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Report "Obama"  14 maggio 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

Campagna elettorale in diretta tutto il giorno con la tivù "on line" ( da "Stampa, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Penso che sia importante che a seguire l'esempio dei Democratici di Obama siano in Europa soprattutto le donne». Così Marylin Fusco, candidata ligure per l'Italia dei Valori alle elezioni europee, spiega la sua decisione di lanciare, primo politico a farlo, una web tv in cui la sua campagna elettorale è on line in diretta tutto il giorno.

Il Papa a Betlemme "I muri si abbattono" ( da "Stampa, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: I muri si abbattono" «Il piano Obama resa totale dei Paesi arabi» Israele ha ottenuto che non parlasse vicino alla barriera ma è passato vicino [FIRMA]GIACOMO GALEAZZI INVIATO A BETLEMME «Soffro per Gaza, basta con l'embargo e la tragedia del muro di divisione. No alla tentazione del terrorismo, sì a uno Stato palestinese sovrano».

"La sofferenza è a Gaza Perché non ci è andato?" ( da "Stampa, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Mazen si accinge ad incontrare questo mese a Washington il presidente Barack Obama. Che attese ci sono a Ramallah? «Nessuno sa cosa gli Stati Uniti possano offrire ad Abu Mazen. Certo non potranno temporeggiare molto di fronte alle posizioni intransigenti del premier israeliano Benyamin Netanyahu (che oggi incontrerà il Pontefice a Nazareth, la più grande città "araba" di Israele,

"serve un'intesa sui confini aspettiamo le mosse di obama" ( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: intesa sui confini aspettiamo le mosse di Obama" Il punto non è il muro contro i kamikaze: il punto è trovare un´intesa sui confini, ma su questo solo Obama potrà fare qualcosa "Non importa più che Ratzinger sia o meno stato nella Hitlerjugend: serviva invece una dichiarazione forte su nazismo e Olocausto" DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME - Abraham Yehoshua,

solidarietà ad abu mazen "avete diritto a uno stato" - marco politi ( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la strategia imboccata dal presidente Obama e favorita dal progetto di pace saudita che la Lega araba sottoscrive. Si tratta di rilanciare i negoziati per giungere in tempi non lunghi ad un accordo globale, che dia sicurezza ad Israele e uno stato ai palestinesi. A Washington non piacciono le ipotesi fumose (che circolano in certi ambienti israeliani) di una federazione giordano-

ecco il romanzo che piace a obama - leonetta bentivoglio ( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: elezione di Obama se non ci fosse stato l´11 settembre e quanto ne è derivato? «Obama non è il prodotto dell´11 settembre, ma dell´amministrazione Bush, catastrofe ben peggiore. Bush ha tentato di semplificare il mondo instillando nella gente la paura della democrazia, e su queste basi Mc Cain e la Palin avrebbero potuto essere eletti.

azione e gag in una fiaba digitale doppia morale e un pizzico di realtà - cannes roberto nepoti ( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: c´è chi ha creduto di respirare l´aria dell´"era Obama" (leggi: guerra ai cattivi e alleanza tra giovani e vecchi saggi); anche se, poi, il film è stato messo in cantiere cinque anni fa, quando al governo c´era ancora il cattivo Bush. Protagonisti Cal, quadrato vecchietto di 78 anni, e Russell, rotondo boyscout di 8.

la sorpresa è braga con la sua campagna in perfetto stile obama ( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina I - Bologna A PAGINA III Il direttore del collegio Alma Mater ha ottenuto più voti del previsto La sorpresa è Braga con la sua campagna in perfetto stile Obama SEGUE A PAGINA

braga è la sorpresa nell'urna ancora una volta spiazza i giochi ( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: urna ancora una volta spiazza i giochi E sul sito esulta in stile Obama: "Yes we can" Per lui hanno firmato Carlo Flamigni, Pasquino, Paolo Pupillo ed Enzo Boschi Dalla sede di Ravenna è partito un pulmino di colleghi per venire a Bologna a votare A FINE novembre di due anni fa, Dario Braga, sino ad allora conosciuto come il direttore del Collegio superiore dell´Alma Mater,

obama blocca le nuove foto sulle torture ai prigionieri - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Esteri Obama blocca le nuove foto sulle torture ai prigionieri "Conseguenze negative per i nostri in Iraq e Afghanistan" Veto al verdetto di un giudice che aveva ordinato alla Difesa di diffondere le immagini ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - Il 23 aprile aveva dato l´ok, ieri ha fatto marcia indietro.

giù i consumi usa, borse a picco cade wall street, milano -3,9% - arturo zampaglione ( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la Casa Bianca di Barack Obama ha intenzione di rafforzare la vigilanza sulle regole della concorrenza e potrebbe anche aprire una inchiesta sul mercato dei chip. E´ una conferma del nuovo attivismo in economia del governo americano, che ha già in programma di calmierare gli stipendi degli executives e che proprio ieri, a chiusura dei mercati,

"no alla musica mediocre ora per me c'è solo bach" - giacomo pellicciotti roma ( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Nemmeno in Obama. E non vedo grandi cambiamenti all´orizzonte. Non ci sono leader, né maestri GIACOMO PELLICCIOTTI ROMA In un mondo senza speranze neanche Obama può fare miracoli e l´unica salvezza è la grande musica. Il pessimismo cosmico di Keith Jarrett, uno degli ultimi eroi del jazz, dilaga dal suo eremo nel New Jersey dove vive dopo la recente,

viaggio in india, dove nelle urne si sfidano l'erede dei ghandi e la regina degli oppressi. un bivio per un paese a caccia di un nuovo futuro - federico rampini new delhi ( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: regina degli intoccabili" potrebbe svolgere un ruolo chiave nei negoziati per formare la coalizione di governo. La Mayawati usa un solo nome come spesso si usa nelle caste inferiori. E´ stata definita "una Obama indiana". Di certo è una outsider che ha dovuto superare ostacoli spaventosi. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE SEGUE A PAGINA 38

Obama blocca le foto delle torture ( da "Corriere della Sera" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 14/05/2009 - pag: 1 Ripensamento Obama blocca le foto delle torture di PAOLO VALENTINO A PAGINA 17

( da "Corriere della Sera" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ho sentito dire anche da Putin e da Obama. Ma la comunità internazionale è divisa. Se qualcuno dice sì e altri no, Ahmadinejad ci guadagna. Non sanno quanto sia pericoloso: è l'unico leader del mondo che vuole distruggere un altro membro dell'Onu. Solo una politica comune, con vere sanzioni economiche, può salvarci dal ricorso alle armi.

Consumi e conti affondano le Borse ( da "Corriere della Sera" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il colosso mondiale dei semiconduttori per computer, condannata per abuso di posizione dominante e pratiche commerciali che hanno danneggiato sia i concorrenti, in primo luogo Amd, sia «milioni di consumatori ». Giancarlo Radice NUOVA GARA Per il segretario Usa alla Difesa, Robert Gates, è probabile una nuova gara d'appalto per l'elicottero di Obama

Ue, Usa e la fine dell'amnesia collettiva ( da "Corriere della Sera" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Fin dove si spingerà Obama? Usa e Ue adotteranno finalmente una linea comune sull'antitrust? È presto per dirlo. Ma, intanto, perfino Eric Schmidt, il capo operativo di Google che è stato vicino ad Obama durante la campagna e anche nel transition team dopo l'elezione, è finito nel mirino della Ftc, un'agenzia federale, perché siede anche nel consiglio della Apple,

"IL MIO BLOG CONTRO I DEMONI" ( da "Stampa, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: effetto Obama? «Ha tolto al regime un argomento. Con Bush si sentivano invasi e potevano propagandare meglio, ci marciavano. Ora è più complicato, ma il presidente degli Stati Uniti deve levare l'embargo». Salverebbe qualcosa del sistema al potere? «Non è mai tutto da buttare, ma se il prezzo di quanto di buono ho visto nella mia vita è la libertà,

L'incubo dell'Fbi: i bio-hacker ( da "Stampa, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione del presidente Barack Obama ha però avviato una serie di studi in cooperazione con il dipartimento dell'Fbi che si occupa delle armi di distruzione di massa. SYDNEY La teoria del complotto era girata subito dopo l'esplosione dell'epidemia in Messico. Vari siti statunitensi «alternativi» avevano parlato di un «esperimento di guerra batteriologica»

Foto delle torture Obama vieta la pubblicazione ( da "Stampa, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: I duri non parlavano» Foto delle torture Obama vieta la pubblicazione [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Barack Obama blocca la diffusione di centinaia di foto di presunti abusi sui prigionieri in Iraq e Afghanistan mentre a Capitol Hill è alta tensione fra democratici e Cia sulla pratica degli «interrogatori duri».

Se c'è un posto scomodo al mondo, per la gravità dei problemi da affrontare e per le ... ( da "Stampa, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: appoggio della nuova America di Obama. Senza, però, che ciò allenti la tensione più che tanto. Obama è un pragmatico, ma non un «appeaser». E i problemi restano enormi. L'Iran, ma anche la Corea del Nord, che fa e disfa gli accordi a suo piacimento. E altri Paesi, dal Golfo all'estrema Asia, stanno a guardare, pronti a entrare in gioco anch'essi,

Croisette con partenza "animata" ( da "Stampa, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: prende in prestito lo slogan del presidente Obama: «Il mondo cambia pelle? Cannes ne farà sentire fortemente l'eco e se il cinema non può (ancora) cambiare il mondo, sicuramente può muovere le emozioni. Per quanto mi riguarda, sì, ne sono certa, in Cannes we can...». Su Le Film Français descrive il suo rapporto con la rassegna: «Tra me e Cannes c'è una lunga storia,

La governatrice Palin scriverà un libro di memorie ( da "Corriere della Sera" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: poi battuto da Obama, che l'ha trasformata da misconosciuta governatrice dell'Alaska in una delle figure più note e controverse del partito repubblicano. Il libro comprenderà anche la descrizione della sua intensa vita familiare con i cinque figli, dall'ultimo arrivato, affetto dalla sindrome di Down, Trig Paxson, alla gravidanza non prevista dell'

La marcia indietro di Obama ( da "Corriere della Sera" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: blocca la pubblicazione annunciata per fine maggio La marcia indietro di Obama «Niente nuove foto di torture» Insorgono i progressisti: «Usa le stesse tattiche di Bush» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Un mese dopo aver detto si, Barack Obama ci ripensa. Non vuole complicare la missione dei suoi soldati schierati in Iraq e Afghanistan, aumentando i rischi per la loro sicurezza.

Caro Obama ti scrivo Al nuovo Kennedy d'America scrivono tutti, anche i bambini. In un incontro c... ( da "Stampa, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Caro Obama ti scrivo Al nuovo Kennedy d'America scrivono tutti, anche i bambini. In un incontro con Manuela Salvi, scrittrice per ragazzi, ecco le lettere al nuovo presidente degli Stati Uniti. Il laboratorio s'intitola «Caro Obama, ti è già venuta qualche buona idea?

L'erede di Ghandi e la regina degli intoccabili la grande sfida per governare l'India ( da "Repubblica.it" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama indiana". La Mayawati usa un solo nome come spesso si usa nelle caste inferiori. E' stata definita "una Obama indiana". Di certo è una outsider che ha dovuto superare ostacoli spaventosi. I suoi nonni vivevano in una sorta di apartheid, confinati ai margini del loro villaggio: nell'India rurale ancora oggi si riserva agli intoccabili la pulizia delle latrine,

L'incubo dell'Fbi: i bio-hacker ( da "Stampaweb, La" del 14-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: problema è che non è chiaro quale ente federale sia preposto al controllo del commercio di Dna sintetico e non esiste una classificazione chiara sulle diverse tipologie dell?acido riprodotto in laboratorio. L?amministrazione del presidente Barack Obama ha però avviato una serie di studi in cooperazione con il dipartimento dell?Fbi che si occupa delle armi di distruzione di massa.


Articoli

Campagna elettorale in diretta tutto il giorno con la tivù "on line" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

EUROPEEL'IDEA DELLA FUSCO CANDIDATA IDV Campagna elettorale in diretta tutto il giorno con la tivù "on line" GENOVA «Punto sulla trasparenza. Non sempre è chiaro dove e soprattutto come e con chi si facciano le campagne elettorali, io ho voluto dare un segnale nuovo. Penso che sia importante che a seguire l'esempio dei Democratici di Obama siano in Europa soprattutto le donne». Così Marylin Fusco, candidata ligure per l'Italia dei Valori alle elezioni europee, spiega la sua decisione di lanciare, primo politico a farlo, una web tv in cui la sua campagna elettorale è on line in diretta tutto il giorno. Una sorta di reality del candidato che ieri ha visto l'«incursione» della Red Tv, il canale Sky dell'omonima associazione lanciata da Massimo D'Alema. «E' la prova - commenta Marylin (che doveva chiamarsi come la Monroe, ma all'anagrafe hanno sbagliato la posizione della y) - che questo sistema made in Genova può diventare uno strumento reale di partecipazione al dibattito pubblico, locale, regionale e nazionale». «The Real Politics live» prevede che per 744 ore un gruppo di 10 persone con 4 web cam seguano ininterrottamente la campagna elettorale: tutti potranno partecipare semplicemente collegandosi online e interagendo con la candidata nella platea virtuale. Fusco pensa di arrivare a Strasburgo «per garantire la trasparenza nei finanziamenti e nella assegnazione dei nuovi fondi europei» primo punto condiviso con Antonio Di Pietro, il leader del suo partito. Nata a Finale Ligure il 17 aprile 1973, laureata in Giurisprudenza all'Università di Genova con una tesi sulla legislazione contro gli abusi sui minori, professione consulente legale, Marylin Fusco attualmente è la coordinatrice ligure delle donne dell'Italia dei Valori. Dal 2007 è consigliere comunale a Genova, eletta nella lista dell'Ulivo con il maggior numero di preferenze tra le donne. Ma, nonostante l'elezione a presidente del Coordinamento Genovese del Pd, matura dubbi sulla politica del partito, avvicinandosi l'anno scorso all'Italia dei Valori per condivisione dei contenuti e delle azioni di Antonio di Pietro. \

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Il Papa a Betlemme "I muri si abbattono" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

TERRA SANTA Dovete avere una Patria sicura, in pace con i suoi vicini, con confini riconosciuti IL GIORNALE AL QUDS IL VIAGGIO DI BENEDETTO XVI Al campo profughi palestinesi di Aida Abu Mazen condanna l'occupazione «Gerusalemme nostra capitale eterna» Il Papa a Betlemme "I muri si abbattono" «Il piano Obama resa totale dei Paesi arabi» Israele ha ottenuto che non parlasse vicino alla barriera ma è passato vicino [FIRMA]GIACOMO GALEAZZI INVIATO A BETLEMME «Soffro per Gaza, basta con l'embargo e la tragedia del muro di divisione. No alla tentazione del terrorismo, sì a uno Stato palestinese sovrano». Anche se ora «sembra un obiettivo lontano», il Papa difende «il diritto del popolo palestinese a una patria sovrana nella terra dei propri antenati». Dalla piazza della Mangiatoia, davanti a 10 mila fedeli arrivati da Gerusalemme (definita ieri da Abu Mazen «capitale eterna della Palestina»), da Gaza e da tutto il Medio Oriente malgrado gli ossessivi controlli per passare il Muro, Benedetto XVI chiede per i palestinesi uno Stato «sicuro, in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti», perché «non c'è pace senza giustizia, né giustizia senza perdono». Nel piazzale del palazzo presidenziale, il Papa indica «la via della riconciliazione contro le azioni sterili e lo stallo della paura», reclama che i «gravi problemi di sicurezza in Israele e nei Territori vengano presto alleggeriti così da permettere una maggiore libertà di movimento, per i contatti tra familiari e per l'accesso ai luoghi santi». Poi nel pomeriggio, la tappa al campo profughi di Aida per solidarizzare con «le famiglie rimaste senza casa» e ammonire che «una coesistenza giusta e pacifica fra i popoli del Medio Oriente è possibile solo con uno spirito di cooperazione e mutuo rispetto, in cui i diritti e la dignità di tutti siano riconosciuti e rispettati». I bambini del campo ballano per lui con in mano le chiavi, simbolo del desiderio di tornare nelle loro case e recitano poesie sul «dramma di chi ha perso tutto» Il capo negoziatore palestinese, Saeb Erekat ringrazia Benedetto XVI dell'«appello per la fine dell'occupazione dell'ingiustizia». Il Papa sprona la comunità internazionale a «usare la sua influenza» per una soluzione del conflitto israelo-palestinese. All'ospedale pediatrico Caritas, l'unico nei Territori, si commuove prendendo in braccio un neonato prematuro. Poi, come temuto dalle autorità israeliane, critica «il muro che si introduce nei Territori, separando i vicini, dividendo le famiglie, nasconde molta parte di Betlemme». Con un monito: «Anche se i muri possono essere facilmente costruiti, non durano per sempre. Possono essere abbattuti, rimuovendo le barriere dei cuori». Benedetto XVI, mentre attraversa in papa-mobile la misera disperazione di Aida, ai giovani che lo acclamano indirizza parole accorate: «Ora vivete in condizioni precarie e difficili, con poche opportunità di occupazione. Vi sentite spesso frustrati e le vostre giuste aspirazioni a una patria permanente, ad uno Stato Palestinese indipendente, restano incompiute. Vi sentite intrappolati in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue». Guardando il Muro che le autorità israeliane volevano escludere dalle inquadrature delle tv mondiali, scuote la testa e lo definisce l'emblema del «punto morto dei rapporti tra israeliani e palestinesi». Quindi cita San Francesco: «Dove c'è odio io porti amore, dove l'offesa il perdono, dove la tenebra la luce». E assicura: «Il Papa è con voi». Il momento più atteso arriva quando, durante l'omelia, il Pontefice si rivolge «in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza a motivo della guerra» (appena 48 i permessi concessi dal governo Netanyahu) e chiede a Israele di «togliere presto l'embargo» seguito alla vittoria elettorale di Hamas. La cittadina della Natività è stata ripulita e decorata con bandiere nazionali e poster di benvenuto, dove l'immagine del Papa è accompagnata da messaggi di saluto in arabo. È saltato, per il no israeliano, il progetto di realizzare un palco a ridosso del Muro che corre vicino al campo profughi, il corteo papale è passato tuttavia a tiro di telecamere della controversa barriera. L'apparato dell'Anp (coordinato neppure tanto di nascosto con quello d'Israele) ha blindato Betlemme come mai prima d'ora. Minacce specifiche non se ne segnalavano, ma gruppetti di attivisti islamici radicali si erano fatti vivi martedì con volantini ostili al Papa. Una decina sono stati fermati proprio dalla polizia israeliana in varco di Gerusalemme Est. Il piano di Obama per pacificare il Medio Oriente non sarebbe altro che «una resa totale degli arabi allo stato di Israele». È quanto sostiene il quotidiano arabo «Al Quds al Arabi» che sembra dare il via alle prime critiche al Presidente atteso al Cairo per il 4 giugno. Titolando: «Il piatto preparato da Obama sta cuocendo gli arabi», il direttore boccia l'iniziativa Usa definendola «molto peggiore di quella di Camp David» .

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"La sofferenza è a Gaza Perché non ci è andato?" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Intervista Mustafa Barghuti "La sofferenza è a Gaza Perché non ci è andato?" SAFWAT AL-KAHLOUT RAMALLAH La candida papamobile di Bendetto XVI ha da poco lasciato il polveroso campo profughi palestinese di Aida, a Betlemme, e in Cisgiordania la emozione per la visita straordinaria è tangibile. Per la intera giornata le televisioni hanno trasmesso continui aggiornamenti sull'evento e nei caffè la gente si attarda a commentarlo. «Sono davvero felice che si sia recato ad Aida, che abbia potuto constatare di persona come vivono i profughi. Come se non bastasse la espulsione dalle loro terre di 61 anni fa, sono costretti ad accettare anche la costante presenza a ridosso delle loro case di quello che noi consideriamo il "Muro dell'Apartheid". Una sofferenza che si aggiunge a un'altra sofferenza». Chi parla è il parlamentare Mustafa Barghuti (55 anni), segretario del piccolo partito di «Iniziativa nazionale palestinese». Una voce rispettata nei Territori perché, in caso di necessità, sa criticare senza peli sulla lingua sia l'Anp di Abu Mazen sia Hamas. In Benedetto XVI, dice, vede «una figura religiosa di primo piano». Come giudica il discorso di Papa Benedetto XVI a Betlemme? «È stato senz'altro positivo, anche se mi attendevo qualcosa in più. A mio parere avrebbe dovuto denunciare l'occupazione militare, l'aggressione violenta che gli israeliani praticano contro di noi. Alla base di ogni religione deve esserci la giustizia: forse avrebbe dovuto ribadire in maniera più netta i diritti dei palestinesi». Come vede l'appello ai giovani palestinesi affinché rinuncino alla tentazione della violenza e al terrorismo? «Mah, il popolo palestinese non è certo un popolo terrorista. È semmai un popolo sottoposto da anni a una grave ingiustizia. I suoi tentativi di scrollarsi di dosso l'occupazione non possono essere definiti terrorismo. Ci sono diversi metodi per lottare contro l'occupazione: il nostro movimento, per esempio, è un fautore della resistenza non violenta. Il terrorismo vero va visto nella occupazione israeliana, nei massacri di civili, nella espropriazione di terre altrui». Con la visita di Benedetto XVI alla Cupola della Roccia, ospite del Mufti di Gerusalemme, può dirsi adesso superata la polemica innescata dalla sua lezione su sull'Islam all'università tedesca di Ratisbona ? «Quella lezione ha davvero provocato grande emozione fra i musulmani. Penso che egli avrebbe dovuto trovare un modo delicato per riparare l'effetto delle sue parole. Resta ancora oggi del risentimento fra quanti ritengono che si sia mancato di rispetto verso la nostra religione, verso il nostro Profeta». Al termine di questa giornata di Betlemme, pensa che il Papa potrebbe fare ancora qualcosa di più per favorire la pace in Medio Oriente? «Forse doveva dire che da oggi deve cessare l'occupazione israeliana. Che Israele deve ritirarsi, che il colonialismo non può essere accettato, che i massacri devono finire. Forse doveva raggiungere Gaza, vederne le sofferenze, l'assedio». Il presidente dell'Anp Abu Mazen si accinge ad incontrare questo mese a Washington il presidente Barack Obama. Che attese ci sono a Ramallah? «Nessuno sa cosa gli Stati Uniti possano offrire ad Abu Mazen. Certo non potranno temporeggiare molto di fronte alle posizioni intransigenti del premier israeliano Benyamin Netanyahu (che oggi incontrerà il Pontefice a Nazareth, la più grande città "araba" di Israele, ndr) che si oppone alla soluzione dei due Stati, alla spartizione di Gerusalemme e alla risoluzione della questione dei profughi. Per gli Stati Uniti sarà questa una opportunità per dimostrare se sono davvero seri, per verificare se sono pronti davvero ad esercitare pressioni su Israele. Però in casa palestinese ci sono lacerazioni gravi. Abu Mazen sembra in procinto di costituire adesso un nuovo governo a Ramallah, senza l'ingombrante presenza di Hamas... «Il mio consiglio al presidente Abu Mazen è di non lasciarsi prendere dalla fretta. Se ci sono impedimenti, occorre perseverare nel dialogo. L'opzione preferibile resta per noi quella di un governo di riconciliazione nazionale».

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"serve un'intesa sui confini aspettiamo le mosse di obama" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 2 - Esteri Il muro Il passato Lo scrittore Abraham Yehoshua: " Giovanni Paolo II suscitò più entusiasmo di Benedetto XVI" "Serve un´intesa sui confini aspettiamo le mosse di Obama" Il punto non è il muro contro i kamikaze: il punto è trovare un´intesa sui confini, ma su questo solo Obama potrà fare qualcosa "Non importa più che Ratzinger sia o meno stato nella Hitlerjugend: serviva invece una dichiarazione forte su nazismo e Olocausto" DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME - Abraham Yehoshua, sembra che il pubblico israeliano non abbia provato molta simpatia per il Papa nel corso di questa visita. Si associa a questa insoddisfazione? «Sembra che l´inflazione di visite di capi di Stato stia diventando una noia e non ne siamo più eccitati. Dopo la guerra a Gaza sono venuti sei leader dei sei più importanti paesi europei, e non mi sembra che ci fosse nemmeno una fotografia della cena su Haaretz». Ma stavolta c´era un´attesa specifica legata ad alcuni aspetti del pontificato di Benedetto XVI che avevano suscitato polemica e risentimento nella comunità ebraica e qui in Israele. «Che io ricordi, la grande eccitazione ci fu per la visita di Giovanni Paolo II, perché lui era davvero eccezionale nel modo di comunicare con il pubblico». Lei ha scritto che si aspettava tre cose da questa visita, ma la più importante era la prima, il discorso del papa a Yad Vashem. «Premetto che non mi riferivo alla sua biografia: è stupido da parte della stampa israeliana pensare o affermare che se è stato nella Hitlerjugend... non è importante, come non sono importanti né la sua personalità né la biografia. La cosa importante era fare una dichiarazione forte (o esprimere una presa di posizione) in nome della Chiesa, perché il nazismo, il fascismo, l´olocausto sono stati fenomeni collegati all´umanità in generale». Intende dire una dichiarazione sulla responsabilità della Chiesa? «Penso alla debolezza morale della Chiesa nei confronti di questa ondata di malvagità, di violenza, di arbitrio, di assassinio generata dal nazi-fascismo... Questo è stato il vero fallimento della Chiesa. Penso che Gesù stesso sarebbe stato il maggior antifascista o antinazista, se fosse vissuto in quel periodo. Il Papa è nella terra di Gesù e sa perfettamente che cosa era la dottrina di Gesù e la sua missione. Gesù sarebbe stato il peggior nemico di ciò che è successo nel periodo nazista, il nemico di quella tirannia». Ma il Papa questo non lo ha detto. «No. Non l´ha detto». Lei pensa, quindi, che ci sia ancora diffidenza degli israeliani nei confronti di papa Benedetto XVI? «Sì, ma personalmente non condivido la sensazione che non abbia sottolineato abbastanza la parte ebraica. Era lì non solo per esprimere il suo dispiacere personale, era lì in una posizione più alta, nell´ambito della Chiesa, ed ha usato il luogo, Yad Vashem, che ricorda uno dei maggiori orrori perpetrati dall´uomo, per elevarlo alla missione di responsabilità umana della Chiesa». Visitando il campo profughi di Al Aida Benedetto XVI ha criticato il muro... «Il muro è stato eretto durante la II intifada per fermare i kamikaze. Ma non è questo il punto. Il punto non è criticare gli insediamenti, e lei sa cosa ne pensi, o le decine di avamposti che non vengono smantellati. Il problema è trovare un´intesa sui confini. Ma su questo credo che il Papa possa fare ben poco. Immagino che Obama possa fare di più». (a. s.)

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solidarietà ad abu mazen "avete diritto a uno stato" - marco politi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 3 - Esteri Dal Vaticano appoggio alla strategia degli Usa Solidarietà ad Abu Mazen "Avete diritto a uno Stato" "Rilanciare i negoziati per un cammino di pace" "La nuova patria entro confini internazionalmente riconosciuti e in armonia coi vicini" Il presidente dell´Anp ha parlato con toni misurati: "Puntiamo sulla riconciliazione" MARCO POLITI DAL NOSTRO INVIATO BETLEMME - Dieci ore in terra palestinese hanno mostrato Benedetto XVI determinato a chiedere la nascita dello stato di Palestina e la fine della muraglia che scava un abisso di odio tra i due popoli della Terrasanta. A Betlemme Ratzinger è apparso un leader spirituale e religioso, che incita alla pace, al perdono, alla riconciliazione, ma anche un leader consapevole del suo ruolo geopolitico. La congiuntura internazionale lo ha spinto ad alzare i toni. La Santa Sede ha colto perfettamente - e condivide - la strategia imboccata dal presidente Obama e favorita dal progetto di pace saudita che la Lega araba sottoscrive. Si tratta di rilanciare i negoziati per giungere in tempi non lunghi ad un accordo globale, che dia sicurezza ad Israele e uno stato ai palestinesi. A Washington non piacciono le ipotesi fumose (che circolano in certi ambienti israeliani) di una federazione giordano-palestinese, con pezzi di Sinai che l´Egitto dovrebbe fornire. Progetti per sprecare tempo. Servono, scrive l´Osservatore Romano, «iniziative forti, coraggiose, creative». In questo contesto Benedetto XVI sceglie di inserirsi con decisione. Nel sottofondo c´è anche un elemento personale. Un tedesco sa cos´è il Muro. E a Betlemme, pur con l´abituale tono pacato, Joseph Ratzinger ha lasciato vibrare la sua anima. Partendo dopo l´incontro riservato con Abu Mazen, ha profetizzato la caduta della barriera. Perché «i muri possono essere abbattuti». Significativa la data: 13 maggio 2009. Vent´anni fa crollava il Muro di Berlino. La barriera si è parata dinanzi a Ratzinger improvvisamente ieri mattina, venendo da Gerusalemme. Un serpente inquietante snodato tra gli ulivi. Il papa ha attraversato una grande porta d´acciaio. Il Muro stava lì. Cemento grigio, liscio, implacabile. Ha protetto la popolazione israeliana dai terroristi, ma entra in più punti nel territorio palestinese, ingoiando campi e uliveti, rafforzando gli insediamenti illegali dei coloni. «Ho visto il muro - racconterà più tardi - che costeggia il campo (profughi) e sovrasta gran parte di Betlemme, il muro che penetra nei vostri territori separando i vicini e le famiglie». Di corsa l´auto papale ha sfiorato una porzione di cemento su cui - dal lato palestinese - si staglia in lettere cubitali «Ich bin ein Berliner». E´ la frase che Kennedy pronunciò quando nel 1963 arrivò nella Berlino divisa e proclamò: «Io sono un berlinese». Fin dal primo istante il pontefice è stato netto. «La Santa Sede - ha assicurato ad Abu Mazen - appoggia il diritto del suo popolo ad una sovrana patria palestinese». Entro confini internazionalmente riconosciuti e in pace con i vicini. «Nella terra dei vostri antenati», ha soggiunto. Come per dire che se gli ebrei in Terrasanta sono abitanti da tempi antichi, anche i palestinesi hanno pari diritti per le loro millenarie radici. Abu Mazen ha parlato con toni misurati. Gerusalemme, ha ricordato, è capitale eterna anche per i palestinesi. «Puntiamo su un cammino di pace - ha sottolineato - basato su uno stato palestinese accanto a Israele, in sicurezza e stabilità. Con un´onesta soluzione del problema dei profughi». Ratzinger ha replicato: «Chiedo alla comunità internazionale di usare la sua influenza in favore di una soluzione». Comunque il pontefice è stato fermissimo verso il fenomeno terroristico. «Abbiate il coraggio - ha dichiarato - di resistere ad ogni tentazione di ricorrere ad atti di violenza e di terrorismo». E´ stata una giornata studiata attentamente. Peres aveva presentato al Papa i genitori del soldato israeliano Shalit, catturato da Hamas? A Betlemme Ratzinger ha incontrato i genitori (una coppia musulmana e una cristiana) di prigionieri nelle carceri israeliane. Alla messa nella piazza della Mangiatoia, dove cinquemila fedeli lo hanno accolto urlando a squarciagola in italiano «Benedetto- Benvenuto», il pontefice ha voluto espressamente ricordare Gaza. Si è rivolto con un «abbraccio» ai cattolici della «martoriata» Striscia, invitando a pregare per i bimbi orfani o morti. E con forza si è appellato affinché «l´embargo sia presto tolto». Anche qui pensava già di parlare della «visione penosa del muro di sicurezza». Poi, alla vigilia, ha rielaborato il discorso cancellando il passo. Per non strafare.

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ecco il romanzo che piace a obama - leonetta bentivoglio (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 47 - Cultura ECCO IL ROMANZO CHE PIACE A OBAMA Il protagonista, come l´autore, vive in un albergo. "Ma non è il mio alter ego", assicura il romanziere "La città invincibile" di Joseph O´Neill, scrittore-rivelazione, racconta una crisi esistenziale dopo l´11 settembre sullo sfondo di una metropoli bizzarra e struggente Il titolo originale è "Netherland", terra di nessuno, che richiama anche l´isola di Peter Pan LEONETTA BENTIVOGLIO Scrutare l´anima della «città invincibile» dalle rovine di Ground Zero: lo spaesamento, la perdita dei giorni, il senso di irreale, la repentina fragilità di tutto. Attraversare il paesaggio con passo narrativo alla Fitzgerald, lucido e analitico, ma punteggiandolo di beckettiani sprazzi tragicomici. E far sospingere il racconto dalla rabbia verso un presente pieno di anomalie: l´attimo sempre in fuga, le radici smarrite nell´affanno della globalizzazione, gli interrogativi sulle crepe della coppia che non danno tregua. A questo e ad altro, con originalità e perizia, mira la sfida di Netherland, terzo romanzo (ma il primo baciato dal successo) di Joseph O´Neill, scrittore-rivelazione del 2008 negli Stati Uniti. Premiato da una pioggia di riconoscimenti e osannato dalle recensioni più autorevoli, definito «uno dei più straordinari romanzi post-coloniali» e «il Grande Gatsby della New York post-11 settembre», il libro sta per uscire in Italia pubblicato da Rizzoli (pagg. 283, euro 19) come La città invincibile, titolo esplicito e distante dalla perversione semantica di quello originale, evocativo della patria del protagonista (Netherlands), di una New York ridotta a terra di nessuno (nether land) e dell´isola fantasticata dall´eterno bambino Peter Pan (Neverland). Obama ha rilanciato il già fortunatissimo romanzo segnalandolo come la propria lettura preferita. Certo questa vicenda di una crisi identitaria consumata sullo sfondo di una New York bizzarra e struggente, multirazziale e vogliosa di rinascita, s´adatta come un guanto al momento storico che ha consentito il trionfo del presidente. L´io narrante è l´olandese Hans, analista finanziario abbandonato dalla moglie, fuggita in Europa con il figlio dopo l´11 settembre. Hans resta a vivere nel newyorkese Chelsea Hotel circondato da un popolo di eccentrici, visionari e disperati, e quando non lavora gioca ritualmente a cricket nei parchi della metropoli insieme a pakistani, cingalesi, indiani e caraibici, nutrendosi di questo sport come di un esercizio filosofico. Anche O´Neill vive questa disciplina fisico-mentale come irrinunciabile, facendo pratica di cricket «ogni domenica da maggio ad agosto»; e come Hans abita al Chelsea Hotel, nella «stabilità provvisoria o stabile provvisorietà» che può dare un albergo. Mister O´Neill, il protagonista di Netherland è quindi il suo alter-ego? «Niente affatto!», replica allegramente dal suo cellulare newyorkese il 45enne romanziere di padre irlandese e madre turca, laureatosi in Legge a Cambridge e con trascorsi da avvocato. «Sono autobiografiche le ambientazioni e le circostanze del libro, ma la vita di Hans non ha niente a che vedere con la mia. Io sono irlandese, non olandese, e se è vero che ho una moglie inglese come la sua, la mia non mi ha lasciato; abito al Chelsea con lei e i miei tre bambini, e siamo andati a viverci quando ancora non avevamo figli. Arrivammo da Londra nel 1998 privi di credit history, senza la quale, negli Stati Uniti, nessuno dà un contratto d´affitto: bisogna prima aver dimostrato di saper pagare i propri debiti. Inoltre all´epoca avevamo due gatti, e nell´hotel li hanno accolti senza problemi. Poi ci siamo affezionati al posto, e ora non potrei scrivere altro che qui. Amo la particolarità degli abitanti. è come stare in un villaggio dentro New York». Gli ospiti sono tutti disadattati e folli come la fauna umana del romanzo? «Direi di sì. Al Chelsea abitano persone strane che non si considerano tali proprio perché protette da questo piccolo e speciale villaggio. Come Mehmet, il turco che si crede un angelo e ha due ali attaccate a un bianco abito da sposa. Qui non giustifica a nessuno la sua mise». Si è chiesto perché Obama ha pubblicamente indicato Netherland come la propria lettura serale? «Forse perché è una storia sugli stranieri negli Stati Uniti e sulla complessità del loro gioco in questo territorio. è l´epopea del mito americano incarnato da chi non lo è. Tra i principali obiettivi di Obama ci sono la ridefinizione dell´identità americana e lo sviluppo di quest´identità, temi con cui il libro, che riflette sul modo di espandersi assunto dal Grande Sogno Usa, instaura un nesso forte. Il migliore amico di Hans, Chuck Ramkissoon, geniale trafficante nato a Trinidad, dice che se gli americani vogliono capire il Pakistan devono capire il cricket. Non potranno avere il senso di sé e del proprio mix se non colgono le ragioni di gente cresciuta giocando nei parcheggi impantanati di Lahore. Dunque per gli Stati Uniti il cricket è una questione decisiva». Cosa la appassiona di questo sport che a noi sembra indecifrabile e lento? «Ho giocato a cricket ogni estate della mia vita, e se non lo facessi perderei il contatto con una parte importante di me. Le estati sono fatte di ripetizioni: si va nella stessa casa, si ritrova la famiglia, ci si osserva... Il cricket è per me "quella" ripetizione». Secondo lei sarebbe stata possibile l´elezione di Obama se non ci fosse stato l´11 settembre e quanto ne è derivato? «Obama non è il prodotto dell´11 settembre, ma dell´amministrazione Bush, catastrofe ben peggiore. Bush ha tentato di semplificare il mondo instillando nella gente la paura della democrazia, e su queste basi Mc Cain e la Palin avrebbero potuto essere eletti. Ma è arrivata la crisi economica a sconvolgere i piani. Gli americani se la sono presa con i repubblicani per il crash, e il panico ha fatto di Obama un salvatore possibile. Se la crisi fosse esplosa anche solo tre mesi dopo, oggi Mac Cain e la Palin sarebbero alla Casa Bianca». Si può sintetizzare La città invincibile come una prospettiva sugli effetti del trauma dell´attentato alle Due Torri? «Le conseguenze di un evento come l´11 settembre sono un fenomeno ancora in evoluzione, non esaurito. Il romanzo non tenta di dare a quell´accadimento gigantesco un significato specifico, e forse per questo centra il tema. Non è un libro di risposte, ma di domande».

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azione e gag in una fiaba digitale doppia morale e un pizzico di realtà - cannes roberto nepoti (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 50 - Spettacoli "Up", il nuovo film Disney-Pixar: il mirabolante viaggio di un vecchietto e un boyscout Azione e gag in una fiaba digitale doppia morale e un pizzico di realtà Lasseter: "Quel che conta è la storia Vogliamo far ridere e piangere lo spettatore" CANNES ROBERTO NEPOTI Complici lo sviluppo della tecnologia da una parte, dall´altra il valore esemplare delle fiabe, i cartoon sono diventati le vere "moralità" dei nostri tempi. Tanto che ognuno ci vede quel che vuole: in Up, ad esempio, c´è chi ha creduto di respirare l´aria dell´"era Obama" (leggi: guerra ai cattivi e alleanza tra giovani e vecchi saggi); anche se, poi, il film è stato messo in cantiere cinque anni fa, quando al governo c´era ancora il cattivo Bush. Protagonisti Cal, quadrato vecchietto di 78 anni, e Russell, rotondo boyscout di 8. Per realizzare il sogno dell´amata moglie scomparsa, il primo prende il volo per l´America Latina a bordo della propria casa, appesa a migliaia di palloncini. Il ragazzino s´imbarca nell´avventura con lui. Arriveranno in una jungla popolatissima da uccelli preistorici, cani tonti ma simpatici, più un fellone "vintage" che è un mosaico di vecchie star: baffi di Errol Flynn, mento di Kirk Douglas… Il che non dirà molto alla legione di ragazzini cui il nuovo film Disney-Pixar è destinato: inforcati gli occhiali per la visione 3D, ciò che conta è seguire il mirabolante viaggio dei "casanauti" fra grattacieli e montagne; il tutto sospeso nel vuoto, per valorizzare al massimo gli effetti tridimensionali su cui Hollywood sta puntando tutto. Anche se, qui a Cannes, il nume dell´animazione digitale John Lasseter asserisce: «Quel che conta è la storia. Noi vogliamo colpire lo spettatore nei sentimenti, farlo ridere e piangere». Azione e gag in abbondanza, ecco la ricetta; però punteggiate da pause di calma che, a tratti, evocano Miyazaki. Quanto alla morale, stavolta è addirittura doppia. La prima, quella "familiare" cara a Hollywood: anche la vita domestica e l´amore coniugale sono un´avventura. La seconda, più insolita: prima o poi arriva il momento di salutare il passato e di concedersi a nuovi affetti. Il film uscirà in Italia il 15 ottobre.

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la sorpresa è braga con la sua campagna in perfetto stile obama (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina I - Bologna A PAGINA III Il direttore del collegio Alma Mater ha ottenuto più voti del previsto La sorpresa è Braga con la sua campagna in perfetto stile Obama SEGUE A PAGINA 3

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braga è la sorpresa nell'urna ancora una volta spiazza i giochi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina III - Bologna I sostenitori Il pulmino Braga è la sorpresa nell´urna ancora una volta spiazza i giochi E sul sito esulta in stile Obama: "Yes we can" Per lui hanno firmato Carlo Flamigni, Pasquino, Paolo Pupillo ed Enzo Boschi Dalla sede di Ravenna è partito un pulmino di colleghi per venire a Bologna a votare A FINE novembre di due anni fa, Dario Braga, sino ad allora conosciuto come il direttore del Collegio superiore dell´Alma Mater, apre un sito Internet. E spiazza tutti con due righe appena: «Sto pensando di candidarmi al governo dell´Ateneo». Ieri la storia si è ripetuta: Dario Braga ha spiazzato di nuovo conquistando 494 voti, il terzo posto, ma molto vicino al secondo candidato Ivano Dionigi. E´ il personaggio del giorno in Ateneo, al di là del fatto che sul podio era più o meno atteso, anche se non così a poca distanza con i favoriti. Sul suo sito, dopo la nottata dello spoglio, ora compare, accanto ai voti presi, la frase: «Yes we can». «Sembrava lontano e invece l´oggi è qui», il messaggio ai suoi elettori, a partire da quei duecento docenti che hanno messo faccia e firma sul suo sito, endorsement che sono stati la chiave di «svolta» del suo successo. Non si trovano dei big potenti nel lungo elenco, semmai nomi noti, ma ormai fuori dai giochi accademici, come Carlo Flamigni, che da professore in pensione non vota più, o Gianfranco Pasquino, il politologo candidato sindaco, e l´ex prorettore Paolo Pupillo, il vulcanologo Enzo Boschi, i matematici Ermanno Lanconelli e Sandro Graffi, l´accademico dei Lincei Giancarlo Setti. «Ce l´abbiamo fatta a costruire qualcosa di nuovo, a superare i blocchi le aree, le discipline, i settori, per fare veramente Università?», chiede ora Braga. E´ la cifra della sua discesa in campo. La novità, che anche il preside di Agraria Andrea Segrè, suo rivale più diretto nella corsa, ha tentato di interpretare in stile Obama. Ha vinto lui alla prima prova di forza. Chimico, 56 anni, 350 pubblicazioni scientifiche nel curriculum, visiting professor alle Università di Campinas e Strasburgo, progetti di ricerca coordinati e uno spin-off accademico avviato, Dario Braga ha costruito la sua rete di relazioni inizialmente attraverso il Collegio e l´Istituto di studi avanzati, ora integrati nell´Istituto di studi superiori diretto a turno con Paolo Leonardi, suo sostenitore. Intercettando l´aria che tirava nel paese sulla meritocrazia da premiare, credendo nell´eccellenza (ma quella parola l´ha cancellata dall´intitolazione del Collegio appena arrivato) e in un Ateneo internazionale. «L´eccellenza è un riconoscimento che deve essere dato da fuori», ha sempre detto. Sul merito ha spinto conquistando i giovani ricercatori, soprattutto dell´area scientifica, mortificati dal blocco delle carriere. Scienze, la sua Facoltà lo ha seguito quasi compatta. Il dibattito a Medicina con gli altri candidati gli ha procurato voti, anche grazie agli errori degli avversari come Segrè e Grandi, scivolati su qualche gaffe. Altri consensi sono arrivati da Ingegneria, Economia (con Giorgio Basevi e la Vera Zamagni in prima linea), Lingue, Psicologia, Architettura e in Romagna, dove da Ravenna è partito un pullmino per votarlo. Voti conquistati partendo da lontano, porta a porta. Lo stile americano della campagna, il sito, anche con le foto di famiglia, tre figli, la moglie, che è professore associato a Chimica, rimasta a distanza, collaboratori che si sono votati alla causa, molto volontariato e fai da te. Un anno e mezzo fa, quando si parlava di candidature solo dietro le quinte, Braga aveva già incontrato oltre 200 ricercatori e docenti tra Bologna e la Romagna inaugurando «una fase di ascolto aperta». «E´ partito troppo presto, si sgonfierà», dicevano di lui. L´altro mantra accademico ricorrente era: «Braga è bravo, ma nessuno lo vota». E invece il professore che colleziona fossili e ama il trekking, ha dimostrato di avere fiato lungo, è cresciuto nei dibattiti, con messaggi diretti, sacrificando qualcosa alla retorica. E poi il contatto diretto con le persone, le mille telefonate, il pressing senza tregua: ha funzionato. E così Braga è riuscito a sparigliare le carte. Anche nell´annunciare prima del voto il risultato: almeno 500 voti. Obiettivo, di fatto, centrato. (il.ve.)

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obama blocca le nuove foto sulle torture ai prigionieri - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri Obama blocca le nuove foto sulle torture ai prigionieri "Conseguenze negative per i nostri in Iraq e Afghanistan" Veto al verdetto di un giudice che aveva ordinato alla Difesa di diffondere le immagini ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - Il 23 aprile aveva dato l´ok, ieri ha fatto marcia indietro. Con una decisione che ha subito scatenato polemiche Barack Obama ha chiesto agli avvocati della Casa Bianca di bloccare la pubblicazione di foto che riguardano abusi commessi dai militari americani sui detenuti in Afghanistan e Iraq. Le 44 foto risalgono agli anni tra il 2001 e il 2006 e fanno parte di oltre sessanta "indagini criminali" compiute dal Pentagono nei confronti di soldati Usa responsabili di interrogatori "brutali" e abusi vari commessi in diverse carceri; come Abu Grahib (già famosa per lo scandalo-foto del 2004) che gli americani avevano promesso di abbattere e che hanno poi dato in gestione agli iracheni o come il centro di detenzione della base aerea di Bagram nella provincia afgana di Parwan. «Il presidente è fortemente convinto che la pubblicazione di queste foto, specialmente in questo momento, servirebbe solo ad infiammare i teatri di guerra mettendo a rischio le nostre forze e rendendo il nostro lavoro più difficile in posti come Iraq ed Afghanistan». Con questa motivazione la Casa Bianca ha spiegato la marcia indietro del presidente, una mossa che ha scatenato le proteste delle organizzazioni per i diritti civili e i blog "liberal". L´Aclu (American Civil Liberties Union) aveva ottenuto da un giudice federale d´appello il sì alla pubblicazione grazie al Foia (Freedom of Information Act), la legge che permette di rendere pubblici documenti "top secret". Il ministero di Giustizia aveva comunicato che il governo non avrebbe fatto ricorso e la lettera del 23 aprile scorso non lascia dubbi: «le parti hanno raggiunto un accordo ed il Dipartimento della Difesa consegnerà le foto il 28 maggio». In queste due settimane la valutazione di Obama é radicalmente cambiata. Una svolta dovuta a quanto sta accadendo in Afghanistan (e Pakistan), dove la situazione militare non é facile ed ha già costretto il presidente a rimuovere il generale David McKiernan, che paga (non ufficialmente) per le vittime civili degli ultimi bombardamenti. C´erano stati anche esponenti del Congresso (sia repubblicani che democratici) che avevano chiesto alla Casa Bianca di cambiare idea, ma la decisione finale é dovuta al pressing dei militari. «I generali Odierno, McKiernan e Petraeus hanno tutti espresso la loro preoccupazione, hanno detto che, specialmente in Afghanistan, questa è l´ultima cosa di cui abbiamo bisogno», ha spiegato il portavoce del Pentagono Geoff Morrell, così come aveva fatto sentire il suo peso anche il ministro della Difesa Robert Gates. Una decisione che Obama di fatto aveva già preso la settimana scorsa, allertando l´ufficio legale della Casa Bianca, e che è diventata definitiva martedì dopo un lungo incontro che il presidente ha avuto con i vertici militari e con il generale Raymond Odierno, attuale comandante della forza multinazionale in Iraq. Il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs ha spiegato che Obama pensa che la pubblicazione delle immagini di sevizie possa «danneggiare l´incolumità dei militari Usa» e che ha chiesto ai legali di opporsi alla decisione del giudice federale con motivazioni legate alla «sicurezza nazionale». In sostanza ha detto Gibbs nel consueto briefing il presidente resta convinto che i responsabili degli abusi debbano essere messi sotto inchiesta e puniti, ma é altrettanto convinto che pubblicare le foto non avrebbe alcun effetto positivo se non quello di «fornire aspetti di sensazionalismo» alle indagini in corso. Una motivazione che non soddisfa l´Aclu e che ha deluso anche Amnesty International: «L´amministrazione Obama ha rinnegato il suo obbligo legale di diffondere le foto delle torture, una pubblicazione essenziale nell´aiutare gli americani a capire l´ampiezza e il grado degli abusi commessi nel loro nome».

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giù i consumi usa, borse a picco cade wall street, milano -3,9% - arturo zampaglione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 26 - Economia Giù i consumi Usa, Borse a picco cade Wall Street, Milano -3,9% Financial Times: a rischio la "tripla A" americana Il ministro Geithner è però ottimista: "Il sistema finanziario mostra segni di guarigione" ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - A marzo le vendite al dettaglio sono scese negli Stati Uniti per il secondo mese consecutivo (-0,4%). E intrecciandoci con altre inquietudini sul fronte economico, questo tradimento dei consumatori allo stremo ha portato ieri non solo a una flessione di quasi tutti gli indici azionari mondiali, ma soprattutto a ridimensionare l´ottimismo che da tempo alimentava il rally borsistico. Piazza Affari ha avuto l´andamento peggiore, -3,91%, legato soprattutto ai risultato deludenti di molte banche europee. Londra ha perso il 2,13%, Parigi il 2,42, Francoforte il 2,61. E a Wall Street l´indice Dow Jones ha accusato un calo del 2,18%, a quota 8297. Fino alla settimana scorsa molti analisti sostenevano che la fiammata delle quotazioni (+32% dell´indice S&P 500 dai minimi del 9 marzo) preannunciasse una inversione congiunturale. E anche ieri, parlando a una associazione di piccoli banchieri, cui ha promesso nuovi sostegni, il ministro del tesoro Tim Geithner ha osservato che «il sistema finanziario mostra segni di guarigione». Certo, il peggio sembra ormai passato e non si intravede più lo spettro di una crisi sistemica capace di distruggere i capisaldi del capitalismo. Ma una serie di dati, di notizie e di nuove politiche indica che la ripresa sarà più lunga e tormentata di tante previsioni. Stasi dei consumi. Sommandosi alla caduta della produzione industriale europea a marzo e alle fosche previsioni della Banca d´Inghilterra, la caduta a sorpresa delle vendite americane al dettaglio dimostra che i consumatori non sono ancora pronti a guidare il rilancio. Dopo la flessione di 1,2% a marzo, le vendite sono diminuite il mese scorso dello 0,4%, e il calo sarebbe stato anche maggiore senza una timida ripresa del settore auto (+0,2%). Ad aprile sono scese anche le scorte di magazzino, mentre le richieste di mutui sono tornate ai livelli minimi del mese scorso. Antitrust. Anche se la maxi-multa dell´Ue non ha inciso granché sulle quotazioni dell´Intel, la Casa Bianca di Barack Obama ha intenzione di rafforzare la vigilanza sulle regole della concorrenza e potrebbe anche aprire una inchiesta sul mercato dei chip. E´ una conferma del nuovo attivismo in economia del governo americano, che ha già in programma di calmierare gli stipendi degli executives e che proprio ieri, a chiusura dei mercati, ha annunciato una iniziativa per regolamentare i prodotti derivati. Rating degli Stati Uniti. Il crescente deficit pubblico americano (1840 miliardi di dollari nel bilancio in corso), frutto delle enormi spese per stimolare l´economia e dei minori introiti tributari, potrebbe portare a un abbassamento del rating che è sempre stato al livello massimo (tripla A). Una prospettiva del genere, evocata ieri sul Financial Times da David Walker, ex-responsabile della Corte dei conti, rischia di indebolire la fiducia sul dollaro e sull´economia americana. In questo clima era inevitabile che un´ondata di realizzi si abbattesse ieri sulle Borse.

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"no alla musica mediocre ora per me c'è solo bach" - giacomo pellicciotti roma (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 52 - Spettacoli Il pessimismo "No alla musica mediocre ora per me c´è solo Bach" Keith Jarrett, il pianista jazz al San Carlo di Napoli Io non spero in niente. Nemmeno in Obama. E non vedo grandi cambiamenti all´orizzonte. Non ci sono leader, né maestri GIACOMO PELLICCIOTTI ROMA In un mondo senza speranze neanche Obama può fare miracoli e l´unica salvezza è la grande musica. Il pessimismo cosmico di Keith Jarrett, uno degli ultimi eroi del jazz, dilaga dal suo eremo nel New Jersey dove vive dopo la recente, traumatica separazione dalla moglie Rose Anne. L´ex partner eccellente di Miles Davis, che l´8 maggio ha compiuto 64 anni, che ha realizzato con l´ultimo album Ecm, Yesterdays (con Gary Peacock e Jack DeJohnette), registrato dal vivo a Tokyo, uno dei più riusciti e travolgenti dell´anno, sta per volare a Napoli dove lunedì, per la prima volta al Teatro San Carlo (ancora cento biglietti disponibili), approderà in uno dei suoi mitici piano-solo che centellina con parsimonia. Jarrett, lei è considerato un artista bizzoso. è successo a molti suoi colleghi, da Glenn Gould ad Arturo Benedetti-Michelangeli. Creatività vuol dire comportamento fuori dalle regole? «Se sei un artista, non puoi vivere come una persona normale, in un mondo normale. Ho un bisogno quasi fisico di stare isolato dal mondo così come è diventato. Considero quello che faccio, specie la cosiddetta pazzia crossover, come un solo-concert. Sono la stessa cosa. Il caos è la dimensione migliore per creare. Oggi preservare l´integrità è quasi una follia. Nessuno lo fa più, ti guardi intorno e ti chiedi "perché sto ancora lottando? Devo essere un malato di mente"». Lei ha lottato e vinto la sindrome da fatica cronica, ma ancora affronta i solo-concerts con molta circospezione. Sono totalmente improvvisati e lei sospetta che siano stati anche la causa scatenante del male. è un problema di ansia? «No, ma devo muovermi con attenzione. è importante non farne troppo ravvicinati. Ne farei anche di più, ma non voglio ripetermi e cerco di suonare cose nuove ogni volta. D´estate scelgo il trio perché è più adatto ai jazz-festival all´aperto, e poi i giovani lo adorano e non voglio deluderli». S´impegnerà in qualche progetto nuovo? «Sto tornando alla musica classica. Adesso sto studiando le Sonate per violino di J. S. Bach che ho intenzione di registrare». Oggi ci sono pochi grandi maestri in circolazione. Il jazz sembra sinonimo di nostalgia per il passato. «L´ultima cosa di cui abbiamo bisogno oggi è di musica mediocre. La musica deve essere forte, qualche volta scioccante, deve stupire. E invece sento solo cose senza qualità e senza talento. Io cerco sempre di puntare anche attraverso la sofferenza e il caos interiore in alto, verso l´inatteso». L´America è in crisi. Crede che Obama, il primo presidente afro-americano, possa essere un segnale di speranza? «No, non spero in niente, la gente è diventata pazza, vuole tutto e subito. C´è una pressione esagerata su Obama in tutti i campi. Non vedo all´orizzonte nessun cambio o segno di risveglio. Non ci sono grandi leader, né grandi maestri, ma sembra che chiunque possa diventarlo. Quello che manca oggi è una vera e sana relazione con la politica e con le altre veloci trasformazioni del nostro mondo. La tecnologia cambia ogni cinque minuti, ma la padronanza puoi ottenerla solo attraverso l´esperienza, lo studio e molta fatica. Sono disilluso, non vedo nessun segnale intorno a me». Dopo il concerto-solo di Napoli, tornerà in Italia a luglio in compagnia del trio con Gary Peacock e Jack DeJohnette: il 13 al Comunale di Firenze e il 16 al Palazzo Te di Mantova. C´è qualche novità? «Sì, Gary ha un nuovo contrabbasso e devo dire che, negli ultimi concerti, abbiamo volato molto alto».

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viaggio in india, dove nelle urne si sfidano l'erede dei ghandi e la regina degli oppressi. un bivio per un paese a caccia di un nuovo futuro - federico rampini new delhi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 37 - R2 Viaggio in India, dove nelle urne si sfidano l´erede dei Ghandi e la regina degli oppressi. Un bivio per un Paese a caccia di un nuovo futuro FEDERICO RAMPINI NEW DELHI dal nostro inviato La vendicatrice degli oppressi contro il principe ereditario: è una sfida epica quella che offre il grande cinema della democrazia indiana. Le più lunghe elezioni del mondo, in corso da tre settimane con 714 milioni di votanti, 828.000 seggi e 300 partiti in lizza, si sono concluse ieri e sabato sapremo i risultati finali. E´ uno spettacolo grandioso e inquietante: il suffragio universale sperimentato in un subcontinente con un miliardo e cento milioni di abitanti, dozzine di etnie, trenta lingue e sei religioni; una superpotenza economica con immense sacche di miseria, dove imperversa il terrorismo di matrice islamica sostenuto dai servizi segreti pachistani, e in vaste regioni è radicata una implacabile guerriglia maoista. E´ una democrazia vitale e allo stesso tempo corrotta, inquinata dal populismo, frammentata dai regionalismi. Un duello virtuale oppone Mayawati, la leader della casta più umile (i dalit o "intoccabili"), a Rahul Gandhi. Lei è una donna di 53 anni cresciuta con otto fratelli in una squallida baraccopoli di Delhi, temprata dalla miseria, dalle umiliazioni e dal disprezzo delle caste superiori verso la sua gente. Lui ha 38 anni - un bambino per la gerontocrazia politica indiana - ed è una specie di giovane Kennedy o Bush all´ennesima potenza. E´ il rampollo della dinastia repubblicana più longeva del mondo, che da quattro generazioni domina l´India. "E´ una stirpe che considera il partito di governo (il Congresso) alla stregua di un suo latifondo familare", mi dice il sociologo Dipankar Gupta. I primi exit poll ieri davano in vantaggio il partito di Gandhi. Ma se il margine di vittoria fosse troppo esile, la "regina degli intoccabili" potrebbe svolgere un ruolo chiave nei negoziati per formare la coalizione di governo. La Mayawati usa un solo nome come spesso si usa nelle caste inferiori. E´ stata definita "una Obama indiana". Di certo è una outsider che ha dovuto superare ostacoli spaventosi. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE SEGUE A PAGINA 38

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Obama blocca le foto delle torture (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 14/05/2009 - pag: 1 Ripensamento Obama blocca le foto delle torture di PAOLO VALENTINO A PAGINA 17

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 14-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 14/05/2009 - pag: 15 L'intervista Shimon Peres traccia un bilancio della visita del Pontefice «Benedetto XVI combatte la religione della violenza» Il presidente d'Israele: voce chiara contro l'antisemitismo DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME Presidente, in Israele pensano che questo Papa sia stato troppo freddo. Che sia mancato il grande gesto... «Non sono un critico teatrale. Credo che la cerimonia sia stata rispettosa. Quel che lei chiama mancanza di gesti, è una mancanza nell'organizzazione. Quando fai queste cose in pubblico, devi essere attento alla sensibilità delle altre persone. Certo, se il discorso dell'aeroporto l'avesse fatto a Yad Vashem, probabilmente sarebbe stato tutto diverso. Ma lui ha fatto un discorso forte al suo arrivo e così, il terzo della giornata, è sembrato una ripetizione». Il regalo di Benedetto XVI è già su una credenza, oltre le poltrone. Questa mattina, il primo appuntamento di Shimon Peres è con quattro militari, un blocco d'appunti giallo e una parola sulla copertina: «Iran». La cronaca diventa subito storia, alla residenza di via Jabotinsky, e il bilancio sulla visita del Papa è da consegnare alla memoria: «Tutte le visite dei Papi in Israele sono più adatte agli storici che ai giornalisti. Benedetto XVI ha toccato i temi più profondi del nostro tempo. Il nuovo antisemitismo, una malattia che la gente deve saper trattare. Il Papa ha preso le distanze, una voce chiara. Anche se il nostro problema, oggi, è questa confusione su Dio». Confusione? «C'è voluto molto tempo per passare dagli idoli a un solo, invisibile Dio. Pochissimo, per far diventare Dio il capo del terrorismo. Tutti i terroristi parlano in nome di Dio. Abbiamo due dei: uno per la morte, l'altro per la pace. Oggi il problema non è distinguere fra Stato e Chiesa o fra ebrei, cristiani, musulmani. Serve una netta separazione fra violenza e fede. Non c'è spazio per la confusione e penso che questo Papa stia facendo il suo meglio, anche se purtroppo la gente non presta attenzione a tutto quel che dice. Il punto non è se sbaglia una parola. Il punto è il confronto quotidiano, non teorico, con questi temi. Non ci sono solo pirati che prendono le navi: ci sono Al Qaeda e l'Iran che lo fanno nel nome di Dio. E Dio non ha mai detto che la cosa migliore da fare sia produrre uranio ». Col Papa, avete parlato anche delle proprietà della Chiesa: il Cenacolo sarà finalmente nella piena disponibilità dei cattolici? «Ci sono sei luoghi, in Israele, di proprietà del Vaticano. Ci hanno chiesto di non confiscarli. Abbiamo consultato i nostri esperti biblici e promesso che non li confischeremo, a meno che ci siano pubbliche necessità. Esattamente come faremmo con le moschee». I cristiani si sentono emarginati, qui... «C'è un problema in tutto il Medio Oriente. I cristiani si sono ridotti dal 20 al 2 per cento. Stavano in 23 Paesi, oggi hanno perso la maggioranza in molti posti. Uno Stato cristiano, il Libano, è sparito. Molte scuole sono state chiuse. Noi abbiamo scelto di rispettare la libertà d'educazione: in Galilea, c'è un'università cristiana riconosciuta dal governo. Non siamo Ahmadinejad che va in giro con una mazzetta di soldi e compra tutto quel che è in vendita, dal Venezuela alla Bolivia. Non è questa la via: non hai bisogno d'una carta di credito, per credere in Dio». Il Papa ha detto che ogni popolo deve stare nella sua casa: è la soluzione «due popoli, due Stati», che Netanyahu sembra osteggiare. «Netanyahu non ha detto nulla. Neanche d'essere contro. Ha solo chiesto tempo. Il governo ha sempre sostenuto l'idea d'uno Stato palestinese, come il Papa e gli Usa. Ora possiamo discuterne, ma non dire che c'è un contrasto. Netanyahu andrà a Washington, non penso si cerchi un confronto aspro. Per quanto Israele sia preoccupato, l'amicizia con l'America è preziosissima. Dobbiamo capire che non siamo i leader nel mondo. E' difficile essere modesti (ride), ma non abbiamo alternative. Considerata la nostra dimensione. L'Iran non è un problema d'Israele, è un problema mondiale. L'ho sentito dire anche da Putin e da Obama. Ma la comunità internazionale è divisa. Se qualcuno dice sì e altri no, Ahmadinejad ci guadagna. Non sanno quanto sia pericoloso: è l'unico leader del mondo che vuole distruggere un altro membro dell'Onu. Solo una politica comune, con vere sanzioni economiche, può salvarci dal ricorso alle armi. Ora dicono che Ahmadinejad deve fronteggiare un'opposizione. Ma guai a fare le previsioni del tempo, prima delle elezioni iraniane. C'è un proverbio cinese: se vuoi imparare a disegnare, disegna quand'è inverno. Senza fiori, gli alberi sono nudi. Bisogna guardare alle cose iraniane con occhio invernale». Obama si prepara a fare uno «storico discorso » al mondo islamico. Temete un cambio di politica? «C'è un club di gente che ha sempre paura, ma io non mi sono mai iscritto. I fanatici sono il nemico, non gli islamici. Non vogliamo la guerra. Viviamo in un mondo di differenze e oggi democrazia non è solo il diritto di essere uguali, ma l'eguale diritto di essere diversi. Se non permetti la qualità della differenza, non puoi avere democrazia. Loro hanno diritto d'essere diversi, come ce l'ho io». Non è la posizione di Lieberman, il ministro antiarabo... «Non conosco un governo che abbia fatto le cose promesse prima delle elezioni. Non lo dico in modo negativo: bisogna fare una coalizione coi partiti e poi con la realtà. Pensi a Begin. Diceva che non avrebbe mai ceduto il Sinai. Era sincero. Ma non poteva prevedere che una mattina Sadat avrebbe preso l'aereo e in un'ora sarebbe arrivato a Gerusalemme, cambiando il clima. I politici non possono voltare la schiena alla Storia. Non mi sarei mai immaginato che Sharon avrebbe accettato la soluzione dei due Stati, o lasciato Gaza. L'ha fatto. Le situazioni evolvono, non stanno nel freezer». Ha citato Gaza. Quattro mesi dopo la guerra, tutto è uguale a prima: il blocco, i razzi... «Gaza non è un problema israeliano, è un problema arabo. Israele ha messo limiti molto chiari a quell'attacco: abbastanza forte perché perdessero la voglia di spararci, non così forte da obbligarci a rimanere là. La guerra è una cosa complicata, a volte la situazione era impossibile: usavano ambulanze, moschee, bambini come scudi. La gente dimentica la differenza: quando la democrazia combatte il terrorismo, la democrazia è trasparente, il terrorismo è un mondo segreto. Non mi piace vedere la gente di Gaza morire. Ma non capiamo perché continuano a spararci. Dicono che siamo occupanti. Ma noi non siamo lì dentro. Può esistere un'occupazione platonica? ». Francesco Battistini Memoria Benedetto XVI davanti alla Fiamma Eterna dello Yad Vashem, il Museo dell'Olocausto di Gerusalemme, visitato dal Papa lunedì. Alle sue spalle, all'estrema destra nella foto, il presidente Shimon Peres (Epa/Jim Hollander)

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Consumi e conti affondano le Borse (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 14-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Economia data: 14/05/2009 - pag: 33 I mercati In forte calo la produzione industriale di Eurolandia. Wall Street chiude in rosso del 2,18% Consumi e conti affondano le Borse Mibtel giù del 3,9%. Geithner: diminuiti i rischi per il sistema finanziario Usa MILANO Dalla produzione industriale europea alle vendite al dettaglio negli Usa, fino ai conti trimestrali di una manciata di aziende chiave: è una raffica di cattive notizie quella che ieri si è scaricata sulle Borse internazionali mandando a picco i listini. E pensare che, almeno in Europa, la seduta si era aperta un po' dovunque con oscillazioni minime. Poi, l'annuncio del forte calo della produzione industriale registrato in marzo nella zona euro (meno 2% rispetto a febbraio e addirittura meno 20,2% rispetto alle stesso mese del 2008) ha fatto tornare la paura sui mercati. Ad essere colpiti sono stati soprattutto i titoli che appaiono più vulnerabili nel contesto della crisi economica mondiale, dagli assicurativi (complici anche i dati trimestrali del colosso tedesco Allianz, con profitti ridotti ad appena 29 milioni di euro) fino ai bancari. Risultato: una sequenza di perdite a due cifre. Da Ing (meno 10,26%) a Rbs (meno 12,64%), da Commerzbank (meno 11,5%) a Fortis (meno 12,1%), tanto per fare qualche esempio. Ma molto pesante è il bilancio dei listini nel loro complesso. Peggio di tutti ha fatto Piazza Affari, dove l'indice S&PMib è precipitato del 4,70% e il Mibtel del 3,91%. A Francoforte il Dax30 ha ceduto il 2,61%, a Parigi il Cac40 ha perso il 2,42% e a Londra l'Ftse100 il 2,13%. A influire sull'andamento delle piazze europee ci si è messo anche il dato, arrivato nel primo pomeriggio, delle vendite al dettaglio negli Stati Uniti, che in aprile sono calate dello 0,4% mensile, contro il rialzo dello 0,1% atteso dagli analisti. E' bastato questo ad assicurare a Wall Street un'apertura di seduta con il segno negativo. E davvero a poco sono servite le parole del segretario al Tesoro Timothy Geithner, secondo il quale il sistema finanziario americano è «sulla via della guarigione» e anche dal mercato immobiliare cominciano ad arrivare «segnali di miglioramento ». Niente da fare. Alla fine della giornata, l'indice Dow Jones dei principali titoli industriali ha mandato in archivio un ribasso del 2,18%. Anche peggio (meno 3%) è andata al Nasdaq, il listino che raccoglie i titoli chiave del settore tecnologico. Qui, ad accentuare la discesa ha contribuito la multa monstre che l'Antitrust europea ha comminato a Intel, il colosso mondiale dei semiconduttori per computer, condannata per abuso di posizione dominante e pratiche commerciali che hanno danneggiato sia i concorrenti, in primo luogo Amd, sia «milioni di consumatori ». Giancarlo Radice NUOVA GARA Per il segretario Usa alla Difesa, Robert Gates, è probabile una nuova gara d'appalto per l'elicottero di Obama

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Ue, Usa e la fine dell'amnesia collettiva (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 14-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 14/05/2009 - pag: 8 LA MULTA A INTEL E LA NUOVA POLITICA ANTITRUST DEL PRESIDENTE AMERICANO Ue, Usa e la fine dell'amnesia collettiva L'Unione Europea che infligge a Intel la multa più alta della sua storia (oltre un miliardo di euro) per aver ostacolato, diversi anni fa, la concorrenza nel mercato dei microchip, verrà certamente criticata per la sua durezza e per i tempi lunghi del giudizio che ha l'inevitabile conseguenza di aumentare l'incertezza del contesto nel quale operano le imprese. E la nuova presidenza americana che chiede alle sue autorità antitrust di tirare fuori gli artigli, dopo gli anni del laissez faire imposto da George Bush, indubbiamente si espone all'accusa di voler imporre una cappa di regole in tutti i campi dalla finanza all'ambiente, dal fisco all'energia col rischio di ingessare il sistema proprio quando la necessità di riemergere dalla recessione potrebbe consigliare ancora un po' di «briglia sciolta». Ma il bilancio della politica antitrust di George Bush otto anni nei quali il ministero della Giustizia non ha sollevato nemmeno un caso di violazione delle leggi anti-monopolio nei confronti di un grande gruppo industriale spinge verso conclusioni assai diverse: più che una «toppa» tardiva o la manifestazione di un impulso dirigista, le decisioni prese negli ultimi tre giorni a Bruxelles e a Washington vanno lette come il tentativo di porre fine a un'amnesia collettiva durata troppi anni. Negli anni del «mercatismo» senza argini, la figura del cittadino-consumatore è diventata addirittura più rilevante di quella del cittadinosoggetto politico. Ma poi è proprio la tutela del consumatore che è stata trascurata rinunciando ad applicare con severità le norme a difesa della concorrenza. Come nel caso della Sec, l'authority che sorveglia Wall Street, della Fda (farmaci, sicurezza alimentare) e della Fdic (l'agenzia federale che assiste le banche commerciali), per rivitalizzare il sistema dei controlli Barack Obama si è affidato a una donna: Christine Varney, un'esperta di antitrust nominata viceministro della Giustizia proprio per sovraintendere a queste politiche. Non deve essere stata per lui una decisione facile. Un'applicazione rigida delle norme sulla concorrenza è sicuramente una cattiva notizia per i «pesi massimi» della tecnologia come Microsoft e Google: aziende già più volte accusate di aver abusato della loro posizione dominante. Imprese che, nella maggior parte dei casi, hanno sostenuto il leader democratico nella sua corsa alla Casa Bianca, come del resto la stessa Intel. Fin dove si spingerà Obama? Usa e Ue adotteranno finalmente una linea comune sull'antitrust? È presto per dirlo. Ma, intanto, perfino Eric Schmidt, il capo operativo di Google che è stato vicino ad Obama durante la campagna e anche nel transition team dopo l'elezione, è finito nel mirino della Ftc, un'agenzia federale, perché siede anche nel consiglio della Apple, un concorrente di Google in vari settori, dai browser al software per i telefonini. Massimo Gaggi

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"IL MIO BLOG CONTRO I DEMONI" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 14-05-2009)

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Giulia Zonca "IL MIO BLOG CONTRO I DEMONI" Il computer è nello zaino, compatto, estraibile e salta fuori in dieci secondi senza che nemmeno si senta il rumore della zip. Yoani Sánchez ripete sempre: «Non faccio nulla di male, non sono armata», ma il suo pc è molto più pericoloso di una Colt. Lei lo usa nello stesso avventuroso modo in cui si muoverebbe un pistolero nel Far West. Invece siamo a Cuba, sabbia e sole anche qui e sguardi a destra e a sinistra per essere sicura che nessuno la stia braccando. Sguscia da un bus sgangherato, fermata Parco Natural, giusto davanti alla statua dell'eroe nazionale José Martí, centro dell'Habana vieja e delle operazione di connessione. È la piazza dei grandi alberghi, quelli da dove Yoani entra ed esce a caccia delle sue due ore settimanali di Internet. Solo due ore e Yoani Sánchez è una blogger, la più famosa del momento, è l'autrice di «Generazione Y», il diario elettronico che ha svegliato L'Avana. Secondo Time sta nella lista delle 100 persone più influenti al mondo ed è appena uscita dal cinque stelle Melia Cohiba senza riuscire a comprare una tessera per entrare in rete: «Non ce le danno più, sono solo per gli stranieri ed è come rivietarci Internet. L'accesso sarebbe tra le presunte innovazioni concesse da Raúl Castro, ma di fatto non esiste un cubano che possa permettersi un collegamento a casa e dall'inizio di maggio noi non possiamo più accedere ai wireless pubblici». E allora lei gira un video pirata del marito Reinaldo, «mi corazon», che chiede spiegazioni alla reception, che viene cacciato senza un perché. La microtelecamera sotto un'ascella, nascosta dalla copia di Granma e l'entusiasmo di piazzare la registrazione sul blog. Un percorso difficile che prevede la tappa in un'altra hall, hotel Nh, un tavolino defilato con una presa comoda e una password a scalare, un avanzo che implacabile detta il countdown: 40 minuti di tempo, «devono bastare almeno per due sessioni». Lei non legge niente e non scrive niente mentre è online, cerca e scarica a caccia di parole su Cuba, spedisce il materiale, preparato a casa, al provider tedesco che gestisce il blog e registra posta e notizie sulla chiavetta Usb, la sola memoria storica che riconosca. Ingolfata di ideologia fin da bambina, Yoani ha cancellato strati di educazione rivoluzionaria e racconta Cuba come è: «Sporca, nervosa e apatica». È così che spaventa il regime, senza parlare di politica, ed è per questo che non può essere a Torino, alla Fiera del libro, non ha il permesso di viaggiare: «Noi blogger siamo sfuggenti, qui si dice escurridido, scivoloso, ricoperto di sapone. Io posso muovermi virtualmente e sabato sarò a Torino, con la mia voce». Parla e digita, dice di funzionare «in stereo» perché deve sfruttare anche i secondi e non toglie la faccia dalla schermo. Con che motivazione le hanno negato il visto? «I cubani sono come bambini piccoli, dicono solo no, non danno i perché e se insisti ti mandano da un superiore che ti rimanda a un altro superiore e all'infinito. Negli ultimi sei mesi mi hanno negato il permesso di espatriare tre volte: è un castigo, la loro risposta al blog». Non ha paura? «Se avessi saputo di fare tutto questo rumore non sarei mai partita, ma ci sono dentro e non mi spavento. Uso la trasparenza come scudo, non faccio nulla di illegale, sono qui in un posto pubblico, a scrivere. È difficile accusarmi». Perché ha iniziato? «È stata una terapia dopo trent'anni di silenzio, un esorcismo contro i demoni. Appena li ho messi sullo schermo sono scomparsi. Ho buttato fuori la frustrazione, la mia e di tutti i trentenni cubani, gente a cui è stato promesso molto, gente che non può realizzare i sogni, riunirsi in associazioni, nemmeno un gruppo ecologico». Il suo blog a Cuba è censurato, come fa a influenzare una generazione se è vietato leggerla? «I cubani sono creativi, siamo allenati a trovare percorsi paralleli, ce lo ha insegnato l'embargo. Qui leggono il mio blog sulla chiavetta: io la passo a una cinquantina di persone che la copiano e la passano ad altri cinquanta, è un tam tam ed evidentemente funziona visto che il mio nome è così popolare». Quindi qualcosa sta cambiando? «Spingiamo perché succeda. La carenza di materiale è tanta, qui, che è difficile tenere i miei coetanei a bada. Siamo imprigionati, ma io aspetto la soluzione biologica. La generazione al potere sta morendo. Spero che non ci sia un passaggio violento, solo una successione che ci spinga verso il futuro». Fidel è uscito dal suo ritiro per accusarla. Che effetto fa? «È una consacrazione: una ragazza di 32 anni ha spinto il Líder máximo allo scoperto. Curioso, qui c'è chi sogna per una vita di incontrarlo e io che volevo solo stargli alla larga ho avuto la mia porzione di comandante. È davvero ovunque». Che cosa dicono i suoi genitori del blog? «Tacciono. Come tutti quelli dai cinquant'anni in su. Hanno speso gran parte della vita nel silenzio civico e non possono ammettere che è un bluff. Io a 17 anni sono uscita di casa e mi sono emancipata in un solo colpo dalla famiglia e dallo Stato. L'unico modo per evolversi e non essere dipendenti, a Cuba in tanti vanno ad applaudire in strada il primo maggio solo perché la dittatura concede privilegi a chi manifesta consenso». E suo figlio che ne pensa? «Ha 13 anni, lo annoia tutto e per lui i blog sono già roba vecchia. È un bravo studente e ha diritto a disinteressarsi di quel che fa sua madre». Non ha paura che possa incontrare difficoltà a causa di «Generazione Y»? «Spero nel tempo. Se dovesse iniziare l'università domani so che non lo lascerebbero entrare, ci vuole l'attestato di bravo militante. Io sono radioattiva, ho dovuto anche smettere di lavorare come insegnante, mio marito è giornalista ma è stato licenziato da Juventud Rebelde e oggi aggiusta ascensori. Quando è iniziata la glasnost in Russia pensava arrivasse anche qui e si è messo a scrivere articoli sulla trasformazione della società. Siamo dei romantici». Che devono fare i cubani? «Stavolta niente di rivoluzionario, devono occupare degli spazi. Non avere sempre paura, esistono dei diritti perfino nella nostra costituzione, usiamoli». E gli stranieri possono aiutare? «Sì, piantandola di credere che quest'isola sia un'utopia realizzata, è ora di smetterla con le idee alla Gianni Minà sulla purezza della rivoluzione. Noi non siamo fieri di come si vive qui, siamo fieri di essere cubani e vogliamo che circoli informazione vera». Si sente anche a Cuba l'effetto Obama? «Ha tolto al regime un argomento. Con Bush si sentivano invasi e potevano propagandare meglio, ci marciavano. Ora è più complicato, ma il presidente degli Stati Uniti deve levare l'embargo». Salverebbe qualcosa del sistema al potere? «Non è mai tutto da buttare, ma se il prezzo di quanto di buono ho visto nella mia vita è la libertà, allora non salvo nulla. Fino a che ha resistito l'Unione Sovietica arrivavano i fondi necessari per far funzionare sanità e istruzione, ora questi vanti nazionali resistono, ma non ci sono più i soldi per tenerli in piedi a lungo». Sta scrivendo un nuovo libro? «Due. Un romanzo generazionale sulla Cuba che verrà e un manuale per blogger cubani. Qui c'è già Claudia, 25 anni, che tiene il blog "Octavo Cerco", e "Voces cubana", un lavoro collettivo, e Miriam autrice di "Cuba dice". Non sono sola». È religiosa? «No, i miei genitori sono cattolici e si devono nascondere, qui è vietato mostrare un credo. Io penso ci sia un'entità superiore e da brava blogger me lo immagino chissà dove a programmare e deviare le nostre vite su un computer, a mandarci messaggi, a ricalcolare i percorsi quando noi cambiamo strada».

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L'incubo dell'Fbi: i bio-hacker (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 14-05-2009)

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Retroscena Rischio di catastrofi e terrorismo 59 Bhopal (1984) L'antrace (2001) Seveso (1976) L'incubo dell'Fbi: i bio-hacker Scienziati fai-da-te coltivano virus con pezzi di Dna comprati sul web FRANCESCO SEMPRINI «L'influenza fabbricata in provetta» dollari per i geni NEW YORK E' allarme bio-hacker negli Stati Uniti. Le autorità federali americane hanno avviato un'indagine su un presunto giro di «biologi fai da te» che sviluppano in casa ceppi virali considerati a rischio, attraverso la lavorazione di campioni di Dna sintetico acquistati su Internet da rivenditori sparsi nei Paesi in via di sviluppo. Nel mirino dell'Fbi sono finiti studenti e professionisti che hanno ricreato in casa laboratori artigianali perfettamente funzionati ma privi di minime misure di sicurezza. È il caso di Katherine Aull, 23 enne neolaureata del Mit, che ha ricostruito nel suo appartamento di Cambridge un laboratorio chimico acquistando online per soli 59 dollari un termolavoratore di Dna, una sorta di incubatrice del gene che serve a produrre ceppi virali. Ha così ricostruito una variante della E. coli necessario, a suo parere, ad aiutare la ricerca contro il cancro. In realtà l'E. coli è un batterio ad alto potenziale di rischio, lo stesso che da alcuni mesi fa aveva causato un'epidemia infettiva negli Stati Uniti a causa della sua diffusione nelle foglie di spinaci o nei pomodori. Dan Heidel, impiegato del settore aerospaziale ed ex biologo dell'Università di Seattle, ha affittato un loft di 3 mila metri quadri in un vecchio magazzino, per inventare alghe modificate in grado di produrre biocarburanti a prezzi più economici di quelli attualmente sul mercato. Spendendo 20 mila dollari, su Internet, è riuscito a mettere insieme centrifughe, serbatoi di stoccaggio per il azoto liquido e purificatori di acqua. La procedura è stata la stessa per Phil Holtzman, studente universitario e dj part-time nelle feste universitarie di Berkeley, che coltiva, nel suo miniappartamento alla periferia di San Francisco, virus ricavati dalle acque di scolo. «Un giorno - dice - serviranno a creare vaccini contro gravi forme infettive». In realtà gli esperimenti dei biologi fai da te costituiscono un grave pericolo, non tanto per l'uso che gli improvvisati scienziati ne possono fare, ma per il rischio di fughe o furti dai laboratori fai da te. A lanciare l'allarme è stata la pubblicazione Nature Biotechnology, dove un gruppo di scienziati e funzionari dell'Fbi hanno chiesto alle autorità maggiore vigilanza sul traffico di Dna sintetico, che nelle mani sbagliate possono essere usate per la riprodurre virus pericolosi come l'Ebola. «I controlli sono lacunosi», spiegavano gli esperti già qualche anno fa. Il riferimento è in particolare alla facilità con la quale si acquistano campioni di Dna sintetico su Internet. Le principali fonti sono i rivenditori dei Paesi in via di sviluppo. Per questo il National Science Board for Biosecurity ha chiesto a tutte le società registrate che vendono campioni di Dna, di effettuare controlli approfonditi ogni volta ricevano un ordine di acquisto. Il problema è che non è chiaro quale ente federale sia preposto al controllo del commercio di Dna sintetico e non esiste una classificazione chiara sulle diverse tipologie dell'acido riprodotto in laboratorio. L'amministrazione del presidente Barack Obama ha però avviato una serie di studi in cooperazione con il dipartimento dell'Fbi che si occupa delle armi di distruzione di massa. SYDNEY La teoria del complotto era girata subito dopo l'esplosione dell'epidemia in Messico. Vari siti statunitensi «alternativi» avevano parlato di un «esperimento di guerra batteriologica» finito fuori controllo. Ma ora la teoria che l'influenza messicana possa esser stata creata dall'uomo prende corpo, tanto che è la stessa Organizzazione Mondiale della sanità (Oms) che sta cominciando ad indagare. La denuncia è credibile ed è arrivata da un ricercatore australiano, secondo cui il virus della febbre suina è il risultato di un errore in un laboratorio di ricerca. Adrian Gibbs, 75 anni, che ha collaborato alle ricerche per lo sviluppo dell'anti-virale Tamiflu della Roche, ha dichiarato che ha intenzione di pubblicare una relazione, secondo cui il nuovo ceppo sarebbe stato accidentalmente creato nelle uova che gli scienziati utilizzano per far crescere i virus e le case farmaceutiche per fabbricare i vaccini. Una conclusione a cui Gibbs è arrivato studiando l'origine del virus e analizzandone la mappa genetica. «Una delle spiegazioni più semplici è che si tratti di una fuga da laboratorio - ha detto Gibbs in un'intervista a Bloomberg Television -. Ma ce ne sono molte altre». L'Oms ha ricevuto la documentazione dallo scienzatio lo scorso fine settimana. Gibbs, che da quattro decenni si occupa della materia, ha un curriculum di eccellenza. È stato uno dei primi scienziati ad avere analizzato la composizione genetica del virus identificato tre settimane fa in Messico e che minaccia di scatenare la prima pandemia al mondo dal 1968. Prudenza ma nessuna chiusura da parte dell'Oms. Un virus che è partito da un laboratorio o nel corso di una produzione di vaccini, «può indicare una maggiore necessità di sicurezza, ha detto il vice direttore generale dell'organizzazione», Keiji Fukuda. Di certo, secondo Gibbs, individuando la fonte del virus, gli scienziati comprenderanno la sua capacità di diffondersi.\

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Foto delle torture Obama vieta la pubblicazione (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 14-05-2009)

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L'UNIONE AMERICANA DELLE LIBERTÀ CIVILI: TRADITE LE PROMESSE Un ex agente infiltrato rivela che le tecniche non servivano a nulla «I duri non parlavano» Foto delle torture Obama vieta la pubblicazione [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Barack Obama blocca la diffusione di centinaia di foto di presunti abusi sui prigionieri in Iraq e Afghanistan mentre a Capitol Hill è alta tensione fra democratici e Cia sulla pratica degli «interrogatori duri». La pubblicazione delle foto sarebbe dovuta avvenire da parte del Pentagono il 28 maggio in base ad una sentenza favorevole alla richiesta avanzata dall'Unione americana delle libertà civili (Aclu) ma Obama ha deciso di porre il veto dopo averne discusso assieme ai generali Ray Odierno, comandante delle truppe in Iraq, e David Petraeus capo dello scacchiere del Medio Oriente. «Il presidente ritiene che la diffusione di tali foto in questo momento infiammerebbe il teatro di guerra, metterebbe a rischio le forze americane in Iraq e Afghanistan», ha fatto sapere la Casa Bianca, tradendo il timore di un impatto mediatico simile a quello che seguì la pubblicazione delle immagini su Abu Ghraib. La reazione della Aclu è stata di denunciare la «brusca marcia indietro del presidente rispetto alle promesse elettorali» e «Human Rights Watch» ha aggiunto la condanna per il «grave passo indietro compiuto». Le proteste dei gruppi liberal e di quelli per la difesa dei diritti umana è stata tale da obbligare Obama a intervenire di persona con una dichiarazione dal South Drive della Casa Bianca: «Le immagini in questione non sono sensazionali rispetto a quelle di Abu Ghraib, i responsabili sono stati già puniti e diffonderle non farebbe altro che infiammare l'antiamericanismo». I repubblicani hanno fatto quadrato attorno a lui. «La scelta del presidente è la migliore possibile» ha detto Lindsay Graham, senatore del South Carolina. La scelta di Obama è un passo che punta anche ad abbassare la tensione fra democratici e Cia, oramai ai ferri corti. Al Senato si è riunito ieri per la prima volta il comitato della commissione Giustizia incaricato di «fare luce sulle falsità divulgate sul trattamento dei detenuti». A deporre sono stati Philip Zelikow, ex consigliere legale del Dipartimento di Stato, che ha definito «un totale fallimento» gli «interrogatori duri» e Ali Soufan, ex agente dell'Fbi già infiltrato dentro Al Qaeda, che ha parlato con il volto protetto. «Sono testimone diretto del fallimento del waterboarding - ha detto Soufan -. Non funzionava in quanto questi terroristi sono preparati a subire torture assai più dure». Quanto afferma Soufan smentisce l'ex vicepresidente Dick Cheney secondo cui furono proprio le «tecniche dure» a consentire di prevenire nuovi atti terroristici. Nel momento in cui affondano i colpi sulla Cia i democratici devono però guardarsi dai memo del quartier generale di Langley, che li accusano di aver sempre saputo come venivano svolti gli interrogatori. Un documento di 10 pagine enumera 40 incontri durante i quali gli 007 spiegarono ai capi del Congresso come venivano interrogati i detenuti. Per Dianne Feinstein, capo della commissione Intelligence: «La Cia tenta di trovare coperture politiche».

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Se c'è un posto scomodo al mondo, per la gravità dei problemi da affrontare e per le ... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Se c'è un posto scomodo al mondo, per la gravità dei problemi da affrontare e per le responsabilità conseguenti, è quello di Direttore generale dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica. In gergo lo chiamano, il capo dell'Aiea, «the Nuclear Watchdog», il cane da guardia nucleare: deve garantire lo sviluppo pacifico dell'energia atomica e prevenirne l'uso a scopi militari. Un compito cruciale per l'umanità di questo secolo, in bilico tra inediti bisogni energetici e ambientali e l'incubo di una militarizzazione incontrollata dell'atomo (un incubo già previsto da Einstein). Eppure, da settimane, è in corso un'accesa competizione, se non una vera e propria battaglia, tra coloro che vorrebbero quella sedia bollente in un palazzo di Vienna. Nobile gara tra chi pensa di avere la soluzione migliore, oppure aspirazione a quello che è comunque un ruolo di potere, per la capacità che comporta d'influire, indirettamente, su delicatissimi equilibri internazionali? Da dodici anni, per tre mandati, quella sedia bollente è occupata dal diplomatico egiziano Mohamed ElBaradei, personaggio di valore, addirittura vincitore del Premio Nobel per la pace nel 2005. E tuttavia discusso, soprattutto, a suo tempo, dall'America di Bush. Gli osservatori maliziosi (ma non tanto) ritennero, infatti, che quel grande riconoscimento gli fosse concesso dalla giuria scandinava per fare un dispetto all'allora presidente degli Stati Uniti, che aveva disatteso, per invadere l'Iraq, le assicurazioni fornite da ElBaradei e dal suo collaboratore svedese Hans Blix sull'assenza di armi di distruzione di massa nel Paese di Saddam. Ma ElBaradei e Blix avevano drammaticamente ragione. Rilievi furono comunque mossi al direttore dell'Aiea, successivamente, per un qualche suo ondeggiante comportamento circa la nuova e reale minaccia, quella iraniana. Dimenticando, però, che era stato proprio lui a sollevare il caso Iran, dimostrando come gli ayatollah avessero sottratto alle ispezioni dell'Aiea programmi nucleari non evidentemente pacifici. Ora che si avvicina il cambio della guardia (del cane da guardia), il suo successore potrà contare su un più pragmatico, fattuale, appoggio della nuova America di Obama. Senza, però, che ciò allenti la tensione più che tanto. Obama è un pragmatico, ma non un «appeaser». E i problemi restano enormi. L'Iran, ma anche la Corea del Nord, che fa e disfa gli accordi a suo piacimento. E altri Paesi, dal Golfo all'estrema Asia, stanno a guardare, pronti a entrare in gioco anch'essi, mentre, su un piano più generale, la crisi ambientale rilancia il nucleare «civile», ormai facilmente trasformabile, in senso tecnico, in «militare». Senza trascurare (tutt'altro) la possibilità che Al Qaeda, magari nel traballante Pakistan, arrivi a mettere le mani essa stessa sulla Bomba. Altro grande problema: che le superpotenze una volta bipolari, America e Russia, ma non solo, diano un esempio, riavviando un concreto processo di disarmo. Chi sarà il nuovo cane da guardia? Naturalmente in collegamento con l'Onu, che è il suo riferimento istituzionale (e all'Onu, tra meno di un anno, si farà un altro riesame del Trattato di non proliferazione, finora assai poco efficace). Il giapponese Yukiya Amano ha perso per un voto col sudafricano Abdul Samad Minty e la partita si è riaperta. E finalmente si è affacciata l'Unione europea, ma con tre candidati, uno spagnolo, uno francese e l'altro sloveno. Il primo, Luis E. Echavarri, già alla testa della sezione per l'energia nucleare dell'Ocse, è il più forte, ma è necessario un appoggio globale europeo, al quale potrebbe aggiungersi quello americano. Come quasi sempre, purtroppo, nel contesto di grandi scelte su grandi questioni, manca una concorde strategia europea. Si vedrà, da qui al voto finale, se qualcosa è cambiato.

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Croisette con partenza "animata" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Croisette con partenza "animata" Occhiali 3D per vedere il cartone "Up" Huppert: niente diplomazia in giuria [FIRMA]FULVIA CAPRARA INVIATA A CANNES L'apoteosi di Isabelle Huppert, l'emozione di Charles Aznavour che dà la voce (nella versione francese) al protagonista di Up, l'exploit di Brian Ferry che canta Shame, l'ironia del presentatore Eduard Baer, maestro di cerimonia per il secondo anno consecutivo, capace di stemperare con il suo umorismo il tono inevitabilmente pomposo del gala inaugurale. La 62esima edizione del Festival si è aperta ieri con la doppia dichiarazione di Aznavour e di Hafsia Herzi, la giovane protagonista di Cous cous che, stretta (forse un po' troppo) in un abito di seta color glicine, ha pronunciato la frase di rito anche in arabo. Fuori, sulla Croisette, trionfo di palloncini multicolori come nel manifesto di Up, il film d'animazione della Disney-Pixar scelto per l'inaugurazione (per la prima volta nella storia del Festival dedicata a un cartoon) e visto dagli happy few con gli appositi occhalini da 3D. Sulla scalinata del Palais molti nomi francesi, Agnes Varda, Claude Lelouch, Jean Rochefort, Elsa Zylberstein. Regina indiscussa della serata, l'Huppert, in organza color champagne di Armani, ha ricevuto l'ovazione della platea e subito dopo ha visto scorrere sul grande schermo un montaggio di immagini dei suoi film più celebri. Davanti alle ovazioni, è rimasta la lady di ferro di sempre: «La mia emozione - ha spiegato - è dovuta al fatto che in questo luogo la forza del cinema è così evidente e marcata. Sono felice di essere ancora una volta al Festival, in un ruolo che mi onora moltissimo». Huppert promette di far prevalere su tutto le emozioni: «Nessuna diplomazia, non siamo il ministero degli Esteri, il verdetto finale sarà un po' come il precipitato chimico della sensibilità di ogni membro della giuria». Più dei ragionamenti conterà la passione: «Non si tratta di giudicare, ma di amare oppure no dei film. E questo è molto difficile perché spesso una storia ci piace, ma non siamo in grado di dire che cosa ci ha toccato e perché così profondamente». Dal momento in cui Huppert ha assunto il ruolo di presidentessa della giuria del Festival i giornali francesi, tutti, hanno deciso di cerebrarla con la massima enfasi. A ognuno l'attrice ha regalato ricordi, foto e frasi destinate a restare impresse nella mente dei lettori, anche i più distratti. La rivista Première l'ha promossa direttrice sul campo del numero dedicato al Festival. Sulla copertina Isabelle regala uno dei suoi sorrisi appena accennati e dentro, nell'editoriale, prende in prestito lo slogan del presidente Obama: «Il mondo cambia pelle? Cannes ne farà sentire fortemente l'eco e se il cinema non può (ancora) cambiare il mondo, sicuramente può muovere le emozioni. Per quanto mi riguarda, sì, ne sono certa, in Cannes we can...». Su Le Film Français descrive il suo rapporto con la rassegna: «Tra me e Cannes c'è una lunga storia, quest'ultimo appuntamento suggella definitivamente il mio amore per il Festival e quindi per il cinema. Cannes è la porta aperta a tutte le nuove idee del mondo. Essere una spettatrice privilegiata mi entusiasma». Il direttore del Festival, Thierry Fremaux dice di averla voluta perché «desideravo rendere omaggio a colei che mette la sua popolarità di attrice al servizio del cinema d'autore, che rischia con gli esordienti e che si fa ammirare dai registi stranieri». L'enfasi raggiunge il massimo sulle pagine di Figaro Madame, il supplemento femminile del quotidiano. Nell'articolo di fondo Elisabeth Quin inneggia alla magica capacità dell'attrice di «non essere mai lì dove ci si aspetterebbe di trovarla» e di ricercare sempre, ad ogni costo, «l'assoluto, il radicale». Gli stilisi più noti, da John Galliano a Karl Lagerfield, immaginano il look ideale per la montées de marches, lei si presta a innumerevoli servizi fotografici, con abiti di tutti i generi e infine, massima concessione di «Madame la Présidente», svela piccoli, ma preziosi segreti per mantenere intatta la sua severa bellezza. Quando le attrici italiane si lamentano perché da noi non accade mai di ricevere omaggi di tale portata, forse un po' di ragione l'hanno.

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La governatrice Palin scriverà un libro di memorie (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 14/05/2009 - pag: 17 In corsa La governatrice Palin scriverà un libro di memorie WASHINGTON Sarah Palin, candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti nel 2008, scriverà un libro sulla sua vita e sulla sua avventura elettorale. Il volume sarà pubblicato nella primavera del 2010 dalla casa editrice HarperCollins. La Palin, che non ha voluto rivelare la somma ricevuta per scrivere le sue memorie, ha spiegato che il libro consentirà di raccontare il suo punto di vista «senza filtri» sulla campagna elettorale come numero due del candidato John McCain, poi battuto da Obama, che l'ha trasformata da misconosciuta governatrice dell'Alaska in una delle figure più note e controverse del partito repubblicano. Il libro comprenderà anche la descrizione della sua intensa vita familiare con i cinque figli, dall'ultimo arrivato, affetto dalla sindrome di Down, Trig Paxson, alla gravidanza non prevista dell'allora minorenne Bristol. L'annuncio della pubblicazione delle memorie ha rafforzato le speculazioni sull'intenzione della Palin di candidarsi alla presidenza nelle elezioni del 2012. Combattiva La governatrice dell'Alaska Sarah Palin, 45 anni (Ap)

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La marcia indietro di Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 14/05/2009 - pag: 17 Il caso La Casa Bianca blocca la pubblicazione annunciata per fine maggio La marcia indietro di Obama «Niente nuove foto di torture» Insorgono i progressisti: «Usa le stesse tattiche di Bush» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Un mese dopo aver detto si, Barack Obama ci ripensa. Non vuole complicare la missione dei suoi soldati schierati in Iraq e Afghanistan, aumentando i rischi per la loro sicurezza. E ora è contrario alla pubblicazione delle nuove foto che mostrano gli abusi commessi dalle truppe americane sui detenuti a Bagdad e Kabul. Il presidente ha ordinato ai legali della Casa Bianca di opporsi alla decisione dei Tribunali d'Appello, che hanno accolto la richiesta dell'American Civil Liberties Union, di togliere il segreto di Stato sulle immagini. «Non sono fotografie così sensazionali e farle uscire non farebbe bene a nessuno», ha detto il presidente, ribadendo però che lui non intende «in alcun modo tollerare gli abusi sui detenuti». «Il presidente aveva spiegato poco prima il portavoce Robert Gibbs ha detto al suo team giuridico di non sentirsi a suo agio con l'eventuale rilascio delle fotografie, poiché pensa che potrebbero danneggiare i nostri militari sul campo e non crede che tutte le conseguenze della pubblicazione per la sicurezza nazionale siano state ben illustrate alla corte ». Pressato dalle domande, Gibbs ha avuto qualche incertezza nell'argomentare il clamoroso rovesciamento di posizione, che il fronte progressista già bolla come una brusca deviazione dalla promessa di trasparenza del nuovo presidente e soprattutto dall'impegno a non bloccare il rilascio d'informazioni quando fosse stato ordinato da un giudice: «La pubblicazione non aggiungerebbe nulla alle inchieste sui casi di abusi, che sono ben documentati e i cui autori sono già stati puniti». Ma Obama ha ragioni forti dalla sua parte. A motivarne il ripensamento sono state in primo luogo le paure espresse dai capi militari, preoccupati dalla coincidenza tra l'uscita delle foto (il Pentagono ne aveva preparato una prima serie da diffondere il 28 maggio) e l'inizio di nuove e più rischiose fasi delle due missioni: in Iraq col ritiro di nuove unità da combattimento e in Afghanistan con l'arrivo di altri 20 mila uomini. Parlando ieri davanti al Congresso, il ministro della Difesa Robert Gates ha confermato come il cambiamento d'opinione sia stato prodotto dopo che i generali McKiernan (il capo delle truppe a Kabul, appena sostituito) e Odierno, comandante delle forze Usa in Iraq, «avevano espresso serie riserve sulla pubblicazione, perché potrebbe costare vite americane». Gates ha anche detto che se il tribunale d'Appello dovesse rigettare la richiesta, la Casa Bianca è pronta a ricorrere alla Corte Suprema. La sterzata del presidente è stata duramente criticata dall'American Civil Liberties Union: «L'Amministrazione Obama adotta le stesse tattiche di sbarramento e le politiche opache di George Bush, con buona pace dell'impegno a ripristinare il diritto, ristabilire la nostra statura morale di fronte al mondo e guidare un governo trasparente», ha dichiarato il direttore esecutivo, Anthony Romero, secondo il quale il popolo americano «deve poter farsi da solo un giudizio sui crimini, che siano stati commessi in suo nome». Paolo Valentino Leader Barack Obama, 47 anni, presidente degli Stati Uniti dal 20 gennaio 2009, fotografato al termine di una conferenza stampa alla Casa Bianca, Washington (Zhang Yan/Xinhua)

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Caro Obama ti scrivo Al nuovo Kennedy d'America scrivono tutti, anche i bambini. In un incontro c... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

Caro Obama ti scrivo Al nuovo Kennedy d'America scrivono tutti, anche i bambini. In un incontro con Manuela Salvi, scrittrice per ragazzi, ecco le lettere al nuovo presidente degli Stati Uniti. Il laboratorio s'intitola «Caro Obama, ti è già venuta qualche buona idea?». Al Bookstock Village, Padiglione 5, Laboratorio Autori, dalle 10,30. Dedicato a lettori (e aspiranti scrittori) dagli 8 ai 13 anni. Senza libri non si può Un inizio scoppiettante. Così si preannuncia la conversazione tra lo scrittore-semiologo Umberto Eco e il saggista Jean-Claude Carrière dal titolo eloquente (e benaugurale): «Non sperate di liberarvi dei libri». Per scoprire come sopravvivere nell'era degli e-book senza rinunciare al piacere della carta l'appuntamento è in Sala Gialla alle 12. Coordina Marco Belpoliti. Laicità magistrale Stefano Rodotà tiene la sua «lectio magistralis» sul tema «Perché laico» (dal titolo del suo omonimo libro, edito da Laterza) e spiega il senso della laicità come connotato essenziale di un sistema democratico e liberale. Interviene Vladimiro Polchi. Alle 18,30 in Sala Rossa. Terrorismo e oltre Gilles Kepel, uno dei maggiori studiosi al mondo del terrorismo islamico, alle 16 in Sala Azzurra si domanda che cosa ci sia «Oltre il terrorismo». Partendo dall'assunto che Bush e Bin Laden hanno fallito entrambi, esisterà una via d'uscita non più fondata sulla spirale della violenza? Con Kepel interviene Khaled Fouad Allam. Dopo il dolore Alle 19,30 in Sala Rossa Ugo Riccarelli, già vincitore del Premio Strega 2004 con il libro dal titolo «Il dolore perfetto», presenta il suo ultimo romanzo «Comallamore» (Mondadori). Con lui ne discute Andrea Bajani e Giuseppe Cederna leggerà stralci dell'opera. Primavera con la neve Di che cosa, se non di monti e neve, può parlare l'ottimo Mauro Corona? Lo scrittore delle foreste, intervistato da Alessandra Casella, con un'introduzione di Alain Elkann, presenta il suo ultimo libro, «Storie di Neve», dove la protagonista non è solo quella che fiocca dal cielo, ma è anche una bimba: Neve. Alle 17 in Sala Gialla. Caffè con il flop «Flop. Breve ma veridica storia del Pd» è il libro di Giuseppe Salvaggiulo di cui si discute alle 18,30 al Caffè letterario, assieme al sindaco Sergio Chiamparino. Un appassionato e amaro racconto di errori e occasioni mancate. Dalla Cina con furore In Sala Azzurra, alle 17, arriva lo scrittore cinese Yu Hua, che con il romanzo «Brothers» (Feltrinelli) si è imposto come narratore vigoroso e potente. Una storia che racconta le violenze della Rivoluzione culturale: una follia che ha il colore rosso dei libretti di Mao, delle bandiere e del sangue. Intervengono Paolo Mauri e Stefania Stafutti. Tra le note e i ricordi Dopo Baglioni, un altro (inossidabile) protagonista della canzone italiana d'autore. Gino Paoli, a colloquio con Marinella Venegoni, alle 20 in Sala Azzurra, per un incontro dal titolo «Musica, parole, storie, ricordi»: quasi un amarcord delle sette note. Anoressia senza bellezza La bellissima e magrissima modella Isabella Caro, protagonista di una scandalosa campagna di Oliviero Toscani, parla del suo rapporto malato con il cibo. Già tantissime mamme di adolescenti hanno telefonato per prenotarsi un posto. Alle 17 in Sala Gialla. Dalla musica alle parole Hanno sospirato in molte quando la voce roca di Claudio Baglioni intonava «quella sua maglietta fina», prima strofa del sempreverde «Piccolo grande amore». Adesso la canzone è diventata un libro, «Q.P.G.A.» (Mondadori), e l'autore ne parla con Marcello Sorgi in Sala Gialla alle 18. Straniere ma non di penna Alle donne che vivono in Italia (e scrivono in italiano) ma che arrivano da un altro mondo è destinato il concorso letterario nazionale Lingua Madre. Ideato da Daniela Finocchi, alle 12 all'Arena Piemonte, con letture di Alice Drago delle opere premiate. Millennium-mania Gli orfani di Stieg Larsson, il giornalista-giallista svedese autore della trilogia di «Millennium», stasera faranno la fila al Pathé Lingotto, ore 21 in sala 7, per assistere all'anteprima di «Uomini che odiano le donne». Biglietti da ritirare allo stand Marsilio, padiglione 3, entro le 18.

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L'erede di Ghandi e la regina degli intoccabili la grande sfida per governare l'India (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

NEW DELHI - La vendicatrice degli oppressi contro il principe ereditario: è una sfida epica quella che offre il grande cinema della democrazia indiana. Le più lunghe elezioni del mondo, in corso da tre settimane con 714 milioni di votanti, 828.000 seggi e 300 partiti in lizza, si sono concluse ieri e sabato sapremo i risultati finali. E' uno spettacolo grandioso e inquietante: il suffragio universale sperimentato in un subcontinente con un miliardo e cento milioni di abitanti, dozzine di etnie, trenta lingue e sei religioni; una superpotenza economica con immense sacche di miseria, dove imperversa il terrorismo di matrice islamica sostenuto dai servizi segreti pachistani, e in vaste regioni è radicata una implacabile guerriglia maoista. Duello virtuale. E' una democrazia vitale e allo stesso tempo corrotta, inquinata dal populismo, frammentata dai regionalismi. Un duello virtuale oppone Mayawati, la leader della casta più umile (i dalit o "intoccabili"), a Rahul Gandhi. Lei è una donna di 53 anni cresciuta con otto fratelli in una squallida baraccopoli di Delhi, temprata dalla miseria, dalle umiliazioni e dal disprezzo delle caste superiori verso la sua gente. Lui ha 38 anni - un bambino per la gerontocrazia politica indiana - ed è una specie di giovane Kennedy o Bush all'ennesima potenza. E' il rampollo della dinastia repubblicana più longeva del mondo, che da quattro generazioni domina l'India. "E' una stirpe che considera il partito di governo (il Congresso) alla stregua di un suo latifondo familare", mi dice il sociologo Dipankar Gupta. I primi exit poll ieri davano in vantaggio il partito di Gandhi. Ma se il margine di vittoria fosse troppo esile, la "regina degli intoccabili" potrebbe svolgere un ruolo chiave nei negoziati per formare la coalizione di governo. OAS_RICH('Middle'); "Obama indiana". La Mayawati usa un solo nome come spesso si usa nelle caste inferiori. E' stata definita "una Obama indiana". Di certo è una outsider che ha dovuto superare ostacoli spaventosi. I suoi nonni vivevano in una sorta di apartheid, confinati ai margini del loro villaggio: nell'India rurale ancora oggi si riserva agli intoccabili la pulizia delle latrine, gli è vietato l'ingresso nei templi; un ragazzo Dalit che osi corteggiare una giovane di casta superiore può morire linciato. La mamma di Mayawati era analfabeta. Suo padre trovò un modesto impiego statale solo grazie al sistema delle quote, una specie di "affirmative action" che riserva alle caste inferiori una percentuale delle assunzioni pubbliche. Eppure lei è riuscita a dare la scalata al potere politico nell'Uttar Pradesh, uno Stato di 190 milioni di abitanti (se fosse indipendente sarebbe la sesta nazione del mondo), che l'ha rieletta primo ministro per quattro volte consecutive. L'Uttar Pradesh, ai confini di Delhi nell'India settentrionale, era il feudo elettorale della dinastia Gandhi, una roccaforte del partito del Congresso. Poi fu il teatro dell'ascesa della forza rivale, il partito nazionalista Bjp. E' in quel laboratorio politico che Mayawati è riuscita a emarginare i due partiti maggiori. Ha organizzato gli intoccabili e tutte le caste inferiori - che insieme rappresentano il 60% della popolazione indiana - nel suo Bsp. E in questa elezione ha fatto il salto su scala nazionale. Il Bsp ha formato la Terza Forza, che in caso di equilibrio tra i partiti maggiori può essere l'ago della bilancia tra il Congresso e i nazionalisti. Se il suo consenso dovesse rivelarsi determinante per formare la futura coalizione di governo, la Mayawati sarà corteggiata da tutti. "Sarebbe un simbolo straordinario - dice il suo biografo, lo storico Ajoy Bose - un'ascesa entusiasmante per tutti i dalit". Attenzione ai paragoni con Obama. La Mayawati è un personaggio molto ambiguo. "Affascinante e ripugnante", la definisce Gupta. La carriera politica le ha consentito di accumulare un patrimonio personale di 12 milioni di dollari e 72 case, più una collezione di diamanti che sfoggia senza imbarazzo nelle cerimonie ufficiali. Al suo partito si attribuiscono metodi mafiosi, la raccolta di fondi attraverso violenze e intimidazioni; uno dei suoi leader è un gangster in carcere per omicidio (ma la percentuale di criminali nel Parlamento di New Delhi è equamente ripartita fra tutti i partiti). Per cementare la sua base di consenso la Mayawati ha usato il clientelismo più sfrenato, con le assunzioni in massa di "intoccabili" nel pubblico impiego. Le opere pubbliche, la costruzione di strade e allacciamenti elettrici in 11.000 villaggi, sono state mirate per favorire le circoscrizioni elettorali fedeli e penalizzare le altre. Nonostante questo non sembra che la condizione delle caste inferiori nell'Uttar Pradesh sia migliorata rispetto al resto dell'India: il 45% dei dalit nei villaggi rurali continua a vivere sotto la soglia della povertà. Eppure la popolarità della Mayawati finora ha resistito. Perfino la sua ricchezza personale le giova. I dalit ne sono fieri, proiettano su di lei i propri sogni di riscatto economico. L'India delle élite urbane storce il naso di fronte a questo fenomeno che stigmatizza come "la politica della fedeltà castale". In realtà spesso è un comportamento più moderno e laico di quanto appaia: è un voto d'interessi e di scambio. Discendente di Nehru. Rahul Gandhi è la nuova star a cui l'establishment affida le speranze di riconferma della maggioranza di governo uscente. La politica indiana è ricca di queste ironie. Il rampollo che impugna la bandiera del "rinnovamento" è bisnipote di Nehru (leader dell'indipendenza, premier dal 1947), nipote di Indira Gandhi che governò negli anni Sessanta e Settanta, figlio del premier Rajiv Gandhi. La vedova di quest'ultimo, l'italiana Sonia Gandhi, tentò a lungo di tenere lontano il figlio dalla politica per proteggerlo dalla maledizione familiare: sia Indira che Rajiv morirono vittime di attentati terroristici, nel 1984 e nel 1991. Ma il senso del destino e della missione dinastica è stato più forte. La stessa Sonia è diventata presidente del Congresso, leader indiscussa di un partito che d'istinto cerca in questa famiglia i suoi padroni. Per il principino è iniziato il lungo addestramento alla successione. A suo modo anche lui ha dovuto superare degli handicap. Educato a Cambridge, nei primi comizi aveva perfino l'accento straniero. I mass media gli preferivano la sorella Priyanka, più astuta e con un carisma che ricorda la nonna Indira. Ma il Congresso si è messo disciplinatamente al servizio dell'erede maschio, ed è iniziata la "costruzione" della sua popolarità. Largo ai giovani. Lo slogan di Rahul - largo ai giovani - non è originale e tuttavia risponde a un bisogno reale. L'India è la superpotenza più giovane del pianeta: il 70% della sua popolazione ha meno di 40 anni. Eppure il suo premier uscente, Manmohan Singh, è un 76enne. Lo sfidante del partito nazionalista Bjp, L. K. Advani, ha 81 anni. Solo un decimo dei deputati ha meno di 40 anni. Con Rahul Gandhi si affaccia alla politica una nuova generazione che impone il suo stile e i suoi modi di comunicare: dilagano i comizi su YouTube, gli sms diventano il veicolo per diffondere attacchi agli avversari, pubblicizzare gli scandali. Perfino le suonerie dei telefonini sono messe al servizio della propaganda elettorale. L'incognita Bjp. In mezzo alla recessione globale, e mentre è fresco il ricordo della strage terroristica di Mumbai, i nazionalisti del Bjp hanno reclutato tra i loro candidati perfino un illustre transfuga della dinastia Gandhi, il 29enne Feroze Varun, cugino di primo grado di Rahul. Non è rassicurante questo partito d'ispirazione religiosa. L'uomo nuovo che avanza dentro il Bjp, Narendra Modi, è stato definito da Sonia Gandhi "un mercante di morte". Come premier dello Stato del Gujarat, ha sulla coscienza duemila morti: tanti furono i musulmani trucidati nelle violenze di massa scatenate nel 2002 dagli integralisti indù, nell'indifferenza delle autorità locali o addirittura con l'aiuto della polizia del Gujarat. Anche le comunità cristiane hanno subìto fiammate d'intolleranza brutale. Oggi la convivenza tra la maggioranza indù e la grossa minoranza musulmana (oltre 150 milioni) non è così tesa. L'attacco a Mumbai non ha suscitato appelli per rappresaglie indiscriminate: le radici di quel commando terroristico in Pakistan hanno deviato la tensione in politica estera. Cresce però un "leghismo" socio-economico che il Bjp ha cercato di intercettare. Nello Stato attorno a Mumbai, il Maharashtra, miete consensi la campagna contro gli immigrati di altre regioni che fanno concorrenza alla popolazione locale sul mercato del lavoro. La crisi e i comunisti. Chi rischia di pagare di più le tensioni economiche sono i comunisti, tradizionalmente forti nel Bengala occidentale. La sinistra è segnata dal "trauma della Nano". Il governo rosso di Calcutta appoggiò la costruzione degli stabilimenti del gruppo Tata per l'utilitaria più economica del mondo, suscitando aspre reazioni tra i contadini espropriati dei loro terreni. Quella guerra fra poveri - gli interessi della classe operaia contro l'India dei villaggi agricoli - ha lasciato un bilancio di morti e feriti, che pesa su questa votazione. I comunisti sono forse l'ultimo partito ideologico. Tra gli altri è difficile trovare autentiche differenze di valori: perfino il Bjp quando governò fino al 2004 mise la sordina al revanscismo indù. Di programmi si è discusso poco o niente in queste elezioni. La recessione globale spinge a una generica rivalutazione delle politiche economiche dell'epoca Nehru-Gandhi. Protezionismo, dirigismo, statalismo non erano mai veramente passati di moda in India; ora godono un revival legato alla crisi del modello americano. Nessuno si illude che da queste elezioni venga una svolta. M. J. Akbar, celebre opinionista musulmano, mi dice che "le aspirazioni dei poveri crescono così velocemente che nessuna politica e nessun governo possono soddisfarle". Anche Harish Kare, che dirige il quotidiano The Hindu, ha una visione disincantata di quel che la politica può fare: "La vera funzione del voto per noi è la catarsi. E' il momento in cui la democrazia ci unisce davvero perché rappresenta tutte le nostre diversità. La politica delle identità in India è molto più importante dell'arte di governare". (14 maggio 2009

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L'incubo dell'Fbi: i bio-hacker (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 14-05-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK E’ allarme bio-hacker negli Stati Uniti. Le autorità federali americane hanno avviato un’indagine su un presunto giro di «biologi fai da te» che sviluppano in casa ceppi virali considerati a rischio, attraverso la lavorazione di campioni di Dna sintetico acquistati su Internet da rivenditori sparsi nei Paesi in via di sviluppo. Nel mirino dell’Fbi sono finiti studenti e professionisti che hanno ricreato in casa laboratori artigianali perfettamente funzionati ma privi di minime misure di sicurezza. È il caso di Katherine Aull, 23 enne neolaureata del Mit, che ha ricostruito nel suo appartamento di Cambridge un laboratorio chimico acquistando online per soli 59 dollari un termolavoratore di Dna, una sorta di incubatrice del gene che serve a produrre ceppi virali. Ha così ricostruito una variante della E. coli necessario, a suo parere, ad aiutare la ricerca contro il cancro. In realtà l’E. coli è un batterio ad alto potenziale di rischio, lo stesso che da alcuni mesi fa aveva causato un’epidemia infettiva negli Stati Uniti a causa della sua diffusione nelle foglie di spinaci o nei pomodori. Dan Heidel, impiegato del settore aerospaziale ed ex biologo dell’Università di Seattle, ha affittato un loft di 3 mila metri quadri in un vecchio magazzino, per inventare alghe modificate in grado di produrre biocarburanti a prezzi più economici di quelli attualmente sul mercato. Spendendo 20 mila dollari, su Internet, è riuscito a mettere insieme centrifughe, serbatoi di stoccaggio per il azoto liquido e purificatori di acqua. La procedura è stata la stessa per Phil Holtzman, studente universitario e dj part-time nelle feste universitarie di Berkeley, che coltiva, nel suo miniappartamento alla periferia di San Francisco, virus ricavati dalle acque di scolo. «Un giorno - dice - serviranno a creare vaccini contro gravi forme infettive». In realtà gli esperimenti dei biologi fai da te costituiscono un grave pericolo, non tanto per l’uso che gli improvvisati scienziati ne possono fare, ma per il rischio di fughe o furti dai laboratori fai da te. A lanciare l’allarme è stata la pubblicazione Nature Biotechnology, dove un gruppo di scienziati e funzionari dell’Fbi hanno chiesto alle autorità maggiore vigilanza sul traffico di Dna sintetico, che nelle mani sbagliate possono essere usate per la riprodurre virus pericolosi come l’Ebola. «I controlli sono lacunosi», spiegavano gli esperti già qualche anno fa. Il riferimento è in particolare alla facilità con la quale si acquistano campioni di Dna sintetico su Internet. Le principali fonti sono i rivenditori dei Paesi in via di sviluppo. Per questo il National Science Board for Biosecurity ha chiesto a tutte le società registrate che vendono campioni di Dna, di effettuare controlli approfonditi ogni volta ricevano un ordine di acquisto. Il problema è che non è chiaro quale ente federale sia preposto al controllo del commercio di Dna sintetico e non esiste una classificazione chiara sulle diverse tipologie dell’acido riprodotto in laboratorio. L’amministrazione del presidente Barack Obama ha però avviato una serie di studi in cooperazione con il dipartimento dell’Fbi che si occupa delle armi di distruzione di massa.

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