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Obama
(126)
Afghanistan: bombe sui
campi d'oppio Nell'incontro con Obama ho sentito Berlusco...
( da "Stampa, La" del
18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Afghanistan: bombe sui campi
d'oppio Nell'incontro con Obama ho sentito Berlusconi confermare il
rafforzamento della nostra presenza in Afghanistan. Ma cosa ci stiamo a fare in
Afghanistan? Da quando siamo presenti in quella regione la produzione d'oppio è
aumentata da 70.000 ettari (2002) a 200.
20 maggio 2009 Verso la
riforma delle autorità Obama annuncia l'intenzione di riform...
( da "Stampa, La" del
18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 3 marzo 2009 L'intesa con Brown
Obama e il premier britannico Gordon Brown si incontrano: siglano un impegno a
collaborare per rivedere le regole del sistema finanziario.8 maggio 2009 «Nel
bel mezzo della recessione» Obama parla a Washington: gli Stati Uniti, dice
«sono ancora nel bel mezzo di una recessione.
LA RICETTA AMERICANA
( da "Stampa, La" del
18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: La Casa Bianca e l'economia LA
GRANDE CRISI LA RICETTA AMERICANA 17 febbraio 2009 Il pacchetto di stimolo per
l'economia Il presidente Barack Obama firma un pacchetto di stimolo per
l'economia. La Casa Bianca mette sul piatto 787 miliardi di dollari.
Obama assegna i
superpoteri agli sceriffi Fed ( da "Stampa,
La" del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama assegna i superpoteri agli
sceriffi Fed Le nuove regole per la finanza al Congresso: "Questa sarà la
riforma più forte dal 1929" [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK. Barack
Obama annuncia le nuove «regole di strada» per il sistema finanziario nazionale
preparando il terreno alla più ambiziosa e vasta riforma regolamentare «
Chissà che gli inglesi non
si facciano contagiare dalla determinazione con cui gli amici americ...
( da "Stampa, La" del
18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Europa potrebbe accedere un cero a
San Obama proprio nel giorno in cui la maggioranza dei suoi leader si dice
pronta a rafforzare la vigilanza continentale e invece tutto congiura perché
non ci sia un accordo. Da Londra fanno sapere che Gordon Brown intende opporre
un «no» alla riforma e che sloveni, slovacchi e romeni sono con lui.
I repubblicani contro
Obama "Esita troppo" ( da "Stampa,
La" del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama di «dimenticare valori che
non sono repubblicani o democratici ma di tutti gli americani». Fra gli
opinionisti il più duro è Charles Krauthammer, del Washington Post, che dagli
schermi di Fox News punta l'indice contro Obama imputandogli di «tradire i
giovani di Teheran» con un «silenzio assordante» che «sta facendo cadere in
pezzi un momento potenzialente cruciale della nostra
Mimmo Cándito
( da "Stampa, La" del
18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Potere Mimmo Cándito I DUE RIVALI
CHIUSI INSIEME NELLA GABBIA DEL CORANO Quando Obama dice che non v'è poi molta
diversità tra Ahmadinejad e Mousavi, non si lascia tentare da alcuna eresia
politica: i due leader iraniani si muovono, infatti, all'interno di una gabbia
dorata che li accomuna, quali che siano i loro programmi politici.
rivoluzione culturale -
vittorio zucconi ( da "Repubblica,
La" del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina RIVOLUZIONE
CULTURALE VITTORIO ZUCCONI LA RIVOLUZIONE culturale promessa da Obama alla
nazione e sancita dalla sua elezione arriva al nodo reale, al rapporto fra
Stato ed economia, per riportarlo sulla strada non dello
"statalismo", ma delle regole. SEGUE A PAGINA 36
nuove regole sulla finanza
il maxi-piano di obama ( da "Repubblica,
La" del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: piano di Obama NEW YORK - Nuove
regole per la finanza americana, con un piano come non si vedeva «dai tempi
della Grande Depressione». Lo ha annunciato ieri il presidente Barack Obama,
presentando alla Casa Bianca il documento di 88 pagine che assegna superpoteri
alla Federal Reserve anche in funzione di difesa dei risparmiatori.
"ma dopo la rivolta
il dialogo con gli usa è molto più difficile" - francesca caferri
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: è uno dei grandi successi letti e
citati dai membri dell´amministrazione Obama. Juan Cole, docente di storia
mediorientale presso l´Università del Michigan e presidente del Global American
Institute, commentatore della Cnn, di Newsweek e dei principali quotidiani Usa,
è una delle voci più ascoltate fra gli esperti di politica estera americana.
"riformiamo la
finanza come nel '29" - arturo zampaglione
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama: superpoteri alla Fed,
agenzia per i consumatori e autorità anti-crac Repubblicani all´attacco: no
all´ingerenza pubblica nell´economia I risparmiatori più tutelati dalle
"zone grigie" dei protagonisti di Wall Street ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK
- Barack Obama ha avviato ieri una rivoluzione dei meccanismi che regolano la
finanza americana e degli strumenti pubblici di controllo.
samuelson: "adesso
attenti alle lobby banche e assicurazioni sono in agguato" - eugenio
occorsio ( da "Repubblica,
La" del 18-06-2009)
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Obama
Abstract: bene il maggior controllo su
prestiti e mutui EUGENIO OCCORSIO ROMA - Professore, le piace il piano Obama?
«Sì, molto. C´è una totale discontinuità con gli otto disastrosi anni di Bush.
Ma sarà durissima per il presidente farlo passare indenne attraverso il fuoco
di fila delle lobby, degli interessi, delle potenti associazioni bancarie e
assicurative».
soldi, festini e
prostituzione una donna accusa berlusconi - gabriella de matteis giuliano
foschini ( da "Repubblica,
La" del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama. Con me c´erano altre due
ragazze, una la conoscevo». La signora ha raccontato di non aver più rivisto
Berlusconi. Se non, di passaggio, durante il tour elettorale del premier a Bari
ai primi di giugno. La D´Addario, dopo essersi vista promettere un posto alle
europee, è finita alle comunali nella lista del ministro Raffaele Fitto che a
Bari appoggia il candidato sindaco di
mille euro
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
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Obama
Abstract: Pagina 3 - Interni Mille euro La
prima volta eravamo una ventina, Gianpaolo mi diede1000 euro. La seconda era la
sera della elezione di Obama, rimasi a dormire a Palazzo Grazioli
la rivoluzione di obama -
vittorio zucconi ( da "Repubblica,
La" del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Commenti LA RIVOLUZIONE DI OBAMA
VITTORIO ZUCCONI (segue dalla prima pagina) La grande riforma proposta ieri da
Barack Obama è, come ha detto lui stesso, la «trasformazione» di questa relazione
«in una scala che non si era più vista dalla Grande Depressione». Nelle 85
pagine del "libro bianco" con le iniziative di legge depositate ora
nelle aule del Congresso c´
"l'ameriqua io l'ho
trovata sotto le due torri" - brunella torresin
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: convinto sostenitore di Barak
Obama, è un attivista dell´associazione ambientalista Water Keeper Alliance e
tra i fondatori di Ameritocracy, un sito che sottopone al vaglio dei lettori le
dichiarazioni dei principali uomini politici. Ce ne sarebbe gran bisogno anche
qui: «Il problema è che si litiga troppo e si fa troppo poco.
"questa europa ha
svoltato a destra ma dobbiamo dialogare con tutti" - marco ansaldo
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Gli Stati Uniti hanno trovato un
leader ispirato come Barack Obama. L´Europa no. Perché? «Perché gli americani
hanno voluto il cambiamento. Il dramma di Obama è che da lui ci si aspetta che
metta ordine nel mondo. Speriamo possa farlo». Vede un leader europeo
all´orizzonte? «Ci sono molte persone capaci.
"noi, incapaci di fare
la pace questo ci ha detto netanyahu" - (segue dalla prima pagina)
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: nuovo spirito diffuso nel mondo dal
presidente Obama, ci dice, tra le sue righe tortuose, che questa regione
conoscerà la pace solo se questa ci verrà imposta. Non è facile ammetterlo, ma
si ha sempre più l´impressione che sia questa la scelta davanti alla quale si
troveranno israeliani e palestinesi: una pace giusta e sicura imposta alle
parti da un fermo intervento internazionale,
"da lui dipendono
servizi e forze armate rassicuri il parlamento che non è ricattabile" -
giovanna casadio ( da "Repubblica,
La" del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama sembra le cose siano andate
bene. «Sono molto contento per l´Italia che il colloquio con il presidente Usa
sia andato bene, ma nei rapporti tra gli Stati esistono altri livelli che
riguardano gli scambi e la messa in rete di informazioni la segnalazione di
problemi, l´elaborazione di strategie comuni: siamo sicuri che su questi
aspetti la maggiore o minore affidabilità del
"troppe foto e
intercettazioni contro di me c'è un complotto" - claudio tito
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: a margine della riunione per
parlare del summit a Washington con Barack Obama e del consiglio europeo di
Bruxelles, spara alzo zero contro i magistrati pugliesi davanti al plotone di
ministri presenti al cospetto di Napolitano. «Io quella ragazza non la conosco.
Non l´ho mai vista. Mi presentano tante persone, come potrei ricordarmele
tutte.
quel tg1 delle verità
rovesciate e sotto accusa finisce d'alema - antonio dipollina
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama che cambia la finanza
mondiale, poi Iran come se piovesse. Va da sé che un certo aspetto (le parole
intercettate su presunte ragazze pagate per presunte feste) non viene
minimamente sfiorato da nessuno. Sono dell´altro ieri le proteste vibrate del
Pd su certi aspetti piuttosto evidenti del nuovo corso del Tg1: lo spunto era
una certa qual minimizzazione della manifestazione
sferzata di bossi: ex di guantanamo
nella villa di silvio ( da "Repubblica,
La" del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: incontro con Obama, Bossi ha
risposto: «Dipende da dove li mettiamo. Se li tiene Berlusconi nella sua
villa... va bene». Il leader del Carroccio ha quindi nuovamente scherzato sulle
performance del premier: «Non credo riesca ad andare con tutte le donne che gli
attribuiscono: se fosse iscritto alla Lega ce l´avrebbe duro,
la brambilla: "io
fascista? quel braccio teso era un saluto alla folla" - enrico bonerandi
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: di Obama e di Fini, di Bertinotti e
Cossiga) possa farmi passare per un ministro che fa il saluto romano,
oltretutto in una cerimonia ufficiale ripresa da tv e fotografi? E perché mai
avrei dovuto esibirmi pubblicamente in un gesto tanto condannabile quanto
ingiustificato, senza mai, dico mai, in passato vi siano tracce di miei
atteggiamenti,
Finanza, il piano di Obama
Più regole per Wall Street ( da "Corriere
della Sera" del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il piano di Obama Più regole per
Wall Street «Superpoteri alla Fed, tutela per i consumatori» Il presidente
Obama ha presentato la riforma globale del sistema normativo della finanza. Tra
i punti cardine: una Federal Reserve «super poliziotto»; una nuova agenzia che
protegga i consumatori e i piccoli investitori;
LE RIFORME E IL REALISMO
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 1 LE RIFORME E IL REALISMO di
MASSIMO MUCCHETTI I l presidente Barack Obama presenta la sua riforma bancaria
come la più grande dopo quella degli anni Trenta e, al tempo stesso, avverte
che non farà battaglie contro i mulini a vento. Riforme e realismo, un
compromesso inevitabile in un mondo segnato da tre dati di fondo: a) la
recessione non sta per finire;
Una task force per gestire
le crisi della finanza Arriva il garante dei mutui
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: i piccoli consumatori al centro del
progetto di riforma del sistema finanziario presentato ieri da Barack Obama. Un
esempio fra tutti: i mutui. E' prevista infatti la nascita dell'«Agenzia per la
protezione finanziaria dei consumatori», per controllare il mercato di mutui e
carte di credito, e fissare nuovi standard su questi prodotti come più in
generale sul credito al consumo.
Wall Street e consumatori,
la grande svolta di Obama ( da "Corriere
della Sera" del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: la grande svolta di Obama «La più
importante revisione dal '29, superpoteri alla Fed» DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK
Ben Bernanke, il capo della Fed, «superpoliziotto » con ampi poteri di
intervento su tutte le grandi società finanziarie (banche, ma anche assicurazioni
e altro) che, proprio per le loro dimensioni, possono far correre un «rischio
sistemico »
La Procura di Bari:
indagine in corso Ascoltate dai pm altre tre ragazze
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: La seconda volta era la notte
dell'elezione di Barack Obama sono rimasta e dunque ho lasciato palazzo
Grazioli la mattina successiva. Quando sono arrivata in albergo la mia amica
che aveva partecipato con me alla serata mi ha chiesto se avevo ricevuto la
busta, ma io le ho risposto che non avevo ricevuto nulla.
L'Ocse: scuola italiana in
coda Costa troppo e ha prof vecchi
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: per ricordare quanto Obama ha detto
di recente sull'argomento: «Per decenni Washington è rimasta intrappolata negli
stessi stanchi dibattiti che hanno penalizzato il progresso e perpetuato il
declino educativo. Troppi nel mio partito si sono opposti all'idea di
compensare con incentivi economici l'eccellenza nell'insegnamento,
Ribelle e chic, nostalgia
bomber Torna la Generazione giubbotto
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: A ritroso modelliicona: da Obama a
Kennedy, da Sean Penn a Paul Newman. Così fra gli stand del Pitti, la grande
rassegna della moda maschile, è tutto un giubbotto. Che gioca fra colori e
pesi-piuma e tessuti. Un altro segnale che la moda sta aspettando al varco le
generazioni under 30, meno formali e più legate a un guardaroba sportivo.
Abstract: Obama sul fatto che il protezionismo non può esser la soluzione alla crisi globale. E solo pochi mesi fa l'esecutivo cinese aveva rassicurato politici ed economisti: «Non lanceremo mai iniziative all'insegna del 'Buy Chinese aveva promesso in una conferenza stampa il viceministro del Commercio, Jiang Zengwei perché la competitività sul mercato dovrebbe essere basata unicamente su>
Gordon Brown e Cameron al
gala di Murdoch ( da "Corriere
della Sera" del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Herald Tribune ha definito «una
faida tra titani dei media», (ma l'australiano avrebbe facile replica: proprio
ieri si è lamentato della Fox News addirittura Obama), il patron di Newscorp
ritiene Sky Italia un modello da replicare per le strategie nel Vecchio
Continente (nelle attese, il board Rai oggi non gli darà un altro dispiacere).
Il nuovo populismo e
l'esempio di Wilson ( da "Corriere
della Sera" del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il presidente Obama ha dimostrato
ancora una volta la sua rara abilità nel saper parlare ai cittadini del mondo
intero. Dal suo pulpito carismatico, Obama ha superato le beghe di partito e
abbracciato un populismo progressista, che in America ha raccolto un ampio
consenso per le sue riforme ambiziose, mentre all'estero ha ravvivato l'
La recessione colpisce
anche Al Qaeda Crescono gli appelli per raccogliere fondi
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Mentre Obama e Al Zawahiri si sono
ritagliati un ruolo ristretto di commentatori, i talebani sostengono l'urto
dello scontro. Sono loro «a fare», a colpire, a organizzare attentati
spettacolari nelle principali città del Pakistan. Ed è probabile che i membri
di quella che veniva chiamata «la catena d'oro», una rete informale di
finanziatori basati nel mondo arabo,
La Casa Bianca: sulle
coppie gay nuove leggi per la piena parità
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Ha poi confermato lo stesso
presidente Obama: il memorandum firmato ieri è solo «l'inizio». Obama ha
sottolineato di essere «molto orgoglioso» di questa decisione che rappresenta
«un grande passo verso l'uguaglianza di tutti i cittadini» e corregge «errori
del passato». E ancora: «Abbiamo posto fine a un'ingiustizia.
"Ci pagavano per
andare alle feste di Berlusconi"
( da "Stampaweb, La"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Due settimane dopo, la notte di
Barak Obama presidente degli Usa, Berlusconi le chiese di rimanere. E si
impegnò ad aiutarla a risolvere il problemino barese della licenza per
costruire il suo residence. Quando rientrò in albergo, una sua amica le disse:
«Ma te la busta l?hai presa?
L'ipotesi governissimo
divide il Pd ( da "Stampaweb,
La" del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: incontro con Obama? «Un caffè alla
Casa Bianca è il minimo atto dovuto: fatico a vederlo come un grande successo,
spero che Obama abbia dato buoni consigli». I terremotati? «Berlusconi li ha
usati come spot». E tutto il Pd si è stretto attorno all?ex premier.
I segreti della blogosfera
araba "E' una scuola di democrazia"
( da "Repubblica.it"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Una caratteristica che unisce
l'oriente con l'Occidente. Un ponte online in grado di "smantellare molti
stereotipi e, forse, di anticipare quel nuovo inizio auspicato da Barack Obama
nelle relazioni tra mondo arabo e mondo occidentale", concludono i
ricercatori. (18 giugno 2009
Ragazze a pagamento per le
feste del premier Sigillate le registrazioni della D'Addario
( da "Repubblica.it"
del 18-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: elezione di Obama". Di solito
i nastri vengono ascoltati dal magistrato inquirente e dagli investigatori e,
successivamente, affidate ad un consulente che si occupa di eliminare i rumori
di fondo e trascrivere i dialoghi. Ma per ora, il contenuto delle audiocassette
consegnate dalla D'Adario è in cassaforte e non sarà trascritto.
la pistola sul tavolo -
lucio caracciolo ( da "Repubblica,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina LA PISTOLA
SUL TAVOLO LUCIO CARACCIOLO Barack Obama vuole passare alla storia come il
leader americano della mano tesa alla galassia islamica. Ora sappiamo che la
mano da stringere, sul decisivo fronte iraniano, sarà quella di Mahmud
Ahmadinejad. SEGUE A PAGINA 39
la fiat non chiuderà in
italia ma chiede aiuto al governo
( da "Repubblica, La"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: auto da Termini Imerese Berlusconi:
Obama ha apprezzato l´intesa su Chrysler. Scajola: istituiremo tre tavoli di
confronto I sindacati: no al taglio della produzione in Sicilia Epifani: Torino
vaga anche su Pomigliano ROMA - Il piano della Fiat prevede tagli alla capacità
produttiva ma garantisce «la continuità degli stabilimenti italiani».
la pistola sul tavolo -
(segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Sapremo dunque presto di che pasta
è fatto Obama: un Jimmy Carter al quadrato, ingenuotto e figlio dei fiori, come
pensano molti dirigenti israeliani? Oppure un realista alla Kissinger, che non
si perde in fumisterie e bada all´interesse nazionale, pur con un debole per la
magniloquenza?
l'era della ri-regulation
- (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: poiché il documento Obama mai
menziona il G8 e per l´interlocuzione internazionale considera solo il G20.
Sarebbe invece più urgente un meditato studio del piano Obama in sede europea.
Sinora la Commissione è rimasta quasi immobile: ha presentato qualche proposta
frammentaria su temi a volte periferici;
la finzione - (segue dalla
prima pagina) ( da "Repubblica,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Si tratta dell´elezione di Barack
Obama alla guida della più grande e potente democrazia del pianeta, spiegata
come rigetto della politica senza freni delle oligarchie economiche, di cui la
crisi finanziaria che quell´elezione ha accompagnato sarebbe stata un fattore
decisivo.
escort e premier, bari fa
il giro del mondo ( da "Repubblica,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: incontro con Barack Obama",
mentre l´Independent riporta la reazione del premier alla stampa italiana:
"Spazzatura e bugie". In Francia Le Monde titola: "L´Italia
scossa dal nuovo affaire Berlusconi" e Liberation provoca con
"Berlusconi e le ragazze-escort". Per il tedesco Suddeuche Zeitung
"L´Italia si discolpa", mentre la Frankfurter Allgemeine Zeitung
titola:
e dopo 150 anni l'america
si scusa con i neri - vittorio zucconi washington
( da "Repubblica, La"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: scelto per sostituire Barack Obama
eletto ad altro incarico dal deposto governatore dell´Illinois prima di andare
sotto processo. Un personaggio stravagante della politica Chicago style che ha
già provveduto a farsi costruire un mausoleo nel quale ha inciso su marmo tutti
i suoi successi e accettato dai democratici con il tacito impegno a non
ripresentarsi alle elezioni del 2010.
petrolio raddoppiato in
tre mesi sui mercati rispunta la speculazione - maurizio ricci
( da "Repubblica, La"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: dallo staff di Obama agli analisti
dell´Aie (l´Agenzia dell´Ocse per l´energia) sono in molti a dire che hedge
funds e derivati pesano, almeno nel breve termine, sul prezzo alla pompa. Quasi
tutti gli esperti prevedono che, nell´arco di un anno, esaurita la recessione,
il prezzo del petrolio riprenderà a salire: o perché ne è rimasto
effettivamente poco,
maicon man ha superpoteri
ma questo brasile è un oratorio - pretoria
( da "Repubblica, La"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: E´ stato un Brasile a fiammate, con
qualche incendiario puro. Il pubblico è tornato a casa orgoglioso: a Kinsasha
ebbero Ali e Foreman, al Cairo hanno applaudito Obama ma qui hanno visto il
Brasile e, seguendo lo sguardo alzato dei suoi ragazzi timorati, perfino di
più.
renzi cerca la vittoria
senza patti "i miei sprechi? inventati dai fascisti" - alberto
statera ( da "Repubblica,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama di Rignano sull´Arno,
smentendo chi lo vuole un po´ «pottino», che sta più o meno per arrogantello, e
per la segreteria del Pd lancia una sorta di patto generazionale candidando
Debora, che ha soltanto cinque anni più di lui. La spina nel fianco di Matteo è
stata Valdo Spini, che gli ha portato via l´8 per cento con la sua lista della
cosiddetta società civile appoggiata da
Feste e ragazze,
l'inchiesta si allarga ( da "Stampaweb,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: elezione di Barack Obama a
presidente degli Stati Uniti ma, a suo dire, avrebbe registrato anche la
telefonata ricevuta dal presidente del Consiglio il giorno dopo aver trascorso
la notte a Palazzo Grazioli, il 5 novembre. Sul suo cellulare risulterebbe un
tentativo di chiamata (da parte di Berlusconi, secondo la donna) alle 16,
Adesso sul Cavaliere lo
spettro del ricatto ( da "Stampaweb,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Qualcun altro a destra si rallegra
che Berlusconi abbia fatto colpo su Obama, perché è dura a morire l?idea
dell?America come Grande Burattinaio, scandali e dossieraggi pilotati da
Washington, la Cia che vuole punire le mosse filo-russe del Cavaliere... «Ci
sarebbe voluto poco», sussurrano dalle parti del premier, «a infilare in un
volo per la Sardegna qualche agente provocatrice,
A desso,
( da "Corriere della Sera"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: DI OBAMA di MASSIMO GAGGI A desso,
costretto a una corsa contro il tempo per varare le riforme prima che la crisi
eroda il sostegno del quale ancora gode, Obama rischia di diventare troppo
populista e di cedere all'ossessione del centralismo: misure calibratissime per
minimizzare la vulnerabilità ad attacchi da destra e da sinistra,
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack Obama, e ha ribadito di
«essere sempre a disposizione per un confronto con la Germania su Opel». Poi ha
lasciato l'incontro per recarsi a Bruxelles. Il manager ha subito sottolineato
che «non si può immaginare un gruppo Fiat senza radici in Italia» e che il
gruppo, sforzandosi di limitare le conseguenze della crisi,
Obama e i tempi (stretti)
dei cambiamenti ( da "Corriere
della Sera" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: rischioso girare con un fiammifero
acceso vicino alla benzina di un Congresso che ha problemi di consenso molto
più gravi di quelli di Obama (ancora pochi mesi fa gli americani consideravano
il Parlamento addirittura più impopolare dell'impopolarissimo Bush). La vera
sfida di Obama è quella di non farsi risucchiare dal tritacarne di Capitol Hill
nelle battaglie parlamentari dell'estate.
Dai leader europei primo
sì a Barroso-bis ( da "Corriere
della Sera" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: azione Ue appare in sintonia con
quella del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Ma la Gran Bretagna si
oppone perché nella City di Londra preferiscono restare sotto l'esclusiva
competenza nazionale soprattutto per i salvataggi bancari. Dubbi trapelano
anche sull'opportunità di attribuire la guida dell'organismo principale alla
Bce.
Lo sfogo del Cavaliere:
resisto se vogliono la guerra l'avranno
( da "Corriere della Sera"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: incontro con Barack Obama, che le
apparenze ingannano. Che la sostanza della visita alla Casa Bianca non è quella
della conferenza stampa di quattro giorni fa, che il Cavaliere per Washington
non è più un vero amico. Voci che incrociano altri sospetti, di natura interna,
alimentati dallo stesso premier: secondo Berlusconi anche «dentro la
maggioranza»
Il Senato chiede scusa ai
neri per la schiavitù ( da "Corriere
della Sera" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: emancipazione degli schiavi dopo la
Guerra Civile, organizzate da Obama alla Casa Bianca. Anche se l'ex presidente
democratico Bill Clinton aveva espresso «rimorso» per la schiavitù durante un
viaggio ufficiale in Africa nel 1998, gli Stati Uniti prima d'ora non avevano
mai offerto scuse formali ai discendenti degli schiavi.
Geithner al Congresso:
subito più poteri alla Fed ( da "Corriere
della Sera" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: presidente Obama, il ministro del
Tesoro Timothy Geithner ha ammonito il Congresso che «il momento di
regolamentare i mercati è adesso, se si vuole superare l'attuale crisi e
prevenirne un'altra». E ha aggiunto che «il popolo americano ha troppo
sofferto, la fiducia nella finanza è stata troppo scossa e l'economia si è
troppo avvicinata al baratro per lasciare passare questo momento »
E l'Europa si prepara a
mandare soldati di pace nello Stato palestinese
( da "Corriere della Sera"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: a quello pronunciato da Obama al
Cairo. È stato compiuto, ha concesso la Ue, un primo passo verso la creazione
di uno Stato palestinese accanto a Israele, e questa circostanza non può che
essere accolta favorevolmente. Ma ecco il rovescio della medaglia è ancora
molto lungo il cammino che resta da percorrere: Netanyahu non ha concesso il
blocco degli insediamenti in Cisgiordania,
Fuori scena
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione dell'American
Ballet ci sono Barack e Michelle Obama. Nel discorso d'apertura della stagione,
Michelle ha dichiarato che il futuro del mondo passa attraverso cultura e arte
e che sarà la mente creativa a risollevare gli Stati Uniti, auspicando che
tutti i bambini abbiano un'educazione artistico-culturale.
La sfilata? In piazza
della Scala ( da "Corriere
della Sera" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barak Obama. L'immagine del colpo
di vento che alza l'orlo della giacca e svela l'etichetta ha fatto il giro del
mondo. Lunedì sfilata e festeggiamenti in via Savona per i 75 anni di storia
della griffe, tre generazioni di sarti. In via Savona c'è anche lo spazio
futuristico di Ermenegildo Zegna che apre le sfilate con il marchio classico e
le chiude con la griffe di tendenza ZZegna,
Islam e donne, il
centrodestra si spacca ( da "Corriere
della Sera" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Come ha detto Obama, non possiamo
pretendere o imporre di cambiare di colpo la millenaria cultura islamica». E,
mentre i musulmani ringraziano il Comune («Il centro islamico servirà anche a
favorire l'integrazione e far uscire la donna dal suo isolamento»), la giunta
tira dritto, perché i due consiglieri leghisti non bastano a mettere il Pdl in
minoranza.
Firenze, Renzi cerca la
vittoria senza patti "I miei sprechi? Inventati dai fascisti"
( da "Repubblica.it"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama di Rignano sull'Arno,
smentendo chi lo vuole un po' "pottino", che sta più o meno per
arrogantello, e per la segreteria del Pd lancia una sorta di patto
generazionale candidando Debora, che ha soltanto cinque anni più di lui. La
spina nel fianco di Matteo è stata Valdo Spini, che gli ha portato via l'8 per
cento con la sua lista della cosiddetta società civile appoggiata da
"Ronaldo? Costa come
3 squadre di Eurolega" ( da "Stampa,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Invece sono una specie di Obama
mancato. E mi sa che se sono passati tanti anni prima di vedere un presidente
Usa di colore, ne passeranno ancora moltissimi prima di vedere un europeo su
una panchina Nba. Ma non credo che quel giorno qualcuno penserà ancora a me».
Andrà a vedere qualche partita del Real, sezione calcio?
L'inchiesta si allarga
Sigillati i nastri ( da "Stampa,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: elezione di Barack Obama a
presidente degli Stati Uniti ma, a suo dire, avrebbe registrato anche la
telefonata ricevuta dal presidente del Consiglio il giorno dopo aver trascorso
la notte a Palazzo Grazioli, il 5 novembre. Sul suo cellulare risulterebbe un
tentativo di chiamata (da parte di Berlusconi, secondo la donna) alle 16,
TROPPO FREDDI CON L'IRAN
( da "Stampa, La"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama guarda a questa vicenda con
distacco e con una certa freddezza. Indignando (forse per la prima volta dalla
sua elezione) il popolo delle solidarietà - interventisti conservatori,
militanti di diritti umani, pro israeliani che vedono nell'Iran il pericolo
supremo per Israele, democratici che vorrebbero che si aiutasse chi vuole
democrazia e donne che solidarizzano con le altre
Sceicchi e russi sfidano
la crisi ( da "Stampa,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama spenderà in armi meno di Bush
e le industrie americane accuseranno il colpo, e se l'aereo europeo da
trasporto militare A-400 verrà davvero cancellato questo sarà una batosta per
Airbus. Nel settore civile c'è qualcuno che fa eccezione alla generale politica
della lesina e sono le compagnie degli sceiccati del Golfo Persico.
Negli Usa dicono sexgate,
ma anche Italia sessista ( da "Stampa,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Più sociologia sull'italianità, che
attacco a uno che Obama ha appena salutato con un «great to meet you».
Leggendario. Titolo di El Pais, definitivo: «Nuove rivelazioni sulle avventure
leggendarie di Silvio Berlusconi». In definitiva, lo amano.
Villa spericolata
( da "Stampa, La"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: che mi faccia i muscoli di Obama e
Putìn - voglio una villa che non è mai tardi - per travestirsi tutti da
ghepardi - voglio lanciar reggiseni in un cespuglio di cardi. E poi ci
sposteremo a palazzo Grazioli - per mangiar con le amiche pizza e fagioli - ma
non la digeriranno mai - vorranno un diamante o una fiction in Rai.
D'Alema: nel ballottaggio
Boffa sarà più competitivo ( da "Stampa,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Prima di tutto che Obama non è
abbronzato, ma figlio di un immigrato che qui da noi sarebbe considerato un
fuorilegge. E poi che abbia capito come si deve comportare un leader a
proposito della crisi. Berlusconi prima ha detto che la crisi non esisteva. Oggi
dice che è passata».
PREMI Piemonte Storia
Domani alle 17 verrà consegnato il Premio Piemonte Storia - A...
( da "Stampa, La"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Dopo il discorso di Obama.
Israeliane e Palestinesi: quando le donne parlano di pace». Con: Antonella
Parigi, Claudio Vercelli, Gadi Baltiansky, Janiki Cingoli, Nidal Fuqah, Fadwa
Esha'er e Orit Zuaretz. Circolo dei Lettori, via Bogino 9 Mysteri al Mausoleo
E' il titolo del ciclo di conferenze che inizia stasera alle 21 con l'incontro
di Simone Angioni sul tema «
Adesso sul Cavaliere lo
spettro del ricatto ( da "Stampa,
La" del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Qualcun altro a destra si rallegra
che Berlusconi abbia fatto colpo su Obama, perché è dura a morire l'idea
dell'America come Grande Burattinaio, scandali e dossieraggi pilotati da
Washington, la Cia che vuole punire le mosse filo-russe del Cavaliere... «Ci
sarebbe voluto poco», sussurrano dalle parti del premier, «a infilare in un
volo per la Sardegna qualche agente provocatrice,
Hillary e Biden contro
Obama "Sei troppo soft"
( da "Stampa, La"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Hillary e Biden contro Obama
"Sei troppo soft" Il presidente difende la linea democratica «Niente
ingerenze nei Paesi stranieri» [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW
YORK Joe Biden e Hillary Clinton premono su Barack Obama affinché assuma una
posizione più energica a sostegno dei manifestanti in Iran mentre John Kerry e
Howard Dean sostengono l'
"Il popolo ha scelto,
basta proteste" Khamenei appoggia Ahmadinejad
( da "Repubblica.it"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Khamenei ha citato in particolare
il comportamento di Barack Obama, definito "ambiguo". Voto
trasparente. Kahmanei ha insistito molto sulla legittimità del voto e della
rielezione di Ahmadinejad: "Il presidente ha vinto con uno scarto di 11
milioni di voti, se anche ci fossero state delle irregolarità, come si
sarebbero potute falsificare tutte quelle schede?
Incentivi modello sprint
Ecco l'ultima idea di Obama ( da "Repubblica.it"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: di un miliardo di dollari, ma dalla
durata limitatissima: solo tre mesi, per far partire a razzo le vendite di auto
Incentivi modello sprint Ecco l'ultima idea di Obama Super incentivi col turbo,
questa l'idea di Barack Obama per far ripartire subito il mercato dell'auto. Lo
schema di questi aiuti al mercato
Iran, vietata marcia
dell'opposizione Khamenei: abbiamo bisogno di calma
( da "Stampaweb, La"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: tra i quali gli Usa del presidente
Barack Obama, di avere interferito nella crisi iraniana, dicendo che «agenti
dei servizi segreti del nemico» hanno avuto un ruolo nei disordini. La Guida
suprema ha anche difeso l?ex presidente Rafsanjani dagli attacchi di corruzione
mossigli in campagna elettorale da Ahmadinejad.
"Il popolo ha scelto,
basta proteste" Monito Obama: "Il mondo vi guarda"
( da "Repubblica.it"
del 19-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: di Obama. Il presidente Usa Barack
Obama, in un'intervista alla Cbs, si è detto molto preoccupato per la
situazione iraniana. "Gli occhi del mondo sono puntati su di loro" -
ha detto Obama. Da come si comporteranno con la gente che con mezzi pacifici
sta cercando di farsi ascoltare, invieranno un segnale piuttosto chiaro alla
comunità internazionale su cosa sia e cosa non sia l'
Obama all'Iran:
"Basta repressione" ( da "Stampaweb,
La" del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: È il governo iraniano che sta
usando la violenza» ha aggiunto il portavoce di Obama, Robert Gibbs, esprimendo
la condanna degli Stati Uniti per il modo in cui il regime iraniano sta
reprimendo le proteste di centinaia di migliaia di dimostranti che contestano i
risultati delle elezioni presidenziali. Il presidente Obama è già stato «chiaro
nell?
Donne di pace israeliane e
palestinesi ( da "Stampa,
La" del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il convegno prende spunto dal
discorso che Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, ha tenuto al Cairo ai
primi di giugno. In quell'occasione, il leader della Casa Bianca ha rimesso
all'ordine del giorno la questione della pace tra Israeliani e Palestinesi,
basata sulla proposta «due Stati per due popoli».
khamenei: basta cortei
obama: giusto manifestare ( da "Repubblica,
La" del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina ESPINOSA E
VANNUCCINI ALLE PAGINE 12 E 13 Iran, il discorso della Guida "Ha vinto
Ahmadinejad" Khamenei: basta cortei Obama: giusto manifestare SEGUE A
PAGINA 12
l'auto di obama non aiuta
il mercato - alessandro penati ( da "Repubblica,
La" del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Economia IL MERCATO L´auto di obama
non aiuta il mercato Sarebbero stato meglio spendere i 100 miliardi usati per
salvare Gm e Chrysler per migliorare i servizi sociali ALESSANDRO PENATI In
Italia, è stata Chrysler a tenere banco. Ma il fatto epocale è il fallimento di
General Motors (GM): la più grande impresa al mondo fino agli anni ?
le cipolle sono meglio
degli astri - ettore livini ( da "Repubblica,
La" del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Nel mondo che sta virando verso il
verde e dove persino Michelle Obama e la Regina Elisabetta - causa crisi - si
coltivano carote e zucchine nell´orto di casa, anche l´arte della divinazione
sta torna ad affidarsi ai prodotti della terra. Allineamenti degli astri,
ascendenti zodiacali, cuspidi e maghi stile Do Nascimento non servono più a
niente.
khamenei minaccia
l'opposizione "non accetteremo altre proteste" - angeles espinosa
( da "Repubblica, La"
del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: come vorrebbe il presidente
statunitense Barack Obama, che ieri, attraverso il portavoce Robert Gibbs, ha
spiegato che «le proteste in Iran sono qualcosa di straordinario». E che «i
coraggiosi manifestanti di Teheran hanno diritto di esprimere dissenso senza
paure di violenze». Nessun esponente dell´opposizione aveva commentato il
messaggio di Khamenei.
la vittoria arriverà ma
bisognerà saper aspettare - timothy garton ash
( da "Repubblica, La"
del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: così gratificante che negli ultimi
cinque mesi Barack Obama abbia finora trovato il giusto equilibrio. C´è però
una cosa che i governi democratici possono e dovrebbero fare, senza bisogno di
dire nulla che sia in rapporto diretto con le autorità in Iran. Si tratta di
mantenere e rafforzare l´infrastruttura di informazione globale del ventunesimo
secolo che consente agli iraniani,
obama si scusa con sasha e
malia "è vero, sono un papà imperfetto" - arturo zampaglione
( da "Repubblica, La"
del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Esteri Obama si scusa con Sasha e
Malia "è vero, sono un papà imperfetto" ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK -
Alla vigilia della festa del papà, che negli Stati Uniti si celebra ora, non il
19 marzo, Barack Obama promuove una serie di iniziative per ricordare agli
americani l´importanza del ruolo paterno e soprattutto si lascia andare a una
insolita confessione.
quell'invito del premier a
patrizia "vai ad aspettarmi nel letto grande" - (segue dalla prima
pagina) carlo bonini ( da "Repubblica,
La" del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: elezione di Obama. La telefonata a
Tarantini "Non è facile per una donna single mandare avanti un´agenzia
immobiliare" (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) CARLO BONINI La magistratura,
mercoledì scorso, le ha secretate, apponendo i sigilli agli originali dei
nastri su cui sono incise, e ha disposto che non ne venissero effettuate le
trascrizioni.
Khamenei: ora basta
proteste Obama: dimostranti coraggiosi
( da "Corriere della Sera"
del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: elezione di Ahmadinejad Khamenei:
ora basta proteste Obama: dimostranti coraggiosi «L'Iran ha bisogno di calma».
L'ayatollah Khamenei interviene, durante la preghiera del venerdì, a favore del
presidente eletto Ahmadinejad. La Guida Suprema sostiene che «il popolo con il
voto ha fatto una scelta legittima, escludo che ci siano stati brogli».
"Sì, a quelle feste
c'ero anche io: l'ho fatto per soldi"
( da "Stampaweb, La"
del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: la notte della elezione di Barack
Obama, le cose andarono diversamente. Barbara, a un certo punto tornò in
albergo («Valadier»), Patrizia rimase tutte la notte. Al pm Pino Scelsi ha
consegnato la registrazione di quella nottata e alcuni fermi-immagine (il letto,
lo specchio, la cornice con la foto di Veronica Lario).
Il Cavaliere
Argomenti:
Obama
Abstract: con Obama abbiamo chiarito tutto,
con la signora Clinton le relazioni sono eccellenti, e ho uno splendido
rapporto con la presidente Pelosi». No, è in Italia a suo modo di vedere
l'epicentro del terremoto, è verso i palazzi della politica nazionale che tende
lo sguardo, e di Massimo D'Alema dice oggi che «usa mezzucci».
Bari, interrogata la
seconda ragazza
Argomenti:
Obama
Abstract: La seconda il 4 novembre, giorno
dell'elezione di Barack Obama. Durante l'interrogatorio che si è svolto in una
caserma della Guardia di Finanza, la giovane ha ammesso i viaggi a Roma, i
trasferimenti, le soste negli alberghi. E pure lei ha detto di essere stata
pagata. Il racconto di Barbara M. Barbara M.
e critiche
( da "Corriere della Sera"
del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Corriere della Sera sezione: Esteri
data: 20/06/2009 - pag: 13 Prudenza e critiche Obama ha mostrato finora molta
prudenza nel commentare i fatti iraniani, suscitando critiche di «comportamento
ambiguo» da parte di vari repubblicani Usa. Altri però hanno approvato tale
strategia
Obama rompe gli indugi:
Argomenti:
Obama
Abstract: 13 Le reazioni Resta la necessità
di evitare le accuse di interferenza Obama rompe gli indugi: «Manifestazioni
coraggiose» Mozione del Congresso dà la scossa alla Casa Bianca DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE WASHINGTON Il Congresso degli Stati Uniti condanna quasi unanime
la repressione violenta, messa in atto dal governo di Teheran nei confronti
della protesta popolare.
Francia, il governo
considera il bando al burqa ( da "Corriere
della Sera" del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: E dopo l'intervento del presidente
Obama sulla libertà di portare il velo, qualcuno comincia a interrogarsi
sull'efficacia del modello repubblicano francese. Lo stesso presidente Sarkozy
si è mostrato prudente: si esprimerà in occasione del discorso alla nazione,
per la prima volta a Camere riunite.
Per i manager Chrysler
parte la cura Marchionne ( da "Corriere
della Sera" del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: accordo che il presidente Usa
Barack Obama ha fortemente voluto. «Marchionne scrive il Wall Street Journal
sta dando un ritmo diverso» alla casa di Detroit. Per esempio, una delle prime
decisioni è stata quella di semplificare la catena decisionale, creando un
gruppo di 23 top manager che dovranno riportare direttamente a lui.
Sì alla vigilanza Ue, ma
leggera ( da "Corriere
della Sera" del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: altro ieri Barack Obama ha
chiamato, e ora l'Europa risponde. O viceversa, a seconda dei punti di vista.
Ma comunque la si veda, negli ultimi 3 giorni gli Stati Uniti e l'Unione
Europea hanno messo in campo i loro «vaccini», o le loro reti di protezione,
per rianimare e proteggere le rispettive economie sfiancate dalla crisi.
L'intellettuale pentito:
Argomenti:
Obama
Abstract: di alcune attività manuali potrebbe
anche trovare buona accoglienza nell'America di Obama. Tanto più che già da
tempo, dalle cucine slow food (sempre più diffuse anche da questa parte
dell'Atlantico) all'agricoltura biologica nelle fattorie suburbane, molti hanno
cominciato a reagire agli eccessi di industrializzazione dei processi
produttivi, ad esempio nella catena alimentare.
Quell'invito del premier a
Patrizia "Vai ad aspettarmi nel letto grande"
( da "Repubblica.it"
del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: presidente eletto Barack Obama. Si
distingue la voce del presidente del Consiglio che si rivolge a Patrizia
spiegandole che si assenterà per fare una doccia e mettere un accappatoio. Il
presidente invita la donna ad aspettarlo nel "letto grande". Patrizia
risponde affermativamente - "Sì nel letto grande" - aggiungendo un
dettaglio che si riferisce al letto e non risulta comprensibile all'
Obama all'Iran: "Stop
alle violenze" ( da "Stampaweb,
La" del 20-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: evolversi della situazione a
Teheran soprattutto alla luce di questo principio più volte espresso dal
presidente Obama: il popolo Iraniano «ha il pieno diritto di scegliere
liberamente il leader che vuole». La Casa Bianca ufficialmente non rivendica
alcun «effetto Obama» su quanto sta avvenendo a Teheran. Nello stesso tempo,
però, non lo nega. E - dice - l?
Iran, pugno duro contro le
proteste Mousavi in piazza: pronto a morire
( da "Stampaweb, La"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack Obama alza la voce contro le
autorità iraniane e chiede di «porre fine a tutte le violenze e alle azioni
ingiuste» contro la popolazione iraniane e ha ricordato che «i diritti
universali di manifestare e di libertà di parola debbono essere rispettati e
gli Stati Uniti sono con tutti coloro che cercano di esercitare questi diritti»
Sangue e morte a Teheran
( da "Stampa, La"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama: basta violenza contro il
popolo Sale ancora la tensione a Teheran, l'opposizione torna in piazza e in
mezzo all'onda verde c'è Mousavi, l'uomo che ha sfidato Ahmadinejad: «Sono
pronto al martirio, i brogli erano programmati da mesi». La polizia spara e tra
la folla ci sarebbero morti e feriti.
CIECHI COME FU LO SCIÀ
( da "Stampa, La"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: anche il presidente Obama, fin qui
prudentissimo e per questo duramente criticato in patria, ha rotto gli indugi,
ammonendo il governo iraniano sul fatto che nessuna censura potrà impedire al
mondo di vedere che cosa sta avvenendo in Iran. A maggior ragione apparirebbe
stonato, oggi più che mai, mentre i morti accertati si contano ormai a decine,
Un giornalista del New
York Times, David Rhode, 42 anni, sequestrato il 10 novembre scorso dai
taleb... ( da "Stampa,
La" del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: le due segretarie di stato di Bush
e di Obama, sono state direttamente coinvolte nel caso, favorendo la linea
della riservatezza. Anche le agenzie internazionali di stampa presenti sul
teatro di guerra erano state pregate di mantenere coperta la notizia del
sequestro, e sono state ringraziate ieri dal direttore del New York Times.
Berlusconi pronto a
vendere Villa Certosa ( da "Stampa,
La" del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: festino della notte di Obama for
President, il 4 novembre scorso, ha confermato tutto agli investigatori della
Finanza: «E' vero, quella notte entrai anch'io nella stanza da letto. Ma poi
lasciai soli il Presidente e Patrizia». E intanto Silvio Berlusconi sta
meditando di vendere Villa Certosa, la sua dimora sarda scoperta vulnerabile
agli scatti del fotoreporter Antonello Zappadu.
La Cina pensa a un tavolo
sul modello Nord Corea ( da "Stampa,
La" del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il timore per Pechino è che il
presidente americano Barak Obama sia tentato di soffiare sul fuoco della
protesta. Dietro c'è ancora un altro calcolo: Ahmadinejad, emerso da elezioni
controverse, potrebbe essere talmente debole da non potere più sostenere la sua
politica radicale e magari cercare compromessi sul nucleare.
Obama alza il tiro
"Stop alle violenze" ( da "Stampa,
La" del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Retroscena Washington inasprisce le
critiche IL DISCORSO NON RITORNO Obama alza il tiro "Stop alle
violenze" MAURIZIO MOLINARI Barack cita nel testo Martin Luther King «La
giustizia vince» Gli analisti Usa «I manifestanti hanno rotto tabù inviolabili»
CORRISPONDENTE DA NEW YORK Il governo iraniano fermi le violenze contro il suo
popolo».
Tariq Ramadan è il nipote
del fondatore dei Fratelli Musulmani, Hasan al-Banna, il padre del fo...
( da "Stampa, La"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Come giudica il discorso
pronunciato al Cairo da Barack Obama? «Credo che in questo discorso ci siano
una visione e un atteggiamento. La sua visione è diversa da quella del suo
predecessore, George W. Bush. È una visione multipolare, Obama considera che di
fatto gli Usa lavorano con il mondo e devono partecipare alla marcia di questo
mondo che è diventato pluralista.
Il filosofo del nuovo
Islam ( da "Stampa,
La" del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Come giudica il discorso
pronunciato al Cairo da Barack Obama? «Credo che in questo discorso ci siano
una visione e un atteggiamento. La sua visione è diversa da quella del suo
predecessore, George W. Bush. È una visione multipolare, Obama considera che di
fatto gli Usa lavorano con il mondo e devono partecipare alla marcia di questo
mondo che è diventato pluralista.
A settembre debutterà
sulla MiTo il MultiAir 1.4 Cravero: Innovazione su tutti i nostri modelli
( da "Stampa, La"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: non solo auto parsimoniose ed
ecologiche, quelle che hanno incantato il presidente Obama, ma pure gioielli
raffinati capaci di far sognare. Come questo, appunto, che viene proposto in
edizione limitata: 500 esemplari da distribuire nel mondo. «Abbiamo già
raccolto oltre 1.200 prenotazioni - dice Cravero -, dovremo fare delle scelte».
[FIRMA]MICHELE FENU
BALOCCO Profumo d'America per l'Alfa Romeo che, sospesa tra pres...
( da "Stampa, La"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: non solo auto parsimoniose ed
ecologiche, quelle che hanno incantato il presidente Obama, ma pure gioielli
raffinati capaci di far sognare. Come questo, appunto, che viene proposto in edizione
limitata: 500 esemplari da distribuire nel mondo. «Abbiamo già raccolto oltre
1.200 prenotazioni - dice Cravero -, dovremo fare delle scelte».
l'iran esplode, bagno di
sangue ( da "Repubblica,
La" del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama agli ayatollah: "Basta
violenze" L´Iran esplode, bagno di sangue Spari sulla folla: decine di
morti. Moussavi: pronto al martirio TEHERAN - Dilaga la rivolta scoppiata in
Iran dopo le elezioni presidenziali. Gli scontri per le strade della capitale
Teheran sono stati sedati sparando sulla folla in protesta,
obama: "fermatevi
subito noi siamo con il popolo" - alberto flores d'arcais
( da "Repubblica, La"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Esteri Una lotta pacifica Obama:
"Fermatevi subito noi siamo con il popolo" Il presidente Usa chiede
la fine delle violenze Il governo iraniano rispetti la dignità del suo popolo,
e non ricorra alla coercizione. Noi sosteniamo chi lotta per la giustizia in
modo pacifico ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato new york - Vanno
fermate «tutte le azioni ingiuste e violente»
"andai a cena dal
cavaliere vidi che patrizia restò da lui" - (segue dalla prima pagina) paolo
berizzi ( da "Repubblica,
La" del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Dove fece la battuta su Obama
abbronzato». Quanto rimaneste a Palazzo Grazioli? «Direi due, tre ore». Durante
la serata che tipo di rapporto notò tra Tarantini e il presidente del
Consiglio? «Gianpaolo dava del lei a Berlusconi. Il Presidente era informale».
E a voi come si rivolgeva?
quel desiderio di
democrazia - (segue dalla prima pagina)
( da "Repubblica, La"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama. Nonostante i rimproveri dei
neocon, nostalgici del linguaggio in vigore durante la presidenza di Bush jr,
Barack Obama ha seguito la situazione iraniana con giusta severità. Non si è
risparmiato, in più occasioni, nell´esprimere simpatia e solidarietà ai
manifestanti di Teheran, senza tuttavia ricorrere agli anatemi un tempo
lanciati con generosità dalla Casa Bianca contro
le urne balneari e
l'effetto-lunedì "troppi delusi, sarà il deserto" - andrea montanari
( da "Repubblica, La"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Italia continua a mancare quello
spirito nuovo di politica indipendente che Obama è riuscito a portare in
America. Finché ci saranno solo due partiti contrapposti non voterò più. Ho
sempre votato a sinistra, ma in Italia ha totalmente perso i punti di riferimento».
Andrà a votare Salvatore Carrubba: «Non credo che il voto anche il lunedì
condizionerà molto la partecipazione al voto.
percfest, la riviera è new
orleans - lucia marchio ( da "Repubblica,
La" del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: suo tour europeo e che a gennaio ha
suonato davanti a Barak Obama fresco di presidenza, per noi è un onore; si
esibirà con la nuova band». Ci saranno inoltre Roberto Gatto con il progetto
«Remembering Shelly», omaggio al batterista californiano Shelly Manne (sempre
il 23); Danilo Rea col suo nuovo lavoro dedicato alle colonne sonore dei film
rivisitate in chiave jazz «Cinema Song»
i mei consigli per il
referendum prendere solo la terza scheda - don paolo farinella
( da "Repubblica, La"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: contribuendo così al ridicolo
dell´Italia, caduta così in basso per meriti acquisiti sul campo dal presidente
del Consiglio, tanto che il presidente Obama nella recente visita gli offre una
merenda e non un pranzo come si usa con gli ospiti importanti. Ecco l´Italia di
Berlusconijad: Italia da merenda.
jessica lange, un sexy
amarcord - paola nicita ( da "Repubblica,
La" del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Abbiamo passato momenti difficili
con Bush, adesso c´è Obama, finalmente». Della Sicilia, dice: «è la prima volta
che visito questo luogo, e non avevo preconcetti. Sono andata un po´ in giro,
ho visto posti molto belli, pieni di fascino e mistero, ma capisco anche le
possibili difficoltà. Mi sono innamorata della Sicilia».
La prudenza e il dilemma
degli Usa ( da "Corriere
della Sera" del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: la cautela diplomatica fin qui
tenuta da Obama nonostante la netta presa di posizione, quasi unanime, del
Congresso a favore degli oppositori scesi in piazza a Teheran. Se la situazione
precipita è difficile che Obama possa mantenere a lungo la posizione prudente
assunta. Se, come allo stato degli atti sembra probabile (ma c'è sempre, in
questi frangenti,
IL DILEMMA DELL'OCCIDENTE
( da "Corriere della Sera"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Amministrazione Obama (con
circospezione) condannavano i brogli elettorali e le violenze del regime contro
gli oppositori, l'Italia confermava di avere invitato, in accordo con gli Stati
Uniti, il ministro degli Esteri iraniano Mottaki a partecipare alla conferenza
sull'Afghanistan che si terrà a Trieste, in occasione del G-8,
"Attenti, il regime
ha il sostegno delle masse povere"
( da "Stampaweb, La"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Come giudica il discorso pronunciato
al Cairo da Barack Obama? «Credo che in questo discorso ci siano una visione e
un atteggiamento. La sua visione è diversa da quella del suo predecessore,
George W. Bush. È una visione multipolare, Obama considera che di fatto gli Usa
lavorano con il mondo e devono partecipare alla marcia di questo mondo che è
diventato pluralista.
La polizia contro la folla
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama: fermatevi DAL NOSTRO INVIATO
TEHERAN La loro divisa sono il manganello e il piacere di portarlo. Camicia
grigia e anfibi o maglietta e ciabatte, i basiji presidiano le strade verso
piazza della Rivoluzione. Da qui dovrebbe partire la manifestazione.
Battaglia a Teheran, morti
e feriti ( da "Corriere
della Sera" del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama: il governo iraniano fermi le
violenze contro il suo popolo Battaglia a Teheran, morti e feriti «Spari sulla
folla, decine di vittime». Mousavi: pronto al martirio Teheran nel caos,
violenti scontri nelle strade. La protesta contro «i brogli alle elezioni» va
avanti nonostante il divieto di scendere in piazza del--
Argomenti:
Obama
Abstract: Il richiamo di Obama agli ayatollah
al rispetto dei diritti civili e la rinuncia alla violenza rientra in questa
strategia. Il presidente si è forse esposto ad accuse d'interferenza da parte
di Teheran ma, aggiunge Kennedy, «appellarsi all'umanità e alla ragione è
diverso dal prendere dure misure».
Patrizia, ecco telefonate
e intercettazioni
Argomenti:
Obama
Abstract: La notte di Obama e le frasi alla
stampa La seconda volta, quando accetta di rimanere a palazzo Grazioli,
Patrizia non solo registra, ma riesce a scattare numerose foto. Materiale che
la scorsa settimana ha consegnato alla magistratura. Le sue dichiarazioni sono
state ora confermate da Barbara.
"Andai a cena dal
Cavaliere vidi che Patrizia restò da lui"
( da "Repubblica.it"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Dove fece la battuta su Obama
abbronzato". Quanto rimaneste a Palazzo Grazioli? "Direi due, tre
ore". Durante la serata che tipo di rapporto notò tra Tarantini e il
presidente del Consiglio? "Gianpaolo dava del lei a Berlusconi. Il Presidente
era informale". E a voi come si rivolgeva?
Quel desiderio di
democrazia ( da "Repubblica.it"
del 21-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama. Nonostante i rimproveri dei
neocon, nostalgici del linguaggio in vigore durante la presidenza di Bush jr,
Barack Obama ha seguito la situazione iraniana con giusta severità. Non si è
risparmiato, in più occasioni, nell'esprimere simpatia e solidarietà ai
manifestanti di Teheran, senza tuttavia ricorrere agli anatemi un tempo
lanciati con generosità dalla Casa Bianca contro
( da "Stampa, La" del
18-06-2009)
Argomenti: Obama
Afghanistan:
bombe sui campi d'oppio Nell'incontro con Obama ho sentito
Berlusconi confermare il rafforzamento della nostra presenza in Afghanistan. Ma
cosa ci stiamo a fare in Afghanistan? Da quando siamo presenti in quella
regione la produzione d'oppio è aumentata da 70.000 ettari (2002) a 200.000 ettari (nel 2007). Se la
motivazione è combattere il terrorismo e se il terrorismo trae linfa vitale dal
traffico di droga (l'Afghanistan produce il 90% dell'eroina mondiale) non
basterebbe bombardare i campi d'oppio (senza fare vittime)? Annienteremmo le
risorse dei terroristi e metteremmo fine alla presenza di droga nelle nostre
strade. Come mai nessuno ha ancora pensato ad una soluzione così semplice?
ALESSANDRO ARBITRIO La tv delle ragazze in reggiseno Ma in tv non dovrebbero
esserci le fasce protette per tutelare i bambini? Allora perché quasi ogni
programma d'intrattenimento ci offre belle ragazze in mutandine, reggiseno e
poco altro? Sono davvero necessarie? È così indispensabile condire ogni
programma con lo «stacchetto», che non è un balletto, ma solo un dimenarsi
senza senso e fuori tempo per mettersi in mostra come pavoni? È proprio
necessaria la Gatta Nera con il davanzale in mostra ne «Il Mercante in Fiera»?
È proprio lei a dirlo che lo guardano i bambini nello spot (condito da
inappropriati doppi sensi)... E in «Sarabanda» è necessario il «tuffo» finale
di Belen? Queste cose in tv si vedono fin da quando ero bambina, adesso che ho
vent'anni mi sento profondamente disgustata dall'andazzo sempre più volgare
della televisione italiana, che trasmette in orario preserale ciò che una volta
andava in onda dopo la mezzanotte (in termini di «lunghezza delle gonne»). La
tv ormai è la baby-sitter di un gran numero di bambini, bisognerebbe pensare di
più a quello che si manda in onda. GIULIA CREPALDI Riso amaro al cinema tra
soldi e inganni Ho visto al cinema Vacanze ai Caraibi, che ho visto pochi
giorni fa al cinema. Ritengo i messaggi che trasmette soprattutto a un pubblico
giovane e condizionabile (che è la maggior parte del pubblico di questo genere
di film) criticabili sotto molti punti di vista. Il vincente è visto come colui
che inganna il prossimo per raggiungere una scopo (soldi), tutto è in vendita e
i sentimenti, anche se comprati, hanno lo stesso valore di quelli provati. I
soldi stessi arrivano sempre come colpo di fortuna o frutto di inganni e mai
guadagnati col lavoro onesto. La figura di Berlusconi entra nel film come
complice di un fedifrago per ingannare la moglie di quest'ultimo. Gli
omosessuali vengono ridicolizzati. Uno dei protagonisti definisce uno stipendio
di 2300 euro al mese «da fame». Le donne sono viste come esseri privi di un
valore che non sia l'attrattiva sessuale. E poi questo genere di film fa ancora
ridere qualcuno? MASSIMILIANO SPASARO, ASTI Quando la musica ti porta a Dio Un
caro amico, direttore d'orchestra, mi scrive: «La musica (come tutta la grande
Arte) apre spiragli su Dio, come intuizione. Se lei ascolta gli ultimi
quartetti di Beethoven o gran parte della produzione di Mozart, scoprirà
stupefacenti orizzonti nei quali traspare una luce sconosciuta a tutte le
speculazioni dell'intelletto. L'uomo, a quanto ne sappiamo unico nel Creato, è
dotato di questa possibilità... Al termine di ogni concerto sento irrefrenabile
il bisogno di ringraziare, non so chi, ma è una sensazione purificatrice».
Insomma, sembrerebbe che il mio amico, in momenti particolari, faccia
«esperienza di Dio». Ed io, che non posseggo gli strumenti per percepire in
quella musica ciò che intuisce il mio amico; io, che non ho questa possibilità,
penso che se è vero quanto lui afferma, allora questa è un'altra delle grandi
ingiustizie di questo povero mondo. E mi appare ancor più grande se penso che
la maggior parte dell'umanità è esclusa da questa meravigliosa esperienza.
MIRIAM DELLA CROCE Dall'orto di Michelle a quello di Carlà Tutti noi siamo ben
lieti nell'apprendere che l'orto di Michelle Obama ha
iniziato a dare i suoi frutti, segno che anche in quel prato può crescere
qualcosa di buono e che la terra è uguale per tutti sia essa presidenziale o
della suburbia. L'idea della first lady è talmente piaciuta da essere subito
presa in considerazione anche dalla regina Elisabetta e un orto è apparso anche
Buckingham Palace. Visto che la voce si sta diffondendo posso illudermi che
anche madame Bruni possa prendere in considerazione di toccare la terra e per
la prima volta sporcarsi le mani? Di terra buona per far crescere rape,
broccoli e insalata se ne trova anche nel giardino del Quirinale, ma donna
Clio, sebbene sia quasi coetanea di Elisabetta, non ha più l'età per prendere
in mano la zappa. Potrebbe invece tranquillamente farlo la signora Lario a
villa Certosa o nella residenza di Arcore. ANNA B. FAVA I leader in cattedra
alla Sapienza Rettore dell'Università di Roma che non fa venire a gennaio 2008
all'Università il Papa (per indebolire il governo Prodi?) ed ha invece
predilezione per i leader di capi di Stato di paesi non democratici? Lo dice il
dottor Massimo Leone (La Stampa 13 giugno u.s. pag. 34). Opinione inverosimile,
perché, da quando sono Rettore e cioè dal 1° novembre 2008, alla Sapienza hanno
tenuto conferenze-dibattiti con gli studenti il premier della Croazia Sanader e
quello dell'Olanda Balkenende e poi il leader Gheddafi. Il Rettore non è il
capo dell'Inquisizione e deve assicurare occasioni di dibattito, a condizione
che a parlare siano esperti di settore o personalità istituzionali ed inoltre
che sia prevista la possibilità di porre liberamente domande (ovviamente
sull'argomento del dibattito, come è stato per il leader libico su
respingimenti, condizione femminile, democrazia, ecc.) LUIGI FRATI, RETTORE
DELLA SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA I destini di Menghistu e di Siad Barre
Chiunque sappia un po' di storia del Corno d'Africa non può non aver capito subito,
nel mio articolo di ieri, che il somalo Siad Barre non poteva succedere
all'etiope Menghistu (tra l'altro caduti entrambi nel 1991). Mi scuso
dell'errore, dovuto a un lapsus tecnico di fatto occorso nella revisione
dell'articolo, prima della trasmissione, senza però dover correggere il senso
complessivo dell'analisi geopolitica. ALDO RIZZO
( da "Stampa, La" del
18-06-2009)
Argomenti: Obama
3
marzo 2009 L'intesa con Brown Obama e il
premier britannico Gordon Brown si incontrano: siglano un impegno a collaborare
per rivedere le regole del sistema finanziario.8 maggio 2009 «Nel bel mezzo
della recessione» Obama parla a Washington: gli Stati
Uniti, dice «sono ancora nel bel mezzo di una recessione. Nei prossimi mesi perderemo altri
posti di lavoro». 20 maggio 2009 Verso la riforma delle autorità Obama annuncia l'intenzione di riformare le autorità
finanziare: Sec (l'equivalente della Consob) e Federal Reserve (la banca
centrale)
( da "Stampa, La" del
18-06-2009)
Argomenti: Obama
La
Casa Bianca e l'economia LA GRANDE CRISI LA RICETTA AMERICANA 17 febbraio 2009
Il pacchetto di stimolo per l'economia Il presidente Barack Obama firma un
pacchetto di stimolo per l'economia. La Casa Bianca mette sul piatto 787
miliardi di dollari.
( da "Stampa, La" del
18-06-2009)
Argomenti: Obama
Obama assegna i
superpoteri agli sceriffi Fed Le nuove regole per la finanza al Congresso:
"Questa sarà la riforma più forte dal 1929" [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI
NEW YORK. Barack Obama annuncia le nuove «regole di
strada» per il sistema finanziario nazionale preparando il terreno alla più
ambiziosa e vasta riforma regolamentare «dai tempi della Grande
Depressione». Una manovra a tutto campo nata in risposta alla crisi economica
figlia di «una cultura della irresponsabilità che partita da Wall Street ha
contagiato Washington e Main Street». Rafforzamento dei poteri della Federal
Reserve, stretta su hedge fund e derivati, e difesa dei consumatori, sono i
pilastri della dottrina Obama che in caso di
approvazione del Congresso segnerà l'anno zero per la finanza del nuovo
millennio. L'obiettivo è evitare il ripetersi di un altro grave terremoto
grazie a «un attento equilibrio tra libero mercato e regolamentazione» così da
«favorire l'innovazione, disincentivando gli abusi». Il disastro di Wall Street
«segna il fallimento dell'intero sistema per questo è necessaria una riforma
ampia e profonda», modulata prendendo spunto dal sistema vigente, «che sarebbe
un errore cancellare del tutto» precisa Obama
presentando il dossier di 88 pagine con quattro linee guida principali. Poteri
nuovi e più ampi alla Fed per disciplinare le holding bancarie e tutti gli
altri operatori che per dimensioni presentino rischi sistemici o, in caso di
fallimento, abbiano ricadute sull'intera economia. Questo assieme a una
revisione degli standard operativi in termini di requisiti di liquidità e di
capitale e all'istituzione di un «Consiglio di sovrintendenza» che coordini le
azioni tra le autorità di vigilanza dei diversi mercati, e renda possibile la
condivisione di informazioni. Ci sarà inoltre una «Resolution Authority», una
specie di agenzia anti-crac per le grandi istituzioni che operano su diversi
mercati fra loro interconnessi. Secondo punto, creazione di un'agenzia per la
protezione finanziaria del consumatore con l'obiettivo di «ricostruire la
fiducia nei nostri mercati». La sua disciplina si estenderà a tutte le forme di
finanza personale o familiare, ovvero mutui per la casa, prestiti e carte di
credito la cui riforma è stata varata lo scorso mese. «Potrà fissare gli
standard sull'offerta dei prodotti innovativi - precisa il presidente -
agevolandone la comprensione da parte dei consumatori, attraverso informazioni
semplici e accurate». Terzo: progressiva armonizzazione della regolamentazione
non solo all'interno di un sistema, ma tra nazioni, eliminando le deficienze
strutturali «che hanno permesso ad alcune società di scegliersi secondo
convenienza l'autorità cui riferire, e ad altre, come gli hedge fund, di
operare completamente al di fuori del sistema normativo». Le stesse anomalie
che hanno consentito lo sviluppo di strumenti finanziari derivati, «così
complessi da rendere complicatissimo stabilirne il valore di mercato». Un
sistema che ha «permesso alle banche di fare profitti dando prestiti a persone
che non sarebbero mai state in grado di ripagarli, perché il prestatore li
scaricava a un altro». Verrà smantellato l'attuale sistema dell'Office of
Thrift Supervision, l'autorità di vigilanza sul risparmio che fa capo al
Tesoro, e sarà varata una normativa bancaria unica e omogenea alzando i
requisiti patrimoniali di tutte le istituzioni che raccolgono depositi, mentre
ai consulenti finanziari di fondi speculativi si richiederà l'iscrizione in
registri tenuti dalla Sec, (ovvero la Consob americana). Quarto: una normativa
di disciplina dei credit default swap - assicurazioni sul rischio di insolvenza
- e di altri strumenti derivati che pongono gravi rischi al sistema e che hanno
contribuito ad ampliare la crisi. Chi genera ed eroga prestiti dovrà conservare
un valore economico proprio in quell'attività, in modo tale che abbia
interesse, assieme a chi percepisce la somma, a che questa sia ripagata. «Solo
così, con regole basate sulla condivisione di valori e sul buon senso -
conclude Obama - questo tipo di strumenti potranno
avere un ruolo costruttivo e non distruttivo».
( da "Stampa, La" del
18-06-2009)
Argomenti: Obama
Chissà che gli
inglesi non si facciano contagiare dalla determinazione con cui gli amici
americani hanno dichiarato guerra alla finanza selvaggia. Se fosse, l'Europa potrebbe accedere un cero a San Obama proprio nel giorno in cui la maggioranza dei suoi leader si dice
pronta a rafforzare la vigilanza continentale e invece tutto congiura perché
non ci sia un accordo. Da Londra fanno sapere che Gordon Brown intende opporre
un «no» alla riforma e che sloveni, slovacchi e romeni sono con lui. Francia,
Germania e Italia promettono battaglia per un intervento «ambizioso». Ma la
volontà di avanzare con un consenso generalizzato rischia di bloccare il
dossier. Lunedì il ministro degli Esteri David Miliband ha gelato i partner che
preparavano il consiglio europeo che si apre oggi a Bruxelles ribadendo la
posizione del governo di Sua maestà, avverso a una maggiore influenza della Bce
sulla City. Nella capitale europea i rappresentati permanenti hanno cercato di
avvicinare le parti sino all'ultimo per evitare la frattura, senza successo.
Alla fine non si è ritenuto nemmeno di aggiornare la bozza delle conclusioni,
rimasta quella di tre giorni fa. «Bisogna riflettere su come vanno le cose -
commentava in serata un diplomatico -: siamo ai ferri corti su una
comunicazione non vincolante: cosa succederà col testo definitivo?». Certo che
la forza di Washington suscita parecchie invidie. «Che volete? - ha spiegato un
alto eurofunzionario che segue il dossier -. Loro hanno uno stato, un mercato e
un governo, mentre noi siamo in ventisette». Vero, anche se c'era da aspettarsi
che la gravità della crisi, e il fatto che essa ha trovato le sue radici
nell'assenza di regole e nella debolezza dei controlli, potesse far immaginare
una compattezza diversa. «Tutti crediamo che sia il momento giusto per assumere
delle decisioni prima che la volontà di compiere passi decisivi svanisca», è la
posizione che della cancelliera Angela Merkel. L'Italia, ha ribadito il
ministro degli Esteri Franco Frattini, era disposta a spingersi oltre, «eravamo
favorevoli anche a una autorità di vigilanza unica». La tradizione dei vertici
europei ricorda che c'è sempre spazio per il compromesso. I diplomatici
prevedono però «conclusioni blande» che limitino la probabile spaccatura con
Londra, qualcosa che nessun vuole, altrimenti si sarebbe deciso di procedere
senza guardare in faccia nessuno, dato che la materia consente un voto a
maggioranza qualificata. «C'è bisogno del sostegno di tutti», assicura il
presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso. E, comunque, che senso
avrebbe riscrivere la supervisione senza l'intesa del principale mercato
europeo? Non ha aiutato la relativa semplicità dello schema pensato a
Bruxelles, meno travolgente di quello americano, privo persino di una stretta sui
derivati. L'azione si poggia su due pilastri, uno di ambito «macro» (ottica
globale) e l'altro «micro» (realtà nazionali). Responsabile del primo livello
sarà l' European Systemic Risk Council (Consiglio per i rischi sistemici), un
organismo indipendente guidato dalla Bce che raccoglie dati e, se il caso,
invia raccomandazioni ai singoli paesi. Il secondo livello dovrebbe essere
legato all'Esfs, European System of Financial Supervision (Sistema europeo di
supervisione finanziaria) in cui verranno a coordinarsi le autorità nazionali
di vigilanza (banche, titoli, assicurazioni e previdenza). Potrebbe funzionare
se solo Londra pensasse ai risparmiatori prima che alle società finanziarie.
Ipotesi difficile. Anche se Obama ha dato il buon
esempio.
( da "Stampa, La" del
18-06-2009)
Argomenti: Obama
Retroscena La
Casa Bianca sotto la pressione di giornali e tv I repubblicani contro Obama "Esita troppo" Critiche anche dalla Cnn dopo
la frase "Mousavi e Ahmadinejad sono uguali" MAURIZIO MOLINARI
CORRISPONDENTE DA NEW YORK John McCain lo accusa di non essere un buon
presidente, Charles Krauthammer di tradire gli studenti iraniani e il Wall
Street Journal di lasciare nientemento che Parigi a difendere i valori fondanti
della Costituzione americana: i conservatori di Washington vanno all'attacco di
Barack Obama rimproverandogli di «esitare troppo» di
fronte ai moti di piazza a Teheran, avendo scelto una linea di «non
interferenza» che considerano in contrasto con «il ruolo della nostra nazione
nel mondo». Ieri il regime degli ayatollah ha espresso una protesta formale
contro le «intollerabili ingerenze» di Washington nella crisi postelettorale.
Il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs ha replicato che il presidente
«continuerà a esprimere la sua preoccupazione». Ma a molti non basta. A guidare
l'offensiva è il senatore repubblicano dell'Arizona che Obama
sconfisse nelle urne dell'Election Day. «Quando dei pacifici dimostranti
vengono picchiati e uccisi nelle strade da un regime oppressivo - scrive in un
articolo sul quotidiano UsaToday - gli Usa hanno il dovere di farsi sentire,
quando i manifestanti vengono fatti tacere noi dobbiamo alzare la nostra voce
per loro, quando un'elezione viene rubata gli Usa devono esprimere un'energica
condanna». E' proprio questa che continua a mancare e McCain trascina i leader
repubblicani del Congresso che in una raffica di interviste imputano ad Obama di «dimenticare valori che non
sono repubblicani o democratici ma di tutti gli americani». Fra gli opinionisti
il più duro è Charles Krauthammer, del Washington Post, che dagli schermi di
Fox News punta l'indice contro Obama imputandogli di «tradire i giovani di Teheran» con un «silenzio
assordante» che «sta facendo cadere in pezzi un momento potenzialente cruciale
della nostra storia». «Quando dice che rispetta la sovranità iraniana è
musica per le orecchie di Ahmadinejad, dovrebbe invece trovare le parole per
incoraggiare moralmente chi si batte per la libertà nelle strade di Teheran».
Irridente l'editoriale del Wall Street Journal intitolato «Obama
abdica all'Iran» nel quale si mette in contrasto la determinazione del
presidente francese Nicolas Sarkozy nel condannare la «brutale risposta degli
ayatollah» con la «realpolitik di Obama a cui dispiace
che la democrazia possa interferire con il piano preordinato di raggiungere un
grande accordo con gli ayatollah sul nucleare». Per il giornale di Rupert
Murdoch «la rivolta iraniana, sebbene non sia ancora una rivoluzione, sta dando
ragione a Hillary Clinton» che durante la lunga battaglia delle primarie
democratiche accusava Obama di «inesperienza e
scarsità di istinti da leader» prevedendo in un efficace spot tv che «non
sarebbe riuscito a rispondere ad una chiamata alle 3 del mattino dovuta ad una
situazione di vera crisi». A rendere più evidente l'assedio di critiche nei
confronti della Casa Bianca c'è la scelta della Cnn di unirsi al coro. La tv
fondata da Ted Turner, accusata dai conservatori di essere una roccaforte
obamiana, ha affidato alla corrispondente Christiane Amanpour appena tornata
dall'Iran un commento al vetriolo nei confronti del presidente che ieri aveva
detto alla Cnbc: «Non ci sono molte differenze fra Ahmadinejad e Mousavi». «Non
ho idea di cosa passi per la testa della Casa Bianca - replica Amanpour, che è
di origine persiana - ma per gli iraniani Ahmadinejad e Mousavi sono uguali
come il giorno e la notte perché le loro politiche interne non potrebbero
essere più differenti, senza contare che sul dossier nucleare Ahmadinejad sfida
il mondo mentre Mousavi ha fatto capire che avrebbe un approccio assai più
aperto». Il politologo Dan Senor, esperto di Golfo Persico al Council for
Foreign Relations di New York, suggerisce una via d'uscita a Obama:
«Aiuti l'onda verde in Iran come fece l'Occidente nel 2004 con la rivoluzione
arancione in Ucraina quando America ed Europa si unirono non riconoscendo un
risultato elettorale chiaramente falso, aprendo così la strada a cambiamenti
interni in favore della democrazia».
( da "Stampa, La" del
18-06-2009)
Argomenti: Obama
Sharia & Potere Mimmo Cándito I DUE RIVALI CHIUSI INSIEME NELLA GABBIA DEL
CORANO Quando Obama dice
che non v'è poi molta diversità tra Ahmadinejad e Mousavi, non si lascia
tentare da alcuna eresia politica: i due leader iraniani si muovono, infatti,
all'interno di una gabbia dorata che li accomuna, quali che siano i loro
programmi politici. La gabbia si chiama «Velayat-e faqih», che in
persiano significa «Tutela del giurista» ed è la dottrina che Khomeini
s'inventò per rendere inattaccabile il potere del Potere. L'esperto della legge
di Dio - l'ayatollah, nello specifico - è l'interprete unico della volontà
divina, e ogni esercizio di autorità deve dunque piegarsi all'interpretazione
che viene data alle parole della shari'a. Non v'è potere politico, non v'è
forza di partito, o di movimento, o di opinione, che possa contrastare quanto
il «velayat-e faqih» ha deciso. Come il cattolicesimo ebbe la sua Riforma, allo
stesso modo nell'islam il percorso della «riforma» che taluni tentano va ben al
di là di quanto possano predicare i Mousavi,i Khatami, o i loro seguaci nelle
piazze. E il Martin Lutero di questa riforma è un mite professore di filosofia,
Abdel Karim Soroush, occhiali spessi, una piccola barba sul mento, che ora
insegna a Harvard anche se è iraniano di antica discendenza. A Harvard c'è
dovuto andare per salvarsi la pelle, perchè i gruppi studenteschi di Ansar-e
Hizbullah lo avevano preso di mira e lì insegnava che se la religione è la
forma della rivelazione divina, eterna, immutabile, invece l'interpretazione
della religione si basa su fattori sociali e storici. Ma introdurre il
principio che l'interpretazione del Corano e della shari'a vada storicizzata, e
che vi possa essere una lettura «non autoritaria» e non dogmaticamente definita
della legge, significa minare alla base il concetto del «velayat-e faqih»,
sottrarre ciè il potere al Potere dell'ayatollah e del Consiglio dei guardiani.
Dopo l'ultimo attacco dei bastonatori, Soroush scrisse una lettera al
presidente Rafsanjani dove chiedeva: «Ma questo paese, ha proprio bisogno di un
Galileo o di un Giordano Bruno?». Un antico proverbio iraniano dice. «Non far
salire mai il mullah sul tuo asino. Non ne scenderà più». Soroush oggi vive in
America.
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
1 - Prima Pagina RIVOLUZIONE CULTURALE VITTORIO ZUCCONI LA RIVOLUZIONE
culturale promessa da Obama alla
nazione e sancita dalla sua elezione arriva al nodo reale, al rapporto fra
Stato ed economia, per riportarlo sulla strada non dello
"statalismo", ma delle regole. SEGUE A PAGINA 36
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 1 - Prima
Pagina Il presidente Usa: più poteri alla Fed per difendere i risparmiatori
Nuove regole sulla finanza il maxi-piano di Obama NEW YORK - Nuove regole per la
finanza americana, con un piano come non si vedeva «dai tempi della Grande
Depressione». Lo ha annunciato ieri il presidente Barack Obama, presentando alla Casa Bianca il
documento di 88 pagine che assegna superpoteri alla Federal Reserve anche in
funzione di difesa dei risparmiatori. Plaude l´economista Paul
Samuelson, premio Nobel nel 1970, che però mette in guardia: «Ora attenti alle
lobby, banche e assicurazioni sono in agguato». ZAMPAGLIONE E OCCORSIO ALLE
PAGINE 28 E 29
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 10 -
Esteri Juan Cole, docente di storia mediorientale nel Michigan "Ma dopo la
rivolta il dialogo con gli Usa è molto più difficile" "Anche se
avesse vinto Moussavi sarebbe stato arduo trattare. Lì comanda sempre
Khamenei" FRANCESCA CAFERRI IL suo ultimo libro, "Engaging the muslim
world" è uno dei grandi successi letti e citati dai
membri dell´amministrazione Obama. Juan Cole, docente di storia mediorientale presso l´Università
del Michigan e presidente del Global American Institute, commentatore della
Cnn, di Newsweek e dei principali quotidiani Usa, è una delle voci più
ascoltate fra gli esperti di politica estera americana. Professor Cole,
il risultato delle elezioni iraniane è stato molto deludente per chi sperava in
un´apertura nel paese. Le manifestazioni e i morti degli ultimi giorni non
lasciano sperare in nulla di buono per i prossimi mesi: crede che questo
porterà il presidente Obama a un passo indietro
nell´offerta di dialogo con Teheran? «No, non lo penso. Ovviamente sarà molto
più difficile discutere con Ahmadinejad di quanto non lo sarebbe stato con
Moussavi. Ma dobbiamo ricordare che il potere vero in Iran è nelle mani del
leader supremo e che questo non è cambiato: prima e dopo le elezioni. Non ci
sarà un approccio muscolare a queste questioni: Obama
ha capito di non poter imporre la democrazia nel mondo arabo-musulmano con la
forza. Sa che, come diceva Kissinger, la diplomazia si fa con i pezzi che sono
sulla scacchiera: Ahmadinejad è uno di questi pezzi e difficilmente questo
potrà cambiare». Che speranze ha un dialogo impostato su queste basi? «Non
molte suppongo. Ma almeno non assisteremo a un tentativo di imposizione delle
posizioni americane con la forza. Ci saranno forse incontri fra ufficiali
americani e iraniani, ma non vedo un possibile cambio rapido all´orizzonte». è
per lasciare aperto uno spiraglio che l´amministrazione Obama
non ha condannato in modo duro quello che sta accadendo a Teheran? «Dobbiamo
ricordare che gli Stati Uniti hanno una storia, quando si parla di Iran. Una
storia lunga e sanguinosa, con la loro difesa del regime dello Scià. Il rischio
in questo momento è che i conservatori iraniani dipingano il movimento
riformista come un prodotto dei servizi segreti americani. Questo indebolirebbe
i riformisti stessi. Credo che una presa di posizione forte da parte degli
Stati Uniti ora potrebbe solo avere conseguenze negative e favorire
Ahmadinejad". Se Ahmadinejad uscirà vincitore da questo braccio di ferro
con la piazza e con i riformisti, come pare, crede che potrebbe ammorbidirsi?
«No, non credo che Ahmadinejad cambierà. In nessun modo. Ci sono due questioni
fondamentali sul tavolo, fra lui e gli americani. L´arricchimento di uranio per
il programma nucleare e il sostegno di Teheran a Hezbollah e Hamas. Per
Ahmadinejad sono due punti non negoziabili. E devo dire che anche Moussavi
avrebbe avuto difficoltà a cambiare rapidamente prospettiva su questi due
temi».
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 28 -
Economia "Riformiamo la finanza come nel ´29" Obama: superpoteri alla Fed, agenzia per i consumatori e autorità
anti-crac Repubblicani all´attacco: no all´ingerenza pubblica nell´economia I
risparmiatori più tutelati dalle "zone grigie" dei protagonisti di
Wall Street ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - Barack Obama ha avviato ieri una rivoluzione dei meccanismi che regolano la
finanza americana e degli strumenti pubblici di controllo. «Sarà il più
grande cambiamento normativo dai tempi della Grande Depressione», ha dichiarato
il presidente in una cerimonia alla Casa Bianca, presentando assieme al
ministro del Tesoro Tim Geithner il piano di 88 pagine, che era atteso con
molta inquietudine da Wall Street e su cui il Congresso sarà chiamato a
discutere e a pronunciarsi entro la fine dell´anno. La maxi-riforma, che darà
super-poteri alla Federal Reserve, affidandole la difesa dai rischi di una
«crisi sistemica», ha tre obiettivi: 1) evitare il ripetersi di tempeste
economiche come quella attuale, nata anche - ha osservato Obama,
per la «dilagante cultura della irresponsabilità»; 2) proteggere i
risparmiatori dai prodotti «grigi» di Wall Street; 3) rafforzare la
cooperazione internazionale attraverso il Bcbs (Bael committee on banking
supervision) e il Financial stability board. Prima ancora che il presidente
parlasse, la destra repubblicana ha denunciato l´ulteriore ingerenza dello
stato nell´economia e ha promesso una dura opposizione parlamentare. Obama ha risposto a queste critiche, da un lato ricordando
di avere ereditato una «crisi storica» e meccanismi obsoleti, da un altro lato
ribadendo la sua fede nella «libertà dei mercati». Il documento di ieri è frutto
di un faticoso compromesso tra chi voleva riscrivere totalmente le regole della
finanza e chi, come la maggior parte della banche e degli hedge funds, chiedeva
solo qualche ritocco alla legislazione. Dopo centinaia di incontri con i chief
executive delle banche (e scontri con i lobbyisti) la Casa Bianca ha optato per
una via di mezzo, confermando così di preferire, al fine di massimizzare il
consenso politico e accelerare i tempi, una linea di riformismo moderato. La
Federal Reserve - secondo il piano di Obama - avrà il
compito di monitorare i «rischi sistemici» legati ai maggiori gruppi
finanziari, quindi non solo le banche, il cui fallimento potrebbe mettere in
ginocchio l´intero meccanismo capitalistico, come si è temuto nell´autunno
scorso con il caso del colosso assicurativo Aig. L´Ots (Office of thrift
supervision), l´agenzia che ha competenza sulle casse di risparmio e che non è
stata in grado di prevenire le catastrofi Aig, Indy Mac e Washington Mutual,
confluirà insieme a un ente del Tesoro (Office of the comptroller of the
currency) in un nuovo organismo chiamato National bank supervisor. A dispetto
di molte voci, invece, non la Sec non sarà toccata. Sempre l´esempio del 2008
ha portato la Casa Bianca a suggerire uno strumento che darà al governo, di
fronte al possibile crac di mega-gruppi, uno strumento in più rispetto alle due
opzioni oggi esistenti: cioè il salvataggio a spese del contribuente o il
fallimento a spese del sistema. Così nel futuro lo stato potrà avvalersi anche
di un ruolo simile al commissariamento. L´annuncio della riforma del sistema
finanziario ha coinciso ieri con il rimborso da parte di alcune banche, come la
Goldman Sachs e la Morgan Stanley, dei miliardi di aiuti concessi dal governo.
Ma il gesto, pur significativo del nuovo clima, non ha impedito alla Casa
Bianca di imporre al sistema bancario requisiti patrimoniali e di liquidità più
solidi, in modo che possa affrontare meglio le eventuali crisi del futuro. Il
piano Obama mette anche la briglia sugli hedge funds
con l´obbligo della registrazione alla Sec, introduce regole per la trasparenza
nei prodotti derivati e crea la Consumer financial protection agency, una
agenzia ad hoc che avrà il compito di proteggere i risparmiatori, vigilando
anche sui mutui e le carte di credito.
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 29 -
Economia Il premio Nobel per l´economia: scelte giuste, finalmente la svolta
rispetto agli anni di Bush Samuelson: "Adesso attenti alle lobby banche e
assicurazioni sono in agguato" Lo Stato deve essere più vicino ai
cittadini, bene il maggior controllo su prestiti e mutui
EUGENIO OCCORSIO ROMA - Professore, le piace il piano Obama? «Sì, molto. C´è una totale discontinuità con gli otto
disastrosi anni di Bush. Ma sarà durissima per il presidente farlo passare
indenne attraverso il fuoco di fila delle lobby, degli interessi, delle potenti
associazioni bancarie e assicurative». Paul Samuelson, gran decano degli
economisti americani, classe 1915, commenta in diretta con noi il progetto di
riforma dei mercati finanziari dalla sua casa di Boston: «Lo sto vedendo in tv
mentre faccio colazione». Premio Nobel 1970, è stato consigliere di John
Kennedy ma soprattutto ha vissuto da studente gli anni della Grande
Depressione. Obama ha fatto riferimento a quel
periodo. è appropriato? «Sì, per alcuni versi. Sono gli interventi più decisi
da allora, certo. Per fortuna a differenza di allora si è intervenuti prima,
non solo qui in America ma a livello di Bank of England e di Bce. Questa è la
differenza: fra l´ottobre 1929 e il marzo ´33 il presidente Herbert Hoover non
fece assolutamente nulla, per sua precisa scelta addirittura teorizzando il
non-intervento, e provocò il collasso. Anche oggi c´è una forte recessione, e
c´è tantissima gente che soffre e perde il posto, ma probabilmente non si
piomberà a quei livelli. Intendiamoci, non ne siamo ancora fuori: quello che
stiamo vivendo lo definirei uno stallo (stalemate). Il crollo si è arrestato,
ma per parlare di ripresa bisognerà aspettare. E sul medio termine ci sono
altri pericoli». Qual è il più pressante? «Intanto come dicevo che gli
interessi costituiti finiscano con lo snaturare il piano Obama,
anche se la forte maggioranza al Congresso, e in più il fatto che molti
repubblicani appoggiano la politica del presidente, fanno ben sperare. Poi le
incognite estere come la Cina: fra 3-4 anni si stancherà di tenere in
portafoglio ingenti quantità di titoli del Tesoro Usa e comincerà a venderli.
Il rischio è che questo provochi il crollo del dollaro, e per scongiurarlo
servirà un´accorta opera politica di collaborazione». Nel merito del piano,
qual è il punto che la convince di più? «Direi proprio il concetto di fondo: lo
Stato deve essere più vicino ai cittadini, e di qui l´istituto che
sovrintenderà ai mutui e ai prestiti, e in generale più presente nell´economia
aiutando i risparmiatori a distinguere l´oro vero da quello fasullo. E poi le
regole, anche se non sarà facile far accettare di comportarsi disciplinatamente
chi non c´è più abituato dai tempi di Reagan. Quanto al rafforzamento della
Fed, la inserirà meglio nel sistema. Vede, negli anni di Greenspan e dei suoi
tassi all´1% abbiamo avuto ben due bolle, il Nasdaq nel 2000 e l´immobiliare
del 2007. Se la Fed avesse lavorato più a stretto contatto con tutti gli altri
organi dello Stato, forse avrebbe avuto più raziocinio».
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 2 -
Interni Sono falsità Ho le prove Soldi, festini e prostituzione una donna
accusa Berlusconi L´inchiesta di Bari "Pagata per andare a Palazzo
Grazioli". Il premier: spazzatura Al Corriere della Sera il racconto di
Patrizia D´Addario candidata Pdl alle amministrative Ancora una volta si
riempiono i giornali di spazzatura e di falsità Io non mi farò condizionare da
queste aggressioni e continuerò a lavorare per il bene del Paese Sono stata a
due feste a Palazzo Grazioli, invitata da Gianpaolo Tarantini. Ho prove di ciò
che dico, registrazioni, e le altre ragazze possono confermare GABRIELLA DE
MATTEIS GIULIANO FOSCHINI BARI - Cinque ragazze già ascoltate dagli
investigatori. L´accusa precisa di una di loro: «Mi hanno pagata per passare
due notti a Palazzo Grazioli con Silvio Berlusconi». E un fascicolo della
magistratura con un´accusa chiara: induzione alla prostituzione. La procura di
Bari sta indagando su un presunto giro di prostitute che, partendo dalla Puglia
e non solo, avrebbero partecipato alle feste organizzate dal premier a Palazzo
Grazioli e Villa Certosa. Berlusconi non è indagato e rimanda al mittente tutte
le accuse indirette: «E´ solo spazzatura» tuona da L´Aquila. E´ sotto indagine,
però, un giovane imprenditore di sua conoscenza, Gianpaolo Tarantini, classe
1975, barese di nascita ma ormai romano d´adozione. L´uomo avrebbe conosciuto
Berlusconi in Sardegna lo scorso anno quando ha affittato una casa a pochi
passi da Villa Certosa. Tarantini è un imprenditore molto attivo nel mondo della
sanità, finito sotto la lente d´ingrandimento del pm Giuseppe Scelsi che lo ha
indagato per un presunto giro di mazzette. Nell´ambito di questa indagine, i
militari della Guardia di Finanza hanno ascoltato anche altro: Tarantini
avrebbe contattato molte donne, spesso escort, perché partecipassero alle feste
di Berlusconi. Per confermare il contenuto delle conversazioni gli investitori
stanno ascoltando alcune di queste ragazze. La figura chiave dell´inchiesta è
Patrizia D´Addario, 42 anni, che ieri in un´intervista al Corriere della Sera
ha raccontato la sua verità: «Sono stata a due feste a Palazzo Grazioli,
invitata da Tarantini - ha detto al quotidiano - Ho le prove di quello che
dico, comprese le registrazioni. La prima volta, lo scorso ottobre, eravamo una
ventina. Berlusconi ci ha mostrato i video del suo incontro con Bush e le foto
delle sue ville. La notte, poi, sono tornata in albergo. Per questo Gianpaolo
mi ha detto che mi avrebbe dato soltanto mille euro, rispetto ai duemila
pattuiti». Una volta però la D´Addario sarebbe rimasta a dormire a palazzo
Grazioli. «Era la sera dell´elezione di Obama. Con me c´erano altre due ragazze, una la conoscevo». La signora
ha raccontato di non aver più rivisto Berlusconi. Se non, di passaggio, durante
il tour elettorale del premier a Bari ai primi di giugno. La D´Addario, dopo
essersi vista promettere un posto alle europee, è finita alle comunali nella
lista del ministro Raffaele Fitto che a Bari appoggia il candidato sindaco di
centrodestra. Ha preso soltanto sette voti, «mi hanno tradita». «E´ la solita
spazzatura con la quale cercano di disarcionarmi, ma io resto in sella e
continuo a lavorare per governare l´Italia» risponde però Berlusconi. «Ancora
una volta si riempiono i giornali di spazzatura e di falsità. Io non mi farò
condizionare da queste aggressioni e continuerò a lavorare come sempre per il
bene del Paese».
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
3 - Interni Mille euro La prima volta eravamo una ventina, Gianpaolo mi
diede1000 euro. La seconda era la sera della elezione di Obama, rimasi a
dormire a Palazzo Grazioli
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 36 - Commenti LA RIVOLUZIONE DI OBAMA VITTORIO ZUCCONI (segue dalla
prima pagina) La grande riforma proposta ieri da Barack Obama è, come ha detto lui stesso, la
«trasformazione» di questa relazione «in una scala che non si era più vista
dalla Grande Depressione». Nelle 85 pagine del "libro bianco" con le
iniziative di legge depositate ora nelle aule del Congresso c´è
realmente, sparpagliato in nuove agenzie e nuovi poteri di controllo, il segno
del cambio radicale della filosofia di governo che da oltre 30 anni, da quando
Jimmy Carter lanciò l´era della "deregulation" nel 1976 poi dilagata
con Reagan, Clinton e Bush II, domina il pensiero politico nazionale,
repubblicano o democratico che fosse. Il dogma della deregulation diventata
sregolatezza, è tramontato. La rivoluzione, dunque, è prima culturale che
amministrativa ed essa non sarebbe stata pensabile o proponibile se, a detta
anche di governi europei certamente non di sinistra, la cultura del lasciar
fare al mercato, di deregolare, di privatizzare, non avesse prodotto il
"virus americano" della pandemia ancora in atto. Il nocciolo della
"grande trasformazione" è nel ritorno della Federal Reserve,
l´organizzazione delle banche che formano l´istituto centrale di emissione, a
quei compiti di sorveglianza e di controllo che fu creata non da Roosevelt, ma
Woodroow Wilson nel 1913. Ma che non riuscì a impedire il crac bancario degli
anni 30, fino alla decisione di dare compiti di protezione del risparmio e di
supervisione alla Fed, nel 1935. La Federal Reserve, il ministero del Tesoro,
la nuova Agenzia Federale per la Protezione dei Consumatori, dovrebbero
se, ed è un "se" gigantesco, il Congresso le approverà muovere
proprio sulle due piaghe infette che avevano scatenato il contagio del
settembre 2008 e che genericamente vennero affastellate sotto l´etichetta di "finanza
tossica". Le due piaghe sono, la prima: quel mercato dei mutui truffa,
spinti da banche e istituti di credito ansiosi di tuffarsi nel mare di profitti
generati dal credito facile costruito sulla bolla dei prezzi immobiliari e
sulla politica della "ownership society" della società dei
proprietari, anche se quella proprietà era soltanto un gigantesco debito
costruito sopra redditi insufficienti e tassi bidone. E, la seconda, l´universo
primordiale delle "derivate", degli "hedge funds" che da
quella tumescenza di ingenuità, ingordigia ed economia immaginaria costruita su
equazioni matematiche e non su valori reali, era imploso, nella assenza di
regole e di controlli. Il motore di una ricchezza immaginaria che ha,
inevitabilmente, finito per divorare sé stessa. Ora il governo federale dovrà
imbrigliare la mandria dei mutui pazzi istituendo forme di credito semplificate
e comprensibili, che non li espongano a pirati e usurai in colletti bianchi. E
la Fed dovrà tenere alla briglia le banche e le grandi finanziarie superstiti,
come la Goldman Sachs e la Morgan Stanley, accertandosi che le loro operazione
e le loro offerte siano costruite su basi solide. «Ora sarà il governo a
decidere che cosa i nostri clienti possano fare» ha pianto il Ceo di una grande
banca regionale nel Sud, la BB&T, dimenticando di aggiungere che per
decenni erano state le banche a decidere, nel proprio interesse, come i
cittadini avrebbero potuto e dovuto vivere, e a tosarli. Questo è il nucleo
radioattivo della "trasformazione", con elementi satellitari che
aumenteranno l´indignazione dei conservatori come l´estensione delle
provvidenze sociali a tutti i dipendenti federali, comprese le coppie di fatto,
dunque alle famiglie di omosessuali, il cambio epocale e generazionale di
stagione. «Noi non abbiamo creato questo disastro
dice Obama ma possiamo decidere come ne
usciremo» e l´uscita è chiara: senza stravolgere il formidabile motore del
capitalismo americano, quello che resta il traino, e a volte la zavorra, del
convoglio economico mondiale, addirittura esentando in un eccesso di cautela
quelle compagnie di assicurazione delle quali Obama ha
bisogno per sperare in una riforma della sanità nazionale, la "lobby"
di tutti, il governo, deve riprendere la propria responsabilità. E deve
strapparla alle lobby private che hanno portato la più grande industria
manifatturiera della storia, la GM, al fallimento e spinto le grandi banche a
pietire l´elemosina dei contribuenti. è un tentativo di riportare in equilibrio
un meccanismo che era ormai catastroficamente andato fuori controllo. Per fare
questo Barack Obama era stato eletto il 4 novembre
scorso e lui ci deve provare.
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina XII -
Bologna "L´Ameriqua io l´ho trovata sotto le due torri"
"Ricostruisco sul set e con gli amici di allora il periodo più bello della
mia vita: vi farò ridere" Tre anni fa è stato studente a Bologna e ora
ritorna per girare un film BRUNELLA TORRESIN (segue dalla prima di cronaca) Il
film è una commedia - «fa molto ridere» - e ne ha scritto lui stesso la
sceneggiatura. Ha già un titolo: «Ameriqua». «è la storia, un po´
autobiografica, di un giovane americano che con i soldi che gli hanno dato i
suoi genitori per costruirsi un futuro, decide di fare un viaggio in Italia.
Appena sbarcato viene derubato, raggiunge Roma per chiedere aiuto
all´Ambasciata, ma senza ottenere granché, e l´unica cosa che gli viene in
mente è raggiungere a Bologna il compagno di viaggio conosciuto in aereo,
Lele». Lele, che nella realtà è il miglior amico di Bobby, è seduto anche lui
in piazza Santo Stefano: Lele Gabellone, ex fuorisede a Bologna, oggi si divide
tra Lecce e New York e nel film reciterà nel ruolo di se stesso. Come Bobby,
del resto. «Il periodo che ho trascorso a Bologna, come studente della Brown
University è il più bello della mia vita», dice Bobby. è stato tre anni fa. Il
giovane Kennedy arriva in Italia dopo la laurea in Relazioni internazionali
alla Brown University di Providence, che a Bologna ha una sua sede: «Ho
frequentato un corso di diritto ambientale, uno di storia dell´Africa, uno di
filosofia», racconta. Ha abitato in vicolo Paglietta, poi in via Santo Stefano
90, a casa di Lele. Inverno a Bologna, estate a Lecce, con frequenti viaggi
sulla rotta di New York. Soprattutto si sono divertiti: «Qui in piazza Santo
Stefano c´era una festa ogni notte. Ce ne sono ancora?», s´informa. Ancora. Era
il periodo post Lunapop e infatti nel film, nel ruolo di Ballo, il bassista,
reciterà lo stesso Ballo il bassista, mentre Cesare Cremonini si limiterà a una
comparsata. E forse scrive un paio di canzoni. Gli attori italiani reciteranno
in un inglese maccheronico - «un po´ alla Borat». Allo stesso tavolo di piazza
Santo Stefano siede anche Marco Gualtieri, che di «Ameriqua» sarà il
produttore: già inventore di TicketOne, è anche lui al suo esordio nel cinema.
Il film verrà girato in Italia, tra Napoli, Roma e soprattutto Bologna. Inizio
riprese ai primi del 2010. Ma il regista sarà americano: «Il film - spiega
Bobby Kennedy - è stato scritto e verrà girato pensando al pubblico e al
mercato americano. E che nel ruolo del padre del protagonista reciterà Alec
Baldwin». Nel ruolo della madre, una attrice americana premio Oscar. La
protagonista femminile - «nel film oltre a disavventure ed amicizia, c´è anche
dolcezza, amore e qualche extra» - sarà una giovane italiana. Domani tappa a
Milano, per alcuni colloqui con potenziali sponsor. Poi rientro a New York.
Nella sua città Bobby Kennedy III, convinto sostenitore di
Barak Obama, è un attivista
dell´associazione ambientalista Water Keeper Alliance e tra i fondatori di
Ameritocracy, un sito che sottopone al vaglio dei lettori le dichiarazioni dei
principali uomini politici. Ce ne sarebbe gran bisogno anche qui: «Il problema
è che si litiga troppo e si fa troppo poco. Ma in America non è troppo
diverso».
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 18 -
Esteri Parla Lech Walesa, protagonista della pacifica "rivoluzione
polacca" trent´anni fa. "Ci vuole tempo per un Obama
europeo" "Questa Europa ha svoltato a destra ma dobbiamo dialogare
con tutti" La gente è contenta di stare nell´Unione ma la conosce poco,
ecco il perché di tanto astensionismo MARCO ANSALDO ROMA - «La vittoria della
destra in Europa? Bisogna parlare anche con chi non è d´accordo con noi. E´ la
lezione di Papa Wojtyla, ispiratore dei mutamenti ad Est. Oggi l´uomo dei
cambiamenti è Obama. Presto nascerà anche un leader
europeo. Devono solo dargli lo spazio di emergere». L´abito è grigio, come la
cravatta e i capelli. Ormai, anzi, quasi tutti bianchi. Ma l´effigie di
Solidarnosc sul bavero manda ancora lampi. Alla vigilia dei 30 anni dalla
nascita del movimento polacco, la cui onda d´urto travolse il Muro di Berlino
cambiando volto all´Europa, Lech Walesa, l´elettricista di Danzica divenuto
premio Nobel, Capo di Stato e oggi Saggio della Ue, è a Roma per ricordare
quell´epoca e analizzare con Repubblica le elezioni nel Vecchio continente.
Trent´anni dopo quella straordinaria esperienza, qual è il deposito di valori
lasciato da Solidarnosc? «Quello di essere riusciti a chiudere l´epoca dei
confini e dei blocchi. Averlo fatto con uno stile nuovo. E´ stata una vittoria
dei valori globali. Il resto lo ha compiuto la democrazia dei singoli Stati. Ma
senza quella vittoria sarebbe stato impossibile. E né la riunificazione delle
due Germanie né l´Europa allargata sarebbero una realtà. Certo, prima o poi
sarebbe accaduto. Ma chissà quando». L´Europa oggi sembra andare a destra, e
proprio l´Est ha visto la crescita di frange ultrapopuliste. Vede pericoli in
questo voto? «Io dico che dobbiamo lavorare perché in ogni Paese la
composizione della società sia eterogenea. Nessuno dei gruppi sociali deve
essere spinto verso l´emarginazione. La nuova epoca ci dice di dialogare. Ai tempi
di comunismo e fascismo non si poteva nemmeno parlare. Adesso bisogna farlo con
tutti, anche con chi non è d´accordo con le nostre idee, perché tutti possono
avere cose interessanti da dire». Perché il voto polacco ha fatto eccezione,
sconfiggendo i nazionalpopulisti? «Perché molta gente è contenta di stare
nell´Unione, ma poi è occupata dalle cose proprie. In fondo, si conosce poco
l´Europa. Questa è la percentuale più elevata. Ecco il perché
dell´astensionismo». C´è infatti la sensazione che alcuni non sappiamo come
usare l´Unione? «Non solo, non sanno come scegliere. Vorrebbero farlo, ma non
possono. L´Unione ha strutture peggiori di quelle che governano le associazioni
di allevatori dei canarini. Quelle attuali vanno bene per la vecchia Europa, non
per quella allargata. Io sono a favore del trattato di Lisbona, ma potrebbe
anche non essere ratificato». Gli Stati Uniti hanno trovato
un leader ispirato come Barack Obama. L´Europa no. Perché? «Perché gli americani hanno voluto il
cambiamento. Il dramma di Obama è che da lui ci si aspetta che metta ordine nel mondo. Speriamo
possa farlo». Vede un leader europeo all´orizzonte? «Ci sono molte persone
capaci. Ma oggi la democrazia è ridotta a una forma caricaturale: i
politici ragionano in termini di scadenza di mandato e di rielezione. Non c´è
nessuno con una visione perché tutti stanno in tele-visione». Il nome di un
possibile leader? «Niente nomi, ma conosco persone che saprebbero come fare.
Non sfondano perché non danno loro ascolto, sono spinte ai margini. Ci vorrà un
po´ di tempo».
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 13 -
Esteri I coloni e gli arabi "Noi, incapaci di fare la pace questo ci ha
detto Netanyahu" "Nel suo discorso nessun riferimento ai sacrifici da
fare" L´OCCASIONE PERSA DI NETANYAHU LA PACE PER ISRAELE è LONTANA Ha
parlato senza onestà, non ha guardato i coloni negli occhi dicendo loro ciò che
lui ben sa Doveva rivolgere un appello agli arabi, lanciare loro una sfida da
raccogliere (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Ancora una volta la maggior parte degli
israeliani può raccogliersi intorno a quella che sembra essere una proposta
audace, generosa, ma che, al solito, è un compromesso tra i timori, il
lassismo, e la magnanimità ipocrita del centro che sta "un po´ a destra e
un po´ a sinistra". Ma quanto è grande la distanza tra tutto questo e la
dura realtà, tra tutto questo e le legittime necessità, le giuste pretese dei
palestinesi, accolte oggi dalla maggior parte del mondo, Stati Uniti compresi.
Ora, dopo che ogni parola del discorso è stata analizzata e soppesata, vale la
pena di fare un passo indietro e osservare l´intera rappresentazione, l´intero
quadro. Ciò che il discorso di Netanyahu ha rivelato, al di là di funambolismi
ed equilibrismi, è la nostra impotenza, l´inanità di noi israeliani dinanzi a
una realtà che esige flessibilità, audacia e lungimiranza. Se distogliamo lo
sguardo da quella abile allocuzione e lo rivolgiamo agli ascoltatori, vedremo
con quale entusiasmo costoro si barricano nelle proprie paure, avvertiremo il
dolce deliquio provocato in loro dai palpiti di nazionalismo, di militarismo,
di vittimismo: cuore vivo dell´intera concione. All´infuori dell´accettazione
del principio di due stati, spremuta a Netanyahu dopo grandi pressioni ed
espressa in tono acido, in questo discorso non è stato compiuto alcun passo
concreto verso un vero cambiamento di coscienza. Netanyahu non ha parlato «con
onestà e coraggio», come promesso, di quanto siano rovinosi gli insediamenti e
ostacolo alla pace. Non ha guardato i coloni negli occhi dicendo loro ciò che
lui ben sa: che la topografia degli insediamenti è in contraddizione con quella
della pace, che molti di loro saranno costretti a lasciare le loro case.
Netanyahu era tenuto a dirlo. Non avrebbe per questo perso punti in un futuro
negoziato con i palestinesi: ne avrebbe permesso l´avvio. Era tenuto a parlare
a noi israeliani come a degli adulti, non avvolgerci in strati di coibente per
proteggerci da fatti noti a tutti. Doveva parlare apertamente e
dettagliatamente dell´iniziativa araba, indicare i punti che Israele è disposto
ad approvare e quelli che non può accettare. Doveva rivolgere un appello agli
arabi, lanciare loro una sfida che avrebbero potuto raccogliere, e avviare così
un processo vitale per Israele. Per lunghi minuti si è invece dilungato sulle
promesse e sulle garanzie che Israele deve ottenere dai palestinesi, ancor
prima di iniziare un negoziato. Non ha accennato ai rischi che lo stato ebraico
deve correre se vuole ottenere la pace. Non ha convinto di essere veramente
intenzionato a lottare per la pace. Non si è posto a capo di Israele per
guidarlo verso un nuovo futuro. Si è limitato a echeggiare noti timori. Ho
visto Netanyahu e l´impressionante percentuale di consensi da lui ottenuti dopo
il discorso e ho capito quanto siamo lontani dalla pace. Quanto l´abilità, il talento,
la saggezza di concludere la pace si siano allontanati da noi (e forse si siano
atrofizzati in noi) così come lo stimolo salutare di salvarci dalla guerra. Ho
visto il mio primo ministro impegnato in uno spettacolo acrobatico a labbra
strette, in un´esibizione raffinata di rifiuto, di voluta cecità. Ho visto come
funziona in lui quel meccanismo automatico che trasforma "un tentativo
balbettato di parlare di pace" in un ben articolato auto-convincimento di
essere condannati a finire per l´eternità trafitti da una spada. Ho visto e ho
capito che da tutto ciò non avremo la pace. Ho notato anche come gli esponenti
palestinesi hanno reagito al discorso di Netanyahu e ho riflettuto che pure
loro sono nostri partner fedeli in questo percorso di annichilimento e di
fallimento. La loro reazione avrebbe potuto essere più saggia e avveduta del
discorso stesso; avrebbero potuto persino aggrapparsi alla disdegnosa
concessione fatta loro, controvoglia, da Netanyahu e sfidarlo ad avviare un
negoziato, come da lui proposto all´inizio del discorso. Un negoziato durante
il quale esiste una qual certa possibilità che le due parti discendano
dall´alto dei loro vacui proclami e tocchino il terreno della realtà. E forse
anche la terra promessa. Ma i palestinesi, intrappolati come noi in un
meccanismo di reazione belligerante e antagonista, hanno preferito parlare dei
mille anni che trascorreranno prima che accettino le condizioni poste da
Netanyahu. Questo è il discorso di Netanyahu e questo è ciò che hanno rivelato
le sue parole: anche se la maggior parte degli israeliani vuole la pace,
probabilmente non è più in grado di raggiungerla. Ci possiamo persino chiedere
se noi, israeliani e palestinesi, comprendiamo veramente e profondamente il
significato della pace, come potrebbe essere una vita pacifica. E subito sorge
la domanda se una speranza di vera pace ancora esiste nella nostra coscienza.
Perché se questo non è il caso (e il discorso di Netanyahu l´ha chiarito in
modo quasi imbarazzante) non avremo modo di concludere un accordo e, per quanto
ciò suoni strano, non siamo nemmeno incentivati a farlo. Il discorso di
Netanyahu, che doveva elevarsi verso il nuovo spirito
diffuso nel mondo dal presidente Obama, ci dice, tra le sue righe tortuose, che questa regione
conoscerà la pace solo se questa ci verrà imposta. Non è facile ammetterlo, ma
si ha sempre più l´impressione che sia questa la scelta davanti alla quale si
troveranno israeliani e palestinesi: una pace giusta e sicura imposta alle
parti da un fermo intervento internazionale, capitanato dagli Stati
Uniti; oppure la guerra, che potrebbe rivelarsi più cruenta e amara delle
precedenti. (Traduzione Alessandra Shomroni)
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 6 -
Interni Nullaosta Nato Zanda, numero due del Pd al Senato: nessuna faziosità,
ma questa storia sta diventando un problema di sicurezza nazionale "Da lui
dipendono Servizi e forze armate rassicuri il Parlamento che non è
ricattabile" Riflettiamo sul fatto che Berlusconi è anche in possesso dei
nullaosta Nato che danno accesso alle armi nucleari GIOVANNA CASADIO ROMA - «In
questo momento la cosa necessaria è la trasparenza: dal capo del governo
dipendono i servizi segreti e le forze armate. E´ in possesso dei nullaosta
della Nato che danno accesso ai segreti degli armamenti nucleari. Quindi, è
indispensabile anche dal punto di vista internazionale avere la certezza che,
nemmeno in teoria, Berlusconi possa essere ricattato». Luigi Zanda sa di sollevare
un argomento delicatissimo. Perciò, il vice presidente dei senatori democratici
premette che «è il momento di trattare queste questioni senza nessuna
faziosità». Ma lancia l´allarme. Ha ragione Berlusconi a dire che c´è un
complotto contro di lui sferrato a colpi di gossip? «Per quanto riguarda noi
Democratici, non credo sia tempo di forzature politiche, perché questi sono
problemi che hanno a che fare con l´interesse dell´Italia. Ritengo legittimo e
comprensibile che Berlusconi voglia tenere fuori dal dibattito politico ciò che
ritiene gossip sulla sua vita personale. Però la faccenda delle sue
frequentazioni sta assumendo dimensioni tali da rendere necessario che sia lo
stesso premier a fornire rassicurazioni sul fatto che non esiste alcuna
possibilità che lui sia ricattabile o anche solo condizionabile. è un problema
di sicurezza nazionale». Dove dovrebbe dare rassicurazioni? «In Parlamento. Ci
sono troppi elementi non chiari. Ad esempio, chi sono tutte queste ragazze? è
la prima volta che sento di una ragazza che va a una festa con il registratore.
Da dove vengono? Quali garanzie ci sono che, tra di loro, non vi siano
provocatrici, ricattatrici? E nel caso, per conto di chi? Sono certo che anche
Berlusconi sia molto preoccupato e che comprenda che è suo interesse fare
chiarezza alle Camere». Uno scenario che potrebbe diventare materia di
impeachment? «Ora è necessaria la trasparenza». Con Obama sembra le cose siano andate bene. «Sono molto contento per
l´Italia che il colloquio con il presidente Usa sia andato bene, ma nei
rapporti tra gli Stati esistono altri livelli che riguardano gli scambi e la
messa in rete di informazioni la segnalazione di problemi, l´elaborazione di
strategie comuni: siamo sicuri che su questi aspetti la maggiore o minore
affidabilità del premier sia ininfluente? Che le vicende di Berlusconi
non abbiano determinato un raffreddamento di questi canali?». La maggioranza
potrebbe implodere? «Sono certo che a Berlusconi convenga spiegare quel che
sinora non ha spiegato perché se non lo facesse, i primi problemi li avrebbe
prima o poi dentro la sua maggioranza».
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 6 -
Interni "Troppe foto e intercettazioni contro di me c´è un complotto"
Berlusconi pensa a una "entità straniera". Vertice notturno La
politica Il premier ai suoi "Quella ragazza non me la ricordo e comunque
io non sono ricattabile" CLAUDIO TITO ROMA - «Non è una semplice manovra.
Questo è un complotto. E a organizzare il complotto c´è qualcuno o qualcosa di
nuovo. Sono troppe le cose strane, troppe le coincidenze. Troppe foto e troppe
intercettazioni». I giornali li aveva letti da poco. Si era già sfogato di buon
mattino con Gianni Letta. Ma quando Silvio Berlusconi è arrivato al Quirinale
per incontrare il presidente della Repubblica insieme ad alcuni ministri, la
rabbia non era ancora passata. Nel frattempo a Montecitorio i deputati della
maggioranza vengono colti da specie di psicodramma. I peones si sentono
travolti dalle "voci" su avvisi di garanzia, dimissioni e elezioni
anticipate. Un´ansia di cui Berlusconi è consapevole. Così, a margine della riunione per parlare del summit a Washington con
Barack Obama e del
consiglio europeo di Bruxelles, spara alzo zero contro i magistrati pugliesi
davanti al plotone di ministri presenti al cospetto di Napolitano. «Io quella
ragazza non la conosco. Non l´ho mai vista. Mi presentano tante persone, come
potrei ricordarmele tutte. E comunque assicuro che non sono
ricattabile». Stavolta evita di rivolgersi direttamente al capo dello Stato,
come aveva fatto qualche settimana fa, ma le sue parole sono pronunciate anche
in sua presenza. «Io lavoro per il Paese, sto facendo tanto a L´Aquila e poi la
sinistra o chi per lei smonta tutto». Leggendo il "Corriere",
insomma, ieri mattina è stato colto da un brivido. Provocato dalle tante foto
che hanno violato la sua villa di Porto Rotondo e ora dall´inchiesta barese.
Per il premier, a questo punto non si tratta più di un semplice «complotto»
ordito dalla sinistra e dai "poteri forti" per indebolirlo. Quel
«qualcosa di nuovo» evocato sul Colle è un riferimento esplicito. Il presidente
del consiglio inizia a sospettare la partecipazione di qualche «entità»
straniera nel gioco messo in moto in questi due ultimi mesi. La memoria corre
al 1994 quando l´avviso di garanzia di "Mani pulite" gli venne
recapitato a Napoli mentre incontrava i "big" mondiali tra cui il
presidente americano Bill Clinton, anche luidemocratico come Obama.
A Via del Plebiscito i riflettori sono dunque puntati soprattutto sulla
sequenza che ha investito il Cavaliere. La festa di Casoria, la sentenza Mills,
i tantissimi scatti di Villa Certosa e ora le intercettazioni «fatte girare il
giorno dopo l´incontro con Obama». «Come è possibile -
ha chiesto ai suoi - che sia solo frutto del caso? E chi è in grado di
allestire un complotto del genere?». Interrogativi che hanno appunto spostato
l´attenzione su qualche «entità» straniera o su quella che Bettino Craxi
chiamava una «manina». Non a caso, la paura di Berlusconi è che il meccanismo
vada avanti. Tra tre giorni si terranno i ballottaggi e il referendum
elettorale, tra venti arriveranno in Italia i "grandi" della terra
per il G8 dell´Aquila. «Cosa dobbiamo aspettarci?». Il sospetto che dalla
procura pugliese possa uscire dell´altro si è trasformato in un incubo. Non a
caso ieri sera, proprio per capire cosa stesse succedendo, il premier ha
chiamato a Via del Plebiscito il ministro della Giustizia, Angelo Alfano,
quello degli Affari regionali, il pugliese Raffaele Fitto, il sottosegretario
Letta e Nicolò Ghedini. Un summit finalizzato a predisporre le controdifese e
soprattutto a individuare i prossimi passi dei magistrati. «Ho paura - è il
refrain berlusconiano - che non sia finita qui». Già la scorsa settimana aveva
portato allo scoperto i suoi sospetti circa il tentativo di scalzarlo per dar
vita ad un governo istituzionale guidato da un "tecnico" come Mario
Draghi. Il capo del governo teme che il fantasma-ribaltone possa
materializzarsi proprio con le foto sarde pubblicate su qualche giornale. O
magari con la divulgazione delle intercettazioni prima che il provvedimento in
esame al Senato diventi legge. «è chiaro che c´è una regia - ha avvertito i
fedelissimi - e tutto si svolge secondo una cronologia molto chiara. Io
comunque vado avanti, non mi faccio intimorire. Io sono il presidente del
consiglio voluto dagli italiani e nessuno può pensare di azzopparmi o di
sostituirmi con chi non ha il consenso elettorale». Le paure del presidente del
consiglio, poi, si sono trasformate in psicodramma tra i peones di
Montecitorio. Sui banchi della Camera i deputati del Pdl e della Lega parlano
per l´intera giornata dell´inchiesta barese. La parola «dimissioni» è quella
più pronunciata. L´incubo che tutto possa precipitare investe il centrodestra.
«Siamo rassegnati», ripetono un po´ tutti. «è l´inizio della fine», dicono
ammettendo la difficoltà anche con i "colleghi" dell´opposizione.
Perché tutti sono convinti che altre rivelazioni usciranno, che altre
"testimonianze femminili" emergeranno e che il premier sia
"ricattabile". Ma soprattutto molti hanno paura che la risposta del
Cavaliere sia sbagliata. Se la sono presa con Nicolò Ghedini: «La questione è
politica, non legale».
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 4 -
Interni Nell´edizione delle 20 servizio in onda dopo nove minuti. Dito puntato
sul "magistrato rosso" Quel Tg1 delle verità rovesciate e sotto
accusa finisce D´Alema Nuove proteste dell´opposizione contro la linea del
neodirettore Minzolini ANTONIO DIPOLLINA è iniziata ufficialmente l´era nuova
dell´informazione tv. Difficile descriverla nel dettaglio, ma la sintesi è:
perfino il Tg5 è più libero e sciolto nei confronti di Berlusconi rispetto al
Tg1. Per lo meno il tg di Mimun diciamo che accetta la bagarre, nella giornata
che vede esplodere il nuovo caso legato a un´inchiesta sul premier: al Tg5
piazzano la notizia nei titoli di testa sia alle 13 che alle 20. Poi, ovvio, la
modellano, dando ampio risalto alla reazione indignata e a base di "spazzatura"
di Berlusconi. Ma il Tg1 no, il tg diretto da poco da Augusto Minzolini ha
scelto in maniera dichiarata di essere combattivo in altro modo. Alle 13 la
notizia non è nei titoli di testa, alle 20 c´è, ma il servizio diventa una
sorta di caso D´Alema, con il leader pd a minacciare denunce per chi lo accusa
ma, intorno, un pacchetto regalo che relega immediatamente D´Alema al ruolo di
mestatore o peggio. Da Bari, il cronista del Tg1 decide di far rilevare che il
giudice dell´inchiesta appartiene a Magistratura Democratica (e a questo in
effetti il Tg5 non ci sarebbe arrivato). Soprattutto il principale tg Rai fa
passare nove minuti prima di andare sull´argomento (il Tg5 lo lancia in testa)
scoprendo una vocazione internazionalista notevole e che sarà sicuramente
confermata nelle prossime settimane: prima Obama che cambia la finanza mondiale, poi Iran come se piovesse. Va da
sé che un certo aspetto (le parole intercettate su presunte ragazze pagate per
presunte feste) non viene minimamente sfiorato da nessuno. Sono dell´altro ieri
le proteste vibrate del Pd su certi aspetti piuttosto evidenti del nuovo corso
del Tg1: lo spunto era una certa qual minimizzazione della manifestazione
decisa, e diretta in maniera piuttosto precisa contro il governo, dei terremotati
abruzzesi calati a Roma. Ma chi ha seguito il Tg1 in queste prime giornate del
nuovo corso ha notato un lavorìo incessante nel far quadrato intorno al
premier, con tecniche che vanno anche parecchio alle spicce. Resta nella
memoria il pacchetto schierato in occasione della visita di Berlusconi a Obama: Minzolini a dirigere, Attilio Romita e Francesco
Giorgino a raccontare il vertice a due, la bionda e tetragona Susanna Petruni a
porgere la notizia ai telespettatori: un pacchetto di mischia impermeabile a
qualunque suggestione e in grado di sbaragliare il campo. Il Governo ha ben
poco da temere dall´informazione tv modellata in questo modo: a quel punto non
serve nemmeno l´Emilio Fede di ieri che glissa totalmente sull´inchiesta e si
diffonde esclusivamente sull´opera incessante di Berlusconi in visita in
Abruzzo: quello diventa uno sfizio. Visita provvidenziale, peraltro, visto che
ha permesso anche ai due principali tg di gettarsi sull´argomento e passare poi
direttamente a quanto il premier giudichi calunniose le ultime vicende. Infine,
l´ovvio finale dei servizi, con il battagliero esponente di turno (ieri
Gasparri sia al Tg5 che al Tg1) a dire l´ultima parola, inneggiando ai successi
internazionali di Berlusconi e invitando la sinistra ad abbandonare il gossip.
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 4 -
Interni La polemica Sferzata di Bossi: ex di Guantanamo nella villa di Silvio
VICENZA - La Lega rilancia il dissenso sulla decisione di Silvio Berlusconi di
accogliere in Italia tre detenuti di Guantanamo. A Schio, a chi gli chiedeva se
fosse d´accordo con l´annuncio fatto dal Cavaliere dopo l´incontro
con Obama, Bossi ha
risposto: «Dipende da dove li mettiamo. Se li tiene Berlusconi nella sua
villa... va bene». Il leader del Carroccio ha quindi nuovamente scherzato sulle
performance del premier: «Non credo riesca ad andare con tutte le donne che gli
attribuiscono: se fosse iscritto alla Lega ce l´avrebbe duro, ma non
glielo dobbiamo dire altrimenti ci chiede la tessera».
( da "Repubblica, La"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
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Commenti La Brambilla: "Io fascista? Quel braccio teso era un saluto alla
folla" L´ex presidente della provincia di Lecco: l´aveva già fatto.
L´opposizione: spieghi in Aula ENRICO BONERANDI DAL NOSTRO INVIATO LECCO -
L´aveva già fatto: «Era il due giugno, la festa della Repubblica, celebrazione
organizzata dalla prefettura all´Hotel Jolly. Finisce l´inno di Mameli e zac,
la Brambilla alza il braccio teso. Per questo la tenevo d´occhio». Virginio
Brivio, presidente uscente pd della Provincia di Lecco, è quel signore che nel
video girato alla festa dei carabinieri del 5 giugno, sta subito dietro Michela
Brambilla. La teneva d´occhio e lei, puntuale, stende di nuovo il braccio
appena termina l´inno. In sincrono Vittorio Brambilla, padre del ministro, fa
lo stesso gesto. Brivio: «Non ci volevo credere». Salutava la gente? «Ma va
là». E invece sì, questo sostiene la pasionaria dai capelli rossi: «Salutavo».
Mentre la pubblicazione su Repubblica.it del video scatena l´opposizione, dal
Pd all´Idv fino all´Udc, con richieste di dimissioni e di spiegazioni in
Parlamento, Michela Vittoria ieri mattina rifiuta qualsiasi commento. Qualcuno
lassù poi la convince a reagire. Così nel pomeriggio, a margine di un convegno
a Montecatini, la Brambilla respinge le accuse: «Sono allibita. Ma qualcuno in
buona fede può pensare che un fermo immagine con la mano alzata (come ne
esistono di Berlusconi e D´Alema, di Obama e di Fini, di Bertinotti e
Cossiga) possa farmi passare per un ministro che fa il saluto romano,
oltretutto in una cerimonia ufficiale ripresa da tv e fotografi? E perché mai
avrei dovuto esibirmi pubblicamente in un gesto tanto condannabile quanto
ingiustificato, senza mai, dico mai, in passato vi siano tracce di miei
atteggiamenti, anche velati, in questi senso?». E allora?: «Ovviamente
la foto mi ritrae mentre saluto la folla». Chi l´accusa? Gente «in mala fede».
Infine, l´abiura: «Non ho mai fatto né pensato di fare alcun gesto apologetico
del regime fascista verso cui non ho mai mostrato indulgenza e men che meno
simpatia». «Il ministro dovrebbe solo allibirsi di se stessa - le risponde Luca
Volontè, Udc - Invece dell´inno nazionale pensava forse di cantare Deutschland
uber alles o Faccetta nera. La Brambilla non era in discoteca, ma alla festa
dei Carabinieri. Il filmato parla chiaro e lei dovrebbe assumersi le sue
responsabilità». Poco convinti delle spiegazioni anche i parlamentari del Pd,
da Fiano a Codurelli, che hanno presentato interpellanze alla Camera. Un
consigliere pd al Comune di Roma, Athos De Luca, ha preannunciato una denuncia
alla magistratura. Lo scandalo, insomma, per ora non si smorza: il video parla
chiaro, altro che ferma immagine. A Lecco la gente non si sorprende più di
tanto che la Rossa abbia fatto il saluto romano. Glenda Piazza, avvocato, 31
anni, look alla Brambilla, la conosce bene perché è amica della sorella: «Sono
di destra, anzi di destrissima in famiglia. Lei è un tipino così, se le va lo
fa. E poi le piace da morire mettersi in mostra». Si sa anche che il nonno era
fascista dichiarato, e che dopo la Liberazione stette rintanato mesi per paura
di vendette. A Calolzio, dove i Brambilla hanno una trafileria, non si sono
notati finora atteggiamenti apertamente nostalgici. Nessuno è però disposto a
credere sulla parola a Michela Vittoria: «è una strana. Pittoresca, esagerata».
La gente seduta ai bar, nel «salotto» di piazza Garibaldi a Lecco, nel saluto
romano comunque non ci vede niente di male. è quasi un coro: «Se la pensa così,
è giusto che si sia espressa». Un ministro che fa il saluto fascista a una
cerimonia pubblica? «Magari non era il momento adatto, ma che male c´è». Il
prefetto, Nicola Prete, si aggrappa al cerimoniale: «I militari salutano
militarmente, i civili devono stare sull´attenti». E il braccio teso? «Non ci
sta, come la mano sul cuore».
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Prima Pagina data: 18/06/2009 - pag: 1 «Mai un progetto così
importante dal '29» Finanza, il piano di Obama Più regole per Wall Street
«Superpoteri alla Fed, tutela per i consumatori» Il presidente Obama ha presentato la riforma globale
del sistema normativo della finanza. Tra i punti cardine: una Federal Reserve
«super poliziotto»; una nuova agenzia che protegga i consumatori e i piccoli
investitori; nuovi standard per le banche. «Fermeremo ha detto la
finanza irresponsabile» . ALLE PAGINE 8E9 Fubini, Gaggi, Sensini, Stringa
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Prima Pagina data: 18/06/2009 - pag: 1 LE
RIFORME E IL REALISMO di MASSIMO MUCCHETTI I l presidente Barack Obama presenta la sua riforma bancaria
come la più grande dopo quella degli anni Trenta e, al tempo stesso, avverte
che non farà battaglie contro i mulini a vento. Riforme e realismo, un
compromesso inevitabile in un mondo segnato da tre dati di fondo: a) la
recessione non sta per finire; b) i Paesi con le più ampie riserve
valutarie mal sopportano il dollaro come moneta di riserva e Pechino invita i
cinesi a comprare prodotti cinesi anziché importare dall'Occidente; c) le
banche, negli Usa come in Europa e in Italia, stanno ricadendo nella tentazione
di fare utili spacciando finanza furba, visto che l'attività creditizia tradizionale,
ora colpita dalla recessione, sta accumulando ingenti perdite. Il messaggio di Obama è molto forte sul piano culturale: lavoro e
responsabilità invece di avidità e imprudenza. Sembra di riascoltare la morale
di Wall Street, il film di Oliver Stone contro la speculazione. Nel merito,
invece, è meno radicale. Benché gliel'avesse raccomandato anche l'ex
governatore della Federal Reserve, Paul Volcker, il presidente non ha riesumato
il rooseveltiano Glass Steagall Act che vietava a una singola istituzione di
essere al tempo stesso banca commerciale, banca d'investimento e assicurazione,
con ciò sciogliendo l'incestuoso conflitto d'interessi all'origine delle follie
degli anni Venti. Non ha nemmeno sfoltito, Obama, il
numero degli enti regolatori i quali, divisi per finalità, non si sono parlati
e hanno lasciato gonfiare la più grande e pericolosa delle bolle speculative: i
vecchi erano sei, ora sono cinque, ma ne è stato costituito uno nuovo, a tutela
dei consumatori. E tuttavia la svolta è possibile. Obama
non vuole che il governo degli Stati Uniti si trovi un'altra volta a dover
scegliere tra i salvataggi e il disastro generale. Per questo, capovolgendo il
laissez faire dei suoi predecessori repubblicani e democratici, attribuisce
alla Fed, storicamente recalcitrante, il compito di evitare l'accumularsi di
rischi sistemici in capo alle istituzioni finanziarie e riunisce la banca
centrale e gli altri regolatori in un consiglio presieduto dal Tesoro, segno
del primato della politica e della fiducia presidenziale in Tim Geithner. Tre i
rimedi principali: 1) aumentare il capitale delle banche e controllare a vista
le maggiori; 2) evitare l'indiscriminata erogazione del credito disciplinando i
mutui e trattenendo in capo alla banca il 5% dei rischi oggetto di
cartolarizzazione; 3) controllare la tecnofinanza derivata. Come sempre, il
diavolo si nasconde nell'esecuzione. Dirà l'esperienza se la trattenuta del 5%
sulle cartolarizzazioni eviterà gli azzardi e se, votandoli in assemblea, gli
stipendi dei manager caleranno. Ma sulle ricapitalizzazioni il gioco è già
chiaro. Nel 2008 le prime 17 banche commerciali americane hanno fatto aumenti
di capitale per 235 miliardi di dollari (sottoscritti per 120 dallo Stato) con
i quali hanno recuperato i 235 miliardi distribuiti in 10 anni ai soci
attraverso l'acquisto di azioni proprie in aggiunta ai già generosi dividendi.
Ebbene, ci sarà un governatore della Fed che, forte dei nuovi poteri, proibirà
le riduzioni di capitale quando torneranno le vacche grasse e Wall Street
reclamerà la sua libbra di carne?
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 18/06/2009 - pag: 8 Le misure Stretta sui
derivati Una task force per gestire le crisi della finanza Arriva il garante
dei mutui MILANO Non c'è solo la grande finanza, ma anche i
piccoli consumatori al centro del progetto di riforma del sistema finanziario
presentato ieri da Barack Obama. Un esempio fra tutti: i mutui. E' prevista infatti la nascita
dell'«Agenzia per la protezione finanziaria dei consumatori», per controllare
il mercato di mutui e carte di credito, e fissare nuovi standard su questi
prodotti come più in generale sul credito al consumo. Sotto la lente
anche il punto dolente che due anni fa ha scatenato la crisi: le ipoteche sui
mutui subprime con le relative cartolarizzazioni, che hanno portato
«l'infezione» in tutto il mondo. Il piano di Obama
prevede che i «mortgage broker», gli intermediari che hanno distribuito i
crediti ipotecari nei cinque continenti, siano più responsabilizzati restando
in qualche modo legati ai prodotti che cartolarizzano. Ma la riforma non poteva
che partire dalla Fed, la banca centrale americana, l'epicentro della
supervisione della finanza Usa. La Federal Reserve, infatti, dovrà
«riorganizzare in modo fondamentale » le proprie attività di supervisione, per
controllare in modo più marcato ogni possibile rischio sistemico. Tutte le
istituzioni finanziarie, grandi abbastanza da poter mettere a rischio il
sistema, saranno soggette a nuove regole, per esempio con frequenti stress test
per verificarne la solidità patrimoniale. E il faro della Fed andrà a colpire
anche holding e filiali, compreso quelle oggi non regolamentate o con sede
all'estero. Inoltre, nei progetti c'è la creazione di un meccanismo ufficiale
che permetta al governo di rilevare e riorganizzare le grandi banche in crisi.
Ed evitare crisi finanziarie e, a catena, industriali. A essere chiamato in
causa c'è anche il Tesoro, che darà il via a una serie di linee guida sui
compensi ai banchieri. E gli azionisti degli istituti saranno chiamati a
votare, seppur in modo non vincolante, sui pacchetti retributivi dei piani
alti. Nel mirino anche gli hedge fund, i fondi di private equity e quelli di
venture capital che dovranno registrarsi alla Sec, la Consob americana, e
aprire le porte dei propri uffici contabili all'Authority. E' previsto anche un
nuovo sistema di supervisione delle compagnie assicurative, all'interno del
Tesoro, e requisiti patrimoniali più stretti per gli istituti finanziari. Sul
fronte dei derivati, la riforma vuole «traslocare » il trading sui derivati,
spesso scambiati «over the counter», per portarlo «alla luce del sole » con
contrattazioni su listini ufficiali. E, ancora, si chiede alla Sec di
rafforzare la propria regolamentazione sulle agenzie di rating. E si punta a
una maggiore collaborazione tra le Authority dei diversi Paesi. Giovanni
Stringa Il fotomontaggio Bernanke sulla free press Usa Le ricette Stress test
più frequenti e intermediari sotto un maggiore controllo
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 18/06/2009 - pag: 8 Wall Street e consumatori, la grande svolta di Obama «La più importante revisione dal '29, superpoteri alla Fed» DAL
NOSTRO INVIATO NEW YORK Ben Bernanke, il capo della Fed, «superpoliziotto » con
ampi poteri di intervento su tutte le grandi società finanziarie (banche, ma
anche assicurazioni e altro) che, proprio per le loro dimensioni, possono far
correre un «rischio sistemico » all'intera economia. È l'intervento più
forte e, forse, controverso, della riforma dei meccanismi di controllo dei
mercati finanziari Usa presentata ieri da Barack Obama.
Ed è la terza grande sfida lanciata dal presidente nel tentativo di tirare
fuori il Paese dalla grave crisi nella quale è precipitato e di modernizzarlo,
dopo il varo, qualche mese fa, di un pacchetto di stimoli fiscali all'economia
da quasi 800 miliardi di dollari e l'avvio di una serie di interventi
socio-economici, dalle misure per il risparmio energetico a una riforma
sanitaria che deve migliorare la salute degli americani ma anche quella del
bilancio federale e alleggerire le imprese dagli oneri assicurativi che
riducono la loro competitività. Una parte della «corporate America» e il
partito repubblicano sono già sul sentiero di guerra, ma Obama
è convinto di aver messo a punto un progetto ben bilanciato, frutto del lavoro
fatto dal suo team economico coi leader del Congresso (soprattutto Barney Frank
e Chris Dodd, capi di due commissioni-chiave), dopo aver consultato imprese,
accademici e organizzazioni dei consumatori. Secondo i suoi detrattori la
riforma introduce troppi vincoli: ad esempio l'obbligo di registrazione presso
la Sec, la Consob americana, per gli «hedge fund» e regole molto più severe per
l'erogazione dei mutui-casa, con l'abolizione delle formule «esotiche» che
consentono di ottenere finanziamenti imponenti pagando, all'inizio, rate
bassissime. Vincoli che rischiano di «ingessare» i mercati finanziari in una
fase nella quale il motore di Wall Street già sta girando ad un ritmo molto
ridotto. Ma il presidente sostiene il contrario: sa che il mercato è un
insostituibile e straordinario produttore di ricchezza e dice di volerne uno
«forte e vibrante; ma, per averne uno così, dobbiamo anche renderlo trasparente
e ben sorvegliato, con adeguate tutele per i consumatori». Obama
sostiene di voler sfidare la «cultura dell'irresponsabilità » che ha portato i mercati
sulla soglia della dissoluzione e che è costata carissima a gran parte degli
americani. E avverte che non si farà legare le mani né da chi dice che sta
facendo troppo poco che la sua non è la riforma radicale che sarebbe necessaria
né da chi lo accusa di andare troppo in là sulla strada dell'intervento dello
Stato in economia, perché stavolta in ballo non ci sono solo i rapporti tra
diversi tipi di operatori finanziari, ma il destino delle pensioni di milioni
di americani, delle risorse con le quali la gente paga la formazione scolastica
e universitaria dei figli, la capacità dei cittadini di conservare la casa
acquistata con molti sacrifici. Oltre ai rafforzamenti dei poteri della Federal
Reserve, la Banca centrale Usa, per prevenire i rischi sistemici (che possono
costare centinaia di miliardi di dollari al contribuente, come è avvenuto per
il salvataggio di AIG) alla registrazione degli «hedge fund» (che, comunque,
non vengono regolamentati severamente, come molti chiedevano) e alle nuove
regole per l'erogazione di mutui, la riforma di Obama
contiene diverse altre novità: la costituzione di una nuova «authority» per la
tutela dei consumatori di prodotti finanziari; la previsione che l'originatore
di un prestito mantenga un certo interesse al suo rimborso (si parla di un
impegno del 5%, ma Obama non l'ha precisato), anche se
cede il credito, cartolarizzato, ad altri soggetti; una serie di iniziative per
colmare i vuoti normativi che fin qui hanno consentito a molti operatori di
«scegliersi» la loro autorità di sorveglianza, approfittando della concorrenza
esistente tra diversi «regolatori ». Negli Usa ne esistono ben sette. Problemi
giuridici e politici hanno costretto il governo a rinunciare al progetto
iniziale di unificare tutto sotto un ombrello unico. Ma verrà costituito un
consiglio (Council of Regulators) del quale faranno parte tutti gli enti di
supervisione del mercato, presieduto dal ministro del Tesoro, che coordinerà le
politiche delle varie agenzie, in modo da evitare che si creino vuoti o sovrapposizioni.
Un solo ente verrà soppresso: l'OTS (Office of Thrift Supervision), un'agenzia
del Tesoro che ha dato una pessima prova di sé nel controllo delle banche
minori e delle casse di risparmio. Da oggi la riforma è all'esame del
Congresso, dove le lobby di Wall Street che considerano i nuovi vincoli alla
loro attività troppo stringenti, sono già al lavoro. Obama
non drammatizza: «C'è sempre stata tensione tra chi ha fiducia nella 'mano
invisibile del mercato' e chi, invece crede nella mano visibile del governo. In
sé questa tensione non è negativa: ci aiuta a discutere, ma anche a essere
dinamici, ci obbliga ad adattarci, ma anche a crescere ». Massimo Gaggi Il
presidente \\ La cultura dell'irresponsabilità si era radicata a Washington e
sul mercato
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 18/06/2009 - pag: 5 La Procura di Bari:
indagine in corso Ascoltate dai pm altre tre ragazze La D'Addario ha consegnato
i nastri e il video degli incontri con il premier SEGUE DALLA PRIMA La
candidata alle elezioni comunali con la lista «La Puglia prima di tutto», che
ha rivelato le due serate che avrebbe trascorso con il premier nella residenza
capitolina, ha poi depositato le registrazioni audio dei suoi incontri e un
video dove lei stessa si sarebbe ripresa con un telefonino. «L'ho fatto ha
fatto mettere a verbale perché così nessuno potrà smentire che sono stata lì».
Tarantini e le squillo A gestire le ragazze sarebbe stato Giampaolo Tarantini,
l'imprenditore pugliese di 35 anni titolare insieme al fratello Claudio, 40
anni, di un'azienda la Tecnohospital che si occupa di tecnologie ospedaliere.
Per questo è stato iscritto nel registro degli indagati per induzione alla
prostituzione e la scorsa settimana è stato interrogato alla presenza di un
avvocato. Sono gli stessi vertici della Procura di Bari a confermare che «è in
corso un'indagine su questo reato in luoghi esclusivi di Roma e della
Sardegna», nata da alcune conversazioni telefoniche durante le quali lo stesso
Tarantini avrebbe trattato con le ragazze le trasferte e i compensi. Non sapeva
l'imprenditore di essere finito sotto inchiesta per associazione a delinquere
finalizzata alla corruzione. Secondo l'ipotesi della Guardia di Finanza la sua
azienda avrebbe versato laute mazzette per ottenere appalti nel settore
sanitario. Un filone di questi accertamenti ha coinvolto tre mesi fa anche
l'allora assessore regionale alla Sanità Alberto Tedesco, che per questo si è
dimesso dall'incarico. Parlava al telefono con le ragazze Tarantini, ma anche
con le persone dell'entourage del premier. E quando ha affrontato l'argomento
soldi, sono scattate le verifiche. Il patto con Patrizia È proprio Tarantini il
mediatore che avrebbe portato Patrizia D'Addario alle due feste con Berlusconi.
Le era stato presentato da un amico comune che si chiama Max e le disse di
chiamarsi Giampi. Di fronte al pubblico ministero la donna ha confermato che
«per la prima serata l'accordo prevedeva un versamento di 2.000 euro, ma ne ho
presi soltanto 1.000 perché non avevo accettato di rimanere. La seconda volta era la notte dell'elezione di Barack Obama sono rimasta e dunque ho lasciato
palazzo Grazioli la mattina successiva. Quando sono arrivata in albergo la mia
amica che aveva partecipato con me alla serata mi ha chiesto se avevo ricevuto
la busta, ma io le ho risposto che non avevo ricevuto nulla. Il mio
obiettivo era ricevere un aiuto per portare avanti un progetto immobiliare e
Berlusconi mi aveva assicurato che lo avrebbe fatto. Giampaolo mi disse che se
lui aveva fatto una promessa, l'avrebbe rispettata ». Il racconto della
D'Addario sulle modalità degli incontri coincide con quello verbalizzato dalle
altre tre ragazze. Tutte avrebbero specificato di essere state «contattate da
Giampaolo che ci chiedeva se eravamo disponibili a partire. Talvolta accadeva
poche ore prima e in quel caso i biglietti aerei erano prepagati». Le verifiche
della procura riguardano adesso gli spostamenti successivi. Le testimoni
avrebbero infatti riferito che le modalità concordate prevedevano che, una
volta giunte a Roma, loro arrivassero in taxi fino all'albergo indicato e da lì
dovevano attendere l'autista di Giampaolo che le prelevava e le portava a
palazzo Grazioli. «Poco prima dell'arrivo ha sottolineato Patrizia , ci
facevano tirare su i finestrini che erano sempre oscurati. Quando arrivavamo
negli hotel ci veniva detto come dovevamo vestirci: abiti eleganti e poco
trucco». Registrazioni e video La candidata alle comunali ha depositato nella
segreteria del pubblico ministero cinque o sei cassette audio e un video che la
ritrae davanti a uno specchio e poi mostra una camera da letto. In un
fotogramma c'è una cornice con una foto di Veronica Lario. Il magistrato dovrà
adesso verificare l'attendibilità di questo materiale con una perizia che
accerti se la voce incisa sul nastro è davvero quella del premier e se gli
ambienti sono effettivamente interni a Palazzo Grazioli. La decisione di
convocare le ragazze in Procura è stata presa dopo aver ascoltato le
intercettazioni telefoniche di Tarantini. Dopo aver verbalizzato la loro
versione, sono stati programmati nuovi interrogatori per le prossime settimane.
Nella lista del pubblico ministero ci sarebbero diversi nomi: altre giovani che
sarebbero state contattate dall'imprenditore e persone che potrebbero aver
avuto un ruolo in questa vicenda. L'elenco comprende i collaboratori dello
stesso Tarantini, ma anche i politici che avrebbero deciso di mettere la
D'Addario in lista per le comunali. Lei ha specificato che non le fu mai
proposto di andare a Villa Certosa, in Sardegna, «però Giampaolo mi disse che
c'era la possibilità di andare in vacanza all'estero, mi pare alle Bermuda ».
Altre si sarebbero invece accordate per partecipare a feste nella residenza
presidenziale di Porto Rotondo. Fiorenza Sarzanini ABari Il premier Berlusconi
accanto a Patrizia D'Addario in una foto del 31 maggio 2009 (Ansa/Turi) Le
modalità Le giovani hanno raccontato ai magistrati che ricevevano biglietti
aerei prepagati e che venivano portate a Palazzo Grazioli su un'auto dai vetri
oscurati Le intercettazioni La decisione di chiamare le ragazze in Procura è
stata presa dopo aver ascoltato le intercettazioni di Tarantini. Nelle prossime
settimane sono previsti altri interrogatori
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 18/06/2009 - pag: 10 L'Ocse: scuola italiana in
coda Costa troppo e ha prof vecchi Materie scientifiche, ragazzi indietro di
due terzi di anno ROMA «È preferibile legare gli aumenti di stipendi dei
professori a buone prestazioni, piuttosto che aumentare gli stipendi a tutti
gli insegnanti incondizionatamente ». È la terapia d'urto che gli economisti
dell'Ocse consigliano al nostro Paese per migliorare la qualità della scuola.
Accompagnata necessariamente dall'introduzione di un sistema nazionale di
valutazione esterno. È tutto scritto nel capitolo dedicato alla scuola dello
«Studio economico sul-- l'Italia », presentato in anteprima, alla presenza del
ministro Gelmini, dal presidente di «Treellle», Attilio Oliva, insieme ai
risultati dell'indagine internazionale Talis sull'insegnamento. I risultati
medi degli studenti italiani, messi in evidenza dalle indagini internazionali,
sono tra i più insoddisfacenti dell'area Ocse. Un solo esempio: i nostri
quindicenni risultano indietro di due terzi di anno scolastico nelle scienze
rispetto alla media europea, e di due anni rispetto ai migliori, i finlandesi.
Ma la spesa per studente non è affatto tra le più basse. La maggior parte dei
Paesi economicamente sviluppati spende meno ed ottiene piazzamenti migliori
nelle «sfide» internazionali tra studenti. L'apparente contraddizione del
nostro sistema può essere riassunta così: tanti prof malpagati. Quasi sempre
avanti negli anni (solo il 3% ha meno di 30 anni). E soprattutto demotivati. La
ragione principale per cui si accede alla professione sembra infatti essere
soltanto l'elevata sicurezza del posto di lavoro. Sono gli insegnanti a
scegliere le scuole e non viceversa, come avviene nel resto d'Europa.
L'avanzamento di carriera avviene solo per anzianità e non è per merito. Tutto
il contrario di ciò che serve ad una scuola per funzionare al meglio, secondo
gli esperti. Tra i contrari alla carriera dei professori figurano sindacalisti
e politici. Attilio Oliva si rivolge a tutti loro, molto spesso simpatizzanti
del presidente degli Stati Uniti, per ricordare quanto Obama ha detto di recente
sull'argomento: «Per decenni Washington è rimasta intrappolata negli stessi
stanchi dibattiti che hanno penalizzato il progresso e perpetuato il declino
educativo. Troppi nel mio partito si sono opposti all'idea di compensare con
incentivi economici l'eccellenza nell'insegnamento, anche se sappiamo
bene che questi incentivi potrebbero produrre miglioramenti sostanziali ».
Entrando nel dettaglio lo studio dell'Ocse suggerisce al nostro governo di
puntare su insegnanti «con una buona preparazione e ben motivati», di dotarsi
di «informazioni affidabili » sul rendimento di ragazzi, prof e dirigenti,
estendendo le rilevazioni dell'Invalsi, il nostro istituto di valutazione. Se
una scuola produce ripetutamente pessimi risultati, gli esperti suggeriscono
l'adozione di piani che prevedano la nomina di un nuovo dirigente scolastico e
il raggiungimento di standard accettabili. In caso di un ulteriore insuccesso
scatterebbero la chiusura definitiva della scuola e il trasferimento dei
ragazzi in altri istituti. Giulio Benedetti Linea dura Nelle scuole medie il 55
per cento dei bocciati in più rispetto all'anno scorso (Sintesi)
( da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Cronache data: 18/06/2009 - pag: 27 Pitti Uomo Riproposto il capo
informale. «Con la crisi è meno impegnativo» Ribelle e chic, nostalgia bomber
Torna la Generazione giubbotto Leggeri, colorati e supertecnici: un mito che
conquista Hollywood DAL NOSTRO INVIATO FIRENZE Semplicemente giubbotto, oggi.
Ma è stato anche chiodo, il duro e puro degli Ottanta. Bomber, ciccio e morbido
dei Novanta. Storicamente «barracuda», ecrù e con la fodera a quadri e polsi e
collo di maglia, dei Sessanta. A ritroso modelliicona: da Obama a Kennedy, da Sean Penn a Paul
Newman. Così fra gli stand del Pitti, la grande rassegna della moda maschile, è
tutto un giubbotto. Che gioca fra colori e pesi-piuma e tessuti. Un altro
segnale che la moda sta aspettando al varco le generazioni under 30, meno
formali e più legate a un guardaroba sportivo. Ma non solo. Da Seventy
spiegano che la scelta è anche rispettosa del momento: la crisi si può
affrontare con piccoli e facili pezzi. Dunque il giubbotto più che il capo
spalla impegnativo. Graziano Giannelli, patron di Geo Spirit e Peuterey,
conferma e rincara nel pensiero-positivo (bilancio chiuso al più 5 per cento)
che è il «basico» a vincere con (lui che può) un'aggiunta «a edizione limitata»
detta anche «capsula collection» di capi leggeri supertecnici. Pezzo forte? Il
giubbotto corto in cotone spalmato e smerigliato, rigorosamente chiaro. Più
acceso invece il capo Peuterey per Piquadro: collaborazione sfiziosa quanto
meno interessante perché «viceversa». Così la seconda ha contribuito per una
borsa della prima: tutta tasche. «Perché spiega Marco Palmieri, presidente
Piquadro, griffe ben posizionata nella pelletteria city è giusto anche
rispettare le competenze, le qualificazioni. Così questa collaborazione e altre
ancora». Sul prodotto: interessanti le bag pieghevoli e il marchingegno
(collaborazione, rieccola, con Microsoft) che «identifica e scannerizza» le
borse. Alternativa al giubbotto (prendere nota, è in rampa di ri-lancio, sul
genere, il K-Way), rigorosamente alla vita e off limits per girovita abbondanti
e/o giacche formali (non c'è nulla di più orrendo del blazer che spunta sotto a
mo' di gonnellina), i picot da marinaio (Marina Yachting, numero uno),
sahariane, trench corti. Gusto vintage poi, preferibilmente, un po' ovunque.
Retaggio di culture underground pure questo. Lavaggi di ogni e sfilacciature e
pizzicate degne di tarme o topi. Brema per esempio che ha anche chiamato un
fotografo come Mario Parisotto, digitale pentito, e dunque autore di scatti in
rullino e seppiati. Nel caso, due in uno: il giubbotto invecchiato. Sul tema
ancora e oltre. Come la scarpa coloniale, intrecciata e vissuta di fratelli
Rossetti, un tot di passaggi di lavorazione e trattamento della pelle tinta poi
in una moltitudine infinita di colori. Molto degagé. Che è il mood di questo
Pitti. Da Mason's, non c'è un pantalone che non sia trattato e rivisto: braghe
iconiche, quelle del Che, ma anche di JFK e Churchill e Fidel Castro nei
momenti di relax, ai modelli che hanno fatto le grandi guerre nei deserti e
nelle giungle. Modello «cargo», che è il vincente a questo giro, altra tendenza
«pischella». Troppa gioventù? «Non ci sono limiti d'età cerca di convincere più
attempati che può il proprietario della Mason's Nicola Martini ad indossare i
cargo (pantaloni da lavoro con i tasconi, ndr) basterà stare attenti al fit,
agli 'anta' consiglio quelli slim, sottili che possono andare tranquillamente
con un blazer, sotto il quale non metterei di certo il modello over e con il
cavallo basso». Credergli non costa nulla. Non resta che provare. Altro giro,
altro regalo. Sul tema, Brunello Cucinelli, signore del cashmere filosofico,
fautore a sua volta del «cargo» con la giacca grigia, dice che per
sdrammatizzare ancora di più la grisaglia deve sembrare una camicia: 300 grammi
il peso specifico, di lana e seta. Insostenibile leggerezza della moda.
Concetto sconosciuto a quel talentuoso quanto bizzarro stilista che si cela
sotto il nome di Undercover, che è invece un rag azzo giapponese, Ju Takahashi,
auto-definitosi «fuoridi-testa», appassionato di bambole manga fra i 10
centimetri e i sei metri. Una ieri sera si è materializzata al giardino di
Boboli, fra rigorosi modelli nero-vestiti. Paola Pollo Stile americano Sean
Penn, icona alternativa di Hollywood, in jeans, Ray-Ban e immancabile giubbotto
(Olycom) Novità Paciotti Sneakers argento e bianco Virtus Inglesi in camoscio
leggero
(
da "Corriere della Sera"
del 18-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera sezione: Economia data: 18/06/2009 - pag: 31 Il caso Spinta sui consumi dopo il piano di stimoli all'economia «Cade l'export, comprate cinese» Svolta protezionista a Pechino DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO La direttiva è stata emanata con un dispiegamento di forze massiccio: da nove ministeri e l'ufficio legislativo del Consiglio di Stato, ovvero il governo. E il contenuto è elementare. Comprate cinese. I destinatari sono tutti gli operatori economici governativi, vigorosamente invitati ad «acquistare prodotti nazionali a meno che i prodotti o i servizi necessari non si possano ottenere in Cina a condizioni commerciali ragionevoli». In particolare, il monito vale per i progetti interessati dal pacchetto di stimolo da 585 miliardi di dollari varato nell'autunno scorso per fronteggiare il rallentamento della crescita. Protezionismo. Il «Buy Chinese » riflette lo sforzo della leadership di Pechino di sopperire sul fronte interno al declino dell'export. Proprio martedì il vicepremier Li Keqiang aveva dovuto ammettere come «è improbabile un'inversione di tendenza nell'export a breve termine ed è difficile che si riesca a ottenere l'obbiettivo di quest'anno, che era stato fissato in un aumento delle esportazioni dell'8%». Non resta, dunque, che la domanda interna, da alimentare e sostenere. E se, in parallelo ai provvedimenti lanciati dal governo centrale, nei mesi scorsi province e città hanno assistito a una fioritura di misure di incentivo al consumo, con buoni-acquisto e facilitazioni di ogni tipo, l'ordine di adesso lancia un segnale preoccupante agli investitori e alle aziende straniere che coltivano il mercato cinese. L'ambasciata americana a Pechino, interpellata dalla stampa occidentale, ha provato a sdrammatizzare, avvertendo che direttive che facilitano l'acquisto di prodotti e servizi nazionali esistono da tempo. Tuttavia, il passo cinese ha un peso simbolico paradossale. Era stata Pechino a rimproverare all'amministrazione americana di arroccarsi in un "Buy American" sleale e controproducente, salvo poi ritrovarsi a concordare con Barack Obama sul fatto che il protezionismo non può esser la soluzione alla crisi globale. E solo pochi mesi fa l'esecutivo cinese aveva rassicurato politici ed economisti: «Non lanceremo mai iniziative all'insegna del 'Buy Chinese aveva promesso in una conferenza stampa il viceministro del Commercio, Jiang Zengwei perché la competitività sul mercato dovrebbe essere basata unicamente su>qualità e prezzo,
e non sul Paese d'origine». Altro clima. Il premier Wen Jiabao mercoledì
affermava che «l'economia cinese è in un momento critico in cui sta cominciando
a riprendersi»: ecco, se il rigurgito protezionista è il prezzo della ripresa,
bisogna vedere chi è disposto a pagarlo. Marco Del Corona Il premier cinese Wen
Jiabao (
da "Corriere della Sera"
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Gordon Brown e Cameron al gala di Murdoch (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Economia data: 18/06/2009 - pag: 33 Oggi la cena di
Newscorp al Castello Sforzesco Gordon Brown e Cameron al gala di Murdoch
(c.ci.) Ieri a Londra c'era un pezzo importante del governo, a cominciare da
Gordon Brown, stasera a Milano imprenditori e manager. Politici? Si vedrà. La
tre giorni europea di Rupert Murdoch è cominciata nella capitale britannica con
una cena-evento che ha messo accanto al premier laburista il leader
conservatore David Cameron, ma anche il capo del Foreign Office, David
Miliband. Molti gli imprenditori, tra questi il vicepresidente della Fiat, John
Elkann. Stasera si replica al Castello Sforzesco. Sarà la serata centrale di un
programma di incontri con la business community che chiude domani a Berlino.
Nonostante quella che lunedì, dopo le accuse di Silvio Berlusconi, l'Herald Tribune ha definito «una faida tra titani dei media», (ma
l'australiano avrebbe facile replica: proprio ieri si è lamentato della Fox
News addirittura Obama), il
patron di Newscorp ritiene Sky Italia un modello da replicare per le strategie
nel Vecchio Continente (nelle attese, il board Rai oggi non gli darà un altro
dispiacere).
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Il nuovo populismo e l'esempio di Wilson (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Opinioni data: 18/06/2009 - pag: 12 GOVERNO E STORIA Il
nuovo populismo e l'esempio di Wilson di CHARLES A. KUPCHAN D urante la visita
in Medio Oriente e in Europa, il presidente Obama ha dimostrato ancora una volta la
sua rara abilità nel saper parlare ai cittadini del mondo intero. Dal suo
pulpito carismatico, Obama
ha superato le beghe di partito e abbracciato un populismo progressista, che in
America ha raccolto un ampio consenso per le sue riforme ambiziose, mentre
all'estero ha ravvivato l'entusiasmo per la leadership americana. In
questo momento, mentre si accinge a tradurre la sua popolarità in scelte
politiche, Obama farebbe bene a prendere esempio dal
presidente Woodrow Wilson. Difatti, per la prima volta dai tempi di Wilson un
presidente americano ha saputo abbinare riforme progressiste a un forte
richiamo al coinvolgimento della cittadinanza. Sul finire della Grande Guerra,
Wilson fece un celebre viaggio in Europa, dove sedusse le folle con i suoi
appelli al libero mercato, al disarmo e alla sicurezza globale. Subito dopo
intraprese una lunga tournée in treno in tutti gli Stati Uniti, per convincere
il pubblico americano della necessità della Lega delle Nazioni. Ma l'agenda di
Wilson fu bloccata dalle faziosità interne e il Senato alla fine respinse
l'adesione americana alla Lega. La sconfitta di Wilson potrebbe offrire
un'importante avvertimento per Obama. Obama ha cominciato a mettere in pratica le sue tattiche
sovversive quando era ancora candidato presidenziale. Si è accaparrato infatti
la nomination democratica scalzando la presa di Hillary Clinton sui vertici del
partito grazie a una rivoluzione cominciata dal basso. E dal giorno della sua
investitura, Obama ha attivato la rete dei suoi
simpatizzanti, diffondendo il suo messaggio tramite i mezzi di informazione per
rafforzare il sostegno pubblico alla sua leadership e alle sue riforme
economiche. Ma se Obama è diventato «il presidente del
popolo americano», lo ha fatto anche grazie alle sue doti personali. Come
Wilson, Obama abbina un'intelligenza lucidissima a una
fede profonda nei valori morali e per di più è un eccelso oratore. Ma come
Wilson, anche Obama ha scelto il populismo per
necessità, costretto dalle divisioni interne a governare appellandosi
direttamente al popolo. Agli esordi, Obama era
convinto di poter superare le divisioni di schieramento tendendo una mano agli
avversari e rifiutando l'approccio ostile del suo predecessore. Ma si
sbagliava. Repubblicani e democratici divergono sulle principali tematiche
politiche in tutti i settori e non basta un atteggiamento conciliante a
costruire una base comune dove non esistono le premesse. Oggi che i moderati
sono passati dal campo repubblicano a quello democratico, Obama
deve affrontare non solo un'opposizione saldamente trincerata a destra, ma
anche divisioni sfibranti nel suo stesso partito. In politica estera Obama segue l'identico copione populista, sforzandosi di
coltivare il consenso pubblico in una comunità internazionale travagliata dalla
guerra e dalle ristrettezze economiche. Obama adesso
si trova sul punto di trasformare in realtà le sue promesse. La sconfitta di
Wilson, in circostanze simili, suggerisce tre distinte lezioni. 1)
Innanzitutto, malgrado il successo di pubblico, Obama
sarà costretto a lavorare con un Congresso indisciplinato come Wilson scoprì a
proprie spese. Certo, oggi i democratici godono di una rassicurante maggioranza
in Campidoglio. Ma Obama dovrà fare attenzione al
futuro: Wilson si scontrò con il Congresso quando i democratici persero Camera
e Senato nel 1918, e il presidente si ritrovò a non poter più contare sulla
maggioranza per far passare le sue leggi. Anche con una salda maggioranza, i
democratici oggi sono ideologicamente così eterogenei che Obama
incontrerà non pochi ostacoli nel far approvare molti provvedimenti in agenda,
dai trattati sul controllo degli armamenti, ai limiti sulle emissioni di CO2,
alla riforma sanitaria. I discorsi trasmessi in prima serata sono una cosa
ottima, ma Obama dovrebbe preoccuparsi piuttosto di
andare a contrattare seriamente in Campidoglio. 2) Obama
deve dimostrare che la sua popolarità all'estero e il suo approccio morbido in
politica estera producono risultati concreti. E invece, durante il viaggio in
Europa lo scorso aprile, Obama non è riuscito a
trovare un accordo sul pacchetto di stimoli fiscali né sull'incremento di
truppe per l'Afghanistan. Questo è il momento in cui l'Europa dovrebbe dargli
una mano. I gesti di buona volontà finora compiuti da Obama
rischiano di passare per ingenuità. 3) Pur avendo presentato un'agenda politica
ambiziosa e ammirevole dalla ristrutturazione dell'industria automobilistica
all'abolizione delle armi nucleari è venuto il momento di restringere il campo
d'azione. Il Senato affondò la Lega delle Nazioni anche perché Wilson si era
esposto troppo, rifiutando ogni compromesso. E specie oggi, tra spaccature
politiche e difficoltà economiche, il realizzabile deve prendere la precedenza
sull'auspicabile. Persino i ribelli sanno tenere a freno le ambizioni quando si
scontrano con la dura realtà del governo. E Obama
farebbe meglio a seguire questo consiglio prima che sia troppo tardi.
traduzione di Rita Baldassarre
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La recessione colpisce anche Al Qaeda Crescono gli
appelli per raccogliere fondi (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 18/06/2009 - pag: 18 La storia Molti seguaci
di Bin Laden si dedicano ad attività criminali per far quadrare i conti La
recessione colpisce anche Al Qaeda Crescono gli appelli per raccogliere fondi I
finanziatori tradizionali ora preferiscono aiutare i gruppi locali e i talebani
WASHINGTON La recessione ha raggiunto anche Al Qaeda? A giudicare dagli appelli
lanciati dai leader la risposta sembra essere affermativa. Il primo a
sollecitare l'invio di aiuti è stato lo stesso Bin Laden, nell'audio del 3
giugno. La «voce» attribuita da Osama dunque senza alcuna sicurezza che sia
proprio lui ha chiesto «assistenza volontaria e supporto» per alimentare la
campagna in Afghanistan e Pakistan. Ancora più pressante il messaggio di
Mustafa Abu Al Yazid, un dirigente qaedista noto per le capacità manageriale,
che sette giorni dopo ha ammesso crescenti problemi. A suo dire i mujahedin
hanno bisogno di «cibo, armi e tutto ciò che serve» per combattere. Dunque si è
rivolto in particolare ai fratelli turchi affinché facciano collette per
sostenere la Jihad. Per gli esperti dell'intelligence la mancanza di fondi ha
ragioni diverse. Primo. Le autorità dei paesi arabi dove i militanti
raccoglievano il denaro hanno adottato misure di controllo più severe. Secondo.
Le difficoltà del movimento in Iraq sono state accompagnate da una diminuzione
di sequestri e taglieggiamenti, due importanti fonti economiche per i
terroristi. Terzo. I finanziatori tradizionali hanno destinato le risorse ai movimenti
locali come nello Yemen piuttosto che alla cosiddetta «Qaeda centrale ».
Quarto. Un sostegno politico minore per i piani di Bin Laden. Problemi di
liquidità erano già emersi e in modo clamoroso in passato. Nel 2005 in una
lettera diventata famosa Ayman al Zawahiri aveva chiesto alla componente
irachena del gruppo, guidata da Al Zarkawi, l'invio di centomila dollari per
rilanciare la lotta. Una somma non certo impossibile ma che contrasta con il
quadro esagerato disegnato dopo l'11 settembre. Allora si disse che Al Qaeda
avesse un budget di 30 milioni di dollari. In realtà molte inchieste hanno
dimostrato che i militanti dovevano accontentarsi di un bilancio magro e quelli
operanti in Occidente hanno imparato a sopravvivere con poche centinaia di euro
al mese. Molti, per far quadrare i conti, si sono dedicati ad attività
criminali, come il contrabbando, la droga, la vendita di capi contraffatti, i
furti. Uno studio, preparato nel 2008, ha svelato aspetti sorprendenti. Un
gruppo di reclute arrivato dall'Europa ha dovuto pagare per unirsi al
movimento: 400 euro a testa destinati all'istruttore, altri 900 per coprire
«spese militari » e due settimane di corso. Non è finita. Sembra che per
raggiungere il teatro afghano abbiano dovuto sborsare 2 mila euro, la percentuale
destinata al trafficante di uomini. Non è poi un mistero che sul fronte
iracheno i volontari più graditi sono stati sempre i sauditi perché, rispetto
alla media, possono portare in dote somme consistenti (oltre 2 mila dollari).
Denaro usato, in minima parte, per campare, e in maggioranza come cassa comune
delle varie formazioni. Se la capacità strategica di Al Qaeda è diminuita lo si
deve poi ad un impoverimento generale e alla concorrenza subita ad opera dei
talebani. I fedelissimi del mullah Omar, l'altro grande fantasma della guerra
ad Oriente, o quelli pachistani di Beitullah Mehsud hanno continuato a ricevere
donazioni (da mercanti locali, da ricchi cittadini del Golfo Persico) e a
sfruttare il racket della droga. L'oppio è un settore vitale per i
guerriglieri: gestiscono direttamente il traffico, proteggono i
contrabbandieri, impongono tasse di passaggio. E rispetto ai qaedisti storici
hanno un vantaggio non secondario. Mentre Obama e Al Zawahiri si sono ritagliati
un ruolo ristretto di commentatori, i talebani sostengono l'urto dello scontro.
Sono loro «a fare», a colpire, a organizzare attentati spettacolari nelle
principali città del Pakistan. Ed è probabile che i membri di quella che veniva
chiamata «la catena d'oro», una rete informale di finanziatori basati nel mondo
arabo, preferiscano dare una mano ai talebani, lasciando a Osama solo
gli spiccioli. Guido Olimpio
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La Casa Bianca: sulle coppie gay nuove leggi per la
piena parità (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 18/06/2009 - pag: 19 Firmato il memorandum La
Casa Bianca: sulle coppie gay nuove leggi per la piena parità WASHINGTON Barack
Obama ha esteso ai partner dei dipendenti federali gay
i benefici di cui godono gli altri statali, estendendo così, anche dal punto di
vista del trattamento medico e assistenziale, gli stessi diritti delle coppie
etero a quelle omosessuali. Fonti della Casa Bianca hanno definito questo
provvedimento «un primo passo verso l'uguaglianza sessuale, ma certamente non
l'ultimo di questa Amministrazione». Ha poi confermato lo
stesso presidente Obama: il
memorandum firmato ieri è solo «l'inizio». Obama ha sottolineato di essere «molto orgoglioso» di questa decisione
che rappresenta «un grande passo verso l'uguaglianza di tutti i cittadini» e
corregge «errori del passato». E ancora: «Abbiamo posto fine a un'ingiustizia.
Ora sono stati riconosciuti dei diritti che finora erano stati negati». Obama ha quindi annunciato che si impegnerà perché venga
abrogata la legge che impedisce il riconoscimento a livello federale delle
nozze tra omosessuali, legali al momento solo in sei Stati. «Crediamo che sia
una legge discriminatoria ha detto Obama che
interferisce con il diritto degli Stati e lavoreremo al Congresso per
annullarla».
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"Ci pagavano per andare alle feste di
Berlusconi" (sezione: Obama)
BARI
Patrizia DAddario non è lunica donna a essere stata
sentita dal pm di Bari, Giuseppe Scelzi, sulla sua partecipazione agli incontri
a Palazzo Grazioli. Altre tre ragazze, anzi donne, hanno verbalizzato (una a
Roma) di essere state pagate per partecipare alle feste, veri e propri festini,
di Villa Certosa (Porto Rotondo) e palazzo Grazioli (Roma). Confermando così lo
scenario delineato da Patrizia DAddario al
«Corriere della Sera». La donna ha raccontato alla Procura di Bari di aver
chiesto duemila euro per andare a una festa da Silvio Berlusconi. E di aver
rivolto al Presidente una richiesta per risolvere il suo problema: rendere
edificabile un suolo agricolo per costruire un residence. Una delle testimoni,
con lautorizzazione del pm Giuseppe Scelzi, sarebbe riparata
allestero. Una fuga dettata dalle preoccupazioni
delle conseguenze delle sue dichiarazioni: «Temo per la mia sicurezza»..
Quattro testimoni raccontano di essere state «ingaggiate»
dallimprenditore della sanità Giampaolo Tarantini - indagato per
induzione alla prostituzione - per partecipare ai festini nella capitale e in
Sardegna. Alle donne, lamico di Berlusconi che ha
una villa a Porto Rotondo, garantiva un «cachet», il volo in aereo, il taxi,
lalbergo, lauto con lautista e, prima di entrare nelle
dimore del Presidente, «mi raccomando tenete i finestrini alzati». Alle donne
venivano date anche disposizioni su come vestirsi. Nei racconti delle
testimoni, soldi, aerei, alberghi di lusso e i soliti regali del Cavaliere:
farfalle e ciondoli. Alla Procura di Bari, Patrizia DAddario ha consegnato anche le registrazioni degli
incontri con il premier. La donna, candidata alle elezioni comunali in una
lista - «La Puglia prima di tutto» - collegata a quella del candidato a sindaco
del Popolo
delle libertà, Simone Di Cagno Abbrescia, ha deciso di rivolgersi ai magistrati
dopo aver subito uno «strano» furto a casa. Questo filone sulla induzione alla
prostituzione nasce allinterno
dellinchiesta di Bari sulla malasanità. E appena agli inizi e già deflagra
prepotentemente a Roma, nei palazzi delle istituzioni. Perché il filo dArianna di banali intercettazioni di indagati
nellambito di una inchiesta su appalti pilotati - sembra che nelle
conversazioni si parli anche di cocaina - ha portato anche ai festini nelle
dimore di Silvio Berlusconi. La prima volta di Patrizia DAddario è stata a metà ottobre dellanno scorso.
Lei ricorda di non essere stata lunica, quella sera, a Palazzo Grazioli.
E che Berlusconi mostrò alle ragazze il video con Bush, raccontò
barzellette e intonò le sue canzoni. Per quella sera, visto che non rimase a
palazzo Grazioli, fu pagata soltanto mille euro. Due settimane dopo, la notte
di Barak Obama presidente degli Usa, Berlusconi le
chiese di rimanere. E si impegnò ad aiutarla a risolvere il problemino barese
della licenza per costruire il suo residence. Quando rientrò in albergo, una
sua amica le disse: «Ma te la busta lhai
presa?». Lei rispose di no. Ma evidentemente cera la promessa
dellintervento su Bari, per quella licenza. Agli inizi di marzo, alla donna
viene promesso da Giampaolo Tarantini un posto in lista alle Europee. Ma alla
fine ha strappato soltanto una candidatura alle comunali, in una lista
collegata. Giampaolo Tarantini, il titolare (insieme al fratello Claudio) della
«Tecnohospital», e che potrà avere sviluppi clamorosi è al centro dellinchiesta. Naturalmente, le dichiarazioni delle quattro
testimoni dovranno adesso essere verificate, come pure gli inquirenti dovranno
accertare se quelle registrazioni, nelle quali si sente parlare Silvio
Berlusconi, consegnate da Patrizia DAddario,
sono effettivamente autentiche. Sono due i filoni «madre» delle inchieste sulla
sanità pugliese. Il primo, quello del sostituto procuratore antimafia Pino
Scelzi - è il magistrato che agli inizi del 2000 chiese larresto del presidente del Montenegro, Milo Dukanovic,
per contrabbando di sigarette - che vede indagati per corruzione primari del
Policlinico, direttori sanitari, i fratelli Tarantini. Il succo
dellinchiesta è che gli appalti per le forniture sanitarie siano stati
pilotati. Il secondo filone, quello del pm antimafia Desirè Digeronimo, ha già
visto una vittima eccellente: lassessore
regionale alla Sanità del governatore Nichi Vendola, Alberto Tedesco. Che si è
dimesso.
Indagato nellambito di una inchiesta
partita sulla gestione degli appalti sui rifiuti ad Altamura. E approdata agli
appalti nella sanità. Di sicuro, per colpa delle maledette intercettazioni.
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L'ipotesi governissimo divide il Pd (sezione: Obama)
ROMA E
se le scosse fossero così forti da far cadere il «Sultano»? Dario Franceschini
scuote la testa e si cuce la bocca. Lidea
di un governo
demergenza con dentro il Pd non vuole prenderla
in considerazione prima del tempo, ma sui divanetti in pelle rossiccia del
Transatlantico di Montecitorio non si parla daltro che della signorina
DAddario, delle sue presunte notti trascorse a Palazzo Grazioli e
delle possibili conseguenze di tutto questo. Un parlamentare di lungo corso
come Pierluigi Castagnetti riassume il senso di tanti contatti informali con
parole insolite per un uomo prudente come lui: «Laria
è quella di un allargamento della vicenda, di un progressivo logoramento di
Berlusconi, di una vicenda che può mettere a rischio la legislatura. E fantasmagorico immaginare già scenari politici futuri,
ma se il premier cadesse e la Repubblica entrasse in crisi, come farebbe il Pd
a tirarsi
indietro?». Nel giorno in cui il Partito democratico sceglie un profilo
bassissimo, decide di non infilarsi nella polemica sulle notti brave della
signorina pugliese, lipotesi di una caduta del
premier comincia ad affacciarsi nelle chiacchierate informali dei dirigenti
del Pd. Tutti scettici allidea di un infarto
immediato del governo, ma con due approcci diversi rispetto allipotesi
lontana di un «governissimo». Da una parte chi, senza tifare, non lo esclude
come Massimo DAlema - che domenica aveva esplicitamente immaginato una
opposizione chiamata ad «assumersi le sue responsabilità» - o come Pierluigi
Castagnetti. I contrari, invece, non esprimono sfumature. Dice il veltroniano
Giorgio Tonini: «Non precipiterà tutto così rapidamente e non cè neppure da augurarselo. Ma se si aprisse una
crisi, dovremmo andare ad elezioni anticipate, perché non potremmo sostenere un
governo privo di un chiaro mandato elettorale». Sostiene la prodiana Sandra
Zampa: «Che Berlusconi cada non ci credo assolutamente, la destra non aprirà
brecce. Ma in linea di principio, in un sistema bipolare, quando un governo
cade, si va subito a elezioni. Quanti guai si sarebbe risparmiato il
centrosinistra, se dopo la caduta di Prodi nel 1998 avessimo seguito questa
strada?». Solo più tattico uno dei «Franceschini boys» come Roberto Di
Giovampaolo: «Io non ci credo che Berlusconi cada, ma se mai dovesse accadere,
col cuore in mano del militante dico che mi fa ribrezzo pensare a un governo di
unità nazionale con questa destra. Ma da parlamentare dico che, per provocare lesaurimento vero del fenomeno Berlusconi, dovremmo
mettere alla prova la destra in Parlamento: ce lo avete un altro capo?». Ma se
è ancora presto per immaginare scenari credibili, nel primo giorno del caso
DAddario, la linea al Pd ha finito per darla Massimo DAlema. Che è stato letteralmente preso dassalto
da parte del centrodestra. Prendendo spunto dalla sommaria affermazione di
DAlema che domenica aveva ipotizzato «scosse» sul cammino di Berlusconi,
il Pdl ha attaccato con durezza senza precedenti lex premier, chiedendogli come potesse sapere
dellinchiesta in corso a Bari e arrivando a ipotizzare rapporti oscuri
con «apparati non fedeli». DAlema, oltre a minacciare querele a chi
insistesse a insinuare una sua connection con la magistratura barese, ha
alzato il tiro sul capo del governo, senza risparmiare colpi: «Consiglierei a
Berlusconi di fare ciò che si fa in questi casi: cè una intervista sul Corriere della Sera dove qualcuno
gli fa delle accuse, ebbene risponda. Faccia quel che non ha fatto nel caso
Noemi...». Lincontro con Obama? «Un
caffè alla Casa Bianca è il minimo atto dovuto: fatico a vederlo come un grande
successo, spero che Obama abbia dato buoni consigli».
I terremotati? «Berlusconi li ha usati come spot». E tutto il Pd si è stretto
attorno allex premier. Dario Franceschini: «DAlema
ha risposto con indignazione alle accuse perché ha ragione: quando parlava di
scosse, si riferiva a fatti politici». Rosy Bindi: «Le accuse a DAlema?
Il solito tentativo di sviare lattenzione».
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I segreti della blogosfera araba "E' una scuola
di democrazia" (sezione: Obama)
STUDIARE
l'impatto dei blog sulla democrazia nei paesi arabi. E immaginare gli scenari
futuri di una delle aree più "calde" del mondo. Questo l'obiettivo da
cui è partito il Berkman Center for Internet Society dell'università di
Harvard, un gruppo di studio che si occupa del legame tra internet e
democrazia. I risultati sono stati pubblicati ieri in "Mapping the Arabic
Blogosphere: Politics, Culture and Dissident". I paesi conivolti dalla
ricerca sono il Marocco, la Tunisia, l'Algeria, l'Egitto, l'Arabia Saudita, il
Kuwait, l'Iraq e la Siria. Gli studiosi di Harvard hanno identificato circa
35mila blog attivi. Tra questi sono circa 6mila i più frequentati. I bloggers
arabi risultano essere nella maggior parte giovani e di sesso maschile. Il
paese con la più alta concentrazione di donne blogger è l'Egitto. Analizzando i
link effettuati da ogni utente sul proprio blog, i ricercatori hanno
identificato le testate d'informazione più seguite: su tutte Al-Jazeera,
seguita dalla BBC e da Al-Arabiya. Molto cliccati anche YouTube, dove i giovani
arabi preferiscono guardare video a sfondo politico e culturale, e Wikipedia
sia nella versione araba che in quella inglese. Molti blog sono in forma di
diario ma quando i web-writers affrontano la politica restano legati agli argomenti
del Paese di provenienza. L'unico tema trans-nazionale molto trattato è la
questione palestinese e in particolare la situazione di Gaza. Migliaia i post
sull'argomento durante il riavvampare del conflitto lo scorso dicembre. Nei
blog arabi si scrive molto anche di religione, trattata nella maggior parte dei
casi da un punto di vista molto personale. Al centro dell'attenzione anche il
tema dei diritti umani. Sul terrorismo i bloggers arabi si mostrano ipercritici
e non mancano dure riflessioni sulla politica estera degli Stati Uniti
d'America. OAS_RICH('Middle'); L'esito dello studio ha permesso ai ricercatori
americani di affermare che "come nel resto del mondo, anche nei Paesi
arabi le comunicazioni basate su Internet offrono nuovi canali per l'espressione
dei cittadini e contribuiscono a creare un contraltare all'informazione
pubblica tradizionale". Una caratteristica che unisce
l'oriente con l'Occidente. Un ponte online in grado di "smantellare molti
stereotipi e, forse, di anticipare quel nuovo inizio auspicato da Barack Obama nelle relazioni tra mondo arabo e
mondo occidentale", concludono i ricercatori. (18 giugno 2009
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Ragazze a pagamento per le feste del premier
Sigillate le registrazioni della D'Addario (sezione: Obama)
ROMA -
Il pm teme le fughe di notizia e le registrazioni degli incontri tra il premier
e il teste chiave dell'inchiesta sulle feste a palazzo Grazioli, sono finite
nella cassaforte della Procura di Bari. Una delle ipotesi su cui stanno
lavorando gli investigatori è che l'imprenditore Giampaolo Tarantini abbia
ingaggiato escort per ingraziarsi persone di potere che avrebbe incontrato
durante le feste nella residenza romana di Silvio Berlusconi. Per ora è solo
"un'ipotesi investigativa" come dicono nella Procura di Bari, ma i
magistrati vogliono vederci chiaro e sull'azienda Tecnohospital dei fratelli
Tarantini hanno chiesto accertamenti per scoprire eventuali relazioni tra
l'ingaggio delle donne - quindi il reato di induzione alla prostituzione - e la
fornitura di materiale medico. Sigilli alle audiocassette degli incontri. La
figura chiave dell'inchiesta resta Patrizia D'Addario che ha raccontato di essere
stata a due feste nella residenza romana del premier e di avere le prove,
depositate in Procura, comprese le registrazioni audio e video degli incontri.
Per evitare fughe di notizie, il pm ha sigillato le audiocassette registrate
dalla quarantaduenne barese durante due feste a Palazzo Grazioli con il
premier. "La prima volta - ha detto la donna al Corriere della sera - lo
scorso ottobre: eravamo una ventina. Giampaolo (Tarantini, ndr), mi diede mille
euro. Un'altra volta sono rimasta a dormire a palazzo Grazioli. Era la sera
dell'elezione di Obama". Di solito i nastri vengono ascoltati dal magistrato
inquirente e dagli investigatori e, successivamente, affidate ad un consulente
che si occupa di eliminare i rumori di fondo e trascrivere i dialoghi. Ma per ora,
il contenuto delle audiocassette consegnate dalla D'Adario è in cassaforte e
non sarà trascritto. OAS_RICH('Middle'); Ascoltate cinque ragazze.
Verifiche sono state condotte anche sugli spostamenti di alcune donne che
avrebbero partecipato, dietro pagamento, alle feste organizzate nelle residenze
private di Silvio Berlusconi, a Palazzo Grazioli e a Villa Certosa. Cinque
ragazze sono state già ascoltate dagli investigatori ed altre lo saranno nei
prossimi giorni insieme ai testimoni che, a detta delle ragazze, hanno
partecipato con loro alle feste. Controlli in hotel e all'aeroporto. Controlli
di Polizia sono stati infine ordinati anche sulle intestazioni di biglietti
aerei e i pernottamenti in alcuni hotel romani dove le ragazze ascoltate dalla
Procura avrebbero detto di essere state ospitate prima dell'incontro con il
premier. L'indagine resta a Bari. Una cosa è certa: l'inchiesta rimane a Bari.
A chi sussurrava che l'indagine potesse essere trasferita a Roma, fonti
inquirenti spiegano che "la competenza barese è confortata dal fatto che
il contratto illecito, cioè l'incarico che sarebbe stato dato alla D'Addario, è
stato stipulato e perfezionato a Bari". (18 giugno 2009
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la pistola sul tavolo - lucio caracciolo (sezione: Obama)
Pagina 1 - Prima Pagina LA PISTOLA SUL TAVOLO LUCIO
CARACCIOLO Barack Obama vuole passare
alla storia come il leader americano della mano tesa alla galassia islamica.
Ora sappiamo che la mano da stringere, sul decisivo fronte iraniano, sarà
quella di Mahmud Ahmadinejad. SEGUE A PAGINA 39
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la fiat non chiuderà in italia ma chiede aiuto al
governo (sezione: Obama)
Pagina 8
- Economia La Fiat non chiuderà in Italia ma chiede aiuto al governo Vertice a
palazzo Chigi. Via l´auto da Termini Imerese Berlusconi: Obama ha apprezzato l´intesa su
Chrysler. Scajola: istituiremo tre tavoli di confronto I sindacati: no al
taglio della produzione in Sicilia Epifani: Torino vaga anche su Pomigliano
ROMA - Il piano della Fiat prevede tagli alla capacità produttiva ma garantisce
«la continuità degli stabilimenti italiani». è questo il compromesso che
Sergio Marchionne illustra di prima mattina a Silvio Berlusconi, ai ministri,
ai governatori delle regioni e ai sindacati. Il governo risponde facendo
nascere «tre tavoli di confronto tecnico al ministero delle attività
produttive» mentre i sindacati chiedono al Lingotto «maggiore chiarezza
soprattutto sul futuro di Termini Imerese e Pomigliano». Davanti a Palazzo
Chigi sono proprio i dipendenti dello stabilimento napoletano ad animare la
mattinata: «Berlusconi cancella i camorristi ma lascia vivere gli operai».
Nella grande sala della riunione il Presidente del Consiglio elogia l´ad del
Lingotto e difende l´operato del governo: «Abbiamo parlato con Obama che ha apprezzato l´accordo raggiunto con Chrysler. Il
governo è sempre stato vicino alla Fiat e siamo disponibili ad un confronto con
il governo tedesco sulla Opel». Marchionne parla per mezz´ora e spiega la sua
strategia per «difendere le radici italiane» del gruppo di Torino. Poi spiega
nel dettaglio il piano degli stabilimenti dell´auto 2009-2010: cambio di
produzione a Termini Imerese a partire dal 2011, quando cesserà la produzione
della Y e «sarà necessario rifare l´accordo di programma» per realizzare «una
produzione non automobilistica». Taglio di capacità produttiva anche a
Pomigliano ma potrebbe essere una riduzione momentanea: per ora la nuova 147
verrà trasferita a Cassino mentre il futuro a Napoli prevede una nuova
piattaforma ancora da definire. Al termine tocca a Scajola sintetizzare le
risposte del governo: «Istituiremo tre tavoli di confronto con le regioni, i
sindacati e l´azienda. Il primo affronterà gli andamenti di mercato e i
riflessi sull´occupazione. Il secondo sarà dedicato alla ricerca e il terzo
alla componentistica». Il secondo tavolo, quello sulla ricerca, dovrà mettere
in pratica la proposta delle regioni (illustrata dal governatore del Piemonte,
Bresso) per un investimento pubblico complessivo di un miliardo di euro a
sostegno dell´innovazione nelle 2.700 aziende italiane dell´automotive. Scajola
ha anche annunciato «due accordi di programma per i siti di Pomigliano e
Termini». I sindacati giudicano interlocutorio l´incontro anche se annunciano
fin da subito il loro «no» al taglio della produzione a Termini: «Su Termini e
anche su Pomigliano - dice Guglielmo Epifani - la Fiat è stata troppo
generica». Alle accuse di Marchionne contro le «azioni di conflitto immotivate»
da parte dei sindacati, il segretario della Cgil risponde che lo sciopero di
Melfi «è nato dalle inadempienze dell´impresa». Bonanni e Angeletti apprezzano
«l´apertura di un tavolo di confronto». Il segretario della Uil ricorda che
«tra i paesi europei l´Italia è quella che produce meno auto e dunque non è qui
l´eccesso di capacità produttiva». I sindacati di categoria, in particolare
quelli siciliani, giudicano «inaccettabile» l´annuncio della fine della
produzione automobilistica a Termini Imerese. Tutti sperano che il governo
accolga la richiesta dell´azienda di prolungare la cassa integrazione ordinaria
che sta per scadere: «La proposta - rivela Angeletti - è quella di consentire
il passaggio alla cassa straordinaria senza l´obbligo per l´azienda di indicare
gli esuberi strutturali». In sostanza, senza condannare in anticipo nessuno.
(p.g.)
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la pistola sul tavolo - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)
Pagina
39 - Commenti LA PISTOLA SUL TAVOLO (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Salvo che la
crisi conseguente alla vittoria più o meno rubata dello "spazzino del
popolo" porti, come oggi non pare, al collasso del regime. Sapremo dunque presto di che pasta è fatto Obama: un Jimmy Carter al quadrato,
ingenuotto e figlio dei fiori, come pensano molti dirigenti israeliani? Oppure
un realista alla Kissinger, che non si perde in fumisterie e bada all´interesse
nazionale, pur con un debole per la magniloquenza? Perché se la Guida
Suprema ha blindato il risultato elettorale, imponendo il trionfo di
Ahmadinejad al primo turno, lo ha fatto perché conscio che il 12 giugno non si
eleggeva solo il presidente dell´Iran, ma l´uomo che dovrà trattare con Obama. Khamenei voleva che a questo scopo fosse deputato il
leader da lui inventato, piuttosto che l´odiato Mussavi, o chiunque altro
dietro cui si stagliasse l´ombra dell´ancora più detestato Rafsanjani.
Naturalmente riservando a se stesso l´ultima parola. In gioco, nella partita con
l´America, non è solo la bomba atomica, la stabilità dell´Iraq e
dell´Afghanistan, la rilegittimazione dell´Iran come potenza regionale. Molto
più, in questione è la sopravvivenza del regime. Khamenei non si fida delle
garanzie di Obama. Pensa che l´America non si darà
pace finché non avrà abbattuto la Repubblica Islamica. Lo scopo ultimo della
trattativa con Washington che quasi tutti i leader iraniani vogliono con toni e in modi diversi è la piena
accettazione dell´Iran come grande potenza islamica nella regione e nel
mondo. Dunque, se Teheran apre il tavolo del negoziato vero, a 360 gradi, la
parola d´ordine è: vietato fallire. Lo stesso vale per Obama.
Per questo evita di impelagarsi nella partita iraniana, contando che la protesta
si sgonfi abbastanza in fretta. Non è uomo da "rivoluzioni colorate".
Crede che il cambiamento sia necessario e possibile, ma non attraverso
interventi militari o complotti dell´intelligence in Iran nessuno ha dimenticato la defenestrazione di
Mossadeq
per mano della Cia, più di mezzo secolo fa. è il dialogo che mina i regimi. Non
lo scontro frontale che spesso li cementa. è chiaro che per Obama
trattare con Ahmadinejad significa rischiare l´osso del collo. Moussavi, che
nella sostanza non è così diverso dal suo eversore, ci avrebbe almeno messo una
faccia nuova, non sporcata dalle contumelie antisemite del presidente attuale.
Ma alla Casa Bianca prevale l´idea che non vi sia alternativa al dialogo con
l´Iran se si vuole disincagliare la corazzata americana, finita nelle secche
mediorientali negli otto anni di Bush. D´altronde, gli interessi americani e
iraniani sono compatibili in Iraq e quasi identici in Afghanistan. Il vero
scoglio sembra il nucleare, anche per la sua potenza evocativa. Obama non può permettersi che alla fine del negoziato l´Iran
esibisca la bomba atomica. Ma Khamenei e associati vogliono davvero l´arma
definitiva? E vogliono usarla contro Israele? Si può dubitarne. A meno di non
attribuire una vocazione suicida al regime. Il che è certamente lecito, visto
che la politica non sempre obbedisce alla ragione, o a ciò che noi
qualifichiamo tale. Ma se è vero che pasdaran, basiji, autorità religiose e
altre corporazioni consociate sono vocate al primum vivere, l´Iran si fermerà a
un passo dalla Bomba. Si accontenterà di poter allestire in pochi mesi un
arsenale atomico, in caso di emergenza, piuttosto che sventolarlo sotto il naso
di arabi e israeliani. I primi non impiegherebbero molto per dotarsi di un
deterrente analogo. Gli altri, che l´hanno ma non lo ammettono, dovrebbero
scegliere fra attacco preventivo (secondo il capo del Mossad ci sono cinque
anni di tempo) e deterrenza stile guerra fredda. Israele ha già oggi in canna
il secondo colpo distruttivo, disponendo di testate atomiche montate su
sottomarini (di fabbricazione tedesca
nemesi storica), che scamperebbero quindi a un attacco nucleare contro il suo
territorio.
Obama non può dirlo, e forse non lo dirà mai, ma
sembra aver accettato la "soluzione giapponese". Pare rassegnato a
che l´Iran si doti di tutto ciò che serve per costruire l´arma atomica, ma non
di essa. Una distinzione sottile. Forse capziosa, se non ipocrita. Perché
nucleare civile e bomba atomica non sono poli opposti, ma tappe lungo
l´identico percorso. Alla fine la decisione iraniana e americana sarà politica,
non tecnica. Purché prima non ci pensi Israele, sempre più preoccupato
dall´inclinazione di Obama al dialogo con il suo
nemico esistenziale, a sparigliare i giochi attaccando l´Iran. La pistola forse
non sarà mai usata, ma resta sul tavolo. In bella vista.
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l'era della ri-regulation - (segue dalla prima
pagina) (sezione: Obama)
Pagina
38 - Commenti L´ERA DELLA RI-REGULATION (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Certo,
quegli squilibri sono stati una componente importante, ma la crisi non sarebbe
stata così acuta e diffusa se non vi fossero state falle vistose nel sistema di
regolazione e di vigilanza della finanza, del credito e dei mercati,
soprattutto nei centri finanziari più sviluppati. Quelle falle si sono
manifestate su tre versanti: un perimetro della regolazione del tutto
inadeguato, che lasciava fuori soggetti importanti, nuovi prodotti finanziari,
nuovi mercati, sì da consentire amplissime zone franche; anche quando le regole
esistevano, un comportamento corrivo dei regolatori, "catturati" dal
regolato o per corposi loro interessi o, più spesso, in ossequio all´ideologia
dominante circa le virtù auto-regolatrici del mercato; inefficienza del
sistema, quanto meno negli Stati Uniti ove, fra livello federale e livello
statale, una cinquantina e più di commissioni e di agenzie si pestavano i piedi
o si scaricavano a vicenda responsabilità. L´ambizioso piano Obama
- 85 pagine a spazio uno, 30 temi di intervento, ciascuno con un ampio
dettaglio di proposte - chiede al Congresso (e, per una parte, alla comunità
internazionale) di riscrivere le regole: ampliandone la portata, rendendole più
stringenti e cogenti, affrontando temi cruciali prima dimenticati; in breve,
definendo nuovi confini per l´attività di supervisione. Pur aumentando
notevolmente i poteri della Federal Reserve e del Tesoro, neppure si cerca di
porre rimedio alla balcanizzazione della struttura di vigilanza, probabilmente
per non offrire al Congresso occasioni di opposizione. Ma basterebbero le nuove
regole - se approvate e se poi applicate - a segnare una svolta a U rispetto
all´ambiente in cui maturò la crisi: quello di una regolazione meno intrusiva
possibile e di una pratica di supervisione a cui si richiedeva un "tocco
leggero", tanto leggero da non essere neppure percepibile. Per
convincersene, bastano pochi esempi. Identificazione, in base a dimensione, a
livello di indebitamento, a grado di interconnessione, di soggetti finanziari
intrinsecamente sistemici, si chiamino banche o in altro modo, da sottoporre,
come tali, alla regolazione e alla vigilanza di stabilità della Federal
Reserve; revisione dei requisiti di capitale, differenziati per soggetti e
attività, da applicare anche alle capogruppo finanziarie: senza tornare alla
separazione oggi artificiosa della legge Glass-Steagall si percorre la strada
di una vigilanza integrata, indipendente da distinzioni obsolete. Registrazione
degli hedge funds, a cui si impongono requisiti di trasparenza. Non divieto, ma
disciplina delle cartolarizzazioni, fra l´altro con obbligo per l´emittente di
mantenere una quota delle obbligazioni nel proprio portafoglio. Riduzione
dell´importanza del rating. Regolazione dei mercati dei derivati. Nuovo regime
di risoluzione di crisi e di amministrazione controllata per le holding
bancarie e finanziarie. Sul versante internazionale, ove l´interlocutore
designato è un rinforzato Financial Stability Board presieduto da Mario Draghi:
revisione dei requisiti di Basilea e dei principi contabili; regolazione delle
entità transfrontaliere (quelle che, come ha detto il Governatore della Banca
d´Inghilterra sono globali da vive, ma nazionali da morte, quando qualcuno deve
pagare il conto) e accordo sulla gestione di crisi che le coinvolgano; invito
ai membri del G20 a percorrere la strada indicata dall´amministrazione
americana. Il piano Obama può essere discusso e
criticato per le specifiche proposte (e lo sarà nell´esame del Congresso); ma
costituisce da oggi un punto di riferimento, anche perché organizza molte delle
proposte già discusse e accolte nella sede del Financial Stability Board.
Affidiamo a più raffinati esegeti, possibilmente di formazione giuridica e innocenti
di economia, il compito di valutare in quale relazione esso si ponga rispetto
ai criteri legali globali di cui molto si è parlato (in traduzione, global
legal standards) e alle 77 pagine licenziate al vertice del G8 di Lecce (in
traduzione inversa, il Lecce framework) ma non disponibili per lettura (si sa
solo che si tratta di «un insieme di principi comuni e di standard
riguardanti la condotta degli affari e della finanza
internazionale», con particolare riferimento «al governo societario, all´integrità di mercato,
alla regolazione e alla supervisione finanziaria, alla cooperazione in materia
fiscale, alla trasparenza della politica macroeconomica»). Forse la questione
non è così urgente, poiché il documento Obama mai menziona il G8 e per
l´interlocuzione internazionale considera solo il G20. Sarebbe invece più
urgente un meditato studio del piano Obama in sede europea. Sinora la Commissione è rimasta quasi immobile:
ha presentato qualche proposta frammentaria su temi a volte periferici;
quella su un nuovo assetto integrato della vigilanza è timida e insoddisfacente
e non affronta comunque questioni di sostanza. Stia attenta l´Europa: Obama non è Bush e stargli dietro non sarà facile.
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la finzione - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)
Pagina
49 - Cultura La finzione Un´analisi dei libri di sartori e di salvadori: si
sono smarrite regole e garanzie quando comandano le oligarchie democratica La
strategia è quella di svuotare i controlli giuridici e politici Dobbiamo usare
ossimori come "la costituzione incostituzionale" (SEGUE DALLA PRIMA
PAGINA) Giovanni Sartori (in Il sultanato) parla di "costituzione
incostituzionale" (i costituzionalisti dicono: costituzione senza
costituzionalismo). Massimo Salvadori, già nel titolo del suo libro (dedicato
allo stesso Sartori), parla di Democrazie senza democrazia (entrambi i libri
sono usciti per gli Editori Laterza). Forse davvero questo è il tempo degli
ossimori, cioè della realtà, espressa dagli aggettivi, distinta dal sogno,
espresso dal sostantivo. è il tempo dell´ambiguità, dell´oscillazione, della
paralisi, che impedisce di prendere posizione. Se diciamo incostituzionale,
subito, come nelle commedie di Aristofane dove i buoni concetti si affacciano
nelle forme di belle fanciulle, si fa avanti La Costituzione; se diciamo a- o
anti-democratico, subito entra in scena La Democrazia a smentirci e a tenerci
su di morale. E lo stesso al contrario: se diciamo costituzione, subito
pensiamo all´incostituzionale; se diciamo democrazia, subito pensiamo
all´antidemocrazia per deprimerci nel morale. E´ la condizione del nostro
tempo, alla quale siamo inchiodati. Non osiamo dire apertamente: la
costituzione, la democrazia non ci sono più, perché abbiamo paura che cada la
maschera, una maschera che conta poco, ma pur sempre qualcosa, quantomeno per
la nostra rassicurazione e per la nostra speranza che non tutto ciò che di
buono contengono quelle parole è andato perduto e che domani, forse, potrà
essere diverso. Sartori introduce il suo discorso con una cautela: non parlare
di dittatura a vanvera. "Proprio e anche perché le vere dittature sono,
quando davvero ci sono, regimi orrendi, il termine va usato con cognizione di
causa". Benissimo. Poi, però, si parla della strategia odierna di
conquista delle democrazie, una strategia che produce "costituzioni
incostituzionali" attraverso l´eliminazione, dall´interno e senza dare
nell´occhio, delle strutture di garanzia: la separazione dei poteri, i
controlli giuridici e politici. "Nessuno si dichiara dittatore. Tutti
fanno finta di essere democratici. Ma non lo sono", perché l´erosione
della costituzione come garanzia ne consente un esercizio concentrato e
illimitato. La legge non serve contro le prepotenze, ma diventa essa stessa
prepotenza. Rex facit legem, secondo il motto del despota; non (più) lex facit
regem, secondo il motto del costituzionalismo. Noi comprendiamo facilmente la
specifica direzione polemica di queste proposizioni astratte, resa palese già
nel titolo del libro, Il sultanato. Tuttavia, in un luogo, il discorso si
allarga a un certo modo di concepire la democrazia in Italia, nei tempi
recenti, là dove si parla di un "berlusco-prodismo" - forse,
nell´omologazione, facendo qualche torto all´archetipo secondo - come di un
regime che vuolsi ridurre a competizione a due, dove la politica si
personalizza e si de-istituzionalizza, riducendo i cittadini a massa mossa
demagogicamente. Le considerazioni di Sartori sono univoche nel condurci a
pensare che la contesa, sul terreno della demagogia, non può avere storia. Non
solo Berlusconi non ha rivali nel sapersi indirizzare al (suo) popolo e a
interpretare le pulsioni elementari con argomenti e atteggiamenti esemplari,
idonei a metterlo in movimento al suo seguito, ma dispone anche di strumenti
persuasivi che nessuno può neanche lontanamente sognarsi. Non solo non ci
sarebbe storia ed è dunque stolto accettare una competizione su questo terreno.
Sarebbe anche una politica solo apparentemente democratica, se per democrazia
s´intende, senza tante complicazioni, il sistema di governo, fondato sul libero
consenso, in cui il potere "viene dal basso" e in qualche modo
condiziona attivamente coloro che temporaneamente lo detengono. Sono finte
democrazie i «governi a legittimazione popolare passiva» (definizione di
Salvadori), i regimi dove il potere procede dall´alto e condiziona coloro che
sono chiamati, dal basso, ad acconsentire. Una formula politica del fascismo
suonava così: il potere scende dall´alto, dove più ampia è la visione delle
cose, ed è acconsentito dal basso, dove è più gretta e ristretta. Questo
rovesciamento, pur nel rispetto formale della costituzione - la "costituzione
incostituzionale" - deriva da una ragione profonda, anzi profondissima,
quella che riduttivamente si denomina conflitto d´interessi, cui è dedicato il
saggio che chiude il volume. Qualunque grande concentrazione di potere
economico, che necessariamente travalica nella cultura e nella comunicazione,
quando si trasferisce nella politica, inevitabilmente altera le condizioni
della libera competizione in questa sfera. E la politica, a sua volta, altererà
la competizione economica e attenterà alla libertà della cultura. La critica
sferzante ai flebili tentativi di correggere quest´aberrante commistione - la
"legge Frattini" o l´idea di un blind trust che, nelle condizioni
italiane non sarebbe affatto blind - conduce per mano entro la causa prima
delle difficoltà della nostra democrazia, una difficoltà che si potrà pensare
di affrontare efficacemente solo incidendo sulla radice, la pervasiva presenza
di un potere assorbente che non sapremmo dire se politico, economico o
culturale o, forse, tutte e tre queste cose insieme. La riflessione di
Salvadori si allarga alla crisi mondiale delle democrazie, di cui la crisi
italiana è solo un modesto esempio, alquanto grottesco. A fronte del
trionfalismo democratico (la democrazia come "concetto idolatrico",
nel cui nome si fanno guerre imperialistiche) sta la realtà del suo svuotamento
a opera di oligarchie che operano senza limiti e controlli su scala mondiale.
Ciò cui assistiamo è una nuova forma della "ferrea legge delle
oligarchie": le organizzazioni dei grandi numeri, come sono le democrazie,
producono piccoli numeri di persone organizzate. Oligarchia democratica: un
altro ossimoro non è un ossimoro. Se, nella preistoria della democrazia, si
trattava di funzionari di partito, di boss politici, di società più o meno
segrete, nazionali e sovranazionali, oggi si tratta di oligarchie economiche
senza confini, che si aggregano, disgregano, combattono fuori delle forme che
la democrazia si è date nei confini degli stati nazionali. Per questi
potentati, gli stati e il potere che essi possono esercitare sulle loro
popolazioni, diventano pedine della loro lotta per la supremazia, da acquisire
o acquistare alla propria parte, cui si consente, al massimo di essere
«amministratori locali» di poteri che li sovrastano. Un concetto importante
nell´analisi di Salvadori è quello di "post-democrazia" (Colin
Crouch), un regime (la democrazia) che «non ha tenuto il passo con la corsa del
capitalismo alla globalizzazione». Eccone i segni: le competizioni elettorali
controllate da professionisti esperti nelle tecniche di persuasione, i
cittadini ridotti all´acquiescenza, la politica decisa tra governi eletti ed
élite economiche, strapotere delle lobby, disuguaglianze sociali crescenti e
riduzione delle politiche sociali a misure di ordine pubblico. La
post-democrazia è questo regime delle oligarchie del denaro, che possono
comprare il consenso o, in mancanza, possono reprimere il dissenso, anche con
l´uso della forza e perfino della guerra. Un quadro apocalittico? L´ultimo
capitolo è uno sguardo sul futuro che sembra potersi aprire alla speranza. Si tratta dell´elezione di Barack Obama alla guida della più grande e potente democrazia del pianeta,
spiegata come rigetto della politica senza freni delle oligarchie economiche,
di cui la crisi finanziaria che quell´elezione ha accompagnato sarebbe stata un
fattore decisivo. Si tratta di vedere, dice Salvadori, se ne verrà un
risanamento anche democratico, inteso come tentativo efficace d´inversione del
rapporto di potere tra gli interessi delle oligarchie economiche, predominanti
durante l´amministrazione precedente, e le forze legittimate da un voto
popolare, emancipate politicamente. Mettiamo insieme le riflessioni di Sartori
e Salvadori sull´involuzione oligarchica della democrazia. Ne viene l´indicazione
per una definizione realistica: non il regime utopistico dove governa il popolo
ma, almeno, dove i cittadini dispongono di strumenti e li usano per combattere
i suoi parassiti che, dall´interno, ne svuotano le forme dal contenuto.
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escort e premier, bari fa il giro del mondo (sezione: Obama)
Pagina
IV - Bari Le reazioni Escort e premier, Bari fa il giro del mondo Gli occhi del
mondo sono puntati sull´inchiesta della Procura di Bari. "Denaro per
andare alle feste con Berlusconi" titola El Pais, il quotidiano spagnolo
che già su Noemi non aveva risparmiato gli attacchi al premier italiano.
"Non sapeva che le giovani fossero pagate" riporta El Mundo seguendo
l´avvocato Ghedini. In Inghilterra il Times riflette su come l´inchiesta faccia
naufragare l´intenzione del premier di "riparare la sua immagine
maltrattata auto-ritraendosi come uomo di Stato dopo l´incontro
con Barack Obama",
mentre l´Independent riporta la reazione del premier alla stampa italiana:
"Spazzatura e bugie". In Francia Le Monde titola: "L´Italia
scossa dal nuovo affaire Berlusconi" e Liberation provoca con
"Berlusconi e le ragazze-escort". Per il tedesco Suddeuche Zeitung
"L´Italia si discolpa", mentre la Frankfurter Allgemeine Zeitung
titola: "Berlusconi ha pagato la compagnia delle ragazze".
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e dopo 150 anni l'america si scusa con i neri -
vittorio zucconi washington (sezione: Obama)
Pagina
44 - Esteri Nel 1857 la Corte suprema aveva riconosciuto nella Costituzione il
diritto a possedere schiavi, "creature inferiori" Il voto al Senato
segue quello della Camera bassa ed esclude apertamente ogni possibile richiesta
di risarcimento E dopo 150 anni l´America si scusa con i neri Gli Stati Uniti
furono l´ultima nazione ad abolire la schiavitù e la segregazione nel 1865 con
Lincoln VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON Se chiedere scusa per le proprie colpe
storiche, oggi divenuta attività molto praticata, potesse davvero cancellare il
passato, il lungo orrore dello schiavismo negli Stati Uniti si sarebbe dissolto
ieri, quando il Senato americano ha approvato all´unanimità l´atto di
contrizione e di pentimento per la «peculiare istituzione», come fu chiamata la
schiavitù. Ultima nazione ad abolirla, con Abramo Lincoln nel 1865 dopo il
reciproco massacro di 600 mila fratelli del Nord e del Sud, e ancora aggrappata
alla coda velenosa della discriminazione razziale di legge per un altro secolo
fino agli 60 del XX, l´America, che ha oggi alla
propria guida un uomo di sangue europeo e africano, ha avvertito, senza
particolare fretta, l´urgenza di chiedere scusa anche ai propri cittadini neri.
Questo dopo avere già chiesto scusa ai giapponesi internati durante la Seconda
Guerra per assurdi sospetti di collaborazionismo, agli hawaiani derubati della
propria sovranità e annessi agli Usa, ai nativi americani, rapinati di un
continente intero. Senza che quel nobile gesto avesse potuto restituire alle
famiglie giapponesi i mesi trascorsi nei campi di concentramento, agli hawaiani
il loro arcipelago, o agli indiani le loro praterie. Bel gesto comunque, il
voto è stato confezionato in una "risoluzione non vincolante" come
dice la formula, per evitare che esso riapra la piaga dei risarcimenti ai
nipoti degli schiavi chiesti in passato della Camera alta del Congresso e segue
un documento simile già approvato dalla Camera bassa, la House, lo scorso anno,
quando non c´erano sospetti di piaggeria verso l´inquilino della Casa Bianca.
Proprio per evitare il pericolo che qualche attivista afro-americano possa
brandire questa risoluzione e portarla davanti alla Corte Suprema per chiedere
quei quasi 100 miliardi di dollari di rimborsi ai discendenti degli schiavi per
"lavoro non retribuito", lo sponsor della mozione, il senatore Harkin
dello Iowa e la piccola folla di co-sponsor bipartitici, Kennedy incluso, hanno
specificato che essa non riconosce alcun diritto di risarcimento. Scuse sì, ma
soldi niente. Ma le parole sono belle e coraggiose, seppure in ritardo di oltre
un secolo e mezzo dalla obbrobriosa sentenza della Corte Suprema che nel 1857
riconobbe nella Costituzione il diritto a possedere schiavi e precisò che mai
gli ex schiavi, e gli africani importati a forza, avrebbero potuto «aspirare
alla piena cittadinanza», essendo creature inferiori. La risoluzione di ieri ha
almeno il pregio di non misurare le parole e le espressioni di pentimento:
«...Dobbiamo scusarci per secoli di brutale disumanizzazione, anche se le scuse
non possono cancellare il passato... », «nella speranza che le ferite aperte
dallo schiavismo possano rimarginarsi e possano aiutare tutte le genti degli
Stati Uniti a onorare le loro storie diverse». Un riconoscimento della
importanza fondamentale e necessaria della natura multietnica e multiculturale
della nazione, che i cento senatori sembrano praticare meno bene di quanto
predichino. Nella sua storia, infatti, il «più grande organo legislativo del
mondo», come ama autodefinirsi, ha conosciuto soltanto quattro senatori di
sangue africano. In questo momento ne conta uno solo, e neppure eletto, il
molto discusso senatore Roland Burris di Chicago, scelto
per sostituire Barack Obama
eletto ad altro incarico dal deposto governatore dell´Illinois prima di andare
sotto processo. Un personaggio stravagante della politica Chicago style che ha
già provveduto a farsi costruire un mausoleo nel quale ha inciso su marmo tutti
i suoi successi e accettato dai democratici con il tacito impegno a non
ripresentarsi alle elezioni del 2010. Il Parlamento americano arriva
dunque buon ultimo nel riconoscere quello che l´elettorato ha già sancito, nel
segno del "meglio tardi che mai" e nell´onda di scuse offerte a
popoli e nazioni tormentati nei secoli dello schiavismo, del colonialismo e del
razzismo. Ora all´appello delle scuse mancano soltanto le migliaia di cittadini
italo americani, oltre diecimila secondo gli ultimi studi, internati in campi
di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale, qualcosa che futuri
premier italiani in visita a Washington potrebbero opportunamente ricordare al
Congresso e a Barack Obama, presidente particolarmente
sensibile alle discriminazioni razziali.
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petrolio raddoppiato in tre mesi sui mercati rispunta
la speculazione - maurizio ricci (sezione: Obama)
Pagina
26 - Economia Petrolio raddoppiato in tre mesi sui mercati rispunta la
speculazione Dai 32 dollari di febbraio agli oltre 70 di oggi. Un boom che ha
un´origine solo finanziaria MAURIZIO RICCI ROMA - Per chi ricorda il petrolio a
147 dollari a barile, meno di un anno fa, gli oltre 70 dollari di questi giorni
possono sembrare un prezzo adeguato a tempi di crisi. Ma la storia è diversa: a
febbraio, il prezzo del barile era precipitato a circa 32 dollari. In poco più
di tre mesi, dunque, la quotazione è raddoppiata: statisticamente è una delle
più lunghe e sostenute onde al rialzo che gli analisti ricordino. Però i conti
non tornano: nel maggiore mercato petrolifero del mondo - gli Stati Uniti -
oggi le scorte di petrolio nelle cisterne sono al livello più alto degli ultimi
20 anni e la domanda di petrolio al punto più basso degli ultimi dieci anni.
Insomma, il prezzo dovrebbe scendere e non salire. A meno che non si
considerino i vantaggi finanziari, piuttosto che commerciali, di un
investimento nel barile. E´ tornata la speculazione a dettare il prezzo
dell´oro nero? Un anno fa, si accese un dibattito rovente, fra gli economisti,
sul ruolo della speculazione nel mercato del petrolio. Oggi, l´idea che le
manipolazioni finanziarie possano influenzare il prezzo del greggio ha
conquistato proseliti: dallo staff di Obama agli analisti dell´Aie (l´Agenzia
dell´Ocse per l´energia) sono in molti a dire che hedge funds e derivati
pesano, almeno nel breve termine, sul prezzo alla pompa. Quasi tutti gli
esperti prevedono che, nell´arco di un anno, esaurita la recessione, il prezzo
del petrolio riprenderà a salire: o perché ne è rimasto effettivamente poco,
o perché non si fa abbastanza per trovare nuovi pozzi. Quasi tutti gli esperti
dicono anche che non c´è motivo per cui il prezzo, oggi, sia così alto. La
domanda, quest´anno, scenderà del 3% rispetto all´anno scorso e le compagnie
petrolifere sono costrette a noleggiare costose petroliere per tenerle alla
fonda, piene di greggio, perché non sanno più dove metterlo. C´è stata, nelle
ultime settimane, una ripresa della domanda cinese e i tagli di produzione
dell´Opec vengono rispettati più del solito, ma questo non basta a creare
tensioni fra domanda e offerta. C´è invece una logica finanziaria
nell´investire nei futures del petrolio. Il calo (attuale e previsto) del
dollaro - la moneta in cui è quotato il greggio - comporta automaticamente un
aumento del prezzo. Inoltre, il petrolio (come l´oro) è sempre più visto come
una difesa contro l´inflazione. E non sono i soldi da investire che mancano:
quasi 4 miliardi di dollari, quest´anno, sono finiti nei fondi che trattano
petrolio, contro meno di uno e mezzo nella prima metà del 2008, quando il
prezzo del barile volava. I mercati sono, infatti, gonfi della liquidità pompata
dalle banche centrali in chiave anti-recessione: paradossalmente, la strategia
delle autorità monetarie potrebbe accumulare spinte inflazionistiche. Questo va
contro la teoria economica, in base alla quale il prezzo si fa, non con i
futures, ma nel momento in cui, fisicamente, si compra e si ritira il petrolio.
Molti, però, cominciano a non esserne più tanto sicuri. Recentemente, la Cftc,
l´agenzia Usa che si occupa dei mercati delle merci, ha cominciato ad
utilizzare i più ampi poteri di controllo delle transazioni finanziarie,
stabiliti dal Congresso, e si è trovata di fronte, dicono i suoi dirigenti, ad
alcune "sorprese": la capacità di queste transazioni, come futures e
derivati, di dettare il prezzo finale del barile «è molto più ampia di quanto
pensavamo». Anche l´Aie, da sempre contraria alla tesi che sia la speculazione
a infuocare il mercato del greggio, è diventata più cauta. «Dire che i
fondamentali sono l´elemento chiave dei prezzi - sostiene il suo rapporto di
giugno sul petrolio - non significa dire che sono l´unico». Nel giro di qualche
mese, è il gioco fra la domanda dei consumatori e l´offerta dei produttori
l´elemento chiave del prezzo. Ma, a più breve termine, può non essere così: in
effetti, dice la stessa Aie, l´aumento del 20% del prezzo, fra maggio e giugno,
può anche essere spiegato dalla svolta del mercato dei futures, dove la
prevalenza dei ribassisti ad inizio maggio (11 mila contratti in più) si era
trasformata in ondata rialzista (40 mila contratti in più) ad inizio giugno.
L´effetto non dura a lungo e più d´un analista pensa che sia imminente un
crollo del prezzo del petrolio. Ma la corsa dei futures può, al contrario,
consolidare aspettative psicologiche. Anche la Casa Bianca sembra decisa ad
intervenire: nel piano di riforma finanziaria appena presentato c´è un capitolo
sul controllo dei derivati. In particolare, un giro di vite sugli scambi
bilaterali fuori mercato ("over the counter"), dove potrebbero essere
stabiliti margini di deposito e obblighi di riserva, per temperare la speculazione.
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maicon man ha superpoteri ma questo brasile è un
oratorio - pretoria (sezione: Obama)
Pagina
61 - Sport Maicon Man ha superpoteri ma questo Brasile è un oratorio Senza
storia il match con gli Usa, l´interista vola Dunga non sbaglia, a segno Felipe
Melo Una squadra pia: ad ogni gol, uno sguardo al cielo PRETORIA Ieri le
comiche: un attaccante riceve da calcio d´angolo e inciampa sul pallone, gli
avversari rilanciano e vanno in porta in quattro passaggi, l´autore del gol non
corre verso i compagni, ma a un microfono in cui parla. Per dire che cosa?
Presumibilmente: qui non c´è partita, cambiate canale. Ma qua siamo e qua
restiamo, non c´è storia ma c´è spettacolo. Soprattutto sulla fascia destra del
campo dove gioca un supereroe Marvel capace di volare: Maicon Man.
Brasile-Stati Uniti non è mai stata una lotta sulla trave d´equilibrio, per 13
volte su 14 gli Usa sono caduti giù malamente, hanno solo aggiunto un altro
tonfo. Entusiasmo nella scialba Pretoria per l´invasione carioca. Fiato alle
trombe che stanno diventando l´argomento più dibattuto di questo MondialOtto.
Si interpellano i pedagoghi: se un bambino si scatena con un giocattolo
molesto, è lecito vietarglielo o gli si possono provocare traumi della
crescita? Nell´attesa, la sinfonia continua. Si aspetta quella del Brasile,
dopo la mezza stecca al debutto con l´Egitto. Dunga fa quattro cambi, più
quello del polare maglione a collo alto indossato a 19 gradi (sarà perché qui
ce ne sono 20). Due dei nuovi ingressi risulteranno fondamentali. Ramires
aggiunge al centrocampo una scintilla, mette velocità laddove Elano garantiva
impegno e stop. Ma è Maicon Man l´uomo in più. Un terzo del campo diventa sua
proprietà privata e ci fa quel che vuole. La ara con le sue progressioni, la
usa come rampa di lancio per cross che sono missili cercapersone. Quando ci
costruirà anche il più bel gol dell´incontro sembrerà, più che giusto,
inevitabile. Sulle scarpe di Kakà c´è scritto: «Gesù prima di tutto». Sia detto
con il massimo rispetto: ieri davanti a chiunque c´era Maicon Man. L´annuncio
delle formazioni sconforta l´esercito dei giornalisti brasiliani. Sono venuti
fin qui con una curiosa speranza: che Dunga fallisca la prova generale, in modo
che alla gran recita dell´anno prossimo sia rimpiazzato da un altro (che
odieranno nel giro di due partite). Leggono gli undici e ammettono: «Stavolta
rischia di averla azzeccata». Non ci vuole molto. Gli Stati Uniti sono stati
ingigantiti dalla lente d´ingrandimento dell´Italia, sotto la quale ha avuto
statura persino la Nuova Zelanda. Quelli di oggi appaiono per quel che sono:
poca cosa. Crollano già al settimo minuto. Maicon Man lancia uno dei suoi razzi
impattanti. Gli fa attraversare lo specchio della porta, ma il portiere Howard
resta a guardarsi. La difesa lascia spazio all´avvento di Felipe Melo, non
esattamente un goleador, che fa sponda di testa come può, ma su quei cross
basta spingere ed è gol. Sarà il primo di tre sguardi di ringraziamento rivolti
al cielo da questa strana squadra, una specie di oratorio per campioni in cui
Adriano è, a tutti gli effetti, non convocabile. Il secondo gol è quello delle
comiche. Fa quasi dispiacere dover riportare i nomi sul taccuino e attribuire a
Beasley una delle peggiori ciabattate mai trasmesse in mondovisione. A renderne
gli effetti letali è lo spiazzamento della squadra americana: tutti avanti,
pronti a farsi infilzare. Quattro passaggi ed è fatta. Il merito va, più che a
Robinho che finalizza, a Ramires. Si sobbarca la corsa, trova il tempo esatto
del passaggio e ancor più opportunamente il luogo: tra le gambe del difensore
in corsa. Lì la partita che non c´è mai stata finisce davvero. Gli Usa non
hanno la capacità di reazione e la fede cieca dell´Egitto: non credono alla
rimonta. Riescono a collezionare il secondo espulso in due partite (Kljestan) e
a incassare un altro gol. Ma stavolta non commettono errori, è proprio merito
altrui. Maicon Man inizia l´azione e detta la geometria. Serve in profondità
per Ramires, parallela per Kakà, che chiude il triangolo trovando ancora Maicon
Man. E´ defilato, sulla corsa, ha a disposizione uno spiraglio di porta che si
va chiudendo, ma infila chiave e palla, chiude il match e si prende l´ovazione.
Dunga ne cambia tre, perfino Kakà, ma ha capito che lui è insostituibile. I
giornalisti carioca sperano ci ripensi e rimetta Kleber, ma non sarà così
masochista. E´ stato un Brasile a fiammate, con qualche
incendiario puro. Il pubblico è tornato a casa orgoglioso: a Kinsasha ebbero
Ali e Foreman, al Cairo hanno applaudito Obama ma qui hanno visto il Brasile e, seguendo lo sguardo alzato dei
suoi ragazzi timorati, perfino di più.
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renzi cerca la vittoria senza patti "i miei
sprechi? inventati dai fascisti" - alberto statera (sezione: Obama)
Pagina
13 - Interni Renzi cerca la vittoria senza patti "I miei sprechi?
Inventati dai fascisti" Spini: noi non andremo al mare, ma il candidato
democratico ci rispetti ALBERTO STATERA FIRENZE - Non sono volati schiaffoni
come quelli che ai tempi del futurismo Umberto Boccioni assestò ad Ardengo
Soffici proprio nel caffè «Giubbe Rosse» di piazza della Repubblica, dove ieri
Matteo Renzi spalleggiato da Dario Franceschini ha chiuso la campagna per il
ballottaggio contro l´avversario Giovanni Galli. Ma negli ultimi giorni di voli
radenti ne sono sfrecciati copiosi in tutte le direzioni. Prima soprattutto
nelle nuvole basse del Partito democratico, tutti contro tutti, con il giovane
ex boy scout candidato a sindaco che gratificava il neosegretario del suo partito
del nomignolo di «Vicedisastro», soltanto poco sotto Walter Veltroni. Poi,
rabberciato in qualche modo se non il rapporto interno cittadino quello con i
vertici romani, sono partiti contro di lui i siluri dello schieramento opposto.
Ma con un singolare ritardo: quando Renzi, con il 47 e mezzo per cento ottenuto
al primo turno, aveva già praticamente in tasca la vittoria che celebrerà
lunedì prossimo. «L´è evidente - è stato il commento «a bischero sciolto» di
chi nel Pd non ama il giovane cattolico rampante e pur cultore dell´antico
sindaco santo Giorgio La Pira - Denis deve dimostrà che il bimbo non l´ha
cresciuto lui a mollichella». Dove mollichella sta per coccole, Denis sta per
Denis Verdini, plenipotenziario del Pdl in Toscana, e il bimbo per il Renzi. Il
quale, secondo la leggenda metropolitana, fu aiutato nelle primarie
democratiche da votanti infiltrati dello schieramento opposto e dalla scelta
verdiniana di contrapporgli per favorirlo un avversario debole come l´ex
calciatore dellla Fiorentina e del Milan Galli. Ma quando è arrivato, il
manrovescio è stato di quelli che fanno male. L´ha tirato per conto
dell´avversario sconfitto, il senatore ex An Achille Totaro, che con un fascio
di carte è andato in procura della Repubblica a denunciare un presunto uso
disinvolto delle carte di credito assegnate a Renzi come presidente della
provincia. Ristoranti per 45.596 euro, fiori per 10.663, profumeria per 250,
macelleria per 50 euro (neanche una bella fiorentina). E poi circa 70 mila euro
per due viaggi negli Stati Uniti nel 2007 e un imprecisato numero di milioni
per "Florence Multimedia", la società chiamata a curare l´immagine
della provincia. Ricevuto il dossier, il procuratore Giuseppe Quattrocchi ha
detto che valuterà le carte. Renzi, invece, ha replicato che «Totaro è un
fascistello» che ha pure tentato di prendersi un doppio stipendio quando era
consigliere regionale ed è stato eletto senatore. Così anche Firenze - ma
niente sesso come Bologna o Bari - ha il suo piccolo "Medicigate",
dal nome del palazzo Medici Riccardi dove ha sede la provincia, dopo il
"Castellogate" che pochi mesi fa squassò il Pd fiorentino e la giunta
del sindaco Leonardo Domenici per il progetto tenuto segreto di costruire lo
stadio della Fiorentina nell´area di Castello, di proprietà di Salvatore
Ligresti, al posto del parco fin lì promesso. Ma il "Medicigate" non
sembra agitare Renzi quanto lo "stress Serracchiani", che non riesce
ancora a dissimulare. Era convinto di passare alla grande al primo turno e di andare
a sedersi nell´Olimpo dei nuovi giovani leoni, ormai candidati a tutto,
nell´inseguimento al rinnovamento del partito. Ma quel che è riuscito a Debora,
che nelle preferenze alle europee ha battuto persino papi, non è riuscito a lui
al primo turno fiorentino contro «il portiere di papi», come egli stesso ha
definito Galli, che nei confronti pubblici non ha fatto che subire gol. Non ha
preso quei due punti e mezzo, nonostante l´auspicio ciclistico della vigilia di
Massimo D´Alema: «Matteo è un ciclista che pedala un´ora davanti al gruppo:
l´interrogativo non è se vince, ma se batte tutti i record». Caduto per pochi
metri sul traguardo del primo turno, adesso signorilmente il ciclista si chiama
fuori dalla partita nazionale, dice che per cinque anni farà solo il sindaco di
Firenze, non si sente l´Obama di
Rignano sull´Arno, smentendo chi lo vuole un po´ «pottino», che sta più o meno
per arrogantello, e per la segreteria del Pd lancia una sorta di patto
generazionale candidando Debora, che ha soltanto cinque anni più di lui. La
spina nel fianco di Matteo è stata Valdo Spini, che gli ha portato via l´8 per
cento con la sua lista della cosiddetta società civile appoggiata da
verdi, repubblicani e anche rifondaroli. «Chi è causa del suo mal. Poteva
attaccare Galli - gli risponde l´ex ministro e vicesegretario socialista -
invece di sparare contro di me dicendo che chi mi votava era come se votasse
Berlusconi o che io sto con quelli che gridano dieci cento mille Nassirya. Io,
per sua norma, sto con i carabinieri». Adesso Renzi chiede a Spini di non far
andare al mare i suoi elettori, «ma senza nessun accordicchio». E Spini gli
risponde: «I miei riferimenti culturali sono i Rosselli e Codignola, figurarsi
se invito a non andare a votare o invoco accordicchi con lui. Ma Renzi ci deve rispettare».
E vagheggia Firenze come prossimo laboratorio del riavvicinamento tra il Pd e
le altre forze di sinistra, che qui si sono dimostrate ancora vitali. Il bimbo
del Pd che mangia i comunisti non ci pensa proprio, tanto che ha archiviato
senza esitazioni l´invito di D´Alema, il quale ha profetizzato che «si troverà
un modo per lavorare insieme al vecchio compagno Valdo». Mentre Renzi godeva
dell´ultimo viatico del "vicedisastro", al povero Galli toccava
quello del ministro della Cultura Sandro Bondi, che in questo momento a Firenze
non riscuote soverchia popolarità: ha tagliato 3,5 milioni al maggio
fiorentino, 2,8 alla Badia a Settimo e alla Crusca e, nonostante le promesse,
ha assegnato la seconda edizione della Davos della cultura alla villa reale di
Monza. E dov´è la legge speciale per Firenze promessa dal premier? Berlusconi
da Firenze ha ripiegato su Prato. «Vinceremo a Prato dopo sessantatrè anni di
governo della sinistra», ha detto a una televisione per sostenere al
ballottaggio Roberto Cenni, aggiungendo che «scopa nuova scopa bene». «Ma la
seconda parte del proverbio - l´ha rimbeccato il candidato del Pd Massimo
Carlesi - dice che scopa bene solo per tre giorni». Dal fondo sala insorge lo
spiritaccio toscano: «E poi, madonna bonina, parlare oggi di scopate l´è come
parlare di corda in casa dell´impiccato».
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Feste e ragazze, l'inchiesta si allarga (sezione: Obama)
ROMA
Messaggi sms, telefonate, tabulati. E poi il pusher che già è stato sentito
dalla Procura. E le verifiche negli alberghi romani dove le quattro testimoni
dellinchiesta sullinduzione alla
prostituzione sarebbero state ospitate, e lacquisizione degli elenchi dei
passeggeri dei voli che le testimoni avrebbero preso per raggiungere la
capitale e la Sardegna. E solo agli inizi, e
linchiesta sui festini a Palazzo Grazioli e a Villa Certosa è già zeppa
di spunti di indagine, di verifiche da fare in fretta. Come quella
sulle foto e le registrazioni (secretate dalla Procura) che, secondo Patrizia DAddario, la candidata alle comunali che racconta della
notte damore a Palazzo Grazioli, confermerebbero la sua ricostruzione dei
fatti. Nelle immagini, che non sarebbero state girate con un cellulare, si
riconoscerebbe un letto, uno specchio, una cornice con la foto di Veronica
Lario. Ma cè di più. Nelle carte della Procura
spunterebbero i nomi di diversi politici. Finiti nella rete dascolto
della polizia giudiziaria che intercettava limprenditore
della sanità Giampaolo Tarantini. Tra questi politici ci sarebbe anche Sandro
Frisullo, vicepresidente della Regione, assessore allIndustria. Frisullo
a chi gli ha chiesto dei suoi contatti con Tarantini, ha risposto che lo conosce e
lo ha sentito da assessore allIndustria della
giunta del governatore Nichi Vendola. Patrizia DAddario ha consegnato
alla Procura di Bari un appunto nel quale fa lelenco delle telefonate e
dei messaggi ricevuti. IlpmPino Scelsi ha disposto lacquisizione
dei tabulati telefonici della testimone. Che non solo ha registrato i due
incontri con Silvio Berlusconi, il 30 ottobre scorso e il 4 novembre, la notte
dellelezione di Barack Obama
a presidente degli Stati Uniti ma, a suo dire, avrebbe registrato anche la
telefonata ricevuta dal presidente del Consiglio il giorno dopo aver trascorso
la notte a Palazzo Grazioli, il 5 novembre. Sul suo cellulare risulterebbe un
tentativo di chiamata (da parte di Berlusconi, secondo la donna) alle 16,54. Successivamente,
il presidente del Consiglio sarebbe riuscito a parlarle. Quel colloquio sarebbe
stato registrato e consegnato al pm Pino Scelsi. Certosina nel prendere appunti
e molto previdente nel registrate tutto, Patrizia DAddario. Si ricordava anche della telefonata
dellautista di Palazzo Grazioli che, il 30 ottobre,
la prima volta che la donna, insieme a unaltra ventina di ragazze,
incontra Berlusconi, la chiama alle 12,58 per andare a prenderla. In questi
giorni, Tato Greco, nipote di Antonio Matarrese, lesponente
politico che ha inserito il nome di Patrizia DAddario nella lista
comunale «La Puglia prima di tutto», ha affermato di aver conosciuto la donna
soltanto in occasione della presentazione della sua candidatura. Patrizia
DAddario avrebbe depositato alla Procura un messaggio di auguri di Natale,
inviatole dallesponente politico il 24
dicembre scorso. La donna alpmScelsi avrebbe parlato di altre ragazze presenti
negli incontri. Una di Milano e due di Modugno. Una di queste è
quellamica che, la mattina del 5 novembre, rientrata in albergo, chiese a
Patrizia: «Ti hanno dato la busta?». Ma la Procura di Bari ha sentito altre due
donne pugliesi e una di Roma. Nellambito
della inchiesta su Giampaolo Tarantini è stato convocato dagli inquirenti e dagli
investigatori un suo amico pusher. A Bari si parla di tantissima «polvere
bianca», cocaina, che viene consumata. Anche da alcuni protagonisti di questa
inchiesta giudiziaria.
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Adesso sul Cavaliere lo spettro del ricatto (sezione: Obama)
ROMA
Clima da grande vigilia, palazzi romani in attesa. Giusto le scaramucce tra
caudatari, immancabili, per riempire i tigì. Ma i protagonisti (quelli veri)
tacciono. A destra come a sinistra. Antenne sintonizzate su radio-Bari perché è
da lì che possono scatenarsi le altre «scosse», dalle indagini della procura
sulle bellezze locali noleggiate per le feste di Berlusconi. Si attendono
rivelazioni che magari saranno soffocate (come accadde per le telefonate osè
del nostro premier), intanto però tengono col fiato sospeso. E convinzione bipartisan che, dovesse tracimare qualcosa
di davvero compromettente, la Repubblica italiana entrerebbe in territori mai
esplorati. Di qui la prudenza che cuce le labbra a Franceschini e ai principali
leader Pd. A sinistra solo la Bindi affonda la lama: «Berlusconi dica la verità
o se ne vada». Le dietrologie impazzano. E
opinione bipartisan
che, dietro le «escort» baresi, potrebbe esserci un disegno destabilizzatore. Lunica divergenza riguarda lidentikit dei
mandanti. Cicchitto resta convinto dello zampino di DAlema
lingrato, perché «noi non abbiamo cavalcato il giustizialismo quando lui fu
investito da vicende giudiziarie », gli rinfaccia il capogruppo Pdl alludendo
ai «furbetti del quartierino». Nulla è stato casuale, concorda il ministro
Fitto, pugliese. Il quale fa un elenco di circostanze strane. La «escort» che
accusa il premier, ad esempio: «Comè
riuscita, nonostante la calca, a essere spesso sullo sfondo delle foto scattate
per strada al presidente durante la visita a Bari? E vero», domanda
Fitto, «che nei giorni successivi la signora DAddario ha contattato molte
tv locali?
E vero che al titolare dellagenzia
fotografica Ipiesse News ha chiesto copia di foto e immagini che la ritraessero
accanto al presidente? E, se è vero, perché lo ha fatto?». Aleggia il fantasma
del ricatto. Per soldi o per altro. Di Pietro lo denuncia con parole che,
sia pure rovesciate allo specchio, magnificamente si sposano con quelle di
Fitto. «Quante persone», domanda lex pm,
«possono ricattare il premier tra ragazze, amministratori e parenti? ».
Latorre, dalemiano, teme per la povera Italia esposta a una perdita
di credibilità. Zanda, anchegli democratico,
solleva un problema di sicurezza Nato, chissà quali segreti militari può aver
rivelato Berlusconi nelleuforia di certi istanti. Inutilmente Fini
condanna le teorie complottarde, esorta a smetterla di «paventare laggressione di chi sa quale nemico, interno o estero ».
Il sottosegretario allInterno Mantovano è sicuro che a capo della Spectre
anti- berlusconiana ci sia Zapatero, la Spagna ce lha con noi «perché non
è felice di rivedere sulle proprie coste i clandestini respinti dallItalia ». Qualcun altro a destra si rallegra che
Berlusconi abbia fatto colpo su Obama, perché è dura a
morire lidea dellAmerica come Grande Burattinaio,
scandali e dossieraggi pilotati da Washington, la Cia che vuole punire le
mosse filo-russe del Cavaliere... «Ci sarebbe voluto poco», sussurrano dalle
parti del premier, «a infilare in un volo per la Sardegna qualche agente
provocatrice, magari munita di telecamera o registratore, specie quando si
conoscono le cattive abitudini del Nostro... Noi glielavevamo detto in tutte le salse, pure Letta e
Confalonieri, ma lui alzava le spalle, rideva. Adesso dalla paura è diventato
praticamente un monaco». A Villa La Certosa di veline non se ne vede più
lombra.
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A desso, (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Prima Pagina data: 19/06/2009 - pag: 1 Consensi e senza
lavoro I TEMPI (STRETTI) DI OBAMA di MASSIMO GAGGI A desso,
costretto a una corsa contro il tempo per varare le riforme prima che la crisi
eroda il sostegno del quale ancora gode, Obama rischia di diventare troppo populista e di cedere all'ossessione
del centralismo: misure calibratissime per minimizzare la vulnerabilità ad
attacchi da destra e da sinistra, ma che rischiano di rivelarsi, alla
prova dei fatti, poco efficaci. CONTINUA A PAGINA 3
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Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 19/06/2009 - pag: 2 «Sfida occupazione
per Fiat È dura ma si può vincere» Marchionne: radici in Italia, ora sforzo
comune. Il nodo esuberi Cambio di prodotti a Termini. Il premier: niente
delocalizzazione ROMA «Non lasceremo nessuno da solo in questa crisi». Silvio
Berlusconi lo ha promesso ieri ai sindacati riuniti a Palazzo Chigi per il
primo incontro con la delegazione Fiat, guidata da Sergio Marchionne, e con le
Regioni coinvolte. Il presidente ha assicurato che l'azienda non delocalizzerà
gli stabilimenti anche se già ieri è emerso che gli impianti siciliani di
Termini Imerese continueranno a produrre la Lancia Ypsilon fino al 2011 e poi
passeranno a «produzioni diverse da quella automobilistica». Giunto in Audi a
Palazzo Chigi, Berlusconi si è complimentato con Marchionne ribattezzato
«mister Fiat» per i successi con Chrysler, di cui avrebbe parlato al presidente
Usa, Barack Obama, e ha ribadito di «essere sempre a disposizione per un confronto
con la Germania su Opel». Poi ha lasciato l'incontro per recarsi a Bruxelles.
Il manager ha subito sottolineato che «non si può immaginare un gruppo Fiat
senza radici in Italia» e che il gruppo, sforzandosi di limitare le conseguenze
della crisi, finora «non ha denunciato eccedenze occupazionali
strutturali», insomma esuberi. Tuttavia al momento il 25% degli addetti Fiat
non viene utilizzato e per loro, ha detto Marchionne, localizzati in 10
stabilimenti, «nell'ultimo quadrimestre si avvicina il limite delle 52 settimane»
di cassintegrazione. Per Marchionne «è arrivato per tutti il momento di
prendere coscienza che i traguardi non si raggiungono da soli». Gli equilibri
occupazionali si garantiranno con il mantenimento degli ecoincentivi in Europa,
il riconoscimento della cassintegrazione ordinaria e straordinaria, la
riduzione del conflitto sociale, la sostenibilità finanziaria di alcune
iniziative produttive e la riduzione dei costi. «Ognuno faccia la sua parte ha
concluso : sono convinto che si tratti di una sfida alla nostra portata». Una
nota aziendale ha poi chiarito che Fiat cambierà linee produttive a Pomigliano
d'Arco, cui, dopo il 2010, verranno assegnati nuovi modelli, e a Termini
Imerese, dove dal 2011 si produrrà altro. La parola «esuberi » compare solo
riferita al settore macchine agricole e da costruzione (Cnh): l'impianto più a
rischio è a Imola dove oggi si lavora al 27% della capacità. Il leader della
Cgil, Guglielmo Epifani, ha detto che «non c'è intenzione di creare
contrapposizioni», ma dalla Fiom, il sindacato del settore metalmeccanico, è
arrivato un «no» al piano e alla riduzione produttiva. Le maggiori tensioni, da
parte di tutti i sindacati, si registrano su Termini Imerese. Il governo non ha
scoperto le sue carte. Il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola,
ha annunciato tre tavoli nelle prossime settimane: «mercati, occupazione e
investimenti», «ricerca e innovazione» e «componentistica », quest'ultimo già
martedì. Scajola ha parlato di «un forte intervento » presso l'Ue sugli aiuti
di Stato che alcuni Paesi stanno concedendo, con riferimento specifico alla
Opel. Antonella Baccaro
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Obama e i tempi (stretti) dei cambiamenti (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 19/06/2009 - pag: 3 Il presidente Obama e i tempi (stretti) dei cambiamenti SEGUE DALLA PRIMA
Sanità, controlli sulla finanza, revisione dei meccanismi che dilatano il
debito pubblico ma, al tempo stesso, possibile esigenza di una «fase 2» delle
politiche di stimolo fiscale per favorire la ripresa economica: sono queste le
sfide che lo attendono nei prossimi mesi. Il presidente degli Stati Uniti può
sempre contare su un vasto consenso personale: merito del suo carisma, ma anche
dei progetti ambiziosi, del suo guardare lontano. I sondaggi pubblicati ieri da
New York Times, Wall Street Journal e da due reti tv (Cbs e Nbc) indicano,
tuttavia, che il prolungarsi della crisi sta cominciando a provocare
un'erosione di questo sostegno, almeno per quanto riguarda il giudizio sui
singoli interventi fin qui decisi dalla Casa Bianca. Obama
continua a godere di un indice di gradimento più che confortevole (63% nel
sondaggio Times/Cbs), ma il consenso tra i repubblicani è dimezzato rispetto a
qualche mese fa, mentre su alcune questioni specifiche (il nodo della sanità,
il modo in cui ha affrontato la crisi dell'auto) i cittadini soddisfatti per le
mosse della Casa Bianca ora sono una minoranza. Niente di drammatico:
un'evoluzione di questo tipo era stata prevista, dato il perdurare della crisi
e l'avvicinarsi della campagna per le elezioni di «mezzo termine» che si
terranno nell'autunno del prossimo anno. Sulla base di segnali raccolti anche
da altre società che analizzano i «trend» sociali (Gallup e Rasmussen), già da
tempo il passaggio di Obama da consensi «stellari» a
un livello di soddisfazione più «terreno» era stato previsto (magari 'gufando'
un po') dal Wall Street Journal, ma anche da organi certo non ostili alla Casa
Bianca, come il Washington Post. Solo che, alle prese con la crisi più grave da
80 anni a questa parte, Obama non può permettersi
alcun indebolimento della sua leadership. E il tempo non sembra giocare in suo
favore: la crisi continua e, anche se la recessione vera e propria potrebbe
finire negli ultimi mesi del 2009 o all'inizio del prossimo anno, quasi tutti
gli analisti prevedono che la disoccupazione continuerà a crescere ancora a
lungo. Ed è questo, ovviamente, il fattore che crea maggiore sofferenza e
disagio sociale, mentre anche i valori immobiliari, principale indice della
ricchezza a disposizione dei ceti medi, non accennano ancora a stabilizzarsi.
Il leader democratico reagisce alle difficoltà accelerando il percorso delle
riforme, ma anche cercando di renderle digeribili al più ampio ventaglio
possibile di forze; cerca di coinvolgere parlamentari dell'opposizione e lobby
che di certo non lo amano. Non vuole ripetere errori come quelli che sedici
anni fa impedirono a Bill Clinton di far passare la sua riforma sanitaria e,
anzi, lo costrinsero a governare assediato dai repubblicani, tornati
improvvisamente maggioranza al Congresso. La prudenza rischia, però, di portare
a misure poco incisive. Ieri il New York Times criticava Obama
per aver varato una riforma dei controlli sui mercati finanziari molto meno
radicale e coraggiosa di quella imposta da Franklin Delano Roosevelt negli anni
Trenta del secolo scorso (ma allora il potere di Wall Street era limitato, le
banche erano più piccole e molte di loro erano fallite). E il politologo E.J.
Dionne, sul Post, sostiene che il presidente si illude se pensa che ci sia
spazio per ottenere il consenso dei repubblicani a riforme a partire da quella
della sanità che vadano davvero in profondità. Oltre a quello del varo di
misure «senza denti», il rischio, come detto in apertura, è quello di un crescente
ricorso a formule populiste. Obama è un pragmatico e
questo dovrebbe rappresentare una garanzia: un affondo demagogico sulla sanità
o sulla formulazione dei contratti di mutuo può essere solo un espediente
tattico che lascia il tempo che trova. Ma è rischioso
girare con un fiammifero acceso vicino alla benzina di un Congresso che ha
problemi di consenso molto più gravi di quelli di Obama (ancora pochi mesi fa gli americani consideravano il Parlamento
addirittura più impopolare dell'impopolarissimo Bush). La vera sfida di Obama è quella di non farsi risucchiare
dal tritacarne di Capitol Hill nelle battaglie parlamentari dell'estate.
Massimo Gaggi
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Dai leader europei primo sì a Barroso-bis (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 19/06/2009 - pag: 5 Dai leader europei
primo sì a Barroso-bis I Ventisette: controlli finanziari più severi e pressing
sull'Irlanda per un nuovo referendum DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES Il Consiglio
dei capi di Stato e di governo dell'Ue ha espresso il suo appoggio politico
alla candidatura del portoghese José Manuel Barroso per un secondo mandato come
presidente della Commissione europea. I leader europei hanno anche preso atto
dell'opposizione nel centrosinistra dell'Europarlamento a questa conferma di un
esponente del Partito popolare europeo (Ppe). La nomina formale è stata
spostata quindi a dopo le consultazioni con i gruppi politici dell'Assemblea
comunitaria per evitare un possibile scontro istituzionale. «Sono molto fiero
del sostegno unanime ricevuto ha dichiarato Barroso . È un riconoscimento al
lavoro svolto dalla Commissione europea in questi anni». Oggi, giornata
conclusiva del vertice, è atteso un accordo di massima sulla nuova supervisione
comune dei mercati finanziari, che punta a evitare il ripetersi di turbolenze
sistemiche. In programma restano le discussioni sulla crisi e sulla
disoccupazione, insieme alla trattativa con l'Irlanda, volta a convincere il
premier di Dublino Brian Cowen a lanciare nell'ottobre prossimo un secondo
referendum sul Trattato di Lisbona per superare la vittoria del no, che ha
bloccato il processo di ratifica. L'Italia vuole nelle conclusioni un richiamo
all'immigrazione clandestina. La conferma di Barroso appariva quasi scontata
dopo che il Ppe si è confermato nelle elezioni europee il partito di
maggioranza relativa nell'Europarlamento. La cancelliera tedesca Angela Merkel
e il presidente francese Nicolas Sarkozy, entrambi del Ppe, si sono impegnati a
favore del collega portoghese. Premier socialisti come lo spagnolo José Luis
Zapatero, il britannico Gordon Brown e il portoghese José Socrates si sono
dichiarati disponibili. Ma gli eurodeputati socialisti del Pse hanno diffidato
il Consiglio europeo a procedere alla nomina formale. Il leader dei Verdi
Daniel Cohn-Bendit ha lanciato la campagna «fermate Barroso». Nel
centrosinistra chiedono una consultazione preventiva, che consenta di valutare
il programma del candidato portoghese e ne condizioni l'approvazione alla
trattativa complessiva sulle nomine in arrivo nel nuovo Europarlamento (si
insedia il 14 luglio) e nella prossima Commissione (da formare in autunno). Ora
la candidatura verrà valutata dai gruppi politici. Il progetto di supervisione
finanziaria dell'Ue si basa su una entità di prevenzione dei rischi sistemici,
che si vorrebbe affidare al vertice della Banca centrale europea (Bce). Tre
organismi settoriali controllerebbero poi le banche, i mercati finanziari e le
assicurazioni. L'azione Ue appare in sintonia con quella
del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Ma la Gran Bretagna si oppone perché nella City di Londra
preferiscono restare sotto l'esclusiva competenza nazionale soprattutto per i
salvataggi bancari. Dubbi trapelano anche sull'opportunità di attribuire la
guida dell'organismo principale alla Bce. Per lanciare il secondo
referendum sul Trattato di Lisbona, in una Irlanda dove la priorità è la crisi
finanziaria, Cowen chiede di garantire formalmente autonomia al suo Paese sulla
neutralità militare, l'aborto e la fiscalità. Vari governi si oppongono a
questa richiesta, che imporrebbe successive ratifiche nazionali. Verso il via
libera Ora la candidatura del portoghese passa alla valutazione
dell'Europarlamento L'accordo Angela Merkel tra Sarkozy e Zapatero (di spalle).
La cancelliera tedesca e il presidente francese, entrambi del Ppe, sono
favorevoli a un Barroso bis a Bruxelles. Anche il premier spagnolo, socialista,
ha approvato la conferma di un esponente del Ppe come presidente della
Commissione Ue (Gerard Cercles / Afp Photo) Ivo Caizzi
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Lo sfogo del Cavaliere: resisto se vogliono la guerra
l'avranno (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Politica data: 19/06/2009 - pag: 11 Dietro le quinte Il
premier ai suoi: credete sia finita? Risponderò colpo su colpo Lo sfogo del
Cavaliere: resisto se vogliono la guerra l'avranno Sospetti di ostilità Usa ma
anche dentro «maggioranza e governo» DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES Il sospetto
di essere spiato. Come nel 1996, quando denunciò di aver trovato una microspia
nel suo studio. C'è anche questo nel clima che circonda il Cavaliere. Ha già
denunciato un disegno eversivo. Nelle ultime ore ha aggiunto una verifica su
alcune voci che gli sono arrivate alle orecchie. Denunce ufficiose che
riferiscono di attività d'intelligence non autorizzata, nella Capitale in
particolar modo, compiuta ai suoi danni: controlli, pedinamenti, intercettazioni
ambientali. I riscontri partiti da Palazzo Chigi non avrebbero per il momento
trovato conferme. Ma la sola notizia rimarca l'atmosfera che si respira nello
staff del premier, fra chi lavora con lui. Ieri Berlusconi si è tuffato nel
lavoro. Ha rilasciato pochissime dichiarazioni. Ha partecipato di prima mattina
al tavolo sulla Fiat a Palazzo Chigi, poi è volato a Bruxelles per prendere
parte al Consiglio europeo. Qui ha trascorso quasi l'intera giornata nel
palazzo Justus Lipsius, che ospita il Consiglio. Ha incontrato il suo omologo
polacco per discutere della candidatura di Mario Mauro alla presidenza del
Parlamento europeo. Si andrà alla conta e l'Italia parte sfavorita. Ci teneva,
per il capo del governo non è una buona notizia. Ma le notizie che lo inseguono
dall'Italia sono certamente più preoccupanti. Gli sviluppi dell'inchiesta di
Bari condizionano l'umore come Noemi, e poi le foto di Villa Certosa, hanno
fatto nelle scorse settimane. Tre episodi in tre mesi non possono essere una
coincidenza: nel governo l'inchiesta dei magistrati pugliesi è considerata la
prova provata del disegno eversivo. L'umore del capo del governo oscilla fra
diversi sentimenti: preoccupazione, distacco, capacità addirittura di
scherzarci sopra, un'irritazione che ha ormai superato ogni precedente livello,
la convinzione di avere le spalle abbastanza larghe per poter superare tutto.
Con la Lega al fianco ovviamente e con la certezza che il voto degli italiani
non potrà essere ribaltato per la seconda volta per via giudiziaria: «È già
accaduto una volta e si tolgano dalla testa che possa accadere di nuovo», è il
ragionamento che più spesso si ascolta sulle labbra del presidente del
Consiglio. Se del disegno eversivo non avrebbe ancora individuato i mandanti,
almeno con precisione, Berlusconi è comunque convinto che «la sinistra e le sue
gazzette non possono costruire tutta questa spazzatura da sole». Indiscrezioni
si intrecciano con possibili fantasmi, fa capolino di nuovo la ricostruzione di
una sotterranea, e molto potente, ostilità americana verso il presidente del
Consiglio. Fonti istituzionali raccontano, dopo l'incontro
con Barack Obama, che le
apparenze ingannano. Che la sostanza della visita alla Casa Bianca non è quella
della conferenza stampa di quattro giorni fa, che il Cavaliere per Washington
non è più un vero amico. Voci che incrociano altri sospetti, di natura interna,
alimentati dallo stesso premier: secondo Berlusconi anche «dentro la
maggioranza», così come «dentro il governo », c'è chi avrebbe deciso di
cavalcare un disegno eversivo. In questo quadro il premier considera quella che
gli viene rivolta contro come una vera e propria guerra e alla guerra si
prepara, con tutte le armi a disposizione: racconta di esserci abituato, di
aver superato altri momenti difficili, di sentirsi tranquillo con la Lega, e
con gli italiani, al fianco: «Se vogliono la guerra l'avranno». Non sa però se
e quando questa guerra finirà, visto che lui stesso si informa con i suoi
interlocutori: «Credete che si fermeranno qui o che andranno avanti?».
Interrogativi emersi anche ieri a palazzo Chigi nel colloquio tra Gianni Letta
e Nicolò Pollari, ex direttore del Sismi. E di cui forse ci sarà un'eco
nell'incontro che oggi dovrebbe tenersi tra il capo dello Stato e Gianni De
Gennaro, attuale coordinatore dei servizi segreti. Servizi tra Palazzo Chigi e
Colle Di un'ipotesi di complotto si è parlato ieri a Palazzo Chigi tra Gianni
Letta e Pollari (ex Sismi) Oggi De Gennaro da Napolitano Marco Galluzzo
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Il Senato chiede scusa ai neri per la schiavitù (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 19/06/2009 - pag: 17 Stati Uniti Il Senato
chiede scusa ai neri per la schiavitù DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK La
blogosfera afro-americana ha reagito con un laconico «meglio tardi che mai»
mentre le tv nazionali hanno quasi ignorato la notizia. 143 anni dopo
l'abolizione ufficiale della schiavitù, 55 dall'integrazione delle scuole e 42
dal via libera ai matrimoni misti, il Senato degli Stati Uniti si è scusato
formalmente con i neri americani e «a nome del popolo degli Stati Uniti» per la
schiavitù e la segregazione razziale. Nella risoluzione, approvata all'unanimità
dal Senato e subito inviata alla Camera che presto dovrebbe ratificarla
repubblicani e democratici denunciano «la fondamentale ingiustizia, crudeltà,
brutalità e disumanità della schiavitù». Un gesto puramente simbolico che
arriva cinque mesi dopo l'insediamento del primo presidente nero nella Storia
degli Stati Uniti e alla vigilia delle celebrazioni per l'emancipazione
degli schiavi dopo la Guerra Civile, organizzate da Obama alla Casa Bianca. Anche se l'ex presidente democratico Bill
Clinton aveva espresso «rimorso» per la schiavitù durante un viaggio ufficiale
in Africa nel 1998, gli Stati Uniti prima d'ora non avevano mai offerto scuse
formali ai discendenti degli schiavi. «Anche se tardivo si tratta di un
gesto di portata storica», commenta a caldo Mark Silva sul blog The Swamp
Politics del Chicago Tribune, «perché viene mentre la nazione che un tempo
condonava la schiavitù e la discriminazione ha eletto il primo presidente e il
primo ministro della giustizia afro-americani della sua storia». Gli ideatori
del mea culpa hanno voluto però mettere bene in chiaro che la misura non va
intesa come un appello a chiedere risarcimenti per i discendenti degli schiavi
africani. «Niente in questa risoluzione autorizza o sostiene qualsiasi
riparazione economica da parte degli Stati Uniti», recita il documento. La
stessa formula usata in passato quando il Senato varò analoghe risoluzioni non
vincolanti per scusarsi di aver internato i cittadini americani di origine
giapponese durante la Seconda guerra mondiale. Liberatore Abraham Lincoln
Alessandra Farkas
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Geithner al Congresso: subito più poteri alla Fed (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Economia data: 19/06/2009 - pag: 35 L'audizione Il
segretario al Tesoro presenta il piano sulla regolazione finanziaria.
Resistenze in Senato Geithner al Congresso: subito più poteri alla Fed «Presto
per cantare vittoria». I dubbi di Wall Street WASHINGTON In una prima, accorata
testimonianza sulla riforma del sistema finanziario presentata dal presidente Obama, il ministro del Tesoro Timothy Geithner ha ammonito il
Congresso che «il momento di regolamentare i mercati è adesso, se si vuole
superare l'attuale crisi e prevenirne un'altra». E ha aggiunto che «il popolo
americano ha troppo sofferto, la fiducia nella finanza è stata troppo scossa e
l'economia si è troppo avvicinata al baratro per lasciare passare questo
momento ». Geithner ha invitato emotivamente il Congresso «ad approvare
in fretta» la riforma, la più profonda da quelle del presidente Roosevelt nella
Grande depressione degli Anni Trenta, dopo che Richard Selby, il senatore
repubblicano della Commissione finanziaria, gli ha ribattuto che «bisogna
valutarla bene e con calma per esser certi che sia la riforma giusta». Il
ministro del Tesoro si è presentato in Parlamento in un clima di tensione a
causa delle critiche dei finanzieri e dei banchieri a una delle proposte di Obama, quella di creare una Commissione per la protezione
dei consumatori, critiche a cui i media hanno dato risalto. Ma ha incontrato la
resistenza dei parlamentari soprattutto sulla proposta di fare della Fed il
«Grande fratello » degli istituti finanziari «più potenti e interconnessi». Ha
messo in dubbio che la Fed sappia svolgere questo ruolo non solo Shelby,
secondo il quale «la sua reputazione è inflazionata come ha dimostrato nella
mancata prevenzione della crisi», ma anche il senatore democratico Christopher
Dodd, il capo della Commissione finanziaria. «La Fed ha protestato Dodd non
gode in questo momento della nostra fiducia. Darle più poteri è come regalare
un'auto più grossa e più veloce a un figlio che ha appena sfasciato l'auto di
famiglia ». Altri senatori di entrambi i partiti hanno suggerito la creazione
di un Consiglio di controllo della finanza, ma Geithner non ha ceduto. «Non si
estingue un incendio con un comitato. Tutte le altre banche centrali sono
preposte ai rischi del sistema finanziario ». Il ministro ha concluso che la
riforma va approvata nel suo insieme, con la supervisione anche dei derivati,
degli hedge funds e dei fondi di private equity. A giudicare dalla battaglia
iniziale, il piano di Obama verrà in parte modificato.
Ennio Caretto
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E l'Europa si prepara a mandare soldati di pace nello
Stato palestinese (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Opinioni data: 19/06/2009 - pag: 8 LO SCENARIO E LE
STRATEGIE E l'Europa si prepara a mandare soldati di pace nello Stato
palestinese di FRANCO VENTURINI SEGUE DALLA PRIMA Il primo a parlarne in
pubblico è stato Franco Frattini, lunedì scorso a Lussemburgo: l'Unione
Europea, ha detto, dovrà dare se necessario un contributo di sicurezza sul
terreno. Parole sfuggite ai più, ma che rappresentano soltanto la punta emersa
di una riflessione riservata che impegna tutti i principali governi della Ue.
Il primo aspetto da considerare è la mancanza di entusiasmo che ha
caratterizzato le reazioni europee al discorso programmatico di Netanyahu,
inteso come una sorta di risposta a quello pronunciato da Obama al Cairo. È stato compiuto, ha concesso
la Ue, un primo passo verso la creazione di uno Stato palestinese accanto a
Israele, e questa circostanza non può che essere accolta favorevolmente. Ma
ecco il rovescio della medaglia è ancora molto lungo il cammino che resta da
percorrere: Netanyahu non ha concesso il blocco degli insediamenti in
Cisgiordania, non ha riaperto i valichi per far entrare a Gaza generi di
prima necessità, è stato vago sul concetto di smilitarizzazione del futuribile
Stato palestinese e sulle garanzie internazionali necessarie per consentirne la
nascita. In breve, caro Netanyahu, il tuo passo avanti non basta. Discorso
chiuso, allora? Niente affatto. Le principali diplomazie europee ragionano come
segue, anche se non lo ammettono. Le richieste enunciate da Netanyahu (che nei
prossimi giorni sarà a Roma) sono posizioni di partenza di un negoziato con
Washington che sarà lungo e complesso. Barack Obama
non si accontenterà di così poco, ma nel contempo il presidente sa bene,
soprattutto dopo l'esito delle elezioni iraniane e i tumulti che ancora
scuotono Teheran, che per lui un qualche successo in Medio Oriente sta
diventando una urgente necessità politica. Netanyahu non può permettersi di
litigare con gli Usa, insomma, ma nemmeno gli Usa possono permettersi a lungo
di litigare con Israele. Conclusione logica: Netanyahu farà qualche ulteriore
concessione e Obama chiuderà qualche occhio. Uno Stato
palestinese più o meno credibile ma comunque di rilevanza storica, così,
potrebbe nascere nell'arco dei prossimi 6-12 mesi. Ponendo l'esigenza di
fornire le garanzie di sicurezza che Netanyahu continuerà a reclamare e che gli
israeliani, secondo un recentissimo sondaggio, approvano al 75 per cento. Ma è
inesatto dire che la questione riguarderebbe tutti. Non potrebbe riguardare gli
americani, per i quali l'invio di forze in Cisgiordania sarebbe ovviamente
inopportuno e troppo pericoloso. Non potrebbe riguardare i britannici, per
ovvie ragioni storiche. Riguarderebbe, questo sì, altri europei: italiani,
francesi, spagnoli, forse tedeschi nella componente navale. Per presidiare le
frontiere assieme alla polizia palestinese, per pattugliare lo Stato appena
nato, per svolgere soltanto un ruolo di monitoraggio degli accordi che
ovviamente dovrebbero essere conclusi preventivamente? A queste domande oggi
nessuno è in grado di dare risposta. Si può soltanto immaginare che la missione
di pace possa somigliare a quella ancora in corso nel sud del Libano. Quando si
trattò di deciderla furono Prodi e D'Alema a trascinare gli altri, francesi
inclusi. Oggi il fatto che Frattini ne abbia seppur ermeticamente parlato può
far pensare a uno scenario analogo. Ma prima bisogna che le parti percorrano
quel «lungo cammino che resta». L'Europa riflette senza darlo a vedere, ma sa
anche di avere tutto il tempo di prepararsi. La missione Il primo a parlare in
pubblico di questa eventualità è stato il ministro degli Esteri Franco
Frattini: la Ue dovrà dare un contributo di sicurezza BEPPE GIACOBBE
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Fuori scena
Corriere
della Sera sezione: Eventi data: 19/06/2009 - pag: 49 L'intervento La nuova
vita dell'ex étoile, consulente per il Festival da New York Fuori scena «ballo»
con Barack e Michelle di ALESSANDRA FERRI N on ho mai pianificato la mia vita.
Il passaggio da ballerina a «collaboratrice alla direzione artistica» per la
danza del Festival dei Due Mondi di Spoleto è stato naturale e prezioso, perché
mi ha avvicinata a una dimensione di maggiore generosità. In scena ho vissuto
una forte soddisfazione personale: pur ballando per gli altri, ero molto
concentrata su me stessa. In questo nuovo ruolo, provo il piacere di diffondere
la danza al massimo livello, con un senso di espansione del cuore, al servizio
di quest'arte. Non mi sento ancora una «talent scout» perché i ballerini che
invito al festival appartengono alla mia generazione o a quella immediatamente
successiva e con loro ho lavorato fino a due anni fa. Voglio che Spoleto sia
una vetrina d'eccellenza. Le mie scelte per il Festival le seleziono a New
York, dove vivo e vedo di tutto: ciò che fa tendenza nella Grande Mela è la
danza in sé. Ogni tipo di spettacolo, dalle performance sperimentali alle
grandi produzioni allo State Theatre, ha un suo pubblico affezionato. Due
straordinarie compagnie, come il New York City Ballet e l'American Ballet
Theatre, lavorano l'una accanto all'altra al Lincoln Center e fanno l'esaurito
tutte le sere. Basti dire che da quest'anno alla Presidenza del Consiglio d'amministrazione dell'American Ballet ci sono Barack e Michelle Obama. Nel discorso d'apertura della
stagione, Michelle ha dichiarato che il futuro del mondo passa attraverso
cultura e arte e che sarà la mente creativa a risollevare gli Stati Uniti,
auspicando che tutti i bambini abbiano un'educazione artistico-culturale.
Questo è un segnale fortissimo. L'America ha raccolto ciò che l'Italia ha
insegnato al mondo nel Cinquecento quando potere, cultura e impresa andavano di
pari passo. Purtroppo non è più così.
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La sfilata? In piazza della Scala (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Tempo Libero data: 19/06/2009 - pag: 14 Novità La moda uomo
debutta domani con un evento inedito: una passerella (femminile) per tutti La
sfilata? In piazza della Scala Una serata da fiaba riunisce le grandi firme C'
è voglia di normalità nella moda. La settimana maschile si apre domani con una
novità assoluta per Milano. Mentre gli stilisti fanno sfilare i loro giovanotti
dall'aria per bene sulle passerelle in città aperte solo a giornalisti e
compratori (russi, cinesi e giapponesi, soprattutto), domani sera alle 21
partecipano in massa alla sfilata allestita in piazza Scala per tutti i
milanesi. L'«International fashion show» sarà ripreso da Tv Moda Sky 812 di Jo
Squillo che lo presenta e poi trasmesso su Italia 1 (il 29 alle 22.30) e altre
50 tv internazionali. La moda scende in piazza per alimentare il sogno un po'
appannato dalla crisi. Così sul pavé di piazza della Scala, Giorgio Armani,
Blumarine, Luisa Beccaria, Byblos, Roberto Cavalli, Diesel, DSquared2, Versace,
Salvatore Ferragamo, Gianfranco Ferré, Krizia, Vivienne Westwood e molti altri
fanno sfilare ragazze da fiaba vestite da sera con sottofondo di musica dance
anni 80, l'epoca d'oro della moda milanese. In linea con l'atmosfera gaia ci
sarà anche la passerella di costumi Parah con gli occhiali da sole griffati del
Mido. Oggi più che alle tendenza si guarda allo stile, e quello di uomini e
ragazzi viene «costruito » durante le 41 sfilate e le 52 presentazioni che
andranno in scena da domani al 23 marzo all'interno di un calendario di cui il
presidente della Camera Mario Boselli va fiero: «Per la prima volta include
tutti i marchi, senza una sola sovrapposizione ». Anche il numero delle
collezioni «che recuperano parte del calo di gennaio lancia segnali
incoraggianti». Domani sfilano Dolce e Gabbana che danno anche un cocktail
party nella boutique di corso Venezia per presentare i campioni di nuoto italiani,
testimonial della loro campagna underwear. Il nuoto è protagonista anche da
Moncler che fa presentare la sua Gamme bleu disegnata Thom Browne ai nuotatori
della federazione tra i tuffi alla piscina Cozzi. Sfila per la prima volta
Canali, l'azienda lombarda di Triuggio che può contare come testimonial Barak Obama.
L'immagine del colpo di vento che alza l'orlo della giacca e svela l'etichetta
ha fatto il giro del mondo. Lunedì sfilata e festeggiamenti in via Savona per i
75 anni di storia della griffe, tre generazioni di sarti. In via Savona c'è
anche lo spazio futuristico di Ermenegildo Zegna che apre le sfilate con il
marchio classico e le chiude con la griffe di tendenza ZZegna, tornata a
Milano dopo tre stagioni a New York. La disegna Alessandro Sartori, 42 anni,
quattro accanto a Tom Ford, disponibile ad anticipare ai maschi qualche
consiglio per svecchiare il completo. «La forma dei pantaloni: sottovalutata
dai maschi, è invece fondamentale per la silhouette. I più nuovi devono essere
a cono, magari con le pence ma stretti in fondo». Anche la giacca a tre bottoni
è vetusta. «Le nuove ne hanno uno o al massimo due e i rever a lancia. Hanno
spalle costruite ma leggerissime, per un effetto asciutto e slanciato. Ritorna
il doppiopetto ma con il rever aperto sul petto, e poi largo ai bomber. Nei
colori torna il blu rassicurante e l'inchiostro. L'innovazione si gioca tutta
sui filati, seta e canapa, carta e cotone, lino e nylon, impalpabili ma
performati». Nessuno sconto alle pance. Maria Teresa Veneziani
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Islam e donne, il centrodestra si spacca (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Lombardia data: 19/06/2009 - pag: 13 Mantova Il Carroccio:
«Il Pdl difende la discriminazione femminile da parte dei musulmani» Islam e
donne, il centrodestra si spacca CASTIGLIONE DELLE STIVIERE (Mantova) Donne
sull'orlo di una crisi politica. Succede che una comunità islamica chieda il
trasferimento in un locale più ampio del proprio centro culturale. Succede che
la Lega nord insorga al grido «no alla moschea». E succede che, visto il sì del
consiglio comunale al Pgt che autorizza il trasloco e il no a una commissione
sul caso con rappresentanti anche islamici, purché ambosessi, chiesta dal
Carroccio, quest'ultimo rompa con il Pdl e lasci la maggioranza. Con reciproco
scambio di «complimenti »: «Voi difendete la discriminazione delle donne da
parte dell' Islam». «E voi non rispettate la libertà religiosa». Castiglione
delle Stiviere, 22 mila anime sulle colline dell'Alto Mantovano. Donne l'un
contro l'altra armate. Perché la battagliera maestra elementare e senatrice
leghista castiglionese Irene Aderenti vuole valutare, registrazioni alla mano,
se ci siano gli estremi per procedere per «discriminazione razziale e
violazione dei diritti umani» contro Giovanna Lanzani, consigliere comunale
Pdl. Motivo? «Da quel che mi hanno riferito, la Lanzani avrebbe giustificato il
no alla commissione ambosessi dicendo che se la cultura e la religione islamica
prevedono la non partecipazione delle donne alla po-- litica, bisogna accettare
tale volontà. In pratica, ha giustificato la discriminazione islamica fra uomo
e donna». Insomma «Donne, mute! Se no gli islamici si offendono», come ha
subito titolato La Padania. La Lanzani, dal canto suo, rinvia le accuse al
mittente. «Il senso della mia frase è stato stravolto: io ho detto che, se gli
islamici per il momento non intendono coinvolgere le donne nelle loro decisioni
politiche, intanto interloquiamo con gli uomini, poi coinvolgeremo anche le
donne. Come ha detto Obama, non possiamo pretendere o imporre di cambiare di colpo la
millenaria cultura islamica». E, mentre i musulmani ringraziano il Comune («Il
centro islamico servirà anche a favorire l'integrazione e far uscire la donna
dal suo isolamento»), la giunta tira dritto, perché i due consiglieri leghisti
non bastano a mettere il Pdl in minoranza. E, quanto a possibili faide
trasversali «rosa», il sindaco Fabrizio Paganella può stare tranquillo. In un
paese di quasi 12 mila donne, l'ultima volta che si è votato, nel 2007, in
consiglio comunale ne è entrata una soltanto (contro 19 uomini), Caterina
Maghella di FI (la Lanzani è arrivata solo a fine 2008, per le dimissioni di un
compagno di partito). Luca Angelini
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Firenze, Renzi cerca la vittoria senza patti "I
miei sprechi? Inventati dai fascisti" (sezione: Obama)
FIRENZE
- Non sono volati schiaffoni come quelli che ai tempi del futurismo Umberto
Boccioni assestò ad Ardengo Soffici proprio nel caffè "Giubbe Rosse"
di piazza della Repubblica, dove ieri Matteo Renzi spalleggiato da Dario
Franceschini ha chiuso la campagna per il ballottaggio contro l'avversario
Giovanni Galli. Ma negli ultimi giorni di voli radenti ne sono sfrecciati
copiosi in tutte le direzioni. Prima soprattutto nelle nuvole basse del Partito
democratico, tutti contro tutti, con il giovane ex boy scout candidato a
sindaco che gratificava il neosegretario del suo partito del nomignolo di
"Vicedisastro", soltanto poco sotto Walter Veltroni. Poi, rabberciato
in qualche modo se non il rapporto interno cittadino quello con i vertici
romani, sono partiti contro di lui i siluri dello schieramento opposto. Ma con
un singolare ritardo: quando Renzi, con il 47 e mezzo per cento ottenuto al
primo turno, aveva già praticamente in tasca la vittoria che celebrerà lunedì
prossimo. "L'è evidente - è stato il commento "a bischero
sciolto" di chi nel Pd non ama il giovane cattolico rampante e pur cultore
dell'antico sindaco santo Giorgio La Pira - Denis deve dimostrà che il bimbo
non l'ha cresciuto lui a mollichella". Dove mollichella sta per coccole,
Denis sta per Denis Verdini, plenipotenziario del Pdl in Toscana, e il bimbo
per il Renzi. Il quale, secondo la leggenda metropolitana, fu aiutato nelle
primarie democratiche da votanti infiltrati dello schieramento opposto e dalla
scelta verdiniana di contrapporgli per favorirlo un avversario debole come l'ex
calciatore dellla Fiorentina e del Milan Galli. OAS_RICH('Middle'); Ma quando è
arrivato, il manrovescio è stato di quelli che fanno male. L'ha tirato per
conto dell'avversario sconfitto, il senatore ex An Achille Totaro, che con un
fascio di carte è andato in procura della Repubblica a denunciare un presunto
uso disinvolto delle carte di credito assegnate a Renzi come presidente della
provincia. Ristoranti per 45.596 euro, fiori per 10.663, profumeria per 250,
macelleria per 50 euro (neanche una bella fiorentina). E poi circa 70 mila euro
per due viaggi negli Stati Uniti nel 2007 e un imprecisato numero di milioni
per "Florence Multimedia", la società chiamata a curare l'immagine
della provincia. Ricevuto il dossier, il procuratore Giuseppe Quattrocchi ha
detto che valuterà le carte. Renzi, invece, ha replicato che "Totaro è un
fascistello" che ha pure tentato di prendersi un doppio stipendio quando
era consigliere regionale ed è stato eletto senatore. Così anche Firenze - ma
niente sesso come Bologna o Bari - ha il suo piccolo "Medicigate",
dal nome del palazzo Medici Riccardi dove ha sede la provincia, dopo il "Castellogate"
che pochi mesi fa squassò il Pd fiorentino e la giunta del sindaco Leonardo
Domenici per il progetto tenuto segreto di costruire lo stadio della Fiorentina
nell'area di Castello, di proprietà di Salvatore Ligresti, al posto del parco
fin lì promesso. Ma il "Medicigate" non sembra agitare Renzi quanto
lo "stress Serracchiani", che non riesce ancora a dissimulare. Era
convinto di passare alla grande al primo turno e di andare a sedersi
nell'Olimpo dei nuovi giovani leoni, ormai candidati a tutto, nell'inseguimento
al rinnovamento del partito. Ma quel che è riuscito a Debora, che nelle
preferenze alle europee ha battuto persino papi, non è riuscito a lui al primo
turno fiorentino contro "il portiere di papi", come egli stesso ha
definito Galli, che nei confronti pubblici non ha fatto che subire gol. Non ha
preso quei due punti e mezzo, nonostante l'auspicio ciclistico della vigilia di
Massimo D'Alema: "Matteo è un ciclista che pedala un'ora davanti al
gruppo: l'interrogativo non è se vince, ma se batte tutti i record".
Caduto per pochi metri sul traguardo del primo turno, adesso signorilmente il
ciclista si chiama fuori dalla partita nazionale, dice che per cinque anni farà
solo il sindaco di Firenze, non si sente l'Obama di Rignano sull'Arno, smentendo chi lo vuole un po'
"pottino", che sta più o meno per arrogantello, e per la segreteria
del Pd lancia una sorta di patto generazionale candidando Debora, che ha
soltanto cinque anni più di lui. La spina nel fianco di Matteo è stata Valdo
Spini, che gli ha portato via l'8 per cento con la sua lista della cosiddetta
società civile appoggiata da verdi, repubblicani e anche rifondaroli.
"Chi è causa del suo mal. Poteva attaccare Galli - gli risponde l'ex
ministro e vicesegretario socialista - invece di sparare contro di me dicendo
che chi mi votava era come se votasse Berlusconi o che io sto con quelli che
gridano dieci cento mille Nassirya. Io, per sua norma, sto con i
carabinieri". Adesso Renzi chiede a Spini di non far andare al mare i suoi
elettori, "ma senza nessun accordicchio". E Spini gli risponde:
"I miei riferimenti culturali sono i Rosselli e Codignola, figurarsi se
invito a non andare a votare o invoco accordicchi con lui. Ma Renzi ci deve
rispettare". E vagheggia Firenze come prossimo laboratorio del
riavvicinamento tra il Pd e le altre forze di sinistra, che qui si sono
dimostrate ancora vitali. Il bimbo del Pd che mangia i comunisti non ci pensa
proprio, tanto che ha archiviato senza esitazioni l'invito di D'Alema, il quale
ha profetizzato che "si troverà un modo per lavorare insieme al vecchio
compagno Valdo". Mentre Renzi godeva dell'ultimo viatico del
"vicedisastro", al povero Galli toccava quello del ministro della
Cultura Sandro Bondi, che in questo momento a Firenze non riscuote soverchia
popolarità: ha tagliato 3,5 milioni al maggio fiorentino, 2,8 alla Badia a
Settimo e alla Crusca e, nonostante le promesse, ha assegnato la seconda
edizione della Davos della cultura alla villa reale di Monza. E dov'è la legge speciale
per Firenze promessa dal premier? Berlusconi da Firenze ha ripiegato su Prato.
"Vinceremo a Prato dopo sessantatrè anni di governo della sinistra",
ha detto a una televisione per sostenere al ballottaggio Roberto Cenni,
aggiungendo che "scopa nuova scopa bene". "Ma la seconda parte
del proverbio - l'ha rimbeccato il candidato del Pd Massimo Carlesi - dice che
scopa bene solo per tre giorni". Dal fondo sala insorge lo spiritaccio
toscano: "E poi, madonna bonina, parlare oggi di scopate l'è come parlare
di corda in casa dell'impiccato". (19 giugno 2009
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"Ronaldo? Costa come 3 squadre di Eurolega" (sezione: Obama)
Intervista
Ettore Messina FRANCO MONTORRO "Ronaldo? Costa come 3 squadre di
Eurolega" BOLOGNA Ettore Messina è il nuovo allenatore del Real Madrid: ha
firmato un triennale da 1,8 milioni di euro netti a stagione e oggi sarà
presentato ai nuovi tifosi. Cifre importanti per il basket, nell'anno in cui il
presidente Florentino Perez impazza e fa impazzire con le operazioni Kakà e
Cristiano Ronaldo. Messina, lei è un esperto di calcio? «Tifo Milan, mi piace
seguire anche aspetti tattici del calcio, ad esempio gli schemi sulle palle
inattive, ma confesso di capirci poco, a volte. A questo livello ogni
disciplina ha i suoi esperti e solo quelli». Dispiaciuto per l'addio di Kakà ai
rossoneri? «Posso dirmi... realista? Nel senso che credo sia stata una mossa
giusta, da parte del Milan, venderlo per mettere a posto certi suoi conti».
Certo che il basket rimane piccola cosa rispetto al calcio. «La differenza è
data dalla visibilità. Economicamente parlando, dai diritti televisivi. Poi,
anzi forse prima, dalla notorietà di quelli che si fanno vedere a tifare
basket. Non esiste uomo politico che non si dichiari appassionato di calcio.
Qualcuno, dopo, lo è anche di basket, ma non c'è paragone». La Spagna propone
modelli forse irripetibili di polisportive. «Più che il concetto di
polisportiva andrei a sottolineare quello dell'azionariato popolare, perché
oltre a essere club con più sezioni, si tratta di società con un enorme numero
di soci e con file d'attesa lunghissime aspettando che si liberino posti per
entrare nel sodalizio. Straordinari esempi di partecipazione che vanno al di là
dei successi sportivi. Io ho sempre ammirato questo modello e mi sono sempre
chiesto se non risolverebbe tanti problemi anche ai nostri club. Altro aspetto
da ammirare o invidiare ai club tipo il Real è la proprietà degli impianti».
Vivere lo sport in Spagna appare più bello che altrove. Forse più semplice,
anche per un allenatore? «Non esiste più il plexiglas a proteggere le panchine
da chissà quanti anni, gli impianti sono riempiti dalle famiglie, la gente va
per divertirsi, ci sono un'accettazione e una tolleranza da noi
inimmaginabili». Inimmaginabili anche certe cifre del calcio. Per esempio i 93
milioni per Ronaldo. Scusi, ma con quella cifra quante squadre da Eurolega di
basket si possono costruire? «Diciamo tre fortissime». Quindi 36 giocatori, più
i tecnici, nel basket costano quanto il solo portoghese. «Sì, ma il calcio ha
altri numeri e questi non mi sorprendono. Certo, visto il momento di crisi
generale possono sconcertare, ma immagino che la sezione calcio del Real abbia
agito con un preciso ragionamento economico e non solo sull'onda della
passionalità. Ci sono momenti di opportunità per certi piani e per certi
investimenti e questo evidentemente lo è, per il Real». In Spagna fanno follie
sul mercato estero. Poi però nel calcio sono campioni d'Europa, nel basket
campioni del mondo e vicecampioni olimpici. «Il vero insegnamento è questo. Il
segreto è nella cura della "cantera", del vivaio, supportato dal
senso di appartenenza di cui abbiamo parlato prima, per cui chi paga vuole
vedere anche idoli locali e chi viene pagato per venire dall'estero deve essere
maestro per i giovani locali che crescono insieme a lui». Lei doveva andare ad
allenare nella Nba. Ne eravamo convinti tutti. Invece... «Invece
sono una specie di Obama
mancato. E mi sa che se sono passati tanti anni prima di vedere un presidente
Usa di colore, ne passeranno ancora moltissimi prima di vedere un europeo su
una panchina Nba. Ma non credo che quel giorno qualcuno penserà ancora a me».
Andrà a vedere qualche partita del Real, sezione calcio? «Ho già
invitato un amico a venire a vedere qui la sua squadra in Champions, dovesse
essere accoppiata al Real. Ma non è un tifoso del Milan: è juventino».
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L'inchiesta si allarga Sigillati i nastri (sezione: Obama)
L'inchiesta
si allarga Sigillati i nastri [FIRMA]GUIDO RUOTOLO INVIATO A BARI Messaggi sms,
telefonate, tabulati. E poi il pusher che già è stato sentito dalla Procura. E
le verifiche negli alberghi romani dove le quattro testimoni dell'inchiesta
sull'induzione alla prostituzione sarebbero state ospitate, e l'acquisizione
degli elenchi dei passeggeri dei voli che le testimoni avrebbero preso per
raggiungere la capitale e la Sardegna. E' solo agli inizi, e l'inchiesta sui
festini a Palazzo Grazioli e a Villa Certosa è già zeppa di spunti di indagine,
di verifiche da fare in fretta. Come quella sulle foto e le registrazioni
(secretate dalla Procura) che, secondo Patrizia D'Addario, la candidata alle
comunali che racconta della notte d'amore a Palazzo Grazioli, confermerebbero
la sua ricostruzione dei fatti. Nelle immagini, che non sarebbero state girate
con un cellulare, si riconoscerebbe un letto, uno specchio, una cornice con la
foto di Veronica Lario. Ma c'è di più. Nelle carte della Procura spunterebbero i
nomi di diversi politici. Finiti nella rete d'ascolto della polizia giudiziaria
che intercettava l'imprenditore della sanità Giampaolo Tarantini. Tra questi
politici ci sarebbe anche Sandro Frisullo, vicepresidente della Regione,
assessore all'Industria. Frisullo a chi gli ha chiesto dei suoi contatti con
Tarantini, ha risposto che lo conosce e lo ha sentito da assessore
all'Industria della giunta del governatore Nichi Vendola. Patrizia D'Addario ha
consegnato alla Procura di Bari un appunto nel quale fa l'elenco delle
telefonate e dei messaggi ricevuti. Il pm Pino Scelsi ha disposto
l'acquisizione dei tabulati telefonici della testimone. Che non solo ha
registrato i due incontri con Silvio Berlusconi, il 30 ottobre scorso e il 4
novembre, la notte dell'elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti ma,
a suo dire, avrebbe registrato anche la telefonata ricevuta dal presidente del
Consiglio il giorno dopo aver trascorso la notte a Palazzo Grazioli, il 5
novembre. Sul suo cellulare risulterebbe un tentativo di chiamata (da parte di
Berlusconi, secondo la donna) alle 16,54. Successivamente, il presidente
del Consiglio sarebbe riuscito a parlarle. Quel colloquio sarebbe stato
registrato e consegnato al pm Pino Scelsi. Certosina nel prendere appunti e molto
previdente nel registrate tutto, Patrizia D'Addario. Si ricordava anche della
telefonata dell'autista di Palazzo Grazioli che, il 30 ottobre, la prima volta
che la donna, insieme a un'altra ventina di ragazze, incontra Berlusconi, la
chiama alle 12,58 per andare a prenderla. In questi giorni, Tato Greco, nipote
di Antonio Matarrese, l'esponente politico che ha inserito il nome di Patrizia
D'Addario nella lista comunale «La Puglia prima di tutto», ha affermato di aver
conosciuto la donna soltanto in occasione della presentazione della sua
candidatura. Patrizia D'Addario avrebbe depositato alla Procura un messaggio di
auguri di Natale, inviatole dall'esponente politico il 24 dicembre scorso. La
donna al pm Scelsi avrebbe parlato di altre ragazze presenti negli incontri.
Una di Milano e due di Modugno. Una di queste è quell'amica che, la mattina del
5 novembre, rientrata in albergo, chiese a Patrizia: «Ti hanno dato la busta?».
Ma la Procura di Bari ha sentito altre due donne pugliesi e una di Roma.
Nell'ambito della inchiesta su Giampaolo Tarantini è stato convocato dagli
inquirenti e dagli investigatori un suo amico pusher. A Bari si parla di
tantissima «polvere bianca», cocaina, che viene consumata. Anche da alcuni
protagonisti di questa inchiesta giudiziaria.
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TROPPO FREDDI CON L'IRAN (sezione: Obama)
Lucia
Annunziata TROPPO FREDDI CON L'IRAN Non erano molti, due giorni fa, a Roma in piazza
Farnese, a solidarizzare con la rivolta iraniana. Né ci arrivano notizie di
grandi (e, se è per questo, neanche di piccoli) raduni al fianco degli iraniani
dalle capitali europee. Siamo così al solito interrogativo che da un po' di
tempo ci si ripresenta, davanti ai regolari flop di attivismo solidale. Forse
la sensibilità internazionale europea - a destra come a sinistra - si è
affievolita? Una risposta scientifica non può esserci. Ma, ragionando sugli
avvenimenti di questi ultimi anni, è possibile dire ex post che questa
sensibilità europea esiste, ma sembra essere rimasta ferma lì dove si è
formata: al dopoguerra e alla guerra fredda. Cioè allo scontro fra Est e Ovest,
fra Nord e Sud, in chiave destra/sinistra, comunismo/anticomunismo. Anche in questi
ultimi anni infatti, quando si presenta l'ombra dell'imperialismo americano i
democratici europei sanno subito scattare, così come quando appare il segno
della dittatura comunista in forme varie i conservatori capiscono subito di che
si tratta. Ripercorrendo così le passioni internazionali di questi ultimi anni,
si disegna una mappa del mondo completamente deformata rispetto a quella reale.
Le ultime reali mobilitazioni si sono viste durante la guerra dei Balcani, e
dopo l'11 Settembre fino alla guerra in Iraq. Entrambi casi riconducibili ai
conflitti del '900. Nei Balcani si è giocata forse l'ultima resa dei conti fra
Washington e Mosca nei vecchi confini europei del dopoguerra; intorno, per
altro, a un residuo delle soluzioni razziali del '900, la pulizia etnica. Il
conflitto in Iraq è stato a sua volta semplicissimo da comprendere in queste
logiche. Ha diviso il campo fra Stati Uniti e mondo arabo: tema che ha riacceso
la tradizionale passione che brucia dal dopoguerra in Europa, la divisione fra
Arabi e Israele. Tutto il resto, tutti i numerosi, e per certi versi non meno
gravi, conflitti di questo stesso periodo non hanno mai attirato grande
attenzione. La Cina del dopo Tienanmen, con la continuazione delle sue
politiche di controllo sociale, e del Tibet; le guerre e i massacri in Somalia,
o in Darfur; i conflitti dentro e fra le repubbliche ex sovietiche, e dentro la
stessa Russia, come ben sanno i giornalisti uccisi in questi anni. Né sembra
sollevare attenzione il pericolo terrorista o nucleare, intorno a cui dopo
tutto si combatte in Iran e in Afghanistan. Se questa è la mappa
partecipazione/indifferenza, è evidente che è guidata dal sopravvivere di una
sensibilità totalmente novecentesca. I conflitti che con il mondo del
dopoguerra c'entrano poco o nulla se non per filiazione molto lontana risultano
troppo incomprensibili, intricati, spesso persino a una classe dirigente colta.
Un tipico esempio del cambiamento dei significati degli avvenimenti globali ci
viene offerto, proprio in questi giorni, dalla costernazione che suscita
l'atteggiamento del Presidente degli Stati Uniti in merito all'Iran. Obama guarda a questa vicenda con
distacco e con una certa freddezza. Indignando (forse per la prima volta dalla
sua elezione) il popolo delle solidarietà - interventisti conservatori,
militanti di diritti umani, pro israeliani che vedono nell'Iran il pericolo
supremo per Israele, democratici che vorrebbero che si aiutasse chi vuole
democrazia e donne che solidarizzano con le altre donne in piazza. In
realtà si può guardare differentemente a questo distacco. Obama
è anche lui un presidente nato fuori dagli schemi del '900, e sa molto bene una
cosa che il '900 ancora non sapeva: la difesa della democrazia non si fa con
interventi e invasioni degli imperi. Se questo giudizio è vero (cautela
necessaria) il Presidente americano potrebbe star aspettando gli eventi,
consapevole che una sua mossa peggiorerebbe la situazione dell'opposizione, già
accusata di filoamericanismo. Ma sa anche - perché la storia di questi ultimi
anni ci ha insegnato pure questo - che la storia di un paese è alla fine nelle
mani solo di chi in quel paese vive. La più bella storia di resurrezione
nazionale degli ultimi vent'anni, quella del Sud Africa, è stata costruita con
sacrifici dagli stessi sudafricani. Certo non grazie alle manifestazioni dell'Europa,
o alle timide sanzioni inglesi di anni fa, né grazie ai media che se ne sono
occupati in maniera alterna. Qualunque siano le ragioni delle distanze prese da
Obama, certo questa sua apparente freddezza è comunque
un altro elemento di disorientamento dell'opinione pubblica. Fin qui le
osservazioni possibili. Ma se invece stessimo sbagliando tutto? Se
l'indifferenza europea avesse invece a che fare con la percezione che l'Europa
ha di sé stessa oggi? In altre parole: c'è una relazione fra la bassa affluenza
al voto per il Parlamento europeo e l'indifferenza alle vicende internazionali?
Crisi economica, difficoltà a vedere il futuro costituiscono oggi le ragioni di
un ritorno del razzismo e della paura in Europa. Non è difficile attribuire
agli stessi elementi un profondo ripiegamento anche rispetto alle vicende del
mondo.
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Sceicchi e russi sfidano la crisi (sezione: Obama)
Charles Lindbergh
I personaggi I fratelli Wright Charles Yaeger Amelia Earhart Sceicchi e russi
sfidano la crisi Ordini ridimensionati, ma non per le compagnie del Golfo
Persico Regge il settore militare DALL'INVIATO A LE BOURGET Si stanno
combinando meno affari del solito quest'anno al Salone dell'aeronautica. I
grandi acquirenti dei costruttori di aerei civili sono quelle stesse compagnie
di volo federate dalla Iata che quest'anno, secondo la loro stessa
associazione, si avviano a perdere un totale di 9 miliardi di dollari. È
inevitabile che gli ordini di aerei di linea ne risentano. Lo choc è
particolarmente forte perché fino a 12 o al massimo 18 mesi fa il settore era
in crescita tumultuosa. Al paragone, soffre un po' meno l'aeronautica militare,
non perché i governi stiano spendendo tanto in armi (anzi, con la crisi
tagliano un po' pure loro) ma perché i grossi ridimensionamenti sono già
avvenuti negli anni passati, dopo la fine della guerra fredda, e non c'è spazio
per crolli traumatici negli ordinativi. Certo, Obama spenderà in armi meno di Bush e le industrie americane
accuseranno il colpo, e se l'aereo europeo da trasporto militare A-400 verrà
davvero cancellato questo sarà una batosta per Airbus. Nel settore civile c'è
qualcuno che fa eccezione alla generale politica della lesina e sono le
compagnie degli sceiccati del Golfo Persico. La Etihad degli Emirati
Arabi uniti ha fatto uno dei pochi botti di Le Bourget annunciando una maxi
commessa di motori: un totale di ben 14 miliardi di dollari che vanno a beneficiare
GE Aviation, Rolls-Royce, Engine Alliance e International Aero Engines. Si
tratta però della conseguenza di un annuncio di un anno fa al Salone britannico
di Farnborough: questi propulsori serviranno a equipaggiare gli Airbus e i
Boeing ordinati allora. Un'altra compagnia del Golfo, la Qatar Airways, ha
firmato un contratto per 24 Airbus. Si distinguono anche i russi, visto che una
loro compagnia (Avialeasing) ha ordinato 24 velivoli regionali Superjet 100
co-prodotti da Sukhoi e dall'italiana Alenia. Per il resto si firmano
contratti, alcuni anche miliardari, ma non sono tante le compagnie che possono
permettersi di comprare gli aerei a decine per volta. In tempi di vacche magre
c'è chi propone il cacciabombardiere low cost. Una società del Texas (Air
Tractor) che di solito fabbrica aerei per spargere gli insetticidi sui campi ha
modificato un suo modello aggiungendo due mitragliatrici e due bombe. Questo
AT-802U costa solo 900 mila euro. Regalato. \
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Negli Usa dicono sexgate, ma anche Italia sessista (sezione: Obama)
Negli
Usa dicono sexgate, ma anche Italia sessista [FIRMA]JACOPO IACOBONI La parola
viene infine evocata sulla tv del cattivo Rupert Murdoch, sexgate. Calarsi per
una giornata fuori dal teatrino italiano, e osservare come ci osservano gli
altri, significa ricostruire per indizi un'antropologia italiana minima ai
tempi di Noemi (e Patrizia). Sexgate. Usata nel notiziario americano di Sky, la
locuzione è indicativa di come gli americani, non solo l'australiano Murdoch,
tendano a vedere la cosa: un caso che noi siamo costretti a definire piccante,
e altri considerano semplicemente «sexgate», che evoca vicende americane che
coinvolsero un presidente democratico, peraltro abbastanza diverse. Qui non c'è
per ora prova di rapporti, ma questo è, agli occhi di quel telegiornale. Il
viso della giornalista non tradisce emozione, non allude. È per lei un fatto
che in Italia ci sia qualcosa come un sexgate. Al di là dell'«utilizzo finale»
delle escort. Escort. È, appunto, il termine che gli americani preferiscono
(gli inglesi sembrerebbero prediligere un freddo «Ms D'Addario», vedi
Independent, o «showgirl», come, pietosamente, il Times, e è anche di Murdoch.
Solo il Guardian dice «escort»). Escort è comunque parola amata a Hollywood,
garbata, fa pensare a Pretty woman, l'inglese può essere molto più crudele per
definire quell'antica professione. Lo ha fatto l'altra sera l'International
Herald Tribune, che dedicava l'apertura al «caso italiano». Ma in generale
nessuno si astiene dal definire escort D'Addario. A volte anche nei titoli, per
esempio del notiziario di Cnn, che peraltro tratta la cosa come una notizia
muta, senza servizio. «Quotidiano conservatore». Su Le Monde si legge un
articolo che comincia «secondo il quotidiano conservatore italiano Corriere
della Sera...». Insomma, per Le Monde la sinistra non c'entra (anche El Pais
nota che «questa volta è il misurato Corriere della Sera...»). Il
corrispondente da Roma del giornale parigino, Philippe Ridet, cerca di spiegare
la già immortale metafora ghediniana dell'«utilizzatore finale». Il francese,
che dice ordinateur al posto di computer, può in fondo capire l'«utilizzatore»
meglio della lingua italiana. «Problemi linguistici». L'Economist ha la sua
tesi, sostiene che il premier «fa campagna contro i media stranieri». Cita
alcuni dati, l'azione dell'ambasciatore italiano a Madrid per chiedere
spiegazioni a El Pais. Racconta che molti corrispondenti stranieri trovano
impossibile parlare coi ministri italiani, quando altrove basta una cortese
mail. Un ambasciatore straniero (non si dice chi) ha ricevuto pressioni per
strigliare i giornalisti troppo invadenti del suo Paese. «Media sessisti». Il
New York Times scrive un commento in cui critica «l'immagine sessista delle
donne sui media italiani». Commento anfibio, sulla vicenda del Cavaliere. Più sociologia sull'italianità, che attacco a uno che Obama ha appena salutato con un «great
to meet you». Leggendario. Titolo di El Pais, definitivo: «Nuove rivelazioni
sulle avventure leggendarie di Silvio Berlusconi». In definitiva, lo amano.
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Villa spericolata (sezione: Obama)
Buongiorno
Massimo Gramellini Villa spericolata (Articolo da cantare, stonati compresi)
Voglio una villa maleducata - con la piscina piena di gin - voglio una bionda
super truccata - con cui giocare insieme a nascondin - voglio una villa che non
è mai tardi - per far scoppiare in spiaggia due petardi - voglio una villa con
le veline vestite da camerieri sardi. E poi ci troveremo io Alfano e Ghedin - a
cercar foto sconce sotto i cuscin - ma forse non le troveremo mai - e allora
amici cari saranno guai - mia moglie furibonda - la Cia che mi sfonda - e tutto
il mondo a farsi sempre i fatti miei, eh. Voglio una villa spericolata - con
Smaila al piano e Bondi al clarin - voglio una pillola esagerata - che mi faccia i muscoli di Obama e Putìn - voglio una villa che non è mai tardi - per travestirsi
tutti da ghepardi - voglio lanciar reggiseni in un cespuglio di cardi. E poi ci
sposteremo a palazzo Grazioli - per mangiar con le amiche pizza e fagioli - ma
non la digeriranno mai - vorranno un diamante o una fiction in Rai.
Ognuna col suo book - ognuna col procuratore - ognuna avrà un registratore per
farsi i fatti miei, eh. Voglio una villa maleducata - dove sposare una
disoccupata - voglio un Paese che se ne frega - e guarda i tiggì senza fare una
piega - voglio un Paese che sia pieno di tordi - li voglio ciechi muti e pure
un poco sordi - voglio un Paese che di me non si scordi. (Grazie Vasco, e scusa
per lo scempio).
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D'Alema: nel ballottaggio Boffa sarà più competitivo (sezione: Obama)
D'Alema:
nel ballottaggio Boffa sarà più competitivo [FIRMA]PARIDE PASQUINO SAVONA Oltre
800 in piazza Sisto IV per il comizio di Massimo D'Alema, il 122° in questa
campagna elettorale per l'ex premier che ha scelto Savona per concludere una
giornata che lo ha portato prima a Milano, poi ad Alessandria e a Novi Ligure.
D'Alema crede nella rimonta di Boffa su Vaccarezza, fa un discorso da leader di
un Pd del quale però dice «non voglio essere segretario né mi candiderò». Fa
battute su Berlusconi, sul suo tempo libero e le sue frequentazioni, definisce
i candidati del Pdl «unti dal signore, addirittura per quanto riguarda Savona
unti di terzo grado, visto che sono tutti passati da Imperia, feudo di
Scajola». Massimo D'Alema ha parlato per quasi 40 minuti dopo il discorso
introduttivo del segretario provinciale Giovanni Lunardon, il saluto del
sindaco Berruti e l'ultimo appello del candidato alla Provincia Michele Boffa.
D'Alema era arrivato poco prima delle 20 in auto da Alessandria. Prima della
cena al ristorante L'Angolo dei Papi ha risposto ad alcune domande sul tema del
giorno, il caso D'Addario e l'inchiesta barese su Berlusconi che lo stesso
D'Alema - secondo il Pdl - avrebbe in qualche modo «anticipato». «Io non ho
anticipato nulla - ha detto -. Parlo solo di politica non di inchieste». Poi la
cena, una trentina gli invitati. D'Alema era seduto accanto al governatore
della Liguria, Claudio Burlando, al sindaco Berruti e al deputato Massimo
Zunino. Poi sul palco, a proposito della sfida di domenica e lunedì per la
conquista di Palazzo Nervi, Massimo D'Alema ha chiesto una scossa agli elettori
del centro sinistra: «Ho assistito a tanti casi in cui il nostro candidato
partiva svantaggiato dopo il primo turno. Nei ballottaggi il centrosinistra è
tradizionalmente più competitivo. Si parte da zero a zero e quando è il momento
di trovarsi testa a testa, contano le persone e contano le idee». Poi ancora
contro Berlusconi. «Strano che il premier non si sia candidato anche qui per
diventare presidente della Provincia. Oltretutto, leggo che ha molto tempo
libero...». e poi su Boffa: «Questo è un candidato scelto da voi, mentre
dall'altra parte sono tutti scelti da lui. Ho fatto tanti comizi e sempre avevo
al mio fianco i candidati. Ma non ne avevo mai scelto neanche uno». Massimo
D'Alema nel suo discorso di ieri ha rispolverato anche la veste fu del ministro
degli Esteri, incarico ricoperto per due anni. Ha toccato i temi della
sicurezza e dell'immigrazione, sulla crisi economica. E anche in questo caso
non ha risparmiato battute sul leader del Pdl. «Nei giorni scorsi il premier è
stato ricevuto dal presidente degli Stati Uniti per un caffè veloce. Come non
comprenderlo...». e ha aggiunto: «Speriamo che Berlusconi abbia capito
qualcosa. Prima di tutto che Obama non è abbronzato, ma figlio di un immigrato che qui da noi
sarebbe considerato un fuorilegge. E poi che abbia capito come si deve
comportare un leader a proposito della crisi. Berlusconi prima ha detto che la
crisi non esisteva. Oggi dice che è passata».
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PREMI Piemonte Storia Domani alle 17 verrà consegnato
il Premio Piemonte Storia - A... (sezione: Obama)
PREMI
Piemonte Storia Domani alle 17 verrà consegnato il «Premio Piemonte Storia -
Alessandro Paoletti del Melle» a Carlo M. Fiorentino, storico e archivista,
autore del libro «La corte dei Savoia 1849-1900» edito da «Il Mulino». Si
affianca il «Premio Testimoni della Storia», questa edizione assegnato a Arrigo
Levi (nella foto). Palazzo Cavour, via Cavour 8 INCONTRI Economia e solidarietà
E' il tema che sarà affrontato alle 17,45 durante l'incontro che vede gli
interventi di monsignor Gastone Simoni, Marco Boglione, Sergio Gaiotti e
Giovanni Zanetti; modera Giorgio Zimbaro. Organizza il Circolo culturale
«Partecipare per testimoniare». Basilica torinese di San Filippo Neri, via
Maria Vittoria 5 Donne per la pace Alle 17,30, per il ciclo «Nodi
Mediterranei», incontro «Dopo il discorso di Obama. Israeliane e Palestinesi: quando
le donne parlano di pace». Con: Antonella Parigi, Claudio Vercelli, Gadi
Baltiansky, Janiki Cingoli, Nidal Fuqah, Fadwa Esha'er e Orit Zuaretz. Circolo
dei Lettori, via Bogino 9 Mysteri al Mausoleo E' il titolo del ciclo di
conferenze che inizia stasera alle 21 con l'incontro di Simone Angioni sul tema
«Tracce nel cielo: le scie chimiche». Gratis. Mausoleo della Bela Rosin,
strada Castello di Mirafiori 148/7 Diaspora albanese Alle 20 serata dal titolo
«Aperitivo multi-etnico di Piemonteuropa associazione 360: la diaspora albanese
in Occidente a 19 anni dagli eventi che segnarono la fine della dittatura».
Intervengono Raffaele D'Amato, Benko Gjata, Marco Calgaro e Gjon Coba, console
della Repubblica d'Albania a Milano. Degustazione piatti tipici albanesi.
Associazione culturale Piemonteuropa, piazza Carlo Felice 80 Torino e il
Novecento Alle 18 dibattito sul tema «La Città del Novecento. Torino nel
ventennio fascista». Introduce Gianni Oliva, intervengono Pierangelo Cavanna,
Claudia Conforti e Luciano Re; modera Riccardo Bedrone. A cura di UrbanCenter.
Circolo dei Lettori, via Bogino 9 LIBRI Conflitti Alle 18 si presenta il libro
«Il Nuovo Mediterraneo. Conflitti e coesistenza pacifica» a cura di Dominique
Bendo-Soupou. Con Maria Donzelli, Rosita Di Peri e Stefanella Campana. Istituto
Paralleli, via La Salle 17 Libraio per caso Domani alle 13 ospite del ciclo di
incontri per la proposta di letture al pubblico Fiorenzo Oliva, che ha
pubblicato il suo primo libro «Il mondo in una piazza», ed. Nuovi Equilibri.
Librerie Coop, piazza Castello 113 SPETTACOLI Festival delle Colline Da
stasera, ore 19, al 28 giugno le repliche dello studio-installazione di Valter
Malosti «Poe. Concerto di Tenebre». Oggi e domani, alle 21, c'è il debutto
dello spettacolo «Pornobboy» di Babilonia Teatri. Ingresso 15 euro; info:
011/19740291. Cavallerizza Reale, via Verdi 9 MuseOsera Alle 21 danza a cura
delle associazioni Arci-Danza. Gratuito. Cortile del Museo Regionale di Scienze
Naturali, via Giolitti 36 La fabbrica delle idee La rassegna propone oggi e
domani, alle 21,30, le repliche dello spettacolo del Progetto Cantoregi «Il
prete giusto» di Vincenzo Gamna e Marco Pautasso, con la regia di Koji
Miyazaki. E' tratto dall'omonimo libro di Nuto Revelli. Racconigi, ex ospedale
psichiatrico Sotto questo cielo E' la rassegna curata da Assemblea Teatro, che
stasera alle 21 porta in scena The Cavern nel concerto «The Beatles songs».
Ingresso 1 euro. Perosa Argentina, Teatro Piemont, via Roma 56 MUSICA Lirica
Alle 21 per le «Serate Musicali» concerto dedicato alla vocalità di Verdi e
Mendelssohn, con il soprano Anna Pirozzi accompagnata al pianoforte da Roberto
Rega e dal Coro da Camera del Conservatorio. L'ingresso è libero.
Conservatorio, piazza Bodoni Un'altra musica La rassegna, sottotitolata «Suoni
dal territorio», propone alle 21,30 la kermesse della Banda Musicale del Corpo
di Polizia Municipale della Città di Torino. Gratuito. Borgo Medievale, parco
del Valentino VARIE Veline in tour Oggi e domani raccolta delle iscrizioni e
shooting fotografico per le aspiranti Veline di Striscia, e anche per le
selezioni di Miss e Mister Moncalieri: ore: 16- 22 nello stand allestito.
Moncalieri, 45°Nord, Centro Commerciale MOSTRE Luisa Rabbia Da oggi al 20
settembre mostra di Luisa Rabbia «In viaggio sotto lo stesso cielo», a cura di
Beatrice Merz. Un progetto elaborato su tre lavori, in particolare un video e
due installazioni, dedicate al tema del viaggio. Fondazione Merz, via Limone 24
a cura di Tiziana Platzer giornonotte@lastampa.it
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Adesso sul Cavaliere lo spettro del ricatto (sezione: Obama)
Adesso
sul Cavaliere lo spettro del ricatto [FIRMA]UGO MAGRI ROMA Clima da grande
vigilia, palazzi romani in attesa. Giusto le scaramucce tra caudatari,
immancabili, per riempire i tigì. Ma i protagonisti (quelli veri) tacciono. A
destra come a sinistra. Antenne sintonizzate su radio-Bari perché è da lì che
possono scatenarsi le altre «scosse», dalle indagini della procura sulle
bellezze locali noleggiate per le feste di Berlusconi. Si attendono rivelazioni
che magari saranno soffocate (come accadde per le telefonate osè del nostro
premier), intanto però tengono col fiato sospeso. E' convinzione bipartisan
che, dovesse tracimare qualcosa di davvero compromettente, la Repubblica
italiana entrerebbe in territori mai esplorati. Di qui la prudenza che cuce le labbra
a Franceschini e ai principali leader Pd. A sinistra solo la Bindi affonda la
lama: «Berlusconi dica la verità o se ne vada». Le dietrologie impazzano. E'
opinione bipartisan che, dietro le «escort» baresi, potrebbe esserci un disegno
destabilizzatore. L'unica divergenza riguarda l'identikit dei mandanti.
Cicchitto resta convinto dello zampino di D'Alema l'ingrato, perché «noi non
abbiamo cavalcato il giustizialismo quando lui fu investito da vicende
giudiziarie», gli rinfaccia il capogruppo Pdl alludendo ai «furbetti del
quartierino». Nulla è stato casuale, concorda il ministro Fitto, pugliese. Il
quale fa un elenco di circostanze strane. La «escort» che accusa il premier, ad
esempio: «Com'è riuscita, nonostante la calca, a essere spesso sullo sfondo delle
foto scattate per strada al presidente durante la visita a Bari? E' vero»,
domanda Fitto, «che nei giorni successivi la signora D'Addario ha contattato
molte tv locali? E' vero che al titolare dell'agenzia fotografica Ipiesse News
ha chiesto copia di foto e immagini che la ritraessero accanto al presidente?
E, se è vero, perché lo ha fatto?». Aleggia il fantasma del ricatto. Per soldi
o per altro. Di Pietro lo denuncia con parole che, sia pure rovesciate allo
specchio, magnificamente si sposano con quelle di Fitto. «Quante persone»,
domanda l'ex pm, «possono ricattare il premier tra ragazze, amministratori e
parenti?». Latorre, dalemiano, teme per la povera Italia esposta a una perdita
di credibilità. Zanda, anch'egli democratico, solleva un problema di sicurezza
Nato, chissà quali segreti militari può aver rivelato Berlusconi nell'euforia
di certi istanti. Inutilmente Fini condanna le teorie complottarde, esorta a
smetterla di «paventare l'aggressione di chi sa quale nemico, interno o
estero». Il sottosegretario all'Interno Mantovano è sicuro che a capo della
Spectre anti-berlusconiana ci sia Zapatero, la Spagna ce l'ha con noi «perché
non è felice di rivedere sulle proprie coste i clandestini respinti
dall'Italia». Qualcun altro a destra si rallegra che
Berlusconi abbia fatto colpo su Obama, perché è dura a morire l'idea dell'America come Grande
Burattinaio, scandali e dossieraggi pilotati da Washington, la Cia che vuole
punire le mosse filo-russe del Cavaliere... «Ci sarebbe voluto poco»,
sussurrano dalle parti del premier, «a infilare in un volo per la Sardegna
qualche agente provocatrice, magari munita di telecamera o registratore,
specie quando si conoscono le cattive abitudini del Nostro... Noi gliel'avevamo
detto in tutte le salse, pure Letta e Confalonieri, ma lui alzava le spalle,
rideva. Adesso dalla paura è diventato praticamente un monaco». A Villa La
Certosa di veline non se ne vede più l'ombra.
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Hillary e Biden contro Obama "Sei troppo
soft" (sezione: Obama)
Hillary e Biden contro Obama
"Sei troppo soft" Il presidente difende la linea democratica «Niente
ingerenze nei Paesi stranieri» [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW
YORK Joe Biden e Hillary Clinton premono su Barack Obama
affinché assuma una posizione più energica a sostegno dei manifestanti in Iran
mentre John Kerry e Howard Dean sostengono l'attuale scelta
della Casa Bianca di non intromettersi nei fatti di Teheran. Il dibattito
nell'amministrazione Obama esce allo scoperto per
effetto di quanto sta avvenendo: in Iran si succedono dimostrazioni con
centinaia di migliaia di persone che suscitano emozione in America ridando
fiato all'opposizione repubblicana a Capitol Hill, che per la prima volta dalla
sconfitta presidenziale riesce a mettere in difficoltà la Casa Bianca
rimproverandole «scarso impegno per difendere i diritti umani». A premere su Obama sono Hillary (che ieri si è fratturata il gomito
scivolando nel parcheggio sotterraneo del Dipartimento di Stato) e Biden: il
Segretario di Stato è sensibile a quanto sta avvenendo in Europa e teme di
vedersi strappare dalla Francia la palma di leader nella difesa della
democrazia, mentre il vicepresidente è attento agli umori del Senato, dove
molti democratici condividono le critiche di McCain. Essere sulla difensiva
significa per Obama esporsi al rischio di una
leadership indebolita: da qui le indiscrezioni del «New York Times» sulle
richieste a Obama di «avere toni più duri» sull'Iran.
A conferma del confronto in corso, scendono in campo anche i sostenitori
dell'attuale linea dell'amministrazione, favorevole a «non intromettersi». John
Kerry, capo della commissione Esteri al Senato, scrive in un editoriale sul New
York Times che «interferire in Iran sarebbe un grave errore» perché non
produrrebbe altro che l'indebolimento delle manifestazioni anti-regime e Howard
Dean, ex presidente del partito democratico, aggiunge: «La mano leggera in
questo momento è la scelta più giusta». D'accordo anche David Makovsky, analista
del Washington Institute, secondo cui «visto che gli iraniani ancora incolpano
l'America per il golpe del 1953 contro Mossadeq è comprensibile il basso
profilo di Obama». Il duello di opinioni
nell'amministrazione ha già causato qualche cortocircuito. Due giorni fa il
neanche trentenne diplomatico americano Jared Cohen - autore del best seller
«Figli della Jihad» - ha chiesto a Twitter di sospendere la manutenzione del
sito per evitare di bloccare il sistema di comunicazione online più adoperato
dai giovani iraniani pro-Mousavi. L'amministrazione ha fatto però una brusca
marcia indietro incaricando l'ambasciatore svizzero a Teheran - che rappresenta
gli interessi americani - di far sapere ad Ali Khamenei che «non abbiamo fatto
richieste formali a Twitter». Ciò non ha impedito a Teheran di accusare il
Dipartimento di Stato di «strumentalizzare la protesta». A suggerire l'ipotesi
di un possibile rafforzamento dei falchi è la decisione presa da Obama di portare alla Casa Bianca dal Dipartimento di Stato
Dennis Ross, titolare del portafoglio dei rapporti con l'Iran e noto per le sue
posizioni rigide contro il nucleare. Ad aumentare la pressione su Obama vi sono tanto i sondaggi che danno la sua popolarità
in calo - dal 61 al 56 - che la massiccia mobilitazione degli esuli persiani
negli Usa, con sit-in, veglie e manifestazioni da Los Angeles a Washington e
New York.
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"Il popolo ha scelto, basta proteste"
Khamenei appoggia Ahmadinejad (sezione: Obama)
TEHERAN
- C'era una folla immensa questa mattina per le strade di Teheran. Tutti
raccolti intorno all'università per ascoltare il sermone dell'autorità massima
del paese, l'ayatollah Ali Khamenei. Il leader religioso si è pronunciato
nettamente: le elezioni le ha vinte Mahmoud Ahmadinejad. "Il popolo ha
scelto il suo leader, i disordini sono stati fomentati dai nemici dello Stato e
devono cessare", ha affermato. In piazza non c'erano i manifestanti
dell'opposzione, che dopo la marcia funebre di ieri, indetta da Mir Hossein
Moussavi per ricordare i morti durante le proteste del dopo-voto, hanno
preferito rimanere nell'ombra per evitare scontri con la milizia islamica.
Rimaneva un segno tangibile del loro passaggio: centinaia di candele nere
accese in segno di lutto sotto alle foto di chi è rimasto ucciso. Ma se il
giovedì è il giorno riservato alla commemorazione dei defunti, il venerdì è
dedicato alla preghiera. Preghiera tenuta in via eccezionale dall'ayatollah,
che ha preso per la prima volta la parola dopo le elezioni e la contestazione
dei risultati elettorali che per giorni ha incendiato le strade di Teheran e di
alcune città della provincia. E' raro che la Guida suprema della nazione prenda
la parola in una simile occasione. Se l'ha fatto è perché spera con le sue
parole di mettere fine alla contesa fra Moussavi e Ahmadinejad. Il discorso.
Con il presidente appena rieletto in prima fila, alle 10.20 ora italiana
l'ayatollah Khamenei ha iniziato il suo sermone. Le prime parole sono state un
invito alla pace e alla tolleranza: "In una situazione tanto delicata, in
cui emergono forze contrastanti nel paese, bisogna restare uniti nel nome di
Allah e della fede islamica". Il leader religioso ha esortato la folla a
"non creare situazioni di panico". Una nazione "forte, unita,
vittoriosa" è quella che si deve mostrare all'esterno, ai "nemici
della nazione". Anche perché "mai dal 1979 l'Iran si era mostrato
così compatto, e la massiccia affluenza alle urne è testimonianza della forza
della democrazia". OAS_RICH('Middle'); I nemici dell'Iran. Poi è arrivato
il momento di accusare "i nemici" che minacciano l'unità iraniana:
"All'estero non si vuole credere nella forza della democrazia religiosa,
ma noi abbiamo dimostrato che la fede non è estranea alle scelte della
politica". Khamenei ha attaccato duramente i media stranieri che
"hanno voluto far credere nella presenza di differenze incolmabili tra i
candidati". Una falsità perché "sono tutti membri dell'estabilishment
islamico, anche se, com'è ovvio, hanno programmi differenti"."Le
accuse di corruzione vengono dai sionisti - ha proseguito la Guida suprema - ed
è stato ambiguo anche l'atteggiamento dei paesi occidentali". Khamenei ha citato in particolare il comportamento di Barack Obama, definito "ambiguo".
Voto trasparente. Kahmanei ha insistito molto sulla legittimità del voto e
della rielezione di Ahmadinejad: "Il presidente ha vinto con uno scarto di
11 milioni di voti, se anche ci fossero state delle irregolarità, come si
sarebbero potute falsificare tutte quelle schede?" ha chiesto. Da
qui l'avvertimento: "Solo i nemici del paese parlano di brogli, bisogna
fermare le manifestazioni fomentate dall'esterno, anche dai media stranieri che
hanno strumentalizzato ciò che è accaduto nei giorni scorsi". L'ayatollah
si è pronunciato, dunque, senza delegittimare nessuno dei candidati e ribadendo
la natura democratica del voto iraniano. Ma oltre che alla popolazione, il
discorso è stato indirizzato, soprattutto nelle battute conclusive, agli stati
occidentali: "Non credano di poter fare con noi come hanno fatto in
Georgia". (19 giugno 2009
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Incentivi modello sprint Ecco l'ultima idea di Obama (sezione: Obama)
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l'idea di Barack Obama per
far ripartire subito il mercato dell'auto. Lo schema di questi aiuti al mercato
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Iran, vietata marcia dell'opposizione Khamenei:
abbiamo bisogno di calma (sezione: Obama)
TEHERAN
Le elezioni non sono state manipolate e le manifestazioni nelle strade «devono
cessare». Questa la dura risposta inviata oggi dalla Guida suprema iraniana,
ayatollah Ali Khamenei, al candidato moderato alle presidenziali Mir Hossein
Mussavi e alle sue centinaia di migliaia di sostenitori che da giorni invadono
le piazze di Teheran per chiedere la cancellazione del voto, denunciando
brogli. Khamenei ha parlato come guida della preghiera del venerdì: il primo
suo discorso pubblico dopo la crisi cominciata in seguito alle contestazioni
dei risultati delle elezioni. Ad ascoltarlo cerano
il presidente rieletto, Mahmud Ahmadinejad, i più importanti ministri del suo
governo e le massime autorità dello Stato. Ma non Mussavi, nè lex
presidente Akbar Hashemi Rafsanjani, considerato il suo principale sponsor. Per
domani è attesa una nuova manifestazione degli oppositori di Ahmadinejad, a cui
è prevista la partecipazione di Mussavi e dellex
presidente riformista Mohammad Khatami. Ma il messaggio della Guida suprema per chi
vuole continuare a promuovere la protesta di piazza è stato molto chiaro: «Chi
alimenterà lestremismo - ha affermato - sarà ritenuto
responsabile per ogni violenza e spargimento di sangue». Dopo l'appello di
Khamenei perchè cessino le manifestazioni di piazza, l'Iran ha fatto
sapere di non aver autorizzato la manifestazione convocata per sabato
dall'opposizione. Finora sono sette i manifestanti uccisi, secondo le notizie
ufficiali fornite da fonti governative. Khamenei ha accusato alcuni Paesi
occidentali, tra i quali gli Usa del presidente Barack Obama,
di avere interferito nella crisi iraniana, dicendo che «agenti dei servizi
segreti del nemico» hanno avuto un ruolo nei disordini. La Guida suprema ha
anche difeso lex presidente Rafsanjani dagli attacchi di
corruzione mossigli in campagna elettorale da Ahmadinejad. «Lo conosco da 52
anni e non ho mai visto che si sia arricchito illegalmente», ha detto Khamenei,
definendo Rafsanjani «una delle più importanti figure della rivoluzione accanto
allayatollah Khomeini».
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"Il popolo ha scelto, basta proteste"
Monito Obama: "Il mondo vi guarda" (sezione: Obama)
TEHERAN
- "Le elezioni le ha vinte Ahmadinejad, il popolo ha scelto".
L'ayatollah Ali Khamenei ha spazzato via tutti i dubbi sull'esito delle
elezioni presidenziali iraniane, schierandosi in favore del presidente Mahmoud
Ahmadinejad. "Il popolo ha scelto il suo leader, i disordini sono stati
fomentati dai nemici dello Stato e devono cessare", ha affermato la Guida
Suprema durante il suo sermone. In piazza non c'erano i manifestanti
dell'opposizione, che dopo la marcia funebre di ieri, indetta da Mir Hossein
Moussavi per ricordare i morti durante le proteste del dopo-voto, hanno
preferito rimanere nell'ombra. Rimaneva un segno tangibile del loro passaggio:
centinaia di candele nere accese in segno di lutto sotto alle foto di chi è
rimasto ucciso. Il discorso di Khamenei. Con Ahmadinejad in prima fila,
l'ayatollah ha ha detto che una nazione "forte, unita, vittoriosa" è
quella che si deve mostrare all'esterno, ai "nemici della nazione. La
massiccia affluenza alle urne è testimonianza della forza della democrazia".
Poi ha attaccato i media stranieri: "Hanno voluto far credere nella
presenza di differenze incolmabili tra i candidati". Falsità visto che
"sono tutti membri dell'establishment islamico, anche se hanno programmi
differenti". "Le accuse di corruzione vengono dai sionisti", ha
proseguito. Critiche anche all'atteggiamento "ambiguo" di Barack Obama. OAS_RICH('Middle'); "Voto legittimo".
Khamenei ha insistito molto sulla legittimità del voto e della rielezione di
Ahmadinejad: "Il presidente ha vinto con uno scarto di 11 milioni di voti,
se anche ci fossero state delle irregolarità, come si sarebbero potute
falsificare tutte quelle schede?" ha chiesto. Da qui l'avvertimento:
"Solo i nemici del Paese parlano di brogli, bisogna fermare le manifestazioni
fomentate dall'esterno". Annullato il corteo. Preso atto dell'ostilità di
Khamenei che ha detto che "i raduni di piazza devono cessare", gli
oppositori hanno annullato la manifestazione di domani per le strade di
Teheran. Al corteo era prevista la partecipazione di Moussavi e dell'ex
presidente riformista Mohammad Khatami. Intanto, Ebrahim Yazdi, il leader
dissidente del Movimento per la Liberazione dell'Iran posto agli arresti
mercoledì mentre era in ospedale, è stato rimesso in libertà. La condanna di Obama. Il
presidente Usa Barack Obama,
in un'intervista alla Cbs, si è detto molto preoccupato per la situazione
iraniana. "Gli occhi del mondo sono puntati su di loro" - ha detto Obama. Da come si comporteranno con la
gente che con mezzi pacifici sta cercando di farsi ascoltare, invieranno un
segnale piuttosto chiaro alla comunità internazionale su cosa sia e cosa non
sia l'Iran". In precedenza, con una nota della Casa Bianca, il
presidente aveva ribadito la condanna delle violenze perpetrate dalle forze
governative in Iran. "Ma cercheremo di negoziare con Teheran sul
nucleare" ha detto il portavoce Robert Gibbs. "I contestatori
dovrebbero comunque poter continuare a manifestare anche dopo la richiesta
della Guida Suprema Ali Khamenei di porre fine alle proteste di strada. "Obama - ha detto Gibbs -, crede che quanti desiderano far
udire la loro voce dovrebbero essere in grado di farlo senza paura di
violenze". Però il presidente ha voluto definire le manifestazioni
"straordinarie" e gli oppositori "gente coraggiosa". L'Ue:
"seria preoccupazione". Il governo britannico ha convocato
l'ambasciatore iraniano per protestare contro le parole di Khamenei, che ha
definito la Gran Bretagna "il nostro peggior nemico". Il Foreign
Office con una nota ha affermato di trovare "inaccettabili" le
dichiarazioni della Guida Suprema, mentre il premier Gordon Brown ha affermato
che il Regno Unito "continuerà a esprimersi in caso di violazioni ai
diritti dell'uomo". Ma oggi a Bruxelles è stata anche la giornata del summit
dell'Unione Europea. I Ventisette hanno espresso "seria preoccupazione per
violenze di questi giorni e hanno condannato la repressione contro la
stampa". L'Italia: "Invito al G8 rimane". Il governo italiano ha
confermato l'invito all'Iran alla conferenza internazionale che si terrà
nell'ambito della riunione dei ministri degli Esteri del G8 di Trieste dal 25
al 27 giugno. A confermarlo sono stati il ministro degli Esteri, Franco
Frattini, e il premier, Silvio Berlusconi. Il sottosegretario Stefania Craxi ha
invece auspicato un "coinvolgimento dell'Iran sul problema della
ricostruzione e del controllo dell'Afghanistan". (19 giugno 2009
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Obama all'Iran: "Basta repressione" (sezione: Obama)
NEW YORK
Le parole dell'ayatollah Ali Khameneim, che oggi ha invitato l'opposizione a
sospendere le proteste altrimenti «sarà un bagno di sangue», scuotono la
comunità internazionale. Obama cambia registro e dopo liniziale prudenza, criticata anche da alcuni suoi
sostenitori, il presidente americano ha invitato Teheran a allentare la
repressione perchè «gli iraniani hanno diritto di protestare». «È il governo
iraniano che sta usando la violenza» ha aggiunto il portavoce di Obama, Robert Gibbs, esprimendo la condanna degli Stati
Uniti per il modo in cui il regime iraniano sta reprimendo le proteste di
centinaia di migliaia di dimostranti che contestano i risultati delle elezioni
presidenziali. Il presidente Obama è già stato «chiaro
nellevidenziare e condannare le violenze» ha
aggiunto Gibbs, in quella che suona come una replica agli esponenti
repubblicani e commentatori conservatori che hanno accusato la Casa Bianca di
uneccessiva cautela ed un troppo prolungato silenzio sui fatti di Teheran in
nome della realpolitik. Obama è convinto che «chi
desidera che la propria voce sia sentita lo possa fare senza timore di
violenze» ha aggiunto Gibbs sottolineando che le mozioni di sostegno alle
proteste pacifiche del popolo iraniano approvate oggi al Congresso rispecchiano
le posizioni della Casa Bianca. Sulla stessa linea i leader dellUe che hanno lanciato un appello alle autorità di
Teheran perchègarantiscano al popolo iraniano «il diritto a riunirsi ed
esprimersi pacificamente» e «che non si ricorra alluso della forza contro manifestazioni pacifiche». Al
termine del Consiglio Europeo riunito a Bruxelles, è toccato al presidente
francese, Nicolas Sarkozy, pronunciare parole più chiare: Teheran, ha detto ai
cronisti, stia attenta a non andare «oltre un punto di non ritorno».
Ferme, anche le reazioni tedesca e britannica. I proclami di Khamenei, ha
sottolineato il cancelliere Angela Merkel, «non corrispondono alle attese della
comunità internazionale nè a quelle del popolo iraniano». «Il mondo vi
osserva», ha ammonito Gordon Brown, rivolgendosi alla dirigenza iraniana, che
sembra avere individuato in Londra più che in Washington il mandante di un
fantomatico complotto internazionale. «In questi giorni -aveva detto Khamenei nel
suo discorso- gli ambasciatori di alcuni Paesi occidentali che ci hanno parlato
nellambito dei normali rapporti diplomatici hanno
mostrato la loro faccia autentica, e più di tutti, il governo britannico». Il
Foreign Office, per tutta risposta, ha convocato lambasciatore
iraniano, per dirgli che quanto detto da Khamenei è «inaccettabile». Amnesty
International, ha, intanto, fatto sapere che nelle proteste sono morte
complessivamente dieci persone, ma il grande timore è per quanto potrebbe
accadere nei prossimi giorni, a partire da domani. «Siamo profondamente
turbati dalle dichiarazioni rilasciate dallAyatollah
Khamenei che sembrano dare semaforo verde alle forze di sicurezza per trattare
con la violenza coloro che, esercitando il loro diritto di manifestazione ed
espressione, stanno contestando», ha affermato Hassiba Hadj Sahraoui,
vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty
International. «Temiamo che, se un gran numero di persone scenderà in strada
nei prossimi due giorni, andrà incontro ad arresti arbitrari e a un uso
eccessivo della forza».
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Donne di pace israeliane e palestinesi (sezione: Obama)
VENERDI'
19 GIUGNO Donne di pace israeliane e palestinesi MARCO BOBBIO Un incontro per
discutere le prospettive di pace in Medio Oriente. Partendo da un punto di
osservazione specifico: quello delle donne. E' questo il senso dell'iniziativa
organizzata dal Cipmo, il Centro italiano per la pace in Medio Oriente, e
l'Istituto Salvemini di Torino. L'appuntamento è per venerdì 19, a partire
dalle ore 17,30, nella sala rossa del Circolo dei Lettori, in via Bogino 9.
L'idea è di costruire uno spazio di dialogo e confronto lontano daiv contrasti
quotidiani per aiutare la politica nella ricerca di soluzioni al conflitto.
L'incontro, dal titolo «Israeliane e palestinesi. Quando le donne parlano di
pace», sarà introdotto da Antonella Parigi, direttrice del Circolo dei lettori,
e da Claudio Vercelli, del comitato direttivo dell''stituto Salvemini.
Successivamente prenderanno la parola l'israeliano Gadi Baltiansky e il
palestinese Nidal Fuqah, rispettivamente direttore generale e direttore
esecutivo dell'«iniziativa di Ginevra», Janiki Cingoli, direttore del Cipmo.
Gli interventi principali saranno poi quelli di Fadwa Esha'er, direttrice
generale del ministero degli Interni palestinese, e di Orit Zuaretz,
parlamentare israeliana del partito Kadima. Il convegno
prende spunto dal discorso che Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, ha tenuto al Cairo ai primi di
giugno. In quell'occasione, il leader della Casa Bianca ha rimesso all'ordine
del giorno la questione della pace tra Israeliani e Palestinesi, basata sulla
proposta «due Stati per due popoli». Tesi che si fonda anche
sull'«iniziativa di Ginevra», di cui il Cipmo è coordinatore per l'Italia, in
cui è stato presentato un piano di pace non ufficiale negoziato da personalità
israeliane e palestinesi. L'iniziativa pubblica di venerdì 19 fa parte di un
seminario riservato, dal titolo «Leader israeliane e palestinesi. La dignità
della pace», e costituisce lo sviluppo di un precedente incontro, che si è
svolto a Torino nel maggio 2008, a cui aveva partecipato la stessa Orit
Zuaretz. Info 011/835.223, segreteria@istitutosalvemini.it
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khamenei: basta cortei obama: giusto manifestare (sezione: Obama)
Pagina 1 - Prima Pagina ESPINOSA E VANNUCCINI ALLE PAGINE 12
E 13 Iran, il discorso della Guida "Ha vinto Ahmadinejad" Khamenei:
basta cortei Obama: giusto
manifestare SEGUE A PAGINA 12
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l'auto di obama non aiuta il mercato - alessandro
penati (sezione: Obama)
Pagina
26 - Economia IL MERCATO L´auto di obama non aiuta il mercato Sarebbero stato
meglio spendere i 100 miliardi usati per salvare Gm e Chrysler per migliorare i
servizi sociali ALESSANDRO PENATI In Italia, è stata Chrysler a tenere banco.
Ma il fatto epocale è il fallimento di General Motors (GM): la più grande
impresa al mondo fino agli anni 60, l´icona del
capitalismo americano, prototipo del produttore di beni massa, culla di teoria
manageriali e organizzazione del lavoro. Il suo fallimento coincide con quello
dell´intera industria automobilistica: falliti GM, Chrysler e i maggiori
produttori di componenti, rimane Ford, tenuta a galla da finanziamenti e
garanzie statali. Ma soprattutto è la prima volta che il governo americano
(come con Chrysler) interviene direttamente per promuovere e organizzare la
procedura fallimentare, anche violando le priorità dei creditori, si sobbarca
l´onere della ristrutturazione, e guida la riorganizzazione di un´azienda della
quale è diventato il principale azionista. Il fatto in sé non sarebbe
sorprendente, non fosse che il settore automobilistico americano è marginale,
appena lo 0,8% del Pil; che la crisi negli Stati Uniti è prevalentemente nei
settori finanziario e immobiliare; e che l´auto Usa era già da anni in evidente
declino. La caduta della quota di mercato dal 50% al 20% era un chiaro segno
che GM costruiva auto che la gente non voleva. Perché allora il coinvolgimento
diretto dell´amministrazione Obama? Non per salvare
fabbriche, stipendi e posti di lavoro. Il governo ha utilizzato la legge
fallimentare per ristrutturare GM in modo drastico: 20.000 posti eliminati
(oltre ai 90.000 degli ultimi anni); tagli di stipendi e benefici; la rete di
vendita falcidiata; mezza dozzina di stabilimenti chiusi; e massicce cessioni
di attività. Lo stesso copione usato per Chrysler. L´obiettivo non è neppure
quello di indurre gli americani a comperare vetture che consumano poco: per
questo bisognava aumentare le tasse sulla benzina, che costa un terzo della
media europea. E per finanziare lo sviluppo di auto a basse emissioni, il
Dipartimento dell´Energia ha già stanziato appositamente 25 miliardi. Inoltre,
la via scelta di imporre un tetto ai consumi per legge è controproducente -
riducendo il costo di funzionamento delle auto, se ne incoraggia l´utilizzo, e
quindi i chilometri percorsi per auto - e pone il governo nella difficile
condizione di dover regolamentare se stesso, essendo ora il principale
azionista del settore auto. L´intervento statale non serve neanche a facilitare
il raggiungimento di una dimensione ottimale in un´industria ancora troppo
frammentata; che è il problema in Europa. Anzi, nel caso GM, lo Stato smantella
uno dei tre veri produttori globali (con Toyota e Volkswagen), riducendola a
una azienda nazionale, molto più piccola. L´unico risultato concreto ottenuto
dall´intervento pubblico è quindi di attenuare l´impatto sull´occupazione di
una ristrutturazione inevitabile, e di scegliere i manager che la porteranno a
termine. Senza garanzie che questi riescano dove tanti hanno già fallito.
Innescando però una reazione a catena con effetti potenzialmente distorsivi: GM
sta usando i soldi pubblici per finanziare la cessione della società di
componenti (Delphi) a un private equity; il settore dei prestiti auto di GM è stato
trasformato in banca per ottenere le garanzie di Stato e i fondi della Fed, ma
non quello di Caterpillar per i suoi bulldozer o di Harley-Davidson per le sue
moto; senza contare l´effetto domino sugli altri Stati che sta scatenando il
protezionismo finanziario (i casi Opel, Saab, Peugeot, Renault, ma anche gli
aiuti pubblici a Ford da Usa, Brasile, Australia, e dalla Bce). Il costo per i
cittadini americani è strabiliante: 100 miliardi solo per Chrysler e GM. Non
c´è garanzia che siano spesi bene; o che siano gli ultimi. Forse sarebbero
stato meglio usarli per migliorare gli ammortizzatori sociali negli Usa,
lasciando la ristrutturazione al dinamismo dell´economia americana che, finanza
e mattone a parte, da almeno 30 anni ha dato buona prova di sé.
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le cipolle sono meglio degli astri - ettore livini (sezione: Obama)
Pagina
III - Milano Le cipolle sono meglio degli astri ETTORE LIVINI Branko può
appendere i tarocchi al chiodo. Nel mondo che sta virando
verso il verde e dove persino Michelle Obama e la Regina Elisabetta - causa crisi - si coltivano carote e
zucchine nell´orto di casa, anche l´arte della divinazione sta torna ad
affidarsi ai prodotti della terra. Allineamenti degli astri, ascendenti
zodiacali, cuspidi e maghi stile Do Nascimento non servono più a niente.
Il futuro in amore, grazie alle antiche leggi della crommiomanzia, si legge
(risparmiando parecchio) nella cipolla. Il rituale è lo stesso praticato
millenni fa dai druidi: nella notte del solstizio estivo - quella tra oggi e
domani - si incide sull´alliacea il nome dell´amata (o dell´amato). Poi la si
pianta in un terreno umido. Se germoglia, dice la saggezza popolare, il
sentimento è corrisposto. Mentre il vigore della crescita successiva è lo
specchio fedele di robustezza e durata del rapporto. Se l´or (t) oscopo dà
responso negativo, invece, inutile prendersela. Anche per Branko, in fondo, il
futuro non è sempre rosa. E le cipolle, si sa, a volte fanno piangere.
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khamenei minaccia l'opposizione "non accetteremo
altre proteste" - angeles espinosa (sezione: Obama)
Pagina
12 - Esteri Khamenei minaccia l´opposizione "Non accetteremo altre
proteste" La Casa Bianca: è giusto manifestare, niente violenze ANGELES
ESPINOSA ÁNGELES ESPINOSA TEHERAN - La Guida suprema dell´Iran, l´ayatollah Ali
Khamenei, mette una pietra tombale su ogni speranza di una soluzione negoziata
alla crisi innescata dal risultato elettorale. Khamenei ha utilizzato il
sermone della preghiera di mezzogiorno per ratificare la vittoria di
Ahmadinejad alle elezioni presidenziali della settimana scorsa e intimare ai
seguaci di Moussavi di cessare le proteste. «Le elezioni si vincono nelle urne,
non nelle piazze, basta proteste» ha detto sferzante. Le sue parole indicano
che non intende cedere di fronte alle pressioni delle centinaia di migliaia di
iraniani che manifestano nella convinzione che ci siano stati brogli, e che
chiedono che il voto venga ripetuto. «Non si può accettare la sfida della
piazza. Equivale a sfidare la democrazia dopo le elezioni», ha ammonito
Khamenei durante il suo intervento di un´ora e mezza: era la prima volta che si
rivolgeva al Paese da quando, la mattina dello scorso sabato, erano cominciate
le proteste. Khamenei ha insistito sul fatto che Ahmadinejad aveva vinto: «Ma
come si possono manipolare 11 milioni di voti?», ha chiesto alludendo alla
differenza di voti tra Ahmadinejad e Moussavi. Le decine di migliaia di fedeli
accorsi alla preghiera sottolineavano le frasi della Guida suprema intonando
«Morte all´America. Morte a Israele», e proclamando di essere pronti a seguire
gli ordini di Khamenei. Nel frattempo, le telecamere mostravano le principali
cariche del Paese presenti al discorso. Ahmadinejad sedeva a fianco del
presidente del Parlamento, Ali Larjani, e del capo della magistratura, Mahmud
Hashemi Shahrudi. Qualche fila più indietro si poteva vedere il candidato
conservatore sconfitto, Mohsen Rezai. Ma erano soprattutto le assenze che
colpivano. Non c´era Moussavi, non c´era Mehdi Karrubi (l´altro candidato
sconfitto) e non c´erano gli ex presidenti che avevano sostenuto Moussavi,
Mohammed Khatami e Ali Hashemi Rafsanjani. Khamenei si è schierato apertamente
dalla parte di Ahmadinejad. E i suoi attacchi ai «nemici» che mettono in dubbio
la legittimità del processo elettorale chiudono la porta a qualsiasi speranza
di un avvicinamento tra l´Occidente e la Repubblica Islamica, come vorrebbe il presidente statunitense Barack Obama, che ieri, attraverso il portavoce
Robert Gibbs, ha spiegato che «le proteste in Iran sono qualcosa di
straordinario». E che «i coraggiosi manifestanti di Teheran hanno diritto di
esprimere dissenso senza paure di violenze». Nessun esponente dell´opposizione
aveva commentato il messaggio di Khamenei. Ma per la prima volta
dall´inizio delle proteste i seguaci di Moussavi hanno annullato una
manifestazione convocata all´Università di Teheran. Non è chiaro che cosa
succederà oggi. Il candidato sconfitto ha dato appuntamento ai suoi seguaci a
piazza Enghelab (Rivoluzione), nello stesso punto in cui lunedì partì la marcia
oceanica fino a piazza Azadi (Libertà). Ancora una volta, le autorità hanno
negato l´autorizzazione. «Il discorso di Khamenei legittima la brutalità
poliziesca», ha denunciato Amnesty International. (Traduzione di Fabio
Galimberti)
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la vittoria arriverà ma bisognerà saper aspettare -
timothy garton ash (sezione: Obama)
Pagina
13 - Esteri La vittoria arriverà ma bisognerà saper aspettare TIMOTHY GARTON
ASH Qualunque cosa accada l´Iran ha già scritto un nuovo capitolo nella storia
del people power. Ogni iraniana, ogni iraniano che ha superato la sua personale
barriera di paura per andare a protestare pacificamente nelle strade di
Teheran, Isfahan o Shiraz, indossando una fascia verde è artefice della storia.
Da solo qualsiasi individuo non può nulla. Assieme, per la semplice forza dei
numeri, le persone possono - se pur per poche ore - disorientare completamente
il potere violento e repressivo dello stato. Nemmeno i delinquenti brutali
della milizia basij possono pestare così tanta gente. Il che non vuole affatto
dire che i giovani iraniani che su Twitter comunicano per la libertà vinceranno
in tempi brevi. Né che altri di loro non saranno aggrediti e assassinati nei
dormitori dell´università dai picchiatori basij, come è già successo. Ma in
questo caso non ho dubbi che i giovani che alimentano in gran parte le
manifestazioni dell´opposizione alla fine vinceranno. Due iraniani su tre hanno
meno di trent´anni. Molti sono nati in un epoca in cui i mullah esortavano le
famiglie ad avere più figli - piccoli soldati
dell´Imam
nascosto´ li chiamava la propaganda - per rafforzare il nuovo regime islamico e
rimpiazzare i martiri della guerra Iran-Iraq. Grazie alla grande espansione
dell´istruzione superiore sotto la Repubblica Islamica, milioni di giovani sono
andati all´università. Quasi la metà di questi laureati sono donne. E più di
due terzi degli iraniani vivono in città. Così questa rivoluzione islamica ha
creato i figli che infine la divoreranno. Ma sembra improbabile che quel giorno
sia oggi o domani. Per ora faremmo bene a concentrarci sull´elezione rubata. E´
solo per l´entità e la sfacciataggine dei brogli elettorali se un episodio
politico si è trasformato in un momento storico. Se il regime avesse fatto in
modo che Ahmadinejad raggranellasse diciamo il 52 per cento dei voti, dando la
vittoria ai candidati dell´opposizione nelle zone d´origine, le proteste ci
sarebbero state, ma probabilmente non di queste dimensioni. Molti, inclusi i
governi occidentali, avrebbero forse accettato il risultato, riconoscendo ad
Ahmadinejad un livello significativo di reale consenso. Invece la guida
suprema, l´ayatollah Ali Khamenei, ha avvalorato il falso trionfo elettorale
benedicendolo addirittura come giudizio divino´.
In conseguenza del supremo errore di giudizio della guida suprema i protagonisti del
cambiamento oggi hanno due grandi vantaggi. Innanzitutto la chiara, semplice
rivendicazione che attira il sostegno di milioni di iraniani altrimenti forse
non concordi su molti altri punti: Il mio
voto è stato disprezzato. Deve essere rispettato´. In secondo luogo il regime
stesso è profondamente diviso - un elemento che è stato determinante per il
successo di altri movimenti di protesta non violenta. Per gli iraniani che
auspicano un cambiamento importante la sfida ora sta nel tener viva la
pressione popolare pacifica concentrandola strategicamente sulla richiesta di
nuove elezioni avanzata da Moussavi. Esiste tra i giovani protagonisti
dell´automobilitazione in rete, i sostenitori di Moussavi e le componenti
disaffezionate del regime l´energia sufficiente a sostenere l´istanza di nuove
elezioni? Oppure tutto andrà in fumo, sconfitto da un insieme di repressione,
censura, stanchezza e disaccordo? Solo gli iraniani possono dar risposta a
questo interrogativo. Solo loro hanno il diritto di rispondere. Da parte dei
governi occidentali prendere posizione esplicita a favore di Moussavi - come
avrebbe fatto George W Bush e ora esorta a fare John McCain - avrebbe l´unico
effetto di fornire al regime un bastone con cui picchiare i democratici iraniani.
Questo dopo tutto è uno stato che per decenni ha attribuito la colpa di tutti i
mali alle macchinazioni del grande satana (americano) e del piccolo satana
(britannico). Al contrario seguire l´esempio di Cina e Russia e riconoscere la
vittoria fraudolenta di Ahmadinejad - anteponendo erroneamente l´interesse a
breve termine di portare avanti i negoziati nucleari all´interesse a lungo
termine della democratizzazione - sarebbe uno schiaffo in pieno volto agli
iraniani privati del diritto di voto. Ed è così
gratificante che negli ultimi cinque mesi Barack Obama abbia finora trovato il giusto equilibrio. C´è però una cosa che
i governi democratici possono e dovrebbero fare, senza bisogno di dire nulla
che sia in rapporto diretto con le autorità in Iran. Si tratta di mantenere e
rafforzare l´infrastruttura di informazione globale del ventunesimo secolo che
consente agli iraniani, qualunque candidato sostengano, di tenersi in
contatto tra loro e scoprire cosa sta realmente accadendo nel loro paese.
Probabilmente l´unica cosa importante che il dipartimento di stato Usa ha fatto
ultimamente per l´Iran è stata contattare Twitter nel fine settimana invitando
i gestori a posticipare la manutenzione programmata del sito che avrebbe potuto
comportare un fermo di qualche ora, cruciale per le proteste pacifiche in Iran.
Benvenuti nella nuova politica del ventunesimo secolo. Traduzione di Emilia
Benghi
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obama si scusa con sasha e malia "è vero, sono
un papà imperfetto" - arturo zampaglione (sezione: Obama)
Pagina
19 - Esteri Obama si scusa con Sasha e Malia "è vero, sono un papà
imperfetto" ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - Alla vigilia della festa del
papà, che negli Stati Uniti si celebra ora, non il 19 marzo, Barack Obama promuove una serie di iniziative
per ricordare agli americani l´importanza del ruolo paterno e soprattutto si
lascia andare a una insolita confessione. «So di essere stato un padre
imperfetto», scrive il presidente in un articolo per Parade, una rivista
distribuita la domenica assieme a tanti quotidiani. «So anche - aggiunge - di
avere commesso degli errori: quante volte, nel corso degli anni, gli impegni di
lavoro mi hanno distratto dalle responsabilità di genitore? E per molti giorni,
durante la campagna elettorale, la famiglia mi è sembrata a milioni di
chilometri di distanza e mi rendevo conto che non partecipavo ad alcuni momenti
importanti e irripetibili nella vita delle figlie. è una perdita che non
riuscirò mai ad accettare del tutto». Solo pochissimi americani sarebbero
pronti a sottoscrivere il giudizio di Obama come
«padre imperfetto». In realtà una delle ragioni del suo successo politico è di
essere stato capace di proiettare l´immagine di una famiglia felice, serena,
equilibrata: insomma quella che tutti sognano di avere, con mamma Michelle che
alterna lavori di giardinaggio con discorsi ufficiali, le piccole Malia (quasi
11 anni) e Sasha (8) sorridenti e spensierate, e con papà Barack che le
abbraccia prima che vadano a scuola e poi cena con loro quasi ogni sera alla
Casa Bianca. Naturalmente un padre «imperfetto» non significa essere né un
padre «cattivo» né «assente»: Obama lo sa bene,
essendo stato lui stesso vittima di una crisi familiare. Barack senior, il
genitore keniano, si separò dalla mamma quando lui aveva soltanto due anni: il
papà vide il figlio un´altra volta sola prima di morire in un incidente
automobilistico. Un rapporto complesso, dunque, come testimonia il libro
autobiografico del 1995 "I sogni di mio padre", e dal quale Obama ha tratto la convinzione che bisogna fare di più e
meglio per rafforzare i legami familiari e per spingere i genitori a impegnarsi
nella vita dei ragazzi. «E´ per questo - ha spiegato nell´articolo su Parade -
che in occasione della festa del papà rinnovo la mia promessa di rispettare le
responsabilità che accomunano tutti i genitori: costruire una base su cui i
figli possano costruire i loro sogni, dar loro amore e sostegno, e star loro
accanto per tutto il cammino a prescindere dai dubbi o dalle difficoltà». Sono
temi, questi, che Obama ha ripetuto ieri con molta
forza, prima in un messaggio al paese, poi in una serie di cerimonie pubbliche
a Washington: ne ha fatto riferimento la mattina in occasione di una preghiera
assieme alla comunità ispanica, poi in una visita a un centro per giovani e
infine in una manifestazione alla Casa Bianca. Nessun presidente americano si è
mai dimenticato della festa del papà, ma mai come questa volta la ricorrenza è
stata così carica di significati simbolici e di promesse politiche.
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quell'invito del premier a patrizia "vai ad
aspettarmi nel letto grande" - (segue dalla prima pagina) carlo bonini (sezione: Obama)
Pagina 6
- Interni Lavorare da single Quell´invito del premier a Patrizia "Vai ad
aspettarmi nel letto grande" I nastri con le registrazioni delle visite
della D´Addario a Palazzo Grazioli Incontro la notte dell´elezione
di Obama. La telefonata a
Tarantini "Non è facile per una donna single mandare avanti un´agenzia
immobiliare" (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) CARLO BONINI La magistratura,
mercoledì scorso, le ha secretate, apponendo i sigilli agli originali dei
nastri su cui sono incise, e ha disposto che non ne venissero effettuate le
trascrizioni. Negli ultimi otto mesi, quelle registrazioni sono state
libere da vincoli, perché nella piena ed esclusiva disponibilità della donna.
Ora, tre fonti diverse e indipendenti che hanno avuto nel tempo accesso diretto
all´ascolto delle registrazioni, o, quantomeno, ad alcuni dei loro passaggi
salienti, riferiscono a Repubblica parte del contenuto. Con indicazioni
coincidenti. A cominciare dalla cattiva qualità del sonoro, disturbato da
fruscii di fondo. Eccone dunque il dettaglio. Ottobre 2008. Patrizia D´Addario
è per la prima volta a Palazzo Grazioli. La si ascolta mentre si presenta con
un nome di battesimo che non è il suo («Alessia», come racconterà al Corriere
della Sera il 17 giugno scorso) al presidente del Consiglio, la cui voce, a sua
volta, si riconosce benché sovrapposta ad una musica di fondo che accompagna la
conversazione. La D´Addario dice di essere la titolare di un´agenzia
immobiliare. Aggiunge che non è facile per una donna single mandare avanti
un´attività di quel genere. Si sente quindi ancora la voce del presidente del
Consiglio impegnato a mostrare quelli che si intuisce siano dei quadri. 4
Novembre 2008. Patrizia D´Addario è per la seconda volta a Palazzo Grazioli.
Non è un giorno qualunque. Mentre in Italia si fa notte, negli Stati Uniti
mancano poche ore allo spoglio che dichiarerà presidente eletto Barack Obama. Si distingue la voce del presidente del Consiglio che
si rivolge a Patrizia spiegandole che si assenterà per fare una doccia e
mettere un accappatoio. Il presidente invita la donna ad aspettarlo nel «letto
grande». Patrizia risponde affermativamente - «Sì nel letto grande» -
aggiungendo un dettaglio che si riferisce al letto e non risulta comprensibile
all´ascolto. Una successiva sequenza registra un qualche trambusto con voci di
estranei che avvertono il presidente dell´elezione di Obama
e lo sollecitano ai suoi impegni istituzionali. Patrizia - riferiscono due
fonti diverse - spiegherà che il personale di Palazzo Grazioli ha urgenza di
ricordare al presidente che è atteso da un appuntamento esterno. Una
circostanza, questa, che per altro trova conferma in un dato obiettivo. In
quelle ore, Silvio Berlusconi è atteso allo spazio Etoile a Roma dove la
Fondazione Italia-Usa ha organizzato una serata ufficiale (ripresa in diretta
da Skytg24) per la notte elettorale americana. Un evento cui partecipano almeno
500 ospiti, tra cui un centinaio di parlamentari, e onorata da un messaggio
video dell´allora ambasciatore americano in Italia Ronald Spogli e a cui il
Presidente del Consiglio (la cui presenza era stata annunciata da almeno due
settimane) non arriverà mai. 5 novembre 2008. Patrizia D´Addario registra una
chiamata telefonica in entrata. Si riconosce la voce del presidente del
Consiglio che le chiede «come va». La donna risponde di essere «un po´ rauca».
Il presidente, di rimando, si dice ironicamente sorpreso perché la notte
precedente non ha sentito «strilli». Quello stesso giorno, c´è una seconda
telefonata registrata. L´interlocutore di Patrizia è Gianpaolo Tarantini,
l´imprenditore che le ha negato il compenso pieno (2000 euro) pattuito per la
prima volta a Palazzo Grazioli («Perché non ero rimasta», spiega lei nella sua
intervista al "Corriere della Sera"). La D´Addario è arrabbiata. Dice
di aver ricevuto soltanto «una tartarughina» per la notte e chiede conto dei
2000 euro. Alle registrazioni si accompagnano, come detto, anche delle
fotografie, scattate dalla D´Addario con il suo telefonino all´interno di
Palazzo Grazioli. Di queste, "Repubblica" ha avuto conferma solo di
un dettaglio, per altro anticipato dal Corriere della Sera, due giorni fa. Vale
a dire, un´immagine che ritrae la foto incorniciata di Veronica Lario. Le altre
istantanee - per quanto è dato sapere al momento - ritraggono altrettanti
dettagli delle stanze della residenza privata del presidente del Consiglio.
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Khamenei: ora basta proteste Obama: dimostranti
coraggiosi (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Prima Pagina data: 20/06/2009 - pag: 1 Iran L'ayatollah
benedice l'elezione di Ahmadinejad Khamenei: ora basta
proteste Obama: dimostranti
coraggiosi «L'Iran ha bisogno di calma». L'ayatollah Khamenei interviene,
durante la preghiera del venerdì, a favore del presidente eletto Ahmadinejad.
La Guida Suprema sostiene che «il popolo con il voto ha fatto una scelta
legittima, escludo che ci siano stati brogli». E vieta le proteste: «Sì
al dibattito, no al caos. Basta manifestazioni nelle strade. Chi trasgredisce
sarà punito». Dalla Casa Bianca arriva un messaggio: «Chi manifesta ha
coraggio». Ma l'ayatollah non si ferma e attacca la Gran Bretagna, definendola
«il peggior nemico della rivoluzione islamica» e accusandola di «odio e rancore
nei confronti dell'Iran». Revocato il corteo indetto per oggi. ALLE PAGINE
12E13 Frattini, Muglia, Valentino
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"Sì, a quelle feste c'ero anche io: l'ho fatto
per soldi" (sezione: Obama)
BARI
«Sì, è vero, quella mattina quando Patrizia tornò in albergo le chiesi della
busta. Io lavevo presa...». Barbara, 23 anni, otto di
mattina, caserma della Guardia di finanza. Sentita come persona informata sui
fatti. Il suo verbale è stato secretato. Barbara è lamica di Patrizia
DAddario, la candidata alle elezioni comunali di Bari che ha raccontato degli
incontri con Silvio Berlusconi, a Palazzo Grazioli, Roma. E dopo linterrogatorio si lascia andare: «Sì, è vero. Ho
confermato tutto». Il racconto di Barbara è unulteriore conferma di tutti
gli elementi raccolti in questi giorni dalla Procura di Bari che indaga sullipotesi di reato di induzione alla prostituzione. E
sotto inchiesta è finito limprenditore Giampaolo Tarantini. La procura di
Bari arriva a scoprire i festini romani mentre ascolta le intercettazioni
telefoniche di Tarantini, indagato per malasanità. Sembra che vi siano anche
conversazioni tra limprenditore e lo stesso
Silvio Berlusconi. E che loggetto interessante dei colloqui fosse proprio
quello delle ragazze da invitare a Palazzo Grazioli. E proprio sviluppando
questattività dascolto era emerso anche
il ruolo di Patrizia DAddario, convocata dal pm Pino Scelsi una decina di
giorni fa. La procura nei giorni scorsi aveva sentito altre tre donne. Poi,
ieri, la convocazione alla caserma della Finanza di Barbara e di altre due ragazze, Maria
Teresa e Lucia. Da quel che trapela Patrizia aveva dato alcune indicazioni di
donne da sentire. Tra queste, sicuramente la sua amica. Barbara si sfoga, si
difende per essere finita in una storia di prostituzione e di festini: «Sono
una ragazza immagine, ho partecipato a Miss Italia, Miss Mondo, Uomini e
Donne». E tesa la ragazza: «Il mio ex ieri mi ha
aspettato sotto casa... Questa storia mi sta rovinando la vita... Adesso prendo
botte, lui mi ha quasi rotto la mandibola. Per gelosia. Vaglielo a spiegare che
io sono soltanto una ragazza immagine...». Dunque, i due festini romani di
Patrizia. Lamica del cuore ha confermato in sostanza la
ricostruzione fornita da Patrizia ai magistrati. Agli investigatori e
inquirenti che le hanno chiesto conferme sul viaggio aereo, lalbergo di lusso, lautista che le ha portate a
Palazzo Grazioli, le «buste», «Sono stata tutte e due le volte a Roma con
Patrizia. E vero, ospitate in alberghi di lusso, il volo aereo pagato,
lautista, le feste...». Reticente, la ragazza, sulla somma ricevuta, sulla
sua «busta»: «Certo che mi faccio pagare per partecipare alle feste. Mica ci
vado per piacere, visto che non conosco gli altri partecipanti. Quelle in cui
mi diverto sono le feste di amici, cugini, parenti insomma». Barbara conferma
il suo rapporto di amicizia con Patrizia DAddario:
«Ero molto amica di Patrizia, lei mi confidava la sua vita, io le raccontavo la
mia». Anche lei «ingaggiata» da Giampaolo Tarantini per andare a Roma, ai
festini organizzati per Silvio Berlusconi. Patrizia, la prima volta, a metà ottobre
dellanno scorso, non rimase la notte a Palazzo
Grazioli. «La cifra pattuita era quella di duemila euro, ma poi Giampaolo me ne
diede soltanto mille, perché non rimasi...». Di quella prima serata, Patrizia ha raccontato
che il presidente del Consiglio intrattenne una ventina di ragazze facendole
vedere il video del suo incontro con George Bush, spezzoni di «Per fortuna che
Silvio cè...». E poi le barzellette e le canzoni.
Ragazze «immagine»? La seconda volta, la notte della
elezione di Barack Obama,
le cose andarono diversamente. Barbara, a un certo punto tornò in albergo
(«Valadier»), Patrizia rimase tutte la notte. Al pm Pino Scelsi ha consegnato
la registrazione di quella nottata e alcuni fermi-immagine (il letto, lo
specchio, la cornice con la foto di Veronica Lario). Materiale tutto
sigillato dagli inquirenti. Ieri, Giampaolo Tarantini ha rotto il silenzio
stampa soltanto per negare «di aver mai avuto il tenore di vita che mi si
attribuisce, definito elevatissimo». Sul resto, tace. Nessuna autodifesa per le
inchieste sulla malasanità e sullinduzione
alla prostituzione, che lo vedono protagonista.
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Il Cavaliere
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 20/06/2009 - pag: 3 Palazzo Chigi
L'attesa di un gesto per uscire dalla «condizione di minorità» Il Cavaliere
«vittima della generosità» e la svolta invocata dagli amici Settegiorni SEGUE
DALLA PRIMA Serve una «palingenesi», questo è l'auspicio di chi tiene
disinteressatamente alle sorti di Silvio Berlusconi. Perché senza uno scatto
del premier come scriveva l'Elefantino sul Foglio l'altro ieri si protrarrebbe
un «clima da 24 luglio permanente». Ed è impensabile che la politica viva
l'eterna vigilia di un crollo, la fine di un'era, quella berlusconiana, che il
presidente della Camera nemmeno prevede. Ma non c'è dubbio che a lungo andare
il clima che si respira nel Palazzo e nel Paese avrebbe un costo per la democrazia,
potrebbe portare come dice Gianfranco Fini alla «sfiducia dei cittadini verso
le istituzioni». È come se la nemesi si fosse abbattuta sul Cavaliere: per
quindici anni il suo privato ha contribuito alle sue vittorie pubbliche, e
adesso lo costringe sulla difensiva. E mentre in passato a Berlusconi veniva
contestato il modo in cui si proponeva agli elettori e li conquistava, ora gli
viene chiesto gliel'ha chiesto ieri il quotidiano dei vescovi, Avvenire «un
chiarimento con l'opinione pubblica » sui suoi fatti personali. Tutti attendono
un gesto da Silvio Berlusconi, coinvolto in una storia di feste e di donnine
che al momento ha minato la sua immagine, non i suoi consensi. Al di là dei
giochi di potere e di macchinazioni giudiziarie, il premier dice di sentirsi
vittima anche di se stesso, «vittima cioè della mia generosità». È una
valutazione complessiva, non per questo legata alle ultime vicende, che però
riflette lo stato d'animo del Cavaliere e anche il suo atteggiamento, le sue
scelte che stupiscono, ma fino a un certo punto, chi lo conosce bene. Malgrado
gli ultimi due mesi siano stati costellati da errori mediatici e di tattica
politica, malgrado la sua macchina di voti si sia inceppata, difende i
collaboratori più stretti e le loro mosse, con la stessa foga con cui difende
se stesso. Perché non è stato solo Ferrara a criticare Nicolò Ghedini per quel
concetto, «utilizzatore finale», di cui pure l'avvocato si è scusato. Eppure
Berlusconi a quanti gli facevano notare l'errore e i rischi che determinava ha
chiesto comprensione per il pena-- lista: «Poveretto, deve fare tante cose ogni
giorno». All'indomani delle elezioni europee, aveva sottratto Adriano Galliani
alle accuse di numerosi dirigenti del Pdl che gli addebitavano una percentuale
nella perdita di consensi, dato che a due giorni dalle elezioni
l'amministratore del Milan aveva rilasciato un'intervista alla Gazzetta dello
Sport con la quale aveva di fatto annunciato la cessione di Kaká al Real
Madrid. «È un amico di vecchia data. Non vi mettete pure voi, che già in
famiglia...», era stata la risposta del premier: «Il fatto è che c'era una
perdita nel bilancio societario e non potevo ripianarla io, in un momento di
crisi economica come questo». Eppure Berlusconi sapeva quanto avesse pesato
l'addio del calciatore brasiliano. Alle sole Provinciali di Milano, infatti,
tremila schede erano state annullate dagli elettori, che dopo aver barrato il
simbolo del Pdl avevano aggiunto: «Questo è per Kaká». Tutti aspettano dal
premier ciò che il premier però almeno per il momento non intende dare, perché
si sentirà pur vittima della sua generosità, «è così che mi fregano», ma si
sente soprattutto al centro di oscure «trame», e se ora il fronte giudiziario è
Bari, immagina se ne aprano altri a Palermo, a Milano, pare anche a Firenze.
Non crede, almeno così dà conto, a chi lo invita a guardare verso gli Stati
Uniti, perché «con Obama abbiamo chiarito tutto, con la signora Clinton le relazioni sono
eccellenti, e ho uno splendido rapporto con la presidente Pelosi». No, è in
Italia a suo modo di vedere l'epicentro del terremoto, è verso i palazzi della
politica nazionale che tende lo sguardo, e di Massimo D'Alema dice oggi che
«usa mezzucci». Avrà anche ragione il premier quando rigetta certe
accuse dell'opposizione, perché è difficile immaginarlo a capo di un regime se
poi non ne controlla i gangli più importanti, ed è esposto in questo modo.
Emblematica è l'immagine di ieri, con Berlusconi che confida al telefono di non
sentirsi spiato, proprio mentre è sotto l'occhio furtivo di una telecamera.
Tuttavia per il premier resta il problema di uscire da quella che Ferrara ha
definito «l'incredibile condizione di minorità in cui si è ficcato». E resta il
nodo di governare il Paese, di dare risposte agli interrogativi che il presidente
della Camera pone ormai da mesi, a partire dalla necessità di varare una
riforma dello Stato che sia condivisa dall'opposizione, per passare alla
costruzione di una forza, il Pdl, che secondo Fini «di fatto non è ancora
nata»: «La Lega è l'unico partito vero in Italia». Chissà se pensa anche a
«Gianfranco » quando dice di sentirsi vittima della sua stessa generosità, è
certo che per misurare la distanza dal «cofondatore», il Cavaliere usa
l'ironia: «Gianfranco alla Camera ha otto commessi che lo seguono ovunque. Io a
palazzo Chigi ne ho uno solo». Ma non c'è sorriso sul volto di Berlusconi. Non
era così che immaginava la vigilia di un G8 molto delicato. Dovesse superarlo
senza intoppi forse inizierebbe per lui il 26 luglio. Francesco Verderami L'effetto
Kaká Alle Provinciali di Milano tremila schede annullate perché gli elettori
hanno scritto: «Questo è per Kaká»
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Bari, interrogata la seconda ragazza
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 20/06/2009 - pag: 5 Bari, interrogata la
seconda ragazza «Anch'io pagata per andare alle feste» L'amica di Patrizia: non
mi sono fermata a Palazzo Grazioli, lei sì DA UNO DEI NOSTRI INVIATI BARI Il
racconto di Patrizia D'Addario trova una nuova conferma. Arriva dall'altra
ragazza che Gianpaolo Tarantini avrebbe ingaggiato per trascorrere le due
serate nella residenza romana di Silvio Berlusconi. La prima si sarebbe svolta
a metà ottobre. La seconda il 4 novembre, giorno
dell'elezione di Barack Obama. Durante l'interrogatorio che si è svolto in una caserma della
Guardia di Finanza, la giovane ha ammesso i viaggi a Roma, i trasferimenti, le
soste negli alberghi. E pure lei ha detto di essere stata pagata. Il racconto
di Barbara M. Barbara M. (omettiamo il cognome perché si tratta di una
testimone e il suo verbale è stato segretato per ordine del pubblico
ministero), ha 23 anni. Gli investigatori l'hanno prelevata ieri mattina alle 8
nella sua abitazione. Tre ore di domande per ricostruire i dettagli dei due
incontri avuti con il premier. Le sue dichiarazioni coincidono con quelle della
donna che era stata candidata alle elezioni comunali con la lista «La Puglia
prima di tutto» schierata con il Pdl, e invece ha deciso di rivelare i suoi
incontri con il presidente del Consiglio. Nuova verifiche dovranno adesso
essere compiute per ottenere i riscontri. I primi accertamenti avrebbero
consentito di verificare che Patrizia D'Addario è effettivamente salita sui
voli che aveva indicato ed ha alloggiato insieme all'amica negli alberghi di
Roma che erano stati indicati loro proprio da Tarantini. La stanza non sarebbe
stata registrata a loro nome, ma entrambe hanno consegnato i documenti alla
reception. In particolare, il 4 novembre, furono accolte all'hotel Valadier e
da lì sarebbero state poi portate a Palazzo Grazioli. È questa la circostanza
più difficile da ricostruire perché riguarda la dimora privata del presidente
del Consiglio. Durante l'interrogatorio Barbara ha chiarito di essere andata
via al termine della serata e di aver lasciato Patrizia nella residenza del
premier. Ha indicato le modalità, ha ricordato i particolari dei due eventi,
anche il nome dell'autista e il tipo di automobile utilizzata. Su questi
particolari si stanno concentrando adesso gli accertamenti dei finanzieri, per
escludere che le due possano essersi messe d'accordo. Barbara dice di essere
spaventata, quasi grida quando afferma che «questa storia mi demolisce perché
ho solo 23 anni, non posso permettermi di portare addosso un'etichetta così».
Non vuole rilevare l'entità del compenso, però afferma: «Certo che ho preso
soldi. Io non faccio per piacere di andare alle feste di non so chi. Io per
piacere vado alle feste dei miei amici, di mia cugina, di mio fratello. Da una
vita faccio questo lavoro di ragazza-immagine. Ho fatto Miss Italia, Miss
Mondo, Uomini e Donne, faccio immagine e animazione per lavoro. Se tu mi chiami
sapendo chi sono, se mi inviti ovvio che mi paghi, perché io sto prestando un
lavoro di immagine». «Botte dal mio ex» Subito dopo si scaglia contro Patrizia:
«L'altra sera sono tornata a casa e ho preso botte dal mio ex fidanzato. L'ho
trovato sotto casa con un giornale che parlava di Patrizia e lui sa che lei è
una mia amica. A me infatti non mi interessa quello che tu fai per vivere, puoi
essere professore o escort, per me è uguale. Io guardo la parte umana. Noi
eravamo proprio amiche, lei mi raccontava della sua vita, io della mia. E
invece adesso torno a casa e prendo botte, mi ha quasi rotto la mandibola. Lui
lo fa per gelosia, non è un estraneo. Mi ha detto: 'Allora quando sei andata a
Roma hai fatto le stesse cose pure tu'. E invece no. Però vaglielo a spiegare
che io non sono Patrizia ma Barbara e lavoro come ragazza immagine. Lui ha dato
tutto per scontato. Ormai lui non ci crede che io non sono rimasta a dormire. E
invece è proprio così, io sono andata via e lei è rimasta. Però noi siamo
diverse. Lei ha 42 anni ed era all'ultima spiaggia, per me la storia è
diversa». Nega di aver nominato un legale: «Non ne ho bisogno. Quando è
arrivata la Finanza ho chiamato l'avvocato, ma ora non mi serve». I rapporti
con Tarantini Durante l'interrogatorio Barbara ha parlato anche dei suoi
rapporti con Tarantini. Alle ragazze gli inquirenti sono infatti arrivati
indagando sulla sua attività imprenditoriale. Fino al 2008 l'uomo ha gestito
con il fratello Claudio una società barese la Tecno Hospital specializzata
nelle tecnologie ospedaliere. L'ipotesi dell'accusa è che abbia versato
tangenti per ottenere gli appalti. In cambio delle commesse avrebbe dato soldi,
ma ed è questa la circostanza emersa dall'ascolto delle sue conversazioni
telefoniche avrebbe offerto anche le prestazioni di squillo di lusso. Ragazze
giovani e belle che si sarebbero vendute per 500 euro a notte. Patrizia ha detto
che la prima proposta per andare a Palazzo Grazioli prevedeva «un compenso di
2.000 euro, ma Gianpaolo me ne diede soltanto 1.000 perché non avevo accettato
di rimanere». La seconda volta «non presi soldi perché Berlusconi mi aveva
promesso che mi avrebbe aiutato a sbloccare la mia pratica edilizia ». Al
magistrato la donna ha consegnato anche alcune registrazioni degli incontri e
un video che sostiene di aver girato all'interno del palazzo. Fiorenza
Sarzanini Bari, 31 maggio 2009 Il premier Silvio Berlusconi davanti
all'ingresso dell'Hotel Palace. Al centro, Patrizia D'Addario (Ansa/Turi) La
corsa Il volantino elettorale di Patrizia D'Addario, candidata alle
amministrative di Bari con la lista «La Puglia prima di tutto». Scarso,
tuttavia, il risultato: solo 7 voti (foto Arcieri) Timori «Questa storia mi
demolisce perché ho solo 23 anni e non posso portare un'etichetta così» L'ex
fidanzato «Il mio ex mi ha picchiata perché sa che Patrizia è mia amica e
pensava avessi fatto le stesse cose»
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e critiche (sezione: Obama)
Corriere della Sera sezione: Esteri data: 20/06/2009 - pag:
13 Prudenza e critiche Obama
ha mostrato finora molta prudenza nel commentare i fatti iraniani, suscitando
critiche di «comportamento ambiguo» da parte di vari repubblicani Usa. Altri
però hanno approvato tale strategia
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Obama rompe gli indugi:
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 20/06/2009 - pag: 13 Le
reazioni Resta la necessità di evitare le accuse di interferenza Obama rompe gli indugi: «Manifestazioni
coraggiose» Mozione del Congresso dà la scossa alla Casa Bianca DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE WASHINGTON Il Congresso degli Stati Uniti condanna quasi unanime
la repressione violenta, messa in atto dal governo di Teheran nei confronti
della protesta popolare. Approvata con 405 voti favorevoli e 1 solo
contrario, quello del libertario repubblicano Ron Paul, la risoluzione della
Camera dei Rappresentanti esprime appoggio per tutti «gli iraniani che
abbracciano i valori della libertà, dei diritti umani e civili, dello Stato di
diritto » e riafferma l'importanza di elezioni democratiche e corrette.
Combinato con le bellicose dichiarazioni dell'Ayatollah Khamenei, la Guida
suprema della Repubblica Islamica che ha chiuso ogni spiraglio ai dimostranti,
il colpo di frusta dei deputati repubblicani, promotori dell'iniziativa poi
diventata bipartisan, scuote la Casa Bianca, fin qui cauta nel criticare il
regime degli ayatollah e la sua gestione della crisi, innescata
dall'improbabile rielezione di Mahmoud Ahmadinejad. L'approccio moderato non
cambia, ma questa volta Barack Obama si spinge molto
più in là, dicendosi preoccupato dal «tono e dal contenuto» dei commenti di
Khamenei: «Il governo di Teheran dichiara il presidente in un'intervista alla
Cbs deve rendersi conto che il mondo osserva. Il modo in cui risponderà al
popolo che vuole pacificamente essere ascoltato, ci dirà cos'è e cosa non è
l'Iran». E a conferma del diverso accento, il portavoce della Casa Bianca,
Robert Gibbs, definisce «coraggiose e straordinarie » le dimostrazioni di
Teheran. Loda la risoluzione del Congresso. Ma gioca ancora in difesa, negando
che l'Amministrazione abbia fin qui mostrato troppa cautela: «Il presidente è
convinto che chiunque voglia far sentire la propria voce, debba poterlo fare
senza timore di subire violenze. Ma noi non ci faremo usare come alibi o foglia
di fico politica in un dibattito in corso in Iran. Molti nella leadership
iraniana vorrebbero che fossimo coinvolti, per poter dire le cose che ripetono
da anni». Il rompicapo per Obama rimane, contorto
com'è tra l'imperativo morale di tendere la mano a chi chiede più democrazia,
la necessità di evitare un'accusa d'interferenza che potrebbe danneggiare la
stessa protesta e la preoccupazione di non chiudere ogni varco alla nuova linea
di «dialogo duro e senza illusioni» con l'Iran. Complesso già di suo, a mettere
ancora di più in risalto la difficoltà del puzzle è stata ieri la dichiarazione
congiunta dei leader dell'Unione europea, che hanno condannato duramente l'uso
della violenza, chiedendo a Teheran di fermarsi e aprire un'inchiesta vera sul
voto presidenziale. Sia il presidente francese Sarkozy, la cancelliera tedesca
Merkel, che il premier britannico Brown hanno preso decisamente le parti della rivolta.
A Londra, il Foreign Office ha anche convocato l'ambasciatore iraniano, gesto
considerato durissimo nel rituale diplomatico, per protestare contro
l'intervento di Khamenei, che ha definito il governo di Sua Maestà il più
«maligno» dei nemici dell'Iran. All'interno, nonostante il voto comune di ieri
a Capitol Hill, il fuoco repubblicano sulla Casa Bianca rimane nutrito.
«L'atteggiamento di Obama è equivoco, senza messaggio
chiaro, da lui mi aspettavo una dichiarazione forte, moralmente chiara, in appoggio
del popolo», dice il numero due della minoranza alla Camera, Mike Cantor.
«Quando Reagan andò alla Porta di Brandeburgo, non disse a Gorbaciov che quello
non fosse affar nostro. Disse butti giù quel Muro », ricorda Mike Pence, il
deputato co-autore della risoluzione congressuale. Ma proprio il paragone con
Reagan viene evocato per sostenere la tesi opposta da David Brooks,
editorialista conservatore del New York Times, che a sorpresa invece dà
pienamente ragione alla Casa Bianca. Di fronte a un regime che si è dimostrato
strutturalmente «fragile, rigido, paranoico e insicuro », così Brooks, «la
strategia dovrà essere a molti binari, proprio come fece Reagan con l'Urss:
parlava con i sovietici, ma perseguiva contemporaneamente altre strade per
indebolire il regime». Severamente criticata da editorialisti conservatori come
Robert Kagan e Charles Krauthammer, la prudenza di Obama
incontra in realtà l'apprezzamento di celebri firme della destra moderata come
Peggy Noonan e perfino di dissidenti iraniani, come il Nobel Shirin Ebadi.
Paolo Valentino Sotto osservazione In un'intervista alla Cbs il presidente
americano ha ammonito la leadership iraniana: «Tutto il mondo vi guarda»
«Equivoco» Il fuoco repubblicano sulla Casa Bianca rimane nutrito:
«L'atteggiamento di Obama è equivoco»
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Francia, il governo considera il bando al burqa (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 20/06/2009 - pag: 13 Francia Proposta di un
sindaco comunista di periferia. Deputati di destra: «Passo indietro nella
parità uomo-donna» Francia, il governo considera il bando al burqa Dalla
banlieue di Lione al Parlamento: firme bipartisan per una commissione
d'inchiesta DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI Quante donne immigrate o francesi
convertite portano il burqa? Più delle cifre, risponde alla domanda un fenomeno
visibile nelle periferie, dove l'islam radicale fa proseliti. Se ne accorto
André Gerin, sindaco e deputato comunista di Venissieux, cintura operaia di
Lione, che ha lanciato la proposta di una commissione parlamentare sul problema
per arrivare a una legge che proibisca l'indumento. La Francia repubblicana e
laica si è unita alla proposta, con spirito bipartisan. Una sessantina di
deputati (fra cui 40 della maggioranza Ump, 7 socialisti, 3 comunisti, 2 del
nuovo centro) hanno messo la firma e trovato sostegno di esponenti del governo.
Fadela Amara, origini maghrebine, ex leader del movimento «Ni putes ni soumises
», nato per denunciare la sottomissione delle donne nelle banlieues, oggi
ministro delle Aree urbane, ha detto: «Dobbiamo mettere fine a questa pratica.
Non è questione di libertà. Io sono per proibire il velo integrale ». Luc
Chatel, portavoce del governo, ha detto che «l'inchiesta serve a valutare
l'ampiezza del fenomeno e quanto sia subìto dalle donne ». Non ha escluso che
«si arrivi a una legge». Thierry Mariani e Patrick Beaudoin, esponenti dell'Ump,
spiegano: «È compito dei deputati porre la questione di una pratica
inammissibile. Il burqa non è un simbolo religioso, ma un'espressione di
estremismo». «Non faremo un tribunale, ma cercheremo di far capire che si
tratta di una regressione nel rapporto di parità uomo -donna». Il sindaco di
Venissieux denuncia una pratica che crea problemi in luoghi pubblici
(cerimonie, certificati, visite ospedaliere) per il rifiuto delle donne di
mostrare il proprio volto, «talvolta su pressione dei rispettivi mariti e
parenti maschi». Il fenomeno non è nuovo ed è già arrivato alle aule dei
tribunali. All'Assemblea c'è da tempo una proposta di legge contro il burqa a
firma di Jacques Myard (Ump). Secondo i firmatari, il problema supera la legge
sulla laicità, in vigore dal 2004, che proibisce l'ostentazione di simboli
religiosi in luoghi pubblici per garantire la neutralità dello Stato e
l'eguaglianza di tutti i cittadini. Ma il dubbio che nemmeno questa legge sia
sufficiente apre perplessità sull'effettiva possibilità di regolare il
problema. E dopo l'intervento del presidente Obama sulla libertà di portare il velo,
qualcuno comincia a interrogarsi sull'efficacia del modello repubblicano
francese. Lo stesso presidente Sarkozy si è mostrato prudente: si esprimerà in
occasione del discorso alla nazione, per la prima volta a Camere riunite.
«Se Obama vuol rifarsi un'immagine presso i musulmani
faccia pure, ma non sulle spalle della Francia. Noi arriveremo alla proibizione
del burqa», insiste il deputato Myard. Il ministero dell'Interno, competente in
materia di culto, condivide le perplessità. «La legge sulla laicità era
legittima e giustificata. In questo caso si tratta invece di regolare
comportamenti in pubblico. Se si dovesse impedire tutto ciò che disturba si
metterebbero in discussione le libertà personali». «Toccare questo equilibrio è
un rischio », dice il ministro dell'Immigrazione, Eric Besson. Perplessità
anche negli ambienti religiosi. Mohammed Moussaoui, presidente del del culto
musulmano, dice che si tratta di un fenomeno marginale, strumentalizzato per
stigmatizzare in generale l'islam. Il rettore della grande moschea di Parigi,
Dalil Boubakeur, ricorda che il burqa non è prescritta dal Corano. Massimo Nava
mnava@corriere.it Paesi Baschi L'Eta uccide un ispettore di polizia
L'automobile dell'ispettore dell'antiterrorismo Eduardo Antonio Puelles, 49
anni e due figli, fatta saltare in aria ieri dagli estremisti dell'Eta. È il
primo attentato dall'insediamento alla guida dei Paesi Baschi del socialista
Patxi Lopez, dopo trent'anni di governo nazionalista (Epa/Aldai)
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Per i manager Chrysler parte la cura Marchionne (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Economia data: 20/06/2009 - pag: 39 La strategia Martedì la
trattativa sugli esuberi Cnh. Fim e Fiom, lite sulla Rsu Per i manager Chrysler
parte la cura Marchionne Termini Imerese, i sindacati chiamano la Regione
MILANO Saranno pure fuori discussione le «radici italiane » della Fiat, come ha
chiarito Sergio Marchionne giovedì nel corso dell'incontro con Governo,
sindacati e Regioni. Ma intanto l'amministratore delegato del Lingotto deve
pensare ai problemi del gruppo ormai diventato globale. In particolare a quelli
della Chrysler, entrata da poco nell'orbita Fiat, dopo l'accordo
che il presidente Usa Barack Obama ha fortemente voluto. «Marchionne scrive il Wall Street Journal
sta dando un ritmo diverso» alla casa di Detroit. Per esempio, una delle prime
decisioni è stata quella di semplificare la catena decisionale, creando un
gruppo di 23 top manager che dovranno riportare direttamente a lui. Uno
schema organizzativo che ricorda molto da vicino quello del Lingotto. Anche le
altre decisioni, apparentemente meno importanti, testimoniano la volontà
dell'amministratore delegato di bruciare i tempi del risanamento. Il nuovo
ufficio di Marchionne non sarà la suite all'ultimo piano del grattacielo di
Auburn Hills, nel Michigan, utilizzato storicamente dai suoi predecessori,
bensì un locale al quarto piano, a contatto diretto con gli ingegneri e i
tecnici della progettazione. Un taglio con il passato, anche simbolico, ma
soprattutto operativo. Come la nuova sala per le videoconferenze, in
collegamento con Torino, destinata a ospitare le riunioni che, come avviene a
Mirafiori (lo ricorda anche il libro «L'uomo dal maglione nero» di Marco
Gregoretti, in edicola oggi con Milano Finanza), spesso sono convocate
improvvisamente anche durante i fine settimana. Il nuovo corso, insomma, negli
Usa è già avviato. In Italia, invece, all'indomani del summit di Palazzo Chigi
parte il confronto con i sindacati. Il primo appuntamento è fissato per martedì
prossimo e riguarderà gli esuberi alla Cnh, la società che produce le macchine
agricole e movimento terra. Intanto scoppia il caso Termini Imerese. Lo
stabilimento siciliano, dal quale oggi esce la Lancia Ypsilon, dovrebbe
cambiare produzione (si parla di componentistica) a partire dal 2012, come ha
annunciato giovedì Marchionne. Ma i sindacati non ci stanno. Le segreterie
provinciali di Cgil, Cisl e Uil chiamano in causa la Regione e la invitano a
riaffermare la «non disponibilità della Sicilia a fare a meno di un sito
industriale così importante». Il giudizio negativo del sindacato coinvolge
tuttavia anche il resto del piano presentato dalla Fiat, dalla cassa
integrazione a Pomigliano d'Arco ai ridimensionamenti degli impianti Cnh di
Imola, Lecce e San Mauro Torinese. Dove, invece, i sindacati non sono d'accordo
tra loro è sull'esito della votazione per i delegati a Mirafiori. «Siamo i
primi», ha annunciato la Fim-Cisl. «Non è vero, i numeri lo dimostrano»,
replica la Fiom-Cgil. Giacomo Ferrari
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Sì alla vigilanza Ue, ma leggera (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Economia data: 20/06/2009 - pag: 35 L'intesa di Bruxelles
Primo accordo su un'Authority di controllo per mediare fra Paesi Sì alla
vigilanza Ue, ma leggera Veto di Londra ai nuovi poteri della Bce, riforma
limitata DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES L'altro ieri
Barack Obama ha chiamato, e
ora l'Europa risponde. O viceversa, a seconda dei punti di vista. Ma comunque
la si veda, negli ultimi 3 giorni gli Stati Uniti e l'Unione Europea hanno
messo in campo i loro «vaccini», o le loro reti di protezione, per rianimare e
proteggere le rispettive economie sfiancate dalla crisi. Ieri, è toccato
alla Ue dare il suo annuncio: il Consiglio Europeo, il vertice dei capi di
Stato e di governo dei 27 paesi, si è accordato sulla creazione di un doppio
meccanismo di supervisione del sistema finanziario, a livello macro e
microeconomico. Inizierà ad agire dal 2010, e dovrà garantire ordine, pulizia e
affidabilità fra le 8 mila banche europee, le agenzie di rating, i fondi di
investimento che operano fra i vari paesi. Punto di partenza, e prima misura di
prevenzione: il rafforzamento (pur limitato dalla resistenze di Londra) dei
poteri di controllo della Banca centrale europea, e cioè del suo Consiglio
Generale composto dai governatori di tutte le banche centrali. Obiettivo
intermedio: evitare che si ripetano i «contagi» dei titoli tossici e delle
acrobazie speculative, salvaguardando però i principi del libero mercato e la
libertà di circolazione dei capitali fra gli Stati. Punto di arrivo a livello
macroeconomico: la nascita del «Consiglio europeo sul rischio sistemico» (Esrc)
, che avrà il compito di lanciare l'allarme ogni volta che le maggiori
istituzioni finanziarie entreranno in «zona pericolo». In sostanza, questo
organismo sarà l'occhio, oltre che il «braccio ausiliare», della Bce: infatti
il suo massimo responsabile sarà eletto dal Consiglio Generale della Bce, o
potrà essere anche lo stesso presidente della Bce. Sul piano microeconomico,
invece, nasce il Sistema europeo di supervisione finanziaria (Esfs), che
veglierà su banche, società finanziarie e agenzie di rating del credito. Ma non
sulle società specializzate nel mercato dei titoli derivati: Gordon Brown,
primo ministro di un paese che ha nella Londra finanziaria la «capitale europea
dei derivati», si è opposto e alla fine ha prevalso. Si era anche opposto ad
altre misure di supervisione, giudicate troppo invasive, ma Germania e Francia
hanno fatto muro, invocando l'esempio di Obama. Il
Sistema Esfs sarà fra l'altro una sorta di arbitro a cui gli Stati dovranno
affidare il giudizio finale sulle controversie: e questo è un passo importante,
viste le diffidenze che spesso paralizzano i mercati. Nel testo approvato ieri
si legge che l'Esfs «dovrà avere poteri decisionali proporzionati e cogenti» in
caso di disaccordo fra gli organismi nazionali: le sue decisioni non potranno
però intaccare «le responsabilità fiscali degli Stati membri». Un esempio? Una
banca austriaca, operante a Riga in Lettonia, e finita nei guai per le sue
acrobazie sui titoli tossici, viene «rianimata » dalla casa madre di Vienna; ma
il governo lettone non è d'accordo. E allora interviene l'Esfs, come giudice
ultimo. Nella speranza, ovviamente, che i titoli tossici non abbiano già finito
il paziente. Luigi Offeddu Summit Da sinistra, José Barroso, il premier ceco
Jan Fischer e il ministro degli esteri Jan Kohout
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L'intellettuale pentito:
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 20/06/2009 - pag: 17 La storia Matthew Crawford
ha raccontato in un libro come ritrovare il senso della vita: abbandonare gli
uffici per «costruire con le proprie mani» L'intellettuale pentito: «Riparare
motociclette Questa è la felicità» Usa, è crisi per i «lavoratori della
conoscenza» Sociologi e critici: «Torniamo al fai da te» DAL NOSTRO INVIATO NEW
YORK A forza di sostenere che il futuro era dei «lavoratori della conoscenza»,
degli «analisti simbolici » e delle «classi creative», gli americani hanno
svuotato le officine e riempito gli uffici di Wall Street. Abbiamo perso ogni
capacità di fare cose con le nostre mani. Dagli anni '90 abbiamo smantellato le
«shop class» (l'insegnamento di quelle che in Italia chiamiamo applicazioni
tecniche): da allora nessuno impartisce più, nei licei Usa, nozioni di
falegnameria, carpenteria, tessitura, elettricità. Risultato: anziché
raggiungere l'eden dell'economia immateriale, «siamo diventati un popolo
insoddi-- sfatto, frustrato, incapace di fare le cose pratiche più elementari,
alienato dalla vita grigia nei cubicoli degli uffici». La provocazione a suo
modo dirompente, visto che cade nel bel mezzo di una crisi di identità
dell'America e di una gravissima crisi finanziaria innescata dall'uso eccessivo
di strumenti «immateriali» è di Matthew Crawford: un curioso personaggio che ha
cominciato la sua carriera come fisico in California, si è innamorato della
filosofia conseguendo un'altra laurea e un PhD a Chicago, è andato a fare
l'analista in un «think tank» di Washington, ha perso ben presto interesse per
il suo lavoro irritato dalla sua mancanza di concretezza e si è messo ad
aggiustare motociclette. Oggi vive felicemente a Richmond dove gestisce
un'officina di riparazioni meccaniche e insegna (a tempo perso, sembra di
capire) alla University of Virginia. Il libro da lui appena pubblicato negli
Usa ( Shop Class as Soulcraft, editore Penguin) potrebbe anche essere liquidato
come un sermone curioso ma irrilevante, se non fosse che cade nel bel mezzo
della rivoluzione culturale dell'«austerità obamiana», col presidente che
invita di continuo gli americani a rimboccarsi le maniche e Michelle che dà
l'esempio piantando cavolfiori nel giardino della Casa Bianca e impartendo
lezioni di orticultura ai ragazzi che le fanno visita. Il testo di Crawford,
benché basato su argomenti messi insieme avendo i piedi ben piantati per terra,
sta affasciando molti letterati per i suoi riferimenti a Lo Zen e l'arte della
manutenzione della motocicletta, un racconto filosofico e di viaggio di Robert
Pirsig, che negli anni '70 fu un libro di culto per molti giovani. Il saggio
ha, però, colpito anche sociologi e critici che hanno aperto un dibattito sulla
necessità di tornare all'artigianato persino sulle colonne del New Yorker e del
Christian Science Monitor. L'intervento forse più sorprendente è stato quello
del politologo Francis Fukuyama che, nel supplemento letterario del New York
Times, non solo concorda con Crawford sul fatto che aver sottovalutato e
disincetivato per anni il lavoro dei colletti blu è stato un tragico errore, ma
confessa che i suoi veri momenti di gioia non sono quelli dietro la cattedra
della John Hopkins University: «Anche se mi guadagno da vivere facendo il
lavoratore della conoscenza simbolica scrive l'autore de La fine della storia
mi sento appagato soprattutto quando cavalco motociclette o quando costruisco
con le mie mani pezzi di mobilio: il tavolo della cucina, i letti dei miei
figli, le riproduzioni di alcuni pezzi d'antiquariato 'Federal style' che non
posso permettermi in versione originale». Non è chiaro fino a che punto le tesi
«controcorrente» di Crawford anticipino un fenomeno che potrebbe emergere nella
società. La denuncia del meccanico-filosofo dell'incapacità degli americani di
fare le cose con le loro mani coglie nel segno: chi, come me, vive negli Stati
Uniti sa bene quanto sia difficile trovare artigiani e tecnici competenti.
Appena si esce dai processi industriali sapientemente organizzati, c'è il
vuoto. La sua richiesta di reintrodurre nei licei l'insegnamento di alcune attività manuali potrebbe anche trovare buona
accoglienza nell'America di Obama. Tanto più che già da tempo, dalle cucine slow food (sempre più
diffuse anche da questa parte dell'Atlantico) all'agricoltura biologica nelle
fattorie suburbane, molti hanno cominciato a reagire agli eccessi di
industrializzazione dei processi produttivi, ad esempio nella catena
alimentare. Le motociclette di Crawford, la sua infanzia vissuta in una
comune, il primo lavoro, a 15 anni, in una officina specializzata nella
manutenzione delle Porsche, richiamano alla mente lo «Zen» di Pirsig: un
veterano della guerra di Corea che nel '74 pubblicò il racconto del suo viaggio
da costa a costa per metà metaforico nel quale mescolava Kant e tecnofobia,
esplorava col figlio Chris (che morirà accoltellato in una rapina a San
Francisco cinque anni dopo) le strade secondarie delle grandi pianure e la
crescente abulia dei meccanici americani che già 35 anni fa stavano perdendo le
loro conoscenze tecniche, la loro capacità di «capire» la motocicletta che
avevano tra le mani. Quello, però, era un viaggio filosoficospirituale:
aggrappato al figlio che diventa un'àncora e attraverso la sua «metafisica
della qualità», l'autore svolge, in realtà, una ricerca su se stesso. Con la
sua denuncia della globalizzazione e della diffusione forzata delle tecnologie
che «ci rendono più stupidi, spingendoci verso lavori maniacalmente ripetitivi»
e di una «separazione del pensare dal fare che degrada il lavoro», Crawford
sviluppa, invece, soprattutto un messaggio politico e sociologico. Crawford,
comunque, non è un marxista «di ritorno »: semmai è uno che sogna la
frammentazione del grande gruppo alienante in una miriade di piccole imprese
vitali. Una specie di fautore di quel «piccolo è bello» che a noi italiani ha
regalato la ricchezza di un tessuto di imprese brillanti e agili, ma che alla
lunga ha mostrato i suoi limiti proprio davanti alle sfide ineludibili della
globalizzazione. Massimo Gaggi Insegnamenti Sopra la copertina del libro di
Matthew Crawford: Shop Class as Soulcraft (Applicazioni tecniche per curare
l'anima). Nel saggio, l'autore, filosofo ed ex analista, spiega come ha
ritrovato la felicità lasciando il lavoro «intellettuale» per quello «manuale»
Libro cult Sopra, la copertina del libro cult Lo Zen e l'arte della manutenzione
della motocicletta, di Robert Pirsig. Negli anni '70 fu letto da milioni di
giovani in tutto il mondo. Nella foto grande: Matthew B. Crawford (New York
Times/Robert Adamo) Simone Weil La filosofa francese Simone Weil (1909-1943) si
fece assumere come operaia alla Renault nel 1934 (sopra la tessera della
fabbrica) FrancisFukuyama Il politologo ed economista Usa Francis Fukuyama, 56
anni, nel tempo libero lavora in falegnameria (foto Grazia Neri) MichelleObama La first lady americana Michelle Obama,
45 anni, ha voluto un orto biologico nell'ala sud della Casa Bianca (foto Ap)
Frammentazione Crawford sogna la frammentazione del grande gruppo alienante in
una miriade di piccole imprese vitali
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Quell'invito del premier a Patrizia "Vai ad
aspettarmi nel letto grande" (sezione: Obama)
BARI -
Cosa documentano le registrazioni audio che Patrizia D'Addario ha
clandestinamente inciso nell'autunno dello scorso anno a Palazzo Grazioli e
quindi consegnato alla Procura di Bari a sostegno dell'attendibilità del
racconto delle sue due visite? La magistratura, mercoledì scorso, le ha
secretate, apponendo i sigilli agli originali dei nastri su cui sono incise, e
ha disposto che non ne venissero effettuate le trascrizioni. Negli ultimi otto
mesi, quelle registrazioni sono state libere da vincoli, perché nella piena ed
esclusiva disponibilità della donna. Ora, tre fonti diverse e indipendenti che
hanno avuto nel tempo accesso diretto all'ascolto delle registrazioni, o,
quantomeno, ad alcuni dei loro passaggi salienti, riferiscono a Repubblica
parte del contenuto. Con indicazioni coincidenti. A cominciare dalla cattiva
qualità del sonoro, disturbato da fruscii di fondo. Eccone dunque il dettaglio.
Ottobre 2008. Patrizia D'Addario è per la prima volta a Palazzo Grazioli. La si
ascolta mentre si presenta con un nome di battesimo che non è il suo
("Alessia", come racconterà al Corriere della Sera il 17 giugno
scorso) al presidente del Consiglio, la cui voce, a sua volta, si riconosce
benché sovrapposta ad una musica di fondo che accompagna la conversazione. La
D'Addario dice di essere la titolare di un'agenzia immobiliare. Aggiunge che
non è facile per una donna single mandare avanti un'attività di quel genere. Si
sente quindi ancora la voce del presidente del Consiglio impegnato a mostrare
quelli che si intuisce siano dei quadri. OAS_RICH('Middle'); 4 Novembre 2008.
Patrizia D'Addario è per la seconda volta a Palazzo Grazioli. Non è un giorno
qualunque. Mentre in Italia si fa notte, negli Stati Uniti mancano poche ore
allo spoglio che dichiarerà presidente eletto Barack Obama. Si distingue la voce del
presidente del Consiglio che si rivolge a Patrizia spiegandole che si assenterà
per fare una doccia e mettere un accappatoio. Il presidente invita la donna ad
aspettarlo nel "letto grande". Patrizia risponde affermativamente -
"Sì nel letto grande" - aggiungendo un dettaglio che si riferisce al
letto e non risulta comprensibile all'ascolto. Una successiva sequenza
registra un qualche trambusto con voci di estranei che avvertono il presidente
dell'elezione di Obama e lo sollecitano ai suoi
impegni istituzionali. Patrizia - riferiscono due fonti diverse - spiegherà che
il personale di Palazzo Grazioli ha urgenza di ricordare al presidente che è
atteso da un appuntamento esterno. Una circostanza, questa, che per altro trova
conferma in un dato obiettivo. In quelle ore, Silvio Berlusconi è atteso allo
spazio Etoile a Roma dove la Fondazione Italia-Usa ha organizzato una serata
ufficiale (ripresa in diretta da Skytg24) per la notte elettorale americana. Un
evento cui partecipano almeno 500 ospiti, tra cui un centinaio di parlamentari,
e onorata da un messaggio video dell'allora ambasciatore americano in Italia
Ronald Spogli e a cui il Presidente del Consiglio (la cui presenza era stata
annunciata da almeno due settimane) non arriverà mai. 5 novembre 2008. Patrizia
D'Addario registra una chiamata telefonica in entrata. Si riconosce la voce del
presidente del Consiglio che le chiede "come va". La donna risponde
di essere "un po' rauca". Il presidente, di rimando, si dice
ironicamente sorpreso perché la notte precedente non ha sentito "strilli".
Quello stesso giorno, c'è una seconda telefonata registrata. L'interlocutore di
Patrizia è Gianpaolo Tarantini, l'imprenditore che le ha negato il compenso
pieno (2000 euro) pattuito per la prima volta a Palazzo Grazioli ("Perché
non ero rimasta", spiega lei nella sua intervista al "Corriere della
Sera"). La D'Addario è arrabbiata. Dice di aver ricevuto soltanto
"una tartarughina" per la notte e chiede conto dei 2000 euro. Alle
registrazioni si accompagnano, come detto, anche delle fotografie, scattate
dalla D'Addario con il suo telefonino all'interno di Palazzo Grazioli. Di
queste, "Repubblica" ha avuto conferma solo di un dettaglio, per
altro anticipato dal Corriere della Sera, due giorni fa. Vale a dire,
un'immagine che ritrae la foto incorniciata di Veronica Lario. Le altre istantanee
- per quanto è dato sapere al momento - ritraggono altrettanti dettagli delle
stanze della residenza privata del presidente del Consiglio. (20 giugno 2009
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Obama all'Iran: "Stop alle violenze" (sezione: Obama)
WASHINGTON
Mentre a Teheran cala il sole su una giornata in cui la tensione ha raggiunto i
livelli più alti, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama,
rompe ogni indugio e rivolge un appello diretto al governo iraniano: fermatevi,
basta con le «azioni violente e ingiuste», ascoltate il vostro popolo, il mondo
vi guarda. Alle tre del pomeriggio di Washington, quando a Teheran è ormai
notte, Obama invia questo messaggio, diffuso dalla
Casa Bianca: «Il governo iraniano deve capire che il mondo sta guardando. Noi
siamo in lutto per ogni singola perdita di vita umana. Rivolgiamo un appello al
governo iraniano a fermare tutte le azioni ingiuste e violente contro il suo proprio
popolo. I diritti universali di libertà di espressione e di associazione devono
essere rispettati, e gli Usa sono a fianco di tutti coloro che cercano di
esercitare questi diritti». Attaccato dai Repubblicani per non avere preso una
posizione più dura nei confronti di Teheran dopo le elezioni, Obama nella sua dichiarazione ha voluto ribadire in modo
esplicito quanto da lui detto al mondo musulmano il 4 giugno scorso alluniversità del Cairo: «Come ho detto al Cairo, il
tentativo di sopprimere le idee non riuscirà mai a cancellarle. Alla fine il popolo
iraniano sarà lultimo giudice del suo
governo. Se il governo iraniano cerca il rispetto della comunità
internazionale, deve rispettare la dignità del suo popolo e governare
attraverso il consenso, non la coercizione». Un messaggio che aveva già
anticipato in unintervista concessa in
serata allemittente CBS, ma che nel giorno degli scontri di piazza ha
voluto ribadire in modo forte, con una dichiarazione ufficiale. Obama ha citato anche a Martin Luther King: «Martin Luther
King una volta disse: "Larco
delluniverso morale è lungo, ma è curvato sulla giustizia". Lo credo
anchio. Lo crede anche la comunità internazionale. Ed ora siamo testimoni
del fatto che anche il popolo iraniano crede in questa verità. Continueremo
ad essere testimoni». Obama ha sottolineato cioè
quanto anticipato ieri dal portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs. In Iran -
aveva detto nellultimo briefing - «stiamo
assistendo a qualcosa di straordinario, qualcosa che sarebbe stato inimmaginabile
qualche settimana fa». Minimizzando su un possibile «effetto Cairo», («sarebbe
sbagliato per lamministrazione
rivendicare il credito su quanto vediamo in Iran»), Gibbs aveva comunque
lasciato intendere che gli Stati Uniti avrebbero continuato a seguire «con
molta attenzione» levolversi della situazione
a Teheran soprattutto alla luce di questo principio più volte espresso dal
presidente
Obama: il popolo Iraniano «ha il pieno diritto di
scegliere liberamente il leader che vuole». La Casa Bianca ufficialmente non
rivendica alcun «effetto Obama» su quanto sta
avvenendo a Teheran. Nello stesso tempo, però, non lo nega. E - dice - lAmerica è «testimone» di quanto sta avvenendo. Non a
caso la Cnn ha dedicato oggi lintera sua programmazione ai fatti di Teheran.
Presentando di volta in volta i suoi collegamenti con titoli come «LIran sullorlo del crack», «Manifestanti
picchiati», «Manifestazioni bloccate». Mentre in svariate città Usa, da New
York a Washington, anche oggi si sono succedute decine di manifestazioni
di cittadini iraniano-americani che protestano per chiedere nuove elezioni.
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Iran, pugno duro contro le proteste Mousavi in
piazza: pronto a morire (sezione: Obama)
TEHERAN
Layatollah Ali Khamenei, lo aveva promesso
allopposizione: «Se continuate, sarà un bagno di sangue». La Guida
Suprema dellIran ha mantenuto limpegno: Teheran si è trasformata in
un campo di
battaglia, raccontata minuto per minuto dai blog. Il quadro è drammatico: acido
sulla folla dagli elicotteri, arresti arbitrari, ambasciate occidentali aperte,
decine di morti e feriti, milizie volontarie che sparano sui dimostranti e
soldati che si rifiutano di farlo. Se solo una minima parte di ciò che hanno
raccontato i blogger iraniani è vero, allora la capitale iraniana è un carnaio
e lex Persia è sullorlo di una guerra
civile. Da una parte Khamenei e Mahmoud Ahmadinejad, dallaltra Mir
Hossein Moussavi,
che dice alla "sua" folla: «Sono pronto al martirio». Il resto del
mondo osserva, con attenzione. Mettendo da parte la linea pragmatica fin qui
seguita, Barack Obama alza la voce contro le autorità iraniane e chiede di «porre fine
a tutte le violenze e alle azioni ingiuste» contro la popolazione iraniane e ha
ricordato che «i diritti universali di manifestare e di libertà di parola
debbono essere rispettati e gli Stati Uniti sono con tutti coloro che cercano
di esercitare questi diritti». Ancora una volta, dallinizio degli scontri e soprattutto dopo il divieto di
uscire in strada imposto ai giornalisti stranieri perchè restino negli hotel, è
sui social network come Twitter che si può seguire landamento della
giornata. La protesta, raccontano i blogger minuto per minuto, si è concentrata
prima in un raggio di circa 4 chilometri tra piazza Azadi e piazza Enghelab,
dove era fissato il raduno dellopposizione contro
il regime. Gli agenti in assetto antisommossa hanno bloccato i manifestanti
-mille, duemila inizialmente, ma a fine giornata se ne contavano ventimila-
in via Azadi, che porta a Enghelab, e quasi subito sono cominciati gli scontri.
I blogger hanno raccontato di una rivolta che ha cambiato il passo rispetto ai
giorni scorsi, facendosi durissima e frontale, tanto da spingere lo stesso Mir
Hossein Mousavi a scendere tra i manifestanti e a dichiararsi «pronto al
martirio». Il leader dellopposizione, che ha
incontrato la folla nella via Jeyhoon, aveva scritto in precedenza al Consiglio
dei Guardiani della Costituzione, chiedendo lannullamento dei risultati delle presidenziali e
denunciando «brogli pianificati da mesi». Moussavi è pronto al peggio e ha
chiesto ai suoi sostenitori di cominciare uno sciopero generale a tempo
indeterminato se sarà arrestato. Il regime, ha detto fatto sapere la Tv di
Stato, lo ritiene responsabile di quanto è accaduto. Moussavi ha anche
criticato aspramente sul suo sito internet il discorso della Guida Suprema Ali
Khamenei denunciando che questultimo vuole
imporre Ahmadinejad. Il presidente uscente, dal canto suo, non ha parlato,
se non per «ringraziare» la Guida Suprema, Ali Khamenei, per il sostegno da lui
ricevuto nel discorso tenuto ieri durante la preghiera del venerdì. Il regime
parla attraverso la Tv e le agenzie ufficiali. Ha fatto sapere di un attentato
al mausoleo dedicato allayatollah Khomeini. Vi
sarebbero stati due morti e otto feriti. Non è chiaro chi abbia potuto
commissionare lattentato. Alcuni analisti sospettano il gruppo dei
Mujaheddin Khalq, anti-khomeinisti finanziati in passato legati allIraq ma lo stesso attentatore suicida al mausoleo
sarebbe una bufala di regime. Chi ha la possibilità di vedere la tv iraniana
racconta che questa ha mostrato solo una finestra rotta. Anche il
corrispondente della BBC, Jon Leyne, ha affermato che non vi è alcuna prova dellesplosione. È ai blog, che ci si affida per avere le
sole informazioni di prima mano. Sono questi a raccontare di elicotteri che
sganciano acqua bollente sulla folla, per poi riferire che il liquido è corrosivo e,
secondo un blogger, si tratterebbe di «una sorta di acido, misto a bisolfito di
sodio, simile a quello usato da mujahedeen nel periodo 1978-82». Secondo fonti
dellospedale Fatemiyeh, i morti sono 30-40, i
feriti almeno duecento. Ad usare la mano forte è soprattutto la milizia
Basiji, volontari fedelissimi a Khamenei. In Voice of America un testimone di
nome Mahsa racconta di aver visto le milizie sparare sulla folla vicino
Sadeghieh, nella parte occidentale di Teheran. Di una giovane morta e di unaltra vittima un video è stato postato su Youtube. Una
moschea sarebbe stata incendiata nella via Azarbiajan. Vi sarebbero scontri
anche a Shiraz, Ahvaz, Tabriz, Isfahan, Mashad. A Teheran è ormai notte. La Tv
di Stato afferma che la capitale è tornata alla normalità. I blog raccontano
unaltra verità: «Da tuttintorno a Teheran
arriva gente per unirsi alla protesta». Arrivano, però, anche carichi di armi
per le milizie e una decina di elicotteri sarebbe atterrata allinterno
dellUniversità Sanati Sharif. La folla singrossa.
Da oggi il suo urlo è rivolto contro la Guida Suprema: «Morte ad Ali Khamenei».
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Sangue e morte a Teheran (sezione: Obama)
Iran,
l'opposizione torna in piazza e la polizia spara: molte vittime nelle strade.
Attacco kamikaze alla tomba di Khomeini Sangue e morte a Teheran Mousavi:
pronto al martirio. Obama: basta
violenza contro il popolo Sale ancora la tensione a Teheran, l'opposizione
torna in piazza e in mezzo all'onda verde c'è Mousavi, l'uomo che ha sfidato
Ahmadinejad: «Sono pronto al martirio, i brogli erano programmati da mesi». La
polizia spara e tra la folla ci sarebbero morti e feriti. Arriva anche
l'ora delle bombe con un kamikaze che si fa esplodere contro la tomba di
Khomeini. Sugli scontri stavolta interviene anche Obama:
«Basta violenze contro il popolo». Gallo ALLE PAGINE 2 E 3
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CIECHI COME FU LO SCIÀ (sezione: Obama)
Vittorio
Emanuele Parsi CIECHI COME FU LO SCIÀ Come nel 1978. Il regime si illude che
usando la forza o, per meglio dire, la violenza che dà libero sfogo alla
rabbia, riuscirà a prevalere e a sconfiggere il «suo» popolo. Chiunque abbia
avuto l'occasione di assistere, 30 anni fa, alla cecità con cui lo scià
commentava la rivoluzione non potrà non restare colpito dall'assonanza tra le
parole dell'ultimo imperatore e quelle che la Guida Suprema Kahmenei ha
pronunciato durante il sermone di venerdì scorso. Può darsi che maggiore
fortuna arrida al duo Khamenei/Ahmadinejad (dove il secondo appare il «puparo»
del primo), ma di sicuro né l'uno né l'altro sembrano volersi arrendere
all'evidenza che, dopo oltre 30 anni, ogni minima legittimità del regime è
tramontata. Ahmadinejad e Khamenei sono riusciti, in meno di dieci giorni, ad
affossare il regime, come nessuno dei suoi oppositori poteva anche solo
lontanamente sperare di riuscire a fare. Può darsi che, come accadde per l'Urss
nella stagione delle lunga stagnazione brezneviana, che il regime si consumi
con estrema lentezza. Ma, di sicuro, la credibilità residua di quel peculiare
compromesso inventato da Khomeini tra legittimità popolare e legittimità
sapienziale si è ormai esaurita. Come 30 anni fa, le milizie del regime sparano
sulla folla. Come 30 anni fa i soldati si ribellano ai comandanti, e la
confusione è il tratto più caratterizzante della situazione. Il regime non
finirà in una notte, ma la sua fine è probabilmente irreversibile, in un crollo
verticale della legittimazione che ricorda il grido del bimbo nella favola di
Hans Christian Andersen: «Il re è nudo!». E il re è davvero nudo, perché dopo
il suo vile discorso del venerdì, Khamenei ha chiarito oltre ogni ragionevole
dubbio che, pur di mantenere il suo potere personale e pur di tutelare i
corposi interessi politici ed economici che rappresenta, è disposto a tradire
quella costituzione che ha giurato di difendere e stringere un patto scellerato
con Ahmadinejad e il suo «partito dei reduci». Khamenei, in realtà, rischia di
giocare con Ahmadinejad lo stesso ruolo di Hindenburg rispetto ad Hitler nel
1933. La crisi costituzionale in cui Khamenei ha precipitato l'Iran, è
paragonabile a quella che si avrebbe in Inghilterra se la regina prendesse
parte alla contesa politica per Downing Street, favorendo smaccatamente un
candidato e danneggiandone un altro. Questo ha fatto Khamenei, e questo ha ribadito
in occasione del sermone del venerdì, consapevole di provocare la folla e di
legittimare l'inasprimento della repressione. Di fronte a ciò che sta avvenendo
in Iran, alla violenza omicida di un regime dalla legittimità evanescente, anche il presidente Obama, fin qui prudentissimo e per questo duramente criticato in
patria, ha rotto gli indugi, ammonendo il governo iraniano sul fatto che
nessuna censura potrà impedire al mondo di vedere che cosa sta avvenendo in
Iran. A maggior ragione apparirebbe stonato, oggi più che mai, mentre i morti
accertati si contano ormai a decine, insistere nel reiterare l'invito al
ministro degli Esteri di Ahmadinejad di partecipare al vertice di Trieste. Le
democrazie devono essere disponibili a trattare anche con i regimi non
democratici: ma non a qualunque prezzo. Rinunciare a far crollare un regime
ostile non implica l'accettazione a trasformarsi nel puntello di governi che
non esitano a sparare sui propri cittadini. Dal punto di vista della comunità
internazionale, la domanda è una sola: quale scenario preferiamo tra la
rivoluzione khomeinista del 1978 e la rivoluzione ungherese del 1956? Il punto
non è se riusciremo a impedire che il regime massacri i suoi stessi cittadini,
dopo averli derubati del diritto di voto. Il punto è se lasceremo intendere
alla teocrazia iraniana che, qualunque cosa faccia, non pagherà nessuna
conseguenza. Non dipende da noi il fatto che Khamenei abbia, consapevole o
meno, venduto ad Ahmadinejad quei principi della Repubblica islamica che aveva
giurato di difendere. Ma dipende da noi chiarire che ogni violenza compiuta
contro il popolo iraniano comporterà un prezzo che il regime non potrà non
pagare.
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Un giornalista del New York Times, David Rhode, 42
anni, sequestrato il 10 novembre scorso dai taleb... (sezione: Obama)
Un
giornalista del New York Times, David Rhode, 42 anni, sequestrato il 10
novembre scorso dai taleban in Afghanistan e tenuto prigioniero nella regione
pakistana del Nord Waziristan, è riuscito a scappare dalla prigione in cui era
detenuto scavalcando un muro. I sette mesi abbondanti di sequestro li ha trascorsi
con un collega afghano, Tahi Ludin, pure lui in salvo, assieme al quale si
stava dirigendo nella provincia di Logar per intervistare un capo dei taleban
quando i due sono finiti nelle mani di un gruppo di militanti. L'autista che
era con loro, Asadullah Mangal, sequestrato anche lui, si era poi unito alle
formazioni islamiche e di lui si sono perse le tracce. I due giornalisti rapiti
sono stati aiutati nella fuga da un esploratore dell'esercito, che li ha
guidati fino alla base militare Usa più vicina, Bagram, in Afghanistan. Rhode è
in buone condizioni di salute, mentre Ludin ha qualche ferita alla gamba
riportata nella fuga. La notizia dell'autoliberazione del giornalista è
arrivata al pubblico contemporaneamente a quella del suo lontano sequestro. Era
stato lo stesso quotidiano americano a decidere di tenerlo segreto, d'accordo
con la moglie dell'inviato e con il governo americano. Condoleezza Rice e poi
Hillary Clinton, le due segretarie di stato di Bush e di Obama, sono state direttamente coinvolte
nel caso, favorendo la linea della riservatezza. Anche le agenzie
internazionali di stampa presenti sul teatro di guerra erano state pregate di
mantenere coperta la notizia del sequestro, e sono state ringraziate ieri dal
direttore del New York Times. «Dai primi giorni di questo travaglio,
l'opinione prevalente tra i familiari di David e gli esperti di sequestri di
persona, i responsabili di vari governi che abbiamo consultato è stata che
uscire con la notizia avrebbe aumentato i pericoli per David e gli altri
ostaggi», ha scritto sul website del quotidiano il direttore Bill Keller. Il
quotidiano ha detto che ci sono stati «sporadici contatti» tra il giornalista e
i suoi aguzzini, ma che nessun riscatto è stato pagato. Kristen Mulvihill, la
moglie di David, ringraziando il giornale, il governo e «tutti gli altri», ha
scherzato sul fatto che i due «sono sposati da nove mesi, di cui sette in
cattività». Il padre di Rhode, Harvey, ha detto al Times che non era entusiasta
della scelta del figlio di fare quel viaggio, ma che capiva «le sue motivazioni
di voler raccontare le due parti della storia», intervistando i taleban. Nel
1996, quando lavorava al «The Christian Science Monitor», il giornalista aveva
vinto il Pulitzer per i suoi reportage che documentavano la sterminio di
migliaia di musulmani in Bosnia: fu anche tenuto per dieci giorni agli arresti
dai militari serbi che lo accusavano di essere una spia della Nato. Il viaggio
di Rhode nel novembre scorso alla scoperta della versione taleban dei fatti non
era stato commissionato dal giornale: s'era messo in aspettativa per scrivere
un libro, e si era limitato a comunicare all'ufficio del Times di Kabul le
persone da avvisare in caso di sua scomparsa.
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Berlusconi pronto a vendere Villa Certosa (sezione: Obama)
Berlusconi
pronto a vendere Villa Certosa Un'altra ragazza conferma il racconto di
Patrizia [FIRMA]GUIDO RUOTOLO INVIATO A BARI Nuovi indagati, stralci di
inchiesta trasferiti a Milano. Altre conferme al racconto di Patrizia D'Addario
sulla notte d'amore a palazzo Grazioli. La candidata (non eletta) alle comunali
di Bari domani consegnerà alla Procura altre sei registrazioni. Lucia Rossini,
la terza invitata al festino della notte di Obama for President, il 4 novembre
scorso, ha confermato tutto agli investigatori della Finanza: «E' vero, quella
notte entrai anch'io nella stanza da letto. Ma poi lasciai soli il Presidente e
Patrizia». E intanto Silvio Berlusconi sta meditando di vendere Villa Certosa,
la sua dimora sarda scoperta vulnerabile agli scatti del fotoreporter Antonello
Zappadu. E, dunque, un domani anche a qualche sconsiderato «mirino» di
fucile ad alta precisione. «Me l'hanno violata» avrebbe confidato ai
conoscenti. Barbara, la «ragazza-immagine», c'era anche lei quella sera a
palazzo Grazioli, e anche lei ha confermato tutto agli investigatori. Prima che
Patrizia fosse convocata dal pm Pino Scelsi, Barbara le parlò al telefono. E
anche lei svelò di aver rubato delle immagini, di aver scattato foto: il bagno
e il soggiorno di palazzo Grazioli. Patrizia le confidò di essere in procinto
di raccontare quella notte: «Ma che vuoi fare, come Noemi, che vuole
partecipare al Festival bar? Il presidente - si sfoga irritata - le ha dato le
foto firmate come le ha date a noi». Appalti, sesso e polvere bianca. Gran
confusione sotto il cielo della città di san Nicola. Si allarga il filone
dell'inchiesta della Procura di Bari sul giro di «escort» e «ragazze-immagine»
per i festini nelle residenze di Roma e di Porto Rotondo di Silvio Berlusconi.
Per il giro di prostituzione è indagata anche Terry De Nicolo. Secondo
indiscrezioni, lei reclutava le ragazze sulla piazza di Milano. Le sue
dichiarazioni sono state trasmesse alla Procura di Milano. Patrizia la
«certosina» e «previdente». Ha registrato tutto, ha fotografato (con il
cellulare) il luogo del delitto, la stanza di palazzo Grazioli (lo specchio, il
letto, la cornice con la foto di Veronica Lario). Ma non tutto ha ancora
consegnato agli inquirenti. Lo farà domani. Telefonate intercettate dagli
inquirenti, telefonate memorizzate dalla «escort» barese. La mattina dopo la
nottata a palazzo Grazioli. Giampaolo Tarantino: «Patrì... come è andata?».
Patrizia: «Tutto bene. Lui mi ha detto che andava a Mosca e che mi avrebbe
richiamato». 27 gennaio scorso. Giampaolo chiama Patrizia per invitarla ancora
una volta a palazzo Grazioli. Manila il trans - «siamo amiche da dieci anni» -
adesso si dichiara stupefatta per la scelta di Patrizia D'Addario di svelare
l'incontro con il premier, e avverte: «Io so una serie di cose che vanno
valutate e che potrebbero sollevare un polverone...». Messaggio criptico.
Manila, allude. Silenzio stampa, settimanali gossip sono in trattativa. Manila,
comunque, potrebbe essere sentita a sua volta dagli investigatori. Sarà, ma in
questo caso, la storia di sesso a pagamento, dei festini a Roma e della notte
con Silvio Berlusconi a palazzo Grazioli, non è una «invenzione» della
candidata non eletta alle comunali per una lista collegata al Popolo delle
libertà. Se fosse dipeso da lei, magari di quella notte non si sarebbe saputo
nulla. Ma c'erano le intercettazioni telefoniche che registravano le
conversazioni di quell'imprenditore che, per dirla con un'altra amica di
Patrizia - Barbara la «ragazza immagine» -, «lavorava per Silvio Berlusconi».
Giampaolo Tarantini, l'imprenditore della malasanità pugliese, procacciava e
ingaggiava le ragazze-immagine. Lui però smentisce e si scusa col premier per
«averlo involontariamente danneggiato»: «Ho ritenuto di farmi accompagnare da
alcune mie amiche per fare bella figura e mettermi in evidenza. Non ho mai
corrisposto soldi a chi mi accompagnava se non per rifondere le spese di
viaggio e di soggiorno». Ma le «escort» come Patrizia sono finite nelle
intercettazioni e, quindi, sono state convocate dal pm Pino Scelsi. E hanno
raccontato un'altra storia, spiegato, illuminato inquirenti e investigatori,
che si sono convinti di aver scoperto una storia di induzione alla
prostituzione.
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La Cina pensa a un tavolo sul modello Nord Corea (sezione: Obama)
CON USA,
RUSSIA, INDIA La Cina pensa a un tavolo sul modello Nord Corea [FIRMA]FRANCESCO
SISCI PECHINO La Cina, interessata allo status quo regionale, è estremamente
preoccupata per l'esacerbarsi della tensione in Iran. Tifa per una rapida
soluzione pacifica della crisi elettorale ma non vuole apparire sostenitrice di
metodi antidemocratici. Ieri il quotidiano in inglese «China Daily» dava
notizia che l'ayatollah Ali Khamenei appoggiava la vittoria alle presidenziali
di Mahmud Ahmadinejad, ma aggiungeva anche che in alcuni seggi elettorali c'era
stata un'affluenza del 140 per cento, evidenza certa di brogli elettorali, come
sostiene l'altro candidato, Mir Hossein Mousavi. Da alcuni mesi in realtà Stati
Uniti e Cina parlavano di Iran e lavoravano intorno all'idea di costruirgli
intorno un'ipotesi di dialogo multilaterale per risolvere la sua questione
nucleare, come il tavolo a sei per il Nord Corea. Nel caso dell'Iran, il tavolo
dovrebbe accogliere anche Russia, Pakistan e India. Il controverso risultato
delle elezioni sta però innervosendo Pechino. I giornali in cinese finora hanno
avuto mano libera nel criticare i brogli elettorali iraniani. Il 18 scorso, però,
sempre il «China Daily» sosteneva in un editoriale che per amore di pace era
meglio accettare i risultati elettorali come arrivavano dalle urne, e invitava
gli Usa a non intraprendere la strada delle «rivoluzioni colorate». Mousavi e i
suoi potrebbero anche riuscire a conquistare Teheran, pensano i cinesi, ma è
possibile che Khamenei e i suoi scatenino una guerra civile. La
destabilizzazione dell'Iran, dopo quella dell'Iraq e dell'Afghanistan, e la
fragilità del Pakistan, potrebbe essere l'ultima goccia che fa esplodere tutta
la regione. Il timore per Pechino è che il presidente
americano Barak Obama sia
tentato di soffiare sul fuoco della protesta. Dietro c'è ancora un altro
calcolo: Ahmadinejad, emerso da elezioni controverse, potrebbe essere talmente
debole da non potere più sostenere la sua politica radicale e magari cercare
compromessi sul nucleare.
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Obama alza il tiro "Stop alle violenze" (sezione: Obama)
Retroscena Washington inasprisce le critiche IL DISCORSO NON
RITORNO Obama alza il tiro
"Stop alle violenze" MAURIZIO MOLINARI Barack cita nel testo Martin
Luther King «La giustizia vince» Gli analisti Usa «I manifestanti hanno rotto
tabù inviolabili» CORRISPONDENTE DA NEW YORK Il governo iraniano fermi le
violenze contro il suo popolo». Al termine di una giornata di riunioni
nello Studio Ovale con i più stretti consiglieri, Barack Obama
firma un comunicato di undici righe che segna una brusca inversione di rotta
rispetto alla prudenza dei giorni scorsi. «Il governo iraniano deve capire che
il mondo sta guardando, siamo in lutto per ogni vita innocente perduta»,
esordisce il testo, chiedendo di «fermare tutte le violenze e le azioni
ingiuste contro la gente». Le righe seguenti contengono il più esplicito
sostegno ai manifestanti finora giunto dalla Casa Bianca: «Devono essere
rispettati i diritti universali di libertà di riunione e libertà di parola, gli
Stati Uniti sono al fianco di chi tenta di esercitarli». La scelta di Obama è di premiare quei consiglieri - come il Segretario di
Stato Hillary Clinton e il vicepresidente Joe Biden - che gli avevano chiesto
di rispondere ai fatti di Teheran rifacendosi al discorso all'Islam pronunciato
in Egitto il 4 giugno, per questo il comunicato continua così: «Come ho detto
al Cairo sopprimere le idee non riesce mai a farle sparire». La parte centrale
del testo riflette i contatti in atto con le capitali europee, Mosca e Pechino
per arrivare ad una posizione comune: «Sarà il popolo iraniano a giudicare le
azioni del suo governo», ma «se il governo iraniano cerca il rispetto della
comunità internazionale deve prima rispettare la dignità della sua gente, e
governare attraverso il consenso non la coercizione». Come dire, la repressione
isolerà il regime di Teheran nel mondo. Le ultime righe sono una sorta di firma
personale di Obama perché contengono una citazione di
Martin Luther King, il leader delle battaglie per i diritti degli afroamericani
a cui il presidente si richiama spesso: «Martin Luther King una volta disse che
"L'arco della morale universale è lungo ma tende verso la giustizia".
Lo credo. Lo crede la comunità internazionale. Siamo testimoni che il popolo
iraniano crede in questa verità». A spingere il presidente ad alzare i toni nei
confronti di Alì Khamenei sono state le informazioni raccolte dall'intelligence
sulle violenze in atto da parte del regime, che fanno temere un pesante
bilancio di sangue. A far trapelare l'opinione prevalente a Washington è Karim
Sadadpour, l'analista di affari iraniani della Fondazione Carnegie, secondo il
quale «siamo arrivati al punto dove qualsiasi cosa avverrà è difficile
prevedere un ritorno alla situazione precedente» perché «i manifestanti stanno
violando le sacre linee rosse del regime, mettendo in dubbio il
Velayat-i-Faqih, il principio della superiorità dei giuristi islamici sul quale
l'ayatollah Khomeini creò l'attuale sistema nel 1979». Per Daniel Byman,
politologo della Brookings Institution, «l'alternativa è fra una repressione
stile-Tiananmen e la presidenza di un Mousavi che potrebbe tentare di riformare
la Repubblica Islamica emulando ciò che fece Mikhail Gorbaciov in Unione
Sovietica». Mentre lo Studio Ovale rendeva pubblico il monito a Khamenei fuori
la Casa Bianca centinaia di iraniani-americani protestavano contro la
repressione a Teheran mentre la California del Sud si sta rivelando uno dei
maggiori centri di sostegno al movimento dell'«onda verde» di Mousavi. A Los
Angeles infatti hanno base numerose tv e radio in lingua persiana che ricevono
dall'Iran notizie sulle manifestazioni e le ritrasmettono verso Teheran, al
fine di garantire alla popolazione locale le informazioni che il regime sta
censurando. Channel One Tv, diretto da Shahram Homayoun, raccoglie foto e
filmati messi dai manifestanti su Twitter e li trasmette via satellite 24 ore
su 24. La stazione radio Krsi riceve migliaia di email, che legge poi in
diretta agli ascoltatori. La mobilitazione massiccia di una comunità di oltre
mezzo milione di esuli genera anche iniziative sofisticate: Channel One Tv ha
spedito per posta migliaia di penne-telecamera stile-James Bond chiedendo agli
iraniani di «usarle per mandarci immagini».
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Tariq Ramadan è il nipote del fondatore dei Fratelli
Musulmani, Hasan al-Banna, il padre del fo... (sezione: Obama)
Tariq
Ramadan è il nipote del fondatore dei Fratelli Musulmani, Hasan al-Banna, il
padre del fondamentalismo politico. Al centro di vivaci polemiche in Francia al
tempo del divieto del velo negli uffici pubblici, oggi è «visiting professor»
di Islamologia all'Università di Oxford. È appena uscito in Francia il libro
«L'autre en nous» (Archipel, presto tradotto in Italia per Rizzoli), in cui
traccia un vibrante appello al dialogo tra le civiltà, le fedi e le culture.
Molti vi hanno letto una svolta del suo pensiero. Professor Ramadan, secondo
lei i cittadini che scendono in piazza in Iran si battono per un Islam più
complesso e pluralista? Per la democrazia? «La situazione è più complessa di
questa definizione, non bisogna commettere errori sull'Iran. L'Iran negli
ultimi anni ha aperto la via a molti dibattiti nel mondo musulmano, permessi da
Khatami e Ahmadinejad. All'estero la gente pensa che ci sia in Iran un grande
movimento maggioritario che sostiene e si raccoglie attorno a Mousavi. Ma
questo è vero solo nelle grandi città, e siamo molto lontani dal sapere che
cos'è successo nelle campagne. Negli ultimi anni i discorsi di Ahmadinejad
ruotavano attorno ai temi che più colpivano la sensibilità popolare, tutte le
reazioni indignate alle dichiarazioni su Israele hanno avuto un impatto interno
enorme. Hanno colpito l'emozione del popolo: ma nelle città, dove la
popolazione è molto più critica, non c'è stata la stessa sensibilità alle sue
parole. È innegabile che la tendenza verso il pluralismo in Iran non sia a
portata di mano. Ma noi, dall'esterno, dobbiamo stare attenti a non sbagliarci
sulla dislocazione delle forze in gioco in Iran». Lei pensa dunque che ci sia
veramente in Iran una maggioranza che sostiene Ahmadinejad? «Sì». Lei si
definisce un musulmano europeo: quale ne è l'identità? «Fondamentalmente, i
principi sono quelli dell'Islam, alcuni dei quali sono anche universali. Però
la mia cultura è europea. Oggi ci sono milioni di fedeli, uomini e donne, che
come me sono di cultura europea. È un certo modo di guardare al mondo,
razionale, che, secondo i fondamenti di una fede, potrebbe anche essere
considerato critico: un fedele in Europa non potrebbe affidarsi a una fede che
non abbia una dimensione critica. Da questo punto di vista, il fatto che
esistano critiche è la prova che ormai esse sono ammesse. Ci sono anche
elementi legati alla cultura, al gusto, all'arte, a una certa idea dei rapporti
interpersonali che compongono una forma specifica, a un modo di essere
musulmano, un modo di vivere. Quello oggi lo vedo ovunque in Europa». Suo nonno
ha scritto: «Il futuro è l'Islam». Lei dichiara: «Sono profondamente
occidentale». C'è un cambiamento, una contraddizione? «No, c'è il tempo, la
storia e anche il fatto che io non sono mio nonno! Lui è nato all'inizio del
'900 e pensava che per la gente l'avvenire fosse l'Islam e il contributo che
poteva dare al mondo. Pensava l'Islam come la soluzione, più che come il
futuro. Dal punto di vista personale, la mia soluzione personale resta l'Islam.
Dopo di che, la soluzione per tutti risulta essere il dialogo e il rispetto
reciproco. È così che vedo le cose». Come giudica il
discorso pronunciato al Cairo da Barack Obama? «Credo che in questo discorso ci siano una visione e un
atteggiamento. La sua visione è diversa da quella del suo predecessore, George
W. Bush. È una visione multipolare, Obama considera che di fatto gli Usa lavorano con il mondo e devono
partecipare alla marcia di questo mondo che è diventato pluralista. Dopo
la sostanza, è anche il tono a essere diverso, molto più umile sul ruolo degli
Stati Uniti. Tra l'altro quel discorso non era unicamente destinato al mondo
musulmano, com'è stato detto. Era anche indirizzato agli stessi Stati Uniti, Obama voleva dire al suo Paese che deve studiare meglio che
cos'è l'Islam. E l'Islam, a sua volta, dovrebbe evitare d'individuare l'essenza
dell'Occidente o demonizzarlo. Tutto ciò è un punto di vista interessante.
Mancano delle cose, ovviamente, ma si tratta di un discorso di un'ora, quindi
di un discorso di politica generale. Ma non è un discorso fondatore».
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Il filosofo del nuovo Islam (sezione: Obama)
Il
filosofo del nuovo Islam Tariq Ramadan è il nipote del fondatore dei Fratelli
Musulmani, Hasan al-Banna, il padre del fondamentalismo politico. Al centro di
vivaci polemiche in Francia al tempo del divieto del velo negli uffici
pubblici, oggi è «visiting professor» di Islamologia all'Università di Oxford.
È appena uscito in Francia il libro «L'autre en nous» (Archipel, presto
tradotto in Italia per Rizzoli), in cui traccia un vibrante appello al dialogo
tra le civiltà, le fedi e le culture. Molti vi hanno letto una svolta del suo
pensiero. Professor Ramadan, secondo lei i cittadini che scendono in piazza in
Iran si battono per un Islam più complesso e pluralista? Per la democrazia? «La
situazione è più complessa di questa definizione, non bisogna commettere errori
sull'Iran. L'Iran negli ultimi anni ha aperto la via a molti dibattiti nel
mondo musulmano, permessi da Khatami e Ahmadinejad. All'estero la gente pensa
che ci sia in Iran un grande movimento maggioritario che sostiene e si
raccoglie attorno a Mousavi. Ma questo è vero solo nelle grandi città, e siamo
molto lontani dal sapere che cos'è successo nelle campagne. Negli ultimi anni i
discorsi di Ahmadinejad ruotavano attorno ai temi che più colpivano la
sensibilità popolare, tutte le reazioni indignate alle dichiarazioni su Israele
hanno avuto un impatto interno enorme. Hanno colpito l'emozione del popolo: ma
nelle città, dove la popolazione è molto più critica, non c'è stata la stessa
sensibilità alle sue parole. È innegabile che la tendenza verso il pluralismo
in Iran non sia a portata di mano. Ma noi, dall'esterno, dobbiamo stare attenti
a non sbagliarci sulla dislocazione delle forze in gioco in Iran». Lei pensa
dunque che ci sia veramente in Iran una maggioranza che sostiene Ahmadinejad?
«Sì». Lei si definisce un musulmano europeo: quale ne è l'identità?
«Fondamentalmente, i principi sono quelli dell'Islam, alcuni dei quali sono
anche universali. Però la mia cultura è europea. Oggi ci sono milioni di
fedeli, uomini e donne, che come me sono di cultura europea. È un certo modo di
guardare al mondo, razionale, che, secondo i fondamenti di una fede, potrebbe
anche essere considerato critico: un fedele in Europa non potrebbe affidarsi a
una fede che non abbia una dimensione critica. Da questo punto di vista, il
fatto che esistano critiche è la prova che ormai esse sono ammesse. Ci sono
anche elementi legati alla cultura, al gusto, all'arte, a una certa idea dei
rapporti interpersonali che compongono una forma specifica, a un modo di essere
musulmano, un modo di vivere. Quello oggi lo vedo ovunque in Europa». Suo nonno
ha scritto: «Il futuro è l'Islam». Lei dichiara: «Sono profondamente
occidentale». C'è un cambiamento, una contraddizione? «No, c'è il tempo, la
storia e anche il fatto che io non sono mio nonno! Lui è nato all'inizio del
'900 e pensava che per la gente l'avvenire fosse l'Islam e il contributo che
poteva dare al mondo. Pensava l'Islam come la soluzione, più che come il
futuro. Dal punto di vista personale, la mia soluzione personale resta l'Islam.
Dopo di che, la soluzione per tutti risulta essere il dialogo e il rispetto
reciproco. È così che vedo le cose». Come giudica il
discorso pronunciato al Cairo da Barack Obama? «Credo che in questo discorso ci siano una visione e un
atteggiamento. La sua visione è diversa da quella del suo predecessore, George
W. Bush. È una visione multipolare, Obama considera che di fatto gli Usa lavorano con il mondo e devono
partecipare alla marcia di questo mondo che è diventato pluralista. Dopo
la sostanza, è anche il tono a essere diverso, molto più umile sul ruolo degli
Stati Uniti. Tra l'altro quel discorso non era unicamente destinato al mondo
musulmano, com'è stato detto. Era anche indirizzato agli stessi Stati Uniti, Obama voleva dire al suo Paese che deve studiare meglio che
cos'è l'Islam. E l'Islam, a sua volta, dovrebbe evitare d'individuare l'essenza
dell'Occidente o demonizzarlo. Tutto ciò è un punto di vista interessante.
Mancano delle cose, ovviamente, ma si tratta di un discorso di un'ora, quindi
di un discorso di politica generale. Ma non è un discorso fondatore».
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A settembre debutterà sulla MiTo il MultiAir 1.4
Cravero: Innovazione su tutti i nostri modelli (sezione: Obama)
A
settembre debutterà sulla MiTo il MultiAir 1.4 Cravero: «Innovazione su tutti i
nostri modelli» [FIRMA]MICHELE FENU BALOCCO Profumo d'America per l'Alfa Romeo
che, sospesa tra presente e futuro, si prepara a un rientro sognato da anni e
ora reso possibile dall'acquisto di Chrysler da parte di Fiat. Siamo in una
fase di studio, ma già si sa che i programmi prevedono lo sbarco della MiTo
(come della 500), probabilmente nel 2011, eseguiti i necessari lavori di adattamento
agli standard Usa di omologazione, e, in seguito, quelli della Milano (l'erede
della 147) e della Giulia (159), progettate su inedite piattaforme da
condividere con Chrysler. «Stiamo lavorando con impegno e passione - dice
Sergio Cravero, Ad del Biscione -, abbiamo arricchito le 159 berlina e
Sportwagon, la Brera e la Spider con i nuovi motori 1750 Turbo benzina da 200
Cv e 2.0 JTDM da 170 Cv sviluppati da FPT. A settembre debutterà sulla MiTo il
rivoluzionario 1.4 MultiAir abbinato al sistema Start&Stop. La MiTo è un
modello di successo, che ha già raccolto 60 mila ordini e che in Italia,
malgrado non usufruisca degli ecoincentivi, ha conquistato il mercato.
Proporremo tre varianti con livelli di potenza da 105, 135 e 170 Cv,
quest'ultima destinata a un'inedita versione, la Quadrifoglio Verde, che
arriverà successivamente. Innovazione, tecnologia, propulsori prestazionali
sono nel nostro Dna. E poi c'è la 8C Spider, che racchiude ed esalta tutti i
valori Alfa Romeo». E già, la 8C Spider, che, come è accaduto per la 8C
Competizione, ovvero il coupé, andrà anche negli States per rappresentare
l'altro volto del made in Italy: non solo auto parsimoniose
ed ecologiche, quelle che hanno incantato il presidente Obama, ma pure gioielli raffinati capaci
di far sognare. Come questo, appunto, che viene proposto in edizione limitata:
500 esemplari da distribuire nel mondo. «Abbiamo già raccolto oltre 1.200
prenotazioni - dice Cravero -, dovremo fare delle scelte». All'Italia
sono destinate 80 unità (il prezzo è di 213.250 euro, circa 50 mila più del
coupé), oltre 100 alla Germania. E per gli Usa? «Saranno una quarantina». La
produzione, con assemblaggio finale in Maserati, è cominciata in questi giorni
e si chiuderà nel giro di un anno. Basta guardarla sulla pista di Balocco,
antico terreno di prova dell'Alfa Romeo e della sua scuderia da corsa,
l'Autodelta, e ora campo di collaudo del Gruppo Fiat, per innamorarsene. Qui è
stata allestita una piccola area, intitolata proprio all'Autodelta, dove i
clienti potranno osservare la 8C Spider da vicino e, se lo desiderano,
ritirarla al momento della consegna. Design muscoloso e compatto, forme
eleganti, due posti «secchi», interni sportivamente lussuosi, capote in tela
che si apre e si chiude automaticamente mentre il blocco è manuale. Sotto il
vestito, telaio in acciaio e scocca in fibra di carbonio, un motore da sballo
(V8 di 4.7 litri da 450 Cv con una coppia di 480 Nm, disponibile all'80% già da
2.000 giri) per un progetto di altissimo livello, che ha puntato a sposare
leggerezza e rigidità insieme, a curare l'aerodinamica nei minimi dettagli, ad
abbassare il baricentro. In alcuni punti è stato modificato rispetto al coupé
per mantenere sulla 8C Spider le stesse qualità dinamiche. L'architettura è
sempre del tipo «transaxle» (motore dopo l'assale anteriore, scatola del
cambio, con differenziale autobloccante, posteriore). Ma qui, ad esempio, il
serbatoio del carburante è stato spostato in avanti per un ulteriore
miglioramento nella distribuzione dei pesi. L'anello parabrezza, ecco una
innovazione assoluta, è in carbonio, senza rinforzi in acciaio, e l'impianto
frenante è equipaggiato con poderosi freni carboceramici. Trasmissione a 6
rapporti: si può usare come una normale «automatica» oppure in manuale tramite
levette dietro al volante. E il sistema di controllo di stabilità e trazione
(VDC) è pronto ad aiutare il pilota in ogni situazione. Due le principali
modalità di guida, Normale e Sport. Girare in pista con una supercar così è una
pura gioia. Prestazioni super (292 km/h, accelerazione 0-100 l'ora in 4,5
secondi, frenata 100-0 km/h in 33 metri). Comportamento dinamico straordinario,
tendenzialmente neutro, ma staccando il VDC ci si puà divertire con qualche
sovrasterzo di potenza. A 200 l'ora nessun refolo di vento nell'abitacolo, con
la capote giù una silenziosità sorprendente. E se vuoi andare adagio,
immaginando di essere in riva al mare, la 8C Spider diventa un'auto dolce e
mansueta, morbida e rilassante. Un colpo all'acceleratore e la belva torna a
ringhiare: anche il suono del motore cambia e dà una scossa di adrenalina.
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[FIRMA]MICHELE FENU BALOCCO Profumo d'America per
l'Alfa Romeo che, sospesa tra pres... (sezione: Obama)
[FIRMA]MICHELE
FENU BALOCCO Profumo d'America per l'Alfa Romeo che, sospesa tra presente e
futuro, si prepara a un rientro sognato da anni e ora reso possibile
dall'acquisto di Chrysler da parte di Fiat. Siamo in una fase di studio, ma già
si sa che i programmi prevedono lo sbarco della MiTo (come della 500),
probabilmente nel 2011, eseguiti i necessari lavori di adattamento agli
standard Usa di omologazione, e, in seguito, quelli della Milano (l'erede della
147) e della Giulia (159), progettate su inedite piattaforme da condividere con
Chrysler. «Stiamo lavorando con impegno e passione - dice Sergio Cravero, Ad
del Biscione -, abbiamo arricchito le 159 berlina e Sportwagon, la Brera e la
Spider con i nuovi motori 1750 Turbo benzina da 200 Cv e 2.0 JTDM da 170 Cv
sviluppati da FPT. A settembre debutterà sulla MiTo il rivoluzionario 1.4
MultiAir abbinato al sistema Start&Stop. La MiTo è un modello di successo,
che ha già raccolto 60 mila ordini e che in Italia, malgrado non usufruisca
degli ecoincentivi, ha conquistato il mercato. Proporremo tre varianti con
livelli di potenza da 105, 135 e 170 Cv, quest'ultima destinata a un'inedita
versione, la Quadrifoglio Verde, che arriverà successivamente. Innovazione,
tecnologia, propulsori prestazionali sono nel nostro Dna. E poi c'è la 8C
Spider, che racchiude ed esalta tutti i valori Alfa Romeo». E già, la 8C
Spider, che, come è accaduto per la 8C Competizione, ovvero il coupé, andrà
anche negli States per rappresentare l'altro volto del made in Italy: non solo auto parsimoniose ed ecologiche, quelle che hanno
incantato il presidente Obama, ma pure gioielli raffinati capaci di far sognare. Come questo,
appunto, che viene proposto in edizione limitata: 500 esemplari da distribuire
nel mondo. «Abbiamo già raccolto oltre 1.200 prenotazioni - dice Cravero -,
dovremo fare delle scelte». All'Italia sono destinate 80 unità (il
prezzo è di 213.250 euro, circa 50 mila più del coupé), oltre 100 alla
Germania. E per gli Usa? «Saranno una quarantina». La produzione, con
assemblaggio finale in Maserati, è cominciata in questi giorni e si chiuderà
nel giro di un anno. Basta guardarla sulla pista di Balocco, antico terreno di
prova dell'Alfa Romeo e della sua scuderia da corsa, l'Autodelta, e ora campo
di collaudo del Gruppo Fiat, per innamorarsene. Qui è stata allestita una
piccola area, intitolata proprio all'Autodelta, dove i clienti potranno
osservare la 8C Spider da vicino e, se lo desiderano, ritirarla al momento
della consegna. Design muscoloso e compatto, forme eleganti, due posti
«secchi», interni sportivamente lussuosi, capote in tela che si apre e si
chiude automaticamente mentre il blocco è manuale. Sotto il vestito, telaio in
acciaio e scocca in fibra di carbonio, un motore da sballo (V8 di 4.7 litri da
450 Cv con una coppia di 480 Nm, disponibile all'80% già da 2.000 giri) per un
progetto di altissimo livello, che ha puntato a sposare leggerezza e rigidità
insieme, a curare l'aerodinamica nei minimi dettagli, ad abbassare il
baricentro. In alcuni punti è stato modificato rispetto al coupé per mantenere
sulla 8C Spider le stesse qualità dinamiche. L'architettura è sempre del tipo
«transaxle» (motore dopo l'assale anteriore, scatola del cambio, con
differenziale autobloccante, posteriore). Ma qui, ad esempio, il serbatoio del
carburante è stato spostato in avanti per un ulteriore miglioramento nella
distribuzione dei pesi. L'anello parabrezza, ecco una innovazione assoluta, è
in carbonio, senza rinforzi in acciaio, e l'impianto frenante è equipaggiato
con poderosi freni carboceramici. Trasmissione a 6 rapporti: si può usare come
una normale «automatica» oppure in manuale tramite levette dietro al volante. E
il sistema di controllo di stabilità e trazione (VDC) è pronto ad aiutare il
pilota in ogni situazione. Due le principali modalità di guida, Normale e
Sport. Girare in pista con una supercar così è una pura gioia. Prestazioni
super (292 km/h, accelerazione 0-100 l'ora in 4,5 secondi, frenata 100-0 km/h
in 33 metri). Comportamento dinamico straordinario, tendenzialmente neutro, ma
staccando il VDC ci si puà divertire con qualche sovrasterzo di potenza. A 200
l'ora nessun refolo di vento nell'abitacolo, con la capote giù una silenziosità
sorprendente. E se vuoi andare adagio, immaginando di essere in riva al mare,
la 8C Spider diventa un'auto dolce e mansueta, morbida e rilassante. Un colpo all'acceleratore
e la belva torna a ringhiare: anche il suono del motore cambia e dà una scossa
di adrenalina.
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l'iran esplode, bagno di sangue (sezione: Obama)
Pagina 1
- Prima Pagina Dilaga la rivolta: in fiamme il palazzo di Ahmadinejad, attacco
suicida al mausoleo di Khomeini. Obama agli ayatollah: "Basta violenze" L´Iran esplode, bagno
di sangue Spari sulla folla: decine di morti. Moussavi: pronto al martirio
TEHERAN - Dilaga la rivolta scoppiata in Iran dopo le elezioni presidenziali.
Gli scontri per le strade della capitale Teheran sono stati sedati sparando
sulla folla in protesta, i manifestanti hanno dato fuoco al quartier generale
dei sostenitori di Ahmadinejad e un attacco suicida al mausoleo di Khomeini ha
provocato morti e feriti. Secondo la Cnn ci sarebbero 19 vittime accertate ma
il bilancio potrebbe essere di 150. Il leader riformista Moussavi: «Sono pronto
al martirio». Obama agli ayatollah: «Basta violenze».
SERVIZI DA PAGINA 2 A PAGINA 5
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obama: "fermatevi subito noi siamo con il
popolo" - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)
Pagina 3
- Esteri Una lotta pacifica Obama: "Fermatevi subito noi siamo con il popolo" Il
presidente Usa chiede la fine delle violenze Il governo iraniano rispetti la
dignità del suo popolo, e non ricorra alla coercizione. Noi sosteniamo chi
lotta per la giustizia in modo pacifico ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro
inviato new york - Vanno fermate «tutte le azioni ingiuste e violente».
Barack Obama, criticato nei giorni scorsi e pressato
dal Congresso, ha preso ieri una posizione più netta sugli avvenimenti in Iran,
criticando duramente il regime degli ayatollah: «Il governo iraniano deve
capire che il mondo sta guardando. Siamo in lutto per ogni vita innocente
perduta, e chiediamo al governo iraniano di porre fine a tutte le azioni
ingiuste e violente contro il proprio popolo». In un comunicato diffuso dalla
Casa Bianca, il presidente americano ricorda come «i diritti universali di
libertà di espressione e di associazione devono essere rispettati», e come gli
Stati Uniti siano a fianco «di tutti coloro che cercano di esercitare questi
diritti». Obama ricorda anche le parole da lui usate
durante il discorso sull´Islam in Egitto: «Come ho detto al Cairo, il tentativo
di sopprimere le idee non riuscirà mai a cancellarle. Alla fine il popolo
iraniano sarà l´ultimo giudice del suo governo. Se il governo iraniano cerca il
rispetto della comunità internazionale, deve rispettare la dignità del suo
popolo e governare attraverso il consenso, non la coercizione». Si tratta di
una correzione alla linea tenuta dalla Casa Bianca nei primissimi giorni della
crisi iraniana, quando il presidente Usa aveva evitato di prendere una
posizione netta sui risultati elettorali e sulla sanguinosa repressione in
corso a Teheran. Correzione iniziata venerdì quando, dopo le critiche
dell´opposizione e le pressioni del Congresso a maggioranza democratica (la
Camera aveva approvato una risoluzione bipartisan a sostegno dei dissidenti
iraniani con 405 voti favorevoli e uno solo contrario per esprimere il proprio
«sostegno a tutti i cittadini iraniani che accolgono i valori di libertà,
diritti umani, libertà civili, stato di diritto»), Obama
in un´intervista con la Cbs aveva detto che «quel che stiamo vedendo in Iran é
il fatto che centinaia di migliaia di persone stanno manifestando pacificamente
e stanno cercando giustizia. Il mondo li sta guardando e noi siamo dalla parte
di coloro che lottano per la giustizia in modo pacifico». La dichiarazione di
ieri si conclude con una frase di Martin Luther King: «L´arco dell´universo
morale è lungo, ma tende alla giustizia. Lo credo anch´io. Lo crede anche la
comunità internazionale. Ora siamo testimoni del fatto che anche il popolo
iraniano crede in questa verità. Continueremo ad essere testimoni».
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"andai a cena dal cavaliere vidi che patrizia
restò da lui" - (segue dalla prima pagina) paolo berizzi (sezione: Obama)
Pagina 7
- Interni La terza ragazza interrogata dalla Finanza: "Nessun compenso per
me, solo regalini da Berlusconi" "Andai a cena dal Cavaliere vidi che
Patrizia restò da lui" Parla L.: "Con Gianpaolo entrammo senza
controlli" (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) PAOLO BERIZZI carlo bonini Lì ha
lavorato come impiegata della "Reale Mutua assicurazioni", «ramo
liquidazione sinistri». «Dipingo - aggiunge - e non sono, nonostante la mia
bella presenza, né una escort, né una modella». E´ la terza ragazza che, la
sera del 4 novembre 2008, entrò a Palazzo Grazioli con Patrizia D´Addario,
Barbara Montereale e Gianpaolo Tarantini. La chiameremo L., come l´iniziale del
suo nome di battesimo. Perché ha chiesto a Repubblica - che ne conosce
l´identità - un anonimato «che mi consenta di continuare a lavorare e vivere
serenamente a Bari». Due giorni fa, L. è stata ascoltata dai militari della
Guardia di Finanza come testimone nell´inchiesta sul giro di prostituzione
sull´asse Bari-Roma-Costa Smeralda. E´ stata ospite del presidente del
Consiglio a Palazzo Grazioli? «Sì». Quante volte? «Una sola volta». E´ stata
ospite a Villa Certosa? «Mai». Chi la invitò a Palazzo Grazioli? «Gianpaolo
Tarantini». E´ un suo amico? «Diciamo che lo conosco. Ero stata tre anni fa ad
una festa nella sua villa di Giovinazzo, a nord di Bari. Poi, l´ho rivisto a
fine ottobre del 2008 e in quell´occasione mi disse: "Perché non sali con
me a Roma per una festa?"». Le disse da chi? «Mi disse che sarebbe stata
una bella sorpresa. Capii dove andavamo solo quando, a Roma, all´hotel De
Russie incontrai le altre due ragazze che vennero con me». Quali ragazze?
«Patrizia e Barbara». Le conosceva? «Mai viste prima. Mai più viste dopo».
Patrizia si presentò con il suo nome? «Non mi ricordo se mi disse di chiamarsi
Patrizia o Alessia, francamente». Tarantini le disse che Patrizia era una
escort? «No». E a lei offrì del denaro per quella serata? «Ma che scherziamo?
Nessun compenso». Sapeva se le altre due ragazze erano pagate? «No. Né lo
chiesi». Come raggiunse Roma? «Io salii in macchina con Gianpaolo Tarantini e
il suo autista». Ricorda il nome? «Dino». E le altre due ragazze come
arrivarono? «No so. Le trovammo già lì». A che ora arrivaste a Palazzo
Grazioli? «Credo di non sbagliare se dico dopo le 23. Prima mangiammo qualcosa
al De Russie io, Gianpaolo e le due ragazze». Quindi era un dopocena? «In
verità mangiammo anche a Palazzo Grazioli. Io ricordo del gelato squisito».
Come arrivaste alla residenza del premier? «Sulla macchina di Tarantini. Una
berlina con i vetri scuri». All´ingresso, vi fermarono per un controllo? «No.
Gianpaolo chiamò dal cellulare per avvisare del nostro arrivo e non ci fermò né
controllò nessuno». Cosa ricorda di quella serata? «La gentilezza del
Presidente. La sua voglia di scherzare. Le canzoni napoletane. Le sue
barzellette». Ne ricorda qualcuna? «Ricordo che risi molto a una barzelletta su
un giocatore del Milan. Si dice che il Presidente racconti barzellette pesanti,
ma quella sera sentii solo cose delicate. Ricordo anche che ci tenne molto a
mostrarci le foto della sua famiglia». Le ricorda? «La moglie Veronica, i figli
e i nipoti. E poi le sue ville. Ci fece anche vedere un dvd con un suo comizio
e la sua visita alla Casa Bianca. Ci spiegò che sarebbe dovuto partire presto
per Mosca. Sapete, no? Dove fece la battuta su Obama abbronzato». Quanto rimaneste a
Palazzo Grazioli? «Direi due, tre ore». Durante la serata che tipo di rapporto
notò tra Tarantini e il presidente del Consiglio? «Gianpaolo dava del lei a
Berlusconi. Il Presidente era informale». E a voi come si rivolgeva? «Vi
sembrerà strano, ma a noi non si rivolgeva mai direttamente. Parlava, parlava,
ma senza chiamarci per nome». Ricevette dei regali quella sera? «Sì. Dei
gioielli a forma di farfallina e tartarughina. E anche delle statuine». Che
statuine? «A Palazzo Grazioli, il Presidente ha un Colosseo di pietra in cui ci
sono delle figurine tipo bamboline di Thun. Io mi ero avvicinata per guardare e
il Presidente mi disse: "Ti piacciono? Dai, prendine una"». E cosa
raffigurano queste statuine? «Dei guerrieri. Tipo gladiatori». Ve ne andaste da
Palazzo Grazioli tutti insieme? «No. Patrizia rimase». Si chiese perché? «Come
vi ho già detto, non mi piace fare domande. Sono una persona discreta».
Possibile che non chiese nulla né a Tarantini, né a Barbara? In fondo eravate
arrivate insieme. «Io non ho chiesto. Un´altra cosa è se ho immaginato. Ma le
cose che immagino le tengo per me. Quella sera me ne tornai in albergo e
chiamai mia madre per raccontarle». All´una di notte chiamò sua madre? «Ma sì.
Era una cosa così speciale quella che era successa». E a Patrizia non chiese?
«Patrizia non la rividi proprio. Né la mattina dopo. Né successivamente. Perché
io tornai il giorno dopo a Bari in macchina insieme a Gianpaolo e all´autista».
Tarantini la chiamò altre volte dopo quella serata? «No. Io mi fidanzai e,
forse, lo sentii ancora una volta. Ma non per feste. Avevamo un amico comune
che era un po´ troppo pressante con me. E mandai un sms a Gianpaolo
chiedendogli di aiutarmi a liberarmi di quell´insistenza». Che insistenza?
«Cose private». Queste cose che ha appena detto le ha raccontate anche alla
Finanza? «Si». E la Finanza le ha forse chiesto se, nel suo rapporto con
Gianpaolo o anche in quella sera di novembre c´è mai stata di mezzo la cocaina?
«Non me lo hanno chiesto. E comunque, io non consumo cocaina e non ho mai usato
droghe. Né quella sera, vidi droghe». Suo fratello ha avuto recentemente
problemi con la cocaina. E´ stato accusato di spaccio. «A me non lo ha detto.
Evidentemente è una cosa che ha preferito tenere per lui. In famiglia teniamo
molto alla privacy». Le è mai stata offerta una candidatura politica? «Mai».
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quel desiderio di democrazia - (segue dalla prima
pagina) (sezione: Obama)
Pagina
24 - Commenti QUEL DESIDERIO DI DEMOCRAZIA (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Adesso il
regime investito dalle proteste di massa dispone invece di milizie armate,
almeno per ora decise nei loro interventi repressivi. Mentre i manifestanti
sono disarmati. Nella settimana, tra il 12 e il 19 giugno, e ancora nella
giornata di ieri, gli slogan dei manifestanti non sembravano diretti contro la
Repubblica islamica in quanto tale. La folla scandiva spesso Allah akbar (Dio è
il più grande), parole annuncianti la «chiamata alla preghiera», e scritte
sulla bandiera iraniana. Ma al tempo stesso, chiedendo il rispetto del voto che
pensano sia stato truccato, i manifestanti rivendicano il diritto alla
democrazia. Al di là delle pratiche quotidiane, e degli intimi convincimenti,
la religione musulmana sciita è integrata all´identità nazionale iraniana. Ed è
quindi nel quadro dei suoi principi fondamentali che vengono denunciati gli
abusi del potere clericale, o di una parte di esso, poiché anche i riformatori
appartengono alla vecchia guardia della rivoluzione islamica. Tutto questo
rivela una profonda divisione all´interno del regime. Le manifestazioni
sembrano rispecchiare quella lotta intestina. Anche se le aspirazioni dei
giovani, e in generale della società inurbata che si è modernizzata negli
ultimi decenni, esprimono il genuino desiderio di democrazia. Un desiderio che
non può lasciarci indifferenti. La democrazia non si addice a una repubblica
teocratica, la quale è di per sé un´evidente contraddizione. Una contraddizione
che trent´anni dopo diventa esplosiva. E´ in quanto responsabile degli abusi
elettorali che l´ayatollah Ali Khamenei, la Guida suprema, massima autorità del
potere clericale, vede il suo prestigio seriamente intaccato. Se non proprio a
pezzi. In quanto a Mahmud Ahmadinejad, solennemente riconfermato capo
dell´esecutivo dallo stesso Khamenei, si può dire che egli esce dalla vittoria
elettorale come un presidente contestato da milioni di iraniani, insomma come
un presidente dimezzato, perché su di lui continuerà a pesare il sospetto che
la sua carica sia basata su una truffa. Fondato o meno, quel sospetto non
impedirà a Khamenei e ad Ahmadinejad di esercitare il potere e di rappresentare
l´Iran nei rapporti con il resto del mondo. Nell´attesa di imprevedibili
conseguenze, dovute alle lotte in corso al vertice del regime, la Guida suprema
e il Presidente della Repubblica saranno gli interlocutori indiretti o diretti
della superpotenza che ha teso la mano alla Repubblica islamica e che attende
una risposta nei prossimi mesi, prima della fine dell´anno, stando a quello che
ha fatto capire Barack Obama.
Nonostante i rimproveri dei neocon, nostalgici del linguaggio in vigore durante
la presidenza di Bush jr, Barack Obama ha seguito la situazione iraniana con giusta severità. Non si è
risparmiato, in più occasioni, nell´esprimere simpatia e solidarietà ai
manifestanti di Teheran, senza tuttavia ricorrere agli anatemi un tempo
lanciati con generosità dalla Casa Bianca contro la Repubblica islamica.
Nessuno, nella Washington ufficiale, l´ha definita «asse del male». E Barack Obama si è ben guardato dal prendere posizione in favore di
uno dei candidati. Se l´avesse fatto sarebbe stato accusato di interferenza e
comunque non avrebbe contribuito al successo del prescelto, poiché il suo
intervento avrebbe urtato l´orgoglio e il nazionalismo degli iraniani. Ha
invece fatto sapere che il futuro, eventuale interlocutore degli Stati Uniti
sarà quello eletto dal popolo. Adesso si possono avanzare seri dubbi
sull´autenticità dell´elezione di Ahmadinejad. E tuttavia non si deve
dimenticare che ci sono sempre stati dei dubbi sui riti democratici nella
Repubblica islamica. Sussistevano anche prima dell´apertura diplomatica
americana. La quale non viene certo agevolata da quel che è accaduto e potrebbe
ancora accadere a Teheran. Essa rischia di essere ritardata da imprevedibili
avvenimenti interni alla Repubblica islamica; e, se quegli avvenimenti fossero
ancora più sanguinosi di quelli verificatisi finora, dal modo in cui le opinioni
pubbliche democratiche li valuteranno. Ma la questione iraniana è al centro di
un´operazione da cui dipendono sia il successo o meno in politica estera del
presidente americano, sia i futuri rapporti tra il mondo musulmano e
l´Occidente. Né si deve dimenticare il capitolo della proliferazione delle armi
nucleari. L´operazione abbraccia direttamente l´area geopolitica più critica
del pianeta. Un´area che va dalla Palestina all´Afghanistan. Dal Pakistan
all´Iraq. E´ difficile archiviarla. Per quanto coinvolti nelle lotte intestine,
né Khamenei né Ahmadinejad ignorano il rischio di isolamento che corre la loro
Repubblica islamica. Il primo è noto per il suo virulento anti-americanismo; il
secondo è celebre per le provocazioni antisemite e anti occidentali. Ma nel
discorso di venerdì, nel quale ha minacciato «un bagno di sangue» se le
manifestazioni continueranno, e ha confermato l´elezione di Ahmadinejad,
l´ayatollah Khamenei è stato persino patetico quando ha indicato l´Inghilterra
come il nemico numero uno dell´Iran. Doveva puntare il dito contro qualche
paese occidentale, e ha scelto, a sorpresa, il Regno Unito. Cosi ha tenuto
fuori gli Stati Uniti. E ha evitato di sbattere la porta in faccia a Barack Obama. Anche Ahmadinejad, nel suo primo discorso, ha evitato
le solite provocazioni. Neppure lui ha chiuso la porta.
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le urne balneari e l'effetto-lunedì "troppi
delusi, sarà il deserto" - andrea montanari (sezione: Obama)
Pagina
IX - Milano Le urne balneari e l´effetto-lunedì "Troppi delusi, sarà il
deserto" Il racconto I tecnici "Il calo è certo ma il giorno feriale
aiuta" La paura della sfiducia "La politica ormai è lontana"
Astensione, le voci e le previsioni della vigilia ANDREA MONTANARI (segue dalla
prima di Milano) rodolfo sala Due settimane fa votò meno del 70 per cento:
68,96. E un sondaggista scafato come Renato Mannheimer allarga le braccia: «Può
succedere di tutto, proprio perché mi aspetto un´affluenza molto bassa non mi
azzardo a fare previsioni». Lui andrà a votare, domani: «Ma temo che tanta
gente neppure sappia che ci si può presentare ai seggi anche di lunedì,
nonostante la lettera inviata dal sindaco ai milanesi». Il motivo? «La gente è
sempre più lontana dalla politica». Meno fosche le previsioni di Stefano
Draghi, che è un collega di Mannheimer, ma soprattutto parte in causa in questo
duello in quanto coordinatore milanese del Pd: «è probabile che l´affluenza non
diminuisca tanto quanto potrebbe accadere se non si votasse anche il lunedì, e
poi al ballottaggio ci sarà un po´ di mobilitazione: qui i partiti non contano,
la sfida è sulle persone e dunque più appassionante in un clima di grande
sfiducia nei confronti della politica». La regista Andrée Ruth Shammah è
impegnata in un weekend di lavoro a Roma, ma domani prenderà un aereo che la
porterà al seggio in tempo utile. Però si sente una mosca bianca: «Sembrano
tutti affacciati alla finestra, aspettano di vedere che cosa succede in un
Paese che li ha trasformati in voyeur totalmente demotivati perfino sulla
scelta di chi li dovrà amministrare». Pessimismo condiviso da Mario Furlan,
animatore dei City Angels: «Voto oggi e penso che più gente va ai seggi meglio
è, ma sono sicuro che ci sarà un forte calo; il problema non è quando si può
votare, ma il distacco dei cittadini dalla politica, e non certo per colpa
loro». Tra gli entusiasti delle urne c´è pure il comico Enrico Bertolino: «Vedo
in tv quel che succede in Iran e mi viene una grande voglia di andare al
seggio; l´astensionismo non favorisce nessuno, non sopporto quelli che non
votano e poi si lamentano, purtroppo però ce ne sono tanti, e lo vedremo anche
stavolta». Ma niente paura: «Non siamo alla Repubblica di Weimar, i rischi che
corriamo sono al massimo l´operetta e il folclore». Michele Mozzati, della
premiata ditta Gino e Michele, vota oggi, e pensa soprattutto agli indecisi:
«Potranno farlo fino a lunedì, avranno una chance in più; visto quello che sta
succedendo in queste settimane, mi sembra che gli italiani siano più
interessati alla lettura dei giornali tutte le mattine piuttosto che a riempire
i seggi». Conclusione: «Mi auguro si possa tornare al più presto a parlare di
politica». La conduttrice televisiva Camila Raznovich, invece, vota domani: «Spero
proprio che l´affluenza sarà superiore a quella delle elezioni europee. Non
credo che un giorno in più cambi qualcosa. Chi ha deciso di non votare non
cambia idea solo perché ha più tempo a disposizione. Spero che molti non
decidano di buttare via questa occasione». Non è d´accordo Piero Bassetti: «Nel
mio caso, se non si potesse votare anche domani avrei dovuto rinunciare.
Rifiuterò due schede per il referendum e ritirerò solo la terza. Poi
naturalmente voterò per il ballottaggio». Per il primo presidente della Regione
«in passato l´aumento dell´astensionismo era un segno di pigrizia, ma oggi è
diverso: sempre più persone esprimono il proprio disappunto non votando, e
oltretutto la bella stagione non fa altro che favorire l´astensionismo». Enrico
Mentana conferma che anche questa volta diserterà le urne. Voterà questo
pomeriggio, invece, Linus: «Le previsioni dicono che ci sarà brutto tempo.
Questo credo che influirà sulla partecipazione al voto. Basta vedere le strade
di Milano per capire che questo fine settimana è andata via poca gente». Non
cambia idea Manuel Agnelli, leader degli Afterhours, che già al primo turno
aveva disertato i seggi: «L´avevo fatto solo un´altra volta, vent´anni fa, sono
esasperato. In Italia continua a mancare quello spirito
nuovo di politica indipendente che Obama è riuscito a portare in America. Finché ci saranno solo due
partiti contrapposti non voterò più. Ho sempre votato a sinistra, ma in Italia
ha totalmente perso i punti di riferimento». Andrà a votare Salvatore Carrubba:
«Non credo che il voto anche il lunedì condizionerà molto la partecipazione al
voto. A me servirà, ma solo per comodità. Di solito l´astensionismo
colpisce soprattutto il centrodestra, ma non credo che sarà determinante in una
città grande e complessa come Milano».
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percfest, la riviera è new orleans - lucia marchio (sezione: Obama)
Pagina
XVI - Genova PercFest, la riviera è New Orleans L´evento A Laigueglia sei
giorni di concerti tra jazz e maghi delle percussioni Attesa l´esibizione di
Francesco Cafiso Ritornano Elio e le Storie tese LUCIA MARCHIO lucia marchiò Ci
sarà il siciliano Francesco Cafiso, classe 1989, precoce talento del jazz che a
9 anni già suonava a fianco di Bob Mintzer e a 14 andava in tour europeo con
Winton Marsalis; il batterista Roberto Gatto, il pianista Danilo Gatto, il
percussionista portoricano Ray Mantilla; gli Elio & Le Storie Tese al gran
completo come non succedeva da tempo; le brass band, i consueti stage di
percussioni e via così. Persino un festa del pesce fritto da sgranocchiare a
suon di slow jazz. Laigueglia si appresta a diventare la New Orleans del
ponente ligure con la quattordicesima edizione del «PercFest», che incorpora le
rassegne «Suoni, Sogni, Immagini nelle Notti di Mezza Estate», coi live, e il
«Memorial Naco», concorso internazionale per percussionisti creativi. Per sei
giorni - da martedì 23 al 28 giugno - l´incantevole località ligure si
trasformerà in una vera e propria città della musica con più di 120 eventi
completamente gratuiti. A dirigere il tutto come sempre il compositore e
contrabbassista Rosario Bonaccorso: «Reputo gli artisti coinvolti una buona
garanzia di riuscita, tra i migliori interpreti al mondo. Uno come Cafiso, qui
in apertura, ex enfant prodige che a soli 13 anni è stato scoperto e voluto da
Marsalis per il suo tour europeo e che a gennaio ha suonato
davanti a Barak Obama
fresco di presidenza, per noi è un onore; si esibirà con la nuova band». Ci
saranno inoltre Roberto Gatto con il progetto «Remembering Shelly», omaggio al
batterista californiano Shelly Manne (sempre il 23); Danilo Rea col suo nuovo
lavoro dedicato alle colonne sonore dei film rivisitate in chiave jazz «Cinema
Song» nonché l´Ambrosia Brass Band fondata a Milano nel 1981 e ispirata
alle atmosfere di New Orleans e Giangi Sainato e Dado Sezzi Duo (24/6); Tom
Harrell, Ray Mantilla, Elio e le Storie Tese al completo che mancavano ormai da
7 anni; la serata dedicata a Nat King Cole; Giangi Sainato e Dado Sezzi; le
brass band e le goliardate «golose» come il «fried fish and jazz», il 24
giugno. Giovedì 25 sarà la volta del trombettista americano Tom Harrell Quintet
e Ray Mantilla, uno dei più grandi interpreti al mondo di latin jazz. Venerdì
spazio al batterista afroamericano Hamid Drake con Pasquale Mirra, virtuoso del
vibrafono, e Adrienne West col Tributo a Nat King Cole (a fianco di Dado
Moroni, Rosario Bonaccorso e Alessio Menconi). Sabato Gilson Silveira
Percussion Ensemble (Dado Sezzi, Lorenzo Gasperoni, Giorgio Palombino ed Ellade
Bandini) e il ritorno di Elio e le Storie Tese, che mancavano da 7 anni al
PercFest. Infine domenica 28 giugno la tradizionale «Notte dei tamburi», con la
banda itinerante Magicaboola Brass Band, il gruppo di danza mediorientale
Ailema, il tributo a De André di Danila Satragno e il Trio Bobo.
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i mei consigli per il referendum prendere solo la
terza scheda - don paolo farinella (sezione: Obama)
Pagina
XIX - Genova I mei consigli per il referendum prendere solo la terza scheda DON
PAOLO FARINELLA u richiesta di molti lettori e amici, vorrei parlare del
referendum di oggi sulla legge elettorale. E´ difficile parlarne perché
bisognerebbe fare un confronto con la legge attuale che, in un impeto di
sincerità alcolica, lo stesso autore, l´esilarante Calderoli, definì «una
porcata». Essendo egli un esperto, dobbiamo credergli. Eccettuate le elezioni
europee, attualmente i cittadini non votano perché i candidati sono designati
dalle segreterie e/o proprietari dei partiti e a noi, sovrani di pezza,
consentono di ratificare «la porcata», avendoci privato dell´essenza della
democrazia: scegliere i parlamentari. Il burattinaio decide di sistemare i
propri raccomandati, le veline, le vergini gioconde e ogni «ciarpame» che, in
cambio, assicurano devozione, favori, silenzio e obbedienza cieca e assoluta,
al modico prezzo di 15.000,00 euro che noi imbecilli paghiamo ogni sacrosanto
mese per almeno cinque anni. L´inganno poi delle candidature plurime
(Berlusconi si presenta in tutte le circoscrizioni, sapendo che deve abdicare)
fa il resto: il falso eletto, giocando con il bilancino delle dimissioni fa in
modo che passino per meriti di fedeltà i più biechi, le donne più disponibili,
ma anche mette al riparo amici e parenti inquisiti e condannati. Il mostro
giuridico dell´immunità parlamentare, infine, chiude il cerchio. Gli Italiani
sono serviti di barba, capelli e anche shampoo. Votare questo referendum
significa cadere dalla padella della «porcata», simbolo dell´arroganza senza
morale del berlusconismo, nella brace della dittatura di un partito, qualunque
esso sia. Siamo sulla graticola come San Lorenzo. Che fare? Dobbiamo dare una
lezione una lezione ai partiti. Una lezione di etica. Il referendum è
abrogativo: conferma o elimina quello che già c´è, ma non può proporre
soluzioni alternative. E´ fatto apposta da menti perverse e diaboliche per
confondere le persone: per dire "si" si deve segnare "no" e
per dire "no" segnare "si". Il referendum di oggi ha tre
quesiti e quindi tre schede. Il 1° (scheda viola) e il 2° quesito (scheda
beige) danno il premio di maggioranza, rispettivamente per Camera e Senato,
alla sola lista che prende un voto più degli altri (es., Berlusconi con i mezzi
leciti e illeciti che ha, può governare anche dopo la sua morte). Il 3° quesito
(scheda verde) invece proibisce le candidature multiple, per cui nessuno potrà
presentarsi in più circoscrizioni come avviene abitualmente, ingannando gli elettori:
Berlusconi sarà costretto a presentarsi solo in una circoscrizione. Il 3°
quesito introduce un barlume di moralità politica. L´elettore può decidere di
votare una sola scheda. Stretto tra l´incudine e il martello di due «porcate»,
non accetto di lasciarmi schiacciare, per cui pretendo di esercitare il mio
diritto di elettore sovrano, senza sudditanze e disobbedendo a tutti quelli che
invitano a non andare a votare, quando gli conviene. Il voto è un mio diritto e
non vi rinuncio. Pertanto mi regolerò come segue: prima di votare chiederò al
presidente di seggio che voglio ritirare solo la scheda verde, quella del 3°
quesito, mentre rifiuto le altre due (1° e 2° quesito). In cabina metto un
solenne «SI», abrogando la lordura delle candidature multiple. Mi pare l´unica
scelta decente in questo marasma, senza capo né coda in cui le segreterie dei
partiti ingannano i loro elettori, sapendo di farlo. Con le ultime elezioni
circa la metà delle italiane e degli italiani, in genere imboniti solo dalla tv
del padrone, hanno consegnato l´Italia (e l´Europa) all´immoralità. Hanno
eletto gente venduta a chi paga meglio a danno dell´interesse della Nazione, contribuendo così al ridicolo dell´Italia, caduta così in basso
per meriti acquisiti sul campo dal presidente del Consiglio, tanto che il
presidente Obama nella
recente visita gli offre una merenda e non un pranzo come si usa con gli ospiti
importanti. Ecco l´Italia di Berlusconijad: Italia da merenda.
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jessica lange, un sexy amarcord - paola nicita (sezione: Obama)
Pagina
XXII - Palermo Jessica Lange, un sexy amarcord "Divertente la scena con
Nicholson". Il Film Fest si allarga alle Eolie Sipario su Taormina PAOLA
NICITA TAORMINA - Donne, attrici, madri, forti o deboli. E a volte, anche
molto, molto sexy, come nel caso di Jessica Lange protagonista di una scena di
sesso memorabile come quella de "Il postino suona sempre due volte",
sulla scrivania con Jack Nicholson. Racconta l´attrice, qui al Festival con il
marito Sam Shepard: «La scena bollente con Nicholson? No, nessun imbarazzo.
Molto divertente. Sapevamo di doverla girare, sapevamo di piacerci, e quindi no
problem». Adesso la Lange è "big Edie" nel film presentato al Teatro
antico "Grey Gardens", storia delle inusuali Bouvier, madre e figlia,
appassionate di canto, ballo, stravaganze e libertà, innanzitutto. «Anche io
sono stata molto libera, sempre con la valigia pronta. Dal Missouri sono andata
a Parigi per studiare mimo, e poi a New York all´Actors Studio, ho avuto tanti
incontri e possibilità». Per il ruolo di questo film, Jessica Lange racconta
come è riuscita ad avvicinarsi al personaggio, senz´altro sopra le righe:
«Adoro la follia, mi piacciono i personaggi sul filo del rasoio. Folli con la
colonna vertebrale d´acciaio. Per interpretare Edie, ogni mattina arrivavo sul
set e ascoltavo la sua voce registrata, così particolare, squillante. Ad un
certo punto ho capito che c´ero, ero entrata nel personaggio». è una grande
appassionata di fotografia, Jessica Lange, e non perde occasione per
sottolinearlo: «Per me il rapporto con il cinema è filtrato dalla fotografia.
Ho appena pubblicato un libro con foto in bianco e nero, e ho sempre avuto
negli occhi certe immagini della Grande depressione americana che raccontavano
tanto». Attivista, impegnata nell´ecologia e nel sociale, attenta alla
politica, dice: «Abbiamo passato momenti difficili con
Bush, adesso c´è Obama,
finalmente». Della Sicilia, dice: «è la prima volta che visito questo luogo, e
non avevo preconcetti. Sono andata un po´ in giro, ho visto posti molto belli,
pieni di fascino e mistero, ma capisco anche le possibili difficoltà. Mi sono
innamorata della Sicilia». L´ultimo giorno del Festival proclama i
vincitori: tra i siciliani, per la sezione dedicata ai corti, vince
"Lorenzo Vacirca" di Nico Bonomolo, un film di animazione che
racconta la storia di Vacirca, un uomo, che vive di stenti per coronare il suo
sogno: comprare un´automobile. Ma l´epilogo a colori distruggerà tutto. Altri
premi sono andati a "Corso. The last Beat", "Casanegra" e
"The Long Night". Marina Paterna, regista del cortometraggio "Io
vivo!"dedicato alla storia del piccolo Santino Di Matteo, il bambino
ucciso dalla mafia, ha spiegato nell´incontro con Alessandro rais: «Mi è stato
detto che parlare di mafia è facile ma non è vero, perché non è semplice far
prevalere il coraggio alla paura. Santino non era "solo" il figlio di
un mafioso. Era un bambino, un bambino innocente»". Il bilancio finale
dice che la novità appena collaudata, ovvero il decentramento a Palermo,
Siracusa e Palma di Montechiaro, ha prodotto risultati soddisfacenti: a queste
sedi saranno ora affiancate le Eolie, come annuncia il sindaco Mauro
Passalacqua.
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La prudenza e il dilemma degli Usa (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 21/06/2009 - pag: 2 Il commento La
prudenza e il dilemma degli Usa SEGUE DALLA PRIMA Ciò spiegherebbe, secondo
questa interpretazione, la cautela diplomatica fin qui
tenuta da Obama nonostante
la netta presa di posizione, quasi unanime, del Congresso a favore degli
oppositori scesi in piazza a Teheran. Se la situazione precipita è difficile
che Obama possa mantenere a
lungo la posizione prudente assunta. Se, come allo stato degli atti sembra
probabile (ma c'è sempre, in questi frangenti, la possibilità di svolte
repentine e imprevedibili), il regolamento di conti in atto mettesse
completamente fuori gioco le componenti più moderate del regime, la politica
estera iraniana diventerebbe ancora più pericolosa di come oggi è. Finora, gli
estremismi di Ahmadinejad erano, a detta degli specialisti di politica
iraniana, parzialmente frenati dalla necessità, per Khamenei, di tenere conto
dell'equilibrio delle forze fra le diverse componenti del regime. Rotto
quell'equilibrio, spostato definitivamente il baricentro verso l'ala dura,
sarebbe difficile immaginare una politica estera iraniana meno aggressiva.
Tanto più che i fallimenti economici interni richiederebbero, per essere
nascosti, una escalation della conflittualità con il mondo esterno. Con
ricadute sul conflitto israeliano-palestinese, sull'Iraq e su altri scacchieri.
Nel suo discorso in Egitto di due settimane fa Obama ha
proposto al mondo islamico di voltare pagina. Una parte di quel mondo ha
accolto con favore l'invito. Ma un'altra parte no. Quel discorso, pur
innovativo, aveva un punto debole. Che succede se gli «uomini di buona volontà»
delle diverse civiltà e religioni non riescono a tenere sotto controllo i
fanatici e i propagatori d'odio? L'universo politico (come scriveva il giurista
Carl Schmitt) è in realtà un «pluriverso»: oltre che per le possibilità di
compromesso lascia sempre spazio per differenze e odi irriducibili. Mentre si
offre il dialogo occorre disporre anche di strategie alternative. E' il tema di
una discussione che appare assai serrata all'interno dell'Amministrazione
americana. Se in Iran la situazione precipita, se la fazione di Ahmadinejad, sostenuta
da Khamenei, si sbarazza, anche fisicamente, degli oppositori, Obama dovrà presto dotarsi di qualche carta di riserva.
Angelo Panebianco
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IL DILEMMA DELL'OCCIDENTE (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Prima Pagina data: 21/06/2009 - pag: 1 IL DILEMMA
DELL'OCCIDENTE di ANGELO PANEBIANCO C iò che è accaduto ha tutta l'aria di
essere un salto di qualità irreversibile nel conflitto che oppone l'ala dura
del regime iraniano ai riformisti. La manifestazione non autorizzata degli
oppositori è stata affrontata con la violenza dagli apparati repressivi. Un
attentatore kamikaze si è contemporaneamente fatto esplodere presso il mausoleo
di Khomeini (e si tratta, come ognun capisce, di un fatto di grande impatto
simbolico). Soprattutto, Mousavi, il candidato sconfitto alle elezioni per la
Presidenza, si è ribellato apertamente alla Guida Suprema Khamenei, è sceso in
piazza con gli oppositori, si è dichiarato pronto a morire e ha chiesto
l'azzeramento delle elezioni («i brogli erano pianificati da mesi» ha detto).
Non sappiamo come finirà questa prova di forza, anche se al momento le carte
migliori (gli apparati della forza, le milizie armate) sembrano essere
saldamente nelle mani di Khamenei e di Ahmadinejad. Sappiamo però che il mondo
occidentale deve ora fronteggiare un terribile dilemma. Prima che arrivassero
le nuove notizie sulla prova di forza in atto a Teheran, le difficoltà di
fronte a cui si trova l'Occidente erano ben illustrate da una apparente
contraddizione. Nello stesso momento in cui l'Unione Europea (con fermezza) e
l'Amministrazione Obama (con circospezione) condannavano i brogli elettorali e le
violenze del regime contro gli oppositori, l'Italia confermava di avere
invitato, in accordo con gli Stati Uniti, il ministro degli Esteri iraniano
Mottaki a partecipare alla conferenza sull'Afghanistan che si terrà a Trieste,
in occasione del G-8, dal 25 al 27 giugno. Cinica realpolitik? No, la
contraddizione era figlia di un dilemma autentico. Da un lato, c'è infatti la
necessità di assicurarsi la collaborazione di una potenza regionale del peso
dell'Iran per venire a capo della guerra in Afghanistan (e per stabilizzare l'Iraq).
Dall'altro lato, c'è il fondato timore che l'evoluzione in atto in Iran, la
scelta della Guida Suprema Khamenei di sostenere Ahmadinejad, e la possibile,
definitiva, sconfitta delle componenti riformiste, possano irrigidire
ulteriormente le posizioni internazionali del regime. Con gravissimi rischi per
la pace. Non c'è, al momento, molto che dall'esterno si possa fare per favorire
un' evoluzione della politica di Teheran che sia coerente con le aspirazioni di
libertà di tanti iraniani e foriera di cambiamenti nella politica estera del
regime. Anzi, come è illustrato dal dibattito americano (di cui il New York
Times ha dato ieri un ampio resoconto) è anche possibile che un aperto sostegno
occidentale, soprattutto americano, agli oppositori di Ahmadinejad e di
Khamenei possa risultare controproducente, possa essere proprio ciò che serve
all'ala dura del regime per gridare al complotto internazionale e sbarazzarsi
con la violenza degli oppositori. CONTINUA A PAGINA 2
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"Attenti, il regime ha il sostegno delle masse
povere" (sezione: Obama)
CORRISPONDENTE
DA PARIGI Tariq Ramadan è il nipote del fondatore dei Fratelli Musulmani, Hasan
al-Banna, il padre del fondamentalismo politico. Al centro di vivaci polemiche
in Francia al tempo del divieto del velo negli uffici pubblici, oggi è
«visiting professor» di Islamologia allUniversità
di Oxford. È appena uscito in Francia il libro «Lautre en nous»
(Archipel, presto tradotto in Italia per Rizzoli), in cui traccia un vibrante
appello al dialogo tra le civiltà, le fedi e le culture. Molti vi hanno letto una svolta
del suo pensiero. Professor Ramadan, secondo lei i cittadini che scendono in
piazza in Iran si battono per un Islam più complesso e pluralista? Per la
democrazia? «La situazione è più complessa di questa definizione, non bisogna
commettere errori sullIran. LIran negli
ultimi anni ha aperto la via a molti dibattiti nel mondo musulmano, permessi da
Khatami e Ahmadinejad. Allestero la gente pensa che ci sia in Iran un
grande movimento maggioritario che sostiene e si raccoglie attorno a Mousavi. Ma questo è
vero solo nelle grandi città, e siamo molto lontani dal sapere che cosè successo nelle campagne. Negli ultimi anni i discorsi
di Ahmadinejad ruotavano attorno ai temi che più colpivano la sensibilità
popolare, tutte le reazioni indignate alle dichiarazioni su Israele hanno avuto
un impatto interno enorme. Hanno colpito lemozione
del popolo: ma nelle città, dove la popolazione è molto più critica, non
cè stata la stessa sensibilità alle sue parole. È innegabile che la
tendenza verso il pluralismo in Iran non sia a portata di mano. Ma noi, dallesterno, dobbiamo stare attenti a non sbagliarci sulla
dislocazione delle forze in gioco in Iran». Lei pensa dunque che ci sia
veramente in Iran una maggioranza che sostiene Ahmadinejad? «Sì». Lei si definisce un
musulmano europeo: quale ne è lidentità?
«Fondamentalmente, i principi sono quelli dellIslam, alcuni dei quali
sono anche universali. Però la mia cultura è europea. Oggi ci sono milioni di
fedeli, uomini e donne, che come me sono di cultura europea. È un
certo modo di guardare al mondo, razionale, che, secondo i fondamenti di una
fede, potrebbe anche essere considerato critico: un fedele in Europa non
potrebbe affidarsi a una fede che non abbia una dimensione critica. Da questo
punto di vista, il fatto che esistano critiche è la prova che ormai esse sono
ammesse. Ci sono anche elementi legati alla cultura, al gusto, allarte, a una certa idea dei rapporti interpersonali che
compongono una forma specifica, a un modo di essere musulmano, un modo di vivere. Quello
oggi lo vedo ovunque in Europa». Suo nonno ha scritto: «Il futuro è lIslam». Lei dichiara: «Sono profondamente occidentale».
Cè un cambiamento, una contraddizione? «No, cè il tempo, la storia
e anche il fatto che io non sono mio nonno! Lui è nato allinizio del 900 e pensava che per la gente
lavvenire fosse lIslam e il contributo che poteva dare al mondo.
Pensava lIslam come la soluzione, più che come il futuro. Dal punto di
vista personale, la mia soluzione personale resta lIslam. Dopo di che, la
soluzione per tutti risulta essere il dialogo e il rispetto reciproco. È così
che vedo le cose». Come giudica il discorso pronunciato al
Cairo da Barack Obama?
«Credo che in questo discorso ci siano una visione e un atteggiamento. La sua visione
è diversa da quella del suo predecessore, George W. Bush. È una visione
multipolare, Obama
considera che di fatto gli Usa lavorano con il mondo e devono partecipare alla
marcia di questo mondo che è diventato pluralista. Dopo la sostanza, è
anche il tono a essere diverso, molto più umile sul ruolo degli Stati Uniti.
Tra laltro quel discorso non era unicamente
destinato al mondo musulmano, comè stato detto. Era anche indirizzato
agli stessi Stati Uniti, Obama voleva dire al suo Paese che
deve studiare meglio che cosè lIslam. E
lIslam, a sua volta, dovrebbe evitare dindividuare lessenza
dellOccidente o demonizzarlo. Tutto ciò è un punto di vista interessante.
Mancano delle cose, ovviamente, ma si tratta di un discorso di unora,
quindi di un discorso di politica generale. Ma non è un discorso fondatore».
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La polizia contro la folla
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 21/06/2009 - pag: 2 La polizia contro la
folla «Spari e decine di morti» Mousavi: «Pronto al martirio». Obama: fermatevi DAL NOSTRO INVIATO
TEHERAN La loro divisa sono il manganello e il piacere di portarlo. Camicia
grigia e anfibi o maglietta e ciabatte, i basiji presidiano le strade verso
piazza della Rivoluzione. Da qui dovrebbe partire la manifestazione.
Convocata, cancellata, rilanciata da Internet. I miliziani integralisti
guardano negli occhi chi rallenta o sembra aspettare un segnale: camminare,
camminare. Martellano con il bastone sullo scudo. La polizia anti-sommossa sta
più in basso, il cerchio della piazza è protetto dalle camionette con gli
idranti. Tutti aspettano le 16. Non si vedono cortei, solo gente che passeggia.
Tra i canali di viale Keshavarz si forma un gruppo dal nulla, alzano le due
dita in segno di vittoria, il braccialetto verde al polso. Fossero stati un
centinaio, sarebbe già stata una sfida alla Guida Suprema Ali Khamenei, che dal
pulpito dell'Università di Teheran aveva ordinato di rimanere a casa. Sono
migliaia, organizzati in diversi punti della città. I lacrimogeni volano tra
gli alberi del parco Laleh. I manifestanti scappano sui prati, tra coppiette e
giocatori di backgammon. Una ragazza si toglie il velo e urla contro una
matrona che le dice di andarsene. Non è la calma che la Guida Suprema aveva
auspicato. Il caos per le strade si confonde con le notizie diffuse da fonti
governative: un kamikaze si sarebbe fatto saltare al mausoleo dell'imam
Khomeini scrive l'agenzia ufficiale Fars , morto l'attentatore, tre pellegrini
feriti. Proprio Khamenei nella predica di venerdì aveva detto: «Le
manifestazioni rischiano di generare complotti terroristici. Chi ne sarà
responsabile?». Il regime sembra aver costruito i capi d'accusa per un
eventuale processo, un'istruttoria ancora prima dei disordini. Il segretario
del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale ha inviato una lettera a
Mir-Hossein Mousavi: «Sarai considerato colpevole delle violenze». Il leader
dell'opposizione, attraverso il sito online del suo giornale Kalemeh, avrebbe
risposto in maniera durissima: «Sono pronto al martirio», «se mi arrestano
sciopero generale», «le elezioni vanno annullate». E poi parole senza
precedenti contro l'ayatollah Ali Khamenei, accusato di voler imporre un nuovo
sistema politico nel Paese. Difficile confermare l'informazione circolata su
Twitter, il microblog che in questi giorni ha fatto da canale di comunicazione
per i manifestanti: Mousavi avrebbe marciato dalla sede del partito verso il
ministero degli Interni, seguito da diecimila sostenitori. Assieme a Mehdi
Karroubi, l'altro candidato riformista, ha deciso di non presentarsi
all'incontro con il Consiglio dei Guardiani. I custodi della legge nella
Repubblica islamica avevano offerto ai contendenti battuti da Mahmoud
Ahmadinejad secondo il conteggio ufficiale di ascoltare le loro 646 denunce di
irregolarità. Nessuna vera apertura alle richieste di annullamento delle
elezioni o almeno di una verifica di tutte le schede: il Consiglio ha concesso
di ricontrollare solo il 10% dei voti, scelti a caso sul totale. Piazza della
Rivoluzione e il viale lungo la cancellata dell' Università sono avvolti nel
fumo di cassonetti incendiati. La polizia e i basiji caricano a bastonate i
dimostranti. Che si separano e si ritrovano in un altro punto. Senza smettere
di urlare «Dio è grande» e «morte al dittatore». Ai lacrimogeni risponde la
sassaiola. Alcuni testimoni raccontano a organi di stampa stranieri che la polizia
ha sparato sulla folla e che ci sarebbero morti e diversi feriti, curati nelle
ambasciate occidentali. Su Youtube un filmato mostra una giovane, poco più che
ventenne, «vittima della violenza delle milizie filo-governative basiji »,
stesa a terra in una pozza di sangue mentre alcune persone le praticano invano
il massaggio cardiaco. A sud della città una sede del partito di Ahmadinejad
raccontano altri testimoni sarebbe in fiamme, attaccata dai dimostranti. Un
ragazzo di nome Mahsa racconta a Voice of America di aver visto le milizie
sparare sulla folla vicino a Sadeghieh, parte occidentale di Teheran. Alcuni
blogger, citando fonti dell'ospedale Fatemiyeh, scrivono che i morti sarebbero
30-40, i feriti duecento. E' notte quando la Cnn stila un bilancio di «almeno
19 morti », anche se «si teme che le vittime possano essere 150». In ogni caso
non è la calma che la Guida Suprema aveva auspicato. E' una deriva che Barack Obama denuncia in una nota: «Il governo iraniano deve sapere
che ha gli occhi del mondo addosso. Noi piangiamo ogni singola vita innocente.
Chiediamo al governo iraniano di fermare tutte le azioni violente e ingiuste
contro il suo stesso popolo». Presidente americano Barack Obama
Sotto tiro Ragazzi in strada a Teheran contestano l'elezione di Ahmadinejad
(Reuters e Epa) Davide Frattini
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Battaglia a Teheran, morti e feriti (sezione: Obama)
Corriere
della Sera sezione: Prima Pagina data: 21/06/2009 - pag: 1 La polizia carica.
Un kamikaze in azione. Obama: il
governo iraniano fermi le violenze contro il suo popolo Battaglia a Teheran,
morti e feriti «Spari sulla folla, decine di vittime». Mousavi: pronto al
martirio Teheran nel caos, violenti scontri nelle strade. La protesta contro «i
brogli alle elezioni» va avanti nonostante il divieto di scendere in piazza
del-- l'ayatollah Khamenei, la Guida suprema dell'Iran che ha
legittimato la vittoria di Ahmadinejad. Il leader moderato Mousavi si dice
«pronto al martirio » e attacca Khamenei. Cariche della polizia sui
dimostranti, che accusano: «Spari sulla folla, decine di vittime ». Un kamikaze
in azione al mausoleo di Khomeini: 2 morti e 8 feriti. Dalla Casa Bianca
intanto arriva l'appoggio del presidente Obama ai
manifestanti di Teheran: «Stop a violenze e ingiustizie». E il Consiglio dei
Guardiani accetta di ricontare i voti, ma soltanto il 10 per cento del totale.
ALLE PAGINE 2E3 Caretto, Frattini, Mazza
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Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 21/06/2009 - pag: 3 Intervista Lo storico
inglese sull'atteggiamento da tenere «L'Occidente esporti solo idee e
tolleranza» Paul Kennedy: intervenire è una follia WASHINGTON Secondo lo
storico Paul Kennedy l'autore di Ascesa e declino delle grandi potenze e Il
parlamento dell'uomo il contributo che l'Occidente può dare all'Iran «è un
contributo di idee e di tolleranza ». Più che cercare d'intervenire in quella
che definisce «la lenta, dolorosa alba della democrazia in Iran», l'America e
l'Europa, dice lo storico, devono cercare di alimentarne i principi che la
guidano, la libertà e l'eguaglianza. Il richiamo di Obama agli ayatollah al rispetto dei
diritti civili e la rinuncia alla violenza rientra in questa strategia. Il
presidente si è forse esposto ad accuse d'interferenza da parte di Teheran ma,
aggiunge Kennedy, «appellarsi all'umanità e alla ragione è diverso dal prendere
dure misure». Finora Obama non è stato troppo
attendista? L'Iran non è sull'orlo dell'abisso? «Credo che sostanzialmente il
futuro dell'Iran sia nelle mani del popolo iraniano e che l'America abbia un
connotato così negativo nell'Islam da rendere controproducente delle sue
eventuali iniziative. Storicamente, in situazioni quale questa, i grandi
statisti come Bismarck si sono astenuti dal prenderle. Quasi un secolo e mezzo
fa, l'Europa dibatté se intervenire nella guerra civile americana. Ma se lo
avesse fatto sarebbe stata una follia». Potrà però Obama
astenersi dall'adottare nuove sanzioni contro Teheran se la situazione
peggiorerà? «Presumo che si aprirà un dibattito al riguardo dentro
l'amministrazione e con gli alleati. Ma sono del parere che abbia più senso un
confronto con un paese come la Corea del Nord che non un confronto con una nazione
come l'Iran. Tra l'altro, noi ignoriamo chi abbia davvero vinto le elezioni, se
le autorità iraniane siano davvero unite, se lo scontro sia davvero tra le
forze religiose e quelle secolari come sembra. Il mondo iraniano è molto
complesso». La repressione in Iran non neutralizzerà il contributo che
l'Occidente può dare al popolo iraniano? «La repressione ha quasi sempre
successo fisicamente, ma non intellettualmente. L'Iran è la nazione islamica
che ha più studiosi, medici e ingegneri. È un'antica civiltà, ed è capace di
cambiamenti per quanto difficili siano. Inoltre il dissenso si avvale di un
medium che qualsiasi dittatura è impreparata ad affrontare, Internet. Non
dimentichiamo che il linguaggio degli iraniani riparati in Occidente è
secolare, non religioso». Secondo lei, a Teheran è in corso una rivoluzione?
«Non saprei come definirla. Alle dimostrazioni prima del voto mi colpì che i
maschi giovani fossero in maggioranza a favore dell'ordine musulmano, e le
femmine giovani a favore dei cambiamenti, un fatto che induce alcuni a parlare
di un movimento dei diritti civili, e quindi di un'insurrezione pacifica.
Comunque, è chiaro che l'Iran è in preda a gravi, anzi gravissime scosse. Noi
vediamo quelle di Teheran, ma si verificano in altre città, come accadde a
Marsiglia o Lilla nella rivoluzione francese». È possibile una sua risoluzione
pacifica? «Gli islamici dicono che se uno azzecca una previsione non è perché è
intelligente ma perché è fortunato. Tuttavia dubito che le due parti trovino un
accordo. La situazione in Iran mi ricorda la Guerra dei trent'anni nell'Europa
del Seicento tra cattolici e protestanti. Sono di fronte due mondi opposti. Il
conflitto è appena incominciato e finirà solo con la vittoria di una delle due
parti». Attualmente non vincono gli ayatollah? «Sì, ma credo che dietro le
quinte la situazione resti in bilico. È dalla caduta dello scià trent'anni fa
che il potere religioso non si trovava alle prese con un problema di tali
dimensioni. Quanto a lungo potrà tenerlo sotto controllo? Solo la Cina s'illude
di mantenere sempre lo status quo. Ma ripeto, nell'età di Internet se un paese
vuole progredire è quasi impossibile fermarlo ». Ennio Caretto
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Patrizia, ecco telefonate e intercettazioni
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 21/06/2009 - pag: 9 Il documento I
contenuti del materiale consegnato alla magistratura Patrizia, ecco telefonate
e intercettazioni «Lui ti vuole vedere, devi tornare a Roma» I colloqui tra la
D'Addario, il premier, l'amica Barbara e Gianpaolo DAL NOSTRO INVIATO BARI Il
27 gennaio scorso Patrizia D'Addario ricevette un nuovo invito per andare a
palazzo Grazioli. Fu Gianpaolo Tarantino a proporle di tornare a Roma «perché
lui ti vuole ». Le sue parole sono rimaste incise in un nastro che la donna ha
registrato. Ci sono sei audio-cassette che aggiungono dettagli sui rapporti tra
la candidata alle elezioni comunali con la lista «La Puglia prima di tutto» e
l'imprenditore barese accusato di aver portato ragazze-squillo alle feste di
Silvio Berlusconi. Nelle telefonate con Barbara Montereale l'altra donna che ha
ammesso di essere stata pagata per andare nella residenza presidenziale romana
e a villa Certosa spunta anche il nome di Noemi Letizia. Non è l'unica novità. Oltre
a Patrizia, anche Barbara sarebbe riuscita a scattare alcune foto all'interno
della residenza romana. Quando ha deciso di uscire allo scoperto e raccontare
le due serate trascorse con il premier, la D'Addario ha spiegato che registra
tutti gli incontri importanti «perché in passato ho avuto seri problemi con un
uomo e so che questo mi serve a dimostrare che dico la verità». Una «mania» che
si sta rivelando utile per ricostruire quanto è accaduto negli ultimi mesi. La
prima volta: «Siedi qui vicino a me» Si torna così a quanto accade dopo il 15
ottobre 2008. Quel giorno Patrizia D'Addario avrebbe varcato per la prima volta
il portone di palazzo Grazioli. Le tappe del viaggio le ha ricostruite lei
stessa davanti al magistrato: volo da Bari fino a Roma, trasferimento in taxi
verso un albergo di via Margutta, spostamento all'hotel De Russie dove
Gianpaolo attende la stessa Patrizia insieme alla sua amica Barbara Montereale.
Lì c'è una terza ragazza. Le disposizioni sono ferree: vestito nero e trucco
leggero. Salgono in una berlina con i vetri oscurati e partono alla volta di
via del Plebiscito. «Alla guida dell'auto ha aggiunto c'era Dino, l'autista di
Gianpaolo». Un dettaglio apparentemente insignificante, che però serve a
riscontrare la sua ricostruzione. Alla festa ci sono una ventina di donne. «Ma
Berlusconi assicura Patrizia fu colpito da me. Mi si avvicinò e cominciammo a
parlare». Il registratore comincia a girare. Dopo poco Berlusconi la prende per
mano: «Tu siedi qui vicino a me». L'indomani Patrizia è a Bari. Ha rifiutato di
rimanere per la notte e per questo il suo cachet è stato dimezzato. Ma
Tarantini le offre un'altra chanche. La chiama per sapere se ha ricevuto
telefonate. Lei dice che hanno chiamato con un numero anonimo ma non ha
risposto. «Invece devi farlo le spiega l'imprenditore perché lui ti chiama da
Roma e il numero non compare. Mi ha detto che voleva rivederti la prossima
settimana, quindi tesoro rispondi». La donna appare compiaciuta: «Quindi se
dobbiamo andare a Roma andiamo insieme?». Tarantini la rassicura: «Certo
Alessia». È il nome di copertura che lei stessa aveva scelto quando si sarebbe
presentata a Berlusconi. La notte di Obama e le frasi alla stampa La seconda
volta, quando accetta di rimanere a palazzo Grazioli, Patrizia non solo
registra, ma riesce a scattare numerose foto. Materiale che la scorsa settimana
ha consegnato alla magistratura. Le sue dichiarazioni sono state ora confermate
da Barbara. Con loro c'è una ragazza pugliese, Lucia Rossini. Racconta
Patrizia: «Indossavo un bellissimo abito di Versace che mi era stato regalato
in un atelier di Bari dove lavora una mia amica. Loro erano sul divano. Lui le
accarezzava, ma guardava me. Poi decise che dovevo rimanere sola con lui e le
altre andarono via con Gianpaolo». Ci sono nastri che raccontano dettagli
intimi. Ma nel verbale è rimasto anche il ricordo della mattina successiva: «A
un certo punto mi disse che doveva allontanarsi per fare una dichiarazione ai
giornalisti sull'elezione del presidente americano. Mi disse di aspettarlo
perché voleva fare colazione con me. Io andai in bagno, feci le fotografie, poi
attesi il suo ritorno». Prima che arrivi il vassoio, il registratore ricomincia
a girare. Si sente una voce maschile chiedere: «Vuoi the o caffè?». Poi altre
frasi. Fino a quando Patrizia sta per uscire: «Berlusconi mi disse che mi
avrebbe accompagnato un suo segretario. Mi fecero salire su un'auto per uscire
dal palazzo. L'uomo mi disse che lavorava con Miti Simonetto». Il nastro con
incise queste parole è già a disposizione della Procura di Bari. L'incontro
registrato: «È stato carino?» Quando torna all'hotel Valadier Patrizia trova
Barbara. L'amica le chiede se le sia stata consegnata una busta e dice che lei
ha ottenuto soltanto mille euro. «Quando andai a villa Certosa aggiunge adesso
la Montereale Berlusconi mi regalò 10.000 euro». Insieme vanno all'hotel De
Russie dove le attende Tarantini. Il registratore di Patrizia ricomincia a
girare. «È andato tutto bene? Mi sembri un po' stanca», afferma lui. «No, tutto
benissimo», assicura lei. Le due donne ripartono per Bari in aereo. Quando
Patrizia riaccende il suo cellulare il servizio «Losaidi- Tim» l'avvisa di una
chiamata dal numero che la donna dice essere «il telefonino privato di
Berlusconi». Dopo qualche ora, una nuova chiamata. Il numero è lo stesso.
Patrizia risponde e registra la conversazione. «Bambina mia!» è il saluto di
lui. Poi le domanda come mai abbia la voce rauca. Lei spiega che «sono state le
docce». Parlano ancora, lui le chiede di tornare a Roma. In serata chiama
Tarantini. Anche lui si stupisce per la voce rauca di Patrizia. Lei fornisce la
stessa motivazione e aggiunge: «Mi ha detto che andava a Mosca e poi mi
richiamava ». «È stato carino?», chiede l'imprenditore. «Sì, sì. Ma tu dove
sei?». «Sono a Lecce. Ciao tesoro». Il nuovo invito: «Ti vuole vedere» Patrizia
sostiene di aver atteso invano che Berlusconi mantenesse la promessa di inviare
due persone per risolvere la sua pratica edilizia. E di avere per questo
rifiutato tutti gli inviti di Tarantini. Mentre a metà gennaio Barbara partiva
con destinazione villa Certosa, lei si negava. Ma Tarantini continuò a
insistere. Il 27 gennaio scorso la chiama al telefono: «Ti vuole vedere la
prossima settimana a Roma». Lei fa la preziosa: «Non lo so, io avevo chiesto di
rispettare la promessa ». «Ha chiesto di te». Appena due settimane prima
Patrizia aveva incontrato Dino, l'autista dell'imprenditore, che l'accompagnò a
verificare se la sua pratica al Comune fosse stata sbloccata. Scoprirono che
invece era tutto fermo. «Noemi ha la foto che ha dato a tutte» Il tempo passa e
non accade nulla, la rabbia di Patrizia monta. La donna fa sapere a Tarantini
di avere «le prove delle serate a Roma». Ad aprile viene candidata nella lista
«La Puglia prima di tutto». Ma quando Berlusconi arriva a Bari per presentare
le liste, gli uomini della sicurezza e del partito le impediscono di entrare
nella sala. Quanto basta perché Patrizia decida che «la mia avventura era
terminata». Chiama Barbara, vuole capire se Tarantini le ha riferito qualcosa.
Le racconta di aver «visto lui» soltanto in strada, davanti all'hotel Palace:
«Mi ha abbracciata e baciata». Non è vero, ma lo dice per far ingelosire
l'amica. Poi le chiede: «Tu hai ancora le foto di quando siamo andate a Roma?».
Barbara risponde convinta: «Certo! C'ho le foto del bagno e pure quelle del
soggiorno ». Patrizia passa ad altro argomento: «È arrivato lo sceicco, quello
di Dubai ». Barbara si mostra interessata: «Ma ce li dà i soldi?». Poi
ritornano sulla vicenda che riguarda Berlusconi. Barbara s'informa: «Ma tu vuoi
fare come Noemi? Quella deve fare il Festivalbar. Mi hanno detto che adesso le
fanno fare la televisione». E ancora: «Hai visto Noemi che lui gli ha dato la
foto come ce l'abbiamo noi? La foto sua, quella firmata. Allora la dava a tutte
». Parlano ancora del risentimento di Patrizia, che chiede a Barbara della
seconda volta che sono andate a palazzo Grazioli. «Ti ricordi come mi
corteggiava?», domanda. L'amica risponde: «Tutto davanti alle guardie del
corpo. Uno schifo. Tu sei un'altra come Noemi che gli può fare male». Gli
scatti con i volti noti Dall'alto in basso: Patrizia D'Addario accanto a Winsor
Harmon, l'attore americano che interpreta Thorne in Beautiful e poi Barbara
Montereale fotografata con Valeria Marini e Fabrizio Corona Fiorenza Sarzanini
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"Andai a cena dal Cavaliere vidi che Patrizia
restò da lui" (sezione: Obama)
BARI -
Ha 25 anni, lavora in città "in uno studio di ingegneria come arredatrice
di interni". Per un periodo ha vissuto a Torino. Lì ha lavorato come
impiegata della "Reale Mutua assicurazioni", "ramo liquidazione
sinistri". "Dipingo - aggiunge - e non sono, nonostante la mia bella
presenza, né una escort, né una modella". E' la terza ragazza che, la sera
del 4 novembre 2008, entrò a Palazzo Grazioli con Patrizia D'Addario, Barbara
Montereale e Gianpaolo Tarantini. La chiameremo L., come l'iniziale del suo nome
di battesimo. Perché ha chiesto a Repubblica - che ne conosce l'identità - un
anonimato "che mi consenta di continuare a lavorare e vivere serenamente a
Bari". Due giorni fa, L. è stata ascoltata dai militari della Guardia di
Finanza come testimone nell'inchiesta sul giro di prostituzione sull'asse
Bari-Roma-Costa Smeralda. E' stata ospite del presidente del Consiglio a
Palazzo Grazioli? "Sì". Quante volte? "Una sola volta". E'
stata ospite a Villa Certosa? "Mai". Chi la invitò a Palazzo
Grazioli? "Gianpaolo Tarantini". E' un suo amico? "Diciamo che
lo conosco. Ero stata tre anni fa ad una festa nella sua villa di Giovinazzo, a
nord di Bari. Poi, l'ho rivisto a fine ottobre del 2008 e in quell'occasione mi
disse: 'Perché non sali con me a Roma per una festa?'". Le disse da chi?
"Mi disse che sarebbe stata una bella sorpresa. Capii dove andavamo solo
quando, a Roma, all'hotel De Russie incontrai le altre due ragazze che vennero
con me". OAS_RICH('Middle'); Quali ragazze? "Patrizia e Barbara".
Le conosceva? "Mai viste prima. Mai più viste dopo". Patrizia si
presentò con il suo nome? "Non mi ricordo se mi disse di chiamarsi
Patrizia o Alessia, francamente". Tarantini le disse che Patrizia era una
escort? "No". E a lei offrì del denaro per quella serata? "Ma che
scherziamo? Nessun compenso". Sapeva se le altre due ragazze erano pagate?
"No. Né lo chiesi". Come raggiunse Roma? "Io salii in macchina
con Gianpaolo Tarantini e il suo autista". Ricorda il nome?
"Dino". E le altre due ragazze come arrivarono? "No so. Le
trovammo già lì". A che ora arrivaste a Palazzo Grazioli? "Credo di
non sbagliare se dico dopo le 23. Prima mangiammo qualcosa al De Russie io,
Gianpaolo e le due ragazze". Quindi era un dopocena? "In verità
mangiammo anche a Palazzo Grazioli. Io ricordo del gelato squisito". Come
arrivaste alla residenza del premier? "Sulla macchina di Tarantini. Una
berlina con i vetri scuri". All'ingresso, vi fermarono per un controllo?
"No. Gianpaolo chiamò dal cellulare per avvisare del nostro arrivo e non
ci fermò né controllò nessuno". Cosa ricorda di quella serata? "La
gentilezza del Presidente. La sua voglia di scherzare. Le canzoni napoletane.
Le sue barzellette". Ne ricorda qualcuna? "Ricordo che risi molto a
una barzelletta su un giocatore del Milan. Si dice che il Presidente racconti
barzellette pesanti, ma quella sera sentii solo cose delicate. Ricordo anche
che ci tenne molto a mostrarci le foto della sua famiglia". Le ricorda?
"La moglie Veronica, i figli e i nipoti. E poi le sue ville. Ci fece anche
vedere un dvd con un suo comizio e la sua visita alla Casa Bianca. Ci spiegò
che sarebbe dovuto partire presto per Mosca. Sapete, no? Dove
fece la battuta su Obama
abbronzato". Quanto rimaneste a Palazzo Grazioli? "Direi due, tre
ore". Durante la serata che tipo di rapporto notò tra Tarantini e il
presidente del Consiglio? "Gianpaolo dava del lei a Berlusconi. Il
Presidente era informale". E a voi come si rivolgeva? "Vi
sembrerà strano, ma a noi non si rivolgeva mai direttamente. Parlava, parlava,
ma senza chiamarci per nome". Ricevette dei regali quella sera? "Sì.
Dei gioielli a forma di farfallina e tartarughina. E anche delle
statuine". Che statuine? "A Palazzo Grazioli, il presidente ha un
Colosseo di pietra in cui ci sono delle figurine tipo bamboline di Thun. Io mi
ero avvicinata per guardare e il presidente mi disse: 'Ti piacciono? Dai,
prendine una'". E cosa raffigurano queste statuine? "Dei guerrieri.
Tipo gladiatori". Ve ne andaste da Palazzo Grazioli tutti insieme?
"No. Patrizia rimase". Si chiese perché? "Come vi ho già detto,
non mi piace fare domande. Sono una persona discreta". Possibile che non
chiese nulla né a Tarantini, né a Barbara? In fondo eravate arrivate insieme.
"Io non ho chiesto. Un'altra cosa è se ho immaginato. Ma le cose che
immagino le tengo per me. Quella sera me ne tornai in albergo e chiamai mia
madre per raccontarle". All'una di notte chiamò sua madre? "Ma sì.
Era una cosa così speciale quella che era successa". E a Patrizia non
chiese? "Patrizia non la rividi proprio. Né la mattina dopo. Né
successivamente. Perché io tornai il giorno dopo a Bari in macchina insieme a
Gianpaolo e all'autista". Tarantini la chiamò altre volte dopo quella
serata? "No. Io mi fidanzai e, forse, lo sentii ancora una volta. Ma non
per feste. Avevamo un amico comune che era un po' troppo pressante con me. E
mandai un sms a Gianpaolo chiedendogli di aiutarmi a liberarmi di
quell'insistenza". Che insistenza? "Cose private". Queste cose
che ha appena detto le ha raccontate anche alla Finanza? "Si". E la
Finanza le ha forse chiesto se, nel suo rapporto con Gianpaolo o anche in
quella sera di novembre c'è mai stata di mezzo la cocaina? "Non me lo
hanno chiesto. E comunque, io non consumo cocaina e non ho mai usato droghe. Né
quella sera, vidi droghe". Suo fratello ha avuto recentemente problemi con
la cocaina. E' stato accusato di spaccio. "A me non lo ha detto.
Evidentemente è una cosa che ha preferito tenere per lui. In famiglia teniamo
molto alla privacy". Le è mai stata offerta una candidatura politica?
"Mai". (21 giugno 2009
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Quel desiderio di democrazia (sezione: Obama)
Il
potere clericale iraniano esce malconcio, e macchiato di sangue, dal voto
espresso proprio nell'anno in cui è appena stato celebrato il trentesimo
anniversario della Repubblica islamica. Le imponenti, appassionate
manifestazioni nel centro di Teheran hanno inevitabilmente ricordato quelle
che, altrettanto imponenti e appassionate, nel 1978 e '79, vibrarono un colpo
fatale alla monarchia dei Pahlevi e decisero l'avvento della teocrazia
incarnata dall'ayatollah Khomeini. Questa volta le manifestazioni denunciano
come una truffa il risultato elettorale, e quindi sono rivolte contro coloro
che nel regime clericale si sono resi colpevoli dell'inganno. Trent'anni fa le
forze armate imperiali si decomposero, o si dichiararono neutrali, e lo scià
restò indifeso di fronte alla rivolta popolare, e se ne dovette andare. Adesso
il regime investito dalle proteste di massa dispone invece di milizie armate,
almeno per ora decise nei loro interventi repressivi. Mentre i manifestanti
sono disarmati. Nella settimana, tra il 12 e il 19 giugno, e ancora nella
giornata di ieri, gli slogan dei manifestanti non sembravano diretti contro la
Repubblica islamica in quanto tale. La folla scandiva spesso Allah akbar (Dio è
il più grande), parole annuncianti la "chiamata alla preghiera", e
scritte sulla bandiera iraniana. Ma al tempo stesso, chiedendo il rispetto del
voto che pensano sia stato truccato, i manifestanti rivendicano il diritto alla
democrazia. Al di là delle pratiche quotidiane, e degli intimi convincimenti,
la religione musulmana sciita è integrata all'identità nazionale iraniana. Ed è
quindi nel quadro dei suoi principi fondamentali che vengono denunciati gli
abusi del potere clericale, o di una parte di esso, poiché anche i riformatori
appartengono alla vecchia guardia della rivoluzione islamica. Tutto questo
rivela una profonda divisione all'interno del regime. Le manifestazioni
sembrano rispecchiare quella lotta intestina. Anche se le aspirazioni dei
giovani, e in generale della società inurbata che si è modernizzata negli
ultimi decenni, esprimono il genuino desiderio di democrazia.
OAS_RICH('Middle'); Un desiderio che non può lasciarci indifferenti. La
democrazia non si addice a una repubblica teocratica, la quale è di per sé
un'evidente contraddizione. Una contraddizione che trent'anni dopo diventa
esplosiva. E' in quanto responsabile degli abusi elettorali che l'ayatollah Ali
Khamenei, la Guida suprema, massima autorità del potere clericale, vede il suo
prestigio seriamente intaccato. Se non proprio a pezzi. In quanto a Mahmud
Ahmadinejad, solennemente riconfermato capo dell'esecutivo dallo stesso
Khamenei, si può dire che egli esce dalla vittoria elettorale come un
presidente contestato da milioni di iraniani, insomma come un presidente
dimezzato, perché su di lui continuerà a pesare il sospetto che la sua carica
sia basata su una truffa. Fondato o meno, quel sospetto non impedirà a Khamenei
e ad Ahmadinejad di esercitare il potere e di rappresentare l'Iran nei rapporti
con il resto del mondo. Nell'attesa di imprevedibili conseguenze, dovute alle
lotte in corso al vertice del regime, la Guida suprema e il Presidente della
Repubblica saranno gli interlocutori indiretti o diretti della superpotenza che
ha teso la mano alla Repubblica islamica e che attende una risposta nei
prossimi mesi, prima della fine dell'anno, stando a quello che ha fatto capire
Barack Obama. Nonostante i
rimproveri dei neocon, nostalgici del linguaggio in vigore durante la
presidenza di Bush jr, Barack Obama ha seguito la situazione iraniana con giusta severità. Non si è
risparmiato, in più occasioni, nell'esprimere simpatia e solidarietà ai
manifestanti di Teheran, senza tuttavia ricorrere agli anatemi un tempo
lanciati con generosità dalla Casa Bianca contro la Repubblica islamica.
Nessuno, nella Washington ufficiale, l'ha definita "asse del male". E
Barack Obama si è ben guardato dal prendere posizione
in favore di uno dei candidati. Se l'avesse fatto sarebbe stato accusato di
interferenza e comunque non avrebbe contribuito al successo del prescelto,
poiché il suo intervento avrebbe urtato l'orgoglio e il nazionalismo degli
iraniani. Ha invece fatto sapere che il futuro, eventuale interlocutore degli
Stati Uniti sarà quello eletto dal popolo. Adesso si possono avanzare seri
dubbi sull'autenticità dell'elezione di Ahmadinejad. E tuttavia non si deve
dimenticare che ci sono sempre stati dei dubbi sui riti democratici nella
Repubblica islamica. Sussistevano anche prima dell'apertura diplomatica
americana. La quale non viene certo agevolata da quel che è accaduto e potrebbe
ancora accadere a Teheran. Essa rischia di essere ritardata da imprevedibili
avvenimenti interni alla Repubblica islamica; e, se quegli avvenimenti fossero
ancora più sanguinosi di quelli verificatisi finora, dal modo in cui le opinioni
pubbliche democratiche li valuteranno. Ma la questione iraniana è al centro di
un'operazione da cui dipendono sia il successo o meno in politica estera del
presidente americano, sia i futuri rapporti tra il mondo musulmano e
l'Occidente. Né si deve dimenticare il capitolo della proliferazione delle armi
nucleari. L'operazione abbraccia direttamente l'area geopolitica più critica
del pianeta. Un'area che va dalla Palestina all'Afghanistan. Dal Pakistan
all'Iraq. E' difficile archiviarla. Per quanto coinvolti nelle lotte intestine,
né Khamenei né Ahmadinejad ignorano il rischio di isolamento che corre la loro
Repubblica islamica. Il primo è noto per il suo virulento anti-americanismo; il
secondo è celebre per le provocazioni antisemite e anti occidentali. Ma nel
discorso di venerdì, nel quale ha minacciato "un bagno di sangue" se
le manifestazioni continueranno, e ha confermato l'elezione di Ahmadinejad,
l'ayatollah Khamenei è stato persino patetico quando ha indicato l'Inghilterra
come il nemico numero uno dell'Iran. Doveva puntare il dito contro qualche
paese occidentale, e ha scelto, a sorpresa, il Regno Unito. Cosi ha tenuto
fuori gli Stati Uniti. E ha evitato di sbattere la porta in faccia a Barack Obama. Anche Ahmadinejad, nel suo primo discorso, ha evitato
le solite provocazioni. Neppure lui ha chiuso la porta. (21 giugno 2009
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