CENACOLO
DEI COGITANTI |
Campagna elettorale in
diretta tutto il giorno con la tivù "on line"
( da "Stampa, La" del
14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Penso che sia importante che a
seguire l'esempio dei Democratici di Obama siano in Europa soprattutto le
donne». Così Marylin Fusco, candidata ligure per l'Italia dei Valori alle
elezioni europee, spiega la sua decisione di lanciare, primo politico a farlo,
una web tv in cui la sua campagna elettorale è on line in diretta tutto il
giorno.
Il Papa a Betlemme "I
muri si abbattono" ( da "Stampa,
La" del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: I muri si abbattono" «Il piano
Obama resa totale dei Paesi arabi» Israele ha ottenuto che non parlasse vicino
alla barriera ma è passato vicino [FIRMA]GIACOMO GALEAZZI INVIATO A BETLEMME
«Soffro per Gaza, basta con l'embargo e la tragedia del muro di divisione. No
alla tentazione del terrorismo, sì a uno Stato palestinese sovrano».
"La sofferenza è a
Gaza Perché non ci è andato?"
( da "Stampa, La" del
14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Mazen si accinge ad incontrare questo
mese a Washington il presidente Barack Obama. Che attese ci sono a Ramallah?
«Nessuno sa cosa gli Stati Uniti possano offrire ad Abu Mazen. Certo non
potranno temporeggiare molto di fronte alle posizioni intransigenti del premier
israeliano Benyamin Netanyahu (che oggi incontrerà il Pontefice a Nazareth, la
più grande città "araba" di Israele,
"serve un'intesa sui
confini aspettiamo le mosse di obama"
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: intesa sui confini aspettiamo le
mosse di Obama" Il punto non è il muro contro i kamikaze: il punto è
trovare un´intesa sui confini, ma su questo solo Obama potrà fare qualcosa
"Non importa più che Ratzinger sia o meno stato nella Hitlerjugend:
serviva invece una dichiarazione forte su nazismo e Olocausto" DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE GERUSALEMME - Abraham Yehoshua,
solidarietà ad abu mazen
"avete diritto a uno stato" - marco politi
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: la strategia imboccata dal
presidente Obama e favorita dal progetto di pace saudita che la Lega araba
sottoscrive. Si tratta di rilanciare i negoziati per giungere in tempi non
lunghi ad un accordo globale, che dia sicurezza ad Israele e uno stato ai
palestinesi. A Washington non piacciono le ipotesi fumose (che circolano in
certi ambienti israeliani) di una federazione giordano-
ecco il romanzo che piace
a obama - leonetta bentivoglio ( da "Repubblica,
La" del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: elezione di Obama se non ci fosse
stato l´11 settembre e quanto ne è derivato? «Obama non è il prodotto dell´11
settembre, ma dell´amministrazione Bush, catastrofe ben peggiore. Bush ha
tentato di semplificare il mondo instillando nella gente la paura della
democrazia, e su queste basi Mc Cain e la Palin avrebbero potuto essere eletti.
azione e gag in una fiaba
digitale doppia morale e un pizzico di realtà - cannes roberto nepoti
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: c´è chi ha creduto di respirare
l´aria dell´"era Obama" (leggi: guerra ai cattivi e alleanza tra
giovani e vecchi saggi); anche se, poi, il film è stato messo in cantiere cinque
anni fa, quando al governo c´era ancora il cattivo Bush. Protagonisti Cal,
quadrato vecchietto di 78 anni, e Russell, rotondo boyscout di 8.
la sorpresa è braga con la
sua campagna in perfetto stile obama
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina I - Bologna A P
braga è la sorpresa
nell'urna ancora una volta spiazza i giochi
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: urna ancora una volta spiazza i
giochi E sul sito esulta in stile Obama: "Yes we can" Per lui hanno
firmato Carlo Flamigni, Pasquino, Paolo Pupillo ed Enzo Boschi Dalla sede di
Ravenna è partito un pulmino di colleghi per venire a Bologna a votare A FINE
novembre di due anni fa, Dario Braga, sino ad allora conosciuto come il
direttore del Collegio superiore dell´Alma Mater,
obama blocca le nuove foto
sulle torture ai prigionieri - alberto flores d'arcais
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Esteri Obama blocca le nuove foto
sulle torture ai prigionieri "Conseguenze negative per i nostri in Iraq e
Afghanistan" Veto al verdetto di un giudice che aveva ordinato alla Difesa
di diffondere le immagini ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK -
Il 23 aprile aveva dato l´ok, ieri ha fatto marcia indietro.
giù i consumi usa, borse a
picco cade wall street, milano -3,9% - arturo zampaglione
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: la Casa Bianca di Barack Obama ha
intenzione di rafforzare la vigilanza sulle regole della concorrenza e potrebbe
anche aprire una inchiesta sul mercato dei chip. E´ una conferma del nuovo
attivismo in economia del governo americano, che ha già in programma di
calmierare gli stipendi degli executives e che proprio ieri, a chiusura dei
mercati,
"no alla musica
mediocre ora per me c'è solo bach" - giacomo pellicciotti roma
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Nemmeno in Obama. E non vedo grandi
cambiamenti all´orizzonte. Non ci sono leader, né maestri GIACOMO PELLICCIOTTI
ROMA In un mondo senza speranze neanche Obama può fare miracoli e l´unica
salvezza è la grande musica. Il pessimismo cosmico di Keith Jarrett, uno degli
ultimi eroi del jazz, dilaga dal suo eremo nel New Jersey dove vive dopo la
recente,
viaggio in india, dove
nelle urne si sfidano l'erede dei ghandi e la regina degli oppressi. un bivio
per un paese a caccia di un nuovo futuro - federico rampini new delhi
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: regina degli intoccabili"
potrebbe svolgere un ruolo chiave nei negoziati per formare la coalizione di
governo. La Mayawati usa un solo nome come spesso si usa nelle caste inferiori.
E´ stata definita "una Obama indiana". Di certo è una outsider che ha
dovuto superare ostacoli spaventosi. SEGUE NELLE P
Obama blocca le foto delle
torture ( da "Corriere
della Sera" del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Corriere della Sera sezione: Prima
Pagina data: 14/05/2009 - pag: 1 Ripensamento Obama blocca le foto delle
torture di PAOLO VALENTINO A P
Argomenti:
Obama
Abstract: ho sentito dire anche da Putin e da
Obama. Ma la comunità internazionale è divisa. Se qualcuno dice sì e altri no,
Ahmadinejad ci guadagna. Non sanno quanto sia pericoloso: è l'unico leader del
mondo che vuole distruggere un altro membro dell'Onu. Solo una politica comune,
con vere sanzioni economiche, può salvarci dal ricorso alle armi.
Consumi e conti affondano
le Borse ( da "Corriere
della Sera" del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il colosso mondiale dei
semiconduttori per computer, condannata per abuso di posizione dominante e
pratiche commerciali che hanno danneggiato sia i concorrenti, in primo luogo
Amd, sia «milioni di consumatori ». Giancarlo Radice NUOVA GARA Per il segretario
Usa alla Difesa, Robert Gates, è probabile una nuova gara d'appalto per
l'elicottero di Obama
Ue, Usa e la fine
dell'amnesia collettiva ( da "Corriere
della Sera" del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Fin dove si spingerà Obama? Usa e
Ue adotteranno finalmente una linea comune sull'antitrust? È presto per dirlo.
Ma, intanto, perfino Eric Schmidt, il capo operativo di Google che è stato
vicino ad Obama durante la campagna e anche nel transition team dopo l'elezione,
è finito nel mirino della Ftc, un'agenzia federale, perché siede anche nel
consiglio della Apple,
"IL MIO BLOG CONTRO I
DEMONI" ( da "Stampa,
La" del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: effetto Obama? «Ha tolto al regime
un argomento. Con Bush si sentivano invasi e potevano propagandare meglio, ci
marciavano. Ora è più complicato, ma il presidente degli Stati Uniti deve
levare l'embargo». Salverebbe qualcosa del sistema al potere? «Non è mai tutto
da buttare, ma se il prezzo di quanto di buono ho visto nella mia vita è la
libertà,
L'incubo dell'Fbi: i
bio-hacker ( da "Stampa,
La" del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione del presidente Barack
Obama ha però avviato una serie di studi in cooperazione con il dipartimento
dell'Fbi che si occupa delle armi di distruzione di massa. SYDNEY La teoria del
complotto era girata subito dopo l'esplosione dell'epidemia in Messico. Vari
siti statunitensi «alternativi» avevano parlato di un «esperimento di guerra
batteriologica»
Foto delle torture Obama
vieta la pubblicazione ( da "Stampa,
La" del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: I duri non parlavano» Foto delle
torture Obama vieta la pubblicazione [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA
NEW YORK Barack Obama blocca la diffusione di centinaia di foto di presunti
abusi sui prigionieri in Iraq e Afghanistan mentre a Capitol Hill è alta
tensione fra democratici e Cia sulla pratica degli «interrogatori duri».
Se c'è un posto scomodo al
mondo, per la gravità dei problemi da affrontare e per le ...
( da "Stampa, La" del
14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: appoggio della nuova America di
Obama. Senza, però, che ciò allenti la tensione più che tanto. Obama è un
pragmatico, ma non un «appeaser». E i problemi restano enormi. L'Iran, ma anche
la Corea del Nord, che fa e disfa gli accordi a suo piacimento. E altri Paesi,
dal Golfo all'estrema Asia, stanno a guardare, pronti a entrare in gioco
anch'essi,
Croisette con partenza
"animata" ( da "Stampa,
La" del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: prende in prestito lo slogan del
presidente Obama: «Il mondo cambia pelle? Cannes ne farà sentire fortemente
l'eco e se il cinema non può (ancora) cambiare il mondo, sicuramente può
muovere le emozioni. Per quanto mi riguarda, sì, ne sono certa, in Cannes we
can...». Su Le Film Français descrive il suo rapporto con la rassegna: «Tra me
e Cannes c'è una lunga storia,
La governatrice Palin
scriverà un libro di memorie ( da "Corriere
della Sera" del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: poi battuto da Obama, che l'ha
trasformata da misconosciuta governatrice dell'Alaska in una delle figure più
note e controverse del partito repubblicano. Il libro comprenderà anche la
descrizione della sua intensa vita familiare con i cinque figli, dall'ultimo
arrivato, affetto dalla sindrome di Down, Trig Paxson, alla gravidanza non
prevista dell'
La marcia indietro di
Obama
Argomenti:
Obama
Abstract: blocca la pubblicazione annunciata
per fine maggio La marcia indietro di Obama «Niente nuove foto di torture»
Insorgono i progressisti: «Usa le stesse tattiche di Bush» DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE WASHINGTON Un mese dopo aver detto si, Barack Obama ci ripensa.
Non vuole complicare la missione dei suoi soldati schierati in Iraq e
Afghanistan, aumentando i rischi per la loro sicurezza.
Caro Obama ti scrivo Al
nuovo Kennedy d'America scrivono tutti, anche i bambini. In un incontro c...
( da "Stampa, La" del
14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Caro Obama ti scrivo Al nuovo
Kennedy d'America scrivono tutti, anche i bambini. In un incontro con Manuela
Salvi, scrittrice per ragazzi, ecco le lettere al nuovo presidente degli Stati
Uniti. Il laboratorio s'intitola «Caro Obama, ti è già venuta qualche buona
idea?
L'erede di Ghandi e la
regina degli intoccabili la grande sfida per governare l'India
( da "Repubblica.it"
del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama indiana". La Mayawati
usa un solo nome come spesso si usa nelle caste inferiori. E' stata definita
"una Obama indiana". Di certo è una outsider che ha dovuto superare
ostacoli spaventosi. I suoi nonni vivevano in una sorta di apartheid, confinati
ai margini del loro villaggio: nell'India rurale ancora oggi si riserva agli
intoccabili la pulizia delle latrine,
L'incubo dell'Fbi: i
bio-hacker ( da "Stampaweb,
La" del 14-05-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: problema è che non è chiaro quale
ente federale sia preposto al controllo del commercio di Dna sintetico e non
esiste una classificazione chiara sulle diverse tipologie dell?acido riprodotto
in laboratorio. L?amministrazione del presidente Barack Obama ha però avviato
una serie di studi in cooperazione con il dipartimento dell?Fbi che si occupa
delle armi di distruzione di massa.
( da "Stampa, La" del
14-05-2009)
Argomenti: Obama
EUROPEEL'IDEA DELLA
FUSCO CANDIDATA IDV Campagna elettorale in diretta tutto il giorno con la tivù
"on line" GENOVA «Punto sulla trasparenza. Non sempre è chiaro dove e
soprattutto come e con chi si facciano le campagne elettorali, io ho voluto
dare un segnale nuovo. Penso che sia importante che a
seguire l'esempio dei Democratici di Obama siano in Europa soprattutto le donne». Così Marylin Fusco,
candidata ligure per l'Italia dei Valori alle elezioni europee, spiega la sua
decisione di lanciare, primo politico a farlo, una web tv in cui la sua
campagna elettorale è on line in diretta tutto il giorno. Una sorta di
reality del candidato che ieri ha visto l'«incursione» della Red Tv, il canale
Sky dell'omonima associazione lanciata da Massimo D'Alema. «E' la prova -
commenta Marylin (che doveva chiamarsi come la Monroe, ma all'anagrafe hanno
sbagliato la posizione della y) - che questo sistema made in Genova può
diventare uno strumento reale di partecipazione al dibattito pubblico, locale,
regionale e nazionale». «The Real Politics live» prevede che per 744 ore un
gruppo di 10 persone con 4 web cam seguano ininterrottamente la campagna
elettorale: tutti potranno partecipare semplicemente collegandosi online e
interagendo con la candidata nella platea virtuale. Fusco pensa di arrivare a
Strasburgo «per garantire la trasparenza nei finanziamenti e nella assegnazione
dei nuovi fondi europei» primo punto condiviso con Antonio Di Pietro, il leader
del suo partito. Nata a Finale Ligure il 17 aprile 1973, laureata in
Giurisprudenza all'Università di Genova con una tesi sulla legislazione contro
gli abusi sui minori, professione consulente legale, Marylin Fusco attualmente
è la coordinatrice ligure delle donne dell'Italia dei Valori. Dal 2007 è
consigliere comunale a Genova, eletta nella lista dell'Ulivo con il maggior
numero di preferenze tra le donne. Ma, nonostante l'elezione a presidente del
Coordinamento Genovese del Pd, matura dubbi sulla politica del partito,
avvicinandosi l'anno scorso all'Italia dei Valori per condivisione dei
contenuti e delle azioni di Antonio di Pietro. \
( da "Stampa, La" del
14-05-2009)
Argomenti: Obama
TERRA SANTA Dovete
avere una Patria sicura, in pace con i suoi vicini, con confini riconosciuti IL
GIORNALE AL QUDS IL VIAGGIO DI BENEDETTO XVI Al campo profughi palestinesi di
Aida Abu Mazen condanna l'occupazione «Gerusalemme nostra capitale eterna» Il
Papa a Betlemme "I muri si abbattono" «Il piano Obama resa totale dei Paesi arabi»
Israele ha ottenuto che non parlasse vicino alla barriera ma è passato vicino
[FIRMA]GIACOMO GALEAZZI INVIATO A BETLEMME «Soffro per Gaza, basta con
l'embargo e la tragedia del muro di divisione. No alla tentazione del
terrorismo, sì a uno Stato palestinese sovrano». Anche se ora «sembra un
obiettivo lontano», il Papa difende «il diritto del popolo palestinese a una
patria sovrana nella terra dei propri antenati». Dalla piazza della Mangiatoia,
davanti a 10 mila fedeli arrivati da Gerusalemme (definita ieri da Abu Mazen
«capitale eterna della Palestina»), da Gaza e da tutto il Medio Oriente
malgrado gli ossessivi controlli per passare il Muro, Benedetto XVI chiede per
i palestinesi uno Stato «sicuro, in pace con i suoi vicini, entro confini
internazionalmente riconosciuti», perché «non c'è pace senza giustizia, né
giustizia senza perdono». Nel piazzale del palazzo presidenziale, il Papa
indica «la via della riconciliazione contro le azioni sterili e lo stallo della
paura», reclama che i «gravi problemi di sicurezza in Israele e nei Territori
vengano presto alleggeriti così da permettere una maggiore libertà di
movimento, per i contatti tra familiari e per l'accesso ai luoghi santi». Poi
nel pomeriggio, la tappa al campo profughi di Aida per solidarizzare con «le
famiglie rimaste senza casa» e ammonire che «una coesistenza giusta e pacifica
fra i popoli del Medio Oriente è possibile solo con uno spirito di cooperazione
e mutuo rispetto, in cui i diritti e la dignità di tutti siano riconosciuti e
rispettati». I bambini del campo ballano per lui con in mano le chiavi, simbolo
del desiderio di tornare nelle loro case e recitano poesie sul «dramma di chi
ha perso tutto» Il capo negoziatore palestinese, Saeb Erekat ringrazia
Benedetto XVI dell'«appello per la fine dell'occupazione dell'ingiustizia». Il
Papa sprona la comunità internazionale a «usare la sua influenza» per una
soluzione del conflitto israelo-palestinese. All'ospedale pediatrico Caritas,
l'unico nei Territori, si commuove prendendo in braccio un neonato prematuro. Poi,
come temuto dalle autorità israeliane, critica «il muro che si introduce nei
Territori, separando i vicini, dividendo le famiglie, nasconde molta parte di
Betlemme». Con un monito: «Anche se i muri possono essere facilmente costruiti,
non durano per sempre. Possono essere abbattuti, rimuovendo le barriere dei
cuori». Benedetto XVI, mentre attraversa in papa-mobile la misera disperazione
di Aida, ai giovani che lo acclamano indirizza parole accorate: «Ora vivete in
condizioni precarie e difficili, con poche opportunità di occupazione. Vi
sentite spesso frustrati e le vostre giuste aspirazioni a una patria
permanente, ad uno Stato Palestinese indipendente, restano incompiute. Vi
sentite intrappolati in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di
vendette e di distruzioni continue». Guardando il Muro che le autorità
israeliane volevano escludere dalle inquadrature delle tv mondiali, scuote la
testa e lo definisce l'emblema del «punto morto dei rapporti tra israeliani e
palestinesi». Quindi cita San Francesco: «Dove c'è odio io porti amore, dove
l'offesa il perdono, dove la tenebra la luce». E assicura: «Il Papa è con voi».
Il momento più atteso arriva quando, durante l'omelia, il Pontefice si rivolge
«in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza a motivo
della guerra» (appena 48 i permessi concessi dal governo Netanyahu) e chiede a
Israele di «togliere presto l'embargo» seguito alla vittoria elettorale di
Hamas. La cittadina della Natività è stata ripulita e decorata con bandiere
nazionali e poster di benvenuto, dove l'immagine del Papa è accompagnata da
messaggi di saluto in arabo. È saltato, per il no israeliano, il progetto di
realizzare un palco a ridosso del Muro che corre vicino al campo profughi, il
corteo papale è passato tuttavia a tiro di telecamere della controversa
barriera. L'apparato dell'Anp (coordinato neppure tanto di nascosto con quello
d'Israele) ha blindato Betlemme come mai prima d'ora. Minacce specifiche non se
ne segnalavano, ma gruppetti di attivisti islamici radicali si erano fatti vivi
martedì con volantini ostili al Papa. Una decina sono stati fermati proprio
dalla polizia israeliana in varco di Gerusalemme Est. Il piano di Obama per pacificare il Medio Oriente non sarebbe altro che
«una resa totale degli arabi allo stato di Israele». È quanto sostiene il
quotidiano arabo «Al Quds al Arabi» che sembra dare il via alle prime critiche
al Presidente atteso al Cairo per il 4 giugno. Titolando: «Il piatto preparato
da Obama sta cuocendo gli arabi», il direttore boccia
l'iniziativa Usa definendola «molto peggiore di quella di Camp David» .
( da "Stampa, La" del
14-05-2009)
Argomenti: Obama
Intervista Mustafa
Barghuti "La sofferenza è a Gaza Perché non ci è andato?" SAFWAT
AL-KAHLOUT RAMALLAH La candida papamobile di Bendetto XVI ha da poco lasciato
il polveroso campo profughi palestinese di Aida, a Betlemme, e in Cisgiordania
la emozione per la visita straordinaria è tangibile. Per la intera giornata le
televisioni hanno trasmesso continui aggiornamenti sull'evento e nei caffè la
gente si attarda a commentarlo. «Sono davvero felice che si sia recato ad Aida,
che abbia potuto constatare di persona come vivono i profughi. Come se non
bastasse la espulsione dalle loro terre di 61 anni fa, sono costretti ad
accettare anche la costante presenza a ridosso delle loro case di quello che
noi consideriamo il "Muro dell'Apartheid". Una sofferenza che si aggiunge
a un'altra sofferenza». Chi parla è il parlamentare Mustafa Barghuti (55 anni),
segretario del piccolo partito di «Iniziativa nazionale palestinese». Una voce
rispettata nei Territori perché, in caso di necessità, sa criticare senza peli
sulla lingua sia l'Anp di Abu Mazen sia Hamas. In Benedetto XVI, dice, vede
«una figura religiosa di primo piano». Come giudica il discorso di Papa
Benedetto XVI a Betlemme? «È stato senz'altro positivo, anche se mi attendevo
qualcosa in più. A mio parere avrebbe dovuto denunciare l'occupazione militare,
l'aggressione violenta che gli israeliani praticano contro di noi. Alla base di
ogni religione deve esserci la giustizia: forse avrebbe dovuto ribadire in
maniera più netta i diritti dei palestinesi». Come vede l'appello ai giovani
palestinesi affinché rinuncino alla tentazione della violenza e al terrorismo?
«Mah, il popolo palestinese non è certo un popolo terrorista. È semmai un
popolo sottoposto da anni a una grave ingiustizia. I suoi tentativi di
scrollarsi di dosso l'occupazione non possono essere definiti terrorismo. Ci
sono diversi metodi per lottare contro l'occupazione: il nostro movimento, per
esempio, è un fautore della resistenza non violenta. Il terrorismo vero va
visto nella occupazione israeliana, nei massacri di civili, nella
espropriazione di terre altrui». Con la visita di Benedetto XVI alla Cupola
della Roccia, ospite del Mufti di Gerusalemme, può dirsi adesso superata la
polemica innescata dalla sua lezione su sull'Islam all'università tedesca di Ratisbona
? «Quella lezione ha davvero provocato grande emozione fra i musulmani. Penso
che egli avrebbe dovuto trovare un modo delicato per riparare l'effetto delle
sue parole. Resta ancora oggi del risentimento fra quanti ritengono che si sia
mancato di rispetto verso la nostra religione, verso il nostro Profeta». Al
termine di questa giornata di Betlemme, pensa che il Papa potrebbe fare ancora
qualcosa di più per favorire la pace in Medio Oriente? «Forse doveva dire che
da oggi deve cessare l'occupazione israeliana. Che Israele deve ritirarsi, che
il colonialismo non può essere accettato, che i massacri devono finire. Forse
doveva raggiungere Gaza, vederne le sofferenze, l'assedio». Il presidente
dell'Anp Abu Mazen si accinge ad incontrare questo mese a
Washington il presidente Barack Obama. Che attese ci sono a Ramallah? «Nessuno sa cosa gli Stati Uniti
possano offrire ad Abu Mazen. Certo non potranno temporeggiare molto di fronte
alle posizioni intransigenti del premier israeliano Benyamin Netanyahu (che oggi
incontrerà il Pontefice a Nazareth, la più grande città "araba" di
Israele, ndr) che si oppone alla soluzione dei due Stati, alla
spartizione di Gerusalemme e alla risoluzione della questione dei profughi. Per
gli Stati Uniti sarà questa una opportunità per dimostrare se sono davvero
seri, per verificare se sono pronti davvero ad esercitare pressioni su Israele.
Però in casa palestinese ci sono lacerazioni gravi. Abu Mazen sembra in
procinto di costituire adesso un nuovo governo a Ramallah, senza l'ingombrante
presenza di Hamas... «Il mio consiglio al presidente Abu Mazen è di non
lasciarsi prendere dalla fretta. Se ci sono impedimenti, occorre perseverare
nel dialogo. L'opzione preferibile resta per noi quella di un governo di
riconciliazione nazionale».
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 2 - Esteri Il
muro Il passato Lo scrittore Abraham Yehoshua: " Giovanni Paolo II suscitò
più entusiasmo di Benedetto XVI" "Serve un´intesa
sui confini aspettiamo le mosse di Obama" Il punto non è il muro contro i kamikaze: il punto è
trovare un´intesa sui confini, ma su questo solo Obama potrà fare qualcosa "Non importa più che Ratzinger sia o
meno stato nella Hitlerjugend: serviva invece una dichiarazione forte su
nazismo e Olocausto" DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME - Abraham
Yehoshua, sembra che il pubblico israeliano non abbia provato molta
simpatia per il Papa nel corso di questa visita. Si associa a questa
insoddisfazione? «Sembra che l´inflazione di visite di capi di Stato stia
diventando una noia e non ne siamo più eccitati. Dopo la guerra a Gaza sono
venuti sei leader dei sei più importanti paesi europei, e non mi sembra che ci
fosse nemmeno una fotografia della cena su Haaretz». Ma stavolta c´era
un´attesa specifica legata ad alcuni aspetti del pontificato di Benedetto XVI
che avevano suscitato polemica e risentimento nella comunità ebraica e qui in
Israele. «Che io ricordi, la grande eccitazione ci fu per la visita di Giovanni
Paolo II, perché lui era davvero eccezionale nel modo di comunicare con il
pubblico». Lei ha scritto che si aspettava tre cose da questa visita, ma la più
importante era la prima, il discorso del papa a Yad Vashem. «Premetto che non
mi riferivo alla sua biografia: è stupido da parte della stampa israeliana
pensare o affermare che se è stato nella Hitlerjugend... non è importante, come
non sono importanti né la sua personalità né la biografia. La cosa importante
era fare una dichiarazione forte (o esprimere una presa di posizione) in nome
della Chiesa, perché il nazismo, il fascismo, l´olocausto sono stati fenomeni collegati
all´umanità in generale». Intende dire una dichiarazione sulla responsabilità
della Chiesa? «Penso alla debolezza morale della Chiesa nei confronti di questa
ondata di malvagità, di violenza, di arbitrio, di assassinio generata dal
nazi-fascismo... Questo è stato il vero fallimento della Chiesa. Penso che Gesù
stesso sarebbe stato il maggior antifascista o antinazista, se fosse vissuto in
quel periodo. Il Papa è nella terra di Gesù e sa perfettamente che cosa era la
dottrina di Gesù e la sua missione. Gesù sarebbe stato il peggior nemico di ciò
che è successo nel periodo nazista, il nemico di quella tirannia». Ma il Papa
questo non lo ha detto. «No. Non l´ha detto». Lei pensa, quindi, che ci sia
ancora diffidenza degli israeliani nei confronti di papa Benedetto XVI? «Sì, ma
personalmente non condivido la sensazione che non abbia sottolineato abbastanza
la parte ebraica. Era lì non solo per esprimere il suo dispiacere personale,
era lì in una posizione più alta, nell´ambito della Chiesa, ed ha usato il
luogo, Yad Vashem, che ricorda uno dei maggiori orrori perpetrati dall´uomo,
per elevarlo alla missione di responsabilità umana della Chiesa». Visitando il
campo profughi di Al Aida Benedetto XVI ha criticato il muro... «Il muro è
stato eretto durante la II intifada per fermare i kamikaze. Ma non è questo il
punto. Il punto non è criticare gli insediamenti, e lei sa cosa ne pensi, o le
decine di avamposti che non vengono smantellati. Il problema è trovare
un´intesa sui confini. Ma su questo credo che il Papa possa fare ben poco.
Immagino che Obama possa fare di più». (a. s.)
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 3 - Esteri
Dal Vaticano appoggio alla strategia degli Usa Solidarietà ad Abu Mazen
"Avete diritto a uno Stato" "Rilanciare i negoziati per un
cammino di pace" "La nuova patria entro confini internazionalmente
riconosciuti e in armonia coi vicini" Il presidente dell´Anp ha parlato
con toni misurati: "Puntiamo sulla riconciliazione" MARCO POLITI DAL
NOSTRO INVIATO BETLEMME - Dieci ore in terra palestinese hanno mostrato
Benedetto XVI determinato a chiedere la nascita dello stato di Palestina e la
fine della muraglia che scava un abisso di odio tra i due popoli della
Terrasanta. A Betlemme Ratzinger è apparso un leader spirituale e religioso,
che incita alla pace, al perdono, alla riconciliazione, ma anche un leader consapevole
del suo ruolo geopolitico. La congiuntura internazionale lo ha spinto ad alzare
i toni. La Santa Sede ha colto perfettamente - e condivide - la strategia imboccata dal presidente Obama e favorita dal progetto di pace saudita che la Lega araba sottoscrive.
Si tratta di rilanciare i negoziati per giungere in tempi non lunghi ad un
accordo globale, che dia sicurezza ad Israele e uno stato ai palestinesi. A
Washington non piacciono le ipotesi fumose (che circolano in certi ambienti
israeliani) di una federazione giordano-palestinese, con pezzi di Sinai
che l´Egitto dovrebbe fornire. Progetti per sprecare tempo. Servono, scrive
l´Osservatore Romano, «iniziative forti, coraggiose, creative». In questo
contesto Benedetto XVI sceglie di inserirsi con decisione. Nel sottofondo c´è
anche un elemento personale. Un tedesco sa cos´è il Muro. E a Betlemme, pur con
l´abituale tono pacato, Joseph Ratzinger ha lasciato vibrare la sua anima.
Partendo dopo l´incontro riservato con Abu Mazen, ha profetizzato la caduta della
barriera. Perché «i muri possono essere abbattuti». Significativa la data: 13
maggio 2009. Vent´anni fa crollava il Muro di Berlino. La barriera si è parata
dinanzi a Ratzinger improvvisamente ieri mattina, venendo da Gerusalemme. Un
serpente inquietante snodato tra gli ulivi. Il papa ha attraversato una grande
porta d´acciaio. Il Muro stava lì. Cemento grigio, liscio, implacabile. Ha
protetto la popolazione israeliana dai terroristi, ma entra in più punti nel
territorio palestinese, ingoiando campi e uliveti, rafforzando gli insediamenti
illegali dei coloni. «Ho visto il muro - racconterà più tardi - che costeggia
il campo (profughi) e sovrasta gran parte di Betlemme, il muro che penetra nei
vostri territori separando i vicini e le famiglie». Di corsa l´auto papale ha
sfiorato una porzione di cemento su cui - dal lato palestinese - si staglia in
lettere cubitali «Ich bin ein Berliner». E´ la frase che Kennedy pronunciò
quando nel 1963 arrivò nella Berlino divisa e proclamò: «Io sono un berlinese».
Fin dal primo istante il pontefice è stato netto. «La Santa Sede - ha
assicurato ad Abu Mazen - appoggia il diritto del suo popolo ad una sovrana
patria palestinese». Entro confini internazionalmente riconosciuti e in pace
con i vicini. «Nella terra dei vostri antenati», ha soggiunto. Come per dire
che se gli ebrei in Terrasanta sono abitanti da tempi antichi, anche i
palestinesi hanno pari diritti per le loro millenarie radici. Abu Mazen ha
parlato con toni misurati. Gerusalemme, ha ricordato, è capitale eterna anche
per i palestinesi. «Puntiamo su un cammino di pace - ha sottolineato - basato
su uno stato palestinese accanto a Israele, in sicurezza e stabilità. Con
un´onesta soluzione del problema dei profughi». Ratzinger ha replicato: «Chiedo
alla comunità internazionale di usare la sua influenza in favore di una
soluzione». Comunque il pontefice è stato fermissimo verso il fenomeno
terroristico. «Abbiate il coraggio - ha dichiarato - di resistere ad ogni
tentazione di ricorrere ad atti di violenza e di terrorismo». E´ stata una
giornata studiata attentamente. Peres aveva presentato al Papa i genitori del
soldato israeliano Shalit, catturato da Hamas? A Betlemme Ratzinger ha
incontrato i genitori (una coppia musulmana e una cristiana) di prigionieri
nelle carceri israeliane. Alla messa nella piazza della Mangiatoia, dove
cinquemila fedeli lo hanno accolto urlando a squarciagola in italiano
«Benedetto- Benvenuto», il pontefice ha voluto espressamente ricordare Gaza. Si
è rivolto con un «abbraccio» ai cattolici della «martoriata» Striscia,
invitando a pregare per i bimbi orfani o morti. E con forza si è appellato
affinché «l´embargo sia presto tolto». Anche qui pensava già di parlare della
«visione penosa del muro di sicurezza». Poi, alla vigilia, ha rielaborato il discorso
cancellando il passo. Per non strafare.
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 47 - Cultura
ECCO IL ROMANZO CHE PIACE A OBAMA Il protagonista, come l´autore, vive in un
albergo. "Ma non è il mio alter ego", assicura il romanziere "La
città invincibile" di Joseph O´Neill, scrittore-rivelazione, racconta una
crisi esistenziale dopo l´11 settembre sullo sfondo di una metropoli bizzarra e
struggente Il titolo originale è "Netherland", terra di nessuno, che
richiama anche l´isola di Peter Pan LEONETTA BENTIVOGLIO Scrutare l´anima della
«città invincibile» dalle rovine di Ground Zero: lo spaesamento, la perdita dei
giorni, il senso di irreale, la repentina fragilità di tutto. Attraversare il
paesaggio con passo narrativo alla Fitzgerald, lucido e analitico, ma
punteggiandolo di beckettiani sprazzi tragicomici. E far sospingere il racconto
dalla rabbia verso un presente pieno di anomalie: l´attimo sempre in fuga, le
radici smarrite nell´affanno della globalizzazione, gli interrogativi sulle
crepe della coppia che non danno tregua. A questo e ad altro, con originalità e
perizia, mira la sfida di Netherland, terzo romanzo (ma il primo baciato dal
successo) di Joseph O´Neill, scrittore-rivelazione del 2008 negli Stati Uniti.
Premiato da una pioggia di riconoscimenti e osannato dalle recensioni più
autorevoli, definito «uno dei più straordinari romanzi post-coloniali» e «il
Grande Gatsby della New York post-11 settembre», il libro sta per uscire in
Italia pubblicato da Rizzoli (pagg. 283, euro 19) come La città invincibile,
titolo esplicito e distante dalla perversione semantica di quello originale,
evocativo della patria del protagonista (Netherlands), di una New York ridotta
a terra di nessuno (nether land) e dell´isola fantasticata dall´eterno bambino
Peter Pan (Neverland). Obama ha rilanciato il già
fortunatissimo romanzo segnalandolo come la propria lettura preferita. Certo
questa vicenda di una crisi identitaria consumata sullo sfondo di una New York
bizzarra e struggente, multirazziale e vogliosa di rinascita, s´adatta come un guanto
al momento storico che ha consentito il trionfo del presidente. L´io narrante è
l´olandese Hans, analista finanziario abbandonato dalla moglie, fuggita in
Europa con il figlio dopo l´11 settembre. Hans resta a vivere nel newyorkese
Chelsea Hotel circondato da un popolo di eccentrici, visionari e disperati, e
quando non lavora gioca ritualmente a cricket nei parchi della metropoli
insieme a pakistani, cingalesi, indiani e caraibici, nutrendosi di questo sport
come di un esercizio filosofico. Anche O´Neill vive questa disciplina
fisico-mentale come irrinunciabile, facendo pratica di cricket «ogni domenica
da maggio ad agosto»; e come Hans abita al Chelsea Hotel, nella «stabilità
provvisoria o stabile provvisorietà» che può dare un albergo. Mister O´Neill,
il protagonista di Netherland è quindi il suo alter-ego? «Niente affatto!»,
replica allegramente dal suo cellulare newyorkese il 45enne romanziere di padre
irlandese e madre turca, laureatosi in Legge a Cambridge e con trascorsi da
avvocato. «Sono autobiografiche le ambientazioni e le circostanze del libro, ma
la vita di Hans non ha niente a che vedere con la mia. Io sono irlandese, non
olandese, e se è vero che ho una moglie inglese come la sua, la mia non mi ha
lasciato; abito al Chelsea con lei e i miei tre bambini, e siamo andati a
viverci quando ancora non avevamo figli. Arrivammo da Londra nel 1998 privi di
credit history, senza la quale, negli Stati Uniti, nessuno dà un contratto
d´affitto: bisogna prima aver dimostrato di saper pagare i propri debiti.
Inoltre all´epoca avevamo due gatti, e nell´hotel li hanno accolti senza
problemi. Poi ci siamo affezionati al posto, e ora non potrei scrivere altro
che qui. Amo la particolarità degli abitanti. è come stare in un villaggio
dentro New York». Gli ospiti sono tutti disadattati e folli come la fauna umana
del romanzo? «Direi di sì. Al Chelsea abitano persone strane che non si
considerano tali proprio perché protette da questo piccolo e speciale
villaggio. Come Mehmet, il turco che si crede un angelo e ha due ali attaccate
a un bianco abito da sposa. Qui non giustifica a nessuno la sua mise». Si è
chiesto perché Obama ha pubblicamente indicato
Netherland come la propria lettura serale? «Forse perché è una storia sugli
stranieri negli Stati Uniti e sulla complessità del loro gioco in questo
territorio. è l´epopea del mito americano incarnato da chi non lo è. Tra i
principali obiettivi di Obama ci sono la ridefinizione
dell´identità americana e lo sviluppo di quest´identità, temi con cui il libro,
che riflette sul modo di espandersi assunto dal Grande Sogno Usa, instaura un
nesso forte. Il migliore amico di Hans, Chuck Ramkissoon, geniale trafficante
nato a Trinidad, dice che se gli americani vogliono capire il Pakistan devono
capire il cricket. Non potranno avere il senso di sé e del proprio mix se non
colgono le ragioni di gente cresciuta giocando nei parcheggi impantanati di
Lahore. Dunque per gli Stati Uniti il cricket è una questione decisiva». Cosa
la appassiona di questo sport che a noi sembra indecifrabile e lento? «Ho
giocato a cricket ogni estate della mia vita, e se non lo facessi perderei il
contatto con una parte importante di me. Le estati sono fatte di ripetizioni:
si va nella stessa casa, si ritrova la famiglia, ci si osserva... Il cricket è
per me "quella" ripetizione». Secondo lei sarebbe stata possibile l´elezione di Obama se non ci fosse stato l´11 settembre e quanto ne è derivato? «Obama non è il prodotto dell´11
settembre, ma dell´amministrazione Bush, catastrofe ben peggiore. Bush ha
tentato di semplificare il mondo instillando nella gente la paura della
democrazia, e su queste basi Mc Cain e la Palin avrebbero potuto essere eletti.
Ma è arrivata la crisi economica a sconvolgere i piani. Gli americani se la
sono presa con i repubblicani per il crash, e il panico ha fatto di Obama un salvatore possibile. Se la crisi fosse esplosa
anche solo tre mesi dopo, oggi Mac Cain e la Palin sarebbero alla Casa Bianca».
Si può sintetizzare La città invincibile come una prospettiva sugli effetti del
trauma dell´attentato alle Due Torri? «Le conseguenze di un evento come l´11
settembre sono un fenomeno ancora in evoluzione, non esaurito. Il romanzo non
tenta di dare a quell´accadimento gigantesco un significato specifico, e forse
per questo centra il tema. Non è un libro di risposte, ma di domande».
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 50 -
Spettacoli "Up", il nuovo film Disney-Pixar: il mirabolante viaggio
di un vecchietto e un boyscout Azione e gag in una fiaba digitale doppia morale
e un pizzico di realtà Lasseter: "Quel che conta è la storia Vogliamo far
ridere e piangere lo spettatore" CANNES ROBERTO NEPOTI Complici lo
sviluppo della tecnologia da una parte, dall´altra il valore esemplare delle
fiabe, i cartoon sono diventati le vere "moralità" dei nostri tempi.
Tanto che ognuno ci vede quel che vuole: in Up, ad esempio, c´è chi ha creduto di respirare l´aria dell´"era Obama" (leggi: guerra ai cattivi e
alleanza tra giovani e vecchi saggi); anche se, poi, il film è stato messo in
cantiere cinque anni fa, quando al governo c´era ancora il cattivo Bush.
Protagonisti Cal, quadrato vecchietto di 78 anni, e Russell, rotondo boyscout
di 8. Per realizzare il sogno dell´amata moglie scomparsa, il primo
prende il volo per l´America Latina a bordo della propria casa, appesa a
migliaia di palloncini. Il ragazzino s´imbarca nell´avventura con lui.
Arriveranno in una jungla popolatissima da uccelli preistorici, cani tonti ma
simpatici, più un fellone "vintage" che è un mosaico di vecchie star:
baffi di Errol Flynn, mento di Kirk Douglas
Il che non dirà molto
alla legione di ragazzini cui il nuovo film Disney-Pixar è destinato: inforcati gli
occhiali per la visione 3D, ciò che conta è seguire il mirabolante viaggio dei
"casanauti" fra grattacieli e montagne; il tutto sospeso nel vuoto,
per valorizzare al massimo gli effetti tridimensionali su cui Hollywood sta
puntando tutto. Anche se, qui a Cannes, il nume dell´animazione digitale John
Lasseter asserisce: «Quel che conta è la storia. Noi vogliamo colpire lo
spettatore nei sentimenti, farlo ridere e piangere». Azione e gag in
abbondanza, ecco la ricetta; però punteggiate da pause di calma che, a tratti,
evocano Miyazaki. Quanto alla morale, stavolta è addirittura doppia. La prima,
quella "familiare" cara a Hollywood: anche la vita domestica e
l´amore coniugale sono un´avventura. La seconda, più insolita: prima o poi
arriva il momento di salutare il passato e di concedersi a nuovi affetti. Il
film uscirà in Italia il 15 ottobre.
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
I - Bologna A P
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina III - Bologna
I sostenitori Il pulmino Braga è la sorpresa nell´urna
ancora una volta spiazza i giochi E sul sito esulta in stile Obama: "Yes we can" Per lui
hanno firmato Carlo Flamigni, Pasquino, Paolo Pupillo ed Enzo Boschi Dalla sede
di Ravenna è partito un pulmino di colleghi per venire a Bologna a votare A
FINE novembre di due anni fa, Dario Braga, sino ad allora conosciuto come il
direttore del Collegio superiore dell´Alma Mater, apre un sito Internet.
E spiazza tutti con due righe appena: «Sto pensando di candidarmi al governo
dell´Ateneo». Ieri la storia si è ripetuta: Dario Braga ha spiazzato di nuovo
conquistando 494 voti, il terzo posto, ma molto vicino al secondo candidato
Ivano Dionigi. E´ il personaggio del giorno in Ateneo, al di là del fatto che
sul podio era più o meno atteso, anche se non così a poca distanza con i
favoriti. Sul suo sito, dopo la nottata dello spoglio, ora compare, accanto ai
voti presi, la frase: «Yes we can». «Sembrava lontano e invece l´oggi è qui»,
il messaggio ai suoi elettori, a partire da quei duecento docenti che hanno
messo faccia e firma sul suo sito, endorsement che sono stati la chiave di
«svolta» del suo successo. Non si trovano dei big potenti nel lungo elenco,
semmai nomi noti, ma ormai fuori dai giochi accademici, come Carlo Flamigni,
che da professore in pensione non vota più, o Gianfranco Pasquino, il
politologo candidato sindaco, e l´ex prorettore Paolo Pupillo, il vulcanologo
Enzo Boschi, i matematici Ermanno Lanconelli e Sandro Graffi, l´accademico dei
Lincei Giancarlo Setti. «Ce l´abbiamo fatta a costruire qualcosa di nuovo, a
superare i blocchi le aree, le discipline, i settori, per fare veramente
Università?», chiede ora Braga. E´ la cifra della sua discesa in campo. La
novità, che anche il preside di Agraria Andrea Segrè, suo rivale più diretto
nella corsa, ha tentato di interpretare in stile Obama.
Ha vinto lui alla prima prova di forza. Chimico, 56 anni, 350 pubblicazioni
scientifiche nel curriculum, visiting professor alle Università di Campinas e
Strasburgo, progetti di ricerca coordinati e uno spin-off accademico avviato,
Dario Braga ha costruito la sua rete di relazioni inizialmente attraverso il
Collegio e l´Istituto di studi avanzati, ora integrati nell´Istituto di studi
superiori diretto a turno con Paolo Leonardi, suo sostenitore. Intercettando
l´aria che tirava nel paese sulla meritocrazia da premiare, credendo
nell´eccellenza (ma quella parola l´ha cancellata dall´intitolazione del
Collegio appena arrivato) e in un Ateneo internazionale. «L´eccellenza è un
riconoscimento che deve essere dato da fuori», ha sempre detto. Sul merito ha
spinto conquistando i giovani ricercatori, soprattutto dell´area scientifica,
mortificati dal blocco delle carriere. Scienze, la sua Facoltà lo ha seguito quasi
compatta. Il dibattito a Medicina con gli altri candidati gli ha procurato
voti, anche grazie agli errori degli avversari come Segrè e Grandi, scivolati
su qualche gaffe. Altri consensi sono arrivati da Ingegneria, Economia (con
Giorgio Basevi e la Vera Zamagni in prima linea), Lingue, Psicologia,
Architettura e in Romagna, dove da Ravenna è partito un pullmino per votarlo.
Voti conquistati partendo da lontano, porta a porta. Lo stile americano della
campagna, il sito, anche con le foto di famiglia, tre figli, la moglie, che è
professore associato a Chimica, rimasta a distanza, collaboratori che si sono
votati alla causa, molto volontariato e fai da te. Un anno e mezzo fa, quando
si parlava di candidature solo dietro le quinte, Braga aveva già incontrato
oltre 200 ricercatori e docenti tra Bologna e la Romagna inaugurando «una fase
di ascolto aperta». «E´ partito troppo presto, si sgonfierà», dicevano di lui.
L´altro mantra accademico ricorrente era: «Braga è bravo, ma nessuno lo vota».
E invece il professore che colleziona fossili e ama il trekking, ha dimostrato
di avere fiato lungo, è cresciuto nei dibattiti, con messaggi diretti,
sacrificando qualcosa alla retorica. E poi il contatto diretto con le persone,
le mille telefonate, il pressing senza tregua: ha funzionato. E così Braga è
riuscito a sparigliare le carte. Anche nell´annunciare prima del voto il
risultato: almeno 500 voti. Obiettivo, di fatto, centrato. (il.ve.)
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 17 - Esteri Obama
blocca le nuove foto sulle torture ai prigionieri "Conseguenze negative
per i nostri in Iraq e Afghanistan" Veto al verdetto di un giudice che
aveva ordinato alla Difesa di diffondere le immagini ALBERTO FLORES D´ARCAIS
dal nostro inviato NEW YORK - Il 23 aprile aveva dato l´ok, ieri ha fatto
marcia indietro. Con una decisione che ha subito scatenato polemiche
Barack Obama ha chiesto agli avvocati della Casa
Bianca di bloccare la pubblicazione di foto che riguardano abusi commessi dai
militari americani sui detenuti in Afghanistan e Iraq. Le 44 foto risalgono
agli anni tra il 2001 e il 2006 e fanno parte di oltre sessanta "indagini
criminali" compiute dal Pentagono nei confronti di soldati Usa
responsabili di interrogatori "brutali" e abusi vari commessi in
diverse carceri; come Abu Grahib (già famosa per lo scandalo-foto del 2004) che
gli americani avevano promesso di abbattere e che hanno poi dato in gestione
agli iracheni o come il centro di detenzione della base aerea di Bagram nella
provincia afgana di Parwan. «Il presidente è fortemente convinto che la
pubblicazione di queste foto, specialmente in questo momento, servirebbe solo
ad infiammare i teatri di guerra mettendo a rischio le nostre forze e rendendo
il nostro lavoro più difficile in posti come Iraq ed Afghanistan». Con questa
motivazione la Casa Bianca ha spiegato la marcia indietro del presidente, una
mossa che ha scatenato le proteste delle organizzazioni per i diritti civili e
i blog "liberal". L´Aclu (American Civil Liberties Union) aveva
ottenuto da un giudice federale d´appello il sì alla pubblicazione grazie al
Foia (Freedom of Information Act), la legge che permette di rendere pubblici
documenti "top secret". Il ministero di Giustizia aveva comunicato
che il governo non avrebbe fatto ricorso e la lettera del 23 aprile scorso non
lascia dubbi: «le parti hanno raggiunto un accordo ed il Dipartimento della
Difesa consegnerà le foto il 28 maggio». In queste due settimane la valutazione
di Obama é radicalmente cambiata. Una svolta dovuta a
quanto sta accadendo in Afghanistan (e Pakistan), dove la situazione militare
non é facile ed ha già costretto il presidente a rimuovere il generale David
McKiernan, che paga (non ufficialmente) per le vittime civili degli ultimi
bombardamenti. C´erano stati anche esponenti del Congresso (sia repubblicani
che democratici) che avevano chiesto alla Casa Bianca di cambiare idea, ma la
decisione finale é dovuta al pressing dei militari. «I generali Odierno,
McKiernan e Petraeus hanno tutti espresso la loro preoccupazione, hanno detto che,
specialmente in Afghanistan, questa è l´ultima cosa di cui abbiamo bisogno», ha
spiegato il portavoce del Pentagono Geoff Morrell, così come aveva fatto
sentire il suo peso anche il ministro della Difesa Robert Gates. Una decisione
che Obama di fatto aveva già preso la settimana
scorsa, allertando l´ufficio legale della Casa Bianca, e che è diventata
definitiva martedì dopo un lungo incontro che il presidente ha avuto con i
vertici militari e con il generale Raymond Odierno, attuale comandante della forza
multinazionale in Iraq. Il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs ha spiegato
che Obama pensa che la pubblicazione delle immagini di
sevizie possa «danneggiare l´incolumità dei militari Usa» e che ha chiesto ai
legali di opporsi alla decisione del giudice federale con motivazioni legate
alla «sicurezza nazionale». In sostanza ha detto Gibbs nel consueto briefing il
presidente resta convinto che i responsabili degli abusi debbano essere messi
sotto inchiesta e puniti, ma é altrettanto convinto che pubblicare le foto non
avrebbe alcun effetto positivo se non quello di «fornire aspetti di
sensazionalismo» alle indagini in corso. Una motivazione che non soddisfa
l´Aclu e che ha deluso anche Amnesty International: «L´amministrazione Obama ha rinnegato il suo obbligo legale di diffondere le
foto delle torture, una pubblicazione essenziale nell´aiutare gli americani a
capire l´ampiezza e il grado degli abusi commessi nel loro nome».
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 26 - Economia
Giù i consumi Usa, Borse a picco cade Wall Street, Milano -3,9% Financial
Times: a rischio la "tripla A" americana Il ministro Geithner è però
ottimista: "Il sistema finanziario mostra segni di guarigione" ARTURO
ZAMPAGLIONE NEW YORK - A marzo le vendite al dettaglio sono scese negli Stati
Uniti per il secondo mese consecutivo (-0,4%). E intrecciandoci con altre
inquietudini sul fronte economico, questo tradimento dei consumatori allo
stremo ha portato ieri non solo a una flessione di quasi tutti gli indici
azionari mondiali, ma soprattutto a ridimensionare l´ottimismo che da tempo
alimentava il rally borsistico. Piazza Affari ha avuto l´andamento peggiore,
-3,91%, legato soprattutto ai risultato deludenti di molte banche europee. Londra
ha perso il 2,13%, Parigi il 2,42, Francoforte il 2,61. E a Wall Street
l´indice Dow Jones ha accusato un calo del 2,18%, a quota 8297. Fino alla
settimana scorsa molti analisti sostenevano che la fiammata delle quotazioni
(+32% dell´indice S&P 500 dai minimi del 9 marzo) preannunciasse una
inversione congiunturale. E anche ieri, parlando a una associazione di piccoli
banchieri, cui ha promesso nuovi sostegni, il ministro del tesoro Tim Geithner
ha osservato che «il sistema finanziario mostra segni di guarigione». Certo, il
peggio sembra ormai passato e non si intravede più lo spettro di una crisi
sistemica capace di distruggere i capisaldi del capitalismo. Ma una serie di
dati, di notizie e di nuove politiche indica che la ripresa sarà più lunga e
tormentata di tante previsioni. Stasi dei consumi. Sommandosi alla caduta della
produzione industriale europea a marzo e alle fosche previsioni della Banca
d´Inghilterra, la caduta a sorpresa delle vendite americane al dettaglio
dimostra che i consumatori non sono ancora pronti a guidare il rilancio. Dopo
la flessione di 1,2% a marzo, le vendite sono diminuite il mese scorso dello
0,4%, e il calo sarebbe stato anche maggiore senza una timida ripresa del
settore auto (+0,2%). Ad aprile sono scese anche le scorte di magazzino, mentre
le richieste di mutui sono tornate ai livelli minimi del mese scorso.
Antitrust. Anche se la maxi-multa dell´Ue non ha inciso granché sulle
quotazioni dell´Intel, la Casa Bianca di Barack Obama ha intenzione di rafforzare la
vigilanza sulle regole della concorrenza e potrebbe anche aprire una inchiesta
sul mercato dei chip. E´ una conferma del nuovo attivismo in economia del
governo americano, che ha già in programma di calmierare gli stipendi degli
executives e che proprio ieri, a chiusura dei mercati, ha annunciato una
iniziativa per regolamentare i prodotti derivati. Rating degli Stati Uniti. Il
crescente deficit pubblico americano (1840 miliardi di dollari nel bilancio in
corso), frutto delle enormi spese per stimolare l´economia e dei minori
introiti tributari, potrebbe portare a un abbassamento del rating che è sempre
stato al livello massimo (tripla A). Una prospettiva del genere, evocata ieri
sul Financial Times da David Walker, ex-responsabile della Corte dei conti,
rischia di indebolire la fiducia sul dollaro e sull´economia americana. In
questo clima era inevitabile che un´ondata di realizzi si abbattesse ieri sulle
Borse.
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 52 -
Spettacoli Il pessimismo "No alla musica mediocre ora per me c´è solo
Bach" Keith Jarrett, il pianista jazz al San Carlo di Napoli Io non spero
in niente. Nemmeno in Obama. E non vedo grandi cambiamenti all´orizzonte. Non ci sono
leader, né maestri GIACOMO PELLICCIOTTI ROMA In un mondo senza speranze neanche
Obama può fare miracoli e
l´unica salvezza è la grande musica. Il pessimismo cosmico di Keith Jarrett,
uno degli ultimi eroi del jazz, dilaga dal suo eremo nel New Jersey dove vive
dopo la recente, traumatica separazione dalla moglie Rose Anne. L´ex
partner eccellente di Miles Davis, che l´8 maggio ha compiuto 64 anni, che ha
realizzato con l´ultimo album Ecm, Yesterdays (con Gary Peacock e Jack
DeJohnette), registrato dal vivo a Tokyo, uno dei più riusciti e travolgenti
dell´anno, sta per volare a Napoli dove lunedì, per la prima volta al Teatro
San Carlo (ancora cento biglietti disponibili), approderà in uno dei suoi
mitici piano-solo che centellina con parsimonia. Jarrett, lei è considerato un
artista bizzoso. è successo a molti suoi colleghi, da Glenn Gould ad Arturo
Benedetti-Michelangeli. Creatività vuol dire comportamento fuori dalle regole?
«Se sei un artista, non puoi vivere come una persona normale, in un mondo
normale. Ho un bisogno quasi fisico di stare isolato dal mondo così come è
diventato. Considero quello che faccio, specie la cosiddetta pazzia crossover,
come un solo-concert. Sono la stessa cosa. Il caos è la dimensione migliore per
creare. Oggi preservare l´integrità è quasi una follia. Nessuno lo fa più, ti
guardi intorno e ti chiedi "perché sto ancora lottando? Devo essere un
malato di mente"». Lei ha lottato e vinto la sindrome da fatica cronica,
ma ancora affronta i solo-concerts con molta circospezione. Sono totalmente
improvvisati e lei sospetta che siano stati anche la causa scatenante del male.
è un problema di ansia? «No, ma devo muovermi con attenzione. è importante non
farne troppo ravvicinati. Ne farei anche di più, ma non voglio ripetermi e
cerco di suonare cose nuove ogni volta. D´estate scelgo il trio perché è più
adatto ai jazz-festival all´aperto, e poi i giovani lo adorano e non voglio
deluderli». S´impegnerà in qualche progetto nuovo? «Sto tornando alla musica
classica. Adesso sto studiando le Sonate per violino di J. S. Bach che ho
intenzione di registrare». Oggi ci sono pochi grandi maestri in circolazione.
Il jazz sembra sinonimo di nostalgia per il passato. «L´ultima cosa di cui
abbiamo bisogno oggi è di musica mediocre. La musica deve essere forte, qualche
volta scioccante, deve stupire. E invece sento solo cose senza qualità e senza
talento. Io cerco sempre di puntare anche attraverso la sofferenza e il caos
interiore in alto, verso l´inatteso». L´America è in crisi. Crede che Obama, il primo presidente afro-americano, possa essere un
segnale di speranza? «No, non spero in niente, la gente è diventata pazza,
vuole tutto e subito. C´è una pressione esagerata su Obama
in tutti i campi. Non vedo all´orizzonte nessun cambio o segno di risveglio.
Non ci sono grandi leader, né grandi maestri, ma sembra che chiunque possa
diventarlo. Quello che manca oggi è una vera e sana relazione con la politica e
con le altre veloci trasformazioni del nostro mondo. La tecnologia cambia ogni
cinque minuti, ma la padronanza puoi ottenerla solo attraverso l´esperienza, lo
studio e molta fatica. Sono disilluso, non vedo nessun segnale intorno a me».
Dopo il concerto-solo di Napoli, tornerà in Italia a luglio in compagnia del
trio con Gary Peacock e Jack DeJohnette: il 13 al Comunale di Firenze e il 16
al Palazzo Te di Mantova. C´è qualche novità? «Sì, Gary ha un nuovo
contrabbasso e devo dire che, negli ultimi concerti, abbiamo volato molto
alto».
( da "Repubblica, La"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 37 - R2
Viaggio in India, dove nelle urne si sfidano l´erede dei Ghandi e la regina
degli oppressi. Un bivio per un Paese a caccia di un nuovo futuro FEDERICO
RAMPINI NEW DELHI dal nostro inviato La vendicatrice degli oppressi contro il
principe ereditario: è una sfida epica quella che offre il grande cinema della
democrazia indiana. Le più lunghe elezioni del mondo, in corso da tre settimane
con 714 milioni di votanti, 828.000 seggi e 300 partiti in lizza, si sono
concluse ieri e sabato sapremo i risultati finali. E´ uno spettacolo grandioso
e inquietante: il suffragio universale sperimentato in un subcontinente con un
miliardo e cento milioni di abitanti, dozzine di etnie, trenta lingue e sei
religioni; una superpotenza economica con immense sacche di miseria, dove
imperversa il terrorismo di matrice islamica sostenuto dai servizi segreti
pachistani, e in vaste regioni è radicata una implacabile guerriglia maoista.
E´ una democrazia vitale e allo stesso tempo corrotta, inquinata dal populismo,
frammentata dai regionalismi. Un duello virtuale oppone Mayawati, la leader
della casta più umile (i dalit o "intoccabili"), a Rahul Gandhi. Lei
è una donna di 53 anni cresciuta con otto fratelli in una squallida baraccopoli
di Delhi, temprata dalla miseria, dalle umiliazioni e dal disprezzo delle caste
superiori verso la sua gente. Lui ha 38 anni - un bambino per la gerontocrazia
politica indiana - ed è una specie di giovane Kennedy o Bush all´ennesima
potenza. E´ il rampollo della dinastia repubblicana più longeva del mondo, che
da quattro generazioni domina l´India. "E´ una stirpe che considera il
partito di governo (il Congresso) alla stregua di un suo latifondo
familare", mi dice il sociologo Dipankar Gupta. I primi exit poll ieri
davano in vantaggio il partito di Gandhi. Ma se il margine di vittoria fosse
troppo esile, la "regina degli intoccabili"
potrebbe svolgere un ruolo chiave nei negoziati per formare la coalizione di
governo. La Mayawati usa un solo nome come spesso si usa nelle caste inferiori.
E´ stata definita "una Obama indiana". Di certo è una outsider che ha dovuto superare
ostacoli spaventosi. SEGUE NELLE P
( da "Corriere della Sera"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Prima Pagina data: 14/05/2009 - pag: 1 Ripensamento Obama blocca le foto
delle torture di PAOLO VALENTINO A P
( da "Corriere della Sera"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Esteri data: 14/05/2009 - pag:
( da "Corriere della Sera"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Economia data: 14/05/2009 - pag: 33 I mercati In forte calo la
produzione industriale di Eurolandia. Wall Street chiude in rosso del 2,18%
Consumi e conti affondano le Borse Mibtel giù del 3,9%. Geithner: diminuiti i
rischi per il sistema finanziario Usa MILANO Dalla produzione industriale
europea alle vendite al dettaglio negli Usa, fino ai conti trimestrali di una
manciata di aziende chiave: è una raffica di cattive notizie quella che ieri si
è scaricata sulle Borse internazionali mandando a picco i listini. E pensare
che, almeno in Europa, la seduta si era aperta un po' dovunque con oscillazioni
minime. Poi, l'annuncio del forte calo della produzione industriale registrato
in marzo nella zona euro (meno 2% rispetto a febbraio e addirittura meno 20,2%
rispetto alle stesso mese del 2008) ha fatto tornare la paura sui mercati. Ad
essere colpiti sono stati soprattutto i titoli che appaiono più vulnerabili nel
contesto della crisi economica mondiale, dagli assicurativi (complici anche i
dati trimestrali del colosso tedesco Allianz, con profitti ridotti ad appena 29
milioni di euro) fino ai bancari. Risultato: una sequenza di perdite a due
cifre. Da Ing (meno 10,26%) a Rbs (meno 12,64%), da Commerzbank (meno 11,5%) a
Fortis (meno 12,1%), tanto per fare qualche esempio. Ma molto pesante è il
bilancio dei listini nel loro complesso. Peggio di tutti ha fatto Piazza
Affari, dove l'indice S&PMib è precipitato del 4,70% e il Mibtel del 3,91%.
A Francoforte il Dax30 ha ceduto il 2,61%, a Parigi il Cac40 ha perso il 2,42%
e a Londra l'Ftse100 il 2,13%. A influire sull'andamento delle piazze europee ci
si è messo anche il dato, arrivato nel primo pomeriggio, delle vendite al
dettaglio negli Stati Uniti, che in aprile sono calate dello 0,4% mensile,
contro il rialzo dello 0,1% atteso dagli analisti. E' bastato questo ad
assicurare a Wall Street un'apertura di seduta con il segno negativo. E davvero
a poco sono servite le parole del segretario al Tesoro Timothy Geithner,
secondo il quale il sistema finanziario americano è «sulla via della
guarigione» e anche dal mercato immobiliare cominciano ad arrivare «segnali di
miglioramento ». Niente da fare. Alla fine della giornata, l'indice Dow Jones
dei principali titoli industriali ha mandato in archivio un ribasso del 2,18%.
Anche peggio (meno 3%) è andata al Nasdaq, il listino che raccoglie i titoli
chiave del settore tecnologico. Qui, ad accentuare la discesa ha contribuito la
multa monstre che l'Antitrust europea ha comminato a Intel, il colosso mondiale dei semiconduttori per computer, condannata
per abuso di posizione dominante e pratiche commerciali che hanno danneggiato
sia i concorrenti, in primo luogo Amd, sia «milioni di consumatori ». Giancarlo
Radice NUOVA GARA Per il segretario Usa alla Difesa, Robert Gates, è probabile
una nuova gara d'appalto per l'elicottero di Obama
( da "Corriere della Sera"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Opinioni data: 14/05/2009 - pag: 8 LA MULTA A INTEL E LA NUOVA
POLITICA ANTITRUST DEL PRESIDENTE AMERICANO Ue, Usa e la fine dell'amnesia
collettiva L'Unione Europea che infligge a Intel la multa più alta della sua
storia (oltre un miliardo di euro) per aver ostacolato, diversi anni fa, la
concorrenza nel mercato dei microchip, verrà certamente criticata per la sua
durezza e per i tempi lunghi del giudizio che ha l'inevitabile conseguenza di
aumentare l'incertezza del contesto nel quale operano le imprese. E la nuova
presidenza americana che chiede alle sue autorità antitrust di tirare fuori gli
artigli, dopo gli anni del laissez faire imposto da George Bush, indubbiamente
si espone all'accusa di voler imporre una cappa di regole in tutti i campi
dalla finanza all'ambiente, dal fisco all'energia col rischio di ingessare il
sistema proprio quando la necessità di riemergere dalla recessione potrebbe
consigliare ancora un po' di «briglia sciolta». Ma il bilancio della politica
antitrust di George Bush otto anni nei quali il ministero della Giustizia non
ha sollevato nemmeno un caso di violazione delle leggi anti-monopolio nei
confronti di un grande gruppo industriale spinge verso conclusioni assai
diverse: più che una «toppa» tardiva o la manifestazione di un impulso
dirigista, le decisioni prese negli ultimi tre giorni a Bruxelles e a
Washington vanno lette come il tentativo di porre fine a un'amnesia collettiva
durata troppi anni. Negli anni del «mercatismo» senza argini, la figura del
cittadino-consumatore è diventata addirittura più rilevante di quella del
cittadinosoggetto politico. Ma poi è proprio la tutela del consumatore che è
stata trascurata rinunciando ad applicare con severità le norme a difesa della
concorrenza. Come nel caso della Sec, l'authority che sorveglia Wall Street,
della Fda (farmaci, sicurezza alimentare) e della Fdic (l'agenzia federale che
assiste le banche commerciali), per rivitalizzare il sistema dei controlli
Barack Obama si è affidato a una donna: Christine
Varney, un'esperta di antitrust nominata viceministro della Giustizia proprio
per sovraintendere a queste politiche. Non deve essere stata per lui una
decisione facile. Un'applicazione rigida delle norme sulla concorrenza è
sicuramente una cattiva notizia per i «pesi massimi» della tecnologia come
Microsoft e Google: aziende già più volte accusate di aver abusato della loro
posizione dominante. Imprese che, nella maggior parte dei casi, hanno sostenuto
il leader democratico nella sua corsa alla Casa Bianca, come del resto la
stessa Intel. Fin dove si spingerà Obama? Usa e Ue adotteranno finalmente
una linea comune sull'antitrust? È presto per dirlo. Ma, intanto, perfino Eric
Schmidt, il capo operativo di Google che è stato vicino ad Obama durante la campagna e anche nel
transition team dopo l'elezione, è finito nel mirino della Ftc, un'agenzia
federale, perché siede anche nel consiglio della Apple, un concorrente
di Google in vari settori, dai browser al software per i telefonini. Massimo
Gaggi
( da "Stampa, La" del
14-05-2009)
Argomenti: Obama
Giulia Zonca
"IL MIO BLOG CONTRO I DEMONI" Il computer è nello zaino, compatto,
estraibile e salta fuori in dieci secondi senza che nemmeno si senta il rumore
della zip. Yoani Sánchez ripete sempre: «Non faccio nulla di male, non sono
armata», ma il suo pc è molto più pericoloso di una Colt. Lei lo usa nello
stesso avventuroso modo in cui si muoverebbe un pistolero nel Far West. Invece
siamo a Cuba, sabbia e sole anche qui e sguardi a destra e a sinistra per
essere sicura che nessuno la stia braccando. Sguscia da un bus sgangherato,
fermata Parco Natural, giusto davanti alla statua dell'eroe nazionale José
Martí, centro dell'Habana vieja e delle operazione di connessione. È la piazza
dei grandi alberghi, quelli da dove Yoani entra ed esce a caccia delle sue due
ore settimanali di Internet. Solo due ore e Yoani Sánchez è una blogger, la più
famosa del momento, è l'autrice di «Generazione Y», il diario elettronico che
ha svegliato L'Avana. Secondo Time sta nella lista delle 100 persone più
influenti al mondo ed è appena uscita dal cinque stelle Melia Cohiba senza
riuscire a comprare una tessera per entrare in rete: «Non ce le danno più, sono
solo per gli stranieri ed è come rivietarci Internet. L'accesso sarebbe tra le
presunte innovazioni concesse da Raúl Castro, ma di fatto non esiste un cubano
che possa permettersi un collegamento a casa e dall'inizio di maggio noi non
possiamo più accedere ai wireless pubblici». E allora lei gira un video pirata
del marito Reinaldo, «mi corazon», che chiede spiegazioni alla reception, che
viene cacciato senza un perché. La microtelecamera sotto un'ascella, nascosta
dalla copia di Granma e l'entusiasmo di piazzare la registrazione sul blog. Un
percorso difficile che prevede la tappa in un'altra hall, hotel Nh, un tavolino
defilato con una presa comoda e una password a scalare, un avanzo che
implacabile detta il countdown: 40 minuti di tempo, «devono bastare almeno per
due sessioni». Lei non legge niente e non scrive niente mentre è online, cerca
e scarica a caccia di parole su Cuba, spedisce il materiale, preparato a casa,
al provider tedesco che gestisce il blog e registra posta e notizie sulla
chiavetta Usb, la sola memoria storica che riconosca. Ingolfata di ideologia
fin da bambina, Yoani ha cancellato strati di educazione rivoluzionaria e
racconta Cuba come è: «Sporca, nervosa e apatica». È così che spaventa il
regime, senza parlare di politica, ed è per questo che non può essere a Torino,
alla Fiera del libro, non ha il permesso di viaggiare: «Noi blogger siamo
sfuggenti, qui si dice escurridido, scivoloso, ricoperto di sapone. Io posso
muovermi virtualmente e sabato sarò a Torino, con la mia voce». Parla e digita,
dice di funzionare «in stereo» perché deve sfruttare anche i secondi e non
toglie la faccia dalla schermo. Con che motivazione le hanno negato il visto?
«I cubani sono come bambini piccoli, dicono solo no, non danno i perché e se
insisti ti mandano da un superiore che ti rimanda a un altro superiore e
all'infinito. Negli ultimi sei mesi mi hanno negato il permesso di espatriare
tre volte: è un castigo, la loro risposta al blog». Non ha paura? «Se avessi
saputo di fare tutto questo rumore non sarei mai partita, ma ci sono dentro e
non mi spavento. Uso la trasparenza come scudo, non faccio nulla di illegale,
sono qui in un posto pubblico, a scrivere. È difficile accusarmi». Perché ha
iniziato? «È stata una terapia dopo trent'anni di silenzio, un esorcismo contro
i demoni. Appena li ho messi sullo schermo sono scomparsi. Ho buttato fuori la
frustrazione, la mia e di tutti i trentenni cubani, gente a cui è stato
promesso molto, gente che non può realizzare i sogni, riunirsi in associazioni,
nemmeno un gruppo ecologico». Il suo blog a Cuba è censurato, come fa a
influenzare una generazione se è vietato leggerla? «I cubani sono creativi,
siamo allenati a trovare percorsi paralleli, ce lo ha insegnato l'embargo. Qui
leggono il mio blog sulla chiavetta: io la passo a una cinquantina di persone
che la copiano e la passano ad altri cinquanta, è un tam tam ed evidentemente
funziona visto che il mio nome è così popolare». Quindi qualcosa sta cambiando?
«Spingiamo perché succeda. La carenza di materiale è tanta, qui, che è
difficile tenere i miei coetanei a bada. Siamo imprigionati, ma io aspetto la
soluzione biologica. La generazione al potere sta morendo. Spero che non ci sia
un passaggio violento, solo una successione che ci spinga verso il futuro».
Fidel è uscito dal suo ritiro per accusarla. Che effetto fa? «È una
consacrazione: una ragazza di 32 anni ha spinto il Líder máximo allo scoperto.
Curioso, qui c'è chi sogna per una vita di incontrarlo e io che volevo solo
stargli alla larga ho avuto la mia porzione di comandante. È davvero ovunque».
Che cosa dicono i suoi genitori del blog? «Tacciono. Come tutti quelli dai
cinquant'anni in su. Hanno speso gran parte della vita nel silenzio civico e
non possono ammettere che è un bluff. Io a 17 anni sono uscita di casa e mi
sono emancipata in un solo colpo dalla famiglia e dallo Stato. L'unico modo per
evolversi e non essere dipendenti, a Cuba in tanti vanno ad applaudire in
strada il primo maggio solo perché la dittatura concede privilegi a chi
manifesta consenso». E suo figlio che ne pensa? «Ha 13 anni, lo annoia tutto e
per lui i blog sono già roba vecchia. È un bravo studente e ha diritto a
disinteressarsi di quel che fa sua madre». Non ha paura che possa incontrare
difficoltà a causa di «Generazione Y»? «Spero nel tempo. Se dovesse iniziare
l'università domani so che non lo lascerebbero entrare, ci vuole l'attestato di
bravo militante. Io sono radioattiva, ho dovuto anche smettere di lavorare come
insegnante, mio marito è giornalista ma è stato licenziato da Juventud Rebelde
e oggi aggiusta ascensori. Quando è iniziata la glasnost in Russia pensava
arrivasse anche qui e si è messo a scrivere articoli sulla trasformazione della
società. Siamo dei romantici». Che devono fare i cubani? «Stavolta niente di
rivoluzionario, devono occupare degli spazi. Non avere sempre paura, esistono
dei diritti perfino nella nostra costituzione, usiamoli». E gli stranieri
possono aiutare? «Sì, piantandola di credere che quest'isola sia un'utopia
realizzata, è ora di smetterla con le idee alla Gianni Minà sulla purezza della
rivoluzione. Noi non siamo fieri di come si vive qui, siamo fieri di essere
cubani e vogliamo che circoli informazione vera». Si sente anche a Cuba l'effetto Obama?
«Ha tolto al regime un argomento. Con Bush si sentivano invasi e potevano
propagandare meglio, ci marciavano. Ora è più complicato, ma il presidente
degli Stati Uniti deve levare l'embargo». Salverebbe qualcosa del sistema al
potere? «Non è mai tutto da buttare, ma se il prezzo di quanto di buono ho
visto nella mia vita è la libertà, allora non salvo nulla. Fino a che ha
resistito l'Unione Sovietica arrivavano i fondi necessari per far funzionare
sanità e istruzione, ora questi vanti nazionali resistono, ma non ci sono più i
soldi per tenerli in piedi a lungo». Sta scrivendo un nuovo libro? «Due. Un
romanzo generazionale sulla Cuba che verrà e un manuale per blogger cubani. Qui
c'è già Claudia, 25 anni, che tiene il blog "Octavo Cerco", e
"Voces cubana", un lavoro collettivo, e Miriam autrice di "Cuba
dice". Non sono sola». È religiosa? «No, i miei genitori sono cattolici e
si devono nascondere, qui è vietato mostrare un credo. Io penso ci sia
un'entità superiore e da brava blogger me lo immagino chissà dove a programmare
e deviare le nostre vite su un computer, a mandarci messaggi, a ricalcolare i
percorsi quando noi cambiamo strada».
( da "Stampa, La" del
14-05-2009)
Argomenti: Obama
Retroscena Rischio
di catastrofi e terrorismo 59 Bhopal (1984) L'antrace (2001) Seveso (1976)
L'incubo dell'Fbi: i bio-hacker Scienziati fai-da-te coltivano virus con pezzi
di Dna comprati sul web FRANCESCO SEMPRINI «L'influenza fabbricata in provetta»
dollari per i geni NEW YORK E' allarme bio-hacker negli Stati Uniti. Le
autorità federali americane hanno avviato un'indagine su un presunto giro di
«biologi fai da te» che sviluppano in casa ceppi virali considerati a rischio,
attraverso la lavorazione di campioni di Dna sintetico acquistati su Internet
da rivenditori sparsi nei Paesi in via di sviluppo. Nel mirino dell'Fbi sono
finiti studenti e professionisti che hanno ricreato in casa laboratori
artigianali perfettamente funzionati ma privi di minime misure di sicurezza. È
il caso di Katherine Aull, 23 enne neolaureata del Mit, che ha ricostruito nel
suo appartamento di Cambridge un laboratorio chimico acquistando online per
soli 59 dollari un termolavoratore di Dna, una sorta di incubatrice del gene
che serve a produrre ceppi virali. Ha così ricostruito una variante della E.
coli necessario, a suo parere, ad aiutare la ricerca contro il cancro. In
realtà l'E. coli è un batterio ad alto potenziale di rischio, lo stesso che da
alcuni mesi fa aveva causato un'epidemia infettiva negli Stati Uniti a causa
della sua diffusione nelle foglie di spinaci o nei pomodori. Dan Heidel,
impiegato del settore aerospaziale ed ex biologo dell'Università di Seattle, ha
affittato un loft di 3 mila metri quadri in un vecchio magazzino, per inventare
alghe modificate in grado di produrre biocarburanti a prezzi più economici di
quelli attualmente sul mercato. Spendendo 20 mila dollari, su Internet, è
riuscito a mettere insieme centrifughe, serbatoi di stoccaggio per il azoto
liquido e purificatori di acqua. La procedura è stata la stessa per Phil
Holtzman, studente universitario e dj part-time nelle feste universitarie di
Berkeley, che coltiva, nel suo miniappartamento alla periferia di San
Francisco, virus ricavati dalle acque di scolo. «Un giorno - dice - serviranno
a creare vaccini contro gravi forme infettive». In realtà gli esperimenti dei
biologi fai da te costituiscono un grave pericolo, non tanto per l'uso che gli
improvvisati scienziati ne possono fare, ma per il rischio di fughe o furti dai
laboratori fai da te. A lanciare l'allarme è stata la pubblicazione Nature
Biotechnology, dove un gruppo di scienziati e funzionari dell'Fbi hanno chiesto
alle autorità maggiore vigilanza sul traffico di Dna sintetico, che nelle mani
sbagliate possono essere usate per la riprodurre virus pericolosi come l'Ebola.
«I controlli sono lacunosi», spiegavano gli esperti già qualche anno fa. Il
riferimento è in particolare alla facilità con la quale si acquistano campioni
di Dna sintetico su Internet. Le principali fonti sono i rivenditori dei Paesi
in via di sviluppo. Per questo il National Science Board for Biosecurity ha
chiesto a tutte le società registrate che vendono campioni di Dna, di
effettuare controlli approfonditi ogni volta ricevano un ordine di acquisto. Il
problema è che non è chiaro quale ente federale sia preposto al controllo del
commercio di Dna sintetico e non esiste una classificazione chiara sulle
diverse tipologie dell'acido riprodotto in laboratorio. L'amministrazione
del presidente Barack Obama
ha però avviato una serie di studi in cooperazione con il dipartimento dell'Fbi
che si occupa delle armi di distruzione di massa. SYDNEY La teoria del
complotto era girata subito dopo l'esplosione dell'epidemia in Messico. Vari
siti statunitensi «alternativi» avevano parlato di un «esperimento di guerra
batteriologica» finito fuori controllo. Ma ora la teoria che l'influenza
messicana possa esser stata creata dall'uomo prende corpo, tanto che è la
stessa Organizzazione Mondiale della sanità (Oms) che sta cominciando ad
indagare. La denuncia è credibile ed è arrivata da un ricercatore australiano,
secondo cui il virus della febbre suina è il risultato di un errore in un
laboratorio di ricerca. Adrian Gibbs, 75 anni, che ha collaborato alle ricerche
per lo sviluppo dell'anti-virale Tamiflu della Roche, ha dichiarato che ha intenzione
di pubblicare una relazione, secondo cui il nuovo ceppo sarebbe stato
accidentalmente creato nelle uova che gli scienziati utilizzano per far
crescere i virus e le case farmaceutiche per fabbricare i vaccini. Una
conclusione a cui Gibbs è arrivato studiando l'origine del virus e
analizzandone la mappa genetica. «Una delle spiegazioni più semplici è che si
tratti di una fuga da laboratorio - ha detto Gibbs in un'intervista a Bloomberg
Television -. Ma ce ne sono molte altre». L'Oms ha ricevuto la documentazione
dallo scienzatio lo scorso fine settimana. Gibbs, che da quattro decenni si
occupa della materia, ha un curriculum di eccellenza. È stato uno dei primi
scienziati ad avere analizzato la composizione genetica del virus identificato
tre settimane fa in Messico e che minaccia di scatenare la prima pandemia al
mondo dal 1968. Prudenza ma nessuna chiusura da parte dell'Oms. Un virus che è
partito da un laboratorio o nel corso di una produzione di vaccini, «può
indicare una maggiore necessità di sicurezza, ha detto il vice direttore
generale dell'organizzazione», Keiji Fukuda. Di certo, secondo Gibbs,
individuando la fonte del virus, gli scienziati comprenderanno la sua capacità
di diffondersi.\
( da "Stampa, La" del
14-05-2009)
Argomenti: Obama
L'UNIONE AMERICANA
DELLE LIBERTÀ CIVILI: TRADITE LE PROMESSE Un ex agente infiltrato rivela che le
tecniche non servivano a nulla «I duri non parlavano» Foto
delle torture Obama vieta
la pubblicazione [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Barack Obama blocca la diffusione di centinaia
di foto di presunti abusi sui prigionieri in Iraq e Afghanistan mentre a
Capitol Hill è alta tensione fra democratici e Cia sulla pratica degli
«interrogatori duri». La pubblicazione delle foto sarebbe dovuta
avvenire da parte del Pentagono il 28 maggio in base ad una sentenza favorevole
alla richiesta avanzata dall'Unione americana delle libertà civili (Aclu) ma Obama ha deciso di porre il veto dopo averne discusso
assieme ai generali Ray Odierno, comandante delle truppe in Iraq, e David
Petraeus capo dello scacchiere del Medio Oriente. «Il presidente ritiene che la
diffusione di tali foto in questo momento infiammerebbe il teatro di guerra,
metterebbe a rischio le forze americane in Iraq e Afghanistan», ha fatto sapere
la Casa Bianca, tradendo il timore di un impatto mediatico simile a quello che
seguì la pubblicazione delle immagini su Abu Ghraib. La reazione della Aclu è
stata di denunciare la «brusca marcia indietro del presidente rispetto alle
promesse elettorali» e «Human Rights Watch» ha aggiunto la condanna per il
«grave passo indietro compiuto». Le proteste dei gruppi liberal e di quelli per
la difesa dei diritti umana è stata tale da obbligare Obama
a intervenire di persona con una dichiarazione dal South Drive della Casa
Bianca: «Le immagini in questione non sono sensazionali rispetto a quelle di
Abu Ghraib, i responsabili sono stati già puniti e diffonderle non farebbe
altro che infiammare l'antiamericanismo». I repubblicani hanno fatto quadrato
attorno a lui. «La scelta del presidente è la migliore possibile» ha detto
Lindsay Graham, senatore del South Carolina. La scelta di Obama
è un passo che punta anche ad abbassare la tensione fra democratici e Cia,
oramai ai ferri corti. Al Senato si è riunito ieri per la prima volta il
comitato della commissione Giustizia incaricato di «fare luce sulle falsità
divulgate sul trattamento dei detenuti». A deporre sono stati Philip Zelikow,
ex consigliere legale del Dipartimento di Stato, che ha definito «un totale
fallimento» gli «interrogatori duri» e Ali Soufan, ex agente dell'Fbi già
infiltrato dentro Al Qaeda, che ha parlato con il volto protetto. «Sono
testimone diretto del fallimento del waterboarding - ha detto Soufan -. Non
funzionava in quanto questi terroristi sono preparati a subire torture assai
più dure». Quanto afferma Soufan smentisce l'ex vicepresidente Dick Cheney
secondo cui furono proprio le «tecniche dure» a consentire di prevenire nuovi
atti terroristici. Nel momento in cui affondano i colpi sulla Cia i democratici
devono però guardarsi dai memo del quartier generale di Langley, che li
accusano di aver sempre saputo come venivano svolti gli interrogatori. Un
documento di 10 pagine enumera 40 incontri durante i quali gli 007 spiegarono
ai capi del Congresso come venivano interrogati i detenuti. Per Dianne
Feinstein, capo della commissione Intelligence: «La Cia tenta di trovare
coperture politiche».
( da "Stampa, La" del
14-05-2009)
Argomenti: Obama
Se c'è un posto
scomodo al mondo, per la gravità dei problemi da affrontare e per le
responsabilità conseguenti, è quello di Direttore generale dell'Agenzia
Internazionale per l'Energia Atomica. In gergo lo chiamano, il capo dell'Aiea,
«the Nuclear Watchdog», il cane da guardia nucleare: deve garantire lo sviluppo
pacifico dell'energia atomica e prevenirne l'uso a scopi militari. Un compito
cruciale per l'umanità di questo secolo, in bilico tra inediti bisogni
energetici e ambientali e l'incubo di una militarizzazione incontrollata
dell'atomo (un incubo già previsto da Einstein). Eppure, da settimane, è in
corso un'accesa competizione, se non una vera e propria battaglia, tra coloro
che vorrebbero quella sedia bollente in un palazzo di Vienna. Nobile gara tra
chi pensa di avere la soluzione migliore, oppure aspirazione a quello che è
comunque un ruolo di potere, per la capacità che comporta d'influire,
indirettamente, su delicatissimi equilibri internazionali? Da dodici anni, per
tre mandati, quella sedia bollente è occupata dal diplomatico egiziano Mohamed
ElBaradei, personaggio di valore, addirittura vincitore del Premio Nobel per la
pace nel 2005. E tuttavia discusso, soprattutto, a suo tempo, dall'America di
Bush. Gli osservatori maliziosi (ma non tanto) ritennero, infatti, che quel
grande riconoscimento gli fosse concesso dalla giuria scandinava per fare un
dispetto all'allora presidente degli Stati Uniti, che aveva disatteso, per
invadere l'Iraq, le assicurazioni fornite da ElBaradei e dal suo collaboratore
svedese Hans Blix sull'assenza di armi di distruzione di massa nel Paese di
Saddam. Ma ElBaradei e Blix avevano drammaticamente ragione. Rilievi furono
comunque mossi al direttore dell'Aiea, successivamente, per un qualche suo
ondeggiante comportamento circa la nuova e reale minaccia, quella iraniana.
Dimenticando, però, che era stato proprio lui a sollevare il caso Iran,
dimostrando come gli ayatollah avessero sottratto alle ispezioni dell'Aiea
programmi nucleari non evidentemente pacifici. Ora che si avvicina il cambio
della guardia (del cane da guardia), il suo successore potrà contare su un più
pragmatico, fattuale, appoggio della nuova America di Obama. Senza, però, che ciò allenti la
tensione più che tanto. Obama è un pragmatico, ma non un «appeaser». E i problemi restano
enormi. L'Iran, ma anche la Corea del Nord, che fa e disfa gli accordi a suo
piacimento. E altri Paesi, dal Golfo all'estrema Asia, stanno a guardare,
pronti a entrare in gioco anch'essi, mentre, su un piano più generale,
la crisi ambientale rilancia il nucleare «civile», ormai facilmente
trasformabile, in senso tecnico, in «militare». Senza trascurare (tutt'altro)
la possibilità che Al Qaeda, magari nel traballante Pakistan, arrivi a mettere
le mani essa stessa sulla Bomba. Altro grande problema: che le superpotenze una
volta bipolari, America e Russia, ma non solo, diano un esempio, riavviando un
concreto processo di disarmo. Chi sarà il nuovo cane da guardia? Naturalmente
in collegamento con l'Onu, che è il suo riferimento istituzionale (e all'Onu,
tra meno di un anno, si farà un altro riesame del Trattato di non
proliferazione, finora assai poco efficace). Il giapponese Yukiya Amano ha
perso per un voto col sudafricano Abdul Samad Minty e la partita si è riaperta.
E finalmente si è affacciata l'Unione europea, ma con tre candidati, uno
spagnolo, uno francese e l'altro sloveno. Il primo, Luis E. Echavarri, già alla
testa della sezione per l'energia nucleare dell'Ocse, è il più forte, ma è
necessario un appoggio globale europeo, al quale potrebbe aggiungersi quello
americano. Come quasi sempre, purtroppo, nel contesto di grandi scelte su
grandi questioni, manca una concorde strategia europea. Si vedrà, da qui al
voto finale, se qualcosa è cambiato.
( da "Stampa, La" del
14-05-2009)
Argomenti: Obama
Croisette con
partenza "animata" Occhiali 3D per vedere il cartone "Up"
Huppert: niente diplomazia in giuria [FIRMA]FULVIA CAPRARA INVIATA A CANNES
L'apoteosi di Isabelle Huppert, l'emozione di Charles Aznavour che dà la voce
(nella versione francese) al protagonista di Up, l'exploit di Brian Ferry che
canta Shame, l'ironia del presentatore Eduard Baer, maestro di cerimonia per il
secondo anno consecutivo, capace di stemperare con il suo umorismo il tono
inevitabilmente pomposo del gala inaugurale. La 62esima edizione del Festival
si è aperta ieri con la doppia dichiarazione di Aznavour e di Hafsia Herzi, la
giovane protagonista di Cous cous che, stretta (forse un po' troppo) in un
abito di seta color glicine, ha pronunciato la frase di rito anche in arabo. Fuori,
sulla Croisette, trionfo di palloncini multicolori come nel manifesto di Up, il
film d'animazione della Disney-Pixar scelto per l'inaugurazione (per la prima
volta nella storia del Festival dedicata a un cartoon) e visto dagli happy few
con gli appositi occhalini da 3D. Sulla scalinata del Palais molti nomi
francesi, Agnes Varda, Claude Lelouch, Jean Rochefort, Elsa Zylberstein. Regina
indiscussa della serata, l'Huppert, in organza color champagne di Armani, ha
ricevuto l'ovazione della platea e subito dopo ha visto scorrere sul grande
schermo un montaggio di immagini dei suoi film più celebri. Davanti alle
ovazioni, è rimasta la lady di ferro di sempre: «La mia emozione - ha spiegato
- è dovuta al fatto che in questo luogo la forza del cinema è così evidente e
marcata. Sono felice di essere ancora una volta al Festival, in un ruolo che mi
onora moltissimo». Huppert promette di far prevalere su tutto le emozioni:
«Nessuna diplomazia, non siamo il ministero degli Esteri, il verdetto finale
sarà un po' come il precipitato chimico della sensibilità di ogni membro della
giuria». Più dei ragionamenti conterà la passione: «Non si tratta di giudicare,
ma di amare oppure no dei film. E questo è molto difficile perché spesso una
storia ci piace, ma non siamo in grado di dire che cosa ci ha toccato e perché
così profondamente». Dal momento in cui Huppert ha assunto il ruolo di
presidentessa della giuria del Festival i giornali francesi, tutti, hanno
deciso di cerebrarla con la massima enfasi. A ognuno l'attrice ha regalato
ricordi, foto e frasi destinate a restare impresse nella mente dei lettori,
anche i più distratti. La rivista Première l'ha promossa direttrice sul campo
del numero dedicato al Festival. Sulla copertina Isabelle regala uno dei suoi
sorrisi appena accennati e dentro, nell'editoriale, prende
in prestito lo slogan del presidente Obama: «Il mondo cambia pelle? Cannes ne farà sentire fortemente l'eco
e se il cinema non può (ancora) cambiare il mondo, sicuramente può muovere le
emozioni. Per quanto mi riguarda, sì, ne sono certa, in Cannes we can...». Su
Le Film Français descrive il suo rapporto con la rassegna: «Tra me e Cannes c'è
una lunga storia, quest'ultimo appuntamento suggella definitivamente il
mio amore per il Festival e quindi per il cinema. Cannes è la porta aperta a
tutte le nuove idee del mondo. Essere una spettatrice privilegiata mi
entusiasma». Il direttore del Festival, Thierry Fremaux dice di averla voluta
perché «desideravo rendere omaggio a colei che mette la sua popolarità di
attrice al servizio del cinema d'autore, che rischia con gli esordienti e che
si fa ammirare dai registi stranieri». L'enfasi raggiunge il massimo sulle
pagine di Figaro Madame, il supplemento femminile del quotidiano. Nell'articolo
di fondo Elisabeth Quin inneggia alla magica capacità dell'attrice di «non
essere mai lì dove ci si aspetterebbe di trovarla» e di ricercare sempre, ad
ogni costo, «l'assoluto, il radicale». Gli stilisi più noti, da John Galliano a
Karl Lagerfield, immaginano il look ideale per la montées de marches, lei si
presta a innumerevoli servizi fotografici, con abiti di tutti i generi e
infine, massima concessione di «Madame la Présidente», svela piccoli, ma
preziosi segreti per mantenere intatta la sua severa bellezza. Quando le
attrici italiane si lamentano perché da noi non accade mai di ricevere omaggi
di tale portata, forse un po' di ragione l'hanno.
( da "Corriere della Sera"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Esteri data: 14/05/2009 - pag:
( da "Corriere della Sera"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera
sezione: Esteri data: 14/05/2009 - pag: 17 Il caso La Casa Bianca blocca la pubblicazione annunciata per fine maggio La marcia
indietro di Obama «Niente
nuove foto di torture» Insorgono i progressisti: «Usa le stesse tattiche di
Bush» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Un mese dopo aver detto si, Barack Obama ci ripensa. Non vuole complicare
la missione dei suoi soldati schierati in Iraq e Afghanistan, aumentando i
rischi per la loro sicurezza. E ora è contrario alla pubblicazione delle
nuove foto che mostrano gli abusi commessi dalle truppe americane sui detenuti
a Bagdad e Kabul. Il presidente ha ordinato ai legali della Casa Bianca di opporsi
alla decisione dei Tribunali d'Appello, che hanno accolto la richiesta
dell'American Civil Liberties Union, di togliere il segreto di Stato sulle
immagini. «Non sono fotografie così sensazionali e farle uscire non farebbe
bene a nessuno», ha detto il presidente, ribadendo però che lui non intende «in
alcun modo tollerare gli abusi sui detenuti». «Il presidente aveva spiegato
poco prima il portavoce Robert Gibbs ha detto al suo team giuridico di non
sentirsi a suo agio con l'eventuale rilascio delle fotografie, poiché pensa che
potrebbero danneggiare i nostri militari sul campo e non crede che tutte le
conseguenze della pubblicazione per la sicurezza nazionale siano state ben
illustrate alla corte ». Pressato dalle domande, Gibbs ha avuto qualche incertezza
nell'argomentare il clamoroso rovesciamento di posizione, che il fronte
progressista già bolla come una brusca deviazione dalla promessa di trasparenza
del nuovo presidente e soprattutto dall'impegno a non bloccare il rilascio
d'informazioni quando fosse stato ordinato da un giudice: «La pubblicazione non
aggiungerebbe nulla alle inchieste sui casi di abusi, che sono ben documentati
e i cui autori sono già stati puniti». Ma Obama ha
ragioni forti dalla sua parte. A motivarne il ripensamento sono state in primo
luogo le paure espresse dai capi militari, preoccupati dalla coincidenza tra
l'uscita delle foto (il Pentagono ne aveva preparato una prima serie da
diffondere il 28 maggio) e l'inizio di nuove e più rischiose fasi delle due
missioni: in Iraq col ritiro di nuove unità da combattimento e in Afghanistan
con l'arrivo di altri 20 mila uomini. Parlando ieri davanti al Congresso, il
ministro della Difesa Robert Gates ha confermato come il cambiamento d'opinione
sia stato prodotto dopo che i generali McKiernan (il capo delle truppe a Kabul,
appena sostituito) e Odierno, comandante delle forze Usa in Iraq, «avevano
espresso serie riserve sulla pubblicazione, perché potrebbe costare vite
americane». Gates ha anche detto che se il tribunale d'Appello dovesse rigettare
la richiesta, la Casa Bianca è pronta a ricorrere alla Corte Suprema. La
sterzata del presidente è stata duramente criticata dall'American Civil
Liberties Union: «L'Amministrazione Obama adotta le
stesse tattiche di sbarramento e le politiche opache di George Bush, con buona
pace dell'impegno a ripristinare il diritto, ristabilire la nostra statura
morale di fronte al mondo e guidare un governo trasparente», ha dichiarato il
direttore esecutivo, Anthony Romero, secondo il quale il popolo americano «deve
poter farsi da solo un giudizio sui crimini, che siano stati commessi in suo
nome». Paolo Valentino Leader Barack Obama, 47 anni,
presidente degli Stati Uniti dal 20 gennaio 2009, fotografato al termine di una
conferenza stampa alla Casa Bianca, Washington (Zhang Yan/Xinhua)
( da "Stampa, La" del
14-05-2009)
Argomenti: Obama
Caro
Obama ti scrivo Al
nuovo Kennedy d'America scrivono tutti, anche i bambini. In un incontro con
Manuela Salvi, scrittrice per ragazzi, ecco le lettere al nuovo presidente
degli Stati Uniti. Il laboratorio s'intitola «Caro Obama, ti è già
venuta qualche buona idea?». Al Bookstock Village, Padiglione 5, Laboratorio Autori,
dalle 10,30. Dedicato a lettori (e aspiranti scrittori) dagli 8 ai 13 anni.
Senza libri non si può Un inizio scoppiettante. Così si preannuncia la
conversazione tra lo scrittore-semiologo Umberto Eco e il saggista Jean-Claude
Carrière dal titolo eloquente (e benaugurale): «Non sperate di liberarvi dei
libri». Per scoprire come sopravvivere nell'era degli e-book senza rinunciare
al piacere della carta l'appuntamento è in Sala Gialla alle 12. Coordina Marco
Belpoliti. Laicità magistrale Stefano Rodotà tiene la sua «lectio magistralis»
sul tema «Perché laico» (dal titolo del suo omonimo libro, edito da Laterza) e
spiega il senso della laicità come connotato essenziale di un sistema
democratico e liberale. Interviene Vladimiro Polchi. Alle
( da "Repubblica.it"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
NEW DELHI - La
vendicatrice degli oppressi contro il principe ereditario: è una sfida epica
quella che offre il grande cinema della democrazia indiana. Le più lunghe
elezioni del mondo, in corso da tre settimane con 714 milioni di votanti,
828.000 seggi e 300 partiti in lizza, si sono concluse ieri e sabato sapremo i
risultati finali. E' uno spettacolo grandioso e inquietante: il suffragio
universale sperimentato in un subcontinente con un miliardo e cento milioni di
abitanti, dozzine di etnie, trenta lingue e sei religioni; una superpotenza
economica con immense sacche di miseria, dove imperversa il terrorismo di
matrice islamica sostenuto dai servizi segreti pachistani, e in vaste regioni è
radicata una implacabile guerriglia maoista. Duello virtuale. E' una democrazia
vitale e allo stesso tempo corrotta, inquinata dal populismo, frammentata dai
regionalismi. Un duello virtuale oppone Mayawati, la leader della casta più
umile (i dalit o "intoccabili"), a Rahul Gandhi. Lei è una donna di
53 anni cresciuta con otto fratelli in una squallida baraccopoli di Delhi,
temprata dalla miseria, dalle umiliazioni e dal disprezzo delle caste superiori
verso la sua gente. Lui ha 38 anni - un bambino per la gerontocrazia politica
indiana - ed è una specie di giovane Kennedy o Bush all'ennesima potenza. E' il
rampollo della dinastia repubblicana più longeva del mondo, che da quattro
generazioni domina l'India. "E' una stirpe che considera il partito di
governo (il Congresso) alla stregua di un suo latifondo familare", mi dice
il sociologo Dipankar Gupta. I primi exit poll ieri davano in vantaggio il
partito di Gandhi. Ma se il margine di vittoria fosse troppo esile, la
"regina degli intoccabili" potrebbe svolgere un ruolo chiave nei
negoziati per formare la coalizione di governo. OAS_RICH('Middle'); "Obama indiana". La Mayawati usa un
solo nome come spesso si usa nelle caste inferiori. E' stata definita "una
Obama indiana". Di
certo è una outsider che ha dovuto superare ostacoli spaventosi. I suoi nonni
vivevano in una sorta di apartheid, confinati ai margini del loro villaggio:
nell'India rurale ancora oggi si riserva agli intoccabili la pulizia delle
latrine, gli è vietato l'ingresso nei templi; un ragazzo Dalit che osi
corteggiare una giovane di casta superiore può morire linciato. La mamma di
Mayawati era analfabeta. Suo padre trovò un modesto impiego statale solo grazie
al sistema delle quote, una specie di "affirmative action" che
riserva alle caste inferiori una percentuale delle assunzioni pubbliche. Eppure
lei è riuscita a dare la scalata al potere politico nell'Uttar Pradesh, uno
Stato di 190 milioni di abitanti (se fosse indipendente sarebbe la sesta
nazione del mondo), che l'ha rieletta primo ministro per quattro volte
consecutive. L'Uttar Pradesh, ai confini di Delhi nell'India settentrionale,
era il feudo elettorale della dinastia Gandhi, una roccaforte del partito del
Congresso. Poi fu il teatro dell'ascesa della forza rivale, il partito
nazionalista Bjp. E' in quel laboratorio politico che Mayawati è riuscita a
emarginare i due partiti maggiori. Ha organizzato gli intoccabili e tutte le
caste inferiori - che insieme rappresentano il 60% della popolazione indiana -
nel suo Bsp. E in questa elezione ha fatto il salto su scala nazionale. Il Bsp
ha formato la Terza Forza, che in caso di equilibrio tra i partiti maggiori può
essere l'ago della bilancia tra il Congresso e i nazionalisti. Se il suo
consenso dovesse rivelarsi determinante per formare la futura coalizione di
governo, la Mayawati sarà corteggiata da tutti. "Sarebbe un simbolo
straordinario - dice il suo biografo, lo storico Ajoy Bose - un'ascesa
entusiasmante per tutti i dalit". Attenzione ai paragoni con Obama. La Mayawati è un personaggio molto ambiguo.
"Affascinante e ripugnante", la definisce Gupta. La carriera politica
le ha consentito di accumulare un patrimonio personale di 12 milioni di dollari
e 72 case, più una collezione di diamanti che sfoggia senza imbarazzo nelle
cerimonie ufficiali. Al suo partito si attribuiscono metodi mafiosi, la
raccolta di fondi attraverso violenze e intimidazioni; uno dei suoi leader è un
gangster in carcere per omicidio (ma la percentuale di criminali nel Parlamento
di New Delhi è equamente ripartita fra tutti i partiti). Per cementare la sua
base di consenso la Mayawati ha usato il clientelismo più sfrenato, con le
assunzioni in massa di "intoccabili" nel pubblico impiego. Le opere
pubbliche, la costruzione di strade e allacciamenti elettrici in 11.000
villaggi, sono state mirate per favorire le circoscrizioni elettorali fedeli e
penalizzare le altre. Nonostante questo non sembra che la condizione delle
caste inferiori nell'Uttar Pradesh sia migliorata rispetto al resto dell'India:
il 45% dei dalit nei villaggi rurali continua a vivere sotto la soglia della
povertà. Eppure la popolarità della Mayawati finora ha resistito. Perfino la
sua ricchezza personale le giova. I dalit ne sono fieri, proiettano su di lei i
propri sogni di riscatto economico. L'India delle élite urbane storce il naso
di fronte a questo fenomeno che stigmatizza come "la politica della
fedeltà castale". In realtà spesso è un comportamento più moderno e laico
di quanto appaia: è un voto d'interessi e di scambio. Discendente di Nehru.
Rahul Gandhi è la nuova star a cui l'establishment affida le speranze di
riconferma della maggioranza di governo uscente. La politica indiana è ricca di
queste ironie. Il rampollo che impugna la bandiera del "rinnovamento"
è bisnipote di Nehru (leader dell'indipendenza, premier dal 1947), nipote di
Indira Gandhi che governò negli anni Sessanta e Settanta, figlio del premier
Rajiv Gandhi. La vedova di quest'ultimo, l'italiana Sonia Gandhi, tentò a lungo
di tenere lontano il figlio dalla politica per proteggerlo dalla maledizione
familiare: sia Indira che Rajiv morirono vittime di attentati terroristici, nel
1984 e nel 1991. Ma il senso del destino e della missione dinastica è stato più
forte. La stessa Sonia è diventata presidente del Congresso, leader indiscussa
di un partito che d'istinto cerca in questa famiglia i suoi padroni. Per il
principino è iniziato il lungo addestramento alla successione. A suo modo anche
lui ha dovuto superare degli handicap. Educato a Cambridge, nei primi comizi
aveva perfino l'accento straniero. I mass media gli preferivano la sorella
Priyanka, più astuta e con un carisma che ricorda la nonna Indira. Ma il
Congresso si è messo disciplinatamente al servizio dell'erede maschio, ed è
iniziata la "costruzione" della sua popolarità. Largo ai giovani. Lo
slogan di Rahul - largo ai giovani - non è originale e tuttavia risponde a un
bisogno reale. L'India è la superpotenza più giovane del pianeta: il 70% della
sua popolazione ha meno di 40 anni. Eppure il suo premier uscente, Manmohan
Singh, è un 76enne. Lo sfidante del partito nazionalista Bjp, L. K. Advani, ha
81 anni. Solo un decimo dei deputati ha meno di 40 anni. Con Rahul Gandhi si
affaccia alla politica una nuova generazione che impone il suo stile e i suoi modi
di comunicare: dilagano i comizi su YouTube, gli sms diventano il veicolo per
diffondere attacchi agli avversari, pubblicizzare gli scandali. Perfino le
suonerie dei telefonini sono messe al servizio della propaganda elettorale.
L'incognita Bjp. In mezzo alla recessione globale, e mentre è fresco il ricordo
della strage terroristica di Mumbai, i nazionalisti del Bjp hanno reclutato tra
i loro candidati perfino un illustre transfuga della dinastia Gandhi, il 29enne
Feroze Varun, cugino di primo grado di Rahul. Non è rassicurante questo partito
d'ispirazione religiosa. L'uomo nuovo che avanza dentro il Bjp, Narendra Modi,
è stato definito da Sonia Gandhi "un mercante di morte". Come premier
dello Stato del Gujarat, ha sulla coscienza duemila morti: tanti furono i
musulmani trucidati nelle violenze di massa scatenate nel 2002 dagli
integralisti indù, nell'indifferenza delle autorità locali o addirittura con
l'aiuto della polizia del Gujarat. Anche le comunità cristiane hanno subìto
fiammate d'intolleranza brutale. Oggi la convivenza tra la maggioranza indù e
la grossa minoranza musulmana (oltre 150 milioni) non è così tesa. L'attacco a
Mumbai non ha suscitato appelli per rappresaglie indiscriminate: le radici di
quel commando terroristico in Pakistan hanno deviato la tensione in politica
estera. Cresce però un "leghismo" socio-economico che il Bjp ha
cercato di intercettare. Nello Stato attorno a Mumbai, il Maharashtra, miete
consensi la campagna contro gli immigrati di altre regioni che fanno concorrenza
alla popolazione locale sul mercato del lavoro. La crisi e i comunisti. Chi
rischia di pagare di più le tensioni economiche sono i comunisti,
tradizionalmente forti nel Bengala occidentale. La sinistra è segnata dal
"trauma della Nano". Il governo rosso di Calcutta appoggiò la
costruzione degli stabilimenti del gruppo Tata per l'utilitaria più economica
del mondo, suscitando aspre reazioni tra i contadini espropriati dei loro
terreni. Quella guerra fra poveri - gli interessi della classe operaia contro
l'India dei villaggi agricoli - ha lasciato un bilancio di morti e feriti, che
pesa su questa votazione. I comunisti sono forse l'ultimo partito ideologico.
Tra gli altri è difficile trovare autentiche differenze di valori: perfino il
Bjp quando governò fino al 2004 mise la sordina al revanscismo indù. Di
programmi si è discusso poco o niente in queste elezioni. La recessione globale
spinge a una generica rivalutazione delle politiche economiche dell'epoca
Nehru-Gandhi. Protezionismo, dirigismo, statalismo non erano mai veramente
passati di moda in India; ora godono un revival legato alla crisi del modello
americano. Nessuno si illude che da queste elezioni venga una svolta. M. J.
Akbar, celebre opinionista musulmano, mi dice che "le aspirazioni dei
poveri crescono così velocemente che nessuna politica e nessun governo possono
soddisfarle". Anche Harish Kare, che dirige il quotidiano The Hindu, ha
una visione disincantata di quel che la politica può fare: "La vera
funzione del voto per noi è la catarsi. E' il momento in cui la democrazia ci
unisce davvero perché rappresenta tutte le nostre diversità. La politica delle
identità in India è molto più importante dell'arte di governare". (14
maggio 2009
( da "Stampaweb, La"
del 14-05-2009)
Argomenti: Obama
NEW YORK E
allarme bio-hacker negli Stati Uniti. Le autorità federali americane hanno
avviato unindagine su un presunto giro di «biologi fai da te» che
sviluppano in casa ceppi virali considerati a rischio, attraverso la
lavorazione di campioni di Dna sintetico acquistati su Internet da rivenditori sparsi nei
Paesi in via di sviluppo. Nel mirino dellFbi sono finiti
studenti e professionisti che hanno ricreato in casa laboratori artigianali
perfettamente funzionati ma privi di minime misure di sicurezza. È il caso di Katherine Aull, 23
enne neolaureata del Mit, che ha ricostruito nel suo appartamento di Cambridge
un laboratorio chimico acquistando online per soli 59 dollari un
termolavoratore di Dna, una sorta di incubatrice del gene che serve a produrre
ceppi virali. Ha così ricostruito una variante della E. coli necessario, a suo
parere, ad aiutare la ricerca contro il cancro. In realtà lE.
coli è un batterio ad alto potenziale di rischio, lo stesso che da alcuni mesi
fa aveva causato unepidemia infettiva negli Stati Uniti a causa della sua diffusione nelle
foglie di spinaci o nei pomodori. Dan Heidel, impiegato del settore
aerospaziale ed ex biologo dellUniversità di Seattle, ha affittato
un loft di 3 mila metri quadri in un vecchio magazzino, per inventare alghe modificate in grado di
produrre biocarburanti a prezzi più economici di quelli attualmente sul
mercato. Spendendo 20 mila dollari, su Internet, è riuscito a mettere insieme
centrifughe, serbatoi di stoccaggio per il azoto liquido e purificatori di
acqua. La procedura è stata la stessa per Phil Holtzman, studente universitario
e dj part-time nelle feste universitarie di Berkeley, che coltiva, nel suo
miniappartamento alla periferia di San Francisco, virus ricavati dalle acque di
scolo. «Un giorno - dice - serviranno a creare vaccini contro gravi forme
infettive». In realtà gli esperimenti dei biologi fai da te costituiscono un
grave pericolo, non tanto per luso che gli improvvisati scienziati
ne possono fare, ma per il rischio di fughe o furti dai laboratori fai da te. A lanciare
lallarme è stata la pubblicazione Nature Biotechnology, dove un
gruppo di scienziati e funzionari dellFbi hanno chiesto alle autorità
maggiore vigilanza sul traffico di Dna sintetico, che nelle mani sbagliate
possono essere usate
per la riprodurre virus pericolosi come lEbola. «I controlli
sono lacunosi», spiegavano gli esperti già qualche anno fa. Il riferimento è in
particolare alla facilità con la quale si acquistano campioni di Dna sintetico
su Internet. Le principali
fonti sono i rivenditori dei Paesi in via di sviluppo. Per questo il National
Science Board for Biosecurity ha chiesto a tutte le società registrate che
vendono campioni di Dna, di effettuare controlli approfonditi ogni volta
ricevano un ordine di acquisto. Il problema è che non è chiaro quale ente
federale sia preposto al controllo del commercio di Dna sintetico e non esiste
una classificazione chiara sulle diverse tipologie dellacido
riprodotto in laboratorio. Lamministrazione del presidente Barack Obama ha
però avviato una serie di studi in cooperazione con il dipartimento dellFbi
che si occupa delle armi di distruzione di massa.