CENACOLO  DEI  COGITANTI

PRIMA PAGINA

TUTTI I DOSSIER

CRONOLOGICA

 

Report "Obama"  2-10 agosto 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

Traditi dai jeans ( da "Stampa, La" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Medvedev Ronald Reagan Barack Obama LA CLASSIFICA Traditi dai jeans Negli Usa il mito "cool" di Obama scalfito dai pantaloni Le svolte casual degli statisti tra avanguardia e goffaggine Azzimato EGLE SANTOLINI Celestiale Imbarazzato Disinvolto Impeccabile Sciatto Il sondaggio sul Web premia il russo Medvedev a dispetto della giacca sproporzionata MILANO Ma come porti i blue jeans,

Largo all'energia verde Confagricoltura punta 600 milioni di euro ( da "Stampa, La" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: America c'è Obama con la sua svolta verde (il «Green New Deal») l'onda ecologista investe un po' tutti i Paesi, e adesso anche il settore agricolo italiano vuol contribuire alla diversificazione delle fonti energetiche e alla diminuzione dei consumi. Il primo passo operativo su vasta scala in Italia lo ha fatto Confagricoltura,

La Casa Bianca: per la ripresa servono ancora molti mesi ( da "Stampa, La" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Lo ha detto il presidente Barack Obama nel suo discorso settimanale alla radio. «Ci vorranno ancora molti mesi - ha spiegato Obama - perché la recessione è molto più profonda di quanto nessuno potesse pensare». D'altra parte, il presidente ha detto che il pacchetto di stimoli all'economia da 787 miliardi di dollari approvato nel mese di febbraio ha aiutato a «

Gli eco-incentivi fino a 4500 dollari A inizio settimana il voto del Senato ( da "Stampa, La" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ha spinto il portavoce di Obama Robert Gibbs ad una promessa formale: «Penso che i concessionari possano aver fiducia in questo week-end, dopo la forte votazione bipartisan alla Camera che ha dato il denaro aggiuntivo che assicura la continuazione del piano». E lo stesso presidente ha spronato direttamente i senatori a far presto,

tutti a l'aquila capitale d'estate - ilvo diamanti ( da "Repubblica, La" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Non erano abituati, L´Aquila e i suoi cittadini, la popolazione della zona, ai riflettori. A una fama tanto ampia. Certo: L´Aquila è una bella città. Per arte, paesaggio, cultura. Però Nicolas e Carlà Sarkozy, Barack e Michelle Obama. E poi Gordon Brown e Vladimir Putin. SEGUE A PAGINA 22

pugno di ferro a teheran, opposizione alla sbarra - vanna vannuccini ( da "Repubblica, La" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e prima di tutto a Obama, una «pausa tattica» con l´Iran: «L´Iran non è oggi in grado di negoziare, le lotte interne rendono impossibile ogni decisione. Rinviare i colloqui nucleari per alcuni mesi non farà grande differenza rispetto al programma nucleare iraniano ma potrebbe invece determinare con quale Iran avremo a che fare nelle prossime decadi»

la crisi di un paese di cemento armato - giuseppe turani ( da "Repubblica, La" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ha detto di aver visto l´inizio della fine della recessione (insomma, la coda dello scoiattolo), i nostri ministri hanno un´aria più sorridente e nei telegiornali della sera si muovono con maggior scioltezza e sicurezza. Sentono vicino il momento in cui anch´essi potranno dichiarare finita l´emergenza e tirare fuori le bottiglie di champagne che hanno messo in frigorifero da

l'incontro - cloe piccoli ( da "Repubblica, La" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: La differenza con gli anni Settanta, con il periodo della guerra del Vietnam, l´epoca in cui John e io combattevamo per la pace, è che allora forse soltanto il venti per cento della gente era con noi». E Obama? «We should give him a chance», diamogli una possibilità...

( da "Corriere della Sera" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 2 Obama «Molti mesi per uscire dalla crisi» MILANO Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, prevede tempi lunghi per uscire dalla crisi: «Ci vorranno ancora molti mesi per poter dire che siamo fuori dal tunnel della recessione ha detto . Una recessione che abbiamo capito essere molto più profonda di quanto nessuno potesse pensare»

Scajola: sul decreto elogi dall'Europa Le badanti? Sanare anche altre categorie ( da "Corriere della Sera" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: anche il presidente Obama, sostengono che la crisi ha toccato il fondo. Il problema ora è accelerare la ripresa per evitare che gli effetti ritardati della recessione producano chiusure di imprese. Il decreto anticrisi stimola gli investimenti» . Sul decreto c'è stata una dialettica forte con il capo dello Stato.

( da "Corriere della Sera" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente americano Barack Obama ha subito deciso l'aumento dei fondi per la ricerca. Condivide? «Ha fatto benissimo, è una via per rilanciare il Paese». E in Italia ? «In settembre organizzeremo una conferenza nazionale per la ricerca e daremo il via ad alcuni progetti per grandi infrastrutture scientifiche».

Londra con l'hacker autistico che ha violato Nasa e Pentagono ( da "Corriere della Sera" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il destinatario è il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. «Questo verdetto è il lascito dell'era Bush ha detto Janis Sharp, la madre di Gary, all'uscita dal tribunale ma Obama non lo permetterà, lui vuole rendere il mondo un posto migliore. Ascoltaci Obama, so che farai la cosa giusta». Nato nel 1966 a Glasgow, Gary McKinnon cresce a Wood Green, a nord di Londra,

Tutti a L'Aquila capitale d'estate ( da "Repubblica.it" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack e Michelle Obama. E poi Gordon Brown e Vladimir Putin. E gli altri Grandi della Terra - o sedicenti tali - non ci sarebbero capitati. Non l'avrebbero attraversata. Se non fosse stata ridotta in macerie. Se il terremoto di quattro mesi fa non l'avesse trasformata in un luogo di dolore, ma anche di solidarietà.

Sarah Palin "sta per divorziare" "Con Todd infedeltà reciproche" ( da "Repubblica.it" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: scorso che ha incoronato Barack Obama, potrebbe essere spiegato nel più privato dei modi: la popolare e imprevedibile ex governatrice dell'Alaska avrebbe un problema di infedeltà coniugale. Reciproca, a quanto dice la stampa "gossip" americana, visto che il National Enquirer ha recentemente svelato l'esistenza di rapporti extraconiugali che coinvolgono sia Sarah sia il marito Todd.

Iran, processo ai capi della rivolta Drammatiche "confessioni" in aula ( da "Repubblica.it" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e prima di tutto a Obama, una "pausa tattica" con l'Iran: "L'Iran non è oggi in grado di negoziare, le lotte interne rendono impossibile ogni decisione. Rinviare i colloqui nucleari per alcuni mesi non farà grande differenza rispetto al programma nucleare iraniano ma potrebbe invece determinare con quale Iran avremo a che fare nelle prossime decadi"

Sarah Palin "sta per divorziare" Lei nega: "Con Todd sempre uniti" ( da "Repubblica.it" del 02-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Casa Bianca che ha incoronato Barack Obama, potrebbe essere spiegato nel più privato dei modi: la popolare e imprevedibile ex governatrice dell'Alaska sarebbe sull'orlo del divorzio. Immediata la smentita della portavoce Meg Stapleton, che ha scelto l'inusuale via di Facebook per rintuzzare i media "non mainstream" (blog e siti internet) che finora hanno fatto rimbalzare la notizia:

In Obama c'è un po' di Bush ( da "Stampa, La" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: E ancora, Obama ha cercato di eliminare centinaia di fotografie che mostrano abusi sessuali nelle prigioni gestite dagli Stati Uniti, e non ha fatto nulla per abolire il Patriot Act di Bush. Ma perché Obama, che ha una formazione giuridica, dovrebbe ripercorrere questa strada?

Troppo piombo Insalata e fagiolini non sono biologici ( da "Stampa, La" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ma comunque la percentuale è troppo alta per ottenere l'ambito bollino di «organic food» cui aspirava la moglie di Barack Obama. Sarebbero i coniugi Clinton, ex inquilini della residenza presidenziale dal 1993 al 2001, i responsabili dell'alta percentuale di metalli pesanti che hanno avvelenato l'orto biologico piantato da Michelle Obama nel giardino della Casa Bianca.

la lobby sanitaria che minaccia la grande riforma di obama - new york dal nostro corrispondente @fi firma editoriale sx:federico rampini ( da "Repubblica, La" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Prima Pagina La lobby sanitaria che minaccia la Grande Riforma di Obama NEW YORK DAL NOSTRO CORRISPONDENTE @FI FIRMA EDITORIALE SX:FEDERICO RAMPINI «Questo è il mio test più difficile da quando faccio politica», confessa Barack Obama a Time. E rivela che un terzo del suo tempo lo dedica solo a questa sfida: la riforma sanitaria.

che amarezza la classifica degli atenei virtuosi - gianfranco gensini ( da "Repubblica, La" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama, il quale ha annunciato che l´America investirà più del 3% del Pil in università e ricerca, con una incisiva azione di sostegno pubblico in particolare alla ricerca multidisciplinare, come quella tra fisica e scienze biomediche. è una politica di sostanza, lungimirante e coraggiosa, che non si perde nelle polemiche collegate alle classifiche fra atenei per la distribuzione

"palin divorzia", giallo in alaska - raffaella menichini ( da "Repubblica, La" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Casa Bianca che ha incoronato Barack Obama, potrebbe essere spiegato nel più privato dei modi: l´imprevedibile ex governatrice dell´Alaska sarebbe sull´orlo del divorzio. Immediata la smentita della portavoce Meg Stapleton, che ha scelto l´inusuale via di Facebook per rintuzzare la notizia: «I Palin restano sposati, impegnati l´uno nei confronti dell´altro e della loro famiglia»

il ritorno di harry & louise i testimonial ora si pentono - new york ( da "Repubblica, La" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Sorpresa: stavolta i due sembrano pentiti, appoggiano la riforma Obama. Ma c´è un trucco. Lo spot è sempre pagato da una lobby privata di assicuratori. Che appoggiano la loro versione della riforma Obama. Purgata di tutti gli aspetti innovativi. (f.ra.)

industriali, assicuratori, medici, avvocati: le lobby in campo contro la riforma sanitaria di obama. che ammette: "sarà la battaglia più difficile" - federico rampini new york ( da "Repubblica, La" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: le lobby in campo contro la riforma sanitaria di Obama. Che ammette: "Sarà la battaglia più difficile" FEDERICO RAMPINI NEW YORK dal nostro corrispondente «Questo è il mio test più difficile da quando faccio politica», confessa Barack Obama a Time. E rivela che un terzo del suo tempo lo dedica solo a questa sfida: la riforma sanitaria.

Salvate dalla vacanza le piccole Obama ( da "Corriere della Sera" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: attività sociali: un'estate senza tregua Salvate dalla vacanza le piccole Obama di MARIA LAURA RODOTÀ Obama con la moglie, le figlie Sasha e Malia e la suocera a spasso nel giardino della Casa Bianca. Vacanze impegnative attendono le sorelline: lezioni di storia, servizi socialmente utili, ginnastica. A PAGINA 13

Ripresa Usa alle porte L'ottimismo in tv della Casa Bianca ( da "Corriere della Sera" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: chi era sulla Abc poteva sentire in sostanza le stesse parole pronunciate dal segretario al Tesoro di Obama, Timothy Geithner. Sulla stessa rete, la Abc, è arrivato anche l'ex presidente della Federal reserve, Alan Greenspan, a dare manforte alle nuove previsioni dell'amministrazione Obama: la crisi «non è del tutto passata, ma ci siamo vicini.

Azione e animazione Locarno punta ai più giovani ( da "Corriere della Sera" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: racconta la massacrante campagna elettorale di Obama dall'insolito punto di vista di due bande universitarie della Virginia. Il giorno dopo si parte con due titoli antitetici: prima la commedia americana «500 Days of Summer» di Marc Webb. Poi «La guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre », riflessione sulla guerra dell'israeliano Amos Gitai.

Raúl Castro agli Usa ( da "Corriere della Sera" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Castro ha riconosciuto che il presidente Barack Obama è meno «aggressivo» di Bush verso Cuba ma ha notato che l'embargo «è ancora applicato». Discorso Il presidente Raúl Castro, 78 anni, all'Assemblea nazionale cubana ( Reuters/ Desmond Boylan)

Le vacanze afro-prussiane delle due piccole Obama ( da "Corriere della Sera" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: estate di Malia e Sasha Le vacanze afro-prussiane delle due piccole Obama di MARIA LAURA RODOTÀ La famiglia Obama non crede nell'ozio creativo. Era noto; e i giornali americani lo confermano raccontando i programmi estivi di (o meglio, per) le figlie Malia e Sasha. Includono «lezioni di storia, servizi socialmente utili, alimentazione sana, esercizio fisico.

Le lobby della sanità contro la Casa Bianca ( da "Repubblica.it" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Questo è il mio test più difficile da quando faccio politica", confessa Barack Obama a Time. E rivela che un terzo del suo tempo lo dedica solo a questa sfida: la riforma sanitaria. L'opposizione annusa sangue. Il presidente del partito repubblicano Michaele Steele annuncia: "La sanità sarà la sua Waterloo. Lo spezzeremo".

Nuovo video-messaggio di Al Qaeda: "Obama bugiardo criminale" ( da "Repubblica.it" del 03-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama, della Francia e dell'Occidente. Il numero due di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri, torna a fare sentire la sua voce con un lungo messaggio video diffuso oggi dai forum islamici in Internet. Il filmato, della durata di un'ora e 25 minuti, è stato realizzato dalla casa di produzione Al-Sahab a mò di intervista con una voce fuori campo che pone alcune domande di attualità al vice

Obama le zucchine e le tasse ( da "Stampa, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Lucia Annunziata Obama le zucchine e le tasse A Michelle le zucchine, a Barack le tasse. La realtà ha modi grandi e piccoli per imporre la sua forza. A marzo Michelle aveva piantato il primo orto della Casa Bianca dai tempi di Eleanor Roosevelt. Il New York Times scrisse allora: «L'orto ha assunto un profondo significato politico,

Al-Zawahiri offre una tregua a Obama ( da "Stampa, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Zawahiri offre una tregua a Obama DUBAI «L'offerta di una tregua presentata da Al-Qaeda alla precedente amministrazione americana nel 2006 è ancora valida anche per il presidente Barack Obama». Lo ha dichiarato il numero due della rete terroristica, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri con un lungo video preparato dal braccio mediatico di al Qaeda.

Hillary: l'Africa in 11 giorni ( da "Stampa, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: impegno assunto da Barack Obama nei confronti del continente più depresso del mondo. In Kenya, la prima tappa, la Clinton parteciperà al Sub-Saharan Africa Trade and Economic Cooperation Forum di Nairobi, durante il quale saranno esaminati nuovi approcci per lo sviluppo economico e nuove politiche per l'accesso agli investimenti stranieri in particolare rivolti alle aree rurali.

Prendiamo l'ultimo grido del gioco aperitivo , un classico del ceto medio in vacanza... ( da "Stampa, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: testimoniava che l'America stava cambiando e che i neri non erano poi così diversi dai bianchi (il ricco George Jefferson era razzista nei confronti dei «visi pallidi» come e più di questi nei suoi confronti). E forse è anche grazie a questa serie se adesso il presidente degli States è Barack Obama.

Operazione tele-nostalgia ( da "Stampa, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: testimoniava che l'America stava cambiando e che i neri non erano poi così diversi dai bianchi (il ricco George Jefferson era razzista nei confronti dei «visi pallidi» come e più di questi nei suoi confronti). E forse è anche grazie a questa serie se adesso il presidente degli States è Barack Obama.

certificati, bugie e videotape contro obama tornano i "birthers" - angelo aquaro ( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dove è nato Barack Obama...». Un delirio. «Ho visto i documenti conservati dal ministero della Salute: Barack Hussein Obama è cittadino americano per nascita», giura la direttrice del ministero della Salute di Honolulu, Chiyome Fukino. E Robert Gibbs, il portavoce della Casa Bianca, sconsolato: «Neppure la prova del Dna riuscirebbe a placare chi nega che il presidente sia nato qui.

le pressioni della casa bianca sulle tv "il presidente vuole sempre il prime time" - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: In soli sei mesi alla Casa Bianca, Barack Obama ha già conquistato per ben quattro volte il prime-time televisivo, la fascia d´ascolto più preziosa per i network, riservata ai programmi di massimo gradimento. George Bush ci aveva messo l´intera presidenza, otto anni su due mandati, per raggiungere lo stesso numero di apparizioni tv.

khamenei "incorona" ahmadinejad - francesca caferri ( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: all´offerta di dialogo sul nucleare lanciata dall´amministrazione Obama. Ieri della situazione a Teheran è tornata a parlare il segretario di Stato Hillary Clinton: ha chiesto immediate risposte sulla sorte di tre turisti americani catturati nei giorni scorsi dopo aver sconfinato in Iran da un sentiero che parte dall´Iraq.

paul mccartney dedica "michelle" alla signora obama ( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 43 - Spettacoli Washington Il remake Festival Torino, nuovo premio a Coppola e Kusturica Paul McCartney dedica "Michelle" alla signora Obama Il nuovo film di Spielberg è "Harvey"

povera ma fa bene è la rivincita sugli integratori - angelo aquaro new york ( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ma soprattutto: in tempi di recessione, e mentre Obama si danna sulla riforma sanitaria, riusciranno i difensori della D, la vitamina più economica, a sconfiggere le lobby degli integratori, ovviamente più interessate a vendere costosissimi multiprodotti, per la gioia di un mercato da 23 miliardi dollari?

- giorgio lonardi ( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama. Ma anche della presa d´atto che le banche stanno macinando profitti come conferma il caso di Hsbc che sorprende gli analisti con i suoi 3,35 miliardi di utili. E forse anche l´accordo siglato ieri da Bank of America, (paga una multa di 33 milioni di dollari alla Sec per chiudere la vicenda sui bonus concessi ai manager di Merrill Lynch)

i teocon scalano la rivista neocon - new york ( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: nella galassia della destra americana, ancora sotto choc per la vittoria di Obama alle presidenziali. Non a caso il primo bastione a cadere è il settimanale diretto da William Kristol: a quest´ultimo, che fu consigliere di John McCain nella campagna presidenziale, vengono imputati degli errori fatali come la scelta di Sarah Palin.

Paul dedica alla first lady americana ( da "Corriere della Sera" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Paul McCartney ha reso omaggio a Michelle Obama cantando per lei uno dei più grandi successi dei Beatles durante un concerto sabato sera a Washington. La moglie del presidente Usa non era però fra gli spettatori, essendo partita qualche ora prima con marito e figlie per Camp David.

Aspettando Amos Gitai anteprima con ( da "Corriere della Sera" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: che racconta la campagna elettorale di Obama vista da due bande universitarie della Virginia. E domani apertura ufficiale della rassegna che premierà quest'anno Tony Servillo e il regista William Friedkin. I primi titoli in Piazza, alle 21.30, saranno l'americano 500 days of summer di Marc Webb, una commedia sentimentale in cui il plus valore romantico,

Al-Zawahiri offre una tregua a Obama ( da "Stampaweb, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione americana nel 2006 è ancora valida anche per il presidente Barack Obama». Lo ha dichiarato il numero due della rete terroristica, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri con un lungo video preparato dal braccio mediatico di al Qaeda. «Se Obama vuole raggiungere un?intesa, allora dovrebbe rispondere alle due offerte di tregua dello sceicco Osama bin Laden» spiega al-Zawahiri,

Certificati, bugie e videotape contro Obama tornano i "birthers" ( da "Repubblica.it" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dove è nato Barack Obama...". Un delirio. "Ho visto i documenti conservati dal ministero della Salute: Barack Hussein Obama è cittadino americano per nascita", giura la direttrice del ministero della Salute di Honolulu, Chiyome Fukino. E Robert Gibbs, il portavoce della Casa Bianca, sconsolato: "Neppure la prova del Dna riuscirebbe a placare chi nega che il presidente sia nato qui.

Berlusconi, "vacanze salutiste per poi rigettarsi nella mischia" ( da "Repubblica.it" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ma se leader come Gordon Brown o Obama probabilmente "non vogliono farsi vedere all'estero durante una recessione", per Berlusconi le cose stanno in altro modo. "Naturalmente, con 18 proprietà, restare a casa non dev'essere così noioso come per la maggior parte di noi", scrive il giornale britannico, pubblicando una foto della residenza di Arcore.

Bill Clinton incontra Kim Jong-il ( da "Stampaweb, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: sudcoreana Yonhap secondo cui Clinton avrebbe portato un messaggio verbale di Obama a Kim Jong-il. Un membro della delegazione americana coperto dall?anonimato ha spiegato che l?interesse principale degli Usa, in questo momento, «è il ritorno delle due giornaliste sane e salve». Euna Lee e Laura Ling, che lavorano per il network americano Current Tv (di cui è presidente Al Gore,

Iran, Ahmadinejad s'insedia ma Obama non si congratula ( da "Repubblica.it" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama non manderà un messaggio di congratulazioni al presidente iraniano Ahmadinejad, in occasione della cerimonia del giuramento in programma domani a Teheran. Lo fa sapere la Casa Bianca, ma l'imbarazzante problema dei rapporti con uno stato sovrano di prima importanza e con il suo regime autoritario,

Trenta minacce di morte al giorno per Obama, servizi segreti in affanno ( da "Stampaweb, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: WASHINGTON Ogni giorno arriva una media di 30 minacce di morte contro Barack Obama, ma il Secret Service incaricato di proteggere il presidente americano, il suo vice e i loro familiari, è sempre sotto organico. Lo ha afferma il giornalista investigativo americano Ronald Kessler nel suo libro «In the president?s Secret Service».

Nord Corea, dopo la visita di Clinton Kim Jong Il "perdona" le due reporter ( da "Repubblica.it" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: un messaggio verbale del presidente americano Barack Obama, con cui si esprime ringraziamento e il suo punto di vista in merito alla ricerca di un miglioramento delle relazioni" tra i due Paesi. OAS_RICH('Middle'); Clinton aveva sottolineato il carattere "privato" della sua missione che aveva già registrato un primo, seppur piccolo, successo: un colloquio "molto emozionante"

Bill Clinton incontra Kim Jong-il Graziate le due giornaliste Usa ( da "Stampaweb, La" del 04-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il ha ordinato al presidente della commissione nazionale di Difesa di garantire una speciale grazia alle due giornaliste, condannate ai lavori forzati, e di rilasciarle», riferisce la Kcna. Oggi, nel corso della visita nel Paese, l?ex presidente Usa Bill Clinton ha portato a Kim Jong-il un «messaggio verbale» del presidente Barack Obama, aggiunge l?agenzia nordcoreana.

"contro i taliban alle elezioni ci candidiamo noi" - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: giudizio potrà scandalizzare ma corrisponde esattamente alla dottrina Obama: rafforzare la presenza militare, aumentare la pressione sui Taliban e costringerne almeno una parte a negoziare alle condizioni degli occidentali. Nel caso non funzionasse, nei governi Nato crescerà la tentazione di un baratto al ribasso in cui inevitabilmente entreranno i diritti minimi delle ragazze afgane.

Dalle strategie divergenti all'alleanza ( da "Stampa, La" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: giallo invece sul presunto messaggio che Barack Obama avrebbe recapitato a Kim per mano dell'ex presidente. La notizia diffusa dall'agenzia di stampa sudcoreana Yonhap è stata smentita dalla Casa Bianca: «Non è vero», ha detto il portavoce Robert Gibbs, che poco prima aveva precisato come la missione fosse «esclusivamente privata» e volta ad ottenere il rilascio di Euna e Laura,

I taleban erano già l'incubo di Churchill ( da "Stampa, La" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama di valutare le minacce alla sicurezza in Afghanistan e Pakistan. Il 17 luglio, Arnauld de Borchgrave sul Washington Times raccontava col fiato sospeso le conclusioni di Riedel: «Una vittoria jihadista in Pakistan significherebbe la conquista del Paese da parte di un movimento sunnita guidato dai taleban.

tutti i miei disturbi sono cominciati con il suo arrivo ( da "Repubblica, La" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina XV - Milano Duccio Obama Non chiede mai cosa c´è da fare,tanto sa che è stato assunto dal sottoscritto solo perché sua sorella, mia moglie, ha fatto pressioni su di me: se non lo prendi divorzio Sta in ufficio con bermuda e infradito, dice che anche gli americani vanno così.

La recessione mette in crisi le casse federali degli Stati Uniti. Il gettito fiscale generato dal pa... ( da "Stampa, La" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: proprio nel momento in cui il governo di Barack Obama sta avviando una serie di costose riforme destinate a incidere sul deficit federale giunto a 1800 miliardi di dollari. L'allarme rosso emerge da un'indagine condotta dall'Associated Press secondo cui il gettito del 2009 potrebbe ridursi del 18% segnando la flessione più pronunciata dal 1932, dai tempi della Grande Depressione.

blitz di clinton in corea del nord kim jong-il libera le reporter usa - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: asso nella manica di Barack Obama, che grazie a lui incassa un´operazione umanitaria: la liberazione immediata di due giornaliste americane della tv di Al Gore, prigioniere da marzo, "graziate" con provvedimento speciale dal dittatore Kim Jong-il. Finalmente Obama fruisce della promessa "paghi uno compri due", implicita nella nomina di Hillary a segretario di Stato.

a wall street le regole non cambiano geithner striglia le autorità di controllo - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Schapiro (Sec) e Bair (Fdi) L´amministrazione Obama accusa: riforme bloccate, festeggiano solo banche e banchieri FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente new york - Wall Street è euforica, la Casa Bianca meno. Il rialzo delle Borse avviene senza che siano cambiate le regole dei mercati, contrariamente alle promesse di Obama.

I taleban erano già l'incubo di Churchill ( da "Stampaweb, La" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama di valutare le minacce alla sicurezza in Afghanistan e Pakistan. Il 17 luglio, Arnauld de Borchgrave sul Washington Times raccontava col fiato sospeso le conclusioni di Riedel: «Una vittoria jihadista in Pakistan significherebbe la conquista del Paese da parte di un movimento sunnita guidato dai taleban.

Bill in missione: libere le reporter Usa ( da "Corriere della Sera" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ha ascoltato il messaggio verbale che Barack Obama ha inviato al capo di quello che Bush definì uno «Stato canaglia». La Casa Bianca, invece, ha smentito che il presidente Usa abbia mandato alcun messaggio. Poi, l'incontro di Clinton «molto emozionante » secondo i media Usa con le due giornaliste, nelle mani dei nordcoreani dal 17 marzo scorso: Laura Ling,

Geithner fa muro sulle riforme Scontro con le authority ( da "Corriere della Sera" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama-Geithner laddove prevede la creazione di una nuova agenzia per la protezione del consumatore di prodotti finanziari. La Bair nominata a suo tempo dai repubblicani e confermata da Obama che ha apprezzato la determinazione con cui ha affrontato la crisi di alcune banche locali come IndyMac ha mostrato ieri di nuovo tutta la sua energia quando ha detto che la sfuriata di Geithner

Sinistra, ipotesi di ( da "Corriere della Sera" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: magari usando il Web come ha fatto Barack Obama». Quanto ai contenuti, serve una sorta di «quarta via»: «Storicamente ricorda Berta la socialdemocrazia ha costruito la propria fortuna valorizzando un'identità collettiva, ma adesso deve recuperare la dimensione dei diritti individuali, superando la frontiera che ancora la separa dal liberalismo».

Usa, si dimette la della sicurezza tecnologica ( da "Corriere della Sera" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: In maggio Obama aveva annunciato l'intenzione di creare un National Cyber Advisor per elaborare le strategie contro il crimine tecnologico. Secondo il Wall Street Journal , sulle dimissioni di Hathaway avrebbe pesato il disaccordo con lo staff economico del Presidente su nuove regole per la sicurezza delle reti di operatori privati,

Clinton torna con le due reporter "Nessuna concessione a Pyongyang" ( da "Repubblica.it" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: E il presidente Barack Obama gliene ha dato atto lodando l'"ottimo lavoro svolto da Clinton nell'ottenere la liberazione delle due giornaliste" dalle prigioni nordcoreane. Soddisfatta anche la segretario di stato americano Hillary Clinton che si è detta "molto felice e sollevata".

Bill Clinton lascia Pyongyang con le due reporter Usa graziate ( da "Stampaweb, La" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: di Obama. Come affermato dall'ufficio stampa della Casa Bianca, la missione di Clinton ha avuto carattere puramente umanitario. Tuttavia, secondo alcuni analisti, al di là di questa missione di buoni uffici, la visita - la seconda di un ex presidente Usa dopo quella di Jimmy Carter nel 1994 - riveste, almeno per Pyongyang,

Blitz di Clinton in Corea del Nord Obama felice: "Ma niente svolta" ( da "Stampaweb, La" del 05-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il presidente Barack Obama non ha voluto interpretare il finale alla Hollywood di questo ultimo braccio di ferro con la Corea del Nord come un segnale di disgelo nei rapporti tra i due paesi. «Sta alla Corea del Nord: la strada per migliori relazioni passa attraverso la rinuncia di Pyongyang al nucleare e la fine di azioni provocatorie»,

La corsa per la corona mondiale dell'eleganza è un testa a testa tra due altezze reali: la... ( da "Stampa, La" del 06-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Carla Bruni Sarkozy e Michelle Obama (cui viene negato il cognome da ragazza, forse perché non ha avuto una carriera mediatica prematrimoniale), ma chi ha in mente il recente G8 aquilano e le signore dei «signori del mondo» non può dare torto alla selezione drastica di «Vanity Fair», che nel numero americano d'agosto stila la classifica delle elegantone e degli elegantoni del 2009.

corea, trionfo per clinton in america le due giornaliste ( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina FEDERICO RAMPINI A PAGINA 12 Monito di Obama a Pyongyang "Ma ora trattate sull´atomica" Corea, trionfo per Clinton in America le due giornaliste SEGUE A PAGINA 12

"rom, sono loro i nuovi ebrei" ovadia debutta a san giovanni - gregorio moppi ( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dovremmo pensare che da lì potrebbe nascere un futuro premio Nobel, un nuovo Obama». Il recital di Ovadia, storie e melodie accompagnate da diversi strumenti, sottolinea le molte affinità culturali e musicali tra sinti, ebrei, rom. Fino alla Shoah questi popoli hanno condiviso un medesimo destino di nomadismo: risposta di dignità e indipendenza alle persecuzioni.

super bill, missione compiuta obama ringrazia e avverte "la corea smetta di provocare" - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Clinton è andato in Corea del Nord come un privato cittadino, non era portatore di un messaggio di Obama, non ha neppure parlato col presidente prima di partire. Al tempo stesso, il clan democratico è in festa per un successo umanitario nato grazie alla definitiva pacificazione fra tre grandi "famiglie": il clan Obama, i Clinton, e Al Gore.

monito di mosca a washington "basta aiuti militari alla georgia" - leonardo coen ( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: per questo Obama è andato a tranquillizzarlo il 23 luglio. Il che non è stato gradito a Mosca. Che ha subito rialzato i toni bellicosi, per ricordare che la Georgia rientra nella sua sfera geopolitica. Comunque, nel coro delle voci che in queste ultime ore stanno agitando il palcoscenico del Caucaso ed inquietando il resto del mondo,

obama aiuta l'auto elettrica con 2,4 miliardi di sussidi - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: batterie e componenti Obama aiuta l´auto elettrica con 2,4 miliardi di sussidi Favori ai produttori nazionali e gaffe su Toyota FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente NEW YORK - «E´ il più grande investimento mai compiuto al mondo in questo settore». In tournée nell´Indiana, uno degli Stati Usa più colpiti dalla crisi dell´auto,

"il fatto che sia ancora premier rende debole la vostra democrazia" - alberto d'argenio ( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: è il fenomeno Obama. E l´Europa deve scegliere il suo punto di riferimento: l´Italia o gli Usa? La Francia è in bilico. Sarkozy è un mélange tra l´individualismo berlusconiano e il senso di responsabilità obamiano. In Germania, invece, un modello come quello italiano non potrebbe mai funzionare, anteporre l´interesse privato a quello collettivo sarebbe impensabile.

la crociata vaticana e le mani sulla vita - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: come quelle svolte dalle organizzazioni internazionali alle quali Obama è tornato ad assicurare i finanziamenti. La volontà di limitare la libertà di scelta e di espropriare le persone del diritto di governare la propria vita, era già comparsa nelle discussioni che accompagnano il dibattito parlamentare sul testamento biologico.

I sottomarini russi tornano a spiare le coste americane ( da "Stampaweb, La" del 06-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama abbia parlato con il suo omologo russo Dmitry Medvedev quando questi gli ha telefonato telefono martedì sera per fargli gli auguri di compleanno. Fonti diplomatiche riferiscono invece che i due capi di Stato abbiano affrontato il nodo georgiano, in particolare dopo la richiesta di 16 milioni di dollari in armamenti avanzata da Tbilisi e che rischia di acuire ulteriormente le

L'eleganza global della Sceicca ( da "Stampaweb, La" del 06-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Carla Bruni Sarkozy e Michelle Obama (cui viene negato il cognome da ragazza, forse perché non ha avuto una carriera mediatica prematrimoniale), ma chi ha in mente il recente G8 aquilano e le signore dei «signori del mondo» non può dare torto alla selezione drastica di «Vanity Fair», che nel numero americano d'agosto stila la classifica delle elegantone e degli elegantoni del 2009.

Ahmadinejad giura da presidente Proteste e scontri a Teheran ( da "Corriere della Sera" del 06-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: più volte formulata da Obama, è ancora sul tavolo. Una concessione non da poco quando il tuo interlocutore bastona chi chiede libertà. Ispirata alla prudenza anche la precisazione del portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, al seguito del presidente: «Il popolo iraniano continua a porsi delle domande (sul voto, ndr ), ma lasciamo che siano loro a giudicare»

Usa, gaffe dei detrattori di Obama il certificato dei 'birthers' è un falso ( da "Repubblica.it" del 06-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama di mostrare il suo "vero" certificato di nascita. Tutte le lettere erano state preconfezionate dal sito di estrema destra "WorldNet Daily". Il dibattito sulle origini di Obama infatti non è cosa da poco conto negli Stati Uniti in queste ore, al punto che un sondaggio di Politico.

usa, un'ispanica alla corte suprema luce verde del senato alla sotomayor ( da "Repubblica, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il giudice ha così raccolto qualche voto tra i repubblicani ma non quello dell´ex sfidante di Obama, John McCain. L´elezione è naturalmente stata subito salutata come «fatto storico» da Obama, che ha parlato di «giornata meravigliosa». «Questo - ha detto - è un voto che ha infranto un´altra barriera, un altro passo verso un´America sempre più unita».

obama riforma le carceri per immigrati - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Esteri Obama riforma le carceri per immigrati I 400 mila clandestini saranno sistemati in "strutture più umane" Ora sono detenuti in 350 penitenziari pubblici e privati proliferati durante l´era Bush FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente NEW YORK - Non è ancora la nuova politica sull´immigrazione promessa da Obama,

israele e l'america di obama - sandro viola ( da "Repubblica, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: E questo mentre Barack Obama viene visto dagli israeliani come un alleato incerto, flessibile con tutti (con gli ayatollah di Teheran, con la Siria, con Putin),meno che con Israele. La partita tra Netanyahu e Obama è quindi ancora aperta. Obama ha dalla sua parte l´intero Occidente, la Russia, e forse la maggioranza degli ebrei americani.

pirati all'attacco, paralizzato twitter - (segue dalla prima pagina) dal nostro inviato ( da "Repubblica, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: attacco arriva proprio nel giorno in cui i social network sono stati scelti dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, per lanciare l´offensiva finale della grande battaglia per la riforma della sanità. Non solo. La sfida arriva all´indomani della notizia dell´addio dello cyberzar degli Usa, Melissa Hathaway, la donna che aveva già lavorato con George W.

trichet: no alla tassa italiana sull'oro - luisa grion ( da "Repubblica, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione di Obama ha appena precisato di non avere pianificato, a breve termine, alcun nuovo pacchetto di stimolo. Quanto alla ripresa arriverà, ma non sarà rosa e fiori: «Osserviamo che la fiducia sta migliorando, ma rimaniamo prudenti - ha sottolineato Trichet - probabilmente ci attende un percorso accidentato».

economia verde troppe promesse anche da obama ( da "Repubblica, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Economia Global market Economia verde troppe promesse anche da Obama Non venderemo mai Ugf Banca. Gli spagnoli del Santander? Tutte balle. Abbiamo 300 agenzie, ce ne servono 500. Chiusa la fase di rifondazione, torneremo ad aprire agenzie ROMA - Il più classico dei "prendi due piccioni con una fava": stimolo all´economia in crisi, attraverso investimenti "verdi" che aiutino l´ambiente.

Non abbiamo toccato il fondo ( da "Stampa, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: magari al seguito dello spiraglio di crescita di recente preconizzato per fine anno dal presidente Obama. È possibile e sicuramente auspicabile che i tempi della ripresa Usa siano più celeri di quanto si era temuto, ma un miglioramento economico al di là dell'Atlantico non è destinato a riverberarsi immediatamente sulle condizioni delle nostre imprese.

WASHINGTON Sonia Sotomayor è ufficialmente il primo giudice di origine latina ad arrivare al... ( da "Stampa, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: siglata dal presidente Barack Obama lo scorso 26 maggio. La donna sostituisce così il giudice David Souter, scelto da George W. Bush, che ha rassegnato le dimissioni nell'aprile scorso. L'aula del Senato ha approvato la nomina con 68 voti favorevoli e 31 contrari. Prima di arrivare alla Corte Suprema Sonia Maria Sotomayor ricopriva la carica di giudice federale di Corte d'

Il gran rifiuto di Neri Pozza e la modestia di Battiato ( da "Stampa, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Attenti a Obama Un detenuto per terrorismo, Ahmed Omar Abu Ali, condannato a 30 anni come membro di Al Qaeda, voleva leggere il bestseller di Barack Obama L'audacia della speranza. Il sogno americano per un mondo nuovo (da noi disponibile dell'edizione Bur Rizzoli).

"I superprofitti? Un mito da sfatare" ( da "Stampa, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: insomma ci sta lavorando l'Amministrazione di Barack Obama, ma non c'è nulla che si possa fare in Italia. E invece è da trent'anni che siamo qui ad accusare le compagnie cattive che speculano sul prezzo della benzina, quando invece non ci guadagnano quasi niente». Specifichiamo meglio che cosa intende per niente?

Negli Usa potrebbe superare il 10% ( da "Stampa, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, crede che il tasso di disoccupazione potrebbe superare la soglia del 10%. Lo ha detto ieri un portavoce della Casa Bianca aggiungendo che ancora non è stato previsto quanto potrebbe avvenire il «sorpasso». Certo è comunque che la Casa Bianca si aspetta un incremento dei senza lavoro.

Attacco hacker Twitter al buio per tre ore ( da "Stampa, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: come ha compreso Obama che ha istituito una task force per fronteggiare gli attacchi informatici. Al confronto appare perfino nostalgica l'impresa di Gary McKinnon, un distinto quarantenne che nel 2002 aveva bucato le difese informatiche della Nasa, del Pentagono, dell'Esercito, della Marina e delle Forze aeree statunitensi per cercare prove dell'

"Identificarli è quasi impossibile" ( da "Stampa, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: come ha compreso Obama che ha istituito una task force per fronteggiare gli attacchi informatici. Al confronto appare perfino nostalgica l'impresa di Gary McKinnon, un distinto quarantenne che nel 2002 aveva bucato le difese informatiche della Nasa, del Pentagono, dell'Esercito, della Marina e delle Forze aeree statunitensi per cercare prove dell'

Da romantici a criminali una sfida lunga 30 anni ( da "Stampaweb, La" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: come ha compreso Obama che ha istituito una task force per fronteggiare gli attacchi informatici. Al confronto appare perfino nostalgica l'impresa di Gary McKinnon, un distinto quarantenne che nel 2002 aveva bucato le difese informatiche della Nasa, del Pentagono, dell'Esercito, della Marina e delle Forze aeree statunitensi per cercare prove dell'

Pakistan, così Al Qaeda sogna la bomba atomica ( da "Repubblica.it" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama, tra i suoi compatrioti Khan resta il popolarissimo "padre della Bomba". Non ha mai svelato i suoi segreti. Un suo collega, Sultan Mahmood, responsabile del reattore nucleare di Khushab e notabile di un partito filo-Taliban, ha dovuto ammettere che Osama bin Laden gli chiese una consulenza per costruire un ordigno "

Saggi, romanzi, racconti: è la letteratura della recessione ( da "Corriere della Sera" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: della presidenza Obama, si dice colpito dalla preveggenza di alcuni suoi giovani colleghi: «Un romanzo richiede anni di lavoro e il crollo della finanza è, tutto sommato, un fenomeno recente. Eppure in autunno Adam Haslett pubblicherà Union Atlantic , uno straordinario racconto costruito attorno alla corsa verso il disastro di una banca del Massachusetts.

L'ispanica Sonia Sotomayor eletta alla Corte Suprema ( da "Corriere della Sera" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama: giorno meraviglioso DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Dai ghetti degli immigrati portoricani nel Bronx alla Corte Suprema, passando per l'Università di Yale e una prestigiosa carriera che l'ha vista procuratore distrettuale, avvocato, giudice federale, giudice di Corte d'Appello.

I pirati mettono in crisi Twitter ( da "Corriere della Sera" del 07-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama, Al Gore, Kevin Spacey, Demi Moore e che, durante le proteste politiche in Iran, è stato l'unico strumento utilizzato dai sostenitori del riformista Moussavi per divulgare notizie da Teheran verso l'estero. La conferma del blitz ad opera di hacker l'ha data Biz Stone, uno dei cofondatori di Twitter: «In questo banalissimo giovedì mattina Twitter è stato obiettivo di un attacco

gelata sul pil in caduta del 6% ( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ottimismo di Obama Gelata sul Pil in caduta del 6% ROMA - Nuovo tonfo del Pil in Italia. Nel secondo trimestre il prodotto interno lordo ha segnato una caduta del 6%. è il dato peggiore dal 1980. I sindacati sono in allarme e chiedono un maggior sostegno al reddito dei lavoratori.

la crisi, keynes e gli stimoli - joseph e. stiglitz ( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il governo Obama appare sorpreso e deluso dall´alto e crescente numero di disoccupati. Non dovrebbe perché tutto questo era prevedibile. La vera misura del successo di uno stimolo non è il livello della disoccupazione in quel dato momento, ma quali sarebbero state le sue dimensioni se lo stimolo non fosse stato messo in atto.

la lega tra nemici locali e globali - renzo guolo ( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e in particolare dall´obamismo, che incarna anche simbolicamente un tipo di società etnicamente e religiosamente plurale che il Carroccio aborrisce, il quadro è completo. Il localismo in salsa verde si traduce in autismo politico nella scena internazionale. Una forma di assicurazione anche contro gli svarioni politici compiuti in passato.

scatenato, cinefilo, demenziale in un'estate a tutto campo - gaia rau ( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: E nuovi saranno anche i personaggi: dall´Obama pisano al neo sindaco di Firenze, a cui faremo intonare Una lacrima sul viso, a Terminator che canta Tiziano Ferro. Il finale musicale sarà travolgente. Da ieri affianca Fabio Canino al Mardi Gras di Torre del Lago, dove la sua comicità decisamente «etero» affronta i temi dell´omosessualità.

il sax di cafiso per incantare il "locus" ( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: onore del nuovo presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Merito di una segnalazione del trombettista jazz Wynton Marsalis, uno dei primi ad aver notato il talento di Cafiso tanto da portarlo a 13 anni a esibirsi al Lincoln Center di New York. Il giovane sassofonista originario di Vittoria ha ricevuto lo scorso 17 luglio l´investitura di "Ambasciatore della musica jazz nel mondo"

frena la disoccupazione usa e le borse prendono il volo ( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: crescita Frena la disoccupazione Usa e le Borse prendono il volo Obama: luce in fondo al tunnel. Il deficit sale a 1.300 miliardi I dati sui posti di lavoro sono un segno in più che il peggio dovrebbe essere ormai alle spalle Siamo partiti da un abisso e ci resta da scalare una montagna molto ripida ma ora ci vuole una nuova crescita DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK - All´inizio dell´

la flebo pubblica ha funzionato ma ora serve una cura alternativa - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dichiara Obama - dobbiamo chiederci che cosa verrà dopo». Si riduce il ritmo dei licenziamenti in America, il tasso di disoccupazione accenna a scendere, gli indici di Borsa salgono ai massimi del 2009, con rialzi del 50% da marzo. Un coro di economisti dà ragione al presidente: la recessione potrebbe essere addirittura già finita,

- (segue dalla copertina) alessio balbi ( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama. Alla fine di giugno, il nuovo segretario alla Difesa Robert Gates ha creato un comando apposito per difendere le reti informatiche militari e sviluppare armi di offesa. Le ipotesi sul tavolo prevedono la possibilità per le truppe americane di entrare nei computer dei criminali informatici in Russia o Cina per distruggere le botnet,

- (segue dalla prima pagina) giuseppe d'avanzo ( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Se Barack Obama ha firmato a Mosca il trattato per la limitazione delle armi nucleari, il merito è di Berlusconi che ha favorito «l´avvicinamento» della nuova amministrazione americana al Cremlino. Se l´Alleanza atlantica è ancora vegeta, lo si deve al lavoro di persuasione di Berlusconi che ha convinto il leader turco Erdogan a dare il via libera alla candidatura di Rasmussen.

Attacco russo a Twitter: il bersaglio era georgiano ( da "Corriere della Sera" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 140 caratteri e che è utilizzato dai giovani e anche da personalità internazionali, come Obama. Twitter era anche l'unico strumento di comunicazione in mano ai dissidenti iraniani nei giorni della grande repressione. Ritardi e altri problemi anche su Facebook (250 milioni di utenti attivi) su LiveJournal e Google Blogger che comunque sono riusciti a difendersi meglio di Twitter.

L'Italia tra Putin e l'Europa ( da "Corriere della Sera" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama fa benissimo a spingere il suo pulsante reset. Ma tenere un piede di qua e un piede e mezzo di là per l'Italia non è una buona politica. Quali che siano gli interessi economici, che l'Eni giustamente persegue facendo il suo mestiere. E quali che siano le ambizioni politiche di «mediare» tra russi e americani,

Obama ottimista: il peggio è passato Wall Street ci crede ( da "Corriere della Sera" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 29 Ripresa Il presidente: si comincia a vedere la luce fuori dal tunnel Obama ottimista: il peggio è passato Wall Street ci crede Disoccupazione Usa meglio del previsto al 9,4% DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON - Qualche volta anche un quarto di milione di posti di lavoro perduti un solo mese possono essere una buona notizia.

Il mondo meraviglioso del Cavaliere tra potere, menzogne, pubblicità e tv ( da "Repubblica.it" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Se Barack Obama ha firmato a Mosca il trattato per la limitazione delle armi nucleari, il merito è di Berlusconi che ha favorito "l'avvicinamento" della nuova amministrazione americana al Cremlino. Se l'Alleanza atlantica è ancora vegeta, lo si deve al lavoro di persuasione di Berlusconi che ha convinto il leader turco Erdogan a dare il via libera alla candidatura di Rasmussen.

War games, l'attacco a Twitter e la paura della cyberguerra ( da "Repubblica.it" del 08-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama. Alla fine di giugno, il nuovo segretario alla Difesa Robert Gates ha creato un comando apposito per difendere le reti informatiche militari e sviluppare armi di offesa. Le ipotesi sul tavolo prevedono la possibilità per le truppe americane di entrare nei computer dei criminali informatici in Russia o Cina per distruggere le botnet,

La giovane studiosa da Parigi alle galere di Ahmadinejad ( da "Stampa, La" del 09-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama. Evidentemente il Palazzo a Teheran ha memoria lunga. La «confessione» della Reiss è stata completa, tanto da evocare immediatamente il sospetto che sia stata sottoposta durante la detenzione a pressioni intollerabili. «Ho scritto un rapporto sulle manifestazioni lungo una pagina e l'ho consegnato all'istituto francese di ricerca in Iran che dipende dai servizi culturali dell'

"E ora l'America con chi parlerà?" ( da "Stampa, La" del 09-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: " "Obama deve sperare nei dissidi interni" In Iran, le manifestazioni di piazza e l'ostilità crescente sia della gente sia degli oppositori politici di Ahmadinejad complicheranno la vita ad Obama, che deve fermare i piani nucleari di un leader indebolito ma, per ora, inevitabile.

Giura Sonia Sotomayor prima giudice ispanica ( da "Stampa, La" del 09-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: La nomina della nuova giudice, proposta da Obama e approvata tre giorni fa dal Senato con 68 voti favorevoli e 38 contrari, è stata accompagnata da numerose polemiche. Prima candidata di un presidente democratico dal 1994, è stata osteggiata da molti conservatori. \

Dalle scarpe dei potenti al banchiere dei poveri ( da "Stampa, La" del 09-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la corsa che ha portato le celebri scarpe made in Novara anche ai piedi di Papa Benedetto XVI e a breve del presidente Obama non si è più fermata. «Per caso le scarpe di Papa Wojtyla erano state notate da Bush, durante un viaggio del Santo Padre negli Stati Uniti - ricorda Stefanelli -. Dal Papa al presidente degli Stati Uniti il passaggio è stato quindi facile».

Autunno caldo: 200 mila posti a rischio ( da "Stampa, La" del 09-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: come ha ha detto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, «non ci sarà una vera ripresa finché si continueranno a perdere posti di lavoro». In Italia un po' di timori sul fronte dell'occupazione affiorano con le ultime previsioni della Cgia di Mestre, che ieri ha fatto sapere che sono a rischio 200 mila posti di lavoro in autunno.

gli usa in crisi comprano americano messico e canada: obama ci ripensi - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 09-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: narcos e ambiente in agenda Gli Usa in crisi comprano americano Messico e Canada: Obama ci ripensi FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente NEW YORK - Il primo partner commerciale degli Stati Uniti non è la Cina (solo seconda) ma il Canada. Al terzo posto per l´import-export con gli Stati Uniti non c´è la Germania bensì il Messico.

complotto internazionale, il teorema che piace a teheran - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 09-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Uniti di Obama. Una reazione delle fazioni antioccidentali, che rispondono colpo su colpo alle carte filoccidentali giocate in queste settimane dalle fazioni messe ai margini dal 12 giugno. Tensioni che avranno inevitabilmente riverbero sulle relazioni con Teheran: la stessa presidenza di turno svedese, ha dichiarato che il processo alla studentessa francese e ai due impiegati dell´

usa, sulla sanità è l'ora delle risse - angelo aquaro ( da "Repubblica, La" del 09-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama è il male assoluto" Usa, sulla sanità è l´ora delle risse Blitz dei Repubblicani, scontri e feriti ai comizi dei Democratici Blitz dei Repubblicani anti-riforma sulla sanità di Obama è l´ora delle risse Sarah Palin scatenata: "Il piano del presidente male assoluto" ANGELO AQUARO DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Le ronde antiriforma hanno già raggiunto un obiettivo nella guerra

nel fortino sotto assedio del tg3 "berlusconi sembra saddam" - alessandra longo ( da "Repubblica, La" del 09-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Mai Obama si sognerebbe di rispondere a quelli della Fox dicendo loro "Siete di destra, lavorate contro di me" e nemmeno Bush lo ha fatto con il New York Times. Sarebbe semplicemente una cosa impensabile. Roba da impeachment il giorno dopo. C´è un territorio libero, garantito dalla Costituzione, che nessuno può toccare ed è avulso dalla politica.

Minacce e svastiche contro la nuova sanità della riforma Obama ( da "Corriere della Sera" del 09-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Minacce e svastiche contro la nuova sanità della riforma Obama Il progetto per l'estensione dell'assicurazione medica DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Brad Miller, deputato democratico del North Carolina, è stato minacciato di morte. John Dingell, suo compagno di partito del Michigan, l'hanno dovuto scortare fuori dalla sala dov'era venuto a discutere della riforma sanitaria.

on solo russi, cinesi, iraniani, arabi e coreani. Nella lista dei nemici potenziali dell'Americ... ( da "Stampa, La" del 10-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e su scala sempre più vasta», dice il senatore, che per conto di Barack Obama si appresta a convincere il Senato ad approvare il pacchetto di leggi sul clima e l'energia già votato a giugno dalla Camera. Userà, tra gli altri, il nuovo argomento della minaccia strategica derivante dal mercurio in inarrestabile aumento.

"Il regime certo crollerà ma non tanto presto Chi ha vinto? La Russia" ( da "Stampa, La" del 10-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente Obama può archiviare qualsiasi ipotesi di dialogo con l'attuale Iran. La corsa al nucleare subirà un'accelerata e la tensione nella regione crescerà: in queste condizioni un conflitto è più probabile». Come spiega l'offensiva degli ayatollah contro la Gran Bretagna?

"Italiani d'America, i mostri eravate voi" ( da "Stampa, La" del 10-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: con Obama, è il tempo del riscatto: «Ma guardi come sono ancora trattati i neri dove vivo, al confine sud di Harlem». Gli italiani nel frattempo hanno scalfito l'odio anche grazie a figure diverse, la musica, il cinema, la politica, «uomini come Frank Sinatra, o Coppola, o Fiorello La Guardia, sindaco amatissimo di New York»

la "prima guerra mondiale del clima" allarme di militari e intelligence usa - angelo aquaro ( da "Repubblica, La" del 10-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: cade negli Stati Uniti alla vigilia della discussione al Senato di quel pacchetto-clima che tra mille mal di pancia Barack Obama è riuscito a far digerire alla Camera. John Kerry, proprio l´ex sfidante di Bush, sta facendo un lavoraccio per convincere una trentina di senatori, soprattutto del Sud, che pagherebbero i tagli sul carbone con l´aumento delle tariffe. Ecco, il carbone.

cambia il cerimoniale e buckingham palace volta le spalle alla regina - marco pasqua ( da "Repubblica, La" del 10-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: mai abbracciarla (un´eccezione fu registrata ad aprile, quando incontrò Michelle Obama e fu lei stessa a "toccare" la First Lady, che le appoggiò a sua volta un braccio sulla spalla) o chiamarla per nome (la formula corretta è «Sua maestà» la prima volta, «ma´am», signora, quelle successive); mai cambiare argomento di discussione;

Cia, via libera all'inchiesta ( da "Corriere della Sera" del 10-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: È una posizione che riflette l'atteggiamento di fondo del presidente Obama, deciso a mettersi alle spalle le pagine oscure del predecessore e guardare avanti, ma disposto a lasciare uno spiraglio aperto all'incriminazione di singoli agenti che hanno infranto la legge. Per alcuni osservatori, la nomina e l'inchiesta sono ormai scontati.

Come far soldi con lo swing di un altro ( da "Corriere della Sera" del 10-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: allenatori vengono intervistati senza problemi durante la partita e in cui Barack Obama all'ultimo All Star Game fa il primo lancio e poi va a cazzeggiare coi telecronisti indossando il giubbotto dei Chicago White Sox senza che nessun tifoso delle altre 29 squadre si senta offeso. In uno scenario simile, fatto sì di business e problemi (per esempio il doping) ma anche di tanta leggerezza,

Dare le spalle alla regina: ora si può ( da "Corriere della Sera" del 10-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: abbraccio inusuale fra lei e Michelle Obama in aprile. L'ultima volta che un premier aveva osato cingerle la spalla una ventina di anni fa si era cimentato il capo del governo australiano si era gridato allo scandalo e i gelidi custodi dei protocolli avevano ricordato: non si può avere una simile confidenza con i re e le regine.

Hillary in Angola: ( da "Corriere della Sera" del 10-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: anche sulla scia di quanto già detto dal presidente Obama in Ghana il mese scorso. La Clinton ha anche invitato l'Angola a pubblicare online le sue entrate petrolifere, a lavorare con gli emissari Usa per aumentare la trasparenza e a organizzare «nei tempi previsti l'elezione presidenziale», visto che il voto fissato per il 2009 potrebbe essere rinviato.

al cerimoniale ( da "Corriere della Sera" del 10-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Corriere della Sera sezione: Esteri data: 10/08/2009 - pag: 17 Strappo al cerimoniale Michelle Obama ricambia l'abbraccio della regina Elisabetta in violazione del protocollo, lo scorso aprile a Buckingham Palace

Londra, cambia il cerimoniale a corte Buckingham Palace volta le spalle alla regina ( da "Repubblica.it" del 10-08-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: mai abbracciarla (un'eccezione fu registrata ad aprile, quando incontrò Michelle Obama e fu lei stessa a "toccare" la First Lady, che le appoggiò a sua volta un braccio sulla spalla) o chiamarla per nome (la formula corretta è "Sua maestà" la prima volta, "ma'am", signora, quelle successive); mai cambiare argomento di discussione;


Articoli

Traditi dai jeans (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Nicolas Sarkozy La storia Dai fasti di Reagan agli impacci dei leader di oggi Tony Blair Silvio Berlusconi Dmitry Medvedev Ronald Reagan Barack Obama LA CLASSIFICA Traditi dai jeans Negli Usa il mito "cool" di Obama scalfito dai pantaloni Le svolte casual degli statisti tra avanguardia e goffaggine Azzimato EGLE SANTOLINI Celestiale Imbarazzato Disinvolto Impeccabile Sciatto Il sondaggio sul Web premia il russo Medvedev a dispetto della giacca sproporzionata MILANO Ma come porti i blue jeans, mio presidente? Negli Stati Uniti il tema è diventato di portata nazionale, e pazienza se il blogger che lo ha lanciato, il titolare di Hot Air Network, è stato il primo a stupirsene quando l'ha visto ripreso dalla Cnn. Il 13 luglio scorso Barack Obama inaugura gli «All Star Games» di baseball al Busch Stadium di St. Louis, e purtroppo lo fa con un paio di pantaloni subito impietosamente definiti «mom's jeans», jeans della mamma, o addirittura «granpa's,» cioè del nonno: stinti e a tubo di stufa, cioè in grado di intralciare il passo elastico del Commander in Chief, scalfendo un carisma che pareva inossidabile. E sì che qualche settimana prima, in Egitto, in visita alle Piramidi di Giza con l'archeologo Zahi Hawass, Obama aveva stabilito il proprio record personale di coolness grazie a un paio di pantaloni di tela color corda, in gergo modaiolo chinos, che avevano mostrato a quali vertici possa giungere il connubio tra guardaroba casual e potere. La polemica monta a tal punto che il presidente deve in qualche modo difendersi, qualche giorno dopo, al «Today Show» della Nbc. Ammette di essere «frumpy», cioè sciattone, soprattutto se paragonato a Michelle, che invece è «fabulous»; confessa di odiare andar per negozi e di aver posseduto, fino all'anno scorso, «soltanto quattro vestiti»; e visto che a lui soprattutto piace star comodo, ne conclude che se qualcuno se lo immagina con i jeans a vita bassa, magari a sigaretta, ha sbagliato film. Fine del primo round. Non però del tormentone, che continua a imperversare in rete. Da due giorni l'«Huffington Post», cioè il blog che tutta la Washington pensante consulta non appena scesa dal letto, ha lanciato un sondaggio su uomini politici e denim, che al momento di andare in stampa vede sorprendentemente in testa il presidente russo Dmitry Medvedev (ma siamo sicuri, con quella giacca un po' troppo lunga?). Al secondo posto, nonostante tutto, si piazza il controverso Barack, al terzo un Jimmy Carter vintage; a seguire, un Tony Blair ton sur ton, maglione azzurro e jeans, e un Putin con cinturone. Non pervenuta la posizione in classifica di un altro leader attentissimo al look, Nicolas Sarkozy, che così vestito si presentò alle Piramidi di Giza (ma allora è una mania), però accompagnato non da Zahi Hawass ma dalla più decorativa Carla Bruni: pare di capire che le frequentatrici dell'Huffington Post non gli perdonino un certo stile un po' troppo leccato, e soprattutto quei centimetri di orlo in più che servono purtroppo a dissimulare i tacchi delle scarpe. A proposito di scarpe col rialzo, va segnalato anche un rarissimo Silvio Berlusconi (non presente nella galleria del blog, ma nella nostra memoria e in questa pagina sì), fotografato in Sardegna con un denim un po' troppo da cumenda. Se i suoi pantaloni fossero a vita alta o no non è dato sapere, perché il Cavaliere, quella volta, aveva provveduto a coprire tutto con la camicia, non infilata nei calzoni. Ma se il fatto di avere sempre più leader in braghe di tela e non in redingote (e con il BlackBerry, e l'iPod, e tra un po' sicuramente anche il Kindle per leggere sul volo di Stato) è un chiaro segnale dei tempi, va dato a Ronnie quel che è di Ronnie. Attore, cowboy, abile amministratore del linguaggio del corpo, Reagan in jeans stava da dio sul set e fuori, e fu il primo Presidente degli Stati Uniti ad approffitarne. Clinton, ragazzo dell'Arkansas nato povero, li ha sempre usati parecchio, e non solo a Camp David; con Bush figlio poi, si raggiunse l'apoteosi, perché cos'altro volete mettere in un ranch texano? Mai vi capiterà, invece, di vedere una foto con i calzoni impunturati di John Kennedy, che invece lastricò la memoria collettiva del Novecento con le sue immagini in bermuda (e occhiali neri, e scarpe da barca) a Hyannisport. Quei calzoni da mandriano non erano consoni, prima che a un presidente degli Stati Uniti, a un milionario di Boston. Così andava il mondo negli Anni Sessanta.

Torna all'inizio


Largo all'energia verde Confagricoltura punta 600 milioni di euro (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

il caso Rivoluzione ecologica nei campi Largo all'energia verde Confagricoltura punta 600 milioni di euro LUIGI GRASSIA Da quando alla guida dell'America c'è Obama con la sua svolta verde (il «Green New Deal») l'onda ecologista investe un po' tutti i Paesi, e adesso anche il settore agricolo italiano vuol contribuire alla diversificazione delle fonti energetiche e alla diminuzione dei consumi. Il primo passo operativo su vasta scala in Italia lo ha fatto Confagricoltura, creando una rete che produce biomasse di origine agricola: un grande progetto strategico che coinvolge 120 imprese e ben 600 milioni di euro di investimenti, arrivando a installare nei campi una potenza di 170 MegaWatt di energia pulita. Federico Vecchioni, che presiede Confagricoltura con le sue 546 mila imprese associate, dice che questo impegno si giustifica anche come opportunità per le aziende di «diminuire i costi e aumentare la competitività». Alla presentazione del rapporto annuale dell'Enea su energia e ambiente, Vecchioni ha spiegato che il settore punta a sviluppare «i sistemi a biomassa e biogas e il fotovoltaico» (le biomasse sono tutte le sostanze organiche non fossili che si possono utilizzare come combustibili, e l'energia fotovoltaica è l'elettricità che si ricava dalla luce del sole). Sul piano tecnologico gli impianti già esistono e sono sperimentati, adesso si tratta solo di calibrare gli incentivi e di sfruttare le economie di scala: «Un sistema di incentivi chiaro e stabile negli anni - dice Vecchioni - consentirà alle imprese agricole di pianificare gli investimenti nel lungo periodo. Poi, superato il passaggio iniziale, più le tecnologie avanzano, più il ricorso agli incentivi potrà essere ridimensionato». A latere, Vecchioni esprime però il suo sconcerto per i troppi fondi pubblici che, pur stanziati, nessuno riesce a spendere, per ragioni misteriose: il presidente di Confagricoltura si riferisce in particolare a «600 milioni di euro dei fondi rotativi, ossia dei finanziamenti di credito agevolato per le aziende che vogliono promuovere sistemi di cogenerazione ad alta efficienza, che giacciano fermi, mentre le imprese di Confagricoltura sono pronte a entrare in questa partita». Per vocazione e per interesse (un binomio su cui fare il massimo affidamento) la comunità agricola intende diventare il tassello fondamentale del disegno normativo grazie al quale verrà riformulato il rapporto fra economia, energia e territorio. Senza temere che fra l'una e l'altra tessera del mosaico possano manifestarsi delle incompatibilità, come ad esempio quando si teme che le energie alternative, nella forma di piante coltivate per produrre biocarburanti, sottraggano terra e risorse alle colture per il cibo. «Va definitivamente screditato - dice Federico Vecchioni - l'approccio ideologico che considera l'agricoltura non compatibile con la produzione di energia, in quanto questa andrebbe a discapito di quella alimentare. Le moderne tecnologie consentono la coesistenza delle due attività. Senza contare che in Italia ben 350.000 ettari di terreno pubblico inutilizzati possono essere restituiti alla comunità agricola». Come dire: si può fare di più.

Torna all'inizio


La Casa Bianca: per la ripresa servono ancora molti mesi (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

IL PRESIDENTE ALLA RADIO USA La Casa Bianca: per la ripresa servono ancora molti mesi Gli Stati Uniti avranno bisogno ancora di «molti mesi» per uscire dalla crisi. Lo ha detto il presidente Barack Obama nel suo discorso settimanale alla radio. «Ci vorranno ancora molti mesi - ha spiegato Obama - perché la recessione è molto più profonda di quanto nessuno potesse pensare». D'altra parte, il presidente ha detto che il pacchetto di stimoli all'economia da 787 miliardi di dollari approvato nel mese di febbraio ha aiutato a «mettere i freni» alla recessione. Il calo del Pil nel secondo trimestre è stato dell'1% (migliore del previsto). Obama ha commentato: «Siamo andati vicono all'orlo del baratro. Ma i passi che abbiamo adottato negli ultimi sei mesi hanno contribuito a mettere i freni alla recessione».

Torna all'inizio


Gli eco-incentivi fino a 4500 dollari A inizio settimana il voto del Senato (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Gli eco-incentivi fino a 4500 dollari A inizio settimana il voto del Senato [FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK La «rottamazione verde» delle auto americane ha avuto un tale successo che il miliardo di dollari predisposto all'interno del pacchetto di stimoli anti-recessione è andato esaurito in due settimane, anziché tre mesi come previsto. Battezzato Cars (Car allowance rebate system, piano di sconto per le auto), il programma offre un credito di 4500 dollari per l'acquisto di una macchina nuova più efficiente in termini di carburante per miglio consegnandone una vecchia che consuma di più. L'idea era di generare nuove vendite per 250mila veicoli entro il primo novembre, ma ai concessionari si sono presentati così tanti clienti da far saltare i computer governativi che gestiscono queste transazioni. In tutta fretta, venerdì la Camera ha votato una legge di espansione del finanziamento da uno a tre miliardi, per non far perdere neppure un fine settimana alle famiglie intenzionate a sfruttare l'offerta. I sì sono stati 316 contro 109 contrari, un esito largamente bipartisan a riprova della popolarità dell'iniziativa. Il Senato dovrà però dare l'ok alla proroga nella stessa forma uscita dalla Camera, con il voto previsto all'inizio della settimana. L'incognita sul passaggio definitivo del provvedimento, che se non avesse il via libera dei senatori lascerebbe scoperti i concessionari che accettassero oggi le domande dei clienti per una permuta scontata, ha spinto il portavoce di Obama Robert Gibbs ad una promessa formale: «Penso che i concessionari possano aver fiducia in questo week-end, dopo la forte votazione bipartisan alla Camera che ha dato il denaro aggiuntivo che assicura la continuazione del piano». E lo stesso presidente ha spronato direttamente i senatori a far presto, votando sì all'inizio della settimana entrante. L'associazione nazionale dei concessionari ha invitato i soci alla «prudenza nel prendere impegni con i clienti» prima di essere sicuri del rimborso federale. [FIRMA]SANDRA RICCIO TORINO Boccata d'ossigeno in arrivo per migliaia di aziende messe in ginocchio dalla crisi. Sarà sottoscritta domani a Milano dall'Abi e dalle associazioni di industriali, commercianti e artigiani la moratoria sul credito, alla presenza del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, e del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Secondo le prime anticipazioni l'intesa, che per la prima volta riunirà tutte e 15 le associazioni d'impresa, alleggerirà il peso di mutui e leasing con lo slittamento di almeno 12 mesi del pagamento della quota capitale. In arrivo ci sarebbe però anche l'allungamento di almeno 270 giorni delle scadenze dei crediti a breve che sono stati concessi alle imprese per anticipazioni su fatture e crediti. Il testo, fanno sapere dall'Abi, deve ancora essere definito e le trattative tra le parti sono ancora in corso. Ma, stando alle anticipazioni circolate ieri, tra le novità potrebbe esserci anche l'estensione alle piccole e medie imprese del credito d'imposta per favorire la ricapitalizzazione delle società. Le disposizioni dovrebbero entrare subito in vigore. A quel punto gli istituti di credito avranno 45 giorni di tempo per aderire e ci sarà la possibilità di presentare domanda di moratoria fino al 30 giugno 2010. Un ruolo spetta anche all'esecutivo: il Dl manovra ha previsto, infatti, meccanismi di premialità per le banche che aderiranno al protocollo d'intesa. Sul fronte delle imprese interessate dalla moratoria, sono in particolare quelle piccole e medie a poter beneficiare del provvedimento che è da intendersi «di natura straordinaria» e «limitato nel tempo» e prevede meccanismi di selettività. Sarà applicato a quelle aziende sane e con «un'adeguata prospettiva economica». L'iniziativa sul fronte del credito alle imprese arriva nel momento di problemi e criticità ancora evidenti. Stando ai dati diffusi proprio ieri da Confcommercio, nel secondo trimestre del 2009 le imprese italiane hanno chiesto più credito alle banche, ed è salita la percentuale di quelle che si sono viste accogliere la domanda di finanziamento. Ma allo stesso tempo è aumentato il costo del denaro (istruttoria, valuta, servizi aggiuntivi). E pure le garanzie richieste per concedere i prestiti per molte aziende sono divenute più gravose. Secondo i dati, ben il 34,6% delle imprese intervistate da Confcommercio ha fatto domanda di credito nel secondo trimestre (nei primi tre mesi dell'anno erano il 27,7%). Il via libero è arrivato, però, per il 64,2% delle aziende (contro il 58,4% del periodo precedente). L'8% ha ricevuto l'ok ma per un importo inferiore a quello richiesto. Invece il 7,3% ha ricevuto un no e il 13,7% è ancora in attesa di risposta.

Torna all'inizio


tutti a l'aquila capitale d'estate - ilvo diamanti (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Tutti a L´Aquila capitale d´estate ILVO DIAMANTI Ne avrebbe fatto volentieri a meno, L´Aquila. Per non dire dei suoi cittadini. Ma questa improvvisa e persistente popolarità è destinata a durare a lungo. Non erano abituati, L´Aquila e i suoi cittadini, la popolazione della zona, ai riflettori. A una fama tanto ampia. Certo: L´Aquila è una bella città. Per arte, paesaggio, cultura. Però Nicolas e Carlà Sarkozy, Barack e Michelle Obama. E poi Gordon Brown e Vladimir Putin. SEGUE A PAGINA 22

Torna all'inizio


pugno di ferro a teheran, opposizione alla sbarra - vanna vannuccini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 14 - Esteri Pugno di ferro a Teheran, opposizione alla sbarra Cominciato il processo ai "capi" della rivolta. Drammatiche "confessioni" in aula Tra gli imputati molti leader del governo Khatami, magri e con le divise dei carcerati VANNA VANNUCCINI Sono entrati nell´aula irriconoscibili, magri, terrei, l´ombra di se stessi, vestiti di quei pigiami grigi che sono le uniformi delle carceri iraniane. Ali Abtahi, ex vicepresidente, un hojatoleslam; Abdollah Ramezanzadeh,ex portavoce del governo Khatami; Mohsen Mirdamadi capo del partito riformatore Mosharekat, l´ex viceministro degli Esteri, Mohsen Amizadeh, e l´ex vicepresidente del parlamento Behzad Navabi. Dopo che non è riuscito con la violenza, le intimidazioni, i raid notturni nelle case e le torture a tacitare la protesta degli iraniani contro chi ha rubato il loro voto, il regime prova dopo sette settimane a stroncarla con processi farsa di staliniana memoria. Cento persone sono comparse ieri davanti al tribunale della rivoluzione di Teheran. Senza avvocati, senza la presenza di familiari, senza giornalisti. Ma c´è da scommettere che le loro immagini appariranno presto sulla tv di Stato. Una metà degli imputati erano stati arrestati giovedì, nel "giorno di Neda", quando gli agenti della polizia segreta hanno impedito con la forza la commemorazione degli uccisi. Le fotografie mostrano in prima fila Ali Abtahi, irriconoscibile da quanto è dimagrito, privato del turbante di seyyed, il primo a cui è stata estratta una piena "confessione". L´avevo visto l´ultima volta alle prime manifestazioni dopo il 12 giugno, sempre sorridente, ottimista, ancora fiducioso che il regime ci avrebbe ripensato, che i voti sarebbero stati ricontati, che nessun governo islamico avrebbe potuto permettersi un tale affronto all´onore e alla dignità dell´Iran. Il giorno dopo era stato arrestato, e dopo poco era circolata una foto di lui in lacrime. «Ho sbagliato a prendere parte alle manifestazioni, l´elezione di Ahmadinejad è stata senza brogli, sono gli altri che hanno tradito» si legge nella "confessione". «I riformisti hanno cercato di intrappolare la Guida suprema.. I brogli sono stati un´invenzione per sobillare la rivolta e farci finire come l´Iraq e l´Afghanistan, mettendo fine alla rivoluzione khomeneista. E´ stato Karroubi a spingermi ad andare in piazza, mi disse che con i pochi voti che avevamo preso dovevamo andarci di persona altrimenti nessuno ci avrebbe seguìto». A completare la perfidia del regime, la "confessione" termina con un´accusa di tradimento a Khatami, al quale era stato legato da sempre, e a Hashemi Rafsanjani. «Avevano fatto un accordo con Moussavi per non tradirsi reciprocamente» si legge ancora nella "confessione". «Khatami conosceva il potere e l´intelligenza della Guida suprema. Il suo è stato un tradimento», pari a quello di Rafsanjani, che «voleva vendicarsi della sconfitta inflittagli da Ahmadinejad quattro anni fa». Il giorno prima del processo l´agenzia Fars aveva mandato una notizia da far venire i brividi. Sotto un titolo apparentemente neutro - "Sanzioni previste dal codice penale islamico per coloro che hanno sobillato disordini" - l´agenzia, che è una diretta emanazioni di Ahmadinejad, elencava: "Riunione di due o più persone per mettere in pericolo la pace interna: da due a dieci anni; propaganda contro la Repubblica islamica: da tre mesi a un anno; complotto per cambiare il regime, possesso di armi e creazione di gruppi militanti: pena di morte". Gli imputati ora alla sbarra sono accusati di terrorismo, sovversione e di campagna mediatica per screditare il risultato del voto. Secondo la Fars, in aula hanno confessato altri quattro imputati, tra i quali l´ex viceministro Mostafa Tajzadeh. Lunedì il Leader Khamenei condurrà una cerimonia in cui verrà formalmente approvato il secondo mandato di Ahmadinejad e due giorni dopo questi giurerà di fronte al parlamento. "La Guida suprema ha tradito la sua funzione" gridavano giovedì i manifestanti. «Gli iraniani sanno che il mondo li ascolta» dice da New York Akbar Ganji, che ha fatto uno sciopero della fame davanti all´Onu. «Se Ahmadinejad riesce a mettere a tacere gli oppositori molti all´estero concluderanno che la vicenda è finita, ma sbaglieranno» dice il presidente del Consiglio nazionale iraniano-americano Trita Parsi. Parsi chiede ai governi occidentali, e prima di tutto a Obama, una «pausa tattica» con l´Iran: «L´Iran non è oggi in grado di negoziare, le lotte interne rendono impossibile ogni decisione. Rinviare i colloqui nucleari per alcuni mesi non farà grande differenza rispetto al programma nucleare iraniano ma potrebbe invece determinare con quale Iran avremo a che fare nelle prossime decadi». SEGUE A PAGINA 5

Torna all'inizio


la crisi di un paese di cemento armato - giuseppe turani (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 18 - Economia Affari & politica LA CRISI DI UN PAESE DI CEMENTO ARMATO GIUSEPPE TURANI Da quando il presidente Barack Obama ha detto di aver visto l´inizio della fine della recessione (insomma, la coda dello scoiattolo), i nostri ministri hanno un´aria più sorridente e nei telegiornali della sera si muovono con maggior scioltezza e sicurezza. Sentono vicino il momento in cui anch´essi potranno dichiarare finita l´emergenza e tirare fuori le bottiglie di champagne che hanno messo in frigorifero da settimane. Ancora qualche mese, poi tutto sarà finito e si potrà tornare alla vecchia vita (e alle vecchie abitudini). In realtà, come sempre, i calcoli dei nostri politici sono fuori dal mondo. E per una serie di ragioni. 1 - Intanto serviranno ancora parecchi trimestri (3-4, come minimo) prima di poter essere fuori davvero dalla tempesta. E in un tempo così lungo può succedere di tutto. C´è il caso, insomma, che quelle bottiglie di champagne debbano invecchiare ancora di più in frigorifero. 2 - Ma questo è quasi solo un particolare, e forse nemmeno tanto importante. Quest´inverno abbiamo avuto tanta di quella paura che un mese in più o un mese in meno dentro la recessione non fa molta differenza. La questione vera è un´altra. Ormai da una decina di anni l´Italia cresce, di fatto, quasi zero. Il suo Pil, cioè, non aumenta per niente o cresce di pochissimo. Il che significa che ogni decina d´anni siamo più «poveri», rispetto ai nostri vicini europei, del 10-20 per cento. Da anni, cioè, questo è un paese che si va impoverendo a ogni stagione e succede perché non si riesce a farlo decollare. Perché i vari governi (abili, a sentire loro) non sanno innescare una strategia di crescita. E non riescono a farlo per la semplice ragione che sono sempre prigionieri delle mille e più corporazioni che da tempo immemorabile soffocano l´Italia. Il simpatico Bersani aveva provato (insieme a Prodi) a tirare qualche sasso in piccionaia e a liberare un po´ di energie, ma si è fatta subito marcia indietro. Le corporazioni sono potenti e, soprattutto, votano. Quindi vanno lasciate in pace. Poi si scopre che l´Italia è un paese bloccato, ma che importa: al massimo Tremonti distribuirà un po´ di social card. E così, anno dopo anno, ci avviamo a diventare uno dei paesi (relativamente) più poveri fra i Grandi europei. Poi ci diamo grandi arie e ci impicciamo in qualsiasi controversia internazionale, ma la realtà vera rimane quella appena descritta: stiamo diventando sempre più poveri, rispetto agli altri. E cominciamo a far ridere. I nostri ministri, che aspettano con impazienza di stappare lo champagne di fine-crisi, ovviamente di questo non parlano. 3 - La terza questione è ancora più seria. Da questa crisi si uscirà (probabilmente nel 2011) con un debito pubblico intorno al 120 per cento del Pil, esattamente dove ci trovavamo agli inizi degli anni Novanta. Non si tratta di un livello di debiti sopportabile, anche perché finiremo per spendere delle cifre paurose solo per il servizio interessi. E quindi è inevitabile che, alla fine, qualcuno debba mettere mano alla spesa pubblica italiana. In termini ancora più chiari: alla fine di questa crisi il sistema di welfare italiano dovrà essere rivisto, e in modo pesante. Ma anche la macchina dello Stato italiano dovrà essere rivista. Tutta la costruzione barocca di comuni, province, regioni andrà buttata all´aria e sostituita con qualcosa di più semplice. In queste condizioni, avere stabilmente 700-800 mila persone che vivono di fatto di politica (magari con il solo compito di truccare qualche appalto) sono davvero una follia e un´esagerazione. Si poteva approfittare della crisi per avviare qualche buon ragionamento e per disegnare qualche buon progetto. Ma non è stato fatto niente. Dopo la crisi, quindi, ci si troverà di nuovo dentro una tempesta: non più quella della crisi, ma quella di un paese bloccato, stretto da tutte le parti, e quindi incapace di muoversi. Un paese non certo liquido, ma di cemento armato.

Torna all'inizio


l'incontro - cloe piccoli (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 40 - Cultura L´INCONTRO Carismatici Artista concettuale, musicista, ribelle è ed è stata tante cose questa fascinosa ragazza di settantasei anni Ora, seduta su una terrazza veneziana, ripercorre la sua vita: l´asilo giapponese che le ha insegnato a dare forma alle idee, il loft newyorkese che riuniva i creativi anni Cinquanta, il celebre Bed-In con John Lennon. Sorride: "Le donne che non stanno al loro posto sono additate come streghe. E allora lo dico prima io: sì, sono una strega" Sono stati in molti a odiare il fatto che John e io, pur venendo da paesi, classi, culture diversissimi, fossimo così intimamente uniti e capaci di lottare insieme per la pace CLOE PICCOLI VENEZIA e mana un´energia magnetica mentre dipana la sua storia in un caldo pomeriggio d´estate sulla terrazza dell´Hotel Danieli a Venezia. Occhialini neri scivolati sul naso, occhi scuri e intensi, Yoko Ono racconta e osserva: non le sfugge nulla, parla a voce bassa, ma esprime concetti radicali sulla vita, l´arte e l´avanguardia, e intanto registra rumori, immagini, luci e colori. L´inclinazione all´ascolto l´ha sviluppata da bambina a un asilo speciale in Giappone dove insegnavano musica. «A scuola, come compito, dovevo ascoltare il suono del giorno e poi, a casa, tradurlo in note musicali. Tradurre i suoni in spartiti, dare forma a idee astratte, trasformare i concetti in qualcosa di tangibile, note, segni, parole, è un esercizio che pratico dall´infanzia, è nato come un gioco da bambini e poi si è sviluppato, fino agli studi di filosofia. Sono sempre stata affascinata dalla filosofia. Ancor prima di studiarla avevo letto molti libri. Fin da ragazzina ho sempre ragionato su temi come la vita e il pianeta». Artista, musicista, attivista, Yoko Ono è a Venezia per Anton´s Memory, la mostra alla Fondazione Bevilacqua La Masa, e lavora alla performance che terrà l´11 settembre a La Fenice, e per il Leone d´Oro alla Carriera della Biennale, fra i riconoscimenti più ambiti nel campo dell´arte. Spirito libero, una personalità carismatica, un´identità complessa, è annoverata fra gli artisti concettuali più riconosciuti, eppure l´immagine mediatica che la identifica è ancora il Bed-In del 1969. L´azione pacifista durante la quale lei e il marito John Lennon, sposato a marzo di quell´anno, ricevettero i giornalisti infilati nel letto nuziale della suite 1742 del Queen Elizabeth Hotel di Montreal, lo stesso dove Yoko e John incisero Give Peace a Chance. «Era un modo per focalizzare l´attenzione sul tema della pace nel mondo e per fermare la guerra in Vietnam», dice con uno sguardo luminoso. Da allora la coppia, che si era incontrata a Londra a una mostra personale di Yoko Ono alla galleria Indaca, diventa inseparabile: i due condividono la vita, l´arte, la musica e l´attivismo politico. «è questo che molti non mi hanno mai perdonato», racconta Yoko che parla lentamente, in un inglese dallo spiccato accento orientale: «Non hanno gradito che io facessi quello che facevo accanto a mio marito John Lennon. Sono stati in molti a odiare il fatto che con John abbiamo superato pregiudizi, differenze geografiche e culturali. Rappresentavamo poli opposti, venivamo da paesi, classi sociali, culture differenti, eravamo uomo e donna, occidentale e orientale, eppure eravamo intimamente uniti. Lottavamo insieme per la pace. Ma si sa. è sempre stato così. Le donne che non piacciono vengono segnate come streghe, e bruciate sul rogo. Persino oggi l´attacco è alle donne, alla donna che sei. Ma io non ho mai avuto intenzione di finire così». Anzi, ora per Yoko è venuto il momento di rispondere. E lo ha fatto con Yes I´m a Witch (2007). «Sì, sono una strega. E allora? Se è questo che volete, allora sarò io la prima a dirlo. è un pezzo che ho scritto e inciso nel 1973 ma la mia casa discografica mi chiese di non pubblicarlo: "Se no ti uccidono". Ora i tempi sono maturi, non è più come prima». Si interrompe per notare e commentare il suono delle campane di una delle chiese vicine, forse quelle di San Marco. «Vede? Venezia per me è fra i luoghi più rilassanti al mondo. Qui trovo il mio ritmo, respiro secondo un tempo che mi è consono». Quando parla di respirare tocca uno dei temi che, insieme al corpo e alla memoria, sono fra i più importanti per lei nella vita come nell´arte: due sfere comunicanti, secondo Yoko e la filosofia di Fluxus, il movimento d´avanguardia che l´ha vista protagonista. La vita e l´arte, appunto. Yoko Ono concilia l´anima razionale del manager che tiene tutto sotto controllo con quella dell´artista poetica e astratta. è sostenuta da una rara determinazione, da una straordinaria ambizione, da un talento speciale che l´hanno guidata dalle radici tradizionali della sua famiglia, una delle più potenti del Giappone, a studiare filosofia, prima donna del suo paese, alla facoltà di Gakushuin e da lì a New York. «Sono arrivata a New York nel 1952, a diciannove anni, era eccitante perché c´erano molti artisti provenienti dai luoghi più lontani, c´era un´energia vibrante, e soprattutto la voglia di lavorare insieme. Era il posto giusto per sviluppare il mio lavoro. Ho affittato un grande loft a Chambers street, downtown». In breve il loft diventa teatro di performance, fucina della ricerca per artisti, musicisti, intellettuali. Con il compositore La Monte Young, Yoko organizza una delle prime sessioni di concerti di musica sperimentale. C´è il loro amico John Cage e molti altri dell´avanguardia. Intanto il loft è frequentato da Robert Rauschenberg, Jasper Johns, George Maciunas, il fondatore di Fluxus. Fra i "grandi vecchi" una sera arriva anche Marcel Duchamp: «Un mito», dice Yoko Ono senza esitazione, «la quintessenza del concettuale, ma io ero troppo giovane e timida per parlargli dei miei progetti». Il 1964 è l´anno di Grapefruit. Non è il suo primo lavoro ma è fra quelli a cui tiene di più: un libello stampato in poche copie in cui l´artista offre al lettore una guida per realizzare la propria esperienza artistica. Yoko Ono ama parlare di quest´opera. «Grapefruit? What about it?», ride sorniona, con un guizzo negli occhi: «è una specie di istruzioni per l´uso, un piccolo manuale in cui davo indicazioni sotto forma di frasi che chiunque avrebbe potuto mettere in pratica per creare la propria opera d´arte. Ad esempio in una pagina scrivevo: guarda il sole fino a che non diventa quadrato. è un metodo per acquisire consapevolezza, per riuscire a visualizzare un´immagine». Continua Yoko: «Il punto è che allora gli artisti creavano qualcosa e poi lo mostravano. Creavano immagini e oggetti. Mentre con questo lavoro io non mettevo in mostra nulla, ma coinvolgevo la gente nel processo artistico». Anche Anton´s Memory a Palazzetto Tito, un´ex dimora patrizia a Dorsoduro, dietro al Ponte dell´Accademia, oggi sede della Fondazione Bevilacqua La Masa, può essere letta come una serie di indizi di un percorso da cui ognuno può partire per costruire la propria esperienza artistica. Le campane suonano le sei, qualcuno le chiede se può farle una fotografia. Il suo staff, che non la perde mai di vista, non si scompone. «Just quickly», risponde lei con gentilezza. La luce è nitida e splendente. Yoko Ono è una bella signora di settantasei anni che ne dimostra cinquanta. Ha una maglia nera scollata, un cappello nero di paglia che le incornicia il volto luminoso. «Il lavoro di Palazzetto Tito è fra i migliori che ho fatto, sono stata ispirata da questo luogo magico, appena l´ho visto ho immaginato come poteva essere la vita all´interno di quelle mura avvolgenti e protettive. Qui ho realizzato un lavoro concettuale in modo veramente nuovo: in mostra, in questo palazzo dall´atmosfera intima, ho costruito sei stanze della memoria con film, installazioni, composizioni musicali, disegni. Ma, in realtà la gente ne può visitare centouno, le altre novantacinque infatti sono in The Other Rooms, un libro in cui do istruzioni su come attraversare le altre stanze, su come diventare liberi». Ogni istruzione è una riga scritta su una pagina bianca. Yoko Ono ama il bianco e l´astrazione, la sua casa-studio a New York, nel Dakota Building a Central Park West, la stessa dove abitava con John Lennon, è completamente bianca: «Non volevo essere influenzata dai colori, dall´energia e dalla vibrazione che portano con sé, volevo un ambiente accogliente e neutro dove respirare liberamente, senza interferenze, è lì che mi vengono le idee, respirando, in qualsiasi momento, magari in cucina». Il respiro è un tema che torna nel discorso sull´arte, Yoko Ono ne parla a proposito di alcuni lavori, ma anche come pratica di meditazione. «Il modo in cui respiriamo è molto importante, dovremmo essere coscienti che a volte corriamo intorno senza nemmeno renderci conto di respirare, mentre invece abbiamo bisogno di respiro profondo, o calmo e bilanciato. è fondamentale per meditare, in Giappone fa parte dell´educazione dei bambini quindi è parte della mia cultura». Un altro dei temi che ricorre spesso nel discorso - oltre all´arte e alla musica a cui si dedica costantemente: «Ora sto lavorando al disco Between my Head and the Sky», in uscita a settembre per l´etichetta indipendente Chimera Music di suo figlio Sean Lennon - è quello della pace nel mondo. «Oggi la situazione è ancora difficile perché ci sono molte guerre in giro per il pianeta, ma il novantanove per cento della gente ambisce a una pace mondiale. La differenza con gli anni Settanta, con il periodo della guerra del Vietnam, l´epoca in cui John e io combattevamo per la pace, è che allora forse soltanto il venti per cento della gente era con noi». E Obama? «We should give him a chance», diamogli una possibilità...

Torna all'inizio


(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 02/08/2009 - pag: 2 Obama «Molti mesi per uscire dalla crisi» MILANO Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, prevede tempi lunghi per uscire dalla crisi: «Ci vorranno ancora molti mesi per poter dire che siamo fuori dal tunnel della recessione ha detto . Una recessione che abbiamo capito essere molto più profonda di quanto nessuno potesse pensare». Obama, commentando gli indici sulla disoccupazione Usa, ha spiegato che «gli ultimi dati sul lavoro mostrano che continua l'emorragia di posti di lavoro». Il presidente si è però mostrato fiducioso: l'economia «ha fatto meglio di quanto ci aspettassimo», ha affermato. Insomma, per Obama «ci stiamo muovendo nella giusta direzione».

Torna all'inizio


Scajola: sul decreto elogi dall'Europa Le badanti? Sanare anche altre categorie (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 02/08/2009 - pag: 6 L'intervista Il titolare dello Sviluppo economico: sul caso del meridione eccesso di dialettica tra governo e regioni Scajola: sul decreto elogi dall'Europa Le badanti? Sanare anche altre categorie ROMA Il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, è al primo giorno di vacanza. Segno che deve considerare superate le tempeste che hanno accompagnato l'approvazione del decreto anticrisi. Ministro, il pacchetto economico, comprensivo della Legge Sviluppo, è completo? E' tutto contro la crisi? «Tutti, anche il presidente Obama, sostengono che la crisi ha toccato il fondo. Il problema ora è accelerare la ripresa per evitare che gli effetti ritardati della recessione producano chiusure di imprese. Il decreto anticrisi stimola gli investimenti» . Sul decreto c'è stata una dialettica forte con il capo dello Stato. «Il Presidente Napolitano esercita con grande scrupolo il suo ruolo, che comprende il vaglio delle norme sottoposte alla sua firma. E' giusto che possa intervenire per migliorare il processo legislativo, specie nei periodi di crisi, quando bisogna intervenire rapidamente. Tra il presidente Napolitano e il presidente Berlusconi esiste non solo una leale collaborazione istituzionale, ma anche una profonda sintonia per il bene del Paese». Sull'uso dei decreti si è ecceduto? «Sono previsti dalla Costituzione, nei casi di necessità e urgenza, e il Parlamento non è esautorato: li discute e può modificarli. Ma in tempi certi. Per contro, il processo legislativo ordinario è spesso lungo e faticoso. Sono molto soddisfatto che per la legge Sviluppo non si sia ricorso alla fiducia: ma ci sono volute quattro letture e quasi 10 mesi. Come dice il presidente Berlusconi, il numero dei parlamentari va ridotto e i regolamenti rivisti». Per l'opposizione e parte del sindacato il decreto è insufficiente. «I giudizi degli organismi internazionali sono del tutto diversi: la Commissione europea ha elogiato l'Italia perché ha saputo varare interventi efficaci senza sfondare i conti pubblici e l'Ocse ha detto che la ripresa sarà più rapida in Italia e in Francia» Le imprese saranno soddisfatte? «A loro si è provveduto anche rafforzando il Fondo di Garanzia per i crediti alle Pmi: nei mesi scorsi i crediti garantiti sono aumentati del 120%. Nella legge Sviluppo abbiamo inserito i nuovi contratti di sviluppo. Del resto, abbiamo ereditato debito pubblico e le risorse sono limitate » . Le imprese chiedono anche di estendere a altri lavoratori la regolarizzazione delle badanti. «La lotta all'immigrazione clandestina, che in molti casi si trasforma in criminalità, era un impegno preso con gli elettori ed è stato mantenuto. Ma ora è giusto intervenire per sanare le situazioni più delicate, che non hanno nulla a che fare con la criminalità, come le badanti. E forse anche altre categorie di lavoratori». E' chiuso il caso Prestigiacomo? «Direi di sì. Resta l'esigenza di accelerare l'iter delle opere pubbliche e soprattutto delle reti e infrastrutture energetiche: le mancate interconnessioni elettriche ci costano oltre 250 milioni l'anno e l'assenza dell'elettrodotto sottomarino Calabria- Sicilia, ora finalmente autorizzato, condanna la Sicilia a pagare l'energia elettrica il 10% in più del resto del Paese. A proposito. Sulla questione meridionale c'è stata sottovalutazione? «Semmai un eccesso di dialettica tra Governo centrale e Regioni. Quando è esplosa la crisi abbiamo chiesto subito alle Regioni di rivedere i loro programmi dei Fondi Fas presentati prima della crisi. Alcune Regioni, tra cui la Sicilia, hanno accettato subito. Altre sono state meno pronte» . Così al Cipe è passato il piano siciliano. E le altre Regioni? «Ci stiamo già lavorando, a cominciare da Puglia, Molise, Lazio e Lombardia. Berlusconi si è impegnato a convocare il Cipe anche in agosto». Come si controlleranno ora queste risorse? «Abbiamo previsto che Governo e Regione controlleranno l'iter di spesa e potranno intervenire per modificare la destinazione delle risorse se sopravverranno altre emergenze». Come sarà la nuova Cassa per il Mezzogiorno? «Bisogna pensare a uno strumento nuovo in grado di far dialogare Governo e Regioni e anche le Regioni tra loro, per concentrare le risorse su obbiettivi e progetti condivisi e supportare tecnicamente gli investimenti. Ci sarà un Partito del Sud? «A parte l'Mpa, non credo. Non ce n'è bisogno: il Pdl è un grande partito nazionale, l'unico rimasto, in grado di fare sintesi tra le esigenze e gli interessi del Paese. Molti equivoci sono stati chiariti con la decisione del Presidente di varare un Piano per il Sud, necessario a tutta l'Italia » . \\ Napolitano esercita il suo ruolo con grande scrupolo. E' giusto che intervenga per migliorare il processo legislativo La linea Claudio Scajola Antonella Baccaro

Torna all'inizio


(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Focus Vuota data: 02/08/2009 - pag: 11 Il ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca «Niente tagli ma occorre razionalizzare Priorità a tecnologie verdi e studi spaziali» La riforma degli enti di ricerca e il piano nazionale della ricerca sono attesi con inquietudine. Qualcuno teme il peggio. Come risponde il ministro Mariastella Gelmini? «Occorre fare sistema, solo così lo sviluppo tecnologico diventerà innovazione produttiva». Perché adesso un sistema non c'è? «Proprio no. Ognuno fa per sé. Quindi bisogna ripristinare una sinergia adesso inesistente, soprattutto fra gli enti e i ministeri. Oggi la collaborazione è complicata e il ministero dell'Istruzione, dell'Università e della ricerca ha perso la regia di una organizzazione strategica che deve riprendere». E da dove inizia? «Innanzitutto procediamo ad una verifica degli enti per semplificarne l'operato, razionalizzando dove serve e attuando una collaborazione con il ministero dello sviluppo economico». C'è chi ha paura di ridimensionamenti.... «Non tagliamo nulla» La legge di riforma basterà? «Nel testo ci sono aspetti di incoerenza che meritano di essere migliorati» C'è qualche metodo particolare adottato nell'operazione? «Si verificano, intanto, i sistemi di incentivazione in modo che la ricerca diventi davvero produttiva e si riesca a materializzare il famoso trasferimento tecnologico». Sono previsti interventi per aiutare l'applicazione della riforma? «Oltre alle risorse ordinarie bisogna pensare a nuovi strumenti di investimento che possono attirare capitali. Questi dovrebbero sostenere proprio il trasferimento tecnologico alle imprese». E le risorse ordinarie rimarranno invariate? «Bisogna soprattutto evitare la loro frammentazione che è il male presente finora e mai risolto nella realtà nonostante si continui a ricordarlo» Per la ricerca privata c'è il problema delle piccole e delle grandi imprese con diverse disponibilità e interessi... «È un gap da colmare come ci è stato sottolineato anche dall'Europa. Ma c'è anche la disparità tra aziende del Nord e del Sud e anche questo è da ridurre». E il piano nazionale per la ricerca? «Si sta preparando in parallelo alla riforma da parte di un gruppo di lavoro. Alcune bozze sono già state diffuse e sottoposte a enti e ministeri». Si sono stabilite delle priorità come molti chiedono? «Certo, non sarebbe possibile fare diversamente. Tra le aree scelte c'è l'energia con le green technologies , i processi dell'invecchiamento, l'alimentazione e l'agricoltura e la ricerca spaziale ricca di tecnologie legate alla vita quotidiana». Il presidente americano Barack Obama ha subito deciso l'aumento dei fondi per la ricerca. Condivide? «Ha fatto benissimo, è una via per rilanciare il Paese». E in Italia ? «In settembre organizzeremo una conferenza nazionale per la ricerca e daremo il via ad alcuni progetti per grandi infrastrutture scientifiche». In quali campi? «Da nuovi satelliti a progetti per l'aiuto ai Paesi in via di sviluppo». G. Cap.

Torna all'inizio


Londra con l'hacker autistico che ha violato Nasa e Pentagono (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 02/08/2009 - pag: 19 La storia Lettera dei deputati britannici dei due schieramenti indirizzata a Obama per ottenere clemenza. Si schiera anche Cameron Londra con l'hacker autistico che ha violato Nasa e Pentagono Andava a caccia di Ufo, gli Usa chiedono l'estradizione Un Ufo non può andare a benzina. Nessun serbatoio sarà mai grande abbastanza da contenere il combustibile necessario a esplorare le galassie. Il viaggio del britannico Gary McKinnon è cominciato con un pensiero fisso, per diventare la più grande intrusione informatica nella storia della difesa americana e lo spunto per un esame di coscienza sulle ossessioni del dopo-11 settembre. Il verdetto che Gary aspettava da sette anni è arrivato venerdì, quando l'Alta Corte di Londra ha respinto il suo ultimo app ello contro l'estradizione negli Stati Uniti, dove potrà essere processato per aver «minacciato» il governo Usa violando i sistemi informatici di Pentagono, Nasa, Esercito, Aviazione e Marina tra il 2001 e il 2002. Cercava prove sull'esistenza degli Ufo, ha provocato danni per 800 mila dollari. L'hacker 43enne affetto da sindrome di Asperger, forma lieve di autismo, rischia fino a 70 anni di carcere, ha ancora 28 giorni per rivolgersi alla nuova Corte Suprema britannica ma ha smesso di credere alla giustizia delle toghe e fa appello alla «compassione» della politica. Quaranta parlamentari di governo e opposizione hanno firmato la lettera che chiede di bloccare l'estradizione, il destinatario è il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. «Questo verdetto è il lascito dell'era Bush ha detto Janis Sharp, la madre di Gary, all'uscita dal tribunale ma Obama non lo permetterà, lui vuole rendere il mondo un posto migliore. Ascoltaci Obama, so che farai la cosa giusta». Nato nel 1966 a Glasgow, Gary McKinnon cresce a Wood Green, a nord di Londra, con la madre Janis e il patrigno Wilson, appassionato di ufologia. Internet è agli esordi e per Gary, adolescente introverso con lo spirito solitario e lo sguardo lungo da pioniere, si rivela terra vergine di riscatto. Negli anni McKinnon si convince che gli alieni abbiano scoperto una nuova forma di energia pulita in grado di salvare la Terra dalle lobby del petrolio qualcuno deve sapere ma tace, «gli Stati Uniti d'America». Lascia lavoro e fidanzata, studia da hacker. Nel 2001, dodici giorni dopo gli attacchi alle Torri gemelle, dal pc di casa entra nel server della Flotta atlantica americana alla ricerca di file secretati e documenti fotografici. In un anno compie 97 incursioni con facilità disarmante, lascia pochi messaggi come «la politica estera Usa è terrorismo di Stato»; lo prendono perché «sbaglia fascia oraria». La sua storia oggi commuove la Gran Bretagna e ferisce l'orgoglio dell'ex impero ridotto a vassallo nella «relazione speciale» benedetta da Churchill e rinvigorita dopo l'11 settembre 2001. L'estradizione di Gary, alla quale il governo laburista di Gordon Brown ha dato il via libera l'anno scorso, rispetterebbe i criteri stabiliti dal Trattato bilaterale siglato nel 2003 (a Downing Street c'era Tony Blair) per agevolare la cooperazione nella lotta al terrorismo. Un Trattato, accusa l'opposizione conservatrice e liberal-democratica, scandalosamente sbilanciato a favore degli Usa, autorizzati a chiedere l'estradizione in base a un «ragionevole sospetto», che diventa «fondato elemento di prova» quando sia invece Londra ad avviare il provvedimento. «Gary McKinnon è un giovane uomo vulnerabile. Sono profondamente rattristato e deluso dalla sentenza», ha dichiarato venerdì David Cameron, leader del nuovo conservatorismo «compassionevole» e padrino politico di un movimento trasversale a sostegno di McKinnon che unisce politici, intellettuali e stelle della musica come Sting, Peter Gabriel, Bob Geldof, Dave Gilmour dei Pink Floyd la first lady Sarah Brown ha pianto in pubblico esprimendo sostegno alla madre di Gary. La difesa sostiene che l'estradizione sarebbe una misura sproporzionata, negli Usa McKinnon verrebbe trattato come un sospetto terrorista e potrebbe tentare il suicidio. I rischi per la salute, hanno concluso i giudici, «non sono sufficienti» ad arrestare il corso della giustizia. Maria Serena Natale

Torna all'inizio


Tutti a L'Aquila capitale d'estate (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Ne avrebbe fatto volentieri a meno, L'Aquila. Per non dire dei suoi cittadini. Ma questa improvvisa e persistente popolarità è destinata a durare a lungo. Non erano abituati, L'Aquila e i suoi cittadini, la popolazione della zona, ai riflettori. A una fama tanto ampia. Certo: L'Aquila è una bella città. Per arte, paesaggio, cultura. Però Nicolas e Carlà Sarkozy, Barack e Michelle Obama. E poi Gordon Brown e Vladimir Putin. E gli altri Grandi della Terra - o sedicenti tali - non ci sarebbero capitati. Non l'avrebbero attraversata. Se non fosse stata ridotta in macerie. Se il terremoto di quattro mesi fa non l'avesse trasformata in un luogo di dolore, ma anche di solidarietà. Offerto agli sguardi del mondo. Un teatro mediatico. Frequentato da un pubblico globale. Perché la sofferenza e la paura, il dolore e la solidarietà: fanno grandi ascolti. Attirano la curiosità - e la partecipazione - di un pubblico infinito. Assai più delle guerre, che ormai sono nascoste. Invece, le catastrofi naturali - ma anche "tecniche", come i crolli e gli incidenti ferroviari - e, in parte, gli attentati: sono eventi accessibili e mediaticamente attraenti. Per questo L'Aquila, suo malgrado, è divenuta un'icona pop. Celebrata da concerti rock, partite di calcio. Evocata da artisti, giornalisti, uomini di sport e di cultura. Da dischi con la partecipazione di musicisti e cantanti. Mille eventi spettacolari per "fare del bene". Beneficenza. Specchio ideale per una società stanca e perfino satura del proprio spirito cinico e consumista. Per questo, L'Aquila è divenuta la capitale estiva dell'Italia. Ha affiancato, quasi rimpiazzato Villa Certosa, residenza presidenziale - anzi: reale - da alcuni anni. Teatro della mondanità più teatrale. Immersa in palmeti lussureggianti. Affollata dai leader del mondo ma anche, soprattutto, da amici e amiche. Sede di feste fastose. Canti, danze, fuochi d'artificio. Il premier ha deciso che è tempo di voltar pagina. Così, si trasferirà a L'Aquila, almeno un giorno alla settimana. Insieme alla sua corte. Ai suoi consiglieri. Inseguito, ovviamente, dai suoi oppositori. Anch'essi, a L'Aquila e in Abruzzo. In segno di solidarietà. E di opposizione. Contro Berlusconi. OAS_RICH('Middle'); L'Aquila. Nuova città presidenziale di un paese presidenzializzato. Dove il Presidente legittimo - Giorgio Napolitano - funge da Authority di garanzia. Contrappeso istituzionale. Dove il Presidente vero - il premier - ha personalizzato e mediatizzato il governo e lo stato. L'Aquila: è la città ideale per governare, nella stagione della penitenza e dell'espiazione. Teatro di sofferenza, ma anche di riscatto. Dove mettere in scena una nuova rappresentazione del "Presidente che fa". Cose concrete. Visibili. Come ai tempi della campagna elettorale, quando liberò Napoli dall'immondizia. Politica e materiale. Metafora e raffigurazione di un regime da sconfiggere. E del "nuovo che avanza". Il Berlusconi IV. Quello che non promette la luna, ma la scomparsa delle immondizie. Fino al giorno delle elezioni del 2008: un format televisivo. Tutte le sere - o quasi - nei Tg e nei salotti della video politica: comitati di cittadini e donne ammalate di cancro, in mezzo all'immondizia. Dopo il voto: tutto sparito. Dagli schermi, almeno. Neppure quando Palermo si è riempita di cataste di rifiuti ce ne siamo accorti. Perché nulla è più vero di ciò che vediamo sugli schermi. E se gli schermi non lo propongono, allora non esiste. D'altronde, nulla appare più reale dei luoghi rappresentati in televisione. E nulla è più mediale. Scenario evocato dai media che scompare se i media rivolgono le telecamere altrove. Così L'Aquila. Una città, un territorio da ricostruire. Sotto gli occhi di tutti. In tempo reale. In diretta. Ma soprattutto sotto gli occhi del premier. Che passerà agosto lì. A giorni alterni. Per controllare che tutto proceda secondo quanto previsto e promesso. Cioè, che "entro il 30 novembre (...) 30mila persone colpite dal terremoto avranno un tetto. (...) Una operazione mai accaduta al mondo: dopo l'uragano Katrina ci sono ancora le baraccopoli, dopo i terremoti in Cina le persone non sono state ancora sistemate. Una cosa straordinaria". Tutto il paese concentrato lì. Con il cuore e soprattutto gli occhi a L'Aquila. Dove le case e perfino le villette ri-sorgono. Il "reality della ricostruzione". Con un vincitore annunciato. Lui. Il premier. Seguito, un istante dopo l'altro, dalle reti dello spazio televisivo unificato di TivùSat: Rai, Mediaset e La 7. È (per citare un libro di Mazzoleni e Sfardini di prossima pubblicazione per "il Mulino") la politica pop. Che rende spettacolari le tragedie e le catastrofi. E unisce il sentimento nazionale, nel nome della pietà. Mentre gli interessi lo dividono. Fra nordisti e sudisti. Di fronte al dolore e alla distruzione del dopo-terremoto tutti, invece, si sentono italiani. Tuttavia, anche questa investitura comporta dei rischi. Uno, in particolare. Quando si spengono le luci della ribalta, quando le telecamere cambiano obiettivo e i microfoni tacciono. Allora ritornano il buio e il silenzio. I protagonisti finiscono nel retroscena, insieme al loro scenario. Non importa se la ricostruzione promessa sia conclusa. Anzi: se il miracolo non avviene, meglio trasferire il teatro del dolore altrove. D'altronde, basta attendere. Le tragedie non finiscono mai. Anche se riteniamo che L'Aquila e i suoi cittadini - protagonisti involontari di questa rappresentazione - rinuncerebbero volentieri al ruolo di capitale estiva dell'Italia pop. Dopo tanto rumore impudico e tanta luce abbagliante, infine: il silenzio. Finalmente la penombra. (2 agosto 2009

Torna all'inizio


Sarah Palin "sta per divorziare" "Con Todd infedeltà reciproche" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Uno dei misteri che negli ultimi mesi ha circondato Sarah Palin, la ex candidata vicepresidente nel ticket repubblicano al fianco di John McCain nella corsa alla Casa Bianca del novembre scorso che ha incoronato Barack Obama, potrebbe essere spiegato nel più privato dei modi: la popolare e imprevedibile ex governatrice dell'Alaska avrebbe un problema di infedeltà coniugale. Reciproca, a quanto dice la stampa "gossip" americana, visto che il National Enquirer ha recentemente svelato l'esistenza di rapporti extraconiugali che coinvolgono sia Sarah sia il marito Todd. Oggi un altro giornale, il locale Alaska Report, butta la "bomba" online: Sarah e Todd stanno per divorziare. Il legale della Palin avrebbe inviato al giornale una lettera "chiarifichiatrice" che "conferma alcuni dettagli della storia pubblicata". Basata in realtà su voci e supposizioni, che getterebbero nuova luce e in parte spiegherebbero l'improvvisa e misteriosissima decisione di dimettersi dall'incarico di governatrice dello Stato, un mese fa, su cui continuano a interrogarsi media e politologi di tutti gli Usa. L'Alaska Report - citando fonti di Wasilla (la cittadina dove la Palin vive) e di Anchorage (la principale città dell'Alaska), "compreso un membro dello staff" della leader politica - che la Palin ha di recente acquistato un appezzamento di terreno in Montana e sta pensando di trasferire tutta la famiglia lì. Mentre il marito Todd ha di recente detto a Fox News che sta per riprendere il suo lavoro nella compagnia petrolifera dell'Alaska. Palin, dal canto suo, ha firmato un accordo da 11 milioni di dollari per la pubblicazione di un libro. L'Alaska Report mette insieme un po' di dettagli rivelatori: la coppia si è ostentatamente ignorata nel corso di tutta la cerimonia di dimissioni a Fairbanks, domenica scorsa. E da alcuni giorni, Sarah si è tolta la fede dal dito. OAS_RICH('Middle'); Agli scettici, l'Alaska Report ricorda: noi siamo i primi ad aver dato la notizia che Sarah Palin si sarebbe candidata a governatore dello Stato, e poi che sarebbe stata scelta da McCain come sua vice. Fino ad ora, almeno, le fonti non li hanno mai traditi. (2 agosto 2009

Torna all'inizio


Iran, processo ai capi della rivolta Drammatiche "confessioni" in aula (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Sono entrati nell'aula irriconoscibili, magri, terrei, l'ombra di se stessi, vestiti di quei pigiami grigi che sono le uniformi delle carceri iraniane. Ali Abtahi, ex vicepresidente, un hojatoleslam; Abdollah Ramezanzadeh, ex portavoce del governo Khatami; Mohsen Mirdamadi capo del partito riformatore Mosharekat, l'ex viceministro degli Esteri, Mohsen Amizadeh, e l'ex vicepresidente del parlamento Behzad Navabi. Dopo che non è riuscito con la violenza, le intimidazioni, i raid notturni nelle case e le torture a tacitare la protesta degli iraniani contro chi ha rubato il loro voto, il regime prova dopo sette settimane a stroncarla con processi farsa di staliniana memoria. Cento persone sono comparse ieri davanti al tribunale della rivoluzione di Teheran. Senza avvocati, senza la presenza di familiari, senza giornalisti. Ma c'è da scommettere che le loro immagini appariranno presto sulla tv di Stato. Una metà degli imputati erano stati arrestati giovedì, nel "giorno di Neda", quando gli agenti della polizia segreta hanno impedito con la forza la commemorazione degli uccisi. Le fotografie mostrano in prima fila Ali Abtahi, irriconoscibile da quanto è dimagrito, privato del turbante di seyyed, il primo a cui è stata estratta una piena "confessione". L'avevo visto l'ultima volta alle prime manifestazioni dopo il 12 giugno, sempre sorridente, ottimista, ancora fiducioso che il regime ci avrebbe ripensato, che i voti sarebbero stati ricontati, che nessun governo islamico avrebbe potuto permettersi un tale affronto all'onore e alla dignità dell'Iran. Il giorno dopo era stato arrestato, e dopo poco era circolata una foto di lui in lacrime. "Ho sbagliato a prendere parte alle manifestazioni, l'elezione di Ahmadinejad è stata senza brogli, sono gli altri che hanno tradito" si legge nella "confessione". "I riformisti hanno cercato di intrappolare la Guida suprema.. I brogli sono stati un'invenzione per sobillare la rivolta e farci finire come l'Iraq e l'Afghanistan, mettendo fine alla rivoluzione khomeneista. E' stato Karroubi a spingermi ad andare in piazza, mi disse che con i pochi voti che avevamo preso dovevamo andarci di persona altrimenti nessuno ci avrebbe seguìto". A completare la perfidia del regime, la "confessione" termina con un'accusa di tradimento a Khatami, al quale era stato legato da sempre, e a Hashemi Rafsanjani. "Avevano fatto un accordo con Moussavi per non tradirsi reciprocamente" si legge ancora nella "confessione". "Khatami conosceva il potere e l'intelligenza della Guida suprema. Il suo è stato un tradimento", pari a quello di Rafsanjani, che "voleva vendicarsi della sconfitta inflittagli da Ahmadinejad quattro anni fa". OAS_RICH('Middle'); Il giorno prima del processo l'agenzia Fars aveva mandato una notizia da far venire i brividi. Sotto un titolo apparentemente neutro - "Sanzioni previste dal codice penale islamico per coloro che hanno sobillato disordini" - l'agenzia, che è una diretta emanazioni di Ahmadinejad, elencava: "Riunione di due o più persone per mettere in pericolo la pace interna: da due a dieci anni; propaganda contro la Repubblica islamica: da tre mesi a un anno; complotto per cambiare il regime, possesso di armi e creazione di gruppi militanti: pena di morte". Gli imputati ora alla sbarra sono accusati di terrorismo, sovversione e di campagna mediatica per screditare il risultato del voto. Secondo la Fars, in aula hanno confessato altri quattro imputati, tra i quali l'ex viceministro Mostafa Tajzadeh. Lunedì il Leader Khamenei condurrà una cerimonia in cui verrà formalmente approvato il secondo mandato di Ahmadinejad e due giorni dopo questi giurerà di fronte al parlamento. "La Guida suprema ha tradito la sua funzione" gridavano giovedì i manifestanti. "Gli iraniani sanno che il mondo li ascolta" dice da New York Akbar Ganji, che ha fatto uno sciopero della fame davanti all'Onu. "Se Ahmadinejad riesce a mettere a tacere gli oppositori molti all'estero concluderanno che la vicenda è finita, ma sbaglieranno" dice il presidente del Consiglio nazionale iraniano-americano Trita Parsi. Parsi chiede ai governi occidentali, e prima di tutto a Obama, una "pausa tattica" con l'Iran: "L'Iran non è oggi in grado di negoziare, le lotte interne rendono impossibile ogni decisione. Rinviare i colloqui nucleari per alcuni mesi non farà grande differenza rispetto al programma nucleare iraniano ma potrebbe invece determinare con quale Iran avremo a che fare nelle prossime decadi". (2 agosto 2009

Torna all'inizio


Sarah Palin "sta per divorziare" Lei nega: "Con Todd sempre uniti" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 02-08-2009)

Argomenti: Obama

Uno dei misteri che negli ultimi mesi ha circondato Sarah Palin, la ex candidata vicepresidente nel ticket repubblicano al fianco di John McCain nella corsa alla Casa Bianca che ha incoronato Barack Obama, potrebbe essere spiegato nel più privato dei modi: la popolare e imprevedibile ex governatrice dell'Alaska sarebbe sull'orlo del divorzio. Immediata la smentita della portavoce Meg Stapleton, che ha scelto l'inusuale via di Facebook per rintuzzare i media "non mainstream" (blog e siti internet) che finora hanno fatto rimbalzare la notizia: "'Ancora una volta, cosiddetti giornalisti hanno deciso di inventare una notizia. Non c'è alcuna verità nell'articolo secondo cui i Palin stanno divorziando - ha scritto la Stapleton - I Palin restano sposati, impegnati l'uno nei confronti dell'altro e della loro famiglia". A diffondere la notizia della presunta crisi coniugale sono stati un paio di blog locali, tra cui l'Alaska Report - gestito da uno stringer della Cnn che rivendica, senza smentite, la paternità di scoop di portata nazionale riguardanti la Palin: la sua candidatura a governatore dell'Alaska e la sua designazione nel ticket presidenziale al fianco di McCain. Il blog spiega l'origine della crisi della coppia con la motivazione più classica. Sarah e Todd avrebbero un problema di infedeltà coniugale. Reciproca, a quanto dice la stampa "gossip" americana, visto che il National Enquirer ha recentemente svelato l'esistenza di "storie" parallele che avrebbero coinvolto sia Sarah sia il marito Todd. Anzi, sarebbe stato proprio un collega di Todd Palin a far scoccare la scintilla della bellicosa repubblicana. OAS_RICH('Middle'); Oggi l'Alaska Report butta la "bomba" online: Sarah e Todd stanno per divorziare. Il legale della Palin avrebbe inviato al giornale una lettera "chiarifichiatrice" che "conferma alcuni dettagli della storia pubblicata". Basata in realtà su voci e supposizioni, che getterebbero nuova luce e in parte spiegherebbero l'improvvisa e misteriosissima decisione di dimettersi dall'incarico di governatrice dello Stato, un mese fa, su cui continuano a interrogarsi media e politologi di tutti gli Usa. L'Alaska Report - citando fonti di Wasilla (la cittadina dove la Palin vive) e di Anchorage (la principale città dell'Alaska), "compreso un membro dello staff" della leader politica - aggiunge che la Palin ha di recente acquistato un appezzamento di terreno in Montana e sta pensando di trasferire tutta la famiglia lì. Mentre il marito Todd ha di recente detto a Fox News che sta per riprendere il suo lavoro nei giacimenti petroliferi dell'Alaska. Palin, dal canto suo, ha firmato un accordo da 11 milioni di dollari per la pubblicazione di un libro. L'Alaska Report mette insieme un po' di dettagli rivelatori: la coppia si è ostentatamente ignorata nel corso di tutta la cerimonia di dimissioni a Fairbanks, domenica scorsa. Finito il discorso, come hanno notato molti media, la Palin ha caricato tutta la famiglia in macchina ed è scappata via. Tutti, eccetto il marito Todd, che ha dovuto prendere un'altra auto. E da alcuni giorni, Sarah si è tolta la fede dal dito. Nelle ultime settimane, dicono poi i political watchers, la Palin era apparsa visibilmente e drammaticamente dimagrita, e si era già cominciato a parlare di un forte stress che aveva causato anche un'improvvisa perdita di capelli. Sarah e Todd Palin il giorno delle dimissioni I blog repubblicani replicano subito sdegnati, riportando foto della giornata di Fairbanks in cui Sarah e Todd siedono fianco a fianco apparentemente molto complici, scambiandosi sguardi e sorrisi. Ma quel che proprio non torna, e che sta piano piano facendo scivolare la storia dal mondo inafferrabile del web all'assai più temibile "mainstream media", è la frettolosa smentita della portavoce, e soprattutto la scelta di Facebook per un messaggio così delicato. E così la controversia ora campeggia su molti siti "seri", a partire da Politico. Certo è che la rivelazione, se venisse confermata, segnerebbe un duro colpo per l'esponente repubblicana, soprattutto nel caso avesse intenzione di proseguire nella carriera politica fino a correre di nuovo contro Obama, questa volta per la presidenza nel 2012. Palin ha infatti utilizzato la sua immagine di "moglie-mamma-donna di casa" tuttofare per imporre un modello di donna vincente su tutti i fronti, un po' supereroica e un po' intimidatoria. Svelare che la superfamiglia dell'America della frontiera, tutta sport e barbecue, si sta incrinando farebbe crollare il lavoro d'immagine di questo personaggio, peraltro sempre guardato con sospetto e curiosità dall'establishment di Washington per il suo carattere anticonvenzionale, appunto "maverick" - per dirla con lo slogan della campagna elettorale, peraltro poco fortunato. (2 agosto 2009

Torna all'inizio


In Obama c'è un po' di Bush (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

Naomi Wolf In Obama c'è un po' di Bush Il Senato americano continua le sue audizioni per capire che cosa fare dei 240 detenuti ancora dietro le sbarre a Guantanamo, e che cosa ne sarà dei tribunali militari e delle detenzioni senza processo che l'amministrazione Bush e un compiacente Congresso avevano messo in piedi dopo l'11 settembre. Il Congresso sta anche discutendo su che cosa fare del campo di prigionia, aperto nel 2002 per rinchiudere uomini considerati apertamente «i peggiori dei peggiori». Tutto questo, in un quadro giuridico definito deliberatamente dai procuratori di Bush «spazio esterno legale». Ma queste audizioni al Senato non stanno definendo una nuova realtà altrettanto brutta della vecchia, o addirittura per certi versi peggiore? I tribunali militari che giudicano senza un vero processo stanno operando di nuovo. Mentre il presidente Obama ha rilasciato pochi prigionieri, soprattutto uiguri cinesi, e mandato alcuni altri a processo a New York, sta però, freddamente, segnalando che darà inizio a «detenzioni preventive». Durante una visita a Guantanamo, il portavoce del dipartimento della Difesa, Joe DellaVedova mi ha detto che una serie di commissioni stanno riesaminando gli incartamenti dei detenuti, un processo che richiederà alcuni anni. Alla fine saranno divisi in tre categorie: quelli che saranno giudicati in corti civili degli Stati Uniti, quelli che saranno rilasciati e consegnati ad altri Stati, e quelli che «non possono essere rilasciati e non possono essere processati e che quindi saranno detenuti in quella che sarà chiamata detenzione preventiva». Sono rimasta di stucco. DellaVedova diceva in realtà che la revisione dei dossier era «teatro politico». La detenzione preventiva all'infinito non è altro, naturalmente, che la base di uno Stato di polizia. Le organizzazioni dei diritti umani sanno che Obama ha aperto la via, a livello di pubbliche relazioni, ad alcuni processi civili, parlando di carceri di massima sicurezza negli Usa, e sottolineando che altri terroristi sono già stati giudicati dal sistema giudiziario. Ma, sei mesi dopo aver ordinato la fine della tortura e delle prigioni segrete della Cia, e promesso di chiudere Guantanamo entro un anno, sembra che Obama stia ripetendo i peggiori eccessi di Bush. Ha portato aeroplani pieni di giornalisti nella baia di Guantanamo per mostrare una «sicura, trasparente e umana» sistemazione. Ma i circa 240 detenuti rimangono rinchiusi senza accuse specifiche. In più, il dipartimento della Giustizia di Obama ha invocato la giustificazione di Bush secondo la quale lo State Secrets Act impedisce che le prove sulla tortura vengano rese pubbliche, il che significa che chiunque sia stato torturato non può comparire davanti a un tribunale. E ancora, Obama ha cercato di eliminare centinaia di fotografie che mostrano abusi sessuali nelle prigioni gestite dagli Stati Uniti, e non ha fatto nulla per abolire il Patriot Act di Bush. Ma perché Obama, che ha una formazione giuridica, dovrebbe ripercorrere questa strada? Primo, non osa apparire «debole con i terroristi». Secondo, forse ha bisogno di tenere i detenuti di Guantanamo in un contesto di «discrezione». Secondo Wells Dixon, un avvocato del Center for Constitutional Rights che rappresenta alcuni detenuti, l'amministrazione Obama non può correre il rischio di chiamare le pratiche di tortura crimini, così li definisce «fonti e metodi riservati» che non possono essere rivelati in tribunale. «Non posso neanche dire in che modo i miei clienti sono stati torturati o mi metterebbero sotto processo», dice. Dixon mi ha raccontato la storia esemplare di uno dei suoi clienti, Majid Khan, definito «detenuto di alto valore», rinchiuso per tre anni nelle prigioni segrete della Cia. Khan venne torturato, mi ha detto Dixon, anche se «il governo direbbe che quello che gli è accaduto è un metodo investigativo». Siccome Dixon ha un'autorizzazione speciale, non può discutere di queste «fonti e metodi riservati». D'altra parte, ha continuato Dixon, «quando il governo fa qualcosa al mio cliente che è definita riservata, gli è stata rivelata un'informazione riservata. Ma siccome non ha quell'autorizzazione speciale, non c'è niente che possa impedirgli, a differenza di me, di dirlo al mondo esterno. È quello che mi hanno detto: niente può impedirglielo, tranne trattenerlo fisicamente in custodia». La «logica conclusione», secondo Dixon, è che Khan «deve essere detenuto per il resto della sua vita, a prescindere dal fatto che venga mai incriminato, perché se fosse mai rilasciato, niente potrebbe impedirgli di rivelare le informazioni "riservate"». Majid Khan - e ce ne sono molti come lui - è il classico prodotto del disprezzo per i principi fondamentali del diritto dell'amministrazione Bush. Sfortunatamente, l'amministrazione Obama, nonostante tutta la sua altezzosa retorica, sembra che voglia perpetuarli. Copyright Project Syndicate, 2009

Torna all'inizio


Troppo piombo Insalata e fagiolini non sono biologici (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

L'ORTO DI MICHELLE Troppo piombo Insalata e fagiolini non sono biologici Il sogno biologico di Michelle Obama è già finito. Le verdure orgogliosamente piantate a marzo dalla first lady american, infatti,a non possono essere qualificate come «organiche». I livelli di piombo trovati negli ortaggi presidenziali assommano a 93 parti per milione, meno di una quarto dalle 400 parti per milione considerate tossiche, ma comunque la percentuale è troppo alta per ottenere l'ambito bollino di «organic food» cui aspirava la moglie di Barack Obama. Sarebbero i coniugi Clinton, ex inquilini della residenza presidenziale dal 1993 al 2001, i responsabili dell'alta percentuale di metalli pesanti che hanno avvelenato l'orto biologico piantato da Michelle Obama nel giardino della Casa Bianca. È quanto rivela il sito web del Daily Finance secondo cui i Clinton, per risparmiare, avevano deciso di usare acque di scarico come fertilizzante. Questi autentici liquidi fognari contenevano un'elevata quantità di piombo.

Torna all'inizio


la lobby sanitaria che minaccia la grande riforma di obama - new york dal nostro corrispondente @fi firma editoriale sx:federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina La lobby sanitaria che minaccia la Grande Riforma di Obama NEW YORK DAL NOSTRO CORRISPONDENTE @FI FIRMA EDITORIALE SX:FEDERICO RAMPINI «Questo è il mio test più difficile da quando faccio politica», confessa Barack Obama a Time. E rivela che un terzo del suo tempo lo dedica solo a questa sfida: la riforma sanitaria. L´opposizione annusa sangue. Il presidente del partito repubblicano Michael Steele annuncia: «La sanità sarà la sua Waterloo. Lo spezzeremo». Qualche segnale incoraggia gli avversari. A sei mesi dall´inizio della sua presidenza, Obama ha avuto un cedimento nei sondaggi. L´indice di approvazione della sua politica oggi non è molto più alto di quelli di Richard Nixon o George Bush dopo il primo semestre. La ragione principale è proprio il crescente disagio dell´opinione pubblica sulla sanità, il più impegnativo cantiere di riforma che Obama ha voluto inaugurare. Con i costi medici più alti del mondo, una pressione finanziaria insostenibile sia per lo Stato che per i privati, e 47 milioni di cittadini sprovvisti di ogni copertura in caso di malattia, la questione-salute è un groviglio di problemi irrisolti da decenni. Forse inestricabili, per i potenti interessi economici coinvolti. Su questo graviterà la politica americana al rientro dalle vacanze estive. Malgrado un primo voto favorevole in commissione alla Camera, i giochi restano aperti. Una bocciatura, o una riforma annacquata per non dare fastidio all´establishment assicurativo-farmaceutico-ospedaliero, avrebbe effetti deleteri sul prestigio di Obama. ALLE PAGINE 25, 26 E 27

Torna all'inizio


che amarezza la classifica degli atenei virtuosi - gianfranco gensini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina I - Firenze L´intervento Che amarezza la classifica degli atenei virtuosi GIANFRANCO GENSINI C´è amarezza in coloro che hanno dedicato e dedicano le migliori energie intellettuali all´Università. E sarebbe ingiusto, per chi ha investito la sua vita professionale nel mondo universitario, assistere passivamente alla polemica sugli atenei «virtuosi» e su quelli che lo sono meno o non lo sono. L´amarezza viene dall´essere forse troppo frettolosamente accusati di inefficienza, e dalla consapevolezza che con questa celebrazione della crisi dell´Università si sta rinunciando al futuro del nostro Paese. L´incapacità di investire in ricerca sta privando la nostra economia del più importante volano di sviluppo di cui possiamo disporre. Appare stridente il confronto fra questo e quanto riportato recentemente da Salvatore Settis sul progetto politico del presidente Barak Obama, il quale ha annunciato che l´America investirà più del 3% del Pil in università e ricerca, con una incisiva azione di sostegno pubblico in particolare alla ricerca multidisciplinare, come quella tra fisica e scienze biomediche. è una politica di sostanza, lungimirante e coraggiosa, che non si perde nelle polemiche collegate alle classifiche fra atenei per la distribuzione di quote limitatissime di fondi esigui e in riduzione, ma affronta il futuro con atti concreti di espansione della disponibilità di risorse. SEGUE A PAGINA III

Torna all'inizio


"palin divorzia", giallo in alaska - raffaella menichini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri La notizia diramata da un blog locale. Su Facebook la smentita della portavoce "Palin divorzia", giallo in Alaska RAFFAELLA MENICHINI Uno dei misteri che negli ultimi mesi ha circondato Sarah Palin, la ex candidata vicepresidente nel ticket repubblicano al fianco di John McCain nella corsa alla Casa Bianca che ha incoronato Barack Obama, potrebbe essere spiegato nel più privato dei modi: l´imprevedibile ex governatrice dell´Alaska sarebbe sull´orlo del divorzio. Immediata la smentita della portavoce Meg Stapleton, che ha scelto l´inusuale via di Facebook per rintuzzare la notizia: «I Palin restano sposati, impegnati l´uno nei confronti dell´altro e della loro famiglia». Il legale di Sarah ha già minacciato querela. A diffondere la notizia della presunta crisi coniugale sono stati un paio di blog locali, tra cui l´Alaska Report: Sarah e Todd, sostengono, avrebbero un problema di reciproca infedeltà coniugale. Inoltre la Palin avrebbe di recente acquistato un terreno in Montana e starebbe pensando di trasferire tutta la famiglia lì, mentre il marito Todd sta per riprendere il suo lavoro nei giacimenti petroliferi dell´Alaska. Il blog mette insieme un po´ di dettagli rivelatori: la coppia si è ignorata nel corso della cerimonia di dimissioni a Fairbanks, domenica scorsa. Finito il discorso, la Palin ha caricato tutta la famiglia in macchina ed è scappata via. Tutti, eccetto il marito, che ha dovuto prendere un´altra auto. E da alcuni giorni, Sarah si è tolta la fede dal dito. I blog repubblicani replicano sdegnati, riportando foto della giornata di Fairbanks in cui Sarah e Todd siedono fianco a fianco, scambiandosi sguardi e sorrisi. Ma quel che proprio non torna, e che sta facendo scivolare la storia dal mondo inafferrabile del web all´assai più temibile "mainstream media", è la frettolosa smentita della portavoce, e soprattutto la scelta di Facebook per un messaggio così delicato.

Torna all'inizio


il ritorno di harry & louise i testimonial ora si pentono - new york (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 26 - Esteri Nel ´93 contribuirono all´affossamento del piano Clinton Il ritorno di Harry & Louise i testimonial ora si pentono NEW YORK dal nostro corrispondente Hillary Clinton ancora rabbrividisce quando sente nominare quei due: Harry e Louise. All´inizio del 1993 una maggioranza degli americani era favorevole a riformare la sanità. L´umore dell´opinione pubblica cambiò sotto l´effetto di "Harry e Louise": uno spot pubblicitario televisivo prodotto dalle compagnie assicurative. Due attori professionisti, Harry Johnson e Louise Clark, vi recitavano scene di disperazione. Interpretavano due americani medi proiettati nel futuro, alle prese col Moloch burocratico di una sanità statalizzata. Fu il colpo di grazia per il piano di riforma messo a punto dalla task force democratica, sotto la guida di Hillary. Sedici anni dopo gli americani vedono riapparire sui loro schermi Harry e Louise. Capelli bianchi e tante rughe, i due attori tornano a recitare in uno spot. Sorpresa: stavolta i due sembrano pentiti, appoggiano la riforma Obama. Ma c´è un trucco. Lo spot è sempre pagato da una lobby privata di assicuratori. Che appoggiano la loro versione della riforma Obama. Purgata di tutti gli aspetti innovativi. (f.ra.)

Torna all'inizio


industriali, assicuratori, medici, avvocati: le lobby in campo contro la riforma sanitaria di obama. che ammette: "sarà la battaglia più difficile" - federico rampini new york (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 25 - R2 Industriali, assicuratori, medici, avvocati: le lobby in campo contro la riforma sanitaria di Obama. Che ammette: "Sarà la battaglia più difficile" FEDERICO RAMPINI NEW YORK dal nostro corrispondente «Questo è il mio test più difficile da quando faccio politica», confessa Barack Obama a Time. E rivela che un terzo del suo tempo lo dedica solo a questa sfida: la riforma sanitaria. L´opposizione annusa sangue. Il presidente del partito repubblicano Michaele Steele annuncia: «La sanità sarà la sua Waterloo. Lo spezzeremo». Qualche segnale incoraggia gli avversari. A sei mesi dall´inizio della sua presidenza, Obama ha avuto un cedimento nei sondaggi. L´indice di approvazione della sua politica oggi non è molto più alto di quelli di Richard Nixon o George Bush dopo il primo semestre. La ragione principale è proprio il crescente disagio dell´opinione pubblica sulla sanità, il più impegnativo cantiere di riforma che Obama ha voluto inaugurare. Con i costi medici più alti del mondo, una pressione finanziaria insostenibile sia per lo Stato che per i privati, e 47 milioni di cittadini sprovvisti di ogni copertura in caso di malattia, la questione-salute è un groviglio di problemi irrisolti da decenni. Forse inestricabili, per i potenti interessi economici coinvolti. Su questo graviterà la politica americana al rientro dalle vacanze estive. Malgrado un primo voto favorevole in commissione alla Camera, i giochi restano aperti. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE SEGUE A PAGINA 26

Torna all'inizio


Salvate dalla vacanza le piccole Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 03/08/2009 - pag: 1 Lezioni, esercizi fisici, attività sociali: un'estate senza tregua Salvate dalla vacanza le piccole Obama di MARIA LAURA RODOTÀ Obama con la moglie, le figlie Sasha e Malia e la suocera a spasso nel giardino della Casa Bianca. Vacanze impegnative attendono le sorelline: lezioni di storia, servizi socialmente utili, ginnastica. A PAGINA 13

Torna all'inizio


Ripresa Usa alle porte L'ottimismo in tv della Casa Bianca (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 03/08/2009 - pag: 6 Summers e Geithner Ripresa Usa alle porte L'ottimismo in tv della Casa Bianca MILANO «È molto, molto probabile che l'economia americana torni a crescere nella seconda parte dell'anno». È trascorsa così, all'insegna dell'ottimismo, la prima domenica di agosto per gli americani in partenza per le ferie. Mentre ieri le famiglie che si sintonizzavano sulla Nbc ascoltavano il consigliere economico della Casa Bianca, Larry Summers (foto), lanciarsi nella previsione sulla ripresa economica ormai alle porte, chi era sulla Abc poteva sentire in sostanza le stesse parole pronunciate dal segretario al Tesoro di Obama, Timothy Geithner. Sulla stessa rete, la Abc, è arrivato anche l'ex presidente della Federal reserve, Alan Greenspan, a dare manforte alle nuove previsioni dell'amministrazione Obama: la crisi «non è del tutto passata, ma ci siamo vicini. Il crollo è ormai alle nostre spalle» ha commentato l'ex banchiere centrale considerato un guru nonostante le molte critiche al suo operato. Alla base delle nuove attese c'è il fatto che il Pil statunitense del secondo trimestre si è contratto dell'1% e secondo gli analisti quello che si è appena chiuso è l'ultimo trimestre di contrazione. Il periodo luglio-settembre dovrebbe già registrare un'inversione di tendenza con il Pil in positivo. Anche se, ha dovuto ammettere Summers, «è vero che il tasso di disoccupazione è a un livello più alto delle previsioni di inizio anno» e che bisognerà «attendere l'anno prossimo perché il piano di rilancio abbia effetto sulla disoccupazione» . Massimo Sideri

Torna all'inizio


Azione e animazione Locarno punta ai più giovani (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Tempo Libero data: 03/08/2009 - pag: 8 Cinema Si apre domani con l'anteprima gratuita di «Marching Band» la 62esima edizione del festival. Premi speciali per Friedkin e Servillo Azione e animazione Locarno punta ai più giovani Film per riflettere e per divertirsi, dalla guerra ai Pokemon D omani si illumina lo schermo all'aperto più grande d'Europa: quello della Piazza Grande di Locarno. Il film, a ingresso libero, è «Marching Band» di Claude Miller: un'anteprima del Festival che si inaugura mercoledì 5, e prosegue fino al 15 agosto. Il regista di «L'accompagnatrice » racconta la massacrante campagna elettorale di Obama dall'insolito punto di vista di due bande universitarie della Virginia. Il giorno dopo si parte con due titoli antitetici: prima la commedia americana «500 Days of Summer» di Marc Webb. Poi «La guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre », riflessione sulla guerra dell'israeliano Amos Gitai. Sono le due anime del festival: quella che si rivolge al grande pubblico e quella che insegue l'impegno e la divulgazione di cinematografie non commerciali, provenienti da ogni parte del mondo. Italiani? In concorso non ce n'è neanche uno, e questo i media l'hanno fatto notare. In compenso Toni Servillo riceve l'Excellence Award. E tanti altri sbucano nelle sezioni laterali, che a Locarno non contano meno di quella principale. Pippo Delbono porta fuori concorso «La paura» (il 9, 10 e 11), 66 minuti girati col telefonino. Corso Salani, cineasta viaggiatore, torna nelle Ande con «Mirna». «Il mio core umano» di Costanza Quatriglio è un ritratto di Nada. Anime giapponesi La grande novità di quest'anno è la retrospettiva «Manga Impact», realizzata in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino. Hayao Miyazaki ha sdoganato il genere: e il festival sul Maggiore, stretto tra Cannes e Venezia, punta anche sul pubblico più giovane. Probabilmente è un'avvisaglia di quanto accadrà l'anno prossimo, quando al timone ci sarà un critico giovane e supercinefilo, Olivier Père. Nel frattempo, appassionati e non si possono deliziare con film che di rado escono dai confini giapponesi, come i classici del padre dei manga Osamu Tezuka. Ma c'è anche la dodicesima avventura dei temibili Pokemon: «Diamond & Pearl the Movie». Friedkin e Almaric Il regista di «L'esorcista», William Friedkin, riceve il Pardo d'onore alla carriera: e il 13, al Forum, tiene una masterclass aperta a tutti. Vedere «Vivere e morire a Los Angeles» in Piazza Grande (il 14 alle 21.30) sarà uno dei momenti più entusiasmanti del festival: da noi non ha la fama che merita, ma è uno dei polizieschi più adrenalinici di sempre. E anche nell'era degli effetti digitali, il suo impatto rimane eguagliato. Chi cerca emozioni forti, ma d'altro tipo, non perderà la prima di «Les derniers jour du monde» (il 9, in Piazza Grande) dei fratelli Larrieu: la fine del mondo si sta abbattendo sulla Francia, e il protagonista Mathieu Almaric continua a pensare a una cosa sola: il sesso. Alberto Pezzotta Leggerezza «500 Days of Summer» (il 5) dell'americano Marc Webb strizza l'occhio al grande pubblico in cerca di emozioni «light» Impegno Jeanne Moreau per Gitai Sesso «Les derniers jours du monde» Docu «Marching Band» di Miller Invasione manga Il cinema giapponese di animazione ( foto , Myazaki) è celebrato nella retrospettiva «Manga Impact», realizzata con il Museo Nazionale del Cinema di Torino

Torna all'inizio


Raúl Castro agli Usa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 03/08/2009 - pag: 12 Diplomazia Raúl Castro agli Usa «Cuba resterà socialista» L'AVANA Cuba è disposta «al dialogo alla pari» con gli Stati Uniti ma senza rinunciare al socialismo. Lo ha chiarito il presidente cubano Raúl Castro, che dal fratello Fidel ha ereditato la presidenza, in un discorso davanti all'Assemblea nazionale all'Avana. Una risposta al Segretario di Stato Usa Hillary Clinton, che aveva condizionato il dialogo con Cuba a «mutamenti fondamentali» nel sistema politico. «Con tutto il rispetto per la signora Clinton... non sono stato eletto per ripristinare il capitalismo a Cuba, né per mettere fine alla rivoluzione ha detto Castro ma per difendere, mantenere e continuare a perfezionare il socialismo... Siamo pronti a parlare di tutto ma non a negoziare il nostro sistema politico e sociale». Castro ha riconosciuto che il presidente Barack Obama è meno «aggressivo» di Bush verso Cuba ma ha notato che l'embargo «è ancora applicato». Discorso Il presidente Raúl Castro, 78 anni, all'Assemblea nazionale cubana ( Reuters/ Desmond Boylan)

Torna all'inizio


Le vacanze afro-prussiane delle due piccole Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 03/08/2009 - pag: 13 L'estate di Malia e Sasha Le vacanze afro-prussiane delle due piccole Obama di MARIA LAURA RODOTÀ La famiglia Obama non crede nell'ozio creativo. Era noto; e i giornali americani lo confermano raccontando i programmi estivi di (o meglio, per) le figlie Malia e Sasha. Includono «lezioni di storia, servizi socialmente utili, alimentazione sana, esercizio fisico. Gli Obama hanno discusso a lungo con loro della tratta degli schiavi dopo la visita ufficiale in Ghana. Le bambine sono già state a Fort McNair, in Virginia, dove hanno lavorato a riempire zaini di libri e giocattoli per i figli dei militari». Tutto giusto; due ragazzine di 8 e 11 anni trattate da celebrità mondiali, che ultimamente sono state ovunque e hanno incontrato chiunque, dal Papa a Beyoncé, devono pur riacquisire un po' di senso della realtà. Certo, realtà impegnativa, per scelta di papà e mamma. Due ragazzine di 8 e 11 anni in vacanza dovrebbero avere il diritto di oziare, anche. A loro fa bene. Ma vallo a spiegare ai genitori. Si legge sul New York Times : «Gli Obama sono molto pignoli, nel crescere le loro figlie tengono all'organizzazione e alla disciplina. E l'estate, hanno messo in chiaro, non prevede alcuna tregua, si seguono le regole». Come succede nelle famiglie di professionisti molto motivati sul lavoro, preoccupati (ossessivamente? A volte sì) che i figli imparino tutto, facciano tutto, siano pronti ad affrontare tutto nel prossimo incerto futuro. E nelle famiglie come quella di Michelle Robinson (figlia di un operaio, arrivata con le sue forze alla Harvard Law School) e di Barack Obama. Non pare un caso che siano lui e il saggista Malcolm Gladwell, ambedue mezzi neri e mezzi bianchi, figli di genitori che si erano conosciuti all'università (e nei primi anni 60 un nero/a aveva faticato parecchio, per arrivarci) i più grandi sostenitori pubblici del duro lavoro e della responsabilità personale; nel mondo anglosassone e dintorni. E non pare un caso che la Casa Bianca comunichi lietamente il programmino afro-prussiano delle vacanze (vabbè, vacanze) di Malia e Sasha. Loro due sono delle popstar tra le ragazzine e vengono imitate in tutto; quindi anche nell'impegno, forse, si spera. In più, c'è da far perdonare (ai genitori, al solito, e al solito i figli ci vanno di mezzo) il recente tour europeo da principessine e le prossime vacanze familiari nell'elegante isola di Martha's Vineyard, uno dei posti più elitisti che ci siano. Sono «spostamenti inappropriati in tempi di recessione», hanno scritto alcuni. I comunicatori della Casa Bianca hanno replicato che «gli Obama vedono il mondo come una classe all'aria aperta per le loro figlie», così alla fine le tengono costantemente in classe. Ma anche no: Michelle lo ha ammesso, la regola estiva del «niente computer fino a dopo cena» è difficile da far rispettare: «Le mie ragazzine senza laptop morirebbero, non arriverebbero alla fine del-- l'estate ». Come le nostre; che neanche hanno conosciuto il Santo Padre e Beyoncé, quindi sono più indietro, accidenti. Insieme Il presidente americano Barack Obama con le figlie Malia e Sasha due settimane fa di ritorno da Camp David ( Reuters)

Torna all'inizio


Le lobby della sanità contro la Casa Bianca (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - "Questo è il mio test più difficile da quando faccio politica", confessa Barack Obama a Time. E rivela che un terzo del suo tempo lo dedica solo a questa sfida: la riforma sanitaria. L'opposizione annusa sangue. Il presidente del partito repubblicano Michaele Steele annuncia: "La sanità sarà la sua Waterloo. Lo spezzeremo". Qualche segnale incoraggia gli avversari. A sei mesi dall'inizio della sua presidenza, Obama ha avuto un cedimento nei sondaggi. L'indice di approvazione della sua politica oggi non è molto più alto di quelli di Richard Nixon o George Bush dopo il primo semestre. La ragione principale è proprio il crescente disagio dell'opinione pubblica sulla sanità, il più impegnativo cantiere di riforma che Obama ha voluto inaugurare. Con i costi medici più alti del mondo, una pressione finanziaria insostenibile sia per lo Stato che per i privati, e 47 milioni di cittadini sprovvisti di ogni copertura in caso di malattia, la questione-salute è un groviglio di problemi irrisolti da decenni. Forse inestricabili, per i potenti interessi economici coinvolti. Su questo graviterà la politica americana al rientro dalle vacanze estive. Malgrado un primo voto favorevole in commissione alla Camera, i giochi restano aperti. Una bocciatura, o una riforma annacquata per non dare fastidio all'establishment assicurativo-farmaceutico-ospedaliero, avrebbe effetti deleteri sul prestigio di Obama. Stavolta non è detto che il suo carisma sia sufficiente. Per azzoppare il presidente si è messa in movimento la formidabile macchina da guerra del "capitalismo sanitario". Con mezzi finanziari illimitati, campagne pubblicitarie dai toni angoscianti, tattiche calunniose. OAS_RICH('Middle'); La Grande Armada ostile alla riforma include almeno quattro componenti. Compagnie dalle polizze-salute esose. Medici-capitalisti, azionisti degli stessi ospedali dove prescrivono ai pazienti le analisi su cui loro prelevano una percentuale. Industrie hi-tech delle apparecchiature biomediche. Avvocati specializzati nei processi per "errore medico", i pescecani del contenzioso giudiziario che costringono anche i dottori più onesti a proteggersi moltiplicando procedure inutili. E' la stessa coalizione di poteri forti che nel 1993 fece deragliare la riforma di Bill e Hillary Clinton, e diede un duro colpo alla credibilità di quell'amministrazione. Wendell Potter è un "pentito" della lobby sanitaria. Era un top manager del colosso assicurativo Cigna. Disgustato dalla logica spietata di un business "che assicura solo i sani", oggi lavora al Center for Media and Democracy, per smascherare i metodi dei suoi ex datori di lavoro. "Conosco la loro strategia della paura - dice Potter - e vedo i piani di battaglia già in azione. Hanno una rete di alleati ideologici, si appoggiano sul mondo confindustriale, mobilitano un esercito di opinionisti conservatori, esperti di parte. Martellano nell'opinione pubblica lo spettro di un sistema sanitario socialista, dove fra il paziente e il dottore c'è un burocrate di Stato a decidere. Sono metodi collaudati. Finora hanno sempre funzionato, hanno vinto loro". I metodi a cui allude Potter sono sconcertanti: menzogne, annunci terrificanti mirati alle fasce più deboli della società. Un esempio è questo spot televisivo che va in onda nelle fasce orarie di massimo ascolto. Protagonisti una coppia di anziani. Lui è preoccupato per la diagnosi di una malattia grave. Lei rivela al marito: "Non sarà più possibile curarti, lo Stato ha deciso che non vale la pena assistere chi ha la nostra età, invece dirotta i fondi in favore dell'aborto". Il messaggio è sparato a 360 gradi, vuole fare il pieno di consensi in molte direzioni: fra la terza età, fra chi ha genitori anziani, più gli anti-abortisti e tutte le fedi religiose che difendono la vita. Lo spot riprende un tam tam che già circolava nei media di destra: la riforma Obama è la legalizzazione dell'eutanasia. E' la "soluzione finale" che punta allo sterminio dei vecchi per tagliare i costi. L'appiglio? In una delle varie versioni del progetto di riforma è previsto che lo Stato paghi - solo per gli anziani che ne fanno richiesta - una consulenza medica sulle terapie antidolore e il testamento biologico. Tanto è bastato perché partisse la campagna sull'eutanasia di massa, la "morte di Stato" obbligatoria. Per proteggere il diritto alla vita degli anziani è sceso in campo un fronte di organizzazioni dai nomi ecumenici, rassicuranti: il Consiglio per la Ricerca sulle Famiglie, l'associazione Americani per la Prosperità, il Centro per i Diritti del Paziente. Dietro queste sigle innocenti si nascondono degli strateghi politici di lungo corso, gli anelli di collegamento fra la grande industria e la destra conservatrice. Un personaggio chiave di questo mondo è una donna di 61 anni, Betsy McCaughey, che già ebbe un ruolo di punta nella sconfitta dei Clinton. Repubblicana di destra, ex vicegovernatrice dello Stato di New York, la McCaughey ha un megafono mediatico importante come columnist dell'agenzia stampa Bloomberg (di proprietà del sindaco di New York). Il titolo della sua ultima analisi diffusa su Bloomberg: "Il piano Obama, ovvero come rovinarsi la salute". Betsy è un ospite immancabile in tutti i dibattiti televisivi sulla salute, regolarmente citata come esperta di sanità. Alle sue spalle la McCaughey ha un noto think tank, lo Hudson Institute, che si autodefinisce indipendente ma sforna analisi a senso unico, sparando a zero sulla riforma sanitaria. Lo Hudson fa parte della galassia dei pensatoi conservatori legati all'establishment capitalistico. Nato da una costola della Rand Corporation (vicina all'industria militare), ha tra i suoi finanziatori tutti i colossi dell'industria farmaceutica e biomedica: Ciba Geigy, Eli Lilly, General Electric, Merck, Novartis. E' stata la spregiudicata Betsy a insinuare per prima, in un dialogo alla radio col repubblicano Fred Thompson, che le sessioni di consulenza medica offerte agli anziani "li spingeranno ad accorciare la sopravvivenza, a rinunciare alle cure". Dietro di lei è partito un coro irrefrenabile. La deputata repubblicana Virginia Foxx lo ha detto in un intervento alla Camera: "Impediremo che i nostri vecchi siano mandati a morire da questo governo". Rush Limbaugh, il più popolare anchorman radiofonico di destra, ha definito l'eutanasìa forzata "lo sporco segreto" della riforma Obama. Il gigante assicurativo WellPoint ha contatto i propri clienti esortandoli a far pressione sui parlamentari nei rispettivi collegi. La macchina della disinformazione si è messa in moto, mobilitando risorse di ogni tipo. Anche occulte. La Columbia Journalism Review ha smascherato centinaia di lettere di protesta dei lettori anti-eutanasia pubblicate dai giornali di provincia: tutte false, fabbricate da un'agenzia di relazioni pubbliche che lavora per l'American Health Insurance Plans, cioè l'associazione delle compagnie assicurative. La leader dei democratici alla Camera, Nancy Pelosi, è sbottata: "Quello che stanno facendo le compagnie assicurative è immorale!" Ma anche terribilmente efficace. Obama si è sentito interpellare di persona, la settimana scorsa, mentre era in tournée per spiegare la sua riforma. "E' la promozione dell'eutanasìa?" gli ha chiesto a bruciapelo un'anziana signora. Robert Cramer, stratega elettorale del partito democratico, è convinto che il presidente affronta la prova del fuoco. "La battaglia sulla sanità - dice - sarà decisa dalla paura. Le assicurazioni private sono i padroni dell'angoscia, stanno producendo un film dell'orrore". Matt Miller, un altro intellettuale di sinistra che ha influenza sul presidente (è l'autore del saggio La tirannide delle idee defunte), ammette che in questa fase Obama è "preoccupato per le accuse di socialismo". Al punto da mettere in forse l'elemento decisivo della sua riforma: la creazione di un polo sanitario pubblico, in concorrenza con i privati, per contrastare le tariffe assicurative da rapina. Pur di affondare l'idea del "polo pubblico", la santa alleanza del capitalismo sanitario non bada a spese. I finanziamenti ai partiti politici erogati dalle tre lobby alleate - assicurazioni, industria farmaceutica, business ospedaliero privato - sono già balzati fino a 500 milioni di dollari sul finire dell'anno scorso. L'escalation avanza, nel 2009 batteranno ogni record. Con una logica rigorosamente bi-partisan: un tanto ai repubblicani, un tanto ai democratici. E non sono soldi elargiti a pioggia, ma mirati con cura. In queste ultime settimane una marea di donazioni (tutte dichiarate e quindi legittime in base alla legge Usa) sono andate ai Blue Dog, la corrente moderata del partito democratico: sono i deputati in bilico, che sulla sanità potrebbero passare dalla parte dei repubblicani e sabotare definitivamente il piano Obama. Il capo degli esperti di demoscopea che lavorano per la Casa Bianca, Joel Benenson, consulta nervosamente i sondaggi sulla sanità. Sente l'urgenza di riprendere l'iniziativa: "Bisogna riportare sul banco degli imputati le compagnie assicurative, non lo Stato". I collaboratori di Obama ricordano due dati. 14.000 americani perdono l'assistenza sanitaria ogni giorno: o perché licenziati (l'assistenza è quasi sempre legata al lavoro), oppure perché colpiti da una malattia grave e abbandonati dalle assicurazioni private. Il secondo dato: i top manager delle maggiori compagnie assicurative intascano stipendi medi di 12 milioni all'anno, e fino a 73 milioni di liquidazione. L'assicuratore pentito, Wendell Potter, sa perché le compagnie hanno i mezzi per intimidire Obama. "Sul monte-premi delle polizze, il 20% finanzia voci di spesa che non hanno niente a che vedere con la salute: sono le indagini per scartare i pazienti non abbastanza sani; e le spese di lobbying per influenzare la politica". Decine di milioni di americani, senza saperlo, pagano agli assicuratori un "pizzo" che serve a sabotare la riforma. Contro chi può comprare una fetta del partito democratico, quali chances ha Obama? I più cauti opinionisti democratici già si preparano ad accettare qualsiasi compromesso al ribasso, pur di mascherare una disfatta. I pessimisti rivolgono al presidente lo stesso consiglio usato per l'Iraq: "Dichiara vittoria in fretta, e ritirati". (3 agosto 2009

Torna all'inizio


Nuovo video-messaggio di Al Qaeda: "Obama bugiardo criminale" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 03-08-2009)

Argomenti: Obama

ROMA - Parole minacciose nei confronti di Obama, della Francia e dell'Occidente. Il numero due di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri, torna a fare sentire la sua voce con un lungo messaggio video diffuso oggi dai forum islamici in Internet. Il filmato, della durata di un'ora e 25 minuti, è stato realizzato dalla casa di produzione Al-Sahab a mò di intervista con una voce fuori campo che pone alcune domande di attualità al vice di Osama Bin Laden. Si comincia con un'affermazione: "Abbiamo assistito ad una nuova strage ai danni dei musulmani per mano di Obama, il bugiardo criminale". Il riferimento è al raid del 24 giugno scorso di un drone americano in una zona del Waziristan pachistano dove si svolgeva un funerale e dove sono stati uccisi una settantina di talebani. Commentando questo episodio, il medico egiziano coglie l'occasione per attaccare il presidente americano Barack Obama: "Asserisce di volersi sforzare per cambiare i rapporti con i musulmani ma provoca poi spargimenti del loro sangue - afferma - Se pianta odio nel cuore dei musulmani raccoglierà solo morti". Per questo il numero due di Al Qaeda rinnova l'appello lanciato negli anni precendenti da Bin Laden per una tregua tra l'Occidente e Al Qaeda. "Obama cerca di vendere un'illusione, dice non odiateci, ma intanto ci uccide - aggiunge - Noi offriamo una tregua con l'Occidente che si basi su giuste condizioni". Per Al Zawahiri "è possibile fermare questa guerra tra noi e l'Occidente se loro si ritirano dai territori musulmani, fermano ogni sfruttamento dei nostri beni, accettano un equo scambio dei beni, liberano tutti i nostri prigionieri e non si intromettono nei nostri affari abbandonando tutti i corrotti che governano i nostri paesi". OAS_RICH('Middle'); Nel lungo filmato, intervallato da spezzoni con immagini di repertorio dei discorsi di Obama, si parla anche della Francia e della posizione che le sue autorità hanno assunto nei confronti del velo islamico. "La Francia è un paese laico e odia l'Islam - afferma - per questo ha attaccato il velo, la sua società è una società corrotta dove la donna è un bene di scambio e dove non ci sono regole morali. Si accaniscono contro il velo perchè la donna velata porta alla luce la corruzione della loro società". Al Zawahiri ha quindi annunciato la vittoria di quelli che definisce "mujahidin, che dopo sette anni di occupazione in Afghanistan sono ancora li a fronteggiare l'esercito più potente del mondo. La stessa cosa accade anche negli altri paesi dove la crociata contro l'Islam è fallita come ad esempio in Iraq o in Somalia". A proposito dell'Iraq, accusa il governo di aver mentito sulla situazione della sicurezza nel paese e ribadisce che l'emiro locale di Al Qaeda, Abu Omar Al Baghdadi, sarebbe ancora libero, nonostante l'annuncio della sua cattura da parte delle forze di sicurezza. Questo ultimo video-messaggio di Al Zawahiri è il sesto di una serie iniziata lo scorso anno nella quale l'ideologo di Al Qaeda tenta di dialogare rispondendo a delle domande, evitando lunghi sermoni per ragioni comunicative. Nei primi filmati di questo tipo gli stessi forum jihadisti in Internet raccoglievano le domande degli utenti da porre al medico egiziano. (3 agosto 2009

Torna all'inizio


Obama le zucchine e le tasse (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

Lucia Annunziata Obama le zucchine e le tasse A Michelle le zucchine, a Barack le tasse. La realtà ha modi grandi e piccoli per imporre la sua forza. A marzo Michelle aveva piantato il primo orto della Casa Bianca dai tempi di Eleanor Roosevelt. Il New York Times scrisse allora: «L'orto ha assunto un profondo significato politico, dopo che Obama è stato per mesi sotto pressione di numerosi gruppi ambientalisti che credono che produrre più cibo locale e organico possa portare a una dieta più salutare per tutti, e a ridurre di conseguenza la domanda per le grandi coltivazioni industriali e il loro uso di petrolio per i trasporti, e di sostanze chimiche per fertilizzare». Non solamente un gesto, dunque, non solo un hobby: come tutto quello che riguarda gli Obama, anche l'orto entrava a marzo nell'unica grande tela del cambiamento. Quella teoria un po' volontarista, un po' elitaria, su cui si fonda l'operare del Presidente Usa. L'orto come nuova idea della salute, filo che si dipana, dal dettaglio alla legislazione - quella poi annunciata della riforma dell'assistenza medica - in un unico percorso per la trasformazione stessa dell'Homo Americanus. La fine dell'orto l'abbiamo vista in questi giorni: la Casa Bianca è inquinata, non ha un terreno adatto alla crescita di prodotti organici. Come finirà invece la proposta dell'assistenza medica universale è ancora da vedere. Ma dal dettaglio delle zucchine alla grande rivoluzione medica, si avverte la stessa tensione - il materializzarsi di un progressivo impatto della realtà sulle idee, del realismo sui sogni nel percorso della Presidenza americana. Potenti forze al lavoro, che si sono già misurate intorno alla chiusura di Guantanamo, alla trasparenza sulla sicurezza all'epoca di Bush. Fino alla grande dose di realismo che oggi Obama sembra pronto a ingerire sul più pericoloso dei terreni per ogni politico: le tasse. Il Segretario del Tesoro Tim Geithner e il presidente del Consiglio Economico Nazionale Larry Summers hanno dichiarato, domenica, che la riforma sanitaria e il prolungamento del sostegno ai disoccupati rende quasi inevitabili nuove tasse. Il Presidente ha immediatamente fatto sapere che non ci saranno, comunque, aumenti per la classe media, cioè per coloro che guadagnano meno di 250 mila dollari. Ma, insomma, ci siamo. La promessa ripetuta durante la campagna elettorale, «non vedrete nessuna delle vostre tasse crescere nemmeno di dieci centesimi», è nei fatti rotta. Qual è la sorpresa? Le tasse sono il diavolo in corpo della politica, la loro diminuzione è l'inevitabile promessa elettorale e la inevitabile smentita post elettorale per tutti i politici in tutte le democrazie del mondo. Sorpresa è che tocchi anche a Obama, colui che finora è sembrato saper bilanciare tutto e il suo contrario. Ma la forza dei fatti continua a scavare. In questo caso, i fatti sono i numeri. Mentre l'amministrazione pensa a come finanziare il più ambizioso programma sociale mai avviato, la crisi ha svuotato le casse dello Stato. Un'analisi dei dati economici ufficiali, curata dalla Associated Press, forniva ieri dati preoccupanti: il ritorno delle tasse quest'anno sarà del 18 per cento in meno, mentre il deficit federale raggiungerà il valore record di 1,8 trilioni di dollari. Secondo questa analisi, la crisi ha tirato giù le entrate delle tasse individuali del 22 per cento e quelle aziendali del 57 per cento. L'ultima volta che il ritorno per il governo è stato così basso era il 1932, nel mezzo della Grande Depressione. L'impatto di questa diminuzione di entrate si avverte già su molti dei programmi sociali esistenti, come la Social Security. In sofferenza anche alcuni investimenti nelle infrastrutture vitali per gli Usa, quali le autostrade e gli aeroporti. La minore attività produttiva ha ridotto i fondi che alimentavano questi progetti. Il Congresso ha dovuto già intervenire, approvando una nuova tranche di finanziamento (8 miliardi di dollari) oltre ai 7 miliardi approvati all'inizio dell'anno e già finiti in agosto. Da dove verranno tutti questi soldi? A dispetto dei segni positivi, il recupero economico dovrebbe essere molto veloce e di grandi proporzioni per evitare il ricorso a nuove tasse. Quali tasse, poi? Per ora si parla di varie ipotesi, dalle tasse sui soft drinks, alle tasse sui ricchi o sulle società, fino alla cancellazione delle esenzioni per i super-ricchi introdotte da Bush. Prospettive che non vengono guardate con alcuna simpatia, specie nella comunità degli affari. Secondo Business Week «azioni di questo tipo incoraggerebbero molte società a registrarsi altrove, spostando le loro sedi e le loro operazioni all'estero». Che resta a un Presidente se non prendere atto? O trovare altre vie che nessuno ha finora immaginato.

Torna all'inizio


Al-Zawahiri offre una tregua a Obama (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

NUOVO VIDEO DEL NUMERO DUE DI AL-QAEDA Al-Zawahiri offre una tregua a Obama DUBAI «L'offerta di una tregua presentata da Al-Qaeda alla precedente amministrazione americana nel 2006 è ancora valida anche per il presidente Barack Obama». Lo ha dichiarato il numero due della rete terroristica, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri con un lungo video preparato dal braccio mediatico di al Qaeda. «Se Obama vuole raggiungere un'intesa, allora dovrebbe rispondere alle due offerte di tregua dello sceicco Osama bin Laden» spiega al-Zawahiri, che accusa Obama di vendere un'illusione. Il vice di bin Laden dice di offrire «una tregua con l'Occidente che si basi su giuste condizioni». «I combattenti di Al-Qaeda - prosegue nel video - continueranno la loro lotta fino a quando l'Occidente non avrà accettato le loro condizioni e il minimo che i mujaheddin sono disposti ad accettare è il ritiro delle truppe infedeli da tutta la terra dell'Islam è la fine del furto delle ricchezze dei musulmani sotto la minaccia del potere militare». Al- Zawahiri irride gli sforzi di Obama per allentare le tensioni con i musulmani paragonando il nuovo presidente americano «a un lupo le cui zanne stanno lacerando la vostra carne. I suoi artigli vi stanno afferrando la faccia, vi fa perdere sangue, poi vi dice di smetterla di difendervi perché vuole fare la pace con voi». \

Torna all'inizio


Hillary: l'Africa in 11 giorni (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

IL SEGRETARIO DI STATO COMINCIA DAL KENYA UN TOUR CHE TOCCHERÀ 7 PAESI Hillary: l'Africa in 11 giorni [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Risoluzione dei conflitti, sviluppo economico e lotta all'Aids. Sono queste le priorità del viaggio che vedrà Hillary Clinton visitare sette Paesi africani nel giro di undici giorni. Il tour rappresenta il primo passo concreto dell'impegno assunto da Barack Obama nei confronti del continente più depresso del mondo. In Kenya, la prima tappa, la Clinton parteciperà al Sub-Saharan Africa Trade and Economic Cooperation Forum di Nairobi, durante il quale saranno esaminati nuovi approcci per lo sviluppo economico e nuove politiche per l'accesso agli investimenti stranieri in particolare rivolti alle aree rurali. La prima tappa terminerà con un incontro col presidente somalo, Sheik Sharif Sheik Ahmed, al quale gli Stati Uniti hanno offerto il loro sostegno nella lotta contro gli estremisti islamici legati ad al-Qaeda. La seconda tappa vedrà l'ex First Lady in Sud Africa dove chiederà al presidente Jacob Zuma di attivarsi per una mediazione che ponga fine alle ostilità nel vicino Zimbabwe. Successivamente il segretario di Stato sarà in Angola, Paese ricco di materie prime e per questo molto corteggiato dalla Cina, per poi fermarsi nella Repubblica democratica del Congo dove da anni sono dispiegati i caschi blu dell'Onu con il compito di fermare le violenze causate dagli squadroni della morte infiltrati dal vicino Ruanda. Sarà quindi la volta della Nigeria grande fornitore di energia per gli Usa alle prese con gli attentati di gruppi fondamentalisti come quelli che hanno di recente partecipato a scontri con la polizia durante i quali sono morte 700 persone. Nella penultima tappa in Liberia, la Clinton incontrerà l'unico presidente donna del continente, Ellen Johnson Sirleaf, un simbolo della lotta per l'emancipazione femminile in una realtà complicata come quella africana, per poi terminare il viaggio nelle isole di Capo Verde considerate un importante esempio di modello di democrazia.

Torna all'inizio


Prendiamo l'ultimo grido del gioco aperitivo , un classico del ceto medio in vacanza... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

Prendiamo l'ultimo grido del «gioco aperitivo», un classico del ceto medio in vacanza nei villaggi turistici. Scordatevi il karaoke, la musica è roba superata. Il massimo quest'anno è indovinare al primo colpo sigle e citazioni dei telefilm Anni 70-80, con medici affermati che si sgolano a cantare «nano nano» da Mork e Mindy, e cauti commercialisti che ribattono colpo su colpo con «Che cavolo stai dicendo Willis?» dal Mio amico Arnold. E' un momento d'oro per le vecchie serie americane, con cui sono cresciute le generazioni dei quaranta cinquantenni: dal 1° agosto gli appassionati hanno addirittura un canale tutto per loro, Fox Retro, sul bouquet di Sky, dove possono vedersi a ripetizione Charlie's Angels, Baywatch, Miami Vice, I Jefferson, Love Boat. Serie magari stilisticamente un po' così, ma che hanno indubbiamente influenzato l'immaginario collettivo, e di cui molti personaggi dello spettacolo non hanno mai fatto mistero di essere fan (dal dj Linus a Paola Cortellesi, da Gianni Boncompagni a Valerio Mastrandrea). Una passione che li accomuna a molti insospettabili: nella sua autobiografia I'm Not Serious l'ex campione di tennis americano John McEnroe racconta che quando nel 1984 ha iniziato a uscire con l'attrice Tatum O'Neal (che in seguito avrebbe sposato) era eccitatissimo dall'idea di fare sesso nella casa dove abitava la compagna del padre di Tatum, Farrah Fawcett (recentemente scomparsa per un tumore), sua fantasia erotica adolescenziale quando era una delle Charlie's Angels. D'altronde, come sostiene il saggio di Chiara Poli e Leopoldo Damerini (instancabile organizzatore del Telefilm Festival milanese) recentemente uscito per Garzanti, La vita è un telefilm. La saggezza del nuovo millennio nelle 2020 migliori battute delle grandi serie televisive, «da decenni il senso della vita - più che la famiglia, la scuola, le chiese o i partiti - ce lo insegnano i telefilm, attraverso le loro storie, i loro protagonisti, le loro battute memorabili». Così a guardare Fox Retro non sono solo gli inguaribili nostalgici che rivedendo vecchie serie cercano di ritornare all'età d'oro della loro infanzia e adolescenza. Gli stessi che leggono ristampe di vecchi fumetti (Tex, i supereroi della Marvel), che giocano ai primissimi videogame per Commodore 64 e sospirano davanti agli incontri di tennis di Bjorn Borg. Ci sono anche quelli chee, un po' traumatizzati da serie «per iniziati» come Lost e Heroes (spesso incomprensibili per lo spettatore casuale e anche piuttosto pessimiste), le vedranno per l'ironia, la solarità, la scrittura felice e le trame lineari, le apprezzeranno quindi più per il loro valore intrinseco che per «l'effetto nostalgia». Non pochi infine rivedranno le vecchie serie pur amando molto anche quelle attuali. Guardare Fox Retro è anche un modo per rendersi conto di come la serialità attuale sia «figlia» di quella degli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Le Charlie's Angels, così glamour e segretamente innamorate del capo (il ricco Charlie, che non appare mai) possono magari sembrare «sessiste» agli spettatori attuali, ma in realtà sono state un modello di donne vincenti per più generazioni di ragazzine (che spesso giocando si ribattezzavano con i nomi degli Angeli). Inoltre probabilmente non avremmo avuto eroine «al femminile» come Buffy l'ammazzavampiri interpretata da Sarah Michelle Gellar) o come le Streghe della serie omonima (le attrici Alyssa Milano, Holly Marie Combs, Shannen Doherty e Rose McGowan) senza gli Angeli di Charlie a fare da apripista. Lo stesso Lost, come ha dichiarato uno dei suoi creatori Damon Lindelof, è stato fortemente influenzato, nello stile narrativo (allusivo e contorto) e nei temi (fantastici) da serie Anni Novanta come Twin Peaks di David Lynch e X-Files di Chris Carter. Il Tony DiNozzo eroico agente e tombeur des femmes del serial NCIS è senz'altro «figlio» di Tom Selleck-Magnum P.I., il detective privato delle Hawaii (del resto le serie condividono lo stesso creatore, Donald P. Bellisario), anche se Di Nozzo è preso meno sul serio dalle donne (i tempi sono cambiati). Le bagnine di Baywatch (in testa un'icona sexy come Pamela Anderson) possono essere considerate delle «protoveline»: nella serie la trama contava poco, tutti volevano vedere i pezzi in stile video in cui le ragazze erano inquadrate mentre nuotavano o posavano per servizi di moda, erano un po' come gli «stacchetti» delle veline. Non dimentichiamo poi che molti divi di oggi si sono fatti le ossa con quei telefilm: in un episodio di Charlie's Angels esordisce una giovanissima Kim Basinger, Michelle Pfeiffer recita nel ruolo di Jobina in Chips 3, mentre un Sylvester Stallone ragazzo indossa i panni del detective Rick Daley in Kojak 3. Per non parlare dell'effetto che questi telefilm hanno avuto sulla sfera sociale e politica. La sitcom degli Anni Settanta I Jefferson parlava della vita di due afroamericani arricchiti, testimoniava che l'America stava cambiando e che i neri non erano poi così diversi dai bianchi (il ricco George Jefferson era razzista nei confronti dei «visi pallidi» come e più di questi nei suoi confronti). E forse è anche grazie a questa serie se adesso il presidente degli States è Barack Obama.

Torna all'inizio


Operazione tele-nostalgia (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

PROGENITORI PRIMI PASSI Dietro il successo del canale "vintage" Fox Retro una generazione cresciuta a polizieschi e sit com «Lost» si ispira chiaramente a «Twin Peaks» di Lynch «NCIS» si rifà a «Magnum P.I.» Michelle Pfeiffer esordisce con una particina in «Chips» Sylvester Stallone in «Kojak» Operazione tele-nostalgia Prendiamo l'ultimo grido del «gioco aperitivo», un classico del ceto medio in vacanza nei villaggi turistici. Scordatevi il karaoke, la musica è roba superata. Il massimo quest'anno è indovinare al primo colpo sigle e citazioni dei telefilm Anni 70-80, con medici affermati che si sgolano a cantare «nano nano» da Mork e Mindy, e cauti commercialisti che ribattono colpo su colpo con «Che cavolo stai dicendo Willis?» dal Mio amico Arnold. E' un momento d'oro per le vecchie serie americane, con cui sono cresciute le generazioni dei quaranta cinquantenni: dal 1° agosto gli appassionati hanno addirittura un canale tutto per loro, Fox Retro, sul bouquet di Sky, dove possono vedersi a ripetizione Charlie's Angels, Baywatch, Miami Vice, I Jefferson, Love Boat. Serie magari stilisticamente un po' così, ma che hanno indubbiamente influenzato l'immaginario collettivo, e di cui molti personaggi dello spettacolo non hanno mai fatto mistero di essere fan (dal dj Linus a Paola Cortellesi, da Gianni Boncompagni a Valerio Mastrandrea). Una passione che li accomuna a molti insospettabili: nella sua autobiografia I'm Not Serious l'ex campione di tennis americano John McEnroe racconta che quando nel 1984 ha iniziato a uscire con l'attrice Tatum O'Neal (che in seguito avrebbe sposato) era eccitatissimo dall'idea di fare sesso nella casa dove abitava la compagna del padre di Tatum, Farrah Fawcett (recentemente scomparsa per un tumore), sua fantasia erotica adolescenziale quando era una delle Charlie's Angels. D'altronde, come sostiene il saggio di Chiara Poli e Leopoldo Damerini (instancabile organizzatore del Telefilm Festival milanese) recentemente uscito per Garzanti, La vita è un telefilm. La saggezza del nuovo millennio nelle 2020 migliori battute delle grandi serie televisive, «da decenni il senso della vita - più che la famiglia, la scuola, le chiese o i partiti - ce lo insegnano i telefilm, attraverso le loro storie, i loro protagonisti, le loro battute memorabili». Così a guardare Fox Retro non sono solo gli inguaribili nostalgici che rivedendo vecchie serie cercano di ritornare all'età d'oro della loro infanzia e adolescenza. Gli stessi che leggono ristampe di vecchi fumetti (Tex, i supereroi della Marvel), che giocano ai primissimi videogame per Commodore 64 e sospirano davanti agli incontri di tennis di Bjorn Borg. Ci sono anche quelli chee, un po' traumatizzati da serie «per iniziati» come Lost e Heroes (spesso incomprensibili per lo spettatore casuale e anche piuttosto pessimiste), le vedranno per l'ironia, la solarità, la scrittura felice e le trame lineari, le apprezzeranno quindi più per il loro valore intrinseco che per «l'effetto nostalgia». Non pochi infine rivedranno le vecchie serie pur amando molto anche quelle attuali. Guardare Fox Retro è anche un modo per rendersi conto di come la serialità attuale sia «figlia» di quella degli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Le Charlie's Angels, così glamour e segretamente innamorate del capo (il ricco Charlie, che non appare mai) possono magari sembrare «sessiste» agli spettatori attuali, ma in realtà sono state un modello di donne vincenti per più generazioni di ragazzine (che spesso giocando si ribattezzavano con i nomi degli Angeli). Inoltre probabilmente non avremmo avuto eroine «al femminile» come Buffy l'ammazzavampiri interpretata da Sarah Michelle Gellar) o come le Streghe della serie omonima (le attrici Alyssa Milano, Holly Marie Combs, Shannen Doherty e Rose McGowan) senza gli Angeli di Charlie a fare da apripista. Lo stesso Lost, come ha dichiarato uno dei suoi creatori Damon Lindelof, è stato fortemente influenzato, nello stile narrativo (allusivo e contorto) e nei temi (fantastici) da serie Anni Novanta come Twin Peaks di David Lynch e X-Files di Chris Carter. Il Tony DiNozzo eroico agente e tombeur des femmes del serial NCIS è senz'altro «figlio» di Tom Selleck-Magnum P.I., il detective privato delle Hawaii (del resto le serie condividono lo stesso creatore, Donald P. Bellisario), anche se Di Nozzo è preso meno sul serio dalle donne (i tempi sono cambiati). Le bagnine di Baywatch (in testa un'icona sexy come Pamela Anderson) possono essere considerate delle «protoveline»: nella serie la trama contava poco, tutti volevano vedere i pezzi in stile video in cui le ragazze erano inquadrate mentre nuotavano o posavano per servizi di moda, erano un po' come gli «stacchetti» delle veline. Non dimentichiamo poi che molti divi di oggi si sono fatti le ossa con quei telefilm: in un episodio di Charlie's Angels esordisce una giovanissima Kim Basinger, Michelle Pfeiffer recita nel ruolo di Jobina in Chips 3, mentre un Sylvester Stallone ragazzo indossa i panni del detective Rick Daley in Kojak 3. Per non parlare dell'effetto che questi telefilm hanno avuto sulla sfera sociale e politica. La sitcom degli Anni Settanta I Jefferson parlava della vita di due afroamericani arricchiti, testimoniava che l'America stava cambiando e che i neri non erano poi così diversi dai bianchi (il ricco George Jefferson era razzista nei confronti dei «visi pallidi» come e più di questi nei suoi confronti). E forse è anche grazie a questa serie se adesso il presidente degli States è Barack Obama.

Torna all'inizio


certificati, bugie e videotape contro obama tornano i "birthers" - angelo aquaro (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 14 - Esteri Certificati, bugie e videotape contro Obama tornano i "birthers" "Non è nato negli Usa": il regalo di compleanno dell´ultra destra Cause legali, dichiarazioni ufficiali, proposte di legge: un delirio legato all´anagrafe ANGELO AQUARO DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Il regalo che Barack Obama voleva tanto ricevere per il suo 48esimo compleanno, oggi, martedì 4 agosto, era una lettera firmata Phil J. Berg, l´ex sostituto procuratore della Pennsylvania, quello che tentò di trascinare in tribunale George W. Bush e Saddam Hussein come «corresponsabili» dell´11 settembre. Bastava una frase, un rigo appena: «Sono un cretino, scusa». E invece no. L´uomo che per primo ha sostenuto che Barack non è nato alle Hawaii il 4 agosto 1961 alle 7.24 della sera, il capostipite dei "birthers", di chi dice che è nato in Africa, non solo non ha scritto nessuna lettera di scuse, ma ha messo il suo nome in calce a quelle diecimila missive preconfezionate dal sito di destra WorldNetDaily che ora stanno intasando la posta di 1600 Pennsylvania Avenue: «Nel giorno del tuo compleanno, ti chiedo di fare l´unica cosa giusta: facci vedere il tuo vero certificato di nascita». Fosse facile. Otto cause intentate, due arrivate fino alla Corte Suprema, un pronunciamento ufficiale del Congresso, uno della Casa Bianca, una proposta di legge al Congresso, due dichiarazioni del governo delle Hawaii. E, ancora, il figlio di un ex presidente (Michael Reagan), la figlia di un ex vicepresidente (Liz Cheney) e un illustre commentatore della Cnn (Lou Dobbs) tra i negazionisti. Può bastare a dare l´idea di cosa è diventato il dibattito sul certificato di nascita del presidente? Tutto comincia un anno fa, quando per spegnere Berg e i dubbi dell´americano medio, i sostenitori di Barack mettono online il certificato di nascita. Apriti cielo. I birthers gongolano: «Quella è una copia al computer: perché non mostrare l´originale?». L´originale è quello lì, nel senso che è la copia che qualsiasi ufficio anagrafe del mondo fornirebbe. «Macché, la mamma americana e il papà africano l´hanno fatto nascere in Kenya, qui è arrivato dopo, al massimo è un cittadino inglese, allora Nairobi era una colonia». La replica: ecco, questo è l´annuncio sui giornali delle Hawaii, l´Honolulu Avertiser e lo Star Bulletin, pagina nascite & decessi: può bastare? Non basta. La campagna si riaccende con un video che fa il giro su YouTube, una birther invasata urla contro un senatore repubblicano, il povero Mick Castle: come potete permettere che a Washington sieda un non-americano? I repubblicani la tentazione di cavalcare l´affaire ora ce l´hanno. Facciamo una legge, dicono, in cui ai candidati presidenti si fa obbligo di presentare il certificato di nascita. E i democratici? Nel documento che l´altro giorno celebrava i 50 anni dell´ingresso di Honolulu negli States tentano il blitz: «Le Hawaii, cioè lo Stato dove è nato Barack Obama...». Un delirio. «Ho visto i documenti conservati dal ministero della Salute: Barack Hussein Obama è cittadino americano per nascita», giura la direttrice del ministero della Salute di Honolulu, Chiyome Fukino. E Robert Gibbs, il portavoce della Casa Bianca, sconsolato: «Neppure la prova del Dna riuscirebbe a placare chi nega che il presidente sia nato qui. Ma ho una notizia da dare a loro e a tutti noi: il presidente è nato ad Honolulu, Hawaii, il 50esimo stato del più grande Paese sulla faccia della Terra». Così grande che c´è posto per quel buontempone che ieri ha messo sul web l´ultimo tarocco: il certificato made in Kenya. Gli dev´essere sfuggito quel passaggio di «Dreams of My Father», l´autobiografia da 160 settimane tra i bestseller Usa in cui (pagina 26 dell´edizione economica) il futuro presidente racconta di aver trovato in casa dei nonni un articolo del padre, «infilato tra il mio certificato di nascita e le vecchie carte delle vaccinazioni». Ripescalo ancora, Barack...

Torna all'inizio


le pressioni della casa bianca sulle tv "il presidente vuole sempre il prime time" - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 14 - Esteri Per superare le resistenze dei direttori il capo di Gabinetto Emanuel si rivolge direttamente ai proprietari Le pressioni della Casa Bianca sulle tv "Il presidente vuole sempre il prime time" FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente NEW YORK - In soli sei mesi alla Casa Bianca, Barack Obama ha già conquistato per ben quattro volte il prime-time televisivo, la fascia d´ascolto più preziosa per i network, riservata ai programmi di massimo gradimento. George Bush ci aveva messo l´intera presidenza, otto anni su due mandati, per raggiungere lo stesso numero di apparizioni tv. Senza contare che Obama ha anche moltiplicato le interviste "esclusive", è stato ospite di tutti i programmi più noti, da 60 minutes a The Tonight Show. Tutto merito di una popolarità personale che ha pochi precedenti nella storia, sostengono i suoi collaboratori. Bill Burton dell´ufficio stampa della Casa Bianca, cita come prova l´assedio dai rotocalchi della celebrity press: «E´ come se il presidente fosse George Clooney». Ma il carisma non è tutto. Per spiegare l´onnipresenza del presidente in tv, il Washington Post rivela un retroscena meno lusinghiero: le pressioni formidabili esercitate dal suo entourage sui network televisivi. Talvolta con metodi spregiudicati: scavalcando i direttori delle reti per rivolgersi ai proprietari. In questo "lavoro sporco" eccelle l´eminenza grigia della Casa Bianca, il capogabinetto Rahm Emanuel. Un uomo noto per la sua aggressività, che viene dal clan dei Clinton e si è formato nella dura scuola politica di Chicago ancora prima che vi si affacciasse Obama. Quando ha chiesto il prime time per la quarta conferenza stampa del presidente, Emanuel ha urtato con la resistenza dei network. Per le emittenti l´invasione presidenziale della fascia di massimo ascolto ha dei costi esorbitanti: il discorso politico va in diretta, non può essere interrotto dagli spot pubblicitari. Le tre tv generaliste, Abc, Cbs e Nbc, hanno perso dall´inizio dell´anno 40 milioni di dollari di fatturato pubblicitario per "ospitare" il presidente. Di fronte a queste obiezioni Emanuel si è rivolto alla proprietà. Per forzare la mano alla direzione di Abc ha chiamato il chief executive della capogruppo, Bob Iger della Disney. Per piegare la resistenza di Nbc ha fatto leva sul numero uno della holding controllante, Jeffrey Immelt della General Electric (che è anche uno dei consiglieri economici di Obama). In una stagione in cui buona parte del capitalismo americano dipende dagli aiuti pubblici per uscire dalla crisi, queste tattiche sono ai limiti della correttezza. In privato i chief executive delle tv ammettono di sentirsi "sotto pressione". E non è detto che il metodo Emanuel funzioni. Anche tra i fan di Obama sale il dubbio che la sovraesposizione gli stia nuocendo. Di certo ha già provocato una lenta ma inesorabile erosione della audience. Dalla sua prima conferenza stampa in prime time alla quarta, l´indice di ascolto si è assottigliato del 50%.

Torna all'inizio


khamenei "incorona" ahmadinejad - francesca caferri (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 15 - Esteri Khamenei "incorona" Ahmadinejad Gelo e gaffe alla cerimonia d´investitura, non si fermano le proteste a Teheran Assenti dalla platea Moussavi e gli ex capi di Stato Khatami e Rafsanjani FRANCESCA CAFERRI Mahmud Ahmadinejad è ufficialmente presidente dell´Iran per i prossimi quattro anni: l´investitura da parte della Guida suprema, Ayatollah Ali Khamenei, avvenuta ieri, è la prima delle tappe del processo di conferma. Domani giurerà di fronte al Parlamento, poi avrà due settimane per presentare il nuovo governo. La cerimonia di ieri, se da un lato ha sottolineato ancora una volta il sostegno che la Guida Suprema offre al presidente di fronte ai riformisti - che reclamano la vittoria nel voto del 12 giugno - dall´altro ha reso evidente il momento di difficoltà di Ahmadinejad. Quando, verso il finale, il presidente si è avvicinato a Khamenei per baciargli la mano in segno di rispetto come aveva fatto quattro anni fa, la Guida Suprema lo ha bloccato e solo dopo un attimo di tensione ha acconsentito che gli baciasse invece la spalla sinistra. Il gesto è stato interpretato come un segno della freddezza che regna fra i due principali esponenti del fronte conservatore , che restano però compatti di fronte ai riformatori. Nel presentare Ahmadinejad, Khamenei ha parlato di «un uomo coraggioso, un lavoratore indefesso e intelligente»: «il voto deciso e senza precedenti degli iraniani riflette l´approvazione dell´operato del governo uscente», ha concluso. E nel suo discorso di accettazione il presidente ri-eletto ha risposto mettendo in guardia contro «l´ingerenza dei paesi stranieri». «Ai governi che si sono intromessi dico: avete commesso un´ingiustizia». Alla cerimonia di ieri non sono intervenuti i due ex presidenti schierati con i riformisti, Akbar Hashemi Rafsanjani e Mohammad Khatami. Lo stesso hanno fatto i due sfidanti usciti sconfitti dal calcolo ufficiale dei risultati, Mir Hossein Moussavi e Mehdi Karroubi: le loro sedie vuote sono il segno di una spaccatura all´interno del paese, dimostrata anche dai segnali che arrivano dalla strada. Ieri sera a Teheran qualche centinaio di persone che si erano radunate per protestare sono state disperse dalla polizia. Il fronte riformista sembra comunque determinato ad attendere le prossime mosse del presidente. La formazione del governo non sarà semplice per Ahmadinejad: nelle ultime settimane ha perso i consensi di molti conservatori che lo hanno accusato di non ascoltare abbastanza Khamenei. In previsione di un governo di stampo ultra-conservatore gli Stati Uniti, secondo quanto riportato ieri dal New York Times starebbero mettendo a punto una serie di nuove sanzioni da presentare all´Onu. Verrebbero applicate se da Teheran arrivasse un "no" all´offerta di dialogo sul nucleare lanciata dall´amministrazione Obama. Ieri della situazione a Teheran è tornata a parlare il segretario di Stato Hillary Clinton: ha chiesto immediate risposte sulla sorte di tre turisti americani catturati nei giorni scorsi dopo aver sconfinato in Iran da un sentiero che parte dall´Iraq.

Torna all'inizio


paul mccartney dedica "michelle" alla signora obama (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 43 - Spettacoli Washington Il remake Festival Torino, nuovo premio a Coppola e Kusturica Paul McCartney dedica "Michelle" alla signora Obama Il nuovo film di Spielberg è "Harvey"

Torna all'inizio


povera ma fa bene è la rivincita sugli integratori - angelo aquaro new york (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 33 - Cronaca Per anni surclassata dalle carissime A e C, previene cancro, osteoporosi e influenza A Tanto che i medici americani chiedono al governo di aumentarne la dose quotidiana Povera ma fa bene è la rivincita sugli integratori Duemila studi molto recenti la rivalutano ma un bambino su due soffre di deficit ANGELO AQUARO NEW YORK dal nostro inviato Il D-Day è per questa mattina. Quando gli inviati dell´Istituto nazionale di medicina siederanno davanti ai colleghi dell´Accademia nazionale delle scienze, a Washington, la sorte della D, la cenerentola delle vitamine, sarà decisa. Riusciranno i nostri eroi a convincere il governo federale a innalzare la dose quotidiana raccomandabile? Basteranno i report sul deficit tra i bambini (ne soffre più di uno su due, rivela il Washington Post) a rivedere le linee guida ferme a dodici anni fa? Ma soprattutto: in tempi di recessione, e mentre Obama si danna sulla riforma sanitaria, riusciranno i difensori della D, la vitamina più economica, a sconfiggere le lobby degli integratori, ovviamente più interessate a vendere costosissimi multiprodotti, per la gioia di un mercato da 23 miliardi dollari? Surclassata dalla popolarissima C, panacea per influenze e raffreddori, sorpassata anche dalla A, sostegno alla vista in un mondo sempre più occhiale-dipendente, la D è considerata, nomen omen, vitamina da «quarta serie». Certo si riconosce il suo indispensabile valore di coadiuvante del calcio nella formazione delle ossa. Però fino a poco tempo fa non c´era da preoccuparsi: la fonte d´approvvigionamento, al contrario che per le altre vitamine ricavate dai cibi, era la luce del sole. Più gratis di così. Il primo campanello d´allarme suona, sempre negli Usa, a metà del secolo scorso. Con l´urbanizzazione, il cambiamento degli stili di vita, per i ragazzi c´è sempre meno sole, così per combattere il rachitismo e altre malattie delle ossa la vitamina D viene aggiunta direttamente al latte. Poi, una lunga storia di decadenza. Gli scaffali di D, in quei supermercati farmaceutici che sono Vitamine Shoppe, Walgreen o Duane Reade, non reggono al confronto con la concorrenza di A e B. «Ma perché non sceglie un multivitaminico?», chiede Marlene, la cassiera del Gnc Shop di Columbus, sull´Upper West di New York. Beh, forse perché quell´unico flaconcino di vitamina D, quasi nascosto, costa 8.99, e invece quel multivitaminico lì in bella mostra 23 dollari e 90? Eppure, nell´ultimo anno 2274 studi scientifici si sono concentrati sull´importanza della D. Non solo ossa e calcio. Le ricerche hanno intercettato i recettori della vitamina in tante altre parti del corpo. Uno studio pubblicato a luglio sugli Annali di epidemiologia sostiene il legame tra assorbimento di D e abbassamento dei rischi di tumore al seno, al colon, alle ovaie e alla prostata. Ricerche sugli animali e in laboratorio dimostrerebbero l´importanza della vitamina in molti meccanismi cellulari che danno origine ai tumori. Un altro studio del National Cancer Istitute suggerisce che chi assume più D riduce della metà il rischio di ammalarsi di tumore. Bassi livelli di D influirebbero sull´Alzheimer, sulla sclerosi multipla, sul Parkinson, perfino sull´autismo. Chiarisce al Los Angeles Times Karen Hansen dell´Università del Wisconsin: «Chi mostra livelli di D più alta potrebbe anche essere in salute per altre ragioni». Insomma le ricerche si limitano a sottolineare un link. Che i governi più avvertiti però non si lasciano sfuggire. L´istituto di sanità del Canada, per esempio, sta studiando l´impatto della vitamina D sulla influenza A, che in Nordamerica si continua a chiamare con più pragmatismo suina, anche perché è già dimostrato che il deficit di questa vitamina si ripercuote sul sistema immunitario. La battaglia è appena cominciata: riuscirà la vitamina del sole a uscire dall´ombra in cui l´abbiamo noi stessi cacciata?

Torna all'inizio


- giorgio lonardi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 21 - Economia Listini trainati dai dati americani. Bofa pagherà multa da 33 milioni per i bonus Merrill Lynch GIORGIO LONARDI MILANO - Trainate dai dati positivi dell´economia americana, nettamente superiori alle aspettative, le Borse europee toccano i massimi degli ultimi nove mesi. E così Londra cresce dell´1,61% a 4.682,46 punti, il Dax di Francoforte fa un balzo dell´1,78%, l´Ftse Mib di Milano avanza dell´1,65% a 20.914,44 punti e il Cac di Parigi guadagna l´1,50%. Sugli scudi il comparto bancario dove spiccano i buoni risultati delle semestrali di Barclays e Hsbc, i cui titoli alla City guadagnano rispettivamente il 7,08% e il 4,88%. Mentre le attese per la trimestrale di Unicredit che sarà presentata oggi fanno salire del 4,87% le azioni dell´istituto guidato da Alessandro Profumo. Positive anche le banche popolari, con Bpm (+3,18%) e Banco Popolare a +3,26%. Bene Ubi Banca (1,22%) e Mps (+1,60%). Quanto a Intesa chiude con un +0,57%. Insomma, sembra proprio che nelle Borse, ormai in rialzo da nove sedute consecutive, si stia consolidando una fase di ottimismo. E che questo mood sia ispirato da quanto avviene negli Stati Uniti dove l´indice Standard & Poor´s 500 rompe la soglia dei 1.000 punti per la prima volta dallo scorso novembre. Il Dow Jones sale dell´1,25% a 9.286,56 punti, il Nasdaq avanza dell´1,52% (mentre lo S&P 500 guadagna l´1,52%). I mercati, dunque, puntano le loro carte su una uscita anticipata dalla crisi. E non si tratta solo di fiducia nei confronti dell´amministrazione Obama. Ma anche della presa d´atto che le banche stanno macinando profitti come conferma il caso di Hsbc che sorprende gli analisti con i suoi 3,35 miliardi di utili. E forse anche l´accordo siglato ieri da Bank of America, (paga una multa di 33 milioni di dollari alla Sec per chiudere la vicenda sui bonus concessi ai manager di Merrill Lynch) può contribuire a migliorare il clima. è dunque in questo quadro che va valutato il boom delle quotazioni del greggio: in particolare, il Brent ha toccato quota 73,70 dollari a barile; mentre a New York il Wti (con consegna a settembre) ha raggiunto i 71,55 dollari. Effetto dell´ottimismo per una ripresa dei consumi energetici. Mentre il dollaro è piombato ai minimi (1,44) dallo scorso dicembre contro l´euro. Certo, già ieri mattina le piazza finanziarie europee erano in fibrillazione puntando sul rialzo. A parte Tokyo (-0,04%) le borse asiatiche, infatti, avevano chiuso positivamente mentre i colossi bancari nipponici Mitsubishi Ufj (+6,01%) e Mizhuo (+6,05%) si rincorrevano al rialzo. Tuttavia sono stati i dati Usa migliori delle aspettative a mettere il turbo ai mercati finanziari del vecchio continente. A cominciare dall´indice Ism manifatturiero di luglio che è cresciuto più del previsto scattando dai 44,8 punti di giugno per raggiungere di slancio i 48,9 punti. Un salto che ha avvicinato lo stesso Ism alla «magica» quota dei 50 punti, quella che separa una fase di contrazione economica da una di espansione. Gli analisti invece si aspettavano che lo Ism segnasse solo 46,2 punti. Stessa musica per la spesa per costruzioni che a giugno è salita dello 0,3% mentre gli analisti prevedevano una nuova contrazione dello 0,5% dopo il calo dello 0,8% registrato in maggio. Una spesa, va sottolineato, che è tornata a crescere grazie agli investimenti pubblici in edilizia, che sono saliti dell´1% a 321,75 miliardi di dollari.

Torna all'inizio


i teocon scalano la rivista neocon - new york (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 41 - Cultura Murdoch vende "The Weekly Standard" a un magnate fondamentalista I TEOCON SCALANO LA RIVISTA NEOCON Diretto da Kristol, ha avuto un ruolo fondamentale durante il governo di Bush NEW YORK è la scalata dei teocon alla roccaforte culturale dei neocon. The Weekly Standard, il più autorevole magazine di riferimento per la destra repubblicana, è stato venduto da Rupert Murdoch al petroliere Philip Anschutz, misterioso magnate legato agli ambienti del fondamentalismo cristiano. Il passaggio di proprietà di questa testata sembra preludere a un "assestamento sismico" nella galassia della destra americana, ancora sotto choc per la vittoria di Obama alle presidenziali. Non a caso il primo bastione a cadere è il settimanale diretto da William Kristol: a quest´ultimo, che fu consigliere di John McCain nella campagna presidenziale, vengono imputati degli errori fatali come la scelta di Sarah Palin. The Weekly Standard ha un passato glorioso alle spalle, un futuro più incerto. Il suo fondatore e direttore fa parte di una "stirpe" che ha segnato la storia della riscossa conservatrice in America. William Kristol è figlio di Irving, che fu direttore della rivista Commentary e venne definito "il patriarca del movimento neocon": una corrente di pensiero nata negli ambienti dell´intellighenzia ebraica di New York, ex-liberal e progressista, delusa per i "cedimenti" dei democratici all´Urss durante la guerra fredda. Dopo aver lavorato ai fianchi di un illustre progressista, il democratico Patrick Moynihan, William Kristol fece il salto dall´altra parte della barricata diventando capogabinetto del ministro dell´Istruzione sotto la presidenza di Ronald Reagan. Durante l´èra Clinton, Kristol fu uno dei registi della battaglia repubblicana per affondare la riforma sanitaria. E´ passato alla storia un suo "appunto strategico" fatto circolare dentro il partito repubblicano nel 1993, con la direttiva di "uccidere" la riforma della sanità. "Se Clinton ce la fa scriveva Kristol il ceto medio tornerà a identificare lo Stato come una fonte di sicurezza per il cittadino, si diffonderà un´immagine positiva della spesa pubblica, i democratici ne uscirebbero come i migliori difensori degli interessi collettivi. E´ quello che va evitato ad ogni costo". Fondato nel 1995, con Rupert Murdoch come editore fin dalle origini, The Weekly Standard si impose come il laboratorio di idee dei neocon durante il primo mandato di George Bush jr. Mai prima di allora una piccola rivista aveva avuto un impatto così forte su coloro che decidevano le politiche dell´Amministrazione. Il giorno dell´uscita settimanale, il vicepresidente Dick Cheney mandava a prenderne 30 copie per il suo staff. Ben quattro anni prima dell´attacco di Al Qaeda alle Torri gemelle, The Weekly Standard aveva cominciato a teorizzare la necessità di conquistare l´Iraq. Una celebre copertina, "Saddam Must Go", segnalava nel 1997 una serie di analisi e commenti che avrebbero ispirato l´invasione del 2003. Che conseguenze avrà ora il passaggio di proprietà? Per Rupert Murdoch The Weekly Standard era un fiore all´occhiello, non una fonte di profitti (il settimanale non ha mai chiuso un bilancio in utile). Il potere di condizionamento di Murdoch verso il fronte conservatore è garantito da "corazzate" di ben altra stazza come la rete televisiva Fox e il quotidiano The Wall Street Journal. Sbarazzandosi dell´organo più direttamente identificato con l´èra Bush, il magnate anglo-australo-americano ha mandato un segnale di pacificazione verso Obama. Murdoch non è nuovo alle piroette ideologiche: appoggiò Tony Blair in Inghilterra, e Hillary Clinton nelle primarie del 2008. Più arduo è interpretare le intenzioni del nuovo proprietario, che finora ha riconfermato Kristol al suo posto. Anschutz rifugge dalle interviste, non è un personaggio esuberante come Murdoch. Il suo impero economico ha diramazioni nell´energia e nel mercato immobiliare, nelle telecom e nelle ferrovie. La destra teocon a cui è legato dà molti segnali di insofferenza verso l´ala laica e secolare del movimento conservatore. Una delle spaccature più vistose è avvenuta sull´ambiente, un tema sul quale le chiese fondamentaliste sono più aperte alla "contaminazione verde".

Torna all'inizio


Paul dedica alla first lady americana (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Spettacoli data: 04/08/2009 - pag: 35 McCartney a Washington Paul dedica «Michelle» alla first lady americana WASHINGTON «Michelle» dedicata alla first lady degli Stati Uniti. Paul McCartney ha reso omaggio a Michelle Obama cantando per lei uno dei più grandi successi dei Beatles durante un concerto sabato sera a Washington. La moglie del presidente Usa non era però fra gli spettatori, essendo partita qualche ora prima con marito e figlie per Camp David.

Torna all'inizio


Aspettando Amos Gitai anteprima con (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Tempo Libero data: 04/08/2009 - pag: 8 A Locarno Aspettando Amos Gitai anteprima con «marcia» Questa sera la Piazza Grande di Locarno offre l'anteprima del 62mo Festival che inizia domani e finirà a Ferragosto. Viene proiettato gratuitamente Marching band di Claude Miller (nella foto) , che racconta la campagna elettorale di Obama vista da due bande universitarie della Virginia. E domani apertura ufficiale della rassegna che premierà quest'anno Tony Servillo e il regista William Friedkin. I primi titoli in Piazza, alle 21.30, saranno l'americano 500 days of summer di Marc Webb, una commedia sentimentale in cui il plus valore romantico, per una volta, sarà maschile: Joseph Gordon-Levitt e Zooey Deschanel i protagonisti. Il secondo film di domani è molto atteso, ed è del maggior regista israeliano di oggi, Amos Gitai: in prima mondiale si vedrà La guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre, una produzione francese con Jeanne Moreau. Alle ore 17 è annunciato «Vitus» di Freddy Musicato che festeggia i 100 anni dell'Unione compositori musica per cinema della Svizzera con ospite d'onore Giovanni Allevi. E infine si apre l'evento giapponese dei manga con «Spirited away» cartoon culto del 2001 di Miyazaki. © RIPRODUZIONE RISERVATA Maurizio Porro

Torna all'inizio


Al-Zawahiri offre una tregua a Obama (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

DUBAI «Lofferta di una tregua presentata da Al-Qaeda alla precedente amministrazione americana nel 2006 è ancora valida anche per il presidente Barack Obama». Lo ha dichiarato il numero due della rete terroristica, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri con un lungo video preparato dal braccio mediatico di al Qaeda. «Se Obama vuole raggiungere unintesa, allora dovrebbe rispondere alle due offerte di tregua dello sceicco Osama bin Laden» spiega al-Zawahiri, che accusa Obama di vendere unillusione. Il vice di bin Laden dice di offrire «una tregua con lOccidente che si basi su giuste condizioni». «I combattenti di Al-Qaeda - prosegue nel video - continueranno la loro lotta fino a quando lOccidente non avrà accettato le loro condizioni e il minimo che i mujaheddin sono disposti ad accettare è il ritiro delle truppe infedeli da tutta la terra dellIslam è la fine del furto delle ricchezze dei musulmani sotto la minaccia del potere militare». Al- Zawahiri irride gli sforzi di Obama per allentare le tensioni con i musulmani paragonando il nuovo presidente americano «a un lupo le cui zanne stanno lacerando la vostra carne. I suoi artigli vi stanno afferrando la faccia, vi fa perdere sangue, poi vi dice di smetterla di difendervi perché vuole fare la pace con voi».

Torna all'inizio


Certificati, bugie e videotape contro Obama tornano i "birthers" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - Il regalo che Barack Obama voleva tanto ricevere per il suo 48esimo compleanno, oggi, martedì 4 agosto, era una lettera firmata Phil J. Berg, l'ex sostituto procuratore della Pennsylvania, quello che tentò di trascinare in tribunale George W. Bush e Saddam Hussein come "corresponsabili" dell'11 settembre. Bastava una frase, un rigo appena: "Sono un cretino, scusa". E invece no. L'uomo che per primo ha sostenuto che Barack non è nato alle Hawaii il 4 agosto 1961 alle 7.24 della sera, il capostipite dei "birthers", di chi dice che è nato in Africa, non solo non ha scritto nessuna lettera di scuse, ma ha messo il suo nome in calce a quelle diecimila missive preconfezionate dal sito di destra WorldNetDaily che ora stanno intasando la posta di 1600 Pennsylvania Avenue: "Nel giorno del tuo compleanno, ti chiedo di fare l'unica cosa giusta: facci vedere il tuo vero certificato di nascita". Fosse facile. Otto cause intentate, due arrivate fino alla Corte Suprema, un pronunciamento ufficiale del Congresso, uno della Casa Bianca, una proposta di legge al Congresso, due dichiarazioni del governo delle Hawaii. E, ancora, il figlio di un ex presidente (Michael Reagan), la figlia di un ex vicepresidente (Liz Cheney) e un illustre commentatore della Cnn (Lou Dobbs) tra i negazionisti. Può bastare a dare l'idea di cosa è diventato il dibattito sul certificato di nascita del presidente? Tutto comincia un anno fa, quando per spegnere Berg e i dubbi dell'americano medio, i sostenitori di Barack mettono online il certificato di nascita. Apriti cielo. I birthers gongolano: "Quella è una copia al computer: perché non mostrare l'originale?". L'originale è quello lì, nel senso che è la copia che qualsiasi ufficio anagrafe del mondo fornirebbe. "Macché, la mamma americana e il papà africano l'hanno fatto nascere in Kenya, qui è arrivato dopo, al massimo è un cittadino inglese, allora Nairobi era una colonia". La replica: ecco, questo è l'annuncio sui giornali delle Hawaii, l'Honolulu Avertiser e lo Star Bulletin, pagina nascite & decessi: può bastare? OAS_RICH('Middle'); Non basta. La campagna si riaccende con un video che fa il giro su YouTube, una birther invasata urla contro un senatore repubblicano, il povero Mick Castle: come potete permettere che a Washington sieda un non-americano? I repubblicani la tentazione di cavalcare l'affaire ora ce l'hanno. Facciamo una legge, dicono, in cui ai candidati presidenti si fa obbligo di presentare il certificato di nascita. E i democratici? Nel documento che l'altro giorno celebrava i 50 anni dell'ingresso di Honolulu negli States tentano il blitz: "Le Hawaii, cioè lo Stato dove è nato Barack Obama...". Un delirio. "Ho visto i documenti conservati dal ministero della Salute: Barack Hussein Obama è cittadino americano per nascita", giura la direttrice del ministero della Salute di Honolulu, Chiyome Fukino. E Robert Gibbs, il portavoce della Casa Bianca, sconsolato: "Neppure la prova del Dna riuscirebbe a placare chi nega che il presidente sia nato qui. Ma ho una notizia da dare a loro e a tutti noi: il presidente è nato ad Honolulu, Hawaii, il 50esimo stato del più grande Paese sulla faccia della Terra". Così grande che c'è posto per quel buontempone che ieri ha messo sul web l'ultimo tarocco: il certificato made in Kenya. Gli dev'essere sfuggito quel passaggio di "Dreams of My Father", l'autobiografia da 160 settimane tra i bestseller Usa in cui (pagina 26 dell'edizione economica) il futuro presidente racconta di aver trovato in casa dei nonni un articolo del padre, "infilato tra il mio certificato di nascita e le vecchie carte delle vaccinazioni". Ripescalo ancora, Barack... (4 agosto 2009

Torna all'inizio


Berlusconi, "vacanze salutiste per poi rigettarsi nella mischia" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

LONDRA - E' la scelta intelligente per l'estate: stare a casa, dice l'Independent che per l'occasione crea il neologismo "staycation". Ma se leader come Gordon Brown o Obama probabilmente "non vogliono farsi vedere all'estero durante una recessione", per Berlusconi le cose stanno in altro modo. "Naturalmente, con 18 proprietà, restare a casa non dev'essere così noioso come per la maggior parte di noi", scrive il giornale britannico, pubblicando una foto della residenza di Arcore. Se i personaggi eminenti magari durante le vacanze vogliono lasciarsi andare, il presidente del Consiglio "forse sente di averlo già fatto, dopo tutte quelle feste con stelline tv e call girl". Così il "libidinoso magnate dei media" fa affidamento su "un'autoritaria signora austriaca che lo frusterà fino a farlo tornare in forma". Nei dieci giorni di Arcore, "Frau Gertraud Mitterrutzner von Guggenberg e la sua squadra costringeranno Berlusconi a una rigida routine giornaliera fatta di muesli e piegamenti per gli addominali". La motivazione ufficiale del trattamento, ricorda il quotidiano, è quella di "farlo tornare snello e riattivare il suo metabolismo". Secondo l'Independent, però, la frase va letta in altro modo: "il primo ministro, notoriamente vanitoso, è preoccupato per i chili extra accumulati con le iniezioni di steroidi necessarie per i suoi problemi di schiena". In altre parole, "dopo i titoli scandalosi dei mesi scorsi, Berlusconi spera che le cure lo rimettano in sesto per la mischia". OAS_RICH('Middle'); La terapista tirolese dovrà fare sforzi straordinari per purificarlo, visto che il premier ha cancellato il programmato pellegrinaggio al santuario di Padre Pio perché "una trovata pubblicitaria come quella avrebbe probabilmente suscitato la rabbia dei cattolici invece che placarla". Così Berlusconi spenderà tempo ad Arcore con i nipoti, "senza dubbio pregando che le signore della sua vita non tirino fuori qualche altra sorpresa sgradita". Se l'Independent è spietato, meno feroce del solito è la corrispondenza del Times, che riprende le notizie delle vacanze di Berlusconi apparse sulla stampa italiana e aggiunge un box per spiegare ai lettori che cos'è la terapia Kneipp. Ma il quotidiano di Murdoch si rifà nella titolazione e nella foto di corredo: sotto il titolo "Berlusconi prende lezioni su come rilassarsi", compare un'immagine di maschere con il viso del primo ministro sorridente - quelle usate durante la festa a tema "I love Silvio" nel nightclub di Parigi, con ospite d'onore Patrizia D'Addario. E la didascalia recita: "I medici cercheranno di riportare il sorriso sulla faccia del leader malconcio". Più secca la scelta del Financial Times: il giornale economico pubblica senza commento la lettera in cui Franco Frattini ricorda che nelle società democratiche "la capacità di governare è determinata dall'elettorato". Il ministro degli Esteri risponde così a un attacco del FT che nei giorni scorsi l'aveva definito "inadatto a governare". Secondo Frattini "gli italiani fino ad ora hanno apprezzato l'abilità di Berlusconi di governare il Paese e di risolvere le emergenze nazionali". Una tale definizione per un leader "democraticamente eletto tre volte in 15 anni" è "una'asserzione ridicola", sottolinea il titolare della Farnesina. Il Financial Times non replica, ma affianca alla lettera di Frattini quella di Paola Subacchi, direttrice della ricerca nel settore Economia internazionale a Chatham House. Secondo la studiosa, il nodo della politica italiana è nella selezione dei candidati, con "pubblici uffici diventati una ricompensa per la lealtà o un modo per scambiare favori", e lo scandalo Noemi lo dimostra. La fine della Prima repubblica, scrive la Subacchi, è stata seguita da un breve periodo riformista, subito seguito dalla consueta mescola di corruzione e illegalità: "Forse è il momento di ripartire da lì". (4 agosto 2009

Torna all'inizio


Bill Clinton incontra Kim Jong-il (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

PYONGYANG Lex presidente americano Bill Clinton, in Corea del Nord per cercare di ottenere il rilascio delle due giornaliste Usa, Laura Ling e Euna Lee, condannate a 12 anni di lavori forzati, ha incontrato il leader nord-coreano Kim Jong-il. Lo ha reso noto lagenzia di stampa sudcoreana Yonhap. La radio ufficiale nordcoreana, sempre secondo quanto riferito dalla Yonhap, ha dal canto suo riferito che Clinton e Kim Jong-il hanno avuto «un ampio scambio di opinioni».«Non è vero», ha detto il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, smentendo quanto riportato dallagenzia di stampa sudcoreana Yonhap secondo cui Clinton avrebbe portato un messaggio verbale di Obama a Kim Jong-il. Un membro della delegazione americana coperto dallanonimato ha spiegato che linteresse principale degli Usa, in questo momento, «è il ritorno delle due giornaliste sane e salve». Euna Lee e Laura Ling, che lavorano per il network americano Current Tv (di cui è presidente Al Gore, ex vice di Bill Clinton alla Casa Bianca), sono state arrestate lo scorso marzo al confine tra Corea del Nord e Cina, per ingresso illegale nel paese. Il viaggio di Bill Clinton arriva dopo mesi di tensioni tra i due paesi e provocazioni da parte nordcoreana. Un gesto di disponibilità da parte di Pyongyang come la liberazione delle giornaliste, secondo gli osservatori internazionali, potrebbe aprire la strada a un ritorno al dialogo anche sul tema del nucleare, dopo le battute darresto degli ultimi tempi.

Torna all'inizio


Iran, Ahmadinejad s'insedia ma Obama non si congratula (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

TEHERAN - Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama non manderà un messaggio di congratulazioni al presidente iraniano Ahmadinejad, in occasione della cerimonia del giuramento in programma domani a Teheran. Lo fa sapere la Casa Bianca, ma l'imbarazzante problema dei rapporti con uno stato sovrano di prima importanza e con il suo regime autoritario, è presente a tutti i governi occidentali. L'Europa sarà rappresentata ai minimi livelli: nessun leader politico, ma solo l'ambasciatore svedese, Magnus Wernsted. E la sua presenza è accompagnata dalla precisazione che resta ferma la condanna alle violenze in Iran. Anche Parigi fa sapere che neppure Sarkozy manderà congratulazioni. "In quanto paese presidente di turno, il nostro ambasciatore rappresenterà la Svezia e anche la Ue, ma ciascun stato membro è stato lasciato libero di decidere se e a quale livello partecipare alla cerimonia", ha dichiarato il portavoce del ministro degli esteri svedese Anders Joerle. "La presenza a nome dei 27 del nostro ambasciatore a Teheran rientra nei compiti propri della presidenza di mantenere aperti i canali diplomatici tra la Ue e l'Iran", ha aggiunto Joerle. "Resta però la ferma condanna espressa dalla Ue contro le violenze e gli arresti contro i manifestanti e gli oppositori e per le violazioni dei diritti umani". Il portavoce ha detto di non sapere quanti paesi della Ue avranno un loro rappresentante alla cerimonia di insediamento. L'Italia - ha riferito la Farnesina - sarà rappresentata dall'incaricato d'affari a Teheran, Alessandro Monti. OAS_RICH('Middle'); Alla vigilia del giuramento arriva anche la conferma dell'arresto di tre americani accusati di aver oltrepassato il confine con l'Iraq e di essere entrati illegalmente in Iran. Shane Bauer, Sara Shourd e Joshua Fattal, di circa 20 anni, erano impegnati in una scalata sulle montagne al confine tra i due Paesi, ed erano stati dichiarati dispersi da sabato. I tre giovani sono stati arrestati "quattro giorni fa e sono già stati interrogati, ma non hanno confessato", ha dichiarato all'emittente Al-Alam Iraj Hassanzadeh, responsabile della sicurezza della provincia del Kordestan. Le televisioni di Stato iraniane hanno presentato i tre americani come turisti, giornalisti e anche "agenti della Cia". Il segretario di Stato statunitense, Hillary Clinton, ha chiesto all'Iran di rilasciare i prigionieri. L'appello della Clinton si è aggiunto a quello della Svizzera, che cura gli interessi Usa in Iran in assenza di una rappresentanza diplomatica. Secondo la stampa statunintense, Bauer, un fotoreporter con una buona conoscenza del mondo arabo, Shourd, un insegnante di inglese e Fattal, un avventuriero con la passione dei viaggi, erano impegnati in un tour del medio oriente. Un quarto americano che viaggiava con loro ha deciso di non partecipare alla gita e di restare in albergo, nella regione del Kurdish. (4 agosto 2009

Torna all'inizio


Trenta minacce di morte al giorno per Obama, servizi segreti in affanno (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON Ogni giorno arriva una media di 30 minacce di morte contro Barack Obama, ma il Secret Service incaricato di proteggere il presidente americano, il suo vice e i loro familiari, è sempre sotto organico. Lo ha afferma il giornalista investigativo americano Ronald Kessler nel suo libro «In the presidents Secret Service». Secondo la ricostruzione del giornalista conservatore, da quando Obama si è insediato il ritmo delle minacce di morte è cresciuto del 400% rispetto alle 3mila lanno che arrivavano al suo predecessore George Bush. La maggior parte delle minacce non risulta credibile, ma ciascuna deve essere verificata e gli agenti del Secret Service sono costretti a fare gli straordinari e saltare i test e gli addestramenti previsti per far fronte a tutto. Anche per evitare fenomeni di emulazione, il Secret Service solitamente non divulga le minacce. Qualcuna è stata però resa nota, come il presunto complotto ordito alla fine dellanno scorso da un gruppo di suprematisti bianchi del Tennessee che, oltre a voler uccidere il primo presidente afroamericano, intendevano sparare a 88 afroamericani e decapitarne altri 14. Secondo il libro, ai servizi dintelligence arrivarono informazioni su un presunto attacco di terroristi legati al gruppo islamista somalo al Shabaab in occasione dellinsediamento di Obama.

Torna all'inizio


Nord Corea, dopo la visita di Clinton Kim Jong Il "perdona" le due reporter (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

PYONGYANG - Un "perdono speciale". E' quello che il leader nordocoreano Kim Jong Il ha riservato alle due giornaliste americane arrestate in Nord Corea lo scorso marzo e condannate ai lavori forzati con l'accusa di spionaggio. La decisione di graziare le due reporter è stata presa dopo la visita a sorpresa a Pyongyang dell'ex presidente americano Bill Clinton: una missione doplomatica compiuta proprio per mediare per il rilascio delle donne. L'ex inquilino della Casa Bianca le ha anche incontrate. Ed è con lui, sul suo aereo, che torneranno a casa. "Kim Jong-Il, presidente della Commissione nazionale di Difesa - riferisce l'agenzia ufficiale nordcoreana Knca - ha rilasciato un perdono speciale per le due giornaliste americane condannate ai lavorio forzati in base all'articolo 103 della Costituzione socialista e ne ha ordinato il rilascio". Il provvedimento, afferma l'agenzia, "è una manifestazione della politica umanitaria e pacifista della Corea del Nord". Clinton, si legge ancora, "ha espresso scuse sincere per gli atti ostili commessi dalle due giornaliste contro la Repubblica popolare democratica di Corea, dopo esservi entrati illegalmente" e ha "ha presentato una fruttuosa richiesta di perdono e di rientro umanitario in patria per loro da parte del governo americano". Dopo la decisione di liberare le due donne, Clinton ha trasmesso a Kim "un messaggio verbale del presidente americano Barack Obama, con cui si esprime ringraziamento e il suo punto di vista in merito alla ricerca di un miglioramento delle relazioni" tra i due Paesi. OAS_RICH('Middle'); Clinton aveva sottolineato il carattere "privato" della sua missione che aveva già registrato un primo, seppur piccolo, successo: un colloquio "molto emozionante" con le due reporter che, secondo una fonte anonima del governo di Pyongyang, potrebbero tornare a casa negli Stati Uniti già domani. Lo ha reso noto l'emittente statunitense Abc. La sino-americana Laura Ling, 32 anni, e Euna Lee, 36enne americana di origini coreane, lavorano per l'emittente Current TV fondata dall'ex vicepresidente americano Al Gore e dall'imprenditore Joel Hyatt. Erano state fermate dalle sentinelle dopo aver sconfinato alla frontiera tra Corea del Nord e Cina mentre facevano riprese sul lato nordcoreano del fiume Tumen e, accusate di "atti ostili", erano state condannate a 12 anni di campi di lavoro agli inizi di giugno. In assenza di relazioni diplomatiche tra Pyongyang e Washington, Clinton è il rappresentante americano di più alto profilo a visitare la Corea del Nord dall'anno 2000, quando l'allora segretario di Stato Usa, Madeleine Albright, incontrò il "caro leader" Kim Jong Il. In precedenza, negli anni Novanta, il governatore del New Mexico Bill Richardson, era riuscito a convincere la Corea del Nord a rilasciare un cittadino americano detenuto. (4 agosto 2009

Torna all'inizio


Bill Clinton incontra Kim Jong-il Graziate le due giornaliste Usa (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 04-08-2009)

Argomenti: Obama

PYONGYANG Lex presidente americano Bill Clinton è riuscito ad ottenere il rilascio delle due giornaliste Usa, Laura Ling e Euna Lee, condannate a 12 anni di lavori forzati. Oggi aveva incontrato il leader nord-coreano. La grazia speciale di Kim Jong Il alle due giornaliste americane è stata confermata dalla Cnn. Le due donne erano state condannate a 12 anni di lavori forzati. La grazia concessa dal leader nordcoreano consente il rilascio delle due giornaliste Laura Ling e Euna Lee, condannate in giugno a 12 anni di lavori forzati. «Kim Jong-il ha ordinato al presidente della commissione nazionale di Difesa di garantire una speciale grazia alle due giornaliste, condannate ai lavori forzati, e di rilasciarle», riferisce la Kcna. Oggi, nel corso della visita nel Paese, lex presidente Usa Bill Clinton ha portato a Kim Jong-il un «messaggio verbale» del presidente Barack Obama, aggiunge lagenzia nordcoreana.

Torna all'inizio


"contro i taliban alle elezioni ci candidiamo noi" - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri "Contro i Taliban alle elezioni ci candidiamo noi" Il reportage Per le "Combattenti" afgane la sfida più grande: (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) dal nostro inviato @FI Firma Editoriale SX:Guido rampoldi Si sfidano masnade di mullah pronti a scagliarti addosso un´accusa mortale, blasfemia. Si entra in urto con la casta guerriera - mujahddin, Taliban, milizie al soldo di questo o di quel khan. Si combatte, si muore. Spesso. Delle cinque donne di alto profilo che nel 2005 un giornale britannico indicava come modelli di un Afghanistan possibile, tre sono state assassinate dai Taliban e le altre due costrette ad espatriare. Dozzine di maestre sono state uccise. Non v´è afgana che in questi anni si sia affacciata nella scena pubblica che non abbia subìto minacce o attentati. L´ultimo episodio in luglio, quando una bomba ferì sei agenti di scorta a Fawzia Koofi, 33 anni, vicepresidente del parlamento e co - fondatrice del gruppo delle «Combattenti». Ma nonostante tutto questo, le afgane che si candidano in queste elezioni provinciali (20 agosto, in contemporanea con le presidenziali) sono 342, il 20% in più del 2005. «Quanto più aumenta la violenza contro di noi, tanto più aumenta la resistenza», dice la Koofi, che di quella lotta partigiana, condotta in parlamento e soprattutto in tv, è uno dei leader. La frase ha il suono epico di un grido di battaglia. Ma una battaglia che non sta andando benissimo, riconosce la Koofi. «Da quando tutti dicono di voler negoziare con i Taliban, i diritti delle donne sono spariti dall´agenda della politica afgana». Come fossero un ostacolo alla trattativa. Non ne accennano i candidati alla presidenza della Repubblica, non compaiono nel programma di alcuno di loro. E´ diminuita perfino l´attenzione della comunità internazionale. «E per che cosa, poi? I Taliban non hanno né l´intenzione né la possibilità di arrivare ad un accordo, non fosse altro perché sono divisi. Karzai e i suoi sfidanti proclamano di voler trattare non perché credano che quella strada porti lontano, ma perché cercano di ingraziarsi l´elettorato ultra-fondamentalista». Quando aveva tre anni Fawzia Koofi perse il padre, un deputato assassinato dai mujahiddin che cercava di convincere a negoziare con il governo filo-sovietico. Dopo averlo ucciso, i mujahiddin andarono a cercare l´imam perché li autorizzasse ad ammazzare anche la madre di Fawzia, e a dare in sposa ad un mullah la sorella, all´epoca dodicenne. Le Koofi riuscirono a scappare; inseguite, furono salvate dai soldati russi. Questa tragedia non è estranea al dubbio di Fawzia: saranno leali con le afgane, questi occidentali che trent´anni fa le consegnarono ai mujahiddin? O di nuovo le sacrificheranno al loro interesse, ad una `pace´ con i Taliban? Ovviamente Fawzia sa che la Nato non è venuta in Afghanistan per promuovere la liberazione delle donne. Ma in queste sette anni sono accadute cose piuttosto sorprendenti per gli standard afgani. Innanzitutto questo: sparite dal panorama al tempo dei Taliban, le donne (alcune, poche: ma abbastanza per dare l´esempio) sono tornate nello spazio pubblico. Ospiti fisse della radio e della tv, le `Combattenti´ discutono di argomenti che secondo i fondamentalisti una musulmana non dovrebbe neppure sfiorare, dagli stupri in famiglia al diritto delle ragazze di rifiutare il marito imposto dai genitori. Negli ultimi mesi sono riuscite ad affondare la legge sul diritto familiare sciita, piuttosto misogina, e soprattutto a portare in parlamento un corpo di norme rivoluzionarie che Karzai ha approvato e presto andranno in discussione. Sanzionano i delitti d´onore, garantiscono l´impunità alle mogli che scappano di casa, proibiscono il baad, figura del diritto tradizionale per la quale la famiglia dello stupratore può sanare una violenza sessuale offrendo femmine, in genere bambine, alla famiglia della violentata (sicché uno stupro dà origine ad altri stupri). Neanche la Koofi si illude: quando fossero approvate, quelle leggi resterebbero largamente inapplicate. Eppure anche nei tribunali tira un vento nuovo, come dimostra in città come Herat l´alto numero di divorzi richiesti della moglie, impensabile pochi anni fa. Ora però gli occidentali vorrebbero attrarre quegli alleati dei Taliban, innanzitutto l´organizzazione Hizb-islami, che per un malinteso sono chiamati `Taliban moderati´. In realtà non sono né Taliban né moderati, e anzi i guerrieri di Hizb-islami sono noti per sfregiare con il vetriolo le ragazzine che vanno a scuola. Per un buon ingaggio probabilmente ammorbidirebbero la loro misoginia, perfino fare atto formale di sottomissione ad una Costituzione che fa proprie le convenzioni internazionali sui diritti umani: non è probabile ma non lo si può escludere. In ogni caso, la tacita pre - condizione al compromesso in cui confidano innanzitutto gli afgani è che si metta metta la sordina alla `questione femminile´. E questo è un po´ quanto sta accadendo, se è esatto il titolo di un recente rapporto di Unama, la missione Onu in Afghanistan: "Il silenzio è violenza". Scritto con l´intenzione dichiarata di "riportare in agenda la fruizione dei diritti umani da parte delle afgane, una questione sempre più ignorata", il dossier dà un´idea esatta di quanto rischia una donna che assuma un ruolo pubblico e, implicitamente, di quel che accadrebbe a migliaia di afgane se la Nato si ritirasse. A Kandahar il consigliere provinciale Sitara Achakzai è stata «uccisa dai Taliban in aprile perché incoraggiava le donne a lavorare e a lottare per i loro diritti». Per punire Zarghuna Kakar, anche lei consigliere provinciale, i Taliban prima l´hanno dichiarata «infedele» e poi le hanno assassinato il marito. Minacciare vendette sui familiari è diventata una prassi. Una parlamentare non manda più i figli a scuola per timore che li uccidano. Però non si dimette: «Questa è la nostra battaglia, e dobbiamo vincerla». Ma sono decine, riferisce il rapporto, le deputate che non si ricandideranno nelle elezioni del 2010. Tra le donne costrette a lasciare la politica molte sono state bollate come «comuniste» e «infedeli» dai Taliban o dagli imam nella preghiera del venerdì. A Herat un mullah ha incitato i fedeli a saccheggiare la sede di una Ong che si batte per i diritti delle donne, in quanto «centro di attività blasfeme»: e quella pia masnada subito l´ha esaudito. Gli attacchi non vengono solto dai Taliban e dai loro alleati. In parlamento e nei consigli provinciale, ogni qualvolta è in discussione un argomento correlato con l´islam le deputate vengono zittite dalle urla dei colleghi fondamentalisti. Racconta Shahla Ata, ora candidata alla presidenza: «Non ci permettono di interloquire. Invocano l´autorità delle Scritture: il Corano dice questo, e l´argomento è chiuso». E Fawzia Koofi: «Parliamo di poveri, di donne, di bambini, dei loro diritti, e quelli ci gridano: questo vostro discorso non è islamico. Finché la religione non sarà de-politicizzata, continueranno a usarla come pretesto». Ma almeno i deputati fondamentalisti accettano che le bambine vadano a scuola e le donne possano lavorare come infermiere e come maestre. I Taliban neppure quello. Nei primi sei mesi del 2009 gli attacchi contro scuole hanno prodotto 13 morti e 14 feriti, oltre alle quindici alunne sfregiate a Kandahar con l´acido. Colpite dalla guerriglia, 700 scuole restano chiuse; 200mila ragazzine sono private del diritto di istruirsi. Oltre alle maestre, bersaglio privilegiato dei Taliban, sono afgane che lavorano per organizzazioni umanitarie straniere, nelle radio o in televisione. L´attrice Parwin Mushtakhel, la prima donna ad apparire in tv dopo la caduta dei Taliban, è stata costretta a espatriare, così come la cantante che aveva partecipato ad un concorso canoro trasmesso da una radio di Kandahar. Zakia Zaki, conduttrice di Radio Pace, è stata assassinata. Nilofar Habibi, 22 anni, conduttrice di una tv di Herat, è stata pugnalata sulla porta di casa, l´anno scorso (sopravvissuta, vive all´estero). Contro la casa di Khadija Ahadi, vicedirettrice di Radio Faryad, è stata lanciata una granata. Agli occhi dei Taliban la colpa più grave di queste donne era l´aver messo in discussione costumi che il fondamentalismo considera `islam´, per esempio le regole che permettono un dilagare delle violenze carnali. In molte zone rurali la vittima rischia di essere giustiziata come `fornicatrice´ insieme allo stupratore, se lo denuncia. Oppure può essere obbligata a sposarlo. Non meno spaventoso è il baad, la transazione organizzata dai consigli degli anziani con cui il colpevole sana il suo crimine dando in sposa una sorella o una cugina a familiari della parte offesa. Secondo il fondamentalismo neppure il parlamento può legiferare su questi temi, tantomeno su iniziativa di svergognate come le `Combattenti´. Però nel vertice supremo dei Taliban qualcuno si dichiara disponibile a riconoscere la Costituzione e a negoziare un armistizio dentro quella cornice legale. Per esempio un importante mullah in contatto con i tagichi dell´Alleanza del nord, coloro che più di tutti hanno sondato la strada della trattativa. Eppure quei tentativi finora sono falliti, riconosce Fazel Sancharaki, capo della campagna elettorale di Abdullah Abdullah, il candidato dell´Alleanza del nord in queste presidenziali. «Abbiamo avuto incontri con tre distinte delegazioni», mi racconta Sancharaki. «L´una inviata dal mullah Omar. L´altra da Dadullah (il capobanda che sequestrò il giornalista Mastrogiacomo). La terza rappresentava la `rete Haqqani´ (un gruppo che ha legami storici con i servizi segreti pakistani)». Nessuna delle tre si dimostrò in grado di prendere una decisione, perché le organizzazioni di riferimento erano divise oppure frenate da `suggeritori´ esterni. Nel caso del misterioso Dadullah, per esempio, la trattativa sembrava ben avviata. «Ma al dunque Dadullah si sottraeva di continuo ad una scelta. Finché capimmo che non poteva decidere senza l´accordo di altri. E quell´accordo non gli era stato concesso». Fawzia Koofi è convinta che l´unico argomento che possa convincere i Taliban sia un bombardiere americano. Il giudizio potrà scandalizzare ma corrisponde esattamente alla dottrina Obama: rafforzare la presenza militare, aumentare la pressione sui Taliban e costringerne almeno una parte a negoziare alle condizioni degli occidentali. Nel caso non funzionasse, nei governi Nato crescerà la tentazione di un baratto al ribasso in cui inevitabilmente entreranno i diritti minimi delle ragazze afgane.

Torna all'inizio


Dalle strategie divergenti all'alleanza (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

Dalle strategie divergenti all'alleanza [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Strette di mano dai rappresentanti del governo, mazzi di fiori da giovani scolarette e un trionfo diplomatico in un solo giorno. Bill Clinton è stato accolto in Corea del Nord con tutti gli onori che merita un capo di Stato, ed ha ottenuto dal leader di Pyongyang Kim Jong-il - durante una missione a sorpresa di natura «strettamente privata» - la liberazione delle due giornaliste americane detenute nelle prigioni del regime. Con Kim l'ex presidente ha avuto si è intrattenuto per un colloquio «soddisfacente» come riferito dai media locali secondo cui sono stati diversi i temi affrontati «molti dei quali di comune interesse». E poi ha visto le due reporter, in un incontro «commuovente» che è diventato, poche ore dopo, il preludio al «perdono speciale» concesso dal leader di Pyongyang. Laura Ling ed Euna Lee torneranno a casa già oggi, dopo che - affermano le fonti nordcoreane - Bill Clinton si è «scusato per il loro comportamento». E' giallo invece sul presunto messaggio che Barack Obama avrebbe recapitato a Kim per mano dell'ex presidente. La notizia diffusa dall'agenzia di stampa sudcoreana Yonhap è stata smentita dalla Casa Bianca: «Non è vero», ha detto il portavoce Robert Gibbs, che poco prima aveva precisato come la missione fosse «esclusivamente privata» e volta ad ottenere il rilascio di Euna e Laura, giornaliste di Current Tv, l'emittente di Al Gore, numero due della Casa Bianca proprio con Clinton. Erano state arrestate a marzo mentre lavoravano vicino al confine tra Cina e Corea del Nord e condannate a 12 anni di lavori forzati per «ingresso illegale» e «gravi crimini contro la nazione». Il viaggio di Clinton ha il sapore di un evento storico non solo perché Pyongyang e Washington sono ai ferri corti dai tempi della guerra delle due Coree, negli anni 50, ma anche per il riemergere di forti tensioni internazionali dovute ai programmi nucleari del regime comunista. Negli ultimi mesi Kim ha ordinato test atomici ed esercitazioni con lancio di missili vietate dal Consiglio di sicurezza dell'Onu, e alle quali l'amministrazione Obama ha promesso di rispondere con un inasprimento delle sanzioni. E in questo senso l'arresto delle due giornaliste ha rappresentato per il regime uno strumento con cui far leva nei negoziati con la comunità internazionale. Clinton è il secondo ex presidente Usa a mettere piede sul suolo nordcoreano: prima di lui fu Jimmy Carter nel 1994 a recarsi a Pyongyang per incontrare Kim Il Sung, padre dell'attuale leader, all'indomani di simili tensioni sorte proprio quando alla Casa Bianca c'era Bill Clinton. Che ieri è apparso sereno e sorridente durante l'incontro con Kim. Nei rari scatti fatti circolare dai media del regime il leader nordcoreano appare soddisfatto e in buona forma nonostante il diabete e l'ictus che lo hanno costretto alcuni mesi fa a un ricovero in gran segreto. A deporre a favore della missione era il fatto che le relazioni tra l'amministrazione guidata da Bill Clinton e il regime nordcoreano sono state tutto sommato buone. Oltre all'ex presidente infatti anche il suo vice Al Gore, e Bill Richardson, altro uomo chiave di Clinton da lui inviato due volte a Pyongyang negli anni 90 per gestire la consegna di prigionieri americani, erano stati considerati per la missione. E proprio perché carico di significato e speranze, sul viaggio si è taciuto sino quasi all'arrivo di Clinton nel Paese asiatico. A darne conferma qualche ora prima sono state fonti dello staff della moglie, il segretario di Stato Hillary Clinton, mentre si trovava in viaggio verso il Kenya.

Torna all'inizio


I taleban erano già l'incubo di Churchill (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

I taleban erano già l'incubo di Churchill Nonostante siano tra le genti più povere del mondo, gli abitanti dello scosceso Nord-Ovest dell'attuale Pakistan hanno trovato il modo di terrorizzare le lontane capitali occidentali per più di un secolo. Un fatto degno di menzione nei libri dei record. E non è finita. Non certo scommettendo sul cavallo sfavorito. Non coi titoli dei giornali americani sulle razzie dei taleban pachistani, non coi droni della Cia che colpiscono qualunque cosa si muova tra il Waziristan e il confine afghano. Questa primavera, per esempio, un esperto di antiterrorismo ha avvertito in modo stridente (e senza alcuna plausibilità) che «da uno a sei mesi potremmo assistere al collasso dello Stato pachistano» per mano dei famelici taleban, mentre il segretario di Stato Hillary Clinton definiva la situazione in Pakistan «un pericolo mortale» per la sicurezza globale. Alla maggior parte degli osservatori sfugge che tale retorica apocalittica su questa regione in cima al mondo non è affatto nuova. E' vecchia di almeno cent'anni. Durante le campagne alla fine del XIX secolo e all'inizio del XX, i funzionari britannici, i giornalisti e gli editorialisti dicevano le stesse cose che risuonano oggi sulla bocca di strateghi, analisti e studiosi americani. Fecero dei Pashtun tribali, che abitavano le montagne del Waziristan, i nuovi Normanni. Per Londra era un pericolo mortale che minacciava di rovesciare l'impero britannico. Nel 1898, il giovane Winston Churchill scrisse persino un libro, «The Story of Malakand Field Force», sulla campagna britannica della fine del XIX secolo in territorio Pashtun. In quel tempo Londra governava l'India britannica che comprendeva l'India, il Pakistan e il Bangladesh odierni, ma il controllo inglese sulla regione montagnosa del Nord Ovest accanto all'Afghanistan e all'Himalaya era debole. Cercando di capire, come i moderni analisti, perché i predecessori dei taleban pachistani costituissero una così grande sfida all'impero, Churchill enucleò due ragioni per spiegare il valore militare dei pashtun. La prima era l'Islam. «Questa religione - scriveva - che più di ogni altra è stata diffusa con la spada - le cui credenze e i principi sono imbevuti di una pulsione ad uccidere che in tre continenti ha prodotto generazioni di combattenti - stimola un selvaggio e crudele fanatismo». Churchill rivela qui i suoi pregiudizi. Infatti, in generale, l'Islam si diffuse pacificamente nell'attuale Pakistan attraverso la predicazione e la poesia dei mistici sufi, e la maggior parte dei musulmani non sono stati più guerrafondai degli anglosassoni ad esempio. Come seconda ragione Churchill pose l'ambiente in cui si supponeva che quelle tribù prosperassero. «Gli abitanti di quelle valli selvagge ma ricche - spiegava - passano continuamente da una faida all'altra». Inoltre, insisteva, la loro tecnologia militare era puntigliosamente aggiornata, le loro armi non erano così primitive come quelle di altre «razze» che l'autore definiva «al loro livello di sviluppo». «Alla ferocia degli zulu, aggiungevano l'abilità dei pellerossa e la mira dei boeri», avvertiva. L'immagine churchilliana di primitivi fanatici e brutali, armati fino ai denti con armi ultimo modello, che individua i pashtun come uno straordinario pericolo per l'Occidente, sopravvisse all'era vittoriana e si riproduce oggi nei titoli dei nostri giornali. Bruce Riedel, un ex analista della Cia, è stato incaricato dall'amministrazione Obama di valutare le minacce alla sicurezza in Afghanistan e Pakistan. Il 17 luglio, Arnauld de Borchgrave sul Washington Times raccontava col fiato sospeso le conclusioni di Riedel: «Una vittoria jihadista in Pakistan significherebbe la conquista del Paese da parte di un movimento sunnita guidato dai taleban... potrebbe creare la più grande minaccia che gli Stati Uniti abbiano mai dovuto affrontare nella guerra al terrore... è questa una possibilità concreta nel prevedibile futuro». L'articolo, in pieno stile churchilliano, s'intitolava «Suona il campanello d'allarme di Armageddon». Di fatto, poche previsioni di intelligence potevano avere meno possibilità di essere vere. Nelle elezioni parlamentari del 2008, i pachistani hanno votato i partiti centristi, alcuni dei quali laici, ignorando per lo più i partiti islamici fondamentalisti. Oggi in Pakistan ci sono circa 24 milioni di pashtun, un gruppo etnico che parla il pashto. Altri 13 milioni vivono lungo la «Linea Durand» tracciata dai britannici, il confine - che generalmente i Pashtun non riconoscono - tra il Pakistan e l'Afghanistan meridionale. La maggior parte dei taleban proviene da questo gruppo ma la grande maggioranza dei pashtun non sono taleban e non amano particolarmente gli islamisti radicali. Le forze taleban, facilmente sconfitte questa primavera in una rapida campagna nella valle dello Swat dall'esercito pachistano, non superavano i 4 mila uomini. L'esercito di Islamabad conta 550 mila militari e altrettanti riservisti. Possiede carri armati, artiglieria e caccia. I taleban possono far leva soltanto sul gruppo etnico dei pashtun, il 14 per cento della popolazione, e per quel che se ne sa sono in minoranza anche al suo interno. I taleban possono compiere azioni terroristiche e destabilizzare il paese, ma non sono in grado di rovesciare il governo. Nel 1921, vaghe minacce all'Impero britannico provenienti dal piccolo e debole principato dell'Afghanistan e dalla nascente (ma ancora reclinata su se stessa) Unione Sovietica puntellarono una visione paranoica dei pashtun. Oggi il supposto legame con Al Qaeda - o anche con l'Iran o la Russia - di questi pashtun chiamati «taleban» dai funzionari Usa e Nato, ha focalizzato un'altra volta gli sforzi militari e di intelligence di Washington e Bruxelles su questi montanari. Pochi pashtun, anche tra i ribelli, sono in senso stretto taleban, cioè militanti provenienti dai seminari islamici. Alcuni cosiddetti taleban sono collegati con ciò che resta di Al Qaeda nella regione ma non hanno ovviamente l'appoggio della Russia o dell'Iran. Ci potranno essere dei motivi plausibili per cui gli Usa e la Nato hanno deciso di pagare un conto di sangue e denaro nel tentativo di influenzare con la forza la politica di 38 milioni di pashtun da entrambi i lati della Linea Durand. Di certo tra quei motivi non c'è il fatto che i pashtun costituiscano una spaventosa minaccia per la sicurezza del mondo nordatlantico. Copyright Juan Cole 2009 e TomDispatch.com

Torna all'inizio


tutti i miei disturbi sono cominciati con il suo arrivo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina XV - Milano Duccio Obama Non chiede mai cosa c´è da fare,tanto sa che è stato assunto dal sottoscritto solo perché sua sorella, mia moglie, ha fatto pressioni su di me: se non lo prendi divorzio Sta in ufficio con bermuda e infradito, dice che anche gli americani vanno così. Sta con Malia: si chiamava Maria ma ha cambiato visto il successo delle figlie del presidente Usa Tutti i miei disturbi sono cominciati con il suo arrivo Dal martedì alla domenica, sei racconti affidati a uno scrittore milanese per dire la realtà con l´artificio della fiction Nel mio studio oggi non c´è quasi nessuno, sono all´ultimo piano della Torre Velasca e osservo il deserto grigio. Mi stavo rilassando, quando entra Duccio il fratello minore di mia moglie Licia. Io sono un pacifista, ma Duccio mi trasforma, nei miei sogni, in un serial killer, assetato di sangue. Duccio non chiede mai cosa c´è da fare, tanto sa che è stato assunto dal sottoscritto solo perché la sorella ha fatto pressioni su di me. Mi ricordo che Licia scherzando, ma vai a sapere chi scherza e chi no, minacciò il divorzio se non l´avessi preso. E le sue commoventi argomentazioni furono: è un ragazzo a posto, è solo un po´ svirgolato. Incomincio a credere che tutti i miei disturbi siano nati con il suo arrivo. Potrebbe essere la sua vicinanza a crearmi questi disagi psicologici. Duccio come mia moglie non smette mai di parlare, crede che il suo lavoro qui al mio studio di architettura sia chiacchierare e tiene ogni linea occupata per fare le confidenze con i clienti, a volte li mette in viva voce e li fa dialogare, così senti il marmista che conferisce con il fattorino e con la Signora di via Sant´Andrea. Lo credono il mio braccio destro e vuotano il sacco, come un tempo facevano con me, ma ora degli affari e dei dispiaceri altrui non m´importa nulla. Duccio ha i bermuda e gli infradito, mentre io sono in giacca e cravatta, dice che anche gli americani vanno in ufficio così. Ha visto un film con Jim Carrey in bermuda e infradito che mangiava un sandwich con Dio. Perciò io che non merito il rispetto che si deve al capo dovrei capire quanto è importante per lui mostrare i suoi sgraziati piedi. Duccio a modo suo è sempre pieno di sorprese femminili, adesso sta con Malia, una che si chiamava Maria, ma poi ha visto il successo delle figlie di Obama e si è cambiata il nome. Malia fa la gelataia, ma Duccio insiste, vuole tutta la mia attenzione, perché non è questo il problema. Secondo lui Malia sta con un altro gelataio e io potrei aiutarlo, andando a spiare. Duccio mi fa un gran pena, non è matto, non è depresso, ma è del tutto sprovvisto di senso della realtà, pensando che alzerò il culo dalla mia sedia per andare a controllare una gelataia con cui esce da 24 ore. Sta per ricattarmi, d´altra parte avrà preso da sua sorella, cerca di farmi paura dicendo che racconterà a Licia che oggi ho pianto. Gli tiro in faccia una cartuccia della stampante, arriva Melania la segreteria e lo coccola come un bambino, e mi dice che lo riferirà alla Signora, mia moglie. Urlo che il padrone sono io e che per quel giorno sono entrambi licenziati, gli do cinquanta euro e li mando a pranzo. Il Professor Rizzi, il mio psichiatra mi manda un sms: "Le mie figlie mi hanno dato il vitello tonnato, ho dei sospetti gravi. Non riesco a guardare la luce del sole, mi raggiunga al pronto soccorso Fatebenefratelli". Il mio transfert con Rizzi è totalmente deviato, da quando abbiamo incominciato una nuova terapia con un antidepressivo, il Mollerax, non ancora in commercio. Quando arrivo, Rizzi si sente bene e ridacchia con gli infermieri, mi presenta come: "Il mio paziente, Felice". Decidiamo di sfogarci con tutto lo staff e alla fine ci fanno una tac al cervello. Solo perché Rizzi va alla tv, e le infermiere hanno letto il suo libro. E Rizzi ha gli occhi azzurri. Ci dimettono e ci portano a casa in ambulanza, Rizzi si fa provare ancora la pressione, io il battito cardiaco. Siamo sul suo divano, guardiamo le vecchie puntate di "Lost" e gli chiedo come va la nostra analisi. Lui abbassa gli angoli della bocca in una smorfia simpatica e mi confida che sono il suo paziente preferito. (continua)

Torna all'inizio


La recessione mette in crisi le casse federali degli Stati Uniti. Il gettito fiscale generato dal pa... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

La recessione mette in crisi le casse federali degli Stati Uniti. Il gettito fiscale generato dal pagamento delle imposte rischia di subire la maggiore contrazione in oltre 75 anni proprio nel momento in cui il governo di Barack Obama sta avviando una serie di costose riforme destinate a incidere sul deficit federale giunto a 1800 miliardi di dollari. L'allarme rosso emerge da un'indagine condotta dall'Associated Press secondo cui il gettito del 2009 potrebbe ridursi del 18% segnando la flessione più pronunciata dal 1932, dai tempi della Grande Depressione. Il calo riguarda diversi capitoli: le entrate generate dal pagamento di tasse individuali, ovvero sul reddito di singoli lavoratori, sono destinate a calare del 22%, mentre quelle delle aziende diminuiranno del 57%. Più contenuti i ribassi relativi alle imposte sul Social Security, il sistema pensionistico, che segnerebbe così il secondo calo dal 1940, mentre per il Medicare, la previdenza sanitaria, si tratterebbe della terza contrazione di sempre. Tutto ciò nel momento in cui l'amministrazione di Barack Obama sta per varare riforme molto onerose. Prima fra tutte quella della sanità il cui costo si aggira intorno ai mille miliardi di dollari in dieci anni. «Il nostro sistema tributario è inadeguato a sostenere le promesse del governo», spiega Eugene Steuerle, ex funzionario del dipartimento del Tesoro ai tempi della presidenza Reagan, e ora vicepresidente della Fondazione Peter G. Peterson. Il calo delle entrate e l'aumento della spesa sono destinate ad aggravare il pesante indebitamento Usa giunto al record di 11 mila miliardi. Tra i fattori all'origine della contrazione del gettito c'è il cattivo stato dell'economia nazionale e internazionale e la lentezza del processo di ripresa. Tra le cause anche il nuovo sistema di credito d'imposta varato a febbraio nell'ambito del pacchetto di stimoli fiscali da 787 miliardi voluto da Obama. Infine pesano il trend al ribasso dei profitti aziendali e il generale calo dei redditi. E le prospettive non sono delle migliori: a giugno i redditi delle famiglie americane sono scesi dell'1,3%, segnando il calo più forte dal gennaio 2005. La spesa personale è aumentata dello 0,4%, ma un tasso che depurato dall'inflazione scende sotto la soglia di parità. Questo dimostra, secondo gli analisti, che i consumi - il fattore che contribuisce per il 70% alla formazione del Pil Usa - ci metteranno molto tempo per recuperare.

Torna all'inizio


blitz di clinton in corea del nord kim jong-il libera le reporter usa - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 15 - Esteri Le due croniste Blitz di Clinton in Corea del Nord Kim Jong-il libera le reporter Usa L´ex presidente ha incontrato il leader di Pyongyang Le giornaliste erano state fermate il 17 marzo scorso Lavoravano per la tv di Al Gore La visita potrebbe preludere anche alla riapertura dei negoziati sul nucleare coreano FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente NEW YORK - Una visita storica, la prima di un esponente americano in Corea del Nord da nove anni. Un riconoscimento inaspettato, clamoroso e controverso, per il regime colpevole di terribili abusi contro i diritti umani nonché di un´escalation nucleare negli ultimi mesi, bersaglio di condanne e sanzioni dalla comunità internazionale. è Bill Clinton l´asso nella manica di Barack Obama, che grazie a lui incassa un´operazione umanitaria: la liberazione immediata di due giornaliste americane della tv di Al Gore, prigioniere da marzo, "graziate" con provvedimento speciale dal dittatore Kim Jong-il. Finalmente Obama fruisce della promessa "paghi uno compri due", implicita nella nomina di Hillary a segretario di Stato. L´irruzione di Bill come ospite d´onore nella politica estera americana ha lo sfavillìo dello star-system. Il suo atterraggio apre il tg di Stato a Pyongyang. Sull´unico sito Internet dell´isolato regime comunista viene salutato a caratteri cubitali, «Clinton è fra noi». All´aeroporto sorride mentre una bambina gli cinge il collo con una corona di fiori, e lo salutano alti dignitari incluso il responsabile del programma atomico. Bill infine conversa amabilmente con Kim Jong-il, un vertice a due che avrebbe dovuto svolgersi nel 2000 e saltò all´improvviso, aprendo una lunga fase di ostilità tra i due Paesi. Ufficialmente l´ex presidente è arrivato a Pyongyang in visita privata - su un aereo senza contrassegni, accompagnato dal classico "no comment" dalla Casa Bianca, ma assieme a John Podesta, eminenza grigia di Obama - solo per negoziare il rilascio delle due giornaliste: Euna Lee e Laura Ling, cittadine americane figlie di immigrati coreani. Lavoravano come free-lance per la Current Tv di San Francisco, la rete fondata dall´ex vicepresidente di Clinton, ora Nobel per la pace. Stavano facendo un´inchiesta ad alto rischio, sul traffico di "carne umana" al confine tra la Corea del Nord e la Cina: dove i rari fuggiaschi dal regime del terrore di Kim finiscono prede di schiavisti cinesi. Il gesto di "clemenza" e la loro liberazione è un piccolo prezzo da pagare per il monarca rosso Kim Jong-il. Perché la visita dell´ex presidente lo gratifica del premio più ambìto: il riconoscimento, l´omaggio, il rispetto. Tutto quello che Kim non riuscì mai a ottenere da George Bush, che lo definì «quel pigmeo che si comporta come un bambino viziato a tavola». La portata del viaggio di Clinton è notevole, tanto da suscitare altre aspettative. Oltre alla liberazione delle due reporter, sarà l´inizio di un vero dialogo sul disarmo nucleare della Corea del Nord? I rapporti fra Washington e Pyongyang restano un punto dolente da oltre mezzo secolo. La guerra di Corea (1950 - 53), con 37.000 soldati Usa uccisi e oltre due milioni di vittime nei due campi, segnò la prima "quasi-sconfitta" dell´esercito americano, messo in gravi difficoltà dall´intervento cinese a sostegno di Pyongyang. Dopo l´armistizio, la "zona smilitarizzata" è rimasta la frontiera più armata del pianeta. Il feroce regime nordcoreano è una scheggia impazzita, in grado di destabilizzare coi suoi test atomici e missilistici un´area dove si fronteggiano la superpotenza cinese e due alleati dell´America, il Giappone e la Corea del Sud. L´ultima stagione in cui Washington sembrò a un passo dal normalizzare i rapporti con Pyongyang fu proprio nei mesi finali della presidenza Clinton. Un accordo sull´interruzione dei piani nucleari di Kim venne dato per imminente nel 2000, e allora si parlò di un viaggio di Clinton. Poi le garanzie non sembrarono sufficienti, e al proprio posto il presidente mandò a Pyongyang l´allora segretario di Stato Madeleine Allbright. Una visita criticatissima in seguito dagli uomini di Bush, che accusarono Clinton di essersi lasciato abbindolare da un regime inaffidabile. Da quel momento fu un degrado costante, un susseguirsi di promesse tradite e di ricatti da parte di Pyongyang, a cui l´America ha reagito con l´impotente "diplomazia delle risoluzioni e delle sanzioni". Uno stallo pericoloso anche per il ruolo-chiave che ha regalato alla Cina, l´unico protettore della Corea del Nord, e fino a ieri l´unico mediatore accreditato. Negli ultimi mesi, dopo che Kim è stato colpito da un ictus e si sono aperti i giochi della successione, anche l´influenza cinese è parsa labile. Ad aprire una breccia nel regime più impenetrabile del mondo c´è riuscito il veterano Clinton. Pronto a rimettersi in gioco sfoderando il suo talento di negoziatore. E a perdonare l´insulto che la propaganda di Pyongyang lanciò poche settimane fa a sua moglie Hillary: «Ragazzina senza cervello».

Torna all'inizio


a wall street le regole non cambiano geithner striglia le autorità di controllo - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 21 - Economia A Wall Street le regole non cambiano Geithner striglia le autorità di controllo Nel mirino del segretario al Tesoro, Bernanke (Fed), Schapiro (Sec) e Bair (Fdi) L´amministrazione Obama accusa: riforme bloccate, festeggiano solo banche e banchieri FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente new york - Wall Street è euforica, la Casa Bianca meno. Il rialzo delle Borse avviene senza che siano cambiate le regole dei mercati, contrariamente alle promesse di Obama. La colpa? Ogni riforma è bloccata da un groviglio di veti incrociati, a cominciare dall´ostruzionismo delle stesse authorities di vigilanza, ciascuna delle quali ha qualcosa da perdere nel rimescolamento delle competenze. Perciò venerdì scorso il segretario al Tesoro Tim Geithner ha perso le staffe in un summit con i guardiani del mercato. "Sono volati insulti e oscenità", secondo la ricostruzione del Wall Street Journal. Un sintomo del nervosismo che si nasconde dietro l´apparente schiarita nella situazione economica. La sfuriata è avvenuta in una riunione a porte chiuse fra Geithner e i capi delle tre principali agenzie di vigilanza: il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, la numero uno della Securities and Exchange Commission Mary Schapiro, e la capa della Federal Deposit Insurance Sheila Bair. Queste tre authorities sono, ciascuna in modi diversi, sul banco degli imputati. Accusate per non aver saputo prevenire i crac di colossi bancario-assicurativi, per il disastro dei mutui subprime, per l´accumularsi di titoli tossici nei bilanci societari, per i superstipendi dei top manager incompetenti, e altre patologie all´origine della crisi del 2008. L´Amministrazione Obama ha lanciato da tempo un progetto di revisione completa dei poteri e delle competenze. La Federal Reserve, cioè la banca centrale, vedrebbe aumentati i suoi strumenti d´intervento nel settore finanziario, ivi compreso il potere di nazionalizzare colossi finanziari pericolanti e frammentarli in tanti "spezzatini" se le loro dimensioni comportano un eccessivo rischio sistemico. D´altra parte il consumatore e depositante riceverebbe nuove attenzioni, con la creazione di un´agenzia federale tutta per lui: un´authority destinata a tutelare i clienti delle banche contro abusi come quelli perpetrati dai piazzisti dei mutui subprime. Novità sostanziali, un rifacimento dell´architettura dei mercati quale non avveniva dai tempi del New Deal rooseveltiano, durante la Grande Depressione degli anni Trenta. Ma tutto questo per ora è un libro dei sogni, nei fatti non una sola riforma è stata approvata. L´iter parlamentare, già complesso, langue e si trascina stancamente. E tra i colpevoli secondo Geithner ci sono proprio quei tre: la banca centrale, l´autorità di vigilanza sulla Borsa e la Fdic che assicura i depositanti contro la bancarotta. Tre istituzioni arroccate in difesa dei propri poteri attuali, in una battaglia immobilista tipica delle burocrazie. Ogni istituzione avrebbe qualcosa da perdere nella riforma, e quindi punta i piedi per guadagnare tempo, logorare il governo. Una tattica che si sta rivelando efficace, perché Bernanke, la Schapiro e la Bair hanno un potente megafono per esprimere le loro obiezioni: le audizioni parlamentari che si susseguono sulle riforme dei mercati. La difesa del potere delle burocrazie si intreccia con le battaglie politiche fra maggioranza e opposizione, o fra le correnti del partito democratico. Un esempio: il potente Barney Frank, deputato democratico del Massachusetts che presiede la commissione Finanze, fa ostruzionismo contro l´aumento dei poteri della Fed perché considera che la banca centrale "è stata indebolita politicamente dallo scandalo delle gratifiche per i top manager dell´Aig". Il gioco dei veti incrociati intanto favorisce le lobby delle banche, assicurazioni e hedge fund: tutte interessate a cambiare il meno possibile, a guadagnare tempo perché si esaurisca la spinta riformista dell´Amministrazione. La resistenza insabbia i cambiamenti in ogni settore: a Chicago langue il tentativo della Commodity Futures Trading Commission di imporre dei limiti alla speculazione sui derivati dell´energia; proprio mentre il petrolio è tornato a salire grazie alla massa finanziaria che si muove nel mercato dei futures. Il rischio per l´Amministrazione Obama giustifica l´esasperazione di Geithner. Il settore finanziario torna a sorridere, e gli indici di Wall Street sono ai massimi da novembre, ma il disagio sociale aumenta e le promesse fatte ai clienti delle banche rimangono lettera morta. Nel settore dei mutui insolventi, per esempio, solo il 9% dei debitori hanno avuto diritto alla rinegoziazione offerta da Obama. Solo le banche festeggiano bilanci floridi, e gli stipendi dei banchieri tornano a salire ai livelli pre-crisi.

Torna all'inizio


I taleban erano già l'incubo di Churchill (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

Nonostante siano tra le genti più povere del mondo, gli abitanti dello scosceso Nord-Ovest dellattuale Pakistan hanno trovato il modo di terrorizzare le lontane capitali occidentali per più di un secolo. Un fatto degno di menzione nei libri dei record. E non è finita. Non certo scommettendo sul cavallo sfavorito. Non coi titoli dei giornali americani sulle razzie dei taleban pachistani, non coi droni della Cia che colpiscono qualunque cosa si muova tra il Waziristan e il confine afghano. Questa primavera, per esempio, un esperto di antiterrorismo ha avvertito in modo stridente (e senza alcuna plausibilità) che «da uno a sei mesi potremmo assistere al collasso dello Stato pachistano» per mano dei famelici taleban, mentre il segretario di Stato Hillary Clinton definiva la situazione in Pakistan «un pericolo mortale» per la sicurezza globale. Alla maggior parte degli osservatori sfugge che tale retorica apocalittica su questa regione in cima al mondo non è affatto nuova. E vecchia di almeno centanni. Durante le campagne alla fine del XIX secolo e allinizio del XX, i funzionari britannici, i giornalisti e gli editorialisti dicevano le stesse cose che risuonano oggi sulla bocca di strateghi, analisti e studiosi americani. Fecero dei Pashtun tribali, che abitavano le montagne del Waziristan, i nuovi Normanni. Per Londra era un pericolo mortale che minacciava di rovesciare limpero britannico. Nel 1898, il giovane Winston Churchill scrisse persino un libro, «The Story of Malakand Field Force», sulla campagna britannica della fine del XIX secolo in territorio Pashtun. In quel tempo Londra governava lIndia britannica che comprendeva lIndia, il Pakistan e il Bangladesh odierni, ma il controllo inglese sulla regione montagnosa del Nord Ovest accanto allAfghanistan e allHimalaya era debole. Cercando di capire, come i moderni analisti, perché i predecessori dei taleban pachistani costituissero una così grande sfida allimpero, Churchill enucleò due ragioni per spiegare il valore militare dei pashtun. La prima era lIslam. «Questa religione scriveva che più di ogni altra è stata diffusa con la spada le cui credenze e i principi sono imbevuti di una pulsione ad uccidere che in tre continenti ha prodotto generazioni di combattenti stimola un selvaggio e crudele fanatismo». Churchill rivela qui i suoi pregiudizi. Infatti, in generale, lIslam si diffuse pacificamente nellattuale Pakistan attraverso la predicazione e la poesia dei mistici sufi, e la maggior parte dei musulmani non sono stati più guerrafondai degli anglosassoni ad esempio. Come seconda ragione Churchill pose lambiente in cui si supponeva che quelle tribù prosperassero. «Gli abitanti di quelle valli selvagge ma ricche spiegava passano continuamente da una faida allaltra». Inoltre, insisteva, la loro tecnologia militare era puntigliosamente aggiornata, le loro armi non erano così primitive come quelle di altre «razze» che lautore definiva «al loro livello di sviluppo». «Alla ferocia degli zulu, aggiungevano labilità dei pellerossa e la mira dei boeri», avvertiva. Limmagine churchilliana di primitivi fanatici e brutali, armati fino ai denti con armi ultimo modello, che individua i pashtun come uno straordinario pericolo per lOccidente, sopravvisse allera vittoriana e si riproduce oggi nei titoli dei nostri giornali. Bruce Riedel, un ex analista della Cia, è stato incaricato dallamministrazione Obama di valutare le minacce alla sicurezza in Afghanistan e Pakistan. Il 17 luglio, Arnauld de Borchgrave sul Washington Times raccontava col fiato sospeso le conclusioni di Riedel: «Una vittoria jihadista in Pakistan significherebbe la conquista del Paese da parte di un movimento sunnita guidato dai taleban... potrebbe creare la più grande minaccia che gli Stati Uniti abbiano mai dovuto affrontare nella guerra al terrore... è questa una possibilità concreta nel prevedibile futuro». Larticolo, in pieno stile churchilliano, sintitolava «Suona il campanello dallarme di Armageddon». Di fatto, poche previsioni di intelligence potevano avere meno possibilità di essere vere. Nelle elezioni parlamentari del 2008, i pachistani hanno votato i partiti centristi, alcuni dei quali laici, ignorando per lo più i partiti islamici fondamentalisti. Oggi in Pakistan ci sono circa 24 milioni di pashtun, un gruppo etnico che parla il pashto. Altri 13 milioni vivono lungo la «Linea Durand» tracciata dai britannici, il confine che generalmente i Pashtun non riconoscono tra il Pakistan e lAfghanistan meridionale. La maggior parte dei taleban proviene da questo gruppo ma la grande maggioranza dei pashtun non sono taleban e non amano particolarmente gli islamisti radicali. Le forze taleban, facilmente sconfitte questa primavera in una rapida campagna nella valle dello Swat dallesercito pachistano, non superavano i 4 mila uomini. Lesercito di Islamabad conta 550 mila militari e altrettanti riservisti. Possiede carri armati, artiglieria e caccia. I taleban possono far leva soltanto sul gruppo etnico dei pashtun, il 14 per cento della popolazione, e per quel che se ne sa sono in minoranza anche al suo interno. I taleban possono compiere azioni terroristiche e destabilizzare il paese, ma non sono in grado di rovesciare il governo. Nel 1921, vaghe minacce allImpero britannico provenienti dal piccolo e debole principato dellAfghanistan e dalla nascente (ma ancora reclinata su se stessa) Unione Sovietica puntellarono una visione paranoica dei pashtun. Oggi il supposto legame con Al Qaeda o anche con lIran o la Russia - di questi pashtun chiamati «taleban» dai funzionari Usa e Nato, ha focalizzato unaltra volta gli sforzi militari e di intelligence di Washington e Bruxelles su questi montanari. Pochi pashtun, anche tra i ribelli, sono in senso stretto taleban, cioè militanti provenienti dai seminari islamici. Alcuni cosiddetti taleban sono collegati con ciò che resta di Al Qaeda nella regione ma non hanno ovviamente lappoggio della Russia o dellIran. Ci potranno essere dei motivi plausibili per cui gli Usa e la Nato hanno deciso di pagare un conto di sangue e denaro nel tentativo di influenzare con la forza la politica di 38 milioni di pashtun da entrambi i lati della Linea Durand. Di certo tra quei motivi non cè il fatto che i pashtun costituiscano una spaventosa minaccia per la sicurezza del mondo nordatlantico. Copyright Juan Cole 2009 e TomDispatch.com

Torna all'inizio


Bill in missione: libere le reporter Usa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 05/08/2009 - pag: 19 Svolta diplomatica La tv annuncia la decisione del «caro leader» Kim Jong-il di «perdonare» le giornaliste Bill in missione: libere le reporter Usa Il ritorno dell'ex presidente Clinton con una mediazione in Nord Corea DAL NOSTRO INVIATO PECHINO Missione compiuta per Bill Clinton. Atterrato ieri a sorpresa in Corea del Nord per riportare a casa le due giornaliste americane rapite a marzo, l'ex presidente degli Stati Uniti ne ha ottenuto la liberazione. Il dittatore nordcoreano Kim Jong-il ha graziato le reporter arrestate. «Un perdono speciale» riferisce l'agenzia ufficiale nordcoreana Kcna , secondo la quale il «caro leader» ha ordinato il rilascio delle due donne. A sorpresa, Clinton è atterrato ieri con un volo privato all'aeroporto di Pyongyang, dove lo ha accolto Kim Kye Gwan, viceministro degli Esteri e capo dei negoziatori sul nucleare. Ieri sera lo ha ricevuto Kim Jong-il. Ha offerto in suo onore la cena e, secondo l'agenzia Kcna , ha ascoltato il messaggio verbale che Barack Obama ha inviato al capo di quello che Bush definì uno «Stato canaglia». La Casa Bianca, invece, ha smentito che il presidente Usa abbia mandato alcun messaggio. Poi, l'incontro di Clinton «molto emozionante » secondo i media Usa con le due giornaliste, nelle mani dei nordcoreani dal 17 marzo scorso: Laura Ling, 32 anni, ed Euna Lee, 36. Secondo i media nordcoreani, l'ex presidente americano si è scusato per il comportamento delle due donne e la decisione di rilasciarle «è una manifestazione della politica umanitaria e pacifista della Corea del Nord» e contribuirà ad «approfondire la conoscenza» con gli Usa. Le due giornaliste furono sorprese alla frontiera fra Cina e Corea del Nord mentrerealizzavanoun reportage per Currenttv sulle donne nordcoreane e sui clandestini fuggiti in Cina in cerca di cibo. Sono state condannate a 12 anni di lavori forzati per «essere entrate illegalmente e aver commesso azioni ostili contro la Corea del Nord». In realtà il cupo regime di Pyongyang se ne è servito per aprire un canale di dialogo con gli Stati Uniti. Ha fatto arrivare alle famiglie delle due donne «entusiaste» ieri per la liberazione un messaggio per dire che il rilascio era possibile se fosse venuto Clinton a negoziare. Fa parte della contorta strategia dei nordcoreani. Hanno inveito per mesi contro «i guerrafondai imperialisti americani». Hanno lanciato una serie di missili. Ed ora hanno cambiato tono. Auspicano un «dialogo a due». Il «caro leader» Kim Jong-il vuole parlare solo con Washington. Probabile che, come in passato, lo scopo sia ottenere benefici. Clinton è arrivato «in missione privata», dicono alla Casa Bianca. Tuttavia Barack Obama era d'accordo. Anche se ha evitato qualsiasi commento «per non compromettere il lavoro» dell'ex presidente. Quasi certamente, Clinton avrà anche colloqui sulla spinosa questione del nucleare. Verosimilmente ne darà poi conto all'amministrazione Obama, di cui sua moglie Hillary è segretario di Stato. «Spero dice il senatore repubblicano Lindsay Graham che questo sia l'inizio di qualcosa di buono ». Un altro ex presidente, Jimmy Carter, svolse una missione in Corea del Nord. Era il 1994. Il messaggio Giallo su un «messaggio verbale» di Obama a Kim Jong-il Incontro Seduti davanti, da sinistra, l'ex presidente Usa Bill Clinton, e il leader nord coreano Kim Jong-il ieri a Pyongyang (Ap) Marco Nese © RIPRODUZIONE RISERVATA IL COMMENTO di Franco Venturini nella pagina Idee & opinioni

Torna all'inizio


Geithner fa muro sulle riforme Scontro con le authority (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 05/08/2009 - pag: 33 Recessione I veti incrociati paralizzano i provvedimenti sulla finanza e la sanità Geithner fa muro sulle riforme Scontro con le authority La Sec promette una stretta sulle transazioni superveloci DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Una sfuriata infarcita di oscenità: così viene raccontato il turbolento incontroscontro che il ministro del Tesoro Tim Geithner ha avuto venerdì scorso con le autorità di supervisione dei mercati dei capitali dalla Fed alla Sec da lui accusate di sabotare la riforma dei controlli sulla finanza presentata da Barack Obama a metà giugno. Il giovane ministro noto per i suoi modi garbati per una volta ha battuto i pugni sul tavolo perché teme che l'atteggiamento di questi alti funzionari possa far sprofondare nelle sabbie mobili del Congresso un progetto che la Casa Bianca considera vitale per riattivare il sistema economico. Col Parlamento che sta continuando a rinviare non solo la riforma sanitaria, ma anche quella della finanza, Geithner vede nelle critiche e i veti incrociati di queste «authority», il rischio che si arrivi a un blocco a tempo indeterminato di una riforma che, nelle intenzioni di Obama, dovrebbe entrare in vigore entro fine anno. All'incontro ha preso parte anche il capo della Federal Reserve, Ben Bernanke, ma Geithner se l'è presa soprattutto con due donne Mary Schapiro e Sheila Bair, responsabili della Sec e della Fdic, le agenzie federali che controllano la Borsa e l'attività creditizia delle banche commerciali per la loro opposizione alla parte della riforma che punta a rafforzare i poteri della Banca centrale Usa. La mossa di Geithner non solo è una caduta di stile, ma sembra essere stata controproducente: ieri, in una nuova audizione davanti al Senato, i capi delle «authority» hanno rivendicato la loro piena indipendenza dal governo e hanno accentuato le critiche alla riforma Obama. Tanto che perfino alcuni parlamentari (anche democratici) che fin qui hanno espresso dubbi sulla validità dell'impostazione del provvedimento, ieri si sono sentiti in dovere di bacchettare anche i «supercontrollori», accusandoli di difendere ciascuno le sue prerogative, senza tener conto delle esigenze del sistema. Mentre le altre «authority» contestano il piano del Tesoro di rafforzare la Banca centrale, la stessa Fed critica il progetto Obama-Geithner laddove prevede la creazione di una nuova agenzia per la protezione del consumatore di prodotti finanziari. La Bair nominata a suo tempo dai repubblicani e confermata da Obama che ha apprezzato la determinazione con cui ha affrontato la crisi di alcune banche locali come IndyMac ha mostrato ieri di nuovo tutta la sua energia quando ha detto che la sfuriata di Geithner non le ha fatto cambiare opinione, aggiungendo che non sta difendendo le competenze della Fdic ma il principio della maggiore efficacia di un sistema di controllo basato su una pluralità di voci rispetto a uno caratterizzato da una voce unica. Ma quando, in passato, era stato proposto di affidare le decisioni più delicate sulla stabilità del sistema bancario, anziché alla sola Fed, a un comitato nel quale siano rappresentati i principali istituti di controllo, Geithner aveva tagliato corto: «Quando scoppia un incendio, non convochi un comitato per spegnere le fiamme». In margine all'audizione al Senato, la Schapiro ha poi parlato dell'«High frequency trading », il nuovo sistema di transazioni di Borsa ad altissima velocità attuato da grandi banche che dispongono di supercomputer e che hanno sviluppato sofisticati algoritmi. Una tecnica che garantisce grossi guadagni ma che, moltiplicando e accelerando le contrattazioni, comporta anche rischi per la stabilità del sistema. Pubblicamente la responsabile della Sec si è limitata ad annunciare interventi per «eliminare le iniquità» che caratterizzano il «flash trading». Il senatore Schumer ha aggiunto, a porte chiuse, che la Schapiro gli ha promesso che farà il possibile per mettere al bando questo tipo di contrattazione. Massimo Gaggi © RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna all'inizio


Sinistra, ipotesi di (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Terza Pagina data: 05/08/2009 - pag: 39 Dibattiti Il caso tedesco riapre la discussione sul declino della socialdemocrazia in Europa Sinistra, ipotesi di «quarta via» Finita l'età d'oro del Welfare, in crisi la linea liberale del New Labour Ora si punta su ambiente e diritti individuali. Con un occhio all'Australia di ANTONIO CARIOTI R alf Dahrendorf, il noto sociologo tedesco appena scomparso, definì il Novecento «secolo socialdemocratico ». E in fondo lo scoccare del 2000 vedeva i partiti dell'Internazionale socialista ancora al governo in tutti i maggiori Paesi dell'Ue: Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia. Da allora però il vento è radicalmente mutato, come dimostra la dura sconfitta subita da quelle stesse forze alle elezioni europee di giugno. Quindi la decisione dei sindacati tedeschi di non appoggiare più la Spd, come ha notato Gian Enrico Rusconi sulla «Stampa» del 3 agosto, appare la spia di una crisi che investe tutta la sinistra riformista. Non a caso l'economista Giuseppe Berta ha intitolato Eclisse della socialdemocrazia un suo libro pubblicato dal Mulino e recensito il 7 maggio sul «Corriere» da Michele Salvati. «Lo sviluppo dello Stato sociale, l'espansione della domanda e la redistribuzione del reddito osserva Berta erano gli ingredienti della vecchia ricetta socialdemocratica, non più applicabile, dopo gli anni Ottanta, per via dell'aumento insostenibile della spesa pubblica e della pressione fiscale. Quindi negli anni Novanta c'è stato un rovesciamento, con la 'terza via' del New Labour di Tony Blair: una forza dall'identità vaga, che puntava ad assecondare la globalizzazione e accelerare la crescita, nella convinzione che anche gli strati svantaggiati ne avrebbero beneficiato. Ma questa politica non ha ridotto le disuguaglianze e si è scontrata con la crisi finanziaria mondiale, che ha lasciato la socialdemocrazia senza linee di riferimento, in uno stato di grave afasia». Non bisogna credere però che i partiti lontani dalla «terza via» se la passino meglio. «Il socialismo francese ricorda Marco Gervasoni, autore della biografia François Mitterrand , edita da Einaudi ha sempre voluto distinguersi dalla socialdemocrazia sul piano ideologico, ma le sue oscillazioni programmatiche e i suoi contrasti interni lo hanno reso poco credibile. Quando era al governo, ha spesso compiuto scelte contraddittorie rispetto alla sua retorica anticapitalista. Poi c'è il problema del ricambio: da quando Mitterrand è uscito di scena, il Ps manca di un leader forte e non è riuscito a rinnovare il suo gruppo dirigente. Inoltre soffre il dinamismo di Nicolas Sarkozy, che ora di fronte alla crisi non ha esitato a riscoprire la tradizione dirigista del gollismo». «Nella critica al capitalismo in senso protezionista oggi una certa destra, rappresentata in Italia da Giulio Tremonti, è più efficace della sinistra», conferma Andrea Romano, autore di una biografia di Blair intitolata The Boy (Mondadori). A suo avviso, «sarebbe un errore, da parte dei socialdemocratici, riesumare una visione statalista e diffidente verso il mercato: per avere le carte in regola quando la crisi finirà, non devono assecondare le tendenze alla chiusura e al ripiegamento, ma trasmettere un messaggio ottimista, di fiducia nel futuro». Uno slancio che sembra mancare alla Spd tedesca, nota Brunello Mantelli, autore di una storia della Germania intitolata Da Ottone di Sassonia ad Angela Merkel (Utet). «Oggi i socialdemocratici contendono alla Cdu-Csu lo spazio di centro. Ma nella gestione dell'esistente i moderati, per via della loro tradizione di governo, appaiono più affidabili, anche perché hanno dimostrato notevoli capacità di rinnovamento. Inoltre la Spd prosegue Mantelli è incalzata dalla concorrenza della Linke, una formazione nata dalla convergenza tra la sinistra socialista di Oskar Lafontaine e la Pds, erede del partito di governo della ex Germania orientale. Non si tratta più di una presenza confinata all'Est, perché ha ottenuto buoni risultati elettorali perfino nella Baviera conservatrice. Ne consegue che per la prima volta dagli anni del dopoguerra la Spd ha un forte antagonista a sinistra, il che ha contribuito a incrinare il suo legame esclusivo con il sindacato». Qui emerge il problema del radicamento sociale, su cui insiste Berta: «Il vecchio partito di massa non è riproponibile, ma la socialdemocrazia non può rassegnarsi ad avere i media come unico canale di comunicazione con i cittadini. Occorre trovare forme nuove d'interazione e di partecipazione popolare, magari usando il Web come ha fatto Barack Obama». Quanto ai contenuti, serve una sorta di «quarta via»: «Storicamente ricorda Berta la socialdemocrazia ha costruito la propria fortuna valorizzando un'identità collettiva, ma adesso deve recuperare la dimensione dei diritti individuali, superando la frontiera che ancora la separa dal liberalismo». Diversa la «quarta via» proposta da Romano: «Con Blair, Schröder e Zapatero, la socialdemocrazia ha già realizzato notevoli innovazioni in senso liberale. Ma ormai anche quel ciclo si è esaurito, come la fase precedente legata alla costruzione del Welfare. Bisogna battere strade nuove. Trovo interessante lo sforzo di quei laburisti che vogliono reinventare la missione del partito dando la priorità alla tutela dell'ambiente. Si tratta di adottare un ecologismo pragmatico, che non sia apocalittico né antisviluppista, seguendo l'esempio del primo ministro laburista australiano Kevin Rudd. Una rivoluzione verde, dopo quella liberale, può essere la via d'uscita dal vicolo cieco in cui si trova la socialdemocrazia, ma richiede un profondo rinnovamento del suo bagaglio culturale». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna all'inizio


Usa, si dimette la della sicurezza tecnologica (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 05/08/2009 - pag: 21 Melissa Hathaway Usa, si dimette la «zarina» della sicurezza tecnologica WASHINGTON - Si è dimessa la responsabile della Casa Bianca per la cybersicurezza, Melissa Hathaway. Incaricata in febbraio di rivedere completamente le politiche di sicurezza informatica dell'amministrazione Usa, la Hathaway ha annunciato di voler rimettere il mandato per motivi personali. In maggio Obama aveva annunciato l'intenzione di creare un National Cyber Advisor per elaborare le strategie contro il crimine tecnologico. Secondo il Wall Street Journal , sulle dimissioni di Hathaway avrebbe pesato il disaccordo con lo staff economico del Presidente su nuove regole per la sicurezza delle reti di operatori privati, sui cui standard lo stesso Obama aveva detto di non voler interferire. Essere una ex dell'amministrazione Bush, poi, non l'ha di certo aiutata, scrive il quotidiano finanziario.

Torna all'inizio


Clinton torna con le due reporter "Nessuna concessione a Pyongyang" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - L'aereo di Bill Clinton, con a bordo le due giornaliste americane di Current Tv Laura Ling e Euna Lee graziate dai coreani dopo l'accusa di spionaggio e la condanna ai lavori forzati, ha fatto scalo nella base americana di Misawa in Giappone sulla via del ritorno a casa. Poco più tardi, dopo il rifornimento di carburante, il jet privato è ripartito per Los Angeles. Ha avuto dunque pieno successo la missione dell'ex presidente Usa che si è recato a Pyongyang sulla base di precedenti assicurazioni sulla possibilità di successo. Ma nulla, ovviamente, era certo prima della sua partenza. E il presidente Barack Obama gliene ha dato atto lodando l'"ottimo lavoro svolto da Clinton nell'ottenere la liberazione delle due giornaliste" dalle prigioni nordcoreane. Soddisfatta anche la segretario di stato americano Hillary Clinton che si è detta "molto felice e sollevata". "Ho parlato con mio marito sull'aereo e tutto va bene. Siamo molto emozionati - ha detto Hillary Clinton - E' proprio un bel giorno quando vedi che succedono cose come questa". Obama ha anche chiamato le famiglie delle due reporter Laura Ling e Euna Lee esprimendo sollievo per il loro rilascio e facendo sapere che le due donne stanno bene. Le sanzioni restano. La missione ha avuto un delicatissimo background diplomatico. La Casa Bianca voleva tenersi fuori dalle trattative per non dover fare concessioni al regime di Kim Jong-il e Clinton (che non doveva trattare ma raccogliere con abilità i frutti dei lunghi contatti sotterranei) doveva mantenersi nell'ambito di precisi paletti. Il tutto avendo però ben chiaro che il rapporto diplomatico avrebbe potuto avere conseguenze positive nelle difficilissime relazioni tra i due paesi. OAS_RICH('Middle'); Così, subito dopo la liberazione, la Casa Bianca ha fatto sapere che le sanzioni americane nei confronti della Corea del Nord restano in piedi. Pyongyang dovrà affrontare una situazione di isolamento ancora peggiore se continuerà nei suoi comportamenti provocatori, hanno detto le fonti. Le stesse fonti dell'amministrazione hanno indicato che in settimane di trattative segrete entrambi i Clinton hanno avuto un ruolo nella liberazione delle giornaliste. L'ex presidente è stato in Corea del Nord per 20 ore. Nei colloqui con il presidente nordcoreano Kim Jong-il, Clinton ha espresso le sue opinioni sulla denuclearizzazione della Corea del Nord e avrebbe detto a Kim che "cose positive" sarebbero potute derivare dalla liberazione delle due giornaliste. Secondo le fonti Usa, il Governo nordcoreano aveva concordato in anticipo che non sarebbe stato fatto alcun collegamento tra la liberazione delle giornaliste e il dossier nucleare. Pyongyang aveva accettato di liberare le giornaliste prima della missione di Clinton. Al Gore e la sua emittente Current Tv hanno espresso soddisfazione per il rilascio do Laura Ling e Euna Lee. "Vogliamo ringraziare l'amministrazione Obama per i suoi determinati sforzi di ottenere la liberazione e l'ex presidente Bill Clinton per la sua disponibilità a intraprendere questa missione", ha detto Gore con Joel Hyatt, co-fondatore della rete televisiva, nella giornata che ha segnato la fine dela odissea di 140 giorni delle giovani reporter. Anche la Cina si è congratulata per la liberazione. (5 agosto 2009

Torna all'inizio


Bill Clinton lascia Pyongyang con le due reporter Usa graziate (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

Questa notte l'ex-presidente Bill Clinton ha lasciato la Corea del Nord con Laura Ling e Euna Lee, le due giornaliste americane arrestate lo scorso 17 marzo per essere entrate illegalmente nel paese e aver condotto attività ostili allo Stato. Le due donne, rispettivamente di origine coreana e cinese ma con passaporto statunitense, stavano realizzando un reportage sui rifugiati nordcoreani in Cina e sul traffico di donne nordcoreane per la serie Vanguard, in onda anche in Italia sul canale 130 di Sky, un programma di inchieste sul campo su temi di attualità. Il processo era cominciato giovedì scorso, 4 giugno e il tribunale centrale nordcoreano aveva confermato il loro non meglio specificato «grave crimine» contro la nazione, condannandole a 12 anni di lavori forzati. Ieri, l'incontro tra l'ex-inquilino della Casa Bianca e Kim Jong-il aveva portato quest'ultimo a concedere una grazia speciale e il rilascio a Laura e Euna. Giunto a sorpresa a Pyongyang per parlare direttamente con il leader, Clinton era stato accolto calorosamente con fiori e strette di mano dai dirigenti nordcoreani. Nel corso di una cena organizzata in onore dellospite americano, svolta «in unatmosfera cordiale», «un esauriente colloquio» in cui è stato riferito un «messaggio verbale» di Obama. Come affermato dall'ufficio stampa della Casa Bianca, la missione di Clinton ha avuto carattere puramente umanitario. Tuttavia, secondo alcuni analisti, al di là di questa missione di buoni uffici, la visita - la seconda di un ex presidente Usa dopo quella di Jimmy Carter nel 1994 - riveste, almeno per Pyongyang, una dimensione politica. Avvenuta in un momento di forte «impasse» del dossier nucleare nordocoreano, dopo i test missilistici condotti dalla Corea del Nord il 25 maggio e il 4 luglio, condannati dal Consiglio di sicurezza dellOnu - potrebbe contribuire a far «ripartire» le relazioni tra Pyongyang e Washington. Clinton e la sua delegazione sono stati successivamente salutati allaeroporto dal vicepresidente del Presidium, Yang Hyong Sop, e da Kim Kye Gwan, viceministro degli Esteri - come si legge nella nota della Kcna - e l'aereo è decollato verso Los Angeles dove le due giornaliste ritroveranno le loro famiglie. Lex vice presidente Al Gore e la sua emittente Current Tv, per cui le donne lavorano, hanno espresso soddisfazione per il loro rilascio. «Vogliamo ringraziare lamministrazione Obama per i suoi determinati sforzi di ottenere la liberazione e lex presidente Bill Clinton per la sua disponibilità a intraprendere questa missione», ha detto Gore con Joel Hyatt, co-fondatore della rete televisiva, nella giornata che ha segnato la fine dell'odissea di 140 giorni delle giovani reporter. Entusiastici i commenti da parte del presidente Barack Obama, il quale ha anche chiamato le famiglie delle due reporter esprimendo sollievo per il loro rilascio e ha lodato l«ottimo lavoro svolto da Clinton nellassicurare la loro liberazione», e dal segretario di Stato ed ex-first lady Hillary, che si è detta «molto felice» per il successo ottenuto dalla missione del marito a Pyongyang. «Ho parlato con Bill sullaereo e tutto va bene. Siamo molto emozionati - ha detto parlando con i giornalisti a Nairobi - È proprio un bel giorno quando vedi che succedono cose come questa».

Torna all'inizio


Blitz di Clinton in Corea del Nord Obama felice: "Ma niente svolta" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 05-08-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK «Straordinariamente sollevato» per la liberazione delle due giornaliste di Current Tv Laura Ling e Euna Lee, il presidente Barack Obama non ha voluto interpretare il finale alla Hollywood di questo ultimo braccio di ferro con la Corea del Nord come un segnale di disgelo nei rapporti tra i due paesi. «Sta alla Corea del Nord: la strada per migliori relazioni passa attraverso la rinuncia di Pyongyang al nucleare e la fine di azioni provocatorie», ha detto Obama alla MsNbc che lo ha intervistato poco dopo larrivo a Los Angeles delle due giornaliste con Bill Clinton. Poco prima, nel South Lawn della Casa Bianca il presidente aveva elogiato gli sforzi del suo predecessore che ieri a Pyongyang aveva raccolto i frutti di un lavoro diplomatico di mesi e lex vice-presidente Al Gore, il presidente di Current Tv, che dietro le quinte si era mosso per ottenere il rilascio. «Non solo questa Casa Bianca è straordinariamente felice. Tutti gli americani dovrebbero essere grati a Clinton e a Gore per il loro lavoro», ha detto Obama. La Casa Bianca, notando che il blitz di ieri è statO «privato» e che lex presidente ha usato un jet «non pagato dal governo», ha tenuto a precisare che lamnistia accordata alle giornaliste dal leader nordocoreano Kim Jong Il è un «fatto distinto» dalla disputa nucleare che ha isolato il paese comunista dal resto del mondo. Non siamo dunque al pulsante reset come quello che nei mesi scorsi ha simbolicamente caratterizzato i nuovi rapporti con la Russia. Almeno a livello ufficiale: «Il miglior modo per cambiare le nostre relazioni con la Corea del Nord è che la Corea del Nord decida di rispettare responsabilità e accordi», ha detto il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs puntando i riflettori sull obiettivo di una «penisola coreana denuclearizzata». Laura Ling e Euna Lee sono tornate in patria oggi allalba sullaereo di Clinton dopo 140 giorni di prigionia e una condanna a 12 anni ai lavori forzati. Familiari commossi le hanno accolte allarrivo, in un hangar dellaeroporto di Burbank, vicino a Los Angeles. Il portavoce della Casa Bianca ha ribadito che lex presidente non si è fatto latore di alcun messaggio da Obama al "Caro Leader" Kim Jong Il: «Se non cera messaggio non ci potevano essere scusè, ha detto Gibbs. Quanto a Clinton, allarrivo non ha aperto bocca: «È felice che Laura e Euna dopo la loro odissea sono a casa», ha fatto sapere un portavoce dellex presidente la cui missione, ancora una volta, ha fatto ombra al ruolo della moglie. Dal Kenya, dove ieri ha comunciato un viaggio di undici giorni in Africa, Hillary Clinton ha parlato col marito che sorvolava il Pacifico: «Sono sollevata. Tutto va bene. Siamo emozionati, lui soprattutto: nostra figlia Chelsea ha letà di quelle ragazze», ha detto il segretario di Stato. Nella notte, con laereo fuori dallo spazio aereo nordcoreano, la Casa Bianca ha regalato ai giornalisti alcuni retroscena della liberazione: a metà luglio Laura e Euna avevano comunicato alle famiglie che i nordcoreani avrebbero accettato di liberarle se fosse stato mandato come inviato Bill Clinton. Contattato da Gore, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale James Jones si era messo in moto. Attraverso la Svezia, che rappresenta in Corea del Nord gli interessi Usa, era stato messo in chiaro con Pyongyang che il viaggio sarebbe stato «non ufficiale» e la missione «totalmente personale e a scopo umanitario». Obama e Clinton non hanno comunicato durante lintera operazione ma funzionari dellamministrazione hanno informato il presidente prima della missione, lultima volta sabato nella sua casa di Washington. Una volta a Pyongyang Clinton e il suo entourage hanno incontrato a Kim per unora e un quarto poi hanno avuto una cena di due ore.

Torna all'inizio


La corsa per la corona mondiale dell'eleganza è un testa a testa tra due altezze reali: la... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 06-08-2009)

Argomenti: Obama

La corsa per la corona mondiale dell'eleganza è un testa a testa tra due altezze reali: la futura regina di Spagna e l'attuale Sceicca del Qatar, un'araba del Golfo, chi l'avrebbe immaginato? Nella categoria «First Ladies», principesse repubblicane, ci sono solo Carla Bruni Sarkozy e Michelle Obama (cui viene negato il cognome da ragazza, forse perché non ha avuto una carriera mediatica prematrimoniale), ma chi ha in mente il recente G8 aquilano e le signore dei «signori del mondo» non può dare torto alla selezione drastica di «Vanity Fair», che nel numero americano d'agosto stila la classifica delle elegantone e degli elegantoni del 2009. Nella più vasta categoria «Donne», invece, le cose si complicano. La rivista segnala la principessa Letizia delle Asturie ma anche l'attrice Anne Hathaway; due incantevoli persone, senza dubbio, ma con l'eleganza c'entrano poco. Donna Letizia, nella celebre foto che la ritrae da dietro mentre sale le scale con Carla Bruni in visita di stato in Spagna, ha addosso un vestito assolutamente troppo attillato per una figura istituzionale (l'astuta Bruni, infatti, che ha addosso un vestito quasi uguale, l'ha scelto più morbido): la salva la magrezza estrema, più anoressica che aristocratica, però. Quanto alla Hathaway, è andata in giro per troppo tempo con un accessorio clamorosamente volgare come l'ex fidanzato Raffaele Follieri per far credere di capire qualcosa di eleganza. Splendida invece la scelta di Mozah, Sceicca del Qatar. Come Michelle Obama, anche la Sceicca esalta negli abiti e negli ornamenti il gusto e la tradizione della sua gente, una novità magnifica e nuovissima nel mondo «global» della moda, che usa l'etnico come capriccio casuale, mentre qui c'è una scelta consapevole, colta. Ma che ci fa l'attrice spagnola Penelope Cruz al terzo? È sottile come un giunco, ma non le basta per assomigliare a Audrey Hepburn. Su Chiara Clemente, figlia del pittore transavanguardista Francesco e seconda dell'elenco, non sappiamo che dire. Regista di documentari e star della high life artistica internazionale, qui in Italia non la conosciamo abbastanza. Per capire se è elegante o no dovrebbe mandarci un book. Prima di passare alla categoria «Uomini», diamo un'occhiata stupefatta ai nomi raggruppati nella sezione Hall of Fame, ovvero, per capirci, nel Pantheon degli immortali. Ve li dico tutti, e se siete capaci di trovare il filo rosso che li lega, telefonate. Dunque: Liliane Bettencourt, 87 anni, azionista di maggioranza dell'Oréal, la donna più ricca del mondo; Cathérine Deneuve, Lapo Elkann, il conte Manfredi della Gherardesca (già nominato nel 2008, sui blog ricorreva e ricorre la domanda: ma chi è Manfredi della Gherardesca?), Renee Zellweger. Vedete un nesso? Gli uomini, dicevamo. Svantaggiatissimi nella valutazione di Tiki Barber, un corrispondente del network Nbc (chi l'ha visto?) e ancor più in crisi con tale Arpad Busson, re francese degli hedge fund, recuperiamo finalmente con l'attore Daniel Craig. Lui sì che lo conosciamo: è l'uomo che ha tradito James Bond, trasformandolo in un energumeno. Elegante? La mente vacilla. Di Brad Pitt, altro incluso nella lista, qualunque donna ricorda soprattutto le canottiere. Cy Twombly, al contrario, ha sempre una vecchia giacca. E Barack Obama? È certo perfetto, non tanto per i vestiti - che si fa fare tutti uguali per non doversi preoccupare di cosa mette, l'ha raccontato la moglie - bensì per l'allure, la grazia con cui si muove. C'entra con l'eleganza? Sì. C'entra coi criteri di questa selezione di «Vanity Fair»? Ancora sì, perché è una selezione all'insegna del motto «tutto e il contrario di tutto». Ma, stando così le cose, c'era bisogno di farla?

Torna all'inizio


corea, trionfo per clinton in america le due giornaliste (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina FEDERICO RAMPINI A PAGINA 12 Monito di Obama a Pyongyang "Ma ora trattate sull´atomica" Corea, trionfo per Clinton in America le due giornaliste SEGUE A PAGINA 12

Torna all'inizio


"rom, sono loro i nuovi ebrei" ovadia debutta a san giovanni - gregorio moppi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina IX - Firenze "Rom, sono loro i nuovi ebrei" Ovadia debutta a San Giovanni GREGORIO MOPPI «Rom, sinti, extracomunitari, clandestini: sono loro i nuovi ebrei», afferma Moni Ovadia che con la politica nostrana, ma pure con certi suoi correligionari, ha davvero il dente avvelenato. Lui, che nella vita e sulla scena ha sempre coltivato la memoria, non sopporta chi tende a scordarsi il passato. O che comunque ricorda solo ciò che gli fa comodo. «Oggigiorno molti tentano di autoassolversi mostrandosi carini con gli ebrei. Bene. Ma perché nel Giorno della memoria non si va a portare solidarietà anche a sinti e rom ugualmente sterminati nei campi di concentramento nazisti?». A coloro, cioè, che Ovadia, ebreo di ascendenze sefardite nato in Bulgaria ma trasferitosi bambino a Milano, considera come fratelli. E nello spettacolo Ebrei e zingari - senza confini (oggi 21.30 in piazza Masaccio, gratis) a San Giovanni Valdarno per il festival multietnico «Orientoccidente» che lo produce, proclama a gran voce questo sentimento. Peraltro poco avvertito nell´Italia attuale. «Italiani brava gente, si dice. Ma quando mai, se lo sport nazionale è sputare sullo straniero! Pochi sembrano rammentarsi dei nostri 30 milioni di emigranti, di persone che, giunte negli States ai primi del secolo scorso, venivano trattate proprio come noi trattiamo immigrati e profughi. Purtroppo bisogna sempre trovare un nemico esterno per sentirci migliori; e nessuno vuole prendersi alcuna colpa per ciò che non va». Nemmeno gli ebrei, le cui frange più estremistiche accusano Ovadia stesso di antisemitismo perché si azzarda a criticare il governo di Israele. «Liberi di pensare quel che gli pare, così come io mi sento libero di definirli ebrei fascisti. Tali sono diventati da quando, dopo l´Olocausto, tengono il deretano al caldo. Nessun insegnamento hanno tratto da tremila anni di diaspore, poiché in realtà non sono né meglio né peggio degli altri esseri umani. Invece la comunità ebraica dovrebbe rifiutarsi di sedere al tavolo con chi discrimina il diverso; dovrebbe protestare in piazza, in sinagoga contro uno come il ministro Maroni che mai ha prestato ascolto ai problemi dei rom, mai ha condiviso con loro un pasto». Basta, dunque, con gli slogan d´odio da parte di un´Europa «corrotta, privilegiata», di un´Italia guidata da un «satrapo di provincia» e per metà in mano alla mafia, implora Ovadia. «Non possiamo che inchinarci dinanzi a rom e sinti, gente a cui mai, nella storia, è saltato in testa di progettare una guerra. E quando vediamo uno straniero, dovremmo pensare che da lì potrebbe nascere un futuro premio Nobel, un nuovo Obama». Il recital di Ovadia, storie e melodie accompagnate da diversi strumenti, sottolinea le molte affinità culturali e musicali tra sinti, ebrei, rom. Fino alla Shoah questi popoli hanno condiviso un medesimo destino di nomadismo: risposta di dignità e indipendenza alle persecuzioni. «Molti motivi klezmer si ritrovano tra i rom, e viceversa; del resto tutti quanti erano musicisti itineranti», spiega Ovadia. Il viaggio, lo spaesamento, il travaglio esistenziale, l´esultanza gioiosa, l´ode alla vita sono temi comuni alla tre tradizioni. La serata si apre con un canto dovuto a un ebreo recluso ad Auschwitz e ispirato dalla sofferenza dei compagni di prigionia rom. «Testimonianza di come un grande animo sappia cogliere, al di là del dolore personale, la sofferenza altrui».

Torna all'inizio


super bill, missione compiuta obama ringrazia e avverte "la corea smetta di provocare" - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri Super Bill, missione compiuta Obama ringrazia e avverte "La Corea smetta di provocare" America in festa per il ritorno a casa delle due reporter Le giornaliste: "Clinton ci è comparso davanti e abbiamo capito che l´orrore era finito" FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente new york - Una giornata di festa per tutta l´America, che ha salutato il ritorno delle due giornaliste liberate dalla Corea del Nord. Un trionfo personale per Bill Clinton, "The Comeback Kid", rilanciato sulla scena politica mondiale. E infine tanti interrogativi sul prezzo politico pagato da Obama sugli eventuali dividendi futuri, sulle incognite di questo apparente disgelo con il dittatore Kim Jong-il. Ma le controversie possono aspettare: la commozione dominava in tutto il paese, ogni rete tv ieri aveva sospeso i programmi per il collegamento speciale con la California. Alle 5.50 locali, dopo 11 ore di traversata del Pacifico è atterrato sulla pista di Burbank, vicino a Los Angeles, il jet privato del miliardario Andy Meyers (Shangri-La Industries), noto finanziatore del partito democratico. Le prime a uscire sono state loro due. Laura Ling, 32 anni, sulla scaletta ha accennato un inchino orientale di ringraziamento. Euna Lee, 36 anni, ha stretto i pugni al cielo poi è corsa ad abbracciare la figlia di 4 anni ed è scoppiata a piangere. Dietro le due giornaliste è sbucato Clinton, il deus ex machina della liberazione. Sulla pista lo aspettava il suo ex vicepresidente Al Gore, fondatore della Current Tv di San Francisco: è la piccola rete online per la quale lavorano le due reporter, cittadine americane di origine coreana. Catturate a marzo dalla polizia di Pyongyang, mentre indagavano sulla terribile sorte dei profughi nordcoreani al confine con la Cina. Condannate a giugno a una pena esemplare: 12 anni di carcere. Un incubo, che non erano riusciti a dissipare né la diplomazia privata di Al Gore, né gli altri mediatori ufficiosi per conto di Washington. Le due giornaliste si stavano preparando al peggio. «Da un momento all´altro ha raccontato ieri Laura Ling sapevamo che potevano deportarci in un campo di lavori forzati. E´ quello che abbiamo pensato, quando siamo state prelevate dalle nostre celle. Improvvisamente ci siamo trovate di fronte Bill Clinton. Uno choc, ma lì abbiamo capito che l´orrore era finito». Secondo la Corea del Nord il gesto di "clemenza" di Kim Jong-il è giunto dopo che Clinton "si è scusato" per il comportamento delle due giornaliste. La dittatura comunista ha dato la massima visibilità alla missione dell´ex presidente. Filmati e foto in abbondanza sono stati diffusi su tutti i mass media ufficiali: Clinton salutato da alti dignitari all´aeroporto, con una corona di fiori al collo, infine impegnato in lunghi e amichevoli colloqui con Kim. Per Pyongyang la liberazione delle due giornaliste è servita a ottenere un "riscatto" molto ambìto: un gesto di rispetto da parte dell´America, un riconoscimento e una legittimazione. E´ su questo scambio che ora si concentrerà l´attenzione. L´Amministrazione ha puntualizzato: Clinton è andato in Corea del Nord come un privato cittadino, non era portatore di un messaggio di Obama, non ha neppure parlato col presidente prima di partire. Al tempo stesso, il clan democratico è in festa per un successo umanitario nato grazie alla definitiva pacificazione fra tre grandi "famiglie": il clan Obama, i Clinton, e Al Gore. Finalmente capaci di fare gioco di squadra, dimenticando rivalità e tensioni dell´ultima campagna elettorale. «Sono straordinariamente sollevato», ha detto il presidente, «tutti gli americani dovrebbero essere grati a Clinton e Gore per il loro lavoro». Ma la presenza sull´aereo con Clinton di John Podesta, "ufficiale di collegamento" con Obama, lascia intuire qualcos´altro. La missione dell´ex presidente può avere riannodato i fili di una diplomazia parallela, per sbloccare il grave contenzioso nucleare con la Corea del Nord. Una tensione aggravata dal crescendo di test nucleari e missilistici compiuti da Pyongyang negli ultimi mesi. Per l´opposizione repubblicana Clinton è caduto ancora una volta nella trappola: come nel 2000, quando credette alle promesse di Kim sulla rinuncia al programma di armamento nucleare. Ma la politica della fermezza di George Bush, con otto anni di sanzioni inefficaci, ha ottenuto un risultato ancora peggiore: regalare alla Cina il ruolo di unica mediatrice sul dossier nordcoreano. Con il jolly-Clinton, Obama ha saggiato la possibilità di un dialogo senza dover pagare pedaggio a Pechino. Tanto che il presidente ha potuto chiudere la giornata di festa con queste parole: «Ora la strada per migliori relazioni passa attraverso la rinuncia di Pyongyang al nucleare e la fine delle provocazioni».

Torna all'inizio


monito di mosca a washington "basta aiuti militari alla georgia" - leonardo coen (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 13 - Esteri Monito di Mosca a Washington "Basta aiuti militari alla Georgia" Sale la tensione nel Caucaso a un anno dalla guerra Da qualche giorno sul confine con l´Ossezia del sud si spara I russi hanno raddoppiato i soldati presenti nella repubblica separatista LEONARDO COEN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA - La Russia accusa gli Stati Uniti di riarmare pesantemente la Georgia: «Saremo costretti a prendere delle contromisure», ha dichiarato ieri Grigori Karasin, il vice ministro degli Esteri, senza specificare la portata della minaccia. Ma minaccia resta, a due giorni dal primo anniversario del conflitto scoppiato l´8 agosto del 2008, mentre a Pechino erano appena iniziate le Olimpiadi. Il presidente georgiano Mikhail Saakashvili spergiura che Tblisi non ha alcuna intenzione di replicare quella guerra dagli esiti nefasti per la Georgia, «poiché ciò sarebbe un suicidio». Il vicecapo dello Stato maggiore russo Anatolj Nogovitsyn invece insiste sulle accuse di riarmo, rinforzate dai rapporti dei servizi segreti: «La principale preoccupazione delle forze armate georgiane è quella di opporsi ad una minaccia dal nord, cioè dalla Russia. Noi vediamo chiaramente che la Georgia si riarma, e che tutta l´attività militare è diretta contro la Russia. Da ciò derivano tutte le dichiarazioni politiche e le tante azioni provocatorie da parte dei georgiani». Da qualche giorno al confine tra l´Ossezia del Sud - una delle due provincie georgiane ribelli che si sono autoproclamate repubbliche indipendenti, grazie al consenso di Mosca - si sparacchia. Non ci sono stati per fortuna né morti né feriti: i colpi di mortaio erano chiaramente dimostrativi: però i russi hanno subito raffreddato le velleità georgiane: se continuate, risponderemo adeguatamente. Martedì il presidente ossetino del sud ha ordinato la chiusura della frontiera con la Georgia, «per evitare provocazioni» e perché in Georgia ci sarebbero stati casi di influenza suina. La Russia ha annunciato che sarà aumentato il contingente militare dislocato in Abkhazia e in Ossezia del Sud, portando il numero dei soldati da 1800 a 3000. Insomma, piccole e grandi manovre si agitano all´ombra di un conflitto latente. La tensione è montata di nuovo alle stelle. Gli esperti militari russi, come Pavel Felgenhauer che scrive per la Novaja Gazeta dove lavorava Anna Politkovskaja, dicono che la Russia sta preparando il terreno «per una nuova guerra contro la Georgia, il cui obiettivo sarebbe quello di rovesciare il regime del presidente filoccidentale Saakashvili. Tuttavia, le opinioni sono variegate. Per esempio, un altro prestigioso politologo, Stanislav Belkovskij, dice che Mosca in questo momento non vuole assolutamente ingaggiare uno scontro armato con la Georgia perché questo rovinerebbe la delicata ritessitura dei rapporti con gli Stati Uniti. E Washington, in questo puzzle, vuole essere amico di Tblisi ma anche di Mosca. Saakashvili sa che può rischiare di diventare il capro espiatorio di questo riavvicinamento tra il Cremlino e la Casa Bianca: per questo Obama è andato a tranquillizzarlo il 23 luglio. Il che non è stato gradito a Mosca. Che ha subito rialzato i toni bellicosi, per ricordare che la Georgia rientra nella sua sfera geopolitica. Comunque, nel coro delle voci che in queste ultime ore stanno agitando il palcoscenico del Caucaso ed inquietando il resto del mondo, si inserisce quella del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov che ha cercato di smorzare l´aggressività dei suoi colleghi: «E´ vero, sulla Georgia i nostri partner occidentali hanno posizioni differenti dalla nostra, ma ciò avviene senza enfasi e in una maniera che io definirei normale. La questione georgiana non condiziona più i nostri rapporti», ha detto al canale tv Vesti 24, ricordando la visita di Obama a Mosca. Lavrov ha pure detto che Mosca non intendeva riconoscere l´indipendenza di Ossezia del Sud e dell´Abkhazia, «siamo stati costretti a farlo per salvare i loro abitanti».

Torna all'inizio


obama aiuta l'auto elettrica con 2,4 miliardi di sussidi - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 18 - Economia Sarà finanziata la produzione Usa di vetture, batterie e componenti Obama aiuta l´auto elettrica con 2,4 miliardi di sussidi Favori ai produttori nazionali e gaffe su Toyota FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente NEW YORK - «E´ il più grande investimento mai compiuto al mondo in questo settore». In tournée nell´Indiana, uno degli Stati Usa più colpiti dalla crisi dell´auto, Barack Obama annuncia il nuovo maxi-finanziamento di Stato: 2,4 miliardi di dollari di aiuti pubblici andranno a sviluppare l´auto elettrica. E´ uno sforzo notevole, erogato in tempi record, per riagguantare i concorrenti asiatici: Giappone, Corea del Sud e Cina hanno molte lunghezze di anticipo nello sviluppo delle batterie per auto elettriche. E´ anche un nuovo tassello nell´apparato di misure implicitamente protezioniste, con cui Washington favorisce i produttori nazionali. E´ una distorsione confermata da una gaffe del presidente: ieri ha auspicato che «le auto ibride siano finalmente prodotte in America», ignorando la Toyota che vuole fabbricare sul suolo americano la sua Prius col motore ad alimentazione mista, l´ibrida più venduta del mondo. Obama aveva già anticipato la sua volontà di ridare agli Stati Uniti un ruolo-leader nella ricerca sull´auto verde. L´imperativo è recuperare i tanti anni di ritardo accumulati quando le tre sorelle di Detroit (General Motors, Ford e Chrysler) si erano concentrate su tecnologie antiquate e modelli ad altissimo consumo. L´annuncio di ieri ha confermato che in questo campo l´Amministrazione è passata dai propositi ai fatti con una velocità notevole. La totalità dei fondi per l´auto elettrica sono già stati assegnati. Gm riceve 240 milioni di dollari, Ford 93 milioni. 70 milioni vanno alla Chrysler, ormai guidata dal management Fiat, che dedicherà quei fondi allo sviluppo di batterie elettriche per monovolume e furgoncini a motore ibrido. I più grossi beneficiari del piano Obama però non sono le case automobilistiche bensì alcune imprese dell´indotto già specializzate nelle batterie. Il finanziamento maggiore se lo è aggiudicato la Johnson Controls, 300 milioni di dollari per sviluppare batterie e altri componenti, in una fabbrica del Michigan destinata a fornire la Ford. A123 Systems e EnerDel sono fra gli altri gruppi selezionati dal dipartimento dell´Energia. "Il nostro obiettivo - ha spiegato Diana Farrell, uno dei consiglieri economici di Obama - è riconquistare quello spirito d´innovazione che è sempre stato un motore della crescita americana". Innovazione che dalle parti di Detroit sembrava sparita da tempo: nelle batterie per ibride e auto elettriche si è consolidato negli ultimi anni il dominio schiacciante dei produttori orientali. Perfino il miliardario americano Warren Buffett, quando ha voluto investire nel settore, si è dovuto comprare una partecipazione azionaria in un´azienda cinese. L´ennesima iniezione di fondi all´industria automobilistica arriva mentre l´Amministrazione già incassa il successo della sua "rottamazione". Il sussidio è di 4.500 dollari per ogni auto vecchia e inquinante consegnata in cambio dell´acquisto di un modello nuovo che consumi di meno. Il provvedimento ha avuto un´efficacia immediata: circa 160.000 vendite in più dal primo luglio, al punto che la Camera ha dovuto approvare in fretta e furia un rifinanziamento di 2 miliardi di dollari perché i fondi in bilancio si stavano esaurendo. L´effetto netto di tutti questi provvedimenti - a cui si devono sommare naturalmente gli aiuti pubblici erogati a Gm e Chrysler in occasione della bancarotta - è un´evidente squilibrio in favore delle case automobilistiche Usa. Quei gruppi stranieri che pure sono presenti con fabbriche locali (giapponesi, tedeschi, sudcoreani) si sentono discriminati: a nulla è servito ricordare che i loro stabilimenti concentrati negli Stati del Sud rappresentano ormai quasi un terzo dell´occupazione di colletti blu nell´auto Usa. Per la Casa Bianca ha il sopravvento l´emergenza sociale nella Rust Belt - la "cintura della ruggine" in preda alla deindustrializzazione, che include Michigan e Indiana. L´Indiana, dove il presidente si è recato ieri per la seconda visita da febbraio, ha raggiunto un tasso di disoccupazione del 16,8%, 10 punti in più rispetto all´anno scorso. Il malessere sociale ha un prezzo politico: il livello di approvazione della politica economica di Obama è sceso dal 58% di aprile al 50%.

Torna all'inizio


"il fatto che sia ancora premier rende debole la vostra democrazia" - alberto d'argenio (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 9 - Interni "Il fatto che sia ancora premier rende debole la vostra democrazia" Cohn-Bendit: con il Cavaliere l´Italia conta sempre meno in Europa ALBERTO D´ARGENIO ROMA - «L´Italia di Berlusconi è l´Italia del qualunquismo, è un Paese che in Europa e nel mondo ormai non conta più. Un´anomalia nel cuore del continente che vede il suo esatto opposto nell´America di Barack Obama». Tagliente come sempre, Daniel Cohn-Bendit parla con Repubblica del caso Berlusconi e dell´Italia del Cavaliere. L´ex leader del ‘68 parigino non si stupisce che il premier sia ancora al suo posto, come se il ciarpame politico, i silenzi e le contraddizioni sulle sue frequentazioni non fossero mai esistiti. «Tutto questo è tipico dell´Italia individualista e menefreghista creata e cavalcata dal vostro presidente del Consiglio», dice "Daniel il rosso", oggi europarlamentare leader dei Verdi - quarto partito a Strasburgo - e alle ultime elezioni capace di rendere Europe-Ecologie il secondo partito di Francia al pari dei socialisti. Onorevole Cohn-Bendit, cosa pensa dell´Italia governata da Berlusconi? «Il problema Berlusconi si spiega con una società - quella italiana - in cui non c´è più un´idea di progetto collettivo nazionale. Il vostro premier è l´emblema di un modello in cui per arrivare c´è solo l´individualismo. Lui incarna l´egoismo, il pensare solo per sé e ai propri interessi. Ed è esattamente questo il problema di fondo dell´Italia: l´individualismo». Secondo alcuni commentatori l´Italia di Berlusconi anticipa un fenomeno che si espanderà nel resto d´Europa: la post-democrazia. «L´individualismo è il carattere tipico della post-democrazia, di una società che non conosce l´interesse generale. è una questione italiana o è il futuro dell´intero continente? Guardiamoci intorno: oggi l´esatto contrario, l´opposizione al fenomeno Berlusconi, è il fenomeno Obama. E l´Europa deve scegliere il suo punto di riferimento: l´Italia o gli Usa? La Francia è in bilico. Sarkozy è un mélange tra l´individualismo berlusconiano e il senso di responsabilità obamiano. In Germania, invece, un modello come quello italiano non potrebbe mai funzionare, anteporre l´interesse privato a quello collettivo sarebbe impensabile. Dunque al momento Berlusconi rappresenta un´anomalia squisitamente italiana estranea alla realtà e alla razionalità europea». Crede che il Cavaliere abbia cavalcato un sentimento presente nel Paese o lo abbia alimentato con i suoi media? «Entrambe le cose. Il vostro premier ha risposto ad una esigenza di qualunquismo molto forte in Italia. Ma senza dubbio l´ha anche alimentata». Quanto conta l´Italia di Berlusconi nelle sedi internazionali? Quanto pesano gli scandali legati alla sua condotta? «L´Italia oggi è completamente fuori dalla responsabilità e dai giochi europei. Di fatto l´Italia di Berlusconi non conta, non c´è. Nessun governo europeo ne capisce le politiche, le strategie e gli obiettivi. E il fatto che il riferimento di Berlusconi in politica estera sia la Russia di Putin la dice tutta. Non c´è bisogno di aggiungere altro». All´estero in molti si chiedono come sia possibile che il Cavaliere sia ancora al potere dopo le vicende degli ultimi mesi. «Il fatto che Berlusconi sia ancora premier è la vera debolezza della democrazia italiana. Ed è anche lo specchio della vostra società. Tutti i maschi italiani vorrebbero essere un piccolo Berlusconi. Tutti cullano sogni sciovinisti, tutti vorrebbero donne e ricchezza. E poco importa se intanto il premier mente o non può dar conto dei suoi comportamenti. Non conta perché questa è una società individualista-berlusconiana nella quale la menzogna è il pane quotidiano. Si mente allo Stato, non si pagano le tasse e tutto è lecito perché il bene comune viene dopo quello personale. Basta vedere come si comporta il presidente del Consiglio con le gerarchie ecclesiastiche. La domenica in chiesa e il lunedì al bordello! Un comportamento al di fuori della morale cattolica, ma tipico di questa società italiana». Vuol dire che la Chiesa non ha reagito adeguatamente di fronte alla condotta del premier? «La Chiesa non fa altro che usare Berlusconi e il suo governo, li strumentalizza. Fino a quando il premier farà leggi gradite al Vaticano non ci saranno problemi, la Chiesa non dirà nulla di forte sui suoi comportamenti. Se lo terrà fino a quando continuerà a fare quello che si aspetta da lui».

Torna all'inizio


la crociata vaticana e le mani sulla vita - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 06-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 37 - Cultura Con l´assalto all´autorizzazione all´uso della Ru486 ritorna il tempo dei diktat La crociata vaticana e le mani sulla vita Non è ammissibile la pretesa autoritaria di fare dell´Italia un luogo dove alle donne è preclusa la possibilità di fare le stesse scelte di quelle degli altri paesi (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) aluti ciascuno in cuor suo e secondo la propria fede la possibilità di affiancare l´aborto farmacologico a quello chirurgico. è inammissibile, invece, la pretesa autoritaria e illegale di fare dell´Italia un luogo dove alle donne è preclusa la possibilità di fare le stesse scelte delle donne di quasi tutti gli altri paesi europei; e dove si violano consolidate regole europee sulla registrazione dei farmaci, fondate sul "mutuo riconoscimento": quando il farmaco è già stato autorizzato in un altro paese europeo, si può chiedere che venga autorizzato anche in altri. Questa procedura implica che si possa discutere sulle modalità dell´autorizzazione, non sul concederla o negarla. E nel comunicato dell´Agenzia italiana per il farmaco si dice che l´autorizzazione «conclude quell´iter registrativo di mutuo riconoscimento seguito dagli altri paesi europei». Se, invece di abbandonarsi alle invettive, si fossero lette queste poche parole e le equilibrate considerazioni del direttore dell´Agenzia, si sarebbero evitate molte sciocchezze e forzature. Dica pure il presidente della Cei che l´autorizzazione della pillola Ru486 apre una «crepa nella nostra civiltà»: l´autorizzazione ad esagerare non si nega a nessuno. Ma quando il responsabile per queste materie della stessa Cei dice perentoriamente che «il governo deve bloccare tutto», siamo di fronte alla negazione dello Stato di diritto, del suo essere fondato su regole e procedure che tutti devono rispettare. Altro che Stato e Chiesa, «ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani», come vuole l´articolo 7 della Costituzione! Di questo clima bisogna tenere conto, perché si cercherà di svuotare in via amministrativa quell´autorizzazione, già severissima, ricorrendo alle abituali falsificazioni dei dati scientifici, come sta accadendo con il riferimento a 29 donne morte ricorrendo a quella pillola. Ma, a parte il fatto che alcuni di quei casi sono controversi, si tratterebbe comunque di 29 casi in ventun´anni e su un totale di milioni di donne: si è fatto notare che, nello stesso arco di tempo, i morti per aspirina sono stati 50. Questa manipolazione mostra come si vogliano creare le condizioni per una rinnovata offensiva contro la libertà femminile, invocando la mozione con la quale la Camera impegna il Governo a promuovere una risoluzione dell´Onu «che condanni l´uso dell´aborto come strumento di controllo demografico». Conviene vigilare perché questa richiesta non divenga il pretesto per nuove forme di condanna delle donne, per imporre presenze di "dissuasori" nei consultori, per contrastare le politiche di educazione sessuale e di informazione sulla contraccezione, come quelle svolte dalle organizzazioni internazionali alle quali Obama è tornato ad assicurare i finanziamenti. La volontà di limitare la libertà di scelta e di espropriare le persone del diritto di governare la propria vita, era già comparsa nelle discussioni che accompagnano il dibattito parlamentare sul testamento biologico. Si contrappongono le decisioni sulla morte dignitosa e la cura e l´accompagnamento del morente. La vita, non la morte, dovrebbe essere oggetto dell´attenzione. Vivere, non morire, con dignità. Qui l´ambiguità è massima. Proprio la riflessione laica ha sottolineato che, se la morte appartiene alla natura, il morire è sempre più governabile dall´uomo, appartiene alla sua vita, e dunque rientra nell´autonomia delle scelte di ciascuno. E non si può contrapporre la vocazione della Chiesa alla cura a una sorta di estraneità pubblica. In questi anni sono stati proprio i laici a insistere sulla necessità delle cure palliative, sulla iniqua distribuzione sul territorio di hospices e centri per la terapia antidolore, sulla complessiva necessità di servizi per le persone. Il Governo, pronto ad approvare decreti incostituzionali per impedire l´esercizio di diritti, non ha riconosciuto quelle altre priorità, né mette a disposizione risorse adeguate. Invece è proprio qui che la presenza pubblica è necessaria, per consentire a ciascuno di fare le sue scelte. Una strategia di libertà positiva, esattamente l´opposto delle politiche proibizioniste che si cerca di imporre attraverso il disegno di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento già approvato dal Senato. Nei giorni scorsi un alto prelato, sempre assai loquace, si è spinto a dire che quel testo è ottimo e che non è possibile mettere in discussione uno dei suoi punti più controversi, quello sull´alimentazione e l´idratazione forzata, perché la scienza avrebbe unanimemente concluso che non sono trattamenti terapeutici. Non è così, come è stato mille volte ricordato richiamando le posizioni delle maggiori società mediche internazionali. Ma questi sono segni inquietanti di una volontà di chiusura che si ritrova anche nella relazione che, nella Commissione Affari sociali della Camera, ha avviato l´esame del disegno di legge. Una chiusura tutta ideologica, sorda alla voce dei moltissimi studiosi che hanno sottolineato le infinite sgrammaticature e contraddizioni di quel testo. Né maggioranza e Governo vogliono trarre profitto dalle lezioni impartite dalla Corte costituzionale con due recenti sentenze che indicano quali debbano essere i rapporti tra potere legislativo, potere medico e potere individuale quando si affrontano temi che riguardano la vita delle persone. Viene ribadito il ruolo centrale dell´autodeterminazione, per la prima volta riconosciuta esplicitamente come "diritto fondamentale" della persona. Il consenso informato dell´interessato rimane l´ineliminabile e vincolante punto di partenza. Il legislatore deve tener conto delle «acquisizioni scientifiche e sperimentali che sono in continua evoluzione», sì che «la regola di fondo deve essere l´autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali». Le pretese del legislatore-scienziato, che vuol definire che cosa sia un trattamento terapeutico, e del legislatore-medico, che vuol stabilire se e come curare, vengono esplicitamente dichiarate illegittime. E, al tempo stesso, la definizione dello spazio proprio delle acquisizioni scientifiche e dell´autonomia del medico viene affidata al consenso della persona, ribadendosi così il ruolo ineliminabile della volontà individuale. Questo è il quadro costituzionale che la politica deve rispettare se vuole che le sue decisioni siano legittime. In questo modo difende anche la propria autonomia di fronte a chi vuole trasformarla in potere biopolitico che si impadronisce della vita delle persone, introducendo pericolosi doveri verso la "comunità", o in potere subordinato a imposizioni esterne. Credo proprio che non debba essere seguito l´esempio dell´"amico Putin", che tre settimane fa ha consentito alla Chiesa ortodossa un diritto di esame preventivo di tutte le leggi che riguardano temi eticamente sensibili.

Torna all'inizio


I sottomarini russi tornano a spiare le coste americane (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 06-08-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK Hanno pattugliato in gran silenzio le coste atlantiche degli Stati Uniti da Nord a Sud per diversi giorni prima di scomparire dai radar americani. Due sommergibili russi classe Akula sono stati inviati da Mosca al largo della East Coast americana nell’ambito di un’operazione definita di «normale esercitazione», ma che ha riportato indietro la memoria ai tempi della Guerra Fredda. Secondo il dipartimento della Difesa americano i due sottomarini non sono mai entrati nelle acque statunitensi il cui confine si spinge a circa 19 chilometri al largo della costa, e per questo non hanno provocato reazioni da parte del Pentagono. L’operazione è durata diversi giorni durante i quali le due unità della marina russa sono state intercettate a circa 300 chilometri dalle coste grazie a informazioni di intelligence. Uno dei due è rimasto al largo sino al pomeriggio di martedì per poi fare rotta a nord-est, forse verso il Baltico. L’altro invece sembra si sia diretto verso l’isola di Cuba. La vicenda ha sollevato qualche preoccupazione da parte del Pentagono, non solo perché l’operazione non è stata preceduta dal preavviso di Mosca come accade spesso in questi casi. Ma perché un’esercitazione di sottomarini nucleari a ridosso degli Usa non avveniva da almeno quindici anni. Ciò riporta alla mente le grandi manovre della Guerra Fredda quando Unione Sovietica e Stati Uniti inviavano regolarmente sommergibili a ridosso delle rispettive coste con l’obiettivo di rubare segreti militari o monitorare i movimenti delle flotte navali dell’avversario. I sottomarini classe Akula sono il corrispettivo delle unità americane della classe Los Angeles, unità di medie dimensioni non in grado di lanciare missili nucleari intercontinentali. Nonostante questo però la manovra sottolinea l’atteggiamento più aggressivo assunto dalle Forze armate russe, che coincide con il negoziato in corso sul controverso progetto dello scudo spaziale in Est Europa. L’episodio avviene a un anno e mezzo di distanza dall’incidente del febbraio 2008, quando due bombardieri russi sorvolarono a bassa quota la Uss Nimitz, una portaerei americana che stava navigando nelle acque del Pacifico, costringendo i caccia Usa ad alzarsi in volo per intercettarli. «Abbiamo osservato le due unità durante tutto il transito al largo delle coste, ma riconosciamo il diritto di ogni nazione a condurre esercitazioni in acque internazionali purché non vengano violate le leggi internazionali», si è limitato a dichiarare il portavoce del Northern Command americano. Le autorità russe da parte loro non hanno fatto mistero di quanto accaduto definendolo una «esercitazione di routine». «La nostra flotta non può certo rimanere ormeggiata nei porti», ha detto il generale Anatoly Nogovitsyn, vicecapo del ministero della Difesa. Del resto unità di Mosca sono state impegnate di recente in diverse operazioni internazionali, come quelle congiunte con la marina venezuelana dello scorso autunno, il primo dispiegamento in acque dell’emisfero occidentale dalla Guerra Fredda. O come le manovre nel Mediterraneo orientale e le operazioni di pattugliamento al largo del Corno d’Africa per intercettare i pirati somali. E’ chiaro che Mosca vuole rilanciare il ruolo della propria marina e più in generale delle Forze Armate su scala globale per rafforzare l’immagine del Paese. Tuttavia è opinione condivisa che la marina russa di oggi sia solo un’ombra della grande potenza navale sovietica. Dopo il crollo del regime nel 1991 la corsa agli armamenti e le esercitazioni militari sono state ridotte ai minimi termini a causa del collasso economico dell’ex impero comunista. Una ripresa graduale è avvenuta con gli otto anni di presidenza di Putin che grazie agli introiti derivanti dalla vendita di greggio e gas naturale ha rafforzato gli stanziamenti alla Difesa. Tuttavia si tratta di progressi limitati come dimostrano i sette test missilistici falliti sugli undici condotti con i Bulava, testate destinate all’impiego proprio sui sottomarini nucleari: l’ultimo fallimento risale ad appena tre settimane fa. Non è chiaro se della vicenda dei sottomarini al largo della East Coast il presidente Barack Obama abbia parlato con il suo omologo russo Dmitry Medvedev quando questi gli ha telefonato telefono martedì sera per fargli gli auguri di compleanno. Fonti diplomatiche riferiscono invece che i due capi di Stato abbiano affrontato il nodo georgiano, in particolare dopo la richiesta di 16 milioni di dollari in armamenti avanzata da Tbilisi e che rischia di acuire ulteriormente le tensioni tra Washington e Mosca dopo il gelo diplomatico seguito al conflitto russo-georgiano dello scorso anno.

Torna all'inizio


L'eleganza global della Sceicca (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 06-08-2009)

Argomenti: Obama

MILANO La corsa per la corona mondiale dell’eleganza è un testa a testa tra due altezze reali: la futura regina di Spagna e l’attuale Sceicca del Qatar, un’araba del Golfo, chi l’avrebbe immaginato? Nella categoria «First Ladies», principesse repubblicane, ci sono solo Carla Bruni Sarkozy e Michelle Obama (cui viene negato il cognome da ragazza, forse perché non ha avuto una carriera mediatica prematrimoniale), ma chi ha in mente il recente G8 aquilano e le signore dei «signori del mondo» non può dare torto alla selezione drastica di «Vanity Fair», che nel numero americano d'agosto stila la classifica delle elegantone e degli elegantoni del 2009. Nella più vasta categoria «Donne», invece, le cose si complicano. La rivista segnala la principessa Letizia delle Asturie ma anche l'attrice Anne Hathaway; due incantevoli persone, senza dubbio, ma con l'eleganza c'entrano poco. Donna Letizia, nella celebre foto che la ritrae da dietro mentre sale le scale con Carla Bruni in visita di stato in Spagna, ha addosso un vestito assolutamente troppo attillato per una figura istituzionale (l'astuta Bruni, infatti, che ha addosso un vestito quasi uguale, l'ha scelto più morbido): la salva la magrezza estrema, più anoressica che aristocratica, però. Quanto alla Hathaway, è andata in giro per troppo tempo con un accessorio clamorosamente volgare come l'ex fidanzato Raffaele Follieri per far credere di capire qualcosa di eleganza. Splendida invece la scelta di Mozah, Sceicca del Qatar. Come Michelle Obama, anche la Sceicca esalta negli abiti e negli ornamenti il gusto e la tradizione della sua gente, una novità magnifica e nuovissima nel mondo «global» della moda, che usa l'etnico come capriccio casuale, mentre qui c'è una scelta consapevole, colta. Ma che ci fa l'attrice spagnola Penelope Cruz al terzo? È sottile come un giunco, ma non le basta per assomigliare a Audrey Hepburn. Su Chiara Clemente, figlia del pittore transavanguardista Francesco e seconda dell'elenco, non sappiamo che dire. Regista di documentari e star della high life artistica internazionale, qui in Italia non la conosciamo abbastanza. Per capire se è elegante o no dovrebbe mandarci un book. Prima di passare alla categoria «Uomini», diamo un'occhiata stupefatta ai nomi raggruppati nella sezione Hall of Fame, ovvero, per capirci, nel Pantheon degli immortali. Ve li dico tutti, e se siete capaci di trovare il filo rosso che li lega, telefonate. Dunque: Liliane Bettencourt, 87 anni, azionista di maggioranza dell'Oréal, la donna più ricca del mondo; Cathérine Deneuve, Lapo Elkann, il conte Manfredi della Gherardesca (già nominato nel 2008, sui blog ricorreva e ricorre la domanda: ma chi è Manfredi della Gherardesca?), Renee Zellweger. Vedete un nesso? Gli uomini, dicevamo. Svantaggiatissimi nella valutazione di Tiki Barber, un corrispondente del network Nbc (chi l'ha visto?) e ancor più in crisi con tale Arpad Busson, re francese degli hedge fund, recuperiamo finalmente con l'attore Daniel Craig. Lui sì che lo conosciamo: è l'uomo che ha tradito James Bond, trasformandolo in un energumeno. Elegante? La mente vacilla. Di Brad Pitt, altro incluso nella lista, qualunque donna ricorda soprattutto le canottiere. Cy Twombly, al contrario, ha sempre una vecchia giacca. E Barack Obama? È certo perfetto, non tanto per i vestiti - che si fa fare tutti uguali per non doversi preoccupare di cosa mette, l'ha raccontato la moglie - bensì per l'allure, la grazia con cui si muove. C'entra con l'eleganza? Sì. C'entra coi criteri di questa selezione di «Vanity Fair»? Ancora sì, perché è una selezione all'insegna del motto «tutto e il contrario di tutto». Ma, stando così le cose, c'era bisogno di farla?

Torna all'inizio


Ahmadinejad giura da presidente Proteste e scontri a Teheran (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 06-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 06/08/2009 - pag: 14 L'insediamento Decine di arresti, cellulari bloccati. In un giorno 24 impiccati Ahmadinejad giura da presidente Proteste e scontri a Teheran La Clinton: ammiro la resistenza dei riformisti Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha giurato incurante di proteste e faide interne. Un atto ufficiale in una cornice di grande instabilità: dimostrazioni, arresti, impiccagioni e misteriosi attentati nella regione di Ahwaz. Ma ad Ahmadinejad importava solo della sua «corona». Infatti al termine della cerimonia, boicottata dagli ex presidenti Khatami e Rafsanjani così come dai riformisti, ha irriso le diplomazie occidentali compresa quella italiana che hanno deciso di non congratu-- larsi: «Beh, dovreste sapere che nessuno in Iran se le aspetta», ha dichiarato con tono di sfida. Un «me ne frego» che non rispecchia però quanto sta avvenendo nel Paese. Ieri gruppi di dimostranti hanno organizzato una marcia in concomitanza del giuramento e altri hanno inscenato una protesta nel bazar di Teheran al grido «Allah è grande ». La risposta del potere è arrivata con i manganelli di pasdaran e basiji. Diverse decine di persone, compreso un collaboratore del riformista Moussavi, sono state arrestate. Altre hanno subito pesanti pestaggi. Bloccate le comunicazioni dei cellulari. E le autorità, per ribadire che non hanno paura di nulla, hanno annunciato l'impiccagione di 24 trafficanti di droga. Esecuzioni che portano a 219 i giustiziati in Iran dall'inizio dell'anno. Una giornata dunque intensa che ha spinto gli americani a ricalibrare la loro posizione. Il segretario di Stato Hillary Clinton si è espresso così: «La persona investita sarà considerata presidente, ma noi ammiriamo la resistenza dei riformisti» per arrivare a un cambio. Quindi ha aggiunto che l'offerta di dialogo, più volte formulata da Obama, è ancora sul tavolo. Una concessione non da poco quando il tuo interlocutore bastona chi chiede libertà. Ispirata alla prudenza anche la precisazione del portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, al seguito del presidente: «Il popolo iraniano continua a porsi delle domande (sul voto, ndr ), ma lasciamo che siano loro a giudicare». La linea Usa prosegue, non senza polemiche interne, sul filo della moderazione: non ingerenza, plauso per quanti scendono in piazza, disponibilità a cercare una soluzione diplomatica. Tattica pragmatica per levare munizioni al radicalismo di Ahmadinejad pronto a sfruttare in chiave interna le tensioni esterne. A Teheran sono comunque nervosi per quanto è avvenuto il primo agosto ad Ahwaz, nel Sud-ovest del Paese. Un potente ordigno attivato da un timer ha distrutto un ponte della ferrovia: azione rivendicata dalle «Forze Abu Bakr», gruppo, forse, di ispirazione sunnita. I pasdaran, che hanno assunto la guida delle indagini, sono convinti che l'obiettivo dell'attentato fosse un treno, con un importante carico strategico, diretto a Bandar Khomeini. Il convoglio è però passato con qualche minuto d'anticipo e la carica ha danneggiato le strutture fisse. In tutta la zona, teatro in passato di azioni armate, sono state adottate severe misure di sicurezza per prevenire nuove iniziative visto che il misterioso gruppo «Abu Bakr» ha presentato l'attacco come una risposta alla repressione. I Guardiani temono altri attentati e da ieri pomeriggio circolano voci su una seconda esplosione nel medesimo settore. G. O. © RIPRODUZIONE RISERVATA In Parlamento Ahmadinejad giura da presidente ( Afp)

Torna all'inizio


Usa, gaffe dei detrattori di Obama il certificato dei 'birthers' è un falso (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 06-08-2009)

Argomenti: Obama

SYDNEY - La 'gaffe' metterà forse una pietra sopra la cospirazione contro Barack Obama lanciata da alcuni esponenti di estrema destra, i cosiddetti "birther", i teorici dell'ipotesi che vuole il presidente Usa nato in Kenya e non nelle Hawaii. Si è scoperto infatti che il certificato di nascita che avrebbe dovuto provare che Obama è nato in Kenya è in realtà un falso clamoroso: si tratterebbe di una copia "taroccata" di quello di David Bomford, funzionario pubblico di Adelaide, in Australia. L'uomo aveva postato il documento in un sito web di alberi genealogici. "Ho pensato che potesse interessare qualche familiare che avesse voluto fare delle ricerche", ha spiegato, aggiungendo di non poter credere di essere rimasto invischiato nel tentativo di delegittimare l'uomo più potente della terra e di sentirsi davvero sorpreso che qualcuno abbia scovato in rete il suo certificato e che avrebbe provveduto alla sua rimozione. Che diranno adesso i cospiratori del certificato di nascita? La storia è balzata di nuovo alle cronache proprio a due giorni dal 48esimo compleanno del presidente americano, lo scorso 4 agosto. Lo stesso giorno alla casa Bianca sono state recapitate ben diecimila lettere che chiedevano a Mr.Obama di mostrare il suo "vero" certificato di nascita. Tutte le lettere erano state preconfezionate dal sito di estrema destra "WorldNet Daily". Il dibattito sulle origini di Obama infatti non è cosa da poco conto negli Stati Uniti in queste ore, al punto che un sondaggio di Politico.com darebbe il 58% degli elettori repubblicani convinti della falsità della versione ufficiale dei fatti, e cioè che Barack Hussein Obama II non è nato alle Hawaii il 4 agosto 1961 alle 19.24, bensì in Kenya. OAS_RICH('Middle'); La tentata cospirazione firmata dai "birthers" si è scatenata dopo un certificato di nascita messo on line dai supporter di Obama proprio per sfatare il mito delle sue origini africane, un certificato non cartaceo ma ovviamente virtuale, e peraltro rilasciato dall'anagrafe delle Hawaii, quindi perfettamente valido. E' quanto è bastato a Phil J. Berg - per la cronaca lo stesso che tentò di portare in tribunale George Bush e Saddam Hussein come corresponsabili dell'11 settembre - che per primo ha cominciato ad insinuare il dubbio della non autenticità di quel certificato. Di lì a scatenarsi una vera e propria follia collettiva il passo è stato breve. E' iniziata una campagna sfrenata che punta a delegittimare la carica del presidente degli Stati Uniti, che - ripetono i birthers come un mantra - non può essere eletto alla Casa Bianca se non "natural born citizen", secondo quanto sancisce la Costituzione all'articolo 2. Perfino due soldati americani si sono rifiutati di partire per l'Afghanistan giudicando l'ordine illegittimo perché proveniente da un presidente impostore. Dopo l'ultima notizia del certificato australiano taroccato, la pretestuosità della causa dei "birthers" sembra evidente. Anche i sondaggi di Zogby danno un Obama in crescita, apprezzato dal 53% degli americani, nonostante la spinosa questione della riforma sanitaria. (6 agosto 2009

Torna all'inizio


usa, un'ispanica alla corte suprema luce verde del senato alla sotomayor (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri Fortemente voluta dalla Casa Bianca è il primo giudice latino dell´Alta Corte Usa, un´ispanica alla Corte Suprema luce verde del Senato alla Sotomayor DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Il giudice che aveva sbandierato la «saggezza» delle donne latine, a volte addirittura più sagge di quei maschi senza esperienza, il magistrato venuto da quel Bronx che ha sfornato più teppistelli che uomini di legge, la portoricana orgogliosa di esserlo, Sonia Sotomayor, 55 anni, è il giudice numero 111 eletto sullo scranno più alto della giusitizia americana, la Corte Suprema, ed è la prima latina mai salita così in alto tra le cariche dello Stato. Almeno questo incubo, per Barack Obama, è finito. Il giudice che lui stesso aveva designato, come da Costituzione, per sostituire il liberal David Souter, è passato in Senato, seppure non con l´auspicata maggioranza bipartisan che il presidente si ostina a voler cercare. L´ingresso di Sonia, progressista al posto di un altro progressista, non cambia certo l´equilibrio della corte, divisa appunto tra quattro liberal (Breyer, Ginsburg, Stevens e ora Sotomayor) e quattro conservatori (Roberts, Scalia, Thomas e Alito) con il nono, Jennedy, spesso a fare da ago della bilancia. Ma la designazione dell´ex avvocato e giudice della corte d´appello di New York stava per trasformarsi in un´altra trappola per il presidente quando sono saltate fuori le sue dichiarazioni di qualche anno fa (come quella sulla superiore saggezza delle donne latine, 2001), un po´ troppo di parte, secondo l´accusa. Il giudice ha così raccolto qualche voto tra i repubblicani ma non quello dell´ex sfidante di Obama, John McCain. L´elezione è naturalmente stata subito salutata come «fatto storico» da Obama, che ha parlato di «giornata meravigliosa». «Questo - ha detto - è un voto che ha infranto un´altra barriera, un altro passo verso un´America sempre più unita». (a.aq.)

Torna all'inizio


obama riforma le carceri per immigrati - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri Obama riforma le carceri per immigrati I 400 mila clandestini saranno sistemati in "strutture più umane" Ora sono detenuti in 350 penitenziari pubblici e privati proliferati durante l´era Bush FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente NEW YORK - Non è ancora la nuova politica sull´immigrazione promessa da Obama, ma intanto è già una svolta radicale nel trattamento dei clandestini. Per rispondere alle accuse di violazioni dei diritti umani, l´America vara una riforma dei centri di detenzione. Con l´obiettivo di costruire un nuovo sistema «civile, aperto, trasparente, verificabile». La nuova tutela dei diritti dei clandestini ha l´impronta di Janet Napolitano, l´italo-americana che dirige la Homeland Security (superministero degli Interni) nell´Amministrazione Obama. Una donna che ha vissuto i problemi dell´immigrazione illegale molto da vicino quando era governatore dell´Arizona, uno degli Stati Usa confinanti con il Messico. La riforma investirà tutti i 350 centri dove sono attualmente detenuti a rotazione 400.000 stranieri all´anno, accusati di avere violato le leggi sulla residenza negli Stati Uniti. Un sistema balcanizzato, che si appoggia a volte su carceri locali, altre volte su penitenziari di Stato, o anche su strutture gestite da società private. Questi centri hanno visto la propria popolazione triplicare sotto l´Amministrazione Bush, per effetto di un giro di vite contro i clandestini: in parte motivato con la lotta al terrorismo dopo l´11 settembre 2001, in parte per rispondere alle pressioni xenofobe in alcuni settori della destra repubblicana. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno più volte denunciato gli abusi commessi in quei centri. L´American Civil Liberties Union ha trascinato in tribunale l´Amministrazione di Washington, accusandola di violazione delle stesse leggi federali. Diverse ispezioni ordinate dal governo le hanno dato ragione, riconoscendo una miriade di abusi gravi e ricorrenti. L´immigrazione clandestina non è un reato penale negli Stati Uniti bensì un´infrazione amministrativa. Negli ultimi anni tuttavia molti degli stranieri detenuti, in attesa del processo e dell´eventuale espulsione, sono stati sottoposti al regime penitenziario riservato ai criminali: stesse limitazioni alla libertà di movimento, stesso isolamento, le medesime punizioni per le infrazioni disciplinari. In alcuni centri sono state rilevate carenze nelle cure mediche, nell´accesso all´assistenza legale, nella qualità igienica e del cibo, nella possibilità di telefonare all´esterno. La stessa frammentazione delle strutture aggravava i disagi: i membri della stessa famiglia accusati di soggiorno illegale potevano essere divisi, spediti in località distanti fra loro migliaia di chilometri, con ulteriori difficoltà di comunicazione e di accesso all´assistenza legale. Una struttura penitenziaria è diventata tristemente nota: l´ex carcere di Stato di Austin, nel Texas, dedicato ad accogliere bambini. Un centro del tutto inadeguato per le cure dei minori, oggi non a caso il primo della lista fra quelli che vengono chiusi. Tutti i bambini da Austin verranno trasferiti al Family Shelter Care di Berks in Pennsylvania, una clinica specializzata. John Morton, il direttore dell´Immigration and Customs Enforcement da cui dipende la polizia di frontiera, sotto l´autorità della Napolitano, ha dichiarato ieri: «Vogliamo garantire un sistema di detenzione civile che risponda a tutti i bisogni delle persone che vi sono ospitate». I costi della riforma saranno elevati. Per migliorare le condizioni di vita e garantire i diritti umani dei clandestini, il bilancio federale degli Stati Uniti dovrà accollarsi dagli 80 ai 100 dollari di spesa aggiuntiva al giorno per ogni immigrato. Nell´immediato questa riforma non inciderà sul numero dei clandestini sottoposti alla vigilanza. «Per ora – ha detto Morton – non variano le regole in base alle quali deteniamo o non deteniamo le persone. Quello che cambia, è il modo in cui le trattiamo quando sono detenute». Una riforma che affronti alla radice tutta la politica dell´immigrazione è in cantiere: dovrebbe aggiornare le regole ormai anacronistiche sui permessi di lavoro e sulla Green Card, il titolo di soggiorno permanente. Ma quello sarà un parto più difficile, per le divisioni che su questo terreno spaccano trasversalmente ogni partito.

Torna all'inizio


israele e l'america di obama - sandro viola (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 41 - Commenti ISRAELE E l´america di obama SANDRO VIOLA Dopo soli quattro mesi dal suo varo, il governo israeliano è in serie difficoltà. L´altro giorno è esploso il caso Lieberman, il ministro degli Esteri vicino all´estrema destra, che la polizia accusa di corruzione, falso e riciclaggio di capitali. Sugli altri due partner maggiori della coalizione messa insieme da Netanyahu, il Labor e l´ortodosso Shas, incombe il pericolo d´una spaccatura che farebbe dissolvere la maggioranza del governo in parlamento. E soprattutto, ben più rischioso politicamente dei malesseri interni alla coalizione, c´è oggi lo stato dei rapporti tra Israele e l´America di Barack Obama. Per la prima volta negli ultimi diciotto anni, infatti, un governo di Washington ha messo un governo d´Israele con le spalle al muro. Come il presidente Obama aveva detto subito dopo il suo insediamento, gli Stati Uniti non intendono più tollerare che gli israeliani continuino ad espandere le colonie ebraiche a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. Non è più questione di vaghe esortazioni, come ce ne furono anche negli anni di Bush, quando Condoleezza Rice raccomandava un congelamento delle nuove costruzioni perché "non aiutano il processo di pace". Adesso la musica è diversa, le richieste americane sono drastiche. Gli insediamenti sono "illegittimi", impediscono l´intesa con i palestinesi, e quindi da ora in poi non un mattone dev´essere più messo su un altro, ad opera dei governi di Gerusalemme, nelle terre che faranno parte del futuro Stato palestinese. La pressione politica di Washington s´è fatta sempre più decisa. La scorsa settimana c´erano a Gerusalemme ben quattro inviati di Obama: il negoziatore tra israeliani e palestinesi George Mitchell, il segretario alla Difesa Robert Gates, il consigliere per la sicurezza nazionale James Jones e l´esperto di Iran alla Casa Bianca Dennis Ross. E benché abbiano parlato con i governanti israeliani anche di Iran, tutti e quattro hanno insistito sulla necessità di sospendere subito e completamente l´allargamento delle colonie. Da qui i cartelli inalberati nelle manifestazioni delle destre israeliane. Lì, Barack Obama è indicato sempre e soltanto col suo secondo nome, Hussein, a denunciarne la discendenza da un padre kenyota. In altri cartelli è disegnato con un turbante intorno al capo. E in altri ancora, definito in questi termini: "L´arabo che gli americani chiamano presidente". Colore e demagogia a parte, nessun presidente degli Stati Uniti aveva mai subito un simile trattamento nelle piazze d´Israele. Quando la nuova amministrazione americana dichiarò che non avrebbe più taciuto sull´illegalità dei nuovi insediamenti ebraici, nell´ambiente liberal e pacifista israeliano si fecero molte scommesse. Sarebbe riuscito Obama ad ottenere da un governo israeliano quel che nessuno dei suoi predecessori aveva mai ottenuto dai governi di sinistra e di destra che si succedevano a Gerusalemme? Erano circa vent´anni, infatti, che gli americani avevano capito quanto sarebbe stato importante, sulla strada d´una soluzione del conflitto in Palestina, che Israele cessasse di costruire colonie sulle terre palestinesi. Ma ad eccezione d´un tentativo fatto da Bush padre nel ‘91 di sospendere gli aiuti economici ad Israele se gli insediamenti avessero continuato a crescere (tentativo abortito dopo pochi mesi), nei sedici anni di Clinton e Bush jr. pressioni americane serie, efficaci, non ne erano mai venute. Da qui le discussioni e le scommesse dei pacifisti israeliani. Le parole di Barack Obama si sarebbero disperse al vento dopo i primi rifiuti di Benyamin Netanyahu, o il governo di Washington era stavolta deciso a imporre la sua linea? A giudicare dal clima politico che c´è oggi in Israele, le scommesse le hanno vinte i pochissimi che prevedevano una svolta nei rapporti tra Washington e Gerusalemme. Nessun dubbio, infatti che la svolta ci sia stata, e più brusca, più veloce di quanto si potesse immaginare. La presa di distanza degli Stati Uniti rispetto al loro maggiore alleato in Medio Oriente (dopo che da anni molti politologi americani avevano messo in discussione la coincidenza tra "interessi dell´America" e "interessi d´Israele"), è a questo punto clamorosa. Né i contraccolpi in Israele s´avvertono soltanto nei settori di destra o tra i coloni. Secondo un recente sondaggio solo il 6 per cento degli israeliani si fida infatti della politica mediorientale di Obama, mentre il 50 per cento si dice convinto che il presidente americano sia ormai su posizioni più pro-palestinesi che pro-israeliane. Il primo segnale, dunque, d´una sfiducia nei confronti dell´America, sino a ieri considerata la più sicura, incrollabile protettrice dello Stato ebraico. Uno degli effetti di questa diffidenza nei confronti degli Stati Uniti, è stato tuttavia la crescita in Israele della popolarità di Netanyahu. Il primo ministro appare adesso il coraggioso difensore dell´autonomia nazionale. Nessuna personalità del paese, nemmeno sul versante della sinistra, si è sinora pronunciata contro di lui e il suo rifiuto di fermare del tutto l´ampliamento delle colonie. Ed è anzi da qui che Netanyahu sta ricavando in questi giorni il consenso per il suo governo, che altrimenti - come s´è detto all´inizio - sarebbe già pericolante. La sua linea di difesa è duplice. Verso l´esterno, insistere sul fatto che il pericolo di un´arma nucleare iraniana è ben più urgente della questione palestinese. All´interno, mostrarsi come la diga che si erge contro le pressioni di Washington. E questo mentre Barack Obama viene visto dagli israeliani come un alleato incerto, flessibile con tutti (con gli ayatollah di Teheran, con la Siria, con Putin),meno che con Israele. La partita tra Netanyahu e Obama è quindi ancora aperta. Obama ha dalla sua parte l´intero Occidente, la Russia, e forse la maggioranza degli ebrei americani. Ma a sorreggere Netanyahu ci sono una società, un elettorato tra i più orgogliosi e imprevedibili, oltre che viziati in questi trent´anni dalla pazienza e remissività dell´America e degli europei. Ancora qualche mese, e si vedrà se "l´arabo che gli americani chiamano presidente", come si legge sui cartelli nelle manifestazioni delle destre israeliane, riuscirà ad ottenere da Netanyahu, dopo l´assenso forzoso per la formula "due popoli, due Stati", anche la fine dell´irragionevole, ingiusta proliferazione delle colonie ebraiche in Palestina.

Torna all'inizio


pirati all'attacco, paralizzato twitter - (segue dalla prima pagina) dal nostro inviato (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 15 - Cronaca Pirati all´attacco, paralizzato Twitter Contro il sito milioni di contatti simultanei, black out di 3 ore. Colpito anche Facebook Il fondatore, Biz Stone, ha ammesso: è un´iniziativa orchestrata ma ci difenderemo Il blitz è partito dagli Usa, poi è stato segnalato in Brasile e poi in Europa (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) DAL NOSTRO INVIATO Angelo aquaro Sarà. Ma quando ieri il mondo ha scoperto che a rischio è anche Twitter, cioè l´ultima sorpresa del mondo digitale, il social network dei micromessaggi scambiati tra pc e telefonini, quello con il logo innocente di un uccellino, davvero il sentimento di sconfitta è dilagato con la velocità dei bit da una parte del pianeta all´altra: perché la sconfitta, la vulnerabilità di Twitter, condita dalla notizia, riportata da Fox News, che a tremare è stato anche Facebook, ha colpito anche la fantasia di chi crede ancora che un social network sia un incrocio tra un circolo e un sindacato. La resa è arrivata da Biz Stone in persona, il fondatore: siamo sotto attacco. Di più: sotto attacco come le banche online, come i servizi internet delle carte di credito. Twitter, la comunità web più in espansione del mondo, più di 17 milioni di utenti è andato in tilt, collassato per ore, afflosciandosi su stesso. In un post lanciato dallo stesso Biz, la resa è raccontata tra ironia e amarezza: «In questa mattina di giovedì, che sembrava tranquilla e felice, Twitter è finito sotto attacco. Attacchi di questo tipo sono vere e proprie iniziative dolose, orchestrate per rendere inutilizzabili servizi come le banche online, i sistemi di pagamento via web e, appunto, i sistemi di comunicazioni come Twitter. Ma noi ci difenderemo». Twitter si difenderà, ma intanto l´attacco arriva proprio nel giorno in cui i social network sono stati scelti dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, per lanciare l´offensiva finale della grande battaglia per la riforma della sanità. Non solo. La sfida arriva all´indomani della notizia dell´addio dello cyberzar degli Usa, Melissa Hathaway, la donna che aveva già lavorato con George W. Bush e che proprio per questo la nuova amministrazione aveva intenzione di sostituire. L´attacco è partito dagli Stati Uniti, subito è stato segnalato in Brasile, poi anche in Europa: il servizio elettronico è andato in tilt lasciando senza comunicazione milioni di persone. E a chi ha cercato di collegarsi via web è andata ancora peggio: il server ha rifiuto l´accesso, inondando lo schermo di allarmi e costringendo a riavviare i computer per il pericolo di infezioni. Dos, denial of service, la sigla che gli utenti hanno imparato a odiare. Il micro-social network (su Twitter i messagi non superano le 140 battute degli sms) è l´ultima vittima di una serie di attacchi che nelle ultime settimane hanno terrorizzato il mondo di internet. Anche la Casa Bianca, La Federal Reserve e il New York Stock Exchange sono stati obiettivo degli hacker. Nei mesi scorsi, gli 007 della rete avevano portato alla luce l´attività di criminali cinesi e nordcoreani. Gli hacker sono arrivati anche stavolta da lì? O si tratta invece di bande mafiose a caccia di dati sensibili, dai numeri delle carte di credito in su? C´è anche chi sostiene che Twitter non ha un valore finanziario o d´immagine global (non è Microsoft, non Coca-Cola o Pepsi) e quindi gli hacker potrebbero essere anche dei «semplici» maghi elettronici del male, desiderosi di farsi pubblicità. Certo è che con l´attacco, subito sul web si sono moltiplicati gli alert e gli inviti a non procedere con gli acquisti e le comunicazioni elettroniche che utilizzano questo servizio. Proprio l´e-commerce è stato uno dei volani principali del successo di Twitter: «Non potremo riprendere prima di aver assicurato la sicurezza ai nostri utenti», hanno specificato dall´ufficio newyorchese. L´hanno fatto dopo qualche ora. Quando la notizia aveva già fatto il giro della blogosfera. Anche senza Twitter.

Torna all'inizio


trichet: no alla tassa italiana sull'oro - luisa grion (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 4 - Economia Trichet: no alla tassa italiana sull´oro "Serie preoccupazioni per una norma che va contro i Trattati Ue" "Rischi di una prolungata bassa crescita ma adesso basta con le misure di stimolo" "La Bce è assolutamente contraria, vedremo come si comporterà il governo" LUISA GRION ROMA - Niente tassa sull´oro: non si può fare. Poche, chiare, parole espresse ieri dal presidente della Bce hanno fatto sfumare in un attimo le possibilità del governo italiano di realizzare un incasso extra di 300 milioni di euro. L´entrata doveva essere garantita da un balzello del 6 per cento - inserito nel decreto anticrisi - da applicare alle plusvalenze sulle riserve auree della Banca d´Italia. Un provvedimento fortemente voluto da Tremonti, criticato dal governatore Draghi e sul quale il Quirinale aveva espresso chiaramente le sue perplessità. Berlusconi aveva dovuto precisare che sarebbe stato applicato solo con il consenso della Banca centrale europea e della stessa Bankitalia. E proprio sottolineando nero su bianco l´importanza di tale dichiarazione, il presidente della Repubblica Napolitano aveva alla fine firmato il decreto. Ieri Jean-Claude Trichet, presidente della Bce ha spazzato via ogni dubbio sulla sua applicazione: «Siamo contrari» ha detto. L´idea di tassare l´oro delle banche centrali è «totalmente negativa», «solleva serie preoccupazioni» e «pone problemi al diritto comunitario». Visto l´impegno di Berlusconi a tener conto della linea espressa da Francoforte non si annunciano, almeno per ora, ricorsi: «Non voglio ipotizzare niente per il futuro, vediamo quello che succederà» ha però precisato Trichet. Chiusa con poche battute la questione italiana la Bce - che ha lasciato invariati all´1% i tassi giudicandoli al momento «appropriati» - ha tracciato il quadro della crisi economica invitando i paesi membri a riprendere in mano le politiche di consolidamento del bilancio. Vi sono segnali «che la crisi sta passando» ha detto Trichet, ma ciò non vuol dire che i tempi duri siano finiti. L´attività economica «resterà debole nel 2009, mentre dal 2010 si dovrebbe registrare una ripresa graduale con tassi trimestrali positivi». Ciò detto, basta con le misure di stimolo. Pur se la Banca centrale non esclude che vi sia il rischio di una «bassa crescita per un periodo prolungato». Nel 2011 i governi «dovranno avviare il consolidamento dei bilanci». Vanno stretti i cordoni della spesa: bisogna impegnarsi «ad un veloce ritorno a posizioni stabili e sostenibili». Insomma si torni a badare all´equilibrio dei conti seguendo l´esempio fornito dagli Usa: l´amministrazione di Obama ha appena precisato di non avere pianificato, a breve termine, alcun nuovo pacchetto di stimolo. Quanto alla ripresa arriverà, ma non sarà rosa e fiori: «Osserviamo che la fiducia sta migliorando, ma rimaniamo prudenti - ha sottolineato Trichet - probabilmente ci attende un percorso accidentato». La Bce ha precisato che la crescita resterà bassa, «inizierà senza creare posti di lavoro» e genererà, in tutto il mondo, un Pil potenziale molto minore rispetto al passato. A detta di molti economisti infatti parte della crescita era prima finanziata con un eccesso di debito.

Torna all'inizio


economia verde troppe promesse anche da obama (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 35 - Economia Global market Economia verde troppe promesse anche da Obama Non venderemo mai Ugf Banca. Gli spagnoli del Santander? Tutte balle. Abbiamo 300 agenzie, ce ne servono 500. Chiusa la fase di rifondazione, torneremo ad aprire agenzie ROMA - Il più classico dei "prendi due piccioni con una fava": stimolo all´economia in crisi, attraverso investimenti "verdi" che aiutino l´ambiente. In effetti, secondo i calcoli di una grande banca inglese, l´Hsbc, a inizio 2009 i vari governi mondiali hanno annunciato programmi di spesa per complessivi 480 miliardi di dollari nell´economia pulita, un buon sesto dei 3 miliardi totali destinati a stimolare le diverse economie nazionali. Investire nel "cleantech" sembrava, in quel momento, un´idea brillante. I soldi, però, non si sono ancora visti: finora, in tutto, gli investimenti verdi dei governi sono stati di 14 miliardi, il 3% della spesa promessa. Anche gli Usa di Obama hanno sborsato solo 355 milioni di dollari sui 64 miliardi in agenda. Ciò che non ha impedito alle promesse di crescere: il totale delle spese annunciate è intanto salito a 512 miliardi di dollari. Maurizio Ricci [prudenTE la bank of england] LONDRA – L´economia britannica dà i primi segni di uscita dalla crisi, ma la Banca d´Inghilterra insiste sulla prudenza. La produzione industriale registra un incremento dello 0,5% in giugno, tornando ai valori del 2007. Il mercato immobiliare, che doveva chiudere l´anno con un pesante 10% in meno, finirà invece il 2009 in recupero. Persino la sterlina torna su valori considerevoli, sfiorando 1,7 dollari e 1,2 euro. Ma per la Bank of England è presto: anziché ritoccare il tasso di interesse, fermo alla quota record dello 0,5%, l´istituzione guidata da Mervyn King ha deciso di insistere nelle iniezioni di liquidità, aggiungendo altri 50 milioni di sterline ai 125 già immessi nel circuito, perché, fa capire, la ripresa appare ancora fragile. Giampaolo Cadalanu

Torna all'inizio


Non abbiamo toccato il fondo (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

Giuseppe Berta Non abbiamo toccato il fondo I numeri diffusi ieri dall'Istat sulla nostra produzione industriale hanno l'effetto di una gelata sulle aspettative che, pur timidamente, erano state adombrate sull'andamento della crisi e sulle sue ripercussioni per l'economia italiana. Le cifre ci dicono non soltanto che l'urto della crisi globale sulle attività produttive non si è attenuato, ma che non possiamo ancora prevedere il momento in cui sarà possibile cogliere i segnali della ripresa. Per la verità, i cauti cenni di ottimismo non erano stati sottoscritti né dagli operatori economici né dai sindacati, che in questi giorni avevano già anticipato la necessità di prepararsi a un nuovo periodo di difficoltà al rientro dalle ferie. Ora le stime dell'Istat confermano come non si sia fin qui arrestata la caduta produttiva, che riguarda praticamente tutti i settori. Di fatto, è difficile individuare componenti del sistema industriale che non registrino un peggioramento significativo anche rispetto ai valori, di per sé deludenti, riscontrati negli ultimi mesi. La flessione si rivela meno grave nel settore della produzione dei beni di consumo, che segna un meno 9% nel giugno di quest'anno rispetto al giugno 2008 (ma se si considera l'intero primo semestre 2009 rispetto al primo semestre dell'anno scorso la perdita sale al 9,8%). La profondità della recessione in atto è tuttavia testimoniata soprattutto dai livelli di regresso toccati dalla produzione dei beni durevoli (-26% rispetto al giugno 2008) e dei beni strumentali (-26,8%). Ciò mostra come l'aspetto più preoccupante della crisi stia in un ristagno degli investimenti che, quanto più si prolungherà, tanto più allontanerà e renderà incerte le prospettive della ripresa. Settori come la metallurgia e la produzione degli autoveicoli raggiungono picchi negativi superiori al 30%, nonostante l'ampliamento delle quote di mercato conseguito dai marchi Fiat e Lancia. Quali conseguenze trarre dai dati Istat? La prima, naturalmente, è che nessun indicatore dell'economia reale ci può indurre a credere che la crisi sia avviata verso un superamento spontaneo, magari al seguito dello spiraglio di crescita di recente preconizzato per fine anno dal presidente Obama. È possibile e sicuramente auspicabile che i tempi della ripresa Usa siano più celeri di quanto si era temuto, ma un miglioramento economico al di là dell'Atlantico non è destinato a riverberarsi immediatamente sulle condizioni delle nostre imprese. Le quali mai come adesso devono essere accompagnate e sostenute in un cammino che consenta loro di sopravvivere, in attesa di poter cogliere il soffio del vento della ripresa internazionale quando si manifesterà. Per adesso dobbiamo sapere che chi sta soffrendo di più è la parte maggiormente dinamica del nostro sistema industriale, quella che, dopo aver esplorato le strade della globalizzazione, paga gli effetti della contrazione del commercio mondiale. Nei mesi a venire serviranno nuove azioni sia sul fronte degli ammortizzatori sociali che su quello del credito, dando corso pratico all'intesa stabilita fra la Confindustria e l'Associazione Bancaria Italiana. Rendersi conto della situazione di pesantezza che sta vivendo la nostra industria è indispensabile per calcolare con senso di realismo i costi da sopportare. E non si tratta soltanto dei costi vivi degli ammortizzatori sociali e delle inevitabili misure di sostegno: vi sono da mettere nel computo anche quelli che si stanno abbattendo e si abbatteranno ancora, nel prossimo autunno, su una struttura industriale fatta di una miriade di aziende di dimensioni piccole e piccolissime, drammaticamente esposte alla crisi e alla sua lunga durata. Non può essere sottovalutato il prezzo che verrà pagato dai ranghi dell'imprenditoria minore e da quelli dei lavoratori. Le elaborazioni dell'Istat hanno dunque anche il valore di un richiamo a chi ha la responsabilità di gestire la crisi. Essa va affrontata, da un lato, senza indulgere a pensare che la moneta dell'ottimismo serva a contrastarla e, dall'altro, senza sottovalutare il vasto e non sempre visibile serbatoio di risorse che un sistema economico capace di grande adattamento e di flessibilità come quello dell'Italia possiede.

Torna all'inizio


WASHINGTON Sonia Sotomayor è ufficialmente il primo giudice di origine latina ad arrivare al... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON Sonia Sotomayor è ufficialmente il primo giudice di origine latina ad arrivare al massimo grado della giustizia americana. Come da previsioni il Senato degli Stati Uniti ha confermato la nomina di Sotomayor alla Corte Suprema, siglata dal presidente Barack Obama lo scorso 26 maggio. La donna sostituisce così il giudice David Souter, scelto da George W. Bush, che ha rassegnato le dimissioni nell'aprile scorso. L'aula del Senato ha approvato la nomina con 68 voti favorevoli e 31 contrari. Prima di arrivare alla Corte Suprema Sonia Maria Sotomayor ricopriva la carica di giudice federale di Corte d'Appello degli Stati Uniti. Nata a New York, nel Bronx, il 25 giugno del 1954 da una famiglia portoricana, il nuovo giudice supremo si è laureata con lode alla Princeton University nel 1976, specializzandosi poi in legge a Yale, nel 1979. Obama ha definito la sua avventura «una straordinaria storia americana».\

Torna all'inizio


Il gran rifiuto di Neri Pozza e la modestia di Battiato (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

Cartesio Mario Baudino Il gran rifiuto di Neri Pozza e la modestia di Battiato Via dai pazzi premi Scrittori attenzione: se puntate a premi letterari, almeno italiani, non cercate di pubblicare con Neri Pozza. L'editore ha annunciato con un secco comunicato che a partire dall'anno prossimo non parteciperà più a nessun premio di narrativa, visto che non esiste in Italia nulla di comparabile al National Book Award o al Goncourt, insomma ai grandi premi stranieri; e perché le giurie non sono composte da critici «ma da accademici di altre discipline, personalità generiche e funzionari di gruppi editoriali»; e ancora perché, nei più importanti almeno, «la vittoria è riservata da quasi mezzo secolo esclusivamente a due soli gruppi editoriali». Niente firma, ma si sente la mano del direttore editoriale Giuseppe Russo, che già con lo Strega era stato durissimo al momento dell'esclusione dalla rosa dei semifinalisti di Ermes, una storia napoletana, romanzo di Simonetta Poggiali da lui pubblicato. «Il premio ha dimostrato tutta la sua pochezza, il suo stato comatoso, la sua indifferenza per la qualità letteraria», aveva detto. Già si capiva che non sarebbe finita lì. Certo, la Poggiali è la moglie di Russo: ma l'argomento non era sembrato decisivo, visto che tra gli ammessi c'era Linda Ferri, sorella di Sandro, editore di e/o. Se non lo era allora, figuriamoci adesso: premi a parte, restano mille buoni motivi per pubblicare da Neri Pozza. Attenti a Obama Un detenuto per terrorismo, Ahmed Omar Abu Ali, condannato a 30 anni come membro di Al Qaeda, voleva leggere il bestseller di Barack Obama L'audacia della speranza. Il sogno americano per un mondo nuovo (da noi disponibile dell'edizione Bur Rizzoli). Ma i responsabili del carcere, che sta a Florence, Colorado, non glielo hanno permesso, perché il libro conterrebbe «informazioni che possono danneggiare la sicurezza nazionale», come riferisce il New York Times. Il bello è che il detenuto ha reagito mettendosi in sciopero della fame. Diavolo d'un Obama. Che davvero ci sia qualcosa, in quel libro? Maître-à-penser Apprendiamo dal Corriere che il noto cantautore e musicista Franco Battiato, durante un'intervista, ha accettato, anzi addirittura proposto «gentilmente», «di non essere chiamato maestro». Con questa motivazione: «Sa, se fossimo in Francia il termine avrebbe un senso, ma qui...». Ha ragione, c'è differenza. Vuoi mettere un Maître, magari à penser? O addirittura d'Hotel? Legion d'onore al merito della modestia.

Torna all'inizio


"I superprofitti? Un mito da sfatare" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

L'analista "I superprofitti? Un mito da sfatare" Le compagnie petrolifere hanno completamente ragione». Non ha paura di andare controcorrente Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. I petrolieri hanno ragione in che senso? «È testimonianza di scarsa cultura economica in questo Paese, anche da parte delle associazioni dei consumatori, continuare a ripetere il cliché della benzina che rincara per colpa delle compagnie. In realtà i listini crescono perché rincara il prezzo internazionale della benzina, quello che dovrebbero pagare anche le "pompe bianche" senza marca o i distributori presso i supermercati che i consumatori vorrebbero aprire per calmierare i prezzi». Ma più concorrenza non farebbe bene? «La verità è che non c'è mai stata tanta concorrenza come adesso. L'Eni è partita con dei super-sconti di 10 centesimi al litro per il weekend e Esso si è adeguata. Sono sconti fortissimi, che portano i prezzi addirittura sottocosto rispetto al prezzo internazionale della benzina di cui dicevo prima. Di più non si può proprio fare». Non è vero che le compagnie realizzano dei super-profitti? «Altro mito da sfatare. Le compagnie nella distribuzione dei carburanti hanno margini risicatissimi. Eni e Esso possono fare questi sconti per le vacanze perché hanno degli alti margini nella parte superiore della filiera del petrolio, quella dell'estrazione, e così compensano le due cose, ma le compagnie che fanno solo distribuzione soffrono moltissimo. Del resto anche la Saras di Moratti sta guadagnando poco con la raffinazione». Il prezzo del petrolio cresce. Perché? «In questo sì, c'è una componente di speculazione. Lì sta l'origine del problema. Ma la speculazione internazionale avviene in un'arena nella quale l'Italia può fare poco. Ci sta lavorando sopra, in questo momento, la Commodity Futures Trading Commission d'intesa con il segretario americano al Tesoro Geithner. insomma ci sta lavorando l'Amministrazione di Barack Obama, ma non c'è nulla che si possa fare in Italia. E invece è da trent'anni che siamo qui ad accusare le compagnie cattive che speculano sul prezzo della benzina, quando invece non ci guadagnano quasi niente». Specifichiamo meglio che cosa intende per niente? «Se al prezzo medio internazionale della benzina si somma il margine "storico" di 14 centesimi al litro, di cui 4 vanno al gestore, 3 allo stoccaggio e al trasporto, ne restano 7 alle compagnie, da cui però devono dedurre gli investimenti, il sostegno al punto vendita, la pubblicità. Veda lei che cosa rimane». \

Torna all'inizio


Negli Usa potrebbe superare il 10% (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

Disoccupazione Negli Usa potrebbe superare il 10% Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, crede che il tasso di disoccupazione potrebbe superare la soglia del 10%. Lo ha detto ieri un portavoce della Casa Bianca aggiungendo che ancora non è stato previsto quanto potrebbe avvenire il «sorpasso». Certo è comunque che la Casa Bianca si aspetta un incremento dei senza lavoro. Intanto, l'amministrazione Obama ha anche fatto sapere che non sta pianificando ulteriori pacchetti di stimolo all'economia a breve termine. «Se ci sono idee che il presidente e la squadra degli economisti credono debbano essere assunte per accelerare il recupero, certamente saranno prese in considerazione».

Torna all'inizio


Attacco hacker Twitter al buio per tre ore (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

NUOVI PIRATI La storia Imprese-choc da Wargames ad Al-Qaeda E' un attacco davvero ben orchestrato, ma perché qualcuno dovrebbe odiare Twitter? Da romantici a criminali una sfida lunga 30 anni Il metodo: troppi pc chiedono l'accesso al sito nello stesso tempo, e lo ingolfano Attacco hacker Twitter al buio per tre ore Così il gioco si è trasformato in un allarme mondiale PAURA IN RETE BRUNO RUFFILLI I commenti degli iscritti Calvertsam Anche Facebook sotto tiro, salvati i "profili" L'obiettivo: creare timori in milioni di utenti TORINO 21: 56 Negli Anni '80 fu «Wargames», il film con Matthew Broderick a portare all'attenzione del grande pubblico la figura dell'hacker. In realtà, il piccolo David è un precoce esperto di computer, quello che oggi forse verrebbe chiamato un nerd, e riesce a violare il supercomputer del Pentagono più per gioco che per calcolo. Poi la storia si fa complicata e quando il pericolo di una guerra nucleare diventa concreto, il ragazzino s'ingegna per entrare di nuovo nel cervellone federale, ci riesce e diventa l'eroe di una generazione di smanettoni. Venti o trent'anni fa, infatti, gli hacker erano curiosi appassionati di computer che attaccavano qualunque sistema informatico e telefonico, per il piacere di sfidare le nascenti multinazionali: oggi sono diventati quasi tutti esperti di sicurezza o consulenti aziendali. E se le gesta di Kevin Poulsen sono leggendarie tra gli addetti ai lavori, il più famoso rimane Steve Wozniak, che nel 1976 fonda la Apple Computer assieme a Steve Jobs (allora usava apparecchi che producevano segnali sonori per ingannare i telefoni AT&T e non pagare le chiamate interurbane). A spingerli non è certo l'idea di risparmiare qualche dollaro: i primi paladini del bit sono mossi da un intento politico e pacifista, infatti il regista John Badham per la parte del professor Falken aveva pensato a John Lennon. Nel decennio successivo essere hacker diventa di moda, anche perché è segno di una familiarità con l'informatica che la generazione precedente non aveva. Mentre i trenta-quarantenni arrancano dietro tastiere e mouse, i più bravi tra i giovani scavano alla ricerca dei segreti nascosti tra le i codici dei pc. E inventano i primi virus, per il gusto di far crollare la fiducia nelle macchine e nelle sorti magnifiche e progressive che promettono. Poi si diffonde Internet e gli hacker cominciano a raggrupparsi in bande: le più note sono i Masters Of Deception e i Legion Of Doom, si scontrano facendo a gara a chi riesce a entrare nei computer degli avversari. Sono anche gli anni in cui cresce la fama di Kevin Mitnick, l'americano che riesce a violare i sistemi di sicurezza informatica di Nokia, Fujitsu, Motorola e Sun Microsystems. Definisce la sua attività «ingegneria sociale» ma questo non basta a salvarlo dalla condanna a 5 anni di carcere, quando viene arrestato nel 1995. Nello stesso anno il russo Vladimir Levin è il primo a entrare nei computer della Citibank, sottrae 10 milioni di dollari. Aziende e governi corrono ai ripari, ma per ogni lucchetto gli hacker trovano una chiave: nel 1998 uno s'infila nel «Defense Information System Network» del Pentagono, che controlla i satelliti militari Usa. Col terzo millennio ad affermarsi è il cybercrime vero e proprio, fatto di ricatti, minacce, furti d'identità e distruzioni di dati sensibili. E in un mondo sempre più virtuale, anche gli attacchi terroristici spesso passano per i pc: il pericolo è Al-Qaeda, che ha minacciato più volte di mettere fuori uso i centri vitali degli Usa. Ma bisogna tener d'occhio anche India, Russia, Cina, come ha compreso Obama che ha istituito una task force per fronteggiare gli attacchi informatici. Al confronto appare perfino nostalgica l'impresa di Gary McKinnon, un distinto quarantenne che nel 2002 aveva bucato le difese informatiche della Nasa, del Pentagono, dell'Esercito, della Marina e delle Forze aeree statunitensi per cercare prove dell'esistenza degli extraterrestri. [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK I pirati informatici danno l'assalto al social networking. Un attacco compiuto per mano di abili hacker ha paralizzato per diverse ore il sito di messaggistica online Twitter, mentre Facebook, il portale di comunicazione Internet, ha dovuto fare i conti con problemi di accesso a fasi intermittenti. L'operazione pirata è scattata alle 15 quando i navigatori di tutto il mondo hanno iniziato ad avere difficoltà nell'accedere in Twitter. Poco dopo sul sito di social networking è comparso un messaggio: «We are defending from the denial of service», ovvero «ci stiamo difendendo dalla negazione del servizio». Si tratta di una situazione che si verifica quando molti computer - controllati in questo caso da un gruppo di hacker - chiedono l'accesso al sito nello stesso tempo. I webmaster di Twitter hanno fatto scattare tutte le misure di sicurezza ma il problema ha causato la paralisi per tre ore. La chiusura del sito dimostrerebbe, secondo gli esperti, come Twitter sia una creatura ancora molto giovane e vulnerabile nonostante in pochi mesi abbia acquistato enorme popolarità divenendo punto di riferimento per le comunicazioni di celebrità, grandi aziende, imprese e persino per il movimento di protesta dei riformisti iraniani. «Per l'ampiezza che ha assunto ha senza dubbio bisogno di infrastrutture più forti e misure di protezione più sofisticate per respingere questo tipo di attacchi», spiega Graham Cluley, consulente tecnologico della società hi-tech Sophos. Ma il giovane Twitter non è il solo sito di social networking ad avere sperimentato problemi nel corso della giornata. Anche Facebook si è trovato ad avere qualche difficoltà, e i servizi di sicurezza informatica della compagnia hanno avviato un controllo per accertarne le cause. Sembra che gli hacker abbiano cercato di condurre un boicottaggio simile a quello di Twitter per arrivare a un «denial of service», ma grazie alla struttura più solida e a «ricettori del pericolo» più sofisticati il sito di comunicazione online non è diventato inaccessibile e nessuna delle informazioni contenute nei profili degli utenti è stata messa in pericolo. Solo dopo le 18 Twitter è riuscita a emergere dal black-out che ne ha causato la paralisi e anche per Facebook è ripreso il normale funzionamento. Un vero sospiro di sollievo per la comunità Internet che si è vista per diverse ore privata di un mezzo di comunicazione indispensabile. Molti navigatori infatti, specie quelli più giovani, hanno sviluppato una forma di dipendenza dai siti di social networking. Ma gli utenti di Twitter «potrebbero trovarsi alle prese ancora con qualche problema o con un rallentamento dei servizi per uno o due giorni», avverte Cluley. Gli attacchi come il «denial of service» hanno il semplice obiettivo di creare panico e danni nel sistema di comunicazioni. «In questo senso può essere considerato un vero e proprio crimine e dovrebbe essere trattato come tale - dice Shelly Palmer, analista del settore hi-tech e direttore di Advanced Media Ventures Group - si tratta di episodi che avvengono con cadenza quotidiana, ed è sorprendente vedere quanti siti, magari di grandi aziende, sono vittime di questo tipo di attacchi». Per condurli si usano i «botnets», ovvero con virus che hanno la capacità di infettare computer con l'obiettivo inviando spam o rubando password. Twitter si è trovato alle prese con problemi di «fail whale», carichi di lavoro superiori alle capacità. Ora la società di San Francisco dovrà rafforzare le difese.

Torna all'inizio


"Identificarli è quasi impossibile" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

Sembra che Twitter e Facebook siano stati attaccati dalla Russia o dalla Georgia Twitter è scomodo perché è un luogo dove si forma una coscienza politica Questa mattina era tutto bloccato adesso funziona ma è lentissimo GEOPdx "Identificarli è quasi impossibile" L'esperto della Finanza: operazione guidata da gruppi invidiosi del troppo successo Pedro Joanna 22:58 20:27 23:02 Il colonnello Umberto Rapetto, della Guardia di Finanza, comandante del Gat (Gruppo anticrimine tecnologico) può vantare di essere l'unico al mondo ad aver catturato un'intera banda di hacker che aveva violato i siti del Pentagono, Nasa, Fao, Senato italiano e di alcuni nostri ministeri. Ieri ha saputo presto che il social forum Twitter stava andando in tilt e che anche Facebook stava pericolosamente rallentando nei tempi di risposta. «Ma questo tipo di attacchi - commenta Rapetto - che in gergo vengono chiamati DoS, che sta per Denial-of-Service, servizio negato, sono relativamente semplici. Basta saturare un server che di per sé è già sotto sforzo. L'esempio tipico è il gioco del campanello. Se è un ragazzino a suonare per scherzo, passi. Se si presentano a milioni, s'impazzisce». Colonnello, ci spieghi come fanno a darsi appuntamento milioni di hacker per ingolfare un server potente quali quelli di Twitter... «Attraverso un sistema che noi chiamiamo "computer zombie". Moltissimi computer nel mondo sono infetti da programmi virus detti "troiani", cavalli di Troia, che al momento opportuno rispondono al pirata informatico e non più al legittimo proprietario. Quando è il momento di lanciare l'attacco, gli zombie vengono risvegliati tutti assieme e si lanciano contro un solo obiettivo. Un tempo, questo attacco era detto "net strike" e ha funzionato. Ricordo un attacco a Ebay. In Italia, nel 2001, mandarono in tilt il sito della Siae». Ma se uno è al computer si rende conto che la macchina in quel momento sta facendo cose strane? «No, perché non c'è nessun segnale esteriore del risveglio. L'unica stranezza è che rallenta perché una parte della sua memoria sta girando per un programma improprio. Ma ci vuole un'abilità particolare per capirlo». Chi potrebbe essere stato? «Difficile dirlo, a meno che non arrivi la rivendicazione. Spesso succede. Il fatto è che gli attacchi sono azioni ostili che possono avere molte motivazioni. Politiche: si pensi solo a quanto Twitter è stato scomodo per il regime durante la crisi in Iran. Economiche: magari c'è qualche concorrente che ha investito molti soldi e ora si vede bruciare tutto dal successo di questo social forum. Culturali: i soliti che ce l'hanno sempre con il mondo intero». Scusi, Rapetto, ma chi può prendersela con un social forum che aiuta la gente a comunicare e veicola notizie? E' l'essenza della democrazia in Rete... «Bisogna pensare al cui prodest. Chi ne trae vantaggio? Evidentemente il successo e l'agilità di Twitter a qualcuno dà molto fastidio». Negli Anni '80 fu «Wargames», il film con Matthew Broderick a portare all'attenzione del grande pubblico la figura dell'hacker. In realtà, il piccolo David è un precoce esperto di computer, quello che oggi forse verrebbe chiamato un nerd, e riesce a violare il supercomputer del Pentagono più per gioco che per calcolo. Poi la storia si fa complicata e quando il pericolo di una guerra nucleare diventa concreto, il ragazzino s'ingegna per entrare di nuovo nel cervellone federale, ci riesce e diventa l'eroe di una generazione di smanettoni. Venti o trent'anni fa, infatti, gli hacker erano curiosi appassionati di computer che attaccavano qualunque sistema informatico e telefonico, per il piacere di sfidare le nascenti multinazionali: oggi sono diventati quasi tutti esperti di sicurezza o consulenti aziendali. E se le gesta di Kevin Poulsen sono leggendarie tra gli addetti ai lavori, il più famoso rimane Steve Wozniak, che nel 1976 fonda la Apple Computer assieme a Steve Jobs (allora usava apparecchi che producevano segnali sonori per ingannare i telefoni AT&T e non pagare le chiamate interurbane). A spingerli non è certo l'idea di risparmiare qualche dollaro: i primi paladini del bit sono mossi da un intento politico e pacifista, infatti il regista John Badham per la parte del professor Falken aveva pensato a John Lennon. Nel decennio successivo essere hacker diventa di moda, anche perché è segno di una familiarità con l'informatica che la generazione precedente non aveva. Mentre i trenta-quarantenni arrancano dietro tastiere e mouse, i più bravi tra i giovani scavano alla ricerca dei segreti nascosti tra le i codici dei pc. E inventano i primi virus, per il gusto di far crollare la fiducia nelle macchine e nelle sorti magnifiche e progressive che promettono. Poi si diffonde Internet e gli hacker cominciano a raggrupparsi in bande: le più note sono i Masters Of Deception e i Legion Of Doom, si scontrano facendo a gara a chi riesce a entrare nei computer degli avversari. Sono anche gli anni in cui cresce la fama di Kevin Mitnick, l'americano che riesce a violare i sistemi di sicurezza informatica di Nokia, Fujitsu, Motorola e Sun Microsystems. Definisce la sua attività «ingegneria sociale» ma questo non basta a salvarlo dalla condanna a 5 anni di carcere, quando viene arrestato nel 1995. Nello stesso anno il russo Vladimir Levin è il primo a entrare nei computer della Citibank, sottrae 10 milioni di dollari. Aziende e governi corrono ai ripari, ma per ogni lucchetto gli hacker trovano una chiave: nel 1998 uno s'infila nel «Defense Information System Network» del Pentagono, che controlla i satelliti militari Usa. Col terzo millennio ad affermarsi è il cybercrime vero e proprio, fatto di ricatti, minacce, furti d'identità e distruzioni di dati sensibili. E in un mondo sempre più virtuale, anche gli attacchi terroristici spesso passano per i pc: il pericolo è Al-Qaeda, che ha minacciato più volte di mettere fuori uso i centri vitali degli Usa. Ma bisogna tener d'occhio anche India, Russia, Cina, come ha compreso Obama che ha istituito una task force per fronteggiare gli attacchi informatici. Al confronto appare perfino nostalgica l'impresa di Gary McKinnon, un distinto quarantenne che nel 2002 aveva bucato le difese informatiche della Nasa, del Pentagono, dell'Esercito, della Marina e delle Forze aeree statunitensi per cercare prove dell'esistenza degli extraterrestri. [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK I pirati informatici danno l'assalto al social networking. Un attacco compiuto per mano di abili hacker ha paralizzato per diverse ore il sito di messaggistica online Twitter, mentre Facebook, il portale di comunicazione Internet, ha dovuto fare i conti con problemi di accesso a fasi intermittenti. L'operazione pirata è scattata alle 15 quando i navigatori di tutto il mondo hanno iniziato ad avere difficoltà nell'accedere in Twitter. Poco dopo sul sito di social networking è comparso un messaggio: «We are defending from the denial of service», ovvero «ci stiamo difendendo dalla negazione del servizio». Si tratta di una situazione che si verifica quando molti computer - controllati in questo caso da un gruppo di hacker - chiedono l'accesso al sito nello stesso tempo. I webmaster di Twitter hanno fatto scattare tutte le misure di sicurezza ma il problema ha causato la paralisi per tre ore. La chiusura del sito dimostrerebbe, secondo gli esperti, come Twitter sia una creatura ancora molto giovane e vulnerabile nonostante in pochi mesi abbia acquistato enorme popolarità divenendo punto di riferimento per le comunicazioni di celebrità, grandi aziende, imprese e persino per il movimento di protesta dei riformisti iraniani. «Per l'ampiezza che ha assunto ha senza dubbio bisogno di infrastrutture più forti e misure di protezione più sofisticate per respingere questo tipo di attacchi», spiega Graham Cluley, consulente tecnologico della società hi-tech Sophos. Ma il giovane Twitter non è il solo sito di social networking ad avere sperimentato problemi nel corso della giornata. Anche Facebook si è trovato ad avere qualche difficoltà, e i servizi di sicurezza informatica della compagnia hanno avviato un controllo per accertarne le cause. Sembra che gli hacker abbiano cercato di condurre un boicottaggio simile a quello di Twitter per arrivare a un «denial of service», ma grazie alla struttura più solida e a «ricettori del pericolo» più sofisticati il sito di comunicazione online non è diventato inaccessibile e nessuna delle informazioni contenute nei profili degli utenti è stata messa in pericolo. Solo dopo le 18 Twitter è riuscita a emergere dal black-out che ne ha causato la paralisi e anche per Facebook è ripreso il normale funzionamento. Un vero sospiro di sollievo per la comunità Internet che si è vista per diverse ore privata di un mezzo di comunicazione indispensabile. Molti navigatori infatti, specie quelli più giovani, hanno sviluppato una forma di dipendenza dai siti di social networking. Ma gli utenti di Twitter «potrebbero trovarsi alle prese ancora con qualche problema o con un rallentamento dei servizi per uno o due giorni», avverte Cluley. Gli attacchi come il «denial of service» hanno il semplice obiettivo di creare panico e danni nel sistema di comunicazioni. «In questo senso può essere considerato un vero e proprio crimine e dovrebbe essere trattato come tale - dice Shelly Palmer, analista del settore hi-tech e direttore di Advanced Media Ventures Group - si tratta di episodi che avvengono con cadenza quotidiana, ed è sorprendente vedere quanti siti, magari di grandi aziende, sono vittime di questo tipo di attacchi». Per condurli si usano i «botnets», ovvero con virus che hanno la capacità di infettare computer con l'obiettivo inviando spam o rubando password. Twitter si è trovato alle prese con problemi di «fail whale», carichi di lavoro superiori alle capacità. Ora la società di San Francisco dovrà rafforzare le difese.

Torna all'inizio


Da romantici a criminali una sfida lunga 30 anni (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

TORINO Negli Anni ‘80 fu «Wargames», il film con Matthew Broderick a portare all'attenzione del grande pubblico la figura dell'hacker. In realtà, il piccolo David è un precoce esperto di computer, quello che oggi forse verrebbe chiamato un nerd, e riesce a violare il supercomputer del Pentagono più per gioco che per calcolo. Poi la storia si fa complicata e quando il pericolo di una guerra nucleare diventa concreto, il ragazzino s'ingegna per entrare di nuovo nel cervellone federale, ci riesce e diventa l'eroe di una generazione di smanettoni. Venti o trent'anni fa, infatti, gli hacker erano curiosi appassionati di computer che attaccavano qualunque sistema informatico e telefonico, per il piacere di sfidare le nascenti multinazionali: oggi sono diventati quasi tutti esperti di sicurezza o consulenti aziendali. E se le gesta di Kevin Poulsen sono leggendarie tra gli addetti ai lavori, il più famoso rimane Steve Wozniak, che nel 1976 fonda la Apple Computer assieme a Steve Jobs (allora usava apparecchi che producevano segnali sonori per ingannare i telefoni AT&T e non pagare le chiamate interurbane). A spingerli non è certo l'idea di risparmiare qualche dollaro: i primi paladini del bit sono mossi da un intento politico e pacifista, infatti il regista John Badham per la parte del professor Falken aveva pensato a John Lennon. Nel decennio successivo essere hacker diventa di moda, anche perché è segno di una familiarità con l'informatica che la generazione precedente non aveva. Mentre i trenta-quarantenni arrancano dietro tastiere e mouse, i più bravi tra i giovani scavano alla ricerca dei segreti nascosti tra le i codici dei pc. E inventano i primi virus, per il gusto di far crollare la fiducia nelle macchine e nelle sorti magnifiche e progressive che promettono. Poi si diffonde Internet e gli hacker cominciano a raggrupparsi in bande: le più note sono i Masters Of Deception e i Legion Of Doom, si scontrano facendo a gara a chi riesce a entrare nei computer degli avversari. Sono anche gli anni in cui cresce la fama di Kevin Mitnick, l'americano che riesce a violare i sistemi di sicurezza informatica di Nokia, Fujitsu, Motorola e Sun Microsystems. Definisce la sua attività «ingegneria sociale» ma questo non basta a salvarlo dalla condanna a 5 anni di carcere, quando viene arrestato nel 1995. Nello stesso anno il russo Vladimir Levin è il primo a entrare nei computer della Citibank, sottrae 10 milioni di dollari. Aziende e governi corrono ai ripari, ma per ogni lucchetto gli hacker trovano una chiave: nel 1998 uno s'infila nel «Defense Information System Network» del Pentagono, che controlla i satelliti militari Usa. Col terzo millennio ad affermarsi è il cybercrime vero e proprio, fatto di ricatti, minacce, furti d’identità e distruzioni di dati sensibili. E in un mondo sempre più virtuale, anche gli attacchi terroristici spesso passano per i pc: il pericolo è Al-Qaeda, che ha minacciato più volte di mettere fuori uso i centri vitali degli Usa. Ma bisogna tener d'occhio anche India, Russia, Cina, come ha compreso Obama che ha istituito una task force per fronteggiare gli attacchi informatici. Al confronto appare perfino nostalgica l'impresa di Gary McKinnon, un distinto quarantenne che nel 2002 aveva bucato le difese informatiche della Nasa, del Pentagono, dell'Esercito, della Marina e delle Forze aeree statunitensi per cercare prove dell'esistenza degli extraterrestri. + Twitter vittima di un attaco hacker

Torna all'inizio


Pakistan, così Al Qaeda sogna la bomba atomica (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

RAWALPINDI (Pakistan) - La Peshawar road costeggia per due chilometri il Quartier Generale delle Forze armate, una sequenza di caserme circondate dagli unici prati verdi di Rawalpindi; sul lato opposto, palazzine impettite come ufficiali sull'attenti ospitano le sedi di quelle Fondazioni che proiettano anche nell'economia il potere straripante dei generali pachistani. Superate le caserme, il paesaggio urbano rimpicciolisce per altri due chilometri in una fila di botteghe sormontate da cartelloni pubblicitari: scuole di informatica, scuole di inglese, olio di soya, la clinica cinese, i cassoni di plastica per l'acqua. Il pomeriggio c'è sempre molto traffico, ma il viale è largo e le motociclette possono zigzagare tra le macchine. Quel 3 luglio, quando un pullman privato si è fermato al semaforo del crocevia chiamato Choor Chawk, un motociclista lo ha affiancato e ha fatto esplodere il tritolo di cui era imbottito il serbatoio. Dell'attentatore è rimasto a sufficienza per intuire l'età: molto giovane, uno dei tanti ragazzini convinti da astuti mullah ad ascendere in paradiso dentro una nuvola di fuoco. I passeggeri del pullman, la gran parte dei 23 feriti, non erano "infedeli", come probabilmente gli era stato fatto credere, ma dipendenti del Kahuta Research Laboratories, forse il più importante centro di ricerche nucleari del Pakistan sin da quando lì fu concepita la Bomba. Tutto quello che riguarda il Kahuta è protetto da un rigido segreto militare. Eppure i terroristi sapevano. Chi li ha informati sembra all'improvviso rivolgere le sue attenzioni alle 60-100 testate atomiche che sono l'orgoglio del Pakistan, l'incubo dell'India e il sogno di Al Qaeda. Con quale disegno? OAS_RICH('Middle'); Risaliamo i tre chilometri più spiati del Pakistan per girare la domanda al portavoce del Quartier generale, un colonnello. La zona che traversiamo ha visto negli ultimi mesi tre attentati contro obiettivi o personalità militari, quattro calcolando anche l'attacco al pullman del Kahuta. In queste azioni, mi dice il colonnello, "i terroristi hanno dimostrato di possedere informazioni riservate cui non sono in grado di arrivare da soli: dunque deve averli informati uno spionaggio straniero". Oppure hanno complici nelle Forze armate, e forse anche nel programma nucleare, potremmo aggiungere. In un caso o nell'altro, l'attentato di Rawalpindi racconta la proliferazione atomica come proliferazione di intrighi e di rischi colossali. E forse dice che il Pakistan si sta avvicinando al bivio fatale. Di qua il disastro, se non l'apocalisse; di là la salvezza e la pace. La Bomba ha reso al Pakistan non poco. Prestigio internazionale, la considerazione dei Paesi islamici, un deterrente per tenere a bada il poderoso vicino indiano, l'amicizia di due alleati tuttora strategici, la Cina e l'Arabia Saudita. Ma ha suscitato anche ostilità e cospirazioni. Zulfikar Bhutto, il premier che aveva sfidato gli americani promettendo "Mangeremo erba ma costruiremo la nostra atomica", morì sulla forca, impiccato da generali amici di Washington. Alcuni tra gli scienziati cui Bhutto aveva ordinato "implorate, prendete a prestito, rubate, ma procuratevi la Bomba", compiuta la missione continuarono a praticare metodi discutibili, suscitando sospetti sull'affidabilità del Pakistan. Abdul Qadeer Khan, già direttore del Kahuta Research Laboratories, divenne il facilitatore occulto di altri programmi nucleari (iraniano, nordcoreano, libico) che si avvalsero della sua consulenza, se non anche della tecnologia che Khan maneggiava. Missile a testata nucleare portato in parata in Pakistan Arrestato nel 2003 su pressione americana, scarcerato di recente malgrado le apprensioni dell'amministrazione Obama, tra i suoi compatrioti Khan resta il popolarissimo "padre della Bomba". Non ha mai svelato i suoi segreti. Un suo collega, Sultan Mahmood, responsabile del reattore nucleare di Khushab e notabile di un partito filo-Taliban, ha dovuto ammettere che Osama bin Laden gli chiese una consulenza per costruire un ordigno "sul genere di Hiroshima". E già da questi esempi si ricava che ai grandi fisici nucleari pachistani le offerte di lavoro non devono mancare, tanto più da quando le Forze armate hanno impresso al programma atomico un'accelerazione. La scoperta di un giacimento di plutonio nel Punjab ha permesso di avviare, in joint venture con i cinesi, un progetto per fabbricare testate nucleari più potenti e più piccole, dunque lanciabili non più soltanto da rampe fisse ma anche da aerei. Oltre ad avere il programma atomico più rapido del mondo, il Pakistan ha un altro primato poco rassicurante: la più vaga tra le dottrine militari. Chi possiede l'arma atomica di regola si premura di indicare con la massima precisione - alle proprie Forze armate e allo stesso tempo a potenziali aggressori - in quali situazioni sarà premuto il bottone fatale. Il Pakistan sembra fare eccezione. La sua dottrina di difesa, denominata "Minima deterrenza accettabile", non è in un documento pubblico. E quel che si conosce per linee generali inquieta. Islamabad si riprometterebbe di usare le sue atomiche in un ventaglio di ipotesi. Innanzitutto qualora subisse "un'invasione massiccia", formula però vaga. Per esempio, è probabile che la Nato si sia chiesta se si esporrebbe ad una rappresaglia atomica lanciando una grande operazione in territorio pachistano per decapitare i Taliban. Non meno indefinite sono le due ipotesi successive: Islamabad ritiene motivo sufficiente per usare la Bomba sia un'interruzione delle sue maggiori linee di approvvigionamento (per esempio, se la flotta indiana bloccasse i suoi porti o Dehli riducesse la portata del fiume Indo) sia una minaccia all'unità territoriale e alla stabilità del Paese, quale potrebbe essere la sollevazione del Beluchistan, dove opera da anni un forte secessionismo armato. Tuttavia nelle tradizioni militari pachistane c'è una sana riluttanza ad annichilire popolazioni nemiche. Dopotutto, le tre guerre combattute tra India e Pakistan sono stati tutte molto brevi e poco cruente e mai uno dei contendenti ha bombardato città. Paradossalmente, il problema è l'equilibrio del terrore. Ha evitato una quarta guerra, ma ha suggerito a India e Pakistan di combattersi per procura e secondo geometrie sghembe, come i due Blocchi durante la Guerra fredda. Il prodotto di queste ostilità è un conflitto asimmetrico oggi molto rischioso per l'intera regione. E' successo questo. Da una parte il Pakistan ha inglobato nel suo sistema di difesa le milizie islamiche che avevano combattuto contro i sovietici, e le ha utilizzate in Kashmir e in Afghanistan. Finché Musharraf le ha scaricate per assecondare gli americani. All'improvviso quei guerrieri fondamentalisti hanno perso prestigio, soldo, ruolo e traffici indotti, insomma tutto tranne i finanziatori arabi e forse alcuni amici nei servizi segreti del Pakistan. Cercando un conflitto in cui far valere il loro mestiere, si sono avvicinati ai Taliban pachistani e ad Al Qaeda, cui hanno portato in dote una rete terroristica diffusa sul territorio nazionale. Insieme, ora combattono un conflitto che ha per posta il Pakistan e le sue bombe atomiche. "Le prenderemo e le useremo contro gli americani", ha promesso ad una tv araba il capo di Al Qaeda per l'Afghanistan, Mustafa al Yazid, dieci giorni prima che a Rawalpindi i terroristi colpissero i dipendenti del Kahuta Research Laboratories. A sua volta l'India ha aperto misteriosi uffici consolari in Afghanistan, lungo la frontiera con il Pakistan. Con quelli, e per il tramite di tribù afghane, riuscirebbe a far arrivare armi e denaro sia al secessionismo del Beluchistan sia ad un settore dei Taliban. Islamabad fa sapere di poterlo provare, così come lascia intendere anche il comunicato diffuso a conclusione di un incontro bilaterale, due settimane fa ("Il primo ministro del Pakistan, Gilani, ha affermato di possedere alcune informazioni circa minacce in Beluchistan e altre aree"). Finora inascoltato, l'establishment pachistano sussurra da tempo la seguente accusa: l'India vuole mantenere il Pakistan in uno stato di instabilità controllata, affinché la comunità internazionale si convinca che questo è uno Stato fallito, inaffidabile; e profittando della sua debolezza finanziaria, lo costringa a mettere le sue bombe atomiche sotto sorveglianza internazionale, o almeno a interrompere il suo tumultuoso programma nucleare. Dehli avrebbe un secondo obiettivo strategico: rendere insicura la strada che corre dalle pendici del Karakorum fino al porto di Gwadar, nel Baluchistan pachistano. Presto permetterà alle merci cinesi di raggiungere l'Oceano nominalmente ancora Indiano, e al petrolio arabo di raggiungere la Cina, risparmiando ben tre settimane e relativi costi di trasporto. Nell'albergo di Islamabad preferito dagli stranieri ormai gli ospiti cinesi sono numerosi quanto gli occidentali. L'influenza di Pechino è discreta ma crescente. In primavera, quando i Taliban sono arrivati a cento chilometri dalla capitale, non solo gli Usa ma anche la Cina hanno incalzato il Pakistan a reagire. Il contrattacco delle Forze armate sarebbe stato blando come le altre volte, se i generali non si fossero convinti che alcune bande di Taliban sono funzionali ai progetti dello spionaggio indiano. Come folgorato da questa percezione nuova, in maggio l'Esercito ha attaccato i Taliban dello Swat e li ha combattuti con una determinazione mai mostrata in passato. Tre mesi dopo, quelle vallate sono ancora insicure; fuggita in montagna, la guerriglia continua a uccidere soldati e a terrorizzare civili. Ma questo è quasi secondario. Per quanto vada ancora verificata, la conversione di Islamabad ne migliora l'immagine internazionale e permette agli americani di aumentare la pressione su Dehli perché accetti un compromesso. Nelle speranze dell'amministrazione Obama, i due nemici rinunceranno a colpirsi per procura e avvieranno una cooperazione contro il terrorismo di cui si intravede qualche timido segnale. A quel punto non sarebbe impossibile negoziare un accordo sul Kashmir. E tutto questo sarebbe di beneficio anche alla situazione in Afghanistan. In apparenza minuscoli ma in realtà rilevanti, alcuni gesti di disponibilità scambiati in luglio tra Dehli e Islamabad suggeriscono che un processo di pace non è impossibile. Però suscita un'opposizione occulta, mossa da interessi interni e internazionali, in India come in Pakistan. Il partito del conflitto permanente l'anno scorso si è servito del massacro di Mumbai per paralizzare il dialogo tra i due governi e da allora ha riconquistato terreno. In luglio l'India ha varato il suo primo sottomarino nucleare e il terrorismo ha messo gli occhi sulla Bomba pachistana. Il sottomarino ha un nome mitologico che sta per "Distruttore dei nemici". La Bomba pachistana viaggia su missili chiamati come i conquistatori musulmani dell'India. Ma questo è nella tradizione locale. Di nuovo c'è il fatto che la corsa ultratecnologica all'armamento nucleare ormai bordeggia il campo di battaglia della guerra asimmetrica. Prossimità ormai perfino fisica: uno dei siti nucleari pachistani si troverebbe appunto a ridosso di un territorio "talibanizzato". Non è difficile immaginare dove potrebbe condurre tutto questo se il contenzioso indo-pachistano fosse abbandonato alla sua deriva. (7 agosto 2009

Torna all'inizio


Saggi, romanzi, racconti: è la letteratura della recessione (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Focus Vuota data: 07/08/2009 - pag: 11 Gli scrittori raccontano come è cambiata la vita degli americani Saggi, romanzi, racconti: è la letteratura della recessione DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK «Ho scoperto la letteratura della recessione quando, all'improvviso, la mia buca della posta si è riempita di manoscritti: storie della crisi e degli eccessi finanziari che l'hanno preceduta». Jonathan Franzen, l'autore de Le Correzioni e uno dei più acuti critici «da sinistra» della presidenza Obama, si dice colpito dalla preveggenza di alcuni suoi giovani colleghi: «Un romanzo richiede anni di lavoro e il crollo della finanza è, tutto sommato, un fenomeno recente. Eppure in autunno Adam Haslett pubblicherà Union Atlantic , uno straordinario racconto costruito attorno alla corsa verso il disastro di una banca del Massachusetts. È un testo bellissimo, che ho divorato. Adam ha cominciato a lavorarci sei anni fa. Anche Jonathan Dee, che sta per pubblicare The Privileges , un racconto basato sugli eccessi della finanza di Wall Street, lavora su questo filone da sei anni. Nella loro solitudine, questi romanzieri hanno visto più lontano di economisti ed esperti di finanza. O, forse, hanno semplicemente parlato più liberamente. Oggi descrivono la corruzione morale alla base del boom finanziario; è importante che rimanga la testimonianza artistica di un'era in cui troppi hanno scelto di divorziare dalla realtà». Le sofferenze dell'America sprofondata nella Grande Depressione furono raccontate, alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, da una nuova generazione di scrittori. Soprattutto lo Steinbeck di Furore e Uomini e topi , romanzi che gli valsero il Nobel. Gli eccessi finanziari degli anni '80 rimangono incorniciati nel Falò delle vanità di Tom Wolfe e furono portati sullo schermo da Oliver Stone con Wall Street . Ora, 22 anni dopo, Michael Douglas sta per rimettersi nei panni dell'avido finanziere Gordon Gekko (le riprese di Money Never Sleeps inizieranno tra un mese). E in libreria, a fianco ai saggi sulla crisi e a racconti come The ex Mrs Hedgefund di Jill Kargman, una storia di mogli di finanzieri andati in rovina col sapore della soap opera, spuntano i primi romanzi che raccontano lo sbalordimento di un Paese che si sente derubato del suo futuro. Philipp Meyer, che ha ambientato American Rust in una città siderurgica della Pennsylvania ormai zeppa di ruggine e di disperazione, ha avuto dall'editore (Spiegel & Grau) un anticipo di quasi mezzo milione di dollari: un record per un esordiente. Il romanzo è già stato acquistato da editori di 15 Paesi. E Michael Connelly, che ha immerso The Scarecrow il romanzo noir che ha pubblicato poche settimane fa, nella crisi dell'industria della carta stampata, ha dovuto recuperare il suo manoscritto quando era già in tipografia della Little, Brown: il giornale in difficoltà che fa da sfondo a una parte della storia, il Rocky Mountain News , aveva infatti cessato di esistere. Uno di quei casi in cui la realtà supera la finzione: Connolly ha frettolosamente trasferito il suo protagonista dal giornale di Denver al Los Angeles Times. Il disastro del mercato immobiliare, l'odissea dei mutui, è poi arrivata in libreria con Rocket Man di William Elliott Hazelgrove (Pantonne Press), storia di un uomo che cerca di salvare casa e famiglia dalla recessione. Probabilmente questi libri sono solo un'avanguardia: «Stiamo esaminando parecchi progetti che riflettono la grave crisi economica e sociale attraversata dall'America» conferma Jonathan Galassi, celebre editor della Farrar, Straus and Giroux. Che però non entra in dettagli: «La costruzione di romanzo matura in tempi lunghi, viviamo in un'era in cui le ondate si susseguono». Per Tom Wolfe il romanzo a sfondo sociale è sparito di scena da troppo tempo, l'America non può più «permettersi di ignorare quello che le sta capitando », mentre Morris Dickstein, docente della City University di New York e autore di una storia culturale della Grande Depressione, è convinto che, come negli anni '30, anche stavolta toccherà agli scrittori raccontare le storie della recession generation : i giovani che stanno crescendo in un mondo caratterizzato da una improvvisa frugalità in cui tutto livelli di benessere, modelli di consumo, mercato del lavoro cambia sotto i loro occhi. Ma ci sarà un nuovo Steinbeck? «Io ancora non lo vedo» confessa Nan Talese, moglie dello scrittore Gay, e senior vicepresident della casa editrice Doubleday. Nan, che è anche l'editor di Adam Haslett ( Union Atlantic verrà pubblicato da Einaudi) è comunque convinta che la recessione segnerà la letteratura Usa nei prossimi anni. La crisi ma anche altre minacce che gravano sul futuro: «Tra un mese pubblicherò The Year of the Flood , il nuovo romanzo di Margaret Atwood sul collasso dell'ambiente». In Italia uscirà con Longanesi. Ma, a sorpresa, c'è un altro autore rilanciato dalla recessione: Ayn Rand, la scrittrice anarco-capitalista, scomparsa nel 1982, la cui ideologia iperliberista ha influenzato personaggi come l'ex capo della Fed, Alan Greenspan, spingendoli ad avere una fiducia cieca nel mercato. I salvataggi di banche e industrie, il neostatalismo alimentano le nostalgie dei mercatisti: le vendite della Rivolta di Atlante il romanzo dell'individualismo radicale, un inno al laissez faire economico pubblicato dalla Rand negli anni '50 sono in forte crescita. Conferma Nan Talese: «Stiamo per pubblicare una biografia della Rand, scritta da Anne Heller». Ma per Franzen nella nuova America devastata dalla crisi quella degli iperliberisti rimarrà una voce flebile: «Non so se avremo un altro Steinbeck: lui raccontava sofferenze di cui la gente, allora, sapeva poco. Oggi vediamo tutto in tempo reale. Stavolta avrà più peso il cinema. Il romanzo sociale dovrà scegliere angolature diverse. Ma la letteratura farà la sua parte, a cominciare proprio dal viaggio nella mente di questi pacati uomini di finanza che ci hanno portato al disastro». Due libri che parlano della crisi Massimo Gaggi © RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna all'inizio


L'ispanica Sonia Sotomayor eletta alla Corte Suprema (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 07/08/2009 - pag: 14 Stati Uniti Si corona il «sogno americano» della giudice nata nel Bronx L'ispanica Sonia Sotomayor eletta alla Corte Suprema Dal Senato 68 sì e 31 no. Obama: giorno meraviglioso DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Dai ghetti degli immigrati portoricani nel Bronx alla Corte Suprema, passando per l'Università di Yale e una prestigiosa carriera che l'ha vista procuratore distrettuale, avvocato, giudice federale, giudice di Corte d'Appello. Sonia Sotomayor, 55 anni, sarà la prima ispanoamericana, terza donna della Storia, la prima di colore, a far parte della più alta magistratura degli Stati Uniti. Il Senato di Washington ha confermato ieri pomeriggio la candidata del presidente Obama, approvandone la nomina con 68 voti a favore e 31 contrari, al termine di quasi 18 ore di dibattito andato avanti per 3 giorni. Nove senatori repubblicani si sono uniti ai 59 democratici presenti in aula, assente Ted Kennedy che lotta contro il cancro, in un voto che ancora una volta è stato soltanto parzialmente bipartisan, confermando che in generale le ragioni dell'ideologia fanno premio su quelle della competenza. Nessuno di coloro che hanno detto di no, a cominciare dall'ex candidato presidenziale John McCain, ha infatti messo in dubbio la qualificazione professionale di Sotomayor per la Corte Suprema, accusandola piuttosto di presunte ambizioni attiviste, incline cioè a interpretare le leggi invece di applicarle seguendone la lettera. A sottolineare la storica solennità del momento, il leader della maggioranza democratica Harry Reid, ha chiesto l'appello nominale, con tutti i senatori che si alzavano uno per uno dal loro posto per dare il loro voto, una procedura seguita solo nelle occasioni più importanti, come gli impeachment o le risoluzioni di guerra. Sotomayor è il primo giudice della Corte Suprema, nominato da un presidente democratico negli ultimi quindici anni. Il voto del Senato segna una vittoria per la Casa Bianca di Barack Obama, tanto più importante sul piano psicologico immediato, nel giorno in cui i sondaggi segnalano un nuovo calo di popolarità del presidente, alle prese con la battaglia per la riforma sanitaria: secondo una rilevazione sarebbe addirittura sceso al 50%. I tre giorni di passione in Senato hanno messo nuovamente in risalto le divisioni profonde della politica americana sul ruolo dei giudici e sulle minoranze etniche. I democratici si sono concentrati sulla storia personale di Sotomayor, incarnazione del sogno americano almeno quanto il presidente Obama, descrivendola come magistrato qualificato ed equilibrato, del tutto in linea con la dottrina prevalente. Usando sue prese di posizione e discorsi del passato, i repubblicani hanno invece dipinto Sotomayor come giudice inguaribilmente progressista, portata a simpatizzare troppo con i suoi «latinos » e disposta a far politica con le sentenze. In realtà nessuno di loro è riuscito a produrne un solo dispositivo che Troppo liberal Tra i no anche quello di McCain che, come molti repubblicani, la ritiene troppo «attivista» Sostenitori A destra, un corteo a Washington a sostegno della Sotomayor. Sotto, lei con Obama

Torna all'inizio


I pirati mettono in crisi Twitter (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 07-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Cronache data: 07/08/2009 - pag: 23 Il blitz La conferma del sito di microblogging: siamo sotto tiro, ma continueremo a difenderci I pirati mettono in crisi Twitter Criminali informatici in azione. Problemi anche per Facebook MILANO Ieri, per tre ore il mondo si è fermato. Quello che su Internet gravita intorno ai social network Twitter (45 milioni di utenti) e, in misura minore, Facebook (250 milioni). A causa di una attacco informatico, dalle 15 alle 18 i due siti risultavano irraggiungibili o fortemente rallentati. Il più danneggiato dagli hacker è stato Twitter, il microblogging che consente di inviare brevi messaggi di massimo 140 caratteri che negli ultimi tempi ha guadagnato grande fama, soprattutto negli Stati Uniti, perché tra i suoi utilizzatori annovera personaggi del calibro di Barack Obama, Al Gore, Kevin Spacey, Demi Moore e che, durante le proteste politiche in Iran, è stato l'unico strumento utilizzato dai sostenitori del riformista Moussavi per divulgare notizie da Teheran verso l'estero. La conferma del blitz ad opera di hacker l'ha data Biz Stone, uno dei cofondatori di Twitter: «In questo banalissimo giovedì mattina Twitter è stato obiettivo di un attacco al sistema. I disturbi di questo tipo sono dannosi sforzi orchestrati per disturbare e rendere difficili servizi come quello offerto da noi». L'assalto a Twitter e Facebook è stato condotto con la tecnica cosiddetta «denial of service», la contemporanea connessione in massa al sito da più computer per sovraccaricarlo e mandarlo in tilt. «Se non arriveranno rivendicazioni sarà difficile scoprire l'identità degli hacker», spiega il colonnello Umberto Rapetto, comandante del Nucleo speciale frodi telematiche della Guardia di finanza, uno dei massimi esperti italiani di sicurezza informatica. «Dietro a questo atto ci può essere una matrice politica, una battaglia commerciale oppure vero e proprio cyberacket, un avvertimento per estorcere denaro». Non è la prima volta che Twitter, creato nel 2006 e il cui valore è stimato in 250 milioni di dollari, finisce nel mirino degli hacker. L'ultima azione risale a maggio quando un hacker, dopo aver rubato la password a un dipendente del microblog, ha tentato di violare l' account , l'indirizzo elettronico, del presidente Obama. E, nei giorni scorsi, la voce di un nuova possibile azione ai danni di Twitter e Facebook girava su 4chan, uno dei forum più affollati dagli appassionati più oltranzisti di Internet. Dopo tre ore di silenzio telematico che hanno gettato nel panico tutti gli utenti dei social network, l'attività è ripresa prima su Facebook poi su Twitter. Ma l'allarme non è ancora cessato: «Continuiamo a difenderci e a riprenderci da questo attacco». Roberto Rizzo © RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna all'inizio


gelata sul pil in caduta del 6% (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Ma per l´Ocse l´Italia è in ripresa. Ottimismo di Obama Gelata sul Pil in caduta del 6% ROMA - Nuovo tonfo del Pil in Italia. Nel secondo trimestre il prodotto interno lordo ha segnato una caduta del 6%. è il dato peggiore dal 1980. I sindacati sono in allarme e chiedono un maggior sostegno al reddito dei lavoratori. Un segnale positivo arriva però dall´Ocse: il superindice calcolato dalla organizzazione in giugno fa vedere che l´Italia mostra primi segnali di ripresa. Anche secondo il presidente degli Usa, Barack Obama, il peggio è alle spalle. GRION E PARENTE A PAGINA 6

Torna all'inizio


la crisi, keynes e gli stimoli - joseph e. stiglitz (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 27 - Commenti LA CRISI, KEYNES E GLI STIMOLI JOSEPH E. STIGLITZ Da quando i germogli della ripresa economica, che molti avevano intravisto questa primavera, sono rinsecchiti, qualcuno si è chiesto se la politica di rilancio dell´economia a mezzo di uno stimolo fiscale massiccio non sia fallita. Ora che è stata messa alla prova, l´economia keynesiana dimostra di non essere corretta? Porsi questa domanda sarebbe logico se l´economia keynesiana fosse stata davvero tentata. Difatti, ciò che occorre adesso è un´altra dose di stimolo fiscale. In caso contrario, davanti a noi si apre un periodo ancora più prolungato durante il quale l´economia opererà al di sotto della capacità, con una forte disoccupazione. Il governo Obama appare sorpreso e deluso dall´alto e crescente numero di disoccupati. Non dovrebbe perché tutto questo era prevedibile. La vera misura del successo di uno stimolo non è il livello della disoccupazione in quel dato momento, ma quali sarebbero state le sue dimensioni se lo stimolo non fosse stato messo in atto. L´amministrazione Obama si è detta certa fin dall´inizio che avrebbe creato circa 3 milioni di posti di lavoro in più rispetto a quelli prevedibili altrimenti. Il problema è che l´impatto della crisi finanziaria sull´economia è stato così devastante che persino uno stimolo fiscale come quello del presidente Obama ritenuto enorme non è stato sufficiente. A ciò si aggiunge un altro problema: per quanto riguarda gli Stati Uniti, è previsto che soltanto un quarto dei quasi 800 miliardi di dollari di stimolo allocati sia speso nell´anno corrente e spenderli anche in progetti d´immediata cantierabilità si è rivelato un processo lento. Nel frattempo, gli Stati americani si trovano ad affrontare un calo delle entrate che supera i 200 miliardi di dollari. La maggior parte degli Stati deve inoltre ottemperare a esigenze normative di bilanci in pari e ciò implica che questi Stati ora hanno come sole alternative alzare l´imposizione fiscale o tagliare la spesa – uno stimolo negativo che abbatte, almeno in parte, lo stimolo positivo del governo federale. Al tempo stesso, quasi un terzo dello stimolo complessivo è stato destinato ad abbassare le tasse, una misura che, come predice correttamente l´economia keynesiana, ha una efficacia relativa. Le famiglie, oberate dai debiti e preoccupate per il restringersi dei risparmi destinati alla pensione e per le prospettive cupe quanto al lavoro, hanno speso soltanto una minima parte del denaro che si sono ritrovate in più grazie alle tasse ridotte. Negli Stati Uniti e altrove, è stata dedicata molta attenzione a rimettere in sesto il sistema bancario. Ciò è necessario perché la crescita sia robusta, ma non è sufficiente. Le banche non faranno credito se l´economia ristagna e le famiglie americane saranno particolarmente restie a chiedere prestiti, almeno nel modo dissoluto di prima della crisi. L´onnipotente consumatore americano ha fatto da traino alla crescita globale, ma in questo caso è molto probabile che continui ad arrancare anche dopo che le banche saranno state rimesse in sesto. Nel frattempo, una qualche forma di stimolo da parte del governo sarà necessaria. Un´altra preoccupazione riguarda l´aumento del debito nazionale, ma se il nuovo pacchetto di stimolo sarà ben concepito, prevedendo quindi che una parte delle risorse sia destinata ad acquisire degli asset, la situazione fiscale e la crescita futura potrebbero essere ancora più robuste. è un errore considerare soltanto le passività di un paese ignorando le sue attività e questo costituisce naturalmente un argomento contro i salvataggi delle banche concepiti male quali quelli messi in atto negli Stati Uniti, costati ai contribuenti centinaia di miliardi di dollari di cui buona parte non sarà mai recuperata. A fronte di un dilatarsi del debito nazionale, nel bilancio dello Stato Federale non sono stati iscritti nuovi asset. E, inoltre, è bene non confondere lo stimolo keynesiano con una condizione salutare delle aziende. Pochi (non molti) temono che questo periodo di ingente spesa da parte del governo crei inflazione. Il problema immediato, tuttavia, resta la deflazione che è dovuta alla forte disoccupazione e a un eccesso di capacità. Se l´economia, rispetto alle mie previsioni, si riprendesse in maniera più robusta, la spesa per il nuovo stimolo potrebbe essere cancellata. Meglio ancora sarebbe se una parte consistente della prossima tornata di stimoli mirasse agli stabilizzatori automatici, quali il compenso delle minori entrate degli Stati, e, dato che in caso di effettiva ripresa dell´economia la spesa dello stimolo potrebbe essere azzerata non si corre un grande rischio. Sussiste però una certa preoccupazione che le crescenti aspettative di inflazione portino a un rialzo dei tassi di interesse a lungo termine il che annullerebbe i benefici dello stimolo. Su questo punto, le autorità monetarie devono restare vigili e non interrompere gli interventi "non convenzionali" per tenere sotto controllo sia i tassi d´interesse a breve sia quelli a lungo termine. Ogni scelta politica comporta del rischio, ma non prevedere una seconda tornata di stimoli ora comporterebbe il rischio di una economia debole e quello di non avere a disposizione le risorse quando si renderanno necessarie. Per registrare i risultati di uno stimolo nell´economia occorre del tempo come dimostrano le difficoltà che incontra il governo Obama nello spendere le risorse allocate. Perché l´effetto pieno di questi sforzi sia sentito potrebbero volerci sei mesi o più. Un´economia più debole implica ulteriori fallimenti, una disoccupazione più alta e un numero più elevato di famiglie che perdono la casa trasferendo la proprietà alle banche. Tralasciando la sofferenza dei singoli, ciò comporta a sua volta ulteriori problemi per il sistema finanziario e, come abbiamo visto, un sistema finanziario debole implica un´economia debole e forse la necessità di ulteriori fondi di emergenza per salvarlo da un´altra catastrofe. Tentando di risparmiare adesso si rischia di spendere molto di più avanti. L´amministrazione Obama ha sbagliato richiedendo uno stimolo troppo contenuto, in particolare dopo aver stretto alcuni compromessi politici che lo hanno reso meno efficace di quello che avrebbe potuto essere altrimenti. Inoltre, concependo un salvataggio per le banche che ha concesso troppo denaro con vincoli troppo limitati e a condizioni troppo favorevoli a coloro che sono stati la causa del dissesto economico, ha commesso un altro errore: questa politica ha ridimensionato l´appetito dei contribuenti per il consumo. Questo è l´aspetto politico. Quello economico è chiaro: al mondo occorre che i paesi industriali avanzati si impegnino in un´altra tornata di stimolo reale con una spesa importante e questo dovrebbe costituire uno dei temi centrali del prossimo G20 a Pittsburgh. L´autore è professore di economia presso la Columbia University, presiede la Commissione di esperti per le riforme del sistema monetario e finanziario internazionale nominata dall´Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il tema di un nuovo sistema mondiale di riserva valutaria era già stato affrontato nel suo libro del 2006, La globalizzazione che funziona. Copyright Project Syndicate, 2009. Traduzione di Guiomar Parada

Torna all'inizio


la lega tra nemici locali e globali - renzo guolo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 27 - Commenti LA LEGA TRA NEMICI LOCALI E GLOBALI RENZO GUOLO Le parole pronunciate nei giorni scorsi da Bossi e Calderoli sull´Afghanistan (per alcuni versi persino più delle ultime sortite sulle ronde padane e sulle bandiere regionali) rivelano la vera cultura politica della Lega: un partito localista. E il localismo altro non è che il riferimento al contesto locale come fattore identitario. Non stupisce, dunque, che il Carroccio sia contrario alle missioni all´estero. Il suo gruppo dirigente, così come il suo elettorato, non ama guardare fuori dalle "piccole patrie": cerca semmai di limitare l´irruzione del globale nella società locale. Ostile alla globalizzazione, la Lega lo è soprattutto alla glocalizzazione, agli effetti globali immediatamente percepibili sul territorio. La sua nota e bellicosa posizione antislamica si esprime, dunque, meglio nelle lande padane piuttosto che ai piedi dell´Hindu Kush. Più che Lepanto, il Kalhenberg, o lo stesso Marco d´Aviano, luoghi epici e nomi mitici che nell´immaginario collettivo leghista rinviano alla "difesa avanzata" contro il Nemico, sono i piccoli centri che danno forma all´immaginaria Padania le vere trincee della guerra del Carroccio. La moschea sotto casa assume maggiore importanza che le madrasse deobandi lungo la linea Durand. Del resto, la Lega ha una concezione del mondo semplificatoria e la politica internazionale è il regno della complessità. Anche il venir meno dell´eredità culturale del fallacismo, e di quella politica dei neocon, mette, non troppo paradossalmente, a suo agio il partito, più interessato ai Nemici locali che a quelli globali. Se poi, in tempi di ristrettezze economiche, il costo delle missioni militari lievita, allora interrogarsi in chiave neocorporativa territoriale sulla loro fine diventa naturale. Anche perché permette di accentuare il redditizio carattere di "partito di lotta e di governo", naturalmente impedito in materia al principale partner di coalizione. Se si aggiunge poi l´inconfessabile distanza dall´America, percepita come il motore della globalizzazione, e in particolare dall´obamismo, che incarna anche simbolicamente un tipo di società etnicamente e religiosamente plurale che il Carroccio aborrisce, il quadro è completo. Il localismo in salsa verde si traduce in autismo politico nella scena internazionale. Una forma di assicurazione anche contro gli svarioni politici compiuti in passato. è in questo contesto che matura la riflessione leghista sul "che fare? ". Prima con l´umanitario "tutti a casa" di Bossi per i soldati in Afghanistan, poi con la parziale correzione di rotta del ministro Calderoli, che ne chiede il "ripensamento" mentre invoca la fine di quelle nella ex-Jugoslavia e in Libano. Naturalmente è bene che, dopo aver fatto parte di una maggioranza di governo che per cinque anni ha sostenuto con entusiasmo la fallimentare politica di Bush, il Carroccio si sia, finalmente, accorto che la democrazia non si esporta con le armi; e che, forse, l´augurabile caduta di Saddam Hussein poteva essere perseguita con strumenti diversi da quelli di una guerra che ha alimentato lo jihadismo e consegnato all´Iran l´agognato ruolo di potenza regionale. Meglio tardi che mai. Ma il momento e il contesto in cui queste considerazioni escono, frutto anziché di una meditata riflessione politica sugli scenari strategici da parole in libertà di ministri del governo in carica mentre i nostri militari sono sotto tiro in terra afgana, appare sconcertante. Quando i ministri della sinistra radicale, che con i loro continui distinguo in materia hanno largamente contribuito a affossare il governo Prodi, si differenziavano sul rifinanziamento delle missioni, tutti mettevano in evidenza i danni che ne derivavano per l´affidabilità internazionale del paese. In questo caso si tratta addirittura del partito che dispone della golden share della maggioranza. Il tutto mentre l´immagine dell´Italia, incrinata dalle vicende private-pubbliche del presidente del Consiglio, non è certamente delle migliori e mentre Obama chiede un maggiore sforzo agli alleati nel teatro Afpak. Certo la missione in Afghanistan ha sicuramente bisogno di un ripensamento. A partire dal riconoscimento che si tratta ormai di una missione di peace-enforcing e non di peace-keeping: tra Herat e Farah si combatte una guerra e gli italiani vi partecipano. Ma questa è una rivisitazione assai diversa da quella prospettata dai leghisti. Riguarda il ruolo della Nato, organizzazione che sopravviverebbe a stento a una sconfitta, anche politica, in Afghanistan, i suoi rapporti con la missione americana, le strategie politiche da adottare dopo le elezioni di agosto, l´atteggiamento da tenere verso il Pakistan, l´impatto dell´eventuale ritiro sul rigalvanizzato fronte del jihad globale. Idem per le altre missioni, soprattutto quella in Libano. Il paese dei Cedri, è una delle frontiere calde dello scontro tra Israele e Iran. Il ritiro delle truppe italiane, stanziate nel delicato confine sud, preluderebbe a nuove tensioni tra Hezbollah e israeliani. Il tutto in uno scenario in cui si avvicina il tempo dello scioglimento, anche gordiano, del nodo del nucleare iraniano. Ma il localismo padano sembra lontano da simili orizzonti e dalle conseguenze che ne possono nascere. Che l´invocata sicurezza si produca anche fuori dai ristretti confini locali sfugge ai già muscolari militanti del Carroccio. Per loro il mondo sembra finire oltre il cartello stradale, modificato in dialetto, che segna l´angusto territorio comunale.

Torna all'inizio


scatenato, cinefilo, demenziale in un'estate a tutto campo - gaia rau (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina XII - Firenze Scatenato, cinefilo, demenziale in un´estate a tutto campo Il personaggio Stasera è alla Fortezza con "Io doppio". Poi c´è il Mardi Gras e il Caffè di Battaglia... GAIA RAU Farà cantare a Matteo Renzi una canzone di Bobby Solo («si somigliano») e parlare Sylvester Stallone di mutui a tasso fisso. Il tutto, ovviamente, in livornese stretto. Paolino Ruffini, anima del Nido del Cuculo, sarà stasera (21.30) alla Fortezza col suo show di culto Io doppio, piatto forte della «notte bianca» finale di Live on che vedrà tra i suoi ospiti anche il cantautore Bobo Rondelli (a mezzanotte alla Polveriera). Cosa dobbiamo aspettarci questa volta? «Sarà il classico Io doppio ma con tante novità, a cominciare da una band di 10 elementi sul palco. E nuovi saranno anche i personaggi: dall´Obama pisano al neo sindaco di Firenze, a cui faremo intonare Una lacrima sul viso, a Terminator che canta Tiziano Ferro. Il finale musicale sarà travolgente. Da ieri affianca Fabio Canino al Mardi Gras di Torre del Lago, dove la sua comicità decisamente «etero» affronta i temi dell´omosessualità. Come si è preparato? «In nessun modo. Canino mi ha chiamato e mi ha detto "fai quel che vuoi". Mi piace l´impronta schietta, sincera che vuol dare alla manifestazione e credo che il modo migliore di stare al suo fianco sia essere me stesso. Non differenziare, ma sdrammatizzare. Sarà un festival straordinario, adatto a tutti: i bambini impazziranno. La volgarità non esiste se non c´è cattiveria o malafede». La sua carriera sta prendendo le strade più diverse: attore di cinema e musical, conduttore con Romano Battaglia al Caffè della Versiliana. Sta pensando a un «dopo-Nido del Cuculo»? «Semmai il contrario. Io sono da sempre tutte queste cose, ho cominciato come conduttore in tivù e Io doppio è arrivato molto dopo: per me è come Paperinik per Paperino, un figliolo strano che mi ha dato una notorietà alternativa e incredibile. Che è andata oltre me. I video spopolano su YouTube, centinaia di ragazzi li conoscono a memoria e li copiano. L´affetto del pubblico mi obbliga a continuare». Ha paura che Io doppio possa sopraffare Paolo Ruffini? «Sì e no perché in fondo c´è un filo conduttore in tutte le cose che faccio che è l´amore per il grande pubblico, per gli spettacoli pop senza barriere sociali, politiche o di età. E poi mi piace l´effetto spiazzante della mia bulimia lavorativa». Lavora in ambienti politicamente molto diversi: basti pensare a Versiliana e Mardi Gras. «Io ho una mia idea politica ma non sono né Grillo né Luzzati, e con le persone intelligenti mi trovo sempre molto bene. Per fortuna esiste ancora una figura di attore che va oltre a certe cose». Intanto gli organizzatori di "Live On" tracciano un bilancio della manifestazione, dichiarandosi «soddisfatti» del successo di pubblico ma ricordando le «difficoltà incontrate per lo stop della soprintendenza e il danno economico subito, non supportato da un adeguato contributo pubblico».

Torna all'inizio


il sax di cafiso per incantare il "locus" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina XIII - Bari Il sax di Cafiso per incantare il "Locus" Locorotondo Il suo talento, scoperto da Wynton Marsalis, lo ha portato a 13 anni a esibirsi a New York L´ultimo weekend del "Locus festival" porta sul palcoscenico il futuro del jazz, non solo italiano. Stasera alle 21,30 la rassegna si sposta da Locorotondo alla vicina contrada Lamie Olimpia per il concerto di Francesco Cafiso e del suo "Italian jazz quartet". Enfant prodige del genere, Cafiso ha solo vent´anni. Si presenta sul palco con il suo sassofono e una carriera strabiliante: il suo traguardo più recente l´ha raggiunto il 19 gennaio, quando è stato l´unico musicista italiano a suonare a Washington per i festeggiamenti in onore del nuovo presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Merito di una segnalazione del trombettista jazz Wynton Marsalis, uno dei primi ad aver notato il talento di Cafiso tanto da portarlo a 13 anni a esibirsi al Lincoln Center di New York. Il giovane sassofonista originario di Vittoria ha ricevuto lo scorso 17 luglio l´investitura di "Ambasciatore della musica jazz nel mondo" nel corso di "Umbria jazz". Questa sera è accompagnato da Dino Rubino al piano, Riccardo Fioravanti al contrabbasso e Stefano Bagnoli alla batteria. Il fine settimana del "Locus" termina domani in piazza Convertini a Locorotondo con Joe Barbieri e la sua "Maison Maravilha". Barbieri è considerato da Pino Daniele il suo erede naturale e ha dalla sua anche una preziosa collaborazione con Giorgia. "Maison Maravilha" lo vede come "il disco che avrei sempre voluto realizzare", in perfetto equilibrio tra fado, cantautorato francese, tango e jazz, senza dimenticare la lezione dei maestri del cinema italiano Nino Rota, Armando Trovajoli e Ennio Morricone. Chiusura del "Locus" il 12 agosto con The Bumps (ex Tangheri) e Flavio Boltro. Tutti i concerti sono a ingresso gratuito. Info locusfestival. it. (an. pu.)

Torna all'inizio


frena la disoccupazione usa e le borse prendono il volo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 20 - Economia Il peggio alle spalle Una nuova crescita Frena la disoccupazione Usa e le Borse prendono il volo Obama: luce in fondo al tunnel. Il deficit sale a 1.300 miliardi I dati sui posti di lavoro sono un segno in più che il peggio dovrebbe essere ormai alle spalle Siamo partiti da un abisso e ci resta da scalare una montagna molto ripida ma ora ci vuole una nuova crescita DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK - All´inizio dell´anno in America si licenziava al ritmo di 700.000 persone al mese, a giugno i posti di lavoro eliminati erano scesi a quota 443.000. Il dato di luglio, uscito ieri, ha confermato la vistosa decelerazione dei licenziamenti: 247.000 persone, ancora meno rispetto alle stime preliminari degli esperti. Una bella sorpresa, che Barack Obama ha cercato di capitalizzare subito. «E´ un segno in più – ha dichiarato il presidente – che il peggio dovrebbe essere ormai alle spalle. Sono convinto che possiamo cominciare a vedere la luce alla fine del tunnel». Ha però aggiunto un correttivo, in segno di prudenza: «Abbiamo evitato la catastrofe economica ma c´è ancora molto da fare. Non sarà vera ripresa finché si continuano a eliminare posti di lavoro». Una precisazione importante, per non dare l´impressione di aver perso il contatto con le preoccupazioni dei suoi elettori. Anche perché il deficit federale americano è schizzato a 1.300 miliardi di dollari nei primi dieci mesi dell´anno fiscale 2009, secondo i dati della Cbo (Congressional budget office) che stima per la fine dell´anno un rosso di 1.800 miliardi. E nei giorni scorsi il segretario al Tesoro, Timothy Geithner, non aveva escluso a priori la possibilità di imporre nuove tasse per tagliare il deficit. In effetti l´economia – insieme con la riforma sanitaria – sta diventando un punto debole per il presidente: su questo terreno il suo indice di approvazione è sceso pericolosamente in un mese, dal 57% di fine giugno al 50% attuale. Ieri in ogni caso è stato positivo anche il dato sull´indice di disoccupazione, diminuito dello 0,1% a quota 9,4%. Questo dato però è distorto dal fatto che 400.000 americani hanno rinunciato a cercare un lavoro e quindi sotto il profilo statistico sono usciti dalla forza lavoro, non vengono più rilevati come disoccupati. L´insieme degli indicatori suggerisce agli esperti di contabilità nazionale che nel trimestre da luglio a settembre il Pil degli Stati Uniti potrebbe tornare ad avere il segno più, segnando così la fine "tecnica" della recessione. Questo di per sé non sarà sufficiente perché la popolazione americana senta una svolta, e goda dei benefici reali. Non è escluso che il tasso di disoccupazione possa riprendere a salire, arrivando alla soglia del 10% entro la fine dell´anno. Infatti perché l´economia americana smetta di ridurre gli occupati e ricominci ad assumere, occorre una crescita del Pil del 2,5% annuo. Un´occhiata alla disaggregazione per settori rivela andamenti divaricati. Il manifatturiero a luglio ha licenziato altri 52.000 dipendenti, il che porta a quota due milioni i posti di lavoro perduti nell´industria dall´inizio della recessione. L´edilizia a luglio ha eliminato altri 76.000 occupati, commercio e trasporti hanno perso 87.000 addetti. I servizi hanno ridotto gli organici di 119.000 persone. Solo in tre settori le assunzioni hanno superato i licenziamenti: l´istruzione e la sanità hanno avuto un aumento netto di 17.000 dipendenti, gli impiegati dello Stato sono saliti di 7.000 unità. C´è stato anche un lieve allungamento degli orari di lavoro, saliti in media da 39,5 a 39,8 ore settimanale, e un piccolo miglioramento dei salari medi passati da 18,53 a 18,56 dollari all´ora. A una settimana di distanza dall´altra sorpresa positiva – il calo del Pil di appena l´1% nel secondo trimestre dell´anno – i mercati hanno avuto ulteriore carburante per l´ottimismo che già regna da mesi. Le Borse, dopo un inizio in calo hanno chiuso tutte in rialzo di circa un punto percentuale (Milano +1,13%, Londra +0,87%, Parigi + 1,25%, Francoforte +1,66%). E Wall Street ha toccato i nuovi massimi degli ultimi mesi con tutti gli indici in deciso rialzo (Dow Jones +1,23%, Nasdaq +1,37% sopra quota 2.000 punti e S&P 500 +1,34% sopra quota 1.000). In recupero anche il dollaro, salito a 1,4168 sull´euro, mentre sono cresciuti i rendimenti sui titoli del Tesoro Usa. «Siamo partiti da un abisso – ha detto Obama – e ci resta da scalare una montagna molto ripida. L´importante ora è porre le basi di una crescita di tipo nuovo, uno sviluppo sostenibile». (f.ra.)

Torna all'inizio


la flebo pubblica ha funzionato ma ora serve una cura alternativa - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 21 - Economia La flebo pubblica ha funzionato ma ora serve una cura alternativa L´analisi La domanda interna resta troppo debole, oltre 15 milioni i senza lavoro La convalescenza sarà ancora lunga. Il Giappone pensa che la deflazione durerà fino al 2011 FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente NEW YORK - «Mentre ci stiamo avvicinando alla fine della recessione - dichiara Obama - dobbiamo chiederci che cosa verrà dopo». Si riduce il ritmo dei licenziamenti in America, il tasso di disoccupazione accenna a scendere, gli indici di Borsa salgono ai massimi del 2009, con rialzi del 50% da marzo. Un coro di economisti dà ragione al presidente: la recessione potrebbe essere addirittura già finita, forse il Pil americano è uscito dal tunnel della de-crescita già a giugno. Dopo essere stati all´origine della crisi mondiale, gli Stati Uniti sembrano raccogliere i frutti di una politica economica iperattiva e decisionista. Quei 787 miliardi di dollari di spesa pubblica mobilitati all´inizio dell´anno per sostenere la ripresa, non sono stati inutili. I cinque punti di divario con i dati del Pil italiano (meno 6% il nostro, contro meno 1% per gli Usa) registrano la reazione diversa delle autorità di politica economica tra le sponde dell´Atlantico. Anche la situazione americana però ha delle fragilità nascoste. Per quanto il dato di ieri sull´occupazione sia piaciuto alle Borse, perché le aziende licenziano meno di prima, si tratta pur sempre di un´altra emorragia di posti. Dall´inizio della recessione sono già 7 milioni gli americani che hanno perso il lavoro. Aggiungendoli a coloro che erano già disoccupati si arriva a 15 milioni. La lieve flessione dell´indice di disoccupazione nasconde una triste realtà: il fenomeno dei disoccupati "scoraggiati", che a lungo andare smettono di cercare un impiego, e spariscono dalle statistiche. In realtà il numero di adulti che hanno un´attività è sceso al 59,4%. La condizione sociale in America resta pesantissima, aggravata da una rete di protezione insufficiente. Il diritto all´indennità di disoccupazione scade dopo sei mesi o al massimo un anno. In una fase in cui cresce il numero dei disoccupati di lunga durata, solo il 36% riceve qualche forma di aiuto. Anche per chi viene assistito il livello delle indennità è spesso irrisorio: 320 dollari a settimana in uno Stato come il Missouri. Il quadro veritiero è una sofferenza sociale quale l´America non conosceva dal 1948. Il fatto che la robusta manovra di spesa pubblica targata Obama abbia indubbiamente frenato la velocità di de-crescita, apre un interrogativo nuovo. Se l´America è stata salvata dal peggio grazie a una "flebo" di quelle dimensioni, che accadrà quando il medico sarà costretto a staccare i tubi che alimentano il paziente? Al di fuori dello Stato, non si vede al momento un motore di ricambio, indispensabile per rilanciare la futura crescita. La domanda dei privati - famiglie e imprese - resta debolissima in America come in Europa. In Giappone addirittura gli esperti della banca centrale prevedono deflazione fino al 2011: e vanno ascoltati vista l´esperienza che hanno, perché la lunga depressione di Tokyo negli anni Novanta fu la prova generale del crac globale del 2008. Solo la Cina sembra salvarsi, ma anche sul suo miracolo si addensano i dubbi. La crescita della Repubblica Popolare è alimentata dal "denaro facile" che le banche di Stato hanno erogato seguendo le direttive politiche; quel credito abbondante ha alimentato speculazioni in Borsa e nel mercato immobiliare, con il rischio che lo scoppio di una "bolla cinese" sia il prossimo incidente in agguato. Ancora non si intravede all´orizzonte un nuovo traino a cui agganciare la crescita mondiale. E´ il ruolo che svolsero negli ultimi due decenni i consumatori americani, generosi acquirenti di made in China e made in Germany: senza la loro fame di importazioni, anche gli europei sarebbero stati più poveri. Ma adesso gli ex spendaccioni si sono ravveduti: continuano a tagliare gli acquisti, risparmiano molto di più. Hanno ragione, la prudenza è d´obbligo. Entro il 2011 metà di tutte le famiglie americane saranno "sotto la linea di galleggiamento": i loro debiti sui mutui avranno superato il valore delle loro case. E´ miope festeggiare la riduzione dei licenziamenti senza fare due conti sul futuro dell´occupazione. I mercati sono euforici perché a luglio le imprese hanno licenziato "solo" 247.000 dipendenti? Ma per sistemare la nuova forza lavoro che si presenta sul mercato è necessario che le imprese smettano di licenziare e ricomincino a reclutare almeno 125.000 persone al mese. E quand´anche l´economia americana dovesse ritrovare la crescita poderosa del 2007, quando creava ben 400.000 posti al mese, ci vorrebbero due anni solo per riassorbire i 7 milioni che sono rimasti disoccupati durante la recessione. Questa è la realtà che pesa sulla fiducia e sul comportamento dei consumatori. Anche se la fase più acuta della crisi in America sembra superata, quella che verrà sarà una convalescenza lunga, penosa, delu-dente.

Torna all'inizio


- (segue dalla copertina) alessio balbi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 30 - Cronaca Gli hacker alzano il tiro: dagli smanettoni ai clonatori fino all´ombra del terrorismo. Sedi governative, Casa Bianca, Pentagono sono nel mirino dei pirati. Anche l´intelligence usa intrusioni informatiche. A Est come a Ovest gli stati corrono ai ripari. E gli eserciti si adeguano Dietro l´ultima offensiva a Twitter la protesta per il conflitto russo georgiano Il governo americano ha lanciato un bando per guerrieri del web In Estonia con la benedizione della Nato è stato creato un centro per la difesa (SEGUE DALLA COPERTINA) ALESSIO BALBI Secondo una ricostruzione che trova sempre più credito tra gli esperti di sicurezza informatica, Twitter, Facebook e gli altri social-network non stanno scontando il successo di pubblico e il crescente valore di mercato, ma il loro ruolo di megafono delle opposizioni e dell´informazione alternativa. Chi ha reso inutilizzabili i siti, non voleva ricattare una potenza economica, voleva spegnere una voce di libertà. Il capo della sicurezza di Facebook ha confermato che gli attacchi dell´altroieri erano diretti in particolare contro un utente, tale Cyxymu, un blogger georgiano che dalle pagine di internet critica il governo russo a un anno dall´inizio del conflitto in Ossezia del sud. «Forse l´attacco è stato condotto da hacker comuni», ha detto Cyxymu intervistato dal Guardian, «ma sono sicuro che l´ordine è venuto direttamente dal Cremlino». E anche se da Mosca, ovviamente, nessuno conferma il coinvolgimento nella vicenda, l´esigenza di non farsi trovare impreparati di fronte ad azioni di guerra o guerriglia informatica non più riconducibili al crimine comune è ormai all´ordine del giorno dei governi. Chi oggi ha messo ko Twitter, questo è il timore, domani potrebbe colpire le istituzioni finanziarie, le telecomunicazioni, la rete elettrica o il trasporto aereo. Mike McConnell, direttore dell´intelligence statunitense sotto l´amministrazione Bush, avvertiva l´anno scorso che gli hacker possono essere una minaccia equivalente alle bombe atomiche per le riserve monetarie degli Stati Uniti. Secondo McConnell, basterebbe un attacco riuscito a una singola grande banca americana per produrre ripercussioni sull´economia mondiale maggiori di quelle scatenate dall´11 settembre. In un recente articolo, il New York Times ha paragonato l´attuale scenario alla rivoluzione innescata 64 anni fa dalla comparsa delle armi atomiche: come quell´invenzione mutò per sempre la concezione della guerra e della deterrenza, così oggi bisogna chiedersi: qual è la definizione di guerra informatica? Dove si trova il confine tra la difesa e l´attacco? Ma intanto, la corsa per dotarsi di cyber-armamenti e per proteggersi dagli attacchi informatici, è cominciata. Secondo quanto riferito dal Pentagono, le truppe americane si sono già rese protagoniste di azioni di cyber-guerra compiute in suolo straniero: intrusioni informatiche sono state messe in atto in Iraq per facilitare la cattura di membri di Al Qaeda, e in Iran per monitorare i progressi del programma nucleare di Ahmadinejad. In entrambi i casi si è trattato però di iniziative estemporanee, autorizzate singolarmente da George W. Bush poco prima di lasciare la Casa Bianca. Il compito di elaborare una strategia complessiva per la guerra informatica è stato lasciato all´amministrazione Obama. Alla fine di giugno, il nuovo segretario alla Difesa Robert Gates ha creato un comando apposito per difendere le reti informatiche militari e sviluppare armi di offesa. Le ipotesi sul tavolo prevedono la possibilità per le truppe americane di entrare nei computer dei criminali informatici in Russia o Cina per distruggere le botnet, le reti di pc dalle quali partono attacchi come quello che ha messo in ginocchio Twitter. Un´altra idea, particolarmente controversa, è quella che vedrebbe i microprocessori prodotti negli Stati Uniti (la stragrande maggioranza di quelli che inondano il mercato mondiale) dotati di un meccanismo silente in grado di attivarsi a comando per neutralizzare i computer del nemico. Il governo americano ha lanciato un bando per la selezione di diecimila cyber-guardiani e cyber-guerrieri da arruolare tra i giovani talenti di scuole superiori e college. Ma secondo alcuni esperti, al di là degli annunci, la preparazione americana rispetto alla guerriglia informatica è ancora piena di lacune. «Nel governo ci sono tante persone che parlano e scrivono di sicurezza, ma poche che ne sanno davvero», ha dichiarato Alan Paller, direttore delle ricerche al Sans Institute. Obama promette da tempo la nomina di uno "zar della cybersicurezza" che abbia il potere di coordinare le azioni contro gli attacchi informatici, ma ha appena perso il principale candidato alla poltrona: Melissa Hathaway, che attendeva la nomina da oltre due mesi, ha lasciato polemicamente lo staff della Casa Bianca lamentando l´immobilismo dell´amministrazione. La sensazione è che, in questo campo, il fronte d´azione si stia spostando decisamente a est: è da lì che provengono non solo il maggior numero di attacchi, ma anche gli esempi più riusciti di difesa: nel 2007 la rete internet dell´Estonia, paese all´avanguardia nel campo dell´e-government (governo elettronico) fu messa in ginocchio da una serie di attacchi coordinati che portarono all´oscuramento dei siti governativi. Anche in quel caso, i sospetti ricaddero sulla vicina Russia. Da allora nella capitale Tallinn, con la benedizione della Nato, è stato creato un centro di eccellenza per la difesa dagli attacchi informatici. E il presidente estone Toomas Hendrik Ilves è appena tornato da un tour negli Stati Uniti dove ha incontrato Obama proprio per discutere di cybersicurezza.

Torna all'inizio


- (segue dalla prima pagina) giuseppe d'avanzo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 4 - Interni (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) GIUSEPPE D´AVANZO Ne prescrive la mise. Si accerta che siano informate delle sue abitudini sessuali. Promette candidature politiche, ingaggi in tivvù, regali e «buste», cinquemila o diecimila euro secondo il gradimento. Contatta minorenni che non conosce, dopo averne scrutato il viso e il corpo da portfolio consegnatigli da salariati di Mediaset. Lo abbiamo visto in difficoltà quando anche la figlia Barbara (ma non i liberali di casa nostra) gli ricorda che, per un politico, per chi governa, privato è pubblico. Lo incontriamo ora a Palazzo Chigi con una gran voglia di far dimenticare quel che l´opinione pubblica internazionale conosce e soltanto tre italiani su dieci sanno (sette su dieci sono informati dalla televisione che egli controlla, e quindi non sanno alcunché). La scena è bizzarra per noi italiani e diventerà sorprendente per chi italiano non è. Da solo, seduto a Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi si racconta e riempie di se stesso ogni quadro possibile: planetario, europeo, nazionale, cittadino. Il suo ego non ha confini. Il mondo è lui nell´autorappresentazione che ci offre, nient´altro che lui con il suo carico di vitalismo, ottimismo, carisma, umanità, saggezza, savoir-faire, una capacità di lavoro senza eguali. In quattordici mesi, elenca l´Egocrate, centocinquantotto incontri internazionali, ventidue vertici multilaterali, dieci vertici bilaterali. Sono stato in piedi, dice, anche quarantaquattro ore con il solo ausilio di ventuno caffè. Dovunque, successi. Soltanto successi. Anzi, un unico successo ininterrotto, senza pause, costante nel tempo, operoso in ogni angolo di mondo. Se le truppe di Mosca si sono fermate a quindici chilometri da Tbilisi scongiurando un conflitto Russia-Georgia, il merito è di Berlusconi che ha evitato l´inizio di una nuova Guerra Fredda. Se Barack Obama ha firmato a Mosca il trattato per la limitazione delle armi nucleari, il merito è di Berlusconi che ha favorito «l´avvicinamento» della nuova amministrazione americana al Cremlino. Se l´Alleanza atlantica è ancora vegeta, lo si deve al lavoro di persuasione di Berlusconi che ha convinto il leader turco Erdogan a dare il via libera alla candidatura di Rasmussen. Se «l´Europa non resterà mai più al freddo», il merito è di Berlusconi che ha convinto Erdogan e Putin a stringersi la mano dinanzi al progetto del gasdotto South Stream. Nel mondo meraviglioso di Silvio Berlusconi non c´è ombra né crisi. Non c´è il disonore personale né le menzogne pubbliche. Non c´è recessione né sfiducia. Non c´è né sofferente né sofferenza. Non ci sono più immigrati clandestini, non c´è crimine nelle città, non c´è più nemmeno la mafia. Regna «la pace sociale» e «nessuno è rimasto indietro» e, per quanto riguarda se medesimo, «non c´è nulla di cui deve scusarsi». Anche l´Alitalia è diventata, nel vaniloquio, un miracolo d´efficienza. Grazie ai «colpi di genio» di Berlusconi, anche i terremotati delle tendopoli all´Aquila sono felici perché «molti sono partiti in crociera e altri sono ospitati in costiera e sono tutti contenti». A incontrarlo al bar, un bauscia di questa incontinenza (bauscia è bava, saliva: e anche il bavante, il salivante, il moccioso) si chiederebbe al barista di azzittirlo o di allontanarlo, ma quel bauscia è il nostro capo del governo. Ora all´estero - anche ricordando come Berlusconi, intossicato dalla sexual addiction, trascorre in realtà le sue giornate - liquideranno il protagonismo dell´Egocrate come l´ultima arlecchinata di un clown italiano. Noi, che da Berlusconi siamo e saremo governati, non possiamo farlo o per lo meno non possiamo limitarci alla derisione o all´invettiva. Più che disseccare le sue vanterie (per quanto riguarda il bilancio del governo, lo ha già fatto qui Tito Boeri, il 3 agosto) o autoconsolarci con uno sberleffo per quel «priapismo dell´Io», è più utile aprire gli occhi su quanto sta accadendo e accadrà. Meglio descrivere e decifrare quel che ci aspetta. Berlusconi va ascoltato con pazienza, infatti. Da gran fiume delle sue parole affiorano sempre, prima o poi, le «verità dell´asino», come ci ha spiegato Franco Cordero. Gli asini hanno una cattiva fama. Li dicono ottusi, poco intelligenti. Bestie trascurabilissime. Ma, in realtà, il passo storto dell´asino è soltanto uno: «Svela piani che menti più sottili occultano». Càpita anche a Berlusconi e, solo, a Palazzo Chigi, ne offre un saggio. Se si riflette, le parole dell´Egocrate svelano una tecnica di dominio, un dispositivo di potere. La rappresentazione di se stesso e del lavoro del suo governo è esplicitamente «pubblicitaria», coerente con un´antica confessione di Berlusconi: «Non riesco a non vendere. Non ci riesco! Non riesco a svestire i panni del direttore commerciale» (D´Anna, Moncalvo, Berlusconi in concert). Soltanto nel linguaggio della pubblicità - senza profondità, istantaneo e istantaneamente dimenticato - può non esistere la realtà. Così è nelle parole del premier: la recessione è alle nostre spalle; i disoccupati sono protetti e con un decente reddito; le imprese fiduciose; anche i terremotati sono contenti; le città sono sicure, mentre Obama Merkel Putin Erdogan - il mondo - pendono dalle labbra e dalle mosse del nostro premier. Nei modi d´espressione della pubblicità cade ogni scarto tra ciò che è davvero e ciò che si immagina possa essere, tra la situazione di fatto e il progetto. Ogni problema, per Berlusconi, è superabile con uno sforzo d´immaginazione, con una scarica di ottimismo e se ancora qualche problema persiste lo si deve alle forze del Male che non amano il Capo e quindi il popolo. Ogni dissenso è dunque un atto persecutorio contro il Capo e un´aggressione al popolo, un complotto contro gli italiani e l´Italia. Questa scena, grottesca ma non per questo innocua, può diventare convincente soltanto se c´è un´informazione che la propone all´opinione pubblica come plausibile. E´ quel che esplicitamente, come da verità dell´asino, Berlusconi chiede ai media italiani. Non facciano più domande, come già fanno i bravi giornalisti sportivi. Non diano conto del «negativo» perché, soprattutto per il giornalismo del servizio pubblico radiotelevisivo, «non sarà più sopportato». E che si sappia che è «anti-italiano» raccontare le difficoltà di un Paese in recessione, le sofferenze di chi - impresa, famiglia, lavoratore - ne è travolto. E´ «anti-italiano» ricordare come il presidente passa il suo tempo a Palazzo e in Villa e con chi. Pubblicità più televisione, il medium più potente, sono le armi del dispositivo con cui sempre di più avremo a che fare. Dobbiamo cominciare a fare i conti con il mondo di immagini che ha preso il posto delle realtà, svuotandola, a valutare gli effetti di una tecnica che ci defrauda dell´esperienza e della capacità di prendere posizione, che liquida ogni capacità di distinguere tra realtà e apparenza, che ci obbliga a un´abitudine che ci infantilizza. A ben vedere, pubblicità più televisione è la sola politica che ha in mente Berlusconi tra una cena a Palazzo Grazioli e una notte «a pagamento» a Villa Certosa.

Torna all'inizio


Attacco russo a Twitter: il bersaglio era georgiano (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 08/08/2009 - pag: 15 Guerra mediatica Tensione nel primo anniversario del conflitto Attacco russo a Twitter: il bersaglio era georgiano Un blogger l'obiettivo dell'assalto informatico DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA Alcuni tra i più importanti siti mondiali di comunicazione, come Twitter e Facebook, sono stati vittime della guerra infinita tra Russia e Georgia che ha al centro le regioni dell'Ossezia del Sud e dell'Abkhazia. Nell'anniversario della guerra che vide 12 mesi fa l'attacco georgiano all'Ossezia (nella notte fra il 7 e l'8 agosto) e poi l'invasione russa della Georgia, hacker russi probabilmente derivazione dei servizi segreti hanno colpito un blogger georgiano (forse legato ai servizi di quel Paese) che utilizzava alcuni siti mondiali per diffondere materiale anti-russo. Così per circa tre ore è rimasto bloccato Twitter, il microblogging che consente di inviare messaggi di 140 caratteri e che è utilizzato dai giovani e anche da personalità internazionali, come Obama. Twitter era anche l'unico strumento di comunicazione in mano ai dissidenti iraniani nei giorni della grande repressione. Ritardi e altri problemi anche su Facebook (250 milioni di utenti attivi) su LiveJournal e Google Blogger che comunque sono riusciti a difendersi meglio di Twitter. Su tutti questi siti un certo Georgij dalla capitale georgiana Tbilisi aveva degli account sotto il nome di Cyxymu che è una specie di traslitterazione dal cirillico del nome della capitale dell'Abkhazia Sukhumi. Ignoti hacker russi giovedì hanno attaccato, intasando i server con una massa enorme di richieste di collegamento. Si tratta della ripetizione di quanto era avvenuto già l'anno scorso durante il conflitto, quando ai militari sul campo si erano aggiunti specialisti dietro ai pc. I siti istituzionali del governo georgiano erano stati paralizzati e altri attacchi erano partiti contro indirizzi russi. Come già era successo durante la guerra del gas tra Russia e Ucraina, a fare le spese dello scontro sono stati milioni di consumatori lontanissimi dalla zona del conflitto. Nel 2006 gli europei rimasero al freddo quando Gazprom tagliò le forniture a Kiev. Questa volta sono stati gli utenti di Twitter a soffrire. La guerra informatica tra blogger e hacker potrebbe però essere solo un primo passo, visto che la tensione tra Mosca e Tbilisi continua a salire. Non ci sono solo scambi di accuse sulle responsabilità della guerra di un anno fa. La Russia sostiene che la Georgia si sta riarmando pericolosamente e ha preso le sue precauzioni «contro una nuova avventura militare». Tbilisi si dice preoccupata per questa mobilitazione di Mosca in Ossezia del sud in vista della ricorrenza. Il presidente Saakashvili, in grandi difficoltà politiche in patria e all'estero, ha invece sostenuto ieri che il suo paese «è più vicino che mai alla Nato e alla Ue» e che la Russia, «grazie agli amici occidentali, ha subito una sconfitta diplomatica». Fabrizio Dragosei © RIPRODUZIONE RISERVATA Il ricordo Suore ortodosse ieri a Tskhinvali, in Ossezia del Sud, per l'anniversario del conflitto russo georgiano ( Ap)

Torna all'inizio


L'Italia tra Putin e l'Europa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 08/08/2009 - pag: 15 Politica e energia L'Italia tra Putin e l'Europa SEGUE DALLA PRIMA Ma esiste una differenza fondamentale: il North Stream non affonda di fatto un progetto alternativo e geograficamente contiguo pensato in termini di sicurezza occidentale. Silvio Berlusconi, crediamo, dovrebbe riflettere su questi aspetti. Noi per primi pensiamo che una Russia amica (con qualche parola chiara sui diritti civili, sulla libertà di stampa, sull'amministrazione della giustizia) vada il più possibile associata all'Occidente. Obama fa benissimo a spingere il suo pulsante reset. Ma tenere un piede di qua e un piede e mezzo di là per l'Italia non è una buona politica. Quali che siano gli interessi economici, che l'Eni giustamente persegue facendo il suo mestiere. E quali che siano le ambizioni politiche di «mediare» tra russi e americani, impresa di per sé improbabile ma che così diventa impossibile. Franco Venturini © RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna all'inizio


Obama ottimista: il peggio è passato Wall Street ci crede (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 08/08/2009 - pag: 29 Ripresa Il presidente: si comincia a vedere la luce fuori dal tunnel Obama ottimista: il peggio è passato Wall Street ci crede Disoccupazione Usa meglio del previsto al 9,4% DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON - Qualche volta anche un quarto di milione di posti di lavoro perduti un solo mese possono essere una buona notizia. Rallenta in modo brusco la contrazione del mercato occupazionale in America nel mese di luglio, scende sia pure di un nulla percentuale il tasso di disoccupazione, la prima volta in 15 mesi. E il presidente Obama può con qualche ragione indicarli come «segnali che il peggio possa essere già alle nostre spalle». Anche Wall Street festeggia la lieta novella. Sono stati esattamente 247 mila, secondo il Labor Department, i posti di lavoro spariti il mese scorso. Ma confrontati con i 443 mila di quello precedente, rappresentano la più piccola riduzione degli ultimi 12 mesi. Da giugno a luglio, la percentuale dei disoccupati è passata dal 9,5% al 9,4% della popolazione attiva. Non c'è da stare allegri, tanto più che quest'ultimo dato nasconde il fatto che centinaia di migliaia di persone abbiano semplicemente smesso di cercarsi un impiego, uscendo così dalla definizione tecnica di forza-lavoro e dal calcolo statistico. E che la stessa Casa Bianca, come ha ripetuto ieri il consigliere economico del vice-presidente Biden, dice di aspettarsi una disoccupazione al 10% prima della fine dell'anno. Ma è comunque un segnale preciso: «Puntiamo nella direzione giusta - chiosa Barack Obama nel Rose Garden -, mentre abbiamo salvato la nostra economia dalla catastrofe, abbiamo cominciato a gettare le nuove fondamenta per la crescita». Non è il caso di parlare di ripresa, concede il presidente: «C'è ancora molta strada da fare e non ne avremo una genuina fino a quando smetteremo di perdere posti di lavoro». Quanto a lui, Obama promette che non avrà pace «fino a quando ogni americano che vuole un lavoro non riesca a trovarlo». I nuovi dati superano le attese degli analisti, che avevano pronosticato una perdita superiore ai 300 mila posti e un'aumento del tasso di disoccupazione. «La tendenza è positiva, passiamo da perdite massicce a perdite grosse, ma non credo che saremo in grado di avere un mercato del lavoro stabile prima della primavera prossima», dice Mark Zandy, capo-economista di Moody. Il rallentamento riflette i minori tagli di personale registrati in settori come l'edilizia, le manifatture, i servizi e le attività finanziarie. In controtendenza, la grande distribuzione dove in luglio i licenziamenti sono aumentati. Per il presidente Obama, il piccolo barlume di luce sul fronte dell'occupazione è la prova che lo stimolo da 787 miliardi di dollari, approvato dall'Amministrazione in febbraio, stia cominciando a far sentire i suoi effetti. Ma il presidente non perde la battuta, ricordando che senza le riforme da lui proposte, a cominciare da sanità, educazione ed energia, non ci potrà essere rinascita economica sostenibile: «Non possiamo permetterci il lusso di tornare a un'economia basata su profitti gonfiati, dipendente da fonti di energia sporca e antiquata, appesantita da costi crescenti della spesa sanitaria». Paolo Valentino © RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna all'inizio


Il mondo meraviglioso del Cavaliere tra potere, menzogne, pubblicità e tv (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Abbiamo lasciato Berlusconi che organizza le sue serate a Palazzo o in Villa. Telefona ai suoi ruffiani, anche dieci volte al giorno, come posseduto da un'ossessione. S'informa delle ospiti. Ce ne sono di nuove? Ne prescrive la mise. Si accerta che siano informate delle sue abitudini sessuali. Promette candidature politiche, ingaggi in tivvù, regali e "buste", cinquemila o diecimila euro secondo il gradimento. Contatta minorenni che non conosce, dopo averne scrutato il viso e il corpo da portfolio consegnatigli da salariati di Mediaset. Lo abbiamo visto in difficoltà quando anche la figlia Barbara (ma non i liberali di casa nostra) gli ricorda che, per un politico, per chi governa, privato è pubblico. Lo incontriamo ora a Palazzo Chigi con una gran voglia di far dimenticare quel che l'opinione pubblica internazionale conosce e soltanto tre italiani su dieci sanno (sette su dieci sono informati dalla televisione che egli controlla, e quindi non sanno alcunché). La scena è bizzarra per noi italiani e diventerà sorprendente per chi italiano non è. Da solo, seduto a Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi si racconta e riempie di se stesso ogni quadro possibile: planetario, europeo, nazionale, cittadino. Il suo ego non ha confini. Il mondo è lui nell'autorappresentazione che ci offre, nient'altro che lui con il suo carico di vitalismo, ottimismo, carisma, umanità, saggezza, savoir-faire, una capacità di lavoro senza eguali. In quattordici mesi, elenca l'Egocrate, centocinquantotto incontri internazionali, ventidue vertici multilaterali, dieci vertici bilaterali. Sono stato in piedi, dice, anche quarantaquattro ore con il solo ausilio di ventuno caffè. Dovunque, successi. Soltanto successi. Anzi, un unico successo ininterrotto, senza pause, costante nel tempo, operoso in ogni angolo di mondo. Se le truppe di Mosca si sono fermate a quindici chilometri da Tbilisi scongiurando un conflitto Russia-Georgia, il merito è di Berlusconi che ha evitato l'inizio di una nuova Guerra Fredda. Se Barack Obama ha firmato a Mosca il trattato per la limitazione delle armi nucleari, il merito è di Berlusconi che ha favorito "l'avvicinamento" della nuova amministrazione americana al Cremlino. Se l'Alleanza atlantica è ancora vegeta, lo si deve al lavoro di persuasione di Berlusconi che ha convinto il leader turco Erdogan a dare il via libera alla candidatura di Rasmussen. Se "l'Europa non resterà mai più al freddo", il merito è di Berlusconi che ha convinto Erdogan e Putin a stringersi la mano dinanzi al progetto del gasdotto South Stream. Nel mondo meraviglioso di Silvio Berlusconi non c'è ombra né crisi. Non c'è il disonore personale né le menzogne pubbliche. Non c'è recessione né sfiducia. Non c'è né sofferente né sofferenza. Non ci sono più immigrati clandestini, non c'è crimine nelle città, non c'è più nemmeno la mafia. Regna "la pace sociale" e "nessuno è rimasto indietro" e, per quanto riguarda se medesimo, "non c'è nulla di cui deve scusarsi". Anche l'Alitalia è diventata, nel vaniloquio, un miracolo d'efficienza. Grazie ai "colpi di genio" di Berlusconi, anche i terremotati delle tendopoli all'Aquila sono felici perché "molti sono partiti in crociera e altri sono ospitati in costiera e sono tutti contenti". OAS_RICH('Middle'); A incontrarlo al bar, un bauscia di questa incontinenza (bauscia è bava, saliva: e anche il bavante, il salivante, il moccioso) si chiederebbe al barista di azzittirlo o di allontanarlo, ma quel bauscia è il nostro capo del governo. Ora all'estero - anche ricordando come Berlusconi, intossicato dalla sexual addiction, trascorre in realtà le sue giornate - liquideranno il protagonismo dell'Egocrate come l'ultima arlecchinata di un clown italiano. Noi, che da Berlusconi siamo e saremo governati, non possiamo farlo o per lo meno non possiamo limitarci alla derisione o all'invettiva. Più che disseccare le sue vanterie (per quanto riguarda il bilancio del governo, lo ha già fatto qui Tito Boeri, il 3 agosto) o autoconsolarci con uno sberleffo per quel "priapismo dell'Io", è più utile aprire gli occhi su quanto sta accadendo e accadrà. Meglio descrivere e decifrare quel che ci aspetta. Berlusconi va ascoltato con pazienza, infatti. Da gran fiume delle sue parole affiorano sempre, prima o poi, le "verità dell'asino", come ci ha spiegato Franco Cordero. Gli asini hanno una cattiva fama. Li dicono ottusi, poco intelligenti. Bestie trascurabilissime. Ma, in realtà, il passo storto dell'asino è soltanto uno: "Svela piani che menti più sottili occultano". Càpita anche a Berlusconi e, solo, a Palazzo Chigi, ne offre un saggio. Se si riflette, le parole dell'Egocrate svelano una tecnica di dominio, un dispositivo di potere. La rappresentazione di se stesso e del lavoro del suo governo è esplicitamente "pubblicitaria", coerente con un'antica confessione di Berlusconi: "Non riesco a non vendere. Non ci riesco! Non riesco a svestire i panni del direttore commerciale" (D'Anna, Moncalvo, Berlusconi in concert). Soltanto nel linguaggio della pubblicità - senza profondità, istantaneo e istantaneamente dimenticato - può non esistere la realtà. Così è nelle parole del premier: la recessione è alle nostre spalle; i disoccupati sono protetti e con un decente reddito; le imprese fiduciose; anche i terremotati sono contenti; le città sono sicure, mentre Obama Merkel Putin Erdogan - il mondo - pendono dalle labbra e dalle mosse del nostro premier. Nei modi d'espressione della pubblicità cade ogni scarto tra ciò che è davvero e ciò che si immagina possa essere, tra la situazione di fatto e il progetto. Ogni problema, per Berlusconi, è superabile con uno sforzo d'immaginazione, con una scarica di ottimismo e se ancora qualche problema persiste lo si deve alle forze del Male che non amano il Capo e quindi il popolo. Ogni dissenso è dunque un atto persecutorio contro il Capo e un'aggressione al popolo, un complotto contro gli italiani e l'Italia. Questa scena, grottesca ma non per questo innocua, può diventare convincente soltanto se c'è un'informazione che la propone all'opinione pubblica come plausibile. E' quel che esplicitamente, come da verità dell'asino, Berlusconi chiede ai media italiani. Non facciano più domande, come già fanno i bravi giornalisti sportivi. Non diano conto del "negativo" perché, soprattutto per il giornalismo del servizio pubblico radiotelevisivo, "non sarà più sopportato". E che si sappia che è "anti-italiano" raccontare le difficoltà di un Paese in recessione, le sofferenze di chi - impresa, famiglia, lavoratore - ne è travolto. E' "anti-italiano" ricordare come il presidente passa il suo tempo a Palazzo e in Villa e con chi. Pubblicità più televisione, il medium più potente, sono le armi del dispositivo con cui sempre di più avremo a che fare. Dobbiamo cominciare a fare i conti con il mondo di immagini che ha preso il posto delle realtà, svuotandola, a valutare gli effetti di una tecnica che ci defrauda dell'esperienza e della capacità di prendere posizione, che liquida ogni capacità di distinguere tra realtà e apparenza, che ci obbliga a un'abitudine che ci infantilizza. A ben vedere, pubblicità più televisione è la sola politica che ha in mente Berlusconi tra una cena a Palazzo Grazioli e una notte "a pagamento" a Villa Certosa. (8 agosto 2009

Torna all'inizio


War games, l'attacco a Twitter e la paura della cyberguerra (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 08-08-2009)

Argomenti: Obama

Fino a qualche anno fa, a imbrattare siti e a introdursi nei computer di banche e governi erano giovani smanettoni in cerca di notorietà: siti visitati da milioni di persone venivano modificati con scritte inneggianti a questa o quella causa, o semplicemente riempiti di insulti. Li chiamavano defacement. Solo successivamente gli attacchi informatici si sono trasformati in un giro d'affari milionario, gestito con sistemi da criminalità organizzata. Si è iniziato così a parlare di frodi informatiche, di phishing, truffe sempre più elaborate per entrare in possesso delle identità e dei conti bancari di milioni di navigatori. Oggi assistiamo a un nuovo salto di qualità, ben più allarmante: dietro i virus, i worm, i denial-of-service, non ci sono più ragazzini geniali o bande di malfattori. Ora, i sospettati numero uno sono le intelligence, gli stati maggiori, i governi. Qualcuno ha cominciato a parlare apertamente di cyber-guerra il mese scorso, quando i siti di istituzioni governative e commerciali di Stati Uniti e Corea del Sud sono stati colpiti da un'ondata senza precedenti di attacchi provenienti, si suppone, dalla Nordcorea. Ma l'atto più eclatante, quello che probabilmente sarà ricordato come il punto di svolta nella storia della sicurezza informatica, il passaggio dalle rivoltelle ai carri armati, è il blitz di due giorni fa contro Twitter: milioni di persone coinvolte in quella che va definendosi come un'aggressione che con il tradizionale cyber-crimine ha poco a che vedere. Secondo una ricostruzione che trova sempre più credito tra gli esperti di sicurezza informatica, Twitter, Facebook e gli altri social-network non stanno scontando il successo di pubblico e il crescente valore di mercato, ma il loro ruolo di megafono delle opposizioni e dell'informazione alternativa. Chi ha reso inutilizzabili i siti, non voleva ricattare una potenza economica, voleva spegnere una voce di libertà. OAS_RICH('Middle'); Il capo della sicurezza di Facebook ha confermato che gli attacchi dell'altroieri erano diretti in particolare contro un utente, tale Cyxymu, un blogger georgiano che dalle pagine di internet critica il governo russo a un anno dall'inizio del conflitto in Ossezia del sud. "Forse l'attacco è stato condotto da hacker comuni", ha detto Cyxymu intervistato dal Guardian, "ma sono sicuro che l'ordine è venuto direttamente dal Cremlino". E anche se da Mosca, ovviamente, nessuno conferma il coinvolgimento nella vicenda, l'esigenza di non farsi trovare impreparati di fronte ad azioni di guerra o guerriglia informatica non più riconducibili al crimine comune è ormai all'ordine del giorno dei governi. Chi oggi ha messo ko Twitter, questo è il timore, domani potrebbe colpire le istituzioni finanziarie, le telecomunicazioni, la rete elettrica o il trasporto aereo. Mike McConnell, direttore dell'intelligence statunitense sotto l'amministrazione Bush, avvertiva l'anno scorso che gli hacker possono essere una minaccia equivalente alle bombe atomiche per le riserve monetarie degli Stati Uniti. Secondo McConnell, basterebbe un attacco riuscito a una singola grande banca americana per produrre ripercussioni sull'economia mondiale maggiori di quelle scatenate dall'11 settembre. In un recente articolo, il New York Times ha paragonato l'attuale scenario alla rivoluzione innescata 64 anni fa dalla comparsa delle armi atomiche: come quell'invenzione mutò per sempre la concezione della guerra e della deterrenza, così oggi bisogna chiedersi: qual è la definizione di guerra informatica? Dove si trova il confine tra la difesa e l'attacco? Ma intanto, la corsa per dotarsi di cyber-armamenti e per proteggersi dagli attacchi informatici, è cominciata. Secondo quanto riferito dal Pentagono, le truppe americane si sono già rese protagoniste di azioni di cyber-guerra compiute in suolo straniero: intrusioni informatiche sono state messe in atto in Iraq per facilitare la cattura di membri di Al Qaeda, e in Iran per monitorare i progressi del programma nucleare di Ahmadinejad. In entrambi i casi si è trattato però di iniziative estemporanee, autorizzate singolarmente da George W. Bush poco prima di lasciare la Casa Bianca. Il compito di elaborare una strategia complessiva per la guerra informatica è stato lasciato all'amministrazione Obama. Alla fine di giugno, il nuovo segretario alla Difesa Robert Gates ha creato un comando apposito per difendere le reti informatiche militari e sviluppare armi di offesa. Le ipotesi sul tavolo prevedono la possibilità per le truppe americane di entrare nei computer dei criminali informatici in Russia o Cina per distruggere le botnet, le reti di pc dalle quali partono attacchi come quello che ha messo in ginocchio Twitter. Un'altra idea, particolarmente controversa, è quella che vedrebbe i microprocessori prodotti negli Stati Uniti (la stragrande maggioranza di quelli che inondano il mercato mondiale) dotati di un meccanismo silente in grado di attivarsi a comando per neutralizzare i computer del nemico. Il governo americano ha lanciato un bando per la selezione di diecimila cyber-guardiani e cyber-guerrieri da arruolare tra i giovani talenti di scuole superiori e college. Ma secondo alcuni esperti, al di là degli annunci, la preparazione americana rispetto alla guerriglia informatica è ancora piena di lacune. "Nel governo ci sono tante persone che parlano e scrivono di sicurezza, ma poche che ne sanno davvero", ha dichiarato Alan Paller, direttore delle ricerche al Sans Institute. Obama promette da tempo la nomina di uno "zar della cybersicurezza" che abbia il potere di coordinare le azioni contro gli attacchi informatici, ma ha appena perso il principale candidato alla poltrona: Melissa Hathaway, che attendeva la nomina da oltre due mesi, ha lasciato polemicamente lo staff della Casa Bianca lamentando l'immobilismo dell'amministrazione. La sensazione è che, in questo campo, il fronte d'azione si stia spostando decisamente a est: è da lì che provengono non solo il maggior numero di attacchi, ma anche gli esempi più riusciti di difesa: nel 2007 la rete internet dell'Estonia, paese all'avanguardia nel campo dell'e-government (governo elettronico) fu messa in ginocchio da una serie di attacchi coordinati che portarono all'oscuramento dei siti governativi. Anche in quel caso, i sospetti ricaddero sulla vicina Russia. Da allora nella capitale Tallinn, con la benedizione della Nato, è stato creato un centro di eccellenza per la difesa dagli attacchi informatici. E il presidente estone Toomas Hendrik Ilves è appena tornato da un tour negli Stati Uniti dove ha incontrato Obama proprio per discutere di cybersicurezza. (8 agosto 2009

Torna all'inizio


La giovane studiosa da Parigi alle galere di Ahmadinejad (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 09-08-2009)

Argomenti: Obama

Personaggio Clotilde, 23 anni rivoluzionaria per caso PASSIONE ANTICA I SEGNALI La giovane studiosa da Parigi alle galere di Ahmadinejad DOMENICO QUIRICO Si era innamorata della cultura persiana grazia alla sua balia Fa capire di avere subito forti «pressioni psicologiche» CORRISPONDENTE DA PARIGI Sembrava, quella di Clotilde Reiss, lettrice alla università di Isfahan e grande appassionata della civiltà iranica, grazie anche alla balia persiana che l'aveva allevata, una vicenda minore e in fondo poco pericolosa nel grande guazzabuglio iraniano. Ma Parigi ha sottovalutato la sottile capacità del regime degli ayatollah di spremere tutto il possibile, secondo le loro complicate regie di intimidazione e di provocazione, dalla pratica di tenere in mano degli ostaggi. Così ieri la francese, 23 anni, arrestata il primo luglio durante i giorni caldi della rivolta contro la scandalosa vittoria di Ahmadinejad per aver scattato fotografie dei tumulti, è comparsa, a sorpresa, davanti al tribunale rivoluzionario di Teheran che giudica i ribelli e «traditori». E ha ammesso di aver non solo partecipato alle proteste, ma di aver steso un rapporto per un istituto di ricerca che dipende dalla sua ambasciata. Insomma sarebbe un occulto «agente» francese. Ha chiesto scenograficamente «perdono» ai suoi giudici: «E' stato un errore, chiedo scusa al Paese al popolo e al tribunale iraniano. spero di essere graziata». Almeno è quanto ha riferito la agenzia Irna; visto che altri giornalisti non erano ammessi all'udienza. Tra gli imputati era alla sbarra anche una impiegata iraniana della ambasciata francese arrestata giovedì scorso, Nazak Afshar: si occupa del settore culturale e anche lei ha «confessato»: che i superiori avevano dato ordine di aprire i locali della sede diplomatica per dare rifugio ai manifestanti braccati dalla polizia e dalle milizie. Insomma si delinea ben chiaro il contorno anche per loro di una accusa assai più grave: spionaggio e complotto. A Parigi si sono immediatamente accorti che era all'orizzonte un enorme guaio diplomatico e politico. Nicolas Sarkozy è stato assai severo inizialmente con le mire atomiche di Teheran, solo ultimamente ha attenuato le sue posizioni allineandosi sulle aperture, caute, di Obama. Evidentemente il Palazzo a Teheran ha memoria lunga. La «confessione» della Reiss è stata completa, tanto da evocare immediatamente il sospetto che sia stata sottoposta durante la detenzione a pressioni intollerabili. «Ho scritto un rapporto sulle manifestazioni lungo una pagina e l'ho consegnato all'istituto francese di ricerca in Iran che dipende dai servizi culturali dell'ambasciata» ha detto Clotilde, aggiungendo di aver partecipato «per motivi personali» alla protesta: «Volevo assicurare i miei che non stava succedendo niente di grave. Confesso che è stato un errore non avrei dovuto essere a quegli assembramenti». Ma c'è un altro particolare ancora più pericoloso. La giovane ha ammesso di aver redatto anche un rapporto sul nucleare iraniano due anni prima: «Ma non aveva nessun rapporto con l'organizzazione francese per l'energia atomica. Non era un rapporto tecnico. Stavo completando uno stage al Commissariato sull'energia atomica dove lavora anche mio padre. L'ho scritto usando articoli e informazioni trovate su internet, niente di segreto». Abbastanza per insospettire i suoi giudici. Secondo l'Irna la giovane ha anche fatto cenno alle condizioni della sua detenzione: «Il soggiorno in prigione è duro ma i miei guardiani e le persone incaricate di interrogarmi non si sono comportate male e non ho alcun problema particolare». Ma ha evocato «una pressione psicologica» legata ai dubbi sulla sua sorte giudiziaria. Non ha torto. Perché il procuratore Abdolreze Mohabati ha affermato che gli accusati avevano «elaborato un piano per conto dell'opposizione e di Paesi stranieri per rovesciare il regime».

Torna all'inizio


"E ora l'America con chi parlerà?" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 09-08-2009)

Argomenti: Obama

"E ora l'America con chi parlerà?" "Obama deve sperare nei dissidi interni" In Iran, le manifestazioni di piazza e l'ostilità crescente sia della gente sia degli oppositori politici di Ahmadinejad complicheranno la vita ad Obama, che deve fermare i piani nucleari di un leader indebolito ma, per ora, inevitabile. I problemi per l'amministrazione, però, vengono più da Washington che non da Teheran. Il commento è di Justin Logan, direttore associato di studi in politica estera del Cato Institute, il pensatoio libertario, che sorprendentemente attacca i neoconservatori fautori della linea dura, del «non dialogo» con Ahmadinejad. Processi farsa e caccia ai dissidenti. L'Iran ha un presidente appena riconfermato di un regime che ha perso credibilità all'interno e all'esterno, al punto che il segretario di Stato Hillary Clinton ha detto di «ammirare i continui sforzi dei riformatori per cambiare il Paese». Sarà più facile o più difficile per Obama mettersi al tavolo con Ahmadinejad? «Penso che quanto è successo stia rendendo in qualche misura più arduo per l'amministrazione impostare delle trattative. Sembra che Obama voglia ancora perseguire una politica di impegno, ma la repressione contro chi protesta rende più difficile, per motivi di politica interna americana, confrontarsi con un leader autoritario come Ahmadinejad». L'America deve solo sperare in un cambiamento di regime? «Ahmadinejad deve fronteggiare in effetti nuovi problemi interni a causa della elezione fraudolenta. E' sottoposto a nuove pressioni politiche, e non solo dal candidato battuto Mousavi, ma anche da personalità influenti quale Rafsanjani e dai burocrati che si sono schierati con loro. Io credo che al governo americano piacerebbe, idealmente, che avvenisse un pacifico cambio di regime e che si potesse fare un accordo sulla questione nucleare». Idealmente, lei dice. Ma in pratica che cosa avverrà? «Non c'è assolutamente modo di prevedere se ci sarà un cambio di governo, e quale risultato ne potrebbe venire, per cui il governo americano dovrà discutere con qualsiasi regime sia al potere. Il problema dell'armamento nucleare di Teheran è di gran lunga più importante della questione della politica interna iraniana». Quindi, in questa partita, i libertari-conservatori del Cato Institute sono schierati con il presidente liberal? «Sì, siamo d'accordo con la volontà di Obama a trattare. Ai neoconservatori americani piace accusare il governo di "legittimizzare" i regimi autoritari discutendo con loro. Ma ciò è un non senso. Impegnarsi in normali negoziazioni sulle bombe nucleari con l'Iran non dà più "legittimazione" di quella che le trattative con i sovietici davano all'Urss. Credo che nessuno possa fare confusione su ciò che l'America pensa dello stile di governo in Iran. Siamo in disaccordo su questo punto con i critici di Obama. Ecco perché noi americani abbiamo un governo di democrazia liberale piuttosto che una teocrazia sciita».

Torna all'inizio


Giura Sonia Sotomayor prima giudice ispanica (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 09-08-2009)

Argomenti: Obama

NOMINATA ALLA CORTE SUPREMA USA Giura Sonia Sotomayor prima giudice ispanica WASHINGTON Era la sua mamma Celina, alla quale Sonia Sotomayor dice di dovere tutto, a tenere la Bibbia sulla quale ieri la prima donna ispanoamericana alla Corte Suprema Usa ha prestato il suo giuramento. L'intera cerimonia è stata trasmessa, per la prima volta, in diretta tv: uno spettacolo che ha dato soddisfazione a milioni di «latinos». La 55enne Sotomayor è figlia di immigrati portoricani (alla cerimonia era presente anche il fratello Juan), e affiancherà Ruth Bader, unica altra donna nella Corte Suprema. La nomina della nuova giudice, proposta da Obama e approvata tre giorni fa dal Senato con 68 voti favorevoli e 38 contrari, è stata accompagnata da numerose polemiche. Prima candidata di un presidente democratico dal 1994, è stata osteggiata da molti conservatori. \

Torna all'inizio


Dalle scarpe dei potenti al banchiere dei poveri (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 09-08-2009)

Argomenti: Obama

Dalle scarpe dei potenti al banchiere dei poveri Non bastavano le scarpe per i Papi e i Capi di Stato. Ora Adriano Stefanelli si è messo in testa di rilanciare la moda delle ghette, ma nel futuro ci potrebbero essere anche i piedi di un premio Nobel. Dopo il primo paio di calzature nel 2004 donate a Papa Giovanni Paolo II, un modo particolare per alleviare le sofferenze del Santo Padre, la corsa che ha portato le celebri scarpe made in Novara anche ai piedi di Papa Benedetto XVI e a breve del presidente Obama non si è più fermata. «Per caso le scarpe di Papa Wojtyla erano state notate da Bush, durante un viaggio del Santo Padre negli Stati Uniti - ricorda Stefanelli -. Dal Papa al presidente degli Stati Uniti il passaggio è stato quindi facile». Con le prime consegne, Stefanelli diventa detentore di un curioso segreto che lo accompagnerà per la maggior parte dei lavori per i personaggi celebri: i potenti del mondo calzano quasi tutti il numero 42. L'eccezione è Obama, che ha il 44. Gli ultimi piedi importanti di cui si è occupato sono quelli del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I. «L'unico che mi abbia telefonato personalmente per rigraziarmi, in un discreto italiano, del dono». Con Bartolomeo si chiude il cerchio della missione «ecumenica» di Stefanelli: fare le scarpe ai vertici della Chiesa d'Occidente e a quella d'Oriente (all'attivo ha anche un paio di scarpe per il patriarca della Chiesa Ortodossa Alessio II, da poco scomparso): «Ho fatto un modello denominato 'scarpe dell'unione' per i vertici delle Chiese cristiane, simbolicamente per aiutare il loro percorso di avvicinamento». L'interesse e la curiosità per le vicende del mondo portano Stefanelli a pensare di fare un paio di scarpe anche per la «piccola vedetta lomabarda» del libro Cuore: «Proprio sul vostro giornale ho letto che era stato finalmente dato un nome al personaggio del libro di De Amicis e ho deciso di fare una scarpa tricolore in suo onore: una calzatura piccola, adatta ad un bambino di dodici anni, dipinta con i colori della bandiera italiana. Sarà consegnata a settembre, durante una cerimonia, al museo storico di Voghera». Un attivismo, quello di Stefanelli, che non sempre è stato apprezzato da tutti, anche a Novara. L'associazione degli artigiani aveva avuto tempo fa parole dure contro il celebre calzolaio, che non è più neanche iscritto all'organizzazione: «Un attacco che io non ho mai compreso - chiarisce -. Il mio lavoro principale oggi è quello di commerciante. Nel mio tempo libero mi dedico a questa mia passione: faccio un paio di scarpe al mese, non ci guadagno un euro e spedisco tutto a mie spese. Vorrei essere un ambasciatore del made in Italy, non togliere spazio ad altri bravi artigiani del territorio». Tornando ai potenti del mondo, Stefanelli rivela di aver saputo della sicura vittoria di Barack Obama un mese prima delle elezioni: «Mi ero messo in testa di fare le scarpe per il nuovo presidente degli Stati Uniti - racconta -. Avevo contattato l'ambasciata americana a Roma per poter iniziare il lavoro, appena eletto il nuovo Presidente. Un mese prima dell'apertura delle urne mi chiamano da Roma e mi dicono di iniziare a fare le scarpe per Obama: erano già sicuri che avrebbe vinto». L'ultima novità è l'idea di rilanciare la moda delle ghette: «Me le hanno già chieste diversi industriali e le lanceremo nei prossimi giorni». Ma il suo vero sogno è un altro: fare le scarpe a un premio Nobel. «Ho pensato a Mohammed Yunus, il 'banchiere dei poveri' che, con il suo microcredito in Bangladesh ha dato speranza e futuro a milioni di persone».

Torna all'inizio


Autunno caldo: 200 mila posti a rischio (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 09-08-2009)

Argomenti: Obama

Intervista Maria Bartiromo UN MONDO NUOVO MERCATO DEL LAVORO SOTTO PRESSIONE PER L'INCOGNITA SUL RINNOVO DEI CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO "I Paesi emergenti daranno lo slancio per la ripresa" Negli Usa il clima è migliorato, c'è fiducia Ora si attende che cresca l'occupazione FRANCESCO SEMPRINI La Cina è diventata una grande potenza L'Ue si è rafforzata Autunno caldo: 200 mila posti a rischio NEW YORK [FIRMA]LUCA FORNOVO TORINO La disoccupazione sarà la vera incognita d'autunno e il barometro prezioso sull'effettiva ripartenza dell'economia italiana e mondiale. Anche perché, come ha ha detto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, «non ci sarà una vera ripresa finché si continueranno a perdere posti di lavoro». In Italia un po' di timori sul fronte dell'occupazione affiorano con le ultime previsioni della Cgia di Mestre, che ieri ha fatto sapere che sono a rischio 200 mila posti di lavoro in autunno. Ma gli esperti invitano a non fare allarmismi. «Nessun catastrofismo - dice il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi - è da due anni che nel quarto trimestre dell'anno l'occupazione registra picchi negativi». E poi secondo la Cgia, questa previsione negativa non inficia i segnali positivi, emersi negli ultimi mesi, «che ci stanno allontanando dalla fase più acuta della crisi. Quelli messi in luce anche dall'Ocse - afferma Bortolussi - sono una conferma importante». Nonostante il Pil italiano sia sceso del 6% a giugno (rispetto al giugno 2008), venerdì l'Ocse ha evidenziato, in realtà, come l'Italia sia l'unico Paese, insieme alla Francia, che sta già dando segnali di ripresa. Una considerazione che parte dalla crescita del superindice dell'Ocse (un indicatore che valuta il potenziale futuro di crescita) che in Italia è stato maggiore degli altri Paesi visto che è salito di 4,8 punti su base annuale a 103,3 punti. Peraltro alcuni economisti, tra cui Luigi Speranza, ritengono che, proprio in autunno, a partire dal terzo trimestre, i segnali di ripresa si si faranno già sentire in Italia. Qualche tensione sul mercato del lavoro potrebbe però registrarsi verso l'autunno anche perché a fine anno scadono molti contratti a tempo determinato, che potrebbero non essere rinnovati. Del resto le statistiche parlano chiaramente. Analizzando i dati dell'Istat, la Cgia riscontra che nel quarto trimestre degli ultimi due anni in Italia l'occupazione (rispetto al trimestre precedente) è sempre stata in calo: complessivamente si sono persi 260 mila posti di lavoro: 91 mila nell'ultimo trimestre del 2007 e 169 mila nell'ultimo trimestre del 2008. «La perdita di 200 mila posti di lavoro - commenta Bortolussi - dovrebbe portare nel 2009 il tasso di disoccupazione all'8,8%, 2,1 punti in più rispetto al 2008». Complessivamente, sostiene la Cgia, i senza lavoro dovrebbero attestarsi quest'anno sui 2 milioni e 200 mila unità. Ma qualche beneficio sull'occupazione in Italia potrebbe arrivare anche grazie alla ripresa degli Stati Uniti, che ancora oggi sono il vero motore dell'economia mondiale. Negli Usa sono stati persi 247 mila posti di lavoro a luglio, 200 mila in meno che a giugno e molti di meno dei 700 mila al mese dell'inizio dell'anno. Dati incoraggianti che ieri hanno fatto dire a Obama: «Il peggio della crisi potrebbe essere alle nostre spalle».La ripresa passerà dalle economie emergenti». Non ha dubbi Maria Bartiromo, icona del giornalismo finanziario Usa e anchor di punta dell'emittente Cnbc. Qual è il clima che si respira a Wall Street? «Si sta riacquistando fiducia, investitori e operatori prendono coscienza del fatto che le cose stanno migliorando. Adesso la gente sente di non essere in pericolo di collasso e spera quanto prima che si tornino a creare posti di lavoro. Questo sarà preceduto, come sempre avviene, da un rally delle Borse i cui primi segnali si vedono già». Quali sono i settori destinati a trainare la ripresa? «Le logiche di investimento si basano sulla crescita. Il settore tecnologico sta andando bene perché si ritiene che la ripresa debba passare attraverso l'innovazione tecnologica: il Nasdaq infatti va bene. Inoltre l'attenzione è puntata sulle economie emergenti come la Cina dove il tasso di crescita è molto elevato e l'India. Il secondo criterio è la creazione di valore: parte dei sistemi finanziario e immobiliare. Infine interessano tutti i settori che potrebbero essere protagonisti della ripresa in base alle indicazione del presidente Obama: infrastrutture, energia e sanità». Cosa si guarda delle società? «In questo momento si privilegiano la liquidità e il basso indebitamento assieme alle politiche aziendali su dividendi e reinvestimenti degli utili per la crescita». Il governo Usa sta andando nella giusta direzione? «Io sono preoccupata perché in questo momento siamo ancora in una situazione di estrema volatilità. Bisogna essere prudenti perché ci sono alcuni elementi di incertezza come ad esempio la politica fiscale del governo. Se si iniziano ad alzare le tasse sul piccolo business si rischia di tornare indietro. Anche la proposta di tassare differentemente gli utili delle grandi corporation straniere rappresenta un rischio e non facilita certo investimenti e creazione di posti di lavoro negli Stati Uniti. La riforma del sistema sanitario infine è un'incognita e il Paese è alle prese con un forte indebitamento». Gli Usa come usciranno dalla crisi? «L'America tornerà ad essere forte e importante, ma sul piano internazionale ci sono altre realtà, la Cina è diventata una potenza, l'Europa si è rafforzata. Quelle che serve è un coordinamento: in questo senso il passaggio dal G-8 al G-20 è stato fondamentale». Com'è cambiato il giornalismo finanziario con la crisi? «Da una parte ha aumentato l'interesse e la platea di utenti. Dall'altra si è rafforzata la consapevolezza che il giornalismo finanziario deve avere il coraggio di andare controcorrente se necessario ed essere attenta a tutto. In questo senso può svolgere un ruolo di watchdog e prevenire o mettere in luce tutte le anomalie alla base di crisi come questa». L'intervento del governo ha reso Detroit più forte? «Nel caso di Gm occorre dire che la maxipartecipazione pubblica complica la situazione. C'è da chiedersi se bisogna considerare Ford in competizione con il governo». E per Chrysler? «È diverso, Fiat ha portato un valore aggiunto grazie alle piattaforme e alle tecnologie con le auto di piccole dimensione oltre ad avere un management molto valido e un giro di clientela importante. Potrebbe essere un matrimonio riuscito ma dobbiamo ricordarci di Daimler, insomma non mancano incognite». Gli americani sono pronti a guidare la 500? «Con il caro-benzina di qualche tempo fa gli americani hanno imparato ad apprezzare le auto di piccola cilindrata e con la crisi hanno capito l'importanza del risparmio. Non è chiaro quanto ampio sia questo cambiamento di mentalità e se si tradurrà nei volumi di domanda che alcuni produttori attendono».

Torna all'inizio


gli usa in crisi comprano americano messico e canada: obama ci ripensi - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 09-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 21 - Economia Oggi vertice a Guadalajara con i due partner commerciali. Protezionismo, narcos e ambiente in agenda Gli Usa in crisi comprano americano Messico e Canada: Obama ci ripensi FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente NEW YORK - Il primo partner commerciale degli Stati Uniti non è la Cina (solo seconda) ma il Canada. Al terzo posto per l´import-export con gli Stati Uniti non c´è la Germania bensì il Messico. L´intensità dei legami fra i tre partner nordamericani, legati dal trattato di liberoscambio Nafta, spiega l´importanza del vertice di due giorni che si apre oggi a Guadalajara, in Messico. Un appuntamento delicato per Barack Obama. Malgrado la sua popolarità personale nei Paesi vicini, il leader Usa arriva a Guadalajara nella posizione dell´imputato. L´accusa: protezionismo. Il premier canadese Stephen Harper e il presidente messicano Felipe Calderòn lo incalzeranno sulla famigerata clausola "Buy American", inserita dal Congresso dentro la manovra di spesa pubblica a sostegno della crescita. Il ministro canadese del Commercio estero, Stockwell Day, ha lanciato un avvertimento esplicito alla vigilia del summit. «L´America - ha detto - deve aprire gli occhi su quel che rischia: di questo passo scatteranno le nostre contromisure. E nel gioco delle rappresaglie protezioniste tutti finiscono impoveriti». "Buy American" ha già creato danni notevoli a molte aziende canadesi, escluse dalle gare d´appalto per lavori pubblici e forniture alla Pubblica Amministrazione negli Stati Uniti. La formulazione di "Buy American" è insidiosa, perché anche le aziende Usa che lavorano per un committente pubblico rischiano di perdere i concorsi se usano materiale importato. La difficoltà di isolare un´economia globalizzata come gli Stati Uniti provoca effetti-boomerang e conseguenze autolesioniste. Un caso estremo è quello di alcune città americane rimaste a corto di filtri per gli impianti di depurazione dell´acqua potabile. Quei filtri sono prodotti da un colosso "made in Usa" per eccellenza, la General Electric. Però vengono da stabilimenti collocati sul suolo canadese, e includono componenti importati dall´Ungheria. Il Messico ha una lista di recriminazioni ancora più lunga. Non c´è solo "Buy American". A marzo il Congresso di Washington ha sospeso unilateralmente la libertà di circolazione dei Tir messicani, introdotta dal trattato Nafta. L´hanno travolta due campagne parallele. Da una parte il potente sindacato dei camionisti Usa, i Teamsters (generosi finanziatori della campagna elettorale di Obama) da anni denunciano la violazione delle norme di sicurezza da parte dei concorrenti messicani. Dall´altra i movimenti ambientalisti - da Sierra Club a Greenpeace - accusano i Tir messicani di non rispettare le regole anti-smog. Anche in questo caso, il Congresso a maggioranza democratica si è mostrato sensibile alle sirene del protezionismo. Un disastro per l´industria messicana: dovendo trasbordare tutte le merci al confine su Tir Usa, gli esportatori sono "tassati" per un costo aggiuntivo di 400 milioni di dollari all´anno. Le tensioni Usa-Messico vanno ben oltre la sfera commerciale. In cima al dialogo tra Obama e Calderòn ci sarà l´emergenza-narcos. In una spaventosa escalation di violenza, intere zone del Messico sono sottratte di fatto al controllo dello Stato. I sanguinosi regolamenti di conti tra le gang "sconfinano" sempre più spesso oltre la frontiera Usa, preoccupando l´opinione pubblica dall´Arizona al Texas. I messicani accusano gli Usa di non assumersi tutte le proprie responsabilità: da una parte è a Nord il principale mercato di sbocco che traina il business degli stupefacenti dal lato dei consumi; d´altra parte per il lassismo della legislazione sulle armi è sempre negli Stati Uniti che i narcotrafficanti riforniscono i propri arsenali da guerra. Un tasto dolente nelle relazioni Usa-Messico è anche la politica dell´immigrazione. Obama ha fatto un gesto distensivo importante, con le nuove norme sulla detenzione "civile ed umana" dei clandestini, varate due giorni fa dal suo segretario alla Homeland Security, Janet Napolitano. E´ un progresso significativo per voltare pagina rispetto agli abusi contro i diritti umani dei clandestini. Ma resta tutta da definire la riforma delle regole sull´immigrazione. Anche su questo terreno, Obama deve fare i conti con le spinte protezioniste di una parte del Partito democratico, accentuate dagli effetti della recessione. Con 15 milioni di disoccupati, il clima politico non è ideale per liberalizzare i permessi di residenza.

Torna all'inizio


complotto internazionale, il teorema che piace a teheran - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 09-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri COMPLOTTO INTERNAZIONALE, IL TEOREMA CHE PIACE A TEHERAN (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) A conferma del teorema della fazione vittoriosa di regime, secondo cui gli oppositori sarebbero sobillati dall´esterno. Teoria del complotto confermata ufficialmente dallo stesso Ahmadinejad pochi giorni fa davanti al Parlamento. Portare davanti al temibile Tribunale della Rivoluzione, la francese Clotilde Reiss, ricercatrice all´Ifri, ultimo centro di ricerca straniera presente nel paese, e alcuni impiegati delle ambasciate francese e britannica, con l´accusa di essere parte di un «progetto di una rivoluzione di velluto», significa mettere, di fatto, sotto accusa Parigi e Londra. Indicate come fautrici di un rovesciamento di potere destinato a mettere all´angolo le componenti che fanno capo a Ahmadinejad e Khamenei. Processi, senza garanzie e condizionati dalla pressione, fisica e psicologica, in cui, in una sorta di "buio a mezzogiorno" in salsa iraniana, gli imputati sono obbligati a confessare le loro colpe se vogliono avere qualche probabilità di vedersi infliggere pene meno dure e, per quanto riguarda gli occidentali, essere prima o poi espulsi. E così è avvenuto. Del resto, le accuse di spionaggio, violenze e attentato alla sicurezza nazionale, comportano condanne che possono andare da cinque anni di reclusione sino alla pena di morte, se essi fossero riconosciuti come mohareb, «nemici di Dio». Di fronte alla violenza della repressione, chi è alla sbarra cerca di limitare i danni, in attesa di tempi migliori. Repressione che colpisce duramente all´interno per mandare un segnale forte. Agli oppositori nelle piazze. A quanti fanno parte dello storico gruppo dirigente della Repubblica Islamica, a partire da Rafsanjani sino ai suoi alleati Khatami e Moussavi, perché comprendano che tenere ancora aperta questa frattura potrebbe portare conseguenze traumatiche anche per loro. Scelta che, coinvolgendo cittadini europei o personale di ambasciate Ue, parla anche all´esterno. A Francia e Gran Bretagna in particolare, paesi che sono coinvolti nel negoziato nucleare e giudicati dagli attuali vincenti a Teheran più ostili degli Stati Uniti di Obama. Una reazione delle fazioni antioccidentali, che rispondono colpo su colpo alle carte filoccidentali giocate in queste settimane dalle fazioni messe ai margini dal 12 giugno. Tensioni che avranno inevitabilmente riverbero sulle relazioni con Teheran: la stessa presidenza di turno svedese, ha dichiarato che il processo alla studentessa francese e ai due impiegati dell´ambasciata di Francia e di Gran Bretagna, è un atto contro l´intera Unione e che ne saranno tratte «le dovute conseguenze». Nelle prossime ore si capirà se l´Iran sta usando Londra e Parigi come "capri sostitutivi" o se lo scontro si allargherà anche agli Stati Uniti. Gli iraniani hanno nelle loro mani tre americani arrestati al confine con l´Iraq, formalmente per «ingresso illegale» nel Paese. Se venissero processati per spionaggio le tensioni si allargherebbero all´America di Obama, ancora decisa a andare a vedere le carte di Teheran sul nucleare nonostante gli avvenimenti dell´estate calda iraniana.

Torna all'inizio


usa, sulla sanità è l'ora delle risse - angelo aquaro (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 09-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri Il movimento "Pack the hall" all´attacco: scontri e feriti durante i comizi dei Democratici Il movimento anti-riforma si chiama "Pack the Hall". Palin scatenata: "Il piano di Obama è il male assoluto" Usa, sulla sanità è l´ora delle risse Blitz dei Repubblicani, scontri e feriti ai comizi dei Democratici Blitz dei Repubblicani anti-riforma sulla sanità di Obama è l´ora delle risse Sarah Palin scatenata: "Il piano del presidente male assoluto" ANGELO AQUARO DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Le ronde antiriforma hanno già raggiunto un obiettivo nella guerra al piano sanità di Barack Obama: riempire le sale del pronto soccorso di contusi e feriti. Il presidente ancora ieri ha parlato della necessità di una new foundation auspicando «il più ampio consenso» intorno a quella riforma sanitaria «che di queste nuove fondamenta è il pilastro». Ma il cantiere è assediato dalle proteste che i repubblicani stanno organizzando in ogni angolo d´America. E intanto l´amministrazione - rivela il New York Times - tratta con l´industria che teme un intervento del governo per abbassare i prezzi delle medicine. L´allarme è alto e perfino un premio Nobel come Paul Krugman scende in campo per denunciare la Town Hall Mob, la folla organizzata che si raduna nei municipi d´America. Organizzata da chi? «Pack the Hall», riempi la sala, corri alla presentazione del piano-sanità: gli ordini partono dai siti repubblicani di FreedomWorks e Tea Party Patriots. «C´è troppa disinformazione sulla riforma», ripete Barack. Ma gli incontri da lui voluti per rilanciare la discussione si sono trasformati negli agguati degli avversari. La voce dei democratici come John Dingell, 83 anni, viene coperta dalle grida della folla: vergogna, vergogna. Dingell, che è un signore, chiama i vocianti «demagoghi»: «Finché avrò la possibilità di esprimere il mio voto, le urla, le intimidazioni o la disinformazione non mi fermeranno». Accade a Romulus, Michigan. Ma le scene si ripetono ovunque. Sarah Palin avverte: il piano sanità è «il male assoluto». Un urlatore tv di professione come il destro Rush Limbaugh paragona il logo della riforma alla svastica nazista. Il Centro Wiesenthal: «Ridicolo e assurdo». I repubblicani giurano che le proteste non sono organizzate ma la storia di Heather Blish è illuminante. La signora è diventata la mamma delle proteste: «Mai affiliata a nessun partito». Fin quando non è saltato fuori che era vicepresidente dei repubblicani di Kewaunee County. Dice Robert Gibbs, portavoce della Casa Bianca: sembra di rivedere le Brooks Brothers Brigade che invasero la Florida al tempo della guerra dei voti tra Bush e Gore: sembravano spontanee, erano mandate da Washington. «Macché: i sondaggi offrono la fotografia di ciò che succede nel paese», dice al Wall Street Journal Rick Scott dell´associazione "I diritti dei Pazienti": «La gente è veramente preoccupata, alcuni sono veramente arrabbiati e esprimono quello che provano». Quello che provano, e che fanno provare agli altri. Botte, spintoni. «Diciamo a questa gente basta» insiste uno spot democratico sul web. «Fate sentire la vostra voce, chiamate questo numero». Fai quel numero, il numero del partito repubblicano, e un nastro dice: «Se chiami riguardo allo spot democratico premi uno, buona giornata». Premi uno, e sei rispedito sul centralino del partito democratico. La battaglia sulla sanità si combatte anche così.

Torna all'inizio


nel fortino sotto assedio del tg3 "berlusconi sembra saddam" - alessandra longo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 09-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 8 - Interni I giornalisti preoccupati dal pressing di Palazzo Chigi: facciamo il nostro dovere Nel fortino sotto assedio del Tg3 "Berlusconi sembra Saddam" Su Facebook sono centinaia i messaggi di solidarietà inviati alla Rete Tre ALESSANDRA LONGO ROMA - Insistono, testardi, proprio non hanno capito, quelli del Tg3. Silvio Berlusconi dice che il servizio pubblico non deve disturbare il manovratore, non deve dare notizie «negative», anti-governative. E loro cosa fanno? Continuano a collegarsi, anche ieri, anche dopo quell´editto in conferenza stampa, con gli operai della Innse di Milano, disperatamente appesi ad una gru. Sottinteso: c´è la crisi, qualcuno non si diverte. Non sarebbe meglio un servizio sui gelati più venduti in questa torrida estate 2009? Nell´edizione dell´ora di pranzo, ecco Mariella Venditti (che il premier definisce «birichina») dar parola a chi lotta per un posto di lavoro. «Non li possiamo abbandonare. Personalmente sento un dovere», spiega Maurizio Mannoni che domani tornerà sull´emblematica vicenda della fabbrica a «Linea Notte». Dovere di informare. Per Berlusconi, che ha dato dei «delinquenti» ai giornalisti del gruppo Espresso, un Tg, per giunta pubblico, che perseveri l´obiettivo di raccontare la realtà ha un che di eversivo. Venditti reagisce così: «Facciamo semplicemente il nostro mestiere, magari altri hanno smesso di farlo. Non nascondiamo niente, virgolettiamo i fatti». Business as usual, anche se il capo dell´"azienda Italia" li ha puntati. Anche se si lavora con «tristezza», come dice il cdr del Tg3, mentre altri colleghi, a voce, parlano piuttosto di «preoccupazione», di una deriva mai conosciuta prima. Mannoni, per esempio: «Ne ho viste tante, da «Samarcanda» in poi, ma come adesso no, mai. Una volta ti poteva succedere di assistere a tentativi di ridimensionare una notizia, ma non di farla sparire del tutto. Questo fa rabbrividire». Nei corridoi del Tg3, a Saxa Rubra, i pochi sopravvissuti, non all´editto, ma alle ferie estive, si chiedono quale sia il modello di informazione vagheggiato dal premier. Qualcuno evoca il ministro della propaganda iracheno di Saddam. Ricordate Mohammed Saeed al-Sahaf, quel mattacchione, diventato poi cult, che andava in onda su tutte le televisioni del mondo assicurando che «no, non era vero, nessun americano era arrivato a Baghdad»? Modello Al Sahaf: rimuovere la realtà, tutto ciò che non piace, non è in linea. Giovanna Botteri, una che Saeed al Sahaf l´ha conosciuto sul serio, ora corrispondente da New York, racconta l´approccio americano: «Qui alle conferenze stampa non guardano in faccia nessuno. Mai Obama si sognerebbe di rispondere a quelli della Fox dicendo loro "Siete di destra, lavorate contro di me" e nemmeno Bush lo ha fatto con il New York Times. Sarebbe semplicemente una cosa impensabile. Roba da impeachment il giorno dopo. C´è un territorio libero, garantito dalla Costituzione, che nessuno può toccare ed è avulso dalla politica. Esercitare quel diritto fondamentale della democrazia, che è la libertà di espressione, non significa muovere milioni di voti. Le cronache, anche spietate, sull´affaire Lewinsky non hanno intaccato il gradimento degli americani per Clinton e quelle, altrettanto dure, sugli effetti devastanti della guerra in Iraq non hanno impedito a Bush di ricevere un secondo mandato presidenziale». In Italia si vola basso. Qui il presidente del consiglio si appunta su un foglietto quanti titoli di testa contro il governo ha "sparato" il Tg3. «Li ho contati, l´altro giorno erano ben quattro, tutti negativi», dice. Poi la minaccia: «Non possiamo più sopportare una cosa del genere». E il Tg3? «Manteniamo la nostra idea di servizio pubblico – assicura Oliviero Bergamini del Cdr – Andiamo avanti. Ancora di più». E non c´entra niente Telekabul. «Non si tratta di fare il telegiornale della sinistra ma di rifiutare il ruolo di seminatori acritici di ottimismo, di dire le cose come stanno». Fuori i partiti, dentro le notizie. E a questo proposito l´idea che le nomine dei direttori di Tg3 e RaiTre siano congelate in attesa del congresso Pd, come è stato scritto, non entusiasma Mannoni: «Mi piacerebbe, prima di andare in pensione, che qualcuno si alzasse e dicesse: "Noi, con le nomine, non c´entriamo. Che decidano i vertici Rai». «Bravi, andate avanti così, resistete, non lasciatevi intimidire da Papi. Se la verità non gli piace è un suo problema!». Dopo l´editto, ecco centinaia di reazioni sulla pagina Tg3 di Facebook (4300 fans contro i 2700 del Tg1). Antonio Di Bella, il direttore, è in vacanza sul lago Maggiore, a due passi dalla villa di Marina Berlusconi. Anche lui assediato da messaggi e telefonate: «Ho dovuto staccare il cellulare...», dice, con un sorriso.

Torna all'inizio


Minacce e svastiche contro la nuova sanità della riforma Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 09-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 09/08/2009 - pag: 32 La sfida Dalla Pennsylvania al Texas, la protesta dei repubblicani Minacce e svastiche contro la nuova sanità della riforma Obama Il progetto per l'estensione dell'assicurazione medica DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Brad Miller, deputato democratico del North Carolina, è stato minacciato di morte. John Dingell, suo compagno di partito del Michigan, l'hanno dovuto scortare fuori dalla sala dov'era venuto a discutere della riforma sanitaria. Frank Kratovil, rappresentante del Maryland, ha visto il suo ritratto appeso a un cappio. Kathy Castor della Florida non ha potuto neanche aprire bocca, perché in platea si era scatenata una rissa con annessa scazzottata. E Kathleen Sibelius, ministro della Sanità di Barack Obama, non ha finito il suo discorso a Filadelfia, fischiata da un folto gruppo di urlatori che si era mescolato al pubblico. Succede da Tampa a St. Louis, dalla Pennsylvania al Texas. Commando di dimostranti confrontano i membri del Congresso e dell'Amministrazione, inviati nei collegi per spiegare e vendere agli americani il progetto più difficile e ambizioso della Casa Bianca. Sabotano i meeting comunali, gridano slogan impedendo agli oratori di parlare, arringano la folla presente per aizzarla contro una riforma bollata a turno «socialista» o «nazista», accusano il governo di tirannia. In molti casi si registrano feriti e arresti. L'America conservatrice riscopre la vocazione del Boston Tea Party, la rivolta fiscale che fece da detonatore alla Rivoluzione delle colonie. Il progetto obamiano, promesso in campagna elettorale, di dare l'assicurazione medica anche a quei 46 milioni di cittadini che oggi non ce l'hanno, riducendo allo stesso tempo i costi del sistema sanitario più caro del mondo, innesca paure ancestrali in una popolazione da sempre diffidente dell'intrusione statale. Sfruttandole ad arte, i conservatori accusano l'Amministrazione di voler nazionalizzare la salute e creare un sistema dove sarà Washington e non più i medici a decidere. Fin qui nulla di strano, normale dialettica democratica. Ma l'ondata di incidenti registrati in questi giorni fa dire ai democratici che i gruppi della destra hanno messo a punto una strategia della destabilizzazione, basata su false informazioni, messaggi emotivi e tecniche anti democratiche, con l'unico scopo di deragliare l'intero progetto. Le prove a sostegno di questa tesi non mancano. E se l'invito a «diventare parte della folla sediziosa » viene lanciato anche dal sito online dell'anchor di Fox News , Sean Hannity, un vero e proprio promemoria strategico appare sulla pagina web dei Tea Party Patriots, un gruppo anti fiscale di estrema destra, dove vengono dettagliati i metodi su come far fallire una riunione con i cittadini: «Riempite la sala», «Cominciate a gridare dall'inizio », «Impedite all'oratore di seguire il filo del suo discorso, contestate subito ogni cosa che dice ». In alcuni casi, è successo per esempio a Boiling Springs, in South Carolina, ne hanno fatto le spese anche deputati repubblicani, che cercavano di argomentare un'opposizione articolata, ma non un rigetto totale del piano di riforma. Da ultimo sono apparse le svastiche. A una riunione con la Speaker della Camera, Nancy Pelosi, alcuni dimostranti hanno innalzato cartelli dove i simboli nazionalsocialisti venivano associati all'immagine di Obama e il testo della riforma democratica è scritto a caratteri gotici. Anche il noto imbonitore radiofonico di destra, Rush Limbaugh, ha paragonato i democratici alle SS. Ieri il Centro Wiesenthal e l'Anti Defamation League hanno protestato duramente contro questi accostamenti. I repubblicani negano ogni collegamento organico con la protesta. Ma la usano, con il calo del presidente nei sondaggi, a riprova che gli americani non vogliono una riforma sanitaria, che preveda un parziale ruolo pubblico. L'Amministrazione però non intende mollare. Accusa l'opposizione di sabotare il processo democratico. E promette di rispondere a tono: «Se ti colpiscono, risponderemo con il doppio di durezza », dice Jim Messina, vice capo dello staff alla Casa Bianca. In piazza Un gruppo di manifestanti davanti al Comitato del Colorado a favore della clinica per i senza tetto di Denver, dove il portavoce della Casa Bianca, Nancy Pelosi, ha parlato di sanità. Sotto, il presidente Usa Barack Obama Paolo Valentino © RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna all'inizio


on solo russi, cinesi, iraniani, arabi e coreani. Nella lista dei nemici potenziali dell'Americ... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 10-08-2009)

Argomenti: Obama

on solo russi, cinesi, iraniani, arabi e coreani. Nella lista dei nemici potenziali dell'America accanto a loro oggi sono apparsi tifoni, carestie, alluvioni, cicloni, tsunami. Il deserto che avanza e il ghiaccio polare che si scioglie vengono catalogati come minacce accanto a Bin Laden e Kim Jong-il. Attacchi missilistici delle potenze nucleari, codici militari violati, Stati-canaglia che rubano l'atomica, terroristi islamici che complottano per colpire le città dell'Occidente: gli incubi che per anni hanno affollato le menti degli strateghi del Pentagono non sono più questi. O almeno non solo. Forse perfino peggiori di quelli della guerra fredda, perché con la natura non si può trattare e non si può mandare una squadra di superaddestrati marines a eliminare l'effetto serra. E' una nuova guerra mondiale. Da quest'anno il Pentagono e il Dipartimento di Stato Usa catalogano il clima come una delle minacce alla sicurezza nazionale americana. Esperti di intelligence e analisti studiano i calendari dei monsoni e le siccità in Africa. Di recente sono state svolte simulazioni di «war games» su disastri indotti dai cambiamenti climatici, utilizzando sofisticati programmi di simulazione del clima usati dalla Marina e dall'Aviazione, insieme alle ricerche della Nasa e dell'Amministrazione nazionale per l'Oceano e l'Atmosfera. Un'esercitazione «virtuale» alla National Defense University ha affrontato il «modello» di un'alluvione devastante nel Bangladesh: centinaia di migliaia di profughi spinti dall'acqua in India, già sovrappopolata, facendo scoppiare incendiari conflitti per il territorio, scontri tra genti di religioni differenti e diffondendo malattie contagiose importate dalla zona del disastro, con conseguente crollo delle già fragili infrastrutture dell'area. Uno scenario alquanto probabile che, nella simulazione, «diventa subito estremamente complicato», dice al New York Times Amanda J. Dory, che lavora con il gruppo del Pentagono incaricato di inserire nell'agenda della sicurezza nazionale le minacce derivanti dal cambiamento climatico. Che sono tante e inesorabili. Cicloni e siccità possono scatenare pandemie e carestie che spingono a migrazioni di massa, milioni di persone in fuga, a combattere per risorse elementari come il cibo e l'acqua, che all'improvviso diventano drammaticamente insufficienti per tutti. Situazioni nelle quali sguazzerebbero movimenti terroristici ed estremisti di varia natura, tragedie che alimenterebbero nazionalismi violenti e guerre religiose, facendo vacillare governi di mezzo mondo. Secondo i «war games» svolti dal Pentagono e le ricerche delle agenzie di intelligence americane, già oggi si possono delineare le aree maggiormente a rischio nei prossimi 20-30 anni per questi sconvolgimenti «clima-dipendenti»: l'Africa sub-sahariana, una delle zone più popolate e povere del mondo, il Medio Oriente, dove gli antichi conflitti politico-religiosi potrebbero ricevere nuova linfa dalla mancanza dell'acqua e dall'esplosione demografica, e il Sud-Est asiatico, dove centinaia di milioni di persone vivono sotto la spada di Damocle di violenti terremoti, tsunami e uragani. Pericoli ormai considerati inesorabili: anche se i diversi negoziati sul cambiamento climatico porteranno alla drastica riduzione delle emissioni di gas serra, il meccanismo già avviato di riscaldamento globale rischia comunque di produrre delle conseguenze nei prossimi decenni. E così dai tentativi di prevenzione si passa ai più pragmatici piani per affrontare emergenze inevitabili. Sia da un punto di vista umanitario - l'esercito e l'aviazione americana studiano piani per ponti aerei e interventi urgenti in caso di disastri naturali e migrazioni di massa - che da un punto di vista strategico. Milioni di persone senza casa, senza mezzi di sostentamento e senza cibo, in fuga da uno tsunami o da un'epidemia possono diventare un pericolo sociale e politico, e quindi anche militare. E il moltiplicarsi delle emergenze umanitarie in giro per il mondo, avverte il National Intelligence Council, rischia di impegnare risorse militari destinate alle attività belliche vere e proprie. L'innalzamento del livello dei mari cambia già oggi lo scenario di eventuale guerra, mettendo a rischio diverse postazioni americane. Alcune basi dell'aviazione in Florida sono state distrutte o danneggiate dagli ultimi uragani, e il livello dell'oceano in aumento costringe a riprogettare le basi navali a Norfolk e San Diego. Ancora più a rischio è la base a Diego Garcia, l'atollo nell'oceano Indiano snodo cruciale per le forze americane e britanniche in Medio Oriente. L'isolotto è praticamente a livello del mare, e potrebbe venire sommerso se le previsioni sull'innalzamento degli oceani si avverassero. Lo scioglimento dei ghiacci apre invece un «buco» nelle difese polari: nella calotta artica si apre un canale navigabile che richiedere la revisione di tutti i piani strategici di diversi Paesi. Un esempio di guerra «clima-dipendente» esiste già, dice al New York Times John Kerry, ex candidato democratico alla presidenza e oggi, da presidente del Comitato per le relazioni internazionali del Senato, capofila di questa nuova battaglia ecologico-strategica. E' il Sudan meridionale, dove la siccità e la crescita dei deserti ha ucciso o costretto alla fuga decine di migliaia di persone, producendo un conflitto per ora senza soluzione: «E' un'esperienza destinata a ripetersi, e su scala sempre più vasta», dice il senatore, che per conto di Barack Obama si appresta a convincere il Senato ad approvare il pacchetto di leggi sul clima e l'energia già votato a giugno dalla Camera. Userà, tra gli altri, il nuovo argomento della minaccia strategica derivante dal mercurio in inarrestabile aumento. L'altra alleata di Obama è Hillary Clinton, che da senatrice aveva autorizzato, nel 2008, modifiche al budget del Pentagono per includere i cambiamenti climatici nei piani strategici. Ci sarà per la prima volta una sezione dedicata al clima nel suo rapporto sulla Difesa che uscirà a febbraio, e il Dipartimento di Stato - oggi guidato proprio da Hillary - farà altrettanto nel suo rapporto su diplomazia e sviluppo. Diverse agenzie di intelligence stanno studiando i vari risvolti del cambiamento climatico, anche a livello delle singole nazioni, per capire se i vari governi riusciranno a reggere la pressione di calamità naturali che producono terremoti sociali, economici e umani. «Dovremo pagare per il cambiamento climatico, in un modo o in un altro», dice il generale Anthony C. Zinni. «O pagheremo per ridurre le emissioni di gas serra, con ripercussioni economiche. O pagheremo il prezzo più tardi, in termini di impiego militare, e di vite umane».

Torna all'inizio


"Il regime certo crollerà ma non tanto presto Chi ha vinto? La Russia" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 10-08-2009)

Argomenti: Obama

Intervista L'analista Ali Ansari "Il regime certo crollerà ma non tanto presto Chi ha vinto? La Russia" L'iraniano che parla a Brown FRANCESCA PACI CORRISPONDENTE DA LONDRA Ahmadinejad è stato riconfermato presidente, ma il vero vincitore della partita è la Russia». Per capire gli sviluppi possibili della protesta di Teheran, Ali Ansari, uno dei massimi esperti d'Iran, consiglia di guardare a Mosca. Sono giorni concitati per il fondatore dell'Institute for Iranian Studies che fa la spola tra il Foreign Office britannico, alle prese con la sfida frontale degli ayatollah, e i colleghi del think tank Chatham House con cui ha prodotto il rapporto sulle incongruenze delle elezioni del 12 giugno analizzate provincia per provincia. «La fine del regime è cominciata», dice. Eppure l'epilogo non sarà breve: «Nell'immediato la situazione s'inasprirà, oggi un conflitto è più probabile». Le autorità iraniane alzano il livello dello scontro e mandano alla sbarra giornalisti considerati nemici, avversari politici, i dipendenti dell'ambasciata britannica accusati d'aver fomentato la protesta. Cosa contano di ottenere? «Il governo iraniano deve mostrarsi sicuro, dare l'impressione che la situazione sia sotto controllo e lo scollamento tra leadership e popolo sia una fantasia occidentale. Ma per quanto tenti di liquidare i rivoltosi come una minoranza pilotata dall'estero ha capito che sarà impossibile controllare il processo innescato dalle proteste. Sotto traccia s'è messo in moto qualcosa che non si fermerà se non si trova una soluzione». Prevede un aumento della violenza? «Chi manifesta in strada a Teheran ha paura, ovviamente. Ma il governo ne ha ancora di più, è in difficoltà, agisce in modo paranoico. Per uscire dall'impasse, la Guida Suprema Khamenei fa appello all'unità nazionale, tenta di far passare il messaggio che bisogna serrare le fila di fronte all'offensiva straniera contro la sovranità iraniana. La rabbia della gente però è a livelli eccezionali, c'è il potenziale per una grande rivolta». Vincerà l'establishment? «Ci vorrà tempo, forse ce ne vorrà molto, ma la fine del regime è cominciata. I politici più acuti del governo l'hanno capito. Avrebbero dovuto agire diversamente all'inizio, assumere che nessuno dei candidati riformisti contestava la Repubblica islamica e assimilare le riforme proposte. In fondo Ahmadinejad è estremamente impopolare anche nelle alte sfere. Invece la protesta ha scioccato tutti, dopo i primi giorni non restava che la scomunica. Ci sarà una resa dei conti all'interno del clero, ma al momento, tranne il Cremlino, non ci sono vincitori». Perché Mosca? «La Russia esce benissimo dalla crisi iraniana, mira a mantenere lo status quo. Il caos conviene forse anche a Israele che vuole dimostrare l'inaffidabilità di Teheran, ma il Cremlino ha forti interessi di potere nella regione e sfida l'asse euro-americano. Dietro ogni anatema antioccidentale di Ahmadinejad c'è la Russia. Il presidente Obama può archiviare qualsiasi ipotesi di dialogo con l'attuale Iran. La corsa al nucleare subirà un'accelerata e la tensione nella regione crescerà: in queste condizioni un conflitto è più probabile». Come spiega l'offensiva degli ayatollah contro la Gran Bretagna? «C'è il tentativo di compattare il paese contro l'antico nemico». L'Iran rurale continua a sostenere Ahmadinejad. Non è così? «Assolutamente no. E' una leggenda. Quanti sono gli abitanti dei villaggi rurali? Il 30 per cento della popolazione e tra loro non tutti hanno votato per Ahmadinejad. Da anni le campagne si spopolano: le elezioni ormai si vincono nelle città. Il declino della popolarità del presidente si spiega con Antonio Gramsci, molto letto in Iran. C'è una crisi d'egemonia culturale che mina l'autorità e la legittimità islamica. Se ne esce solo, e temporaneamente, dirottando l'attenzione altrove». www.lastampa.it/paci

Torna all'inizio


"Italiani d'America, i mostri eravate voi" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 10-08-2009)

Argomenti: Obama

1891 "Italiani d'America, i mostri eravate voi" L'esperto di identità italiana all'estero Moe: l'ostilità anti-emigranti grande amnesia da nuovi benestanti Il linciaggio di New Orleans Quando gli uomini di serie B eravamo noi. Brutti sporchi e naturalmente tutti un po' mafiosi. «Che paradosso, è un grande caso di amnesia che proprio in Italia si alimentino nuove chiusure verso gli emigranti. E pensare che gli italiani negli Stati Uniti sono stati a lungo le vittime del pregiudizio, soprattutto all'inizio del Novecento». Poi le cose, poco a poco, sono cambiate, ma la strada è stata lunga, riflette Nelson Moe, professore di Cultural Studies a Columbia University, grande studioso di emigrazione italiana in America, e autore del recente Traffici criminali. Camorra, mafie e reti internazionali dell'illegalità (per Bollati Boringhieri). «C'è questa espressione in inglese, half-life, per indicare materiali che resteranno radioattivi anche per trecento anni: ecco, il pregiudizio sugli italiani è un po' così, durissimo a morire. Adesso ormai gli italiani fanno parte di un establishment potente e temuto, e sono anche ben visti, però non è stato sempre così, anzi; ovviamente non lo era all'inizio del secolo, ma anche in tutti gli anni sessanta e settanta il pregiudizio ha resistito, anzi, è rifiorito, complici le grandi serie tv sulla mafia». Sostiene Moe che esiste un vero «parallelo» tra l'Italia di oggi e l'America dei primi anni del secolo: «Entrambi i paesi avevano una sostanziale omogeneità, l'America di allora non era ancora mescolata, aveva un ceppo dominante integralmente anglosassone, ricco, anziano, impermeabile». Il professore apprende dell'ultima polemica del leader della Lega Umberto Bossi con il presidente della Camera Gianfranco Fini. Ma il suo discorso ne indica semmai le radici eluse. «Mi sorprende questo sentimento che Gianni Amelio spiega benissimo nel suo film Lamerica, di italiani benestanti completamente dimentichi del passato». Seguirlo significa muoversi tra storia, libri, film. «All'inizio del Novecento in America c'è un miscuglio di disprezzo e ostilità che colpisce soprattutto i neri e gli italiani, visti come un popolo del sud, mediterraneo, inetto, inaffidabile. Sono pregiudizi, attenzione, coltivati non solo nei bassifondi, ma nelle élite, economiche e intellettuali: basti pensare che li nutriva un uomo come Henry James. Pregiudizi che producono eventi come i fatti di New Orleans, dove nove siciliani vengono massacrati nel 1891 perché ritenuti colpevoli dell'uccisione del capo della polizia». E fu il più grande linciaggio della storia Usa. Ben presto allo stereotipo anti-italiano si sovrapporrà il cliché di Al Capone: «L'ascesa del gangster fa coincidere l'idea di italiano con figure famose, losche, ma quasi affascinanti». Sarà, paradossalmente, Il padrino a cambiare le cose: «Coppola non sopportava che l'élite wasp, che considerava corrotta e moralmente non in grado di dare lezioni, si ergesse a giudice, dunque il senso del film è tutto in quella frase di Vito Corleone: voi wasp pensate che i criminali siamo noi, ma i veri criminali sono alla Casa Bianca». È la frase chiave di un ribaltamento che nei '60 e '70 vivrà fasi alterne. «A cavallo del Vietnam la crisi di legittimità di questa identità americana bianca si sposa con la comparsa sulla scena di gruppi che rivendicano un'identità positiva, i neri, soprattutto, con Malcolm X, ma anche le donne, gli indiani, e appunto gli italiani». Times they're a changing, avrebbe detto Dylan. Ma il filo sotterraneo della discriminazione, che si credeva districato, può tornare a annodarsi anche in anni recenti. E a Moe piace il suggerimento di riflettere su un film emblematico dei nostri anni, di Spike Lee, Fa' la cosa giusta. Vi si racconta una rivolta di neri di Harlem degli anni quaranta originata da una rissa in una pizzeria, in cui il proprietario, italoamericano, uccide un nero, che lo accusa di razzismo. «Spike Lee fa capire che questi italiani, appena arrivati, erano avvertiti come un pericolo, ma non li giudica: nella sua visione loro e i neri sono, a pari titolo, i grandi discriminati della storia americana». Ora, con Obama, è il tempo del riscatto: «Ma guardi come sono ancora trattati i neri dove vivo, al confine sud di Harlem». Gli italiani nel frattempo hanno scalfito l'odio anche grazie a figure diverse, la musica, il cinema, la politica, «uomini come Frank Sinatra, o Coppola, o Fiorello La Guardia, sindaco amatissimo di New York». Il soft power, già, anche contro i pregiudizi.

Torna all'inizio


la "prima guerra mondiale del clima" allarme di militari e intelligence usa - angelo aquaro (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 10-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 15 - Economia La "prima guerra mondiale del clima" allarme di militari e intelligence Usa Un´analisi della Difesa americana censurata nell´era Bush: l´ambiente è una mina vagante ANGELO AQUARO DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - «Centina di migliaia di persone premono al confine con l´India, in fuga dalle terre sommerse. Il Pakistan è in ginocchio. E quelle centinaia di migliaia di rifugiati riaccendono il conflitto tra islamici e induisti. La violenza divampa. L´intera regione è fuori controllo... ». L´apocalisse prossima ventura non è descritta nella sceneggiatura di un film ma nel rapporto allarmantissimo che la National Defense University, un istituto controllato dall´intelligence e dai militari, ha stilato alla fine dello scorso anno, Giorgio II Bush ancora imperante, e di cui il New York Times rivela ora l´esistenza. Inondazioni, guerre, carestie. Il disastro alle porte ha la firma di un solo colpevole: il cambiamento climatico. Ma la straordinaria novità dell´ultimo allarme è nella firma. Non un´associazione ambientalista, non gli attivisti del verde, ma i militari, la Difesa, l´intelligence. «Dovremo pagare per tutto questo, in un modo o nell´altro», dice Anthony C. Zinni, ex generale della Marina e capo del Comando centrale. «Pagheremo per ridurre le emissioni di gas oggi: e avremo un contraccolpo economico durissimo. Oppure pagheremo più tardi e in termini militari: a costo di vita umane». Gli studi erano stati praticamente censurati sotto l´amministrazione Bush: è di pochi giorni fa la "riscoperta" di una serie di foto, tenute nascoste, che dimostrano come il cambiamento climatico si sia già bevuto una parte dei ghiacci dell´Artico. Ma adesso in prima fila ci sono il Pentagono e il ministero della Difesa, con l´aiuto della Nasa. Nei prossimi venti o trent´anni, prevedono gli studi, la diminuzione di cibo, la siccità e le inondazioni richiederanno dall´Africa sub sahariana al Sud Est asiatico la scelta fra due strade: l´aiuto umanitario e la risposta militare. Ma davvero solo l´intervento militare potrà gestire un´emergenza simile? Il dibattito cade negli Stati Uniti alla vigilia della discussione al Senato di quel pacchetto-clima che tra mille mal di pancia Barack Obama è riuscito a far digerire alla Camera. John Kerry, proprio l´ex sfidante di Bush, sta facendo un lavoraccio per convincere una trentina di senatori, soprattutto del Sud, che pagherebbero i tagli sul carbone con l´aumento delle tariffe. Ecco, il carbone. La potente lobby è già finita nello scandalo con la pubblicazione delle finte lettere al Senato in cui esponenti ambientalisti chiedevano di fermare la riforma. Falsità gravissime, molto al di là del consueto lavoro di lobbying. Ora la discesa in campo di intelligence e difesa potrebbe essere un´arma in più per Obama. Un disastro ambientale, rileva una ricerca del Dipartimento di Stato, metterebbe a rischio perfino strutture militari come le basi navali di Norfolk e San Diego. Si teme per Diego Garcia, l´isolotto nell´Oceano Indiano da cui gli Usa partirono all´attacco dell´Afghanistan. La minaccia è altissima: la prima guerra mondiale del clima potrebbe essere davvero l´ultima.

Torna all'inizio


cambia il cerimoniale e buckingham palace volta le spalle alla regina - marco pasqua (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 10-08-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 19 - Esteri Cambia il cerimoniale e Buckingham Palace volta le spalle alla regina Londra, archiviata la tradizione più antica Scrive il Telegraph: "Troppi illustri visitatori hanno rischiato di inciampare" Nel congedarsi, gli ospiti di Elisabetta non dovranno più camminare all´indietro MARCO PASQUA è considerata una delle più antiche tradizioni della monarchia britannica e uno dei capisaldi dell´etichetta di corte. Ma adesso, la regola di camminare all´indietro quando si esce dalla stanza in cui si trova la regina, cede il passo al timore che qualcuno possa farsi male e intentare una causa di risarcimento danni. Per questo Buckingham palace, secondo quanto scrive il Daily Telegraph, ha deciso di ritoccare in chiave moderna il rigido protocollo previsto per i dipendenti e per gli ospiti della regina Elisabetta, rendendo superfluo questo tipo di commiato. La pratica di camminare all´indietro era stata introdotta, in epoca medioevale, in segno di rispetto nei confronti della sovrana. Allora, voltarle le spalle era considerato un atto di grande maleducazione. E, secolo dopo secolo, l´usanza si è tramandata, di dipendente in dipendente, coinvolgendo anche gli ospiti. Ma a far preoccupare la regina sarebbero i rischi per la sicurezza di quanti devono congedarsi da lei, schivando eventuali ostacoli ed evitando di inciampare. Nell´ipotesi di un eventuale incidente, infatti, il ferito potrebbe rivalersi su Buckingham palace. Da qui la decisione di modificare il protocollo, con tre eccezioni, tante quante sono le persone che continueranno a non poter mostrare le spalle a Sua Maestà. Una soluzione, quella adottata dai reali, pensata per non cancellare del tutto la tradizione, ma per aggiornarla in chiave moderna, evitando eventuali cause in seguito ad un incidente sul lavoro. Continueranno a dover camminare all´indietro il cerimoniere dei corpi diplomatici (responsabile dei rapporti col mondo della diplomazia londinese), e il funzionario di corte della sovrana, una sorta di assistente personale proveniente dalle forze armate. Una terza persona sarà tenuta a non infrangere la tradizione, ma soltanto una volta all´anno, durante la solenne cerimonia di apertura del Parlamento. In questo caso, il Lord cancelliere deve percorrere all´indietro i gradini che portano al trono reale, subito dopo aver presentato la regina, prima del suo discorso ufficiale. Il consigliere diplomatico e l´assistente personale, dunque, dovranno lasciare la stanza secondo l´antica tradizione, sia quando vengono convocati dalla regina, quando questa vuole impartire loro delle disposizioni, ma anche quando introducono degli ospiti, stranieri e non, nella sala riservata alle udienze. Al cerimoniere, che è anche considerato tra i massimi conoscitori dell´etichetta reale, spetta il compito di ricordare gentilmente agli ambasciatori, durante la presentazione delle lettere credenziali alla regina, come ci si deve avvicinare alla sovrana: «Un passo, seguito da un inchino col capo. Un secondo passo, e un secondo inchino». Non cambiano, invece, le tante e varie consuetudini protocollari che si rispettano ormai da secoli: quando la regina ha smesso di mangiare, devono farlo anche i commensali; mai abbracciarla (un´eccezione fu registrata ad aprile, quando incontrò Michelle Obama e fu lei stessa a "toccare" la First Lady, che le appoggiò a sua volta un braccio sulla spalla) o chiamarla per nome (la formula corretta è «Sua maestà» la prima volta, «ma´am», signora, quelle successive); mai cambiare argomento di discussione; resta anche buona norma fare domande che la sovrana possa apprezzare. Esistono poi regole dettate dal buon senso, come il non urlare mai in sua presenza: a questo proposito rimarrà celebre la gaffe (anche se poi smentita da un comunicato di Buckingham Palace) di Silvio Berlusconi al G20 di Londra.

Torna all'inizio


Cia, via libera all'inchiesta (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 10/08/2009 - pag: 15 La scelta di Holder «Torture» Cia, via libera all'inchiesta DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Il ministro della Giustizia americano, Eric Holder, starebbe per nominare un procuratore speciale, con l'incarico di indagare sui presunti abusi commessi dalla Cia negli interrogatori dei sospetti terroristi. Lo anticipa il Los Angeles Times, citando fonti governative, secondo cui Holder avrebbe in mente un'inchiesta delimitata, concentrata unicamente nell'accertare «se qualcuno sia andato le oltre le tecniche autorizzate» dai manuali messi a punto dall'Amministrazione Bush, sulla base di un'interpretazione molto larga di leggi e convenzioni che proibiscono l'uso della tortura. Secondo i funzionari del Dipartimento di Giustizia e della Cia che hanno parlato con i reporter del quotidiano e hanno visto i dossier, sarà comunque molto difficile arrivare a delle incriminazioni formali, vista la scarsa verificabilità delle prove e l'incertezza delle basi giuridiche, mai sottoposte al test di una corte. I casi in discussione sono in parte inediti, in parte già conosciuti. Nuovo ad esempio è quello di un agente che durante un interrogatorio mise una pistola sul tavolo per convincere il sospettato a parlare. Altri sono già venuti alla luce, come il ripetuto uso del waterboarding (la tecnica che simula l'annegamento) ben oltre le indicazioni del Dipartimento della Giustizia dell'Amministrazione Bush, o la morte di numerosi detenuti nelle prigioni della Cia in Iraq e Afghanistan nel 2002-2003. Secondo il quotidiano della California, Holder «ha preso in considerazione con riluttanza» l'ipotesi di un'incriminazione penale formale, ma in quanto Attorney General (ministro della Giustizia, ndr ) «sente l'obbligo di applicare la legge». È una posizione che riflette l'atteggiamento di fondo del presidente Obama, deciso a mettersi alle spalle le pagine oscure del predecessore e guardare avanti, ma disposto a lasciare uno spiraglio aperto all'incriminazione di singoli agenti che hanno infranto la legge. Per alcuni osservatori, la nomina e l'inchiesta sono ormai scontati. Holder avrebbe anzi già pronta una short-list di nomi, fra i quali scegliere il procuratore speciale. Il mandato sarebbe di analizzare casi vecchi almeno cinque anni, compresi alcuni già dismessi dai giudici di carriera. L'indagine si allargherebbe con tutta probabilità anche ai contractors privati, come Blackwater, che hanno lavorato per la Cia durante gli interrogatori. Mentre alcuni agenti della Cia hanno rinunciato per ora all'idea di andare in pensione, in modo da avere ancora accesso ai dossier riservati e poter difendersi meglio, certi osservatori mettono in guardia dai rischi dell'inchiesta: «Un procuratore speciale corre il rischio di non approdare a nulla, andrebbe avanti troppo a lungo e intanto farebbe un sacco di danni collaterali», ha detto al Times un ex funzionario del Dipartimento di Giustizia. Paolo Valentino © RIPRODUZIONE RISERVATA Giustizia Il ministro Eric Holder Indiscrezioni Vicina la nomina di un procuratore speciale

Torna all'inizio


Come far soldi con lo swing di un altro (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Sport data: 10/08/2009 - pag: 47 La storia Gar Ryness dai barbecue a Letterman grazie a Youtube. I campioni approvano e lo invitano allo stadio Come far soldi con lo swing di un altro L'«Imitabattitori» è diventato famoso mimando le star del baseball Usa MILANO Gar Ryness ama il baseball e fin da quando era bimbo si diverte a imitare i battitori della Major League: mazza in mano, in posizione e via con lo swing , uno dei gesti sportivi tecnicamente più complicati che esistono. La cosa non è originale ma ai barbecue di San Francisco funziona. Gar, consulente nel mondo dello spettacolo, sollazza gli amici con un mix di tecnica perfetta e abilità caricaturale favorita dai milioni di tic e gesti scaramantici dei battitori, gente al cui confronto un tennista è una sfinge. Gar è buffo, il simpatico cazzaro che vorreste sempre ai vostri party, ma niente di più. Finché un giorno, aprile 2008, un amico non decide di caricare le sue performance su YouTube. Stacco. Agosto 2009. Gar Ryness è diventato una star. Succede infatti che tra i fan dei suoi filmati (arrivati a 2 milioni di contatti) ci siano subito molti giocatori della Major League i quali visto, riso e approvato cominciano addirittura a chiamarlo per recite dal vivo. Come un jukebox, Gar bermuda, cappellino a rovescio, aria da sballone e estro da showman esegue. Famoso quel giorno negli spogliatoi dei San Diego Padres prima di un match: i giocatori in circolo a chiedere («Fammi Jeter!», «Fammi Pedroia! », «Fammi Ortiz!»), lui in mezzo a roteare la mazza in mille stili. Sono boati. Deve intervenire il coach: «Ehi ragazzi, ci sarebbe una partita da giocare là fuori!». Gar intuisce le proprie potenzialità, si dà un nome d'arte, «The Batting Stance Guy» (liberamente: «L'Imitabattitori»), e apre un sito (www.battingstanceguy. com) con la galleria delle imitazioni e degli incontri con le vittime più note. Imperdibili quello con Manny Ramirez il più famoso e discusso giocatore d'America che si sganascia di fronte all'imitazione propria e dei colleghi, e quello con Kevin Youkilis, il prima base dei Boston Red Sox in possesso dello swing più curioso della Lega, mazzate da taglialegna preparate con sculettamenti da lap dancer. Youk non solo scherza, ma illustra nei dettagli la propria tecnica trattando Gar che ovviamente usa la mazza con perizia (ancorché mai con la palla) come un vero collega. L'apoteosi arriva a luglio con la partecipazione al Late Show di David Letterman. «Ma io pensavo fossi un bambino!?», gli dice Dave stupito. Gar, che ha 36 anni e coglie l'assurdità del tutto («Il mio è il talento più inutile e meno vendibile d'America»), scherza, imita stelle del presente e del passato e fa il botto: alcune squadre lo chiamano per gli show nelle pause dei match; la Espn lo inserisce in un servizio (serio) sugli stili di battuta; Fox Sport Net lo ingaggia per il gioco «Guess the stance»: lui mima uno swing, la gente deve indovinare di chi è; la Sony lo sceglie come modello per un gioco virtuale. Il vecchio infantile gioco da giardino è diventato così una ben pagata carriera. «Forse non era il talento meno vendibile d'America... », ammette adesso Ryness. La cui interessante impresa è figlia di un doppio fenomeno. Uno, va da sé, è il web che può trasformare ogni nessuno in qualcuno. L'altro è il baseball Usa, uno sport unico e straordinario, fondato su un quadrato immaginario eppure senza moviole in tv, in cui la gente va allo stadio come a un picnic, in cui giocatori e allenatori vengono intervistati senza problemi durante la partita e in cui Barack Obama all'ultimo All Star Game fa il primo lancio e poi va a cazzeggiare coi telecronisti indossando il giubbotto dei Chicago White Sox senza che nessun tifoso delle altre 29 squadre si senta offeso. In uno scenario simile, fatto sì di business e problemi (per esempio il doping) ma anche di tanta leggerezza, ci sta che star da 20 milioni di dollari l'anno si facciano prendere in giro da un come Gar e che costui riesca a trasformare il nulla in un affare. È tutto molto americano, naturalmente. Da noi, ammesso che se ne senta il bisogno, un tipo così non potrebbe esistere. Primo perché il gesto tecnico del calciatore, più sfuggente e meno meccanico, non si presta. Secondo perché un Imitacalciatori nel nostro serioso pallone del «non parlo dei singoli» non farebbe ridere nessuno. Pensiamo a un Totti che sbraca davanti all'imitazione di Del Piero: sarebbero più i giocatori offesi, i tifosi furibondi o le interrogazioni parlamentari? Domande inutili, in America. Gar, il genio della mazza, le spazzerebbe via con uno swing. Alessandro Pasini © RIPRODUZIONE RISERVATA La copia Gar Ryness, alias The Batting Stance Guy, in azione mentre imita i giocatori dei New York Yankees nel giardino di casa. Da lì è partito per diventare una piccola stella delle televisioni e degli stadi americani

Torna all'inizio


Dare le spalle alla regina: ora si può (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 10/08/2009 - pag: 17 Londra L'obbligo resta solo per il Lord Chancellor, il capo degli scudieri e quello del protocollo diplomatico Dare le spalle alla regina: ora si può Svolta a Buckingham Palace: camminando all'indietro si rischia di cadere DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA Da secoli, principi, ambasciatori e capi di governo in visita a Buckingham Palace devono osservare una regola: al monarca, per rispetto, non si voltano le spalle. Così l'ospite, quando si commiata, occorre che cammini all'indietro, senza girarsi. Cerimoniale che, secondo le più accreditate ricerche degli storici reali, risalirebbe addirittura al medioevo. Stando così le cose, si comprende quanto sia «rivoluzionaria» la decisione presa da Elisabetta. D'ora in avanti, chi incontrerà l'ultima dei Windsor non avrà più da temere nulla: non dovrà cimentarsi in quella difficile e a volte imbarazzante ritirata con la testa china rivolta alla sovrana. «Nel tempo le tradizioni evolvono », commentano i portavoce del Palazzo. Sul come e sul perché sia nata questa svolta protocollare non si hanno, però, dettagli precisi. Un quotidiano londinese molto serio, il Daily Telegraph , avanza una tesi e se lo fa è perché ne ha fondate ragioni più che verificate. Per dirla con una parola sola: sicurezza. O, se si preferisce, incolumità del gradito visitatore. Non si hanno gossip particolari su incidenti accaduti, almeno negli ultimi anni, nei ricevimenti e negli addii finali a Buckingham Palace ma si raccontava che l'interesse e la curiosità di incontrare la regina venissero un po' mitigati dal timore, per diversi ospiti, di scivolare o di andare a sbattere contro il muro o la porta a causa dell'indietreggiamento alla cieca, codificato dalla rigida etichetta reale. Il che, nel malaugurato caso fosse accaduto, avrebbe introdotto qualche nota di comicità e di imbarazzo. Evidentemente, era venuto il momento di passare oltre e archiviare una consuetudine plurisecolare. Non si tocca nulla se Elisabetta non approva. Dunque non si tratta di un colpo di mano, è uno strappo voluto. Negli ultimi mesi la ottantatreenne regina ha lasciato piuttosto esterrefatti gli osservatori delle vicende di Buckingham Palace, cominciando con quell'abbraccio inusuale fra lei e Michelle Obama in aprile. L'ultima volta che un premier aveva osato cingerle la spalla una ventina di anni fa si era cimentato il capo del governo australiano si era gridato allo scandalo e i gelidi custodi dei protocolli avevano ricordato: non si può avere una simile confidenza con i re e le regine. Dopo 57 anni di regno, Elisabetta si è sciolta davanti alla moglie del presidente americano. E le vecchie regole sono andate a farsi benedire. Michelle ha cinto la vita di Elisabetta. Elisabetta ha cinto la vita di Michelle. «Anche la regina ha un'anima », è stato il commento generale, avvalorato dai portavoce del Windsor. Forse è partita da lì, da quella imprevista deviazione al cerimoniale, la decisione di compiere il passo successivo e di riscrivere la sceneggiatura dei saluti. Non sarò considerato un delitto dare la schiena a Elisabetta. Meglio aspettare che sia lei a lasciare la scena ma girarsi, con le dovute maniere, non apparirà una scorrettezza e una mancanza di rispetto. Solo tre persone al mondo avranno l'obbligo di continuare a rispettare l'antico rituale. Il primo è il responsabile («marshal») dei rapporti fra Buckingham Palace e il corpo diplomatico. Il secondo è il capo degli scudieri di corte. Loro sono allenati e non hanno proprio da temere rovinose cadute. Il terzo è il Lord Chancellor, attualmente il laburista e ministro Jack Straw, che formalmente è «il custode della coscienza reale» e nella sostanza l'ufficiale di collegamento fra monarchia e Parlamento. Spetta a lui, al Lord Chancellor, nella tradizionale apertura annuale di Westminster, offrire la parola per il discorso alla sovrana. Poi, avvolto nel lungo mantello nero, il Lord Chancellor s'inchina e indietreggia a capo chino. Quei due maledetti gradini, sotto il trono, lasciano le due Camere riunite col fiato sospeso. Il capitombolo è sempre possibile. Elisabetta è stata irremovibile: la suspense, almeno una volta ogni dodici mesi e in diretta televisiva, resterà. Fabio Cavalera © RIPRODUZIONE RISERVATA All'indietro Il Lord Chancellor Jack Straw davanti alla regina Elisabetta lo scorso dicembre ( Afp) Evoluzione «Nel tempo le tradizioni evolvono», hanno commentato i portavoce del Palazzo reale

Torna all'inizio


Hillary in Angola: (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 10/08/2009 - pag: 17 Viaggio in Africa Hillary in Angola: «Combattete la corruzione» Nel corso del suo viaggio in Africa, il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha fatto tappa in Angola e ha richiamato il Paese a fare di più per combattere la corruzione. «È un problema dovunque e, dove esiste, mina la fiducia della gente nella democrazia, distorce il sistema di governo e impedisce il pieno coinvolgimento delle persone nelle società», ha detto la Clinton in una conferenza stampa insieme al ministro degli Esteri angolano, Assunção dos Anjos. Quello della corruzione è uno dei temi del viaggio di Hillary in Africa, anche sulla scia di quanto già detto dal presidente Obama in Ghana il mese scorso. La Clinton ha anche invitato l'Angola a pubblicare online le sue entrate petrolifere, a lavorare con gli emissari Usa per aumentare la trasparenza e a organizzare «nei tempi previsti l'elezione presidenziale», visto che il voto fissato per il 2009 potrebbe essere rinviato.

Torna all'inizio


al cerimoniale (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-08-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 10/08/2009 - pag: 17 Strappo al cerimoniale Michelle Obama ricambia l'abbraccio della regina Elisabetta in violazione del protocollo, lo scorso aprile a Buckingham Palace

Torna all'inizio


Londra, cambia il cerimoniale a corte Buckingham Palace volta le spalle alla regina (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 10-08-2009)

Argomenti: Obama

È CONSIDERATA una delle più antiche tradizioni della monarchia britannica e uno dei capisaldi dell'etichetta di corte. Ma adesso, la regola di camminare all'indietro quando si esce dalla stanza in cui si trova la regina, cede il passo al timore che qualcuno possa farsi male e intentare una causa di risarcimento danni. Per questo Buckingham palace, secondo quanto scrive il Daily Telegraph, ha deciso di ritoccare in chiave moderna il rigido protocollo previsto per i dipendenti e per gli ospiti della regina Elisabetta, rendendo superfluo questo tipo di commiato. La pratica di camminare all'indietro era stata introdotta, in epoca medioevale, in segno di rispetto nei confronti della sovrana. Allora, voltarle le spalle era considerato un atto di grande maleducazione. E, secolo dopo secolo, l'usanza si è tramandata, di dipendente in dipendente, coinvolgendo anche gli ospiti. Ma a far preoccupare la regina sarebbero i rischi per la sicurezza di quanti devono congedarsi da lei, schivando eventuali ostacoli ed evitando di inciampare. Nell'ipotesi di un eventuale incidente, infatti, il ferito potrebbe rivalersi su Buckingham Palace. Da qui la decisione di modificare il protocollo, con tre eccezioni, tante quante sono le persone che continueranno a non poter mostrare le spalle a Sua Maestà. Una soluzione, quella adottata dai reali, pensata per non cancellare del tutto la tradizione, ma per aggiornarla in chiave moderna, evitando eventuali cause in seguito ad un incidente sul lavoro. Continueranno a dover camminare all'indietro il cerimoniere dei corpi diplomatici (responsabile dei rapporti col mondo della diplomazia londinese), e il funzionario di corte della sovrana, una sorta di assistente personale proveniente dalle forze armate. Una terza persona sarà tenuta a non infrangere la tradizione, ma soltanto una volta all'anno, durante la solenne cerimonia di apertura del Parlamento. In questo caso, il Lord cancelliere deve percorrere all'indietro i gradini che portano al trono reale, subito dopo aver presentato la regina, prima del suo discorso ufficiale. OAS_RICH('Middle'); Il consigliere diplomatico e l'assistente personale, dunque, dovranno lasciare la stanza secondo l'antica tradizione, sia quando vengono convocati dalla regina, quando questa vuole impartire loro delle disposizioni, ma anche quando introducono degli ospiti, stranieri e non, nella sala riservata alle udienze. Al cerimoniere, che è anche considerato tra i massimi conoscitori dell'etichetta reale, spetta il compito di ricordare gentilmente agli ambasciatori, durante la presentazione delle lettere credenziali alla regina, come ci si deve avvicinare alla sovrana: "Un passo, seguito da un inchino col capo. Un secondo passo, e un secondo inchino". Non cambiano, invece, le tante e varie consuetudini protocollari che si rispettano ormai da secoli: quando la regina ha smesso di mangiare, devono farlo anche i commensali; mai abbracciarla (un'eccezione fu registrata ad aprile, quando incontrò Michelle Obama e fu lei stessa a "toccare" la First Lady, che le appoggiò a sua volta un braccio sulla spalla) o chiamarla per nome (la formula corretta è "Sua maestà" la prima volta, "ma'am", signora, quelle successive); mai cambiare argomento di discussione; resta anche buona norma fare domande che la sovrana possa apprezzare. Esistono poi regole dettate dal buon senso, come il non urlare mai in sua presenza: a questo proposito rimarrà celebre la gaffe (anche se poi smentita da un comunicato di Buckingham Palace) di Silvio Berlusconi al G20 di Londra. (10 agosto 2009

Torna all'inizio