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Report "Obama"   18-19 luglio 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

Indonesia, bombe negli hotel nove morti e oltre 60 feriti ( da "Repubblica.it" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: rivoltanti" attentati è arrivata anche dal presidente statunitense, Barack Obama, che ha offerto l'aiuto degli Usa al governo indonesiano. Secondo il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, gli "esecrabili" attacchi "confermano la necessità di mantenere alta la guardia nella lotta contro il terrorismo internazionale".

la condanna di usa e ue obama: "pronti a prestare aiuto" ( da "Repubblica, La" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Esteri Le reazioni La condanna di Usa e Ue Obama: "Pronti a prestare aiuto" GIAKARTA - Dagli Stati Uniti all´Unione europea, tutta la comunità internazionale ha condannato gli attentati di ieri a Giakarta. «Il governo Usa è pronto ad aiutare il governo indonesiano» ha detto il presidente statunitense Barack Obama in un comunicato.

"non solo rapper, studiate per diventare giudici" - angelo aquaro ( da "Repubblica, La" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Storico intervento di Obama nel centenario dell´associazione per i diritti dei neri La crisi, dice il presidente al Naacp, colpisce tutti specie tra gli afroamericani Il dolore della discriminazione razziale è ancora molto sentito negli Usa ANGELO AQUARO DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Quando Barack Obama si è ribellato, finalmente,

il destino è nelle vostre mani - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Io voglio che tutti gli altri Barack Obama là fuori, tutte le altre Michelle Obama là fuori, abbiano le stesse chance, quelle che mia madre mi ha dato, quelle che la mia istruzione mi ha dato, quelle che gli Stati Uniti d´America mi hanno dato. è così che l´America potrà fare progressi nei prossimi cento anni.

l'oms avverte "il virus avanza a gran velocità" ( da "Repubblica, La" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Intanto il presidente Usa Barack Obama, il prossimo 9 e 10 agosto volerà in Messico, per partecipare al summit dei leader nordamericani, che sarà anche l´occasione per elaborare una strategia contr il virus. E il ministero del Welfare ha dato una serie di consigli per chi viaggia all´estero: evitare i luoghi affollati, coprire la bocca con un fazzoletto,

"la mia vita da cane (fortunato) alla casa bianca" - angelo aquaro new york ( da "Repubblica, La" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Commenti Sul New York Times un curioso editoriale Scritto in prima persona dal cucciolo di casa Obama "La mia vita da cane (fortunato) alla Casa Bianca" Un gioco di scrittura dedicato all´animale di Masha e Malia ANGELO AQUARO NEW YORK dal nostro inviato "La stampa si diverte a mettere a confronto le mie caratteristiche con quelle degli altri cani presidenziali.

E' probabile ( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: DI OBAMA AI NERI di GIOVANNI BELARDELLI E' probabile che il discorso tenuto dal presidente Obama per i cento anni dell'«Associazione per il progresso della gente di colore» sarà ricordato soprattutto per un motivo. E cioè per la sollecitazione rivolta ai molti giovani neri d'America poveri, emarginati, disoccupati a considerarsi responsabili essi stessi del proprio destino,

Giacarta, kamikaze negli hotel. Nove morti ( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente americano Barack Obama, che da bambino ha trascorso alcuni anni proprio a Giacarta, ha promesso «assistenza e aiuto: rimarremo al vostro fianco come amici e partner». Si chiude così un periodo di quattro anni che aveva fatto sperare all'Indonesia di aver superato la crisi scatenata da una serie di spaventosi attentati,

L E P AROLE ( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ha descritto la condizione di disuguaglianza nella quale molti di loro ancora oggi si trovano, che va affrontata soprattutto a livello del sistema educativo. Qui, appunto, è intervenuto il suo richiamo alla responsabilità di ciascuno, artefice del proprio destino quale che sia la sua condizione di vita.

Incidente sfiorato col Vaticano i vescovi conservatori ( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Evitato lo scontro diplomatico alla vigilia della visita di Obama Incidente sfiorato col Vaticano «Zittiti» i vescovi conservatori Adesso che la visita fra Benedetto XVI e Barack Obama c'è stata, le tensioni si sono stemperate. Anzi, il colloquio del 10 luglio scorso è andato «meglio del previsto», nelle parole del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato della Santa Sede.

Il First Dog festeggia i 100 giorni ( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Parola anzi guaito di Bo, il cane degli Obama: con un ironico articolo di Ben Greenman il New York Times festeggia i 100 giorni del «water dog» portoghese alla Casa Bianca. Bo chiede scusa per il suo istinto «pescatore»: «Ricordate quando ho addentato il microfono di un reporter? Pensavo fosse un pesce».

LA COLONIZZAZIONE SARA' AL POLO SUD ( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il successore Barack Obama nei mesi scorsi ha approvato in linea di principio la strategia ma ha formato una commissione per vedere nei dettagli come procedere. Alla fine di agosto sapremo, e la previsione è che la Casa Bianca voglia coinvolgere nell'iniziativa anche altre nazioni analogamente a quanto è stato fatto per la stazione spaziale internazionale.

( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ora c'è Obama. «Possiamo anche credere che sia meglio. Ma non ho gli elementi per dire che adesso per i neri sono finiti i soprusi e le ingiustizie. Certo, è positivo per tutti noi, anche i neri repubblicani devono essere orgogliosi. Ma quanto il miglioramento sia reale, non so.

E' morto Walter Cronkite Addio alla voce dell'America ( da "Repubblica.it" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: icona e un amico caro - ha detto il presidente Barack Obama - Walter fu sempre qualcosa in più di un presentatore: qualcuno a cui ci potevamo affidare perchè ci guidasse attraverso i temi più importanti del giorno, la voce della certezza in un mondo incerto. Era come uno di famiglia. Ci invitava a credergli e non ci deluse mai".

Juan Cole: "Così Rafsanjani si candida a leader della protesta" ( da "Stampaweb, La" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Engaging the Muslim World» molto apprezzato da Barak Obama, spiega la scelta dell?ex presidente iraniano di contestare pubblicamente il risultato delle ultime elezioni durante la preghiera del venerdì. Chi compone la borghesia rivoluzionaria? «Si tratta della classe economica iraniana che si è arricchita di più dopo la rivoluzione del 1979.

L'America piange Walter Cronkite, icona del giornalismo statunitense ( da "Stampaweb, La" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente Barack Obama ha detto che Cronkite «era una voce di certezza in un mondo incerto». L?ex-presidente George W. Bush lo ha definito «una icona del giornalismo americano». A lui sono legati, nella memoria collettiva degli americani, alcuni degli eventi che hanno plasmato la storia della nazione negli ultimi decenni.

Obama ai giovani afroamericani "Studiate per diventare giudici" ( da "Repubblica.it" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Quando Barack Obama si è ribellato, finalmente, all'ultimo padrone, quel tele-prompter, il gobbo, che gli confeziona i discorsi più convincenti, la gente, la sua gente giù in platea, è esplosa in un boato: "Guido per Harlem", ha urlato andando a braccio "scendo per il South Side di Chicago, vedo tutti quei ragazzi buttati agli angoli delle strade,

Indonesia, bombe negli hotel otto morti e oltre 60 feriti ( da "Repubblica.it" del 18-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: rivoltanti" attentati è arrivata anche dal presidente statunitense, Barack Obama, che ha offerto l'aiuto degli Usa al governo indonesiano. Secondo il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, gli "esecrabili" attacchi "confermano la necessità di mantenere alta la guardia nella lotta contro il terrorismo internazionale".

Calabresi stasera a Borghetto presenta il suo ultimo libro ( da "Stampa, La" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: lunga traversata degli Stati Uniti al seguito della campagna elettorale di Barak Obama. Un viaggio di 156 pagine con tanta America, aperte però dalla storia italianissima della nonna dell'autore, Maria Teresa, morta nelle scorse settimane, a 94 anni, che fu salvata in fasce dal gesto generoso di un medico che l'aveva rianimata e accudita, quando ormai tutti la davano per spacciata.

Walter Cronkite il giornalista perfetto ( da "Stampa, La" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Come ha confermato ieri il presidente Obama: «Era una voce di certezza in un mondo incerto». David Halberstam, in The Powers that be, un libro duro e senza compiacimenti sul giornalismo americano, scrive di lui: «Fin dall'inizio, è stato uno dei reporter più attivi, selvaggiamente competitivo: nessuno poteva battere Cronkite su una storia,

Versione maggiorata dello Sport Activity diventato status symbol È un antidepressivo ( da "Stampa, La" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: PIERO BIANCO INVIATO AD ATLANTA Pazienza se Obama sponsorizza compatte vetture eco-friendly. Nel paese delle grandi contraddizioni gli automobilisti faticano a indossare il cilicio, continuano a sognare prestazioni da brivido, cavalli, coppie impetuose. Amano le supercar, e se le comprano un po' meno è soltanto per la crisi dell'economia, non delle vocazioni.

"Vi serve Obama non Pulcinella" ( da "Stampa, La" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: "Vi serve Obama non Pulcinella" La riunione di Sorrento è appena finita, la lettera per il premier Berlusconi con la richiesta di più attenzione al Mezzogiorno è ancora da recapitare, e già il Nord sferra il primo attacco. «Al Sud serve Obama non Pulcinella», provoca il ministro leghista Roberto Calderoli.

inchiesta della camera sul piano cia per assassinare i leader di al qaeda ( da "Repubblica, La" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Inchiesta della Camera sul piano Cia per assassinare i leader di Al Qaeda WASHINGTON - Cia nella bufera: l´amministrazione Obama vuole un team speciale per gli interrogatori dei sospetti terroristi, togliendoli così all´agenzia. Sul modo in cui la Cia ha gestito la vicenda del piano per assassinare i leader di Al Qaeda, la commissione intelligence della Camera avvierà un´inchiesta.

"sicurezza? napolitano equilibrato" - rodolfo sala ( da "Repubblica, La" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama, non di un Pulcinella che si lamenta sempre». Bossi è ancora più tranchant: «Partito del Sud? Non seguo le stupidaggini». Infine una nota personale: «Da cattivo che ero ora sono un mediatore». Lo dice a proposito dell´incontro di lunedì in via Bellerio con Giulio Tremonti e Letizia Moratti, servito al sindaco di Milano per impegnare il governo a rivedere il patto di stabilità,

ron english, sovversivo e pop "sono il michael moore dell'arte" - simone mosca ( da "Repubblica, La" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Su un finto cartellone del Viagra era finito pure il repubblicano John McCain, sconfitto da Obama. Il claim era: "I wanna be erected". Almeno questo gli sarà riuscito? «Bisognerebbe chiederlo alla moglie, ora ha più tempo per questo genere di faccende». Ron English, ha ringraziato Obama per tanto successo o è stato Obama a ringraziare lei?

la convalescenza del papa "dovrà rinviare il suo libro" - marco politi ( da "Repubblica, La" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ricordato il recente incontro tra Benedetto XVI e Obama, definendolo «fruttuoso». La Santa Sede, ha soggiunto, si augura che il presidente americano mantenga l´impegno di «diminuire gli aborti» e garantire l´obiezione di coscienza dei sanitari. In Vaticano Obama ha fatto molta impressione. Si è capito che un´opposizione frontale sui temi etici sarebbe stata controproducente nell´

Deputati del Pdl in campo ( da "Corriere della Sera" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Roberto Calderoli sceglie invece la provocazione: «Al Sud serve un'Obama, non un Pulcinella», suscitando la reazione stizzita di Miccichè: «E lui chi è? L'Obama del Nord?». Ma il ministro Gianfranco Rotondi prende sul serio il discorso: «Non sottovalutiamo il problema: rischia di essere un giro di boa della legislatura».

Il Senatur: bene il Colle Tagliando al governo? No, meglio nuove idee ( da "Corriere della Sera" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Berlusconi potrebbe utilizzare in chiave anti-Lega, per mettere dei paletti al sempre esigente Carroccio. Roberto Calderoli, commentando l'iniziativa di Giancarlo Micciché, era stato ironico: «Il Sud ha bisogno di Obama, non di Pulcinella». Bossi è ancora più secco: «Non seguo le stupidaggini». Marco Cremonesi

Che pianse per la morte di JFK ( da "Corriere della Sera" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Nel ricordarlo, Barack Obama ha detto una frase importante: «In an era before blogs and emails, cellphones and cable, HE was the news» (in un'epoca senza blogs, email, cellulari e satellite, LUI era la notizia). Ha poi aggiunto: «Il Paese ha perso un'icona e un amico caro.

Addio a Cronkite. Obama: un'icona>( da "Corriere della Sera" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama: un'icona Scompare a 92 anni il più grande telegiornalista della storia WASHINGTON Si è spento a 92 anni Walter Cronkite, il leggendario giornalista che per un ventennio, dal '62 allo '81, diresse e presentò il telegiornale della Cbs, facendo della tv il «news medium» dominante del secolo e divenendo,

Hillary torna in scena con il viaggio in India ( da "Corriere della Sera" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Tina Brown esorta Barack Obama a «consentire alla tua invisibile donna di stato di togliersi il burqa ». «La politica estera americana oggi è elaborata dai consiglieri di Obama, non da Hillary », le fa eco sul Washington Post il columnist Jim Hoagland. «Non faccio attenzione a queste dicerie», ribatte Hillary indispettita, spiegando che «mi sono rotta il gomito,

Senza limiti ( da "Stampaweb, La" del 19-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: INVIATO AD ATLANTA Pazienza se Obama sponsorizza compatte vetture eco-friendly. Nel paese delle grandi contraddizioni gli automobilisti faticano a indossare il cilicio, continuano a sognare prestazioni da brivido, cavalli, coppie impetuose. Amano le supercar, e se le comprano un po?


Articoli

Indonesia, bombe negli hotel nove morti e oltre 60 feriti (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

GIACARTA - L'Indonesia è ripiombata nell'incubo del terrorismo: due esplosioni quasi simultanee, provocate da altrettanti attentatori suicidi, hanno sventrato i ristoranti degli hotel Marriott e Ritz-Carlton a Giakarta, causando nove morti e oltre 60 feriti. Tra questi ultimi 18 sono stranieri, ma la Farnesina afferma che non si ha notizia di italiani coinvolti, anche se un iniziale elenco stilato dalla polizia indonesiana parlava anche di nostri connazionali. Il primo ordigno è esploso al Marriott alle 7.45 locali (le 2.45 in Italia), uccidendo sei persone. Due minuti dopo il secondo kamikaze si è fatto esplodere nell'adiacente Ritz-Carlton, provocando altri tre morti. Alte colonne di fumo si sono alzate dai due alberghi di lusso, con la strada di fronte disseminata di macerie. Gli attentatori del Marriott, il cui numero non è ancora stato accertato, pernottavano nell'albergo da due giorni e lì avrebbero preparato i loro ordigni: nella loro camera, al diciottesimo piano, gli artificieri hanno poi disinnescato una bomba inesplosa, nascosta nella custodia di un laptop. Nuovi indizi potrebbero essere forniti dai video a circuito chiuso: le telecamere del Ritz-Carlton hanno ripreso un uomo, con un cappellino in testa e un piccolo trolley, che entrava nell'albergo pochi minuti prima della deflagrazione. Secondo le autorità, figurano tra le vittime americani, canadesi, britannici, australiani, neozelandesi, olandesi, indiani, sudcoreani e norvegesi. La squadra del Manchester United, che avrebbe dovuto soggiornare al Marriott da domani, ha annullato la tappa indonesiana del suo tour asiatico: i 73 mila biglietti per l'incontro della squadra inglese contro una selezione locale, in programma per lunedì, erano esauriti da tre settimane. OAS_RICH('Middle'); E' "un attacco crudele e disumano, una grave ferita per la sicurezza nazionale", ha dichiarato il presidente indonesiano, Susilo Bambang Yudhoyono, trionfalmente rieletto la settimana scorsa anche sulla base della migliorata sicurezza nel Paese. Una condanna dei "rivoltanti" attentati è arrivata anche dal presidente statunitense, Barack Obama, che ha offerto l'aiuto degli Usa al governo indonesiano. Secondo il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, gli "esecrabili" attacchi "confermano la necessità di mantenere alta la guardia nella lotta contro il terrorismo internazionale". In assenza di una rivendicazione, tutti i sospetti si dirigono verso la Jemaah Islamiyah ("comunità islamica"), una rete terroristica regionale legata ad Al Qaida, che combatte per l'istituzione di un califfato nel sud-est asiatico. Dopo aver messo la firma su quattro attentati in Indonesia tra il 2002 e il 2005 - tra cui quello di Bali dell'ottobre 2002, che causò 202 morti, e un'autobomba che uccise 12 persone proprio davanti allo stesso hotel Marriott nell'agosto 2003 - si credeva che i quadri dell'organizzazione fossero stati decimati dalla lotta al terrorismo portata avanti dalle autorità indonesiane. Le elezioni parlamentari dello scorso aprile avevano evidenziato anche un brusco calo dei consensi per i partiti di matrice islamica. Ma la Jemaah ha già dimostrato di essere organizzata in cellule indipendenti, che ne fanno una sorta di mostro a più teste. Il sospetto degli analisti è che gli attentati di oggi possano essere stati compiuti proprio da un piccolo gruppo di irriducibili. Magari indeboliti, ma ancora in grado di colpire mortalmente. (17 luglio 2009

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la condanna di usa e ue obama: "pronti a prestare aiuto" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 4 - Esteri Le reazioni La condanna di Usa e Ue Obama: "Pronti a prestare aiuto" GIAKARTA - Dagli Stati Uniti all´Unione europea, tutta la comunità internazionale ha condannato gli attentati di ieri a Giakarta. «Il governo Usa è pronto ad aiutare il governo indonesiano» ha detto il presidente statunitense Barack Obama in un comunicato. «Gli attentati - aveva dichiarato il segretario di Stato Usa Hillary Clinton in viaggio verso l´Asia per colloqui in India e Thailandia - ci ricordano che la minaccia del terrorismo resta concreta». Indignazione è stata espressa anche dal segretario generale dell´Onu Ban Ki-moon e da quello dell´Organizzazione della conferenza islamica (Oci) Ekmellin Ihsanoglu come pure dalla presidenza svedese dell´Ue.

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"non solo rapper, studiate per diventare giudici" - angelo aquaro (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 19 - Esteri "Non solo rapper, studiate per diventare giudici" Storico intervento di Obama nel centenario dell´associazione per i diritti dei neri La crisi, dice il presidente al Naacp, colpisce tutti specie tra gli afroamericani Il dolore della discriminazione razziale è ancora molto sentito negli Usa ANGELO AQUARO DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Quando Barack Obama si è ribellato, finalmente, all´ultimo padrone, quel tele-prompter, il gobbo, che gli confeziona i discorsi più convincenti, la gente, la sua gente giù in platea, è esplosa in un boato: «Guido per Harlem», ha urlato andando a braccio «scendo per il South Side di Chicago, vedo tutti quei ragazzi buttati agli angoli delle strade, e allora dico: potrei essere io, lì, ma grazie a Dio è andata diversamente». Grazie a Dio, e per volontà della nazione. Nella sala dell´Hilton Hotel, addobbata di festoni e palloncini per i cent´anni del Naacp, la più antica associazione per i diritti civili, Obama riscopre l´orgoglio nero. «Noi lo sappiamo: anche se la crisi economica colpisce gli americani di ogni razza, tra gli afroamericani ci sono più disoccupati». Boato. «Sembra un sermone», chioserà il New York Times, e infatti i delegati cominciano a fargli eco con il classico "amen" delle funzioni religiose: l´origine del blues. Se ne accorge, Obama. «Ehi», scherza «ho creato un angolo della preghiera». In campagna elettorale, nei primi cento giorni, il presidente non aveva mai esaltato le sue origini. Anzi. Ora gli analisti sottolineano che mai come adesso, stretto tra la crisi, le riforme che reclamano nuove tasse e le critiche per la scelta della latina Sotomayor alla Corte Suprema, il presidente ha bisogno del sostegno della comunità nera, magari nella forma lobbistica che il Naacp, 300 mila iscritti e 30 milioni di budget, può garantire. «Make no mistake», dice il presidente: non facciamo errori, non illudiamoci. «Il dolore della discriminazione è ancora sentito in America». Dice cose di sinistra, Obama. Parla di responsabilità. «Allontanate dai nostri figli l´Xbox, metteteli a letto presto. Non possono tutti aspirare a essere il prossimo Le Bron o Lil Wayne», dice, additando i due miti, del basket e del rap, dei giovani. «Io voglio che i nostri figli aspirino a diventare scienziati e ingegneri dottori e insegnanti, non solo giocatori di basket e rappers. Io voglio che i nostri figli aspirino a diventare giudici della Corte Suprema. Io voglio che aspirino a diventare presidente degli Stati Uniti». In sala c´è ancora chi urla "Amen".

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il destino è nelle vostre mani - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 19 - Esteri La strada da fare Una nuova mentalità Il dovere dei genitori IL DESTINO è NELLE VOSTRE MANI Il discorso Sappiamo che mentre la crisi economica colpisce tutti, gli afro-americani sono colpiti più di tutti gli altri Ci serve però una nuova mentalità. Dovremo dire ai nostri figli: "Non ci sono scuse, fatevi un´istruzione" Non possiamo dire ai nostri giovani di andare bene a scuola e poi non aiutarli quando tornano a casa (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Sappiamo che nel momento in cui i costi alle stelle dell´assistenza sanitaria opprimono famiglie di tutte le razze, gli afro-americani hanno maggiori possibilità di essere colpiti da molteplici malattie, ma molte minori possibilità di avere accesso a un´assicurazione medica di qualsiasi altro gruppo etnico. Sappiamo che anche se mettiamo in prigione più persone di tutte le razze di qualsiasi altra nazione al mondo, un bambino afro-americano ha più o meno il quintuplo delle possibilità in più di un bambino bianco di vedere l´interno di un carcere. Sappiamo che anche se la piaga del virus Hiv/Aids devasta intere nazioni all´estero, specialmente in Africa, questa piaga colpisce in modo ancor più devastante la comunità afro-americana, con una violenza che non ha paragoni. Conosciamo bene tutte queste cose. Cercate di non cadere in errore: il dolore della discriminazione si avverte ancora in America. Lo avvertono le donne afro-americane retribuite meno dei loro colleghi di colore diverso e di sesso diverso per svolgere un medesimo lavoro. Lo avvertono i latino-americani che non si sentono bene accolti nel loro stesso Paese. Lo avvertono gli americani musulmani guardati con sospetto soltanto perché per pregare il loro Dio si inginocchiano a terra. Lo avvertono i nostri fratelli e le nostre sorelle omosessuali, ancor oggi denigrati e aggrediti, che si vedono negare i loro diritti. Negli Stati Uniti d´America non deve esserci posto per i pregiudizi. Questa è la nostra responsabilità di capi. Ma questi programmi innovativi, queste opportunità allargate di per sé e da sole non faranno la differenza. Ci serve una nuova mentalità. Dovremo dire ai nostri figli: "Sì, se sei afro-americano le possibilità di crescere tra criminali e gang sono sicuramente maggiori. Sì, se vivi in un quartiere povero, dovrai affrontare pericoli e minacce con i quali non dovrà cimentarsi chi vive in quartieri benestanti. Ma queste non sono ragioni valide per avere brutti voti a scuola, o per bigiare la scuola, o per abbandonare la scuola rinunciando a farti un´istruzione. Nessuno ha scritto il tuo destino per te. Il tuo destino è nelle tue mani: non dimenticarlo". Questo è quanto dobbiamo dire a tutti i nostri figli: "Non ci sono scuse. Non ci sono giustificazioni. Fatti un´istruzione: tutte quelle difficoltà ti renderanno soltanto più forte, e maggiormente in grado di competere". Yes, we can. E per quanto riguarda i genitori, non possiamo dire ai nostri giovani di andare bene a scuola e poi non aiutarli quando tornano a casa. Voi genitori non potete esimervi dal fare i genitori. Perché i nostri ragazzi eccellano, dobbiamo assumerci le nostre responsabilità e aiutarli a imparare. Questo significa mettere via l´Xbox, mandarli a letto a un´ora ragionevole. Significa anche spingere i nostri figli ad avere ambizioni più alte, a guardare più lontano. Possono anche pensare di aver fatto un bel salto e un tiro a canestro o composto un brano rap, ma i nostri figli non possono aspirare tutti a diventare Le Bron o Lil Wayne. Io vorrei che ambissero a diventare scienziati e ingegneri, medici e professori, non soltanto giocatori di basket e rapper. Io voglio che aspirino a diventare giudici della Corte Suprema. Voglio che aspirino a diventare presidenti degli Stati Uniti d´America. Si tratta di un sogno semplice, eppure è un sogno che per troppo tempo è stato negato ed è tuttora negato a molti americani. Io sono stato cresciuto da mia mamma, una ragazza madre. Non provengo da una famiglia ricca. Ho avuto la mia buona dose di problemi da piccolo e la mia vita in qualsiasi momento avrebbe potuto prendere una piega negativa. Io però ho avuto dei freni e tanti "paletti". Mia madre mi ha dato amore, mi ha spinto sempre avanti, si è interessata ai miei studi, mi ha insegnato a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Grazie a lei, ho avuto l´opportunità di sfruttare al meglio le mie qualità. Ho avuto l´opportunità di ottenere il massimo dalle mie chance e la chance di ottenere il massimo dalla vita. La stessa cosa vale anche per Michelle. Ma vale anche per molti, moltissimi di voi. Io voglio che tutti gli altri Barack Obama là fuori, tutte le altre Michelle Obama là fuori, abbiano le stesse chance, quelle che mia madre mi ha dato, quelle che la mia istruzione mi ha dato, quelle che gli Stati Uniti d´America mi hanno dato. è così che l´America potrà fare progressi nei prossimi cento anni. Noi faremo progressi. Questo lo so per certo, perché so quanto lontano siamo già arrivati. Alcuni hanno visto che settimana scorsa in Ghana Michelle e io abbiamo portato Malia e Sasha e mia suocera al Castello di Cape Coast. Forse alcuni di voi ci sono stati: è lì che un tempo i neri catturati erano incarcerati prima di essere venduti all´asta. è da lì che al di là di un oceano ebbe inizio l´esperienza afro-americana di molti di noi. Mi sono tornati vivi alla memoria tutto il dolore, tutte le difficoltà, tutte le ingiustizie e tutte le bassezze che hanno costellato il cammino dalla schiavitù alla libertà. Ma se John Levis poté sfidare le botte e le mazzate per attraversare un ponte, allora io so che i giovani di oggi possono fare la loro parte e migliorare la nostra comunità. Se lo zio di Emmet Till, Mose Wright, poté trovare il coraggio di testimoniare contro gli uomini che gli avevano ammazzato il nipote, io so che noi possiamo essere padri migliori, fratelli migliori, sorelle migliori e madri migliori nelle nostre famiglie. E tra altri cento anni, in occasione del duecentesimo anniversario della fondazione della Naacp, si dirà che questa generazione fece la sua parte, che anche noi avemmo la meglio nella nostra sfida, e che pieni della fede che il nostro cupo passato ci ha insegnato ad avere, pieni della speranza che il presente ci offre, noi vedemmo sorgere, nelle nostre vite e in tutta la nostra nazione, il Sole di un nuovo giorno appena iniziato. Traduzione di Anna Bissanti

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l'oms avverte "il virus avanza a gran velocità" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 21 - Esteri Nuova influenza L´Oms avverte "Il virus avanza a gran velocità" ROMA - La pandemia di nuova influenza si sta propagando a una velocità "senza precedenti". lo dice l´Organizzazione mondiale della sanità (Oms), secondo cui Il virus H1N1 ha fatto in sei settimane quello che altri virus fecero in sei mesi. Intanto il presidente Usa Barack Obama, il prossimo 9 e 10 agosto volerà in Messico, per partecipare al summit dei leader nordamericani, che sarà anche l´occasione per elaborare una strategia contr il virus. E il ministero del Welfare ha dato una serie di consigli per chi viaggia all´estero: evitare i luoghi affollati, coprire la bocca con un fazzoletto, lavare frequentemente le mani. Il vaccino contro la nuova influenza A «sarà disponibile da ottobre in poi: la produzione necessita di tempo e, comunque, l´immunizzazione dei bimbi non è ritenuta prioritaria dalla stessa Oms». è il parare di Fabrizio Pregliasco, virologo dell´Università di Studi di Milano, che commenta così le parole del presidente della Federazione medici pediatri Giuseppe Mele, che ieri ha proposto di estendere la vaccinazione contro il virus a tutta la popolazione da 6 mesi in poi.

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"la mia vita da cane (fortunato) alla casa bianca" - angelo aquaro new york (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 42 - Commenti Sul New York Times un curioso editoriale Scritto in prima persona dal cucciolo di casa Obama "La mia vita da cane (fortunato) alla Casa Bianca" Un gioco di scrittura dedicato all´animale di Masha e Malia ANGELO AQUARO NEW YORK dal nostro inviato "La stampa si diverte a mettere a confronto le mie caratteristiche con quelle degli altri cani presidenziali. Io trovo che sia prematuro e non aiuti. Gli altri presidenti arrivarono al potere in tempi diversi e soprattutto dovettero confrontarsi con sfide diverse". Cani presidenziali? Un cane che parla? Tranquilli, siamo solo all´inizio: "E poi, permettetemi di soffermarmi brevemente sul cane al quale vengo più spesso messo a confronto. Fala raggiunse Franklin Delano Roosevelt nel novembre del 1940, e subito catturò l´immaginazione nazionale...". Ok, basta così: non possiamo mica andare avanti con lo scherzo all´infinito. Sì, certo, l´autorevolissimo New York Times l´ha fatto, ieri, ma qui giocano in casa, riferimenti a fatti e persone esistenti sono puramente voluti, e soprattutto comprensibili. E allora, traduciamo: chi parla, con proprietà di linguaggio e argomentazione praticamente clonata dall´illustre padrone, è niente poco di meno che Bo, il cane d´acqua portoghese che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha regalato, come da promessa elettorale, alle due figliolette, Masha e Malia. Il quale parla, ovviamente, nella finzione di uno scrittore a cui il giornale di New York ha pensato bene di affidare la "traduzione" dei pensieri. Il titolo del pezzo comparso nella sezione Opinioni, quella che raccoglie editorialisti del calibro del Nobel Paul Krugman, era inequivocabile: "The Fist Hundred (Dog) Days", i primi cento giorni, come si usa con i presidenti. Da cane però. O da cani, a seconda dei punti di vista. L´autore, Ben Grenman, è un giovane scrittore, classe 1969, sodale di autori del calibro di Jonatha Lethem, già autore di interviste più o meno impossibili a dive come Paris Hilton e giganti indie rock tipo Sonic Youth. Ma lo scherzo del Nyt è la spia di quanto la Bo-mania stia rischiando di sfiorare i livelli della (ben più giustificata) Obama. mania. Il first dog - un cane d´acqua portoghese, specie praticamente protetta negli Usa, al punto che gli aspiranti proprietari devono superare un esame - campeggia nelle trasmissioni tv e nelle vignette satiriche. E nelle librerie va a ruba l´ultima cino-grafia, "First Dog" appunto, testi di Lewis e Zappitello, illustrazioni del celebre Tim Bowers. Lo slogan pubblicitario? Può un cane trovare la casa perfetta? Yes, he can. Peccato che proprio il fatto di essere un cane di razza, e per di più protetta, abbia portato all´inzio più politica che simpatia alla Casa Bianca. I militanti della Peta hanno perfino criticato il presidente per non aver dato il buon esempio adottando un bastardo (in campagna elettorale era stato lui stesso a scherzarci su: "Il cane che sceglierò? Un bastardo, come me"). Non aiuta neppure lo sfarzo di cui gli ospiti di Barack circondano il first dog: vedi, in tempi di crisi, la ciotola di Swaroski regalo di un leader di un paese dell´est. Dalla Casa Bianca, ieri, nessuna reazione all´editoriale-metafora. Ma Barack, si sa, a ben altro a cui pensare. Almeno Bo una risposta poteva darla.

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E' probabile (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 18/07/2009 - pag: 1 Il discorso LE PAROLE «SCORRETTE» DI OBAMA AI NERI di GIOVANNI BELARDELLI E' probabile che il discorso tenuto dal presidente Obama per i cento anni dell'«Associazione per il progresso della gente di colore» sarà ricordato soprattutto per un motivo. E cioè per la sollecitazione rivolta ai molti giovani neri d'America poveri, emarginati, disoccupati a considerarsi responsabili essi stessi del proprio destino, a non evocare come giustificazione della loro condizione sempre e solo le cause sociali. CONTINUA A PAGINA 16

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Giacarta, kamikaze negli hotel. Nove morti (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 18/07/2009 - pag: 6 Giacarta, kamikaze negli hotel. Nove morti Sospetti sulla Jamaa Islamiya. La polizia: feriti italiani. Ma la Farnesina smentisce DAL NOSTRO INVIATO PECHINO Per due giorni hanno sorriso agli altri turisti e uomini d'affari incrociandoli nei corridoi o negli ascensori. Magari hanno anche scambiato qualche parola sul caldo di Giacarta: parole di circostanza, tanto per non far sorgere sospetti. E infatti nessuno si è accorto di loro fino a che, ieri mattina, poco prima delle otto (le due di notte in Italia), i due kamikaze non si sono fatti esplodere devastando il ristorante dell'Hotel Marriott e la lobby del Ritz-Carlton, due alberghi di lusso a poca distanza l'uno dall'altro nel moderno distretto finanziario della capitale indonesiana. Gli ordigni trasportati dagli attentatori erano così potenti che alcuni testimoni hanno raccontato di aver sentito «tremare l'intero edificio ». Spaventosa la scena che si sono trovati di fronte i primi soccorritori: sangue ovunque, vetri e detriti che avevano trasformato gli spazi lussuosi dei due alberghi in un campo di battaglia. Nove le vittime accertate, tra cui diversi stranieri, una sessantina i feriti: la polizia ha affermato che anche alcuni italiani erano stati trasportati in ospedale. La Farnesina non ha confermato. Un filmato, registrato dalle telecamere di sicurezza, mostra gli ultimi istanti del kamikaze che ha preso di mira il Ritz-Carlton. L'uomo, vestito di scuro, con un cappello da baseball, trascina una valigia verso l'interno dell'hotel: pochi attimi più tardi, un'esplosione trasforma l'atrio in un inferno. Il presidente Susilo Bambang Yudhoyono, rieletto da un paio di settimane dopo aver promesso «stabilità e sicurezza», è comparso in tv visibilmente scosso. «So che molti di noi sono preoccupati, addolorati, e piangono in silenzio, come me ha detto . Gli attentatori non hanno umanità e non gli interessa se il nostro Paese verrà distrutto, perché questo atto terroristico avrà un grande impatto sulla nostra economia, il turismo, la nostra immagine nel mondo». Il presidente americano Barack Obama, che da bambino ha trascorso alcuni anni proprio a Giacarta, ha promesso «assistenza e aiuto: rimarremo al vostro fianco come amici e partner». Si chiude così un periodo di quattro anni che aveva fatto sperare all'Indonesia di aver superato la crisi scatenata da una serie di spaventosi attentati, per lo più attribuiti alla Jamaa Islamiya. Con una serie di operazioni e arresti, la polizia aveva ridotto al silenzio il gruppo, autore di attacchi come quelli di Bali del 2002 (202 morti), quelli nello stesso hotel Marriott di Giacarta (2003, 12 morti) o di fronte all'ambasciata australiana (2004, 11 morti) e di nuovo a Bali (2005, 23 morti). Il doppio assalto di ieri non è stato rivendicato. Ma le modalità lasciano pochi dubbi sugli autori. Gli inquirenti devono ancora capire come i terroristi siano riusciti a trasportare esplosivo e detonatori all'interno degli alberghi, protetti da misure di sicurezza che sembravano impossibili da superare. I due kamikaze erano alloggiati dal 15 luglio nella stanza 1808 del Marriott. Lì hanno preparato gli ordigni, lasciandone uno pronto in una borsa per computer che la polizia ha disinnescato ore dopo la tragedia. L'esplosivo era simile a quello ritrovato dopo un recente blitz in un centro islamico sempre sull'isola di Giava. La polizia cercava Noordin Mohammed Top. L'uomo, un estremista di nazionalità malese, era riuscito a sfuggire alla cattura. Paolo Salom IL COMMENTO di Guido Olimpio nelle Idee & Opinioni Choc Una donna stravolta fuori dall'hotel Ritz-Carlton a Giacarta (Afp/Araidi) 1.464.717 Gli arrivi internazionali a Giacarta nel 2008. Nel 2007 erano stati 1.153.006. A Bali l'anno scorso ci sono stati 2.081.786 arrivi contro i 1.741.935 del 2007

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L E P AROLE (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 18/07/2009 - pag: 16 Strigliata al vittimismo L E P AROLE « S CORRETTE» DI B ARACK SEGUE DALLA PRIMA Quelle cause sociali che, di qua e di là dell'Atlantico, costituiscono uno dei pilastri del politicamente corretto. Si è trattato, insomma, di un invito a smetterla con l'autocommiserazione, a farla finita con il piagnisteo: un invito che appare tanto più efficace visto che il presidente americano non ha omesso di richiamare anche le effettive condizioni di disagio sociale, culturale, economico in cui tanti afroamericani vivono. Ma quelle condizioni, ha insistito, rappresentano un ostacolo che ciascuno può superare se lo vuole davvero. Dopo aver ripercorso la storia dell'emancipazione dei neri d'America lungo l'ultimo secolo, Obama ha descritto la condizione di disuguaglianza nella quale molti di loro ancora oggi si trovano, che va affrontata soprattutto a livello del sistema educativo. Qui, appunto, è intervenuto il suo richiamo alla responsabilità di ciascuno, artefice del proprio destino quale che sia la sua condizione di vita. Nel campo dell'istruzione infatti, ha osservato, nessun intervento del governo potrà veramente servire se prima non sarà stata spazzata via quella mentalità vittimistica che rappresenta una delle eredità più negative dell'epoca della discriminazione, avendo introiettato nei neri d'America la convinzione della ineluttabilità del loro status. I giovani neri e le loro famiglie, ha affermato con una certa ruvidezza, si devono convincere che i cattivi voti a scuola sono anche e forse soprattutto colpa loro. Evocando la propria vicenda personale (certo, con qualche forzatura: la madre dell'attuale presidente degli Stati Uniti, come è noto, era bianca), ha invitato i giovani neri a non limitarsi tutti a sognare d'essere campioni di basket o cantanti rap, ma a puntare a diventare scienziati, ingegneri, medici, o addirittura come lo stesso Obama presidenti degli Stati Uniti. S'è trattato di un discorso, e di una strigliata, all'America di colore che solo un presidente lui stesso per metà di colore poteva fare. Ma s'è trattato contemporaneamente di un discorso che, come spesso succede ai presidenti Usa, ha coniugato il presente con il passato, riandando alle radici del sogno americano attraverso la riproposizione degli Stati Uniti come «un luogo dove nulla è impossibile», come lo stesso Obama ebbe ad osservare all'indomani della vittoria alle presidenziali. Un discorso in cui la denuncia delle persistenti disuguaglianze che colpiscono i neri (maggiore disoccupazione, maggiore probabilità di ammalarsi di Aids o di finire in prigione e così via) si è accompagnata a quella propensione messianica, a quell'afflato religioso che rendono la democrazia americana diversa da quella europea (a quale politico italiano verrebbe mai in mente di dire che tutti i nostri giovani devono avere le stesse chances perché «tutti figli di Dio»?). Un'evocazione della originaria promessa del sogno americano quel perseguimento della felicità presente nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti che sembra fare tutt'uno con un forte richiamo al senso della responsabilità e volontà individuali, implicitamente contro quelle analisi sociologico-oggettive che da quest'altra parte dell'Oceano restano spesso come uniche spiegazioni. Giovanni Belardelli Rapper Il cantante P. Diddy al gala della Naacp Lezione Una lezione ai neri che solo un presidente nero poteva fare

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Incidente sfiorato col Vaticano i vescovi conservatori (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 18/07/2009 - pag: 16 Retroscena Evitato lo scontro diplomatico alla vigilia della visita di Obama Incidente sfiorato col Vaticano «Zittiti» i vescovi conservatori Adesso che la visita fra Benedetto XVI e Barack Obama c'è stata, le tensioni si sono stemperate. Anzi, il colloquio del 10 luglio scorso è andato «meglio del previsto», nelle parole del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato della Santa Sede. Ma nei mesi successivi all'elezione del presidente Usa, tra Vaticano e Casa Bianca si è sfiorato l'incidente diplomatico. Gli attacchi ripetuti di alcuni cardinali statunitensi all'Amministrazione democratica e allo stesso Obama hanno provocato proteste discrete ma crescenti. La Casa Bianca è arrivata a ventilare alla diplomazia vaticana una presa di posizione per ingerenza negli affari interni degli Usa, se le critiche non si fossero fermate. E si sono fermate. L'irritazione si è indirizzata soprattutto verso Francis James Stafford e Raymond Burke, due dei tre vescovi americani che guidano un dicastero vaticano: esponenti dell'ala conservatrice, i quali dal giorno dell'elezione del presidente gli hanno attribuito una «piattaforma contro la vita»; e lo hanno accusato di comportarsi come un «agente di morte» per le sue posizioni sull'aborto. La Casa Bianca ha reagito spiegando che non potevano parlare come semplici cittadini statunitensi; che ogni loro parola rischiava di coinvolgere il Papa. Burke presiede l'equivalente della Corte suprema Usa, e Stafford allora era «Penitenziere maggiore». Dunque, si profilava un problema delicato. Già a marzo alcuni siti conservatori cattolici avevano riportato voci di pressioni della Casa Bianca per zittire Burke e Stafford, senza precisare quali. Il problema di Stafford, 77 anni, si è risolto qualche mese fa con il suo pensionamento. Ma il Vaticano non vedeva comunque di buon occhio l'offensiva pregiudiziale di esponenti del proprio «governo» contro Obama; e voleva evitare una presa di posizione della Casa Bianca, che sarebbe stata di per sé clamorosa. Per questo la Santa Sede ha cercato, inutilmente, di evitare la presenza di Burke alla «Giornata della preghiera » in programma nel maggio scorso, e occasione dell'ennesimo attacco. Ma subito dopo, la richiesta di Washington è stata accolta. L'ex vescovo di St. Louis, nominato nel giugno del 2008, è stato bruscamente richiamato all'ordine e al silenzio. Anche se la sua ombra ha continuato a pesare durante i contatti che hanno preceduto l'udienza papale al presidente Usa: si temevano altre uscite imbarazzanti. La diplomazia vaticana, però, ha garantito alla Casa Bianca che non ci sarebbero stati problemi. E infatti Burke, famoso per aver detto nel 2004 che andava negata la Comunione al candidato democratico alla Casa Bianca, il cattolico John Kerry, perché giudicato filoabortista, ha taciuto prima e dopo l'incontro col Papa. Sono tensioni che si inseriscono in uno sfondo di equilibri tuttora in bilico. Ripropongono il problema dei rapporti fra l'episcopato Usa e il partito democratico, guardato con diffidenza. Evocano lo sforzo del nunzio a Washington, Pietro Sambi, di archiviare i contrasti fra prelati «repubblicani» e «pro-Obama». E mostrano l'ipersensibilità di molti vescovi Usa a qualunque apertura di credito verso la nuova Casa Bianca. Perfino l'Osservatore romano è stato accusato dai «teocon» oltre Atlantico di essere troppo accondiscendente e di inviare messaggi confusi. E dopo l'udienza del 10 luglio, sotto voce qualcuno nelle gerarchie statunitensi ha additato una Santa Sede affascinata da Obama. La scelta come numero tre della Segreteria di Stato di Peter Brian Wells, presente al colloquio di Benedetto XVI e Obama, conferma l'aumento del peso degli americani nel «governo» vaticano. Ma l'atteggiamento della Conferenza episcopale Usa non sembra destinato a cambiare. Con pragmatismo, si aspetta il presidente alla prova dei fatti. E si conferma la distanza fra chi esalta l'interesse di Obama per la famiglia e i temi sociali, e le sue scelte di politica estera convergenti con quelle vaticane; e chi invece continua a considerarlo un liberal dal quale guardarsi. In realtà, i suoi primi mesi hanno mostrato un profilo meno radicale di quanto si pensasse: lo conferma la scelta del teologo di origine cubana Miguel Dìaz come ambasciatore Usa presso la Santa Sede. E comunque, l'attenzione ai valori religiosi di un presidente «secolare» come Obama è alimentata e confortata da un immenso fiuto politico: a partire dai sondaggi che mostrano un'America profonda più moderata delle frange estremiste del Partito democratico. Massimo Franco Incontro Ratzinger con Michelle Obama Freno Gli attacchi dei cardinali sul tema dell'aborto si sono fermati

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Il First Dog festeggia i 100 giorni (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 18/07/2009 - pag: 16 Casa Bianca Il First Dog festeggia i 100 giorni «Orgoglioso di servire l'America». Parola anzi guaito di Bo, il cane degli Obama: con un ironico articolo di Ben Greenman il New York Times festeggia i 100 giorni del «water dog» portoghese alla Casa Bianca. Bo chiede scusa per il suo istinto «pescatore»: «Ricordate quando ho addentato il microfono di un reporter? Pensavo fosse un pesce».

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LA COLONIZZAZIONE SARA' AL POLO SUD (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Pubblicita' data: 18/07/2009 - pag: 28 LA COLONIZZAZIONE SARA' AL POLO SUD Nuovo sbarco nel 2020. E il prossimo ottobre, la prova del ghiaccio di GIOVANNI CAPRARA A quarant'anni dal primo sbarco nel Mare della Tranquillità la meta è il ritorno sulla Luna, per rimanerci. Con una colonia che ospiti astronautiscienziati. A tal fine si sta lavorando da cinque anni, da quando nel gennaio 2004 il presidente George W.Bush lanciò il piano. Il successore Barack Obama nei mesi scorsi ha approvato in linea di principio la strategia ma ha formato una commissione per vedere nei dettagli come procedere. Alla fine di agosto sapremo, e la previsione è che la Casa Bianca voglia coinvolgere nell'iniziativa anche altre nazioni analogamente a quanto è stato fatto per la stazione spaziale internazionale. Il programma Constellation che la Nasa ha in corso potrebbe dunque subire delle variazioni anche in base ai finanziamenti che la nuova amministrazione è disposta a concedere. Di certo Obama non può ignorare il fatto che Cina e India si siano poste l'obiettivo lunare per arrivare intorno al 2025, pur non avendo ufficializzato alcun progetto. «La domanda non è se noi siamo in grado di affrontare la Luna, ma se possiamo ignorarlo» scrive Krishnaswamy Kasturirangan, ex presidente dell'agenzia spaziale indiana Isro e ora influente deputato al Parlamento di New Delhi. Sullo stesso tono sono le dichiarazioni di Pechino. La colonia, dunque, si farà e la Nasa ha già individuato un luogo ideale collocato nel Polo Sud, sui bordi del cratere Shackleton. La scelta dipende dal fatto che nel grande vallo regnano ombre perenni e mai il Sole riesce a raggiungere le profondità nelle quali dovrebbe essersi così conservato il ghiaccio d'acqua portato dalle comete in epoche remote. Dal ghiaccio sarebbe ricavato l'ossigeno e l'idrogeno utile alla vita della colonia e ai razzi delle astronavi che dovranno assicurare i viaggi con la Terra. Secondo il piano Nasa il primo sbarco è fissato per il 2020 con il modulo abitato Altair che avrà a bordo quattro astronauti. Le prime missioni dureranno sei mesi e intanto con il grande razzo Ares-V allo studio arriverebbero anche i moduli d'abitazione e gli impianti necessari alla formazione della base. Nel 2025 la colonia sarebbe pronta e servirà per attività scientifiche, dall'astronomia a ricerche in condizioni di gravità ridotta (lassù è un sesto rispetto alla nostra). In prospettiva si vogliono utilizzare pure le risorse minerarie, ma non tutti sono d'accordo, e proprio nei mesi scorsi la sonda giapponese Kaguya ha scoperto la presenza dell'uranio. Intanto bisogna stabilire la presenza del ghiaccio d'acqua perché altrimenti il piano cambia. Finora alcune sonde hanno raccolto indizi indiretti ma la Nasa ha spedito due sonde (LRO e LCROSS) per raccogliere la prova definitiva. Una di queste il 9 ottobre prossimo si schianterà al suolo assieme all'ultimo stadio del razzo con cui è partita, sollevando una grande nube. L'altra sonda ne scruterà i contenuti cercando le molecole d'acqua. Se le troverà, l'insediamento sulla Luna sarà certamente accelerato perché risulterà più economico. E così al Polo Sud si imparerà a come compiere il prossimo balzo verso Marte.

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Sport data: 18/07/2009 - pag: 51 L'intervista L'ex fuoriclasse dei pesi massimi racconta la sua nuova vita fuori dal ring: «Il cinema mi piace, vorrei continuare» «Come pugile non ero granché Monzon sì che era feroce» Mike Tyson: «Con la boxe non mi sono mai sentito felice» LOS ANGELES In principio il videogioco era lui. Manovrato attraverso un joystick invisibile, spinto freneticamente verso l'avversario, dotato di cazzotti formidabili, ma destinato ad esaurirsi rapidamente. Game over. Mike Tyson. Lo hanno manovrato per anni. Usavano la sua ignoranza come bonus, le sua ferocia come scudo. Sono diventati ricchi in molti mentre lui, semplicemente, passava di moda. Ora che ha 43 anni, Tyson ha preso in mano la console. Forse per la prima volta cerca di capire come funziona la vita anche se nessuno mai, dalla fetida Brownsville in poi, gli ha mai fornito il libretto delle istruzioni. Il videogioco si chiama FightNight 4, c'è la sua faccia in copertina, o meglio, la faccia di un Tyson precedente, antidiluviano, e lui si diverte con questa Playstation surreale che in fondo è la sua vita vissuta, sfidando i grandi del passato: Ali, Frazier... Mike Tyson è a Los Angeles. A Hollywood è di nuovo campione d'incassi senza tirare un solo montante. Ha recitato nel film più visto dell'estate americana, The Hangover ( Un giorno da leoni). Un altro film sulla sua vita, magistrale documentario del regista e amico James Toback, sta in una settantina di sale in America. E adesso, appunto, il videogioco. È sovrappeso. Non lo rivedremo combattere, anche se gli sceicchi lo avrebbero ricoperto d'oro per opporlo a Holyfield, in un grottesco remake. È vagamente inquieto. Il suo manager e amico comune, Harlan Werner, è l'unica ragione per cui siamo qui. Nel 2005 lei abbandonò la boxe. Un po' le manca? «Assolutamente no. Ho avuto il mio tempo, la mia era. Altri forse sarebbero rimasti in circolazione. Io ci sono rimasto anche troppo». Guarda il pugilato? «Solo ogni tanto, ma più che altro i classici, le vecchie sfide». Riguarda anche se stesso? «Non ci penso neppure. Quando mi osservo, penso che in realtà non ero un gran pugile. Se fossi il mio maestro mi troverei orrendo, pessimo. Sbagliavo tutto. Se ti guardi con obiettività lo scopri. Ma nessun pugile ammette di essere peggiore di quello che crede». C'è qualcuno nel passato che le piace particolarmente? «Carlos Monzon. Aveva uno stile impeccabile. Era autoritario, feroce, abilissimo. Praticamente invincibile. Lo sa bene il vostro Benvenuti». Si parla di lei per qualcosa che non è boxe né vicissitudini personali. Come si sente? «Alla grande. Il cinema mi sta dando la possibilità di entrare in un nuovo capitolo della mia vita. Nuove persone, prospettive promettenti. La boxe è solo una parte confusa, piena di contraddizioni. Adesso ho la possibilità di vivere la mia vita conscio di quel che faccio. In un certo senso la boxe mi ha impedito di crescere ». Si vede in futuro come attore? «Non so, mi piacerebbe, ma ho bisogno di studiare recitazione, di avere accanto un regista che mi guidi. Di trovare un buon ruolo, un mio genere». Magari un supereroe. «Non me ne viene in mente nessuno. Però magari. Per mio figlio sono già un supereroe». Quando divenne campione del mondo, nel 1986, l'America non era tenera con gli afroamericani. Ora c'è Obama. «Possiamo anche credere che sia meglio. Ma non ho gli elementi per dire che adesso per i neri sono finiti i soprusi e le ingiustizie. Certo, è positivo per tutti noi, anche i neri repubblicani devono essere orgogliosi. Ma quanto il miglioramento sia reale, non so. Personalmente, il trattamento che ho ricevuto è sempre stato uguale e spesso poco gentile. Con Bush oppure Obama non conta». Lei ha parlato anche di Berlusconi nel suo documentario. Che ricordo ha dell'Italia? «Mi piace la Sardegna, Milano, il Sud. È italiano un genio del nostro tempo, Gianni Versace. Ha definito un'era. In pochi ci riescono». Guardandosi indietro, in carriera, c'è un momento in cui si è sentito felice sul serio? Riflette. Scuote il capo. «Non riesco a trovarlo. La mia carriera è come una macchia sfuocata. Non sono mai stato davvero felice. Era uno stile di vita nel quale non mi sono mai trovato totalmente a mio agio». Possibile? Neppure un attimo di esaltazione? «Forse la vittoria del titolo, con Trevor Berbick. Ma ero troppo confuso:andai in giro con la cintura per tre settimane. Almeno capii di aver compiuto qualcosa di importante. Però il mio maestro e secondo padre, Cus d'Amato, non c'era più. Lo vinsi grazie a lui e non potei godermi l'attimo ». Una volte disse che lei odiava la folla, l'attenzione. Ora grazie al cinema è di nuovo tra la gente. «La gente mi fermava e diceva: ''Ehi Mike...'' e mi dava una pacca sulla spalla. Ora mi ferma e dice: ''Ehi Mike, ti ho visto al cinema''. È un'umanità molto diversa, mi fa piacere ma so anche di dover lavorare su me stesso per non fare gli errori del passato». Qual è il suo sogno? «Continuare a fare quello che faccio. Essere migliore. Poter essere ricordato come Mike Tyson, ma non come pugile». Riccardo Romani Star Mike Tyson. A sinistra in «Una notte da leoni» (Montoro, www.collider.com) \\ Un grande italiano? Gianni Versace. È stato un genio del nostro tempo. Ha definito un'era. In pochi ci riescono

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E' morto Walter Cronkite Addio alla voce dell'America (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

ROMA - La sua voce aveva raccontato l'assassinio di John F. Kennedy e lo sbarco sulla Luna dell'Apollo 11. Walter Cronkite è morto. Lo "zio Walter" come lo chiamavano milioni di americani, aveva 92 anni e se ne è andato al termine di una lunga malattia. Cronkite aveva cominciato a lavorare come corrispondente televisivo della CBS nel 1950. Per quasi 20 anni, dal 1962 al 1981, era stato il conduttore della 'CBS Evening News'. La sintesi del suo modo di fare giornalismo è proprio il motto divenuto celebre con cui chiudeva i suoi telegiornali: "And that's the way it is", "E le cose stanno così". Cronkite raccontò gli eventi della storia, la guerra in Vietnam, l'assassinio di Martin Luther King, le tensioni razziali, le manifestazioni pacifiste nei campus universitari, il caso Watergate, che portò alla rinuncia del presidente Richard Nixon. "Non mi capacito dell'impatto che ho nè del mio successo - disse un giorno - Che il mio modo di porgere sia diretto, spesso privo di verve è probabilmente una critica giusta, ma ho costruito la mia reputazione su un giornalismo onesto e diretto. Fare qualunque altra cosa mi suonerebbe finto". La sua popolarità era enorme. Tanto che quando concluse un commento sulla Guerra in Vietnam affermando che il conflitto non poteva essere vinto dagli Stati Uniti, il presidente Lyndon Johnson avrebbe detto con amarezza: "Se abbiamo perduto Cronkite, abbiamo perduto l'americano medio". Cronkite si era ritirato dalla attività di anchorman nel 1980 ma aveva continuato a prestare la sua famosa voce e la sua autorevole presenza a numerosi film e documentari e speciali Tv. OAS_RICH('Middle'); "Il Paese ha perso un'icona e un amico caro - ha detto il presidente Barack Obama - Walter fu sempre qualcosa in più di un presentatore: qualcuno a cui ci potevamo affidare perchè ci guidasse attraverso i temi più importanti del giorno, la voce della certezza in un mondo incerto. Era come uno di famiglia. Ci invitava a credergli e non ci deluse mai". (18 luglio 2009

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Juan Cole: "Così Rafsanjani si candida a leader della protesta" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

CORRISPONDENTE DA NEW YORK Ali Hashemi Rafsanjani rappresenta la borghesia rivoluzionaria che si sente minacciata dal presidente Mahmud Ahmadinejah, considerandolo un nemico di classe». Così l’islamista dell’Università del Michigan Juan Cole, autore del libro «Engaging the Muslim World» molto apprezzato da Barak Obama, spiega la scelta dell’ex presidente iraniano di contestare pubblicamente il risultato delle ultime elezioni durante la preghiera del venerdì. Chi compone la borghesia rivoluzionaria? «Si tratta della classe economica iraniana che si è arricchita di più dopo la rivoluzione del 1979. La caduta dello Scià portò alla scomparsa anche dei ricchi che lo circondavano. A sostituirli fu una nuova classe, commerciale e imprenditoriale, della quale fanno parte i bazaris, che muovono il bazaar di Teheran». Perché si riconoscono in Rafsanjani? «Rafsanjani è uno di loro. Appartiene ad un ristretto gruppo di leader khomeinisti che dopo la rivoluzione si è arricchito con lo sviluppo di commerci e il controllo di industrie manifatturiere, ed è diventato espressione degli interessi di questa classe. Il cui avversario oggi è Mahmud Ahmadinejad». Quali sono i motivi del conflitto? «Sono numerosi e nascono dalla percezione diffusa dei brogli elettorali ma forse l’aspetto più evidente dell’insofferenza di bazaris è economico. Ahmadinejad con le sue scelte punta a indebolire la borghesia rivoluzionaria spostando le risorse a favore di un altro settore della popolazione: i conglomerati economici che rispondono ai Guardiani della Rivoluzione da cui proviene e il ceto medio-basso della popolazione». Può farci un esempio di questi contrasti... «La decisione di Ahmadinejad di sfruttare gli ingenti proventi del greggio per pompare denaro a favore del ceto medo-basso ha fatto impennare l’inflazione, che ora tocca il 30 per cento, e i bazaris non amano l’inflazione perché erode i loro profitti economici. E’ solo uno dei tanti esempi. Bisogna tener presente che Rafsanjani rappresenta un’idea moderna di capitale economico mentre Ahmadinejad è un populista che punta a sfruttare le risorse nazionali per rafforzare il sostegno politico di cui gode nei ceti più poveri dell’Iran. Sotto questo aspetto Ahmadinejad è un nemico di classe per il mondo produttivo nel quale si riconosce Rafsanjani». Quali scenari si aprono ora? «Rafsanjani sfida non solo Ahmadinejad ma anche il Leader Supremo, Alì Khamenei. Per questo nel discorso ha contestato il Consiglio dei Guardiani della rivoluzione. La scelta di far conoscere pubblicamente il proprio disappunto per come sono andate le elezioni, schierandosi dalla parte delle famiglie che hanno subito delle vittime a causa della repressione, fa emergere una spaccatura nella Repubblica Islamica che appare destinata a durare nel tempo. Le conseguenze possibili sono molte: dall’aumento dei contrasti interni all’indebolimento di Ahmadinejad fino all’affermarsi di Rafsanjani come vero volto della protesta di piazza, destinato ad avere un ruolo forse ancora più importante di Mir Hossein Mousavi, il candidato riformista che non accetta ancora la sconfitta elettorale».

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L'America piange Walter Cronkite, icona del giornalismo statunitense (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK L’America ha perduto una leggenda. Walter Cronkite, l’ex-anchorman della CBS che annunciò al paese la morte a Dallas del presidente John Kennedy e che fece vivere agli americani l’epopea dello sbarco sulla Luna, è morto venerdì a New York. Aveva 92 anni e da tempo lottava contro problemi cerebro-vascolari. Per quasi venti anni, dal 1962 al 1981, Cronkite era stato il conduttore del telegiornale più seguito d’America, il CBS Evening News. Ma per un periodo ancora più lungo, nell’arco di una carriera durata sei decenni, Cronkite era stato soprattutto «l’uomo di cui gli americani avevano più fiducia», col suo approccio diretto, con le sue parole misurate, con la sua voce profonda che gli conferivano una autorevolezza senza precedenti nel mondo dei media, tanto da avergli fatto guadagnare il nomignolo affettuoso «Zio Walter». Leggendaria la frase di chiusura del suo notiziario: «And That’s the way it is» (E questo è il modo in cui stanno le cose). Una frase che mirava, ha sempre spiegato, a sintetizzare l’ideale più sacro per un giornalista: «raccontare sempre le cose come le vede, senza curarsi delle possibili conseguenze e senza temere di suscitare controversie». Il presidente Barack Obama ha detto che Cronkite «era una voce di certezza in un mondo incerto». L’ex-presidente George W. Bush lo ha definito «una icona del giornalismo americano». A lui sono legati, nella memoria collettiva degli americani, alcuni degli eventi che hanno plasmato la storia della nazione negli ultimi decenni. Annunciò nel 1963 la morte del presidente Kennedy a Dallas, leggendo in diretta un dispaccio d’agenzia: la pausa seguita alla drammatica notizia, con Cronkite che si sfila lentamente gli occhiali, guarda l’orologio appeso al muro e cerca di vincere la evidente commozione, fa parte della storia del giornalismo e dell’America. Famoso è rimasto l’editoriale televisivo nel 1968, mentre era in corso in Vietnam l’offensiva del Tet, quando Cronkite dichiarò che la Guerra in Vietnam non poteva più essere vinta. Leggenda vuole che il presidente Lyndon Johnson abbia commentato con amarezza: «È finita. Se ho perduto Cronkite, ho perduto l’americano medio». Johnson non si ricandidò alle successive elezioni presidenziali. Celebri anche i reportage di Cronkite sulla conquista spaziale e in particolare sullo sbarco sulla Luna della navicella Apollo 11, di cui ricorre proprio in questi giorni il quarantesimo anniversario. Nato il 4 novembre 1916 nel Missouri, Walter Leland Cronkite Jr. aveva iniziato il mestiere di reporter con l’agenzia UPI che l’aveva inviato in Europa a raccontare la Seconda Guerra Mondiale. Cronkite si era fatto paracadutare sull’Olanda con la famosa 101/ma Divisione Aviotrasportata e aveva poi partecipato allo sbarco in Normandia. Ma aveva sempre sminuito con modestia il suo evidente coraggio: «In realtà sono un codardo. - diceva - Ero sempre spaventato a morte. Ho fatto tutto il possibile per evitare di finire nei combattimenti». Dal 1946 al 1948 era stato capo dell’ufficio di Mosca dell’UPI. Nel 1950 era stato assunto dalla Tv CBS. Era l’inizio di una straordinaria carriera. Nel 1962 era diventato l’anchorman del Tg più seguito dagli americani (CBS Evening News) e i suoi reportage avevano una profonda influenza sulla opinione pubblica del paese. Si era ritirato nel 1981 con la promessa da parte della CBS di una serie di iniziative che invece non si erano materializzate. Successivamente aveva dato la sua voce e la sua autorevolezza a numerosi documentari, film e trasmissioni Tv: la sua voce baritonale era immediatamente riconoscibile. Una voce usata anche da Disney per la storia della esplorazione spaziale narrata nella grande sfera di Epcot. Negli ultimi anni della sua vita aveva scritto libri, tenuto conferenze e dato sfogo al suo grande hobby: la navigazione a vela. Aveva espresso la sua condanna per la guerra in Iraq e per l’immobilismo nei riguardi del problema del clima. Nel 1997 si era sottoposto ad un intervento al cuore: un bypass quadruplo che aveva avuto successo. «La grande forza di Walter Cronkite era di essere la stessa persona davanti alla telecamera o fuori dallo studio - ha ricordato il suo collega Brian Williams - Una persona onesta e diretta che andava sempre al sodo, senza tanti fronzoli. Un modo di fare che piaceva agli americani».

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Obama ai giovani afroamericani "Studiate per diventare giudici" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - Quando Barack Obama si è ribellato, finalmente, all'ultimo padrone, quel tele-prompter, il gobbo, che gli confeziona i discorsi più convincenti, la gente, la sua gente giù in platea, è esplosa in un boato: "Guido per Harlem", ha urlato andando a braccio "scendo per il South Side di Chicago, vedo tutti quei ragazzi buttati agli angoli delle strade, e allora dico: potrei essere io, lì, ma grazie a Dio è andata diversamente". Grazie a Dio, e per volontà della nazione. Nella sala dell'Hilton Hotel, addobbata di festoni e palloncini per i cent'anni del Naacp, la più antica associazione per i diritti civili, Obama riscopre l'orgoglio nero. "Noi lo sappiamo: anche se la crisi economica colpisce gli americani di ogni razza, tra gli afroamericani ci sono più disoccupati". Boato. "Sembra un sermone", chioserà il New York Times, e infatti i delegati cominciano a fargli eco con il classico "amen" delle funzioni religiose: l'origine del blues. Se ne accorge, Obama. "Ehi", scherza "ho creato un angolo della preghiera". In campagna elettorale, nei primi cento giorni, il presidente non aveva mai esaltato le sue origini. Anzi. Ora gli analisti sottolineano che mai come adesso, stretto tra la crisi, le riforme che reclamano nuove tasse e le critiche per la scelta della latina Sotomayor alla Corte Suprema, il presidente ha bisogno del sostegno della comunità nera, magari nella forma lobbistica che il Naacp, 300 mila iscritti e 30 milioni di budget, può garantire. "Make no mistake", dice il presidente: non facciamo errori, non illudiamoci. "Il dolore della discriminazione è ancora sentito in America". Dice cose di sinistra, Obama. Parla di responsabilità. "Allontanate dai nostri figli l'Xbox, metteteli a letto presto. Non possono tutti aspirare a essere il prossimo Le Bron o Lil Wayne", dice, additando i due miti, del basket e del rap, dei giovani. OAS_RICH('Middle'); "Io voglio che i nostri figli aspirino a diventare scienziati e ingegneri dottori e insegnanti, non solo giocatori di basket e rappers. Io voglio che i nostri figli aspirino a diventare giudici della Corte Suprema. Io voglio che aspirino a diventare presidente degli Stati Uniti". In sala c'è ancora chi urla "Amen". (18 luglio 2009

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Indonesia, bombe negli hotel otto morti e oltre 60 feriti (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 18-07-2009)

Argomenti: Obama

GIACARTA - L'Indonesia è ripiombata nell'incubo del terrorismo: due esplosioni quasi simultanee, provocate da altrettanti attentatori suicidi, hanno sventrato i ristoranti degli hotel Marriott e Ritz-Carlton a Giakarta, causando otto morti e oltre 60 feriti. Tra questi ultimi 18 sono stranieri, ma la Farnesina afferma che non si ha notizia di italiani coinvolti, anche se un iniziale elenco stilato dalla polizia indonesiana parlava anche di nostri connazionali. Il primo ordigno è esploso al Marriott alle 7.45 locali (le 2.45 in Italia). Due minuti dopo il secondo kamikaze si è fatto esplodere nell'adiacente Ritz-Carlton. Inizialmente si è parlato di nove morti ma in seguito il ministro degli Esteri indonesiano ha corretto la cifra. "L'ultimo bilancio che abbiamo è di otto morti. Include quattro stranieri, un indonesiano e altre tre persone che non sono ancora state identificate", ha detto Hassan Wirayuda. Gli attentatori del Marriott, il cui numero non è ancora stato accertato, pernottavano nell'albergo da due giorni e lì avrebbero preparato i loro ordigni: nella loro camera, al diciottesimo piano, gli artificieri hanno poi disinnescato una bomba inesplosa, nascosta nella custodia di un laptop. Nuovi indizi potrebbero essere forniti dai video a circuito chiuso: le telecamere del Ritz-Carlton hanno ripreso un uomo, con un cappellino in testa e un piccolo trolley, che entrava nell'albergo pochi minuti prima della deflagrazione. La squadra del Manchester United, che avrebbe dovuto soggiornare al Marriott da domani, ha annullato la tappa indonesiana del suo tour asiatico: i 73 mila biglietti per l'incontro della squadra inglese contro una selezione locale, in programma per lunedì, erano esauriti da tre settimane. OAS_RICH('Middle'); E' "un attacco crudele e disumano, una grave ferita per la sicurezza nazionale", ha dichiarato il presidente indonesiano, Susilo Bambang Yudhoyono, trionfalmente rieletto la settimana scorsa anche sulla base della migliorata sicurezza nel Paese. Una condanna dei "rivoltanti" attentati è arrivata anche dal presidente statunitense, Barack Obama, che ha offerto l'aiuto degli Usa al governo indonesiano. Secondo il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, gli "esecrabili" attacchi "confermano la necessità di mantenere alta la guardia nella lotta contro il terrorismo internazionale". In assenza di una rivendicazione, tutti i sospetti si dirigono verso la Jemaah Islamiyah ("comunità islamica"), una rete terroristica regionale legata ad Al Qaida, che combatte per l'istituzione di un califfato nel sud-est asiatico. Dopo aver messo la firma su quattro attentati in Indonesia tra il 2002 e il 2005 - tra cui quello di Bali dell'ottobre 2002, che causò 202 morti, e un'autobomba che uccise 12 persone proprio davanti allo stesso hotel Marriott nell'agosto 2003 - si credeva che i quadri dell'organizzazione fossero stati decimati dalla lotta al terrorismo portata avanti dalle autorità indonesiane. Le elezioni parlamentari dello scorso aprile avevano evidenziato anche un brusco calo dei consensi per i partiti di matrice islamica. Ma la Jemaah ha già dimostrato di essere organizzata in cellule indipendenti, che ne fanno una sorta di mostro a più teste. Il sospetto degli analisti è che gli attentati di oggi possano essere stati compiuti proprio da un piccolo gruppo di irriducibili. Magari indeboliti, ma ancora in grado di colpire mortalmente. (17 luglio 2009

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Calabresi stasera a Borghetto presenta il suo ultimo libro (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-07-2009)

Argomenti: Obama

DIRETTORE DE LA STAMPA Calabresi stasera a Borghetto presenta il suo ultimo libro Il direttore de La Stampa, Mauro Calabresi, presenterà questa sera a Borghetto S. Spirito il suo nuovo libro «La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi» (Mondadori, collana Strade Blu). L'appuntamento con Mario Calabresi, per la prima volta in provincia di Savona da direttore de La Stampa, è alle 21,30 nella suggestiva cornice dei giardini di Sala Marexiano, in centro città, a pochi passi dall'Aurelia, ed è fra i più attesi della sesta edizione della rassegna «Serate d'autore», organizzata dall'assessorato alla Cultura del Comune di Borghetto. Il libro di Calabresi descrive la capacità di rialzarsi e rimettersi in gioco, nella bufera della crisi economica, di una decina di persone incontrate durante la lunga traversata degli Stati Uniti al seguito della campagna elettorale di Barak Obama. Un viaggio di 156 pagine con tanta America, aperte però dalla storia italianissima della nonna dell'autore, Maria Teresa, morta nelle scorse settimane, a 94 anni, che fu salvata in fasce dal gesto generoso di un medico che l'aveva rianimata e accudita, quando ormai tutti la davano per spacciata. Il libro spazia poi sui due anni di viaggio negli Usa, trentasei Stati, e la trionfale elezione di Obama. I protagonisti principali però sono uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzare la testa e ripartire.

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Walter Cronkite il giornalista perfetto (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-07-2009)

Argomenti: Obama

Walter Cronkite il giornalista perfetto Morto a 92 anni Dai grandi conflitti del Novecento all'assassinio di JFK dal primo allunaggio al Watergate: sempre in prima linea a narrare i fatti Mettiamola così: Walter Cronkite - morto venerdì a New York, a 92 anni - non è mai diventato un trombone. Cioè non ha mai coperto con aggettivi notizie deboli, non ha mai fatto lezioncine, non è mai divenuto un divo, né un entertainer. D'altra parte non ha mai preso stipendi d'oro, e non è neppure diventato direttore. Ha vissuto insomma la carriera perfetta di un giornalista. Ma, nel giorno della sua morte, viene da pensare che è morto anche come il giornalista perfetto: rifiutando fino all'ultimo di smettere di lavorare, nel timore di finire, ben prima che nella morte reale, nella morte della memoria. Nel suo novantesimo compleanno - cioè solo due anni fa - in una intervista al Daily News disse di sperare di essere ancora in grado di lavorare, sia pur da una diversa posizione. Aggiungendo, come una confessione, «spero solo che la gente continui a fermarmi come fa oggi e a dirmi: ma lei non è Walter Cronkite?». Questo episodio serve a dire che, se è vero tutto quello che oggi leggerete su di lui, cioè che era l'esempio del giornalismo equilibrato, il campione del rapporto tra spettatori e giornalismo («se lo dice Cronkite, è vero»), in effetti il suo pregio maggiore - quello che lo ha reso tutto ciò che era - è stato proprio l'inesauribile desiderio di essere un giornalista. Come ha confermato ieri il presidente Obama: «Era una voce di certezza in un mondo incerto». David Halberstam, in The Powers that be, un libro duro e senza compiacimenti sul giornalismo americano, scrive di lui: «Fin dall'inizio, è stato uno dei reporter più attivi, selvaggiamente competitivo: nessuno poteva battere Cronkite su una storia, e l'incredibile è che quando è invecchiato non è cambiato, la vecchia passione ha continuato a bruciare dentro di lui». Nell'uomo morto l'altro giorno, si celebra così oggi un tipo di giornalismo che si richiama al passato. Cronkite è parte di una generazione, quella che si formò intorno e dentro la seconda guerra mondiale, quando il giornalismo era terreno, materiale, faticoso - si faceva col corpo ancora prima che con gli occhi: Cronkite fu uno dei sette giornalisti che volarono sui B17 che bombardavano la Germania, sparò in prima linea «al punto di ritrovarmi bossoli fino ai fianchi», non diversamente dalle spedizioni dei nostri Montanelli e Barzini. Ma relegare Cronkite, come gli altri, a un tempo diverso, sarebbe un errore. In realtà proprio quella generazione va onorata per aver portato fino ai nostri giorni, attraverso mezzi diversi, dalla carta stampata alla tv, lo stesso senso della professione: tanti fatti, e tanti fatti ancora. Con questo spirito è stato il primo (poi divenuto canonico) «anchor» tv, per il quale la definizione fu addirittura inventata. Si ricorda di lui il giorno in cui pianse per la morte di Kennedy, e il giorno in cui esclamò «Oh, boy» di fronte al primo passo dell'uomo sulla luna. Ma è forse il coverage del Vietnam quello che meglio spiega il suo modo di lavorare. Su quella guerra Cronkite iniziò con posizioni da «falco». Ma quando i primi giornalisti (della carta stampata) cominciarono a presentare il conflitto come un disastro, l'anchorman lasciò il suo studio nella capitale, si recò in Estremo Oriente e tornò con un reportage molto «personale», rispetto al suo asciutto stile usuale. Guardando quei servizi il presidente Johnson fece la famosa battuta: «Se ho perso Cronkite, ho perso la middle America». Notizie, dunque, e non solo studio. Così fece per l'altro grande evento da lui trattato in maniera decisiva: il Watergate. Anche in quel caso, non fu lui a scoprire la storia ma, invece di inserirsi nella polemica tra favorevoli e contrari, fece una sua inchiesta di controllo dei fatti e portò in tv questa verità - accelerando così la vicenda, nel renderla conosciuta e comprensibile al Paese. Ovviamente non furono solo rose e fiori. Venne rimosso per gli scarsi ascolti dal leggendario boss della Cbs Paley (tornò in video per le proteste dei cittadini americani) e per tutta la vita ha scontato un certo snobismo dei giornalisti più colti: «Ci si immagina Cronkite più come uno che corre a seguire l'incendio o il ciclone, che come uno che fa articolati ragionamenti sull'ultima riunione delle Nazioni Unite a Ginevra», ha scritto Halberstam. Certo, visto oggi, il suo ruolo è stato più quello di un rassicurante zio che quello dell'intellettuale. Ma, a differenza di molti intellettuali, la sua integrità è stata consistente nel tempo. Così da fare di lui un riferimento anche in tempi più recenti, quando morale, politica, tecnologie e necessità di vendere sono diventate un unico, inscindibile nodo che rischia di soffocare il ruolo del giornalista e quello del lettore. In una bellissima intervista concessa a Kira Albin nel 1996 per presentare la sua biografia A reporter's life (ed. Knopf) Cronkite pronunciò una frase memorabile che chiude la bocca a politici che chiedono responsabilità alla stampa, e alla stampa che vuole giocare a sostituire la politica: «I giornalisti devono alzare uno specchio e dire "ecco quello che siete". E se non vi piace come apparite, fate qualcosa per cambiare. Ma questa non è responsabilità dei giornalisti».

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Versione maggiorata dello Sport Activity diventato status symbol È un antidepressivo (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-07-2009)

Argomenti: Obama

Versione maggiorata dello Sport Activity diventato status symbol «È un antidepressivo» [FIRMA]PIERO BIANCO INVIATO AD ATLANTA Pazienza se Obama sponsorizza compatte vetture eco-friendly. Nel paese delle grandi contraddizioni gli automobilisti faticano a indossare il cilicio, continuano a sognare prestazioni da brivido, cavalli, coppie impetuose. Amano le supercar, e se le comprano un po' meno è soltanto per la crisi dell'economia, non delle vocazioni. Questo resta uno scenario ideale per i marchi europei del lusso sportivo. Come Bmw, che non a caso qui ha presentato (aprile, Salone di New York) e qui ora lancia uno dei modelli più prestazionali: la X6 M. Variante ultramuscolosa dello Sport Activity Vehicle. M sta per Motorsport, la divisione hi-tech che dà immagine e soldi al gruppo e che in Usa l'anno scorso ha venduto 10.673 unità, il 70% in più del 2007 e quasi la metà dell'intero pacchetto. «In tempo di crisi noi offriamo l'antidepressivo», dice Albert Biermann, responsabile dello sviluppo M. Un antidoto da 160 mila dollari, ma c'è ancora chi può. Sul nostro mercato arriverà a fine ottobre, prezzo 115.500 euro, mentre l'X5 M che adotta la stessa tecnologia costerà 112.900 euro. Con quella linea molto personale, a metà strada fra Suv e coupé, dimensioni maxi (4,88 m di lunghezza, 1,98 di larghezza e 1,69 di altezza), l'X6 ha scalato le classifiche di gradimento nel mondo: solo in Italia in 14 mesi l'hanno già scelto 6.500 clienti. Fa «status», piace. Il Sav bavarese viene prodotto con la X5 a Spartanburg (South Carolina, 170.000 unità/anno). Questa edizione maggiorata da 2,3 tonnellate, prima Bmw a trazione integrale sviluppata dalla divisione M GmbH, dovrà confrontarsi con altre seduzioni come Cayenne turbo e Mercedes ML63 AMG. Dal modello base eredita sofisticate tecnologie, a cominciare dall'innovativo xDrive, un differenziale posteriore autobloccante a gestione elettronica che scarica la coppia su retrotreno e avantreno in base alle condizioni di marcia, rendendo la vettura più dinamica e controllabile. Il Dynamic Performance Control aumenta la stabilità nelle situazioni impegnative, ottimizzando le funzioni del Dsc. Di serie l'assetto M con Adaptive Drive, ammortizzatori pneumatici con regolazione del livello nell'asse posteriore, assetto ribassato di 10 mm, molle portanti rigide, sterzo Servotronic, controllo elettronico delle sospensioni Edc con settaggio specifico, impianto freni con 4 pistoncini e pinza fissa davanti. Siamo a livelli di assoluta eccellenza non solo nei valori di accelerazione (4,7" da 0 a 100), ma in tutti quelli che fanno la differenza: dinamica trasversale, comportamento di guida, spazio di frenata. Qualità testate nelle tranquille strade della Georgia a 55 miglia orarie, e in condizioni estreme sull'impegnativo circuito Road Atlanta, dove la nuova Bmw ha scatenato il meglio del repertorio: 250 km l'ora autolimitati, che diventano 275 con con l'M Driver's Package (un optional per chi proprio non si accontenta). Il gioiello della X6 high performance è l'inedito motore Twin Turbo V8 di 4,4 litri con tecnologia Twin Scroll da 555 Cv a 6.000 giri che eroga una strepitosa coppia di 680 Nm tra 1.500 e 5.650 giri. È il primo al mondo con collettore di scarico che serve i cilindri di entrambe le bancate garantendo rapidità di risposta tipicamente M. I consumi non sono certo da citycar (13,9 litri in media per 100 km) con 325 grammi/km di Co2 emessi come è inevitabile in una supercar, tuttavia il motore è all'avanguardia anche sotto il profilo ambientale: rispetta la normativa Euro 5 e quella ancor più severa americana LevII. La trasmissione automatica sportiva a 6 rapporti ha una dinamica di cambiata con tempi rapidissimi e «paddles» M in alluminio dietro il volante. Si può scegliere tra Launch Control (massima accelerazione) e Power, in modalità Sport ed Efficient. Sicurezza al top, con 6 airbag e scocca protettiva. Tra i tanti «plus», anche doppi proiettori bi-xeno e cerchi in lega da 20 pollici con gomme runflat.

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"Vi serve Obama non Pulcinella" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-07-2009)

Argomenti: Obama

"Vi serve Obama non Pulcinella" La riunione di Sorrento è appena finita, la lettera per il premier Berlusconi con la richiesta di più attenzione al Mezzogiorno è ancora da recapitare, e già il Nord sferra il primo attacco. «Al Sud serve Obama non Pulcinella», provoca il ministro leghista Roberto Calderoli. «Se il Partito del Sud di cui tanto si parla ha come emblema la lacrima e la recriminazione, temo che il Mezzogiorno sarà condannato a giocare un ruolo minimale nel percorso delle riforme». Disponibilità a cercare soluzioni alla questione meridionale, giura, ma non se «ci troviamo davanti dei piagnoni che recriminano nel nome dell'assistenzialismo». E il partito del Sud, sostiene «è una rincorsa della Lega: ma gli originali non li riesce a imitare nessuno». Nord contro Sud e ritorno: perché il sottosegretario Gianfranco Micciché, animatore della due giorni sorrentina conclusa ieri per discutere di partito del Mezzogiorno, si affretta a ribattere. «Il Sud non è per niente piagnone: quello di cui parliamo noi era cresciuto e oggi si trova di nuovo in difficoltà per colpa di chi lavora contro l'unità del Paese. Arriva il federalismo fiscale, ognuno sarà responsabile delle proprie ricchezze, e noi non ci vogliamo far derubare da nessuno. O si è pronti a collaborare tra regioni, o si va allo scontro: noi siamo pronti a entrambe le ipotesi», garantisce. «Abbiamo cervelli ed energie tali da fare a meno di Calderoli, ma lui e Tremonti si ricordino di essere ministri della Repubblica e non della Padania». E' critico con l'ipotesi di una Lega Sud anche il candidato alla segreteria del Pd Pierluigi Bersani: «Sarebbe una tragedia». Ma dalle parti di Micciché il progetto avanza. E' pronto il logo "Sud" nei colori complementari, evocativi di cielo, mare, terra ed energia del Mezzogiorno, che sono anche, spiegano, le tinte più trendy del 2010 secondo gli osservatori della moda di Parigi. Un logo già applicato ovunque, in simulazioni di magliette e bandiere, penne e manifesti, con tanto di slogan: "Sud è partito". «Si impone la necessità di un partito del Sud», ribadisce l'ex sindaco di Lecce, Adriana Poli Bortone, «non c'è più tempo da perdere». Prossimo incontro dei "sorrentini" in una iniziativa da lei promossa, a Napoli, venerdì 24. «Una riunione di quattro amici al bar», la stroncatura dell'incontro di Sorrento del senatore Udc, Salvatore Cuffaro, «un grande flop». «38 amici al bar», puntualizza Micciché. Dal governo arriva un invito a non sottovalutare il partito del Sud: «Rischia di essere un giro di boa nella legislatura», mette in guardia il ministro Gianfranco Rotondi, che propone la creazione di una Commissione Attali sul Sud, da far presiedere a una personalità di centrosinistra. E che nel Pdl i riflettori siano puntati sul Mezzogiorno non c'è dubbio: ieri anche il capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto, ha parlato di un documento per il rilancio delle politiche per il meridione. E 70 deputati hanno firmato per chiedere l'istituzione di una Consulta del Sud nel partito.

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inchiesta della camera sul piano cia per assassinare i leader di al qaeda (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 14 - Esteri Stati Uniti Inchiesta della Camera sul piano Cia per assassinare i leader di Al Qaeda WASHINGTON - Cia nella bufera: l´amministrazione Obama vuole un team speciale per gli interrogatori dei sospetti terroristi, togliendoli così all´agenzia. Sul modo in cui la Cia ha gestito la vicenda del piano per assassinare i leader di Al Qaeda, la commissione intelligence della Camera avvierà un´inchiesta.

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"sicurezza? napolitano equilibrato" - rodolfo sala (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 9 - Interni "Sicurezza? Napolitano equilibrato" Bossi: ma la legge resta così. E al Pd: gli conviene aiutarci sul federalismo "Conclave a L´Aquila? Andrò, va bene. Però non c´è bisogno di nessuna fase-due" RODOLFO SALA DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA - I rilievi di Napolitano alla legge sulla sicurezza? «Non sono un messaggio negativo». A dirlo è Umberto Bossi, che così commenta per la prima volta la lettera-richiamo inviata dal Quirinale al governo contestualmente alla firma della legge che, tra l´altro, ha reso reato la clandestinità e legittimatole ronde. Certo, il pacchetto del ministro dell´Interno Maroni, «è una buona legge, e non va cambiata anche perché l´ha approvata il Parlamento». Ma di qui ad attaccare il capo dello Stato ce ne passa. Anzi, il leader della Lega - da Venezia, dove partecipa alla festa del Redentòr - rinnova la stima per Napolitano: «è bravo, un buon presidente, equilibrato e democratico». Prima di partire per Venezia, Bossi ha ricevuto Maroni nella sua casa di Gemonio. Neppure il titolare del Viminale ce l´ha col Presidente: «Anche Bobo giudica quel messaggio positivo, una cosa fatta per rispettare le prerogative del Parlamento». Dunque nessun problema con il Quirinale. «è la sinistra - sostiene Bossi - che cerca di spingere su Napolitano, ma lui sa benissimo che certe cose non si possono fare». Un motoscafo si avvicina al barcone, e sono applausi e incitamenti al Senatùr. La vicepresidente del Senato Rosy Mauro, immancabile accompagnatrice dell´Umberto, canta "Io vagabondo" al microfono insieme al presidente della Provincia di Como Leonardo Carioni, proprio mentre Bossi, prima della cena e dei fuochi, non rinuncia a spedire un messaggio a Berlusconi. Il premier ha detto che nella prima settimana di agosto riunirà il governo all´Aquila per fare il "tagliando" e lanciare una non ben precisata "fase due". Che farà, ministro Bossi? Riposta: «Berlusconi mi ha chiamato ieri (venerdì- ndr) e mi ha detto di andare… Mah, forse è triste, si sente un po´ solo, comunque va bene». Ma di "tagliando" non è il caso di parlare: «Il governo non ne ha assolutamente bisogno». Meglio andare avanti con quel che c´è già in agenda e va perfezionato, e con quello che potrebbe arrivare a breve. Insomma: «A L´Aquila la Lega riproporrà con forza il tema del federalismo: quello fiscale lo abbiamo portato a casa, anche se mancano ancora i decreti attuativi. Poi c´è da pensare al federalismo istituzionale». Bossi dà un consiglio al Pd: «Il federalismo fiscale è stato anche il frutto del dialogo con l´opposizione in Parlamento, credo che per quello istituzionale occorra seguire la stessa strada». Conviene, secondo lui, anche al partito di Franceschini: «Le elezioni sono passate e con il tempo maturano le nespole, e alle elezioni si è visto benissimo che chi ascolta la gente prende i voti». Con Bossi c´è anche Roberto Calderoli, che liquida l´iniziativa dei frondisti del Pdl raccolti attorno al duo Micciché-Dell´Utri, che si propongono come difensori degli interessi del Sud, a loro dire, bistrattati dallo sbilanciamento "nordista" del governo: «Il Sud ha bisogno di un Obama, non di un Pulcinella che si lamenta sempre». Bossi è ancora più tranchant: «Partito del Sud? Non seguo le stupidaggini». Infine una nota personale: «Da cattivo che ero ora sono un mediatore». Lo dice a proposito dell´incontro di lunedì in via Bellerio con Giulio Tremonti e Letizia Moratti, servito al sindaco di Milano per impegnare il governo a rivedere il patto di stabilità, così da poter investire direttamente in opere pubbliche per l´Expo. «La Moratti a quell´incontro ce l´ho portata io: venire a casa della Lega a volte serve».

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ron english, sovversivo e pop "sono il michael moore dell'arte" - simone mosca (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina XV - Milano Ron English, sovversivo e pop "Sono il Michael Moore dell´arte" Il personaggio In mostra i lavori dell´artista famoso per il ritratto di Obama "I graffiti? Firme e scarabocchi sono erbacce, pochi i veri capolavori" "Dipingerei un Berlusconi più giovane e più abbronzato" SIMONE MOSCA Icone mutanti e marketing dell´assurdo. La speranza è che qualcuno, sorridendo, si svegli. Ron English, eroe sovversivo del pop, 50 anni portati in t-shirt, sbarca a Milano, alla The Don Gallery, sull´onda del successo del suo Abraham Obama, dove fonde il viso del fresco presidente con le sembianze ottocentesche di Lincoln. In mostra non c´è, tutti venduti gli originali. Ha portato altri miti virati in colori acidi. Spiccano le Marilyn con seni in formato Topolino, doppi Elvis siamesi, creature da fumetto geneticamente modificate, tra cui una chimera nata dall´incrocio di una mucca con una pin up. Poi ancora una fantasia sulla Guernica di Picasso e due pupazzi di Mc Supersized, il grasso clown da fast food nato sulle affissioni abusive. Su un finto cartellone del Viagra era finito pure il repubblicano John McCain, sconfitto da Obama. Il claim era: "I wanna be erected". Almeno questo gli sarà riuscito? «Bisognerebbe chiederlo alla moglie, ora ha più tempo per questo genere di faccende». Ron English, ha ringraziato Obama per tanto successo o è stato Obama a ringraziare lei? «Il Presidente Obama dice "grazie Ron" facendo il suo lavoro progressista e illuminato ogni giorno. Io dico "grazie Obama" facendo il mio allo stesso modo. Siamo entrambi fortunati ad avere un mestiere che ci porta in Italia. Quando ero giovane ci venivo ogni estate, poi la vita di famiglia mi ha tenuto lontano. Gli italiani hanno il giusto approccio alla vita». Il suo lavoro è politico, ma anche pop, immediato. Lei sembra quasi un Michael Moore del pennello. «E´ un paragone azzeccato. Mi considero davvero l´equivalente artistico di Michael Moore, non lo conosco ma sono un suo grande fan. Restando nell´ambito dei documentari, sono molto amico di Morgan Spurlock, il regista di Super Size Me, e avrò il privilegio di apparire nel suo prossimo lavoro». Per capirla è emblematico il suo dipinto del giovane Warhol. «Per me Andy è il padre della generazione artistica Neo Pop. Il Pop è come il Rock and Roll e l´Hip Hop, generi considerati all´inizio di breve durata e che invece prosperano senza segni di stanchezza». L´arte di strada continua a scatenare polemiche. «I graffiti cercheranno sempre un loro equilibrio nella società. Gli artisti cercano visibilità mentre il pubblico sembra preferire l´arte verificata e conosciuta. Per me, firme e scarabocchi sono le erbacce dell´arte di strada e i capolavori sono i rarissimi fiori». Chi sono i personaggi che inventa? «Ronnny Rabbbit e Bunnny Rabbbit sono conigli alieni che vivono sulla terra, Cathy Cowgirl è la testimonial dell´ormone bovino della crescita, MC Supersized è il cugino di Ronald McDonald che, al contrario di Ronald, mangia da McDonalds. Sto lavorando a un libro che porta avanti i racconti». Ha un opinione riguardo al nostro premier? «Mr Berlusconi un volta ha detto "Credo che in qualsiasi occasione sia utile avere un approccio morbido e senso dell´umorismo". Condivido». Facciamo un gioco: se Obama va con Lincoln, come si abbinano Bush e Berlusconi? «Bush si mischia con Dick Cheney, poi farei un Berlusconi più giovane, più alla mano e più "tanned", abbronzato».

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la convalescenza del papa "dovrà rinviare il suo libro" - marco politi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 16 - Cronaca La convalescenza del Papa "Dovrà rinviare il suo libro" E il New York Times critica l´enciclica: astrusa Il cardinale Bertone su Obama: spero che mantenga l´impegno a far diminuire gli aborti MARCO POLITI DAL NOSTRO INVIATO AOSTA - «Un po´ di sofferenza non fa male». Risponde con pazienza cristiana Benedetto XVI al cardinale Bertone che gli telefona per confortarlo e ringraziarlo della decisione di venire stamani a Romano Canavese, suo paese natale, per pronunciare l´Angelus. Finito l´effetto anestesia il polso destro procura in effetti dolore al pontefice, ma gli ortopedici che l´hanno operato - il professor Manuele Mancini, la dottoressa Mus e il gessista Perron - dopo averlo visitato in mattinata nel villino confermano che tutto procede bene. Benedetto XVI, racconta il portavoce Lombardi, è di «buon umore», sorridente, ha dormito serenamente e ha celebrato tranquillamente messa al mattino. Poi, accompagnato da don Georg, ha fatto nuovamente una passeggiata nei dintorni del suo chalet a Les Combes. Certo gli dà fastidio dover benedire con la sinistra (l´anello papale è già passato di mano), ma ci si può abituare. Il grande cruccio di papa Ratzinger è però di non poter scrivere e di essere improvvisamente costretto a interrompere il lavoro di stesura del suo secondo volume su Gesù. I trenta-quaranta giorni in cui il polso destro sarà immobilizzato corrispondono esattamente al tempo di vacanze che voleva dedicare all´opera che gli è più cara. Anzi, si sentiva già in ritardo perché la redazione dell´ultima enciclica Caritas in veritate gli aveva già rubato molti più mesi del previsto. Proprio lo stile dell´enciclica viene peraltro criticato duramente dal New York Times, che gli rimprovera passaggi astrusi, frasi a volte troppo generiche, un periodare macchinoso. «Il papa prova dispiacere di non potere scrivere a mano», ammette Lombardi e il cardinale Bertone ribadisce parlando di «grande dispiacere» e rivelando che Ratzinger era già impegnato nel delineare l´ «architettura della seconda parte del libro su Gesù e ora dovrà rallentare». A Romano Canavese tutto è pronto per ricevere il pontefice. Unici ad aver fatto sapere che non verranno (perché troppo impegnati con le messe) sono i lefebvriani del priorato di Montalenghe. Bertone, già sul posto, ha dichiarato ai giornalisti che il discorso papale sarà un «messaggio forte» sui temi della famiglia, del futuro dei giovani e del lavoro: «La sua visita, in una zona segnata dalla crisi dell´Olivetti e dal dramma della disoccupazione, avrà un forte valore di solidarietà». D´altronde, ha proseguito il segretario di Stato, la Chiesa intende essere coscienza critica perché vengano mantenuti gli impegni del recente G8 sull´economia. Il porporato ha anche ricordato il recente incontro tra Benedetto XVI e Obama, definendolo «fruttuoso». La Santa Sede, ha soggiunto, si augura che il presidente americano mantenga l´impegno di «diminuire gli aborti» e garantire l´obiezione di coscienza dei sanitari. In Vaticano Obama ha fatto molta impressione. Si è capito che un´opposizione frontale sui temi etici sarebbe stata controproducente nell´opinione pubblica internazionale. Obama, spiega Bertone, «si è voluto mettere in ascolto delle ragioni della chiesa». Anche l´Osservatore Romano, in un articolo pubblicato oggi, testimonia dell´attenzione che Obama sin dalla cerimonia di insediamento del 20 gennaio ha rivolto alle sfumature del discorso religioso.

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Deputati del Pdl in campo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 19-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Politica data: 19/07/2009 - pag: 16 Il nodo Cicchitto annuncia un documento. Miccichè: con me 38 parlamentari Deputati del Pdl in campo «Ora politiche per il Sud» Bossi sul «partito meridionale»: non seguo le stupidaggini ROMA La nave va, anche se ancora non si sa bene dove approderà. Di Partito del Sud, dalle parti siciliane del Pdl, in quelle dell'Mpa di Lombardo e persino in alcune zone del Pd, ormai si parla apertamente. È vero che per il momento assomiglia più ad un gruppo di pressione che ad una vera e propria formazione politica, ma la maggioranza comincia già a preoccuparsi e a corre ai ripari. Tanto che il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, annuncia che nei prossimi giorni i suoi parlamentari presenteranno «un documento che raccoglierà le più significative domande politiche avanzate dagli eletti nelle regioni meridionali». In altre parole, una prima risposta al movimento sudista, che potrebbe sfuggirgli di mano. Giovedì e venerdì si è visto a Sorrento il cosiddetto «gruppo di Miccichè», che promette fuoco e fiamme per il Meridione. Precisa lo stesso Gianfranco Miccichè: «Eravamo 38 parlamentari del Pdl, non quattro amici al bar, come dice Cuffaro ». Sottolinea che alla riunione c'era anche Stefania Prestigiacomo e Antonio Martino e avverte: «O le regioni, del Nord e del Sud, collaborano tra loro oppure non si va da nessuna parte». Sono già pronti i mani-- festi, il logo, il sito web e una sorta di YouSud per trasmettere il verbo neomeridionalista, ma nel frattempo è già cominciato il braccio di ferro con l'Mpa, che pochi giorni fa ha radunato la sua direzione federale e deciso che d'ora in poi del governo «si voteranno solo i provvedimenti favorevoli al Sud». Mentre, si sottolinea dalle parti di Lombardo, che il gruppo di Miccichè «ha paura di rompere il cordone ombelicale con Silvio Berlusconi». Anche perché Marcello Del-- l'Utri, che con Sorrento si è solo collegato telefonicamente, in questo variegato panorama sudista fa da garante dell'ortodossia di centrodestra. Assicura, in altre parole, Berlusconi, che la protesta meridionalista di Miccichè, resti nell'alveo del Pdl. Tanto che, pur condividendo molti fra gli argomenti sollevati, continua a ripetere: «Questo movimento è più che altro un'esercitazione filosofica». Cioè, non nascerà mai, per iniziativa di personalità a lui vicine, un formazione politica che crei problemi al Cavaliere. Insomma, il Partito del Sud non è ancora nato, ma già si divide. Forse perché, nel panorama politico italiano, rappresenta quella «bizzarria» di cui parla Stefano Folli sul Sole24Ore. Vale a dire, almeno per ora, è un «movimento» a cui possono guardare in tanti, comprese alcune frange sudiste del centrosinistra, come i governatori di Calabria e Campania, Loiero e Bassolino, non è detto che si trasformi per forza in un vero e proprio «partito», ma può dare più di un problema all'attuale sistema politico perché la protesta meridionale ha basi reali. Non a caso la novità suscita diverse reazioni. Nel centrosinistra, dove Pierluigi Bersani è convinto che «il Partito del Sud sarebbe una tragedia». Ma soprattutto nel centrodestra, che è la parte politica più «sensibile » alle grandi manovre meridionaliste. Adriana Poli Bortone, con il suo movimento «Io Sud», annuncia che giovedì prossimo organizzerà un convegno a Napoli «con l'obiettivo di far nascere una confederazione a tutto campo nel Mezzogiorno ». Umberto Bossi taglia corto: «Non seguo le stupidaggini ». Roberto Calderoli sceglie invece la provocazione: «Al Sud serve un'Obama, non un Pulcinella», suscitando la reazione stizzita di Miccichè: «E lui chi è? L'Obama del Nord?». Ma il ministro Gianfranco Rotondi prende sul serio il discorso: «Non sottovalutiamo il problema: rischia di essere un giro di boa della legislatura». E invoca, rivolgendosi a Berlusconi, una «Commissione Attali» per il Sud, presieduta da una personalità del centrosinistra. Pressing di Lombardo L'Mpa spinge su Miccichè perché rompa il «cordone ombelicale» con il Pdl Roberto Zuccolini

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Il Senatur: bene il Colle Tagliando al governo? No, meglio nuove idee (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 19-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Politica data: 19/07/2009 - pag: 17 A Venezia «Consigli» al Pd: «Ricominci ad ascoltare la gente» Il Senatur: bene il Colle Tagliando al governo? No, meglio nuove idee «Sulla sicurezza giusta la difesa del Parlamento» DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA «Napolitano è un buon presidente. Attento alla democrazia, e rispettoso del Parlamento». Non è il primo omaggio di Umberto Bossi al presidente della Repubblica. Ma certo, uno dei più sentiti. E dopotutto, per nulla scontato, visto che arriva all'indomani dei rilievi mossi dal capo dello Stato al pacchetto sicurezza. Ma quelle osservazioni, per il leader leghista sono soltanto dei «messaggi» per sottolineare le prerogative del Parlamento. Addirittura, secondo Bossi la lettera di Napolitano sarebbe stata apprezzata anche dal ministro del-- l'Interno: «Questa mattina è venuto da me Maroni. Anche lui ha giudicato questa cosa in modo positivo». Il problema, semmai, «è la sinistra che strumentalizza tutto. Ma lui, Napolitano, è equilibrato e democratico». Poi, Bossi parla del summit che il governo terrà all'Aquila all'inizio di agosto per parola di Berlusconi «fare il «tagliando » al governo e lanciarne «la fase due, quella delle riforme». Il ministro alle Riforme conferma: «Sì, Berlusconi mi ha chiamato ieri, mi ha detto che devo andare. E io ci vado, si vede che si sente solo e un po' triste» scherza Bossi. Ma poi obietta: «Il governo non ha bisogno di un tagliando, ha bisogno di lanciare nuove idee per il futuro. Quando siamo arrivati al governo c'erano tante cose da fare, e le stiamo facendo. Ma ora, bisogna anche guardare in avanti». In ogni caso, per Bossi si tratta soprattutto di «finire il federalismo fiscale, e quello lo finiamo di sicuro: mancano ancora i numeri, ma li metteremo ». Bossi sembra voler dare un consiglio al Pd: «Il tempo passa e fa maturare anche le nespole. Devono ricominciare a stare attenti a quel che vuole la gente, stare ad ascoltarla». Bossi partecipa per la terza volta alla festa del Redentore, a Venezia: «La festa della fine delle peste » spiega il capo leghista, attentissimo alle simbologie. Poi si ferma: la vicepresidente del Senato Rosi Mauro e il presidente della Provincia di Como Leonardo Carioni stanno cantando a squarciagola «Io vagabondo» dei Nomadi. Riprende Bossi, e parla di Expo: «In fondo, venire a casa della Lega serve». Si riferisce alla visita del sindaco di Milano Moratti in via Bellerio, dove si trovava anche Tremonti: «Da cattivo che ero scherza Bossi sono diventato mediatore. E poi sono amico di Tremonti, posso trovare una chiave d'intesa». Ciò a cui Bossi si mostra sovranamente disinteressato sono i primi vagiti del Partito del Sud che, pure, Berlusconi potrebbe utilizzare in chiave anti-Lega, per mettere dei paletti al sempre esigente Carroccio. Roberto Calderoli, commentando l'iniziativa di Giancarlo Micciché, era stato ironico: «Il Sud ha bisogno di Obama, non di Pulcinella». Bossi è ancora più secco: «Non seguo le stupidaggini». Marco Cremonesi

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Che pianse per la morte di JFK (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 19-07-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 19/07/2009 - pag: 10 Il personaggio Teneva i telespettatori attaccati al video: s'inventò la figura dell'anchorman «L'uomo più fidato d'America» Che pianse per la morte di JFK di ALDO GRASSO Nelle scuole americane di giornalismo l'annuncio della morte di John F. Kennedy da parte di Walter Cronkite è libro di testo. È il 22 novembre 1963, la Cbs interrompe un programma di intrattenimento: da una scrivania della redazione, Cronkite annuncia il ferimento del Presidente. Le notizie si susseguono, drammatiche ma incerte. Il giornalista è in maniche di camicia (bianca), ha una cravatta scura e stretta, inforca un paio d'occhiali dalla montatura pesante. Mentre giungono le prime immagini da Dallas e i primi timori, la sua preoccupazione principale è di verificarne l'attendibilità: «Non siamo sicuri che sia morto, attendiamo l'ufficialità della notizia... anche se è giunta una telefonata che parla di morte... Il collega Dan Rather ha confermato...». E poi la frase famosa: «From Dallas, Texas, the flash, apparently official: President Kennedy died at 1 p.m. Central Standard Time. 2:00 Eastern Standard Time, some 38 minutes ago (da Dallas, Texas, un flash d'agenzia, apparentemente ufficiale: il Presidente Kennedy è morto all'1 p.m. ora centrale del continente; 2.00 ora della costa orientale, circa 38 minuti fa). Mentre controlla l'ora in studio, con un breve sguardo verso l'alto, Cronkite si toglie gli occhiali e poi, a stento, trattiene la commozione. Anni dopo, rievocando l'episodio, riferì di come le parole gli si bloccarono in gola, di come si trasformarono poi in lacrime: «Ho cercato di trattenere l'emozione, di conservare un tono professionale, ma è stato un momento davvero difficile». L'ex anchorman della Cbs News è morto venerdì notte a New York all'età di 92 anni. Il suo autorevole modo di dare le notizie durante periodi non facili lo ha reso una figura leggendaria, the most trusted man , l'uomo di cui più ci si fidava in America, secondo una nota definizione. Walter Cronkite, «lo zio Walter» (anche perché assomigliava in maniera impressionante a un altro celebre «zio», Walt Disney), non è stato soltanto il testimone televisivo di fatti importanti e sconvolgenti ma ha rappresentato un modo di fare giornalismo che per molti anni è stato interpretato come il modello ideale del giornalismo televisivo: una comunicazione diretta, che va subito al sodo, senza tanti fronzoli, con un fondo di onestà percepita. Per quasi venti anni, dal 1962 al 1981, Cronkite è stato il conduttore del tg più seguito d'America, il «Cbs Evening News», ma già prima si era segnalato come uno dei più attenti cronisti della tv americana. Nella sua lunga carriera, ha raccontato l'incoronazione della regina Elisabetta, lo scoppio della bomba atomica, la guerra in Vietnam, la morte dei Kennedy, l'assassinio di Martin Luther King, le tensioni razziali, le manifestazioni pacifiste nei campus universitari, lo sbarco sulla luna, giusto quarant'anni fa, il caso Watergate. Nel settembre del 1963, Cronkite lancia per la prima volta un programma di informazioni della durata di mezz'ora, ampliando il suo Cbs Evening News da 15 a 30 minuti, che è ancora la pezzatura classica di molti tg. E inventa una nuova figura, quella dell'anchorman (uomo ancora). Il termine fu coniato dal presidente della Cbs Sig Mickelson, proprio per sottolineare la capacità di Cronkite di «ancorare l'emittente e il pubblico davanti alle telecamere distribuendo notizie su un avvenimento » . Cronkite non esibiva particolari doti spettacolari, anzi. Era piuttosto freddo, alcune volte è stato persino accusato di essere privo di verve. Ma aveva una voce molto espressiva, riconoscibilissima. Il suo scopo era altro: «Ho costruito la mia reputazione su un giornalismo onesto e diretto. Fare qualunque altra cosa mi suonerebbe finto». La sua frase tipica, non priva di sottile ironia, con cui chiudeva la trasmissione era «and that's the way it is », («E le cose stanno così», «questo è quanto»), seguita dalla data. Il suo successore, Dan Rather, fu costretto a trovarsene un'altra, per imprimere un identico sigillo: «And that's part of our world tonight» (e anche questo fa parte del nostro mondo, stasera). Per tutti gli anni '60 e '70, Cronkite ha incarnato l'esempio di giornalismo anglosassone: controllare il potere stando dalla parte della gente, acquisire grande credibilità, ascoltare sempre più campane, separare i fatti dalle opinioni ma in una versione nuova, televisiva. L'anchorman è la guida dello spettatore nella selva delle notizie, è il suo punto di riferimento, la sua luce nella notte. Di più: Cronkite era l'informazione televisiva; grazie a lui il mezzo, in quanto a stima, ha fatto passi da gigante. In proposito, si cita sempre una frase di Lyndon Johnson, dopo l'editoriale di Cronkite a commento dell'offensiva del Tet, nel corso della guerra del Vietnam, dove affermava che non era possibile vincere quel maledetto conflitto. «Se ho perso Walter Cronkite disse il presidente ho perso l'America moderata». Nato il 4 novembre 1916 nel Missouri, Walter Leland Cronkite Jr. aveva iniziato il mestiere di reporter con l'agenzia Upi che l'aveva inviato in Europa a raccontare la Seconda guerra mondiale. Cronkite si era fatto paracadutare sull'Olanda con la famosa 101esima Divisione aviotrasportata e aveva partecipato allo sbarco in Normandia. Dal 1946 al 1948 era stato capo dell'ufficio di Mosca dell'Upi. Nel 1950 era stato assunto dalla Cbs. Era l'inizio della straordinaria carriera del giornalista che ha avuto più influenza di tutti sull'opinione pubblica del suo paese. Quando si è ritirato dalla conduzione del tg, ha continuato a prestare la sua voce e la sua prestigiosa immagine a numerosi servizi, film e documentari. Nel ricordarlo, Barack Obama ha detto una frase importante: «In an era before blogs and emails, cellphones and cable, HE was the news» (in un'epoca senza blogs, email, cellulari e satellite, LUI era la notizia). Ha poi aggiunto: «Il Paese ha perso un'icona e un amico caro. Walter fu sempre qualcosa in più di un conduttore: qualcuno a cui ci potevamo affidare perché ci guidasse attraverso i temi più importanti del giorno, la voce della certezza in un mondo incerto. Era come uno di famiglia. Ci invitava a credergli e non ci deluse mai». Il nome Con Walter Cronkite fu coniato il termine «anchorman». Una figura che si identificò a tal punto con la sua persona che in altre lingue il suo nome divenne sinonimo di anchorman: con lui i giornalisti che conducono il telegiornale in svedese vennero chiamati «Kronkiters» e in olandese «Cronkiters»

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Addio a Cronkite. Obama: un'icona (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 19-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 19/07/2009 - pag: 10 Lutto Testimone di 30 anni di vicende americane, dal Vietnam alla presa di ostaggi in Iran Addio a Cronkite. Obama: un'icona Scompare a 92 anni il più grande telegiornalista della storia WASHINGTON Si è spento a 92 anni Walter Cronkite, il leggendario giornalista che per un ventennio, dal '62 allo '81, diresse e presentò il telegiornale della Cbs, facendo della tv il «news medium» dominante del secolo e divenendo, per la sua obbiettività e serenità, la bocca della verità dell'America, l'uomo in cui il Paese nutriva più fiducia. Cronkite, che nel 2005 aveva perso la moglie dopo 65 anni di matrimonio, è morto di complicazioni da demenza senile nella sua casa di New York, circondato dai tre figli e dai quattro nipoti. Con lui, ha detto il presidente Obama, «se ne è andato un membro della famiglia, una icona e un amico che sapeva guidarci sui problemi più importanti del giorno, e che non ci ha mai ingannato, la voce della certezza in un mondo insicuro». Nella storia del giornalismo americano, nessuno aveva raggiunto e forse raggiungerà la popolarità di Cronkite, il cui teleascolto assurse a rito quotidiano per decine di milioni di persone. Cronkite si identificò agli occhi della America nei suoi capitoli più luminosi e bui: gli assassini di John e Robert Kennedy e di Martin Luther King; la guerra del Vietnam e l'epocale conquista della luna; il Watergate, lo scandalo che costò la presidenza a Richard Nixon e i 444 giorni degli ostaggi dell'ambasciata a Teheran. Fu un idolo americano: alla convention democratica dell'80 all'annuncio che si sarebbe ritirato nell'81, a 64 anni, i delegati si alzarono in piedi invocandone il nome «Walter, Walter». Ma il successo non lo corruppe mai, rimase «un giornalista che dà notizie, non pontifica». Per Cronkite, per cui fu coniato il termine «anchorman », il giornalismo fu una vocazione, l'abbracciò fin da ragazzo quando lesse il libro Foreign correspondent (corrispondente dall'estero). Vi si dedicò a Houston collaborando al locale quotidiano e distribuendolo per istrada mentre andava alla università. Dopo pochi anni come radiocronista nel Kansas, nel '39 passò all'agenzia di stampa Upi, che nella seconda guerra mondiale lo mandò al fronte europeo al seguito delle truppe americane. Cronkite vi rimase fino al '45, coprendo lo sbarco in Normandia, la campagna delle Ardenne e i processi di Norimberga, poi si trasferì a Mosca come corrispondente. Nell'autobiografia, raccontò di avere preso parte a un bombardamento in Germania come mitragliere. Assunto alla Cbs nel '48, Cronkite alternò la radio alla tv, e dopo le convention democratica e repubblicana del '52 s'impose come la star degli schermi. Nel '62, la Cbs gli affidò il telegiornale, allora di soli 15 minuti. Cronkite lo portò a mezz'ora nel '63 debuttando con un'intervista al presidente Kennedy. Da quel momento assunse, sia pure con molta riluttanza, un ruolo anche politico. Fu tra i primi a caldeggiare la fine della guerra del Vietnam e la mediazione Usa tra l'Egitto e Israele. Allo stadio Walter Cronkite tira la prima palla a una partita di baseball a San Diego, nel 1998 (Reuters) Ennio Caretto

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Hillary torna in scena con il viaggio in India (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 19-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 19/07/2009 - pag: 13 Diplomazia Obama dà l'impressione di controllare tutto Hillary torna in scena con il viaggio in India «Non sono ai margini» Dopo le critiche per la sua evanescenza DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK Hillary Clinton incontra i famigliari delle vittime dell'attentato di Mumbai. Hillary Clinton parla di cambiamenti climatici con gli industriali indiani. Hillary Clinton lancia un appello al mondo contro il terrorismo. Per la prima volta dopo settimane di assenza, l'ex first lady americana torna a catturare le prime pagine. L'occasione: la sua prima visita ufficiale come Segretario di Stato in India, dove resterà fino al 21 luglio e incontrerà, tra gli altri, il ministro degli esteri SM Krishna, il primo ministro Manomhan Singh, il presidente della coalizione di governo e del partito del Congresso Sonia Gandhi. Martedì prossimo la partenza per la Thailandia, dove prenderà parte ad un incontro dell'Associazione dei paesi del sudest asiatico, Asean. A Mumbai, il capo della diplomazia Usa ha reso omaggio alle oltre 170 vittime degli attentati islamici di novembre, lanciando un appello alla comunità internazionale affinché si unisca contro l'eversione islamica. «Le bombe di Giacarta ci risvegliano la dolorosa memoria che la minaccia del terrorismo resta reale», ha detto, «E' mondiale, spietato, nichilista e si deve fermare, per liberare il mondo dall' odio e dall'estremismo». Ma al di là della retorica, il suo viaggio viene letto in patria come il tentativo - quasi disperato - di tornare sotto i riflettori, restaurando il suo ruolo di capo della diplomazia Usa, oscurato nelle ultime settimane da un presidente popolare e iperattivo. Costretta a un mese di inattività per una frattura al gomito, Hillary è ormai da settimane bersaglio di gossip che la vorrebbero «irrimediabilmente marginale» e non solo rispetto al suo ex rivale nella corsa presidenziale, acclamato all'estero come il diplomat in chief. L'infortunio che l'ha costretta a rinunciare a ben due viaggi oltreoceano - in Russia e al G8 - ha lasciato il palcoscenico alla cosiddetta «squadra dei rivali». Dal vicepresidente Joe Biden al consigliere per la Sicurezza Nazionale James Jones, al presidente della commissione Esteri del Senato John Kerry che in sua assenza si sarebbero ritagliati uno spazio d'influenza maggiore. Diversi commentatori hanno deplorato il suo profilo «sempre più evanescente». In un editoriale sul suo influente sito Daily Beast , Tina Brown esorta Barack Obama a «consentire alla tua invisibile donna di stato di togliersi il burqa ». «La politica estera americana oggi è elaborata dai consiglieri di Obama, non da Hillary », le fa eco sul Washington Post il columnist Jim Hoagland. «Non faccio attenzione a queste dicerie», ribatte Hillary indispettita, spiegando che «mi sono rotta il gomito, non la laringe». E per dimostrare di essere ancora lei il capo, ha sfruttato l'occasione di un discorso al Council of Foreign Relations di Washington, mercoledì scorso, per riassumere l'ambiziosa linea seguita dal governo nei primi sei mesi, dall'Iran a Israele e dalla Cina alla Corea. Il suo entourage intanto rende noto l'imminente tour-de-force di trasferte internazionali: Africa in agosto, Russia e Pakistan in autunno. Visita Clinton tra le attiviste di una organizzazione non profit ieri a Mumbai (Ap/Rajanish Kakade) Alessandra Farkas IL COMMENTO di Paolo Valentino nelle Idee & Opinioni

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Senza limiti (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 19-07-2009)

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INVIATO AD ATLANTA Pazienza se Obama sponsorizza compatte vetture eco-friendly. Nel paese delle grandi contraddizioni gli automobilisti faticano a indossare il cilicio, continuano a sognare prestazioni da brivido, cavalli, coppie impetuose. Amano le supercar, e se le comprano un po’ meno è soltanto per la crisi dell’economia, non delle vocazioni. Questo resta uno scenario ideale per i marchi europei del lusso sportivo. Come Bmw, che non a caso qui ha presentato (aprile, Salone di New York) e qui ora lancia uno dei modelli più prestazionali: la X6 M. Variante ultramuscolosa dello Sport Activity Vehicle. M sta per Motorsport, la divisione hi-tech che dà immagine e soldi al gruppo e che in Usa l’anno scorso ha venduto 10.673 unità, il 70% in più del 2007 e quasi la metà dell’intero pacchetto. «In tempo di crisi noi offriamo l’antidepressivo», dice Albert Biermann, responsabile dello sviluppo M. Un antidoto da 160 mila dollari, ma c’è ancora chi può. Sul nostro mercato arriverà a fine ottobre, prezzo 115.500 euro, mentre l’X5 M che adotta la stessa tecnologia costerà 112.900 euro. Con quella linea molto personale, a metà strada fra Suv e coupé, dimensioni maxi (4,88 m di lunghezza, 1,98 di larghezza e 1,69 di altezza), l’X6 ha scalato le classifiche di gradimento nel mondo: solo in Italia in 14 mesi l’hanno già scelto 6.500 clienti. Fa «status», piace. Il Sav bavarese viene prodotto con la X5 a Spartanburg (South Carolina, 170.000 unità/anno). Questa edizione maggiorata da 2,3 tonnellate, prima Bmw a trazione integrale sviluppata dalla divisione M GmbH, dovrà confrontarsi con altre seduzioni come Cayenne turbo e Mercedes ML63 AMG. Dal modello base eredita sofisticate tecnologie, a cominciare dall’innovativo xDrive, un differenziale posteriore autobloccante a gestione elettronica che scarica la coppia su retrotreno e avantreno in base alle condizioni di marcia, rendendo la vettura più dinamica e controllabile. Il Dynamic Performance Control aumenta la stabilità nelle situazioni impegnative, ottimizzando le funzioni del Dsc. Di serie l’assetto M con Adaptive Drive, ammortizzatori pneumatici con regolazione del livello nell’asse posteriore, assetto ribassato di 10 mm, molle portanti rigide, sterzo Servotronic, controllo elettronico delle sospensioni Edc con settaggio specifico, impianto freni con 4 pistoncini e pinza fissa davanti. Siamo a livelli di assoluta eccellenza non solo nei valori di accelerazione (4,7” da 0 a 100), ma in tutti quelli che fanno la differenza: dinamica trasversale, comportamento di guida, spazio di frenata. Qualità testate nelle tranquille strade della Georgia a 55 miglia orarie, e in condizioni estreme sull’impegnativo circuito Road Atlanta, dove la nuova Bmw ha scatenato il meglio del repertorio: 250 km l’ora autolimitati, che diventano 275 con con l'M Driver's Package (un optional per chi proprio non si accontenta). Il gioiello della X6 high performance è l'inedito motore Twin Turbo V8 di 4,4 litri con tecnologia Twin Scroll da 555 Cv a 6.000 giri che eroga una strepitosa coppia di 680 Nm tra 1.500 e 5.650 giri. è il primo al mondo con collettore di scarico che serve i cilindri di entrambe le bancate garantendo rapidità di risposta tipicamente M. I consumi non sono certo da citycar (13,9 litri in media per 100 km) con 325 grammi/km di Co2 emessi come è inevitabile in una supercar, tuttavia il motore è all’avanguardia anche sotto il profilo ambientale: rispetta la normativa Euro 5 e quella ancor più severa americana LevII. La trasmissione automatica sportiva a 6 rapporti ha una dinamica di cambiata con tempi rapidissimi e «paddles» M in alluminio dietro il volante. Si può scegliere tra Launch Control (massima accelerazione) e Power, in modalità Sport ed Efficient. Sicurezza al top, con 6 airbag e scocca protettiva. Tra i tanti «plus», anche doppi proiettori bi-xeno e cerchi in lega da 20 pollici con gomme runflat.

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