
influenzato pesantemente dal progresso dell'Iraq verso la stabilità, altrimenti
il vuoto che si verrebbe a creare potrebbe indurre in tentazione lo spirito
d'avventura di Teheran. L'ampia agenda dell'amministrazione
Obama dovrà diventare un test della sua capacità di armonizzare gli
interessi nazionali con problemi globali e multilaterali. Obama è entrato in carica in un momento di opportunità unica. La crisi
economica assorbe le energie delle maggiori potenze, che nonostante i contrasti
hanno tutte bisogno di una pausa nel confronto internazionale. Sfide
soverchianti come il clima, l'ambiente e la proliferazione riguardano tutti,
aprendo un'opportunità senza precedenti per soluzioni globali. Ma questa realtà
deve venire trasferita in un concetto operativo di ordine mondiale. E questo
dipende in larga misura dalle prospettive dell'amministrazione. Per ora il suo
approccio sembra puntare verso una diplomazia concertata sul modello del dopo-
( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti: Obama
Il ministro
dell'Economia: fermata la caduta delle Borse Crisi, Tremonti assicura
"Finita la grande paura" Sacconi alle imprese: "Non
licenziate" «È finita la paura di un crollo epocale delle Borse, di
un'apocalisse. Insomma, l'incubo degli incubi è passato». A parlare è Giulio
Tremonti, secondo il quale anche se siamo ancora in una fase di «incognite», la
gente ha iniziato a tirare un sospiro di sollievo. Citando
il presidente americano, Obama, il ministro dell'Economia rassicura: ci sono segnali di
speranza, il peggio della crisi è alle spalle. Mentre Maurizio Sacconi chiede
una moratoria alle imprese: «Non licenziate». Barbera e Grassia A PAGINA
8
( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti: Obama
IL DOPO APARTHEID
L'ABBRACCIO TRA LEADER Una finale, il Sud Africa film in bianco e nero Clint
Eastwood sta girando "The Human Factor": racconta il miracolo del
'95, un Paese riunito dal Mondiale di rugby Fino ad allora la Nazionale era
sinonimo di razzismo Diventò una nuova bandiera Il presidente Mandela e
l'afrikaans Pienaar con la stessa maglia: la n.
( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti: Obama
Personaggio La
«rivoluzione» tecnologica di Marco Pasteris ELVIO CHILELLI Skype e Youtube le
nuove tribune del sindaco SALUGGIA Si proclama assertore dell'informatica come
veicolo di democrazia. E vede internet come la nuova frontiera della pubblica
amministrazione. Abituato a rompere gli schemi - uomo di An ha vinto le
elezioni sfidando il centrosinistra su un tema come l'ambiente - ora Marco
Pasteris ha voluto un cambiamento netto arricchendo il nuovo portale web del
municipio di avanzate tecnologie digitali ed interattive, un enorme salto in
avanti rispetto alla maggioranza delle amministrazioni pubbliche italiane che
sui loro siti si limitano a qualche comunicato e a poche notizie realmente
utili. Il sito internet municipale (www.comune.saluggia.vc.it) non conterrà più
solamente informazioni e news comunali, ma offrirà anche una serie di servizi
innovativi. Il Consiglio comunale sarà trasmesso in diretta via webcam. Ci sarà
un messaggio video settimanale del primo cittadino, sul
modello del presidente statunitense Barack Obama. In più il
sindaco sarà disponibile a rispondere direttamente, sia sul proprio cellulare
(il numero è pubblicato on line) che attraverso il programma Skype, software di
messaggistica istantanea, che consente di chattare, conversare e videochiamare:
il suo nome utente è marco.pasteris1. C'è la possibilità poi di gestire
on line una lista di documenti, di ricevere tramite posta elettronica la
propria posizione relativa all'Imposta comunale sugli immobili e, per le
associazioni locali, di avere a disposizione una pagina web oppure un link, un
collegamento, al proprio sito. Confermatissima, visto il successo, la sezione
che permette di conoscere, giorno per giorno, dove e su quali lavori sono
occupate le squadre di operai comunali. «Abbiamo lavorato alla possibilità di
offrire un servizio migliore alla cittadinanza», così il sindaco ha presentato
il nuovo portale che parte dai risultati raggiunti dalla versione precedente,
capace nel 2008 di registrare un milione e settecentomila collegamenti totali,
con una media giornaliera di 4700 visite. «Nel corso del 2008 - osserva
Pasteris - abbiamo cercato di migliorare la quantità e la qualità di
informazioni disponibili. Oggi presentiamo un sito rivisto completamente che
offre maggiori opportunità ai cittadini». A partire dalla novità del messaggio
video settimanale. Il primo è già visuabilizzabile attraverso l'icona sulla
home page. E anche su Youtube, ovvio.
( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti: Obama
Ahmadinejad:
"Veglierò sui diritti della reporter" L'apertura di Teheran. Obama: "Liberatela subito" NEW YORK Mahmoud Ahmadinejad
invoca il diritto ad una giusta difesa nel processo di appello a Roxana Saberi,
la giornalista iraniano-americana condannata sabato per spionaggio da un
tribunale rivoluzionario di Teheran a otto anni di reclusione.
L'inattesa apertura da parte del presidente della Repubblica islamica arriva da
un dispaccio dell'agenzia Irna, secondo cui il capo dell'ufficio di presidenza,
Abdolreza Sheikholeslami, ha inviato una lettera al procuratore capo di
Teheran, Said Mortazavi, nella quale chiede di prestare attenzione affinché
l'imputata «disponga di tutte le libertà e dei diritti legali per difendersi e
perché i suoi diritti non vengano calpestati». Un segnale insolito per
Ahmadinejad, rappresentante della fazione conservatrice e nemico giurato degli
Stati Uniti. Ancor più perché la richiesta non riguarda solo il processo
Saberi, ma anche il caso Hossein Derakhshan, il «padre dei blog iraniani»
detenuto dal 2008 e in attesa di giudizio. Le affermazioni di Ahmadinejad
giungono ore dopo che il presidente americano Barack Obama
ha chiesto di liberare la donna, dicendosi «preoccupato» per la sua sorte:
«Stiamo lavorando per essere certi che venga trattata in modo adeguato e per
ricevere tutte le informazioni sul suo caso. Washington fa tuttavia intendere
di puntare su una cauta diplomazia. «Profonda delusione» era stata espressa
poco prima dal segretario di Stato, Hillary Clinton. Roxana Saberi, 31 anni,
nata negli Stati Uniti da padre iraniano e madre giapponese, da sei anni
risiede in Iran ma da due le era stato revocato l'accredito da giornalista.
Arrestata il 31 gennaio dopo aver comprato una bottiglia di vino in un bazar
della capitale, è stata accusata in un secondo momento di spionaggio per conto
degli Usa. E' la prima volta che l'Iran ha giudicato una giornalista americana
colpevole di spionaggio al termine di un processo lampo: secondo il padre,
Reza, l'udienza principale è durata solo 15 minuti. Per gli esperti il processo
è un tentativo delle fazioni conservatrici di minare il cammino di distensione
avviato da Obama dopo tre decenni di gelo diplomatico.
Oppure una carta che Teheran vuole giocare nel contenzioso sul nucleare. E' per
questo che l'intervento di Ahmadinejad ha colto di sorpresa tutti, anche perché
giunge con un'altra decisione a sorpresa, ovvero la sospensione dell'esecuzione
di Delara Darabi, una ragazza condannata a morte per un omicidio commesso a 17
anni, che avrebbe dovuto essere impiccata nei prossimi giorni.\
( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti: Obama
IL NEW YORK TIMES
«Un Presidente che fa troppi compromessi» Barack Obama è eccessivamente cauto e tende troppo al compromesso politico.
E' lapidario il «New York Times» nel giudicare i primi tre mesi di governo del
nuovo presidente Usa colpevole, secondo il più liberal dei grandi quotidiani
americani, di aver dimostrato di capitolare da subito su alcune importanti
azioni riformiste annunciate durante la campagna elettorale. «Dov'è la
battaglia tanto annunciata?» si chiede il NYT.
( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti: Obama
LE
SFIDE DI OBAMA L'AVANA VICINO SCOMODO Washington Ha ammesso che sono sbagliate
le politiche adottate contro Fidel negli ultimi 50 anni
( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti: Obama
Il piccolo
disgelo di Barack Si può pur dire la politica dei piccoli passi, e immaginare
la costruzione lenta di un percorso che porti alla soluzione della crisi, ma
quando poi i piccoli passi sono soltanto belle parole e foto sorridenti e però
i fatti, quelli solidi, concreti, continuano a non vedersi, allora il
pessimismo torna a dominare la scena, e i protagonisti si ricollocano nei loro
vecchi angoli consunti. Non siamo ancora a questo punto, Obama certamente
non è Bush, tuttavia la conclusione della «cumbre» delle Americhe lascia il
senso amaro di un risultato molto inferiore alle attese che si erano accese un
paio di giorni fa. Nel vertice continentale dei presidenti, i problemi al
centro dell'agenda erano due, intrecciati ma allo stesso tempo anche
indipendenti: uno era il ritrovamento di una forma accettabile di
dialogo tra il grande vicino del Nord e i suoi diffidenti partners che stanno
sotto il Rio Bravo, e l'altro era la ricomposizione della rottura tra
Washington e l'Avana. Le parole con le quali Obama ha
chiuso la sua partecipazione suonano bene, hanno il profilo aggregante della
speranza e il respiro forte di un futuro aperto; ma, dentro, non contengono
segni di nuove prospettive con il Cono Sur, nè risposte certe alla mano aperta
che Raul Castro aveva appena offerto. E anche se l'embargo a Cuba è un
fantoccio di comodo per il regime castrista piuttosto che una vera ghigliottina
sullo sviluppo dell'isola, il suo valore simbolico ha un fortissimo contenuto
politico; su questo si misurano il grado di pacificazione del vecchio
contenzioso e la stessa prospettiva di una stabilizzazione pacificatrice, e non
soltanto con l'isola. Lo si era detto da molti, già dopo l'insediamento di Obama alla Casa Bianca: che le aspettative che si erano
proiettate sulla sua elezione - l'immagine giovane, il segno forte della
discontinuità, la volontà di rendere reale il «We can» della speranza - si
sarebbero dovute misurare con il peso pesante degli equilibri preesistenti e
con la vischiosità degli interessi consolidati. Il presidente ha fatto molto,
sul piano della rottura con le pratiche e con la storia della precedente
amministrazione, e ha saputo pronunciare ovunque parole di apertura e di
mutamento di rotta, disponibilità certe a un dialogo innovatore. Ma sia nel
viaggio in Europa, sia ora in questo incontro con i suoi vicini del continente,
i risultati raccolti appaiono inferiori ai grandi gesti retorici che li avevano
preparati. I rapporti con l'America Latina, e con Cuba in particolare, devono
scontare un lungo tempo nel quale - come Chàvez ha voluto platealmente
sottolineare regalando a Obama il libro di Galeano -
gli Usa hanno giocato il ruolo che i murales dell'Avana chiamano senza
mediazioni - «El Imperialismo Yanqui»; e la frase celebre di Roosevelt - a chi
gli faceva notare che il golpe del Nicaragua portava al potere «un autentico
figlio di puttana» - che quel Somoza era comunque «il nostro» figlio di
puttana, sintetizza con drammatica efficacia il tipo di relazioni egemoniche
che Washington proiettava sui Paesi del suo Sud. Mutare questo corso comporta
molto di più che una faccia giovane e parole di dialogo, ma certamente il fatto
che - come lo stesso Obama ha voluto notare - tutti i
presidenti che sedevano al suo tavolo della cumbre erano stati eletti, tutti,
in un regime democratico è un valore forte al quale l'ancoraggio della speranza
appare meno problematico che in passato, ma del quale, anche, gli Stati Uniti
debbono tenere un conto certo, perché significa che le prospettive di dialogo
si pongono oggi su un piano di parità. È il ruolo che Lula disegna al
leadership latinoamericana, e la presenza degli investimenti cinesi e iraniani
è un fattore che impone alla Casa Bianca una più misurata propensione a
riconoscere le ragioni dei vicini del Sud.
( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti: Obama
Il nodo di Cuba
guasta il vertice delle Americhe [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK La fine
dell'embargo americano su Cuba è tutt'altro che vicina. La dichiarazione è di
Larry Summers arriva come una doccia fredda nella cerimonia conclusiva del
vertice delle Americhe di Trinidad e Tobago caratterizzato da un clima di
generale distensione tra le opposte realtà continentali, ma chiuso senza
l'unanimità sul testo finale. Il consigliere economico della Casa Bianca
ricorre ad affermazione perentorie nel corso dei consueti salotti tv
domenicali, mentre il presidente Barack Obama è impegnato nel discorso finale del summit di Port of Spain, da
lui stesso definito «un nuovo inizio» nelle relazioni tra Stati Uniti, Cuba e
America Latina. La fine dell'embargo «è lontana sulla strada», dice Summers
convinto che questo passaggio cruciale non sia un evento che possa avvenire
dall'oggi al domani. «Molto dipenderà da cosa fa Cuba e da come intende
proseguire il cammino», avverte il consigliere gelando così l'ipotesi di una
veloce revoca delle sanzioni emersa durante i lavori di Trinidad. Un segnale in
controtendenza specie perché negli stessi istanti da Port of Spain, Obama spiega che le politiche adottate negli ultimi 50 anni
dagli Usa nei confronti di Cuba «non hanno funzionato». In questi giorni, dice,
«abbiamo percepito segnali positivi che aprono le porte a un dialogo franco,
anche su questioni critiche come la democrazia e i diritti umani». Il
presidente attende però un segnale dall'Avana spiegando che tocca a lei fare un
passo in avanti iniziando magari con la liberazione dei prigionieri politici
oppure con concessioni libertà di stampa. «Sono troppi i cittadini ai quali
vengono negate la dignità, le opportunità e le chance per vivere i propri sogni
a Cuba e in tutto il continente», avverte Obama. Il
riferimento è anche al Venezuela di Hugo Chavez e giunge dopo l'inattesa
stretta di mano tra il leader socialista e l'inquilino della Casa Bianca al
quale il presidente venezuelano ha regalato il libro «Le vene aperte
dell'America Latina» di Eduardo Galeano. Libro subito balzato al numero due
della «top ten» di Amazon. Chavez da parte sua valuta la riapertura delle sedi
di rappresentanza negli Usa dopo il richiamo a settembre del personale
diplomatico. A conferma della ritrovata distensione il presidente brasiliano
Lula chiede al collega americano di inviare il segretario di Stato, Hillary
Clinton, a Caracas e a La Paz in Bolivia, come «emissario di buona volontà».
Mentre Chavez nel corso del vertice Unasur (Unione delle nazioni sudamericane),
avanza la candidatura dell'Avana quale sede per il prossimo vertice delle
Americhe. Da parte sua Obama si impegna a «rispettare
tutti i governi eletti democraticamente, anche se vi saranno divergenze
politiche». E aggiunge: «Mi oppongo e condanno qualsiasi tipo di sforzo volto
ad abbattere un governo eletto democraticamente: non è la politica di questa
amministrazione, non è il modo in cui il popolo degli Stati Uniti si aspetta
che si comporti il governo». Poco prima il presidente nel corso del Sica (il
Sistema d'Integrazione centro-americana) ha confermato la sua disponibilità a
cooperare con i leader «eletti democraticamente», anche con lo stesso Daniel
Ortega uno dei leader più ostili a Washington. Si tratta di Paesi che
rappresentano per Washington «un importante partner e con i quali sono uniti da
sfide comuni», dice Obama. Non è mancato infine un
accenno alla delicata questione dei paradisi fiscali, alcuni dei quali si
trovano nei Paesi caraibici e sui quali molto hanno dibattuto all'inizio del
mese a Londra i leader del G20. Larry Summers, ha spiegato che secondo il
presidente» questioni come quella dell'evasione fiscale e del segreto bancario
devono essere affrontate e risolte quanto prima».
( da "Repubblica.it"
del 20-04-2009)
Argomenti: Obama
GINEVRA -
"Uniti contro il razzismo": qualcuno ha scritto giustamente che
sembra una beffa lo slogan scelto per la Conferenza dell'Onu sul razzismo (la
cosiddetta Durban 2) che si apre a Ginevra. In serata è arrivata l'ultima
rinuncia, pesante, quella della Germania. Dopo Stati Uniti, Israele, Canada,
Italia, Olanda, il boicottaggio della Germania porta il peso della scelta di un
paese guida nella Ue e nel mondo. Il vero timore è che la 4 giorni di Ginevra
possa trasformarsi in una replica di "Durban 1", la conferenza Onu
che nel 2001 mise nel mirino Israele accusandolo di essere l'unico paese al
mondo titolare di politiche razziste e xenofobe. A Ginevra però ci sarà il
Vaticano, ci saranno tutti i paesi arabi e quelli islamici che volevano Israele
sul banco degli imputati. Con loro in prima fila il presidente iraniano Mahmoud
Ahmadinejad. Arriveranno alcuni paesi europei che non se la sono sentita di
disertare una conferenza Onu, per esempio la Gran Bretagna di Gordon Brown (con
una scelta quasi da doppiogioco: Londra sarà rappresentata solo
dall'ambasciatore a Ginevra). Ci saranno tutte le agenzie Onu e le Ong
interessate al tema dei diritti umani, dell'uguaglianza fra i popoli. Per mesi
è stata negoziata una Dichiarazione Finale da cui progressivamente sono stati
emendati i riferimenti aggressivi per Israele. Su un punto però gli
anti-israeliani hanno fatto muro: nel progetto di "Dichiarazione
Finale" è stato lasciato un esplicito richiamo alle conclusioni di Durban
( da "Repubblica, La"
del 20-04-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 13 -
Economia L´opzione Opel Parla l´ex presidente della Fiat ed ex vicepresidente
di General Electric. Sua l´alleanza del Lingotto con la GM Fresco:"Bene il
pressing di Marchionne i sindacati Usa difendono un privilegio" Dopo
l´accordo con gli americani, per il gruppo del Lingotto sarebbe utile anche
l´acquisizione della Opel da GM PAOLO GRISERI TORINO - I sindacati americani
stanno segando il ramo su cui sono seduti e «per difendere i privilegi dei
lavoratori del Michigan rischiano di portare al fallimento le società». Analisi
impietosa quella di Paolo Fresco, ex numero due di General Electric, presidente
di Fiat dal 1998 al 2003, autore dell´accordo con Gm che portò 4,5 miliardi di
euro nelle casse di Fiat e immensi rimorsi a Detroit. Ingegner Fresco, con i
miliardi versati dalla Gm è partita la riscossa di Fiat. Ora quei soldi
serviranno a comperare la Chrysler? «Non è così semplice. I soldi dell´opzione
put di Gm sono una parte di una somma complessiva che sfiora i 10 miliardi di
euro (ai 4,5 di Detroit vanno sommati i 3 del convertendo delle banche e i 2,5
della vendita della quota Montedison) che consentì a Fiat auto di uscire dalla
crisi. Anche grazie all´abilità negoziale di un ad come Marchionne». Allora
Detroit stava per mangiarsi Torino, ora potrebbe succedere il contrario.
Perché? «Perché i grandi produttori degli Usa non hanno risolto il problema del
costo del lavoro. Non lo ha risolto completamente nemmeno la Ford». Ai tempi della
sua trattativa con Gm, quel problema c´era? «Eccome. Solo che si pensava di
avere un po´ di tempo davanti per risolverlo. Il fatto è che nel corso dei
decenni i lavoratori di Detroit hanno ottenuto una serie di benefit che rendono
molto più costoso produrre nel Michigan che in altri Stati degli Usa. Difendere
quei privilegi significa condannare le società al fallimento». Lei li farebbe
entrare i sindacati nel cda? «Non sono contrario a priori. L´esperienza tedesca
dimostra che quando i sindacati vengono dalla tua stessa sponda del fiume,
diventano molto più ragionevoli». E accetterebbe di fare l´ad di Fiat e
Chrysler insieme? «Quando si è fuori è troppo facile dare consigli. Marchionne
non ne ha bisogno. Capisco che Obama lo voglia
alla guida della Chrysler ma starei attento a caricare troppe responsabilità
sulle spalle di una stessa persona». Staccherebbe l´auto dal resto del gruppo
per fare un accordo? «L´avrei già fatto da tempo». Che cosa c´è dopo l´alleanza
con Detroit? «Quell´alleanza sarebbe un bel passo avanti per Fiat ma non
sarebbe comunque la fine del percorso di fusione». Mancherebbero almeno due
milioni di auto prodotte alla soglia dei sei milioni. Dove trovare il nuovo
alleato? «Non credo che sia tanto un problema di numeri quanto di sinergie.
Conta soprattutto quanto riesco a produrre e a vendere con la stessa
piattaforma perché in quel modo posso realizzare maggiori risparmi. In questo
senso va bene l´alleanza, di cui si parla, con Opel che lavora sullo stesso
segmento di mercato». Non vede rischi per l´occupazione in quel caso? «Li vedo.
Ma si tratta di rispondere contemporaneamente a due esigenze: quella di avere
una gamma completa, e per questo andrebbe bene un´alleanza con Bmw, e
l´esigenza di ridurre i costi, per cui sarebbe ideale la fusione con Opel». Due
ipotesi tedesche. Anche lei trattò con i costruttori della Germania? «Con
Mercedes, all´epoca della trattativa con Gm». Usò la Mercedes come arma di
ricatto? «Dicemmo a Detroit che se non accettavano il vincolo del put, avevamo
un´altra opportunità».
( da "Repubblica, La"
del 20-04-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 19 -
Commenti LA POLITICA EQUILIBRISTA (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Il rifiuto di Obama, e il ritiro della delegazione
americana che pure fino a pochi giorni or sono aveva partecipato alla
preparazione di questa "Durban 2", come si chiama perché è la continuazione
della prima, organizzata nella città sudafricana di Durban nel 2001, vengono
dopo settimane di esitazione, di "nì", di "forse" e di
"ma", di sofferenze e di ambiguità che il Presidente stesso si
è deciso a tagliare «con rammarico» per non offendere coloro, Israele e la
comunità ebraica per prime, che leggono in questo incontro soltanto
un´occasione di propaganda antisemita. E dunque una cassa di risonanza per
quelle nazioni, come Iran e Libia, che bizzarramente fanno parte della
commissione Onu per «i diritti umani», e usano il Palazzo di Vetro come
megafono anti israeliano, mentre al proprio interno calpestano proprio quei
diritti civili e individuali che domandano agli altri di rispettare. Ma se il
rifiuto di partecipare è stato più facile per i governi che hanno detto
"no", come l´Australia, la Francia, l´Olanda, che è agitata al
proprio interno dalla più acuta "questione islamica" in tutta
l´Europa o l´Italia, mentre il Vaticano, l´Inghilterra, la Spagna hanno
accettato l´invito, l´assenza dell´uomo che incarna in questo momento la più
alta speranza di superamento del razzismo sembra una contraddizione lancinante.
Per questo, e fino all´ultimo, gli inviati americani a Ginevra, e la stessa
Casa Bianca avevano tentato di lavorare per linee interne, di modificare dal di
dentro quei documenti nei quali i promotori cercano di indicare nel
"sionismo", sinonimo di Israele, il bastione del razzismo, che
definiscono la barriera costruita dal governo ebraico «il muro dell´apartheid»
e riconoscono soltanto nella "Nakba", nella catastrofe e nella
diaspora palestinese, l´unico, autentico esempio di tentato genocidio. Di
fronte alla nettezza inconciliabile di questa interpretazione del razzismo, che
già aveva spinto George Bush a boicottare "Durban 1", neppure la
consumata abilità obamiana di ricomporre gli opposti con il carisma o la sua
capacità di fare annunci trancianti seguiti da azioni concrete molto più
ambigue, sarebbe bastata. Benedetto XVI può, nel suo ruolo di pontefice di una
confessione religiosa senza autentico potere politico, permettersi di sperare
che questa conferenza sia «un passo fondamentale verso l´affermazione del
valore universale della dignità dell´uomo, contro ogni forma di
discriminazione», ma il Papa non deve vedersela con la comunità ebraica
americana, con un governo di falchiestremisti come il neo insediato in Israele,
con un capo di gabinetto come Rahm Emanuel già volontario con le forze armate
israeliane, con lobbies che avrebbero considerato la sua presenza a Ginevra
come assenso implicito alle tesi di chi nega l´Olocausto. La tecnica di governo
di Barack Obama, quasi una edizione americana dei «due
forni», il presidente che annuncia la chiusura di Guantanamo ma per il momento
la lascia aperta, che ammorbidisce l´embargo anti cubano ma non lo cancella,
che condanna la tortura ma non i torturatori, che fustiga i bonus e i profitti
dei finanzieri ma poi puntella le loro banche agonizzanti, non poteva
funzionare di fronte a una conferenza che esalta e sancisce il razzismo mentre
dichiara di volerlo estirpare. E non è soltanto il nocciolo radioattivo
dell´antisemitismo contenuto già nel primo documento approvato sette anni or
sono a inquietare. C´è anche il tentativo di dichiarare ogni "discorso
blasfemo" come proibito e di considerare "l´incitamento" alla
critica antireligiosa come prova di discriminazione razziale, una tesi cara
alle teocrazie fondamentaliste e integraliste che in sostanza sperano di avere
il beneplacito dell´Onu alla loro «fatwa», alla persecuzione e repressione di
ogni critica e di ogni opposizione vista come satanica. Il paradosso del
presidente venuto dal Terzo Mondo, del primo capo di stato americano eletto
"nonostante" la propria diversità e minorità etnica è dunque più
apparente che reale. Questa volta, Obama il
formidabile equilibrista che riesce a sembrare sempre troppo rivoluzionario ai
conservatori e sempre troppo conservatore ai rivoluzionari, essendo tanto un
centrista nell´azione quanto appare "estremista" nella parole, non ha
potuto camminare sul filo dell´ambiguità. Obama, come
gli rimproverano i delusi, è, prima di ogni altra cosa, un realista e lo ha
dimostrato, con qualche imbarazzo, rifiutando di presentarsi a questo invito a
cena. La realtà, oggi come negli ultimi 60 anni di politica estera americana,
con presidenti democratici o repubblicani, insegna che, al momento delle
strette, Washington, bianca o nera che sia, si collocherà sempre dalla parte di
Israele.
( da "Repubblica, La"
del 20-04-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 19 -
Commenti MIRACOLI DI SAN GIULIO (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) In America l´incubo
del collasso della finanza, e in definitiva dell´intero modello
turbo-capitalistico dell´ultimo ventennio, sembra scongiurato. I clamorosi profitti
di bilancio macinati dalle grandi banche d´affari, cuore pulsante del sistema,
dimostrano ancora una volta che il capitalismo uccide e rigenera le sue cellule
con velocità sorprendente. In Cina gli investimenti fissi urbani sono cresciuti
del 30%, e Pechino scommette su una crescita dell´8%. In India settori come la
siderurgia e il cemento, dopo mesi di calma piatta, mostrano picchi di
risveglio. In Russia la produzione industriale a marzo è cresciuta dell´11,1%,
e il ministro delle Finanze Kudrin ipotizza una piena ripresa già nel quarto
trimestre. Persino in Europa qualcosa si muove: l´indice Euro-Coin che stima la
differenza tra la produzione attuale e le aspettative delle imprese tre mesi
prima inizia a stabilizzarsi, mentre l´Indice Baltico che registra le
variazioni del prezzo di trasporto via mare delle merci, crollato sotto quota
( da "Repubblica, La"
del 20-04-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 33 -
Spettacoli Il film animato "The princess and the frog" a novembre in
America Arriva la principessa Tiana prima lady nera della Disney CARLO MORETTI
ROMA Dopo Jasmine, la principessa araba di "Aladdin", dopo la
principessa indiana Pocahontas e dopo Mulan, la principessa cinese, gli studi
Disney puntano ora su una principessa afroamericana. Si chiama Tiana, viene da
New Orleans ed è la protagonista di "The princess and the frog", un
film animato la cui uscita è attesa in America per novembre. Tiana è la prima
principessa Disney in più di dieci anni ma soprattutto è la prima principessa
nera in assoluto prodotta dalla casa di produzione di cartoon più famosa al
mondo. Il cerchio sembra essersi dunque chiuso 70 anni dopo la nascita di
Biancaneve, divenuta un´icona in tutto il pianeta, al pari delle altre otto
principesse Disney che l´hanno seguita, dalla Bella Addormentata a Cenerentola,
da Belle alla Sirenetta, da Jasmine a Pocahontas, a Mulan. Un effetto Obama? Del film si era cominciato a parlare nell´agosto del
( da "Repubblica, La"
del 20-04-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 9 - Esteri
Il New York Times "punzecchia" e critica le scelte prudenti dei suoi
primi 100 giorni alla Casa Bianca "Troppi compromessi Mr. President"
tutti i dubbi dell´America liberal Per i suoi critici, Barack sarebbe poco disponibile
agli scontri a viso aperto I suoi alleati replicano: "è un pragmatico, le
battaglie vere arriveranno" JACKIE CALMES DAVID M. HERSZENHORN
WASHINGTON - Il presidente Obama è noto per le sue proposte
ambiziose che hanno aumentato le aspettative di tutti, ma la sua
Amministrazione ha già evidenziato una tendenza al compromesso e alla prudenza,
e addirittura una certa disponibilità a cedere su alcune delle sue iniziative.
Obama non ha fatto dietrofront su nessuno dei suoi
obiettivi fondamentali: i suoi consulenti sostengono che le concessioni fatte
finora - in relazione a questioni di budget, per esempio - sono intese a
facilitare la vittoria nelle più importanti battaglie politiche che andranno
affrontate in futuro. Ciò nondimeno, la sua disponibilità a trattare ha
lasciato perplessi alcuni commentatori e alcuni democratici: «Ciò che ancora
ignoriamo di Obama è per che cosa sia disposto a
battersi», dice tra gli altri Leonard Burman, economista dell´Urban Institute e
dirigente del Dipartimento del Tesoro dell´Amministrazione Clinton: «Per quanto
mi riguarda, mi preoccupa il fatto che al presidente piaccia fare bei discorsi,
adulare l´opinione pubblica e far felice la gente». In alcuni dei primi scontri
in cui è stato coinvolto, Obama ha preferito il
pragmatismo alle scazzottate. I democratici del Congresso sono riusciti
efficacemente a cassare la sua proposta di tagliare i sussidi all´agricoltura
di circa un miliardo di dollari l´anno, lo hanno obbligato a fare dietrofront
almeno in parte rispetto a un piano che avrebbe imposto agli assicuratori
privati di sostenere una quota maggiore dei costi per l´assistenza sanitaria
dei veterani di guerra, e lo hanno messo nella condizione di accantonare almeno
per qualche tempo l´idea di una commissione incaricata di rafforzare le finanze
del sistema pensionistico pubblico. I suoi consiglieri più stretti liquidano
come infondate le supposizioni di chi afferma che Obama
si tiene alla larga dallo scontro diretto, e replicano che così si ignorano i
suoi effettivi risultati, l´esigenza di dover agire in tempi rapidi per
risolvere la crisi economica e le battaglie che egli ha ingaggiato contro
alcuni grossi gruppi di interesse di Washington. Il pragmatismo -aggiungono - è
un carattere distintivo di Obama, e tra i cambiamenti
che egli ha promesso e mantenuto vi è anche una netta rottura rispetto allo
stile spesso privo di compromessi del suo predecessore. In che misura il
presidente sarà disposto a venire a patti con i lobbyisti, i leader delle varie
commissioni del Congresso e i gruppi di interesse, tuttavia, dipenderà da come
la Casa Bianca affronterà questioni come la riforma sanitaria e l´immigrazione.
Dice il suo capo di gabinetto, Rahm Emanuel: «Dobbiamo lottare su più fronti,
perché vogliamo combattere una serie di interessi radicati in più ambiti,
dall´istruzione alla sanità, dall´industria della Difesa alle varie lobby. Alla
fine sul tabellone segnapunti potremo vedere quali battaglie avremo vinto e
quali perso, ma in ogni caso ciascuna di queste sfide politiche sarà stata una
nostra iniziativa». Gli alleati di Obama sottolineano
il fatto che l´ha spuntata nell´ottenere un secondo salvataggio finanziario in
extremis da 350 miliardi di dollari da un Congresso molto riluttante; nel fare
approvare una legge sulla parità salariale tra uomini e donne; nel varare un
piano governativo allargato di assistenza sanitaria per i bambini, inclusi i
figli degli immigrati; e segnalano la legge per la ripresa economica che
prevede lo stanziamento di 787 miliardi di dollari. Ma tutto ciò potrebbe
finire col sembrare facile a confronto della lotta che sarà necessario
ingaggiare in tema di assistenza sanitaria e che molto verosimilmente
costringerà Obama a resistere alle pressioni di
ospedali, medici e assicurazioni, e ai loro potenti sostenitori che siedono al
Congresso. Copyright The New York Times/La Repubblica. Traduzione di Anna
Bissanti
( da "Repubblica, La"
del 20-04-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 9 - Esteri
Obama: mea culpa su Cuba ma resta l´embargo Chiuso il
viaggio in Sudamerica: "Per cinquant´anni abbiamo sbagliato"
Conferenza stampa del presidente Usa: "Il popolo cubano non è libero,
questo deve essere chiaro" ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato new
york - «La politica che abbiamo condotto per cinquant´anni non ha funzionato».
Cuba, grande assente al vertice delle Americhe, ottiene il palco anche nella
scena finale, la conferenza stampa con cui Barack Obama
ha concluso il suo viaggio in America Latina. Con la sua ammissione il
presidente americano chiude di fatto mezzo secolo di «guerra fredda» contro il
comunismo caraibico, aprendo la strada a nuove relazioni con i fratelli Castro.
Non sarà una strada facile e neanche veloce perché, cosa che Obama
ha voluto sottolineare, «la popolazione cubana non è libera, le questioni
relative ai prigionieri politici, alla libertà di espressione e alla democrazia
sono importanti e non possono essere soltanto accantonate». Sarà però una
strada opposta a quella seguita per cinquant´anni dai presidenti americani in
modo rigorosamente bipartisan (la rivoluzione castrista vinse ai tempi di
Eisenhower ma trionfò con John Kennedy), con l´Urss potenza mondiale ma anche
dopo il crollo sovietico, durante le crisi (cubane) degli anni �80 e quelle
più recenti, fino alla malattia di Fidel. Per quasi cinquant´anni tutto è ruotato
attorno a una parola: embargo. Una misura (anch´essa decisa da Kennedy) passata
nel corso dei decenni attraverso qualche modifica ma rimasta sempre in vigore,
nella convinzione che con il blocco economico il regime castrista sarebbe prima
o poi crollato come i vecchi Stati dell´orbita sovietica. Non è accaduto e
adesso Obama ne prende atto. A spingerlo è stata la
risposta «positiva» data da Raul Castro alle misure della Casa Bianca di lunedì
scorso, l´alleggerimento di alcune restrizioni, l´agevolazione dei viaggi
nell´isola per i cubano-americani che a Cuba hanno familiari. Nessuna novità di
grande rilievo, lo aveva fatto anche Jimmy Carter, ma un segnale preciso. Una
risposta, quella di Raul, che Obama non poteva e non
ha voluto ignorare, anche grazie alla pressione dei leader latino-americani,
sempre più compatti nel chiedere la fine dell´embargo. «E´ un segnale di
progresso, adesso esploreremo e vedremo se sono possibili passi avanti. C´è la
possibilità di un dialogo franco, anche in aree critiche quali la democrazia ed
i diritti umani». Per Obama «ignorare completamente
Cuba» non porta a nessun cambiamento, mentre un dialogo «spero che possa
portare nel tempo anche a Cuba i cambiamenti impressionanti che ci sono stati
in questo emisfero». Per la Casa Bianca la fine dell´embargo resta al momento
«lontana». Lo ha confermato Larry Summers, il principale
consigliere economico di Obama, in una intervista alla Nbc. «Dipenderà da cosa fa Cuba e da
come Cuba intende proseguire nel cammino». Il vertice si è concluso con un
altro siparietto di Chavez. Visto che il libro di Eduardo Galeano che ha
regalato ad Obama (Le vene aperte dell´America Latina) in America è schizzato ai
primi posti delle vendite di Amazon, il «caudillo» ha detto di aver
salutato così il presidente Usa: «Mettiamoci in affari. Promuoveremo libri. Io
ne darò uno a te e tu ne darai un altro a me». Prima di ripartire da
Trinidad&Tobago alla volta di Washington, il presidente Usa ha voluto anche
spiegare il no a Durban II, la conferenza dell´Onu sul razzismo che si apre
oggi a Ginevra: «La precedente conferenza è diventata una sessione in cui si è
espresso antagonismo contro Israele in modo ipocrita e controproducente». Per
questo motivo gli Stati Uniti avevano chiesto di cambiare il linguaggio di
allora e rimuoverlo dai documenti di Durban II, cosa che «nonostante gli sforzi
di diversi paesi» non è accaduta. Come conseguenza la Casa Bianca «ha deciso di
non dare un imprimatur a qualcosa che non condividiamo».
( da "Repubblica, La"
del 20-04-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 10 -
Esteri Ahmadinejad: "Garantire i diritti alla Saberi" Il leader
iraniano chiede chiarimenti al Tribunale. Obama:
"Liberatela" A sorpresa, Teheran sospende l´esecuzione di una donna
condannata per omicidio VANNA VANNUCCINI Le prime reazioni americane non erano
state polemiche. Certo, la Casa Bianca aveva espresso «profonda delusione» per
la dura condanna pronunciata dal Tribunale della Rivoluzione di Teheran contro
la giornalista americana di origine iraniana Roxana Saberi, condannata a
otto anni per spionaggio dopo un processo a dir poco dubbio; e ancora ieri Obama ha chiesto che la donna sia liberata al più presto. Ma
il tono generale era volutamente cauto: «Attraverso la Svizzera (Paese che
rappresenta gli interessi americani in Iran, che non hanno relazioni
diplomatiche con gli Usa da trent´anni) esprimeremo la nostra preoccupazione
alle autorità iraniane», aveva detto il portavoce della presidenza. Tanta
cautela si è rivelata fruttuosa: il presidente Ahmadinejad ha richiesto ieri
alle autorità giudiziarie di garantire che «tutte le libertà e i diritti legali
di difesa» le siano assicurati. Il suo capo di Gabinetto, Abdolreza
Sheikholeslami, ha scritto al procuratore di Teheran, Said Mortazavi,
relativamente al processo di Saberi e a quello di un noto blogger, Hossein
Derakshani, condannato per «spionaggio a favore di Israele». Gli ha chiesto di
«garantire personalmente» che tutte le procedure siano «basate sulla giustizia»
e che siano assicurati «tutti i diritti legali di difesa» agli accusati.
«Tenendo conto dell´insistenza del presidente la invito ad accertarsi che le
indagini vengano condotte nel rispetto della giustizia e della legge». Un gesto
irrituale, quello del presidente, diretto all´esterno, in un momento in cui
l´Amministrazione americana si dice pronta a trovare una soluzione negoziata al
programma nucleare (di cui il regime ha fatto il simbolo della sovranità
nazionale). Ma anche un gesto rivolto verso l´interno, alla vigilia di
importanti elezioni presidenziali. Ahmadinejad non ha ancora ufficialmente
presentato la sua candidatura, anche se uno stretto collaboratore ha annunciato
che si ricandiderà, ma i sondaggi gli sono molto sfavorevoli. Nonostante la
rinuncia di Khatami - che i conservatori vedono come un Gorbaciov che farebbe
crollare la Repubblica islamica - anche il meno conosciuto candidato
riformatore Moussavi ha consensi molto superiori a quelli di Ahmadinejad.
Sempre ieri il capo della magistratura iraniana, ayatollah Mahmud Hashemi
Shahrudi, ha sospeso temporaneamente l´impiccagione di Delara Darabi, una
ragazza condannata a morte per un omicidio commesso quando aveva 17 anni.
( da "Repubblica, La"
del 20-04-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 23 -
Economia Delta e Chrysler li riportano a casa . Per motivi linguistici e per
non licenziare in patria Usa, la retromarcia global scatta dai call center
indiani (SEGUE DALLA COPERTINA) FEDERICO RAMPINI Malgrado gli sforzi per
dissimulare la loro nazionalità, i passeggeri americani che prenotavano un volo
o che protestavano per una valigia smarrita spesso intuivano che il call-center
della Delta Airlines o della United rispondeva da migliaia di chilometri di
distanza. Tuttavia per anni le multinazionali americane hanno ignorato il
fastidio del consumatore, e hanno insistito su quella formula magica per
ridurre i costi: l´outsourcing, o delocalizzazione, di tutti i servizi di
assistenza alla clientela. Il salario medio è di 500 dollari Usa per l´addetto
a un call-center indiano. Cioè un sesto dello stipendio che si paga in America
per la stessa mansione. Quel divario economico sembrava incolmabile. Ma la
recessione fa vacillare le certezze più consolidate. In una fase in cui i
clienti si fanno rari e preziosi, il loro parere riceve un´attenzione
inusitata. E i call center indiani, si scopre, sono tutt´altro che amati dalla
clientela del Midwest. Un´altra motivazione interviene per quelle aziende Usa
che devono chiedere aiuti di Stato: prima di licenziare dipendenti americani, è
politicamente accorto cominciare a tagliare l´occupazione straniera. Per
l´industria dell´outsourcing, uno dei motori del miracolo economico indiano, è
un colpo duro. Una delle scene centrali del film Slumdog Millionaire si svolge
proprio in un call center di Mumbai, posto di lavoro ambito per una generazione
di giovani istruiti e anglofoni. La Delta Airlines, terza compagnia aerea
americana, ha smesso di usare ogni call center indiano dall´inizio dell´anno.
Prenotazioni, biglietti elettronici, reclami per bagagli smarriti, non saranno
più gestiti da centri di assistenza situati all´estremità opposta del pianeta.
Il chief executive della compagnia, Richard Anderson, ha spiegato la decisione
ai dipendenti: «Dai nostri passeggeri abbiamo avuto delle reazioni molto
negative. La pratica di usare call center situati in nazioni lontane è
decisamente poco gradita, i clienti lamentano di avere difficoltà di
comunicazione». Suscita qualche curiosità la tempistica di questo annuncio: i
call center indiani sono stati usati per molti anni, durante i quali
evidentemente il parere dei suoi passeggeri americani non stava in cima ai
pensieri dell´amministratore delegato. Ma i tempi cambiano e le priorità del
top management devono adeguarsi molto in fretta. Con aerei che viaggiano
semivuoti, soprattutto in prima classe e in business che sono i segmenti di
clientela più redditizi, l´insoddisfazione dei passeggeri viene notata. Un
esperto nella gestione dell´outsourcing, Ben Trowbridge della società Alsbridge
di Dallas, ha dichiarato al Wall Street Journal: «è chiaro che avere i call
center in India è un risparmio considerevole sui costi. Ma oggi si pone la
questione se sia più importante ridurre i costi o migliorare il rapporto con il
consumatore». E i call center indiani sono la prima vittima di questo -
proclamato - ritorno alla qualità del servizio. United Airlines, numero due del
trasporto aereo Usa, conferma la stessa scelta: basta con i call center
indiani, si torna a casa, costi quel che costi. La U. S. Airways non esita a
chiudere i call center delocalizzati in zone ben più vicine, Guatemala e
Salvador. Con la diminuzione del traffico passeggeri e quindi il calo nel
volume di chiamate per l´assistenza telefonica, la portavoce Valerie Wunder spiega
che «U. S. Airways coglie l´opportunità per concentrare il lavoro negli Stati
Uniti». Si affaccia così l´altra motivazione più o meno esplicita: il
nazionalismo economico. I leader di tutti i paesi sono unanimi nel condannare
il protezionismo, come si è visto all´ultimo vertice del G-
( da "Stampa, La" del
20-04-2009)
Argomenti: Obama
Luca Ricolfi
SINISTRA, PAURA DI UN VERO LEADER Ci sono idee che non vanno mai via. E infatti
le chiamiamo «fisse». Ne abbiamo un po' tutti nella vita di ogni giorno, e ci
prendiamo anche un po' in giro quando le scopriamo negli altri: Alberto ha la
fissa delle vacanze intelligenti, Peppino mangia spaghetti anche in Burundi,
Loredana ha l'ossessione dei pipistrelli che ti si attaccano ai capelli (fa
anche rima). Ultimamente, però, mi sono accorto che le idee fisse, o
fissazioni, ci sono anche nei cieli della politica. Non parlo delle fissazioni
ovvie, cioè quelle ossessioni che le forze politiche alimentano
consapevolmente, per darsi un'identità o per fare proseliti. Quelle ci sono
sempre state, e rientrano perlopiù nella vasta categoria della «costruzione del
nemico»: i comunisti, gli immigrati, gli islamici, gli ebrei e, naturalmente,
Berlusconi, il nemico per eccellenza. No, le fissazioni di cui parlo io sono
più sottili, sono idee, convinzioni, credenze che - chissà perché - sono
diventate inamovibili, inespugnabili, scontate come lo sono i riflessi
condizionati, irrinunciabili come lo sono i pilastri della nostra identità. Che
ci siano convinzioni inossidabili me lo ha fatto capire Enrico Letta qualche
giorno fa, con un bell'articolo uscito su questo giornale. Di fronte
all'osservazione che la sinistra non ha né un leader capace di mettere
d'accordo le sue mille anime, né un metodo per dirimere le controversie, Enrico
Letta su un punto solo non pare attraversato da dubbi: Berlusconi è un unicum
irripetibile, ed è illusorio sperare di costruire una «alternativa vincente» a
Berlusconi sul terreno della leadership. Per Letta «l'operazione alternativa
non potrà che giocarsi su un campo differente dal suo», perché «sul suo vincerà
sempre lui». Non sono un politico e non so se Letta abbia ragione. Mi
incuriosisce molto, però, questo rifiuto a priori dell'idea di un leader come
cemento di un'alleanza. È anni che sento ripetere, in pubblico e nelle
conversazioni private, che la pluralità della leadership è una risorsa della
sinistra, che l'assenza di un capo è una virtù, che la discussione aperta e
«franca» è una forza della cultura progressista. E mi sovviene quel che diceva
Montanelli nel 2001, per spiegare ai suoi lettori come mai lui, uomo
culturalmente di destra, avrebbe votato per il centro-sinistra, allora guidato
da Rutelli: «Naturalmente la mia scelta è più che discutibile perché l'esercito
di Rutelli è una brancaleonesca accozzaglia di forze (si fa per dire) impegnate
a combattersi tra loro, come sempre è avvenuto nel campo delle Sinistre, senza
che mai riuscissero a darsi un capo e un programma. Mentre quelle della destra,
il Polo, sono molto più compatte, come lo erano, ai loro tempi, quelle fasciste
e naziste. \ Sicché l'Italia si trova di fronte alla solita eterna scelta: una
Destra che regolarmente finisce per elevare a oggetto di culto il manganello, e
una Sinistra con la vocazione del bordello. \ «Ora, nella mia lunga vita, io ho
già fatto esperienza di entrambe le cose. Da ragazzo ho visto volteggiare molti
manganelli, e ne ho conservato un ricordo ispirato al disgusto. Poi sono stato
un buon frequentatore di bordelli, e ne ho conservato un ricordo ispirato al
rimpianto. Ecco il motivo della mia attuale scelta. Questa sinistra (con i suoi
gaglioffi alla Bertinotti), non mi fa nessuna paura: non tanto perché è
destinata alla sconfitta, quanto perché, anche se arriva al cosiddetto Potere,
non riesce a usarlo. La Destra, se ci arriva, ha in mano tutti gli strumenti
per restarci. E che volto abbia la destra italiana, che ha perfino il coraggio
di proclamarsi "liberale", lo abbiamo ben visto in questi ultimi
giorni. No, meglio - cioè meno peggio - il bordello». Ebbene, capisco più
Montanelli che Letta. Montanelli parteggiava per il «bordello» della sinistra
perché gli sembrava la garanzia che la sinistra stessa, a differenza della
destra attratta dal «manganello», non sarebbe stata in grado di mettere in atto
le idee bacate di cui era portatrice, una certezza che a Montanelli derivava
dagli ultimi cinque anni di governo, rassicuranti proprio per la loro
inconcludenza (un programma largamente disatteso, 4 governi in 5 anni). Ma i
politici di sinistra che si dicono riformisti possono accontentarsi delle
ragioni di Montanelli? Chi pensa che l'Italia debba essere modernizzata, che
abbia bisogno come il pane di riforme liberali, può consolarsi pensando che
avere tanti leader in competizione reciproca ci vaccina contro il rischio di
una dittatura? Se un leader che faccia il leader non è la soluzione, qual è lo
strumento che ne fa le funzioni? Ma soprattutto: da dove viene questa fobia per
la figura del leader? Perché Blair e Obama vanno bene, ma da noi - in Italia - un leader non ci può essere,
e quando prova a esserci viene rapidamente logorato e sostituito? Perché la
destra può avere un leader nonostante l'ombra di Hitler e Mussolini, e la
sinistra che ne ha sempre avuti - da Stalin a Togliatti a Berlinguer - ora lo
teme come la peste? Può darsi che mi sbagli, ma la mia impressione è che
la repulsa della cultura di sinistra per il leader abbia una radice
profondissima e tragica. Questa radice si chiama, nel lessico marxista, falsa coscienza.
I politici sono, come è naturale, guidati quasi sempre e innanzitutto dal loro
interesse egoistico, che è quello di fare carriera, gestire potere, ottenere
benefici privati, in denaro e in natura. A differenza di quelli di destra,
però, i politici di sinistra non cessano di raccontare a se stessi e agli altri
la fiaba secondo cui il loro impegno è disinteressato, volto a perseguire il
bene comune: se occupano poltrone lo fanno solo per «spirito di servizio» (o
perché il partito chiama, come ha detto Cofferati per giustificare la sua
aspirazione a un seggio al Parlamento europeo). Questa idea eroica di se stessi
non è particolarmente deplorevole (dopo tutto l'autoindulgenza è uno dei tratti
umani più comuni), però ha conseguenze logiche pericolose. Una di esse è di far
sì che coloro che la professano, anche quando si accapigliano per i posti, si
sentano portatori di «valori non negoziabili», rappresentanti unici del bene
pubblico, naturalmente inteso in una decina di accezioni diverse, da quella di Bertinotti
a quella di Prodi, da quella di Pecoraro Scanio a quella di Di Pietro, da
quella di Pannella a quella della Binetti. E allora si capisce perfettamente
perché non ci può essere un capo: se nessuno si sente, prosaicamente e
semplicemente, rappresentante di determinati interessi, ma tutti quanti si
sentono, poeticamente e grandiosamente, portatori di altissimi principi, è
logico che non abbiano alcuna intenzione di tradire la propria fede, di venire
a patti con le tante eresie di cui è fatta la storia della sinistra. Ve li
vedete voi il Papa, il patriarca russo, gli ayatollah, i rabbini, gli
innumerevoli rappresentanti delle altrettanto innumerevoli religioni di questa
terra cedere il loro potere oligopolistico sulla definizione del «bene», di ciò
che è buono e giusto, in favore di un potere monopolistico superiore, un capo
di tutte le religioni incaricato di dirimere le controversie? Insomma, la mia
sensazione è che la fobia della sinistra italiana per la figura del capo in
quanto tale non sia figlia soltanto della naturale avversione per la gerarchia,
ma anche del suo arcaismo, del suo sentirsi ancora depositaria di valori
assoluti e irriducibili, mentre è invece soprattutto ceto politico portatore di
interessi personali e di gruppo, ormai incapace di ricondurli a quella che
Norberto Bobbio considerava l'unica vera stella polare della sua storia: l'idea
di uguaglianza. Un male in certo modo speculare a quello della destra, in cui
gli ideali - che pure non mancano - lasciano fin troppo facilmente il posto al
negoziato sugli interessi, come la vicenda della Bossi-tax (soldi pubblici per
interessi di partito) sta illustrando giusto in questi giorni. Montanelli
diceva che la scelta era Tra manganello e bordello. Oggi, forse, constaterebbe
che la scelta è diventata tra commercio e fede: una destra fin troppo capace di
mediare tra interessi pur di restare al potere, e una sinistra anch'essa
attentissima agli interessi ma così poco capace di mediare tra fedi
inconciliabili da rischiare perennemente di perderlo, il potere. O, ancor
peggio, di non saperlo usare nei rari momenti in cui ce l'ha.
( da "Corriere della Sera"
del 20-04-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Prima Pagina data: 20/04/2009 - pag: 1 No di Obama, sì del Vaticano, Ue divisa. E Ahmadinejad attacca Israele Il
vertice Onu sul razzismo spacca l'Occidente L'Occidente si è spaccato sulla
partecipazione alla conferenza Durban II. Chi ha deciso di boicottarla (Stati
Uniti, Israele, Italia, Australia, Canada, Olanda e Germania) teme che in
Svizzera vada in scena una replica del summit nella città sudafricana,
quando Israele venne accusato di razzismo. L'Unione europea non ha trovato una
linea comune, la Francia ci sarà. Il Vaticano parteciperà. Anche la Gran
Bretagna ha scelto di essere a Ginevra «per fare la guardia contro un
inaccettabile tentativo di negare l'Olocausto». Il presidente iraniano Ahmadinejad,
appena arrivato, ha subito attaccato Israele. ALLE PAGINE 2E3 Caretto,
Frattini, Vecchi
( da "Corriere della Sera"
del 20-04-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 20/04/2009 - pag: 2 Durban II: gli Usa non
vanno, Europa divisa Il Papa: «Importante esserci». Obama difende
Israele. L'arrivo di Ahmadinejad: «Sionisti ladri» Si apre oggi a Ginevra la
Conferenza sul razzismo tra accuse e rinunce. Vaticano, Gran Bretagna e
Francia: noi andiamo DAL NOSTRO INVIATO GINEVRA Diciassette pagine. Parole da
eliminare o limare. I diplomatici discutono da mesi per arrivare a un
accordo sul documento finale. All'ospite più scomodo, bastano poche frasi
ancora prima di salire sul podio per allontanare da Ginevra qualche altro
Paese. «L'ideologia e il regime sionista sono i portabandiera del razzismo». Se
il termine Israele è uscito dalla bozza, ci pensa Mahmoud Ahmadinejad a farlo
rientrare e a metterlo al centro della conferenza, che in cinque giorni
dovrebbe fare il punto a otto anni dal primo vertice sul razzismo. È chiamata
Durban II e chi ha deciso di boicottarla (per ora Stati Uniti, Israele, Italia,
Australia, Canada, Olanda, Germania e Nuova Zelanda) teme che in Svizzera vada
in scena una replica del summit nella città sudafricana. «I sionisti
saccheggiano le ricchezze mondiali controllando i centri di potere nel mondo.
Hanno creato le condizioni perché non si possa dire nulla di questo fenomeno
diabolico », ha continuato il leader iraniano. Che ieri sera ha visto a cena
Hans-Rudolf Merz, presidente della Confederazione elvetica, e oggi parla al
palazzo dell'Onu. Israele - «Non lo incontri, non gli stringa la mano», ha
invocato Aharon Lechnoyaar, ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite a
Ginevra. Da Gerusalemme, Avigdor Lieberman, neo-ministro degli Esteri, ha
ricordato che dal tramonto viene commemorato Yom HaShoa: «Ahmadinejad nega
l'Olocausto ed è stato invitato a tenere un discorso nel giorno in cui
ricordiamo sei milioni di ebrei ammazzati dai nazisti e dai loro complici ».
L'Ue - L'Unione europea non ha trovato una linea comune. Il Belgio ieri sera
era ancora convinto che fosse possibile, i francesi avevano detto che era
«fondamentale », ma poi sono arrivati il no tedesco e, subito dopo, l'annuncio
dell'Eliseo che la Francia invece ci sarà. Il Vaticano ha deciso (parteciperà)
e Benedetto XVI giudica la conferenza «un'iniziativa importante, perché ancora
oggi, nonostante gli insegnamenti della Storia, si registrano tali deplorevoli
fenomeni. Formulo i miei sinceri voti affinché i delegati lavorino insieme, con
spirito di dialogo e di accoglienza reciproca, per mettere fine a ogni forma di
razzismo, discriminazione e intolleranza, ». Anche la Gran Bretagna ha scelto
di essere a Ginevra «per fare la guardia contro un inaccettabile tentativo di
negare l'Olocausto» (l'Iran ha provato a cancellare qualunque accenno dal testo
in discussione). Gli Usa - Il no americano è arrivato dopo che le modifiche
alla bozza non sono state considerate «soddisfacenti»: tolti i riferimenti allo
Stato ebraico e alla diffamazione delle religioni (voluti dalle nazioni
musulmane), vengono riaffermate le conclusioni di Durban I, contestate da molti
Paesi occidentali. «Sarei pronto a essere coinvolto in una conferenza che
affronta in modo utile la discriminazione. Credo nell'Onu, ma non posso
accettare un linguaggio controproducente e affermazioni ipocrite contro Israele»,
ha spiegato il presidente Barack Obama. L'Onu - «Sono
scioccata e profondamente dispiaciuta dalla decisione degli Stati Uniti di non
intervenire», ha commentato Navi Pillay, alto commissario per i Diritti umani,
che organizza il vertice. «Qui vogliamo affrontare e combattere il razzismo, la
xenofobia e altre forme di intolleranza in tutto il mondo. Non riesco a capire:
il Medio Oriente non è nominato nel testo, eppure la questione continua a
intromettersi nel dibattito». Davide Frattini Diplomazia dei sorrisi Il
presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, al centro, accolto dall'omologo
svizzero Hans-Rudolf Merz, a sinistra, ieri al suo arrivo a Ginevra
( da "Corriere della Sera"
del 20-04-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 20/04/2009 - pag: 2 La giornalista Caso Roxana,
«garanzie» da Teheran Il presidente iraniano Ahmadinejad ha chiesto ieri alla
magistratura di assicurare che la giornalista irano-americana Roxana Saberi (a
sinistra), condannata a 8 anni per spionaggio, abbia il «diritto di
difendersi», dopo le accuse di «processo farsa». Si prepara il ricorso. Il presidente Usa Obama chiede il
suo rilascio immediato. La magistratura iraniana ha rinviato di 2 mesi
l'esecuzione della pittrice iraniana Delara Darabi, condannata a morte per un
omicidio commesso a 17 anni (si dice innocente). Ma i parenti della vittima
rifiutano di concedere il perdono che salverebbe Delara.
(
da "Corriere della Sera"
del 20-04-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 20/04/2009 - pag: 3 L'intervista Lo storico Paul Kennedy «Anche Stalin firmò per i diritti dell'uomo» «Un vertice simbolo dell'ipocrisia dell'Onu» WASHINGTON Per lo storico Paul Kennedy, autore di Ascesa e declino delle grandi potenze e de Il Parlamento dell'uomo (l'Onu), la Conferenza sul razzismo non segnerà una svolta storica: «Dopo accuse e contraccuse, propaganda e scontri, sfocerà in una di quelle dichiarazioni solenni che rappresentano in realtà dei modesti compromessi». Il docente dell'Università di Yale, che sta scrivendo un libro sulla Seconda guerra mondiale, è scettico sull'efficacia di simili iniziative: «Il rispetto dei diritti umani si impone solo con risoluzioni vincolanti. C'è da chiedersi chi e quanti le vorrebbero veramente perché la sede adatta non è certo questa conferenza. Inoltre c'è il pericolo che essa assuma un tono antisemita». Lei è pro o contro il boicottaggio di Durban II, a Ginevra? «È una questione di grigio, non di bianco e di nero. Io penso che i nostri governi si siano posti un interrogativo etico e uno politico. È giusto o ingiusto il boicottaggio, visto che una gran parte dei Paesi firmerà la dichiarazione senza alcuna intenzione di rispettarla? E in previsione di una denuncia di Israele che ha fornito l'occasione all'Islam con la sua sproporzionata reazione a Gaza è politicamente vantaggioso o svantaggioso parteciparvi?». Di qui le opposte decisioni degli alleati? «Esattamente. L'America e l'Italia si sono dette che il boicottaggio è giusto e partecipare alla Conferenza sarebbe dannoso. La Gran Bretagna e la Francia hanno invece concluso che, nonostante i dubbi e i rischi, conviene dimostrare di essere alla ricerca di un dialogo onesto. Su Obama, secondo me, ha pesato altresì il timore che una presenza americana a Ginevra gli alienasse l'opinione pubblica interna oltre che Israele, che diffida di lui». Una divisione inattesa tra Londra e Washington? «Diciamo una divisione in contrasto con la Storia.>Circa 25 anni fa,
il presidente Usa Ronald Reagan e la premier britannica Margaret Thatcher
lasciarono all'unisono l'Unesco perché aveva equiparato il sionismo al
razzismo». Perché è scettico su Durban II? «Lo sono stato anche su Durban I,
nel 2001, manipolata e strumentalizzata da troppi Paesi. Io sono scettico sulla
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, che proponeva anche il
pieno impiego, l'assistenza sanitaria di Stato. Il presidente americano Truman
la firmò perché sapeva che, a differenza delle risoluzioni del Consiglio di
sicurezza, non aveva valore legale. La firmò persino Stalin, un violatore dei
diritti umani». Dovrebbe farsene carico il Consiglio di sicurezza? «Il
Consiglio è bloccato da cinque potenze conservatrici che hanno macchie razziste,
presenti o passate, da nascondere, l'America i neri, la Russia la Cecenia, la
Cina il Tibet, la Francia gli arabi, l'Inghilterra il Kenya. E si trincera
dietro il principio che deve decidere delle questioni di guerra e pace non
delle libertà civili. Insomma, rifiuta di interessarsene se non in casi
circoscritti ». Non c'è il Consiglio dei diritti umani dell'Onu? «Il Consiglio,
come la precedente Commissione, a volte è ostaggio di Paesi che promuovono
delle decisioni inique o che vanificano quelle eque. Invece di penalizzare
sempre, come dovrebbe, quanti fanno del razzismo o peggio fanno del genocidio,
in certi momenti li ignora o li nasconde ». Qual è il rimedio? «Bisogna
martellare il messaggio antirazzista. Quando l'Onu fece la Dichiarazione
universale sui diritti umani, l'impatto fu forte, creò grandi aspettative. Idem
quando fu varato il protocollo di Kyoto contro l'emissione di gas serra. Le
grandi potenze devono alimentare le aspettative e premere molto più fortemente
sulle nazioni interessate alle buone relazioni con loro, ma che ancora violano
i diritti umani. Se lo faranno, in futuro anche conferenze come quella di
Ginevra produrranno frutti». Ennio Caretto Storico Paul Kennedy, docente a
Yale: è scettico su Durban II (
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Tremonti: finita la paura dell'apocalisse (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 20/04/2009 - pag: 6 Tremonti: finita la
paura dell'apocalisse Appello di Sacconi alle imprese: «Adesso moratoria sui
licenziamenti» Il ministro dell'Economia: dichiarazioni dei redditi scandalose,
ma l'evasione non sale. «Nessuna nuova tassa per il terremoto» ROMA Il ministro
dell'Economia Giulio Tremonti conferma i primi timidi segnali di ottimismo e
spiega che «l'apocalisse non c'è stata e ora la gente può tirare un sospiro di
sollievo, l'incubo degli incubi è finito». «Restiamo in una situazione di
incognita ha detto ma la mia impressione è che la prima causa della crisi cioè
la caduta della Borsa e della finanza si sta riducendo ». Ospite della
trasmissione di Lucia Annunziata «In Mezz'ora » su Raitre, Tremonti passa dalla
grande preoccupazione dei mesi scorsi a una visione più rassicurante sulla
tenuta del sistema globale fino a citare il presidente degli Stati Uniti: «Possiamo guardare al futuro con qualche prospettiva che
sostituisce, come dice Obama, la speranza alla paura». La cautela è comunque d'obbligo.
Tremonti evita di fornire date e cifre mentre Barack Obama dalle isole
Trinidad sposa la teoria del suo consigliere economico Larry Summers: «Non
siamo ancora fuori dal tunnel, per l'economia si prospettano tempi difficili».
Ma il messaggio di base è chiaro, il fondo è stato toccato e l'esplosione
«atomica» del meccano finanziario globale non c'è stata. I cocci, con pazienza,
si possono rimettere insieme. E anche per quanto riguarda lo scenario nazionale
il ministro del Tesoro ha evitato ogni sorta di allarmismo confermando le
parole del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: «Non ci saranno tasse
per sostenere la ricostruzione dell'Abruzzo, le risorse si troveranno dentro il
bilancio dello Stato, non metteremo le mani nelle tasche dei cittadini perché
non ce n'è bisogno». Ottimista anche il collega al Welfare Maurizio Sacconi che
tuttavia, intervenendo a Treviso, non nasconde la sua preoccupazione sulla
tenuta dell'occupazione e ha rivolto alle imprese una sorta di «appello» per
una «libera e responsabile moratoria ai licenziamenti». Sacconi ha ricordato
che l'Italia sta reagendo meglio di altri Paesi per limitare la perdita di
posti di lavoro e ha comunque invitato le imprese a ricorrere ai «contratti di
solidarietà spalmando la riduzione d'orario su più lavoratori». Sulla necessità
di non lasciare indietro nessuno facendo ricorso alla «coesione sociale» si è
soffermato più volte lo stesso Tremonti spiegando che le risorse dello Stato
sono sufficienti per far fronte alle emergenze. Niente nuove tasse dunque per
il terremoto ma alcune idee che il ministro ha fornito nel corso della
trasmissione: come l'introduzione di detrazioni più corpose per chi fa
donazioni mirate al terremoto, un ruolo più incisivo della Cassa depositi e
prestiti e un maggiore impegno da parte degli enti previdenziali i quali
«essendo obbligati fare interventi pubblici investano all'Aquila». Il
responsabile di Via XX Settembre, commentando il calo delle imposte nei primi
mesi del
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Obama: basta soldi dei contribuenti nel buco nero
delle banche (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 20/04/2009 - pag: 6
Il presidente Usa Obama: basta soldi dei contribuenti nel buco nero delle banche «Se ci
sarà bisogno di altro denaro per le banche ha detto il presidente Usa Barack Obama (foto) dal vertice delle Americhe a Trinidad io ho la
responsabilità di assicurare la trasparenza: non intendo gettare i soldi dei
contribuenti in un buco nero».
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Chávez rimanda l'ambasciatore negli Usa (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 20/04/2009 - pag: 12 Svolte La sede
venezuelana a Washington era stata chiusa dopo l'espulsione del diplomatico di
Caracas lo scorso settembre Chávez rimanda l'ambasciatore
negli Usa Obama: «Da Cuba vogliamo fatti, ma abbiamo sbagliato politica per 50
anni» Il leader bolivarista chiederà il gradimento per Roy Gaderton, attuale
rappresentante di Caracas all'«Oas» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Il
regalo del libro, fra l'altro in spagnolo quindi di improbabile lettura per
Barack Obama, non era la solita sbruffonata di Hugo Chávez. Il
presidente venezuelano ha detto a Hillary Clinton di voler rimandare un suo
ambasciatore a Washington, nella speranza che ciò sia il preludio a «una nuova
era» di rapporti con gli Usa. Chávez ne ha anche fatto il nome, anticipando che
chiederà il gradimento per Roy Gaderton, attuale rappresentante di Caracas
all'Organizzazione degli Stati Americani. Il Venezuela non aveva un
ambasciatore sul Potomac dallo scorso settembre, quando lo State Department ne
aveva deciso l'espulsione, in risposta a quella dell'inviato americano a
Caracas, decisa poco prima da Chávez sull'esempio del collega boliviano Evo
Morales. L'annuncio, nella giornata conclusiva del vertice delle Americhe,
corona una settimana di disgelo e ripartenza nelle relazioni degli Usa con il
mondo sudamericano, segnata dalla storica apertura di Obama
a Cuba e più in generale dal cambio di tono e di paradigma del nuovo
presidente, che ha di fatto chiuso due secoli di «mano pesante » del suo Paese
verso l'ex «cortile di casa» e inaugurato un'epoca di «cooperazione tra
eguali». Sul piano formale, il vertice di Trinidad non è stato un successo.
Come previsto, è mancato l'accordo sul comunicato finale, che un gruppo di
Paesi fra cui Venezuela, Bolivia, Honduras e Nicaragua non ha voluto siglare,
criticandone il silenzio sull'esclusione di Cuba, sospesa dall'Oas sin dal
1963. Ma sul piano politico, tutti, compresi i dissidenti, parlano di un summit
di svolta e di nuovo inizio. A fare la differenza è stato naturalmente Obama, che anche nella conferenza stampa finale ha
riconfermato la disponibilità del suo Paese ad «ascoltare e non solo a
parlare», riconoscendo che «anche altri Paesi abbiano buone idee». Ma il presidente
e il suo staff non hanno rinunciato a fissare precisi paletti alle aperture. Su
Cuba, soprattutto. Da un lato, infatti, Obama ha
fondato le ragioni della sua svolta sullo stesso terreno di chi, negli Usa,
critica la sua svolta come un eccesso di Realpolitik: «La nostra politica degli
ultimi 50 anni non ha funzionato: il popolo cubano non è libero». Dall'altro,
rispondendo alle pressanti richieste di porre fine all'embargo economico venute
da quasi tutti i partecipanti al vertice, ha ripetuto che tocca al regime
castrista fare i prossimi passi, per esempio rilasciando un congruo numero di
prigionieri politici: «Il test per tutti non sono più le parole, ma i fatti».
Una posizione, quest'ultima, ribadita in precedenza da Larry Summers, capo dei
consiglieri economici del presidente: «La fine dell'embargo è ancora lontana e
dipende dai passi in avanti di Cuba, nelle politiche e nella democratizzazione
». Nella sua conferenza stampa finale, Obama ha anche
difeso la scelta di non rifiutare l'approccio di Chávez, criticata negli Usa
dai repubblicani: «Il Venezuela ha un bilancio militare che è 1/seicentesimo di
quello degli Stati Uniti ed è proprietario di una compagnia petrolifera, Citgo:
è difficile credere che stiamo mettendo a rischio gli interessi americani
parlando con Chávez». Paolo Valentino A Cuba Un cartellone anti-Usa lungo il
litorale Malecón all'Avana (Paolo Poce/Emblema)
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stagione (sezione: Obama)
Corriere della Sera sezione: Esteri data: 20/04/2009 - pag:
12 Nuova stagione Dialogo Il presidente Usa Barack Obama arriva alla
conferenza stampa conclusiva del vertice panamericano di Trinidad e Tobago
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Gli intellettuali avvertono:
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 20/04/2009 - pag: 13 Il dibattito Analisti e
esuli cubani negli Usa dopo le aperture della Casa Bianca Gli intellettuali
avvertono: «E' Raúl che deve cambiare» C'è la storia mezzo secolo di ostilità
non si cancella con due parole e il buon senso, che avverte quando è ora di
cambiare. C'è la voglia di Obama di voler affermare il
nuovo anche sulle questioni più antiche, e l'esigenza della diplomazia: basta
un aggettivo in più per mandare un messaggio. Naturale che sulla svolta
americana verso Cuba, e il parallelo raffreddamento delle ostilità con il
Venezuela di Hugo Chávez, si sia scatenata ogni sorta di interpretazione. La
soddisfazione unanime dell'America Latina in entrambe le anime di sinistra
moderata e «bolivariana» nasconde qualche rammarico: al summit di Trinidad e
Tobago si sarebbe dovuto anche parlare d'altro, crisi e commercio per esempio,
ma va bene anche così. Il Brasile è un Paese dove Obama
è talmente popolare che alle ultime amministrative una ventina di candidati
scuri di pelle hanno assunto legalmente il suo nome e con Lula il feeling è
forte: tutte le divergenze in questo incontro sono sparite tra gli abbracci e
le strette di mano. Su Cuba, poi, l'intera America Latina è da sempre a favore
dell'abolizione dell'embargo senza condizioni, ma stavolta nemmeno Chávez ha
voluto spingere troppo. Venezuela e alleati si sono limitati a non firmare la
dichiarazione finale perché i summit delle Americas escludono l'isola dal
lontano 1963, ma senza polemiche. Tutto per mantenere un clima amichevole, e
protocollare l'incontro come un grande successo, a differenza del precedente di
quattro anni fa che fu un disastro per George W. Bush. Lontani da Trinidad,
sono invece gli osservatori di cose cubane e i dissidenti all'estero a
manifestare più dubbi sulla cosiddetta svolta. «Non credo che L'Avana sia
sincera quando dice che vuole rapporti migliori con Washington scrive il noto
columnist Andres Oppenheimer . La dittatura ha bisogno del confronto con gli
Usa e negli ultimi 50 anni Fidel Castro ha sempre sabotato tutte le aperture ».
Se la prende con gli altri Paesi latinoamericani lo scrittore dissidente Raúl
Rivero, dalla Spagna: «Ora sono tutti insieme, radicali e moderati, a dipingere
i repressori in vittime», scrive a proposito della grande solidarietà che Cuba
riceve sulla questione dell'embargo. Scettico anche un altro scrittore in
esilio, Carlos Alberto Montaner: «Obama ha assunto una
posizione corretta, eliminando alcune restrizioni dell'era Bush. Ma non vedo
nulla di diverso da quello che hanno detto ben dieci suoi predecessori: le
relazioni torneranno normali solo con una apertura politica sull'isola e il
rispetto dei diritti umani». Per Richard Feinberg, ex consigliere di Bill
Clinton, il nulla di nuovo riguarda invece le parole dell'Avana: «I fratelli
Castro hanno detto centinaia di volte che devono rettificare gli errori del
passato, ma non l'hanno mai fatto». Non è una novità che la Miami della
diaspora sia divisa rispetto ad un tempo tra falchi e colombe, ma stavolta la
mano tesa di Washington ha creato una vera e propria frattura tra gli stessi
parlamentari repubblicani di origine cubana: il senatore Mel Martinez sta con Obama, il deputato Mario Diaz-Balart contro. Sull'isola i
dissidenti moderati in libertà come Elizardo Sanchez e Vladimiro Roca guardano
con interesse all'apertura, mentre i parenti di quelli in carcere giurano che i
loro congiunti non si faranno mai «scambiare» in un eventuale accordo con
Washington (si parla del rilascio dalla Florida dei cinque cubani accusati di
spionaggio). L'esercizio di interpretazione meno facile, come sempre, riguarda
i messaggi che giungono dal regime cubano. Dopo un periodo di silenzio che
aveva fatto scattare l'ennesimo campanello di allarme sulla sua salute, Fidel
Castro è tornato a scrivere tutti i giorni e alcuni parlamentari Usa appena
recatisi all'Avana l'hanno trovato in gran forma. Insiste sulla fine
dell'embargo ma non accenna a monete di scambio, mentre il
fratello Raúl, leader in carica, ammette che con Obama può
discutere di tutto, senza condizioni. Ha addirittura pronunciato parole
proibite finora, come «dissidenti» e «diritti umani». Il regime sa che con Obama è difficile vendere ai cubani l'immagine del «demonio», come
invece veniva facile con Bush. Ecco allora che la tv si è spinta ieri a
mandare in onda alcuni brani del suo discorso. Nelle prossime ore, forse, una
risposta. Rocco Cotroneo Convinti Manifestazione castrista per l'anniversario
dell'invasione della Baia dei Porci (Ap)
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G8 agricoltura Intesa sulla lotta alla speculazione (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Cronache data: 20/04/2009 - pag: 23 Treviso G8 agricoltura
Intesa sulla lotta alla speculazione CISON DI VALMARINO (Treviso) Forse non
sarà ancora il nuovo ordine mondiale dell'agricoltura e la fine della fame nel
mondo. Ma i ministri degli 8 grandi riuniti nell'alta marca trevigiana ieri a
tarda sera si sono accordati su un testo in 13 punti in cui si parla
esplicitamente di «lotta alla speculazione» e «rigetto del protezionismo».
Anche se quest'ultima affermazione non si tradurrà in un rapido superamento dei
dazi: la dichiarazione è stemperata dal richiamo a una concorrenza equilibrata
da regole. Il documento prevede anche l'istituzione di una sorta di banca
mondiale delle derrate con scorte per evitare i picchi di prezzo responsabili
delle sommosse che si sono verificate in parecchi paesi dalle economie
emergenti. Anche se Luca Zaia (nella foto), il ministro italiano che ha
fortemente voluto il summit, ieri sera spiegava che «sugli stock ci sono ancora
alcune divergenze». Il documento è invece esplicito sulla «lotta alla
speculazione». La novità sembra essere Obama: difficilmente gli Stati Uniti di un anno fa avrebbero potuto
firmare un documento «multilaterale» come quello che sarà presentato domani. È
invece mancato un documento condiviso anche dagli altri otto Paesi partecipanti
al summit (Cina, India, Messico, Brasile, Sud Africa e Argentina, Australia,
Egitto). Dalla Cina, invece, documento incentrato sull'agricoltura sostenibile.
Marco Cremonesi DAL NOSTRO INVIATO
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Rendere utile l'embargo, revocandolo (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Opinioni data: 20/04/2009 - pag: 26
OBAMA E CUBA Rendere utile l'embargo, revocandolo di FRANCO VENTURINI D a
quando Barack Obama è alla Casa Bianca il mondo gira decisamente più veloce. Dopo la
Russia, l'Iran e i «talebani buoni », un altro ponte è stato gettato dal nuovo
presidente Usa verso quell'America Latina che Bush aveva tanto trascurato.
Nei resoconti televisivi del vertice di Trinidad e Tobago abbiamo visto scene
fino a ieri impensabili: Ugo Chávez, campione riconosciuto della retorica
anti-yankee, che stringe la mano e promette amicizia al rappresentante
ufficiale dell'imperialismo nord-americano; e Obama che
sta al gioco, che ricambia per nulla imbarazzato dai testimoni mediatici.
Vedremo fin dove si spingerà questa politica delle pacche sulle spalle. Senza
dimenticare, però, che nel rapporto tra Stati Uniti e Venezuela le apparenze
hanno spesso ingannato. Come quando gli Usa, anche nei momenti più accesi della
polemica bilaterale, hanno continuato a comprare giornalmente più della metà
della produzione petrolifera di Caracas, che ha continuato a vendergliela. Ben
diversa, e per questo assai più significativa, è la questione dell'embargo
americano contro Cuba in vigore dal 1962. Obama, anche
qui, ha fatto il primo passo rendendo più agevoli i viaggi e le rimesse in
denaro degli esuli cubani residenti negli Usa. Fidel Castro, redivivo per
l'occasione e tornato per un giorno comandante en jefe, gli ha risposto che
Cuba vuole di più e non ha bisogno di elemosine. Ma al di là delle scontate
punture di spillo la palla è ormai in movimento, e porterà, in tempi
ragionevoli ma non brevi, a una delle due possibili conclusioni: la levata
dell'embargo Usa previe concessioni dell'Havana, oppure una nuova rottura che
avrebbe questa volta conseguenze gravissime per una popolazione che non sa più
come «arrangiarsi» e per un regime che non osa o non può scegliere la via del rinnovamento.
«Siamo pronti a parlare di tutto, dei prigionieri politici, della libertà
d'informazione, dell'economia...»: le parole con le quali ha ripreso il
sopravvento l'altro Castro, il presidente Raul, sono parse inedite se non altro
nell'elencazione di problemi mai prima riconosciuti. E non proprio normale è
stato anche l'immediato compiacimento di Hillary Clinton, che ha dato
l'impressione di spingersi più lontano del suo Presidente. Si tratta, a ben
vedere, di due anomalie che spiegano tutto: la storia paradossale dei rapporti
cubano-americani dopo la rivoluzione castrista, e ancor più l'interesse
reciproco che hanno oggi le parti a guardare avanti e a far sì che la guerra
fredda finisca anche a
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Pomigliano non somiglia a Detroit (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Opinioni data: 20/04/2009 - pag: 26 SINDACATI E CRISI
DELL'AUTO Pomigliano non somiglia a Detroit di DARIO DI VICO SEGUE DALLA PRIMA
L'America che lapida i Madoff e i Wagoner, super finanzieri senza scrupoli e
top manager senza idee, si affida invece ai Gettelfinger, pragmatici leader
sindacali che hanno fatto accordi anche negli anni di George W. Bush e che oggi
si rivelano decisivi per salvare il patto di cittadinanza
che lega la società americana e per onorare le promesse elettorali di Barack Obama. Nella vecchia Europa, invece, il sindacalismo si agita tanto
senza concludere niente. Tiene la piazza con manifestazioni imponenti, che si
rivelano frutto però più di una straordinaria forza organizzativa che di una
reale sintonia con le ansie e le aspettative più profonde del mondo del lavoro.
Il caso limite è quello francese dove la deriva populista sembra aver preso la
mano alle forze sindacali. I sequestri di manager rischiano di diventare
un'abituale forma di lotta contro la crisi e nei servizi sono rispuntate
agitazioni in stile gatto selvaggio, come l'improvvisa interruzione della
fornitura di luce e gas alle famiglie decisa sabato scorso dai dipendenti
dell'Edf e della Gaz de France per sostenere una richiesta di aumento degli
stipendi. Dentro le confederazioni sindacali italiane la confusione è grande
quanto il cielo. Come si può desumere da un informato articolo di Bruno Ugolini
pubblicato sull'Unità, in casa Cgil è tempo di manovre pre-congressuali e il
posizionamento dei suoi dirigenti sembra obbedire più a logiche di potere e di
ricerca di alleanze interne che alla necessità di dare chiare indicazioni alla
base. La conseguenza è che i segnali che arrivano in fabbrica e negli altri
luoghi di lavoro sono assai diversi tra loro. Non si firma con la Confindustria
l'accordo-quadro che dopo anni di incredibili rinvii tenta di rinnovare e
decentrare le relazioni industriali e legarle agli incrementi di produttività.
Si minaccia esplicitamente di trasformare Pomigliano in una polveriera (da
rendere necessario addirittura «l'intervento dell'esercito») se la Fiat dovesse
ristrutturare lo stabilimento. Poi, però, per evitare di restare spiazzati si
finge di guardare con attenzione a ciò che succede a Detroit e al modello
Chrysler e si studiano caute aperture sull'azionariato dei dipendenti. Il
risultato prodotto da tutte queste prese di posizione, contraddittorie tra
loro, è la sovrapposizione delle parole d'ordine. Un sindacalismo à la carte
dove ognuno trova il suo piatto preferito ma i lavoratori restano a digiuno. Se
si guarda con attenzione alle dinamiche politico-elettorali anche in questo
caso la sensazione di disagio delle aree di forte tradizione sindacale e
politica è lampante. Tutti i sondaggisti pronosticano alle imminenti elezioni
europee ed amministrative un'ulteriore emorragia di consensi «manifatturieri»
dal Pd in direzione della Lega o del neonato operaismo dipietrista. Nelle aree
del Lombardo- Veneto già saldamente controllate dal centro-destra ma, ed è
questa la novità, anche in Emilia e Toscana, nelle zone in cui la piccola
industria è in grave sofferenza per gli effetti della recessione. Persino
Giovanni Consorte, l'ex capo di Unipol, si può permettere di irridere Dario
Franceschini annunciando che un «grande convegno nazionale sulla media impresa»
lo organizzerà lui. Chi pensava a un effetto Obama, a
un automatico trascinamento di voti per il centro-sinistra italiano come
riflesso della straordinaria performance dei democratici yankee, si deve
giocoforza ricredere. Il consenso non è moneta elettronica che si possa
trasferire con un clic da una sponda dell'Atlantico all'altra, lo si conquista
sul campo a casa propria. Per farlo bisogna mettersi dalla parte delle
soluzioni, non solo da quella dei problemi. ddivico@rcs.it
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Chi c'è ha torto (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Opinioni data: 20/04/2009 - pag: 26 CONFERENZA DI GINEVRA
Chi c'è ha torto di ANGELO PANEBIANCO SEGUE DALLA PRIMA È proprio in nome dei
«diritti umani» (nel senso che essi danno a queste parole) che i Paesi islamici
cercano oggi di imporre a tutto l'Occidente una drastica limitazione della
libertà di parola e della libertà di stampa, erigendo barriere giuridiche che
rendano la religione islamica non criticabile. Hanno tentato di farlo con la
risoluzione 62/154 dell'Assemblea delle Nazioni Unite. E sono tornati alla
carica (salvo recedere a fronte delle proteste occidentali) nei lavori preparatori
del documento che dovrà essere approvato dalla Conferenza di Ginevra. Chi pensa
che i diritti umani siano «transculturali», anziché connotati culturalmente,
che siano cioè un minimo comun denominatore potenzialmente in grado di essere
condiviso da tutti, dovrebbe riflettere, ad esempio, su quale compatibilità
possa mai esserci fra i diritti umani nel modo in cui li intendono gli
occidentali e la sharia, la tradizionale legge islamica. La terza lezione che
si può trarre dal pasticcio della Conferenza di Ginevra riguarda
l'impossibilità di separare diritti umani e politica. A Ginevra «si fa» e «si
farà» politica, ossia la questione del razzismo e dei diritti umani verrà usata
come arma propagandistica ai fini della competizione di potenza e delle connesse
negoziazioni politiche. Come è inevitabile che sia. La presenza di Ahmadinejad
a Ginevra, in particolare, merita attenzione. Dal suo discorso, ovviamente,
nessuna persona sana di mente si attende un contributo per la «lotta contro il
razzismo». Si cercherà piuttosto di capire, leggendo tra le righe, se ci sarà o
no qualche segnale di disponibilità alla trattativa sul nucleare iraniano e
sugli altri dossier mediorientali da parte dei settori del regime
che Ahmadinejad rappresenta o se la risposta alle aperture del presidente
americano Obama sia già contenuta per intero nella condanna a otto anni per
spionaggio appena inflitta alla giornalista americanairaniana Roxana Saberi.
Sapendo, naturalmente, che Ahmadinejad è comunque un presidente in scadenza e che
dovrà, nel giugno prossimo, affrontare il giudizio degli elettori. Un
risultato (paradossale) la Conferenza sul razzismo lo ha comunque già ottenuto:
ha offerto al presidente di un regime assai poco rispettoso dei diritti umani
(comunque li si definisca) una tribuna internazionale da cui iniziare la sua
personale campagna elettorale.
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"L'incubo Borse è finito" (sezione: Obama)
"L'incubo
Borse è finito" [FIRMA]ALESSANDRO BARBERA ROMA La situazione - ci tiene a
dirlo - «resta incognita». Nessun numero ancora ci dice che la recessione è
finita. Ma almeno la slavina si è arrestata e si possono mettere da parte le
parole più cupe. «L'incubo degli incubi è finito». L'apocalisse dei mercati
«non c'è stata, e la gente ha tirato un sospiro di sollievo». Il ministro
dell'Economia Giulio Tremonti, intervistato da Lucia Annunziata per «in
mezz'ora», cita a sostegno della sua tesi «la fine della caduta dell'import e
dell'export, dei traffici nei porti e nelle strade», e più in generale «del
commercio mondiale». Il collega del Lavoro Maurizio Sacconi, con una forte dose
di ottimismo, parla addirittura di «inversione del trend recessivo», elencando
anch'esso alcuni dati: l'andamento dei noli nel commercio marittimo, delle
vendite dei beni durevoli, ma soprattutto - «per la prima volta da mesi» - la
crescita degli ordinativi delle imprese dall'estero. I dati diffusi venerdì
dall'Istat dicono che a febbraio, a fronte di un calo annuo del 32,7%, il
confronto con gennaio si è fermato a -1,5%. E questo lo si è dovuto soprattutto
all'andamento delle prenotazioni estere. A gennaio avevano segnato un
timidissimo +0,1%, a febbraio hanno segnato un netto +3,5%. Di questi tempi,
non è poco. Se ci si fida delle stime, si potrebbe effettivamente dire che le
due locomotive dell'economia mondiale, Cina e India, sono pronte a ripartire;
se non subito, dall'autunno in poi. L'ultimo rapporto della Banca mondiale sulla
Cina dice che già quest'anno il prodotto interno dell'impero del sol levante
invertirà la tendenza. Uno dei segnali sarebbe il forte aumento della domanda
di una delle materie prime più usate nell'industria, il rame. Stessa cosa
dovrebbe avvenire in India: proprio ieri il premier Manmohan Singh ha stimato
che «da settembre» il prodotto interno lordo del Paese «dovrebbe tornare a
crescere fra l'8 e il 9%». Oggi, entrambe le economie non crescono più di uno
striminzito (per loro) 6% annuo. Le borse mondiali, dopo crolli mai visti dal
1929, hanno iniziato una lieve e costante ripresa. Alcune grandi aziende
americane, manifatturiere e non, cominciano a presentare trimestrali migliori
delle attese degli analisti. Questa settimana è accaduto fra le altre a Citigroup,
General Electric, Jp Morgan. La fiducia, l'ingrediente numero uno della
crescita, sembra farsi spazio fra le macerie. Dice Tremonti: «L'impressione è
che la prima causa della crisi, la caduta della Borsa e della finanza, si sta
riducendo». Il paragone è con quello che accadeva non più tardi di due mesi fa,
quando le banche centrali di tutto il mondo sembravano inermi di fronte alla
slavina dei titoli di borsa e ai fallimenti a catena. «Nessuno pensa più
all'apocalisse finanziaria. Non vedo più la paura di un crollo della finanza».
Ora «possiamo guardare al futuro con qualche prospettiva». Una
prospettiva che sostituisce, «per usare le parole di Barack Obama, la speranza alla paura». Questo non significa che i numeri del
2009 cambieranno di segno, anzi. Non a caso Sacconi, temendo ancora un forte
calo dell'occupazione in Italia, ha ribadito la sua richiesta alle imprese di
una «moratoria per i licenziamenti». In buona sostanza le ha invitate a
scegliere, in attesa «di una ripresa della domanda», cassa integrazione e
contratti di solidarietà. Per un Paese ad alto debito come l'Italia una delle
conseguenze più gravi della crisi sarà sui conti pubblici. Nei primi due mesi
del 2009, dicono gli ultimi dati della Banca d'Italia, le entrate fiscali sono
calate del 7,2%. Ma anche in questo caso Tremonti getta acqua sul fuoco: I dati
sulle dichiarazioni dei redditi 2007 «sono scandalosi», ma «l'evasione non
aumenta» e il calo delle entrate, «che oggettivamente c'è», è «inferiore di
quanto si registra in altri Paesi europei». In ogni caso, «l'evasione non si
batte con la propaganda, ma attrezzando i Comuni e costruendo il federalismo
fiscale».
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Borse mondiali tra rimbalzo e vera ripresa (sezione: Obama)
I
mercati ricominciano a recuperare terreno Ma i gestori sono cauti Analisi Borse
mondiali tra rimbalzo e vera ripresa GLAUCO MAGGI NEW YORK In aprile il Dow
Jones delle blue chips americane sta confermandosi sopra quota 8000 punti - ha
chiuso a 8131 venerdì scorso - dopo che era sprofondato a 6500 nella prima
settimana di marzo. E' vera ripresa? O è un "rally dell'Orso", come
sono chiamati i rimbalzi che non durano? La Stampa lo ha chiesto a due money
manager internazionali. Ecco le loro risposte. «I mercati hanno ripreso la via
del consolidamento», sostiene Christoph Riniker, Senior Strategist di Bank
Julius Baer. «A fronte di dati di crescita deboli del Pil nei prossimi
trimestri, ci aspettiamo mesi di volatilità azionaria. Ma restiamo cautamente
positivi, visto che vari indicatori di tendenza come l'indice Ism o l'Ifo (spie
del business americano e tedesco, Ndr) hanno continuato il percorso di discesa
avvicinandosi ai livelli minimi. Di conseguenza, ci si potrebbe aspettare un
successivo rialzo dei mercati azionari, in particolare nei settori ciclici». Il
Nasdaq dei tecnologici ha retto meglio nel primo trimestre di S&P e Dow, e
da un sondaggio della rivista The Banker è emerso che il 71,3% del centinaio di
Ceo di corporation globali si aspetta di investire in information technology
nel corso di quest'anno. Sarà il settore tecnologico a guidare il prossimo
Toro? Per Riniker, «in passato il comparto ha sempre registrato una buona
performance quando gli indicatori di tendenza tornavano ad essere positivi. Inoltre,
in considerazione dei consistenti incentivi fiscali in atto negli Stati Uniti,
i nostri studi indicano che alcuni settori sono più sensibili ai rimbalzi
dell'economia che dovrebbero risultare dal pacchetto di aiuti. Tecnologia,
energia e materiali sono tra questi settori. Attualmente manteniamo comunque
una distribuzione degli asset piuttosto difensiva, sovrappesati su beni di
prima necessità, salute, telecomunicazioni ed energia, e sottopesati su beni di
consumo discrezionali, industriali e finanziari». La crisi ha colpito molto
severamente le banche. Con i prezzi attuali è tempo di rientrare nel comparto?
"La tentazione di comprare banche e' molto forte, ma mi limiterei ai nomi
migliori, come JP Morgan e Goldman Sachs", dice Edward Tarallo, investment
manager di Wachovia-WellsFargo a New York. "E quanto al piano del ministro
Geithner per vendere i bond tossici delle banche potrebbero esserci buone
occasioni per gli investitori, ma credo che le banche saranno riluttanti a
vendere". Proprio giovedì scorso la Fasb (Financial Accounting Standards
Board), l'ente che stabilisce per conto della Sec (Consob Usa), le regole per
scrivere i bilanci, ha aumentato la discrezionalità concessa alle banche di
dare una propria valutazione ai titoli non quotati legati ai mutui: cala quindi
l'incentivo per le banche che hanno i bond tossici in portafoglio di metterli
all'asta, perché rischierebbero di realizzare prezzi troppo bassi rispetto ai
valori di libro. Infine, qual è il futuro del rapporto dollaro-euro, che tanto incide
sugli investimenti diversificati degli europei? La Cina e la Russia vogliono
sostituire il dollaro con una moneta internazionale come
valuta per gli scambi e per le riserve dei paesi esportatori, e Obama ha detto di no. Che cosa succederà? "Il dollaro e' e
rimarra' la valuta di scelta per riserve e scambi per il prevedibile
futuro", dice Tarallo. "Lo vedo scendere però dagli attuali livelli
entro fine anno per l'enorme debito pubblico Usa dovuto allo stimolo di Obama". Per Riniker, "alcune monete, come l'euro,
potrebbero assumere una maggiore importanza come valute di riserva nell'ambito
del processo di diversificazione delle banche centrali. In generale, il dollaro
conserverà la sua posizione dominante per la liquidità e la lunga tradizione di
investimento in titoli del Tesoro Usa delle banche centrali. Entro fine anno
prevediamo un cambio euro/dollaro di 1,40".
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In aprile il Dow Jones delle blue chips americane sta
confermandosi sopra quota 8000 punti - ha chiu... (sezione: Obama)
In
aprile il Dow Jones delle blue chips americane sta confermandosi sopra quota
8000 punti - ha chiuso a 8131 venerdì scorso - dopo che era sprofondato a 6500
nella prima settimana di marzo. E' vera ripresa? O è un "rally
dell'Orso", come sono chiamati i rimbalzi che non durano? La Stampa lo ha
chiesto a due money manager internazionali. Ecco le loro risposte. «I mercati
hanno ripreso la via del consolidamento», sostiene Christoph Riniker, Senior
Strategist di Bank Julius Baer. «A fronte di dati di crescita deboli del Pil
nei prossimi trimestri, ci aspettiamo mesi di volatilità azionaria. Ma restiamo
cautamente positivi, visto che vari indicatori di tendenza come l'indice Ism o
l'Ifo (spie del business americano e tedesco, Ndr) hanno continuato il percorso
di discesa avvicinandosi ai livelli minimi. Di conseguenza, ci si potrebbe
aspettare un successivo rialzo dei mercati azionari, in particolare nei settori
ciclici». Il Nasdaq dei tecnologici ha retto meglio nel primo trimestre di
S&P e Dow, e da un sondaggio della rivista The Banker è emerso che il 71,3%
del centinaio di Ceo di corporation globali si aspetta di investire in
information technology nel corso di quest'anno. Sarà il settore tecnologico a
guidare il prossimo Toro? Per Riniker, «in passato il comparto ha sempre
registrato una buona performance quando gli indicatori di tendenza tornavano ad
essere positivi. Inoltre, in considerazione dei consistenti incentivi fiscali
in atto negli Stati Uniti, i nostri studi indicano che alcuni settori sono più
sensibili ai rimbalzi dell'economia che dovrebbero risultare dal pacchetto di
aiuti. Tecnologia, energia e materiali sono tra questi settori. Attualmente
manteniamo comunque una distribuzione degli asset piuttosto difensiva,
sovrappesati su beni di prima necessità, salute, telecomunicazioni ed energia,
e sottopesati su beni di consumo discrezionali, industriali e finanziari». La
crisi ha colpito molto severamente le banche. Con i prezzi attuali è tempo di
rientrare nel comparto? "La tentazione di comprare banche e' molto forte,
ma mi limiterei ai nomi migliori, come JP Morgan e Goldman Sachs", dice
Edward Tarallo, investment manager di Wachovia-WellsFargo a New York. "E
quanto al piano del ministro Geithner per vendere i bond tossici delle banche
potrebbero esserci buone occasioni per gli investitori, ma credo che le banche
saranno riluttanti a vendere". Proprio giovedì scorso la Fasb (Financial
Accounting Standards Board), l'ente che stabilisce per conto della Sec (Consob
Usa), le regole per scrivere i bilanci, ha aumentato la discrezionalità
concessa alle banche di dare una propria valutazione ai titoli non quotati
legati ai mutui: cala quindi l'incentivo per le banche che hanno i bond tossici
in portafoglio di metterli all'asta, perché rischierebbero di realizzare prezzi
troppo bassi rispetto ai valori di libro. Infine, qual è il futuro del rapporto
dollaro-euro, che tanto incide sugli investimenti diversificati degli europei?
La Cina e la Russia vogliono sostituire il dollaro con una
moneta internazionale come valuta per gli scambi e per le riserve dei paesi
esportatori, e Obama ha detto di no. Che cosa succederà? "Il dollaro e' e
rimarra' la valuta di scelta per riserve e scambi per il prevedibile
futuro", dice Tarallo. "Lo vedo scendere però dagli attuali livelli
entro fine anno per l'enorme debito pubblico Usa dovuto allo stimolo di Obama". Per Riniker, "alcune monete, come l'euro,
potrebbero assumere una maggiore importanza come valute di riserva nell'ambito
del processo di diversificazione delle banche centrali. In generale, il dollaro
conserverà la sua posizione dominante per la liquidità e la lunga tradizione di
investimento in titoli del Tesoro Usa delle banche centrali. Entro fine anno
prevediamo un cambio euro/dollaro di 1,40".
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Diffuso un nuovo video di Al Zawahiri "Con Obama
per noi non cambia nulla" (sezione: Obama)
WASHINGTON
- Barack Obama "non ha cambiato" la
percezione che i musulmani hanno degli Stati Uniti: ne è convinto il numero due
di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri, che ha parlato in un nuovo video diffuso su
internet. A darne conto è il centro di sorveglianza dei siti islamici Site.
"Il nuovo presidente Obama non ha cambiato nulla
dell'immagine dell'America tra i musulmani e i popoli oppressi", ha dichiarato
Ayman Al Zawahiri, secondo estratti delle sue dichiarazioni pubblicate da Site.
"Questa è l'America che ancora continua a uccidere i musulmani in
Palestina, Iraq e Afghanistan", ha aggiunto il braccio destro di Osama Bin
Laden. "E' l'America che si appropria delle loro ricchezze, occupa le loro
terre, e appoggia i latrocinii, la corruzione, i dirigenti traditori nei loro
Paesi. E conseguentemente il problema non è risolto. Al contrario, è
probabilmente destinato a deteriorarsi e peggiorare". Secondo Al Zawahiri,
l'amministrazione Obama mostra un nuovo volto, ma
conduce in realtà la stessa politica del suo predecessore George W. Bush.
''L'America - osserva - e' venuta verso di noi con un nuovo volto, cercando di
ingannarci; un volto che parla di cambiamenti, ma che mira a cambiarci, per
farci abbandonare la nostra fede e i nostri diritti, non a mettere fine i loro
crimini, le loro aggressioni, i loro stupri e i loro scandali''. Al tempo
stesso, il medico egiziano considera la vittoria di Obama un successo dei combattenti islamici: "Non è altro che il
riconoscimento da parte del popolo americano del fallimento della politica di
Bush, conferma che mentivano gli americani quando sostenevano di aver vinto sui
mujahidin. Obama ha sfruttato la sconfitta in Iraq per vincere le elezioni.
Dopo sei anni i mujahidin sono ancora a combattere contro i tiranni".
OAS_RICH('Middle'); Il messaggio, intitolato "Sei anni dall'invasione
dell'Iraq e 30 anni dagli accordi con Israele", è rivolto a un pubblico
arabo e non è sottotitolato in inglese come invece è accaduto più volte in
passato. (20 aprile 2009
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La politica equilibrista (sezione: Obama)
È con
"great regrets", spiega il governo americano con l'eufemismo del
"rammarico" con il quale ci si sgancia
educatamente da un noioso invito a cena, che Barack Obama non
parteciperà alla conferenza dell'Onu contro il razzismo da oggi a Ginevra, creando
in apparenza un colossale paradosso: quello del primo presidente americano
nero, eletto nel trionfo dell'antirazzismo, assente da un'iniziativa
internazionale contro il razzismo. Il rifiuto di Obama,
e il ritiro della delegazione americana che pure fino a pochi giorni or sono
aveva partecipato alla preparazione di questa "Durban 2", come si
chiama perché è la continuazione della prima, organizzata nella città
sudafricana di Durban nel 2001, vengono dopo settimane di esitazione, di
"nì", di "forse" e di "ma", di sofferenze e di
ambiguità che il Presidente stesso si è deciso a tagliare "con
rammarico" per non offendere coloro, Israele e la comunità ebraica per
prime, che leggono in questo incontro soltanto un'occasione di propaganda antisemita.
E dunque una cassa di risonanza per quelle nazioni, come Iran e Libia, che
bizzarramente fanno parte della commissione Onu per "i diritti
umani", e usano il Palazzo di Vetro come megafono anti israeliano, mentre
al proprio interno calpestano proprio quei diritti civili e individuali che
domandano agli altri di rispettare. Ma se il rifiuto di partecipare è stato più
facile per i governi che hanno detto "no", come l'Australia, la
Francia, l'Olanda, che è agitata al proprio interno dalla più acuta "questione
islamica" in tutta l'Europa o l'Italia, mentre il Vaticano, l'Inghilterra,
la Spagna hanno accettato l'invito, l'assenza dell'uomo che incarna in questo
momento la più alta speranza di superamento del razzismo sembra una
contraddizione lancinante. Per questo, e fino all'ultimo, gli inviati americani
a Ginevra, e la stessa Casa Bianca avevano tentato di lavorare per linee
interne, di modificare dal di dentro quei documenti nei quali i promotori
cercano di indicare nel "sionismo", sinonimo di Israele, il bastione
del razzismo, che definiscono la barriera costruita dal governo ebraico
"il muro dell'apartheid" e riconoscono soltanto nella
"Nakba", nella catastrofe e nella diaspora palestinese, l'unico,
autentico esempio di tentato genocidio. OAS_RICH('Middle'); Di fronte alla
nettezza inconciliabile di questa interpretazione del razzismo, che già aveva
spinto George Bush a boicottare "Durban 1", neppure la consumata
abilità obamiana di ricomporre gli opposti con il carisma o la sua capacità di
fare annunci trancianti seguiti da azioni concrete molto più ambigue, sarebbe
bastata. Benedetto XVI può, nel suo ruolo di pontefice di una confessione
religiosa senza autentico potere politico, permettersi di sperare che questa
conferenza sia "un passo fondamentale verso l'affermazione del valore
universale della dignità dell'uomo, contro ogni forma di discriminazione",
ma il Papa non deve vedersela con la comunità ebraica americana, con un governo
di falchiestremisti come il neo insediato in Israele, con un capo di gabinetto
come Rahm Emanuel già volontario con le forze armate israeliane, con lobbies
che avrebbero considerato la sua presenza a Ginevra come assenso implicito alle
tesi di chi nega l'Olocausto. La tecnica di governo di Barack Obama, quasi una edizione americana dei "due
forni", il presidente che annuncia la chiusura di Guantanamo ma per il
momento la lascia aperta, che ammorbidisce l'embargo anti cubano ma non lo
cancella, che condanna la tortura ma non i torturatori, che fustiga i bonus e i
profitti dei finanzieri ma poi puntella le loro banche agonizzanti, non poteva
funzionare di fronte a una conferenza che esalta e sancisce il razzismo mentre
dichiara di volerlo estirpare. E non è soltanto il nocciolo radioattivo
dell'antisemitismo contenuto già nel primo documento approvato sette anni or
sono a inquietare. C'è anche il tentativo di dichiarare ogni "discorso
blasfemo" come proibito e di considerare "l'incitamento" alla
critica antireligiosa come prova di discriminazione razziale, una tesi cara
alle teocrazie fondamentaliste e integraliste che in sostanza sperano di avere
il beneplacito dell'Onu alla loro "fatwa", alla persecuzione e
repressione di ogni critica e di ogni opposizione vista come satanica. Il
paradosso del presidente venuto dal Terzo Mondo, del primo capo di stato
americano eletto "nonostante" la propria diversità e minorità etnica
è dunque più apparente che reale. Questa volta, Obama
il formidabile equilibrista che riesce a sembrare sempre troppo rivoluzionario
ai conservatori e sempre troppo conservatore ai rivoluzionari, essendo tanto un
centrista nell'azione quanto appare "estremista" nella parole, non ha
potuto camminare sul filo dell'ambiguità. Obama, come
gli rimproverano i delusi, è, prima di ogni altra cosa, un realista e lo ha
dimostrato, con qualche imbarazzo, rifiutando di presentarsi a questo invito a
cena. La realtà, oggi come negli ultimi 60 anni di politica estera americana,
con presidenti democratici o repubblicani, insegna che, al momento delle
strette, Washington, bianca o nera che sia, si collocherà sempre dalla parte di
Israele. (20 aprile 2009
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Il Papa benedice il vertice dell'Onu Ebrei infuriati,
e l'Europa si spacca (sezione: Obama)
CITTA'
DEL VATICANO Il Papa benedice la conferenza Onu sul razzismo («incontro
importante», «azione ferma contro lintolleranza
per prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione»), mentre Obama la diserta perché «controproducente e inaccettabile
per il suo linguaggio sbagliato su Israele». La Santa Sede si smarca dal
boicottaggio degli Stati Uniti, dellItalia
e di altri Paesi contrari allimpostazione anti-israeliana di «Durban II»,
il vertice
Onu che oggi si apre a Ginevra tra le polemiche per le pesanti critiche contro
lo Stato dIsraele, accusato di razzismo verso i
palestinesi («il sionismo è una ideologia razzista»). La commissione Onu ha in
parte ripulito dai brani della discordia il testo che fino a sabato sarà in
discussione a Ginevra, dove sarà presente la delegazione vaticana guidata da
Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente presso le Nazioni Unite («è in
gioco letica, sbagliato disertare»). Il commissario
per i diritti umani del Consiglio dEuropa,
Thomas Hammarberg, lancia un appello a «partecipare al meeting e avere un
atteggiamento costruttivo in nome della lotta alla xenofobia» e anche Benedetto
XVI attribuisce alla dichiarazione di Durban il merito di «riconoscere che tutti i popoli e le
persone formano una famiglia umana, ricca in diversità». Il livello di tensione
attorno al summit Onu è altissimo. Ieri lIran
ha inviato allInterpol la richiesta di emettere mandati internazionali di
arresto per 25 dirigenti israeliani, accusati di avere commesso «crimini di
guerra» durante loffensiva di 22 giorni
condotta fra dicembre e gennaio nella Striscia di Gaza. E il governo israeliano
ha criticato il presidente svizzero Hans Rudolf Herz per la sua decisione di
ricevere il leader iraniano Mahmud Ahmadinejad. Venerdì è stata raggiunta lintesa su una bozza finale, che elimina i controversi
riferimenti a Israele e alla diffamazione delle religioni ma «riafferma» le
conclusioni e il Programma dazione di Durban-1, contestati da molti Paesi. Ai lavori
del meeting (è prevista la presenza di una trentina di ministri degli Esteri e
di almeno quattro capi di Stato) non parteciperanno Australia, Canada, Israele,
Usa e alcuni Paesi Ue tra cui Italia, Olanda, Svezia e Germania. Il 5 marzo il ministro
degli Esteri, Franco Frattini, aveva ritirato la delegazione italiana dai
negoziati per le frasi antisemite contenute nella prima bozza. Gli Usanon ci
saranno per il «linguaggio ipocrita e controproducente» su Israele. Obama spiega così i motivi del boicottaggio Usa: «Credo
nelle Nazioni Unite, ho ribadito al segretario generale Ban Ki-Moon che
aiuteremo lOnu ma questa non è risultata
lopportunità giusta». Israele vede nella partecipazione di Ahmadinejad la
conferma della correttezza della sua decisione di disertare il summit. Il capo
della delegazione vaticana a Durban II, però, ribatte che «la Santa Sede sarà
presente con la grande maggioranza degli Stati del mondo». Aggiunge larcivescovo Tomasi: «Abbiamo ragioni molto coerenti per
esserci. Ogni
persona ha la stessa dignità e non può essere oggetto di comportamenti
discriminatori, quindi se non partecipiamo che messaggio diamo, ad esempio, ai
Paesi africani?». Secondo la Santa Sede, «se si lascia che il messaggio di
indifferenza prevalga su altre ragioni politiche finiamo per spingere le
nazioni povere in una direzione che può favorire alleanze diverse, con
conseguenze negative».
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Vertice sul razzismo, mondo diviso Israele richiama
il suo ambasciatore (sezione: Obama)
GINEVRA
Il Mondo e lEuropa si spaccano sulla partecipazione alla
conferenza Onu sul razzismo "Durban 2" che si apre oggi a Ginevra e
che rischia di mutarsi in un processo a distanza a Israele. LItalia,
contraria sin dalla prima ora per gli accenti antisemiti presenti
nella bozza del documento finale, ha confermato che non ci sarà. Sulla Stessa
linea dopo Svezia e Olanda da ieri sera anche la Germania. Il ministro degli
Esteri israeliano Avigdor Lieberman intanto ha ordinato allambasciatore di Israele in Svizzera di
rientrare in patria per consultazioni. Fonti del ministero degli esteri hanno
spiegato al sito del quotidiano Yediot Ahronot che il provvedimento rappresenta
un gesto di protesta per lincontro di ieri fra il
presidente elvetico Hans Rudolf Merz e il presidente iraniano Mahmud
Ahmadinejad, giunto ieri a Ginevra per partecipare alla conferenza sul razzismo
Durban 2. «Malgrado gli intensi sforzi dellUnione
Europea, cè il timore che questa conferenza sia dirottata verso altri
interessi, come già era accaduto nel 2001» ha spiegato in un comunicato il
ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, e «questo non lo possiamo
accettare». Ci saranno invece la Gran Bretagna, che da tempo aveva confermato
la presenza, e la Francia. Sulla linea italiana Stati Uniti, Australia, Israele
e Canada. Da Parigi intanto arriva un secco altolà allincendiario presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Il
ministro degli Esteri Bernard Kouchner ha detto che la Francia lascerà
lassise se il presidente iraniano continuerà nei suoi «attacchi
anti-semitici». «Dobbiamo essere molto chiari, non tollereremo alcuno
scivolone», ha detto Kouchner. «Se Ahmadinejad farà attacchi razzisti o
antisemiti, lasceremo i lavori immediatamente». Barack Obama
ha difeso il no degli Usa alla partecipazione alla Conferenza sul razzismo e la
xenofobia, ribadendo di essere un presidente che «crede nellOnu» ma spiegando di non poter accettare «linguaggio
controproducente» contenuto nella bozza del documento finale. A Ginevra ci sarà
la Santa Sede e da ieri sera è già arrivato il presidente iraniano Mahmoud
Ahmadinejad che ribadito la sua ostilità verso lo Stato ebraico, definto
«portabandiera del razzismo». Lo slogan del vertice («Uniti contro il
razzismo») sembra dunque quasi una beffa. Il vertice si apre all'insegna del
boicottaggio di diversi Paesi occidentali e fa già discutere la controversa
presenza del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. Presente invece il
Vaticano che giudica sbagliato disertare la conferenza anche alla luce dellimportanza dei «temi etici» che saranno trattati e dei
miglioramenti apportati alla bozza delle conclusioni finali. Grande la
delusione dellAlto commissario
dellOnu per i diriti umani, la sudafricana Navy Pillay che apre oggi la
Conferenza insieme al Segretario generale dellOnu,
Ban Ki-moon. «Sono scioccata e profondamente delusa per la decisione degli Usa
di non partecipare ad una Conferenza che mira a combattere il razzismo, la
xenofobia, la discriminazione razziale ed altre forme di intolleranza in tutto
il mondò»,
si è rammaricata lAlto commissario. Il
razzismo e lintolleranza - ha detto - sono realtà quotidiane , nei Paesi
sviluppati e in via di sviluppo, sono «questioni globali ed è essenziale che
siano discusse a livello globale».
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Fidel a Obama: "Stop all'embargo" (sezione: Obama)
LAVANA Lex presidente cubano Fidel Castro ha
chiesto al presidente degli Stati Uniti Barack Obama di
togliere lembargo Usa a Cuba. Obama «è stato duro ed evasivo in merito allembargo» durante la conferenza stampa di chiusura del
vertice delle Americhe che si è tenuto a Trinidad Tobago, ha scritto il lider
maximo in un commento pubblicato sul sito internet ufficiale Cubadebate.cu. Indicando
che Barack Obama avrà 48 anni il 4 agosto prossimo, il
padre della rivoluzione cubana del
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Al Qaeda: "Obama non cambia nulla" (sezione: Obama)
WASHINGTON Barack Obama
«non ha cambiato» la percezione che i musulmani hanno degli Stati Uniti: ne è
convinto il numero due di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, che ha parlato in un
nuovo video diffuso su Internet. A darne conto è il centro di sorveglianza dei
siti islamici Site. «Il nuovo presidente Obama non ha
cambiato nulla dellimmagine dellAmerica
tra i musulmani e i popoli oppressi», ha dichiarato Ayman al-Zawahiri, secondo
estratti delle sue dichiarazioni pubblicate da Site. «Questa è lAmerica che ancora continua a uccidere i musulmani in
Palestina, Iraq e Afghanistan», accusa il numero due di al-Qaeda. «È
lAmerica che si appropria delle loro ricchezze, occupa le loro terre, e
appoggia i
latrocinii, la corruzione, i dirigenti traditori nei loro Paesi. E
conseguentemente il problema non è risolto. Al contrario, è probabilmente
destinato a deteriorarsi e peggiorare».
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