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Report "Obama"   13-17 giugno 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

Presidenziali Iran, scontro sui risultati Tensione in strada a Teheran, tafferugli ( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama. Il presidente Usa ha commentato positivamente le notizie sull'affluenza massiccia alle urne. "Siamo contenti di vedere che in Iran ci sia ciò che appare come un forte dibattito. Pensiamo che un cambiamento nei rapporti con gli Stati Uniti sia possibile, le elezioni per gli iraniani rappresentano un'opportunità di decidere"

caos in iran, vittoria contesa ( da "Repubblica, La" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina Altissima affluenza alle urne , il leader riformista dichiara di aver superato il 65% dei voti. Ma il presidente lo smentisce. Obama: spero nel cambiamento Caos in Iran, vittoria contesa Moussavi e Ahmadinejad proclamano entrambi il trionfo. I pasdaran nelle strade SEGUE A PAGINA

il giallo del colonnello sparito "è malato". "no, sta pregando" - goffredo de marchis ( da "Repubblica, La" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ministro degli Esteri democratico non ha rinunciato a dire in privato quello che aveva preparato per il convegno, ossia che gli Stati uniti di Obama non meritano la storica diffidenza araba. E il discorso di Fini è stato consegnato alla stampa, agli invitati, è ormai pubblico. Anche disertando Montecitorio, Gheddafi non è sfuggito alle parole del presidente della Camera. E al suo gesto.

auto, ue contro usa e le miss mondo tifano fiat-opel ( da "Repubblica, La" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 18 - Economia "Gli aiuti di Obama sono distorsivi" Auto, Ue contro Usa e le miss mondo tifano Fiat-Opel LECCE - Non solo i big dell´economia, ma anche le miss. E dunque: caro ministro, perché questo stop all´operazione Fiat-Opel? chiedono al tedesco Peer Steinbrueck le tre finaliste al concorso Miss Mondo Italia.

la casa bianca attende il cavaliere "dal g8 a kabul, saremo pragmatici" - arturo zampaglione ( da "Repubblica, La" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: utilitaria della Fiat per andare lunedì al colloquio con Barack Obama alla Casa Bianca? Sarebbe un modo, sostengono in molti, per pubblicizzare l´accordo con la Chrysler e mostrare al neo-presidente, che da giovane guidava una Ritmo fatiscente, i progressi della tecnologia italiana. Ma al di là di queste ipotesi di politica-spettacolo, l´incontro si preannuncia senza sorprese.

caffè con obama, niente pranzo il premier ora teme il declassamento - claudio tito ( da "Repubblica, La" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: convincere Obama, adesso». La preoccupazione è altissima. Il summit di lunedì prossimo alla Casa Bianca non lascia affatto tranquillo Silvio Berlusconi. Il faccia a faccia con Barack Obama sta provocando apprensione a Palazzo Chigi. Un nervosismo provocato non solo dalle incomprensioni dei mesi scorsi e dai pasticci diplomatici che hanno accompagnato la visita di Gheddafi in Italia.

La carta del premier da Obama ( da "Corriere della Sera" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: è convinto che verrà accolta la richiesta di Obama sulla destinazione di alcuni prigionieri di Guantanamo in Europa. Berlusconi potrà sfruttare anche questo tema e forse ne farà cenno al «punto con la stampa» nella Sala Ovale che si terrà al termine del colloquio con Obama. Il Cavaliere dice di non temere contraccolpi per lo «storico viaggio» in Italia di Gheddafi,

( da "Corriere della Sera" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e Barack Obama. Lo sono perché li considero naturalmente eleganti e sicuri di se stessi nei loro differenti ruoli». Ha ancora (o sempre) senso parlare di moda per l'uomo? «Personalmente è la cosa che mi entusiasma di più, farla la moda. Sento di essere nato per questo: ciò che faccio esprime quello che penso più di mille parole».

E Summers spiega agli studenti ( da "Corriere della Sera" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: industria dell'auto e le regole E Summers spiega agli studenti «perché Obama non è socialista» DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK «Tranquilli, non stiamo cercando di far rientrare il socialismo dalla porta di servizio: il governo Obama interviene nel settore privato solo quando è assolutamente necessario per evitare catastrofi.

La crociata di Obama contro le sigarette Via libera del Senato alla legge anti-nicotina ( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama non ha perso tempo nel rallegrarsi per la "svolta storica" del Congresso, che ieri ha approvato a stragrande maggioranza una nuova legge anti-tabacco destinata a incidere profondamente nei vizi di un quinto degli americani, a scoraggiare i giovani a fumare e a dare allo stato immensi poteri nel regolamentare le sigarette.

Il giallo del Colonnello sparito E nella notte incontra Berlusconi ( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ministro degli Esteri democratico non ha rinunciato a dire in privato quello che aveva preparato per il convegno, ossia che gli Stati uniti di Obama non meritano la storica diffidenza araba. E il discorso di Fini è stato consegnato alla stampa, agli invitati, è ormai pubblico. Anche disertando Montecitorio, Gheddafi non è sfuggito alle parole del presidente della Camera. E al suo gesto.

La Corea del Nord minaccia Usa e Onu "Uranio per le armi, e non ci fermate" ( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: L'ambasciatore degli Usa all'Onu, Susan Rice, ha dichiarato che "l'amministrazione Obama è decisa a fermare e ispezionare le navi sospette". Nella notte la Corea del Sud ha rafforzato la sua presenza militare sulla frontiera marittima con la Corea del Nord. (13 giugno 2009

Il fotografo Zappadu al Times "Tra me e il Cavaliere non è finita" ( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il premier italiano e il presidente Obama, in programma lunedì a Washington, sarà solo un "breve incontro" di un'ora. Il giornale cita una fonte anonima nelle capitale americana secondo cui "l'incontro è un dovere" per il presidente americano, "ma non hanno piacere di ricevere Berlusconi", non tanto per lo scandalo legato ai party con ragazze o al possibile abuso di voli di stato,

La Corea del Nord minaccia Usa e Onu "Uranio per le armi e non ci fermate" ( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: L'ambasciatore degli Usa all'Onu, Susan Rice, ha dichiarato che "l'amministrazione Obama è decisa a fermare e ispezionare le navi sospette". Nella notte la Corea del Sud ha rafforzato la presenza militare sulla frontiera marittima con la Corea del Nord. (13 giugno 2009

Pyongyang all'Onu: pronti alla guerra ( da "Stampaweb, La" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Da quando il presidente Barack Obama è alla guida degli Stati Uniti, invece, Washington ha sempre sostenuto di non essere interessata a un attacco del paese asaitico. Intanto, come precauzione verso l?imprevedibile vicino, già la settimana scorsa la Corea del Sud aveva inviato molte centinaia di militari alla frontiera marittima con la Corea del Nord,

Glbt, pressing su Franceschini "Il partito prenda una posizione" ( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: più che a Obama, a Franceschini". Quello che gli esponenti del tavolo GLBT fanno notare, è che i militanti del partito sono "più avanti" rispetto alle gerarchie del Pd: "Quando, qualche giorno fa, il circolo del Pd della zona di Marconi, a Roma, ha votato una mozione per aderire al Pride, i 'sì' hanno stravinto.

Mario Calabresi a Passepartout ( da "Stampa, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: elettorale di Obama, accomunate dall'aver saputo reagire alla crisi e rimettersi in piedi. «Non importa quante volte cadi. Quello che conta è la velocità con cui ti rimetti in piedi» è l'assunto alla base di questi ritratti di protagonisti del paese della «seconda possibilità», in cui le crisi economiche assumono proporzioni catastrofiche e mettono sul lastrico migliaia di persone dall'

Silvio spera in Obama per risollevarsi dai colpi ( da "Stampa, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Silvio spera in Obama per risollevarsi dai colpi Ora si capisce quanto se l'è vista brutta il Cavaliere che, davvero, crede al complotto. In tre lustri mai si è sentito così in pericolo, e non solo nella veste di premier (perché le crisi di rigetto, qui in Italia, hanno precedenti drammatici).

SE MARX SEDUCE LA DESTRA ( da "Stampa, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Che seguono con estrema attenzione Obama e presentono, in quel che annuncia, la possibilità di una trasformazione, di un ricominciamento. È il caso dei Verdi in Francia, Germania, Inghilterra, Svezia, Belgio, Grecia, Finlandia. È il caso dei liberali-legalitari di Di Pietro, e perfino di forze inedite come i Pirati in Svezia.

"rubati i nostri voti ma i giovani e le donne cambieranno il paese" - francesca caferri ( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama? Deve dialogare con la società civile iraniana" FRANCESCA CAFERRI Nel buio delle immagini che arrivano da Teheran, Azar Nafisi riesce comunque a trovare uno spiraglio di luce: «La cosa più importante è che la gente ha detto quello che vuole.

la lezione del grande venditore "vinco con la politica del cucù" - alberto statera ( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: di Barack Obama, come dal palco ha già rivendicato l´imprenditore Nerio Alessandri (applauso). La politica del cucù, come il premier l´ha ieri perfettamente definita, si nutre delle tecniche del Venditore, come tanti anni fa recitava il titolo di un libro di Peppino Fiori, che la platea dei giovani investita delle sorti future del paese e chiamata a raccolta per superare la crisi,

berlusconi e il fantasma di draghi "ma non riusciranno a farmi fuori" - carmelo lopapa claudio tito ( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: vigilia della tanto agognata visita a Washington per incontrare Obama. Numeri della maggioranza blindati, governo compatto, leggi come caterpillar in Parlamento, dunque, non fanno sentire il presidente del Consiglio al riparo, sufficientemente sicuro. Complici, la crisi economica montante - al di là delle rassicurazioni ribadite fino a ieri - e i nuovi risvolti legati al Casoriagate,

la cosa pubblica e la casa privata - corrado augias ( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama vive alla Casa Bianca, Sarkozy e Brown vivono in abitazioni protette. Si dia anche al premier italiano un alloggio sicuro. Non si possono spendere miliardi in case private pagati da tutti noi per i capricci di ogni capo del Governo presente e futuro.

il cavaliere e il suo fantasma - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: incontro con Obama. Solo Berlusconi sa perché dice queste cose, perché solo lui conosce la verità, che non può rivelare in pubblico, della sciagura che lo incalza. Noi osserviamo il dramma di un leader prigioniero di un clima di sconfitta anche quando vince perché da quindici anni non riesce a trasformarsi in uomo di Stato nemmeno dopo aver conquistato per tre volte il favore del Paese.

il colpo di mano del regime di teheran - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ed è quindi con lui che gli iraniani e il resto del mondo, compresa l´America di Barack Obama, incluso l´Israele di Benjamin Netanyahu, avranno a che fare. In sostanza Khamenei ha fatto sapere che nulla è cambiato, poiché lui, la Guida suprema, e i vari interpreti delle leggi islamiche, continueranno a prendere le vere decisioni.

ma genova è anche un suq - enzo costa ( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ma tutte catturate e coinvolte allo stesso modo dalle parole di Gad Lerner, che raccontavano con lucido trasporto la bellezza e l´inevitabilità del meticciato, gli orizzonti spalancati dalla presidenza Obama e l´aria viziata e viziosa dell´Italietta berlusconiana, la fatica e la possibilità della convivenza. SEGUE A PAGINA XIII

"matteo, ci vuole più coraggio: pensa a obama" ( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ci vuole più coraggio: pensa a Obama" Di ritorno da poche ore dalla Germania, Ivano Bertini, professore di chimica all´università di Firenze ha una visione più "internazionale" e, dopo aver letto il forum, rivolge un appello a Matteo Renzi: «Sia più coraggioso, pensi a Obama e al suo discorso sulle energie rinnovabili.

"e' l'ayatollah khamenei a manovrare il regime" - alix van buren ( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: E adesso, come risponderà il presidente americano Obama? riconosce la vittoria di Ahmadinejad, malgrado le denunce di brogli? «Adesso bisogna aspettare che la polvere si posi, capire che cosa farà Moussavi, se cioè chiederà l´annullamento del voto. In queste ore lui sta trattando con Khamenei.

i dubbi di obama: "un voto da controllare" - alberto stabile ( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Esteri I dubbi di Obama: "Un voto da controllare" Le accuse di brogli preoccupano la Casa Bianca. Israele: "Il mondo unito contro la minaccia iraniana" Le reazioni Lieberman: "Il mondo agisca per impedire a Teheran di diventare una potenza nucleare" ALBERTO STABILE dal nostro corrispondente GERUSALEMME - Nessuna sorpresa per le notizie che arrivano da Teheran.

l'ultima sfida della corea "pronti alla guerra con il plutonio" - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la mobilitazione pre-bellica, la ripresa del programma nucleare: un modo per inasprire la morsa dell´ordine nella transizione dei poteri, e forse anche un prezzo da pagare per la fedeltà dell´esercito. In questo clima secondo l´ambasciatrice di Obama all´Onu, Susan Rice, «una nuova provocazione è possibile».

ecco la rivoluzione del low cost alla conquista delle riviste glamour - simone marchetti elisabetta muritti ( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: O l´effetto dello stile low-cost di Michelle Obama? è colpa della crisi economica? O solo moralismo? Il vero imputato, come nel gialli, sembra essere il meno sospetto. Ovvero, il fashion system. «Siamo fortunati ad avere H&M», ci confida Matthew Williamson, ex designer di Emilio Pucci, oggi assoldato dal megabrand svedese.

slow food made in france - licia granello ( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: apprezzato dal presidente Obama durante il recente tour parigino nello storico bistrot "La Fontaine de Mars"), mentre il patron asciuga svelto il banco con l´immancabile torchon di tela grezza, rigorosamente bianco e rosso. @_AR Tondo al VIVO:Assediati dai fast food, svuotati dall´applicazione della legge che vieta il fumo nei locali pubblici (varata nel 1976 e disattesa per oltre trent´

Guerriglia nelle strade di Teheran Gelo degli Usa su Ahmadinejad ( da "Corriere della Sera" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ha detto il portavoce del presidente Obama, Robert Gibbs: «Come il resto del mondo siamo rimasti colpiti dal vigoroso dibattito e dall'entusiasmo generato dalle elezioni in Iran, particolarmente tra i giovani. Continuiamo a monitorare da vicino la situazione, comprese le accuse di irregolarità».

Pipes: ( da "Corriere della Sera" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Sbagliato insistere con la carta diplomatica» Pipes: «Obama deve scegliere accettare l'atomica o bombardare» WASHINGTON Daniel Pipes non ha dubbi. Per il massimo studioso americano dell'Islam, le elezioni in Iran sono la fine dell'ipotesi riformista, uno schiaffo a Obama. L'Iran, sostiene Pipes, non si democratizza, e respinge l'apertura americana.>

E gli israeliani ora rivendicano la loro posizione di intransigenza ( da "Corriere della Sera" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: che se la prende con Obama «questo risultato esplode in faccia a chi pensava che l'Iran fosse disposto al dialogo col mondo libero» e già chiede correzioni alla linea tracciata dal discorso del Cairo: «Gli Usa e il mondo dovrebbero riesaminare la loro politica nei confronti del programma nucleare iraniano».

( da "Corriere della Sera" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente Napolitano ha spiegato che l'elezione di Obama ha portato a «un nuovo corso nella politica estera degli Stati Uniti» ma da parte europea non si può «indulgere a nessun ingenuo miracolismo». Tuttavia si sono aperte «maggiori opportunità per l'Europa di svolgere il proprio ruolo».

Il premier vola a Washington Un'ora di vertice con Obama ( da "Corriere della Sera" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Primo Piano data: 14/06/2009 - pag: 8 Il premier vola a Washington Un'ora di vertice con Obama Domani le delegazioni nello Studio ovale: nessun cambio di programma DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Non è mai cambiato nulla, da quando venne concordato due settimane fa, nel protocollo della visita di Silvio Berlusconi a Washington.

"Vado da Obama bello e abbronzato" ( da "Stampaweb, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: PORTOFINO «Avete qualcosa da dire a Obama? Io vado in Usa bello abbronzato». Così Berlusconi si congeda dai giornalisti lasciando la residenza di Portofino per recarsi all?aeroporto di Genova, dove partirà per Washington. Domani il premier incontrerà il presidente degli Usa alla Casa Bianca.

"Vado da Obama bello e abbronzato" Berlusconi si prepara alla Casa Bianca ( da "Repubblica.it" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: PORTOFINO - "Vado da Obama bello e abbronzato". Berlusconi esce dalla villa a Portofino e viaggia verso l'aeroporto di Genova dove l'attende il volo che lo porterà a Washington, per il primo incontro incontro ufficiale con il presidente Usa. Ha fretta ma non perde l'occasione per lasciare ai cronisti una battuta.

Netanyahu ai palestinesi: "Negoziati subito" Apertura sui due Stati ma a certe condizioni ( da "Repubblica.it" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: idea della pace regionale avanzata dal presidente Barack Obama". OAS_RICH('Middle'); Le condizioni di Netanyahu. "Non possiamo accettare uno stato palestinese armato... un Hamastan - ha proseguito il premier israeliano - Siamo disposti ad accettare uno Stato palestinese smilitarizzato, accanto ad uno Stato ebraico" riconosciuto dai palestinesi.

"Sì a Stato palestinese smilitarizzato" ( da "Stampaweb, La" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama, anche in occasione del suo discorso di riconciliazione con il mondo musulmano pronunciato il 4 giugno al Cairo. In Egitto, il capo dello Stato Usa ha ribadito il principio di «due stati per due popoli» e ha lanciato un appello al congelamento totale delle costruzioni nelle colonie in Cisgiordania,

Netanyahu ai palestinesi: "Negoziati subito Sì al vostro Stato, ma demilitarizzato" ( da "Repubblica.it" del 14-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: idea della pace regionale avanzata dal presidente Barack Obama". OAS_RICH('Middle'); Le condizioni del premier. "Non possiamo accettare uno stato palestinese armato... un Hamastan - ha proseguito il premier israeliano - Siamo disposti ad accettare uno Stato palestinese smilitarizzato, accanto ad uno Stato ebraico" riconosciuto dai palestinesi.

Caroline, il nuovo amore di Harry ( da "Stampa, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Michelle Obama rivista da Narciso Rodriguez (quello del vestito vulcanico, nero e rosso, della notte della vittoria a Chicago). Daniella Henayel ha avuto certamente un buon materiale di base su cui lavorare, visto che la ventisettenne Kate, figlia di un'ex hostess e di un ex pilota di linea diventati milionari grazie a una società che vende via mail gadget e oggettini per i party,

Wall Street, Obama detta le regole ( da "Stampa, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama detta le regole [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK La riforma più ambiziosa dai tempi della Grande Depressione. Così è stato definito dagli esperti il progetto di riordino del sistema di regolamentazione e controllo del settore finanziario che il presidente Barack Obama annuncia mercoledì, con l'obiettivo di evitare il ripetersi di una crisi come quella in atto.

Dietro i nuovi annunci di Obama c'è anche il lavoro delicato che il segretario al Tesoro U... ( da "Stampa, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Dietro i nuovi annunci di Obama c'è anche il lavoro delicato che il segretario al Tesoro Usa Tim Geithner e Mario Draghi stanno facendo insieme. Sulle nuove regole per la finanza occorre coordinare i tempi delle intese internazionali e delle decisioni americane in modo da evitare passi falsi.

Quali scienziati senza latino? Apprendo che il liceo scientifico-tecnologico di imminente ... ( da "Stampa, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: idea di invitare Obama a una scampagnata... sarebbe stata l'occasione per una bella sberla morale al Cavaliere. Ma, se da una parte abbiamo un Re Mida che fa apparire oro anche il piombo, dalla nostra parte abbiamo dei professionisti nelle cause perse. RAIMONDO MADDALENA Il rispetto degli indù per gli animali Interessante il pezzo di Valeria Fraschetti sui cowboy a New Delhi:

Il vicepresidente Biden "Dubbi sul voto in Iran" ( da "Stampa, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama esita a riconoscere la rielezione del presidente Mahmud Ahmadinejad. Dai teleschermi del popolare talk show «Meet the Press» sulla Nbc Biden preannuncia cosa avverrà nei prossimi giorni: «Eviteremo commenti sul risultato fino a quando non avremo esaminato l'intero processo elettorale, solo allora reagiremo».

israele apre ai palestinesi "sì a uno stato demilitarizzato" - gerusalemme ( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Se questa è la risposta del premier israeliano al piano di pace lanciato da Barack Obama, bisogna dire che si tratta di una risposta timida e parziale, dove i "no" espliciti o sottintesi prevalgono sui "sì". Prevedibile la delusione dell´autorità palestinese che ha respinto al mittente l´offerta del premier israeliano. Mai discorso era stato più accuratamente preparato.

"così i falchi del governo hanno truccato le schede a favore del presidente" - (segue dalla prima pagina) bill keller ( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: In lontananza il presidente Obama e altri leader occidentali che avevano sperato che un miglioramento dei rapporti con l´Iran potesse rivelarsi utile a risolvere i problemi in Afghanistan, in Iraq e della proliferazione nucleare, si ritrovano adesso a dover riaffrontare la prospettiva di trattare con un uomo che oltre a negare l´Olocausto,

berlusconi vola da obama continua la crociata anti-giornali - gianluca luzi ( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 6 - Interni Berlusconi vola da Obama continua la crociata anti-giornali Battuta prima di partire: "Ci vado bello abbronzato" Il ministro Bondi e Cicchitto contro ?Repubblica´. "C´è un piano per destabilizzare" GIANLUCA LUZI ROMA - «Avete qualcosa da dire a Obama? Io vado, bello abbronzato.

il premier e l'affondo sul complotto "attenti che riporto l'italia al voto" - claudio tito ( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama chiederà cosa può fare l´Italia per onorare l´alleanza. Naturalmente si parlerà di Afghanistam e della disponibilità di Roma all´ampliamento del suo contingente. Berlusconi intende offrire a Obama questo schema: l´Italia troverà i soldati in più per Kabul grazie alla diminuzione di alcune centinaia di unità (da 300 a 500 su 3000)

"ma se non smantella gli insediamenti il negoziato non porterà a nulla" - alix van buren ( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: non smantella gli insediamenti il negoziato non porterà a nulla" ALIX VAN BUREN «Un rifiuto a Obama? Il discorso del premier Netanyahu non è affatto clamoroso. Lui si barcamena, acquista tempo, stretto com´è fra le pressioni della Casa Bianca e del proprio governo. Netanyahu ha detto una cosa vera: da sessant´anni siamo alle prese con l´inestricabile groviglio israelo-palestinese.

netanyahu: "sì allo stato palestinese" - (segue dalla prima pagina) dal nostro corrispondente ( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: La Casa Bianca: "Passi avanti" Ma dice no a Obama sul blocco delle colonie. Per l´Anp "é un siluro alla pace" Le condizioni di Netanyahu "Sì allo Stato palestinese no al blocco delle colonie" (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Alberto stabile Ma Netanyahu è stato meno coraggioso di Sharon.

franceschini sceglie di candidarsi "basta liti e vecchi giochetti" - umberto rosso ( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: a non lasciare il partito nelle mani di qualcuno che «non mi pare sarà un Obama». Non lascia, allora, semmai raddoppia. Lancia la sua sfida al vecchio che c´è ancora nel Pd. Una decisione presa in queste ore, ma maturata negli ultimi giorni. Dall´indomani del voto europeo, il segretario assiste sconsolato alla bagarre che si è riaccesa sul congresso.

"Così i falchi del governo hanno truccato le schede" ( da "Repubblica.it" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: In lontananza il presidente Obama e altri leader occidentali che avevano sperato che un miglioramento dei rapporti con l'Iran potesse rivelarsi utile a risolvere i problemi in Afghanistan, in Iraq e della proliferazione nucleare, si ritrovano adesso a dover riaffrontare la prospettiva di trattare con un uomo che oltre a negare l'Olocausto,

Il premier e l'affondo sul complotto "Attenti che riporto l'Italia al voto" ( da "Repubblica.it" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama chiederà cosa può fare l'Italia per onorare l'alleanza. Naturalmente si parlerà di Afghanistam e della disponibilità di Roma all'ampliamento del suo contingente. Berlusconi intende offrire a Obama questo schema: l'Italia troverà i soldati in più per Kabul grazie alla diminuzione di alcune centinaia di unità (da 300 a 500 su 3000)

Berlusconi arrivato a Washington oggi l'incontro con Obama ( da "Repubblica.it" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Silvio Berlusconi è giunto nella notte a Washington per incontare nel pomeriggio alla Casa Bianca Barack Obama. Berlusconi presenterà al presidente degli Stati Uniti l'agenda del vertice G8, in programma in luglio all'Aquila. Al'incontro di un'ora parteciperanno anche altri stretti collaboratori del presidente Usa, come il segretario di Stato Hillary Clinton.

Piano italiano per Kabul ( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: La replica: si illude Piano italiano per Kabul Berlusconi incontra Obama, aerei e 500 soldati in più di MARCO GALLUZZO Berlusconi incontra oggi Obama. Garantirà «rinforzi per Kabul» e la disponibilità ad accogliere detenuti di Guantanamo. D'Alema: possibili scosse per il governo, il Pd stia pronto. Replica: s'illude.

Mousavi chiede di annullare il voto in Iran ( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ma la politica della mano tesa di Obama non sembra essere in discussione per i fatti di questi giorni. A. Ni. GUARDA il video da Teheran su www.corriere.it Fazioni A sinistra un sostenitore del candidato moderato Mir Hossein Mousavi picchiato durante le proteste nella capitale iraniana;

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME Obama chiama, Bibi risponde. Ma solo un pochino. E il discorso più annunciato della recente storia israeliana, la risposta di Netanyahu al celebrato speech cairota del presidente americano, non smentisce le anticipazioni degli ultimi giorni. Il premier parla una mezz'ora abbondante.

<È un barlume di speranza E un successo per gli Usa>( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama, l'America è in sintonia non soltanto con l'Europa ma anche con gli islamici moderati. Spero che i palestinesi accedano in fretta al negoziato, e i Paesi arabi vi diano un sostanzioso contributo». È un successo per Obama? «Senz'altro. La sua elezione a presidente e ancora di più la sua decisione di giocare ovunque la carta non della forza ma della diplomazia stanno dando frutti.

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: fra le cose che ha detto Bibi e quelle di Obama, a cui voleva idealmente rispondere. Al di là delle emozioni: il presidente americano ha detto con chiarezza che Israele deve dire stop agli insediamenti, Netanyahu ha detto soltanto che non ne vuole di nuovi. Ma s'è ben guardato dal parlare d'un congelamento di quelli che già ci sono».

Berlusconi a Obama: più impegno su Kabul ( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: anche linguistica, che attiene più al carattere personale che alle relazioni bilaterali: «Volete dire qualcosa ad Obama? Vado lì bello e abbronzato...», ha detto ieri prima di lasciare Genova alla volta di Washington. Marco Galluzzo Londra, 2 aprile 2009 Berlusconi tra Obama e il presidente russo Medvedev

LE ATTESE ( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: stia molto in alto nelle preoccupazioni di Barack Obama e che l'apertura del presidente del Consiglio abbia parecchio intrigato il leader americano. La consegna ufficiale fra gli uomini di Obama è che gli Stati Uniti « value », tengono in alta considerazione il rapporto con l'Italia e che non ci siano divergenze sostanziali di vedute o forti motivi di polemica con Roma,

D'Alema: sul premier Spero l'opposizione sia pronta ( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Certo colpisce non poco che Obama sia venuto due volte in Europa, saltando l'Italia, quando l'Italia è presidente di turno del G8. Una tappa a Roma sarebbe stata obbligata». «Ma di quali scosse sta parlando D'Alema? La sinistra non vuole forse rispettare il voto democratico liberamente espresso dagli elettori?

Dietro l'allarmismo una minoranza smarrita e pronta a tutto ( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: arrivo del presidente del Consiglio negli Stati uniti ed il suo incontro odierno con Barack Obama rischiano così di avvenire su uno sfondo artificiosamente sovraccarico di incognite. Berlusconi rappresenta un governo con una maggioranza solida che ha confermato la sua forza alle elezioni Europee. Le Amministrative si sono risolte in un insuccesso del centrosinistra: almeno per ora.

La Annunziata: il sospetto è che arrivi una crisi ampia Forse con un altro scandalo ( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama, nel volgere di un tempo non lunghissimo, possa risultare ulteriormente danneggiata». Berlusconi parla di «piano eversivo». «D'Alema non crede all'ipotesi del complotto. Con me, in trasmissione, è stato piuttosto chiaro. D'Alema, se posso aggiungere, è anzi più sottile: e dice che quando il Cavaliere parla di complotto,

Maggioranza con il Cavaliere: noi compatti, le trame falliranno ( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: in un clima pesante come mai negli ultimi anni si è respirato nel centrodestra, tutti col fiato sospeso attendono i prossimi appuntamenti: l'incontro oggi con Obama, e poi il G8. E se tutto andrà bene, i suoi fedelissimi non hanno dubbi: «Avremmo passato il guado, e comincerebbe tutta un'altra storia». Paola Di Caro

Ma i insistono: l'effetto serra non c'è ( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dove 114 scienziati di 13 Paesi hanno contestato le affermazioni di Barack Obama sul riscaldamento del clima. Il titolo del manifesto «Con il dovuto rispetto, signor presidente, quanto afferma non è vero» voleva rispondere alla dichiarazione di Obama: «Poche sfide sono più urgenti della lotta ai cambiamenti climatici;

Moda e orti, relazione speciale tra la regina e Michelle Obama ( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Michelle Obama Sboccia l'amicizia di Elisabetta con la first lady Usa DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA Non c'è che dire: Sua Maestà si è presa la cotta per Michelle, first lady Obama. O forse è Michelle che si è presa la cotta per Elisabetta. Fatto sta che fra la regina britannica e la «regina» americana c'è un'affinità davvero speciale che ha travalicato le formalità diplomatiche.

Finanza e regole, la riforma del Tesoro Usa ( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: finanziario di Obama sono esplosi forti contrasti. In particolare, si sono scontrati il capo del «Comptroller of the currency» John Dougan, che è per una regolamentazione elastica, e quello della Fdci, Sheila Bair, favorevole a maggior rigidità. A nome dell'opposizione repubblicana il senatore Spencer Bachus della Commissione finanziaria ha annunciato un piano contrario,

Livrea e guanti bianchi: la Loggia arruola gli stagisti ( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Adriano Paroli non è Obama, ma il cerimoniale della Loggia è stato studiato a memoria nei minimi dettagli per evitare errori e incertezze. «Perché fare i commessi in Comune comporta una grande responsabilità», dicono orgogliosi gli studenti dell'istituto turistico Golgi che da questa mattina indosseranno livrea e guanti per accogliere i cittadini in visita ai saloni dell'

Oggi, vertice tra Berlusconi e Obama Focus su G8 e politica internazionale ( da "Stampaweb, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: oggi sarà alla Casa Bianca per il suo primo bilaterale con il presidente americano Barack Obama. L'incontro, che durerà un'ora circa, avrà inizio alle 16 ora locale (le 22 in Italia) e sarà sin dall`inizio allargato alle delegazioni. Successivamente il presidente del Consiglio incontrerà al Congresso americano la speaker, Nancy Pelosi.

"A cena con Silvio parlando di Gheddafi" ( da "Stampaweb, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: incontro che il premier avrà con Obama? «Non molto, si è limitato a dire che è presto perché ci possa essere un rapporto di amicizia con il nuovo presidente Usa, ma che è fiducioso sulla possibilità che nasca un?intesa. In realtà abbiamo parlato soprattutto di Gheddafi, di come valutavamo la visita in Italia».

La regina pianta il suo orto ispirata da Michelle ( da "Stampaweb, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: nuova amicizia con Michelle Obama non dev'essere del tutto estranea alla svolta verde della regina. Racconta il «Daily Telegraph» che dal G20 di Londra le due donne non hanno più smesso di scriversi e telefonarsi. Al punto che mercoledì, giorno di festeggiamenti ufficiali per gli 83 anni già compiuti di Elisabetta II e compleanno della minore delle figlie del presidente americano,

Israele apre ai palestinesi "Sì a uno Stato demilitarizzato" ( da "Repubblica.it" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Se questa è la risposta del premier israeliano al piano di pace lanciato da Barack Obama, bisogna dire che si tratta di una risposta timida e parziale, dove i "no" espliciti o sottintesi prevalgono sui "sì". Prevedibile la delusione dell'autorità palestinese che ha respinto al mittente l'offerta del premier israeliano. Mai discorso era stato più accuratamente preparato.

La Bbc lancia l'appello: "Oh no, Silvio!" Allarme gaffe sulla trasferta negli Usa ( da "Repubblica.it" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ricorda la doppia gaffe del Cavaliere sul colore della pelle di Obama. La prima risale al novembre scorso, quando il capo del governo italiano definì il neopresidente Usa "giovane, bello e abbronzato". Con conseguenti polemiche in mezzo mondo, e con decine di lettere di scuse inviate dai nostri concittadini al New York Times, imbarazzati dal siscutibile modo di scherzare del premier.

Al via il vertice Obama-Berlusconi ( da "Stampaweb, La" del 15-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: WASHINGTON Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è giunto alla Casa Bianca per il colloquio a delegazioni allargate con il presidente americano, Barack Obama. Il bilaterale, il primo tra i due, dovrebbe durare poco più di un?ora: al centro i temi del G8 e la politica internazionale.

Berlusconi apre su Guantanamo L'Italia accoglierà tre ex-detenuti ( da "Stampaweb, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Italia si prenda carico di alcuni prigionieri islamici che verranno liberati tra breve? Siamo pronti, prontissimi. E se Obama gli dovesse rimproverare «aperture eccessive» dell?Italia all?Iran, Berlusconi ha già la risposta pronta: «Io, caro Obama, ho paragonato Ahmadinejad a un novello Hitler». Più di così...

Dollari e terroristi per creare un nuovo governo islamico ( da "Stampa, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ed è diventato un problema per Obama, lo Yemen: la metà dei detenuti di Guantanamo, che il presidente americano vuole chiudere, sono infatti yemeniti, o è in Yemen che finiscono. E non certo per godersi la pensione. Dell'ultimo, orrendo delitto non c'è rivendicazione, e magari non saranno stati - come sostengono - gli sciiti di derivazione zaidista,

Alcune domande su Ahmadinejad Leggendo le dichiarazioni del leader iraniano Mahmud Ahmadin... ( da "Stampa, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Come possono avere rispetto di un governante che di rispetto dimostra di non averne, anche nei confronti di Barack Obama, dell'Onu, della Nato o di chicchessia? Che credibilità possono dare a un uomo che mette a tacere tutti coloro che non si allineano alle sue posizioni? Poi il mio pensiero è andato agli ultimi risultati elettorali in Italia... E ho smesso di pormi domande.

Bryant si infila l'anello "Finalmente senza Shaq" ( da "Stampa, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Tra i suoi ammiratori, Kobe può annoverare anche il presidente Obama, che lo considera il «miglior cestista al mondo» e aveva previsto il suo successo, così come qualche mese fa aveva azzeccato le finaliste del torneo Ncaa tra le squadre universitarie. Bryant si è tolto anche qualche sassolino dalla scarpa.

berlusconi a obama: noi e gli usa sempre alleati ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Prima Pagina Berlusconi a Obama: noi e gli Usa sempre alleati WASHINGTON - Primo incontro bilaterale tra il presidente Usa, Barack Obama, e il premier Silvio Berlusconi, ricevuto nello studio ovale della Casa Bianca. Il Cavaliere: «Sono qui per ascoltare e dare consigli sul G8, con o senza Bush Italia e Stati Uniti sempre alleati».

la diplomazia del caffè - washington ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina La diplomazia del caffè WASHINGTON è triste dirlo, ma l´agognata udienza di Silvio Berlusconi da Barack Obama è andata bene perchè non è accaduto nulla che possa crearci imbarazzi. SEGUE A PAGINA

berlusconi alla casa bianca "obama o bush, sempre alleati" - caludio tito ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Non fa differenza se alla Casa Bianca c´è George Bush o Barack Obama». Per Silvio Berlusconi è stata la prima volta. Non alla Casa Bianca. Ma con il nuovo presidente americano. Ieri dunque c´è stato l´incontro tanto atteso dal Cavaliere. Obama l´ha ricevuto nel pomeriggio per poco più di un´ora. Niente pranzo di lavoro, solo un caffè.

e l'italia ora spera di piazzare gli elicotteri - luca iezzi ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama E l´Italia ora spera di piazzare gli elicotteri LUCA IEZZI ROMA - «è il primo incontro tra Obama e Berlusconi. Avranno molte cose da discutere, la crisi economica, l´Iran, l´Afghanistan e il G8. Ma credo un accenno all´elicottero verrà fatto» Pierfrancesco Guarguaglini, ad di Finmeccanica, sapeva che il dossier da 13 miliardi di euro sulla flotta di elicotteri presidenziali

un caffè di routine senza fanfare archivia i giorni dell'imbarazzo - (segue dalla prima pagina) vittorio zucconi ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama! Mister Obama!» e delle desolanti battute sull´abbronzatura. L´inaudito scarto di tempo fra l´annuncio prematuro e frettoloso dell´agognata udienza da Obama fatto a Roma e la recalcitrante conferma dalla Casa Bianca, ritardata per non cadere nella trappola della campagna elettorale italiana, aveva detto molto sulla diffidenza che questa amministrazione nutre nei confronti del

la bbc fa gli scongiuri "speriamo niente gaffe" ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: incontro Obama-Berlusconi, la Bbc. Alla missione Oltreoceano del Cavaliere, la sezione Europe del sito della tv britannica ha dedicato un articolo sarcastico dal titolo «Oh no, Silvio!». Dopo aver ricordato quando il presidente del Consiglio italiano definì Obama «giovane, bello e abbronzato», e rievocato il rimprovero subito dalla regina Elisabetta al G20,

il think thank liberal di washington "sarete molto utili su iran e russia" - arturo zampaglione ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: l´incontro Obama-Berlusconi dimostra due cose: 1) l´approccio iper-realista in politica estera della Casa Bianca, che mette in secondo piano le questioni personali; 2) il ruolo cruciale che la diplomazia italiana potrebbe avere, agli occhi degli Stati Uniti, su alcuni dossier caldi come la Russia e l´Iran.

il muro dei pasdaran - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: di Barack Obama. A sentirsi minacciate sono tutte le forze militari e paramilitari, e con loro la non tanto invisibile ragnatela dei servizi segreti, che Ahmadinejad ha colmato di poteri e privilegi, compresi quelli economici. Poteri e privilegi destinati ad essere ridimensionati dalle riforme promesse da Moussavi e dall´apertura verso il mondo esterno,

"io, il super-cattivo salvato da olmi" - maria pia fusco roma ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Al contrario di Obama, direi "Yes, we can´t». Pur lavorando in tutto il mondo «la mia casa è sempre stata l´Olanda, ho comprato un pezzo di terra, mi piace vivere in campagna». L´Olanda ricambia l´amore: «Nel '95 è stato emesso un francobollo con la mia immagine, un privilegio raro.

porchietto, c'è profumo di vittoria pd: "senza soldi ma ce la faremo" - sara strippoli ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: solo alla conclusione del suo viaggio in Usa per incontrare Obama». Intanto però la Lega garantisce che Bossi è già allertato: se verrà il Cavaliere a Torino ci sarà anche lui a fianco di Porchietto. Che intanto ha scelto per gli ultimi giorni di esasperare i toni antipolitici per garantirsi l´elettorato di protesta della Lega.

"la mia città è diventata europea e per questo ringrazio michele" - giuliano foschini ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: In questo senso seguono la lezione di Obama che ha detto che non bisogna combattere i repubblicani ma portarli dalla nostra parte». L´assessore regionale del Partito democratico, Guglielmo Minervini, ha visto nel presidente Vendola l´Obama italiano. "Nichi, un mio amico, è un ottimo uomo politico e un eccellente presidente della Regione.

Obama-Berlusconi, clima d'amicizia ( da "Stampaweb, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: caro presidente Obama, come vogliamo organizzare i tre giorni del prossimo G8 a L'Aquila? Berlusconi ha sottoposto a Obama l'agenda dei lavori, ricevendone disco verde. Mettere in sicurezza il summit è obiettivo vitale per il premier, già reduce da brutte esperienze a Napoli nel '94 (avviso di garanzia e conseguenti dimissioni),

dietro ahmadinejad, i grandi vecchi è lo scontro per il futuro della rivoluzione - bill keller michael slackman ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Amministrazione Obama, Ahmadinejad ha anche lasciato intendere che la sua disponibilità a riconciliarsi con governi stranieri dipenderà dalla loro disponibilità a ingoiare la sua contestata elezione. Alla domande se nel suo secondo mandato avrebbe adottato una linea più moderata, ha risposto con un sorrisetto: «Non è così.

israele, i coloni sfidano netanyahu ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Netanyahu è riuscito a smussare i forti contrasti emersi con Barack Obama senza perdere per strada la coalizione che lo sostiene. Una coalizione in cui l´estrema destra, ultra nazionalista e messianica, sembra tuttavia in grado in qualsiasi momento di stringere il premier all´angolo. Tolto l´apprezzamento venuto da Washington, secondo cui il discorso all´Università Bar Ilan rappresenta «

la gran bretagna è ottimista "già fuori dalla crisi" ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama presenterà domani le proposte di riforma del sistema finanziario e dei suoi meccanismi di controllo. Alla vigilia dell´appuntamento i due maggiori collaboratori del presidente per l´economia, il ministro del Tesoro Tim Geithner e il consigliere Larry Summers, hanno pubblicato un articolo sul Washington Post illustrando alcuni cambiamenti per evitare nuove crisi:

Obama-Berlusconi, intesa al vertice ( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Silvio mi piace personalmente Obama-Berlusconi, intesa al vertice L'Italia accetta 3 detenuti da Guantánamo. Rinforzi per Kabul Silvio Berlusconi incontra il presidente Obama per due ore nello Studio Ovale. Un colloquio più lungo del previsto. Con il premier italiano, Barack Obama non è espansivo come il suo predecessore, ma lo saluta con un «bello vederti,

Un milione in piazza a Teheran Spari sulla folla, un morto ( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama «turbato»: evitare un massacro DA UNO DEI NOSTRI INVIATI TEHERAN Forse è così che cominciano le rivoluzioni. Quello che è successo ieri a Teheran non ha niente a che fare con le rivolte universitarie di dieci anni fa. E' qualcosa di molto, molto più grande.

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: insegna del «no drama Obama » che è la cifra sobria e fattuale del nuovo inquilino della Casa Bianca. Al premier italiano, Barack Obama dedica il protocollo e l'attenzione, che spettano a un alleato fedele e per diversi aspetti importante. Non si allarga come il suo predecessore, ma lo saluta con un «bello vederti amico mio»,>

Il Bbc: attento alle gaffe ( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: autore Stephen Mulvey riporta le parole pronunciate dal premier domenica, prima di imbarcarsi per Washington («Vado lì bello e abbronzato...») e ricorda la «gag» di Berlusconi dopo l'elezione di Obama, quando lo definì «giovane, bello e abbronzato». Così si chiede ironico: «In Italia c'è un qualche timore che il premier possa offendere il suo ospite a Washington?».

E' indicativo ( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Nota di Massimo Franco Intesa fondata su concessioni molto concrete E' indicativo che la prima notizia data da Barack Obama dopo il suo colloquio con Silvio Berlusconi, riguardi il trasferimento in Italia di tre tunisini detenuti nel carcere militare di Guantanamo, a Cuba. Per il presidente degli Stati Uniti, è una decisione che gli risolve un enorme problema pratico e di immagine.

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Risponde così ai complimenti di Obama: «Sono legato a un giuramento di riconoscenza verso gli Stati Uniti, che ci hanno dato la libertà. Se avrò con Obama lo stesso rapporto diretto che ho avuto con Clinton e con Bush saranno i fatti a dirlo, io lo spero e ne sarei più che felice».

Maroni e i presunti terroristi: sarebbe meglio non accoglierli ( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il presidente Usa Barack Obama al termine dell'incontro con il premier Silvio Berlusconi. Potrebbe trattarsi di cittadini di nazionalità tunisina. Le richieste dell'amministrazione americana, dopo la decisione di Obama di chiudere nel gennaio 2010 la base-prigione cubana, saranno considerate dal nostro governo caso per caso, così come aveva già annunciato il ministro degli Esteri,

Quelle della polizia italiana ( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Con la loro liberazione il presidente Obama ha compiuto il primo passo su un sentiero difficile che dovrebbe portare alla chiusura del campo di prigionia. La questione ruota attorno al destino degli ultimi 220 «ospiti », presunti e veri terroristi di Al Qaeda. L'Unione Europea si è appena detta disposta ad accoglierne alcune decine e in Italia potrebbero arrivarne tre,

Guarguaglini: Usa centrali ma puntiamo su nuovi mercati ( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama e, secondo Guarguaglini, «un accenno» all'elicottero presidenziale il cui programma firmato da Finmeccanica e Lockheed Martin, è stato annullato dopo la consegna di solo 9 esemplari, «verrà fatto». La notizia che il principale concorrente, l'americana Sikorsky, abbia scritto alla Lockeed per subentrare a Agusta Westland (

kobe s'è preso l'nba ora cerca un rivale vero - walter fuochi ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: di Obama. Applaude anche Shaquille WALTER FUOCHI PUO´ essere il quarto titolo, e non il primo, quello che non si scorda mai, se lo senti finalmente come tuo, vinto da assoluto signore e sovrano. Così dev´esserselo goduto Kobe Bryant, alzando nella notte della Florida, dopo la finale vinta su Orlando, il quindicesimo trofeo Nba dei Los Angeles Lakers (

i timori del premier blindato in hotel - francesco bei ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: incontro chiave con Obama, Silvio Berlusconi non ha smesso di tenere gli occhi puntati sull´Italia. Specie dopo l´uscita di Massimo D´Alema, che è stata analizzata al microscopio dagli uomini del Cavaliere. E così, ancora ieri, nelle sue telefonate con Roma e nei discorsi con lo staff, il presidente del Consiglio ha continuato ad arrovellarsi su quella frase sibillina di D´

lezioni di fisica per i presidenti - marco cattaneo mario desiati ( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Cultura Lo scienziato Richard Muller ha scritto un saggio per Obama (e per tutti i politici) LEZIONI DI FISICA PER I PRESIDENTI Cinque gli argomenti chiave: l´energia, il nucleare civile e militare, lo spazio, il riscaldamento globale, il terrorismo MARCO CATTANEO MARIO DESIATI vete idea di come funzioni una centrale nucleare, e di come si possa trattare il problema delle scorie?

ll muro dei pasdaran ( da "Repubblica.it" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: di Barack Obama. OAS_RICH('Middle'); A sentirsi minacciate sono tutte le forze militari e paramilitari, e con loro la non tanto invisibile ragnatela dei servizi segreti, che Ahmadinejad ha colmato di poteri e privilegi, compresi quelli economici. Poteri e privilegi destinati ad essere ridimensionati dalle riforme promesse da Moussavi e dall'

I timori del premier blindato in hotel "Ma cosa voleva dire D'Alema?" ( da "Repubblica.it" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: incontro chiave con Obama, Silvio Berlusconi non ha smesso di tenere gli occhi puntati sull'Italia. Specie dopo l'uscita di Massimo D'Alema, che è stata analizzata al microscopio dagli uomini del Cavaliere. E così, ancora ieri, nelle sue telefonate con Roma e nei discorsi con lo staff, il presidente del Consiglio ha continuato ad arrovellarsi su quella frase sibillina di D'

Da Guantanamo in arrivo tre tunisini La Russa: "A Kabul 200 carabinieri" ( da "Stampaweb, La" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: accordo tra il presidente americano Barak Obama e il premier Silvio Berlusconi. Secondo quanto si apprende i nomi dei tre sono già stati individuati anche se per il loro arrivo «ci vorrà tempo»: si tratterebbe di Riadh Nasri, Moez Fezzani e Abdul bin Mohammed bin Ourgy. Nasri e Fezzani furono destinatari di un?

Iran, la protesta continua "Verifica parziale dei voti" ( da "Repubblica.it" del 16-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama: "Rispondere al popolo". Il mondo intero è preoccupato per la situazione in Iran: l'ipotesi di ricontare i voti è un segno di timida distensione in un clima incandescente. Il presidente americano Barack Obama, si dice "turbato" per gli avvenimenti in Iran e, pur ribadendo che non interferirà, auspica "che il popolo iraniano riesca ad esprimere la sua voce e la sua aspirazione"

Che cosa lega elettori e Cavaliere Nel bell'articolo di Rusconi (La Stampa, 1... ( da "Stampa, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Si vedano le immagini televisive dell'incontro del Cavaliere con Obama e, in particolare, l'impaccio, timoroso, quasi querulo, con cui auspica che con Obama possa rinnovarsi sul piano personale la consonanza umana stabilitasi con Bush. Quale abissale differenza con l'arrogante sicurezza che di norma egli manifesta!

Scolari scrivono a Michelle Obama "Anche noi abbiamo l'orto biologico" ( da "Stampa, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: I BIMBI DELLA SARACCO Scolari scrivono a Michelle Obama "Anche noi abbiamo l'orto biologico" Gli alunni della elementare Saracco di via XX Settembre hanno scritto a Michelle Obama, moglie del Presidente degli Stati Uniti, per raccontarle la propria esperienza a riguardo del loro orto che ormai da tre anni coltivano con ottimi risultati.

Marcello Coppo ( da "Stampa, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ma ve lo immaginate Obama che va in televisione a dire che non potrà fare una grande riforma perché un alleato di governo minaccia di farlo cadere? Oggi la politica perde gran parte del tempo nelle beghe interne alla coalizione, piuttosto che occuparsi dei problemi del paese e l'opposizione si frantuma nel tentativo reciproco dei partiti di rubarsi a vicenda qualche voto.

ALLE PRESE CON LA COREA DEL NORD ( da "Stampa, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama ALLE PRESE CON LA COREA DEL NORD Washington Il presidente Usa ha incontrato il collega sudcoreano Lee Myung-bak per parlare del nucleare di Pyongyang.

Le pressioni di Ue e Usa È intervenuto il presidente Obama: La voce del popolo andrebb... ( da "Stampa, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Le pressioni di Ue e Usa È intervenuto il presidente Obama: «La voce del popolo andrebbe ascoltata, non repressa». Teheran ha accusato l'Unione Europea di «ingerenze».

"Ogni ora che passa la protesta popolare ha sempre più chance" ( da "Stampa, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Questa crisi rappresenta un banco di prova per Obama? «Indubbiamente. Fa bene a non intromettersi nelle vicende iraniane. Ma quello che succede è un risultato dello "Spirito di Obama", del "Fattore Obama": ossia dell'aver scelto quel modo specifico di rivolgersi agli iraniani, senza toni da confronto, creando in loro una voglia di dialogo con gli Usa».

"L'impero Usa è in declino" ( da "Stampa, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: OBAMA E I RIVALI IRANIANI Retroscena Mentre Pyongyang rivendica il diritto alla bomba atomica "L'impero Usa è in declino" «Tra i due differenze minime Entrambi vogliono guidare un regime che ci è ostile» Ahmadinejad vola in Russia e attacca: "I capitalisti sono in ritirata" MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Teheran e Pyongyang coordinano le mosse per tenere sotto pressione

Il ritorno di Silvio sedotto da Obama deluso da D'Alema ( da "Stampa, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il ritorno di Silvio sedotto da Obama deluso da D'Alema Sfogo dopo il rientro: «Massimo rovista nel torbido, tocca cancellare anche lui» L'Italia sarebbe disponibile ad accogliere fino a 5 detenuti in arrivo da Guantanamo [FIRMA]AMEDEO LA MATTINA ROMA «L'incontro con Obama ha avuto un risultato ancora più positivo di quello che mi aspettavo.

iran spaccato, mega-raduni a teheran l'ayatollah: "sì al riconteggio dei voti" - vanna vannuccini ( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: limits ai media stranieri Il presidente Obama: "Sono preoccupato ma non posso interferire" Moussavi: "Fermate il bagno di sangue" ma i sostenitori continuano a sfidare il regime VANNA VANNUCCINI Le proteste non si fermano a Teheran, mentre circolano notizie che le vittime della grande manifestazione di lunedì siano molto di più di quelle rese note dalla radio iraniana,

casa bianca e della bianca - enzo costa ( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Genova CASA BIANCA E DELLA BIANCA ENZO COSTA Giorni fa, ascoltando il meraviglioso discorso di Obama al Cairo, ero disturbato da strane interferenze. Il Presidente Usa, malgrado (meglio, per guarire) la ferita dell´11 settembre, rimarcava le tante moschee sparse per gli Stati Uniti, ma ecco quei rumori di fondo farsi nitidi: "No agli islamici!

da lapo a bobby l'eleganza si abbina con l'arcobaleno ( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Nello stand Jaggy c´è il rampollo Kennedy, il giovane Bobby nipote di Bob, mostra la foto di Obama sul portafoglio e dice che la crisi è nata per colpa di Bush. Che Starck definisce «l´ultimo esempio di quell´imbecillità maschile che crede di risolvere tutto a colpi di boxe». (i.c.)

teatro gremito per emiliano "dobbiamo guardare avanti" - paolo russo ( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: strada tra la campagna elettorale di Obama e le passerelle di Berlusconi, è il contrasto tra la legalità del centrosinistra e i metodi mafiosi degli avversari. "Mentre le persone morivano sparate per strada tu non hai pronunciato una sola volta la parola mafia e allora stai zitto adesso - ha mandato a dire Emiliano al suo sfidante - perchè qui c´è gente che la lotta alla mafia l´

undici dee nude la spiaggia di bahia e il mago del clic - laura laurenzi ( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: tra i primi a ritrarre Barack Obama («una star, un divo, un uomo dall´enorme carisma») durante la corsa alle primarie, Richardson è un fanatico del realismo esasperato, del dettaglio esplicito, della provocazione. E dunque un nemico giurato dei filtri, dell´abbellimento e dell´artificio in fase di post-produzione.

il premier: dagli usa torno da vincitore obama condivide la nostra politica - gianluca luzi ( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Con Obama c´è perfetta sintonia, l´Italia ne guadagna in prestigio e credibilità». A Ciampino incontra Tremonti, Calderoli e La Russa che arrivavano da Milano. Dieci minuti per raccontare i risultati del bilaterale: «Sono entusiasta, Obama ha un grande carisma, ha capito che la nostra politica è assolutamente limpida».

guantanamo, sì ai detenuti ma solo se in cella - carlo bonini ( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: I prossimi mesi diranno (Obama ha annunciato la chiusura di Guantanamo fine anno). L´opposizione, intanto, attacca con il segretario del Pd Franceschini: «Nella maggioranza esistono crepe eccome. Il presidente del Consiglio assume un impegno. Il ministro dell´Interno dice il contrario».

Il ritorno di Silvio sedotto da Obama deluso da D'Alema ( da "Stampaweb, La" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: racconta che Obama non si è espresso ma ha «assentito» con un cenno del capo. Obama ha poi chiesto a Berlusconi di spendersi sulla necessità di tenere stretta la Turchia all?Occidente. E Berlusconi ha risposto di essere totalmente d?accordo. Quanto all?Afghanistan, i diplomatici italiani hanno suggerito al nostro premier di non sbilanciarsi troppo sul numero dei carabinieri da mandare:

P oche ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Nel primo faccia a faccia tra Barack Obama e Silvio Berlusconi, quello che contava non era la «passerella»: era molto più importante riannodare i fili del dialogo in un clima di fiducia e rispetto, sgombrando il campo da equivoci e gaffe che in questa nuova stagione politica Usa avevano fatto finire i rapporti tra Roma e Washington su un piano inclinato.

Il premier soddisfatto per l'asse con Obama: ma temo altri attacchi ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: asse con Obama: ma temo altri attacchi Lo sfogo con i suoi: vogliono delegittimarmi ROMA Ai cronisti risponde solo con un sorriso e annuendo con la testa alla domanda su come sia andato il suo incontro con Obama. Ma con il suo staff, con i ministri Tremonti, La Russa e Calderoli che ha incontrato a Ciampino e con i leader stranieri con cui ha parlato nel pomeriggio,

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: incontro di Berlusconi con Obama «perfettamente riuscito», secondo il titolare di via XX settembre. Dopo che il presidente americano ha inserito i «global legal standard» tra gli obiettivi da raggiungere, Tremonti è parso compiaciuto: d'altronde è la prima volta che un governo italiano impone un tema nell'agenda dei Grandi della Terra.

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: esattamente la sera dell'elezione di Barack Obama». Vuol dire che la notte delle presidenziali degli Stati Uniti lei era con Berlusconi? «Sì. Nessuno potrà smentirmi. Ci sono i biglietti aerei. Anche quella volta sono stata in un albergo, il Valadier. Con me c'erano altre due ragazze. Una la conoscevo bene.

Iran: sì al riconteggio, no a un nuovo voto ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama: «Ahmadinejad o Mousavi? Poche differenze» DA UNO DEI NOSTRI INVIATI TEHERAN Le manifestazioni spuntano veloci in questi giorni a Teheran. Manifestazioni autorizzate e proibite. La gente esce prima dall'ufficio, lascia casa e chiede: dove si va?>

Da Guantánamo all'Italia forse più di tre prigionieri ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: questo quello che il premier Silvio Berlusconi ha promesso al Presidente Obama, in relazione ai detenuti di Guantánamo, secondo quanto ha riferito il ministro degli Esteri Franco Frattini. «Ma non so ha detto Frattini se saranno tre, se sarà un numero diverso da tre. Aspettiamo la richiesta degli Stati Uniti». Insomma potrebbero essere anche di più.

Gaza, Carter sfugge a un attentato ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Lo trattano da Obama, ma è solo Jimmy Carter. Venuto a incontrare Ismail Haniyeh, il capo di Hamas che per l'occasione sbuca dai sotterranei. Venuto a capire se si può trattare, e come, con un'organizzazione che gli Stati Uniti tengono sulla lista nera degl'intrattabili.

Nasce il dandy ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: portafoglio con santino Obama appiccicato: «Tutta la mia famiglia ha una foto sua con sé, nonna Ethel fu la prima a credere in lui». E con Jaggy perché «eleganza, giovane e moderna e fresca dice abbracciando giacche e accarezzando jeans e parlando un bel italiano . Ho studiato a Bologna e ora girerò un film che parla dell'Italia (abiti Jaggy naturalmente,

Natura selvaggia e sensualità, il Brasile sexy di 2010 ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: fotografo che gioca con il porno ma che ha immortalato il primo Barack Obama, quando il presidente degli Stati Uniti era solo un candidato. «Ci sarà più nudo sì, e anche qualche vestito. Obama? Un uomo che quando entra in una stanza la illumina». Ragazze stupende, giovani e magrissime: «Direi che sono semplicemente diverse, alte, magre, voluttuose, sexy, con le curve, senza curve.

Ostacoli rimossi rapporto più saldo ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ha ottenuto l'apertura di credito di Obama che era il suo obiettivo primario. Ed ha capito che gli sgambetti internazionali temuti da qualcuno nel suo entourage, se mai ci saranno, non verranno dal partner americano. Palcoscenico e riflettori li avrà fra tre settimane a L'Aquila, dove sarà il padrone di casa del G 8.

<G ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: presidente Obama. Ma il linguaggio dei complottisti sembra ricalcato sugli stilemi classici del cospirazionismo di sinistra. Ci mancano solo gli «spezzoni deviati», i «poteri occulti», il «doppio Stato», i «mandanti a volto coperto». E si evoca il fantasma dei «servizi segreti» (infedeli) nell'attività di un fotografo che per anni ha potuto scattare un numero elevatissimo di immagini all'

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Anche Obama è un lettore di romanzi, per fortuna, ma il tipo è diversissimo da JFK: idee kennediane ma altro stile. Obama è intelligente e cauto, un giocatore di scacchi carismatico. Un Bill Clinton per bene, un Clinton senza scandali, padre di famiglia».

Commedia in crisi a Hollywood? Arriva Brüno, gay provocatore ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama style; com'è il look del french guy Sarkozy...». Per Brüno, i leader mondiali del «best dressed» sono JFK, Obama, Castro e Timberlake. A sua difesa però, quando ancora era lontano il lancio del film, Sacha aveva spiegato il senso di Brüno: «Ho sempre ammirato Peter Sellers e Andy Warhol e mi interessa raccontare come vive in America il rappresentante di una minoranza che si

Corea, le due giornaliste Usa ( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama e sudcoreano Lee Myung-bak il regime di Kim Jong-il ha fatto sapere che le giornaliste Usa condannate a 12 anni di lavori forzati «hanno ammesso le loro colpe». Euna Lee e Laura Ling avrebbero confessato di aver varcato la frontiera fluviale che separa la Cina dalla Corea del Nord con l'intento «criminale» di «isolare e soffocare il sistema socialista della Repubblica Democratica


Articoli

Presidenziali Iran, scontro sui risultati Tensione in strada a Teheran, tafferugli (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

TEHERAN - Affluenza massiccia, senza precedenti, e lunghe code alle urne per le elezioni presidenziali di oggi in Iran. Tanto che la chiusura dei seggi è stata più volte rinviata. E le operazioni di voto non si erano ancora concluse quando il candidato moderato Mir Hossein Moussavi ha rivendicato la vittoria al primo turno sul presidente uscente, l'ultraconservatore Mahmud Ahmadinejad: "Secondo le informazioni ricevute dalle province e da Teheran sono il vincitore delle elezioni con un sostanziale margine", ha detto l'ex premier in una conferenza stampa a Teheran, aggiungendo che molti elettori "non hanno potuto votare nonostante il prolungamento di 4 ore dell'orario di chiusura dei seggi". Poco dopo la replica di Ahmadinejad, affidata all'agenzia ufficiale Irna che ha dato notizia della vittoria del presidente uscente. Intanto lo scrutinio prosegue: in serata, con quasi per cento dei voti contati, il ministero dell'interno ha reso noto che il presidente uscente Ahmadinejad è in testa con il 67 per cento dei consensi, seguito da Mir Hossein Moussavi con il 30 per cento. Tensione a Teheran. Gruppi di sostenitori del candidato moderato Hossein Mussavi si sono scontrati stasera con la polizia in una piazza di Teheran, stando ad alcuni testimoni. Gli incidenti sono avvenuti poco dopo l'annuncio dei risultati parziali delle presidenziali di oggi. La polizia è intervenuta per allontanare i sostenitori di Mussavi che, sulla piazza, scandivano slogan a favore del loro beniamimo. Le autorità di pubblica sicurezza hanno vietato qualsiasi assembramento fino a quando non saranno stati proclamati i risultati ufficiali della consultazione. OAS_RICH('Middle'); Secondo l'agenzia ufficiale Irna, tuttavia, gruppi di simpatizzanti di Ahmadinejad stanno già festeggiando per le strade della capitale iraniana. Affluenza record. Fin dalle prime ore, lunghe file di uomini e donne di ogni età ed estrazione sociale si sono formate, sotto il sole, davanti alle scuole e alla moschee dove si vota. Secondo le stime del ministero dell'Interno, a fine giornata (la chiusura dei seggi è stata più volte rinviata per smaltire le file) l'affluenza potrebbe attestarsi oltre il 70%, avvicindandosi al record dell'80% di votanti registrato nel 1997, quando il riformista Mohammad Khatami trionfò nelle presidenziali. E proprio ricordando questo precedente, gli analisti avevano pronosticato che l'alta partecipazione avrebbe favorito il moderato Moussavi, già alla vigilia il più accreditato sfidante dell'ultraconservatore Ahmadinejad. Nelle elezioni degli ultimi 12 anni, infatti, il successo di riformisti e moderati è sempre stato direttamente proporzionale all'affluenza alle urne. Gli schieramenti. Dopo una campagna elettorale segnata da tensioni e attacchi anche personali fra i candidati, oggi la Guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, dopo aver deposto la sua scheda nell'urna, ha fatto appello alla popolazione perché "dia prova di calma e impedisca che si creino problemi nei seggi". Dal canto suo Ahmadinejad, che ha aspettato in coda 40 minuti con gli altri elettori, si è detto certo che il popolo farà una scelta "chiara, ferma e rivoluzionaria". Moussavi ha invece lamentato che ai suoi rappresentanti non è stato consentito di assistere alle operazioni di voto in alcuni seggi e ha chiesto alle autorità preposte di "sorvegliare bene le urne". Un accenno ai timori di brogli più volte espressi negli ultimi giorni dai suoi sostenitori. I risultati ufficiali sono attesi nelle 24 ore successive la chiusura dei seggi. Se nessuno dei candidati ottiene il 50 per cento più uno dei voti, è previsto un secondo turno per il 19 giugno. In caso di sconfitta Ahmadinejad sarà il primo presidente uscente a non essere rieletto. I sondaggi condotti prima del voto indicavano una lotta a due tra il presidente in carica (sostenuto non senza perplessità da Khamenei) e Moussavi (che dalla sua ha altri ayatollah e l'altra figura chiave negli equilibri politici del paese, l'ex presidente Rafsanjani). Apparivano deboli le chance di un'affermazione degli altri due candidati: l'ex presidente del Parlamento Mehdi Karroubi e l'ex capo storico dei pasdaran Mohsen Rezai. Giallo sms. La giornata è stata caratterizzata anche dal misterioso blocco dei messaggi di testo sui telefonini. Moussavi ha accusato il provider telefonico iraniano (statale) di bloccare volutamente le comunicazioni. "Hanno chiuso gli sms. E' contro la legge. Non siamo in una situazione di emergenza. E' una situazione bellissima con un'ampia partecipazione di tutti e senza nessun rischio per la sicurezza. Nessuno deve temere il libero flusso delle informazioni", ha detto il candidato riformista al seggio dove ha votato. Gli sms sono un sistema di comunicazione molto usato in Iran, particolarmente fra i giovani che costituiscono il principale bacino elettorale dei riformatori. Obama. Il presidente Usa ha commentato positivamente le notizie sull'affluenza massiccia alle urne. "Siamo contenti di vedere che in Iran ci sia ciò che appare come un forte dibattito. Pensiamo che un cambiamento nei rapporti con gli Stati Uniti sia possibile, le elezioni per gli iraniani rappresentano un'opportunità di decidere". E ha aggiunto: "Non è importante chi vincerà, già il clima che si è creato in campagna elettorale significa molto". (12 giugno 2009

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caos in iran, vittoria contesa (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Altissima affluenza alle urne , il leader riformista dichiara di aver superato il 65% dei voti. Ma il presidente lo smentisce. Obama: spero nel cambiamento Caos in Iran, vittoria contesa Moussavi e Ahmadinejad proclamano entrambi il trionfo. I pasdaran nelle strade SEGUE A PAGINA 4

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il giallo del colonnello sparito "è malato". "no, sta pregando" - goffredo de marchis (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 3 - Esteri Il giallo del Colonnello sparito "è malato". "No, sta pregando" Nella notte faccia a faccia con Berlusconi sotto la tenda Giro di telefonate con Napolitano. D´Alema e Pisanu: "Il leader libico ci ha chiesto scusa" GOFFREDO DE MARCHIS ROMA - Fini, D´Alema, Pisanu sono nello studio della terza carica dello Stato a Montecitorio e aspettano l´arrivo di Gheddafi. I minuti passano e il presidente della Camera è sempre più spazientito. Sa che il protocollo tutto personale del Colonnello «non assomiglia ai protocolli occidentali» dove gli orari sono rispettati al secondo. Ma due ore sono davvero troppe. D´Alema cerca di rallentare il momento dello strappo finale, pur condividendone le ragioni. Nella stanza di Fini, raccontano, più volte si raccomanda di avvertire della situazione, passo passo, Giorgio Napolitano: «Dobbiamo concordare tutto con il capo dello Stato. Per non creare un problema istituzionale». Non è un modo per prendere tempo. I tre discutono, cercano di saperne di più. Poi, Fini decide in base alle ragioni di opportunità e in funzione del suo ruolo, diverso da quello di D´Alema e Pisanu. E l´applauso liberatorio degli invitati al convegno, quando viene annunciato lo stop, dice che la pazienza ha un limite anche nei confronti di Gheddafi. «Ho difeso il Parlamento, l´Italia e gli italiani», spiega Fini ai suoi interlocutori. Ormai il caso è chiuso e il convegno annullato. Il presidente della Fondazione Italianieuropei prova ancora a "salvare" diplomaticamente il leader libico: «Ci ha fatto sapere che non sta bene». Ma più tardi, dopo il colloquio sotto la tenda a Villa Pamphili, dove arriva con Beppe Pisanu della fondazione Medidea, co-organizzatrice dell´evento, D´Alema ammetterà: «Stava benone». E Pisanu: «Gheddafi s´è scusato, a quel punto abbiamo parlato di politica internazionale per circa un´ora». Le telefonate di Fini a Berlusconi e Napolitano arrivano, sì, ma quando la decisione di non aspettare oltre è già presa. «Ho scelto da solo», ripete il presidente della Camera, mettendo al riparo premier e capo dello Stato da responsabilità solo sue. Il Cavaliere al telefono esprime però tutta la sua «comprensione». Si informa: «Ma perché, sta male?». Poi anche lui allarga le braccia: «Quello di Fini è un gesto dovuto». Ma a tarda sera il premier raggiunge anche lui sotto la tenda il Colonnello, rientrato a Villa Pamphili dopo la cena a piazza del Popolo, per un faccia a faccia. Napolitano viene raggiunto per una chiamata brevissima tra una sessione e l´altra del vertice dei capi di Stato "Uniti per l´Europa" a Napoli. I due concordano di sentirsi più tardi, per un colloquio più approfondito. A Fini non mancano i riconoscimenti per una decisione sacrosanta, dicono alcuni. Lo chiama il ministro degli Esteri Franco Frattini: «Hai fatto bene». «La sua decisione è ineccepibile», sentenzia D´Alema. Nessuno ha capito la vera motivazione del clamoroso ritardo. Gheddafi non ha avuto modo di leggere in anteprima il testo del discorso di Fini, che conteneva una risposta netta alle accuse contro l´America. Dunque, non può essersi adirato preventivamente. Alla fine, l´unica ragione plausibile è la consolidata abitudine di seguire un protocollo tutto suo, che in Libia prevede misteriose e snervanti attese anche di due-tre notti per gli ospiti che hanno un appuntamento con lui. Per un momento si è temuto che Gheddafi potesse "levare la tenda" già ieri notte, partire di corsa e in questo senso la visita volante di D´Alema e Pisanu può aver addomesticato un caso ancora più spinoso. Comunque l´ex ministro degli Esteri democratico non ha rinunciato a dire in privato quello che aveva preparato per il convegno, ossia che gli Stati uniti di Obama non meritano la storica diffidenza araba. E il discorso di Fini è stato consegnato alla stampa, agli invitati, è ormai pubblico. Anche disertando Montecitorio, Gheddafi non è sfuggito alle parole del presidente della Camera. E al suo gesto.

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auto, ue contro usa e le miss mondo tifano fiat-opel (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 18 - Economia "Gli aiuti di Obama sono distorsivi" Auto, Ue contro Usa e le miss mondo tifano Fiat-Opel LECCE - Non solo i big dell´economia, ma anche le miss. E dunque: caro ministro, perché questo stop all´operazione Fiat-Opel? chiedono al tedesco Peer Steinbrueck le tre finaliste al concorso Miss Mondo Italia. Le ragazze, diciottenni di Rimini, Perugia e Nettuno approfittano del G8 finanziario di Lecce per comparire a sorpresa all´hotel dei delegati e consegnare una lettera alle autorità tedesche. Sono in tenuta da Miss, con fascia d´ordinanza. Poi distribuiscono la loro breve missiva. «Leggiamo i giornali e ci interessiamo anche noi di economia», assicurano.

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la casa bianca attende il cavaliere "dal g8 a kabul, saremo pragmatici" - arturo zampaglione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Interni Il Dipartimento di Stato esclude "code" delle accuse di Gheddafi in Italia. L´incognita delle domande nello Studio Ovale La Casa Bianca attende il Cavaliere "Dal G8 a Kabul, saremo pragmatici" Il ‘New York Times´ su Berlusconi e Gheddafi: leader pittoreschi come nessuno al mondo Un esperto di politica estera: "Lui governa in Italia, bisogna essere costruttivi" ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - L´unica incertezza riguarda la Cinquecento: Silvio Berlusconi userà proprio l´utilitaria della Fiat per andare lunedì al colloquio con Barack Obama alla Casa Bianca? Sarebbe un modo, sostengono in molti, per pubblicizzare l´accordo con la Chrysler e mostrare al neo-presidente, che da giovane guidava una Ritmo fatiscente, i progressi della tecnologia italiana. Ma al di là di queste ipotesi di politica-spettacolo, l´incontro si preannuncia senza sorprese. «Sarà una riaffermazione del pragmatismo americano e della concretezza di Obama nell´affrontare i temi di politica estera», assicura un ex-ambasciatore in Italia che Repubblica ha interpellato assieme a esponenti del Dipartimento di Stato, dirigenti della Farnesina ed esperti di relazioni internazionali, alla vigilia del viaggio di Berlusconi a Washington. Le discussioni nello Studio Ovale, che dureranno un´ora, con la partecipazione di una folta delegazione delle due parti, tra cui Hillary Clinton e il consigliere per la sicurezza nazionale James Jones, affronteranno i temi del G8 dell´Aquila, del rafforzamento della presenza di Afghanistan, dei rifugiati in Pakistan, dei prigionieri di Guantanamo, del futuro dell´Iran dopo le elezioni. E come si insinueranno in questi colloqui le polemiche sul rapporto Berlusconi-Gheddafi, che il New York Times ha definito «i due leader più pittoreschi del mondo»? Che peso avrà l´eco delle frequentazioni tra il premier italiano e la diciottenne Noemi Letizia, che continua a far sorridere milioni di americani grazie alle ironie di comici televisivi, primo fra tutti Jon Stewart sulla rete Comedy Central? La Libia - tagliano corto al Dipartimento di Stato - non figura nell´agenda dei lavori. E neanche i giornalisti d´Oltreatlantico, pure noti per la loro irriverenza, vorranno sollevare la questione-Noemi durante il breve incontro-stampa: perché - viene spiegato - risulterebbe fuori luogo in una cornice come lo Studio Ovale. Certo, a Washington tutti sono al corrente del comportamento "eccentrico" del premier italiano, che spesso finisce al centro di commenti tra il sardonico e l´indignato. «Ma Berlusconi è anche il leader di un paese importante», spiega un membro del Council for foreign relations, chiedendo anche lui l´anonimato. «E´ solidamente al potere ed è destinato a rimanerci: gli Stati Uniti vogliono avere con lui un rapporto costruttivo». Lo stesso Berlusconi, terzo leader europeo accolto da Obama alla Casa Bianca, dopo il britannico e l´irlandese, si rende conto del cambiamento di clima rispetto ai tempi di George W. Bush. Con l´ex-presidente repubblicano aveva un rapporto più facile, grazie alle assonanze politiche e all´aiuto dato dall´Italia in Iraq. Ma ora il Cavaliere è il primo a parlare di Obama come «una bellissima sorpresa» e a rallegrarsi per la sua capacità strategiche e tattiche. Come dire: anche Palazzo Chigi è pronta fare i conti con un´America diversa. Il tema centrale dei colloqui di Washington sarà il G8. Berlusconi e Obama saranno co-presidenti di una sessione speciale sull´ambiente. Gli americani vorranno anche illustrare le loro iniziative a favore dei terremotati, in particolare per l´università dell´Aquila, e capire come si articolerà il summit con la presenza, per la prima volta, di delegazioni di Cina, Brasile, Messico, India e Sudafrica. Nello Studio Ovale si parlerà poi di Afghanistan, cui è anche dedicato l´imminente riunione di Trieste convocata dal ministro degli esteri Franco Frattini. Come ha già fatto in tutti i viaggi nel vecchio continente, Obama ricorderà che la Casa Bianca ha cambiato filosofia rispetto all´unilateralismo del passato. Ma da questa nuova impostazione si aspetta risposte concrete da parte europea: a cominciare dal rafforzamento della presenza militare in Afghanistan.

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caffè con obama, niente pranzo il premier ora teme il declassamento - claudio tito (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 7 - Interni Caffè con Obama, niente pranzo il premier ora teme il declassamento Cresce il nervosismo a Palazzo Chigi per l´incontro di lunedì "Dobbiamo prepararci bene, proviamo a convincere Barack adesso" CLAUDIO TITO ROMA - «Dobbiamo preparare l´incontro con la massima cura. Dobbiamo convincere Obama, adesso». La preoccupazione è altissima. Il summit di lunedì prossimo alla Casa Bianca non lascia affatto tranquillo Silvio Berlusconi. Il faccia a faccia con Barack Obama sta provocando apprensione a Palazzo Chigi. Un nervosismo provocato non solo dalle incomprensioni dei mesi scorsi e dai pasticci diplomatici che hanno accompagnato la visita di Gheddafi in Italia. Anche il format imposto da Washington al colloquio, infatti, ha messo in allarme il Cavaliere. Segnali piccoli e grandi che però vanno in un´unica direzione: il rapporto tra la nuova amministrazione Usa e il premier italiano non corre su binari sicuri come negli anni dell´era Bush. L´attenzione di Palazzo Chigi è stata calamitata persino dal cerimoniale e dalla paura di una sorta di "declassamento". Non a caso, la parola d´ordine lanciata ieri dal Cavaliere è stata: «sono il secondo premier occidentale ricevuto da Obama dopo Gordon Brown». Eppure lunedì prossimo Berlusconi varcherà il portone della Casa Bianca nel pomeriggio, per un caffè. Nel linguaggio diplomatico, hanno spiegato al premier, è un modo per dare meno peso al colloquio. Nei tanti precedenti tra il presidente del consiglio e l´«amico» George Bush, l´ospitalità della Casa Bianca prendeva sempre le forme di una «colazione di lavoro». Ossia, colloqui che venivano seguiti da un pranzo o da una cena. L´ultima volta di Berlusconi da capo del governo nella capitale americana, è stata il 28 febbraio 2006. Colloquio di quasi un´ora e, appunto, «colazione di lavoro». In quell´occasione, poi, ci fu addirittura un intervento al Congresso. Il primo contatto tra Bush e il Cavaliere, invece, ci fu il 15 ottobre 2001. Anche in quel caso «incontro e colazione di lavoro». Quasi tutte le successive visite hanno seguito il medesimo programma. La stessa procedura è stata seguita il 3 marzo scorso, quando Obama ha accolto alla Casa Bianca il primo ministro inglese Gordon Brown, in qualità di responsabile del G20 (ruolo paragonabile a quello di presidente del G8 ricoperto quest´anno dall´Italia): incontro e «pranzo di lavoro». Tanti particolari che stanno innervosendo lo staff di Palazzo Chigi. Ieri ha dovuto puntualizzare che non esiste alcuna modifica al programma del vertice dopo l´attacco sferrato da Gheddafi agli States nel corso visita a Roma. «Non c´è niente che possa far pensare ad irritazioni o a possibili scenari diversi», ha chiarito Bruno Archi, consigliere diplomatico di Palazzo Chigi. Anche l´ipotesi di un incontro a quattr´occhi - senza le rispettive delegazioni - viene smentito: «Rimane tutto confermato, come concordato con la controparte americana. Ossia con l´Ambasciata Usa a Roma, il Consigliere alla Sicurezza nazionale alla Casa Bianca e, per tramite, l´Ambasciata italiana a Washington». Sebbene nessuno può escludere una variazione in extremis. Non solo. Berlusconi fin dall´insediamento di Obama non ha nascosto i suoi timori ai collaboratori: «è indispensabile creare un rapporto. Solo questo mi può creare dei problemi». Alla Farnesina, poi, sono da tempo preoccupati per un´altra circostanza. La sede dell´ambasciata americana a Roma è vacante ormai da diversi mesi. Nei giorni scorsi era circolato il nome di David Thorne, il fratello della prima moglie del senatore democratico John Kerry. Eppure, la nomina non è stata ancora ratificata. I "report" trasmessi dall´Ambasciata alla Casa Bianca, comunque, non sono entusiasmanti per il governo italiano. In particolare per i rapporti intrattenuti con il premier russo Putin: una «diplomazia del gas» non coordinata con le autorità americane. Un insieme di fattori che stano allarmando il premier: «Dobbiamo convincere adesso Obama».

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La carta del premier da Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 13/06/2009 - pag: 9 «Sì a più truppe in Afghanistan» La carta del premier da Obama Berlusconi in partenza per gli Usa: ho apprezzato le parole di mia moglie Settegiorni SEGUE DALLA PRIMA E allora non sarà «un incontro di ordinaria amministrazione», come sostiene il Cavaliere ma un gesto significativo verso l'alleato americano, un primo passo per riavvicinare Washington non solo a Roma ma all'intera Europa. Un'ora di colloquio non basterà per ricreare il clima che c'era con Bush, e dato che «non è previsto alcun incontro diretto con Obama», userà il tempo «per illustrare il programma del G8». L'aumento delle forze armate italiane nel teatro afghano sarà fuori dall'agenda, tuttavia è il pilastro su cui costruire un nuovo ponte transatlantico, assecondando le richieste degli americani, che «sono innamorati dei nostri carabinieri»: «Definiscono encomiabile il loro lavoro ». Chissà se il giudizio è di Panetta, il capo della Cia che la settimana scorsa è stato a Roma per vedere il premier e i vertici dei servizi italiani. Di certo Berlusconi è parso soddisfatto dopo il faccia a faccia: da Washington gli sarebbe infatti giunta notizia che il responsabile dell'intelligence statunitense nel suo report avrebbe espresso «una buona opinione» dei rapporti con l'Italia. «Ma non c'è nessun problema da superare, nessun contrasto da sanare», ripete il Cavaliere: «Abbiamo ottime relazioni con la presidente della Camera dei rappresentanti, la signora Pelosi, che incontrerò a Washington. E lavoriamo benissimo con la signora Clinton, informata di ogni nostro passo». Dunque il segretario di Stato dovrebbe essere già a conoscenza di quanto decideranno lunedì a Lussemburgo i ministri degli Esteri dell'Ue. Il titolare della Farnesina, Frattini, è convinto che verrà accolta la richiesta di Obama sulla destinazione di alcuni prigionieri di Guantanamo in Europa. Berlusconi potrà sfruttare anche questo tema e forse ne farà cenno al «punto con la stampa» nella Sala Ovale che si terrà al termine del colloquio con Obama. Il Cavaliere dice di non temere contraccolpi per lo «storico viaggio» in Italia di Gheddafi, da cui prende però le distanze per l'attacco agli Stati Uniti accostati a Bin Laden: «Giudico eccessivi quei toni». Epperò saluta l'arrivo a Roma del colonnello libico, «segno della riconciliazione»: «La storia ci ricorda che lì ci siamo macchiati di sangue. Ora si apre un capitolo di grandi opportunità: Gheddafi ha promesso di investire 120 miliardi di dollari, gran parte con imprese italiane che verranno chiamate anche senza gare d'appalto ». Ritiene «giusto» lo strappo di Fini, ma è entusiasta per il discorso sulle donne pronunciato dal ministro delle Pari Opportunità davanti al leader africano: «Mara Carfagna è stata fantastica». Berlusconi vola a Washington consapevole che nell'ultimo mese la sua immagine è stata intaccata. La colpa, insiste, è dei «giornali di sinistra, che hanno sollevato un polverone internazionale negativo, arrecando disdoro al nostro Paese. Mi hanno riversato addosso quattro calunnie». E così dicendo, ripete le sue verità: «Hanno iniziato scrivendo che c'erano 'veline' nelle liste del Pdl alle Europee. Non erano 'veline' e sono state tutte elette. Poi hanno tirato in ballo Noemi Letizia, come fossi una persona che va con le minorenni. In realtà sono solo andato a una festa di compleanno, e per me che vivo tra la gente è una cosa normale. Nel frattempo si sono scatenati sul 'caso Mills', un avvocato che non conosco di persona e di cui si sta occupando il fisco inglese. Infine hanno montato un caso sui 'voli di Stato', che uso solo per esigenze di servizio». Ammette in alcuni casi di aver dato dei «passaggi», ma «ho sempre pagato personalmente i viaggi dei miei ospiti, e non ho mai adoperato i voli della Cai». Dimentica volutamente che ad accendere la miccia è stata Veronica Lario, però ha «apprezzato» la lettera che ha scritto al Corriere: «Con mia moglie sospira mi sentivo al telefono due volte al giorno. Ora per sapere qualcosa di lei devo leggere i giornali. Vorrei mi fosse consentito vivere con serenità la mia personale solitudine. Ho perso nel giro di poco tempo madre e sorella, che erano i miei punti di riferimento». Il tono di voce cambia quando parla delle cinquemila foto che «hanno violato la mia privacy»: «In quegli scatti non c'è nulla di particolare. Con un centinaio di dipendenti, con i Cacciatori di Sardegna, gli uomini della sicurezza, il via vai dei miei figli e di mio fratello, figurarsi se a villa Certosa possono accadere strane cose, finte cerimonie di matrimonio... ». È convinto che proveranno ancora a colpirlo, «ma in quelle foto non c'è nulla». Si rammarica per Topolanek, «l'avevo invitato per ingraziarmelo, dato che sarebbe stato presidente di turno dell'Ue. Poi che male c'è se davanti ai suoi familiari ha voluto fare un bagno nudo? Io comunque non lo faccio mai». Ma un bagno elettorale alle Europee, per quanto piccolo, l'ha fatto. Perciò «dopo i ballottaggi » intende rilanciare l'esecutivo, parla di un «nuovo inizio»: «Assegnerò un piano di lavoro a ciascun ministro, per realizzare il programma e le riforme di cui c'è bisogno». Ieri a Palazzo Chigi, si è accennato alla sede del conclave di governo, che il premier vorrebbe tenere prima del G8 a Santa Margherita Ligure. «Stiamo lavorando per attenuare l'impatto della crisi che purtroppo secondo il Cavaliere è stata amplificata dai media»: «Perché in Italia abbiamo 3,5 milioni di statali, 18 milioni di pensionati e 16 milioni di lavoratori dipendenti che non sono minacciati da licenziamento e che però hanno ridotto i loro consumi. È vero che c'è una fascia di un milione e mezzo di persone in difficoltà, ma nessuno muore di fame: sono aumentate le risorse del welfare, c'è il volontariato, la Chiesa cattolica... ». Vorrebbe lanciare segnali di ottimismo e prende la Fiat come modello per il Paese: «Sono contento dei suoi successi. E non è vero che non abbiamo sostenuto l'operazione internazionale. Non ci siamo mossi per espressa volontà dell'azienda, che ci ha chiesto di restare un passo indietro. Ma siamo pronti ad agire se occorresse ». Obama l'ha già fatto. Francesco Verderami \\ Con Veronica mi sentivo almeno due volte al giorno Ora sono solo, ho perso in poco tempo anche madre e sorella \\ Topolanek l'avevo invitato per ingraziarmelo. Poi, che male c'è se davanti ai suoi familiari ha voluto fare un bagno nudo? \\ Sono contento per i successi della Fiat: se non ci siamo mossi è perché così ha voluto Torino Ma se serve siamo pronti Verso il G8 Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Cronache data: 13/06/2009 - pag: 27 Thom Browne «Non ci sono confini da rispettare» MILANO Thom Browne è stato l'ospite illustre del Pitti dello scorso anno. Americano è fra gli stilisti in ascesa della moda maschile. Firma anche la collezione Gamme Bleu di Moncler. Negli States tanti oggi portano i pantaloni corti e la giacchetta smilza, per colpa sua. La crisi vista da dove è cominciata? «E' un momento di riflessione. E noi designer dovremmo impiegare la nostra creatività ed estro per dare proposte sempre più fruibili e interessanti. Guardare avanti e progredire sono le nuove parole d'ordine. Anticipare i tempi». Limiti dell'abbigliamento maschile, oggi. «Secondo me, nel guardaroba maschile non ci sono e non ci dovrebbero essere limiti da superare o confini precisi da rispettare. Per esempio anche con Moncler, uso materiali sportivi e tecnici rispettando le regole della sartoria classica e dell'artigianato. Se non è andare oltre questo...». Uomini eleganti, chi sono e perché? «Icone di eleganza intramontabile sono: John F. Kennedy, Edward Fox interprete de 'Il Giorno dello Sciacallo' e Barack Obama. Lo sono perché li considero naturalmente eleganti e sicuri di se stessi nei loro differenti ruoli». Ha ancora (o sempre) senso parlare di moda per l'uomo? «Personalmente è la cosa che mi entusiasma di più, farla la moda. Sento di essere nato per questo: ciò che faccio esprime quello che penso più di mille parole». Pa. Po.

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E Summers spiega agli studenti (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 13/06/2009 - pag: 33 Usa e crisi Gli interventi sull'industria dell'auto e le regole E Summers spiega agli studenti «perché Obama non è socialista» DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK «Tranquilli, non stiamo cercando di far rientrare il socialismo dalla porta di servizio: il governo Obama interviene nel settore privato solo quando è assolutamente necessario per evitare catastrofi. Agiamo per necessità, non per scelta. Non vogliamo soppiantare i mercati ma farli funzionare, superando le crisi provocate dai loro stessi eccessi». A New York, davanti alla platea del Council for Foreign Relations, il capo dei consiglieri economici della Casa Bianca, Larry Summers, è nella tana del lupo: ad ascoltarlo ci sono, infatti, soprattutto banchieri e finanzieri di Wall Street, oltre a consulenti ed esperti di affari internazionali. A differenza di Obama, Summers non è un seduttore. Lui lo sa e da tempo scherza sulla sua scarsa simpatia, sull'arroganza intellettuale che trascina la sua oratoria e a volte gli fa fare passi falsi. Stavolta, però, sa di avere i fucili puntati addosso: segue un testo scritto, scandisce le parole. C'è da spiegare il neointerventismo di Obama in economia e vuole evitare fraintendimenti: «Il programma di questa Amministrazione rimane quello presentato da Obama agli elettori: riforma della sanità, indipendenza energetica, una scuola migliore. Gestire banche, assicurazioni, aziende automobilistiche, non era nei suoi programmi. Siamo intervenuti perché obbligati dalla situazione disastrosa che abbiamo ereditato», ma «gli interventi saranno temporanei e poco intrusivi: quando il presidente boccia un piano aziendale non lo fa per amore di dirigismo, ma perché si è convinto che la strada imboccata non porta al risanamento di quell' azienda, al suo ritorno sul mercato. Alcuni - aggiunge il superconsigliere - ci accusano di fare troppo poco, altri di essere dirigisti. Speriamo di essere ricordati come Roosevelt. Anche lui negli anni '30 fu accusato di essere anticapitalista; oggi si riconosce, invece, che con la sua azione ha salvato il capitalismo ». Summers approfitta dell' occasione anche per dirsi moderatamente fiducioso in una prossima ripresa e per inviare altri due messaggi. Sono in arrivo regole più severe e organiche per monitorare i «rischi sistemici» posti dai grandi gruppi finanziari e per evitare che i controlli siano indeboliti dalla competizione fra le varie agenzie federali che si contendono i gruppi finanziari da sorvegliare. Secondo punto: nella bancarotta di Chrysler non ci sono state forzature dal governo, non sono stati calpestati i diritti dei creditori. Che avevano ben poco da recuperare, visto che si era, ormai, sulla soglia della liquidazione, evitata solo per l'intervento pubblico. Quanto allo Stato azionista, il celebre accademico ha assicurato che quelli nel capitale di banche, assicurazioni e aziende dell'auto sono interventi che dureranno lo stretto indispensabile. Ed ha aggiunto che Obama non userà questi diritti di proprietà per portare avanti i suoi obiettivi politici generali come il risparmio energetico: li perseguirà ma sul terreno proprio, quello delle politiche dell'Amministrazione. Massimo Gaggi Larry Summers \\ Speriamo di essere ricordati come Roosevelt. Anche lui fu accusato di essere anticapitalista

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La crociata di Obama contro le sigarette Via libera del Senato alla legge anti-nicotina (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - Fumatore pentito, e da tempo impegnato in una battaglia personale contro la dipendenza da nicotina, Barack Obama non ha perso tempo nel rallegrarsi per la "svolta storica" del Congresso, che ieri ha approvato a stragrande maggioranza una nuova legge anti-tabacco destinata a incidere profondamente nei vizi di un quinto degli americani, a scoraggiare i giovani a fumare e a dare allo stato immensi poteri nel regolamentare le sigarette. "Sono orgoglioso di questa legge, che conferma anche il cambiamento del clima a Washington", ha detto il presidente in una breve cerimonia alla Casa Bianca, cui ha parlato anche Henry Waxman, il deputato californiano che ha guidato la battaglia legislativa. "Ogni giorno - ha continuato Obama - 3.500 ragazzi sotto ai diciotto anni cominciano a fumare regolarmente e milioni di americani si ritrovano in condizioni precarie per colpa di questo vizio". La nuova legge, che è il più importante traguardo nella guerra anti-fumo dopo l'allarme ufficiale del 1964 sui pericoli del tabacco, attribuisce un ruolo centrale alla Fda (Food and drug administration), l'agenzia federale che tutela la salute. D'ora in poi la Fda potrà limitare il contenuto di nicotina nelle sigarette, anche se non avrà il diritto di vietarle del tutto. Potrà introdurre regole per dissuadere i giovani, mettendo al bando gli aromi naturali e vietando la pubblicità a meno di 300 metri dalle scuole. E potrà non solo proibire l'uso di termini fuorvianti (come light), ma anche introdurre maxi avvertenze sui pacchetti. La legge è stata approvata con 307 voti a favore e 97 contrari alla camera, e con 79 favorevoli e 17 contrari al senato: tra questi ultimi, i parlamentari delle zone di produzione del tabacco, come la Carolina del Nord, e alcuni repubblicani che considerano il provvedimento come l'ennesima l'ingerenza dello stato nell'attività economica e nella vita dei cittadini. OAS_RICH('Middle'); Anche se la legge porterà quasi sicuramente a un rincaro dei pacchetti e imporrà alle industrie del ramo di rivelare le sostanze contenute nelle sigarette, la Altria, la più grande multinazionale del tabacco che controlla la Philip Morris, e quindi la Marlboro, si è schierata - a sorpresa - a favore del nuovo corso. "E' una regolamentazione severa, ma ragionevole", ha dichiarato un portavoce del gruppo. Altre società invece hanno manifestato la loro opposizione, nonostante che il fumo uccida ogni anno 440mila americani e abbia un costo annuale per le spese mediche di 100 miliardi di dollari. Secondo le proiezioni del Congresso le nuove restrizioni ridurranno nei prossimi dieci anni dell'11 per cento il numero dei giovani fumatori in America e del due per cento il numero degli adulti. (13 giugno 2009

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Il giallo del Colonnello sparito E nella notte incontra Berlusconi (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

di GOFFREDO DE MARCHIS ROMA - Fini, D'Alema, Pisanu sono nello studio della terza carica dello Stato a Montecitorio e aspettano l'arrivo di Gheddafi. I minuti passano e il presidente della Camera è sempre più spazientito. Sa che il protocollo tutto personale del Colonnello "non assomiglia ai protocolli occidentali" dove gli orari sono rispettati al secondo. Ma due ore sono davvero troppe. D'Alema cerca di rallentare il momento dello strappo finale, pur condividendone le ragioni. Nella stanza di Fini, raccontano, più volte si raccomanda di avvertire della situazione, passo passo, Giorgio Napolitano: "Dobbiamo concordare tutto con il capo dello Stato. Per non creare un problema istituzionale". Non è un modo per prendere tempo. I tre discutono, cercano di saperne di più. Poi, Fini decide in base alle ragioni di opportunità e in funzione del suo ruolo, diverso da quello di D'Alema e Pisanu. E l'applauso liberatorio degli invitati al convegno, quando viene annunciato lo stop, dice che la pazienza ha un limite anche nei confronti di Gheddafi. "Ho difeso il Parlamento, l'Italia e gli italiani", spiega Fini ai suoi interlocutori. Ormai il caso è chiuso e il convegno annullato. Il presidente della Fondazione Italianieuropei prova ancora a "salvare" diplomaticamente il leader libico: "Ci ha fatto sapere che non sta bene". Ma più tardi, dopo il colloquio sotto la tenda a Villa Pamphili, dove arriva con Beppe Pisanu della fondazione Medidea, co-organizzatrice dell'evento, D'Alema ammetterà: "Stava benone". E Pisanu: "Gheddafi s'è scusato, a quel punto abbiamo parlato di politica internazionale per circa un'ora". OAS_RICH('Middle'); Le telefonate di Fini a Berlusconi e Napolitano arrivano, sì, ma quando la decisione di non aspettare oltre è già presa. "Ho scelto da solo", ripete il presidente della Camera, mettendo al riparo premier e capo dello Stato da responsabilità solo sue. Il Cavaliere al telefono esprime però tutta la sua "comprensione". Si informa: "Ma perché, sta male?". Poi anche lui allarga le braccia: "Quello di Fini è un gesto dovuto". Ma a tarda sera il premier raggiunge anche lui sotto la tenda il Colonnello, rientrato a Villa Pamphili dopo la cena a piazza del Popolo, per un faccia a faccia. Napolitano viene raggiunto per una chiamata brevissima tra una sessione e l'altra del vertice dei capi di Stato "Uniti per l'Europa" a Napoli. I due concordano di sentirsi più tardi, per un colloquio più approfondito. A Fini non mancano i riconoscimenti per una decisione sacrosanta, dicono alcuni. Lo chiama il ministro degli Esteri Franco Frattini: "Hai fatto bene". "La sua decisione è ineccepibile", sentenzia D'Alema. Nessuno ha capito la vera motivazione del clamoroso ritardo. Gheddafi non ha avuto modo di leggere in anteprima il testo del discorso di Fini, che conteneva una risposta netta alle accuse contro l'America. Dunque, non può essersi adirato preventivamente. Alla fine, l'unica ragione plausibile è la consolidata abitudine di seguire un protocollo tutto suo, che in Libia prevede misteriose e snervanti attese anche di due-tre notti per gli ospiti che hanno un appuntamento con lui. Per un momento si è temuto che Gheddafi potesse "levare la tenda" già ieri notte, partire di corsa e in questo senso la visita volante di D'Alema e Pisanu può aver addomesticato un caso ancora più spinoso. Comunque l'ex ministro degli Esteri democratico non ha rinunciato a dire in privato quello che aveva preparato per il convegno, ossia che gli Stati uniti di Obama non meritano la storica diffidenza araba. E il discorso di Fini è stato consegnato alla stampa, agli invitati, è ormai pubblico. Anche disertando Montecitorio, Gheddafi non è sfuggito alle parole del presidente della Camera. E al suo gesto. (13 giugno 2009

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La Corea del Nord minaccia Usa e Onu "Uranio per le armi, e non ci fermate" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

SEOUL - La Corea del Nord minaccia di proseguire il suo programma di arricchimento dell'uranio e di utilizzare le sue riserve di plutonio a fini militari. Dopo l'inasprimento delle sanzioni da parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, Pyongyang ha inoltre annunciato che considererà i tentativi Usa di bloccare il suo programma nucleare come un "atto di guerra". L'annuncio del governo nord coreano arriva dopo la decisione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu aveva deciso all'unanimità un inasprimento le sanzioni contro il Paese asiatico. Tra le decisioni delle Nazioni Unite l'ispezione delle navi sospettate di portare in Corea del Nord materiale proibito dall'embargo e utile per il programma atomico. L'ambasciatore degli Usa all'Onu, Susan Rice, ha dichiarato che "l'amministrazione Obama è decisa a fermare e ispezionare le navi sospette". Nella notte la Corea del Sud ha rafforzato la sua presenza militare sulla frontiera marittima con la Corea del Nord. (13 giugno 2009

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Il fotografo Zappadu al Times "Tra me e il Cavaliere non è finita" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

LONDRA - "Molti italiani hanno pensioni basse e salari minimi. Viviamo in tempi di crisi economica. Sicché quando vedo due voli di stato alla settimana (arrivare in Sardegna), con musicisti e ragazze che vanno ai party (di Berlusconi), la cosa mi irrita. Per me, quei voli sono più importanti di qualsivoglia 'harem'. Credo che Berlusconi dovrebbe darne una spiegazione". Così dice al Times di Londra, nella sua prima intervista a un quotidiano britannico, Antonello Zappadu, il fotoreporter che ha scattato circa 7 mila foto attorno a Villa Certosa e all'aeroporto in cui arrivavano i voli di stato organizzati per le feste nella villa del presidente del Consiglio. Come è noto, il suo archivio è stato sequestrato dalla polizia italiana, dopo l'ingiunzione alla magistratura presentata da Berlusconi sostenendo che quelle immagini, per quanto "innocenti", invadono la sua privacy. Nell'intervista a Lucy Bannerman, inviata del Times in Italia, Zappadu afferma che copie delle foto sono in possesso di suoi rappresentanti all'estero, che potrebbero distribuirle e venderle a giornali stranieri, come è avvenuto per sette immagini pubblicate dal quotidiano spagnolo El Pais, sulla base di quanto sarà consigliato al fotografo dai suoi legali. "Ce ne sono altre (di foto)", dice Zappadu al quotidiano londinese. "Questa storia tra me e Berlusconi non è finita". Nell'intervista, il fotoreporter conferma quanto dichiarato in precedenza a Repubblica riguardo allo svolgimento di un "finto matrimonio" avvenuto a Villa Certosa tra Berlusconi e una giovane donna: "Sembrava un gioco puerile. Lui era l'unico uomo. C'erano circa sei ragazze intorno e sembrava che si celebrasse una specie di matrimonio con una di loro. Direi che aveva un 25-30 anni". Zappadu aggiunge che il "90 per cento" degli ospiti da lui visti a Villa Certosa erano donne "e non donne mature, bensì ragazze, un mare di giovani, belle ragazze". Ai party si sentivano "risate, musica, gente che fa festa, ma non si poteva vedere cosa succedeva esattamente". OAS_RICH('Middle'); Zappadu dice che circa due voli di stato alla settimana trasportavano ospiti alla villa di Berlusconi, trai quali in occasione del Capodanno 2008 c'era anche Noemi Letizia. "Dopo aver letto l'intervista al suo ex-fidanzato Gino, compresi di avere in mano qualcosa di interessante", osserva il fotoreporter, "e altri che avevano visto le mie foto la riconobbero". Il Times illustra l'intervista con una grande foto di Zappadu in Colombia, circondato di militari in assetto di guerra, quando seguiva il conflitto contro i guerriglieri di quel paese. Il quotidiano britannico nota che il fotografo italiano non è un paparazzo, ma un fotoreporter autore di servizi di ogni genere. Zappadu dice che da quando si trova al centro dello scandalo il suo telefono è controllato e agenti del servizio segreto lo pedinano. Ma in compenso, nella sua città, ad Olbia, in Sardegna, molta gente viene continuamente a complimentarsi con lui per quanto ha fatto. E l'inviata del Times assiste a svariati di questi episodi. Il quotidiano londinese pubblica su Berlusconi anche un secondo, breve articolo, affermando che, a differenza del suo ultimo incontro con George Bush alla Casa Bianca, il colloquio tra il premier italiano e il presidente Obama, in programma lunedì a Washington, sarà solo un "breve incontro" di un'ora. Il giornale cita una fonte anonima nelle capitale americana secondo cui "l'incontro è un dovere" per il presidente americano, "ma non hanno piacere di ricevere Berlusconi", non tanto per lo scandalo legato ai party con ragazze o al possibile abuso di voli di stato, ma per la presunzione di Berlusconi di considerarsi uno statista in politica estera, con discusse iniziative diplomatiche nei confronti di Russia ed Iran, e con la recente visita di Gheddafi a Roma. (13 giugno 2009

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La Corea del Nord minaccia Usa e Onu "Uranio per le armi e non ci fermate" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

SEOUL - La Corea del Nord minaccia di proseguire il suo programma di arricchimento dell'uranio e di utilizzare le sue riserve di plutonio a fini militari. Dopo l'inasprimento delle sanzioni da parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, Pyongyang ha inoltre annunciato che considererà i tentativi Usa di bloccare il suo programma nucleare come un "atto di guerra". La dichiarazione del governo nord coreano arriva dopo la decisione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che aveva deciso all'unanimità un inasprimento le sanzioni contro il Paese asiatico. Tra le decisioni delle Nazioni Unite l'ispezione delle navi sospettate di portare in Corea del Nord materiale proibito dall'embargo e utile per il programma atomico. "L'opzione che consiste nell'abbandono delle armi nucleari è diventata cosa impossibile, e poco ci importa che alcuni ci autorizzano o no a disporre di armi nucleari", dice il comunicato del ministero degli Esteri nordcoreano. Nel comunicato il ministero degli Esteri nordcoreano precisa che in risposta alla risoluzione 1874 Pyongyang "procederà all'utilizzo militare di tutto il plutonio recentemente estratto" insieme all'avvio delle procedure di arricchimento dell'uranio, sottolinenando che il Paese dispone della tecnologia necessaria grazie alla costruzione di reattori ad acqua leggera. "Se gli Stati Uniti ed i loro seguaci cercheranno di attuare un 'blocco' della Corea del Nord, opporremo risolute azioni militari" aggiunge minacciosa la nota che definisce la risoluzione Onu "un vile risultato delll'offensiva guidata dagli Stati Uniti di pressione internazionale tesa a minare l'ideologica della Repubblica democratica della Corea ed il suo sistema scelto dal popolo disarmandola e soffocando la sua economia". OAS_RICH('Middle'); E il secondo test nucleare condotto da Pyongyang, che ha provocato l'inasprimento delle sanzioni, sarebbe stato, secondo i nordcoreani, proprio una "misura di auto difesa per fronteggiare questi atti ostili da parte degli Stati Uniti". L'ambasciatore degli Usa all'Onu, Susan Rice, ha dichiarato che "l'amministrazione Obama è decisa a fermare e ispezionare le navi sospette". Nella notte la Corea del Sud ha rafforzato la presenza militare sulla frontiera marittima con la Corea del Nord. (13 giugno 2009

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Pyongyang all'Onu: pronti alla guerra (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

SEUL Dopo l’inasprimento delle sanzioni da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu, la Corea del Nord minaccia di proseguire nel suo programma di arricchimento dell’uranio e avverte che è pronta a utilizzare tutte le sue riserve di plutonio a fini militari. «L’opzione di abbandonare le armi atomiche è diventata ormai impossibile», ha fatto sapere con un comunicato il ministero degli Esteri nordcoreano. È la prima volta, scrive la Bbc, che Pyongyang conferma ufficialmente l’esistenza di un programma di arricchimento dell’uranio al fine di sviluppare armi nucleari. La minaccia è arrivata con un comunicato all’agenzia di Stato nordcoreana, la Kcna, dopo che ieri i 15 membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno approvato all’unanimità la risoluzione 1874 che prevede più ispezioni dei carichi aerei, marittimi e terrestri diretti o provenienti dalla Corea del Nord, anche in alto mare, l’estensione dell’embargo sulle armi, l’aggravamento delle sanzioni finanziarie nei confronti di Pyongyang, l’estensione della lista delle entità nordcoreane colpite dal blocco dei beni all’estero, l’inserimento di individui in questa lista. La risoluzione mira proprio a impedire le attività nucleari e balistiche del regime di Pyongyang e a colpire i ricavi che ottiene dalla vendita di armi e di tecnologia. Le sanzioni sono «un ulteriore vile prodotto dell’offensiva internazionale guidata dagli Stati Uniti per indebolire, disarmare la Repubblica democratica della Corea e soffocare la sua economia», si legge nel testo. Pyongyang ha informato, inoltre, che ogni blocco imposto alla Corea del Nord sarà assimilato ad un atto di guerra. Da quando il presidente Barack Obama è alla guida degli Stati Uniti, invece, Washington ha sempre sostenuto di non essere interessata a un attacco del paese asaitico. Intanto, come precauzione verso l’imprevedibile vicino, già la settimana scorsa la Corea del Sud aveva inviato molte centinaia di militari alla frontiera marittima con la Corea del Nord, già teatro di scontri navali nel 1999 e nel 2002. Secondo l’agenzia Yonhap, più di 600 militari della Marina sono stati dispiegati nelle isole di Yeonpyeong e di Baekryeong per rafforzare la presenza sul posto.

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Glbt, pressing su Franceschini "Il partito prenda una posizione" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 13-06-2009)

Argomenti: Obama

ROMA - Quattordici bandiere del Pd, prelevate questa mattina durante un vero blitz in uno scantinato della sede nazionale del partito, in via Sant'Andrea delle Fratte. Oggi pomeriggio quei simboli hanno sfilato tra i carri del Gay Pride romano, come espressione di una prima protesta da parte del Tavolo Glbt (gay, lesbico, bisessuale e transgender) dello stesso Pd, del quale fanno parte, tra gli altri, la deputata Anna Paola Concia, Ivan Scalfarotto e la giovane Cristiana Alicata. Tutti democratici, "stanchi di un Pd che, sulla questione dei diritti dei gay, non ha il coraggio di prendere una posizione netta e inequivocabile", come spiegano sfilando per le strade della capitale. Alcuni sono esponenti locali del Pd - è il caso di Sergio Lo Giudice, consigliere comunale a Bologna, ma anche di Enrico Fusco, presidente Arcigay di Bari e responsabile giustizia della segreteria provinciale del Pd di Bari. Stamattina, durante una riunione del Tavolo Glbt, hanno deciso di puntare i piedi e di chiedere al segretario del partito, Dario Franceschini, una linea "chiara e decisa su questioni come quella del matrimonio ma anche delle adozioni". E, sempre a Franceschini, chiedono ufficialmente di aderire al Pride nazionale di Genova, in programma il prossimo 27 giugno a Genova. "Qui a Roma abbiamo registrato adesioni individuali, anche di prestigio, da parte di esponenti del Pd - spiega Cristiana Alicata, bandiera del Pd in mano - è il caso del segretario dei Democratici del Lazio Roberto Morassut, di Nicola Zingaretti presidente della provincia, e di Paola Concia deputata del Pd. Ma tutto questo non basta: vogliamo che il segretario affronti, una volta per tutte, i temi cari alla comunità GLBT". Perché parlano proprio oggi? "Abbiamo voluto attendere la fine del periodo delle elezioni europee - risponde Alicata, membro della Costituente del Pd nel Lazio, oltre che della segreteria Pd in un municipio romano - per evitare eventuali divisioni nel partito. Adesso, però, abbiamo capito che è ora di cambiare linea. Se non alziamo il livello, anche mediatico, di questa lotta, anche quella interna, non andiamo più da nessuna parte. E così ci siamo presi le bandiere. In teoria non potrebbero sfilare, ma per noi era importante esserci e lanciare questo segnale". OAS_RICH('Middle'); Le fa eco Enrico Fusco, militante del movimento omosessuale: "L'Europa sta andando avanti, noi siamo fermi. Facciamo ridere. Vogliamo un partito più laico, liberale e democratico. Anche Veltroni, sul tema dei diritti ai gay non ha mai detto molto ed è paragonabile, più che a Obama, a Franceschini". Quello che gli esponenti del tavolo GLBT fanno notare, è che i militanti del partito sono "più avanti" rispetto alle gerarchie del Pd: "Quando, qualche giorno fa, il circolo del Pd della zona di Marconi, a Roma, ha votato una mozione per aderire al Pride, i 'sì' hanno stravinto. Perché non si fa qualcosa del genere anche a livello nazionale? Perché non si chiede ai militanti di esprimersi su una questione come quella del matrimonio? La risposta è che i vertici hanno paura del risultato del voto". Che al Pd manchi il coraggio e la determinazione di prendere una posizione inequivocabile su alcuni temi, è la convinzione di Sergio Lo Giudice, presidente onorario di Arcigay: "Chiedo al partito di votare a maggioranza, a partire dal prossimo congresso, su una questione come quella delle unioni gay. Vogliamo parlare di matrimonio e ho il diritto i sapere quale sia la linea del mio partito". Il problema, oggi, secondo la Alicata, è che "manca un confronto: lo abbiamo cercato, per vie interne, ma ci siamo resi conto che non basta. Da qui la decisione, adesso, di portarlo all'esterno, anche con queste bandiere esposte al Pride di Roma. E' arrivato il momento, per Franceschini, di aprire gli occhi, rispettare le differenze e di riconoscere i nostri diritti". Eppure, secondo la giovane militante del partito, "noi del Tavolo Glbt crediamo di interpretare il sentimento del popolo democratico. Vorremmo che fosse così anche per i candidati e gli esponenti nazionali del partito. Troviamo strano che, lo scorso maggio, Franceschini non abbia firmato una mozione contro l'omofobia presentata da Paola Concia. E' arrivato il momento di prendere una posizione chiara e inequivocabile, senza ulteriori rinvii". Ora il tavolo Glbt guarda già al prossimo congresso del partito, e si appella a tutti, inclusi i militanti dei partiti a sinistra del Pd: "Chiediamo alle persone che vogliono un Pd più laico di iscriversi, e battersi al nostro fianco, perché i diritti dei gay possano finalmente diventare prioritari. Il che, ovviamente, non significa trascurare la crisi economica". (13 giugno 2009

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Mario Calabresi a Passepartout (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

ASTI. CON PADOA SCHIOPPA Mario Calabresi a Passepartout Come finirà la crisi economica? Una risposta la offriranno stasera economisti e gioralisti nell'incontro conclusivo del festival letterario «Passepartout» che ha tenuto banco questa settimana a Palazzo Alfieri, su iniziativa della Biblioteca Astense. Sul palco di fronte al busto di Vittorio Alfieri alle 21 saliranno Tommaso Padoa Schioppa, economista e ministro del governo Prodi, il direttore de «La Stampa» Mario Calabresi e il giornalista del «Sole24ore» Beda Romano, figlio dello storico e ambasciatore Sergio, che ha aperto il festival. Calabresi ha appena pubblicato il libro «La fortuna non esiste» (Mondadori), in cui descrive la vicenda di persone incontrate in una lunga traversata degli Stati Uniti durante la campagna elettorale di Obama, accomunate dall'aver saputo reagire alla crisi e rimettersi in piedi. «Non importa quante volte cadi. Quello che conta è la velocità con cui ti rimetti in piedi» è l'assunto alla base di questi ritratti di protagonisti del paese della «seconda possibilità», in cui le crisi economiche assumono proporzioni catastrofiche e mettono sul lastrico migliaia di persone dall'oggi al domani. A partire da questi esempi e dalle analisi degli economisti arriverà un messaggio di speranza, un finale «aperto» al festival dedicato alle «grandi crisi» che ha appassionato non pochi astigiani.\ Servizi ALLE PAGINE 57 E 68

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Silvio spera in Obama per risollevarsi dai colpi (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Silvio spera in Obama per risollevarsi dai colpi Ora si capisce quanto se l'è vista brutta il Cavaliere che, davvero, crede al complotto. In tre lustri mai si è sentito così in pericolo, e non solo nella veste di premier (perché le crisi di rigetto, qui in Italia, hanno precedenti drammatici). Dopo la sua ammissione a Santa Margherita, finalmente è possibile interpretare quel paio di mosse all'apparenza bizzarre: la minaccia, sempre smentita eppure alimentata dal suo staff nel pieno dello scandalo Noemi, di elezioni politiche subito, con quattro anni di anticipo, casomai qualche partner l'avesse tradito. Erano un tentativo di dissuasione. E poi l'ansia di rinnovare il patto di ferro con Bossi, mostrando una fretta dannata. «Volevano far decadere il presidente del Consiglio per mettere un'altra persona non eletta dagli italiani...». Ne parla al passato, Berlusconi, perché la «congiura» è andata a monte, perlomeno così vuole credere. E ai veri o presunti «golpisti» («se questa non è eversione, ditemi che cosa è?») dà l'ultimatum: tornate sui vostri passi, tanto ormai vi ho «tanati». Siamo sul terreno labile dei sospetti, delle chiacchiere fragili quanto tele di ragno. Un paio le certezze. Primo: Berlusconi non si sente difeso dal Colle. Il suo j'accuse dà per scontato che Napolitano si regolerebbe come Scalfaro nel '94, invece di sciogliere le Camere darebbe vita a un governo istituzionale per evitare la vendetta delle urne. Secondo: Cesare-Berlusconi è convinto che, tra i suoi, qualcuno nasconde il pugnale. Inutile provare a scucirgli il nome di «Bruto». Che davvero lui pensi a Fini, come si sussurra nei Palazzi romani, è un'ipotesi come tante. Il piano è andato a monte, sostengono i consiglieri del premier, perché «è mancato agli avversari il colpo del kappaò. L'hanno toccato duro, ma Silvio non è al tappeto». Anzi, torna al centro del ring. Minaccia pesantemente i giornali ostili («non riforniteli di pubblicità», esorta gli imprenditori in una specie di do ut des). Si prepara al contrattacco sul terreno dove più compromessa è la sua immagine, quello internazionale. L'incontro di lunedì con Obama cade al momento giusto: se Berlusconi eviterà gaffe clamorose, se uscirà indenne pure dal match alla Casa Bianca, presto i giornali stranieri si stancheranno di dargli del clown («Times» di Londra), l'imminente G8 sarà affrontato senza l'angoscia del fiasco galattico. Quindi subentrerà l'estate e la sinistra tornerà a ripiegarsi sui propri guai... Ecco maturare il cambio di programma delle ultime ore: niente più distrazioni a Washington, tipo visita alla National Gallery, oppure al Cimitero di Arlington: tutto quanto depennato. Salta stasera il ricevimento alla Blair House, con rammarico dell'ambasciatore Castellaneta. «Si arriva e si va subito a nanna in albergo», è la parola d'ordine. Domani l'intera mattina a esaminare i dossier, l'incontro con il presidente americano va messo molto sul concreto, su come affrontare il G8 senza rotte di collisione. Berlusconi s'imbarca sul volo di Stato con un traguardo: dare prova di continuità nei rapporti con gli Usa. «Friendship as usual», l'amicizia di sempre. Senza più l'enfasi dell'era Bush, ma ispirata al pragmatismo tipico della nuova amministrazione. Le ultime da Washington tranquillizzano il Cavaliere: c'è sempre l'ostilità di certi ambienti, specie nel Dipartimento di Stato dove regna Hillary Clinton, ma il giro dell' «intelligence» berlusconiana fa un calcolo terra-terra: nonostante le aperture di Obama all'Islam moderato, Ahmadinejad è stato rieletto. L'Europa resta un partner scettico. All'America servono veri amici. E noi siamo sempre a disposizione. Escluso dunque che ci sbattano la porta in faccia. Sipario pure sulle voci, riferite nelle scorse settimane al premier, di dossier riservati che qualcuno in America avrebbe compilato sulle «relazioni pericolose». Che agli occhi degli Usa non sono con Noemi, semmai quelle con Gheddafi e con l'oligarca Putin.

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SE MARX SEDUCE LA DESTRA (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Barbara Spinelli SE MARX SEDUCE LA DESTRA Anche le destre - forse soprattutto le destre - guardano d'un tratto a Karl Marx in altro modo: l'odierna crisi economica somiglia non poco al «continuo stravolgimento dei rapporti consolidati», alla «continua evaporazione di quel che è solido», descritti dal filosofo nel 1848. Il padre del comunismo fantasticò il riscatto di una sola classe, e fu funesto, ma la descrizione era realista, tutt'altro che fantasiosa. È vero che la borghesia tende a rispondere alle crisi «provocando crisi sempre più generalizzate, più distruttive, e riducendo i mezzi necessari a prevenirle». È vero che «la moderna società borghese è come l'apprendista stregone, incapace di controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate». È vero che essa «ha spietatamente strappato tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia piccolo-borghese. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli». È vero infine che il capitalismo sormonta spesso i mali coi veleni che li scatenano: tra essi, «l'epidemia della sovrapproduzione». Il Capitale è di moda da qualche tempo. A prima vista può apparire stupefacente quel che è accaduto alle elezioni europee. Marx e Keynes tornano in auge, ma per le sinistre socialiste o radicali è catastrofe: sono crollate in 16 paesi su 27, con punte massime in Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Spagna. Al momento sono come istupidite, e non sapendo spiegare a se stesse il disastro si rifugiano nella denegazione. Il capo dei socialdemocratici tedeschi Müntefering fa finta di nulla e giudica assurdo l'esito, «visto che abbiamo spiegato così bene l'Europa sociale». I compagni francesi balbettano. Franceschini, in Italia, emette il verdetto, consolatorio e falso: «Abbiamo perso perché il vento della destra soffia così forte in Europa». In realtà non ha vinto un vento di destra ma un vento ben contraddittorio: il vento di una destra pragmatica, spregiudicata, non più ideologica, che pur di mantenere il potere agguanta ogni utensile a disposizione. Soprattutto gli utensili della socialdemocrazia: lo Stato che protegge i deboli, e se necessario governa estesamente l'economia. Quel che la destra ha fatto in pochi mesi è impressionante: è stata lei a chiudere l'era Thatcher, sorpassando una sinistra paralizzata dai complessi di colpa, allergica a una conflittualità di cui si vergogna, ammaliata per 13 anni dal Nuovo Labour di Blair e dal suo mimetismo thatcheriano. Senza patemi la destra europea ha smesso l'antistatalismo, la lotta alla spesa pubblica, il dogma delle privatizzazioni. Con sotterfugi linguistici esalta perfino il Welfare: dice «stabilizzatori automatici» per non dire Stato Provvidenza. Uomini come Tremonti scoprono l'anticapitalismo, chiamandolo anti-mercatismo. Qualche tempo fa, in una manifestazione della sinistra estrema a Parigi, ho incontrato un militante che mi ha detto: «Beati voi che avete Tremonti!». Niente vento di destra dunque, ma un'usurpazione più o meno cinica di idee socialdemocratiche e anche marxiste che devasta le sinistre classiche. Se in Europa si riapre la questione sociale saranno Sarkozy, Tremonti, Angela Merkel a gestirla, nazionalizzando o stampando moneta. Essenziale è traversare il torrente con ogni mezzo, e sperare che si torni allo status quo ante senza mutare il modo di sviluppo produttivistico. Marx e Keynes sono usati non per cambiare modello, ma per perpetuarlo con l'ambulanza del Welfare. È un modello che socialisti e sindacati condividono, quando accusano la destra di ultraliberismo o si limitano a chiedere aumenti salariali e tutela dei posti fissi. Per questo sono oggi ombre di se stessi. Le elezioni europee non dicono tuttavia solo questo. Le sinistre defraudate sono aggrappate allo status quo ma nuove forze emergono, che pensano la crisi con sguardo più profondo e lungo. Che seguono con estrema attenzione Obama e presentono, in quel che annuncia, la possibilità di una trasformazione, di un ricominciamento. È il caso dei Verdi in Francia, Germania, Inghilterra, Svezia, Belgio, Grecia, Finlandia. È il caso dei liberali-legalitari di Di Pietro, e perfino di forze inedite come i Pirati in Svezia. Quattro consapevolezze accomunano questi gruppi. Primo, la crisi presente è tettonica, e non si esaurisce nella questione sociale. Secondo: il capitalismo di Stato che ovunque risorge accresce i poteri dello Stato censore sulle libertà cittadine. Terzo: la corruzione che ha accompagnato la crisi può perdurare, perché le urgenze governative sono altre. Quarto: il ricominciamento dovrà accadere in Europa, non negli Stati-nazione. Daniel Cohn-Bendit è precursore in questo campo, e il suo successo è significativo. La questione sociale non è negata, ma egli la vede in connessione stretta con il clima: dunque con una crescita alternativa, e come ha detto Obama al vertice dei G-20, con un «mercato dei consumi meno vorace». A suo avviso sia la destra che la sinistra difendono lo status quo: la crescita dei consumi e di vecchie produzioni, la lotta sul clima rinviata al dopo-crisi, come nei desideri di governanti e imprenditori italiani. «È come se le sinistre avessero nel computer un software inadatto», dice: un «software produttivistico» sorpassato e nocivo. Il carisma del leader verde non è senza legami con quello di Di Pietro, De Magistris, Arlacchi. Anche i francesi di Europa-Ecologia hanno schierato giudici: Eva Joly, numero due nella lista, ha indagato sulla corruzione dei potenti (incriminando il faccendiere Tapie o - nell'affare Elf - l'ex ministro degli Esteri Roland Dumas) ed è esperta in delinquenza finanziaria internazionale. Anche lei è cittadina d'Europa: come Cohn-Bendit è franco-tedesco, lei è franco-norvegese. Infine c'è il Partito dei Pirati: una formazione che ha raccolto il 7 per cento ed è il terzo partito svedese per numero di iscritti. La sua battaglia per il libero e completo accesso a internet è emblematico segno dei tempi: con il dissesto dei giornali e l'estendersi del capitalismo di Stato, si è visto negli ultimi giorni quanto sia prezioso lo spazio internet e dei blog. È prezioso in Francia, dove la Corte costituzionale ha appena invalidato una legge che vieta lo scaricamento di programmi, affermando che solo il giudice può emettere sanzioni e non l'autorità amministrativa. È prezioso in Italia, dove la libertà internet è minacciata dalla nuova legge sulle intercettazioni: lo spiega molto bene Giuseppe Giulietti sul quotidiano online per la libertà d'espressione (Articolo21.info). L'impotenza dello Stato-nazione accelera le cose. Sono cresciuti i partiti concentrati sull'Europa, per respingerla o approvarla. I Verdi sono i soli, nel voto di giugno, ad aver appreso la dimensione sovranazionale delle politiche europee. Cohn-Bendit è l'unico ad aver parlato in nome d'un partito non nazionale: il che vuol dire che non siamo giunti, con la crisi delle sinistre tradizionali e del modello produttivistico, alla fine del progetto europeo pensato dai fondatori. Sono sfibrate le forze dimentiche dell'Europa, non quelle che investono su essa e reinventano. L'analisi di Cohn-Bendit è giusta: «Una forza politica moderna deve avere oggi dimensioni europee. E la crisi della socialdemocrazia la si risolverà solo formulando, contro le alternative nazionali, alternative europee. È qui che il socialismo ha fallito: aveva davanti a sé un boulevard in Europa, e ha dato risposte solo sul piano nazionale».

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"rubati i nostri voti ma i giovani e le donne cambieranno il paese" - francesca caferri (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 9 - Esteri La scrittrice Azar Nafisi, autrice di "Leggere Lolita a Teheran" "Rubati i nostri voti ma i giovani e le donne cambieranno il Paese" Quelle code ai seggi sono un segnale di speranza. Obama? Deve dialogare con la società civile iraniana" FRANCESCA CAFERRI Nel buio delle immagini che arrivano da Teheran, Azar Nafisi riesce comunque a trovare uno spiraglio di luce: «La cosa più importante è che la gente ha detto quello che vuole. Lo abbiamo visto con le code in strada, con i giovani, con le donne. Il risultato è un´altra cosa, lo sanno tutti che è truccato. Ma quello che abbiamo visto è l´Iran che vuole cambiare». Se lo dice lei forse c´è da fidarsi: il suo "Leggere Lolita a Teheran" è il libro di maggior successo sulla Persia uscito negli ultimi anni. Delusa, signora Nafisi? «No. La cosa più importante è stata la reazione della gente. Voi occidentali sbagliate a focalizzare l´attenzione solo sulle élite politiche, gli iraniani hanno detto forte e chiaro cosa vogliono». Ma ha vinto Ahmadinejad... «Lo sanno tutti che il voto è stato truccato. Ma se anche Ahmadinejad avesse vinto davvero (mai con questi numeri) quella che ha espresso scontento è una minoranza sostanziale. Sono i giovani, le donne. Nessuno potrà fare finta di niente». Allora per il fronte riformista questa non è una sconfitta vera? «I religiosi sono divisi. La società civile si è mostrata forte e compatta. Questi sono segni positivi. Certo io, come molti altri, avrei voluto un risultato diverso. Ma non importa, questa storia non finisce qui, ci sono segni che non possiamo ignorare». Come fa ad essere cosi sicura che il voto sia stato truccato? «Non dico che nessuno abbia votato Ahmadinejad. Ma perché mai gli iraniani dovrebbero volerlo ancora? Non ha mantenuto le promesse verso i poveri. Ha aumentato la repressione sui giovani e gli intellettuali. Ogni volta che va all´estero getta vergogna sul paese. La popolazione in Iran è sempre più giovane e vuole essere libera. Questa è una pausa, non la fine del processo di apertura: i giovani non sceglieranno la violenza, perché è quello che vuole il regime, ma non smetteranno di chiedere più diritti». Lei oggi vive negli Usa: come pensa reagirà Obama, che aveva scommesso sul cambiamento? «Dovrebbe capire che il dialogo con l´Iran non si costruisce parlando solo con il regime. è la società civile quella su cui occorre puntare. Questo è il messaggio vero di queste elezioni».

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la lezione del grande venditore "vinco con la politica del cucù" - alberto statera (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 3 - Economia La lezione del grande venditore "Vinco con la politica del cucù" Il premier: così sono diventato amico della Merkel e del raìs "A una che ha una figlia brutta, devi raccontare che la sua bambina è meravigliosa" Applausi a Sacconi che invita i laureati a fare anche gli imbianchini pur di lavorare "Ma davvero la Libia era italiana", si chiede qualche giovane imprenditore ALBERTO STATERA dal nostro inviato Santa margherita ligure - Gorgonzola e vino passito a Zapatero. Scherzetti ad Angela Merkel, «una che viene dai paesi dell´est». Tanta pazienza con Gheddafi, come si usa per un «cliente originale», cioè un po´ scimunito. Con un solo imperativo categorico: «mai mani sudate» con il «cliente». Per la prima volta, dinanzi alla platea di giovanotti in gessato ammorbiditi da scarpe da ginnastica e di giovanotte in push-up pettorale e tacco da dodici, che si spellano le mani quando il ministro Sacconi invita i laureati ad andare a fare gli imbianchini - che c´è tanto bisogno - Silvio Berlusconi con tono autorevolmente didascalico tiene una lectio magistralis sulla «politica del cucù». La politica che tanto prestigio gli sta procurando all´estero. La chiama così lui stesso, con apprezzabile tasso di presunta autoironia. Di fronte a un popolo un po´ stralunato di confindustrini, che in perfetto digiuno di libri di storia patria si chiede perplesso che cosa mai abbia a che fare l´Italia con la Libia e con il colonialismo, cui vende il perfetto manuale del giovane venditore. L´amicizia con Gheddafi - dice il premier - era obbligatoria. Nasce dal fatto che uno che governa da quarant´anni è per forza non un dittatore, ma un uomo «intelligentissimo». Anche se, dobbiamo presumere, un po´ meno di Stalin che comandò soltanto per ventinove anni. Nella politica del cucù, il «brand» presidenziale nato dal richiamo che da dietro un pennone portabandiera egli stesso lanciò al perplesso cancelliere germanico che viene dall´est il 17 novembre del 2008, c´è una filosofia di comunicazione che il premier ha deciso di rivelare ai giovani adepti che per venticinque volte, salvo errore, l´hanno applaudito ieri a scena aperta durante il concitato intervento, nel quale ha denunciato un pericoloso «progetto eversivo» nei suoi confronti. Singolarità vuole, nonostante i tentativi di Emma Marcegaglia e Federica Guidi di riportare il tutto nei binari il dibattito di un paese serio, che l´ovazione della giovanile platea scattasse soprattutto in coincidenza con i capitoli più in consonanza con i raffinati calembour presidenziali in stile «Bagaglino». «La politica - racconta il premier travolto da un irrefrenabile applauso - è come fare la corte alle ragazze. «Se te ne vuoi rimorchiare una non è che le dici: "Vieni fuori con me sabato". Le dici: "Vuoi uscire con me sabato o venerdì?". Questa è la politica, ragazzi. A una signora con uno sguardo un po´ da talpa devi dire che ha «gli occhi trasparenti». A una che ha una figlia cozza, devi raccontare che la sua bambina è meravigliosa. A uno che ha una cravatta orrenda devi dire: «Che bella cravatta primaverile!» E, soprattutto, a uno che ha la mano sudata, che bagna irrimediabilmente la tua per i successivi stringimano, rischiando di farti fare brutta figura, devi dichiarargli sorridendo: «Che bella stretta che hai!». Applausi, applausi. Più o meno per un decalogo analogo a quello che veniva fornito vent´anni fa ai venditori di Publitalia capeggiati da Marcello Dell´Utri, rivenduto oggi a questi giovani imprenditori, che ad ognuno dei venticinque applausi fanno un po´ più tenerezza. Girano in Suv o in Porsche da 300 cavalli, incedono nei cinque stelle con la sicumera dei padroni, ma non sanno neanche lontanamente che cosa fece l´Italia mussoliniana nelle colonie. Ma davvero la Libia era italiana? Si spellano le mani quando un ministro del Lavoro in carica gli dice: i giovani laureati vadano a lavorare, facciano i commessi o gli operai, che gli fa bene. Ma talvolta non sanno neanche quel poco di storia che i loro coetanei destinati a fare gli imbianchini forse maneggiano. E´ così, con la politica del Cucù, che «si rendono gradevoli le amicizie» con i capi di Stato e di governo, come è stato ampiamante sperimentato nelle convention di Publitalia. E come il mondo in realtà è costretto a riconoscere perché alla guida del paese - ci informa il premier - «adesso c´è un tycoon, un grande imprenditore come Gianni Agnelli, che ha considerazione come uomo politico, ma prima ancora ne aveva come imprenditore». Questo per norma e regola di tutti quelli i quali dicono che «bisognerebbe comportarsi in modo diverso» sulla scena internazionale. L´artrosi cervicale che lo tormenta e il cortisone che deve assumere, come per la sciatalgia che due anni fa lo colpì quando saltò sul palco dinanzi agli industriali di Vicenza, non hanno impedito al premier di firmare alle tre di notte di venerdì l´ultimo dei tredici appalti che consentiranno di costruire le nuove case all´Aquila entro il 30 novembre (applauso). Segue descrizione degli appartamenti provvisori in fase di realizzazione, due vani e bagno, che fanno dell´Italia «un esempio unico nella storia di tutto l´occidente» (applauso). Per non dire dei trenta appartamenti che tra poche settimane ospiteranno all´Aquila i capi di Stato e di governo, dotati di tutti i comfort, persino della palestra Tecnogym per il benessere fisico di Barack Obama, come dal palco ha già rivendicato l´imprenditore Nerio Alessandri (applauso). La politica del cucù, come il premier l´ha ieri perfettamente definita, si nutre delle tecniche del Venditore, come tanti anni fa recitava il titolo di un libro di Peppino Fiori, che la platea dei giovani investita delle sorti future del paese e chiamata a raccolta per superare la crisi, ha apprezzato ben oltre qualche imbarazzato sorriso della prima autorevole fila, di fronte alle iperboliche vette oratorie. La notizia da Santa Margherita non è oggi la pregevole, ma già vista performance del leader. Sono gli applausi, in tempi di crisi, di una platea che rischiamo di veder soprannominata da quegli snob dell´Economist «rednecks», nuche rosse, per il sole preso nei campi. O in spiaggia.

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berlusconi e il fantasma di draghi "ma non riusciranno a farmi fuori" - carmelo lopapa claudio tito (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 4 - Interni Berlusconi e il fantasma di Draghi "Ma non riusciranno a farmi fuori" è il governatore il "non eletto" che il Cavaliere teme E dieci giorni fa il Cavaliere aveva attaccato il governatore sui precari Il timore del premier che ci siano ripercussioni con le cancellerie internazionali CARMELO LOPAPA CLAUDIO TITO ROMA - Il fantasma di un governo tecnico guidato da Mario Draghi e l´incubo che lo scandalo foto possa compromettere seriamente i rapporti con le cancellerie internazionali. Ecco cosa ha spinto il premier Silvio Berlusconi all´intemerata sul «progetto eversivo» dinanzi alla platea dei giovani industriali, a meno di un mese dal G8 sul quale il governo scommette una buona fetta della sua credibilità e alla vigilia della tanto agognata visita a Washington per incontrare Obama. Numeri della maggioranza blindati, governo compatto, leggi come caterpillar in Parlamento, dunque, non fanno sentire il presidente del Consiglio al riparo, sufficientemente sicuro. Complici, la crisi economica montante - al di là delle rassicurazioni ribadite fino a ieri - e i nuovi risvolti legati al Casoriagate, alle foto di Villa Certosa, alle veline sui voli di Stato. Il timore che il Cavaliere ancora ieri mattina confidava a ministri e parlamentari Pdl che lo hanno seguito a Santa Margherita, è che si stia muovendo una sorta di «tenaglia», intenta a schiacciarlo su due fronti, interno e internazionale: «Pensano di farmi fuori con una manovra di Palazzo, ma non mi metteranno all´angolo, gli italiani stanno dalla mia parte». In privato, non è un mistero, Silvio Berlusconi ormai da un mese dà un volto e un nome a quell´ «altra persona non eletta dagli italiani» evocata ieri e che potrebbe prendere il suo posto. Volto e nome che portano dritti al vertice della Banca d´Italia. A Palazzo Chigi sentono da settimane gli echi dell´indiscrezione che circola negli ambienti confindustriali e che indicano nel governatore Mario Draghi il potenziale presidente di un esecutivo tecnico, di «salute pubblica», un governo per gestire la crisi. I boatos hanno fatto presto a giungere alle orecchie di Berlusconi, ovvia la sua forte irritazione. A quanto sembra ne avrebbe parlato anche con la numero uno di Confindustria Emma Marcegaglia, presumibilmente lo ha fatto anche ieri durante la colazione con lei nella residenza di Portofino, al termine del convegno. I rapporti tra l´inquilino di Palazzo Chigi e il governatore sono cortesi, formali, ma ormai niente più di questo. Il 5 giugno scorso, alla vigilia delle Europee, Berlusconi non ha esitato a smentire pubblicamente la previsione preoccupata del governatore su quel milione e 600 mila lavoratori che rischiano di restare senza sussidio in caso di perdita del posto: «Questa è un´informazione di Draghi che non corrisponde alle nostre conoscenze». E le bordate sempre più frequenti del ministro dell´Economia Tremonti nei confronti di Draghi sono la conferma di un clima, di un´insofferenza che fa da sfondo a un antagonismo sotto traccia. Il premier non dimentica che l´inquilino di Palazzo Koch è stato uno dei «Ciampi boys». Come non si stanca mai di far notare ai suoi come Pd e Casini prendano le difese di Draghi tutte le volte in cui emerga una qualche contrapposizione col governo. Nei giornali berlusconiani, in queste ore, è tutto un fiorire di «complotti», «congiure», «assalti» e «avvoltoi». Non a caso. Alla fobia interna, se ne sta affiancando un´altra, riconducibile alla storia delle 5 mila foto private che hanno immortalato Berlusconi (e le sue ospiti) a Villa Certosa e che ora sono in circolazione. Il presidente del Consiglio dà per scontato che presto alcuni di quegli scatti saranno pubblicati all´estero, nonostante l´ulteriore richiesta di sequestro avanzata dal suo avvocato Ghedini. «Il timore - racconta chi è più vicino al premier - è che una qualsiasi cancelleria europea prenda a pretesto quelle immagini e le fandonie che le circondano per decidere di non incontrare più il presidente». Ecco il rischio isolamento che si affaccia. A quel punto, solo a quel punto, Berlusconi si sentirebbe spalle al muro. I più espliciti tra i fedelissimi, come Osvaldo Napoli tra gli altri, denunciano in un tam tam crescente che una regia sta lavorando per portare indietro l´orologio, magari al ‘94, «qualcuno vuole tenere in scacco la democrazia italiana e impedire che si concluda la transizione che dura da 17 anni». Ma non tutto il Pdl, come sempre più spesso accade, segue il premier sulle barricate. La teoria del complotto sembra non convincere affatto gli ex An, il presidente della Camera Fini e gli ambienti a lui più vicini. «Come non è stata mai credibile la teoria del complotto delle toghe rosse - racconta il finiano Fabio Granata - così non sembra fondata la tesi che ci sia un´eversione in atto. C´è un fuoco di fila, è vero, ma si argina solo con un´azione di governo incisiva».

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la cosa pubblica e la casa privata - corrado augias (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

C aro Augias, durante la campagna elettorale sono capitato su un programma tv nel momento in cui il premier rivendicava la sua capacità di ospitare e fare regali costosi in nostro nome. I giornalisti presenti facevano quasi scena muta, il conduttore seguiva obbediente. Berlusconi non ha capito la confusione che ha creato e spero che i magistrati se non penali almeno quelli amministrativi provino a rammentargli il nodo del busillis. Se l'invito è stato fatto in forma privata non ha diritto di usare i mezzi dello Stato per i suoi ospiti. Se l'invito è rivolto come capo del Governo cioè a nome di noi italiani allora deve svolgersi nei luoghi delegati alle rappresentanze ufficiali. E' evidente che se ospita a casa sua a nome di noi italiani oltre all'ostentazione della propria ricchezza è come se ci trattasse tutti da sudditi il che a parte ogni considerazione di tipo istituzionale è una bella prova di maleducazione. Anche il concetto di sicurezza sbandierato dai suoi amici appare peloso. Obama vive alla Casa Bianca, Sarkozy e Brown vivono in abitazioni protette. Si dia anche al premier italiano un alloggio sicuro. Non si possono spendere miliardi in case private pagati da tutti noi per i capricci di ogni capo del Governo presente e futuro. Rolando Aielli rolando.aielli@tiscali. it L a questione è del più grande interesse. E' stato più volte messo in risalto l'uso improprio, le forzature, che il capo del Governo fa delle sue prerogative, funzioni e perfino alloggi. Uno dei casi più clamorosi, e sospetti, si ebbe in occasione delle ultime elezioni politiche quando Giuseppe Pisanu, ministro dell'Interno, si recò a palazzo Grazioli, cioè nell'abitazione privata del premier, per aggiornarlo sullo spoglio in corso delle schede elettorali. Un altro caso, più recente, è quando in quella stessa abitazione sono state discusse, e decise, le nuove nomine Rai. Non si tratta solo di un pasticcio formale. Questa confusione fa regredire il rapporto del capo del Governo con le istituzioni e i cittadini a prima che si stabilisse la separazione dei poteri e delle funzioni (comprese le spese relative) tra le varie articolazioni di uno Stato. Berlusconi farebbe probabilmente un salto sulla sedia, ma è la verità, se gli si facesse notare che una tale impostazione, in epoca moderna, ha caratterizzato gli Stati comunisti che non riconoscono il principio della separazione dei poteri. Usare una dimora romana o una villa in Sardegna, che sono residenze private, per svolgervi funzioni pubbliche è un'ulteriore prova di quel populismo di marca peronista tipico del suo agire. Purtroppo si tratta di deviazioni al protocollo di una democrazia che sembrano interessare solo un numero limitato di cittadini sfuggendo ai più la loro gravità.

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il cavaliere e il suo fantasma - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 32 - Commenti IL CAVALIERE E IL SUO FANTASMA (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) è proprio questa l´immagine drammatica dell´Italia che l´uomo più ricco e più potente del Paese porta oggi con sé in America, all´incontro con Obama. Solo Berlusconi sa perché dice queste cose, perché solo lui conosce la verità, che non può rivelare in pubblico, della sciagura che lo incalza. Noi osserviamo il dramma di un leader prigioniero di un clima di sconfitta anche quando vince perché da quindici anni non riesce a trasformarsi in uomo di Stato nemmeno dopo aver conquistato per tre volte il favore del Paese. Quest´uomo ha con sé il consenso, i voti, i numeri, i fedeli. Ma non ha pace, la sicurezza della leadership, la tranquillità che trasforma il potere in responsabilità. Lo insegue l´altra metà di se stesso, da cui tenta di fuggire, sentendosi ghermito dal fondo oscuro della sua stessa storia. E´ una tragedia del potere teatrale e eccessiva, perché tutto è titanico in una vicenda in cui i destini personali vengono portati a coincidere col destino dell´Italia. Una tragedia di cui Berlusconi, come se lo leggesse in Shakespeare, sembra conoscere l´esito, sino al punto da evocare la sua fine davanti al Paese. In realtà, come è evidente ad ogni italiano di buon senso, non c´è e non ci sarà nessun golpe. C´è invece un rapido disfacimento di una leadership che non ha saputo diventare cultura politica ma si è chiusa nella contemplazione del suo dominio, credendo di sostituire lo Stato con un uomo, il governo con il comando, la politica con il potere assoluto e carismatico. Oggi quel potere sente il limite della sua autosufficienza. Ciò che angoscia Berlusconi è il nuovo scetticismo istituzionale che avverte intorno a sé, il distacco internazionale, il disorientamento delle élite europee, le critiche della stampa occidentale, la freddezza delle cancellerie (esclusi Putin e Gheddafi), lo sbigottimento del suo stesso campo: dove la regolarità istituzionale di Fini risalta ogni giorno di più per contrasto. Il Cavaliere sente di aver perso il tocco, che aveva quando trasformava ogni atto in evento, mentre lo spettacolo tragicomico dei tre giorni italo-libici dimostra al contrario che le leggi della politica non sono quelle di uno show sgangherato. Soprattutto, Berlusconi capisce che la fiaba interrotta di un´avventura sempre vittoriosa e incontaminata si è spezzata, semplicemente perché gli italiani improvvisamente lo vedono invece di guardarlo soltanto, lo giudicano e non lo ascoltano solamente. E´ in atto un disvelamento. Questa è la crepa che il voto ha aperto dentro la sua vittoria, e che è abitata oggi da queste precise inquietudini. Il Cavaliere ha infatti ragione quando indica i quattro pilastri che perimetrano il campo della sua recente disgrazia: le veline, le minorenni, lo scandalo Mills e gli aerei di Stato. Giuseppe D´Avanzo, che su questi temi indaga da tempo con risultati che Berlusconi conosce benissimo, spiega oggi perché siano tutt´altro che calunnie come dice il premier. Sono quattro casi che il Cavaliere si è costruito con le sue mani, che lo perseguitano perché non può spiegarli, che lui evoca ormai quotidianamente mentre tenta di fuggirli, e che formano insieme uno scandalo pubblico, tutt´altro che privato: perché dimostrano, l´uno insieme con l´altro, l´abuso di potere come l´opinione pubblica comprende ogni giorno di più. E´ proprio questo il sentimento del pericolo che domina oggi Berlusconi. Incapace di parlare davvero al Paese, di confrontarsi con chi gli pone domande, di assumersi la responsabilità dei suoi comportamenti, reagisce alzando la posta per trascinare tutto - le istituzioni, lo Stato - dentro la sua personale tragedia: di cui lui solo (insieme con la moglie che di questo lo ha avvertito, pochi giorni fa) conosce il fondo e la portata. Reagisce minacciando: l´imprenditore campione del mercato invita addirittura gli industriali italiani a non fare pubblicità sui giornali «disfattisti», quelli che cioè lo criticano, perché la sua sorte coincide col Paese. Poi si corregge dicendo che voleva invitare a non dar spazio a Franceschini, come se non gli bastasse il controllo di sei canali televisivi ma avesse bisogno di un vero e proprio editto. E´ qualcosa che non si è mai visto nel mondo occidentale, anche se la stampa italiana prigioniera del nuovo conformismo preferisce parlar d´altro, come se non fosse in gioco la libertà del discorso pubblico, che forma l´opinione di ogni democrazia. In realtà Berlusconi minaccia soprattutto se stesso, rivelando questa sua instabilità, questa paura. Se sarà coerente con le sue parole, c´è da temere il peggio. Cosa viene infatti dopo la denuncia del golpe? Quale sarà il prossimo passo? E se c´è una minaccia eversiva, allora tutto è lecito: dunque come userà i servizi e gli altri apparati il Cavaliere, contro i presunti «eversori»? Come li sta già usando? Chi controlla e chi garantisce in tempi che il premier trasforma in emergenza? Attendiamo risposte. Per quanto ci riguarda, continueremo a comportarci come se fossimo in un Paese normale, dove la dialettica e anche lo scontro tra la libera stampa e il potere legittimo del Paese fanno parte del gioco democratico. Poi, ognuno giudicherà dove saprà fermarsi e dove potrà arrivare questo uso privato e già violento del potere statale da parte di un uomo che sappiamo pronto a tutto, anche a trasformare la crisi della sua leadership in una tragedia del Paese.

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il colpo di mano del regime di teheran - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 33 - Commenti IL COLPO DI MANO DEL REGIME DI TEHERAN (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Nella notte di venerdì, il riformatore Mir Hussein Moussavi (al quale viene attribuito un modesto, umiliante quoziente, sotto il 34%), basandosi sui dati in suo possesso, si era dichiarato vincente. Ne era convinto. Poteva giurarlo. Per lui e per i suoi sostenitori l´esito dello scrutinio reso pubblico nel mattino «è un tradimento del voto popolare». Il risultato ufficiale può essere stato truccato, corretto, gonfiato, per impedire anzitutto un ballottaggio che avrebbe tenuto il paese in una pericolosa agitazione ancora per parecchi giorni. La situazione, creata dalle manifestazioni in cui si invocava più libertà, più democrazia, poteva sfuggire di mano. Ma non è escluso che gli scrutatori abbiano soltanto reso più vistoso il successo di Ahmadinejad. La cui riconferma sarebbe stata comunque garantita dal sostegno delle classi meno abbienti, relegate nell´Iran profondo, isolato rispetto a una società sempre più moderna e raccolta nei centri urbani, e dalla mobilitazione del potente e numeroso apparato religioso e militare (dalle moschee, ai Guardiani della Rivoluzione, alle milizie Basiji, ai servizi segreti, responsabili della morale islamica) . Ahmadinejad ha avuto, in sostanza, il voto decisivo della Guida suprema, l´ayatollah Ali Khamenei, che esercita un potere assoluto o un´influenza indiscussa su quel mondo. Il suo voto, in senso lato, è quello che conta in un regime teocratico, basato sul « primato dei teologi», interpreti della sharia. La Guida suprema è la massima autorità collocata al di sopra della società politica, in tutte le sue espressioni, dal governo al Parlamento. Khamenei ha definito «una vera festa» la rielezione di Ahmadinejad. Un modo come un altro per annunciare la fine della festa elettorale, e il ritorno alla realtà, all´ordine: a un paese governato dall´uomo che ai suoi occhi è il più fedele interprete dei principi della Repubblica islamica in questa fase politica interna e internazionale. Ed è quindi con lui che gli iraniani e il resto del mondo, compresa l´America di Barack Obama, incluso l´Israele di Benjamin Netanyahu, avranno a che fare. In sostanza Khamenei ha fatto sapere che nulla è cambiato, poiché lui, la Guida suprema, e i vari interpreti delle leggi islamiche, continueranno a prendere le vere decisioni. Al momento Ahmadinejad è il suo strumento preferito. Per Khamenei, e le forze clericali più conservatrici, la vittoria di Moussavi avrebbe impegnato l´Iran in riforme destinate a creare instabilità all´interno. E questo proprio nel momento in cui la Repubblica islamica deve reagire alla mano tesa di Barack Obama, e offrire al mondo sospettoso, ostile, l´immagine di una nazione compatta. E non troppo condiscendente, altrimenti la Repubblica islamica perderebbe la propria identità. Una visione teologica, dogmatica, venata d´orgoglio e di nazionalismo, può essere l´opposto di una visione razionale. Slitta facilmente nel fanatismo e in un indecifrabile tumulto mentale. L´avvento di Moussavi alla presidenza della Repubblica poteva apparire come un segno di debolezza, anche se il candidato riformatore è un deciso nazionalista. La riconferma di Ahmadinejad dà un segnale opposto. Significa la continuità. La fermezza, giudicata indispensabile, all´avvio di un eventuale negoziato. Anche se nel secondo mandato il rozzo, antisemita presidente dovrà dosare o rinunciare ai suoi attacchi all´America e a Israele. Dovrà adeguarsi alle direttive della Guida suprema, cui spetta di gestire i rapporti internazionali. Insomma Ahmadinejad numero 2 dovrebbe essere più presentabile di Ahmadinejad numero 1. Quel che è in gioco, nei prossimi mesi, è il destino della Repubblica islamica: non tanto la sua sopravvivenza, ma il suo ulteriore isolamento, appesantito dal rischio di più gravi sanzioni. Né si possono escludere azioni militari contro i suoi centri nucleari. Ma il potere clericale è come colto da un crampo: esita a socchiudere le porte, e ad allentare i controlli su una società che dà evidenti segni di impazienza. Tenendo conto della natura del regime iraniano, Barack Obama si è ben guardato dall´interferire nella campagna elettorale. Non a caso, appena conosciuto il risultato, i primi commenti di Washington sono stati estremamente prudenti. La mano americana resta aperta, e vale sempre la proposta di un «nuovo inizio» lanciata da Obama al mondo islamico. Non importa chi sia stato eletto a Teheran. Ma è evidente che la permanenza di Ahmadinejad a capo dell´esecutivo, sia pure in una posizione subalterna a Khamenei, cambia molte cose. Allunga i tempi e rischia di ridurre lo spazio dell´azione diplomatica americana. Mette in allarme i governi sunniti, dall´Arabia Saudita all´Egitto, preoccupati di un Iran sciita dotato di un´energia nucleare, che domani potrebbe essere militare, e quindi tentati di fare altrettanto. Ridimensiona la speranza americana di una sollecita collaborazione iraniana nel conflitto afghano, contro i talebani, sunniti fanatici. Ringagliardisce gli hezbollah libanesi appena sconfitti alle elezioni. E dà fiato all´ala intransigente di Hamas in Palestina. Almeno per il momento, il voto di Teheran non allarga gli spiragli dischiusi in Medio Oriente dal discorso rivolto da Barack Obama all´Islam. Per la sua immagine e il suo passato, Ahmadinejad resta l´interlocutore meno gradito. E meno affidabile in un negoziato che deve affrontare un problema cruciale, quale è il nucleare. Il fatto che Khamenei l´abbia scelto non è di buon auspicio. E´ difficile negarlo, pur considerando le recondite intenzioni della Guida suprema. La reazione israeliana, come era prevedibile, è stata meno cauta di quella americana. La rielezione di Ahmadinejad rafforza la posizione di Benjamin Netanyahu, secondo la quale la questione nucleare iraniana è il principale problema mediorientale, di gran lunga più urgente della questione palestinese. Nel discorso che dovrebbe pronunciare oggi, in risposta ai propositi tenuti da Obama, il primo ministro israeliano potrà presentare il risultato elettorale iraniano come un valido motivo per dare la precedenza alla minaccia nucleare di Teheran, e trascurare l´obiettivo di uno Stato palestinese, indicato con fermezza dal presidente americano. Il ministro degli Esteri, il falco Lieberman, si è affrettato a dire che le ambizioni atomiche iraniane restano, chiunque sia il presidente eletto. I piani militari tesi a preparare un´operazione contro le centrali nucleari della Repubblica islamica non rischiano di essere archiviati.

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ma genova è anche un suq - enzo costa (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina V - Genova Le idee Folla per l´inaugurazione dell´incontro tra le culture del mondo, con Gad Lerner Ma Genova è anche un Suq ENZO COSTA MA LO vogliamo dire che Genova è anche quella del Suq? Venerdì scorso, all´inaugurazione dell´incontro con le culture del mondo orchestrato da Carla Peirolero, lo si capiva benissimo, forse ancora più del solito: era come se, per una volta, il quotidiano addensarsi nel paesaggio italico delle nuvole plumbee dell´intolleranza, della xenofobia, del razzismo di Lega e di sgoverno, non avesse prodotto - tra chi è costituzionalmente meteoropatico nei confronti di simili perturbazioni sociali e politiche - il consueto, rassegnato asserragliarsi in casa o in se stessi nell´attesa che passi la nottata tempestosa. No, venerdì sera, la gente c´era, al Suq: e non solo nel senso di un afflusso di massa davvero impressionante e quindi, visti i (mal) tempi, significante. Ma anche e soprattutto nel senso di una partecipazione forte, attiva, vibrante: intensa come e più delle spezie mediorientali, si avvertiva un´energia positiva rara e preziosa. Le persone erano lì, in tante, in tantissime, ognuna con la propria storia, le proprie idee, le proprie origini, i propri jeans o la propria tunica, ma tutte catturate e coinvolte allo stesso modo dalle parole di Gad Lerner, che raccontavano con lucido trasporto la bellezza e l´inevitabilità del meticciato, gli orizzonti spalancati dalla presidenza Obama e l´aria viziata e viziosa dell´Italietta berlusconiana, la fatica e la possibilità della convivenza. SEGUE A PAGINA XIII

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"matteo, ci vuole più coraggio: pensa a obama" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina III - Firenze Bertini "Matteo, ci vuole più coraggio: pensa a Obama" Di ritorno da poche ore dalla Germania, Ivano Bertini, professore di chimica all´università di Firenze ha una visione più "internazionale" e, dopo aver letto il forum, rivolge un appello a Matteo Renzi: «Sia più coraggioso, pensi a Obama e al suo discorso sulle energie rinnovabili. La proposta del termovalorizzatore sostenuta da entrambi i candidati va bene ma non basta. Bisogna che la sinistra abbia più fiducia nella tecnologia e nell´innovazione. Solo così può uscire dalla crisi in cui si trova». Di Galli il professore ha una buona opinione: «E´ una persona simpatica, di buon senso. Si vede che è uno per bene e onesto ma nella politica serve esperienza».

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"e' l'ayatollah khamenei a manovrare il regime" - alix van buren (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 10 - Esteri Parla Sadjadpour, esperto fra i più ascoltati a Washington "E´ l´ayatollah Khamenei a manovrare il regime" Se verrà riconfermato Ahmadinejad il rischio di una soluzione militare aumenta in misura esponenziale ALIX VAN BUREN «Un attacco militare da parte d´Israele contro l´Iran ora è più possibile che mai. A Teheran il re è nudo: il monumentale imbroglio elettorale fa uscire dall´ombra la Guida suprema Ali Khamenei. è lui a manovrare il potere. Ma il regime scricchiola, scosso da fratture interne senza precedenti. Il marciume è venuto a galla». Karim Sadjadpour è l´esperto d´Iran fra i più ascoltati a Washington. Parla dal Carnegie Endowment for International Peace, è chiamato a deporre al Senato americano e nelle stanze della Ue sulle più delicate alchimie mediorientali. L´umore oggi è cupo. E adesso, come risponderà il presidente americano Obama? riconosce la vittoria di Ahmadinejad, malgrado le denunce di brogli? «Adesso bisogna aspettare che la polvere si posi, capire che cosa farà Moussavi, se cioè chiederà l´annullamento del voto. In queste ore lui sta trattando con Khamenei. Ma è importante ricordare che Moussavi, benchè vesta i panni del riformista, è parte integrante della Rivoluzione islamica. La storia insegna che nessuno nei suoi ranghi ha acceso micce capaci di fare esplodere il sistema. In più, le Guardie rivoluzionarie sono maestre nell´intralciare le proteste popolari: con il bando degli sms, degli strumenti di mobilitazione di Moussavi, il movimento riformista è zoppo, muto e cieco». Dunque Washington si rassegna a un nuovo mandato di Ahmadinejad? «Piuttosto, ora si deve trattare direttamente con Khamenei. Per troppo tempo la Guida suprema è rimasta nell´ombra. Manovrando il risultato del voto, si è esposta. Khamenei è nudo: è lui l´ostacolo nel dialogo con l´Occidente, il responsabile della crisi economica e dell´isolamento politico dell´Iran. Deve assumersene il peso. Ahmadinejad è solo un facile bersaglio». è la fine del dialogo proposto da Obama? «Cambierà il tono, ma non la sostanza. Sarà un dialogo freddo, come con l´Urss. Però non c´è scelta: con l´Iran bisogna trattare. Piaccia o no, i dossier più aspri - l´Afghanistan, l´Iraq, il conflitto israelo-arabo, il terrorismo, la proliferazione nucleare - non troveranno soluzione senza l´accordo con Teheran. Si riaffaccia la prospettiva di una soluzione militare? «Se verrà riconfermato Ahmadinejad, quel rischio aumenta in misura esponenziale. Si aprirebbe un pessimo scenario». SEGUE A PAGINA 5

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i dubbi di obama: "un voto da controllare" - alberto stabile (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 10 - Esteri I dubbi di Obama: "Un voto da controllare" Le accuse di brogli preoccupano la Casa Bianca. Israele: "Il mondo unito contro la minaccia iraniana" Le reazioni Lieberman: "Il mondo agisca per impedire a Teheran di diventare una potenza nucleare" ALBERTO STABILE dal nostro corrispondente GERUSALEMME - Nessuna sorpresa per le notizie che arrivano da Teheran. Convinto che Ahmadinedjad e Moussavi fossero due facce diverse della stessa medaglia, il governo israeliano ha colto l´occasione della riconferma di Ahmadinedjad per lanciare ancora una volta l´allarme contro la «minaccia iraniana» e per polemizzare con gli Stati Uniti. Perché, afferma con parole ruvide e allusive il vice premier Silvan Shalom, «il risultato del voto iraniano sta esplodendo in faccia a chi pensava che l´Iran fosse pronto al dialogo con il mondo libero, incluso quello sulla cessazione dei suoi piani nucleari». Il riferimento, indiretto ma inequivocabile, è al presidente americano seriamente impegnato a fare in modo che la sua strategia basata, da un lato, sul dialogo con Teheran per fare in modo che rinunci alle sue ambizioni nucleari e, dall´altro, sulla ricerca di un accordo definitivo tra israeliani e palestinesi, trovi nel governo Netanyahu non soltanto una parte interessata ma un convinto sostenitore. Cosa che finora non è stata. Dal segretario di Stato, Hillary Clinton è venuto un commento cauto ma venato di diffidenza. «Gli Stati Uniti - ha detto la signora della diplomazia americana - seguono da vicino l´esito del voto iraniano e sperano che i risultati riflettano la volontà degli elettori». Lo sperano, non ne sono certi. Conferma il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs: «Continuiamo a monitorare da vicino l´intera situazione, comprese le accuse di irregolarità». Tuttavia, salvo che non si verifiche un drammatico capovolgimento, la conferma di Ahmadinedjad al potere non dovrebbe influire sui piani di Obama. «Noi ci impegneremo nel dialogo a prescindere dalla fazione al potere», ha spiegato un alto funzionario del Dipartimento di Stato. E che il presidente americano intenda seguire il suo percorso a prescindere dalle vicende interne dell´Iran lo dimostra il fatto che, mentre a Gerusalemme, un esponente di primo piano del governo Netanyahu, invitava Obama a rivedere i suoi piani, a Damasco, l´inviato del presidente americano in Medio Oriente, George Mitchell, s´incontrava per la prima volta con i dirigenti siriani, alleati di Teheran, per cercare di rilanciare la collaborazione Stati Uniti-Siria. Ma è altrettanto evidente che il governo Israeliano non segue a ruota. L´opinione di Shalom, non rappresenta un punto di vista isolato. «Il problema con l´Iran - ha tagliato corto il ministro degli Esteri, Lieberman - non è di natura personale. Il problema è il regime iraniano e gli atti che compie». Conclusione: «Il mondo deve continuare ad agire in maniera risoluta per impedire che l´Iran diventi una potenza nucleare e perché metta fine alle sue attività di assistenza delle organizzazioni terroristiche che stabilizzano il Medio Oriente», vale a dire Hamas ed Hezbollah. Queste opinioni riflettono l´orientamento emerso su quasi tutti i maggiori giornali alla vigilia del voto. Alcuni commentatori autorevoli si sono persino spinti a scrivere che una vittoria del presidente uscente era preferibile al successo di Moussavi. E questo per un motivo semplicissimo. Perché Ahmadinejad, con le sue affermazioni estreme e la sua iattanza nei confronti dell´Occidente, ha favorito e favorirà ancora la campagna lanciata da Israele per convincere il mondo a bloccare il suo programma nucleare.

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l'ultima sfida della corea "pronti alla guerra con il plutonio" - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 11 - Esteri L´ultima sfida della Corea "Pronti alla guerra con il plutonio" Nuove minacce dopo le sanzioni Onu. Gli Usa: basta provocazioni Pyongyang: "Dure azioni militari se gli Stati Uniti e gli alleati cercheranno di isolarci" Si temono altri test atomici e l´avvio del programma di arricchimento dell´uranio FEDERICO RAMPINI La Corea del Nord risponde alle sanzioni Onu con una pesante minaccia: "trasformerà a scopo bellico" le scorte di plutonio che possiede. Gli americani giudicano credibile l´annuncio, e temono che sia imminente un nuovo test nucleare. Lungi dal fermare il crescendo di tensione, la risposta della comunità internazionale provoca una nuova fuga in avanti di Pyongyang. L´escalation bellica è alimentata dai preparativi della successione al dittatore Kim Jong-il, che accentuano in Corea del Nord l´atmosfera da stato d´assedio. Erano passate poche ore dalla decisione del Consiglio di sicurezza sull´inasprimento delle tensioni, quando è arrivata la reazione nordcoreana. «Lanceremo dure azioni militari se gli Stati Uniti e i loro alleati cercano di isolarci», ha annunciato Pyongyang. Nello stesso comunicato c´è la minaccia di «utilizzo del plutonio a scopo di armamento», nonché l´avvio di un nuovo programma di arricchimento dell´uranio. è un ulteriore dietrofront rispetto agli impegni che la Corea del Nord aveva preso fino alla fine del 2008, di interrompere il suo programma nucleare. è proprio l´improvviso esperimento atomico del 25 maggio, preceduto e seguito da 5 test missilistici mirati verso i paesi vicini, ad avere provocato la condanna quasi unanime della comunità internazionale e la sanzione Onu. Il Consiglio di Sicurezza l´altro ieri ha autorizzato le ispezioni sulle navi nordcoreane, per impedire il traffico di armamenti. La risoluzione 1874 è stata approvata con il voto della Cina e della Russia, in apparenza un successo per la diplomazia americana. Tuttavia il governo di Pechino è riuscito ad attenuare la durezza della sanzione: le ispezioni navali saranno volontarie e non obbligatorie; inoltre dall´embargo restano esentate le forniture di "armi leggere". è un eccezione significativa, poiché la Cina è di gran lunga il principale fornitore di aiuti militari a Pyongyang. Le "armi leggere" sono purtroppo quelle che il regime comunista di Kim usa per mantenere il paese nel terrore. Dietro il linguaggio duro della Cina, che ha condannato senza esitazioni i test nucleari e missilistici degli ultimi due mesi, i comportamenti reali sono più ambigui. La Repubblica Popolare si rifiuta di tagliare i propri aiuti finanziari, alimentari ed energetici, senza i quali la dittatura di Kim sarebbe soffocata. I dirigenti cinesi dicono di temere un tracollo della Corea del Nord e la conseguente ondata di profughi sul loro territorio. La vera preoccupazione di Pechino è strategica: Pyongyang è pur sempre un utile cuscinetto difensivo contro l´influenza americana in Estremo Oriente. Resta da vedere quindi se la Cina applicherà davvero quella parte della risoluzione 1874 che invoca la cessazione di qualsiasi aiuto economico "non umanitario", nonché il congelamento dei conti bancari che i dirigenti nordcoreani hanno all´estero (i più importanti sono a Macao, paradiso fiscale che appartiene alla Repubblica Popolare). Di certo i leader cinesi puntano a giocare un ruolo nella delicata partita del passaggio dei poteri che si è aperta a Pyongyang. La "monarchia rossa" ha già conosciuto una prima successione dinastica quando Kim Jong-il ereditò il comando dal padre Kim Il-sung. Ora il 67enne dittatore manovra per designare il suo terzo figlio, Jong Un, come futuro leader. Ma l´ascesa al vertice di questo ragazzo di 26 anni probabilmente è un boccone indigesto per il partito comunista e le gerarchie militari. Di qui l´esasperazione del clima di tensione verso l´America, la mobilitazione pre-bellica, la ripresa del programma nucleare: un modo per inasprire la morsa dell´ordine nella transizione dei poteri, e forse anche un prezzo da pagare per la fedeltà dell´esercito. In questo clima secondo l´ambasciatrice di Obama all´Onu, Susan Rice, «una nuova provocazione è possibile».

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ecco la rivoluzione del low cost alla conquista delle riviste glamour - simone marchetti elisabetta muritti (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 23 - Cronaca Le grandi catene "a basso costo" sbarcano sui magazine patinati come Elle e Harper´s Bazaar Ecco la rivoluzione del low cost alla conquista delle riviste glamour SIMONE MARCHETTI ELISABETTA MURITTI MILANO - Il profano che diventa sacro. H&M e Zara sulle copertine dei magazine più patinati al posto dei grandi stilisti. è successo a Vogue Usa, Harper´s Bazaar, Elle Uk e Usa dell´ultimo mese. Tutti in coro a celebrare, con fotografi famosi e top model blasonate, le catene della moda fast-food. è una rivoluzione? O l´effetto dello stile low-cost di Michelle Obama? è colpa della crisi economica? O solo moralismo? Il vero imputato, come nel gialli, sembra essere il meno sospetto. Ovvero, il fashion system. «Siamo fortunati ad avere H&M», ci confida Matthew Williamson, ex designer di Emilio Pucci, oggi assoldato dal megabrand svedese. «Nel passato, le linee economiche erano piatte e incolori. Oggi, H&M è moderno e riesce a esplorare anche le controculture. Lavorando col brand, poi, ho scoperto il design e la tecnica che riesce a mettere in ogni pezzo. Qualità degne di un atelier. Ma la questione è un´altra: non c´entra coi magazine più influenti che celebrano questi brand in copertina. E nemmeno con la crisi economica che spinge tutti ad acquisti più oculati. Ci vogliono abiti che non invecchiano in fretta». La conferma arriva dalla Summer Edition, una serie di abiti a prezzo "interessante" che il marchio Marni ha affiancato, quest´estate, alla collezione della sfilata. Andata sold-out in un momento in cui i negozi non vendevano uno spillo. «Ma il successo non è legato al fattore economico», risponde Consuelo Castiglioni, desinger di Marni. «La Summer Edition raggruppa abiti con un prezzo inferiore per i materiali utilizzati. La chiave di volta, però, è la capacità di essere interpretata e mescolata con le collezioni passate, col fatto di migliorare con l´uso, con la facilità di lavaggio. Nasce, infatti, dalla necessità di avere pezzi essenziali». La differenza è minima ma abissale. Oggi più che mai. «Non sappiamo più dove metterli», sospira Beppe Angiolini, titolare delle boutique Sugar di Arezzo e presidente della Camera Nazionale dei Buyers. «Il problema della moda non è il prezzo. E, finita la recessione, la moda dovrà fare i conti con un meccanismo inceppato. C´è bisogno di un cambiamento strutturale». «Troppo accumulo, troppa omologazione», fa eco Cristina Crespina, titolare della catena di boutique Zoe di Bassano, Treviso e Pietrasanta. «Le mie clienti più facoltose non si vergognano di comprare H&M. Ultimamente, ho anche aperto un outlet vicino al mio negozio di Bassano». A dispetto di quanto può sembrare, il debutto delle catene fast fashion sulle copertine più snob, non è solo il risultato della recessione economica e del conseguente moralismo. Somiglia più a una testa d´ariete che ha scalfito l´intero sistema moda. Un settore che, dopo la crisi, dovrà fare i conti con un mondo e con dei consumatori totalmente cambiati.

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slow food made in france - licia granello (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 46 - Cronaca Slow food made in France Svolte del gusto i sapori Georges Brassens Les calamiteux de la place qui viennent en rang comme les harengs Voir en face la bell´ du bistrot I disastrati che vengono in fila come le aringhe A vedere da vicino la bella del bistrot Erano duecentomila quarant´anni fa, ne sono rimasti quarantamila e chiudono i battenti nella misura di duecento al mese. Colpa dei ritmi accelerati della società di oggi, colpa dei divieti antifumo, colpa della moda del cibo light Eppure in soccorso di questo tempio della cucina popolare stanno accorrendo gli insospettabili: i grandi chef LICIA GRANELLO c´erano una volta i bistrot. Piastrelle alle pareti, bancone di legno e zinco, sedie scricchiolanti, aria carica di fumo, piatti robusti e bicchieri di vetro spesso, un´atmosfera rilassata, tollerante, polverosa.Per più di un secolo, i bistrot sono stati set ideali per film di ogni genere, da Irma la dolce fino a Il favoloso mondo di Amélie. Jean Gabin e Bernard Blier, Lino Ventura e Simone Signoret: un intero popolo di attori ha recitato tra bicchieri di vino e marmitte (pot-au-feu) fumanti, taglieri di charcuterie e terrine con gli immancabili cetriolini agri. Negli ultimi quarant´anni, in Francia si sono spente le luci di oltre centocinquantamila bistrot: l´ultima indagine ne ha censiti meno di quarantamila, con un ritmo di duecento chiusure al mese. Se continua così, tra vent´anni i bistrot saranno protetti come i panda, lumache e choucroute verranno iscritti nell´elenco dei piatti arcaici e bisognerà organizzare dei cineforum con gli sceneggiati noir et blanc del commissario Maigret per ritrovarne umori e ambientazioni. Più che la globalizzazione poté lo smarrimento sociale. Perché tutto o quasi nei bistrot suona stonato rispetto ai ritmi sincopati e asettici del nuovo mangiare fuori casa. Nei bistrot, anche addentare un petit morceau di camembert richiede un minimo di rituale, l´omelette va gustata con calma per goderne le mollezze interne, il caffè - petit noir - va assaporato con il gomito appoggiato al banco, chiacchierando col barista. Del resto, la cucina dei bistrot è nata per restituire il piacere della tavola famigliare ai dannati del pasto fuori casa. Un po´ trattoria e un po´ osteria, per quella democratica trasversalità di consumo che consente a tutti di sedersi in pace, indipendentemente dall´ordinazione, dal sorseggiare un bicchierino di calvados - calvà - all´affondare i denti in un succulento gigot d´agneau (molto apprezzato dal presidente Obama durante il recente tour parigino nello storico bistrot "La Fontaine de Mars"), mentre il patron asciuga svelto il banco con l´immancabile torchon di tela grezza, rigorosamente bianco e rosso. @_AR Tondo al VIVO:Assediati dai fast food, svuotati dall´applicazione della legge che vieta il fumo nei locali pubblici (varata nel 1976 e disattesa per oltre trent´anni), accantonati in nome della cucina light, i bistrot sono stati sul punto di soccombere. A salvarli, se il mercato continuerà a dar loro ragione, le aperture/riaperture dei grandi chef di Francia, da Paul Bocuse a Jean-Paul Lacombe, che hanno affiancato ai loro super locali pluristellati una messe di locali bistrot-style o veri bistrot rivisitati, come il "BenoÎt" di Alain Ducasse. Se non avete tempo e modo di andare in Francia, regalatevi una gita ad Alba, dove Enrico Crippa - giovane e bravissimo cuoco d´avanguardia - ha sdoppiato il palazzetto di proprietà dei barolisti Ceretto in ristorante gourmand e "piola", versione piemontese del bistrot. Tra cucchiaiate di insalata russa e bocconi di bollito col bagnetto verde potreste avere la visione di Gino Cervi e Andreina Pagnani che discutono bonariamente davanti a un piatto di testina di vitello (tête de veau en tourte).

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Guerriglia nelle strade di Teheran Gelo degli Usa su Ahmadinejad (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 14/06/2009 - pag: 2 Guerriglia nelle strade di Teheran Gelo degli Usa su Ahmadinejad Voci su Mousavi agli arresti. Al Arabiya: tre morti. I timori Ue DAL NOSTRO INVIATO TEHERAN I poliziotti antisommossa arrivano in motocicletta, uno guida, l'altro dietro a menare manganellate sulla folla. Il corteo si apre, la gente inciampa, si calpesta, cade nei canali che corrono sotto il marciapiede come a Parigi. Così si sciolgono le manifestazioni. La cavalleria semina il panico e poi l'«artiglieria» di gas lacrimogeni e urticanti completa il lavoro. Ma qualche volta non funziona. Ieri almeno cinque coppie di motociclisti sono caduti, le moto sono finite nelle mani dei dimostranti che le hanno incendiate. In un caso, l'agente ha rischiato il linciaggio. La folla l'ha atterrato. In trenta, cinquanta, cento gli sono stati addosso. Il suo casco rosso è volato via. Pugni, calci. Il grido «Allah Akbar» è salito assieme a quello di «morte al dittatore». L'uomo si è salvato grazie alla ragionevolezza di alcuni. Ore di guerriglia urbana a Teheran. La città non ha gradito la riconferma del presidente Ahmadinejad. Milioni di voti (l'affluenza sarebbe stata dell' 85%) hanno cambiato destinatario, stando alle accuse. Il 62,6% ricevuto secondo il conteggio ufficiale sarebbe frutto di brogli colossali, in tutta la nazione con urne giunte ai seggi già riempite a metà e i risultati, comprese le percentuali, decise a tavolino settimana scorsa. «Personalmente e fermamente protesto ha dichiarato il principale rivale del presidente, Mir Hossein Mousavi, fermato al 34,7% . Sia chiaro che non mi arrenderò a questa pericolosa sciarada che rischia di condurci alla dittatura». La moglie è con lui: «Non dimenticheremo mai questo insulto all'elettorato». I sostenitori di Mousavi l'hanno preso ancora più sul serio di quanto, forse, faccia lui stesso. Con Guardie della Rivoluzione (Pasdaran) e poliziotti a minacciare di reprimere qualunque assembramento non autorizzato sono scesi in strada a migliaia. Bruciati due autobus, infrante vetrine, auto private. I cassonetti della spazzatura incendiati per bloccare il traffico e impedire l'arrivo dei mezzi pesanti di polizia ed esercito. Stesse scene, sembra di sentire da fonti non ufficiali, in altre città iraniane. Da Nord a Sud. Bloccato il sistema sms per tutta la giornata, a sera le compagnie telefoniche hanno interrotto anche i cellulari. Servivano ai manifestanti per coordinare le apparizioni nelle piazze, creare massa critica e cominciare a marciare chiamando i passanti: «Vieni, vieni, non aver paura »; «L'Iran soffre come la Palestina. Perché stai seduto a guardare?». Slogan che richiamano quelli delle rivolte studentesche del '99, ma anche della Rivoluzione islamica del '79. I ragazzi nelle strade di Teheran, però, sono soli. Il Segretario di Stato Hillary Clinton ha detto che gli Usa valuteranno il risultato elettorale, «sperando che rifletta la volontà della gente ». Ha detto il portavoce del presidente Obama, Robert Gibbs: «Come il resto del mondo siamo rimasti colpiti dal vigoroso dibattito e dall'entusiasmo generato dalle elezioni in Iran, particolarmente tra i giovani. Continuiamo a monitorare da vicino la situazione, comprese le accuse di irregolarità». Londra e Parigi hanno invece «preso atto dei risultati annunciati dalle autorità iraniane». «Preoccupata » l'Ue. La partita non è chiusa. Per tutta la notte la capitale iraniana è stata attraversata da sirene e odore di gas. All'improvviso, gruppi di 50-100 persone si mettevano a scandire: «Iran, Iran, dove sei Iran?». Dove sei, Mousavi? Bill Keller, il direttore del New York Times che si trova a Teheran, sostiene che le autorità hanno vietato al candidato dell'«Onda Verde» di apparire in pubblico. Voci di arresti domiciliari: secondo la tv del Golfo Al Arabiya, che ieri parlava di tre morti negli scontri, «le forze di sicurezza hanno predisposto un cordone intorno al quartiere Jamran dove si trovano le residenze dei principali oppositori di Ahmandinejad: oltre a Mousavi, Ali Akbar Rafsanjani e Mohammed Khatami». A. Ni. Sullo schermo Il presidente Ahmadinejad ha parlato alla televisione iraniana ieri sera (Ap) GUARDA Il video delle manifestazioni a Teheran su www.corriere.it

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Pipes: (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 14/06/2009 - pag: 3 Visto da Washington «Sbagliato insistere con la carta diplomatica» Pipes: «Obama deve scegliere accettare l'atomica o bombardare» WASHINGTON Daniel Pipes non ha dubbi. Per il massimo studioso americano dell'Islam, le elezioni in Iran sono la fine dell'ipotesi riformista, uno schiaffo a >Obama. L'Iran, sostiene Pipes, non si democratizza, e respinge l'apertura americana. Rimane una teocrazia, e non rinuncia al proprio riarmo nucleare. «Dopo queste elezioni dichiara Obama è destinato a perdere, se continuerà a giocare la carta della diplomazia ». Ma l'esito delle elezioni non è dubbio? «Per quanto ne sappiamo potrebbe averle vinte Mousavi: di certo la maggioranza degli iraniani voleva liberarsi di Ahmadinejad. Ma se Mousavi fosse stato eletto presidente non avrebbe fatto molta differenza. In Iran il potere non è in mano al presidente, bensì in mano al leader spirituale supremo, l'Ayatollah Khamenei. Comunque, con la conferma di Ahmadinejad di fatto Khamenei ha risposto a Obama: grazie, no, continuo per la mia strada». Anni fa non fece qualche differenza l'elezione di un altro moderato, Khatami? «L'elezione di Khatami fu un'espressione della volontà popolare, un'anomalia. Ma non portò a cambiamenti interni. Peggio, servì agli Ayatollah perché ci illuse che avremmo potuto dialogare con l'Iran. Noi ci sbagliamo sul ruolo del presidente iraniano, esercita solo il soft power, ad esempio sull'economia e sull'istruzione. L'hard power, ripeto, cioè l'esercito, la polizia, la giustizia, la politica estera, sono di competenza di Khamenei». Una situazione immutabile? «Temo di sì, almeno al momento. Non è facile rendersene conto perché Khamenei rimane nell'ombra. Non è un Gheddafi che visita Roma, incontra mille donne, esterna, provoca. Ma è un leader a vita, con poteri assoluti, come il presidente egiziano Mubarak o il re Abdallah di Giordania. Decide lui, non decidono le elezioni, chi sarà il capo del governo, il volto pubblico dell'Iran, e lo ha dimostrato». Che cosa potrà fare Obama se il dialogo sarà impossibile come lei sostiene? «Dovrà scegliere. O accetterà che tra non molto l'Iran diventi una potenza nucleare, cosa estremamente pericolosa per gli equilibri mediorientali, o per impedirglielo ne bombarderà gli impianti. Sarebbe del tutto inutile imporre nuove sanzioni, non producono mai effetti». Lei personalmente che cosa sceglierebbe? «Lei sa che io sono un conservatore e sono dalla parte di Israele. Io bombarderei». Ennio Caretto Daniel Pipes America Il presidente Obama

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E gli israeliani ora rivendicano la loro posizione di intransigenza (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 14/06/2009 - pag: 3 Visto da Gerusalemme Gli opinionisti: «Per il governo meglio così» E gli israeliani ora rivendicano la loro posizione di intransigenza DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME Maledetto Ahmadinejad, benedetto Ahmadinejad. La vittoria del suo miglior nemico, Israele la festeggia come sa: con pubblico sconcerto, con malcelata soddisfazione. La prima parte è affidata al vicepremier Silvan Shalom, uomo della destra Likud, che se la prende con Obama «questo risultato esplode in faccia a chi pensava che l'Iran fosse disposto al dialogo col mondo libero» e già chiede correzioni alla linea tracciata dal discorso del Cairo: «Gli Usa e il mondo dovrebbero riesaminare la loro politica nei confronti del programma nucleare iraniano». Di sabato, in Israele è difficile trovare politici loquaci, ma stavolta nessuno si fa troppo cercare: l'Iran è sempre più «una minaccia alla nostra esistenza », dice Dany Ayalon, viceministro degli Esteri, e comunque «noi non ci siamo mai fatti illusioni, perché fra i candidati non c'erano differenze sostanziali: se anche ci fosse stata un'ombra di speranza, questa rielezione dimostra una volta di più la crescente minaccia rappresentata da Teheran. Il mondo deve fermare questo pericolo nucleare ». Fin qui, la maschera. Altra cosa il volto: se a Teheran si sorride sotto i baffetti del «nuovo Hitler», a Gerusalemme non si piange troppo. Un funzionario del ministero degli Esteri ammette che «questo è il risultato migliore». E Bibi Netanyahu, che parlerà stasera, di certo non cambierà una virgola del capitolo Iran: da destra a sinistra, non ci sono mai state divisioni. Tanto che Menashe Amir, esperto del canale radio in farsi, è «felice perché ora sarà difficile dare torto a Israele». Spiega Jacky Hugi, opinionista di Ma'ariv: «Me l'ha confidato un uomo di Netanyahu: se Ahmadinejad avesse perso, per Israele sarebbe stato un problema. Che cos'avevano di diverso gli altri candidati? Erano solo più carini, ma la pensavano esattamente come lui». Anche il politologo Ben Caspit non aspettava di meglio: «Avevo detto ai miei amici: se conoscete iraniani, convinceteli a votare Ahmadinejad. Era la cosa migliore, per Israele. Ci sarebbe mancato: dove lo trovavamo un altro che curi così bene gl'interessi israeliani? Uno che nega l'Olocausto e vuole cancellare il nostro Paese dal mappamondo! Più di mille discorsi, mostra quanto sia pericoloso il programma nucleare. La vittoria di Moussavi, sì, sarebbe stata un disastro: si sarebbe fatto fotografare mentre bacia i bambini, avrebbe parlato di diritti delle donne, il mondo si sarebbe tranquillizzato. Quando fu lui a comprare le prime centrifughe atomiche dal Pakistan. Voglio un diavolo che parli da diavolo. E Dio ci tenga Ahmadinejad in salute, finché serve». Francesco Battistini Stato ebraico Il premier Netanyahu

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 14/06/2009 - pag: 6 Il presidente al vertice di Napoli «Nuovo corso Ue-Usa ma nessun miracolismo» NAPOLI La crisi globale è grave e per uscirne occorrono soluzioni comuni: concordano i capi di Stato ospiti del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (foto) nella sede di Palazzo Reale, in occasione del vertice informale multilaterale «Uniti per l'Europa», volto a sostenere il processo di integrazione dell'Unione europea. Un summit, a cui ha partecipato anche l'ex commissario Ue Mario Monti, che ha riunito i capi di Stato di Italia, Austria (Heinz Fischer), Germania (Horst Kohler), Portogallo (Anibal Cavaco Silva) e Ungheria (Laszlo Solyom ). Positivo, unanime ma segnato da realismo, anche il giudizio sulla nuova politica estera degli Usa. Il presidente Napolitano ha spiegato che l'elezione di Obama ha portato a «un nuovo corso nella politica estera degli Stati Uniti» ma da parte europea non si può «indulgere a nessun ingenuo miracolismo». Tuttavia si sono aperte «maggiori opportunità per l'Europa di svolgere il proprio ruolo».

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Il premier vola a Washington Un'ora di vertice con Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 14/06/2009 - pag: 8 Il premier vola a Washington Un'ora di vertice con Obama Domani le delegazioni nello Studio ovale: nessun cambio di programma DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Non è mai cambiato nulla, da quando venne concordato due settimane fa, nel protocollo della visita di Silvio Berlusconi a Washington. Nessuna modifica all'agenda dei colloqui è stata richiesta o imposta dalla Casa Bianca, in seguito alla tirata antiamericana di Muammar Gheddafi. Come annunciato, il presidente Obama riceverà domani pomeriggio per un'ora il premier italiano nello studio ovale, in presenza delle rispettive delegazioni, sette persone per parte. Così è stato per tutti gli altri leader europei, con la sola eccezione di Gordon Brown, che ottenne a fatica una cena a due in nome della «special relationship» anglo-americana. Lo confermano al Corriere fonti dell'amministrazione Obama, togliendo ogni riscontro concreto alla ridda di «boatos» romani, che nelle ultime ore hanno mandato tutti in fibrillazione. Altra cosa, è che il variopinto colonnello abbia provocato qualche alzata di spalle nella squadra presidenziale e che il trattamento riservatogli dal governo italiano sia stato giudicato a Washington troppo indulgente, almeno fino al Gran rifiuto di Gianfranco Fini, che ci ha un po' salvato la faccia. «Typical Gheddafi », ci ha detto un funzionario al Consiglio per la sicurezza nazionale, poche ore dopo le dichiarazioni al Senato e all'Università La Sapienza, che proprio per questo erano anticipabili. Come spiega Charles Kupchan, direttore del Dipartimento di Affari europei del Council on Foreign relations, «il punto non è aver invitato Gheddafi a Roma, un gesto perfettamente coerente con la linea del dialogo verso il mondo islamico sostenuta da questa Casa Bianca; il punto è averlo portato in parata per 4 giorni, quando buon senso avrebbe suggerito incontri businesslike, concentrati sulla cooperazione economica». Di tutto ciò non vi sarà traccia nei colloqui odierni. Berlusconi è anche il presidente di turno del G8 e Obama vuole onorare la prassi. «Quest'amministrazione sa mantenere la necessaria freddezza e non si farà smuovere dagli sproloqui di Gheddafi. L'apertura alla Libia va nel senso del discorso del Cairo » dice il premio Pulitzer Jim Hoagland, editorialista del Washington Post, con ottime fonti nel centro di comando della politica estera. Significa ciò che ai rapporti del governo Berlusconi con l'America di Obama debba applicarsi la massima del voltairiano Pangloss, «tutto va bene nel migliore dei mondi possibile»? Non è così. E non è tanto un problema caratteriale, quello che vede l'espansività sopra le righe del premier lontana e poco conciliabile con la sobrietà carismatica del presidente americano. E non è nemmeno in fondo il cosiddetto peso del passato, che pure pone un oggettivo handicap a Berlusconi nel rapporto con Obama, dal sodalizio di ferro con Bush alle gaffe recidive sull'abbronzatura. Il busillis, direbbe Camilleri, è di sostanza: «Ciò che l'amministrazione vuole sapere dal premier italiano spiega Kupchan è se le sue aperture siano condizionali o assolute. Il quesito si pone su tutta la linea, fosse l'Iran, la Russia o la Libia. Concretamente: cosa accadrà se Teheran rifiuta l'offerta di dialogo degli Stati Uniti e a quel punto Obama chiede agli europei di seguirlo sulla strada di sanzioni molto più dure? Cosa faranno Italia e Germania, fin qui le più riluttanti a questa ipotesi? In altre parole, prima e dopo la Casa Bianca si aspetta il concerto e non gli assoli». Berlusconi comunque, qualche dono propiziatorio lo porta. Come anticipato ieri sul Corriere, il premier ha detto che annuncerà a Obama l'intenzione di rafforzare la presenza italiana in Afghanistan. Non è chiaro se con truppe da combattimento o con istruttori, ma l'impegno è netto. E c'è poi la probabile accettazione, l'Unione Europea dovrebbe formalizzarla domattina, della richiesta di Obama di accogliere una parte dei detenuti di Guantanamo, su cui l'Italia ha giocato un ruolo trainante. Berlusconi, comunque, un alleato nella Washington a dominanza democratica ce l'ha: è la speaker della Camera Nancy Pelosi, che domani sera lo avrà a cena a Capitol Hill, insieme ai leader del Congresso e ai deputati italoamericani. Non fa la politica estera, ma può tornare utile. Paolo Valentino Vertice Berlusconi con Obama, Angela Merkel e Sarkozy il 5 aprile a Praga

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"Vado da Obama bello e abbronzato" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

PORTOFINO «Avete qualcosa da dire a Obama? Io vado in Usa bello abbronzato». Così Berlusconi si congeda dai giornalisti lasciando la residenza di Portofino per recarsi all’aeroporto di Genova, dove partirà per Washington. Domani il premier incontrerà il presidente degli Usa alla Casa Bianca. Il faccia a faccia sarà un incontro «strumentale» all'appuntamento con il G8 dell'Aquila e un'occasione per parlare dello scenario politico internazionale, ma anche dei rapporti tra Italia e Stati Uniti. L'incontro avrà inizio alle 16 ora locale (le 22 in Italia), durerà un'ora circa e sarà sin dall'inizio allargato alle delegazioni. Successivamente il presidente del Consiglio incontrerà al Congresso americano la speaker, Nancy Pelosi. In cima all'agenda dell'incontro tra Berlusconi e Obama c'è soprattutto il G8, del quale l'Italia quest'anno ha la presidenza. Il premier ha più volte sottolineato la necessità che il vertice dei Grandi dia il via a «nuove regole dell’economia e della finanza mondiale» e suo obiettivo sarà certamente quello di incassare il consenso del capo americano sulla proposta di varare un "Global legal standard", ossia un codice di regole per il mercato che eviti il ripetersi della crisi. Ma tra i temi sotto i riflettori del G8 - e dunque anche dell`incontro - ci saranno i cambiamenti climatici, l'emergenza idrica e alimentare e il nodo sanitario come il diffondersi delle recenti pandemie. Economia, ma anche politica estera internazionale. Silvio Berlusconi ha pubblicamente elogiato le posizioni prese da Barack Obama sin dal suo insediamento («finora non ha sbagliato una mossa» ha detto) e definito «bellissimo» il discorso pronunciato all`Università del Cairo. Nel colloquio, si prenderanno in considerazione alcuni scenari internazionali particolarmente caldi come Afghanistan, Iran, Medioriente e Libano. Berlusconi è pronto a rinnovare l'impegno italiano diplomatico e militare e a dare anche garanzia di un rafforzamento della presenza italiana, come accadrà in occasione delle prossime elezioni afghane (ma sul tema dell’aumento delle truppe ieri il ministro della difesa La Russa puntualizzava: «non abbiamo ancora avuto nessuna richiesta in tal senso»). Tra i temi in discussione ci sarà anche il rapporto tra Usa e Russia: il Cavaliere da tempo spiega che l'Italia è pronta a mettere a disposizione i suoi buoni rapporti con Mosca per evitare «che si torni a un clima di guerra fredda»: la foto che si è fatto scattare tra Obama e Medvedev in occasione del G20 può essere considerata la rappresentazione plastica del suo obiettivo. Il colloquio alla Casa Bianca potrebbe poi essere occasione, da parte americana, per mettere sul piatto la richiesta di ospitare detenuti di Guantanamo, mentre da parte italiana potrebbe essere toccata la questione della revisione degli Usa della fornitura di elicotteri presidenziali prodotti da Finmeccanica. L'incontro di lunedì tra Berlusconi e Obama, comunque, è la prima tappa di un rapporto tutto ancora da costruire, per stessa ammissione del presidente del Consiglio italiano che in passato ha potuto contare su una consolidata amicizia con George W. Bush. «Con l’attuale presidente - ha recentemente dichiarato il Cavaliere - non c’è l’amicizia che mi legava con il suo predecessore, ma c’è una grande amicizia con la signora Clinton». E comunque - ha voluto sottolineare - «i nostri rapporti con l’amministrazione americana restano limpidi, trasparenti e chiari». D'altra parte la stessa Casa Bianca, nella nota in cui confermava la data dell'incontro, parlava di due Paesi con «forti relazioni bilaterali». Relazioni che, ha voluto sottolineare palazzo Chigi, non sono state affatto messe in discussione nemmeno dal Colonnello Gheddafi che nella sua visita italiana ha paragonato l'America di Reagan che nell'86 bombardò Tripoli a Osama Bib Laden. «Nessuna irritazione Usa verso il nostro Paese» ha garantito la diplomazia del governo. Silvio Berlusconi ha anche voluto personalmente smentire quanti consideravano la scelta di collocare l'incontro così a ridosso con l'appuntamento dell'Aquila, buon ultimo rispetto agli altri leader internazionali, come un segnale di poca valorizzazione dell'amministrazione americana nei suoi confronti. «Sono stato io - ha spiegato - a chiedere di incontrarci il più possibile vicino al G8 così arriverò con tutti i fascicoli in stato avanzato». Anche il sottogretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, ha precisato che Berlusconi è il secondo leader a essere ricevuto alla Casa Bianca da Obama, secondo soltanto al premier inglese Gordon Brown che vi era andato come presidente del G20. Di certo l'annuncio della visita è stato salutato dal Times con un sintetico «Ci sarà da ridere». Anche negli Stati Uniti, d'altra parte, è arrivata la eco delle faccende private - diventate ormai pubbliche - del presidente del Consiglio, divorzio da Veronica e Noemi comprese. E ancora prima non era stata ben accolta la scelta di Berlusconi di definire Obama «abbronzato» o di invocare il suo nome a gran voce davanti alla Regina Elisabetta a Buckingham Palace. Episodi che per Berlusconi tutto sono tranne che gaffe. Abbronzato? «Un complimento assoluto» e poi - per il capo del governo - ben venga la «diplomazia del cucù» o delle «pacche sulla spalla» perché a suo giudizio i rapporti internazionali funzionano di più se vengono coltivati come quelli tra amici.

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"Vado da Obama bello e abbronzato" Berlusconi si prepara alla Casa Bianca (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

PORTOFINO - "Vado da Obama bello e abbronzato". Berlusconi esce dalla villa a Portofino e viaggia verso l'aeroporto di Genova dove l'attende il volo che lo porterà a Washington, per il primo incontro incontro ufficiale con il presidente Usa. Ha fretta ma non perde l'occasione per lasciare ai cronisti una battuta. Sembra essere diventata la strategia del premier sottolineare le sue gaffe. Lo disse a Mosca, durante l'incontro con il leader russo Medvedev, nel novembre scorso. Il presidente Usa era stato appena eletto. "Barack Obama?", fu la domanda che si rivolse lo stesso premier. "Giovane, bello e abbronzato". Strategia ripetuta tre giorni fa, quando Berlusconi si è congedato dall'assemblea di Confartigianato: "E adesso scusatemi ma devo scappare via perchè sto combinando il matrimonio tra Noemi e quell'avvocato inglese, come si chiama...? Ah sì, Mills.... Gli porterò in dono un viaggio di nozze sugli aerei di Stato. Naturalmente gratis...". Obama-Berlusconi: i temi in agenda. L'appuntamento tra il premier italiano e il presidente Usa è fissato per le 21 ora italiana. Un'ora di colloquio nello studio ovale della Casa Bianca per fare il punto sulla preparazione del G8 all'Aquila e per consultarsi sui temi internazionali, dal Medio Oriente all'Afghanistan, fino ai rapporti est-ovest, con la Federazione russa e la questione dell'ingresso della Turchia nell'Unione europea. OAS_RICH('Middle'); L'ombra di Gheddafi. Una riunione che, precisano fonti diplomatiche di Palazzo Chigi, non sarà affatto velata da "irritazioni" dell'amministrazione americana dopo i giudizi espressi sugli Stati Uniti da Muammar Gheddafi durante la sua visita a Roma. "Rafforzare l'impegno in Afghanistan". Sull'Afghanistan, il presidente del Consiglio ribadirà l'intenzione di rafforzare il ruolo italiano a Kabul come in Medio oriente, mentre sull'ingresso della Turchia nell'Ue i leader già concordano: Barack Obama riconosce ad Ankara il ruolo fondamentale di ponte tra Asia ed Europa, mentre Silvio Berlusconi da tempo si spende per l'ingresso del paese euroasiatico nell'Unione. Da Guantanamo in Italia. In agenda anche l'immigrazione e la richiesta degli Stati Uniti di accogliere in Italia parte dei detenuti del supercarcere di Guantanamo, verso il quale il Cavaliere ha già espresso una predisposizione "assolutamente positiva". Quindi, saranno toccate le questioni di interesse bilaterali, come i rapporti commerciali e l'ingresso della Fiat in Chrysler. In vista del G8 all'Aquila. Un capitolo a parte sarà dedicato al G8, al prossimo vertice "delle regole" per l'economia globale, ma anche delle tematiche ambientali. L'Italia vuole dare a questo vertice, che si svolgerà nel cuore dell'Abruzzo colpito dal terremoto, un'impronta molto specifica e molto vicina alla sensibilità del presidente degli Stati Uniti sulla grande crisi economica. Sullo sfondo, la gestione dell'economia e la necessità di trovare chiavi e formule per affrontare in modo strutturale le dinamiche della globalizzazione, a partire dalla possibilità di rendere permanente lo schema del G14 ( G8 allargato ad altri grandi paesi come Cina, India, Messico, Brasile, Sud Africa ed Egitto). Rientro in nottata. Dopo l'incontro alla Casa Bianca, Berlusconi si recherà al Congresso dove avrà colloqui con la Speaker Nancy Pelosi e diversi esponenti del Parlamento Usa. Quindi il rientro in Italia in nottata. (14 giugno 2009

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Netanyahu ai palestinesi: "Negoziati subito" Apertura sui due Stati ma a certe condizioni (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

TEL AVIV - Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha invitato i palestinesi a riprendere subito le trattative di pace, senza condizioni pregiudiziali, e si è detto pronto a incontrare i leader arabi in qualsiasi momento. In un discorso pronunciato all'università Barr-llan di Tel Aviv, il leader del Likud ha anche aperto all'idea dei due Stati ma ha posto una serie di paletti: i palestinesi devono riconoscere Israele come Stato nazionale del popolo ebraico, il futuro Stato palestinese dovrà essere demilitarizzato, il problema dei profughi dovrà essere risolto al di fuori dei confini israeliani perché "il loro ritorno è contro il principio di Israele in quanto Stato ebraico" e Gerusalemme dovrà rimanere capitale indivisibile dello Stato ebraico. Negativa la prima reazione dell'Anp. Il portavoce del presidente Abu Mazen (Mahmud Abbas) ha accusato Netanyahu di "sabotare" il processo di pace quando esclude di fatto dal negoziato lo status di Gerusalemme e il ritorno dei dei profughi palestinesi cacciati nel 1948. Hamas: "Discorso razzista". Dura la reazione del movimento integralista Hamas, che ha definito il discorso di Netanyahu "un chiaro esempio di ideologia razzista ed estremista". Israele "vincolato agli accordi". Netanyahu ha assicurato che il suo governo si sente comunque vincolato agli accordi sottoscritti in passato. "Non c'è un solo israeliano che vuole la guerra", ha affermato dicendosi poi d'accordo con "l'idea della pace regionale avanzata dal presidente Barack Obama". OAS_RICH('Middle'); Le condizioni di Netanyahu. "Non possiamo accettare uno stato palestinese armato... un Hamastan - ha proseguito il premier israeliano - Siamo disposti ad accettare uno Stato palestinese smilitarizzato, accanto ad uno Stato ebraico" riconosciuto dai palestinesi. Netanyahu ha quindi spiegato che nella sua visione "ogni Stato (l'israeliano e il palestinese) avrà la sua bandiera, il proprio inno" ma "il territorio palestinese sarà senza armi, senza controllo dello spazio aereo, e non potrà fare entrare armi". "No a un tavolo con terroristi". Israele si attende anche che l'Anp riporti l'ordine nella Striscia di Gaza, da tre anni sotto esclusivo controllo di Hamas: "Non siamo disposti a sedere a un tavolo con terroristi che vogliono distruggerci", ha detto il primo ministro riferendosi ad Hamas. La questione dei territori. Alle colonie ebraiche Netanyahu ha fatto solo un breve riferimento, malgrado i ripetuti appelli giunti dagli Stati Uniti per un preciso impegno al loro congelamento. "La questione territoriale - ha detto - sarà discussa negli accordi definitivi. Fino ad allora non aggiungeremo nuovi insediamenti". Riferendosi ai coloni, ha sottolineato che essi sono "fratelli e sorelle" con i quali è necessario raggiungere una concordia nazionale. All'interno delle colonie già esistenti la vita continuerà regolarmente, ha assicurato Netanyahu, escludendo così di fatto il loro congelamento. (14 giugno 2009

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"Sì a Stato palestinese smilitarizzato" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

GERUSALEMME Sì a uno Stato palestinese ma «smilitarizzato e che riconosca Israele come Stato del popolo ebraico». Il primo ministro israeliano, Benjamin Nethaniau, nel suo primo discorso di politica estera dalle elezioni di febbraio all’università Bar Ilan, nei pressi di Tel Aviv, chiarisce la sua posizione sul conflitto palestinese. «Se ricevessimo garanzie sulla smilitarizzazione e se i palestinesi riconoscessero Israele come lo Stato del popolo ebraico, allora saremmo in grado di raggiungere una soluzione basata su uno Stato palestinese smilitarizzato accanto a Israele», ha detto il premier. «A ognuno la sua bandiera, a ognuno il suo inno... Il territorio concesso ai palestinesi sarà senza armi, senza controllo dello spazio aereo, senza la possibilità di ingresso di armi, senza la possibilità di allacciare relazioni con l’Iran o Hezbollah», ha aggiunto il capo del governo israeliano. Tuttavia Netanyahu ha escluso il congelamento delle colonie nei territori palestinesi occupati come richiesto dalla Comunità internazionale e ha chiesto ai palestinesi la ripresa immediata dei colloqui di pace senza condizioni preliminari. «Lancio un appello ai nostri vicini palestinesi e ai dirigenti palestinesi a riprendere immediatamente i colloqui di pace senza condizioni preliminari», ha detto il premier. «Questa sera dico ai palestinesi: vogliamo vivere accanto a voi in buone relazioni», ha aggiunto. «Non voglio far costruire nuove colonie o confiscare terre con questo obiettivo ma occorre permettere agli abitanti degli insediamenti di vivere normalmente», ha affermato, escludendo in questo modo la sospensione delle costruzioni nelle colonie esistenti per soddisfare le necessità della «crescita naturale». Il premier israeliano ha detto tuttavia che Gerusalemme deve restare la capitale indivisibile dello stato di Israele. Netanyahu ha anche escluso un ritorno dei profughi palestinese in Israele, affermando che il loro problema deve essere regolato «al di fuori delle frontiere» di Israele. «Il loro ritorno andrebbe contro l’esistenza di Israele come Stato ebraico». È comunque la prima volta che Netanyahu accetta di parlare della prospettiva di uno Stato palestinese, come richiesto dal presidente americano, Barack Obama, anche in occasione del suo discorso di riconciliazione con il mondo musulmano pronunciato il 4 giugno al Cairo. In Egitto, il capo dello Stato Usa ha ribadito il principio di «due stati per due popoli» e ha lanciato un appello al congelamento totale delle costruzioni nelle colonie in Cisgiordania, in cui vivono più di 280.000 israeliani. Fino ad ora Netanyahu si era rifiutato di evocare la creazione di uno Stato palestinese, e si era limitato a parlare solo di una «pace economica» con i palestinesi. «La condizione preliminare è che i palestinesi riconoscano in modo sincero pubblico Israele come Stato del popolo ebraico», ha detto. «Il cuore del conflitto è sempre stato il rifiuto degli arabi di accettare l’esistenza di uno Stato israeliano», ha aggiunto in riferimento in particolare al rifiuto dei Paesi arabi nel 1947 di riconoscere la risoluzione dell’Onu in favore della divisione della Palestina tra uno Stato ebraico e uno Stato arabo. Fredda la reazione dei palestinesi. L'Anp ha accusato Netanyahu di «silurare» tutti gli sforzi di pace ponendo una serie di condizioni per accettare una soluzione basata sulla creazione di uno Stato palestinese. «E' un discorso che ostacola gli sforzi che puntano a salvare i processi di pace in una chiara sfida all’amministrazione americana», ha dichiarato Nabil Abu Rudeina, portavoce del presidente palestinese Abu Mazen. Un altro stretto collaboratore di Abu Mazen, Yasser Abed Rabbo, ha pesantemente criticato il premier israeliano: «Ha parlato di uno Stato palestinese svuotadolo della sua sostanza escludendo il congelamento delle colonie. Esigendo il riconoscimento del carattere ebraico di Israele, vuole che i palestinesi facciano parte del movimento sionista mondiale», ha dichiarato Abed Rabbo all’Afp. Nel suo discorso all’università Bar Ilan, nei pressi di Tel Aviv, Netanyahu, ha escluso il congelamento delle colonie nei territori palestinesi occupati come richiesto dalla Comunità internazionale. «Vuole imporre un regolamento non tenendo conto dei diritti dei rifugiati e nei termini in cui Gerusalemme non sarà la capitale del futuro Stato palestinese e questo non godrà di alcuna forma di sovranità», ha aggiunto Rabbo. «Ha usato le parole "Stato palestinese" ma di fatto vuole un protettorato isralieno», ha concluso.

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Netanyahu ai palestinesi: "Negoziati subito Sì al vostro Stato, ma demilitarizzato" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 14-06-2009)

Argomenti: Obama

TEL AVIV - Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha invitato i palestinesi a riprendere subito le trattative di pace, senza condizioni pregiudiziali, e si è detto pronto a incontrare i leader arabi in qualsiasi momento. Una disponibilità formale, con importanti novità, che però è stata accolta in modo tiepido se non ostile da Anp e Hamas. Soddisfazione dalla Casa Bianca: "Un importante passo avanti", commenta Washington. In un discorso pronunciato all'università Barr-llan di Tel Aviv, il leader del Likud ha aperto all'idea dei due Stati ma ha posto una serie di paletti: i palestinesi devono riconoscere Israele come Stato nazionale del popolo ebraico, il futuro Stato palestinese dovrà essere demilitarizzato, il problema dei profughi dovrà essere risolto al di fuori dei confini israeliani perché "il loro ritorno è contro il principio di Israele in quanto Stato ebraico". "Gerusalemme dovrà rimanere capitale indivisibile dello Stato ebraico". Negativa la prima reazione dell'Anp. Il portavoce del presidente Abu Mazen (Mahmud Abbas) ha accusato Netanyahu di "sabotare" il processo di pace quando esclude di fatto dal negoziato lo status di Gerusalemme e il ritorno dei dei profughi palestinesi cacciati nel 1948. Hamas: "Discorso razzista". Dura la reazione del movimento integralista Hamas, che ha definito il discorso di Netanyahu "un chiaro esempio di ideologia razzista ed estremista". Israele "vincolato agli accordi". Netanyahu ha assicurato che il suo governo si sente comunque vincolato agli accordi sottoscritti in passato. "Non c'è un solo israeliano che vuole la guerra", ha affermato dicendosi poi d'accordo con "l'idea della pace regionale avanzata dal presidente Barack Obama". OAS_RICH('Middle'); Le condizioni del premier. "Non possiamo accettare uno stato palestinese armato... un Hamastan - ha proseguito il premier israeliano - Siamo disposti ad accettare uno Stato palestinese smilitarizzato, accanto ad uno Stato ebraico" riconosciuto dai palestinesi. Netanyahu ha quindi spiegato che nella sua visione "ogni Stato (l'israeliano e il palestinese) avrà la sua bandiera, il proprio inno" ma "il territorio palestinese sarà senza armi, senza controllo dello spazio aereo, e non potrà fare entrare armi". "No a un tavolo con terroristi". Israele si attende anche che l'Anp riporti l'ordine nella Striscia di Gaza, da tre anni sotto esclusivo controllo di Hamas: "Non siamo disposti a sedere a un tavolo con terroristi che vogliono distruggerci", ha detto il primo ministro riferendosi ad Hamas. La questione dei territori. Alle colonie ebraiche Netanyahu ha fatto solo un breve riferimento, malgrado i ripetuti appelli giunti dagli Stati Uniti per un preciso impegno al loro congelamento. "La questione territoriale - ha detto - sarà discussa negli accordi definitivi. Fino ad allora non aggiungeremo nuovi insediamenti". Riferendosi ai coloni, ha sottolineato che essi sono "fratelli e sorelle" con i quali è necessario raggiungere una concordia nazionale. All'interno delle colonie già esistenti la vita continuerà regolarmente, ha assicurato Netanyahu, escludendo così di fatto il loro congelamento. (14 giugno 2009

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Caroline, il nuovo amore di Harry (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Caroline, il nuovo amore di Harry L'oggetto magico che ha trasformato in principessa Kate Middleton, la girlfriend di William d'Inghilterra, non è un diadema di diamanti da rinchiudere appena possibile nella Torre di Londra, e neppure un anello di fidanzamento di cui, forse, a questo punto non frega più tanto a nessuno: ma un abito bianco (lucky dress, lo chiamano, e di fortuna ci sarà un certo bisogno) vagamente somigliante a un abitino da prima comunione, se non fosse così cool, così sexy e così maledettamente di moda. The Daily Beast, il blog diretto dall'ex direttore di Vanity Fair e del New Yorker Tina Brown, l'ha approvato con un certo sollievo, segnalando che finalmente Kate non sembra più una brava ragazza di Chelsea che ha paura di osare ma una bella donna piccante e sicura di sé. La stilista che l'ha disegnato, Daniella Helayel, domina della griffe Issa, ritiene poi che il segreto stia nel suo essere «corto ma non troppo, vezzoso ma non troppo», e fa sapere di avere preso come ispirazione «una vestina per bambine, a cui però ho ridotto il volume delle maniche a una scala meno ingombrante». Lo hanno ordinato, nel frattempo, le quasi-cugine acquisite di Kate, Eugenie e Beatrice, cioè le figlie di Sarah Ferguson che della mamma hanno ereditato la silhouette (purtroppo quella, rubensiana, precedente a una drastica dieta Weight Watchers), Gwen Stefani, Peaches Geldof più alcune starlet assortite della teleserie Gossip Girl. E se Madonna da Issa ha scelto invece altri modelli un po' più da sciura, fra cui quello nero con cui è andata a chiedere in Malawi un secondo figlio in adozione, il buzz londinese è ormai tutto per questa brasiliana alta un metro e cinquanta o poco più che ha appena presentato a New York la sua nuova collezione ispirata alle crociere. E che minaccia di diventare, per Kate Middleton, quello che Gianni Versace fu per Lady Diana e Hubert de Givenchy per Audrey Hepburn: cioè il sarto che capisce la personalità di una cliente molto speciale ma fino ad allora incompresa (e soffocata, nel caso di Diana Spencer, da metri di rovinose trine e falpalà), ne svela le incommensurabili potenzialità e la proietta nel Mito. Per passare a esempi più vicini a noi, Kate Middleton vestita da Issa, non solo col lucky ma anche con certe affascinanti tuniche color fucsia, è ora in grado di competere, o quasi, se mai le capiterà, se mai finirà per sposare William, con una Carla Bruni griffata Dior (l'esempio migliore, finora, il tutto viola sfoderato proprio in visita a Londra dalla regina Elisabetta) o una Michelle Obama rivista da Narciso Rodriguez (quello del vestito vulcanico, nero e rosso, della notte della vittoria a Chicago). Daniella Henayel ha avuto certamente un buon materiale di base su cui lavorare, visto che la ventisettenne Kate, figlia di un'ex hostess e di un ex pilota di linea diventati milionari grazie a una società che vende via mail gadget e oggettini per i party, ha le più belle gambe del Berkshire e un sorriso da venti milioni di sterline. Ma certo non deve essere stato istantaneo far passare al lucky dress chi dipendeva dai jeans e dalle giacchette scozzesi avvitate, e si era pure avventurata in certi cappellini di Philip Treacy molto vecchia Inghilterra ma anche molto giovane zitella. Per un certo periodo, poi, ha dovuto pure vestirsi Jigsaw, cioè con i capi di una catena di abbigliamento molto, forse troppo, middle class: e l'unica ragione è che da Jigsaw ci lavorava. Ora che, ufficialmente, è impiegata nella società dei genitori, può mettersi quello che le pare. Basta che non approfitti dei propri privilegi: perché quando accettò in regalo una Manor Bag di Burberry da mille sterline i tabloid le fecero la pelle. E il vero problema, a questo punto, è che le ulteriori metamorfosi di miss K sotto lo sguardo implacabile di Issa non potranno essere avidamente analizzate dagli analisti di costume, perché il punto è che chi fotografa la Middleton va in galera o quasi. Da quando Kate ha compiuto 25 anni, e le indiscrezioni su un suo matrimonio con William si sono fatte più pressanti, gli avvocati di famiglia hanno messo in guardia i media. I giornali del gruppo News di Rupert Murdoch e la società che pubblica Guardian e Observer hanno promesso, obtorto collo, di andarci piano. E allora foto selezionate, tutte autorizzate e tutte scattate in luoghi strapubblici. E frasi ipercentellinate, dalle (quasi) regali labbra. La più sintomatica di come davvero vadano le cose, tra William e Kate? «È lui che deve considerarsi fortunato di uscire con me». Sempre di luckiness si tratta.

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Wall Street, Obama detta le regole (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

IL PIANO DEL PRESIDENTE USA DOVREBBE ESSERE PRESENTATO MERCOLEDÌ Wall Street, Obama detta le regole [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK La riforma più ambiziosa dai tempi della Grande Depressione. Così è stato definito dagli esperti il progetto di riordino del sistema di regolamentazione e controllo del settore finanziario che il presidente Barack Obama annuncia mercoledì, con l'obiettivo di evitare il ripetersi di una crisi come quella in atto. Vigilanza sui livelli di liquidità e capitali delle banche e regolamentazione di tutti i grandi operatori, fondi speculativi compresi, sono i pilastri della riforma che prevede un riallineamento dei poteri tra le diverse agenzie governative che dettano le regole di condotta per banche, istituti di credito, società di gestione del risparmio ma anche alle attività di carte di credito, prestiti, mutui e fondi d'investimento. Il progetto è destinato ad avviare un grande dibattito in seno al Congresso doiviso tra favorevoli e chi considera i provvedimenti della Casa Bianca troppo deboli o troppo intrusivi per un sistema di libero mercato come quello americano. «Da un punto di vista macro-economico la riforma ci appare appropriata», spiega Tim Ryan, numero uno della Securities Industry and Financial Markets Association, tra le principali associazioni del settore. Obiettivo dell'amministrazione è colmare le lacune emerse nell'attuale sistema finanziario, quattro elementi di debolezza che hanno contribuito a scatenare il terremoto di Wall Street. 1) La mancanza di un ente in grado di valutare potenziali stress del sistema e di intervenire prima che il cattivo stato di salute di un'istituzione metta in pericolo l'intero meccanismo. 2) La mancanza di un controllo permanente sulla capitalizzazione delle istituzioni per evitare un eccessivo indebitamento, ovvero il leverage troppo elevato che ha causato il collasso di alcuni istituti. 3) L'assenza di una regolamentazione estesa a tutti gli operatori che per le loro dimensioni possono avere un impatto sull'intero sistema, compresi hedge fund e giganti assicurativi per i quali l'amministrazione Obama prevede rispettivamente l'iscrizione in un registro apposito tenuto dalla Sec (Consob americana) e un codice di disciplina gestito da autorità federali. 4) La mancanza di un ente federale che vigili sulle attività rivolte ai consumatori: carte di credito, prestiti e mutui. Il dibattito è incentrato in particolare sulla necessità di un controllore unico con poteri di disciplina molto ampi. Dopo l'iniziale diffidenza, il Congresso sembra pronto a discutere una proposta del genere: Obama e il segretario al Tesoro, Timothy Geithner, appaiono orientati a proporre un modello in cui sia affidato alla Fed un potere di supervisione generale per valutare eventuali pericoli sistemici. La Fdic avrebbe invece il compito di intervenire nel caso in cui una o più istituzioni presentino rischi per l'intero sistema.

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Dietro i nuovi annunci di Obama c'è anche il lavoro delicato che il segretario al Tesoro U... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Dietro i nuovi annunci di Obama c'è anche il lavoro delicato che il segretario al Tesoro Usa Tim Geithner e Mario Draghi stanno facendo insieme. Sulle nuove regole per la finanza occorre coordinare i tempi delle intese internazionali e delle decisioni americane in modo da evitare passi falsi. Gli Usa non devono avere l'impressione di subire imposizioni esterne, gli altri Stati vogliono una cooperazione vera nell'ente presieduto da Draghi, il Financial stability board (Fsb), in cui di comune intesa si tappino falle riscontrate soprattutto nei paesi anglosassoni. I due sono molto affiatati, perché prima di essere chiamato da Obama a Washington Geithner era vice di Draghi nel Fsf, il predecessore del Fsb. L'ultimo riscontro lo hanno fatto venerdì scorso in una sala dell'Hotel Risorgimento, nel centro storico di Lecce, prima che cominciasse il vertice del G-8. Sul riordino della vigilanza finanziaria una intesa di massima nel Fsb era stata raggiunta; sarà cruciale quanto e come vi si conformerà il governo degli Stati Uniti. Poche ore prima che Obama parli, Draghi avrà modo di aggiungere qualche chiarimento sui punti di consenso internazionale che ha riscontrato. Il governatore della Banca d'Italia ha accettato l'invito di Angela Merkel di intervenire al convegno economico annuale della Cdu, il partito di maggioranza relativa tedesco. Lì, a Berlino domani pomeriggio, parlerà sul tema «L'esigenza di un nuovo ordine finanziario mondiale». Si occuperà anche del nuovo compito delle banche centrali, tener conto degli equilibri finanziari quando decidono la politica monetaria. Si tratta di un argomento tecnico sul quale, in passato, tra gli europei e gli americani c'erano idee molto diverse. La crisi sembra aver dato ragione alla tesi europea, che una banca centrale non possa guardare altrove se una bolla speculativa si gonfia, in Borsa, nei prezzi immobiliari o altrove. Non a caso, l'invito tedesco a Draghi è passato attraverso Otmar Issing, uno dei padri fondatori della Bce. Su alcune questioni sulle quali Obama si esprimerà, come ad esempio i requisiti di capitale delle banche, o la necessità di sottoporre a vigilanza gli hedge funds, il Fsb di Draghi ha già raggiunto un buon livello di consenso. Delle questioni aperte si discuterà nella prossima riunione, il 26 giugno a Basilea. Su alcune gli Usa sono i primi a chiedere un accordo di tutti: ad esempio, come si disciplinerà l'eventuale fallimento di una banca multinazionale.

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Quali scienziati senza latino? Apprendo che il liceo scientifico-tecnologico di imminente ... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Quali scienziati senza latino? Apprendo che il liceo scientifico-tecnologico di imminente istituzione non contemplerà, unico rispetto agli altri, neppure un minimo studio del latino. Mi chiedo come sia possibile, per un occidentale in genere, fare a meno di un contatto, anche superficiale, con la lingua e la cultura latina: con quegli strumenti, cioè, armati dei quali per secoli si è potuto andare da Oxford a Salerno e da Lisbona a Uppsala. Parlando di Svezia, qualcuno tra i preparatissimi scienziati e tecnologi in erba dovrà affrontare, proseguendo gli studi, la classificazione per genere e specie formulata da un tale che, latinamente, si firmava Linnaeus; per non parlare degli studi di medicina, giurisprudenza e via elencando. Faccio poi notare come studiare seriamente, col latino, la sintassi dei casi faciliti l'apprendimento di tutte le lingue cosiddette indoeuropee che ancora la conservano. L'ho constatato col tedesco, quando a Heidelberg gli studenti americani - ignari di latino - non riuscivano a entrare nella logica della lingua, e l'ho constatato più recentemente anche col russo. Perché dobbiamo segare il ramo su cui siamo seduti, tagliare le radici della nostra stessa civiltà e cultura? DANIELE BORLENGHI, MILANO Al Senato i temi etici Anche oggi come in passato il punto debole del sistema politico italiano è costituito dalla mancanza di una opposizione in grado di garantire la necessaria alternanza. Infatti se il vecchio Pci, pur forte e compatto, non ha mai potuto sostituire la Dc evitandone tra l'altro il degrado, a causa della sua scarsa affidabilità democratica, il Pd suo erede, pur avendo superato quelle pregiudiziali, non riesce tuttavia ad aggregare una sufficiente massa di consensi. E il motivo di tale difficoltà consiste nel permanere a sinistra, ma anche a destra (vedasi l'Udc di Casini) di una concezione molto poco laica dell'azione politica che non distingue tra valori e opinioni, tra visione generale sull'uomo e sulla società e organizzazione della società stessa nei suoi aspetti pratici ed economici, che non distingue infine il dibattito etico da quello propriamente politico. Solo superando questa ipoteca posta sull'etica dalla politica, solo da una rigorosa distinzione dei due ambiti sarà possibile individuare ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio per attuare il principio di laicità che impone di dare loro ciò che gli appartiene e fare così buona politica e buona etica. A tale fine si potrebbe prendere l'occasione delle preannunciate riforme istituzionali per riservare il dibattito sui temi eticamente sensibili al Senato trasformato in una Camera Etica, liberando così politica ed etica da ogni reciproca ingerenza. GIUSEPPE SESTA, PALERMO Canta che ti passa Molti italiani affermano che in Italia si sta bene, i ristoranti e le pizzerie sono sempre pieni, le spiagge anche, le autostrade hanno le code di auto ecc. Poco importa se ogni anno dobbiamo trovare tra 85 e 100 miliardi di euro per pagare gli interessi sul debito pubblico. E cosa volete che siano 100 miliardi di evasione fiscale all'anno, che in dieci anni fanno 1000 miliardi. Non vorrete mica che questi poveri evasori fiscali debbano perdere tempo a emettere fatture. Basta con tutte 'ste pastoie burocratiche, bisogna semplificare. Bisogna essere moderni, rampanti, aggressivi, si viaggia sui Suv e via discorrendo. Se si pagano le tasse, ovviamente, assolutamente tutto legittimo. Dopo avere pagato tutte le tasse ognuno i soldi suoi li può spendere come meglio crede. Certo, se poi casca qualche soffitto di qualche scuola, cosa volete che sia, non è che tutto deve sempre andare bene. Se arriva qualche terremoto e poi si devono trovare i soldi per ricostruire ci saranno sempre degli stipendiati a reddito fisso che molto «volontariamente» contribuiranno. Poi se mancano 10-12 miliardi per ricostruire una città basterà l'ottimismo e sistemeremo tutto. Non se ne può più di questi catastrofisti, cosa sarà mai avere 1741 miliardi di euro di debito. Basta pensare positivo. Non è che qualcuno, in questo paese, ha pensato al detto popolare «canta che ti passa»? SERGIO PAGANI Ben vengano le nuove regole Trovo che il Cavaliere esponga i problemi con una certa virulenza, protesti con energia (troppa?) sui «complotti» che gli avversari preparano per cancellarlo, ma constato che ogni mezzo è ottimo per evidenziare difetti, gaffe, problemi della sua vita personale. Ben vengano le nuove regole, perché se è vero che le intercettazioni sono utili, la diffusione deve essere verificata e se qualcuno (magistrato e giornalista) è un po' troppo brillante nel buttarle in pasto a tutti, beh confesso che sono d'accordo nel punirlo, senza scomodare impropriamente la libertà di informazione violata, perché questa libertà fondamentale deve essere a favore della società e non contro i cittadini. AMEDEO PRINCIPE, TORINO Può succedere solo in Italia Penso possa succedere solo in Italia che una persona che era iscritta alla loggia P2, che aveva come obiettivo principale il colpo di Stato, gridi al tentativo di eversione. Ma in fondo è lo stesso paese nel quale le istituzioni accolgono con tutti gli onori uno che faceva mettere le bombe sugli aerei, a cui gli industriali srotolano il tappeto rosso per avere commesse miliardarie. È lo stesso paese in cui si dice a chi è in difficoltà che deve smetterla di lamentarsi perché non è vero che le cose non vanno bene, anzi la crisi gli ha permesso di aumentare il proprio benessere; crisi che comunque, sempre per il solito signore che lamenta il tentativo di eversione, non esiste, beninteso. MIRKO BALOCCO Professionisti delle cause perse Mesi fa Bush venne in Italia in visita ufficiale e, tra i suoi impegni, ci fu una cena a casa del Cavaliere. Ai tempi presidente del Consiglio era Romano Prodi e Silvio Berlusconi ricopriva l'unico incarico di presidente del Milan calcio. Non credo che ciò giustificasse lo spiegamento di uomini e mezzi da parte del governo. Mi sorprende che i leader dell'opposizione non abbiano avuto l'idea di invitare Obama a una scampagnata... sarebbe stata l'occasione per una bella sberla morale al Cavaliere. Ma, se da una parte abbiamo un Re Mida che fa apparire oro anche il piombo, dalla nostra parte abbiamo dei professionisti nelle cause perse. RAIMONDO MADDALENA Il rispetto degli indù per gli animali Interessante il pezzo di Valeria Fraschetti sui cowboy a New Delhi: il rispetto della tradizione indù per gli animali risparmia la vita alle vacche che liberamente pascolano in città, anche se questo comporterà disagio per i prossimi Giochi del Commonwealth. Ben diversa la triste sorte per le bestie randagie d'Atene o Pechino, sacrificate al decoro in occasione delle Olimpiadi. FILIPPO TESTA BALDISSERO TORINESE

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Il vicepresidente Biden "Dubbi sul voto in Iran" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Il vicepresidente Biden "Dubbi sul voto in Iran" La Casa Bianca manifesta «dubbi» sull'esito delle elezioni iraniane ma al tempo stesso conferma la volontà di dialogare con Teheran sul nucleare, lasciando intendere che l'approccio alla Repubblica Islamica attraversa una fase di ridefizione. «Abbiamo dei dubbi sulle elezioni iraniane» dice il vicepresidente Joe Biden spiegando in diretta tv perché l'amministrazione Obama esita a riconoscere la rielezione del presidente Mahmud Ahmadinejad. Dai teleschermi del popolare talk show «Meet the Press» sulla Nbc Biden preannuncia cosa avverrà nei prossimi giorni: «Eviteremo commenti sul risultato fino a quando non avremo esaminato l'intero processo elettorale, solo allora reagiremo». Come dire, il giudizio sulla legittimità del vincitore è in sospeso. La cautela si spiega con il fatto che «non abbiamo ancora tutti i dettagli» anche se le informazioni finora raccolte destano forti preoccupazioni perché «sembra certo che stanno sopprimendo la libertà di espressione e le proteste della piazza». Alla luce di tali fatti, sottolinea Biden, «non siamo nella posizione di poter dire che Ahmadinejad ha vinto le elezioni» anche perché «gli viene assegnata una quota di voti sorprendente oltre il 60 per cento che a molti sembra inverosimile in considerazione del fatto che il 70 per cento degli iraniani vive nelle città» dove il grande favorito della vigilia era Hossein Mousavi. L'impressione è che l'amministrazione Obama voglia prendere tempo per evitare di commettere errori e anche per concertare le mosse con i principali partner e alleati. «Dobbiamo analizzare i dati con ogni nazione del mondo e raggiungere un'opinione più solida - osserva Biden - perché l'Iran non è una democrazia e noi speriamo che tutti i voti dei cittadini vengano contati nello stesso modo». In concreto ciò significa che Washington ha già iniziato un giro di consultazioni internazionali per arrivare a definire una posizione comune con Russia, Cina, Europa e Paesi arabi. «Se Bush reagiva in solitudine noi preferiamo coordinare le nostre decisioni, per contribuire a rafforzare la voce della comunità internazionale» spiega una feluca di Washington. Un primo effetto di questo approccio di Obama è mettere nel limbo la vittoria di Ahmadinejad, obbligandolo ad aspettare quale sarà la scelta che verrà fatta. Ciò non significa però che le aperture diplomatiche a Teheran si interrompano. Biden lo spiega così: «I colloqui con l'Iran non sono una maniera per remunerare altri buoni comportamenti ma costituiscono una decisione del presidente, presa negli interessi dell'America e della sicurezza nazionale e tali interessi permangono, prima e dopo il voto». L'obiettivo finale dell'amministrazione è di «farli desistere dalla corsa all'arma nucleare e di fargli cessare di sostenere il terrorismo». Da qui la conferma dell'impegno a prendere parte al gruppo di contatto con Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania nei colloqui diretti con gli inviati iraniani. «Le parole di Biden svelano la decisione di reagire con prudenza alle elezioni iraniane - spiega Anthony Cordesman, analista di Medio Oriente del Centro di studi strategici internazionali - perché l'amministrazione sa bene che in fin dei conti chi comanda in Iran è Ali Khamenei, indipendentemente dal nome del presidente». Per Karim Sadjapour, iranista della Fondazione Carnegie, «superata questa fase di attesa l'amministrazione Obama riprenderà il dialogo con Teheran ma con toni più freddi e distaccati di quanto avvenuto fino a questo momento».

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israele apre ai palestinesi "sì a uno stato demilitarizzato" - gerusalemme (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina La Casa Bianca: grande passo avanti Israele apre ai palestinesi "Sì a uno Stato demilitarizzato" GERUSALEMME Con parole sofferte, quasi facesse una violenza a se stesso, Benjamin Netanyahu ha alla fine varcato il Rubicone, ammettendo che uno Stato palestinese può esistere ma a condizione che sia demilitarizzato e che i palestinesi riconoscano Israele come «lo stato nazionale del popolo ebraico». Se questa è la risposta del premier israeliano al piano di pace lanciato da Barack Obama, bisogna dire che si tratta di una risposta timida e parziale, dove i "no" espliciti o sottintesi prevalgono sui "sì". Prevedibile la delusione dell´autorità palestinese che ha respinto al mittente l´offerta del premier israeliano. Mai discorso era stato più accuratamente preparato. A prescindere dal desiderio inconscio di imitare l´Obama del Cairo con una concione di pari importanza, forse il premier pensava di ripercorrere le orme di Sharon che nel dicembre del 2003 ad Herzlyah annunciò la sua adesione alla Road Map, avvertendo che se i palestinesi non avessero fatto la loro parte, lui avrebbe agito da solo, come in effetti fece con il ritiro da Gaza. SEGUE A PAGINA 5 VAN BUREN A PAGINA 5

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"così i falchi del governo hanno truccato le schede a favore del presidente" - (segue dalla prima pagina) bill keller (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)

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Pagina 3 - Esteri "Così i falchi del governo hanno truccato le schede a favore del presidente" (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) BILL KELLER In ogni caso per tutti coloro che sognavano un Iran migliore, più aperto e meno autoritario, sabato è stato un giorno di rabbia incontenibile, di speranze infrante, di illusioni frustrate, dalle strade della capitale iraniana agli epicentri politici delle capitali occidentali. I sentimenti degli iraniani che auspicavano maggiore libertà, migliore gestione dell´economia e una immagine meno spregevole nel mondo del loro Paese hanno altalenato tra proteste e disperazione. In lontananza il presidente Obama e altri leader occidentali che avevano sperato che un miglioramento dei rapporti con l´Iran potesse rivelarsi utile a risolvere i problemi in Afghanistan, in Iraq e della proliferazione nucleare, si ritrovano adesso a dover riaffrontare la prospettiva di trattare con un uomo che oltre a negare l´Olocausto, è sospettato anche di brogli elettorali. Una fetta importante dell´elettorato è rimasta tuttavia soddisfatta dal risultato elettorale in Iran. Ahmadinejad aveva fatto appello alle paure dei più religiosi e più poveri, che paventano sempre più di altri i cambiamenti. Tra di loro vi erano gli elettori messi in allarme dalle manifestazioni politiche antecedenti alle elezioni e i cittadini delusi dall´attenzione di Moussavi per il ruolo delle donne in questa semiteocrazia paternalistica. A questi si sono aggiunti poi i funzionari statali, gli agenti di polizia e infine si inorgogliscono per il suo atteggiamento di sfida verso l´Occidente. Fuori dall´Iran, il risultato delle elezioni iraniane ha rassicurato i falchi in Israele e di alcune capitali occidentali che temevano che un presidente iraniano meno ostile avrebbe fatto abbassare la guardia nel mondo nei confronti di un Paese che sta galoppando verso l´acquisizione di capacità nucleari. Un diplomatico occidentale alla vigilia del voto aveva scetticamente dichiarato che «sarebbe più difficile trattare con Moussavi, proprio perché sarebbe più cordiale». Tra i giornalisti e gli accademici iraniani delusi si discute animatamente per comprendere i motivi che hanno spinto personaggi religiosi di spicco, militari e funzionari politici che costituiscono la leadership a decidere di schierarsi al fianco di Ahmadinejad. Sarà stata la paura a frenarli, quella paura che nelle settimane conclusive della campagna elettorale di Moussavi era andata dilagando per l´imprevisto e imprevedibile entusiasmo per un eventuale cambiamento? O è stato proprio Moussavi a spingersi troppo oltre nel promettere alle donne il rispetto dei loro diritti civili e un approccio complessivamente più conciliatorio nei confronti dell´Occidente? Per le strade la gente specula maggiormente sui brogli e le manipolazioni del voto: in molti insistono che soltanto un intervento voluto da Ahmadinejad ha fatto sì che il risultato finale fosse a suo vantaggio con un tale enorme margine di vittoria. Secondo alcuni (il fratello di qualcuno che si dice conosca qualcun altro incaricato ai seggi) chi ha contato i voti ha ricevuto l´ordine di "arrotondare" a favore di Ahmadinejad: "Se sono mille contatene tremila". Secondo altri, invece, le schede elettorali erano state concepite espressamente per indurre in errore i sostenitori dell´opposizione: gli elettori sulla scheda dovevano scegliere un candidato e scrivere il relativo numero. Casualmente, Moussavi era il candidato numero 4 e Ahmadinejad il numero 44. Una fonte interna al ministero degli Interni, che si è occupata del conteggio dei voti, ha detto che il governo preparava da settimane i brogli, ed era arrivato a rimuovere i propri dipendenti di dubbia fedeltà, facendone arrivare altri più compiacenti e "flessibili" da ogni zona del Paese. «Non hanno manipolato il voto» ha dichiarato l´uomo che ha chiesto di rimanere anonimo per ovvie ragioni, ma ha mostrato il suo tesserino di identificazione del ministero. «In realtà i voti non li hanno proprio guardati: si sono limitati a scrivere un nome e mettergli davanti un numero». © New York Times-la Repubblica traduzione Anna Bissanti

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berlusconi vola da obama continua la crociata anti-giornali - gianluca luzi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Interni Berlusconi vola da Obama continua la crociata anti-giornali Battuta prima di partire: "Ci vado bello abbronzato" Il ministro Bondi e Cicchitto contro ‘Repubblica´. "C´è un piano per destabilizzare" GIANLUCA LUZI ROMA - «Avete qualcosa da dire a Obama? Io vado, bello abbronzato...». A metà pomeriggio di ieri Berlusconi lascia la villa di Paraggi per avviarsi all´aeroporto di Genova da dove è partito per Washington. Nemmeno quando sta per affrontare la missione diplomatica più difficile rinuncia a evocare la battuta sul presidente americano («è alto, bello e abbronzato») che fece il giro del mondo. Solo alcune ore prima della partenza - al convegno dei giovani imprenditori, poi la sera a Portofino dopo una cena con Tronchetti e Afef - aveva lanciato un pesantissimo attacco a la Repubblica accusata di «portare avanti con determinazione un progetto eversivo». Davanti agli industriali aveva evocato un presunto complotto per rovesciarlo e sostituirlo con un «non eletto». Era arrivato addirittura a incitare gli industriali a «non dare pubblicità ai catastrofisti» cioè ai media che parlano della crisi e alla sinistra. E nella notte aveva smentito una precisazione messa a punto da Palazzo Chigi. «Volevo dire quello che ho detto, non ho fatto nessun cambiamento, - ha scandito il premier riferendosi alla correzione attribuita a lui dall´ufficio stampa - non so chi abbia parlato con me, io non ho parlato con nessuno. Quello che ho detto è ciò che ho detto pubblicamente: è quello che volevo dire e quello che penso». Berlusconi si sente sotto tiro e reagisce da una parte rilanciando l´attività del suo governo che si riunirà prima del G8 a Santa Margherita Ligure per mettere a punto il programma dei prossimi mesi, sia avvertendo che di fronte a «un progetto eversivo» il popolo che lo ha eletto reagirebbe per impedirlo. Un piano «fantapolitico» che però viene preso sul serio dai fedelissimi del Cavaliere che alimentano il fuoco d´artiglieria contro Repubblica e l´opposizione. Così, per il capogruppo alla Camera Cicchitto «siamo di fronte a un tentativo di destabilizzazione dell´equilibrio politico e di governo uscito con le elezioni del 2008. E´ in atto il tentativo di distruggere l´artefice della vittoria politica». Cicchitto è convinto che sia «in atto una campagna forsennata da parte di una certa stampa. Se si aggiunge che su villa Certosa per ben due anni si è concentrata l´attenzione di un fotografo, sorge il dubbio che il fucile sia stata la macchina fotografica». Il capogruppo Pdl nega che il premier abbia attaccato la libertà di stampa, ma conferma che «le sue parole vanno riferite a una parte dei mass media, quella che lo demonizza». Il coordinatore del Pdl Bondi lancia accuse dirette: «E´ impressionante leggere oggi sul quotidiano la Repubblica tre articoli, rispettivamente del direttore Ezio Mauro, del suo ex direttore Eugenio Scalfari e di Giuseppe D´Avanzo, un vero e proprio tridente scatenato con una furia senza precedenti contro il presidente del consiglio». Un «superpartito» secondo Bondi «rappresentativo di determinati interessi economici e di una parte della magistratura politicizzata», che «non si ferma davanti a niente neppure davanti agli interessi dell´Italia». Il leghista Calderoli nutre invece qualche dubbio sul complotto «ma c´è chi si sta muovendo in modo scoordinato».

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il premier e l'affondo sul complotto "attenti che riporto l'italia al voto" - claudio tito (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Interni Il Cavaliere si prepara all´incontro alla Casa Bianca e spiega ai suoi la mossa davanti agli industriali Il premier e l´affondo sul complotto "Attenti che riporto l´Italia al voto" I militari in più per l´Afghanistan saranno presi dal contingente italiano in Kosovo CLAUDIO TITO DAL NOSTRO INVIATO WASHINGTON - «Il mio governo andrà avanti tranquillamente, ma se non sarà così allora si tornerà al voto». Non è la prima volta che Silvio Berlusconi minaccia le elezioni anticipate. Quando sente "aria di complotto" brandisce il ritorno alle urne come un´arma. Sabato notte con gli amici a cena e poi ieri mattina al telefono con i suoi fedelissimi e con alcuni ministri ha spiegato il senso del suo affondo al convegno di Confindustria di Santa Margherita. Il riferimento al «disegno» per portare un «non eletto» a Palazzo Chigi ha come prima contromisura proprio la minaccia di interrompere la legislatura. Prima di partire per Washington dove oggi incontra il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il premier ha confermato a diversi big del centrodestra di voler rompere il tentativo di assedio che si starebbe organizzando intorno al suo esecutivo. «Ho voluto far capire - è stata la sua spiegazione - che stavolta non mi faccio ingannare». Naturalmente il riferimento è sempre al 1995, al governo Dini, insomma al "ribaltone". La sede scelta per «smascherare» il complotto non è stata frutto del caso: gli imprenditori. Gli esponenti del mondo economico e dei «poteri forti» che - a suo giudizio - vedono in Mario Draghi un´alternativa. Perché Berlusconi è convinto che tra i «complottardi» ci siano proprio diversi rappresentanti dell´imprenditoria. Così, sabato li ha avvertiti e nello stesso ha trovato il modo per tenerli sulla corda. Un modo, ha fatto capire ai suoi, per ammonire: «Quando verrete a chiedermi qualcosa, ricordatevi di cosa vi ho detto». Tant´è che, in partenza per gli States, i suo collaboratori lo hanno descritto più «soddisfatto» che «preoccupato» rispetto alla situazione italiana. Semmai l´apprensione è concentrata sul colloquio con l´inquilino della Casa Bianca. Il Cavaliere ha preparato il summit pronto a giocarsi tutte le carte pur di convincere Obama, di persuaderlo che «l´Italia sta dalla sua parte». Sa che al momento lo stato di rapporti con gli Usa non è più sereno come sei mesi fa. Il caffè che prenderà oggi pomeriggio con il presidente americano rischia di essere un test decisivo. Il presidente del Consiglio è il secondo leader europeo - dopo l´inglese Gordon Brown - a varcare la soglia della Casa Bianca. Lo farà in qualità di presidente di turno del G8. Le due delegazioni, sette persone per parte, si vedranno nello Studio Ovale. Obama chiederà cosa può fare l´Italia per onorare l´alleanza. Naturalmente si parlerà di Afghanistam e della disponibilità di Roma all´ampliamento del suo contingente. Berlusconi intende offrire a Obama questo schema: l´Italia troverà i soldati in più per Kabul grazie alla diminuzione di alcune centinaia di unità (da 300 a 500 su 3000) del contingente in Kosovo. Sul tavolo anche altri temi: Medio Oriente, Libano e soprattutto il G8 dell´Aquila. Ci sono anche temi potenzialmente spinosi. La recente visita di Gheddafi in Italia e la grande visibilità concessa al colonnello libico, i rapporti con Mosca (in particolare l´amicizia con Vladimir Putin e la politica energetica dell´Italia a favore del gas russo), le elezioni in Iran dove sono presenti molte nostre aziende, gli accordi disdetti con Fimeccanica (il «no» Usa agli eliccotteri Agusta), la possibilità che vengano trasferiti in Italia alcuni dei detenuti di Guantanamo e infne alcune affermazioni fatte di recente dal capo del governo come l´impossibilità che l´Italia possa diventare un paese multietnico. Prima di entrare alla Casa Bianca, il premier italiano visiterà una mostra sull´Abruzzo alla National Gallery. Poi renderà omaggio ai caduti del cimitero di Arlington. Dopo il faccia a faccia con Obama, avrà un incontro con la speaker del Congresso Nancy Pelosi.

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"ma se non smantella gli insediamenti il negoziato non porterà a nulla" - alix van buren (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 5 - Esteri Robert Malley, responsabile del programma mediorientale all´International Crisis Group di Washington "Ma se non smantella gli insediamenti il negoziato non porterà a nulla" ALIX VAN BUREN «Un rifiuto a Obama? Il discorso del premier Netanyahu non è affatto clamoroso. Lui si barcamena, acquista tempo, stretto com´è fra le pressioni della Casa Bianca e del proprio governo. Netanyahu ha detto una cosa vera: da sessant´anni siamo alle prese con l´inestricabile groviglio israelo-palestinese. La differenza, però, è che stavolta Washington si muove con una determinazione senza pari». Robert Malley, consigliere del presidente Clinton, negoziatore di pace a Camp David, oggi vicino alla squadra di Obama e responsabile del programma mediorientale all´International Crisis Group di Washington, è forse la voce più autorevole in materia. Malley, davvero nulla di nuovo nelle parole di Netanyahu? «Mettiamola così: il primo ministro israeliano doveva ammorbidire il contrasto con la Casa Bianca e allo stesso tempo rassicurare la sua base elettorale. Con una mano abbozza certe concessioni, con l´altra delle riserve. Promette di non costruire nuovi insediamenti, e però ne conferma l´espansione naturale. Tira la corda, ma non tanto da far naufragare le prospettive di un accordo di pace». Con che risultato per i rapporti di Israele con l´America? «Che siamo alla fase in cui ciascuno s´atteggia prima di sedersi al tavolo. Netanyahu non ha pronunciato un no né un sì: soltanto un "ni". E poi, la faccenda dello Stato smilitarizzato è un falso dibattito, come quello sugli insediamenti». Perché? «Perché tutti sappiamo che Netanyahu è d´accordo sulla nascita di uno Stato palestinese. Vuole farla apparire una concessione. Quanto alle colonie, il punto non è fermarne la costruzione, ma smantellarle: cioè definire dove verrà stabilita la frontiera. Quello sarà il momento della verità, se il negoziato riprenderà». E con Netanyahu le trattative ripartiranno? «Il premier scommette su molti fattori per rinviare i colloqui a un governo successivo al suo: le divisioni interne ai palestinesi fra Fatah e Hamas, la complessa situazione in Medio Oriente, l´Iran. Ma non è detto che i suoi calcoli siano giusti». Malley, lei s´aspetta un intervento decisivo della Casa Bianca? «Arriverà un momento quando il presidente Obama metterà sul tavolo una proposta chiara, magari col sostegno della Ue, della Russia, del mondo arabo. Allora i due contendenti non potranno ignorarla. Poi, potrebbero arrivare grosse novità». Quali, ad esempio? «Per la prima volta può rivelarsi determinante l´opinione popolare, più di quella dei leader politici. Il piano di Obama potrebbe capovolgere la situazione, anziché finire archiviato come tanti altri progetti impolverati». SEGUE A PAGINA 5

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netanyahu: "sì allo stato palestinese" - (segue dalla prima pagina) dal nostro corrispondente (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 5 - Esteri Netanyahu: "Sì allo Stato palestinese" L´Anp: "Siluro alla pace". La Casa Bianca: "Passi avanti" Ma dice no a Obama sul blocco delle colonie. Per l´Anp "é un siluro alla pace" Le condizioni di Netanyahu "Sì allo Stato palestinese no al blocco delle colonie" (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Alberto stabile Ma Netanyahu è stato meno coraggioso di Sharon. Non ha mai citato la Road Map ed ha chiaramente mostrato di preferire lo status quo. Due erano le richieste che l´Amministrazione americana ha insistentemente rivolto a Netanyahu. Una era la necessità di dare un segnale di disponibilità non solo ai palestinesi ma al mondo arabo in generale, bloccando l´espansione degli insediamenti nei Territori occupati, insediamenti definiti da Obama «legalmente inaccettabili». L´altra richiesta riguardava l´accettazione da parte del premier israeliano dell´ipotesi di soluzione del conflitto basata sulla formula dei "due Stati", che coesistono fianco a fianco in pace e sicurezza. Il che significa ammettere la nascita dello Stato palestinese. Diciamo subito che sul blocco totale degli insediamenti Netanyahu ha opposto un rifiuto implicito. Il premier ha, sì, ribadito che Israele non costruirà nuovi insediamenti, ma parlando dei coloni ha aggiunto che «non sono nemici del popolo israeliano ma nostri fratelli e sorelle ai quali bisogna consentire di vivere una vita normale». Frase già adoperata nel faccia a faccia con Obama a Washington per giustificare la scappatoia per continuare a costruire nei Territori occupati garantendo la cosiddetta «crescita naturale». Netanyahu è arrivato al punto chiave del suo discorso nell´auditorium dell´Università Bar Ilan, fra sostenitori, accademici e l´intera famiglia schierata al completo, dopo aver fatto appello alla leadership palestinese a cominciare negoziati «immediatamente e senza precondizioni». Lo stesso premier, però, si è subito dopo contraddetto affermando che «Israele non può accettare uno Stato palestinese a meno che non riceva garanzie (dalla comunità internazionale, s´intende) che sia uno Stato demilitarizzato». Israele, ha ripetuto, non può vedere cresce ai suoi confini un altro Hamastan, come spregiativamente viene chiama la Striscia di Gaza dopo la presa del potere da parte del movimento islamico, né potrebbe sopportare uno stato palestinese che stringa accordi militari con altri paesi. Soltanto se Israele riceve le dovute garanzie, allora. Quanto ai palestinesi, Netanyahu è partito da lontano, ribadendo alcuni capisaldi ideologici della destra israeliana. Il legame storico con la terra d´Israele e dunque il diritto del popolo ebraico su questa terra risalgono a 3500 anni fa. La nascita dello Stato israeliano non ha niente a che vedere con le persecuzioni degli ebrei. Ma questo anche i palestinesi moderati stentano ad accettarlo. Conclusione: «Quando i palestinesi saranno pronti a riconoscere Israele come lo stato nazionale del popolo ebraico noi saremo pronti per un vero accordo finale». A dispetto degli accenti di disponibilità, la strada verso la ripresa di un negoziato sembra, dopo questo discorso, estremamente incerta. Netanyahu ha accennato di sfuggita ad altre due questioni principali ed ancora una volta ha opposto due rifiuti. Sul diritto al ritorno ha detto che i palestinesi devono trovare la soluzione al problema dei rifugiati fuori dal territorio israeliano. E su Gerusalemme ha affermato che resterà la capitale unita e indivisibile d´Israele, dunque, non soggetta a negoziato. Come era prevedibile, il discorso di Netanyahu non è piaciuto ai palestinesi moderati. Un portavoce del presidente Abu Mazen lo ha definito né più né meno che un «sabotaggio» degli sforzi di pace. Troppe condizioni, troppa prudenza, «troppe nebbie» ha detto Saeb Erekat. Hamas che ha definito tutte le condizioni poste come un chiaro esempio di «ideologia razzista e estremista». Mentre, sul fronte opposto, nella tenue apertura allo «Stato palestinese demilitarizzato», i coloni hanno visto un tradimento dei sacri principi, un tentativo di scambio per loro impensabile. La Casa Bianca nel suo primo commento ieri sera ha preferito vedere solo l´apertura di Netanyahu allo Stato palestinese come «un importante passo avanti», sui tre "no" al piano del presidente Usa ci sarà ancora molto da lavorare.

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franceschini sceglie di candidarsi "basta liti e vecchi giochetti" - umberto rosso (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 10 - Interni Franceschini sceglie di candidarsi "Basta liti e vecchi giochetti" Il segretario: difenderò il rinnovamento del Pd UMBERTO ROSSO ROMA - «Ho deciso. Resto in campo, e al congresso mi ricandido a guidare il Pd. Punto a continuare l´operazione di rinnovamento del partito che, a questo punto, rischia di finire affossata dai soliti capicorrente tornati all´assalto». Dario Franceschini l´ha spiegato così, ai suoi più stretti collaboratori, che ad ottobre in pista lui ci sarà. Niente passo indietro, come invece era annunciato. L´ha anticipato alla cerchia dei fedelissimi ma non ai mandarini del partito, da D´Alema fino a Marini, perché proprio «i vecchi giochetti, le liti, gli scontri interni ricominciati come prima e più di prima» lo hanno convinto a non gettare la spugna. Amareggiato e deluso ma spinto, giusto da questa molla, a non lasciare il partito nelle mani di qualcuno che «non mi pare sarà un Obama». Non lascia, allora, semmai raddoppia. Lancia la sua sfida al vecchio che c´è ancora nel Pd. Una decisione presa in queste ore, ma maturata negli ultimi giorni. Dall´indomani del voto europeo, il segretario assiste sconsolato alla bagarre che si è riaccesa sul congresso. Un´escalation di candidature, interventi, polemiche, interviste. Una quarantina di dichiarazioni di dirigenti noti e meno noti in pochi giorni, conteggiano nel suo staff. Troppo. Ma come - è stata la reazione di Franceschini - io ci ho messo la faccia nella campagna elettorale, ho recuperato tanti elettori astensionisti o tentati da Di Pietro, che hanno creduto alle mie promesse, alla fine dei litigi, e adesso i soliti nomi ricominciano da capo? Avevamo decretato il silenzio almeno fino ai ballottaggi, e io non l´ho mai rotto, e non hanno aspettato nemmeno che fosse conclusa questa difficilissima tornata elettorale per il nostro partito? Conclusione, sconfortata: «Sono rimasti buoni per tre mesi, e poi via come sempre, come a dire che lo stop alla rissa lo considerano solo una parentesi, eccoci punto e a capo con gli stessi meccanismi, gli stessi protagonisti da 20 anni a questa parte». Due giorni fa il colpo finale, l´ultima goccia. Berlusconi ha appena denunciato le manovre "eversive", attaccando anche personalmente Franceschini. Il segretario si aspetta solidarietà, che il Pd faccia quadrato. Invece, nello stesso giorno, legge di Letta che annuncia il suo appoggio a Bersani, dei quarantenni che vorrebbero Zingaretti leader, di D´Alema che solo come extrema ratio si immagina al vertice del partito. E mentre sale la febbre delle candidature, raccontano al Nazareno, i computer del partito si intasano di mail di proteste di elettori e cittadini, per la serie: Franceschini ci hai preso in giro, i signori delle tessere hanno ripreso il controllo delle operazioni. «Io ci ho messo la faccia, e adesso non la voglio perdere». Scatta la decisione: mi ricandido. E adesso? Una corsa in solitaria, contro tutti i big, con quale rete di sostegno? «Con tutti quelli che ci vogliamo stare». Lo schema che il segretario ha in mente è il seguente: non faccio accordi di vertice, farò appello alla base stessa del partito, «in modo assolutamente trasversale, lasciandoci per sempre alle spalle ex Ds ed ex Margherita». La spina dorsale della volata per il congresso saranno segretari regionali, quadri, la classe dirigente emergente che Franceschini vede consacrata dalle preferenze alle europee. Nomi come David Sassoli, Rita Borsellino, il sindaco di Gela Rosario Crocetta, Francesca Barracciu in Sardegna, Debora Serracchiani. E dopo il congresso, che scremerà le candidature, quando ci sarà da affrontare il giudizio dal basso, il segretario punta tutto sul popolo delle primarie per una riconferma fuori dalle logiche di corrente. Anche perché pensa che in questo senso possa giocare a suo favore l´elezione aperta a tutti, e non solo agli iscritti al partito. «Di certo - insiste - non farò patti con i capicorrente». E con questo, sembra anche calare il sipario su tutte le ipotesi di inciucione Ds-Margherita, l´accordone fra il segretario e Massimo D´Alema. «I corteggiamenti ci sono stati, eccome, ma io vorrei finalmente fare nel Pd qualcosa di diverso».

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"Così i falchi del governo hanno truccato le schede" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

TEHERAN - E' impossibile sapere con certezza in che misura la presunta rielezione di Mahmoud Ahmadinejad rappresenti effettivamente la preferenza dell'opinione pubblica iraniana e quanto - come credono fermamente gli avversari - sia invece il verdetto imposto da un regime fondamentalmente dispotico. In ogni caso per tutti coloro che sognavano un Iran migliore, più aperto e meno autoritario, sabato è stato un giorno di rabbia incontenibile, di speranze infrante, di illusioni frustrate, dalle strade della capitale iraniana agli epicentri politici delle capitali occidentali. I sentimenti degli iraniani che auspicavano maggiore libertà, migliore gestione dell'economia e una immagine meno spregevole nel mondo del loro Paese hanno altalenato tra proteste e disperazione. In lontananza il presidente Obama e altri leader occidentali che avevano sperato che un miglioramento dei rapporti con l'Iran potesse rivelarsi utile a risolvere i problemi in Afghanistan, in Iraq e della proliferazione nucleare, si ritrovano adesso a dover riaffrontare la prospettiva di trattare con un uomo che oltre a negare l'Olocausto, è sospettato anche di brogli elettorali. Una fetta importante dell'elettorato è rimasta tuttavia soddisfatta dal risultato elettorale in Iran. Ahmadinejad aveva fatto appello alle paure dei più religiosi e più poveri, che paventano sempre più di altri i cambiamenti. Tra di loro vi erano gli elettori messi in allarme dalle manifestazioni politiche antecedenti alle elezioni e i cittadini delusi dall'attenzione di Moussavi per il ruolo delle donne in questa semiteocrazia paternalistica. A questi si sono aggiunti poi i funzionari statali, gli agenti di polizia e infine si inorgogliscono per il suo atteggiamento di sfida verso l'Occidente. OAS_RICH('Middle'); Fuori dall'Iran, il risultato delle elezioni iraniane ha rassicurato i falchi in Israele e di alcune capitali occidentali che temevano che un presidente iraniano meno ostile avrebbe fatto abbassare la guardia nel mondo nei confronti di un Paese che sta galoppando verso l'acquisizione di capacità nucleari. Un diplomatico occidentale alla vigilia del voto aveva scetticamente dichiarato che "sarebbe più difficile trattare con Moussavi, proprio perché sarebbe più cordiale". Tra i giornalisti e gli accademici iraniani delusi si discute animatamente per comprendere i motivi che hanno spinto personaggi religiosi di spicco, militari e funzionari politici che costituiscono la leadership a decidere di schierarsi al fianco di Ahmadinejad. Sarà stata la paura a frenarli, quella paura che nelle settimane conclusive della campagna elettorale di Moussavi era andata dilagando per l'imprevisto e imprevedibile entusiasmo per un eventuale cambiamento? O è stato proprio Moussavi a spingersi troppo oltre nel promettere alle donne il rispetto dei loro diritti civili e un approccio complessivamente più conciliatorio nei confronti dell'Occidente? Per le strade la gente specula maggiormente sui brogli e le manipolazioni del voto: in molti insistono che soltanto un intervento voluto da Ahmadinejad ha fatto sì che il risultato finale fosse a suo vantaggio con un tale enorme margine di vittoria. Secondo alcuni (il fratello di qualcuno che si dice conosca qualcun altro incaricato ai seggi) chi ha contato i voti ha ricevuto l'ordine di "arrotondare" a favore di Ahmadinejad: "Se sono mille contatene tremila". Secondo altri, invece, le schede elettorali erano state concepite espressamente per indurre in errore i sostenitori dell'opposizione: gli elettori sulla scheda dovevano scegliere un candidato e scrivere il relativo numero. Casualmente, Moussavi era il candidato numero 4 e Ahmadinejad il numero 44. Una fonte interna al ministero degli Interni, che si è occupata del conteggio dei voti, ha detto che il governo preparava da settimane i brogli, ed era arrivato a rimuovere i propri dipendenti di dubbia fedeltà, facendone arrivare altri più compiacenti e "flessibili" da ogni zona del Paese. "Non hanno manipolato il voto" ha dichiarato l'uomo che ha chiesto di rimanere anonimo per ovvie ragioni, ma ha mostrato il suo tesserino di identificazione del ministero. "In realtà i voti non li hanno proprio guardati: si sono limitati a scrivere un nome e mettergli davanti un numero". © New York Times-la Repubblica traduzione Anna Bissanti (15 giugno 2009

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Il premier e l'affondo sul complotto "Attenti che riporto l'Italia al voto" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON - "Il mio governo andrà avanti tranquillamente, ma se non sarà così allora si tornerà al voto". Non è la prima volta che Silvio Berlusconi minaccia le elezioni anticipate. Quando sente "aria di complotto" brandisce il ritorno alle urne come un'arma. Sabato notte con gli amici a cena e poi ieri mattina al telefono con i suoi fedelissimi e con alcuni ministri ha spiegato il senso del suo affondo al convegno di Confindustria di Santa Margherita. Il riferimento al "disegno" per portare un "non eletto" a Palazzo Chigi ha come prima contromisura proprio la minaccia di interrompere la legislatura. Prima di partire per Washington dove oggi incontra il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il premier ha confermato a diversi big del centrodestra di voler rompere il tentativo di assedio che si starebbe organizzando intorno al suo esecutivo. "Ho voluto far capire - è stata la sua spiegazione - che stavolta non mi faccio ingannare". Naturalmente il riferimento è sempre al 1995, al governo Dini, insomma al "ribaltone". La sede scelta per "smascherare" il complotto non è stata frutto del caso: gli imprenditori. Gli esponenti del mondo economico e dei "poteri forti" che - a suo giudizio - vedono in Mario Draghi un'alternativa. Perché Berlusconi è convinto che tra i "complottardi" ci siano proprio diversi rappresentanti dell'imprenditoria. Così, sabato li ha avvertiti e nello stesso ha trovato il modo per tenerli sulla corda. Un modo, ha fatto capire ai suoi, per ammonire: "Quando verrete a chiedermi qualcosa, ricordatevi di cosa vi ho detto". OAS_RICH('Middle'); Tant'è che, in partenza per gli States, i suo collaboratori lo hanno descritto più "soddisfatto" che "preoccupato" rispetto alla situazione italiana. Semmai l'apprensione è concentrata sul colloquio con l'inquilino della Casa Bianca. Il Cavaliere ha preparato il summit pronto a giocarsi tutte le carte pur di convincere Obama, di persuaderlo che "l'Italia sta dalla sua parte". Sa che al momento lo stato di rapporti con gli Usa non è più sereno come sei mesi fa. Il caffè che prenderà oggi pomeriggio con il presidente americano rischia di essere un test decisivo. Il presidente del Consiglio è il secondo leader europeo - dopo l'inglese Gordon Brown - a varcare la soglia della Casa Bianca. Lo farà in qualità di presidente di turno del G8. Le due delegazioni, sette persone per parte, si vedranno nello Studio Ovale. Obama chiederà cosa può fare l'Italia per onorare l'alleanza. Naturalmente si parlerà di Afghanistam e della disponibilità di Roma all'ampliamento del suo contingente. Berlusconi intende offrire a Obama questo schema: l'Italia troverà i soldati in più per Kabul grazie alla diminuzione di alcune centinaia di unità (da 300 a 500 su 3000) del contingente in Kosovo. Sul tavolo anche altri temi: Medio Oriente, Libano e soprattutto il G8 dell'Aquila. Ci sono anche temi potenzialmente spinosi. La recente visita di Gheddafi in Italia e la grande visibilità concessa al colonnello libico, i rapporti con Mosca (in particolare l'amicizia con Vladimir Putin e la politica energetica dell'Italia a favore del gas russo), le elezioni in Iran dove sono presenti molte nostre aziende, gli accordi disdetti con Fimeccanica (il "no" Usa agli eliccotteri Agusta), la possibilità che vengano trasferiti in Italia alcuni dei detenuti di Guantanamo e infne alcune affermazioni fatte di recente dal capo del governo come l'impossibilità che l'Italia possa diventare un paese multietnico. Prima di entrare alla Casa Bianca, il premier italiano visiterà una mostra sull'Abruzzo alla National Gallery. Poi renderà omaggio ai caduti del cimitero di Arlington. Dopo il faccia a faccia con Obama, avrà un incontro con la speaker del Congresso Nancy Pelosi. (15 giugno 2009

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Berlusconi arrivato a Washington oggi l'incontro con Obama (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Silvio Berlusconi è giunto nella notte a Washington per incontare nel pomeriggio alla Casa Bianca Barack Obama. Berlusconi presenterà al presidente degli Stati Uniti l'agenda del vertice G8, in programma in luglio all'Aquila. Al'incontro di un'ora parteciperanno anche altri stretti collaboratori del presidente Usa, come il segretario di Stato Hillary Clinton. Successivamente il presidente del Consiglio si recherà al Congresso per incontrare la presidente Nency Pelosi e diversi esponenti del Parlamento. (15 giugno 2009

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Piano italiano per Kabul (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 15/06/2009 - pag: 1 D'Alema: possibili scosse per il governo, teniamoci pronti. La replica: si illude Piano italiano per Kabul Berlusconi incontra Obama, aerei e 500 soldati in più di MARCO GALLUZZO Berlusconi incontra oggi Obama. Garantirà «rinforzi per Kabul» e la disponibilità ad accogliere detenuti di Guantanamo. D'Alema: possibili scosse per il governo, il Pd stia pronto. Replica: s'illude. DA PAGINA 6 A PAGINA 9

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Mousavi chiede di annullare il voto in Iran (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 15/06/2009 - pag: 2 Mousavi chiede di annullare il voto in Iran La polizia di Ahmadinejad carica, ancora scontri. Arrestati almeno 170 riformisti DA UNO DEI NOSTRI INVIATI TEHERAN Dieci, quindici cariche contro manifestazioni proibite solo a Teheran, dal primo pomeriggio a notte. Arresti. Centosettanta, forse di più. Alcuni eccellenti. Come quella del fratello dell'ex presidente riformista Khatami, già rilasciato. Cinque autobus e 60 cassonetti dell'immondizia bruciati. È dovuto ricomparire (almeno attraverso le parole della moglie) Mir Hossein Mousavi, il candidato che contesta la rielezione del presidente Ahmadinejad e che ieri ha chiesto formalmente l'annullamento del voto, per dire che no, lui non è agli arresti domiciliari. Ma le voci non si placano. Si spargono in un attimo nonostante il blocco agli sms, il freno a Internet, l'espulsione di giornalisti stranieri e l'arresto di quelli locali. L'ufficio della tv Al Arabiya è stato chiuso. Persino i satelliti sono finiti nel mirino, quello della Bbc in farsi è stato oscurato elettronicamente. L'atmosfera a Teheran è quella di un golpe silenzioso. Si contano gli appellativi riservati in tv a Rafsanjani, numero due del regime, per capire quanto è ormai lontano dai favori del Leader Supremo. Fuori da casa Rafsanjani i visitatori vengono identificati. Il grande vecchio del regime è sotto controllo? Solo il fatto che se ne parli, mostra come le certezze del regime stiano vacillando. Il fumo di plastica bruciata si mescola ai lacrimogeni. «Via, via» urlano i giovani che hanno bruciato tre cassonetti per bloccare il traffico quando vedono partire a piedi, manganelli alzati, una trentina di agenti. I basiji, i paramilitari sostenitori di Ahmadinejad, sono già in piazza Vali Asr, a meno di cinquanta metri dai falò pestilenziali. Sono in versione civile, senza armi, perché vogliono solo festeggiare il presidente. Vengono da tutto il Paese, inquadrati sui pullman. I rivoltosi, invece, uomini e donne di tutte le età, tentano di saturare le vie di accesso alla piazza in modo da impedire l'arrivo di Ahmadì, il presidente. La polizia carica in modo ancora più deciso di sabato. Alcuni manifestanti vengono trascinati sui cellulari. La gente si disperde, perde la battaglia, ma ricompare qualche chilometro più in là. Altri blocchi, altre grida, altra carica. Quanto potrà andare avanti? Di notte scattano gli arresti dei «sospetti», di chi, da sempre, è contro il governo. Il marito di Narges Mohammadi, Premio Langer 2009, è stato arrestato «in via preventiva». Eliminare i tizzoni ardenti per spegnere il fuoco. Ci vuole tempo, ma di solito funziona. Ahmadinejad ieri non solo è riuscito a parlare in piazza. Ma si è anche concesso ai giornalisti, polemico e tagliente come sempre. Per lui, ovvio, il voto di venerdì è stato trasparente. «I cortei non sono un gran problema sorride . È gente arrabbiata perché aveva speso un sacco di tempo e soldi contro di me e gli è andata male. Naturale che siano rabbiosi». Il presidente iraniano conferma alcune linee guida della sua politica. «Il nostro diritto al nucleare non è più in discussione» e, quanto ai sospetti di uso militare, ribalta la questione. «Non è l'Iran a dover rinunciare all'atomica, ma i Paesi che ne hanno gli arsenali pieni. Apriamo trattative internazionali per eliminare le bombe nucleari dal pianeta ». L'America, suo principale interlocutore, resta perplessa. In un'intervista, il vice presidente Joe Biden ha detto che esistono «forti dubbi» sulla vittoria di Ahmadinejad. Ma la politica della mano tesa di Obama non sembra essere in discussione per i fatti di questi giorni. A. Ni. GUARDA il video da Teheran su www.corriere.it Fazioni A sinistra un sostenitore del candidato moderato Mir Hossein Mousavi picchiato durante le proteste nella capitale iraniana; a destra manifestanti a favore del presidente rieletto Mahmoud Ahmadinejad (Ap, Reuters) 63% I voti ottenuti dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad alle elezioni di venerdì (nel 2005 Ahmadinejad aveva sconfitto Rafsanjani al ballottaggio con il 61,7%). Fermo al 34% lo sfidante moderato Mir Hossein Mousavi

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 15/06/2009 - pag: 5 «Sì a uno Stato palestinese smilitarizzato» Svolta del premier israeliano Netanyahu. La Casa Bianca: «Passo importante» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME Obama chiama, Bibi risponde. Ma solo un pochino. E il discorso più annunciato della recente storia israeliana, la risposta di Netanyahu al celebrato speech cairota del presidente americano, non smentisce le anticipazioni degli ultimi giorni. Il premier parla una mezz'ora abbondante. Abbonda in pause, sguardi solenni. Ripete che la Road Map verrà rispettata. E dice quel che la destra non aveva ancora osato, da quand'è tornata al governo: il sì a uno Stato palestinese. Aggiungendo poco altro, però. E anzi elencando una serie di «ma» che alla fine, un po', sbianchettano la concessione: sì a una Palestina «sovrana e con una propria bandiera», certo; ma purché sia smilitarizzata; e in cambio riconosca l'identità ebraica d'Israele; e non pretenda di risolvere dentro Israele il problema dei profughi; e non si sogni che le colonie vengano smantellate; e men che meno pretenda una divisione di Gerusalemme. Applaude convinta la platea nell' aula magna del Be-Sa Center di Tel Aviv, dove Be-Sa sta per Begin-Sadat e però il discorso non ha la grandezza di quegli statisti. Concorda soddisfatta la Casa Bianca, col portavoce di Obama che parla di «passo importante». Fischia, e forte, l'Autorità nazionale palestinese per bocca di Saeb Erekat: «La pace può aspettare anche mille anni». Con un portaparola di Abu Mazen, Nabil Rudeina, che mette una pietra tombale: «Questo discorso, con la pretesa d'iscriverci al movimento sionista mondiale, di fatto silura tutti gli sforzi di pace ». Tanto tuonò che Bibi. Le aspettative erano molte e Netanyahu, la camicia bianca e la cravatta azzurra dei momenti cruciali, stavolta non sorprende. «Lo sapeva anche lui», dice un suo stretto collaboratore, ed è per questo che ha scelto di parlare da un podio come l'università di Bar Ilan: il più prestigioso campus del nazionalismo religioso, da dove partì anche il killer di Rabin, trecento invitati selezionatissimi che evitassero le interruzioni della Knesset. «Distinti ospiti, cittadini d'Israele...»: la prima parola che Bibi pronuncia è «shalom»; l'ultima, una citazione dei Profeti. Ha tre argomenti da trattare l'Iran, lo sviluppo economico, il processo di pace , ma i primi due sono facili da liquidare, dopo che il voto di Teheran ha sancito «l'incontro fra l'Islam e gli armamenti nucleari», ora che serve «una cooperazione di tutti i leader arabi per creare investimenti». Al punto più atteso la pace , Bibi ricorda la sua storia personale, «ho fatto battaglie e guerre, ho perso un fratello, ho perso amici», e raccoglie il primo battimani: «Non voglio la guerra, nessuno la vuole in Israele». Vuole la pace, e che l'altro non prepari la guerra. L'Anp dovrebbe riaprire immediatamente il negoziato, ma innanzi tutto renda innocuo Hamas. E poi niente armi, niente spazio aereo: «Se riceveremo la garanzia della smilitarizzazione e del rispetto della sicurezza, e se i palestinesi riconosceranno Israele come nazione ebraica, allora siamo pronti a un autentico accordo di pace e a raggiungere una soluzione basata su uno Stato palestinese smilitarizzato, di fianco a uno ebraico». L'identità è una concessione alla destra estrema, tanto che il ritorno dei profughi del 1948 (stabilito dalla Road Map) «è contro il principio d'Israele in quanto Stato ebraico ». Pure le parole su Gerusalemme, «capitale unica e indivisibile dello Stato ebraico», servono a tranquillizzare gli alleati di governo. E i coloni, «nostri fratelli e sorelle, non sono nemici della pace»: «Non voglio fare costruire nuovi insediamenti o confiscare terre con quest'obiettivo, ma occorre permettere agli abitanti delle colonie di vivere normalmente». Ovvero, di restare dove sono: esattamente il contrario di quanto stabiliscono gli accordi internazionali. Francesco Battistini Discorso Benjamin «Bibi» Netanyahu, 59 anni, leader del partito di destra Likud, premier israeliano da maggio (Epa)

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<È un barlume di speranza E un successo per gli Usa>(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 15/06/2009 - pag: 5 Visto dagli americani Il politologo Barber «È un barlume di speranza E un successo per gli Usa» WASHINGTON «Un barlume di speranza ». Così Benjamin Barber, l'autore di «McWorld contro Jihad» e de «L'impero del male», intitolerebbe il discorso di Netanyahu. «La sua riposta al discorso di Obama del 4 giugno al Cairo» rileva «è positiva da parte di un falco. Non credo che il premier israeliano si sia pienamente convertito, per così dire. Ma opportunismo o realismo che sia, ha fatto un passo avanti». Il politologo democratico, frequente visitatore dei Paesi musulmani, ammette che Netanyahu «ha lasciato irrisolte molte questioni» e che «le difficoltà da superare restano enormi e il percorso di pace sarà lungo e difficile». Ma ritiene che una graduale e cruciale svolta in Medio Oriente possa finalmente incominciare. Che cosa l'ha colpita del discorso del premier? «Netanyahu si è reso conto che la politica americana verso l'Islam è cambiata, che non può imporsi a Obama, che rischia l'isolamento, che ci sono opportunità di pace che mancavano sotto Bush. Mi sembra che accetti il principio di due Stati coesistenti, anche se a condizioni controverse in Palestina, come la smilitarizzazione e il riconoscimento di Israele. E che si apra al dialogo con i Paesi arabi». Ne è rimasto sorpreso? «Sì, ma non molto. Le pressioni americane ed europee si erano fatte troppo forti perché restasse intransigente. Con Obama, l'America è in sintonia non soltanto con l'Europa ma anche con gli islamici moderati. Spero che i palestinesi accedano in fretta al negoziato, e i Paesi arabi vi diano un sostanzioso contributo». È un successo per Obama? «Senz'altro. La sua elezione a presidente e ancora di più la sua decisione di giocare ovunque la carta non della forza ma della diplomazia stanno dando frutti. Mediatori come George Mitchell in Israele potranno lavorare bene. E gente come l'ex vicepresidente Cheney, che lo accusa di compromettere la sicurezza dell' America, avrà torto». Ma la rielezione di Ahamadinejad in Iran non è stata una sconfitta di Obama? «Io credo che Ahmadinejad non potrà ignorare le proteste popolari a Teheran, né l'incipiente cambiamento del clima politico in Medio Oriente, che in una certa misura sono il prodotto della strategia di Obama. Se s'opporrà al dialogo, causerà problemi interni e si isolerà dal resto del mondo. Secondo me, l'Iran non è monolitico, né gli ayatollah sono tutti d'accordo». Insomma, lei confida nella pace. «Ho una cauta fiducia. Chi avrebbe detto a esempio che in Libano Hezbollah sarebbe stato sconfitto alle elezioni? E invece, è successo, e ci saranno ripercussioni anche in Siria, dove i radicali avranno meno potere, e quel Paese potrebbe perciò riavvicinarsi a poco a poco a Israele». Ennio Caretto \\ Si è reso conto che la politica americana verso l'Islam è cambiata, che non può imporsi a Obama, che rischia l'isolamento

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 15/06/2009 - pag: 5 Visto dai palestinesi La deputata del Fatah Ashrawi «Non ci sta offrendo la patria ma una nuova occupazione» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME «A me piacciono i bei discorsi, indipendentemente da quel che si dice... », ride Hanan Ashrawi. Sessantun anni, buoni studi all'American University di Beirut, cristiana per famiglia e marito, nella politica palestinese da quand'era la portavoce di Arafat, oggi deputata vicina al premier Salam Fayyad, la signora Ashrawi fa una sola concessione, una volta spenta la tivù e la faccia di Netanyahu: «L'unica cosa che m'è piaciuta, è l'uso che ha fatto delle parole, dei silenzi. Dev'essersi esercitato molto. Per dire poco». Poco? «Non vedo un grande cambio di posizione. È la solita politica della destra israeliana. C'è una bella differenza, fra le cose che ha detto Bibi e quelle di Obama, a cui voleva idealmente rispondere. Al di là delle emozioni: il presidente americano ha detto con chiarezza che Israele deve dire stop agli insediamenti, Netanyahu ha detto soltanto che non ne vuole di nuovi. Ma s'è ben guardato dal parlare d'un congelamento di quelli che già ci sono». Però una novità c'è: la prima volta, dopo molti anni, che un premier della destra accetta l'idea d'uno Stato palestinese. «E a lei questa sembra una novità? È chiaro che si tratta solo d'una operazione di retorica. D'un gioco di parole. Netanyahu dice che ci dev' essere uno Stato palestinese. Ma vuole che diventiamo anche noi sionisti, che gli arabi che stanno in Israele accettino d'essere quel che non sono, prima d'accomodarci al tavolo e trattare». Ma perché non riconoscete Israele? «Non possiamo farlo in questi termini. Significa abbandonare al loro destino i nostri fratelli arabi. Significa contraddire tutta la nostra storia ». Una Palestina smilitarizzata non è nell'interesse di tutti? «La nozione di Palestina smilitarizzata corrisponde al concetto che ha Bibi del popolo palestinese: un popolo che abbia una terra, ma che comunque non controlli le sue frontiere, non abbia un esercito e non possa nemmeno guardare se nel suo cielo volino bombe o aquiloni. Questo non è uno Stato: è la prosecuzione di un'occupazione. Anzi, è la versione aggiornata dell'occupazione: una cosa morbida, tanto per compiacere la Casa Bianca. Il suo discorso è arrogante, ideologico. Non ha le dimensioni del discorso di pace: ha quelle del controllo del territorio». Ma non c'è niente da salvare? «Netanyahu ha chiuso la porta su tutto. Gerusalemme è una città occupata, non può non essere la nostra capitale. E se Fatah e Hamas raggiungono un accordo, Israele deve accettarlo: noi non decidiamo chi deve stare al governo israeliano. La cosa più arrogante è la pretesa di risolvere al di fuori d'Israele la questione dei profughi. E poi di chiedere ai palestinesi d'aderire all'identità ebraica: dobbiamo dimostrare d'essere ragazzi di buone maniere, prima d'essere ammessi a vivere sulla loro terra». F. Bat. \\ Netanyahu vuole che diventiamo anche noi sionisti, che gli arabi che stanno in Israele accettino d'essere quel che non sono

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Berlusconi a Obama: più impegno su Kabul (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 15/06/2009 - pag: 6 Berlusconi a Obama: più impegno su Kabul I segnali del premier: soldati operativi in tempo reale, sì ai detenuti da Guantanamo DAL NOSTRO INVIATO WASHINGTON Un rafforzamento temporaneo del nostro contingente in Afghanistan che porterebbe a impiegare sino a 500 militari in più. La disponibilità ad entrare in azione immediatamente, a richiesta del comando delle operazioni, e non più con le tradizionali 6 ore di preavviso: un'operatività in tempo reale che cambierebbe il volto del nostro impegno, come da tempo chiedono gli americani. Sono alcuni dei dettagli dell'agenda, non senza contropartite, che il presidente del Consiglio discuterà oggi alla Casa Bianca nel suo primo incontro ufficiale con Barack Obama. Il Cavaliere è arrivato ieri sera nella capitale americana. Vedrà anche lo speaker del Congresso, Nancy Pelosi. Porta in «dote» una serie di offerte (e di richieste) utili a rinsaldare una relazione che se non è più quella con un Paese governato da un grande amico, com'era ai tempi di George Bush, è pur sempre un pilastro degli interessi strategici di entrambi gli Stati. L'agenda ufficiale dell'incontro dice che i due presidenti si vedranno nel pomeriggio, in un incontro allargato ai rispettivi staff. È un punto di vanto di Palazzo Chigi che Silvio Berlusconi sia il secondo leader europeo, dopo Gordon Brown, ricevuto alla Casa Bianca dal giorno dell'insediamento di Obama (e si rimarca che Prodi in quasi 2 anni non ci mise piede). Il piatto forte, oltre alla preparazione dei temi del G8, sarà l'Afghanistan. Nel Paese che combatte contro i talebani si avvicinano le elezioni. Gli americani chiedono a tutti gli Stati che partecipano al contingente Nato di aumentare, anche in modo temporaneo, la propria presenza sul territorio. Pure se le cifre sono ancora ufficiose, l'offerta che Berlusconi farà ad Obama porterebbe i nostri militari nella regione, almeno per alcuni mesi, a circa 3000. Sarebbero pronti a partire anche 3 nuovi aerei e due elicotteri utili ad operazioni di soccorso. C'è poi il capitolo dell'impiego in operazioni di guerra. Finora l'Italia ha dispiegato i suoi soldati, a richiesta del comando centrale, avvalendosi della facoltà di rispondere con un preavviso di 6 ore (erano 76 sino a poco tempo fa). Berlusconi sembra disposto a concedere un'operatività in tempo reale, ma in cambio dell'accesso, finora negato, al circuito completo delle informazioni sensibili. Solo in cambio di una piena disclosure dei dossier, d'intelligence e militari, utili all'impiego dei soldati, Roma accontenterà gli americani. Si discuterà anche di Guantanamo, della prigione cubana per sospetti terroristi che Obama, in segno di discontinuità con l'amministrazione Bush, intende chiudere. Il governo italiano ha già dichiarato di essere disposto a prendere in carico alcuni di quei detenuti. Ora anche questo dossier prende forma: l'Italia potrebbe accettare sino a 5 o 6 ex detenuti assoggettandoli, ma anche questo è ancora in discussione, ad un regime speciale. Una sorta di ibrido fra il regime di libertà vigilata (con obbligo giornaliero di firma) e la protezione per soggetti a rischio. Si tratta infatti di persone che per gli americani sono ormai, in gergo tecnico, cleared for release. Ovvero che non hanno più pendenze con gli Usa, ma che invece rischiano grosso (in termini anche di condanne a morte) nei Paesi d'origine. Il regime cui andrebbero incontro, con il consenso degli altri Paesi Ue, potrebbe prevedere un'eccezione all'obbligo di non lasciare l'Italia: una possibilità di circolazione (su permesso) entro i confini della zona Schengen. È ovvio che questo sarà uno dei «grossi segnali», raccontano nel governo, che Berlusconi offrirà. «Vado lì come un amico, com'è sempre stato. Finora Obama le ha azzeccate tutte...». In queste due frasi c'è l'umore con cui ieri il Cavaliere è partito dall'Italia. Vi si dice della stima che nutre nei confronti della nuova guida della Casa Bianca. Ma anche della consapevolezza che nonostante i rumors su frizioni personali e geopolitiche fra i due leader (sempre smentiti da Palazzo Chigi) il rapporto fra i due Paesi resta strategico, come sottolineato nella nota diffusa dagli americani per annunciare l'incontro. Un umore non guastato dalla dichiarazioni di D'Alema sulla debolezza del governo: «L'ultima cosa di cui mi preoccupo sono le illusioni di un'opposizione che è a pezzi ». Se poi anche con Obama il Cavaliere riuscirà a costruire un rapporto personale come quello intessuto negli anni con Bush, o come quello che lo lega a Putin, è da vedere. Di certo non farà nulla per nascondere una spensieratezza, anche linguistica, che attiene più al carattere personale che alle relazioni bilaterali: «Volete dire qualcosa ad Obama? Vado lì bello e abbronzato...», ha detto ieri prima di lasciare Genova alla volta di Washington. Marco Galluzzo Londra, 2 aprile 2009 Berlusconi tra Obama e il presidente russo Medvedev

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LE ATTESE (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 15/06/2009 - pag: 6 La Casa Bianca LE ATTESE PER L'AFGHANISTAN E LA CAUTELA SULLA RUSSIA di PAOLO VALENTINO WASHINGTON «Dal premier italiano, il presidente Obama vuole ascoltare cosa significhi in termini concreti l'annuncio di un maggior impegno in Afghanistan. È un tema molto importante, al di là della piena condivisione della visione strategica». Non ci sarà solo questo nell'agenda dei colloqui, che Silvio Berlusconi avrà questo pomeriggio alla Casa Bianca. Ma la frase di un alto funzionario dell'Amministrazione conferma che il tema AfPak (la sigla che lega insieme non solo verbalmente Afghanistan e Pakistan) stia molto in alto nelle preoccupazioni di Barack Obama e che l'apertura del presidente del Consiglio abbia parecchio intrigato il leader americano. La consegna ufficiale fra gli uomini di Obama è che gli Stati Uniti « value », tengono in alta considerazione il rapporto con l'Italia e che non ci siano divergenze sostanziali di vedute o forti motivi di polemica con Roma, a parte qualche «tensione fisiologica e marginale». Washington apprezza per esempio la direzione data dall'Italia all'imminente G8 dell'Aquila, visto come tappa intermedia per rafforzare la cooperazione internazionale, sulla strada per il G20 di Pittsburgh in settembre. La parte dedicata al clima viene soprattutto considerata fondamentale dall'Amministrazione, che ha fatto dell'agenda verde uno dei temi prioritari della propria agenda politica. E si aspetta che proprio oggi, a Lussemburgo, la spinta italiana produca finalmente quella dichiarazione-quadro congiunta dell'Unione europea, sulla disponibilità ad accogliere una parte dei detenuti di Guantanamo. Ma nella discrezione degli incontri, Obama qualche velato appunto al premier lo farà. Chiederà probabilmente più cautela nell'attivismo del governo Berlusconi verso la Russia: «Non siamo insoddisfatti dell'azione italiana, è importante muoversi tutti nella stessa direzione. Ma è meglio agire in concerto e in modo coordinato», spiega il funzionario della Casa Bianca. Un modo gentile, per dire che al momento il presidente americano non ha bisogno di mediatori nelle sue prove di dialogo con Medvedev. Più interlocutorio, dopo la vittoria di Ahmadinejad, sarà l'atteggiamento americano sull'Iran, dove Obama vorrà ascoltare il giudizio dell'Italia sugli ultimi sviluppi. Interessante è che nessuna condanna forte sia venuta da Washington, segno di una posizione attendista che non vuole chiudere ogni porta verso Teheran, neppure di fronte alla riconferma del fronte dell'intransigenza. A Berlusconi, il presidente americano chiederà comunque assicurazioni, che se ogni prospettiva di dialogo dovesse cadere, anche l'Italia sarebbe pronta a fare la sua parte, allineandosi dietro una politica di sanzioni molto più dure. L'auspicio di Washington Gli Usa contano su una spinta italiana nella Ue per accogliere i detenuti di Guantanamo. E chiedono assicurazioni per la strategia diplomatica con l'Iran

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D'Alema: sul premier Spero l'opposizione sia pronta (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 15/06/2009 - pag: 7 Affondo Intervento a «In Mezz'Ora». Il Pdl: ecco chi destabilizza. La replica: fa tutto lui D'Alema: «scosse» sul premier Spero l'opposizione sia pronta «Il Cavaliere leader dimezzato ma non accetta il suo declino» ROMA Il complotto contro Berlusconi? «Naturalmente non c'è», e quando il premier ne parla si riferisce «al suo mondo», «teme quelli intorno a lui». In ogni caso, «la vicenda italiana potrà avere delle scosse perché Berlusconi non è un uomo che accetti volentieri il suo declino politico». E le «scosse» si presenteranno come «momenti di difficoltà e di conflitto, il che richiede un'opposizione in grado di assumersi le sue responsabilità con molta forza e autorevolezza, cosa che spero noi saremo in grado di essere»: Massimo D'Alema, intervenendo alla trasmissione In Mezz'Ora ieri su Rai- Tre, ha infiammato il dibattito politico. L'esponente del Pd ha lasciato intendere che il governo potrebbe cadere perché «le difficoltà possono esplodere anche all'interno del centrodestra, dove il malessere è evidente, la guardia pretoriana rappresentata da Bossi diventa sempre più importante e, d'altro canto, nella decadenza degli imperi succede spesso che siano le guardie pretoriane a diventare più importanti dei senatori». E proprio per questa possibilità D'Alema ha invitato il Pd a farsi trovare pronto in caso di cambiamenti improvvisi, vale a dire le «scosse» di cui parlava. In video-collegamento da Otranto («sono qui per la campagna elettorale delle Ammini-- strative »), D'Alema ha usato toni pacati, ma i messaggi sono stati netti quanto duri. Sia quelli rivolti al presidente del Consiglio: «È un leader dimezzato, colpito nella sua credibilità a livello internazionale, ma è debole anche nel Paese». Ed «è in crisi, incapace di governare, non ha mai fatto una riforma sostanziale». Sia quelli lanciati allo stesso Pd: «Con i vertici nazionali ho rapporti cordiali, ma saltuari», «per la campagna elettorale mi chiamano ovunque, in tutta Italia, dalla direzione nazionale mi chiamano meno ». D'Alema non ha risparmiato una frecciata a Berlusconi anche sul viaggio in America: «È positivo che dopo tanto tempo possa incontrare il presidente Usa. Certo colpisce non poco che Obama sia venuto due volte in Europa, saltando l'Italia, quando l'Italia è presidente di turno del G8. Una tappa a Roma sarebbe stata obbligata». «Ma di quali scosse sta parlando D'Alema? La sinistra non vuole forse rispettare il voto democratico liberamente espresso dagli elettori? D'Alema ha sofferto un colpo di caldo», ha commentato Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. «Il governo è in ottima salute, D'Alema pensi alla sua parte politica», ha aggiunto Italo Bocchino, vicepresidente dei deputati del Pdl, mentre per Daniele Capezzone, portavoce del partito, «c'è un grumo di poteri che intende proseguire una campagna di destabilizzazione degli equilibri politici decisi dagli italiani con il loro voto. Le dichiarazioni di D'Alema lo confermano». In serata la controreplica: «È Berlusconi stesso a produrre instabilità e a scuotere l'equilibrio di governo con la denuncia di presunti complotti che rivelano soltanto la fragilità e l'insicurezza di chi oggi guida il Paese», ha precisato D'Alema. Paolo Foschi In onda Massimo D'Alema intervistato da Lucia Annunziata ieri a «In Mezz'Ora» (fermo immagine da Raitre)

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Dietro l'allarmismo una minoranza smarrita e pronta a tutto (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 15/06/2009 - pag: 7 Il commento Dietro l'allarmismo una minoranza smarrita e pronta a tutto SEGUE DALLA PRIMA Si tratta di un allarmismo che non ridimensiona quello prodotto dall'ultima sortita di Silvio Berlusconi su presunti complotti antigovernativi. Al contrario lo alimenta, consegnando al Paese l'immagine di un'opposizione tanto aggressiva quanto smarrita e pronta a tutto; e all'opinione pubblica internazionale quella di un'Italia difficile da decifrare seguendo le categorie della normalità. L'arrivo del presidente del Consiglio negli Stati uniti ed il suo incontro odierno con Barack Obama rischiano così di avvenire su uno sfondo artificiosamente sovraccarico di incognite. Berlusconi rappresenta un governo con una maggioranza solida che ha confermato la sua forza alle elezioni Europee. Le Amministrative si sono risolte in un insuccesso del centrosinistra: almeno per ora. E gli impegni presi con l'Occidente, Stati Uniti in testa, non appaiono minimamente a rischio. Gli ottimi rapporti con Mosca e le sbavature e gli eccessi della visita del capo libico Gheddafi a Roma non sembrano in grado di guastare un'alleanza storica. Eppure, la figura del premier viene circondata da un alone di scetticismo e di precarietà. I suoi avversari contestano l'idea che l'Italia sia con lui, sostenendo che l'hanno votato sì e no un italiano su quattro, contando le astensioni. La cosa paradossale è che il calcolo dell'opposizione prescinde dal proprio identikit, dai contorni sempre più controversi e minoritari. Il Pd contempla i limiti del governo, che pure ci sono. Esalta il potere leghista in funzione antiberlusconiana. Raffigura un Berlusconi minacciato dalle trame del suo centrodestra. Ma non riesce a riempire il proprio vuoto di leadership e di proposte. È singolare che mentre addita Berlusconi «leader dimezzato», ostaggio di Umberto Bossi, D'Alema ammetta che il Pd non è autosufficiente; e che non ha ancora la minima idea di chi sarà il prossimo segretario. E proponga il «modello Puglia», la regione dove è eletto, come esempio di schieramento alternativo: un «cartello» elettorale che dovrebbe andare, dice, «dall'Udc a Rifondazione comunista ». Non ha l'aria di una grande idea. Ha qualcosa di passatista, più che di vincente. Con piccole varianti, ripercorre vecchi sentieri rivelatisi vicoli ciechi. Ma il centrosinistra sembra scommettere comunque su una crisi a breve del governo; su un rapporto freddo fra Berlusconi ed il presidente Usa, Obama; e su un G8 all'Aquila al quale il premier dovrebbe arrivare affannato, se non delegittimato. In altri tempi, si sarebbe detto che è un gioco al «tanto peggio, tanto meglio». Forse, più banalmente è una guerra dei nervi con Palazzo Chigi ingaggiata su premesse che potrebbero rivelarsi presto azzardate e contraddittorie. La scommessa è sul declino berlusconiano e sulla possibilità che il complotto evocato dal premier sia verosimile, se non vero. La speranza nasce dal fatto che il Pdl non ha vinto le Europee nella misura sperata dal capo del governo; e che il Cavaliere tende a vedere trame per sostituirlo a Palazzo Chigi, mostrando qualche segno di nervosismo. Per un'opposizione a caccia di qualunque segno di crisi, di inversione di tendenza, la prospettiva di un conflitto improvviso, di una «scossa», nel gergo dalemiano, sarebbe comunque una buona notizia. Significherebbe che la legislatura del centrodestra può andare incontro a difficoltà; che lo strapotere dell'avversario non è poi così granitico. E chissà, forse offrirebbe al Pd ed ai suoi futuri alleati un'occasione per dimostrare che il centrosinistra non è né sbandato né impreparato a governare. Per paradosso, gridando al complotto Berlusconi non ha tanto rivelato i propri incubi, ma i sogni proibiti dell'opposizione. È possibile che la parabola discendente del presidente del Consiglio stia per iniziarsi, o sia già cominciata. Eppure, si rafforza la sensazione che anche in quel caso, a beneficiarne non saranno i suoi avversari: almeno fino a che per vincere punteranno sulle disgrazie del Cavaliere e non su una proposta alternativa convincente. Massimo Franco La scommessa Il centrosinistra sembra scommettere su una crisi a breve del governo e punta su una «guerra di nervi» La parabola discendente L'opposizione senza proposte alternative convincenti potrebbe non beneficiare della possibile parabola discendente del premier

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La Annunziata: il sospetto è che arrivi una crisi ampia Forse con un altro scandalo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 15/06/2009 - pag: 7 La giornalista «L'esponente pd ha riassunto un pensiero diffuso nel centrosinistra» La Annunziata: il sospetto è che arrivi una crisi ampia Forse con un altro scandalo ROMA Lucia Annunziata, senti: quando Massimo D'Alema ti ha detto che c'è da aspettarsi una maggioranza attraversata da «scosse», tu a che genere di scosse hai pensato? «Non ci ho pensato. Ho, anzi, reagito d'istinto. Nella frazione di un secondo. Come ti sarai accorto, l'ho infatti subito incalzato, chiedendogli: 'D'Alema, il termine scossa sta per...?'». ( Lucia Annunziata, giornalista al manifesto, a Repubblica, al Corriere, dall'agosto del 1996 al giugno del 1998 alla guida del Tg3, poi presidente della Rai, attualmente editorialista de La Stampa, ieri ha intervistato su Raitre, nel suo programma di informazione 'In Mezz'Ora', il suo vecchio amico Massimo D'Alema: un'amicizia vera, che i giornali tendono sempre a rappresentare con una foto d'epoca, datata 1976, in cui lei, Walter Veltroni 'ancora senza certe profonde stempiature' Fabio Mussi e, appunto, D'Alema 'capelli folti tipo afro' sono all'università di Roma La Sapienza in attesa di un intervento di Giorgio Amendola). D'Alema ti ha risposto, un po' vago, che per «scosse» si intendono «momenti di conflitto, di difficoltà, anche imprevedibili, che richiedono, come dire? un'opposizione in grado di assumersi le proprie responsabilità»...». «Senti, io con D'Alema non ho parlato né prima, né dopo la trasmissione...». Dai, direttore... «Giuro. Né prima, né dopo. Non è mia abitudine farlo con gli ospiti, e certo non ho fatto eccezione con Massimo, che pure conosco da una vita. Detto questo...». Ecco, detto questo? «Provo a intuire, a dedurre». Dai, prova. «Io penso che Massimo, in fondo, abbia riassunto un pensiero abbastanza diffuso all'interno del centrosinistra». Sarebbe? «La sensazione che la stagione di Berlusconi stia entrando in un grave momento di debolezza... da cui potrebbe scaturire, o deflagrare, fai tu, una crisi più ampia». Genere di crisi? «Istituzionale». Spiegati. Cosa potrebbe innescare questo genere di crisi? «Non lo so. E suppongo non lo sappia, di preciso, neppure Massimo. Io sospetto l'arrivo di altri scandali, di altre foto spiacevoli... temo storie torbide... credo che l'immagine internazionale di Berlusconi, già complicata nei rapporti con l'amministrazione Obama, nel volgere di un tempo non lunghissimo, possa risultare ulteriormente danneggiata». Berlusconi parla di «piano eversivo». «D'Alema non crede all'ipotesi del complotto. Con me, in trasmissione, è stato piuttosto chiaro. D'Alema, se posso aggiungere, è anzi più sottile: e dice che quando il Cavaliere parla di complotto, parla ai suoi. Gli spiega la scena dell'accerchiamento». Per questo poi... «Arrivano in difesa Calderoli e Cicchitto, certo. Annusano, anche loro, il pericolo». Francesco Cossiga, sul Giornale, insinua che sia già pronta la successione al Cavaliere... «Il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi? Se è per questo, girano anche altri nomi... No, io dico che la situazione è molto in evoluzione». Direttore, sembri molto informata. «Ragiono, leggo, parlo, faccio questo mestiere da una vita. Ma puoi escludere che D'Alema m'abbia detto qualcosa». Anche in privato? Senti: cosa ti ha detto sul congresso del Pd? «Ne ha parlato in trasmissione. Ha ribadito di tenere per Bersani. Poi, se vuoi la mia idea...». Certo. Qual è? «Si profilasse davvero una crisi grave, strategica, istituzionale per il Paese... beh, io penso che D'Alema non esiterebbe a tornare in campo. Ma oltre il Pd». Oltre, scusa, in che senso? «Sarebbe pronto a rimettersi in gioco da statista tra gli statisti...». Fabrizio Roncone \\ La sensazione è che il premier stia entrando in un grave momento di debolezza. Temo storie torbide, che l'immagine possa risultare danneggiata \\ Massimo? Si profilasse una situazione strategica, istituzionale per il Paese, tornerebbe in campo. Ma oltre il Pd, da statista tra gli statisti

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Maggioranza con il Cavaliere: noi compatti, le trame falliranno (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 15/06/2009 - pag: 8 Maggioranza con il Cavaliere: noi compatti, le trame falliranno Ronchi: se attaccano si vota. Dini: non c'è spazio per governi tecnici ROMA Per dirla con Maurizio Gasparri, «non è che noi crediamo che esista un gruppo di cospiratori che si riunisce in pizzeria attorno a un tavolone e che va da Zappadu a D'Alema, da Murdoch al giudice Gandus. Ma è vero che contro Berlusconi c'è un attacco permanente, da 15 anni, da parte della sinistra e di gruppi che non tollerano la sua popo-- larità, la sua forza, la sua capacità ». Per questo Andrea Ronchi, ministro e uomo tra i più vicini a Fini, ha buon gioco nel respingere con sarcasmo le parole di Massimo D'Alema: «Ma D'Alema di cosa parla? Del nulla. Altro che governissimo e scosse. Se mai ci fossero attacchi al premier, si tornerebbe a votare e basta». Perché, aggiunge il vice presidente dei senatori pdl Gaetano Quagliariello, senza esitazioni, «sono fallite le trame di ieri e falliranno quelle di oggi: i nostri gruppi parlamentari sono compatti come mai è successo prima». E Lamberto Dini, che nel '95 guidò proprio un esecutivo tecnico, oggi è categorico: «E' vero che c'è stata un'aggressione al premier ma la maggioranza ha tenuto. Non vedo alcuno spazio per un nuovo governo, tanto più tecnico. Mi sembra solo il tentativo di rientrare in gioco da parte di un'opposizione divisa e senza un progetto». Il centrodestra insomma fa quadrato attorno al leader, che per primo, e certamente prima di Massimo D'Alema, ha parlato di un «piano eversivo » volto a farlo fuori per mettere al suo posto qualcuno che non è stato scelto dagli italiani nel ruolo di premier. E se un ministro come Altero Matteoli è convinto che le parole dell'ex leader dei Ds «avallano indirettamente la denuncia di Berlusconi sul tentativo eversivo messo in atto dalla sinistra », è certamente vero che il premier di timori per il suo futuro ne nutre, eccome. Nella notte di sabato il Cavaliere in verità ha tentato in pubblico di ridimensionare le paure alle quali aveva dato corpo davanti alla platea di Confindustria, perché «gli italiani sono con me», ha detto, e non permetterebbero ribaltoni anche se le tentazioni sparse in vari ambienti, e certamente quello che «fa riferimento al gruppo Repubblica», sono tante. Ma gli amici che hanno avuto modo di parlargli a Santa Margherita raccontano di un premier davvero «provato », umanamente toccato da vicende private che lo hanno addolorato nel profondo, stanco e preoccupato. Non tanto da «governissimi» tecnici, perché «io ha confidato a questa ipotesi Draghi sinceramente non credo». E poco credito Berlusconi in questo momento dà anche all'ipotesi che possa essere Gianfranco Fini uno degli eventuali congiurati: «La sua partita mi sembra giocata molto più alla luce del sole...». No, piuttosto Berlusconi è parso angosciato da quelle «5.000 foto, vi rendete conto?, 5.000!» scattate «in un periodo lunghissimo, tre anni. È stata un'attività continuativa e invasiva: ma qual è la mia sicurezza, perché non sono stato protetto da chi doveva farlo? », è il refrain di questi giorni. Tanto gli fa male questa violazione «della mia privacy e della mia sicurezza» che raccontano è «ormai disamorato » di quella villa Certosa che per anni è stato il suo rifugio e la sua gioia. Ed è convinto che, appunto, gli apparati di sicurezza non siano stati in grado di assolvere al loro compito o, peggio, non abbiano voluto farlo. Perché? Qual è il fine ultimo? Questo tormenta il Cavaliere, che guarda ormai con sospetto anche a settori o uomini della sua parte che potrebbero aspirare alla successione interna, senza saper però puntare il dito contro l'uno o l'altro, molto più che alle eventuali trame di Casini e D'Alema che commentano i suoi in fondo «fanno il loro mestiere ». Per questo, in un clima pesante come mai negli ultimi anni si è respirato nel centrodestra, tutti col fiato sospeso attendono i prossimi appuntamenti: l'incontro oggi con Obama, e poi il G8. E se tutto andrà bene, i suoi fedelissimi non hanno dubbi: «Avremmo passato il guado, e comincerebbe tutta un'altra storia». Paola Di Caro

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Ma i insistono: l'effetto serra non c'è (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Focus Vuota data: 15/06/2009 - pag: 13 Il manifesto del Fronte del no Ma i «negazionisti» insistono: l'effetto serra non c'è MILANO L'ennesimo richiamo al contenimento dell'emissione di anidride carbonica dagli scienziati è venuto da venti premi Nobel riuniti a Londra. Fra questi la biologa africana Wangari Maathai, la prima persona a vincere era il 2004 l'onorificenza per la pace grazie alla sua vocazione ambientalista. Hanno sollecitato misure urgenti contro l'effetto serra anche il fisico Stephen Hawking e l'astrofisico Martin Rees, presidente della Royal Society britannica, il più catastrofico di tutti: secondo le sue previsioni, se andiamo avanti così, le probabilità di sopravvivenza della razza umana sul pianeta nel 2100 sono del 50 per cento (in Italia il libro in cui espone questa teoria, il Secolo finale, è edito da Mondadori). Eppure, nonostante gli studi sempre più approfonditi e nonostante il numero sempre più significativo degli scienziati che si iscrivono al partito dei «catastrofisti», non demorde lo schieramento del no, gli scettici che negano il cambiamento ambientale indotto dall'uomo e sostengono che non sia mutato quasi nulla nel normale avvicendarsi delle stagioni da secoli. Il concentrarsi di certi eventi, estati caldissime, uragani, siccità nell'ultimo decennio, rientrerebbe in una variabilità del clima pressoché «normale» se guardiamo al problema sul lungo periodo. E se qualche aumento di temperatura c'è stato, sarebbe da ascrivere alla radiazione cosmica (ineliminabile), e non all'effetto serra indotto dall'uomo. La presa di posizione più clamorosa del «fronte del no» è il manifesto comparso in uno spazio a pagamento del New York Times (comprato dal centro studi Cato di Washington), dove 114 scienziati di 13 Paesi hanno contestato le affermazioni di Barack Obama sul riscaldamento del clima. Il titolo del manifesto «Con il dovuto rispetto, signor presidente, quanto afferma non è vero» voleva rispondere alla dichiarazione di Obama: «Poche sfide sono più urgenti della lotta ai cambiamenti climatici; la scienza non ha dubbi in proposito». Fra i firmatati del manifesto tre italiani, il fisico Antonino Zichichi, i geologi Umberto Crescenti e Carlo Forese Wezel, dell'università di Urbino. Di Zichichi sono ben noti gli atteggiamenti di scetticismo nei confronti delle misurazioni dei cambiamenti climatici, a parer suo poco attendibili. «Secondo Zichichi, che peraltro è un fisico delle particelle e non un esperto di clima, i modelli utilizzati in tutto il mondo per fare previsioni sulle condizioni climatiche nel futuro sono ingannevoli perché non validati scientificamente afferma il fisico Sergio Castellari, del Centro europeo di studio sui cambiamenti climatici di Bologna e portavoce per l'Italia dell'Ipcc, il panel intergovernativo che monitorizza dal 1988 il problema ed ha già elaborato quattro rapporti, l'ultimo nel 2007 . È negare l'evidenza, visto che questi modelli sono stati fatti propri dai centri di ricerca americani, inglesi, giapponesi ed europei dopo un lungo studio e sono tuttora oggetto di un confronto continuo». Altro argomento forte dei negazionisti è la cosiddetta «piccola era glaciale» che fece seguito al «caldo medioevo». Si tratta di un abbassamento della temperatura terrestre nell'emisfero settentrionale che iniziò nel 1300 per finire nella metà dell'Ottocento. Lo precedette un periodo di clima relativamente caldo durato circa 500 anni nella regione del Nord Atlantico. Si tratta di fenomeni ben documentati dagli storici, i nemici del cambiamento climatico affermano che oggi si stanno, semplicemente, ripetendo e che l'effetto serra non c'entra niente. «Peccato che un riesame accurato dei dati in nostro possesso sulla piccola era glaciale e sul periodo caldo medievale precisa Castellari abbia accertato che, a differenza di quanto sta avvenendo adesso, quei mutamenti climatici non furono globali, ma interessarono una parte del pianeta: l'Europa del Nord, la Groenlandia e gli Stati Uniti». F.P. Fisico Antonino Zichichi è uno dei 114 scienziati che hanno firmato il «manifesto del no»

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Moda e orti, relazione speciale tra la regina e Michelle Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 15/06/2009 - pag: 19 Londra Dopo il G20 le due sono rimaste in contatto con lettere e telefonate Moda e orti, relazione speciale tra la regina e Michelle Obama Sboccia l'amicizia di Elisabetta con la first lady Usa DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA Non c'è che dire: Sua Maestà si è presa la cotta per Michelle, first lady Obama. O forse è Michelle che si è presa la cotta per Elisabetta. Fatto sta che fra la regina britannica e la «regina» americana c'è un'affinità davvero speciale che ha travalicato le formalità diplomatiche. Senza tanto ricamarci sopra, conviene subito specificare che se mercoledì scorso la sovrana ha aperto le porte del suo palazzo a Michelle e alle due figlie, Sasha e Malia, in vacanza privatissima nella capitale britannica, e ha consentito alla famigliola di vedere da vicino come funziona una macchina tanto complessa quanto quella della monarchia più potente al mondo, è soltanto perché la «padrona» della Casa Bianca ha conquistato un posticino nel cuore dei Windsor. Merito del suo bel modo di parlare, di sorridere, di muoversi. E merito anche delle sue passioni: i vestiti, i cani e gli orti. Tutte divagazioni e hobby che non scivolano via inosservati al bon ton elisabettiano. Dei primi, i vestiti, si sapeva che la regina ha gusti speciali. Dei secondi, pure: i piccoli Welsh Corgi Pembroke ospiti a Buckingham Palace, una razza particolarmente allegra, godono di trattamenti culinari speciali per volere diretto della sovrana. Dei terzi, gli orti, Elisabetta pare che sia diventata, anche su consiglio del figlio Carlo, grande sostenitore dell'ecologicamente corretto, una cultrice eccezionale. Tanto da avere accolto di buon grado l'idea di Claire Midgeley, la trentaduenne vice responsabile del verde reale, che ha pensato di ritagliare una piccola fetta dei magnifici 16 ettari di giardini nella residenza e di piantarci insalate, pomodori, patate. Lì, dietro quei cancelli dorati, si nasconde adesso l'ortolano più prezioso del pianeta. Vecchia storia: gli inglesi adorano la terra. In tempo di guerra il governo lanciò la campagna «Zappa per la vittoria ». Reali in testa (la allora quattordicenne Elisabetta fu immortalata con la vanga in mano) e sudditi produssero 1,3 milioni di tonnellate di verdure per scongiurare il pericolo della scarsità alimentare. Adesso, tempi di pace e di agricoltura inquinata da porcherie chimiche, il Regno Unito si è messo all'opera: meglio un ravanello sano cresciuto sotto casa, piuttosto che dieci ravanelli giganti che vengono da chissà dove. Solo che i britannici per coltivare hanno bisogno di un permesso speciale e a volte le procedure s'impantanano: sono ben 100 mila le famiglie in attesa di autorizzazione. Cosa che ovviamente non riguarda la regina: in poche settimane è stato disegnato un gioiello di «allotment», che è quel piccolo lotto di terra, 4 metri per dieci, adibito a orto. Né più né meno ciò che la signora Obama, in versione coltivatrice diretta, ha fatto alla Casa Bianca. Potevano non piacersi? Del resto, lo si era in qualche modo compreso all'inizio di aprile che le due avrebbero avviato una simpatica relazione d'amicizia: poco prima del G20 Obama era andato in visita da Elisabetta e in quella occasione Michelle, che lo accompagnava, aveva addirittura abbracciato la sovrana. Non si tocca mai una regina. Ma la naturalezza del gesto aveva lasciato il segno giusto. Da allora, racconta il quotidiano Daily Telegraph, le due sono rimaste in contatto continuando a scriversi lettere e a parlarsi per telefono. Così Michelle è tornata a Buckingham Palace, questa volta con le due figlie. Era a Londra (giro a Westminster, serata al musical «Re Leone», incursione sul set di Harry Potter) e la regina l'ha chiamata a sé per portarla, esclusiva assoluta, nell'orto. Che, la democrazia è democrazia, fra poco ammireremo tutti: basterà pagare 20 sterline per il giro guidato nei giardini reali e avremo sotto i nostri occhi contorno e frutta di Elisabetta. Fabio Cavalera Trucco e gioielli Giro di perle sia per Michelle che per Elisabetta, orecchini poco appariscenti, trucco leggero con lucido colorato sulle labbra L'abito Colori pastello e motivi floreali, giro vita accompagnato dalla cintura o dall'abbottonatura del golf L'andatura Le braccia sono il più possibile accostate al corpo e la gestualità ridotta al minimo Gonna e scarpe Sia Michelle Obama che Elisabetta II prediligono gonne al ginocchio o lunghe, scarpe con tacco basso e possibilmente in tinta con il resto della mise

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Finanza e regole, la riforma del Tesoro Usa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 15/06/2009 - pag: 17 Wall Street «La revisione più profonda dal '29». Per banche e imprese nuove ricapitalizzazioni. Hedge fund registrati alla Sec Finanza e regole, la riforma del Tesoro Usa Piano di Geithner in settimana. Più poteri alla Fed, sarà il supercontrollore WASHINGTON In settimana, forse mercoledì, il ministro del Tesoro Timothy Geithner presenterà al Congresso il più drastico piano di riforma del sistema finanziario americano dalla Grande depressione degli Anni Trenta. Secondo il New York Times e la Associated Press, la Federal Reserve, la Banca centrale, diverrebbe il «systematic risk regulator », o controllore dei rischi a cui si esponessero non solo le più grandi istituzioni ma anche le più grandi imprese. L'onere dei loro sussidi statali in caso di necessità andrebbe alla Fdic, la Federal Deposit Insurance Corporation che garantisce già i depositi dei cittadini in caso di dissesto bancario. Banche e imprese dovrebbero ricapitalizzarsi per evitare altre crisi. Gli «hedge funds », i fondi ad alto rischio e alto rendimento, e gli altri veicoli finanziari oggi poco regolati sarebbero costretti a registrarsi presso la Commissione di controllo della Borsa, la Sec. E verrebbe creata un'Agenzia per la protezione dei consumatori con speciali competenze sui mutui e le carte di credito. Sulla riforma, la Casa Bianca e il Tesoro mantengono un rigido riserbo, e non è escluso che il piano, che gode del consenso della maggioranza democratica al Congresso ma che è avversato dalla minoranza repubblicana, venga ritoccato nei prossimi giorni. Il suo obiettivo, la stabilizzazione e la sorveglianza dei mercati, tuttavia non cambierà. La Federal Reserve, la Fdic e la Sec verranno rafforzate, assieme con il «Comptroller of the currency», che sovrintende alle più grandi banche. In una prima versione, sembrava che questi e altri istituti dovessero venire unificati, ma il compito è risultato troppo complesso. La Federal Reserve, comunque, avrà un ruolo di coordinamento, si trasformerà in un super istituto. Un ruolo cruciale perché, ha riferito il New York Times, nel «dream team» finanziario di Obama sono esplosi forti contrasti. In particolare, si sono scontrati il capo del «Comptroller of the currency» John Dougan, che è per una regolamentazione elastica, e quello della Fdci, Sheila Bair, favorevole a maggior rigidità. A nome dell'opposizione repubblicana il senatore Spencer Bachus della Commissione finanziaria ha annunciato un piano contrario, basato sulla ristrutturazione o la liquidazione delle banche e imprese pericolanti. «Respingiamo un sistema che presuppone l'infallibilità del governo ha protestato Bachus e che lede le fondamenta del capitalismo ». Secondo il senatore repubblicano, un'eventuale regolamentazione dei mercati dovrebbe essere solo temporanea, come gli stimoli all'economia. Ha ribattuto Larry Summers, il consigliere economico di Obama, che «il governo non può esimersi dalla responsabilità di sorvegliare quegli istituti che sono così grandi, interconnessi e a rischio da richiedere forti aiuti pubblici». Una battaglia ideologica che potrebbe ritardare l'approvazione del piano Geithner, ma che l'amministrazione Obama non può perdere, anche perché teme che la Borsa, in inaspettata, rapida ascesa proprio grazie all'afflusso dei sussidi non ancora impiegati nell'industria, cada vittima di un seconda bolla i mesi prossimi. Sull'efficacia della riforma del sistema finanziario, riforma che inevitabilmente verrà modificata al Congresso, nessuno si pronuncia. A parere del New York Times, molto dipenderà dalla fermezza di Geithner, di Ben Bernanke, il governatore della Federal Reserve, della Bair, di Dougan e di Mary Schapiro, la presidente della Sec. I più pronti a intervenire sui mercati paiono Bernanke, il cui operato dallo scoppio della crisi ha suscitato gli elogi di Obama, e la Bair, che pur essendo repubblicana è divenuta la punta di lancio dello stato. La Bair, una economista che invano pronosticò la crisi sotto Bush, è forse la più popolare del gruppo, perché scrittrice anche di libri per l'infanzia. Ennio Caretto La presidente della Sec Mary Schapiro e il segretario al Tesoro Usa Timothy Geithner Consumatori Prevista un'Agenzia per proteggere i consumatori con competenze su mutui e carte di credito Timori di «bolla» L'amministrazione Obama teme che la Borsa, a causa degli aiuti, cada vittima di una seconda bolla

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Livrea e guanti bianchi: la Loggia arruola gli stagisti (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 15-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Lombardia data: 15/06/2009 - pag: 7 Brescia Trenta ragazzi affiancheranno da oggi i commessi Livrea e guanti bianchi: la Loggia arruola gli stagisti BRESCIA Il modello sarà quello degli stagisti della Casa Bianca. Certo, Adriano Paroli non è Obama, ma il cerimoniale della Loggia è stato studiato a memoria nei minimi dettagli per evitare errori e incertezze. «Perché fare i commessi in Comune comporta una grande responsabilità», dicono orgogliosi gli studenti dell'istituto turistico Golgi che da questa mattina indosseranno livrea e guanti per accogliere i cittadini in visita ai saloni dell'edificio rinascimentale, costruito nel 1492 e a cui lavorarono Tomaso Formentone, Palladio e Sansovino. L'idea della giunta è quella di offrire la possibilità a chi, terminati gli studi, vorrà intraprendere il «mestiere». La sperimentazione coinvolgerà 30 ragazzi che, fino al 31 luglio, rimarranno agli ordini del responsabile dei commessi comunali, Gianni Moretti. Gli apprendisti avranno il compito di essere a disposizione durante i consigli comunali (il primo già questo pomeriggio), assistere gli ospiti nel salone Vanvitelliano oltre ad accogliere secondo le regole del cerimoniale le cariche istituzionali in visita al sindaco. Ma non solo. I ragazzi dovranno anche fare da ciceroni ai turisti. «Studieranno sugli appunti che ho preparato conferma Moretti . Devono conoscere la storia di palazzo Loggia ma anche quella della città. Perché un buon commesso deve essere in grado di trasmettere le tradizioni della città per cui è al servizio». Non un semplice e monotono lavoro ma una missione da compiere con orgoglio ogni giorno. «Finita la sperimentazione estiva promette Paroli il progetto ripartirà il 7 settembre. L'intenzione è quella di coinvolgere i giovani rilanciando un mestiere troppo spesso sottovalutato». Giuseppe Spatola Apprendisti Trenta studenti in Loggia per imparare tutti i segreti del cerimoniale

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Oggi, vertice tra Berlusconi e Obama Focus su G8 e politica internazionale (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON Un incontro «strumentale» all'appuntamento con il G8 dell'Aquila, un'occasione per parlare dello scenario politico internazionale, ma anche dei rapporti tra Italia e Stati Uniti. Il premier, Silvio Berlusconi, arrivato in nottata a Washington, oggi sarà alla Casa Bianca per il suo primo bilaterale con il presidente americano Barack Obama. L'incontro, che durerà un'ora circa, avrà inizio alle 16 ora locale (le 22 in Italia) e sarà sin dall`inizio allargato alle delegazioni. Successivamente il presidente del Consiglio incontrerà al Congresso americano la speaker, Nancy Pelosi. In cima all'agenda dell'incontro tra Berlusconi e Obama c'è soprattutto il G8, del quale l'Italia quest'anno ha la presidenza. Il premier ha più volte sottolineato la necessità che il vertice dei Grandi dia il via a «nuove regole dell’economia e della finanza mondiale» e suo obiettivo sarà certamente quello di incassare il consenso del capo americano sulla proposta di varare un «Global legal standard», ossia un codice di regole per il mercato che eviti il ripetersi della crisi. Ma tra i temi sotto i riflettori del G8 - e dunque anche dell'incontro - ci saranno i cambiamenti climatici, l'emergenza idrica e alimentare e il nodo sanitario, vista la diffusione delle recenti pandemie. Economia, ma anche politica estera internazionale. Silvio Berlusconi ha pubblicamente elogiato le posizioni prese da Barack Obama sin dal suo insediamento, affermando che «finora non ha sbagliato una mossa» e definendo «bellissimo» il discorso pronunciato all`Università del Cairo. Nel colloquio, si prenderanno in considerazione alcuni scenari internazionali particolarmente caldi come Afghanistan, Iran, Medioriente e Libano. Berlusconi è pronto a rinnovare l'impegno diplomatico e militare e a dare anche garanzia di un rafforzamento della presenza italiana, come accadrà in occasione delle prossime elezioni afghane. Tuttavia, sul tema dell’aumento delle truppe due giorni fa il ministro della difesa La Russa puntualizzava: «non abbiamo ancora avuto nessuna richiesta in tal senso». Tra i temi in discussione ci sarà anche il rapporto tra Usa e Russia: il Cavaliere da tempo spiega che l'Italia è pronta a mettere a disposizione i suoi buoni rapporti con Mosca per evitare il ritorno ad un clima di guerra fredda. Il colloquio alla Casa Bianca potrebbe poi essere occasione, da parte americana, per mettere sul piatto la richiesta di ospitare detenuti di Guantanamo, mentre da parte italiana potrebbe essere toccata la questione della revisione degli Usa della fornitura di elicotteri presidenziali prodotti da Finmeccanica. L'incontro di oggi tra Berlusconi e Obama, comunque, è la prima tappa di un rapporto tutto ancora da costruire, per stessa ammissione del presidente del Consiglio italiano che in passato ha potuto contare su una consolidata amicizia con George W. Bush. «Con l’attuale presidente - ha recentemente dichiarato il Cavaliere - non c’è l’amicizia che mi legava con il suo predecessore, ma c’è una grande amicizia con la signora Clinton». E comunque - ha voluto sottolineare - «i nostri rapporti con l’amministrazione americana restano limpidi, trasparenti e chiari». D`altra parte la stessa Casa Bianca, nella nota in cui confermava la data dell`incontro, parlava di due Paesi con «forti relazioni bilaterali». Relazioni che, ha voluto sottolineare palazzo Chigi, non sono state affatto messe in discussione nemmeno dal Colonnello Gheddafi che nella sua visita italiana ha paragonato l'America di Reagan che nel 1986 bombardò Tripoli a Osama Bib Laden. «Nessuna irritazione Usa verso il nostro Paese» ha garantito ieri la diplomazia del governo. Silvio Berlusconi ha anche voluto personalmente smentire quanti consideravano la scelta di collocare l'incontro così a ridosso con l'appuntamento dell'Aquila come un segnale di poca valorizzazione dell'amministrazione americana nei suoi confronti. «Sono stato io - ha spiegato - a chiedere di incontrarci il più possibile vicino al G8 così arriverò con tutti i fascicoli in stato avanzato». Anche il sottogretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, ha precisato che Berlusconi è il secondo leader a essere ricevuto alla Casa Bianca da Obama, secondo soltanto al premier inglese Gordon Brown che vi era andato come presidente del G20. Di certo l'annuncio della visita è stato salutato dal Times con un sintetico «Ci sarà da ridere». Anche negli Stati Uniti, d'altra parte, è arrivata l'eco delle faccende private - diventate ormai pubbliche - del presidente del Consiglio, divorzio da Veronica e Noemi comprese. E ancora prima non era stata ben accolta la scelta di Berlusconi di definire Obama «abbronzato» o di invocare il suo nome a gran voce davanti alla Regina Elisabetta a Buckingham Palace. Episodi che per Berlusconi tutto sono tranne che gaffe. Abbronzato? «Un complimento assoluto» e poi - per il capo del governo - ben venga la «diplomazia del cucù» o delle «pacche sulla spalla» perché a suo giudizio i rapporti internazionali funzionano di più se vengono coltivati come quelli tra amici.

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"A cena con Silvio parlando di Gheddafi" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

MILANO «Mi chiedo dove trovi tanta energia», dice Afef Jnifen accompagnando le parole con un sorriso. Parla di Silvio Berlusconi, della serata che lei e il marito, il presidente della Pirelli Marco Tronchetti Provera, hanno trascorso cenando con il premier a Portofino, da Puny, dove il Cavaliere ha cantato e naturalmente ha raccontato qualche barzelletta. Eppure, poche ore prima, davanti ai giovani di Confindustria, aveva parlato di un piano eversivo per spodestarlo. Non ne ha accennato con lei e suo marito? «No, non è un argomento di cui abbiamo discusso». Avete parlato dell’incontro che il premier avrà con Obama? «Non molto, si è limitato a dire che è presto perché ci possa essere un rapporto di amicizia con il nuovo presidente Usa, ma che è fiducioso sulla possibilità che nasca un’intesa. In realtà abbiamo parlato soprattutto di Gheddafi, di come valutavamo la visita in Italia». E qual è stato il giudizio? «Ci siamo trovati d’accordo nel dire che sia andata molto bene. Si è chiusa una ferita che senza l’intervento di Berlusconi non si sarebbe rimarginata». A che cosa si riferisce? «Al lavoro che il Cavaliere ha svolto per ricostruire un rapporto. Le scuse dell’Italia, l’invito al Colonnello. E’ qualcosa che il premier ha fatto perché convinto, non soltanto per una questione di rapporti economici. Gheddafi lo ha capito e infatti ha molta stima di Berlusconi. Era ora che si chiudesse una pagina terrificante. Magari altri Paesi con un passato colonialista prendessero esempio dall’Italia e chiedessero scusa». Aspetti un attimo. Lei che è stata spesso associata a posizioni del centrosinistra, che si è esposta appoggiando Veltroni, adesso è diventata berlusconiana? «Il punto è un altro. Non ho niente contro Berlusconi, se fa qualcosa che ritengo sbagliato glielo dico, così come posso applaudire altre decisioni. Perché sono libera, non vincolata a uno schieramento. E nella vicenda della Libia ha agito bene». Anche per i respingimenti? «Il rispetto dei diritti umani è fondamentale, ma se ci sono persone che partono dalla Libia, la Libia deve occuparsene. Dobbiamo essere realisti. La crisi è molto pesante e so di un numero crescente di persone che tornano nei Paesi di origine perché non hanno più un lavoro. Con queste difficoltà, che cosa possiamo offrire a chi arriva in Italia? Ecco perché è ancora più importante che oggi sia accolto chi viene secondo le regole». E a chi fugge per chiedere asilo politico non pensa? «Certo, il problema esiste, ma non è neppure giusto vedere rifugiati politici che poi vivono su una panchina a Milano. Succede. Dobbiamo invece assicurare condizioni di vita dignitose, altrimenti siamo nella giungla». Torniamo a Gheddafi, che lei ha incontrato più volte durante il soggiorno a Roma. Anche il leader libico è rimasto soddisfatto del viaggio, nonostante l’incontro saltato alla Camera? «Le nostre famiglie si conoscono, mio padre è stato ambasciatore della Tunisia in Libia, ma noi non ci eravamo mai incontrati. Comunque sì, il suo bilancio è positivo e anche l’episodio della Camera spero non lasci traccia. E’ falso che l’incontro sia saltato perché Gheddafi aveva letto il discorso di Fini, non lo conosceva». Beh, le critiche non sono mancate. A partire dalla foto dell’eroe libico che combattè gli italiani, Omar Al Muktar, che si era appuntato sulla divisa. Un po’ troppo, non crede? «Ma si sa che Gheddafi ama provocare. Il punto è un altro: è arrivato per fare pace. Ha atteggiamenti che possono non piacere, nei suoi discorsi c’è un po’ di tutto, ma è comunque disponibile e ha fatto un passo importante». Le è piaciuto anche il discorso pronunciato a mille donne? «D’accordo, è stato un po’ colorito, ma si vedeva che voleva stuzzicarci».

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La regina pianta il suo orto ispirata da Michelle (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

CORRISPONDENTE DA LONDRA Da mesi gli inglesi in bolletta ripassano l'abc dell'economia autarchica sperimentata dai nonni durante la Seconda Guerra Mondiale. Le mamme, raccontano i tabloid, hanno convinto i ragazzini (o almeno ci provano) che invitare gli amici a casa per il the pomeridiano è assai più cool dell'esosa festa di compleanno tra i tavolini di McDonald's. Il corso di cucito per ambiziose stiliste-fai-da-te è la nuova tendenza delle risparmiatrici londinesi, guardata con preoccupazione dai negozi di seconda mano che, tra tagli ai finanziamenti e al budget domestico, hanno perduto 32 milioni di sterline (37 milioni di euro) in dieci mesi. Il frigorifero, infine. Ossessionate dal prezzo di frutta e verdura al punto da convincere gli analisti di Mintel che il 71 per cento della popolazione ha ridimensionato la spesa al supermercato, le casalinghe si sono messe a zappare nel giardino di casa. Segno dei tempi. Che l'orto sconfinasse a Buckingham Palace però, non potevano immaginarlo neppure i futurologi. Invece Sua Maestà la regina ha inaugurato una coltivazione privata di pomodori, fagioli, cipolle, porri, carote. L'annuncio è arrivato ieri, altisonante come un editto del banditore: dopo un mese e mezzo di lavoro quotidiano i giardinieri della Corona hanno raccolto i primi frutti della terra e li hanno depositati nella capiente dispensa di palazzo. La settimana scorsa una composizione di fragole Cambridge Favourite, primizia reale doc, ha accompagnato la torta con le 88 candeline del Principe Filippo. Era da oltre mezzo secolo che i monarchi britannici non prestavano la residenza ufficiale all'agricoltura. Nel 1940, sotto i bombardamenti tedeschi, l'allora quattordicenne Elisabetta II aveva impugnato la vanga insieme all'amata sorella Margaret nella campagna «Dig for Victory» (Scava per la vittoria) per incoraggiare i sudditi sottoposti a razionamenti a coltivarsi gli ortaggi da soli. Stavolta lo stimolo all'autosostentamento è secondario. Yard Berd, come è stato battezzato l'orto di dieci metri per quattro, nasce per conservare i semi di piante a rischio d'estinzione come i fagioli francesi Blue Queen, i pomodori Beefsteak and Sun Bay o le cipolle Stuttgarter, senza l'ausilio di prodotti chimici. Sua Maestà, che a marzo ha inaugurato il proprio sito internet, presta grande attenzione allo spirito dei tempi. L'avrà pure avuta vinta il principe Carlo, che da vent'anni combatte gli Ogm e coltiva esclusivamente biologico nella sua tenuta gallese da 300 ettari, «The Dutchy Estate». Ma, si mormora nei corridoi di Buckingham Palace, la nuova amicizia con Michelle Obama non dev'essere del tutto estranea alla svolta verde della regina. Racconta il «Daily Telegraph» che dal G20 di Londra le due donne non hanno più smesso di scriversi e telefonarsi. Al punto che mercoledì, giorno di festeggiamenti ufficiali per gli 83 anni già compiuti di Elisabetta II e compleanno della minore delle figlie del presidente americano, mamma Obama e prole sono state invitate a un raro tour all'interno del palazzo reale. Galeotto il summit dei potenti della terra: la sovrana e la first lady hanno scoperto d'avere numerosi interessi in comune: l'abbigliamento, la passione per la campagna, la curiosità per l'orticoltura che la nuova inquilina della Casa Bianca ha portato nell'appezzamento intorno alla residenza presidenziale disseminandolo di broccoli e zucchine. «Sua Maestà è sempre stata disponibile a cercare nuove idee per l'esterno» spiega Claire Midgley, responsabile dei giardini adorni di gelsi centenari e innesti d'alberi shakespeariani. L'estro senza età, d'accordo. Ma anche una grande attenzione alla situazione economica del Paese, osserva Myles Bremmer, direttrice della «Garden Organic», la charity che ha fornito i primi semi: «Non dobbiamo trascurare la sfida sottintesa a preparare le nuove generazioni a nutrirsi da sole». Secondo i dati della Royal Horticultural Society, 1061 scuole e 212 mila bambini britannici zappettano da mesi accanto al campo di calcio. Se sono rose o cavolfiori, prima o poi fioriranno.

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Israele apre ai palestinesi "Sì a uno Stato demilitarizzato" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

GERUSALEMME - Con parole sofferte, quasi facesse una violenza a se stesso, Benjamin Netanyahu ha alla fine varcato il Rubicone, ammettendo che uno Stato palestinese può esistere ma a condizione che sia demilitarizzato e che i palestinesi riconoscano Israele come "lo stato nazionale del popolo ebraico". Se questa è la risposta del premier israeliano al piano di pace lanciato da Barack Obama, bisogna dire che si tratta di una risposta timida e parziale, dove i "no" espliciti o sottintesi prevalgono sui "sì". Prevedibile la delusione dell'autorità palestinese che ha respinto al mittente l'offerta del premier israeliano. Mai discorso era stato più accuratamente preparato. A prescindere dal desiderio inconscio di imitare l'Obama del Cairo con una concione di pari importanza, forse il premier pensava di ripercorrere le orme di Sharon che nel dicembre del 2003 ad Herzlyah annunciò la sua adesione alla Road Map, avvertendo che se i palestinesi non avessero fatto la loro parte, lui avrebbe agito da solo, come in effetti fece con il ritiro da Gaza. Ma Netanyahu è stato meno coraggioso di Sharon. Non ha mai citato la Road Map ed ha chiaramente mostrato di preferire lo status quo. Due erano le richieste che l'Amministrazione americana ha insistentemente rivolto a Netanyahu. Una era la necessità di dare un segnale di disponibilità non solo ai palestinesi ma al mondo arabo in generale, bloccando l'espansione degli insediamenti nei Territori occupati, insediamenti definiti da Obama "legalmente inaccettabili". L'altra richiesta riguardava l'accettazione da parte del premier israeliano dell'ipotesi di soluzione del conflitto basata sulla formula dei "due Stati", che coesistono fianco a fianco in pace e sicurezza. Il che significa ammettere la nascita dello Stato palestinese. OAS_RICH('Middle'); Diciamo subito che sul blocco totale degli insediamenti Netanyahu ha opposto un rifiuto implicito. Il premier ha, sì, ribadito che Israele non costruirà nuovi insediamenti, ma parlando dei coloni ha aggiunto che "non sono nemici del popolo israeliano ma nostri fratelli e sorelle ai quali bisogna consentire di vivere una vita normale". Frase già adoperata nel faccia a faccia con Obama a Washington per giustificare la scappatoia per continuare a costruire nei Territori occupati garantendo la cosiddetta "crescita naturale". Netanyahu è arrivato al punto chiave del suo discorso nell'auditorium dell'Università Bar Ilan, fra sostenitori, accademici e l'intera famiglia schierata al completo, dopo aver fatto appello alla leadership palestinese a cominciare negoziati "immediatamente e senza precondizioni". Lo stesso premier, però, si è subito dopo contraddetto affermando che "Israele non può accettare uno Stato palestinese a meno che non riceva garanzie (dalla comunità internazionale, s'intende) che sia uno Stato demilitarizzato". Israele, ha ripetuto, non può vedere cresce ai suoi confini un altro Hamastan, come spregiativamente viene chiama la Striscia di Gaza dopo la presa del potere da parte del movimento islamico, né potrebbe sopportare uno stato palestinese che stringa accordi militari con altri paesi. Soltanto se Israele riceve le dovute garanzie, allora. Quanto ai palestinesi, Netanyahu è partito da lontano, ribadendo alcuni capisaldi ideologici della destra israeliana. Il legame storico con la terra d'Israele e dunque il diritto del popolo ebraico su questa terra risalgono a 3500 anni fa. La nascita dello Stato israeliano non ha niente a che vedere con le persecuzioni degli ebrei. Ma questo anche i palestinesi moderati stentano ad accettarlo. Conclusione: "Quando i palestinesi saranno pronti a riconoscere Israele come lo stato nazionale del popolo ebraico noi saremo pronti per un vero accordo finale". A dispetto degli accenti di disponibilità, la strada verso la ripresa di un negoziato sembra, dopo questo discorso, estremamente incerta. Netanyahu ha accennato di sfuggita ad altre due questioni principali ed ancora una volta ha opposto due rifiuti. Sul diritto al ritorno ha detto che i palestinesi devono trovare la soluzione al problema dei rifugiati fuori dal territorio israeliano. E su Gerusalemme ha affermato che resterà la capitale unita e indivisibile d'Israele, dunque, non soggetta a negoziato. Come era prevedibile, il discorso di Netanyahu non è piaciuto ai palestinesi moderati. Un portavoce del presidente Abu Mazen lo ha definito né più né meno che un "sabotaggio" degli sforzi di pace. Troppe condizioni, troppa prudenza, "troppe nebbie" ha detto Saeb Erekat. Hamas che ha definito tutte le condizioni poste come un chiaro esempio di "ideologia razzista e estremista". Mentre, sul fronte opposto, nella tenue apertura allo "Stato palestinese demilitarizzato", i coloni hanno visto un tradimento dei sacri principi, un tentativo di scambio per loro impensabile. La Casa Bianca nel suo primo commento ieri sera ha preferito vedere solo l'apertura di Netanyahu allo Stato palestinese come "un importante passo avanti", sui tre "no" al piano del presidente Usa ci sarà ancora molto da lavorare. (15 giugno 2009

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La Bbc lancia l'appello: "Oh no, Silvio!" Allarme gaffe sulla trasferta negli Usa (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

LONDRA - Il titolo, apparso sull'homepage della Bbc, è eloquente: "Oh no, Silvio!". Ed è seguito da una domanda, per nulla retorica: "Riuscirà il premier italiano a non offendere nessuno, durante la sua visita negli Stati Uniti?". E' attorno a questo interrogativo che ruota l'articolo firmato da Stephen Mulvey, e pubblicato sul sito che fa capo alla tv britannica oggi alle 15 (le 16 italiane). Tutto dedicato alle incognite della trasferta in terra americana del nostro presidente del Consiglio. Con una preoccupazione di fondo sul modo di esprimersi spesso politicamente scorretto di Berlusconi, al momento del suo sbarco nella patria mondiale del politically correct. In particolare, il sito della Bbc ricorda la doppia gaffe del Cavaliere sul colore della pelle di Obama. La prima risale al novembre scorso, quando il capo del governo italiano definì il neopresidente Usa "giovane, bello e abbronzato". Con conseguenti polemiche in mezzo mondo, e con decine di lettere di scuse inviate dai nostri concittadini al New York Times, imbarazzati dal siscutibile modo di scherzare del premier. Un episodio che lo stesso Berlusconi ha rievocato ieri, alla vigilia del suo imbarco per Washington, in una sorta di autocitazione: "Parto bello e abbronzato", ha detto. OAS_RICH('Middle'); A partire da questo, l'articolo si interroga - riportando anche il parere di professori universitari e giornalisti italiani - sull'eventuale razzismo del presidente del Consiglio, sulla sua propensione alle gaffe (viene ricordata anche quella con la Regina Elisabetta a Londra), e sulla differenza abissale del suo temperamento rispetto a quello, attentissimo e controllatissimo, di Barack Obama. E non mancano nemmeno i riferimenti alle recenti bufere che hanno coinvolto Berlusconi: l'inchiesta su eventuali suoi abusi dei voli di Stato; le foto (definite "seminude") di Villa Certosa; le accuse della moglie di frequentare minorenni. Tutte circostanze che, almeno secondo l'autorevole sito britannico, bastano a giustificare quell'invocazione iniziale: "On ho, Silvio!". (15 giugno 2009

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Al via il vertice Obama-Berlusconi (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 15-06-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è giunto alla Casa Bianca per il colloquio a delegazioni allargate con il presidente americano, Barack Obama. Il bilaterale, il primo tra i due, dovrebbe durare poco più di un’ora: al centro i temi del G8 e la politica internazionale.

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Berlusconi apre su Guantanamo L'Italia accoglierà tre ex-detenuti (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

INVIATO A WASHINGTON Mettere in sicurezza il G8. Impedire che diventi un fiasco di proporzioni mondiali. Evitare soprattutto che, oltre al grande dispiacere per un’eventuale figuraccia, l’appuntamento de L’Aquila provochi le «scosse» telluriche sul governo cui già si sta preparando D’Alema... Alle 22 ora italiana, il Cavaliere è entrato alla Casa Bianca con questi obiettivi ben chiari in mente: dal Presidente americano dipende un passaggio cruciale per la sua sorte politica futura. Preoccupazioni dettate dall’esperienza. La prima volta che dovette presiedere un G8, nel ‘94 a Napoli, Berlusconi fu centrato dal famoso avviso di garanzia, con successive dimissioni. Nel 2003, a Genova, il summit fu funestato dai Black blocs, e ci scappò pure il morto. Stavolta Silvio non può permettersi di correre rischi. Tutto dev’essere pianificato in anticipo senza improvvisazioni, a cominciare dall’agenda. Mentre il giornale va in stampa, il colloquio con Obama è ancora in corso. Seguirà conferenza stampa e visita al Congresso per una stretta di mano con la speaker, Nancy Pelosi. Niente corona di fiori al cimitero di Arlington, nessuna visita alla National Gallery: il premier è sbarcato l’altra notte nella capitale Usa con il collo dolorante, colpa dell’aereo che saltava come un cavallo per via delle turbolenze, e colpa anche dell’aria condizionata. E’ andato subito a letto senza cena, ieri mattina l’ha trascorsa nella suite dell’Hotel St Regis, in déshabillé e con il capo sul cuscino per via del torcicollo. A parte una parentesi per studiare le carte di un’azione legale nei confronti dei giornali ostili (i collaboratori la definiscono «sempre più probabile perché è stufo delle falsità su Noemi e dintorni»), Berlusconi s’è completamente immerso nei dossier del colloquio. Con l’applicazione dello scolaretto che sa di non poter fallire l’esame. Obama è un pragmatico avvocato di Chicago? Berlusconi ha messo a fuoco il personaggio e si adegua. Riveste per l’occasione i panni concreti di imprenditore della Brianza. «Siamo entrambi uomini del fare», sono i commenti del premier alla vigilia, «Obama finora non ha sbagliato una mossa, proprio come il mio governo». Lo slogan è «sono un amico dell’America, qualche che sia l’amministrazione in carica». Dunque, rivoluzione di stile rispetto ai tempi di Bush. Basta «pacche sulle spalle» che con Obama, tra l’altro, sono poco producenti. Niente battute di spirito che nel mondo anglosassone verrebbero fraintese. Bandite le barzellette e vietatissimi gli ammiccamenti sessisti. Anziché catturare la simpatia di Barak, Silvio prova a rendersi utile. Dunque il G8. Dove si parlerà di nuove regole per l’economia mondiale. Berlusconi vuole capire fino a che punto si potrà spingere, che cosa vorrà da lui l’America. Tremonti, reduce dal G8 economico a Lecce, ha fatto sapere al premier che i passi avanti nel negoziato sono notevoli, però non s’illuda di poter mettere nero su bianco un pacchetto di controlli ben definiti: al massimo delle linee guida perché gli Stati Uniti non possono passare di colpo dal liberismo più sfrenato a un sistema di «lacci e lacciuoli». Da Obama, il Cavaliere si attende indicazioni più precise. Oltre a qualche suggerimento pratico sui lavori: gradisce incontri bilaterali? Gli piace un programma ben scadenzato? Bonaiuti, il portavoce, mette in chiaro: Berlusconi ha interesse «a un G8 molto efficiente e produttivo di risultati». Dei quali, è sottinteso, potersi vantare in patria, Su tutto il resto, dalle nuove truppe per l’Afghanistan al capitolo Guantanamo, porte spalancate alle richieste Usa, come nelle tradizioni. Obama chiederà un impegno straordinario delle nostre truppe anche dopo le elezioni a Kabul? Se ne può discutere. Vuole che l’Italia si prenda carico di alcuni prigionieri islamici che verranno liberati tra breve? Siamo pronti, prontissimi. E se Obama gli dovesse rimproverare «aperture eccessive» dell’Italia all’Iran, Berlusconi ha già la risposta pronta: «Io, caro Obama, ho paragonato Ahmadinejad a un novello Hitler». Più di così...

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Dollari e terroristi per creare un nuovo governo islamico (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Retroscena Da Arabia felix a centrale del terrore ANTONELLA RAMPINO Dollari e terroristi per creare un nuovo governo islamico ROMA Era l'estrema Arabia Felix e fu il regno della regina di Saba, un immenso deserto che finiva in grattacieli di merletto, intrigante d'esotismo anche per Pasolini e Maria Callas, oltre ad altri numerosi e successivi viaggiatori incuranti degli appelli della Farnesina, «ci vivono 50 italiani, ma i viaggi per turismo sono ad alto rischio» fa sapere il responsabile dell'unità di crisi, Fabrizio Romano. Lo Yemen è diventato feudo di Al Qaeda, bunker per i suoi finanzieri - uno, arrestato proprio domenica scorsa - rifugio di terroristi sodali di Bin Laden che arrivano da ogni dove, dal Pakistan, dall'Afghanistan, dal Waziristan, perfino dalle file più estreme di Hamas, richiamati dagli appelli di Al Zawahiri, «che lo Yemen diventi terra nostra». Lungo le sue coste, da vent'anni approdano a centinaia i migranti che fuggono dalle guerre e dalla miseria del Corno d'Africa. Mentre in mare aperto scorrazzano indisturbati, sequestrando navi europee, i pirati somali, che sono il miglior esempio di cosa può fare un terrorista tribale con una mano armata di kalashnikov magari arrugginito, e l'altra di telefono satellitare con accesso al web. Se n'è accorta l'intelligence militare londinese, lo scorso maggio: «I capi dei pirati somali telefonano ogni giorno a Londra, a Dubai, e in Yemen». Chiaro dove siano i cervelli dei moderni Frances Drake, e dove la manovalanza di mare. Ed è diventato un problema per Obama, lo Yemen: la metà dei detenuti di Guantanamo, che il presidente americano vuole chiudere, sono infatti yemeniti, o è in Yemen che finiscono. E non certo per godersi la pensione. Dell'ultimo, orrendo delitto non c'è rivendicazione, e magari non saranno stati - come sostengono - gli sciiti di derivazione zaidista, una setta che di fatto crede che Islam sia miscela di potere e religione e che un imam valga un califfo: sono poi un quarto dei venti milioni di yemeniti e controllano tutto il Nord del paese, contendendolo al governo nazionale. Gli scontri con le truppe governative vanno avanti dal maggio dello scorso anno, «il Nord quasi ogni giorno è teatro di guerra», dicono da «Medici senza frontiere», l'associazione che opera nel governatorato di Saada con équipe internazionali nelle quali al momento non risultano italiani. Non solo, «è quasi impossibile sapere cosa accade esattamente al Nord, nelle zone di conflitto o nelle aree controllate dai ribelli: per motivi di sicurezza, è impedito l'accesso, le reti di comunicazione sono interrotte», scriveva un loro report giusto un anno fa, quando erano 35 mila gli sfollati. Lo Yemen dal 1962, e grazie a una mano che l'Egitto diede per rovesciare il locale monarca, sarebbe una repubblica popolare, ma così popolare che il suo attuale presidente incassò alle ultime elezioni quasi il 97 per cento dei voti. Una repubblica che è la riunificazione di due diversi Yemen, diversi dall'alba della storia, ma finito l'uno sotto controllo britannico, l'altro sede della lotta marxista di liberazione e nella sfera d'influenza sovietica. La sanguinosa riunificazione, lunga e complessa, approdò a una repubblica che però, quando si trattò di schierarsi nella Guerra del Golfo, prese le parti di Saddam Hussein. Non è poi così strano, dunque, che lo Yemen sia diventato la centrale del qaedismo. La storia che ha fatto scattare l'allarme a Langley, Virginia, è quella di Said Ali al-Shihri, 35 anni, saudita, un tempo detenuto numero 372 proprio di Guantanamo. Spedito in patria a scontare la pena, dopo un programma di «riabilitazione» fece perdere le proprie tracce, ma qualche orma venne seguita dagli americani: la Cia ritiene che sia tornato in azione nel settembre dell'anno scorso, e dove se non in Yemen? Sarebbe sua la firma dell'attentato all'ambasciata statunitense a Saana che costò 16 vite. Una storia nemmeno troppo diversa da quella di Hassan Hussein ben Alwan, anche lui saudita, arrestato domenica scorsa dalle forze yemenite, finanziere di una cellula locale che progettava attentati. Dunque, gli appelli qaedisti han funzionato. «E' giunto il momento per un governo islamico in Yemen», esortava il 13 maggio scorso il locale leader di al Qaeda, Abu Basir Nasser al-Wahayshi. «Ribellatevi contro il presidente», era il richiamo un mese dopo. E adesso qualcuno riflette: il primo attentato di al Qaeda contro obiettivi occidentali fu proprio a Saana. Nel 1992, contro l'ambasciata americana.

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Alcune domande su Ahmadinejad Leggendo le dichiarazioni del leader iraniano Mahmud Ahmadin... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Alcune domande su Ahmadinejad Leggendo le dichiarazioni del leader iraniano Mahmud Ahmadinejad dopo la sua vittoria elettorale, non ho potuto fare a meno di pormi delle domande sul suo elettorato che, brogli a parte, comunque esiste. Come fanno a dire «è uno di noi, è uno del popolo» parlando di un dittatore affamapopoli che preferisce investire in una sterile, se non minacciosa, ricerca nucleare piuttosto che in un serio sviluppo della sua nazione? Come possono avere rispetto di un governante che di rispetto dimostra di non averne, anche nei confronti di Barack Obama, dell'Onu, della Nato o di chicchessia? Che credibilità possono dare a un uomo che mette a tacere tutti coloro che non si allineano alle sue posizioni? Poi il mio pensiero è andato agli ultimi risultati elettorali in Italia... E ho smesso di pormi domande. ALBERTO SGARLATO, ALBENGA (SV) Allarme pellet a stufe spente Il pellet radioattivo scoperto in alcuni lotti arrivati fino in Italia ha scatenato l'allarme. Alcuni pensano che sia stato prodotto con legname proveniente dalle foreste investite dalla nube di Cernobil. Appena si parla di isotopi radioattivi (nel caso attuale l'imputato è il cesio 137) scatta il panico e se ne sentono di tutti i colori. I tg spiegano che se viene bruciato diventa pericoloso per la salute. Falso: i fumi vengono respirati solo se il camino non funziona e se il camino non funziona si muore subito per intossicazione da monossido di carbonio, non per tumore. Le attuali stufe a pellet sono quasi stagne e neanche un filo di fumo finisce negli ambienti riscaldati. L'attuale pellet non può arrivare da Cernobil. Un dubbio: com'è che queste rivelazioni arrivano ora che le stufe sono spente? LUTEZIO LANTANIDI Istituto di Geofisica la sicurezza a rischio L'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia è in difficoltà. L'ente che ha come ruolo primario il servizio di sorveglianza sismica e vulcanica del territorio italiano corre il rischio di perdere buona parte del personale precario e la capacità di svolgere il proprio compito in modo efficiente. Gli oltre 300 lavoratori precari, di cui quasi 250 inseriti nel processo di stabilizzazione del personale (legge 27 dicembre 2006, n. 269), da settembre del 2008 manifestano la fortissima preoccupazione per il proprio futuro. Ricercatori e tecnici precari che in una lunga carriera hanno maturato una formazione scientifica di altissimo profilo e che per tale motivo sono parte integrante dell'attività di sorveglianza. Competenze che hanno permesso di indirizzare l'intervento della Protezione Civile fin dai primi secondi successivi al disastroso terremoto del 6 aprile. Molti fra questi lavoratori vedono davanti a sé solo incertezza. Qualcuno è già andato via. Molti potrebbero essere costretti a farlo. A quel punto sarebbe difficile spiegare, a chi vive in aree sismiche (il 70% del territorio italiano) o in prossimità di uno dei 7 vulcani attivi in Italia, perché queste competenze e questi servizi sono stati abbandonati. Chiediamo al governo un immediato provvedimento che permetta di garantire il lavoro del personale precario dell'Ingv. I LAVORATORI PRECARI DELL'INGV La politica canta ancora Rabagliati Mentre nelle aziende italiane il ricambio generazionale è un dato di fatto, la politica italiana è un'evidente manifestazione di gerontocrazia: dal presidente del Consiglio ai sottosegretari, tutti rigorosamente ultrasessantacinquenni, a molti ministri dediti più all'ascolto di Rabagliati che di Ramazzotti. Non credo che in Italia manchino valide forze fresche: e pensare che al ventiseienne Chris Brose era stato affidato il compito di scrivere i discorsi per il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice, quando già a 24 svolgeva brillantemente lo stesso compito per Colin Powell. Mentre la più grande democrazia del mondo si è affidata a un quasi cinquantenne, il ricambio generazionale nella politica italiana è ancora un miraggio. MAURO LUGLIO, MONFALCONE Prenotazioni-beffa sui treni Secondo le nuove regole imposte da Trenitalia saranno sempre più numerosi i treni che necessiteranno di prenotazione. In pratica, sparendo il biglietto che valeva 2 mesi, quando entreremo in biglietteria dovremo avere le idee ben chiare su quale treno prendere e guai a sgarrare, pena dover cambiare la prenotazione per non più di due volte. Il nuovo sistema potrebbe anche funzionare ma solo se la rete italiana fosse perfetta come quella svizzera o tedesca, dove i treni partono e arrivano puntuali. In Italia, dove il ritardo è una costante e le coincidenze saltano che è un piacere, il tutto rischia di diventare una beffa aggiuntiva per il viaggiatore che, oltre a subire il disagio di dover prendere il treno successivo, dovrà anche sobbarcarsi la coda in biglietteria per cambiare la prenotazione del treno che ha appena perso, certamente non per propria colpa. ELETTRA COSFÌ, POTENZA Quale autonomia nei nuovi licei? Non so come si possa dire che il ministro Gelmini abbia fatto una rivoluzione con i nuovi licei. È un tentativo di razionalizzazione, nulla più, tra l'altro dovuto all'urgenza di assecondare la politica dei tagli dell'attuale governo. Delle proposte del ministro Gelmini si può discutere all'infinito, la questione vera a questo punto è una sola, se lascerà alle scuole una reale autonomia o se i suoi schemi funzionano come dei diktat. Questo è il problema, se dovremo eseguire ligi ligi le direttive del ministro sarà un disastro, se invece potremo tratteggiare noi la scuola in cui siamo, allora la cosa diventerà interessante e potrà realizzarsi qualcosa di realmente nuovo. Se il ministro vuole riformare la scuola dica: «Questi schemi sono il risultato del lavoro fatto al ministero, sono una base a cui fare riferimento, ma ogni scuola costruisca ciò che meglio risponde alle sue esigenze e alle risorse di cui dispone». Faccio un esempio molto semplice per capirci: il ministro vuole l'insegnamento della lingua latina in quasi tutti i licei, io insegno in un liceo scientifico e da anni di esperienza ritengo che l'insegnamento del latino sia inutile e inefficace, per cui se fosse lasciata vera autonomia io lotterei per togliere l'insegnamento della lingua latina, lasciando quello della letteratura, e per usare alcune ore per storia del cinema e del teatro. Ma la domanda rimane, il ministro ci lascerà questa autonomia? O l'autonomia è solo sul come realizzare quello che ha già deciso con i suoi consulenti? È una domanda cui urge una risposta. GIANNI MEREGHETTI, ABBIATEGRASSO (MI)

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Bryant si infila l'anello "Finalmente senza Shaq" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Personaggio Basket: nella Nba trionfa Los Angeles Orlando battuta 4-1 Bryant si infila l'anello "Finalmente senza Shaq" GLAUCO MAGGI NEW YORK L os Angeles sul tetto del mondo. Orlando non ce l'ha fatta ad allungare la serie finita 4-1 per i Lakers, campioni Nba per la quindicesima volta. 99-86: trionfo griffato, questa volta più che mai, da Kobe Bryant, premiato come miglior giocatore della serie finale. Contento lui e contento Spike Lee, che il mese scorso aveva presentato le gesta di Bryant nel documentario "Kobe Doing Work" ("Kobe al lavoro") al Tribeca Festival di New York. Tra i suoi ammiratori, Kobe può annoverare anche il presidente Obama, che lo considera il «miglior cestista al mondo» e aveva previsto il suo successo, così come qualche mese fa aveva azzeccato le finaliste del torneo Ncaa tra le squadre universitarie. Bryant si è tolto anche qualche sassolino dalla scarpa. Con la vittoria senza la "tutela" di Shaquille O'Neal ha chiuso, a 30 anni, con «quell'idiota ipercriticismo» (sono sue parole) che aveva fin qui accompagnato i suoi tanti successi. Si è scrollato definitivamente di dosso le maldicenze dei critici che lo aspettavano al varco. Finora, quando aveva conquistato le sue vittorie, l'aveva sempre fatto con a fianco O'Neal, ingombrante di nome e nei fatti. Stavolta, però, Shaquille non c'era. «Che sollievo non dover sentire più quel tormentone, quelle critiche stupide - ha detto ancora raggiante Kobe -. Era veramente un gran fastidio. Era come la tortura cinese della goccia d'acqua». «Non riesco a credere che questo momento sia arrivato - ha aggiunto la stella dei Lakers, che ha fatto una media di 32,4 punti a partita nei cinque incontri di finale -. Quanto invece a quelle persone che dicevano che non avrei potuto vincere senza di lui, mi sembra di sentirmi proprio bene. La gente ricorda l'intesa che avevamo avuto insieme. Probabilmente si è trattato del primo binomio con due grandi personalità in un'unica squadra». E domenica Kobe ha dimostrato che lui può bastare anche da solo. Il riconoscimento più netto della superiorità dei Lakers di Bryant è venuto dall'allenatore degli Orlando Magic, Stan Van Gundy: «Avevano una risposta per ogni nostra mossa». Gongola ovviamente Phil Jackson, che alla sua decima vittoria da allenatore( mai nessuno come lui), la quarta con i Lakers, ha avuto la classe di dare il merito ai propri ragazzi: «E' in realtà tutto merito dei giocatori». E ne ha citati due, Kobe per primo e poi Derek Fisher. «Sono venuti fuori assieme quest'anno e avevano grandi motivazioni. Comunque - ha infine ammesso Jackson, senza falsa modestia - aver vinto dieci titoli è un bel traguardo». "Kobe al lavoro" dunque. Perché il successo dei Lakers ha riproposto anche il curioso mix di tempismo e preveggenza che si era realizzato nell'ultimo anno tra Bryant e Lee: il film fu girato nella primavera del 2008, pochi mesi prima del primo titolo di Mvp della Nba dopo 12 anni di professionismo; ed è stato proiettato nel maggio scorso, qualche settimana prima del bis del campione come miglior giocatore della Nba. Per il suo viaggio nella performance di Bryant, Lee aveva scelto la partita del 13 aprile del 2008 contro gli Spurs. Una vittoria annunciata e salutata dai commentatori come non particolarmente interessante: 21 punti di vantaggio alla fine per i Lakers, Bryant in panchina nel quarto tempo e con un cartellino statistico "normale": 20 punti, 5 assist e 5 rimbalzi conquistati. Domenica, per il trionfo a Orlando, Kobe ha sfoderato una prestazione più scintillante, 30 punti nel 99-86 della vittoria conclusiva. Kobe, il ragazzo di Calabria. Ragazzino, quando suo padre Joe, sette stagioni in Italia tra Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia, giocava nella città dello Stretto: otto anni è stato in Italia Kobe, dai 5 ai 13 anni con la famiglia. Sufficienti per parlare, quando ne ha voglia, in italiano, e per ricordarsi di tifare Milan.

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berlusconi a obama: noi e gli usa sempre alleati (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Berlusconi a Obama: noi e gli Usa sempre alleati WASHINGTON - Primo incontro bilaterale tra il presidente Usa, Barack Obama, e il premier Silvio Berlusconi, ricevuto nello studio ovale della Casa Bianca. Il Cavaliere: «Sono qui per ascoltare e dare consigli sul G8, con o senza Bush Italia e Stati Uniti sempre alleati». Discussioni anche sull´appalto degli elicotteri Agusta firmato dalla precedente amministrazione e bloccato dal leader democratico. IEZZI, TITO E ZAMPAGLIONE ALLE PAGINE 6 E 7

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la diplomazia del caffè - washington (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina La diplomazia del caffè WASHINGTON è triste dirlo, ma l´agognata udienza di Silvio Berlusconi da Barack Obama è andata bene perchè non è accaduto nulla che possa crearci imbarazzi. SEGUE A PAGINA 7

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berlusconi alla casa bianca "obama o bush, sempre alleati" - caludio tito (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Interni Berlusconi alla Casa Bianca "Obama o Bush, sempre alleati" "Sono qui per ascoltare e per dare consigli sul G8" L´incontro Nell´agenda dell´incontro vertice dell´Aquila, Guantanamo, Iran, Afghanistan Il Cavaliere si è presentato con alcuni doni tra cui le cravatte di Marinella CALUDIO TITO DAL NOSTRO INVIATO WASHINGTON - «Noi siamo alleati degli Stati Uniti comunque. Non fa differenza se alla Casa Bianca c´è George Bush o Barack Obama». Per Silvio Berlusconi è stata la prima volta. Non alla Casa Bianca. Ma con il nuovo presidente americano. Ieri dunque c´è stato l´incontro tanto atteso dal Cavaliere. Obama l´ha ricevuto nel pomeriggio per poco più di un´ora. Niente pranzo di lavoro, solo un caffè. Nello studio ovale i due hanno discusso alcuni dei più attuali temi di politica internazionale. Il G8 dell´Aquila e la situazione in Afghanistan, l´Iran e i detenuti di Guantanamo. Ma soprattutto hanno iniziato a conoscersi. E per allentare la tensione il Cavaliere si è presentato con qualche dono tra cui un bel pacchetto di cravatte Marinella. Del resto, al di là dell´agenda ufficiale, il premier italiano ha in primo luogo fatto di tutto per confermare l´amicizia con Washington. Dal suo arrivo a Washington si è chiuso nella sua stanza all´hotel St. Regis per studiare i dossier. Se fino a sei mesi l´intesa con l´Amministrazione statunitense era quasi naturale, adesso è tutta verificare e costruire. Non a caso, poco prima di varcare la soglia della Casa Bianca agli uomini del suo staff e a quelli che lo hanno accompagnato nel bilaterale, ha ripetuto che l´Italia non fa differenza tra un presidente repubblicano ed uno democratico. Un modo, insomma, per sgombrare il campo da possibili incomprensioni. «Io sono qui per ascoltare - è stato il suo ragionamento - ed eventualmente per dare consigli visto che sono il leader del G8 più esperto». L´inquilino della Casa Bianca e il presidente del Consiglio, quindi, hanno iniziato ieri a conoscersi. Al colloquio erano presenti per la parte americana anche il segretario di Stato Hillary Clinton, il consigliere per la sicurezza nazionale James Jones, e il capo dello staff «obamiano» Rahm Emanuel; per la parte italiana l´ambasciatore Castellaneta, il segretario generale della Farnesina Massolo, il consiglier diplomatico Archi e il portavoce Bonaiuti. Berlusconi ha concentrato l´attenzione sul prossimo G8. «Per noi - ha spiegato il capo del governo - è fondamentale che il summit abruzzese sia efficiente». Un eventuale insuccesso, infatti, rappresenterebbe una ulteriore batosta sotto il profilo della reputazione internazionale. Così, al presidente americano ha esposto i suoi obiettivi ma ha anche chiesto se ci fossero da parte statunitense delle richieste particolari. Sapendo che difficilmente a luglio si potrà definire davvero il cosiddetto «Global legal standard», le norme internazionali per i mercati finanziari. «Quello - spiegava nei giorni scorsi Giulio Tremonti - è un lavoro ancora lungo». In realtà alla Casa Bianca erano interessati soprattutto agli aspetti «concreti» dell´incontro. Obama ha cercato di capire in cosa l´Italia può essere d´aiuto. A partire dai detenuti di Guantanamo. Roma ha dato la sua disponibilità ad accettare dei «trasferimenti». Dovrebbe presto prendersi in carico tre prigionieri tunisini. Poi c´è il capitolo Afghanistan. Da tempo Palazzo Chigi ha confermato l´intenzione di ampliare il suo contingente a Kabul. Il numero dei soldati italiani dovrebbe crescere da un minimo di 300 a un massimo di 500 con una corrispondente riduzione delle presenze in Kosovo. Un impegno maggiore che dovrebbe andare oltre le operazioni elettorali nel paese asiatico previste a dicembre. Dovrebbero crescere di due unità anche gli aerei Tornado. Le due delegazioni poi si sono soffermate sulle ultime vicende iraniane. La preoccupazione americana è salita e lo stesso Berlusconi - nonostante i tanti investimenti italiani nell´area - non ha mai nascosto il suo giudizio su Ahmadinejad. A Parigi, nel settembre scorso, lo ha addirittura paragonato a Hitler. Nell´area mediorientale, però, il presidente del consiglio è sicuro che l´Italia possa svolgere un ruolo. Ha ricordato a Obama che la prossima settimana incontrerà il premier israeliano Netanyahu.

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e l'italia ora spera di piazzare gli elicotteri - luca iezzi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Interni Finmeccanica attende un segnale positivo per il contratto da 13 miliardi degli Agusta firmato da Bush e bloccato da Obama E l´Italia ora spera di piazzare gli elicotteri LUCA IEZZI ROMA - «è il primo incontro tra Obama e Berlusconi. Avranno molte cose da discutere, la crisi economica, l´Iran, l´Afghanistan e il G8. Ma credo un accenno all´elicottero verrà fatto» Pierfrancesco Guarguaglini, ad di Finmeccanica, sapeva che il dossier da 13 miliardi di euro sulla flotta di elicotteri presidenziali voluta da Bush e bloccata dall´attuale amministrazione, si sarebbe ritagliato qualche minuto di conversazione. Il Cavaliere è andato a Washington anche per sostenere la controllata pubblica che in partnership con la Lockheed Martin ha vinto la gara per sostituire con i suoi Agusta Vh71 gli elicotteri in servizio da 30 anni. Finmeccanica non si aspetta effetti immediati dalle richieste di Berlusconi, ma "l´accenno" dell´alleato dovrebbero aggiungersi alle polemiche interne che già agitano il Congresso Usa sulla questione elicotteri. Quando il ministro della Difesa, Robert Gates, ad aprile ha definitivamente cancellato l´ordine per i 28 elicotteri probabilmente si aspettava maggiori apprezzamenti: rispetto al 2005 il prezzo era passato da 6 a 13 miliardi di dollari e Obama voleva «un´opzione meno costosa». Però nove velivoli sono già stati consegnati "a pezzi" dagli stabilimenti Finmeccanica-Agusta Westland e giacciono negli hangar di Owego, nello stato di New York, dove Lockheed aspetta di sapere se iniziare l´assemblaggio o licenziare circa mille persone in un distretto per giunta favorevole ai democratici. Nel frattempo il governo Usa dovrà pagare comunque 3,2 miliardi di euro, alzare il budget per la manutenzione e nel frattempo indire una nuova gara che non avrebbe esito per altri due anni, soluzione che piace solo al concorrente Sikorski, sconfitto quattro anni fa. Il compromesso che Lockheed e il Pentagono potrebbero trovare, dopo il passaggio nella commissione al Congresso, è la fornitura dei soli modelli "base" del Vh71 al prezzo di 6-7 miliardi di dollari. Ma c´è un altro motivo per cui da Parigi, in uno dei più grandi saloni del settore, Guarguaglini ha usato toni diplomatici: «La nostra presenza sul mercato Usa crescerà - ha chiarito - già oggi è per noi il secondo mercato domestico con ricavi pro forma nel 2008 pari a 5,5 miliardi di dollari. In futuro spiegato gli Stati Uniti saranno più importanti dell´Italia». Una rivoluzione derivata dall´acquisto della società Drs, anch´essa pesantemente dipendente dalle spese dell´esercito americano. Berlusconi riparte, ma Finmeccanica vuole restare.

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un caffè di routine senza fanfare archivia i giorni dell'imbarazzo - (segue dalla prima pagina) vittorio zucconi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Interni Un caffè di routine senza fanfare archivia i giorni dell´imbarazzo Lo scarto di tempo tra annuncio della visita e incontro ha raccontato la diffidenza degli Usa (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) VITTORIO ZUCCONI è stato un classico «non evento» formale per l´America, semplicemente un atto diplomatico di routine dovuto dalla Casa Bianca al capo del governo che organizzerà il G8, a una nazione che politicamente rimane incomprensibile e spesso poco seria, se vista da qui, ma va comunque coccolata e rabbonita. Un appuntamento tenuto dagli americani al minimo della temperatura diplomatica, senza fanfare, colazioni, barbecue, salve di cannone, discorsi a Camere riunite o, da parte di Berlusconi, fortunatamente senza gag estemporanee, almeno in pubblico. Non cambierà la storia dei nostro rapporti con gli Stati Uniti nè riscalderà i cuori di questa Casa Bianca per un leader politico che considera le società multietniche come un male da evitare proprio mentre la multietnia trionfa negli Stati Uniti. Ma ha riportato, specialmente dopo il grottesco passaggio di Muhammar Gheddafi a Roma e le sua bordate anti Usa, la più importante fra le relazioni internazionali dell´Italia da 65 anni sul piano della dignità e della serietà. Questo breve caffè con Obama è stato, per l´amministrazione di una superpotenza che assiste al continuo viavai di visitatori (ieri l´altro il premier dello Zimbabwe, oggi il presidente della Corea del Sud), qualcosa che ha chiuso un lungo periodo di imbarazzo e, per usare il linguaggio della diplomazia, di incomprensione, culminato nel celebre episodio del «Mister Obama! Mister Obama!» e delle desolanti battute sull´abbronzatura. L´inaudito scarto di tempo fra l´annuncio prematuro e frettoloso dell´agognata udienza da Obama fatto a Roma e la recalcitrante conferma dalla Casa Bianca, ritardata per non cadere nella trappola della campagna elettorale italiana, aveva detto molto sulla diffidenza che questa amministrazione nutre nei confronti del capo del governo italiano. Non per ragioni politiche o ideologiche, o per immaginari timori di suoi rapporti privilegiati con la Russia di Putin, ma per la persona di Silvio Berlusconi e la sua imprevedibilità, che lo colloca al polo opposto della personalità del nuovo presidente americano. Un uomo dotato - dietro il sorriso e la maniere affabili - di un autocontrollo ferreo. Come gli accade quando sbarca a Washington e si sente in trasferta, sotto gli occhi di media che non si fanno intimidire e che non può controllare, Silvio Berlusconi indossa il proprio abito della festa ed esibisce un grado di discrezione e di «self control» che spesso gli viene meno quando si sente troppo sicuro o troppo in casa. Prima dell´incontro per il caffè con un Barack Obama trafelato, rientrato in fretta da un importante discorso a Chicago per spingere la riforma della sanità, aveva saggiamente riposato, rinunciando alla visita ai musei della capitale prevista e si era asserragliato nei 223 metri quadrati della suite presidenziale all´Hotel St. Regis da 1400 dollari a notte. Rispetto a George Bush, il perfetto uomo qualunque con il quale era facile rilassarsi e sentirsi a proprio agio, «l´amico con il quale si andrebbe a bere una birra» come era descritto giustamente l´ex capo di stato americano, Obama ha il potere di intimidire gli interlocutori, di far sentire a loro, dietro la facciata cordiale, la distanza di un´intelligenza, e di un´abilità, taglienti. Nella ideologia commerciale del primo ministro italiano, dove, come lui stesso ha detto dopo lo spettacolo di Gheddafi a Roma, il mondo è popolato di «clienti» e dunque di venditori, di fronte a Obama, in un Studio Ovale identico nell´arredamento ma del tutto diverso nell´atmosfera, il «cliente» - mormora chi era presente al dialogo - era lui, in una posizione dove la parlantina, frenata dall´interpretazione della lingua, lo charme, l´arte della seduzione non servivano e dunque lo mettevano in minoranza. Per questo, non sembrano esserci stati danni, alla nostra scossa reputazione internazionale o alla relazioni fra Washington e Roma, che continuano secondo la falsariga scritta ormai da decenni, quella che ci vede, come disse l´ambasciatore Gastone Ortona «o dati per scontati, o al massimo irritanti come un coniuge immusonito», ma mai davvero importanti. Per i governi americani, secondo una tradizione che soltanto Alcide De Gasperi, nella sua disperata missione a Washington per salvare l´Italia dalle rovine del fascismo, smentì, la politica italiana rimane un mistero buffo avvolto in un enigma melodrammatico, ora con inediti accenti pruriginosi. Tutto quello che è stato discusso fra Obama e Berlusconi era routine, «boilerplate», come si dice nel gergo politico diplomatico, carrello di lessi riscaldati, dall´Afghanistan alla finzione del nuovo ordine finanziario mondiale che il G8 annuncerà, dal dramma iraniano alla speranza sempre distrutta della soluzione equa e umana alla tragedia arabo-israeliana e non saranno 500 soldati italiani in più gettati in Afghanistan o qualche prigioniero di Guantanamo accolto dopo la scarcerazione per assenza di accuse o di indizi, a riscrivere la storia dei nostri rapporti con gli Stati Uniti. Su di essi, rimane la maledizione delle due Italie: quella amata e apprezzata anche nelle sue espressioni industriali e non soltanto estetiche o storiche, come la Fiat, salvatrice presunta della Chrysler, o la Finmeccanica, con i suoi cantieri navali e i nuovi elicotteri presidenziali impantanati nell´esplosione dei costi imposta dagli «optional» chiesti dal Pentagono, con la quale solidarizzare nei momenti di catastrofi come i terremoti. E poi l´altra l´Italia, quella della politica istituzionale, che va trattata come un´opera buffa o un melodramma gestuale, comunque scontati nello «happy ending» di un´udienza al soglio. Visite e brevi incontri ai quali si può chiedere, come alla medicina, che, prima di tutto, non facciano danni.

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la bbc fa gli scongiuri "speriamo niente gaffe" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Interni La tv britannica La Bbc fa gli scongiuri "Speriamo niente gaffe" ROMA - «Riuscirà il premier italiano a non offendere nessuno durante la sua visita negli Usa?». Se lo è chiesto ieri, poche ore prima dell´incontro Obama-Berlusconi, la Bbc. Alla missione Oltreoceano del Cavaliere, la sezione Europe del sito della tv britannica ha dedicato un articolo sarcastico dal titolo «Oh no, Silvio!». Dopo aver ricordato quando il presidente del Consiglio italiano definì Obama «giovane, bello e abbronzato», e rievocato il rimprovero subito dalla regina Elisabetta al G20, la Bbc cita una serie di opinioni di docenti universitari sulla propensione di Berlusconi al folklore e alle battute equivoche, come quella su «Milano, città africana». Il giornalista Stephen Mulvey cita poi un lungo articolo di Maria Sanminiatelli nel quale l´Associated Press, presentando il viaggio negli Usa del premier italiano, si sofferma sul «clamoroso contrasto» fra il suo temperamento e quello del presidente americano, il cui «fenomenale auto-controllo gli è valso il nomignolo "no drama Obama"». Per la Bbc, l´incontro a Washington «sarà importante» per il Cavaliere. «Una performance da statista - aggiunge la tv britannica - potrebbe aiutarlo a lucidare la sua immagine in patria dopo una serie di vicende scomode, dall´uso illegittimo di aerei di Stato alla pubblicazione delle foto di Villa Certosa, dalle accuse della moglie alla presunta frequentazioni di minorenni». (a. cus.)

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il think thank liberal di washington "sarete molto utili su iran e russia" - arturo zampaglione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

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Pagina 7 - Interni Il politologo Laurence: la Casa Bianca non si distrae con controversie personali Il think thank liberal di Washington "Sarete molto utili su Iran e Russia" ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - Per Jonathan Laurence, esperto di problemi europei al Brookings Institution, uno dei più antichi think tank washingtoniani, l´incontro Obama-Berlusconi dimostra due cose: 1) l´approccio iper-realista in politica estera della Casa Bianca, che mette in secondo piano le questioni personali; 2) il ruolo cruciale che la diplomazia italiana potrebbe avere, agli occhi degli Stati Uniti, su alcuni dossier caldi come la Russia e l´Iran. «Proprio i risultati delle tumultuose elezioni in Iran - osserva Laurence - aprono uno spazio importante per l´Italia e per il suo ministro degli Esteri, Franco Frattini, che ha dimostrato di avere una maggiore capacità di presa del suo collega francese Bernard Kouchner». Autore di vari saggi sull´Islam in Europa e di articoli su Foreign affairs, Laurence è docente di scienze politiche al Boston College e senior fellow al Brookings Institution, centro studi di ispirazione liberal presieduto da Strobe Talbott, ex-numero due del Dipartimento di Stato ai tempi di Bill Clinton. Professor Laurence, Silvio Berlusconi è arrivato a Washington sull´onda di polemiche e interrogativi che muovono dal privato ma hanno assunto natura politica. C´è chi ha sostenuto che per questo non sia stato ricevuto con tutti gli onori, ma c´è anche chi ha detto che il colloquio con Obama gli sia servito a riabilitarsi. Lei che ne pensa? «L´Italia può dare un aiuto importante agli Stati Uniti e la Casa Bianca non si fa distrarre da controversie personali. Se il colloquio è stato breve, non è per le foto in Sardegna o i sospetti sul caso-Noemi, ma solo perché Barack Obama aveva un mare di altri impegni. D´altra parte Berlusconi, che anni fa ha già parlato al Congresso in seduta congiunta, e quindi non ha un problema di status a Washington, non può neanche illudersi di riabilitare la sua immagine con un viaggio all´estero. Sono questioni interne, cui il presidente degli Stati Uniti è del tutto estraneo». L´Italia di Berlusconi può essere in questa fase un partner credibile in politica estera per gli Stati Uniti? «Sì, a condizione che rinunci a ogni tentazione di grandeur o a interventi troppo personalistici. L´ipotesi di farsi carico di alcuni detenuti di Guantanamo è molto apprezzata dalla Casa Bianca. E se Berlusconi ne prenderà tre, come si dice, avrà superato Nicolas Sarkozy, che finora si è fermato a due. Comunque il vero gioco di squadra si vedrà soprattutto in Russia e in Iran, due realtà, ripeto, in cui l´Italia ha molte carte da giocare».

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il muro dei pasdaran - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 37 - Commenti IL MURO DEI PASDARAN La decisione di affidare al Consiglio dei guardiani il giudizio sulla validità del voto significa che al vertice è in corso uno scontro Dietro il presidente ultraconservatore ci sono troppe forze e troppi interessi, radicatisi negli ultimi quattro anni, che adesso si sentono minacciati (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Vale a dire sulla validità della rielezione di Mahmud Ahmadinejad alla Presidenza della Repubblica. Questo non significa che la Guida suprema si rimangia la dichiarazione, con la quale, quando era ancora in corso il conteggio, sabato sera, ha confermato il risultato ufficiale, definendo una «festa» la vittoria di Ahmadinejad. Egli è pero´ stato costretto ad accettare il ricorso di Mir Hussein Moussavi, il leader sconfitto ufficialmente ma non rassegnato. La decisione di affidare al Consiglio dei guardiani, incaricato di vagliare la pertinenza di ciò che avviene nella società politica, il giudizio sulla validità o meno del voto, significa che un acceso scontro è in corso al vertice della Repubblica islamica. Ne è del resto una prova il fatto stesso che la grande manifestazione dei sostenitori di Moussavi si sia svolta nel centro di Teheran, nonostante il divieto del Ministero degli Interni, con incidenti non tanto gravi rispetto alla posta in gioco. E in gioco c´è l´avvenire stesso della "rivoluzione"; non la sua sopravvivenza, ma la sua natura; vale a dire la svolta riformista, modernizzatrice che Moussavi vorrebbe imporle, e che Ahmadinejad invece rifiuta. Appare assai improbabile che il Consiglio dei Guardiani sconfessi Ahmadinejad e rimandi gli iraniani alle urne. Dietro il presidente ultraconservatore ci sono troppe forze e troppi interessi che si sentono minacciati. Forze e interessi radicatisi negli ultimi quattro anni, durante il mandato di Ahmadinejad, ed ora messi in discussione dai leaders riformisti, il cui avvento al governo cambierebbe la faccia della Repubblica islamica. Sia per quanto riguarda la società (maggiore autonomia del potere politico rispetto al potere religioso, sia pur senza venir meno ai principi islamici); sia per quanto riguarda i rapporti con il resto del mondo. E questi ultimi costituiscono un problema cruciale, poiché c´è la "mano tesa" di Barack Obama. A sentirsi minacciate sono tutte le forze militari e paramilitari, e con loro la non tanto invisibile ragnatela dei servizi segreti, che Ahmadinejad ha colmato di poteri e privilegi, compresi quelli economici. Poteri e privilegi destinati ad essere ridimensionati dalle riforme promesse da Moussavi e dall´apertura verso il mondo esterno, implicita nel discorso di quelli che Ahmadinejad chiama con disprezzo i «liberali». La devozione formale di Ahmadinejad nei confronti della Guida suprema e la fretta con la quale l´ayatollah Khamenei ha manifestato la sua gioia per la riconferma del tanto devoto presidente, rivelano con chiarezza la preferenza del potere clericale. Anche se gli alti prelati sono tutt´altro che compatti nel giudicare gli avvenimenti. Le lotte intestine, di natura teologica o di prestigio, sono numerose e profonde. E non è sempre facile distinguere i conservatori dai riformisti. Un conservatore pragmatico, come l´ex presidente Rafsanjani, uno degli uomini più ricchi dell´Iran, è schierato con Mir Hussein Moussavi. E´ favorevole a un´apertura all´America, e quindi contrario all´aggressiva intransigenza di Ahmadinejad nei confronti dell´Occidente. Ahmadinejad replica denunciando l´affarismo di Rafsanjani, e dichiarandosi «l´amico dei poveri pronto a tagliare le mani dei corrotti». Se l´elettorato di Moussavi è costituito in particolare dalle classi medie, quelle urbane, dai professionisti e dagli studenti; Ahmadinejad raccoglie la maggioranza dei consensi negli ambienti popolari e rurali. Oltre ad avere dietro di sé le formazioni paramilitari e molte moschee. La storia trentennale della Repubblica islamica è ricca di crisi, spesso simili a colpi di Stato. Nel giugno ‘81, quando la Repubblica aveva poco più di due anni, ci fu l´impeachment di Banisadr, il primo presidente della Repubblica, che fuggi dall´Iran clandestinamente e si rifugiò in Francia. Più tardi, nell´aprile ‘82, fu messo sotto accusa Sadegh Ghotbzadeh, stretto collaboratore di Khomeini durante l´esilio e ministro degli esteri. Ritenuto colpevole di un complotto contro il fondatore della Repubblica, Ghotbzadeh fu giustiziato sommariamente, secondo le spicciative regole dell´epoca. Più clamoroso fu l´affare Montazeri. Celebre ayatollah, designato come successore di Khomeini, Montazeri oso´ criticare apertamente le esecuzioni di massa avvenute alla fine della guerra con l´Iraq, nel 1989, e definì vergognosa la fatwa (equivalente a una condanna a morte) lanciata contro lo scrittore Salman Rushdie. «Nel mondo si fa strada l´idea che la nostra principale occupazione sia quella di ammazzare la gente», disse Montazeri. E Khomeini non glielo perdonò. Lo destituì come successore designato, e indico´ al suo posto Ali Khamenei, oggi il principale sostenitore di Ahmadinejad.

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"io, il super-cattivo salvato da olmi" - maria pia fusco roma (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 52 - Spettacoli Male e Bene Monopolio L´attore olandese, memorabile replicante di "Blade Runner", fa oggi il talent scout E´ a Milano come presidente del festival che offre spazi ai registi su Internet "Io, il super-cattivo salvato da Olmi" Tra Male e Bene non so con cosa identificarmi A 65 anni, e oltre 100 film non assomiglio ai miei personaggi Il cinema, non solo in Italia, è in mano a poche persone, troppo poche E credo che la situazione sia peggiorata MARIA PIA FUSCO ROMA Quanta inquietudine trasmetteva Rutger Hauer quando in Blade Runner, volto insanguinato e sguardo di ghiaccio, pronunciava il monologo ormai proverbiale: "Ho visto cose che voi umani...". Non era la prima volta. Anzi, secondo lui «era molto più spaventoso il personaggio di I falchi nella notte, perché nella vita è difficile incontrare i replicanti del film di Ridley Scott, mentre il terrorista contro cui lottava Sylvester Stallone esiste ed molto vicino alla realtà. Sono uomini che uccidono senza pietà in nome di un dio che considerano unico e giusto. Purtroppo succede in tutte le religioni. Personalmente ho sempre praticato l´ateismo, penso che le religioni siano state inventate per terrorizzare le persone non per aiutarle ad essere migliori», dice l´attore. Rutger Hauer è a Milano dove oggi presenta il festival di cortometraggi visibili su Internet che organizza con il Comune della città e con Microcinema Digital Network. Un festival che si chiama "I´ve seen films" e che ha fondato l´anno scorso perché «il mondo è pieno di artisti di talento che non hanno la possibilità di farsi conoscere. Il cinema, non solo in Italia, è nella mani di poche persone, troppo poche. Credo che la situazione sia peggiorata rispetto ai miei inizi. Trovo drammatico che la circolazione del cinema sia così limitata, oggi vediamo solo un 10 percento di quello che si produce». Olandese di Utrecht, cresciuto ad Amsterdam, 65 anni, Hauer ha esordito alla fine degli anni Sessanta in tv e, dopo vari ruoli sullo schermo in cui il richiamo era il fisico atletico e la forza degli occhi azzurri, il film Fiore di carne attrasse l´attenzione di Hollywood. Nel suo primo film americano, Il seme dell´odio del ´75, era nel cast con Michael Caine e Sidney Poitier. «Ho avuto fortuna. Non amo i bilanci, ma se guardo indietro non posso che essere contento, ho lavorato con colleghi fantastici in Usa e in Europa, con attrici belle come Theresa Russell e Michelle Pfeiffer». Replicante, terrorista, killer, autostoppista sadico, Hauer è stato interprete del Male ma anche del Bene assoluto rappresentato dall´innocente clochard di La leggenda del santo bevitore, tratto da Joseph Roth, che vinse il Leone d´oro a Venezia. Un film che «ricordo con piacere e gratitudine, Ermanno Olmi mi ha mi ha aiutato ad esplorare sfumature delicate del mio carattere che ignoravo di avere, per la prima volta ho sentito di avere talento e mi sono sentito fiero. Mi dispiace che un film così bello non sia stato visto in America». Tra Male e Bene «non so con quale ruolo identificarmi. Oggi ho 65 anni, ho fatto oltre cento film, non ci sono personaggi che mi somigliano». Il lato "buono" comunque sembra prevalere con la dedizione alla poesia - sono sul suo sito ufficiale - soprattutto con il costante impegno civile, nella lotta contro l´Aids o a favore dell´ambiente con l´adesione a Greenpeace. «Faccio solo del mio meglio. Vorrei fare di più, ma i soldi non bastano mai. Al contrario di Obama, direi "Yes, we can´t». Pur lavorando in tutto il mondo «la mia casa è sempre stata l´Olanda, ho comprato un pezzo di terra, mi piace vivere in campagna». L´Olanda ricambia l´amore: «Nel ´95 è stato emesso un francobollo con la mia immagine, un privilegio raro. è una cosa buffa, ma credo che a nessun altro attore sia capitato, sono molto orgoglioso». E pensare che fino alla maggiore età era un ribelle contrario ad ogni regola. «Non sopportavo la scuola, non so più quante ne ho cambiate. Cambiavo, restavo qualche giorno, poi me ne andavo, semplicemente, non potevo farne a meno. Allora la scuola era più rigorosa di oggi, la vita fuori era divertente, mi attirava molto di più. Ho provato anche a fare il militare, ho resistito quattro mesi. Per fortuna i miei mi hanno permesso un lungo viaggio. Sono molto lento, ho bisogno di tempo per imparare le cose. Al ritorno dal viaggio ero migliorato. Più saggio? Non so se basta una vita per arrivare alla saggezza». Con tutto l´impegno civile, l´insegnamento e l´organizzazione del festival, Hauer non si è mai allontanato dal cinema. «Ogni tanto partecipo a filmoni americani come Sin City o Batman begins. Mi diverto e non voglio interrompere il legame con l´America, che è un gran bel paese, anche se vive una crisi profonda, economica ma anche di valori. Solo con Obama ha ritrovato la speranza». Negli ultimi anni però «preferisco piccoli film a basso budget, ricchi di contenuto. L´aspetto commerciale ha influenzato molti autori, a volte penso che il cinema stia perdendo l´anima. Per questo organizzo il festival dei corti, partecipano autori da tutto il mondo, in genere sono giovani, un´ondata di freschezza e di onestà. Secondo me sono loro che possono restituire l´anima al cinema».

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porchietto, c'è profumo di vittoria pd: "senza soldi ma ce la faremo" - sara strippoli (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina III - Torino Stati d´animo diversi nei due schieramenti a cinque giorni dalla nuova chiamate alle urne Porchietto, c´è profumo di vittoria Pd: "Senza soldi ma ce la faremo" Incertezza sull´arrivo di Bossi e Berlusconi. E la candidata fa festa in ogni quartiere Ritirati trenta furgoncini con l´effigie del presidente in carica SARA STRIPPOLI (segue dalla prima di cronaca) marco trabucco C´è entusiasmo nel Pdl (meno nella Lega), cui fa da contraltare nel Pd e dintorni, la paura. Anche qui nessuno parla, e chi lo fa ufficialmente non può che dirsi sicuro della vittoria di Saitta. In realtà dietro le quinte quella sicurezza svanisce e nei discorsi di corridoio affiorano mille timori. Che il Pd sia in difficoltà lo testimonia prima di tutto la situazione economica del partito: i 450 mila euro che erano arrivati da Roma per coprire le spese dell´intera campagna elettorale in Piemonte (e non solo di quella di Torino) sono quasi finiti. Si sperava nella vittoria al primo turno anche per questo. Così si è dovuti ricorrere a dolorosi tagli: se fino al 6 e 7 giugno in giro per il Torinese c´erano quaranta furgoncini con le effigie dei candidati e i simboli del partito, adesso ne sono rimasti in strada solo dieci: «Bastano per un solo candidato, prima dovevamo fare campagna elettorale per decine di persone» è la spiegazione ufficiale, che convince solo in parte. Anche perché dall´altra cioè nel Pdl i soldi arrivati da Roma sono gli stessi: 450 mila euro. Ma la cifra qui è stata destinata solo alla campagna di Porchietto, il resto del Piemonte ha avuto altri finanziamenti. In più nelle prossime ore i parlamentari piemontesi del centrodestra dovrebbero versare un contributo di due mila euro a testa per gli ultimi giorni di campagna. L´incubo primo nel Pd e dintorni, è quello che fino a pochi giorni fa sembrava la vera debolezza del centrodestra. l´astensione: oggi invece dopo l´accordo tra Bossi e Berlusconi per il referendum, la questione si è ribaltata. «Se, come qualcuno ipotizza, voterà solo il 35 per cento degli aventi diritto - spiega un esponente del Pd - allora il ballottaggio diventerà una lotteria». E l´incubo astensione è diventato ancora più concreto dopo gli annunci a caldo di molti esponenti della sinistra radicale dopo l´accordo di Saitta con l´Udc: «Non voteremo». Molti nel sindacato, nella Cgil in particolare, hanno visto con preoccupazione quell´apparentamento. Le intenzioni astensioniste della sinistra radicale potrebbero rientrare, nel segreto della cabina elettorale. Qualcuno però spera prima: così mercoledì alle 18 è stato convocato un incontro tra esponenti del Prc, dei Comunisti Italiani e di Sinistra e Libertà delusi da quell´accordo con l´Udc, ma spaventati all´idea che il loro no consenta alla destra di vincere. Saitta ha forse segnato un punto a suo favore rifiutando il confronto con Porchietto a "Porta a Porta": sarebbe stata infatti una vetrina che avrebbe avvantaggiato solo la sua rivale, meno conosciuta dagli elettori. Anche qui c´è un però: oggi a Rivoli ci sarò Dario Franceschini, segretario del Pd e il suo appoggio non danneggia Saitta. Ma l´impatto della sua visita avrebbe in ogni caso effetti, anche mediatici, molto inferiori a quelli del possibile blitz comune di Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, annunciato per venerdì. Potrebbe essere quello il particolare che fa la differenza: in realtà nelle cabine di comando del centrodestra torinese la certezza di quella visita non c´è ancora. «Sapremo se Berlusconi viene - spiegano - solo alla conclusione del suo viaggio in Usa per incontrare Obama». Intanto però la Lega garantisce che Bossi è già allertato: se verrà il Cavaliere a Torino ci sarà anche lui a fianco di Porchietto. Che intanto ha scelto per gli ultimi giorni di esasperare i toni antipolitici per garantirsi l´elettorato di protesta della Lega. E l´infallibile metodo della festa: ne ha organizzate una quasi in ogni quartiere di Torino. Nel centrosinistra sperano non si tratti delle prove generali per lunedì.

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"la mia città è diventata europea e per questo ringrazio michele" - giuliano foschini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina III - Bari La metropolitana I lettori Gianrico Carofiglio, scrittore e senatore del Pd: "Con Emiliano e Vendola la Puglia è un laboratorio" "La mia città è diventata europea e per questo ringrazio Michele" Collegare il San Paolo con il centro vuol dire cambiare la vita di tanti cittadini Ricevo decine di mail di miei lettori che arrivano qui e restano entusiasti GIULIANO FOSCHINI Per centinaia di migliaia di persone, in Italia e in Europa, Bari è la città dei suoi romanzi. Senatore Gianrico Carofiglio, lei domenica quale Bari sceglierà? «Chiaramente quella di Michele Emiliano». Lo dice per convinzione o per spirito di servizio verso il segretario regionale del suo partito? «Lo dico da cittadino di questa città. Io voterò per Michele perché penso che in questi cinque anni del suo governo Bari sia cambiata. In meglio. Lo dico senza enfasi, tenendo conto anche del primissimo periodo iniziale, difficile, perché era logico che lo fosse. Oggi Bari è oggettivamente migliore per come si presenta, per i modelli di governo e di solidarietà che offre». Non teme l´astensionismo? «No. Sono sicuro che al ballottaggio saremo in tantissimi a votare e a votare per la prosecuzione di questo progetto. E´ stato fatto tanto, non voglio fare elenchi. Ma citare un solo esempio, perché è insieme sostanza e metafora: la metropolitana del San Paolo. Collegare un quartiere per anni dimenticato come il Cep con il centro in pochi minuti significa offrire un eccellente servizio alla gente del quartiere, cambiare loro la vita, ma significa anche ridurre metaforicamente le distanze sociali». Lei ama raccontare Bari. Che impressione fa la città a chi arriva per la prima volta? «Ottima, secondo la mia esperienza. Poco tempo fa è stata qui a trovarmi, per esempio, Claudia Hansenn, il capo della comunicazione della Goldmann Verlag, una delle case editrici più importante d´Europa che pubblica i miei libri in Germania. Abbiamo passeggiato per Bari e quando le ho chiesto che impressioni le faceva mi ha risposto semplicemente: "It´s Europe". Evidentemente aspettava qualcosa di diverso. Una delle cose che mi piace di più di Bari è proprio la capacità di essere contemporaneamente Sud ed Europa. Questo miscuglio affascina i turisti mentre i baresi forse non se ne accorgono: io ricevo decine di mail di lettori che arrivano a Bari dopo aver letto i miei libri e ne rimangono entusiasti». In un´intervista al periodico "Fare Futuro", vicino al presidente Fini, lei ha detto che bisognerebbe riflettere sulle norme che disciplinano il passaggio alla politica dei magistrati. In molti hanno letto in questa sua affermazione un attacco al sindaco Emiliano. E così? «(sorride) Ho sentito questa sciocchezza. Consiglio a tutti di andare a leggere, ammesso che ne abbiano voglia, il testo integrale di quell´intervista. Sono ben dieci pagine. Leggendo e contestualizzando si capisce molto bene che Michele Emiliano non c´entra nulla. Il mio era un ragionamento, che confermo, sulle regole e non sulle persone. Tra l´altro l´intervista è di febbraio e chissà perché è stata tirata fuori in campagna elettorale. Comunque giusto per essere chiari io penso che Emiliano sia stato e sarà un ottimo sindaco. E poi permettetemi un´annotazione personale». Prego. «Io e Michele siamo amici, ci conosciamo da una vita, abbiamo condiviso molte cose come il concorso in magistratura. Per questo mi viene da sorridere a pensare che qualcuno possa aver letto un mio attacco a lui». Ha letto invece le parole di fuoco di Divella contro il sindaco? «Ho letto e ho letto anche la risposta di Michele Emiliano. La condivido: in presenza di gravi delusioni capita di dire cose poco meditate». In molti accusano Emiliano per le troppe aperture alla destra e più in generale al berlusconismo. «Io penso che a Bari e più in generale in Puglia stia accadendo qualcosa di molto interessante: sta nascendo un laboratorio di un modo diverso di fare politica. Uno dei meriti di Michele Emiliano è di aver intuito che la nuova politica passa da una ridefinizione delle vecchie categorie. Emiliano, insieme con Vendola, sta interpretando i bisogni, le aspirazioni e le emozioni di chi non si riconosce più in quelle vecchie divisioni e sente il bisogno di ridefinire aggregazioni e schieramenti. In questo senso seguono la lezione di Obama che ha detto che non bisogna combattere i repubblicani ma portarli dalla nostra parte». L´assessore regionale del Partito democratico, Guglielmo Minervini, ha visto nel presidente Vendola l´Obama italiano. "Nichi, un mio amico, è un ottimo uomo politico e un eccellente presidente della Regione. E´ presto per parlare di leadership, però. Oggi il Pd deve affrontare in modo chiaro e diretto, senza nascondere nulla sotto il tappeto, i problemi che esistono. E´ necessario scegliere un segretario che non dovrà essere per forza il candidato premier. Il peggio, però, è passato". Senatore, chi sarà il prossimo sindaco di Bari? "Michele Emiliano".

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Obama-Berlusconi, clima d'amicizia (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

DALL'INVIATO A WASHINGTON Berlusconi torna in patria parecchio sollevato. Una freddezza di Obama poteva essere devastante, la conferma dell'isolamento internazionale seguito allo scandalo Noemi e alle foto sul "Pais". Invece l'uomo della Casa Bianca è stato cordiale oltre le aspettative. Ha tenuto il Cavaliere a colloquio più del previsto, gli ha dato importanza ascoltando compunto (o fingendo con quella sua aria da Sfinge) i consigli del premier su come trattare coi russi. Rotte le consegne del cerimoniale, i due hanno conversato per quasi due ore, seguite da una lunga conferenza stampa tenuta nella Sala Ovale. Le frasi che contano, alla fine, sono soprattutto gli apprezzamenti pubblici di Obama: "Tra noi è stato un ottimo inizio", e soprattutto quel "mi piace personalmente Berlusconi" che ha sciolto il sorriso sul volto del Cavaliere, mai così teso e talmente truccato di cerone da apparire perfino più "abbronzato" del presidente Usa. L'incidente che si temeva, insomma, non c'è stato affatto. Anche perché Silvio si è presentato alla Casa Bianca con atteggiamento umile e senza la spocchia di chi calca da tre lustri la scena mondiale. Quasi dimesso e un po' rigido, complice anche il torcicollo che lo perseguita. Colmo della sfortuna, Obama era seduto nel colloquio alla sua sinistra, proprio dalla parte verso cui Berlusconi fatica a girarsi. Niente barzellette, evitate pacche sulle spalle e battute grossier, l'incontro ha viaggiato su binari sicuri. Il premier si è mostrato concreto e fattivo, proprio come desidera il pragmatico Obama. Ha offerto all'America tutta la collaborazione di cui è capace. Volete che accogliamo dei detenuti di Guantanamo? Eccoci qui, siamo a disposizione. Per gli Stati Uniti è la prova del nove che siamo dei veri amici. Altri 500 soldati per l'Afghanistan? Non ci tireremo indietro. E poi, caro presidente Obama, come vogliamo organizzare i tre giorni del prossimo G8 a L'Aquila? Berlusconi ha sottoposto a Obama l'agenda dei lavori, ricevendone disco verde. Mettere in sicurezza il summit è obiettivo vitale per il premier, già reduce da brutte esperienze a Napoli nel '94 (avviso di garanzia e conseguenti dimissioni), quindi a Genova nel 2001 (scontri di piazza finiti in tragedia). Non c'è due senza tre dice il proverbio, il Cavaliere fa gli scongiuri specie dopo che D'Alema ha previsto nuove "scosse" per il governo. Con l'aiuto di Obama, Berlusconi spera di uscirne vivo. L'incontro di stanotte lo incoraggia.

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dietro ahmadinejad, i grandi vecchi è lo scontro per il futuro della rivoluzione - bill keller michael slackman (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 4 - Esteri Col sostegno di Khamenei il presidente è il portabandiera di una èlite politica aggressiva e unita come mai dal ‘79 Dietro Ahmadinejad, i Grandi Vecchi è lo scontro per il futuro della rivoluzione Si conclude la lotta per il potere che da decenni oppone la Guida suprema e Rafsanjani BILL KELLER MICHAEL SLACKMAN TEHERAN - Fra i detrattori di Mahmoud Ahmadinejad proliferano le barzellette. In una c´è lui che si guarda nello specchio e dice: «Pidocchio maschio a destra, pidocchio femmina a sinistra». In Occidente, un tabloid americano quasi immancabilmente lo definisce il «Pazzo spietato», e nei giorni prima della sua rielezione veniva sbeffeggiato con gli appellativi di «scimmia» e «nanetto». Ma il Mahmoud Ahmadinejad che è appena stato proclamato presidente per un secondo mandato quadriennale non è un personaggio dei cartoni animati. Il 65 per cento con cui ha vinto le elezioni, sia che rispecchi realmente la volontà popolare sia che si tratti del prodotto di una frode, ha dimostrato che Ahmadinejad è il portabandiera, abile e senza scrupoli, di un´élite clericale, militare e politica unita e aggressiva come mai prima d´ora dai tempi della rivoluzione del 1979. In quanto presidente, Ahmadinejad è sottomesso alla vera autorità del Paese, la Guida suprema ayatollah Ali Khamenei, che ha l´ultima parola su tutte le questioni di Stato e di fede. Con queste elezioni, Khamenei e il suo protetto, secondo gli analisti, sembrano avere neutralizzato quelle forze riformiste che vedevano come una minaccia al loro potere. «Questo cambierà per sempre il volto della Repubblica islamica», dice un iraniano bene informato, che come tutti gli altri intervistati ha chiesto, dato l´attuale clima di tensione, di restare anonimo. «Ahmadinejad rivendicherà un mandato assoluto: non ha alcun bisogno di scendere a compromessi». Quando fu eletto presidente per la prima volta, nel 2005, Ahmadinejad mostrò la sua fedeltà alla Guida Suprema, inchinandosi delicatamente e baciandogli la mano. Sabato, la Guida Suprema ha dimostrato il suo entusiasmo per il presidente rieletto, salutando l´esito delle elezioni come «una benedizione divina», ancora prima che fosse trascorso il periodo di tre giorni previsto dalla legge per la contestazione del voto. Domenica, Ahmadinejad ha ostentato il suo successo organizzando un comizio di festeggiamento nel cuore di un quartiere della capitale fedele all´opposizione, e tenendo una conferenza stampa in cui si è scagliato contro l´Occidente. Commentando le aperture dell´Amministrazione Obama, Ahmadinejad ha anche lasciato intendere che la sua disponibilità a riconciliarsi con governi stranieri dipenderà dalla loro disponibilità a ingoiare la sua contestata elezione. Alla domande se nel suo secondo mandato avrebbe adottato una linea più moderata, ha risposto con un sorrisetto: «Non è così. Sarò ancora più determinato». Può permetterselo. Con il sostegno della Guida suprema e dell´establishment militare, ha messo nell´angolo tutte le principali figure che rappresentavano una sfida alla visione dell´Iran come Stato islamico in rivoluzione permanente. Sotto molti aspetti, la sua vittoria è forse lo scontro finale nella battaglia per il potere e l´influenza che da decenni vede contrapposti Khamenei e Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, l´ex presidente che pur rimanendo fedele alla forma di governo islamica voleva un approccio più pragmatico all´economia, alle relazioni internazionali e ai temi sociali interni. Rafsanjani si è schierato senza ambiguità, personalmente e attraverso membri della sua famiglia, a fianco del principale candidato riformista, Mir Hussein Moussavi, ex primo ministro, fautore di una maggiore libertà e di un atteggiamento più conciliatorio verso l´Occidente. Anche un altro ex presidente pragmatico, Mohammed Khatami, si è schierato con forza dalla parte di Moussavi. Questi tre esponenti, sommati a un ampio consenso da parte dell´opinione pubblica e alla delusione nei confronti di Ahmadinejad, rappresentavano una sfida all´autorità della Guida Suprema e dei suoi alleati, secondo i commentatori. Le Guardie rivoluzionarie e una buona parte dei servizi segreti «si sentono gravemente minacciati dal movimento riformista», dice un commentatore che chiede l´anonimato. «Ritengono che i riformisti saranno aperti verso l´Occidente e accomodanti sulla questione del nucleare. Sono due modi di pensare che si scontrano. è una questione di potere». Dopo l´annuncio dei risultati elettorali, sabato, Moussavi è stato l´eroe delle manifestazioni contro il governo. Moussavi aveva detto di essere «sotto stretta sorveglianza» nella sua abitazione. «Gli hanno fatto una multa», ha scherzato Ahmadinejad. «Non ha aspettato che scattasse il rosso». Queste elezioni, concludono alcuni esponenti dell´opposizione, rischiano di ricacciare le classi sociali filoriformiste - in particolare i ceti più benestanti e istruiti - in uno stato di delusione passiva. «Non credo che i ceti medi saranno più disposti ad andare alle urne», si lamentava uno dei sostenitori di Moussavi. (copyright The New York Times, la Repubblica; traduzione di Fabio Galimberti)

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israele, i coloni sfidano netanyahu (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 15 - Esteri Israele, i coloni sfidano Netanyahu Annunciati trenta nuovi insediamenti in risposta allo "Stato palestinese" Mubarak critico: "Nessuno né in Egitto né altrove accetterà quell´offerta" DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME - Con un discorso sostanzialmente elusivo degli intricati nodi del conflitto, ma non chiuso all´ipotesi di vedere nascere uno Stato palestinese, seppure con una serie di condizioni tali da rinviarne l´attuazione a tempo indeterminato, Netanyahu è riuscito a smussare i forti contrasti emersi con Barack Obama senza perdere per strada la coalizione che lo sostiene. Una coalizione in cui l´estrema destra, ultra nazionalista e messianica, sembra tuttavia in grado in qualsiasi momento di stringere il premier all´angolo. Tolto l´apprezzamento venuto da Washington, secondo cui il discorso all´Università Bar Ilan rappresenta «un importante passo avanti», a Netanyahu resta ben poco. Anche per l´Unione Europea il premier israeliano ha fatto «un passo nella direzione giusta», ma tuttavia «sufficiente» ad innalzare il livello delle relazioni tra Israele e l´Europa. Il commento più preoccupante è stato quello egiziano. La condizione posta da Netanyahu secondo cui «i palestinesi devono riconoscere il carattere ebraico dello Stato d´Israele», ha lasciato Mubarak esterrefatto: «Serve solo a complicare le cose. Netanyahu non troverà nessuno, né in Egitto, né altrove disposto a rispondergli». La risposta dei palestinesi, per molti versi scontata, ha avuto, in qualche caso, toni persino sgradevoli. Un dirigente vicino ad Abu Mazen è arrivato al punto di dare a Netanyahu del «truffatore». I palestinesi vedono nella richiesta di riconoscere il «carattere ebraico» dello Stato d´Israele, un diktat umiliante che cancellerebbe la realtà storica di una Palestina araba per sostituirla con una Palestina senza arabi. Inoltre, accettare questa condizione significherebbe, per i palestinesi, non soltanto rinunciare indirettamente al diritto al ritorno dei profughi, ma pregiudicare i diritti di quei palestinesi che vivono in Israele: i 250 mila che compongono la popolazione araba di Gerusalemme-est e il milione ed oltre di arabi-israeliani. L´accettazione condizionata dello Stato palestinese ha generato la reazione stizzita dei coloni messianici che hanno illustrato un piano per costruire 30 nuovi insediamenti. a. s.

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la gran bretagna è ottimista "già fuori dalla crisi" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 31 - Economia Global market La Gran Bretagna è ottimista "Già fuori dalla crisi" La nomina di Bart De Smet a ad riflette il bisogno di definire nuove strategie e di trasformare il gruppo da holding finanziaria ad assicuratore LONDRA - La Gran Bretagna uscirà dalla recessione prima del previsto, all´inizio del prossimo anno. Lo afferma un rapporto della Cbi, la Confindustria britannica, secondo cui i primi segni di ripresa si avvertiranno all´inizio del 2010. In precedenza la Cbi aveva predetto che la crisi si sarebbe conclusa soltanto verso la metà del 2010. La previsione è una buona notizia per il governo laburista di Gordon Brown, che spera di trarre vantaggio dalla fine della recessione prima delle elezioni legislative del giugno 2010. Una ripresa dell´economia è il solo fattore che potrebbe ridare consensi al premier, da tempo a picco nei sondaggi. Il rapporto della Cbi conferma un´analisi del National Institute for Economic and Social Research, secondo cui nel Regno Unito la recessione sarebbe di fatto finita due mesi fa; e viene dopo le affermazioni di Paul Krugman, premio Nobel per l´Economia il quale ha detto che la Gran Bretagna sarà il primo paese europeo a uscire dalla crisi ed è meglio equipaggiato di altri per la ripresa. Enrico Franceschini [più poteri alla fed] NEW YORK - Barack Obama presenterà domani le proposte di riforma del sistema finanziario e dei suoi meccanismi di controllo. Alla vigilia dell´appuntamento i due maggiori collaboratori del presidente per l´economia, il ministro del Tesoro Tim Geithner e il consigliere Larry Summers, hanno pubblicato un articolo sul Washington Post illustrando alcuni cambiamenti per evitare nuove crisi: saranno dati più poteri alla Federal Reserve e alzati i requisiti di capitale per le banche. Sarà creata un´agenzia per sorvegliare i prodotti finanziari destinati al pubblico. E il governo avrà il diritto, in circostanze eccezionali, di smembrare una società se si dovesse rivelare troppo grande e quindi troppo pericolosa, in caso di fallimento, per l´intero sistema economico. Arturo Zampaglione

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Obama-Berlusconi, intesa al vertice (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 16/06/2009 - pag: 1 Colloquio più lungo del previsto. Il presidente americano: Silvio mi piace personalmente Obama-Berlusconi, intesa al vertice L'Italia accetta 3 detenuti da Guantánamo. Rinforzi per Kabul Silvio Berlusconi incontra il presidente Obama per due ore nello Studio Ovale. Un colloquio più lungo del previsto. Con il premier italiano, Barack Obama non è espansivo come il suo predecessore, ma lo saluta con un «bello vederti, amico mio». E ancora: Silvio mi piace personalmente. Al termine il presidente Usa annuncia che l'Italia ospiterà tre detenuti provenienti da Guantánamo. Berlusconi assicura rinforzi militari per Kabul. ALLE PAGINE 5E6 M. Franco, Galluzzo, Nese Valentino

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Un milione in piazza a Teheran Spari sulla folla, un morto (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 16/06/2009 - pag: 2 Un milione in piazza a Teheran Spari sulla folla, un morto Indagine sul voto. Obama «turbato»: evitare un massacro DA UNO DEI NOSTRI INVIATI TEHERAN Forse è così che cominciano le rivoluzioni. Quello che è successo ieri a Teheran non ha niente a che fare con le rivolte universitarie di dieci anni fa. E' qualcosa di molto, molto più grande. Allora c'erano solo studenti a protestare, ieri c'erano tutti. Madri di famiglia, impiegati, burocrati che avevano preso due ore di permesso dall'ufficio per arrivare in tempo alla manifestazione, negozianti, ragazze in chador o con un velo che copriva i capelli per miracolo. Una massa umana che non si vedeva in Iran dai tempi della rivoluzione contro lo Scià Reza Palevi. Trent'anni fa. Un milione? Probabilmente molti di più. Prendete un vialone con otto corsie centrali e due ampi controviali con altrettanti marciapiedi. Saranno 40, 50 metri di larghezza. Il corteo si è snodato da Piazza Enqelab (Rivoluzione) a piazza Azadì (Libertà). Oltre ad essere un programma politico, sono almeno dieci chilometri. Tutto questo enorme nastro cittadino era zeppo di gente pigiata l'una all' altra. Più quelli che arrivavano dalle vie laterali e le riempivano per centinaia di metri. Il dato politico è che era una folla immensa, mai vista nella Repubblica Islamica. Una folla che preme sui vertici del sistema e che, forse, qualche effetto comincia ad ottenerlo. Da Washington il presidente Usa Barack Obama si è detto «profondamente turbato» dai fatti di Teheran. «Il processo democratico, la libertà di espressione ha detto devono essere rispettati. È importante portare avanti le indagini che non devono risolversi in bagni di sangue». Infine il messaggio agli iraniani: «Il mondo vi sta guardando». A Teheran i grandi del regime, pur continuando la loro lotta, sembrano sforzarsi di spostare dalla strada all'ambito istituzionale la battaglia sulla correttezza del voto di venerdì scorso. La Guida Suprema Alì Khamenei ha ammesso il ricorso al Consiglio dei Guardiani presentato dai candidati sconfitti. Ci sarà un'indagine e la nomina ufficiale di Ahmadinejad dovrà aspettare. Paiono bizantinismi, ma potrebbero evitare un bagno di sangue e cambiare o meno la storia dell'Iran. Il Consiglio dei Guardiani ha fatto sapere che si pronuncerà «presto», ma il candidato riformista Mir Hossein Mousavi non si dice ottimista. A vigilare sulla correttezza dell'inchiesta c'è il «ricatto» messo in piedi da Hashemi Rafsanjani, il numero due del regime che il presidente Ahmadinejad aveva accusato di ruberie per scalzarlo dal potere. Rafsanjani ha trovato un appiglio per difendersi attraverso il «suo» Consiglio del Discernimento: la Guida Suprema si è complimentato con Ahmadinejad prima del via libera dei Guardiani. Un comportamento anticostituzionale che può portare all'impeachment della Guida. L'obbiettivo sarebbe l'annullamento del voto e nuove elezioni. Così, mentre gli «intoccabili» si battono nelle stanze del potere, la gente mantiene l'iniziativa. La marcia di ieri è cominciata in silenzio. Le due mani alzate con le dita a «V» in segno di vittoria. Ma anche come dire: siamo disarmati, vogliamo solo il rispetto dei nostri voti. Qualche drappello di agenti anti-sommossa, con le corazze nere da giocatori di football americano, guarda dalle stradine laterali, senza intervenire. Di tanto in tanto, dal corteo che gli sfila davanti qualcuno insulta i poliziotti, tenta di far partire un coretto irridente, ma la massa copre le voci con centinaia di «sccc» per zittirli. Non vogliono offrire pretesti, la massa è invincibile solo se resta calma e compatta. Ad un tratto la folla si agita, applaude, urla. Una jeep bianca carica di uomini sul cofano e sul tetto fende lentamente la folla. Qualcuno vede dal finestrino Mousavi. E' per lui che stanno sfilando. E' per lui che hanno preso le manganellate nei giorni scorsi. E' per lui che centinaia di persone sono state arrestate nei cortei e, di notte, nelle loro case o nei dormitori universitari. Il silenzio è rotto. Arriva anche un altro candidato sconfitto, il clerico Mehdi Karrubi. Lui si ferma cinque chilometri prima della piazza Libertà, ma finalmente i leader, a tre giorni dall'inizio delle proteste, sono con la loro gente. «Ahmadì, Ahmadì, dove sono i tuoi 24 milioni di voti?» chiedono in coro al presidente. «Se tu rubi le elezioni, l'Iran sarà l'inferno». «Ahmadì, hai visto la luce del Mahdi - l'Imam nascosto della tradizione sciita - perché non hai visto i brogli?». «Mousavi, sei il nostro presidente». E poi ancora «Mousavi, Mousavi, Mousavi». «O i voti o la morte». L'auto del candidato che non accetta la sconfitta arriva davanti a una moschea. La gente è convinta che il mullah possa concedere a Mousavi l'uso degli altoparlanti con i quali chiama la preghiera. «Allah Akbar», «Allah Akbar», Dio è grande, intona la folla per convincere il religioso. L'aria trema per la potenza delle voci. Applausi, sorrisi, sembra che l'accordo ci sia. Un alleato, almeno uno coraggioso nel clero. Invece no. Il mullah chiude le porte. Abbarbicato sulle transenne della corsia degli autobus, ogni cento, duecento metri c'è qualcuno che ripete: «Domani alle 17, in piazza Vali Asr. Domani alle 17, di nuovo tutti assieme». E' un modo, il migliore, per passare parola visto che da giorni messaggini e linee telefoniche vengono tagliati all'improvviso. Si parla di sciopero delle industrie, ma non c'è certezza. La manifestazione nel suo gigantismo è stata pacifica, anche grazie al comportamento della polizia. Immobile a guardare. Solo a sera, due ore dopo la fine del corteo, quando migliaia di persone cercavano ancora di tornare a casa, dei paramilitari (non poliziotti) sono venuti a contatto con manifestanti che davano fuoco a dei cassonetti della spazzatura. Gli uomini in mimetica hanno sparato. Un morto. L'ordine, almeno ieri era un altro. Meglio risolvere le controversie nelle stanze del potere che affrontare una piazza come questa. Andrea Nicastro anicastro@corriere.it

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 16/06/2009 - pag: 5 «Berlusconi mi piace, l'Italia alleato cruciale» >Obama riceve il Cavaliere. L'intesa: 3 detenuti da Guantánamo e rinforzi in Afghanistan DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Buona la prima, per Silvio Berlusconi, nello Studio Ovale. Due ore, più del previsto, a tu per tu con il presidente degli Stati Uniti, all'insegna del «no drama Obama » che è la cifra sobria e fattuale del nuovo inquilino della Casa Bianca. Al premier italiano, Barack Obama dedica il protocollo e l'attenzione, che spettano a un alleato fedele e per diversi aspetti importante. Non si allarga come il suo predecessore, ma lo saluta con un «bello vederti amico mio», appoggiandogli entrambe le mani sulle spalle. E si mostra generoso, nella sintesi finale: «Tra Italia e Stati Uniti abbiamo rafforzato i legami e la collaborazione che c'è sempre stata». L'Amministrazione Usa vede molto bene l'annuncio di Berlusconi, di voler inviare altri 600 tra soldati, carabinieri e istruttori su base temporanea in Afghanistan, in vista delle elezioni d'agosto. Ed esprime il suo ringraziamento all'Italia, per essersi detto disponibile ad accogliere tre detenuti della prigione di Guantanamo. È probabilmente sul cosiddetto AfPak (la sigla sta per Afghanistan e Pakistan, considerati un unico dossier) che Berlusconi fa più punti nella sua visita americana. Obama torna a insistere sulla completa eliminazione dei caveat, che ancora limitano l'impegno del contingente italiano, ricevendo in cambio qualche promettente rassicurazione. Ma anche così, parole di Obama, «l'Italia è un alleato cruciale della coalizione che sta lavorando perché l'Afghanistan sia stabilizzato e non sia più rifugio del terrorismo». L'unico elemento di dissonanza traspare a contrario sull'Iran. Più di metodo, che di sostanza. Ma evidenziato dai drammatici sviluppi delle ultime ore. Obama si è d'accordo con Berlusconi che l'invito rivolto agli iraniani, a partecipare alla conferenza di stabilizzazione dell'area AfPak, il 26 giugno a Trieste, potrebbe essere uno dei ganci cui ancorare una linea concreta di collaborazione con il regime dei mullah. Ma la situazione interna spinge Obama a ricordare a tutti, che il dialogo diretto vada cercato «senza farsi illusioni ». «L'uso di una diplomazia dura è essenziale al perseguimento dei nostri interessi nazionali: impedire una corsa al nucleare nella regione e cessare ogni appoggio al terrorismo». Più conciliante si mostra il leader americano sulla Russia, concedendo a Berlusconi quanto meno una primogenitura di rapporti: «Abbiamo parlato della non proliferazione nucleare. Io andrò in Russia e vista l'amicizia che il presidente Berlusconi ha con Mosca ho ascoltato i suoi consigli». Obama e Berlusconi toccano un po' tutti i temi del rapporto italo-americano. In primo luogo, il G8 italiano dell'Aquila, cui il presidente americano guarda come un'opportunità per raccordare ulteriormente gli sforzi per rilanciare l'economia mondiale, in vista del G20 di settembre a Pittsburgh. Per il presidente Usa il rapporto con il premier italiano «è cominciato bene. Quello che mi aspetto da Berlusconi è un'opinione onesta e franca e la condivisione di valori comuni». I valori comuni Il leader Usa: il rapporto è cominciato bene. Mi aspetto la condivisione di valori comuni Paolo Valentino

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Il Bbc: attento alle gaffe (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 16/06/2009 - pag: 6 Il sito della tv britannica Il «consiglio» Bbc: attento alle gaffe MILANO «Berlusconi abbronzato in rotta verso gli Usa»: il sito della Bbc dedica un articolo alla missione oltreoceano del premier e si concentra sulle gaffe passate e future. L'autore Stephen Mulvey riporta le parole pronunciate dal premier domenica, prima di imbarcarsi per Washington («Vado lì bello e abbronzato...») e ricorda la «gag» di Berlusconi dopo l'elezione di Obama, quando lo definì «giovane, bello e abbronzato». Così si chiede ironico: «In Italia c'è un qualche timore che il premier possa offendere il suo ospite a Washington?».

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E' indicativo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 16/06/2009 - pag: 6 La Nota di Massimo Franco Intesa fondata su concessioni molto concrete E' indicativo che la prima notizia data da Barack Obama dopo il suo colloquio con Silvio Berlusconi, riguardi il trasferimento in Italia di tre tunisini detenuti nel carcere militare di Guantanamo, a Cuba. Per il presidente degli Stati Uniti, è una decisione che gli risolve un enorme problema pratico e di immagine. Per mesi, la Casa Bianca ha bussato alla porta degli alleati. Chiedeva di trasferire in altri Paesi i 229 prigionieri catturati sulla scia degli attentati di Al Qaeda alla fine del 2001, e rimasti per 7 anni in un imbarazzante limbo giuridico. È la premessa per mantenere l'impegno del presidente Usa a chiudere entro il gennaio del 2010 un carcere divenuto uno dei simboli dell'era di George W. Bush. Soprattutto in Europa, però, finora le complicazioni legali e le divergenze sul modo di combattere il terrorismo hanno frenato l'operazione. Finora, l'unico alleato che abbia accettato un numero consistente di questi «terroristi islamici » rivelatisi in gran parte innocenti è Palau: un microstato dell'oceano Pacifico legatissimo agli Usa, dove sono stati trasferiti diciassette Uiguri, esponenti di una minoranza musulmana cinese, in cambio di una lauta contropartita in dollari. Gli Usa non vogliono rimpatriarli nelle nazioni d'origine nel timore che siano torturati o uccisi. Il «sì» berlusconiano apre invece una nuova fase. Il governo di Roma sembra disposto ad assumere il ruolo di apripista. E la concessione ha probabilmente facilitato l'inizio del dialogo fra due leader profondamente diversi. Il passaggio dalla Casa Bianca di Bush a quella di Obama non era facile, per Berlusconi. Gaffe a parte, il capo del governo italiano è arrivato a Washington inseguito dagli echi della visita del capo libico Gheddafi a Roma: una riconciliazione con l'Italia, condita da un antiamericanismo provocatorio e di maniera. Ma il premier è stato accompagnato anche dalle critiche e le ironie della stampa sulle sue vicende private e processuali: un coro che ha parzialmente messo in ombra la vittoria del centrodestra alle elezioni europee. Si trattava di passare dall'omaggio fin troppo generoso fatto a Bush otto mesi fa, ad un rapporto non scontato con la nuova Amministrazione democratica: se non altro sul piano della conoscenza e dell'affinità personale. Ma Berlusconi ha voluto precisare che collaborerà con Obama come aveva fatto con Bush. Ed il presidente statunitense ha ricambiato ricordando i «legami già forti» fra i due Paesi; e definendo l'Italia un alleato decisivo nella guerra in Afghanistan contro i Talebani. È stata la disponibilità del governo italiano ad accogliere le priorità di Obama, a semplificare un'intesa sulla quale l'opposizione continua a proiettare molte perplessità. Inviare più soldati in Afghanistan, e soprattutto ampliare i loro compiti militari significa rispondere alla richiesta che dal 2001 americani e britannici avanzano: quella che le truppe europee combattano senza limitazioni. In più, la disponibilità di Berlusconi ad accogliere i tre detenuti tunisini rompe il fronte del rifiuto opposto finora dall'Ue. Si tratta di una decisione facilitata dall'accordo raggiunto ieri in Lussemburgo dai ministri degli Esteri. Ma la novità è comunque strategica, per una Casa Bianca imbarazzata dall'eredità di Guantanamo. Quando ieri a mezzanotte, alla fine del colloquio alcuni giornalisti sono stati ammessi nella Sala ovale, si è avuta la conferma di un accordo sancito in nome del pragmatismo. Berlusconi ed il presidente Usa si sono affrettati a dire che il loro rapporto è cominciato bene. Il premier italiano lo ha incanalato in un futuro di amicizia anche personale. Obama è parso già proiettato su un problema più incombente e delicato: l'Iran. \\ Il sì ai detenuti di Guantánamo apre una nuova fase nella Ue

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 16/06/2009 - pag: 6 «E' un buon inizio Collaborerò con lui come feci con Bush» Premier soddisfatto per l'accoglienza: spero saremo amici DAL NOSTRO INVIATO WASHINGTON Barack Obama lo chiama «grande amico». Dice ai cronisti americani: il Cavaliere «mi piace personalmente». Aggiunge che ha «molto apprezzato i suoi consigli su come approcciare i russi, vista la sua esperienza personale e i suoi rapporti molto saldi con Mosca». Nello studio ovale della Casa Bianca Berlusconi lo guarda con soddisfazione, una punta di compiacimento, soprattutto la sorpresa di assistere a un'accoglienza più calorosa di quanto immaginato. Risponde così ai complimenti di Obama: «Sono legato a un giuramento di riconoscenza verso gli Stati Uniti, che ci hanno dato la libertà. Se avrò con Obama lo stesso rapporto diretto che ho avuto con Clinton e con Bush saranno i fatti a dirlo, io lo spero e ne sarei più che felice». L'incontro fra il presidente del Consiglio e il presidente americano dura circa 20 minuti in più del previsto. I temi dell'agenda, dall'Afghanistan a Guantanamo, dal G8 ai cambiamenti climatici, sono affrontati in apparenza senza distinguo. Obama ringrazia il Cavaliere per due volte su Guantanamo, per aver accettato di prendere tre ex detenuti della prigione cubana. Ribadisce che le relazioni fra i due Stati «sono strategiche, supersalde, con due popoli che si amano fra loro». Ma è quella punta di feeling personale che affiora a stupire più di tutto: Berlusconi incassa un endorsement dalla Casa Bianca che va oltre le più rosee previsioni. Il profilo è sobrio, concreto, così come l'atteggiamento del capo del governo. Parla di più Obama, per un volta il Cavaliere ascolta più che dichiarare. E le parole che vengono pronunciate vengono registrate da Palazzo Chigi con enorme soddisfazione, sono il cappello a un incontro che sui temi dell'agenda appare andato bene. Obama ringrazia «un grande amico degli Usa per la sua leadership», che guida un Paese «cruciale per la stabilizzazione in Afghanistan, con il quale abbiamo un rapporto fra i più saldi del mondo». Per il Cavaliere sono parole che lasciano ben sperare anche in vista del G8 dell'Aquila: «Vogliamo entrambi che il vertice abbia dei risultati concreti e anche se siamo consapevoli che sul corpus delle nuove regole della finanza internazionale non potrà che essere uno step, anche in vista del G20 di Pittsburgh, siamo entrambi d'accordo che occorrerà arrivare ad una cornice di regole perché la crisi che affrontiamo non si ripeta mai più». Alla fine Berlusconi parla di Obama formulando più di una lode: «Nel corso dell'incontro ho apprezzato la sua accuratezza, la precisione e il buon senso con cui interviene su ogni tema. Credo che le sorti della prima democrazia del mondo siano veramente in buone mani ». Obama sorride soddisfatto: «Spero che il mio staff abbia ascoltato bene!». Aggiunge, sui rapporti personali: «Credo che abbiamo iniziato bene, dai nostri rapporti mi aspetto il riconoscimento dei nostri rapporti supersaldi». La conferenza stampa si conclude con oltre un'ora di ritardo sugli orari previsti. Strette di mano fra i due staff: affiancano il Cavaliere Paolo Bonaiuti e Valentino Valentini, l'ambasciatore Gianni Castellaneta, il consigliere diplomatico Bruno Archi, il suo vice Marco Carnelos, lo «sherpa» Giampiero Massolo. Insieme a loro, all'ora di cena, Berlusconi si sposta al Congresso, dove vede Nancy Pelosi, speaker del Parlamento americano, con la quale esiste un eccellente rapporto personale: «Il Congresso è con L'Aquila», è il suo benvenuto a Silvio. «Ascolto Berlusconi sulla Russia» Così il presidente Obama al termine del colloquio (Afp/Samad) Traduzione Le dichiarazioni Berlusconi e di Obama sono state tradotte in modo consecutivo da due interpreti (Reuters/ Larry Downing) Marco Galluzzo

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Maroni e i presunti terroristi: sarebbe meglio non accoglierli (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 16/06/2009 - pag: 8 Maroni e i presunti terroristi: sarebbe meglio non accoglierli La Ue invita i Paesi membri ad aiutare gli Usa ROMA L'Italia accoglierà tre detenuti di Guantánamo, come ha dichiarato ieri il presidente Usa Barack Obama al termine dell'incontro con il premier Silvio Berlusconi. Potrebbe trattarsi di cittadini di nazionalità tunisina. Le richieste dell'amministrazione americana, dopo la decisione di Obama di chiudere nel gennaio 2010 la base-prigione cubana, saranno considerate dal nostro governo caso per caso, così come aveva già annunciato il ministro degli Esteri, Frattini. E a patto che gli ex prigionieri non abbiano pendenze penali in Usa. L'Italia terrà comunque conto dell'orientamento generale che è stato espresso ieri dall'Unione Europea. I ministri degli Esteri della Ue hanno infatti approvato una dichiarazione congiunta Ue-Usa sul loro accoglimento nel vecchio Continente. L'accordo fissa principi comuni (in particolare la reciproca informazione dell'avvenuta accoglienza di ex prigionieri) ma in sostanza ogni Stato poi sarà libero di decidere se ospitarne o meno qualcuno. Dei 220 prigionieri di Guantánamo la quota destinata all'Europa sarebbe di almeno 50 detenuti, di cui «due-tre» in Italia. Per quanto riguarda il nostro Paese il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha ribadito la sua personale contrarietà, già emersa nel G8 dei ministri degli Interni e della Giustizia che si è svolto a Roma a fine maggio e dove era presente l'Attorney general degli Stati Uniti. «Non siamo tanto d'accordo sul prendersi in carico i detenuti di Guantánamo», ha detto ieri in un'intervista a Radio24. «Purtroppo sostiene anche qui l'Europa ha dimostrato di non esserci: ogni Paese va per conto suo. Se anche l'Italia non li prende ma li prende la Francia, ad esempio, proprio perché siamo nell'area Schengen arrivano senza che possiamo far nulla per impedirlo. È una presa in giro». Maroni teme che in questo modo aumenti notevolmente il rischio terrorismo. «Io aveva già dichiarato penso che i Paesi Schengen debbano accogliere solo quelli che possono essere giuridicamente detenuti in carcere. Sono invece contrario ad accoglierli senza questa possibilità, altrimenti queste persone sbarcano a Fiumicino o a Malpensa e poi possono girare liberamente per il Paese». «In base all'articolo 13 della nostra Costituzione, infatti, nessuno può essere privato della libertà senza atto motivato della magistratura ed in base ad una legge dello Stato», spiega Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Consulta ed ex ministro della Giustizia. «E' importante non fare un pasticcio afferma Nicolò Zanon, ordinario di diritto costituzionale alla Statale di Milano perché se vengono mandati in Italia senza la ratifica di una Convenzione, saremo costretti a liberarli subito». Molto quindi dipenderà dall'identità dei prigionieri. Per l'Italia si continua a parlare di Riadh Nasri e Moez Fezzani, i due tunisini per i quali la Procura di Milano ha spiccato un mandato di custodia cautelare in carcere nel 2007 perché ritenuti punti di riferimento all'estero di una cellula italiana legata al gruppo salafita. Per loro il governo tunisino avrebbe già avanzata una richiesta di estradizione, quindi potrebbero rimanere nel nostro Paese per poco tempo. Il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ritiene che «che l'Ue possa e debba aiutare l'Amministrazione americana a completare con successo questo difficile compito». Un problema particolare è costituito dai detenuti cinesi di etnia uigura arrestati per aver partecipato a campi di addestramento in Afghanistan. Quattro di loro hanno già cominciato la loro nuova esistenza alle Bermuda. Gli uiguri, una minoranza musulmana che gli Stati Uniti considerano perseguitata in Cina, sono da anni un caso simbolo di quanto sia complesso risolvere il rebus giuridico di Guantánamo. L'amministrazione Bush ha ottenuto asilo politico per cinque di loro in Albania, e il governo di Barack Obama ne ha già «esportati» altri 17. I quattro arrivati nel fine settimana alle Bermuda precedono altri tredici che saranno inviati nell'arcipelago di Palau, in Micronesia, accolti «per motivi umanitari ». Non è escluso che alcuni uiguri vengano in Europa. Ma l'irritazione con cui la Gran Bretagna ha accolto la decisione di Bermuda un protettorato britannico di accettare gli ex detenuti senza informare Londra, segnala la delicatezza del caso, viste le pressione di Pechino per riavere indietro gli uiguri. M. Antonietta Calabrò

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Quelle della polizia italiana (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 16/06/2009 - pag: 8 L'identikit Fra i 220 «ospiti» del carcere in attesa di nuova destinazione ci sono anche innocenti venduti come qaedisti Quelle «vecchie conoscenze» della polizia italiana WASHINGTON I quattro militanti uiguri non avrebbero mai pensato in vita loro di scoprire il mare smeraldo delle Bermuda, approdo di turisti e yacht. Un posto dove forse «apriranno un ristorante». Una situazione non diversa da quella dei loro compagni sempre membri della minoranza musulmana cinese destinati al sonnacchioso arcipelago di Palau, nel Pacifico. Ma non è stata loro la scelta. A riservare loro questo strano futuro i servizi di sicurezza americani chiamati a risolvere la grana Guantánamo dove la pattuglia di cinesi ha marcito per anni. Con la loro liberazione il presidente Obama ha compiuto il primo passo su un sentiero difficile che dovrebbe portare alla chiusura del campo di prigionia. La questione ruota attorno al destino degli ultimi 220 «ospiti », presunti e veri terroristi di Al Qaeda. L'Unione Europea si è appena detta disposta ad accoglierne alcune decine e in Italia potrebbero arrivarne tre, compresi i tunisini Moez Fezzani e Riad Nasri, vecchie conoscenze della nostra polizia che avrebbe fatto volentieri a meno del loro ritorno. Attualmente i detenuti di Guantánamo sono ripartiti, a seconda della pericolosità, in una serie di installazioni. A Camp 4 ci sono coloro circa il 20 per cento che non dimostrano atteggiamento ribelle: vivono in dormitori, seguono corsi ed hanno accesso limitato alla tv. A Camp Iguana vivono una ventina di prigionieri destinati alla liberazione: tra loro c'erano anche i 17 uiguri. A Camp 5 e 6 i «duri». Quasi 150 prigionieri tenuti 22 ore al giorno sotto chiave. Di questo nucleo fanno parte alcuni dirigenti di Al Qaeda, compreso Khaled Sheikh Mohammed, accusato di aver preparato l'11 settembre. Il piano originario ideato dalla Casa Bianca, ma continuamente modificato, prevedeva: processi per gli irriducibili; trasferimento dei prigionieri in carceri di massima sicurezza statunitensi; possibile liberazione sul territorio americano di alcuni elementi «non pericolosi»; invio di altri in Paesi amici disposti ad accoglierli. E qualcosa si è mosso. Come la liberazione dei primi uiguri e il trasferimento a New York di Ahmed Ghailani, terrorista accusato per le stragi in Africa dell'estate 1998 e destinato ad essere giudicato da un tribunale civile. Una strada tortuosa alla quale il Congresso ha aggiunto nuovi ostacoli. I parlamentari hanno bloccato i fondi (80 milioni di dollari) necessari alla chiusura di Gitmo, quindi sono insorti contro la possibilità di ospitare in galere o liberi i «reduci». Lo slogan è presto diventato: «Non nel mio cortile di casa». Un'opposizione che ha finito per complicare i negoziati tra Washington e gli alleati. «Se non li volete voi, perché dobbiamo accoglierli noi?», è stata la posizione di diversi governi europei, inquieti anche per le scarse informazioni sui detenuti. Alcuni sono dei poveracci venduti come «qaedisti» agli americani, altri invece hanno cose da nascondere. Dei 534 elementi rimandati nei propri Paesi 74 sono tornati a fare i terroristi. L'opposizione americana Il piano di chiusura ideato dalla Casa Bianca si è scontrato con l'opposizione interna. Lo slogan è diventato: «Non nel mio cortile di casa» G. O.

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Guarguaglini: Usa centrali ma puntiamo su nuovi mercati (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 16/06/2009 - pag: 37 Finmeccanica Guarguaglini: Usa centrali ma puntiamo su nuovi mercati DAL NOSTRO INVIATO LE BOURGET (Parigi) - Gli aerei si vedono poco quest'anno al Salone francese dell'Aerospazio, e non solo per la cappa di nuvole che ne nasconde le evoluzioni. Il fatto è che lo sguardo degli espositori è puntato a terra, dove si dovrebbero chiudere contratti. Ma gli annunci, come quello dell'italo-russa SuperJet International che ha piazzato 30 dei aerei Sukhoi all'ungherese Malev, scarseggiano. Secondo il «numero uno» di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini, «ci sono i primi segnali positivi» ma, aggiunge subito, «è quello che scrivono i giornali». Per il gruppo italiano è una giornata particolare: il premier, Silvio Berlusconi, sta per incontrare il presidente degli Usa, Barack Obama e, secondo Guarguaglini, «un accenno» all'elicottero presidenziale il cui programma firmato da Finmeccanica e Lockheed Martin, è stato annullato dopo la consegna di solo 9 esemplari, «verrà fatto». La notizia che il principale concorrente, l'americana Sikorsky, abbia scritto alla Lockeed per subentrare a Agusta Westland (controllata Finmeccanica: ordini per 150 milioni al salone di Parigi) nella costruzione di un nuovo prototipo, in caso di un'altra gara, non lascia indifferenti. L'ad di Agusta, Giuseppe Orsi, precisa che proprio in mattinata Lockeed ha confermato il proprio impegno «fino alla conclusione del programma». Ma dopo? Per Orsi gli avversari «non hanno un elicottero con cui sostituire» quello attuale. Guarguaglini aggiunge che bisogna attendere le decisioni del congresso e che, se ci sarà una nuova gara, Finmeccanica parteciperà. Intanto negli Usa c'è Drs, la recente acquisizione che ha già accumulato 2 miliardi di ordini nei primi 5 mesi dell'anno e che ha fatto di quello americano, il terzo mercato domestico di Finmeccanica. Detto questo, mai come quest'anno in Finmeccanica si parla di nuovi mercati e si guarda a Est: Emirati, Russia, India e Turchia. E spunta anche la Libia, dopo la visita di Gheddafi a Roma. Il manager Il «numero uno» del gruppo Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini. Per il manager «ci sono i primi segnali positivi» Antonella Baccaro

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kobe s'è preso l'nba ora cerca un rivale vero - walter fuochi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 62 - Sport Kobe s´è preso l´Nba ora cerca un rivale vero Siena va a Milano gara 4 vale il titolo Lakers in trionfo, Bryant: "Sono un leader" L´infanzia a Reggio, i guai, la profezia (azzeccata) di Obama. Applaude anche Shaquille WALTER FUOCHI PUO´ essere il quarto titolo, e non il primo, quello che non si scorda mai, se lo senti finalmente come tuo, vinto da assoluto signore e sovrano. Così dev´esserselo goduto Kobe Bryant, alzando nella notte della Florida, dopo la finale vinta su Orlando, il quindicesimo trofeo Nba dei Los Angeles Lakers (seguito dai soliti incidenti nelle strade, 18 arresti e agenti feriti). Kobe ne aveva già conquistati altri tre, quando i gialloviola cari a Jack Nicholson infilarono il threepeat 2000-01-02, ma allora era un pivello. Reggeva la squadra sulle spalle Shaq O´Neal, il divino primate, e ne dosava la sottile regia Phil Jackson, il coach diventato maestro Zen per ammaestrare quei bizzosi, colossali purosangue. Ed è vero che Phil è ancora lì: e che anzi, salito al decimo titolo personale, è diventato il coach Nba più vincente della storia. Ma i Lakers sono ora proprietà di Kobe, e il santone se ne stava in disparte, l´altra notte, a delibar la conquista in fragranti volute di sigaro: ossia, l´accessorio più celebre dell´icona di Red Auerbach, il mito superato, quello arrivato a 9, coi titoli Nba. C´erano una volta, allora, i Lakers di Shaq & Kobe. Stavolta è lui che incarta tutto. C´era una Nba che, tramontato Jordan, cercava ancora il suo numero uno, battezzandone uno diverso ogni anno (Duncan quando vinceva San Antonio, Wade quando emerse Miami, Pierce quando tornò ad esultare Boston). Stavolta è la lega di Bryant, padrone senza limiti, almeno finché, intorno ai 24 anni famelici di LeBron James, l´antagonista possibile, i Cavalieri di Cleveland non erigeranno una squadra vera. Come lo sono i Lakers oggi, con Odom, con Fisher, con Gasol, primo spagnolo a vincere un titolo Nba. E come non erano quando, nel 2004, congedarono Shaq, costretti a spezzare una diarchia che non conviveva più, e a lungo, dentro stagioni deludenti, si chiesero se, scegliendo Kobe, avevano visto giusto. Il titolo 2009 rompe 7 anni di digiuno e corona una lunga marcia. Lo scorso anno restò chiuso solo l´uscio della finale, persa contro i Celtics, quest´anno l´esito ha sposato i pronostici: primo fra tutti, quello di Barack Obama. Il gioco delle coppie va forte anche negli States, e non solo nel bel paese di Coppi e Bartali, ma uno da issare al piano di Bryant non lo trovano. Sono lontani i dualismi storici (Russell-Chamberlain, West-Robertson, soprattutto Johnson-Bird), perché oggi l´alter ego sarebbe LeBron James, mai incrociato però in una finale, le sfide vere dove si scrive la storia. Piuttosto, questo Kobe che brilla da solo, sfidato da molti e battuto da nessuno, se non per un giorno, somiglia a quell´altra aquila solitaria, Michael Jordan, di cui sfiorò solo la coda dell´inimitata carriera. Imparagonabili, se non a distanza. Seguirebbe altro dibattito. Kobe in testa al gruppo, allora. Kobe il figlio di Joe, giocatore giramondo, chiamato come una carne giapponese. Kobe che può rispondere in dialetto reggiano, perché qui fece le elementari (e un minibasket, raccontano, neppur travolgente), e iniziò a tifare Milan. Kobe che ha rifirmato per 7 anni (137 mln di dollari), e vive oggi, ai luminosi 31 anni di una maturità distesa, altruista, una leadership che, dopo 13 stagioni dentro quell´unica maglia, è ora scorrevole naturalezza dopo essere stata spesso un grumo di rapporti complicati e prove da superare, record esaltanti (gli 81 punti in una partita) e goffe cadute, come quella dell´estate 2003, quando dovette respingere le accuse di stupro d´una cameriera e aprire lettere di sponsor milionari che disdettavano per sopravvenuta infamia. Da «giocatore egoista», come Jackson lo definì anni fa, ora «ha imparato ad essere il leader che incoraggia gli altri, conscio di dover dare per poter ricevere». Complimentato perfino dall´ex socio tradito (o traditore) O´Neal, su Twitter: «Te lo meriti, Kobe. Hai giocato alla grande». E lui: «Bene, la sfida è vinta, ora non sentirò più queste critiche idiote». Adesso, finiti i "nemici", devono solo trovargli un rivale.

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i timori del premier blindato in hotel - francesco bei (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 9 - Interni I timori del premier blindato in hotel Il Cavaliere: "Che voleva dire D´Alema?". Il Pdl teme un´inchiesta pugliese La polemica Ghedini: il premier parla di eversione in maniera atecnica e non pensa alle elezioni anticipate FRANCESCO BEI ROMA - Chiuso per un giorno intero nella suite dell´hotel St. Regis di Washington, a preparare l´incontro chiave con Obama, Silvio Berlusconi non ha smesso di tenere gli occhi puntati sull´Italia. Specie dopo l´uscita di Massimo D´Alema, che è stata analizzata al microscopio dagli uomini del Cavaliere. E così, ancora ieri, nelle sue telefonate con Roma e nei discorsi con lo staff, il presidente del Consiglio ha continuato ad arrovellarsi su quella frase sibillina di D´Alema su una possibile «scossa» che colpirà Palazzo Chigi: «Ma che voleva dire? Avrà in mente qualcosa?». Il timore di un riflesso delle vicende italiane sull´incontro alla Casa Bianca ha tenuto banco fino all´ultimo. Anche se Nicolò Ghedini - nonostante dal Pdl sia ripartito il coro di accuse contro «l´offensiva del superpartito di Repubblica» - ha provato a smorzare quell´allarme golpista lanciato dal Cavaliere davanti agli industriali: «Credo che il presidente del Consiglio - ha spiegato l´avvocato di Berlusconi - abbia individuato in uno schema giornalistico-mediatico quantomeno la fase terminale di questa vicenda, ovvero ritiene che l´amplificazione di eventi, che di per sé sarebbero neutri, facendoli diventare oggetto di campagna politica sia qualcosa che vada al di fuori della normalità. Ed è per questo che parla in maniera atecnica di eversione». Una precisazione forse dovuta, visto che l´allarme «eversione», lanciato da un presidente del Consiglio, dovrebbe far scattare adeguate contromisure da parte degli apparati dello Stato contro la presunta «centrale» golpista. E tuttavia gli uomini del Cavaliere si sono messi al lavoro, nella convinzione che la "profezia" dell´ex presidente della Quercia non fosse affatto campata per aria. Così, tra mille congetture, è tornato ad affacciarsi il timore di un´imminente, devastante, azione giudiziaria. Un colpo forte, proveniente da una di quelle procure meridionali impegnate contro la criminalità organizzata. Il sospetto dei berlusconiani è che possa essere la procura di Bari l´epicentro della «scossa» che farà tremare il governo. «C´è un brutto clima», conferma uno della cerchia stretta. Illuminante, in questo senso, la dichiarazione che un ministro solitamente poco incline alle sparate come Raffaele Fitto (che in passato, anzi, non ha mancato di manifestare la sua stima politica per D´Alema) ha rilasciato sul punto: «A quali informazioni inaccessibili ai comuni mortali ha avuto accesso D´Alema? Come mai queste doti di preveggenza si manifestano in lui proprio durante il suo soggiorno in Puglia e i suoi passaggi baresi?». E ancora: «Avrà forse ricominciato a frequentare quegli ambienti baresi in cui, a partire dai primi anni ‘90, D´Alema ha improvvisamente (ma provvidenzialmente anche per lui) garantito più di una carriera politica a chi faceva tutt´altro mestiere? E, quindi, parliamo di imprevedibili scosse o di prevedibili trame?». Nel Pdl le affermazioni un po´ criptiche di Fitto vengono brutalmente tradotte così: D´Alema avrà forse saputo qualcosa dai suoi amici magistrati. Qualcuno arriva a sospettare di più, una «regia politica» del futuro, probabile, «assalto giudiziario». Altri ancora nel Pdl ricordano il legame tra l´ex premier e due ex magistrati pugliesi, la cui fortuna politica è legata al sostegno di D´Alema: il senatore Alberto Maritati e il sindaco di Bari Michele Emiliano. Suggestioni? Fabrizio Cicchitto è convinto che i sospetti di Fitto non vadano lasciati cadere, visto che le affermazioni del ministro sono «molto significative e inquietanti». Anche Denis Verdini, coordinatore del Pdl, teme che quello evocato da D´Alema non sia soltanto uno scenario «ma si tratti di qualcosa di più serio e preoccupante, magari studiato con cura». Insomma, la temperatura a Palazzo Chigi resta alta. Il precedente del ‘94, con quell´avviso di garanzia arrivato nel bel mezzo di un consesso internazionale (allora l´Onu, domani il G8 all´Aquila) non fa dormire sonni tranquilli, oltretutto con quelle 5000 foto del Cavaliere in Sardegna ormai in giro per mezzo mondo.

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lezioni di fisica per i presidenti - marco cattaneo mario desiati (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 50 - Cultura Lo scienziato Richard Muller ha scritto un saggio per Obama (e per tutti i politici) LEZIONI DI FISICA PER I PRESIDENTI Cinque gli argomenti chiave: l´energia, il nucleare civile e militare, lo spazio, il riscaldamento globale, il terrorismo MARCO CATTANEO MARIO DESIATI vete idea di come funzioni una centrale nucleare, e di come si possa trattare il problema delle scorie? Di che cosa siano i satelliti in orbita geostazionaria? Avete capito qual è la reale entità del riscaldamento globale, quali affermazioni sono fondate e quali sono esagerazioni? E avete per caso idea di quali potrebbero essere le misure più idonee per contrastarlo e quali, invece, sono solo decisioni di vetrina? Se avete risposto di no a qualcuna di queste domande non siete ancora pronti per diventare dei leader mondiali. O almeno così la pensa Richard Muller, fisico dell´Università della California a Berkeley e ricercatore al Lawrence Berkeley Laboratory. Il punto di partenza è quasi ovvio: oggi molte decisioni cruciali, prese al massimo livello sia dai singoli capi di governo sia in sede internazionale, devono confrontarsi con delicate questioni scientifiche e tecnologiche. E spesso, troppo spesso, capi di Stato e di governo non sembrano avere una grande padronanza dei temi su cui sono chiamati a decidere, giusto per usare un eufemismo. Muller è così convinto dell´esigenza di un´alfabetizzazione scientifica dei nostri governanti da tenerci un corso universitario (le lezioni si vedono anche su YouTube), che alla fine del 2007 - prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti - è diventato un libro, Fisica per i presidenti del futuro (Codice edizioni, euro 26). Il suo libro, Muller, l´ha scritto pensando al futuro presidente degli Stati Uniti. E Barack Obama, che ha selezionato i suoi collaboratori sulla base delle competenze, ha risposto scegliendo Steven Chu, fisico e premio Nobel, per il ministero dell´Energia, uno dei gabinetti fondamentali in vista della prossima rivoluzione della produzione energetica. Da fisico, con onestà intellettuale, Muller non si addentra in materie che non conosce a fondo, e non si permette consigli non richiesti. Così si tiene alla larga da temi su cui pure i governanti meriterebbero un´infarinatura, dall´epidemiologia alle cellule staminali. Riassume invece con pragmatismo - forse addirittura con aridità, se l´aridità una volta tanto può essere considerata un pregio - i fatti e le idee fondamentali a proposito di cinque argomenti chiave della scienza, ma anche dell´economia e della politica: il terrorismo, vera ossessione americana dall´11 settembre in poi; l´energia; il nucleare, cui dedica una lunga sezione a parte, considerando sia gli aspetti civili sia quelli militari; lo spazio; e il riscaldamento globale. Perché il pericolo - dice citando Josh Billings, un umorista del XIX secolo - «non viene da quello che non conosciamo, ma da quello che crediamo sia vero e invece non lo è». Così, pagina dopo pagina, smonta miti e leggende metropolitane a proposito di alcune delle più controverse materie del nostro tempo (per esempio sullo Shuttle, che definisce un grande progetto, una grande avventura, ma impossibile, per ora, da rendere sicuro). Ma non esprime giudizi personali, o almeno quasi mai, e allo stesso tempo mette in guardia dal sottovalutare minacce che forse non abbiamo nemmeno preso in considerazione. Esemplare è il capitolo sul riscaldamento globale, un capolavoro di equilibrio tra lo smantellare affermazioni eccessive - come attribuire ogni evento meteorologico estremo al cambiamento climatico - e il raffreddare le convinzioni di chi al contrario nega recisamente che le attività umane possano avere effetti sul clima. Molto divertente il modo in cui vengono trattati gli argomenti, foto, tabelle, false credenze. E poi, un capitolo finale sulle soluzioni, anche facili, che si possono adottare. E proporre ai propri cittadini, nel caso in cui si scelga davvero la carriera politica. Il problema, in molti degli argomenti trattati da Muller, è che l´informazione che emerge dal serrato confronto interno alla comunità scientifica non riflette sempre con precisione la natura del dibattito e nemmeno le conclusioni che ne derivano. E d´altra parte la scienza si nutre di quel confronto profondo e delle sue interpretazioni, mentre all´opinione pubblica si danno in pasto fragili certezze. Così accade, anche negli Stati Uniti, che a volte i messaggi sono influenzati da una distorsione dei risultati scientifici, o addirittura da una selezione dei dati a sostegno della tesi che si vuole affermare, trascurando quelli contrari. La politica, a proposito del dibattito scientifico, non è in una posizione molto diversa dall´opinione pubblica. Non ha quasi mai gli strumenti per accedere alle fonti primarie dell´informazione, e probabilmente non avrebbe le basi per interpretarle. Forse del libro di Muller avrebbero bisogno anche i nostri parlamentari, visto lo scarso livello di alfabetizzazione scientifica che prescinde dagli schieramenti.

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ll muro dei pasdaran (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

OGNI quindici minuti, puntuale, insistente, la radio ufficiale informa gli iraniani che la Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, ha accolto la domanda dell'opposizione e ha autorizzato un'inchiesta sul contestato voto del 12 giugno. Vale a dire sulla validità della rielezione di Mahmud Ahmadinejad alla Presidenza della Repubblica. Questo non significa che la Guida suprema si rimangia la dichiarazione, con la quale, quando era ancora in corso il conteggio, sabato sera, ha confermato il risultato ufficiale, definendo una "festa" la vittoria di Ahmadinejad. Egli è però stato costretto ad accettare il ricorso di Mir Hussein Moussavi, il leader sconfitto ufficialmente ma non rassegnato. La decisione di affidare al Consiglio dei guardiani, incaricato di vagliare la pertinenza di ciò che avviene nella società politica, il giudizio sulla validità o meno del voto, significa che un acceso scontro è in corso al vertice della Repubblica islamica. Ne è del resto una prova il fatto stesso che la grande manifestazione dei sostenitori di Moussavi si sia svolta nel centro di Teheran, nonostante il divieto del Ministero degli Interni, con incidenti non tanto gravi rispetto alla posta in gioco. E in gioco c'è l'avvenire stesso della "rivoluzione"; non la sua sopravvivenza, ma la sua natura; vale a dire la svolta riformista, modernizzatrice che Moussavi vorrebbe imporle, e che Ahmadinejad invece rifiuta. Appare assai improbabile che il Consiglio dei Guardiani sconfessi Ahmadinejad e rimandi gli iraniani alle urne. Dietro il presidente ultraconservatore ci sono troppe forze e troppi interessi che si sentono minacciati. Forze e interessi radicatisi negli ultimi quattro anni, durante il mandato di Ahmadinejad, ed ora messi in discussione dai leaders riformisti, il cui avvento al governo cambierebbe la faccia della Repubblica islamica. Sia per quanto riguarda la società (maggiore autonomia del potere politico rispetto al potere religioso, sia pur senza venir meno ai principi islamici); sia per quanto riguarda i rapporti con il resto del mondo. E questi ultimi costituiscono un problema cruciale, poiché c'è la "mano tesa" di Barack Obama. OAS_RICH('Middle'); A sentirsi minacciate sono tutte le forze militari e paramilitari, e con loro la non tanto invisibile ragnatela dei servizi segreti, che Ahmadinejad ha colmato di poteri e privilegi, compresi quelli economici. Poteri e privilegi destinati ad essere ridimensionati dalle riforme promesse da Moussavi e dall'apertura verso il mondo esterno, implicita nel discorso di quelli che Ahmadinejad chiama con disprezzo i "liberali". La devozione formale di Ahmadinejad nei confronti della Guida suprema e la fretta con la quale l'ayatollah Khamenei ha manifestato la sua gioia per la riconferma del tanto devoto presidente, rivelano con chiarezza la preferenza del potere clericale. Anche se gli alti prelati sono tutt'altro che compatti nel giudicare gli avvenimenti. Le lotte intestine, di natura teologica o di prestigio, sono numerose e profonde. E non è sempre facile distinguere i conservatori dai riformisti. Un conservatore pragmatico, come l'ex presidente Rafsanjani, uno degli uomini più ricchi dell'Iran, è schierato con Mir Hussein Moussavi. E' favorevole a un'apertura all'America, e quindi contrario all'aggressiva intransigenza di Ahmadinejad nei confronti dell'Occidente. Ahmadinejad replica denunciando l'affarismo di Rafsanjani, e dichiarandosi "l'amico dei poveri pronto a tagliare le mani dei corrotti". Se l'elettorato di Moussavi è costituito in particolare dalle classi medie, quelle urbane, dai professionisti e dagli studenti; Ahmadinejad raccoglie la maggioranza dei consensi negli ambienti popolari e rurali. Oltre ad avere dietro di sé le formazioni paramilitari e molte moschee. La storia trentennale della Repubblica islamica è ricca di crisi, spesso simili a colpi di Stato. Nel giugno '81, quando la Repubblica aveva poco più di due anni, ci fu l'impeachment di Banisadr, il primo presidente della Repubblica, che fuggi dall'Iran clandestinamente e si rifugiò in Francia. Più tardi, nell'aprile '82, fu messo sotto accusa Sadegh Ghotbzadeh, stretto collaboratore di Khomeini durante l'esilio e ministro degli esteri. Ritenuto colpevole di un complotto contro il fondatore della Repubblica, Ghotbzadeh fu giustiziato sommariamente, secondo le spicciative regole dell'epoca. Più clamoroso fu l'affare Montazeri. Celebre ayatollah, designato come successore di Khomeini, Montazeri osò criticare apertamente le esecuzioni di massa avvenute alla fine della guerra con l'Iraq, nel 1989, e definì vergognosa la fatwa (equivalente a una condanna a morte) lanciata contro lo scrittore Salman Rushdie. "Nel mondo si fa strada l'idea che la nostra principale occupazione sia quella di ammazzare la gente", disse Montazeri. E Khomeini non glielo perdonò. Lo destituì come successore designato, e indicò al suo posto Ali Khamenei, oggi il principale sostenitore di Ahmadinejad. (16 giugno 2009

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I timori del premier blindato in hotel "Ma cosa voleva dire D'Alema?" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

ROMA - Chiuso per un giorno intero nella suite dell'hotel St. Regis di Washington, a preparare l'incontro chiave con Obama, Silvio Berlusconi non ha smesso di tenere gli occhi puntati sull'Italia. Specie dopo l'uscita di Massimo D'Alema, che è stata analizzata al microscopio dagli uomini del Cavaliere. E così, ancora ieri, nelle sue telefonate con Roma e nei discorsi con lo staff, il presidente del Consiglio ha continuato ad arrovellarsi su quella frase sibillina di D'Alema su una possibile "scossa" che colpirà Palazzo Chigi: "Ma che voleva dire? Avrà in mente qualcosa?". Il timore di un riflesso delle vicende italiane sull'incontro alla Casa Bianca ha tenuto banco fino all'ultimo. Anche se Nicolò Ghedini - nonostante dal Pdl sia ripartito il coro di accuse contro "l'offensiva del superpartito di Repubblica" - ha provato a smorzare quell'allarme golpista lanciato dal Cavaliere davanti agli industriali: "Credo che il presidente del Consiglio - ha spiegato l'avvocato di Berlusconi - abbia individuato in uno schema giornalistico-mediatico quantomeno la fase terminale di questa vicenda, ovvero ritiene che l'amplificazione di eventi, che di per sé sarebbero neutri, facendoli diventare oggetto di campagna politica sia qualcosa che vada al di fuori della normalità. Ed è per questo che parla in maniera atecnica di eversione". Una precisazione forse dovuta, visto che l'allarme "eversione", lanciato da un presidente del Consiglio, dovrebbe far scattare adeguate contromisure da parte degli apparati dello Stato contro la presunta "centrale" golpista. OAS_RICH('Middle'); E tuttavia gli uomini del Cavaliere si sono messi al lavoro, nella convinzione che la "profezia" dell'ex presidente della Quercia non fosse affatto campata per aria. Così, tra mille congetture, è tornato ad affacciarsi il timore di un'imminente, devastante, azione giudiziaria. Un colpo forte, proveniente da una di quelle procure meridionali impegnate contro la criminalità organizzata. Il sospetto dei berlusconiani è che possa essere la procura di Bari l'epicentro della "scossa" che farà tremare il governo. "C'è un brutto clima", conferma uno della cerchia stretta. Illuminante, in questo senso, la dichiarazione che un ministro solitamente poco incline alle sparate come Raffaele Fitto (che in passato, anzi, non ha mancato di manifestare la sua stima politica per D'Alema) ha rilasciato sul punto: "A quali informazioni inaccessibili ai comuni mortali ha avuto accesso D'Alema? Come mai queste doti di preveggenza si manifestano in lui proprio durante il suo soggiorno in Puglia e i suoi passaggi baresi?". E ancora: "Avrà forse ricominciato a frequentare quegli ambienti baresi in cui, a partire dai primi anni '90, D'Alema ha improvvisamente (ma provvidenzialmente anche per lui) garantito più di una carriera politica a chi faceva tutt'altro mestiere? E, quindi, parliamo di imprevedibili scosse o di prevedibili trame?". Nel Pdl le affermazioni un po' criptiche di Fitto vengono brutalmente tradotte così: D'Alema avrà forse saputo qualcosa dai suoi amici magistrati. Qualcuno arriva a sospettare di più, una "regia politica" del futuro, probabile, "assalto giudiziario". Altri ancora nel Pdl ricordano il legame tra l'ex premier e due ex magistrati pugliesi, la cui fortuna politica è legata al sostegno di D'Alema: il senatore Alberto Maritati e il sindaco di Bari Michele Emiliano. Suggestioni? Fabrizio Cicchitto è convinto che i sospetti di Fitto non vadano lasciati cadere, visto che le affermazioni del ministro sono "molto significative e inquietanti". Anche Denis Verdini, coordinatore del Pdl, teme che quello evocato da D'Alema non sia soltanto uno scenario "ma si tratti di qualcosa di più serio e preoccupante, magari studiato con cura". Insomma, la temperatura a Palazzo Chigi resta alta. Il precedente del '94, con quell'avviso di garanzia arrivato nel bel mezzo di un consesso internazionale (allora l'Onu, domani il G8 all'Aquila) non fa dormire sonni tranquilli, oltretutto con quelle 5000 foto del Cavaliere in Sardegna ormai in giro per mezzo mondo. (16 giugno 2009

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Da Guantanamo in arrivo tre tunisini La Russa: "A Kabul 200 carabinieri" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

TORINO Sarebbero tre tunisini, due dei quali indagati dalla procura di Milano che li accusa di aver fornito supporto logistico ad una cellula legata al gruppo Salafita, i detenuti di Guantanamo in arrivo in Italia dopo l’accordo tra il presidente americano Barak Obama e il premier Silvio Berlusconi. Secondo quanto si apprende i nomi dei tre sono già stati individuati anche se per il loro arrivo «ci vorrà tempo»: si tratterebbe di Riadh Nasri, Moez Fezzani e Abdul bin Mohammed bin Ourgy. Nasri e Fezzani furono destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nel giugno del 2007 dalla procura milanese, con l’accusa di associazione a delinquere, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e altri reati aggravati dalla finalità di terrorismo. Sono accusati di fornire supporto logistico ad una cellula del gruppo Salafita per la predicazione e il combattimento, che avrebbe reclutato persone destinate al martirio nei paesi in guerra. I fatti risalgono ad un periodo tra il 1997 e il 2001 e le indagini del Gico della Guardia di Finanza avevano accertato che per autofinanziarsi, il gruppo ricorreva anche allo spaccio di droga. Anche Ourgy avrebbe avuto dei legami, sempre a Milano, con persone dedite a reclutare volontari per l’Iraq e l’Afghanistan: la circostanza emerge da documenti dell’intelligence militare americana secondo i quali dei dieci tunisini detenuti ancora a Guantanamo, almeno cinque si trovano al centro di indagini della magistratura italiana. Secondo il Pentagono, sarebbero stati reclutati negli anni scorsi da personaggi che frequentavano il centro culturale islamico di viale Jenner. Gli altri nomi che appaiono nei documenti dell’intelligence Usa, oltre a quello di Ourgy e di Nasri, sono Ridah bin Saleh al Yazidi, Lufti bin Swei Lagha e Bil Ali Lufti. Quest’ultimo, sospettano le autorità americane, potrebbe però essere in realtà quel Moez Fezzani indagato dalla procura di Milano. Negli interrogatori a Guantanamo, Bil Ali Lufti ha ammesso di aver usato «almeno 50 nomi diversi quando era in Italia» e ha aggiunto di aver avuto «qualche piccolo problema con le autorità italiane» anche se, ha detto, «non ho mai ucciso nessuno». Intanto, l'Italia invierà altri duecento carabinieri in Afghanistan nel ruolo di addestratori della polizia e delle forze armate afgane. Lo ha confermato il ministro della Difesa Ignazio La Russa. «Facciamo un pò di chiarezza sull’Afghanistan - ha detto il ministro - il Presidente del Consiglio che ho incontrato all’aeroporto mi ha raccontato il grande successo ottenuto dall’Italia per suo tramite nella visita negli Usa. Mi ha confermato che non vi è stato alcun impegno ulteriore nel numero di soldati oltre a quello già annunciato, ma che non si è ancora verificato: ed è l’invio di 400 soldati, 50 carabineri, più gli aerei e gli elicotteri con relativi equipaggi. Semmai si è parlato di un incremento di carabinieri perchè noi siamo molto interessati ad accelerare i tempi della capacità dell’Afghanistan di essere dotati di forze di polizia e di forze armate in grado di gestire da sola».

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Iran, la protesta continua "Verifica parziale dei voti" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 16-06-2009)

Argomenti: Obama

ROMA - L'ayatollah Ali Khamenei, guida suprema iraniana, tenta di disinnescare la protesta e annuncia ufficialmente che è favorevole a un parziale riconteggio dei voti delle elezioni presidenziali iraniane di venerdì scorso. Ma a Teheran la tensione rimane altissima e anche oggi ci sono state manifestazioni contrapposte: da una parte migliaia di sostenitori del presidente rieletto Mohammud Ahmadinejad, dall'altra i partigiani di Mir Hossein Mussavi che hanno fatto un sit-in davanti alla televisione di Stato. "Se l'esame dei problemi evidenzia la necessità di ricontare i voti di alcune urne - ha detto alla tv Khamenei - ciò deve essere fatto in presenza dei rappresentanti dei candidati affinchè tutti siano sicuri del risultato". Escluso però un nuovo voto come chiesto dal leader dell'opposizione Moussavi che invece denuncia brogli e intimidazioni. Contestazione davanti alla tv di Stato. Dopo l'oceanica manifestazione di ieri che ha raccolto nella capitale due milioni di contestatori al grido di "Morte al dittatore", un nuovo raduno dei seguaci di Moussavi era previsto oggi a partire da Piazza Vali Asr, nel centro della capitale, ma quando i sostenitori di Ahmadinejad hanno annunciato una manifestazione nelle stesse strade, l'ex candidato alla presidenza ha annunciato che l'iniziativa era annullata allo scopo di "non mettere in pericolo vite umane". La manifestazione si è comunque materializzata a metà pomeriggio nel settore nord della città, a una decina di chilometri da quella governativa. Ed è sfociata in un sit-in davanti alla televisione di Stato accusata di essere "asservita al potere". Non ci sono stati scontri e non si è vista oggi la violenta repressione che ha già provocato sette morti e ha portato in prigione almeno 27 manifestanti, tra i quali diversi dirigenti del movimento riformista. OAS_RICH('Middle'); La protesta dilaga. Oggi è stata la giornata dei sostenitori di Ahmadinejad. Sono scesi in piazza a migliaia innalzando la sua foto e scandendo il nome del presidente rieletto. Una sfida tra due Iran diversi che investe tutto il Paese, dalla capitale alle grandi città di Machhad, Isfahan, Shiraz. Obama: "Rispondere al popolo". Il mondo intero è preoccupato per la situazione in Iran: l'ipotesi di ricontare i voti è un segno di timida distensione in un clima incandescente. Il presidente americano Barack Obama, si dice "turbato" per gli avvenimenti in Iran e, pur ribadendo che non interferirà, auspica "che il popolo iraniano riesca ad esprimere la sua voce e la sua aspirazione". Anche il Parlamento europeo condanna l'uso della forza: "Non è mai una soluzione", dice il presidente Hans-Gert Poettering. E il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini definisce ''molto positiva'' la decisione di ricontare i voti. Ahmadinejad attacca gli Usa. Dalla Russia, nel primo discorso pronunciato all'estero dopo le elezioni di venerdì, Ahmadinejad torna ad attaccare gli Stati Uniti. Dal vertice del Gruppo di Shanghai, il leader fondamentalista sostiene che "il sistema mondiale dominato dagli Usa non è più ammissibile. Basta con l'onnipresenza del dollaro. L'era degli imperi è finita e non tornerà più". Censura sulla stampa, resiste Twitter. La censura governativa continua a strozzare la stampa estera a Teheran. Una circolare del ministero della Cultura "invita" i giornalisti non accreditati a non seguire le manifestazioni di piazza e ad accontentarsi dei comunicati stampa degli uffici stampa ministeriali. Nei giorni scorsi, alcuni giornalisti stranieri avevano denunciato pressioni e intimidazioni. Dopo che le autorità iraniane hanno bloccato l'accesso ai siti di comunicazione sul web, resta Twitter, il sito che permette di comunicare attraverso internet con messaggini. Anche il Dipartimento di Stato Usa ha chiesto a Twitter di rinviare la manutenzione programmata per consentire lo scambio di informazioni. (16 giugno 2009

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Che cosa lega elettori e Cavaliere Nel bell'articolo di Rusconi (La Stampa, 1... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Che cosa lega elettori e Cavaliere Nel bell'articolo di Rusconi (La Stampa, 16 giugno) che spiega il fenomeno Berlusconi ai tedeschi mancano due grandi motivi che spingono e legano l'elettorato al Cavaliere: 1) La pochezza politica e l'incapacità di programmare e produrre della sinistra, inchiodata da sindacati e ideologie superate. 2) L'inefficienza della Magistratura, nella quale una piccola parte svolge prevalentemente un'attività politica, mentre il Csm permette e non punisce severamente errori gravissimi (mafiosi che escono per ritardi nel deposito delle motivazioni delle sentenze) e ritardi molto sospetti (sequestro delle foto e intervento a difesa della privacy del presidente del Consiglio italiano) con danno gravissimo d'immagine non solo a lui, ma a tutto il Paese, per la lentezza della Magistratura a difendere lo Stato.ALDO CASTELLARI L'homo italicus alla Casa Bianca Rusconi disegna da par suo il berlusconismo, identificandolo in larga misura con il «caso Italia». Aggiungerei una considerazione. C'è un altro elemento comune tra il Cavaliere e l'«homo italicus» genericamente inteso: il freno alla caratteriale effervescenza suscitato dal dialogo con chi è ad un tempo serio e potente. Si vedano le immagini televisive dell'incontro del Cavaliere con Obama e, in particolare, l'impaccio, timoroso, quasi querulo, con cui auspica che con Obama possa rinnovarsi sul piano personale la consonanza umana stabilitasi con Bush. Quale abissale differenza con l'arrogante sicurezza che di norma egli manifesta! GABRIELE MAZZACCA, NAPOLI Di Pietro come Poujade L'attuale Di Pietro mi ricorda il francese Poujade e il suo poujadismo degli Anni 50. Poujade era insorto contro il governo, inteso come centro di potere e contro l'intellettualismo dei politici. Ebbe la simpatia dei commercianti tartassati dal fisco e poi da ampi strati della popolazione. Se ben ricordo, per una o due legislature, ebbe decine e decine di deputati al Parlamento, mentre lui, intelligentemente, non si presentò come candidato. Avuto il successo, però, dovette iniziare a «fare politica» e ad ampliare i temi del poujadismo, le sue idee si appiattirono alla stregua degli altri partiti, finì per allinearsi, per poi scomparire. MARCELLO ORTERA, FANO Da Guantanamo all'Italia Il prezzo pagato da Berlusconi ad Obama per essere riammesso nel club dei dirigenti occidentali è costituito dall'aumento del nostro contingente militare in Afghanistan. Inoltre l'Italia dovrà accogliere tre prigionieri di Guantanamo non so se nelle nostre prigioni o come persone liberate da una detenzione illegale durata tanti anni in totale assenza del rispetto dei diritti dei «terroristi». A quanto pare i liberati da Guantanamo non hanno diritto di tornare nelle loro patrie ed alle loro famiglie. Ci integriamo ancora più profondamente negli interessi americani. PIETRO ANCONA Il mobbing degli alimenti Per un mancato pagamento degli alimenti, sul quale è ancora pendente un giudizio sia civile che penale, mia moglie mi ha pignorato la casa. La giustizia italiana permette la conversione del pignoramento tramite un libretto postale sul quale versare a rate l'importo dovuto ed evitare la vendita all'asta dell'immobile. Ogni mese mi devo recare presso il tribunale, ritirare il libretto, raggiungere l'unica posta abilitata a quel servizio, in pieno centro storico dove l'auto non può entrare, fare il versamento e tornare entro le 12 a riportare il libretto in cancelleria. All'interno del Palazzo di Giustizia ci sono un ufficio postale e una banca, nessuno dei due è abilitato ad effettuare queste operazioni. A casa mia questo si chiama mobbing e il mobbatore in questo caso è lo Stato. MARIO ROSSI Se l'Europarlamento lavorerà davvero Nel primo trimestre 2009 nell'Ue sono stati persi 1.916.000 posti di lavoro. È un problema continentale da affrontare in sede europea. Quale miglior momento per avanzare proposte se non questo, con tutti gli europarlamentari freschi di nomina? Sono poco meno di un'ottantina quelli che rappresentano gli italiani in Europa su un totale di 700, avrebbero il dovere morale d'intervenire sull'argomento, dicendo quello che avrebbero intenzione di fare per contrastare il fenomeno e per imprimere un netto dietrofront. Non vorrei che, passate le elezioni europee, la gente si dimenticasse che esiste un Parlamento a Bruxelles e chi è stato eletto si dimenticasse di chi gli ha permesso di arrivare a farne parte. LUCA VOLETTI, BRUXELLES Apprendisti stregoni del debito pubblico Aumenta il debito pubblico dell'Italia e aumenta ancora di più il suo peso sul Pil, in perenne discesa. In una situazione che sembra un Vesuvio pronto a esplodere, inutile andare a chiedere consigli a Obama. È illogico cercare di ottenere una soluzione da chi ha il debito pubblico più elevato al mondo (ogni americano è indebitato per 37000 dollari). Attualmente gli Usa sono all'83% del Pil, solo una trentina di punti sotto quello italiano che veleggia attorno al 110%. La situazione è destinata a peggiorare a causa dei 1000 miliardi di dollari spesi per salvare le banche e l'industria dell'auto. Per quanto ancora le nuove generazioni saranno disposte a tollerare debiti contratti da gente che non hanno mai conosciuto? Quando arriverà qualcuno che rifiuterà di pagare i debiti altrui, i politicanti non avranno più scuse e ammetteranno il proprio fallimento. MARCO TOLENGO, PASSERANO MARMORITO (AT)

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Scolari scrivono a Michelle Obama "Anche noi abbiamo l'orto biologico" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

LETTERA. I BIMBI DELLA SARACCO Scolari scrivono a Michelle Obama "Anche noi abbiamo l'orto biologico" Gli alunni della elementare Saracco di via XX Settembre hanno scritto a Michelle Obama, moglie del Presidente degli Stati Uniti, per raccontarle la propria esperienza a riguardo del loro orto che ormai da tre anni coltivano con ottimi risultati. «Siamo gli alunni delle classi terza, quarta e quinta della scuola primaria Saracco di Acqui. Abbiamo appreso dagli organi di stampa dell' orto biologico della first lady Michelle Obama, e della sua passione per i cibi naturali coltivati senza pesticidi; poiché condividiamo le sue convinzioni, abbiamo pensato di scriverle una lettera per raccontarle la nostra esperienza e scambiare con lei le nostre impressioni - spiegano gli alunni nella loro lettera tradotta in inglese -. Con l'aiuto di Slow Food, è nato il primo "School Garden" della provincia in un terreno che il Comune di Acqui ci ha messo a disposizione e nel quale, con l'aiuto dei nonni e con i nostri insegnanti, abbiamo seminato tante varietà di ortaggi (piselli, fave, spinaci, cipolle, aglio, patate, pomodori, peperoni, melanzane), ma anche fiori (lavanda, rosa, gladioli, girasoli), piante aromatiche e tre viti». Gli alunni della Saracco sottolineano inoltre che come Michelle non usano pesticidi e tantomeno piante e semi Ogm, e chiedono alla moglie del Presidente qualche consiglio su come far fronte ai piccoli problemi derivanti dal non utilizzo dei pesticidi stessi. Assieme alla lettera gli alunni della scuola elementare Saracco hanno inviato a Michelle Obama il libro da loro realizzato e dal titolo «I prodotti dell'orto».

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Marcello Coppo (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Intervento Marcello Coppo Consigliere comunale Asti Gruppo Pdl Il 21 e 22 giugno siamo chiamati a votare per il referendum elettorale. Ci sono politici dicono che sia un referendum inutile. Altri che tutti i referendum sono inutili. Tra gli elettori serpeggia la tentazione di disertare ke urne come estremo atto di protesta. Ma così, purtroppo, l'elettore farà il loro gioco. Perché se il referendum fallirà tutto resterà esattamente come prima. In questo caso non è come alle politiche. Non votare non è uno sfregio alla politica, ma è una resa di noi cittadini. Per questo sono in tanti i politici che invitano a non votare. Ci siamo mai chiesti perché di questo referendum si parla così poco? Del perché nessuno spieghi esattamente di cosa si tratta? Del perché, in questi mesi chi ha promosso questo referendum è apparso così poco nelle trasmissioni televisive? E' molto semplice: perché se non sai che ci sarà un referendum e non sai di che cosa si tratta, è molto più probabile che gli elettori non vadano a votare. E tutto resterà come prima. Oggi la politica decide dove deve andare gran parte di tutto quello che guadagno ogni anno. Decide com'è la scuola dei nostri figli, gli ospedali dove ricoverarsi, quale sarà la nostra pensione, come sono i servizi cui, come cittadini, abbiamo diritto. E personalmente non riesco ad accettare di non contare nulla. Penso che l'Italia si meriti di più. Dunque votare domenica e lunedì è particolarmente importante. I primi due quesiti referendari stabiliscono che il partito che ottiene più voti degli altri possa governare da solo, senza subire ricatti. E che si trovi di fronte un'opposizione grande, unita, coerente. E' quello che succede nelle grandi democrazie. Si chiama bipartitismo. Ma ve lo immaginate Obama che va in televisione a dire che non potrà fare una grande riforma perché un alleato di governo minaccia di farlo cadere? Oggi la politica perde gran parte del tempo nelle beghe interne alla coalizione, piuttosto che occuparsi dei problemi del paese e l'opposizione si frantuma nel tentativo reciproco dei partiti di rubarsi a vicenda qualche voto. Il terzo quesito riguarda le candidature multiple. Quel meccanismo per cui i big si candidano in tutte le circoscrizioni e scelgono loro, dopo le elezioni, quali dei trombati nominare al proprio posto. Nello scorso parlamento i trombati ripescati sono stati più di un terzo dell'intero parlamento. Credo che una politica migliore sia possibile. E credo che lo sia stato ogni qual volta i cittadini hanno fatto sentire la propria voce. Il 21 e 22 giugno, occorre far vincere la disillusione e andare a votare, per essere protagonisti di un cambiamento che oggi nessuno si aspetta. Perché domenica a vincere sia quella Italia, il paese in cui orgogliosamente crediamo, è necessario agire. E se a convincerci non basta ciò che si pensa di tanti politici, occorre riflettere su quello che la politica pensa di noi, in che conto ci tiene, come ci considera.

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ALLE PRESE CON LA COREA DEL NORD (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Barack Obama ALLE PRESE CON LA COREA DEL NORD Washington Il presidente Usa ha incontrato il collega sudcoreano Lee Myung-bak per parlare del nucleare di Pyongyang.

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Le pressioni di Ue e Usa È intervenuto il presidente Obama: La voce del popolo andrebb... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Le pressioni di Ue e Usa È intervenuto il presidente Obama: «La voce del popolo andrebbe ascoltata, non repressa». Teheran ha accusato l'Unione Europea di «ingerenze».

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"Ogni ora che passa la protesta popolare ha sempre più chance" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Intervista Efraim Halevy "Ogni ora che passa la protesta popolare ha sempre più chance" RINA MASLIAH TEL AVIV Nato in Gran Bretagna 75 anni fa, immigrato in Israele nel 1948, l'ex capo del Mossad (1998-2002) ed ex diplomatico, Efraim Halevy è oggi uno dei più informati osservatori degli eventi regionali. Ammette di essere stato sorpreso dalle grandi manifestazioni popolari in Iran, che collega alla diplomazia di Barack Obama. L'Iran marcia forse verso un avvicendamento al potere? «Quando si mettono in moto manifestazioni di massa, non possiamo misurare scientificamente o con strumenti d'intelligence la forza dei dimostranti rispetto a quella della repressione. C'è un elemento di imprevedibilità. Se una settimana fa ci fossimo chiesti se in caso di una vittoria di Ahmadinejad le masse si sarebbero riversate in strada lo avremmo escluso, anche sulla base dell'esperienza della repressione. Invece le manifestazioni ci sono state, si è creata un'onda di protesta, è un fatto. Che speranze hanno adesso i riformisti? Più riusciranno a tener duro, più le probabilità cresceranno». Ma i brogli ci sono stati davvero? «Non lo sappiamo con certezza. Però sembra strano il forte divario a favore di Ahmadinejad anche dove c'era un'atmosfera pro-Mousavi, come a Teheran e nella sua città natale. E' difficile immaginare che Mousavi non sia riuscito a ottenere la maggioranza in alcun posto. Con un understatement diciamo che i risultati sono quanto meno strani». Le conseguenze per Israele? «Non possiamo influenzare gli eventi. Quello che ci concerne è la politica nucleare dell'Iran, di fatto una politica nazionale. Anche se si avvertiranno conseguenze, non saranno immediate, non in maniera diretta. Se Mousavi dovesse prendere il potere la questione si porrebbe: può darsi che il nucleare non avrebbe la stessa priorità». Questa crisi rappresenta un banco di prova per Obama? «Indubbiamente. Fa bene a non intromettersi nelle vicende iraniane. Ma quello che succede è un risultato dello "Spirito di Obama", del "Fattore Obama": ossia dell'aver scelto quel modo specifico di rivolgersi agli iraniani, senza toni da confronto, creando in loro una voglia di dialogo con gli Usa». Nel suo discorso di domenica, Netanyahu ha dato ad Obama la risposta che voleva? «Sì, quando ha pronuciato espressamente le parole "Stato palestinese". Obama lo ha lodato. Ma il test vero riguarda le questioni pratiche: quale sarà il prossimo stadio nella colonizzazione. Sul piano dichiarativo, Netanyahu ha effettivamente "consegnato la merce" ad Obama, soddisfatto le sue aspettative. Ma l'esame vero e proprio sarà l'esecuzione della sua politica».

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"L'impero Usa è in declino" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

OBAMA E I RIVALI IRANIANI Retroscena Mentre Pyongyang rivendica il diritto alla bomba atomica "L'impero Usa è in declino" «Tra i due differenze minime Entrambi vogliono guidare un regime che ci è ostile» Ahmadinejad vola in Russia e attacca: "I capitalisti sono in ritirata" MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Teheran e Pyongyang coordinano le mosse per tenere sotto pressione Obama: Mahmud Ahmadinejad vola in Russia per ammonire Washington sulla «fine degli imperi» mentre la Corea del Nord fa sapere che «il nucleare è un nostro diritto» svelando che le «due giornaliste americane arrestate hanno confessato di aver commesso illegalità». Incurante delle tensioni in patria per il contenzioso elettorale, Ahmadinejad è arrivato a Ekaterinburg per partecipare al summit dell'Organizzazione della Cooperazione di Shanghai - che include anche Russia, Cina, India, Pakistan e repubbliche dell'Asia centrale - lanciando duri attacchi contro gli Usa. «L'ordine internazionale capitalista è in ritirata, l'età degli imperi è finita e non tornerà» ha detto Ahmadinejad dopo aver incontrato i presidenti di Russia e Cina. L'affondo contro Obama è diretto: «Non credo che Washington sia in grado di risolvere i problemi globali, l'Iraq è ancora occupato, l'Afghanistan è in preda al disordine e il problema palestinese è irrisolto mentre l'America è travolta da una crisi politico-economica che le impedisce di decidere». Se qualcuno immaginava un Ahmadinejad sulla difensiva a causa delle manifestazioni di piazza a Teheran, lui ha parlato con una grinta tesa a rilanciare la sfida ad un'America in declino: «Il capitalismo internazionale crea enormi danni, drastici cambiamenti sono inevitabili». Foto di gruppo e strette di mano con i leader di Russia e Cina hanno avvalorato l'intenzione di Ahmadinejad di essere protagonista di nuovi equilibri tesi ad emarginare tanto l'America che i suoi alleati «anch'essi incapaci di affrontare i problemi del Pianeta». Se il giorno precedente Obama aveva detto di «voler continuare il dialogo» con Teheran nonostante la crisi elettorale con un gesto di apertura verso Ahmadinejad, la risposta arrivata da Ekaterinburg lascia intendere che il presidente iraniano non si sente indebolito. Fra le spiegazioni che circolano a Washington sulla estrema sicurezza di Ahmadinejad vi sono le voci su un recente incontro a Ginevra che il vicepresidente Joe Biden avrebbe avuto con emissari iraniani: esisterebbe un canale segreto Usa-Iran che consente a Teheran di sentirsi molto influente. Altre fonti invece assicurano che Ahmadinejad si sente al sicuro «avendo fatto arrivare da Libano e Iraq gruppi di Hezbollah» per reprimere le manifestazioni dei seguaci di Mousavi. La Casa Bianca resta prudente. «Le differenze fra Ahmadinejad e Mousavi potrebbero essere minori di quanto appare, entrambi vogliono guidare un regime che ci è ostile» dice Obama alla Cnbc. Anche Pyongyang incalza gli Usa: decine di migliaia di nodcoreani riuniti sulla piazza della capitale per difendere il diritto alle armi nucleari e denunciare le più recenti sanzioni dell'Onu hanno coinciso con la pubblicazione sugli organi di stampa ufficiali delle «confessioni» delle due giornaliste americane - Euna Lee e Laura Ling - condannate a 12 anni di lavori forzati per aver varcato illegalmente la frontiera con la Cina. La risposta di Obama è arrivata al termine del summit nello Studio Ovale con il presidente sudcoreano Lee Myung-bak e, proprio come con l'Iran, ha avuto toni moderati confermando la scelta di contrastare la proliferazione nucleare attraverso la creazione di coalizioni internazionali: «Perseguiremo con vigore la denuclearizzazione della Penisola coreana, la Nord Corea non deve diventare una potenza atomica a causa delle maniere bellicose e delle minacce ai vicini». Inclusa la Cina, dove è arrivato Kim Jong Un, 26enne figlio del leader di Pyongyang.

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Il ritorno di Silvio sedotto da Obama deluso da D'Alema (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Il ritorno di Silvio sedotto da Obama deluso da D'Alema Sfogo dopo il rientro: «Massimo rovista nel torbido, tocca cancellare anche lui» L'Italia sarebbe disponibile ad accogliere fino a 5 detenuti in arrivo da Guantanamo [FIRMA]AMEDEO LA MATTINA ROMA «L'incontro con Obama ha avuto un risultato ancora più positivo di quello che mi aspettavo. Gli americani sanno scegliere sempre bene i loro leader politici». Silvio Berlusconi è entusiasta del colloquio con il presidente americano. Rientrato ieri a Roma, il premier ha detto ai suoi collaboratori di essere molto «soddisfatto», anche per ragioni politiche interne: quei 75 minuti alla Casa Bianca mettono a tacere coloro che hanno parlato di freddezza nei rapporti Italia-Usa. Per il premier ci saranno rimasti male quelli della sinistra italiana che speravano in uno "schiaffo" di Obama come prova dell'isolamento del nostro governo. E invece il bilancio è «più che positivo» per Berlusconi che ieri era di buon umore per un'altra notizia: l'archiviazione dell'inchiesta sui voli di Stato chiesta dalla Procura di Roma. A Palazzo Chigi non si parla più di «piani eversivi» orditi mandare a casa il governo. Almeno per il momento la tensione si è allentata. L'unico timore, dicono i berlusconiani, rimane per ipotetiche fotografie imbarazzanti scattate a Villa Certosa che potrebbero essere pubblicate, magari durante il G8. «Hanno cercato di attaccarmi in tutti modi in campagna elettorale, ma la manovra è fallita», ha detto il premier ai ministri Calderoli, Tremonti e La Russa incontrati a Ciampino al rientro dagli Usa. Ad alcuni parlamentari italiani in missione a Washington, Berlusconi ha parlato di «opposizione antidemocratica» che sperava in un fallimento della missione americana e di D'Alema che ha ventilato «scosse» che avrebbero mandato ko il governo: «D'Alema rovista nel torbido mentre io mi fidavo di lui. Tocca cancellare anche lui...». Berlusconi si gode il risultato della trasferta americana e nella maggioranza c'è un coro per dire che gli «uccelli del malaugurio» sono stati smentiti: ora dovrebbero riconoscere il successo ottenuto. «E' scattata una chimica personale tra Obama e Berlusconi», afferma il ministro degli Esteri Frattini. Il quale ha poi precisato di non sapere se i detenuti di Guantanamo che verranno in Italia saranno «tre o un numero diverso». «Vogliamo essere il paese in prima fila, anzi il primo paese a dare una mano agli Stati Uniti per quanto riguarda la necessaria chiusura della prigione di Guantanamo», aveva detto il premier. E infatti, secondo fonti di Palazzo Chigi, non è escluso che i detenuti siano più di tre: si parla di cinque prigionieri in arrivo da Guantanamo. «Sono entusiasta - ha detto Berlusconi ai ministri incontrati a Ciampino - Obama ha un grande carisma, ha capito che la nostra politica è assolutamente limpida». Su Gheddafi, ad esempio, il premier ha spiegato al presidente americano il motivo dell'invito del leader libico al G8: abbiamo il 15% di risorse petrolifere che arrivano dalla Libia e poi l'Italia ha il problema degli immigrati. Chi era presente all'incontro alla Casa Bianca racconta che Obama non si è espresso ma ha «assentito» con un cenno del capo. Obama ha poi chiesto a Berlusconi di spendersi sulla necessità di tenere stretta la Turchia all'Occidente. E Berlusconi ha risposto di essere totalmente d'accordo. Quanto all'Afghanistan, i diplomatici italiani hanno suggerito al nostro premier di non sbilanciarsi troppo sul numero dei carabinieri da mandare: non oltre cento. Ma Berlusconi ad Obama ha detto che saranno 200. «Gli occhi di Obama si sono illuminati», riferisce uno dei presenti all'incontro. Rientrando a Palazzo Grazioli Berlusconi ha telefonato a Putin e si è messo in contato con il premier israeliano Netanyahu. L'unica nota stonata per il premier ieri è stato l'assalto dei Palazzi della politica da parte un migliaio di sfollati abruzzesi che contestano il decreto sul terremonto. Il premier su questo decreto ci ha messo la faccia, ma mancano i fondi. Per questo oggi tornerà a L'Aquila.

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iran spaccato, mega-raduni a teheran l'ayatollah: "sì al riconteggio dei voti" - vanna vannuccini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 10 - Esteri Iran spaccato, mega-raduni a Teheran L´ayatollah: "Sì al riconteggio dei voti" L´opposizione: "Ventidue i morti". Cortei off-limits ai media stranieri Il presidente Obama: "Sono preoccupato ma non posso interferire" Moussavi: "Fermate il bagno di sangue" ma i sostenitori continuano a sfidare il regime VANNA VANNUCCINI Le proteste non si fermano a Teheran, mentre circolano notizie che le vittime della grande manifestazione di lunedì siano molto di più di quelle rese note dalla radio iraniana, che aveva parlato di sette morti durante quello che è stato descritto come «un assalto di un gruppo di dimostranti al una caserma». L´opposizione parla oggi di 22 morti e di decine di feriti, e fa un resoconto molto diverso: su tutta la via Enqelab, dove si è svolta la marcia di protesta, c´erano appostati sui tetti basiji e agenti dei servizi segreti. Quando da una casa i cecchini hanno sparato, un gruppo di dimostranti ha tentato di dare fuoco alla casa, ma a qual momento i basiji hanno risposto aprendo il fuoco e provocando diversi morti e numerosi feriti. Dopo l´immensa dimostrazione dell´opposizione di lunedì, i sostenitori di Ahmadinejad hanno cercato di riprendere il controllo della piazza annunciando a loro volta una manifestazione nella stessa piazza dove era prevista la seconda giornata di marcia degli oppositori. Poche ore prima che questa iniziasse, ieri, Moussavi ha però fatto appello ai suoi perché rinunciassero. C´era il pericolo, ha detto, di «un bagno di sangue». Ma decine di migliaia di persone che reclamano l´annullamento delle elezioni truccate sono di nuovo scese per strada nel nord di Teheran. Portavano tutti qualcosa di nero in segno di lutto, insieme ai nastrini verdi che sono l´emblema del loro candidato. Obiettivo era raggiungere la sede della televisione. La polizia presidiava massicciamente la strada e tutto il centro della città. La televisione di Stato iraniana in lingua inglese, Press TV, ha riferito di una «enorme manifestazione» dei sostenitori di Moussavi, che da piazza Vanak hanno marciato in direzione nord, verso piazza Tajrish, mentre una decina di chilometri più a sud erano radunati i sostenitori di Ahmadinejad. Se siano avvenuti scontri con la polizia sera era difficile sapere, perché il regime ha vietato ai giornalisti stranieri la copertura delle manifestazioni, e ha impedito loro di arrivare sui luoghi dove erano state indette, pena il ritiro dell´accredito stampa. I visti dei reporter che erano arrivati per coprire le elezioni non sono stati prolungati e i giornalisti residenti hanno avuto il divieto di filmare e di lasciare i loro uffici. La trasmissione in persiano della Bbc, che è rimasta l´unica fonte di informazione per gli iraniani dopo che tutti i siti internet sono stati filtrati, era ieri sera completamente oscurata. Il solo mezzo funzionante di comunicazione verso l´esterno è stato Twitter: tanto che, di fronte alla prevista sospensione del servizio per manutenzione, il Dipartimento di Stato Usa ha chiesto - e ottenuto - un rinvio per non isolare completamente i manifestanti. è il primo segnale attivo da parte di Washington, dove ieri il presidente Obama ha detto di seguire con «grande preoccupazione» gli eventi, ma di ritenere «non produttiva una ingerenza» americana. La decisione del Consiglio dei Guardiani di procedere a una riconta parziale di voti, limitata a quei seggi in cui «vi erano state contestazioni», non ha convinto i manifestanti. Il portavoce del Consiglio dei Guardiani ha detto che si esaminerà se sono avvenute vendite di voti o l´utilizzo di false carte d´identità, ma l´ayatollah Shirazi, uno dei personaggi più influenti del clero sciita, ha fatto sentire la sua voce - cosa estremamente rara nel caso di conflitti politici - per chiedere al Consiglio «di trattare le denunce di brogli con coraggio e imparzialità e fornire una risposta convincente al popolo». Il movimento di opposizione non dà segni di stanchezza. Per la prima volta la resistenza coinvolge i gruppi più disparati - dall´interno del clero sciita ai riformatori, fino agli espatriati all´estero. Ma è difficile che possa avere una chance di prevalere sulla piazza: troppo brutale, troppo forte e troppo determinato è l´apparato della sicurezza, fatto di centinaia di miglia di basiji, di servizi segreti, e delle organizzazioni delle moschee che possono essere mobilitate in pochissimo tempo. Una guerra aperta può solo perderla, ed è su quella strada che vogliono spingerla i sostenitori di Ahmadinejad. Ma se la protesta continua può essere forte abbastanza da provocare una rottura all´interno del sistema e creare forti divisioni interne. Ieri, per esempio, il presidente del parlamento Ali Larijani ha accusato il ministero dell´Interno di aver non aver fatto nulla per impedire l´attacco dei basiji alla Casa dello studente dell´università di Teheran e ha annunciato un´indagine da parte di una commissione parlamentare. Dopo questi giorni, comunque vadano le cose, la teocrazia non sarà più quella di prima e tutto il sistema sarà più instabile.

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casa bianca e della bianca - enzo costa (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina III - Genova CASA BIANCA E DELLA BIANCA ENZO COSTA Giorni fa, ascoltando il meraviglioso discorso di Obama al Cairo, ero disturbato da strane interferenze. Il Presidente Usa, malgrado (meglio, per guarire) la ferita dell´11 settembre, rimarcava le tante moschee sparse per gli Stati Uniti, ma ecco quei rumori di fondo farsi nitidi: "No agli islamici!" "Sono terroristi!" "Siamo cristiani!". Per associazione di "idee", risentivo gli strepiti anti-Moschea al Lagaccio di padani e pidiellini. Ma il loro Papi, dopo aver tubato con l´amico George, non sta cinguettando all´abbronzato Barack?

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da lapo a bobby l'eleganza si abbina con l'arcobaleno (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina V - Firenze Un occhio alle collezioni: tanti colori per battere la crisi Da Lapo a Bobby l´eleganza si abbina con l´arcobaleno I vip si aggirano fra gli stand, gli stessi compratori si fanno fotografare come in un grande set NEL salone di Pitti Uomo le collezioni per l´uomo dell´estate 2010 dichiarano la loro guerra alla crisi. Per ricominciare ad affascinare portafogli sgonfi sono colorate, fantasiose, sportive, tecnologiche, in ogni caso eleganti, di un´eleganza naturale e stropicciata. C´è di tutto in Fortezza. Daniele di Montezemolo, il fratello di Luca, fa l´indossatore di se stesso infilando giacche che appaiono eleganti ma hanno la consistenza di una camicia e si arrotolano anche in uno zaino per uscirne fuori al massimo dello chic. Replay intrattiene i compratori con un video sulla rigenerazione. Piombo ha piantato una tenda al posto dello stand ma sostiene di averla decisa prima dello sbarco romano di Gheddafi. I Brooks Brothers, che chiudono il negozio di via della Vigna perché «a Firenze non è mai andato bene» e che vendono sette milioni e mezzo di camicie nel mondo, hanno fatto le polo in 87 colori e riprodotto il gessato di JFK battezzandolo Fitzgerald. I cargo di 40Weft sognano di andare in Patagonia e si chiamano Chatwin´s pants. Sicem International presenta la collezione dentro alla riproduzione di un giardino. Le sneaker di O.X.S immaginano di camminare indietro nella beat generation. Largo ai giovani stilisti, anche. Al Pitti si annunciano i 10 finalisti del concorso europeo Play Trend promosso dalla Fondazione Museo del tessuto di Prato con la sponsorizzazione di Patrizia Pepe e il contributo di CariPrato, il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Prato e il supporto di imprese pratesi come il lanificio Becagli, Faliero Sarti, Furpile Idea, Ultra. C´è Philippe Starck che si dà alla moda insieme alla bella moglie Jasmine. Lo fa per la collezione S+arck del marchio Ballantyne dei Montezemolo: dice che le icone dell´eleganza sono la regina e Carlo d´Inghilterra che indossano gli stessi abiti da una vita. Lui crea capi indistruttibili, spiega, non solo nel senso della qualità ancorata al cachemire ma soprattutto dello spirito: perché la loro seduttività deve oltrepassare i tempi e passare di madre in figlia e, azzarda, anche in nipote. Devono servire alla vita contemporanea dove, come è capitato a lui, «la mattina «si è a Venezia, poi si prende la barca e l´aereo e la sera si va a cena a Parigi con un ministro». Doveva presentare la novità a Parigi, ha scelto Pitti e naturalmente è una vittoria per Firenze. I compratori si fanno fotografare dai fotografi/blogger di Pitti e diventano essi stessi simboli di tendenze modaiole nelle foto appese al grande muro di cento metri nel cortile della Fortezza. Lo stesso in cui Lapo Elkan appare su un camion Iveco e parla polemicamente di lui che fa «stile» e non «banale moda», di uomini eleganti «e non velini o calciatori», mostrando giacche da tuxedo in denim come anche uno dei cappelli che si fa fare dal mitico Borsalino. Nello stand Jaggy c´è il rampollo Kennedy, il giovane Bobby nipote di Bob, mostra la foto di Obama sul portafoglio e dice che la crisi è nata per colpa di Bush. Che Starck definisce «l´ultimo esempio di quell´imbecillità maschile che crede di risolvere tutto a colpi di boxe». (i.c.)

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teatro gremito per emiliano "dobbiamo guardare avanti" - paolo russo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina II - Bari Teatro gremito per Emiliano "Dobbiamo guardare avanti" Vendola: "Ormai siamo a un millimetro dalla meta" Ovazione per Russo Frattasi "Devo ammettere che sento di essere tornato a casa". Un pensiero anche per Divella: "Non meritavi di perdere" PAOLO RUSSO "Siamo a un millimetro dalla vittoria ma non sottovalutiamo la sfida: dobbiamo portare i baresi alle urne e sceglieranno Emiliano". A infiammare i tremila del teatro Team è Nichi Vendola. In un teatro gremito e sudato per il caldo e la passione, il presidente della Regione lancia la grande convention del sindaco di Bari. "Qui non ci sono i clan mafiosi a organizzare il tutto esaurito del teatro Team - ha urlato il governatore - qui ci siamo noi, quelli che lottano per il futuro di questa città e per la legalità". Con Vendola ed Emiliano, sul palco del teatro, per la prima volta c´è Mario Russo Frattasi. Prove di grande colazione. Ma il pensiero di Nichi Vendola corre veloce al grande assente della serata. "Permettetemi di salutare che dovrebbe essere qui e purtroppo non c´è" ha detto Nichi Vendola rivolgendosi Vincenzo Divella. Ma il Godot del centrosinistra non è atteso sul palco del teatro Team. "Mentre noi siamo qui confrontarci in un teatro pubblico c´è un uomo cupo che al chiuso dell´hotel Palce sta cercando di fiaccare la sua morale", ha rincarato Emiliano. "Vincenzo ti abbracciamo, non meritavi di perdere". E´ iniziato con Divella e si chiuso con le trombe dello stadio, la musica disco a tutto volume, le immagini della vittoria mondiale ed Emiliano che urlava, ormai sgolato, "Viva l´Italia!". Con il gol decisivo di Grosso che diventa metafora di una vittoria attesa e fortemente voluta. "Non vendetevi il voto, non cedete ai loro ricatti, la democrazia li seppellirà", diceva il sindaco abbracciando tutti e stringendo mani sudate. Dal fondo dalla platea una schiera di operai alza in aria le lettere di un grande striscione: "Sindaco il porto è con te". Da poche ore l´autorità portuale di Bari è stata commissariata: "Chi ci ha impedito di aprire il Petruzzelli è lo stesso che ha commissariato il porto con metodi mafiosi - ha urlato Emiliano - occuperemo il porto di Bari e impediremo a questo gesto di negazione della democrazia". Il motivo di questa convention a metà strada tra la campagna elettorale di Obama e le passerelle di Berlusconi, è il contrasto tra la legalità del centrosinistra e i metodi mafiosi degli avversari. "Mentre le persone morivano sparate per strada tu non hai pronunciato una sola volta la parola mafia e allora stai zitto adesso - ha mandato a dire Emiliano al suo sfidante - perchè qui c´è gente che la lotta alla mafia l´ha fatta sul serio". Standing ovation. "Ma c´è anche gente che ha restituito i 50 euro che hanno consegnato insieme ai santini - ha raccontato Vendola - Ci sono persone che lo hanno fatto grazie a te, Michele. Perché tu hai fatto alzare la schiena a questa città". Il paragone è con Di Cagno Abbrescia "non ha voluto liberare la Fibronit da migliaia di tonnelate di amianto per la voglia di soldi di un establishment affamato". Cita Berlinguer ma guarda anche a Moro, per Vendola la convention è una prova tecnica di grande alleanza. La stessa che spera di trovare il prossimo anno. A cementare l´incontro è Mario Russo Frattasi. "Questa alleanza del centrosinistra mi ha riportato a casa". Mario Russo Frattasi ha voluto presentarsi al pubblico di Michele Emiliano come un ritorno alle origini. "Questa alleanza del centrosinoistra mi ha riportato a casa". Mario Russo Frattasi ha voluto presentarsi al pubblico di Michele Emiliano come un ritorno. "Michele megalomane terrificante." Si vuole un bene da pazzi ma si merita il bene che tutti noi li vogliamo". Poi il candidato dell´Udc si è fatto serio: "Il livello della politica in questa città è ai minimi termini", spiega l´avvocato che racconta "schede già segnata con voti dal Pdl e la spesa pagata alla cassa: da Di Cagno Abbrescia". "Per impedire questo devi vincere tu, Michele, la parte onesta della città è con te".

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undici dee nude la spiaggia di bahia e il mago del clic - laura laurenzi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 23 - Cronaca Gli scatti di Terry Richardson Undici dee nude la spiaggia di Bahia e il mago del clic Il backstage del Calendario Pirelli 2010 LAURA LAURENZI dal nostro inviato Trancoso (Bahia) - Cosa combinerà Terry il terribile, iconoclasta provocatore del clic, cultore del nudo non puro e non patinato? Gli hanno messo in mano il giocattolo più ambito dai grandi fotografi, il Calendario Pirelli, che lui è venuto a scattare in questo angolo di paradiso tanto selvaggio e suggestivo da essere persino convenzionale. Regione del Nordeste, a quasi 800 km da Salvador de Bahia. Palme svettanti, sabbia rosa, sfondo con laguna. Siamo alla foce di Rio da Barra, nella spiaggia deserta di Trancoso, detta anche la Goa del Brasile per i trascorsi libertari. Lo shooting ha ritmi serrati. In calzoncini da bagno, busto e braccia ultra-tatuati, Terry Richardson scatta furiosamente (sembra una scena di «Blow up») a cavallo della bellissima Miranda Kerr, la filiforme e arrendevole modella australiana fidanzata con Orlando Bloom, distesa sul bagnasciuga, nuda s´intende. Foto di gruppo con tutte e 11 le modelle, tre australiane, tre inglesi, due brasiliane, un´olandese, un´ungherese e una serba. E anche quest´anno nessuna italiana. «è capitato così e basta, non chiedo alle ragazze che voglio fotografare di dove sei», spiega Richardson. Nella luce clemente e autunnale del tramonto, cambio di set. Ci si sposta nell´entroterra, accanto a una pozza cui si abbevera una mandria di bufale macilente. Le ragazze vengono fatte rotolare nel pantano, e poi fotografate vestite solo (o quasi) di fango. Ogni modella alla fine della tumultuosa settimana sarà stata oggetto di quasi duemila scatti. La selezione sarà draconiana: il Pirelli 2010 - che verrà presentato a Londra nel mese di novembre - può sopportare al massimo 60 pagine; tutto il resto sarà incenerito. Fotografo controverso e istintivo, tra i primi a ritrarre Barack Obama («una star, un divo, un uomo dall´enorme carisma») durante la corsa alle primarie, Richardson è un fanatico del realismo esasperato, del dettaglio esplicito, della provocazione. E dunque un nemico giurato dei filtri, dell´abbellimento e dell´artificio in fase di post-produzione. «Non amo dare anima alle mie foto con la tecnica, voglio che le mie immagini catturino attimi di verità. Le modelle le preferisco naturali, senza plastiche. E non faccio ritocchi. Anche se c´è un difetto lo lascio. Il mio sarà un calendario più umano e meno stilizzato». Ex punk, ex heavy metal, oggi a 46 anni ama fotografare la gente comune per strada; quanto ai divi e alle top li preferisce nature e assonnati. Scatta le sue foto nei bagni e nelle alcove, ritrae dettagli sgradevoli come una dentiera in un bicchiere, ma anche un modello che orina su un ferro da stiro fumante, una ragazza che munge una mucca con gesto masturbatorio, donne in bagno che vomitano. Anche trittici di sesso estremo, molti trans, lui stesso in un autoscatto con un suo nudo frontale, sesso orale. Nessuna autocensura. Come interpreterà i canoni (e le gabbie) del Pirelli? «Non è il mio primo lavoro perbene e trasgredirò nel limite del pubblicabile», rassicura. Come spiega questa inversione di rotta? «Si evolve, si cresce, si cambia. Quanto al nudo, sarà comunque un nudo naturale». Ora progetta di ritrarre Jack Nicholson. Ma anche Brad Pitt: «Lui però lo voglio nudo». Il più aspro fra i grandi fotografi è prediletto proprio dalle riviste più patinate, che lo coprono d´oro. Ma il direttore della comunicazione Pirelli, Andrea Imperiali, confida: «Quest´anno abbiamo speso un po´ meno».

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il premier: dagli usa torno da vincitore obama condivide la nostra politica - gianluca luzi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Interni Frattini: tra i due scattata chimica personale. Ma la stampa americana ha dato poco spazio alla visita del Cavaliere Il premier: dagli Usa torno da vincitore Obama condivide la nostra politica A Ciampino ha incontrato i ministri Calderoli, La Russa e Tremonti GIANLUCA LUZI ROMA - Lasciata Washington con il pollice alzato, nel segno di chi si sente vincitore dopo tanta ansia per la visita alla Casa Bianca, Berlusconi arriva a Roma nella tarda mattinata. E non perde tempo: esce da Palazzo Grazioli e nonostante il caldo torrido del mezzogiorno si tuffa nei negozietti di bigiotteria e oggettistica che tanto ama nei momenti di relax. Alla folla che lo abbraccia regala i soliti consigli scacciacrisi: «Spendete, consumate, mettete in circolo il denaro perché la crisi è una questione psicologica. E comunque noi ne usciremo prima e meglio di altri paesi». Del tanto sospirato incontro con Obama sulla stampa americana praticamente non c´è traccia, salvo un articolo su Usa Today che si occupa prevalentemente della disponibilità italiana a prendersi i tre tunisini ex Guantanamo. Ma Berlusconi è al settimo cielo: «Altro che gelo, come dice la sinistra - ha spiegato ai suoi - Con Obama c´è perfetta sintonia, l´Italia ne guadagna in prestigio e credibilità». A Ciampino incontra Tremonti, Calderoli e La Russa che arrivavano da Milano. Dieci minuti per raccontare i risultati del bilaterale: «Sono entusiasta, Obama ha un grande carisma, ha capito che la nostra politica è assolutamente limpida». Tra gli argomenti affrontati nelle quasi due ore di colloquio Berlusconi ha confermato che si è parlato anche dell´elicottero presidenziale prodotto da Finmeccanica che era stato messo in discussione dall´amministrazione americana a causa dei costi. «Sì, abbiamo parlato di tutto», ha confermato ieri il presidente del consiglio che ha riferito del colloquio anche al premier russo Putin e a quello israeliano Nethanyahu che ha sentito nel pomeriggio. L´arrivo dei tunisini e la disponibilità ad aumentare il contingente italiano in Afghanistan hanno già creato qualche problema nella maggioranza, ma a dimostrazione che il centrodestra intende giocare l´incontro con Obama in chiave di politica interna, si registra il grido di giubilo dei fedelissimi del centrodestra, accompagnato da un corale e metaforico gesto dell´ombrello all´indirizzo del centrosinistra colpevole di aver «gufato» contro la visita. Il ministro degli Esteri Frattini è entusiasta ed è «convinto che sia scattata la chimica personale tra i due, anche se ognuno ha il proprio carattere». Frattini trae la sua convinzione «da una serie di segnali, come il prolungamento dell´incontro alla Casa Bianca o il fatto che Obama abbia accolto Berlusconi con l´espressione "amico mio"». Tanto basta, e per il presidente del Senato Schifani «sono state cancellate le tossine della campagna elettorale americana, quando Berlusconi era più simpatizzante di Bush che di Obama: tra uomini di Stato prevale la realpolitik sulle ragioni soggettive». Ma a Roma tengono banco ancora le questioni interne, due in particolare. La prima riguarda le vicende legate alle foto di villa Certosa. Berlusconi ai ministri incontrati a Ciampino si mostra tranquillo e spiega: «Hanno cercato di attaccarmi in tutti i modi in campagna elettorale, ma la manovra è fallita». La seconda è la protesta che monta in Abruzzo e che ieri si è riversata davanti a Montecitorio sfiorando anche la residenza di Berlusconi in via del Plebiscito. Oggi, dopo aver pranzato con il capo dello Stato alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Berlusconi andrà in Abruzzo per un nuovo sopralluogo per la ricostruzione e la preparazione del G8.

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guantanamo, sì ai detenuti ma solo se in cella - carlo bonini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 9 - Interni Guantanamo, sì ai detenuti ma solo se in cella Roma tratta su quattro tunisini già ricercati. Maroni resiste, Frattini va avanti Il Pd attacca: governo inaffida-bile, il premier si impegna e un ministro dice no Di proposito sono stati individuati presunti terroristi che appena arrivati saranno arrestati CARLO BONINI ROMA - Dice il ministro degli Esteri Franco Frattini che la consegna al nostro Paese di prigionieri detenuti a Guantanamo è «decisione presa». Che il Presidente del Consiglio si è impegnato con il Presidente degli Stati Uniti e, dunque, «la parola finale è stata pronunciata». Eppure, questa storia sembra appena all´inizio. Perché la trattativa tra Washington e Roma è ancora soltanto abbozzata. Perché il numero e i nomi dei prigionieri sono tutt´altro che definiti («Non so se saranno tre o un numero diverso», dice ancora il ministro e lo stesso riferiscono fonti del Dipartimento di pubblica Sicurezza). Appesi come sono innanzitutto alle decisioni della Casa Bianca e del Pentagono (sono 60 i prigionieri da "distribuire" nella Ue). Come pure al compromesso che Berlusconi e Frattini dovranno raggiungere con la Lega, che attraverso il suo ministro dell´Interno, Roberto Maroni, si è già detta «non troppo d´accordo con una decisione in cui l´Europa ha dimostrato di non esserci. Una presa in giro in cui ogni Paese va per conto suo e lascerà i terroristi liberi di muoversi nell´area Schengen». Si spiega così allora che, a neppure ventiquattro ore dall´incontro alla Casa Bianca, il numero e i nomi dei prigionieri da accogliere in Italia fatto ballare da fonti di governo nella notte di lunedì - «tre tunisini con pendenze penali in Italia» - torni in alto mare. Perché, di fatto, svela non tanto un accordo già raggiunto, ma una proposta che, al momento, resta tutta e soltanto italiana. Esito di un lavoro di compromesso cominciato in aprile, quando l´Amministrazione americana avanza informalmente a Roma una prima richiesta che ipotizza il trasferimento nel nostro Paese di un numero di prigionieri che oscilla tra sei e sette. E´ in quelle settimane, infatti, che il nostro Dipartimento per la pubblica sicurezza e il nostro ministero di Giustizia (nella persona di Stefano Dambruoso, ex pm di Milano, ex consigliere di Frattini, oggi capo dell´ufficio coordinamento Attività Internazionali) si mettono al lavoro su una lista di nomi che possa soddisfare Washington, ma, innanzitutto, spegnere le preoccupazioni della Lega. L´obiettivo è individuare prigionieri di Guantanamo che rispondano a un requisito: abbiano pendenze penali nel nostro Paese che consentano la loro immediata detenzione non appena arrivati in Italia. La lista si riduce a quattro tunisini. Riadh Nasri, 43 anni; Moez Fezzani, 40 anni; Abdul Bin Mohammed Bin Ourgy; Adel Ben Mabrouk, 39 anni. Tutti, prima di rendersi irreperibili tra il 2000 e il 2001, hanno soggiornato in Italia. Tutti, in procedimenti diversi e in città diverse (nel caso di Nasri e Fezzani, Bologna e Milano), sono accusati di cosiddetti «reati mezzo» (falsificazione di documenti, il più comune) che ne hanno consentito l´incriminazione quali asseriti fiancheggiatori di «organizzazioni Salafite». Tutti sono inseguiti da provvedimenti di cattura. Tre di loro, (Nasri, Fezzani, Ourgy) sono stati oggetto di richieste di estradizione della procura di Milano. Due formulate ormai da tempo e a cui mai Washington ha dato risposta (Nasri e Mezzani). Una terza in itinere. Agli occhi di Palazzo Chigi, i nomi individuati a Roma e proposti a Washington hanno - a quanto riferiscono fonti diplomatiche - anche un secondo «pregio». Che ne rende negoziabile il destino. Se la Casa Bianca dovesse accettare l´indicazione sui tre tunisini per i quali pende una richiesta di custodia cautelare della Procura di Milano, l´Italia farebbe immediatamente cadere la richiesta di estradizione. E questo - osservano ancora le stesse fonti con un qualche cinismo - «soddisferebbe tutti». Washington, non estradandoli, ma espellendoli o dichiarandoli "liberabili" rinuncerebbe infatti per sempre alla propria giurisdizione su quei prigionieri, cancellando di fatto con un tratto di penna la loro esperienza nelle gabbie di Guantanamo. Roma, accogliendoli e imprigionandoli appena scesi dall´aereo che li porterà nel nostro Paese, potrà trattarli non come detenuti che hanno già scontato una parte consistente di carcerazione in un Paese straniero, ma come latitanti sorpresi all´interno dei propri confini e, dunque, infliggergli una carcerazione preventiva «piena» per i reati di cui sono accusati. I prossimi mesi diranno (Obama ha annunciato la chiusura di Guantanamo fine anno). L´opposizione, intanto, attacca con il segretario del Pd Franceschini: «Nella maggioranza esistono crepe eccome. Il presidente del Consiglio assume un impegno. Il ministro dell´Interno dice il contrario».

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Il ritorno di Silvio sedotto da Obama deluso da D'Alema (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

ROMA «L’incontro con Obama ha avuto un risultato ancora più positivo di quello che mi aspettavo. Gli americani sanno scegliere sempre bene i loro leader politici». Silvio Berlusconi è entusiasta del colloquio con il presidente americano. Rientrato ieri a Roma, il premier ha detto ai suoi collaboratori di essere molto «soddisfatto», anche per ragioni politiche interne: quei 75 minuti alla Casa Bianca mettono a tacere coloro che hanno parlato di freddezza nei rapporti Italia-Usa. Per il premier ci saranno rimasti male quelli della sinistra italiana che speravano in uno “schiaffo” di Obama come prova dell’isolamento del nostro governo. E invece il bilancio è «più che positivo» per Berlusconi che ieri era di buon umore per un’altra notizia: l’archiviazione dell’inchiesta sui voli di Stato chiesta dalla Procura di Roma. A Palazzo Chigi non si parla più di «piani eversivi» orditi mandare a casa il governo. Almeno per il momento la tensione si è allentata. L’unico timore, dicono i berlusconiani, rimane per ipotetiche fotografie imbarazzanti scattate a Villa Certosa che potrebbero essere pubblicate, magari durante il G8. «Hanno cercato di attaccarmi in tutti modi in campagna elettorale, ma la manovra è fallita», ha detto il premier ai ministri Calderoli, Tremonti e La Russa incontrati a Ciampino al rientro dagli Usa. Ad alcuni parlamentari italiani in missione a Washington, Berlusconi ha parlato di «opposizione antidemocratica» che sperava in un fallimento della missione americana e di D’Alema che ha ventilato «scosse» che avrebbero mandato ko il governo: «D’Alema rovista nel torbido mentre io mi fidavo di lui. Tocca cancellare anche lui...». Berlusconi si gode il risultato della trasferta americana e nella maggioranza c’è un coro per dire che gli «uccelli del malaugurio» sono stati smentiti: ora dovrebbero riconoscere il successo ottenuto. «E’ scattata una chimica personale tra Obama e Berlusconi», afferma il ministro degli Esteri Frattini. Il quale ha poi precisato di non sapere se i detenuti di Guantanamo che verranno in Italia saranno «tre o un numero diverso». «Vogliamo essere il paese in prima fila, anzi il primo paese a dare una mano agli Stati Uniti per quanto riguarda la necessaria chiusura della prigione di Guantanamo», aveva detto il premier. E infatti, secondo fonti di Palazzo Chigi, non è escluso che i detenuti siano più di tre: si parla di cinque prigionieri in arrivo da Guantanamo. «Sono entusiasta - ha detto Berlusconi ai ministri incontrati a Ciampino - Obama ha un grande carisma, ha capito che la nostra politica è assolutamente limpida». Su Gheddafi, ad esempio, il premier ha spiegato al presidente americano il motivo dell’invito del leader libico al G8: abbiamo il 15% di risorse petrolifere che arrivano dalla Libia e poi l’Italia ha il problema degli immigrati. Chi era presente all’incontro alla Casa Bianca racconta che Obama non si è espresso ma ha «assentito» con un cenno del capo. Obama ha poi chiesto a Berlusconi di spendersi sulla necessità di tenere stretta la Turchia all’Occidente. E Berlusconi ha risposto di essere totalmente d’accordo. Quanto all’Afghanistan, i diplomatici italiani hanno suggerito al nostro premier di non sbilanciarsi troppo sul numero dei carabinieri da mandare: non oltre cento. Ma Berlusconi ad Obama ha detto che saranno 200. «Gli occhi di Obama si sono illuminati», riferisce uno dei presenti all’incontro. Rientrando a Palazzo Grazioli Berlusconi ha telefonato a Putin e si è messo in contato con il premier israeliano Netanyahu. L’unica nota stonata per il premier ieri è stato l’assalto dei Palazzi della politica da parte un migliaio di sfollati abruzzesi che contestano il decreto sul terremonto. Il premier su questo decreto ci ha messo la faccia, ma mancano i fondi. Per questo oggi tornerà a L’Aquila.

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P oche (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 17/06/2009 - pag: 1 Italia-Usa OSTACOLI RIMOSSI E RAPPORTO PIÙ SALDO di MASSIMO GAGGI P oche bandiere, niente fanfare. Nel primo faccia a faccia tra Barack Obama e Silvio Berlusconi, quello che contava non era la «passerella»: era molto più importante riannodare i fili del dialogo in un clima di fiducia e rispetto, sgombrando il campo da equivoci e gaffe che in questa nuova stagione politica Usa avevano fatto finire i rapporti tra Roma e Washington su un piano inclinato. Quella del premier nella capitale americana è stata una visita molto operativa. CONTINUA A PAGINA 10

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Il premier soddisfatto per l'asse con Obama: ma temo altri attacchi (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 17/06/2009 - pag: 3 Il capo del governo «Perfetta sintonia con il presidente Usa» Il premier soddisfatto per l'asse con Obama: ma temo altri attacchi Lo sfogo con i suoi: vogliono delegittimarmi ROMA Ai cronisti risponde solo con un sorriso e annuendo con la testa alla domanda su come sia andato il suo incontro con Obama. Ma con il suo staff, con i ministri Tremonti, La Russa e Calderoli che ha incontrato a Ciampino e con i leader stranieri con cui ha parlato nel pomeriggio, Putin e Netanyahu, Silvio Berlusconi ha espresso tutta la sua soddisfazione per la «perfetta sintonia» registrata con il presidente americano, per quel che è sicuro diverrà «un grande rapporto tra due persone che come noi amano la concretezza», per un clima che «altro che gelido, come avrebbe voluto questa sinistra disfattista con la quale è impossibile dialogare, una sinistra che sa solo odiare e criticare e inventare di tutto per mettermi in difficoltà». E nella sinistra che lo vorrebbe vedere sconfitto e umiliato, stavolta Berlusconi mette anche quel Massimo D'Alema che evocando «scosse» lo ha «deluso »: «Anche lui ci si è messo, di nessuno ci si può fidare... Ma quelle parole sono diventate un boomerang per lui e non un danno per me, è stato costretto a fare marcia indietro ». È insomma la giornata della soddisfazione, della rivendicazione quella che segue la visita a Washington. Ma anche di un certo persistente timore che, nonostante le buone notizie l'archiviazione dell'inchiesta sui voli di Stato, la vicinanza mostrata dalla Lega all'alleato a testimonianza che «il legame con Bossi è solidissimo » qualcosa di brutto possa ancora avvenire. Insomma, il premier è davvero contento per il «grande successo » di quella che «avevano dipinto come una visita in tono minore, come se Obama mi dovesse ricevere solo per un caffè...», tutte «bugie» messe in piedi dai «soliti gruppi» che «con il caso Noemi, il caso Mills, le veline, le foto e ogni tipo di menzogna» lo stanno facendo dannare. Ma è altrettanto convinto che l'offensiva, anche se pare rallentata ed è «destinata a fallire», potrebbe come dicono dal suo entourage «riprendere in qualunque momento, e da qui al G8 la strada è lunga, ci aspettiamo altre tegole...». Insomma, per dirla con il premier «non si sa dove vogliono arrivare, ma è certo che vogliono delegittimarmi e attaccarmi in ogni modo». Sì perché adesso, superato quella che alla vigilia veniva dai più considerato «lo scoglio Obama», tutta l'attenzione di Berlusconi è concentrata sul G8, sulla buona riuscita di un vertice di cui racconta il suo portavoce Paolo Bonaiuti il premier ha parlato fin nei dettagli con il presidente Usa, dopo aver affrontato anche i capitoli Libia e Russia che «non danno alcun problema ai nostri alleati americani » anche perché il buon rapporto con Gheddafi renderebbe il nostro Paese meno dipendente nei confronti della Russia proprio dal punto di vista delle risorse energetiche. E dunque è L'Aquila oggi in cima ai pensieri del Cavaliere. Sul fronte interno, come luogo della ricostruzione e della realizzazione delle opere promesse. Su quello internazionale, come simbolo del rilancio di una leadership pesantemente offuscata dalle polemiche private. Non a caso, proprio oggi Berlusconi dopo il tradizionale incontro con il capo dello Stato e i ministri in vista del vertice europeo di domani visiterà ancora la città abruzzese e farà un sopralluogo alla caserma della Guardia di Finanza dove si terranno i lavori. Il tutto, sotto gli occhi di una popolazione che ieri ha mostrato con un gruppo di manifestanti che hanno protestato davanti palazzo Chigi e poi in piazza Venezia , che non bastano le parole ma che d'ora in poi serviranno fatti. E anche una manifestazione come questa mette in allarme uomini vicini al Cavaliere: «Anche questo fa parte di una strategia di logoramento è la denuncia : le veline, Noemi, Mills, le foto, le bugie su Obama, le voci su possibili altri guai giudiziari. E ora, il terremoto...». Paola Di Caro

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 17/06/2009 - pag: 5 «Io, Silvio e Letta, i reduci del '94 Il nostro rapporto non può cambiare» Tremonti e le voci di «complotto»: solo chi l'ha vissuto sa cos'è, senza il Cavaliere si rivota ROMA «Piacere», dice. E si presenta: «Sono il complottista ». Tremonti lo fa appena legge negli occhi dei suoi interlocutori il retropensiero: le riunioni all'Aspen, gli incontri pubblici con Prodi, quelli riservati con D'Alema, il ribaltone, la fine di Berlusconi e lui che entra a Palazzo Chigi a capo di un governo d'emergenza economica. «Piacere sono il complottista », sorride per ridicolizzare il chiacchiericcio. Non è così che ha salutato ieri il Cavaliere all'aeroporto di Ciampino, non ce n'era bisogno. Lui arrivava da Milano, il premier dagli Stati Uniti, e per un po' hanno discusso di questioni economiche, cioè della Finanziaria da impostare e del G8 da gestire, all'indomani dell'>incontro di Berlusconi con Obama «perfettamente riuscito», secondo il titolare di via XX settembre. Dopo che il presidente americano ha inserito i «global legal standard» tra gli obiettivi da raggiungere, Tremonti è parso compiaciuto: d'altronde è la prima volta che un governo italiano impone un tema nell'agenda dei Grandi della Terra. Da Washington è tornato un Cavaliere sicuramente rinfrancato rispetto ai giorni scorsi, ma ancora preoccupato per vicende interne estranee alla politica che sono all'origine del suo nervosismo scaricato con le accuse contro il «piano eversivo » ordito ai suoi danni, e rilanciato nella polemica con D'Alema che ha annunciato prossime «scosse». È stato così che lo scorso fine settimana ha preso inizio la caccia a «mister x», alla persona che «senza il voto degli italiani » dovrebbe sostituirsi a Berlusconi. Tremonti è finito nella lista, anche per via delle frizioni che a scadenza regolare lo vedono protagonista con il premier quando bisogna mettere mano al portafogli dello Stato. Non era tuttavia preventivato il modo in cui avrebbe reagito. Lo scherno, che vale più di una smentita, gli è servito per spiegare nei colloqui riservati quanto aveva già detto alla vigilia delle Europee: «Bossi non sosterrebbe alcun governo che non fosse guidato da Berlusconi. Se qualcuno ci pensa se lo levi dalla testa. In Parlamento non ci sarebbero i voti nemmeno per votare una Finanziaria e poi andare alle urne». Perciò scherza sull'etichetta che gli hanno ritagliato, tranne farsi serio quando rammenta il complotto del '94: «Solo chi l'ha vissuto può capire. Sono passati quindici anni, alcuni nel frattempo sono andati via e altri sono arrivati. Rispetto ad allora siamo rimasti in tre: Silvio, Gianni Letta e io. E nessuno dei tre vuole rivivere quell'episodio». Non smentisce i momenti difficili con Berlusconi. Anzi, di quegli episodi si serve per spiegare che «il legame tra noi non è solo politico, va oltre le questioni tecniche. È un rapporto personale, non modificabile ». «Silvio, Gianni e io». E con questo concetto Tremonti spiega che il core-business, il «nocciolo duro» dell'esecutivo resta impermeabile agli eventi, «perché aver vissuto il '94 non vuol dire solo aver vissuto un'esperienza, è avere esperienza». Resta il fatto che è stato Berlusconi a sollevare il polverone con la denuncia del «piano eversivo». E siccome in Parlamento l'opposizione non ha i numeri per farlo cadere, era implicito il riferimento a una «manina» interna alla maggioranza. Può darsi che Berlusconi fosse nervoso per l'imminente e delicatissima visita negli Stati Uniti, come può darsi che gridare al complotto fosse un escamotage per disinnescarlo. Molte ipotesi sono state fatte, mentre nei Palazzi della politica si commentava l'attivismo di alcuni grand commis. Pare che anche il «complottista» abbia condiviso il sorriso in quelle circostanze, è sicuro che ha spiegato il tutto con una battuta: «Questa vicenda è figlia dell'ozio. E l'ozio è padre dei vizi». Si riferiva così dicono «alla sinistra, che siccome non ha nulla da fare, studia progetti di rilancio, alimenta le voci di complotti ». Dopo l'esito dell'incontro tra Obama e Berlusconi c'è nel centrodestra il desiderio di placare le tensioni che pure lo attraversano, di mettere la sordina alle voci che comunque non smettono di alimentarsi. Quanto a Tremonti, avrà modo di continuare a discutere con il premier. Non ha mai smesso. La scorsa settimana, durante una chiacchierata sulla crisi, mentre il titolare dell'Economia disegnava ancora scenari a tinte forti, il Cavaliere ha detto invece di intravedere tracce d'azzurro all'orizzonte. È un canovaccio che si ripete ogni qualvolta Berlusconi si appresta a batter cassa e si sente rispondere che «non ci sono fondi». E ogni volta il contrasto viene accompagnato da una battuta. Mesi fa, al termine di una riunione di governo, Berlusconi chiese alla scorta di accompagnare il ministro alla macchina: «Sta piovendo, usate l'ombrello. Perché se prende l'acqua mi si restringe. E lui è già stretto di suo con la borsa». A Palazzo Madama Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi durante la conferenza stampa per la visita di Gheddafi Francesco Verderami

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 17/06/2009 - pag: 6 Il racconto Patrizia D'Addario in lista alle Comunali «Incontri e candidatura Ecco la mia verità» DAL NOSTRO INVIATO BARI Patrizia D'Addario è candidata nelle liste di «La Puglia prima di tutto», schieramento inserito nel Popolo della Libertà alle ultime elezioni comunali a Bari. Ha partecipato alle prime settimane di campagna elettorale al fianco del ministro per i Rapporti con le Regioni Raffaele Fitto e degli altri politici in corsa per il Pdl. Ma adesso ha deciso di rinunciare perché vuole raccontare un'altra verità. La D'Addario ha cercato il Corriere e registriamo, con la massima cautela e il beneficio d'inventario, la sua versione, trattandosi di una candidata alle amministrative. «Mi hanno messo in lista afferma perché ho partecipato a due feste a palazzo Grazioli. Ho le prove di quello che dico e voglio raccontare che cosa è successo prima che decidessi di tirarmi indietro. Il mio nome è ancora lì, ma io non ci sono più». Cominciamo dall'inizio. Quando sarebbe andata a palazzo Grazioli? «La prima volta è stato a metà dello scorso ottobre ». Chi l'ha invitata? «Un mio amico di Bari mi ha detto che voleva farmi parlare con una persona che conosceva, per partecipare a una cena che si sarebbe svolta a Roma. Io gli ho spiegato che per muovermi avrebbero dovuto pagarmi e ci siamo accordati per 2.000 euro. Allora mi ha presentato un certo Giampaolo». Qual era la proposta? «Avrei dovuto prendere un aereo per Roma e lì mi avrebbe aspettato un autista. Mi dissero subito che si trattava di una festa organizzata da Silvio Berlusconi ». E lei non ha pensato a uno scherzo? «Il mio amico è una persona di cui mi fido ciecamente. Ho capito che era vero quando mi hanno consegnato il biglietto dell'aereo». Quindi è partita? «Sì. Sono arrivata a Roma e sono andata in taxi in un albergo di via Margutta, come concordato. Un autista è venuto a prendermi e mi ha portato all'Hotel de Russie da Giampaolo. Con lui e altre due ragazze siamo entrati a palazzo Grazioli in una macchina con i vetri oscurati. Mi avevano detto che il mio nome era Alessia». E poi? «Siamo state portate in un grande salone e lì abbiamo trovato altre ragazze. Saranno state una ventina. Come antipasto c'erano pezzi di pizza e champagne. Dopo poco è arrivato Silvio Berlusconi». Lei lo aveva mai incontrato prima? «No, mai. Ha salutato tutte e poi si è fermato a parlare con me. Ho capito di averlo colpito perché mi ha chiesto che lavoro facessi e io gli ho parlato subito di un residence che voglio costruire su un terreno della mia famiglia. Ci ha mostrato i video del suo incontro con Bush, le foto delle sue ville, ha cantato e raccontato barzellette. Lei è tornata subito a Bari? «Era notte, quindi sono andata in albergo e Giampaolo mi ha detto che mi avrebbe dato soltanto mille euro perché non ero rimasta». C'è qualcuno che può confermare questa storia? «Io hole prove». Che vuole dire? «Che quella non è stata l'unica volta. Sono tornata a palazzo Grazioli dopo un paio di settimane, esattamente la sera dell'elezione di Barack Obama». Vuol dire che la notte delle presidenziali degli Stati Uniti lei era con Berlusconi? «Sì. Nessuno potrà smentirmi. Ci sono i biglietti aerei. Anche quella volta sono stata in un albergo, il Valadier. Con me c'erano altre due ragazze. Una la conoscevo bene. È stato sempre Giampaolo a organizzare tutto». E che cosa è accaduto? «Con l'autista ci ha portato nella residenza del presidente, ma quella sera non c'erano altre ospiti. Abbiamo trovato un buffet di dolci e il solito pianista. Quando mi ha visto, Berlusconi si è ricordato subito del progetto edilizio che volevo realizzare. Poi mi ha chiesto di rimanere». Si rende conto che lei sostiene di aver trascorso una notte a palazzo Grazioli? «Ho le registrazioni dei due incontri». E come fa a dimostrare che siano reali? «Si sente la sua voce e poi c'erano molti testimoni, persone che non potranno negare di avermi vista ». Scusi, ma lei va agli incontri con il registratore? «In passato ho avuto problemi seri con un uomo e da allora quando vado a incontri importanti lo porto sempre con me». E lei vuol far credere che non è stata controllata prima di entrare nella residenza romana del premier? «È così, forse sono stata abile. Ma posso assicurare che è così». E può anche provarlo? «Berlusconi mi ha telefonato la sera stessa, appena sono arrivata a Bari. E qualche giorno dopo Giampaolo mi ha invitata a tornare. Ma io ho rifiutato». A noi la sua versione sembra poco credibile... «Lo dicono i fatti. Berlusconi mi aveva promesso che avrebbe mandato due persone di sua fiducia a Bari per sbloccare la mia pratica. Non ha mantenuto i patti ed è da quel momento che non sono più voluta andare a Roma, nonostante i ripetuti inviti da parte di Giampaolo. Loro sapevano che avevo le prove dei miei due precedenti viaggi». E non si rende conto che questo è un ricatto? «Lei dice? Io posso dire che qualche giorno dopo Giampaolo ha voluto il mio curriculum perché mi disse che volevano candidarmi alle Europee». Però lei non era in quella lista? «Quando sono cominciate le polemiche sulle veline, il segretario di Giampaolo mi ha chiamata per dirmi che non era più possibile». Quindi la candidatura alle Comunali è stata un ripiego? «A fine marzo mi ha cercato Tato Greco, il nipote di Matarrese che conosco da tanto tempo. Mi ha chiesto un incontro e mi ha proposto la lista 'La Puglia prima di tutto' di cui era capolista lo zio. Io ho accettato subito, ma pochi giorni dopo ho capito che forse avevo commesso un errore». Perché? «La mia casa è stata completamente svaligiata. Mi hanno portato via cd, computer, vestiti, biancheria intima. È stato un furto molto strano». Addirittura? Ma ha presentato denuncia? «Certamente. Ma ho continuato la campagna elettorale. È andato tutto bene fino al giorno in cui Berlusconi è arrivato a Bari per la presentazione dei candidati del Pdl. Io lo aspettavo all'ingresso dell'Hotel Palace. Lui mi ha guardata, mi ha stretto la mano ed è entrato nella sala piena. Io ero in lista, quindi l'ho seguito. Ma all'ingresso della sala sono stata bloccata dagli uomini della sicurezza e del partito che mi hanno impedito di partecipare all'evento». È il motivo che adesso la spinge a raccontare questa storia? «No, avrei potuto continuare a fare campagna elettorale e trattare con loro nell'ombra. La racconto perché ho capito che mi hanno ingannata. Avevo chiesto soltanto un aiuto per un progetto al quale tengo molto e invece mi hanno usata». Fiorenza Sarzanini

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Iran: sì al riconteggio, no a un nuovo voto (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 17/06/2009 - pag: 8 Iran: sì al riconteggio, no a un nuovo voto Salgono i morti: 7. Obama: «Ahmadinejad o Mousavi? Poche differenze» DA UNO DEI NOSTRI INVIATI TEHERAN Le manifestazioni spuntano veloci in questi giorni a Teheran. Manifestazioni autorizzate e proibite. La gente esce prima dall'ufficio, lascia casa e chiede: dove si va? E, nonostante quel che rischia, ci va. La tensione si sente. Tanti hanno perso il sonno. Passano dal riso al pianto in un attimo. Il mattino di ieri è stato nero, il pomeriggio ad alta tensione, la sera di nuovo angosciante. Il corteo di chi crede alla rielezione del presidente Mahmud Ahmadinejad e quello di chi pensa a un colossale broglio hanno rischiato di venire a contatto. Così non è stato e, come lunedì, fino a che le masse sono state in strada, la polizia non è responsabilmente intervenuta. La disfida istituzionale è entrata in stallo. I contestatori hanno ottenuto che il Consiglio dei Guardiani accettasse di considerare un nuovo spoglio delle schede nei seggi dove ci sono state denunce. E' una prima concessione. Ma ai sostenitori della teoria dei brogli non basta: non importa quello che c'è nell'urna, ma quello che avrebbe dovuto esserci. Il voto va ripetuto. Anche se il presidente degli Stati Uniti Barack Obama non vede grandi differenze tra Ahmadinejad e Mousavi: «Sul piano politico potrebbero non essere così evidenti come percepito », ha detto in tv. Il mattino. Sette morti annuncia la radio pubblica, di solito così avara di cattive notizie. Lunedì notte una base di basiji, milizie governative, sarebbe stata assaltata. «Volevano impossessarsi delle armi», ha spiegato l'annunciatore. I colpevoli? Alcuni reduci dalla oceanica manifestazione di lunedì che contestava il risultato elettorale. I paramilitari si sono dovuti difendere. Dipingere quella marea umana con le mani alzate come hooligan è difficile, ma con pazienza ci si può riuscire. Il pomeriggio. I convinti dei brogli elettorali si erano dati appuntamento in Piazza Vali Asr alle 17. I sostenitori di quello stesso risultato li hanno battuti sul tempo e in Piazza Vali Asr si sono raccolti alle 15, con tanto di autorizzazione. «Siamo un solo popolo», hanno cantato invitando i rivali ad unirsi a loro. Le immagini dagli elicotteri ripetute in tv parlano di centinaia di migliaia di persone. Dal team del candidato sconfitto, Mir Hossein Mousavi, è partito un tam tam con tutti i mezzi rimasti. Pochi, visti i black-out dei messenger, degli sms e dei cellulari. «State lontani da Vali Asr per proteggere vite umane », si leggeva sul sito di Mousavi. Non sono stati i suoi uomini, però, a dare il nuovo appuntamento: qualche chilometro più a nord, in Piazza Vanak, luogo storico di tafferugli tra polizia morale e giovani insofferenti alle restrizioni su velo e lunghezza delle maniche. E' stato un mezzo successo. Chi ha potuto vederla, descrive una marcia con centinaia di migliaia di persone ancora a mani alzate e le dita a «V». Ma nella massa pacifica sono comparsi diversi insofferenti (o provocatori) che urlavano invece di tacere, rovesciavano spazzatura invece di marciare. Nel corteo anche Fahese Hashemi, figlia del grande vecchio del regime, Rafsanjani. E' una miliardaria, si dice abbia ville ovunque nel mondo ci sia mondanità. Ma fu tra le prime deputate e, a suo modo, un'efficace femminista. La sua presenza, accanto a un noto ufficiale di polizia, sembra dire che il padre non molla. Che il conflitto tra lui e gli altri vertici dello Stato, passa anche dalla piazza. La sera. La marcia degli oppositori non ha subito attacchi. Ma, come lunedì, il momento più pericoloso è il deflusso. Con l'imbrunire, provocata o intenzionale, sarebbe scattata la reazione dei basiji. Sui taxi collettivi che fanno servizio avanti e indietro come autobus lungo i 14 chilometri di Vali Asr, la voce passa da una corsa all'altra. «Un morto in Piazza Vanak». Col buio scattano gli arresti. Gli attivisti, gli studenti universitari, i più politicizzati, dormono vestiti, pronti alla cella. Si parla di 900 fermi, di raid negli ostelli universitari, di sit-in di protesta, di studenti rispediti nelle province in vacanza obbligata e di «tre giorni di lutto» proclamati dall'anziano ayatollah Montazeri, il più venerato religioso d'Iran, da decenni in rotta con i clerici al governo. Voci. Da ieri ancora più difficili da verificare. Le due piazze Imponente manifestazione pro regime. Ma l'opposizione non si ferma A. Ni. anicastro@corriere.it GUARDA i video dell'inviato Andrea Nicastro su www.corriere.it

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Da Guantánamo all'Italia forse più di tre prigionieri (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 17/06/2009 - pag: 16 Sicurezza Frattini sottolinea che la decisione spetta al capo del governo Da Guantánamo all'Italia forse più di tre prigionieri La Ue: «Si tratta di persone da rilasciare» ROMA «L'Italia è stato il Paese che ha dato per primo in modo univoco e chiaro una risposta positiva e credo che questo sia un segno doveroso di solidarietà all'America ». E' questo quello che il premier Silvio Berlusconi ha promesso al Presidente Obama, in relazione ai detenuti di Guantánamo, secondo quanto ha riferito il ministro degli Esteri Franco Frattini. «Ma non so ha detto Frattini se saranno tre, se sarà un numero diverso da tre. Aspettiamo la richiesta degli Stati Uniti». Insomma potrebbero essere anche di più. E ha aggiunto un'annotazione significativa: «Saranno in ogni caso nomi per i quali una Corte americana avrà adottato una pronuncia di disponibilità al rilascio, ossia persone che negli Stati Uniti sono dei liberati». Quanto alle perplessità del ministro dell'Interno Roberto Maroni, Frattini (ma anche il ministro della Difesa La Russa) hanno sottolineato che è «competenza del capo del governo, e quindi di Berlusconi, assumere ogni decisione al riguardo», «una decisione che io fin dal primo momento ho condiviso», ha aggiunto Frattini. Le dichiarazioni rese dal responsabile della Farnesina chiariscono alcuni termini della questione. Che del resto la Commissione europea ha messo nero su bianco nelle dichiarazioni conclusive sottoscritte lunedì a Bruxelles. In questo documento infatti «si prende nota della richiesta avanzata dal governo degli Stati Uniti di assistenza nella ricerca di una residenza per quelle persone 'cleared to release' («autorizzati al rilascio ») che per motivi di forza maggiore non possono tornare nei loro paesi di origine, ma hanno espresso il desiderio di essere ricevuti in uno o in un altro dei Paesi membri della Ue, o nei paesi associati a Schengen». Questa citazione testuale dimostra: a) che lo status di questi ex prigionieri è quello di persone libere; b) che loro stessi hanno chiesto di raggiungere il vecchio Continente, poiché non possono rientrare nei loro paesi. Non si tratta quindi nè di un'espulsione né di un trasferimento coatto (cosa che paradossalmente perpetuerebbe su scala mondiale il modello delle extraordinaries renditions). Nè tanto meno una forma di estradizione surrettizia nei confronti di Paesi dove questi prigionieri avessero commesso dei reati. E allora i nomi che sono circolati sui giornali nei giorni scorsi? Per intenderci, i tre tunisini (Moez Fezzani, Riad Nasri e Abdoul Bin Mohamed Ougi) per i quali la Procura di Milano ha spiccato un mandato di cattura in quanto di supporto al Gruppo salafita? «Per due di essi - ha detto Frattini - i nomi erano di facile associazione, perché sono due tunisini per i quali pende un processo penale in Italia. Ma se sono loro noi non lo sappiamo». E' chiaro però che se dovessero essere quei tre al momento del loro arrivo in Italia sarebbero subito associati alle patrie galere, probabilmente in un carcere di «alta sicurezza » in Lombardia (Voghera) o in Emilia Romagna (Parma). «Si mettano d'accordo». Così il segretario del Pd, Dario Franceschini, ha commentato l'intervento del ministro dell' Interno, Maroni, che si era detto contrario ad accogliere in Italia detenuti del carcere di Guantanamo. «C'è un impegno internazionale del presidente del Consiglio ha aggiunto e vedere il suo ministro dell'Interno che lo contraddice a migliaia di chilometri di distanza, significa che non si sono neppure parlati, e questo non è normale». Alle Bermuda Quattro ex detenuti di Guantánamo appartenenti alla minoranza etnica cinese degli uiguri trasferiti dal carcere cubano alle isole Bermuda (foto LaPresse/Hamilton) M.Antonietta Calabrò

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Gaza, Carter sfugge a un attentato (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 17/06/2009 - pag: 17 Missione L'ex presidente americano non cambia programma e incontra il leader di Hamas Ismail Haniyeh Gaza, Carter sfugge a un attentato Tre ordigni esplosivi ritrovati sulla strada. «Gruppi vicini ad Al Qaeda» DAL NOSTRO INVIATO GAZA Presidente, ha avuto paura? «Ho paura quando vedo tanti civili trattati come animali». Tutt'in giro ci sono le tute nere di Hamas, a fare la sicurezza. E una discreta squadra d'armadi americani che si chiamano con gli auricolari. Il trentanovesimo presidente degli Stati Uniti arriva a Gaza in un gran frastuono di sirene. Il corteo dei cinque suv delle Nazioni Unite taglia il traffico di El Rasheed Street. Va al palazzo del governo. Lo trattano da Obama, ma è solo Jimmy Carter. Venuto a incontrare Ismail Haniyeh, il capo di Hamas che per l'occasione sbuca dai sotterranei. Venuto a capire se si può trattare, e come, con un'organizzazione che gli Stati Uniti tengono sulla lista nera degl'intrattabili. Glielo fanno capire subito: il cerimoniale d'accoglienza non è quello che il vecchio Carter s'aspettava e, appena prima che la colonna diplomatica passi per il valico di Erez, gl'israeliani la stoppano. «Presidente lo informa un ufficiale dentro Gaza hanno preparato un attentato contro di lei. Le sconsigliamo di proseguire». Hanno trovato tre bombe. Stavano proprio sulla strada che da Erez porta a Gaza City. Da Hamas negano «è solo un equivoco, un uomo che trasportava bombole di gas e s'è diretto troppo in fretta su quella strada» ma diversi testimoni raccontano d'aver visto (e sentito) l'esplosivo fatto brillare dagli artificieri. Lo staff di Carter conferma: «C'è stato un briefing su questo problema, ma s'è deciso di non cambiare programma ». In mano una lettera che l'esausto papà di Gilad Shalit gli ha consegnato domenica nei giardini dell'American Colony di Gerusalemme, l'ex presidente è andato per la sua via: ha dato la busta per il soldato rapito a un portavoce di Hamas e come ricevuta di ritorno s'è accontentato d'una promessa, «la daremo al destinatario ». A preoccupare non è tanto chi volessero colpire un simpatico ottantaquattrenne che non conta quasi niente ma chi volesse colpire: gente vicina ad Al Qaeda, dice una fonte di Hamas, che per avere visibilità è pronta a sacrificare anche un politico che ha da sempre sulle corna la politica israeliana e pure qui, di fronte alle macerie dell'American School, non esita a sentirsi «responsabile per il mio Paese che fabbrica gli F-16 con cui vi bombardano ». Le azioni e gli attentati delle ultime settimane perfino una squadra di cavalli imbottita d'esplosivo e lanciata contro obbiettivi israeliani dimostrano che non tutto, a Gaza, si muove sotto l'ombrello di Hamas, almeno in apparenza. I soldati di Allah, l'organizzazione Junur Hansad Allah, circa 500 uomini che s'addestrano indisturbati sulle spiagge della Striscia e rispondono agli ordini d'un siriano, Abu Abdullah, hanno tutte le caratteristiche delle cellule fondamentaliste: barbe lunghe, difficilisimi da avvicinare, il proiettile in canna. Un insieme di pachistani, yemeniti, egiziani che Hamas ufficialmente detesta, perché non rispondono a una direzione strategica centrale, ma di fatto tollera. Perché servono a tenere alta la tensione. E a far capire, quando cala, che a Gaza non si scherza. L'incontro L'ex presidente americano, Jimmy Carter, con il capo di Hamas, Ismail Haniyeh. I due hanno tenuto ieri una conferenza stampa congiunta a Gaza F. Bat.

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Nasce il dandy (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Cronache data: 17/06/2009 - pag: 29 Pitti Uomo Aperta la rassegna di Firenze. Cappello di paglia, jeans colorati e blazer con tessuti naturali e taglio corto Nasce il dandy «ecocompatibile» Da Bobby Kennedy a Lapo Elkann: sarà lo stile dei nuovi Mastroianni Non è difficile trovarlo di questi tempi, il giovane dandy ecocompatibile. Eccolo aggirarsi in carne e ossa quando non è «in manichino» fra gli stand del Pitti, la grande rassegna di moda maschile che si è aperta ieri tra sorrisi e ottimismi. Perché comunque nessun «più», ma neppure i «meno» previsti: giro d'affari 2008 del settore oltre i 9 miliardi di euro, meno 0,8 per cento rispetto al 2007. Qualcosina di meglio delle cifre di gennaio che segnava il meno 1,2 per cento. Sarà quindi per questo che c'è qualcosa nell'aria di questo Pitti numero 76, se non è ottimismo è speranza e qualche anno in meno fra le persone che si aggirano fra gli stand e nelle nuove proposte presentate. Dice per esempio Lapo Elkann fra le sue giacche e suoi pantaloni freschi Italian Independent, eleganti e colorati che non è più tempo di velini, calciatori e tronisti. «La crisi spazzerà via la mediocrità e resterà lo stile, giovane, dei nuovi Mastroianni e delle nuove Brigitte Bardot ». Dall'altra parte del cortile, al megastand di Jaggy, pantaloni cult made in Torino, un venticinquenne altrettanto famoso, solo un po' più pacioso, quel Bobby Kennedy, nipote di Robert ed Ethel, figlio di Ted: jeans colorato, camicia bianca di lino aperta, cappello di paglia, portafoglio con santino Obama appiccicato: «Tutta la mia famiglia ha una foto sua con sé, nonna Ethel fu la prima a credere in lui». E con Jaggy perché «eleganza, giovane e moderna e fresca dice abbracciando giacche e accarezzando jeans e parlando un bel italiano . Ho studiato a Bologna e ora girerò un film che parla dell'Italia (abiti Jaggy naturalmente, ndr) e di un venticinquenne americano che la scopra: vera e solare, cucina e moda e cultura». Bobby si sta battendo per i diritti dell'acqua nel mondo. «Le battaglie ecologiche devono appartenere alle nostre generazioni». Facile per un Kennedy? «Facile perché hai tante possibilità, difficile perché hai più responsabilità ». C'è qualcosa nell'aria, si diceva. Da Corneliani, padre e figlio, in ottima forma, vanno ben fieri di una botta di colore e spensieratezza alla prima linea di solito più seriosa: tavolozza degna del Magritte per una serie di giacche false-unite in trame e tessuti di lini e sete e cachemire dal peso super leggero. Dettaglio tecnico-modaiolo: il blazer s'accorcia. Prendere nota. Da Brooks Brothers l'intervento di «sfilatura» di tendenza è la nuova camicia doppio super, solo per il giovanotto europeo che non deve chiedere mai. Il tutto in colori e colori e colori: dal menta al rosa, al bluette al lillà. Double, o di qua o di là, ça va sans dire, con Daniele di Montezemolo, alias Twin, che rallegra cosi i suoi doppi blazer-pull, fra tinte forte, pied de poule o righe. Gli anni, l'impermeabilizzato giovin signore di Allegri, se li era già tolti: tre linee per ogni tasca e phisyque du role di capi con piglio moderno, dal trench cortino alla sahariana più lunga. Fuori, al centro della Fortezza, su una lunga staccionata, ogni giorno c'è chi appenderà le foto di chi va e chi viene: un'altra iniziativa giovane di questo Pitti. L'ad Raffaello Napoleone è soddisfatto così Gaetano Marzotto e Lapo Cianchi, presidente e segretario generale, che premiano un «giovanotto» ante litteram come Remo Ruffini, (patron di Moncler, Marina Yachting, W+C+H, Henry Cottons) quale imprenditore dell'anno e Beppe Modenese e Mariella Milani, giornalista Rai, alla carriera. Voglia di osare Tinte forti per le giacche come in una tavolozza di Magritte. E le camicie vanno dal menta al lillà Pa. Po.

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Natura selvaggia e sensualità, il Brasile sexy di 2010 (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Cronache data: 17/06/2009 - pag: 29 Il calendario Pirelli A Porto Segundo sul set fotografico in un'atmosfera anni Settanta. Terry Richardson: «Corpi in libertà senza limiti» Natura selvaggia e sensualità, il Brasile sexy di «The Cal» 2010 DAL NOSTRO INVIATO PORTO SEGUNDO Catherine, Eniko, Ana e le altre se ne stavano lì, nude-nude, a prendere il sole, chiacchierando. Una distesa surreale ma tutt'uno con la natura lussureggiante e sfacciata, vagamente hippy. Gambe lunghe e sottili, come le braccia, e i fianchi e i capelli. Ragazze in attesa, compita, del proprio turno all'obiettivo «hot» di Terry Richardson. Lui, il «rocktografo», in bermuda a asciugamano a mo' di mantello, qualche centinaio di metri più in là, alla foce del Rio da Barra, un angolo di paradiso, a pochi chilometri da Porto Segundo di Bahia: foresta, spiaggia, mare e silenzio. Ecco gli ingredienti sul set di The Cal, il calendario Pirelli dal 1964, aggiornato al 2010 dal Brasile. Atmosfera anni 70, libertà di corpi e movimenti. Natura e spensieratezza. Semplicità e «nessun limite diceva Richardson alla fine di una giornata senza sosta . Come in tutti i lavori ho voluto provare, esplorare cose nuove. Ben sapendo che queste immagini saranno viste da molti e per molto tempo. E dovranno ritornarci ancora ». Per questo alla prova è stato chiamato il fotografo che gioca con il porno ma che ha immortalato il primo Barack Obama, quando il presidente degli Stati Uniti era solo un candidato. «Ci sarà più nudo sì, e anche qualche vestito. Obama? Un uomo che quando entra in una stanza la illumina». Ragazze stupende, giovani e magrissime: «Direi che sono semplicemente diverse, alte, magre, voluttuose, sexy, con le curve, senza curve. Vere e naturali ». Un tempo Richardson era l'uomo che diceva che prima di una foto, sesso: « Oh my god. Quando cominci e sei giovane e sei etero e ti piacciono le ragazze come fai a non tremare. Ora non più, cioè le donne mi piacciono ma penso a inventare, a disegnare le foto, all'ambiente, così mi distraggo». Sul set è dolce e premuroso: quando la modella usciva intirizzita dal freddo, dopo decine e decine di minuti a rotolarsi nella corrente del Barra, lui l'avvolgeva con il suo mantello di spugna Pzero, molto cavaliere mascherato. L'obiettivo sempre puntato lì: «Nessun problema diceva Miranda, australiana, classe 1983, fidanzata famosa (lui è Orlando Bloom) preoccupata per lo più che qualcun altro scattasse e divulgasse ; siamo tutte ragazze consapevoli che il calendario Pirelli è un'occasione speciale, unica, irripetibile e se poi tu hai un buon rapporto con il tuo corpo, perché dovresti vergognartene? Troppo magra? Assolutamente no, mi sono diplomata nutrizionista, solo detesto il cibo spazzatura. e non mangio i canguri». Ragazze più che sveglie: undici in tutto (dai 19 ai 26 anni). Perché non un'italiana? ». Clicchi Terry Richardson e ci si ritrova in un meandro di siti porno. «Davvero? Non mi è mai successo, a voi perché sì?», riusciva a tener testa l'uomo, figlio d'arte (il padre era Bob, grande fotografo in bianco e nero amico di Newton, la madre Annie Lomax, stylist di moda) e con un trascorso di studente in estetista-parrucchiere. Pantaloni del pigiama («Sono così comodi») e tatuaggi ovunque: «L'unico a cui tengo è questo a sinistra, è una mia foto da bambino, l'ultima felice, prima che mia madre entrasse in coma dopo un incidente». Chi dopo vorrebbe fotografare nudo/a: «Chiunque abbia di fronte». Sentimento e provocazione. Molto The Cal. Natura e sensualità Il backstage del calendario Pirelli, tra la vegetazione tropicale del Brasile. Di spalle, il fotografo Terry Richardson: sopra, una modella con un piccolo bradipo Paola Pollo

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Ostacoli rimossi rapporto più saldo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 17/06/2009 - pag: 10 ITALIA-USA Ostacoli rimossi rapporto più saldo di MASSIMO GAGGI SEGUE DALLA PRIMA Berlusconi, che veniva da un periodo difficile, ha ottenuto l'apertura di credito di Obama che era il suo obiettivo primario. Ed ha capito che gli sgambetti internazionali temuti da qualcuno nel suo entourage, se mai ci saranno, non verranno dal partner americano. Palcoscenico e riflettori li avrà fra tre settimane a L'Aquila, dove sarà il padrone di casa del G 8. A parte qualche battuta infelice dei mesi scorsi e le diffidenze suscitate dalla calda amicizia che lega il premier italiano a George Bush, sul campo dei rapporti Italia-Usa erano sorti, pian piano, ostacoli di vario tipo: da quelli legati ai legami di Berlusconi con la Russia di Putin, ai rapporti commerciali dell'Italia con l'Iran, mentre Roma ha vissuto male la cancellazione, da parte americana, del programma Vh71: il nuovo elicottero per la Casa Bianca prodotto dalla Lockheed, ma basato su un progetto Agusta-Westland (gruppo Finmeccanica). C'era poi stata la lunga visita di Gheddafi a Roma, disseminata d'incidenti e dichiarazioni antiamericane del leader libico. Questi ostacoli sono stati in gran parte rimossi. Obama si è mostrato incuriosito soprattutto dagli aspetti folcloristici della visita del rais: la tenda a Villa Pamphili, i due cammelli regalati al premier italiano. Berlusconi ha chiarito che quella calda accoglienza era stata concepita soprattutto per chiudere in modo definitivo la lunga era post-coloniale del risentimento e delle rivendicazioni libiche. Obama è apparso molto più interessato al rafforzamento del contingente italiano in Afghanistan e, soprattutto, ai tre detenuti di Guantanamo che Berlusconi ha promesso di accogliere. Ambasciata e «sherpa » della Farnesina avevano capito che un aiuto a risolvere lo spinoso problema della chiusura del centro di detenzione nell'isola di Cuba sarebbe stato in questo momento il gesto più gradito dalla Casa Bianca. Obama ha ricambiato non solo mostrando apprezzamento personale per Berlusconi, ma sostenendo di aver aver ascoltato con interesse i suoi consigli sulla Russia. Il dossier Mosca, in realtà, rimane sul tavolo, così come non sono risolte alcune divergenze politiche sul-- l'Iran, anche se sul piano commerciale l'Eni ha evitato di avviare nuovi investimenti e l'Italia ha rallentato gli scambi commerciali, proprio mentre Germania e Francia sembrano, invece, seguire un percorso opposto. A luglio, all'Aquila, si dovrebbe poter discutere avendo le idee più chiare su ciò che è avvenuto a Teheran. Anche sull'elicottero gli italiani sperano in qualche apertura. Lunedì l'argomento non è stato toccato direttamente dai due leader, ma la delegazione al seguito di Berlusconi ne ha parlato col generale James Jones, il consigliere per la sicurezza nazionale di Obama, sollecitando un recupero almeno parziale del programma, visto che alcuni degli elicotteri sono già stati costruiti con un costo, per il governo Usa, superiore ai 3 miliardi di dollari. Jones ha promesso un riesame attento e una risposta che potrebbe venire già a margine del G8. Non si è parlato, invece, di Fiat che, del resto, negli Usa procede speditamente sulle sue gambe: Chrysler, riemersa la settimana scorsa dalla bancarotta e ora guidata da un manager italiano, ieri ha riaperto il primo stabilimento. Oggi, in America, facciamo notizia soprattutto per questo: la gente è curiosa di vedere come l'italian style verrà usato per vendere agli americani vetture a basso consumo.

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<G (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 17/06/2009 - pag: 10 CENTRODESTRA E CENTROSINISTRA Tutti i rischi del complottismo di PIERLUIGI BATTISTA «G olpe», addirittura. Sono giorni che nel centrodestra non si fa che denunciare oscure trame. «Piani preparati con cura» nelle segrete stanze dei «poteri straccioni » (Renato Brunetta). Fabbricati da un tenebroso «superpartito » (Fabrizio Cicchitto). Mossi da torbide «manine» di cui si riconoscono «precise origini politicoeditoriali». Con l'ipotesi, in aggiunta, di un concorso nientemeno che delle mai dome Br (Roberto Maroni, ministro dell'Interno). Cosa accade? Cosa ribolle in un centrodestra che pure ama autorappresentarsi come un record di saldezza e popolarità? Se il complottismo alberga con più frequenza nelle corde emotive della sinistra, stavolta sembra trovare rifugio ed espressione nel campo opposto. Se il «paradigma cospirazionista » raccontato da Daniel Pipes ispira di più il senso teatrale della storia (i buoni contro i cattivi, il Bene contro il Male) caro alla psicologia progressista, ora quel paradigma sembra dominare le ossessioni del centrodestra. Si materializzano gli eterni incubi dell'ostilità «internazionale» (la stampa estera, «lo squalo Murdoch »), delle inchieste giudiziarie, delle lobby giornalistiche, dei sempre attivi «poteri forti», del complotto dell'establishment, delle congiure infinite delle élite italiane che non hanno mai digerito il grande outsider, il magnate della tv capace di travolgere la politica tradizionale, armato di un consenso popolare straordinariamente stabile e appassionato. E tutto in un mese, quando ancora non era svanita l'immagine del Berlusconi che con il fazzoletto partigiano del 25 aprile sembrava il capo incontrastato dell'Italia. Con l'opposizione atterrata. L'opinione pubblica stregata. Nonostante la crisi. Malgrado il nuovo '29. Poi, il privato che irrompe prepotentemente nell'arena pubblica. E in questi ultimi giorni la «scossa» evocata da Massimo D'Alema. Una «scossa» che secondo D'Alema potrebbe partire addirittura dalla cerchia interna al mondo berlusconiano, nientemeno dall'inner circle che circonda il premier e forma l'ossatura dirigente del centrodestra. La sortita di D'Alema nel Pd ha l'effetto di un autogol (con Franceschini che, meritoriamente, dice di non essere un esperto in complotti; con Veltroni che subito annuncia il suo ritorno a fianco del segretario che lo ha sostituito). Ma nel campo avversario alimenta ed esaspera sospetti e malumori, accorcia la distanza tra chi orchestrerebbe il complotto e chi dovrebbe esserne vittima, indicando talpe, manovre, doppiogiochisti, trepidazioni nervose attorno a una ipotetica ora X: il «golpe», con il suo ovvio contorno di «generali e colonnelli felloni» pronti a tradire. Proiezioni psico-politiche che acuiscono la sindrome complottista fino al parossismo, proprio nelle ore in cui Berlusconi incassa un eccellente risultato d'immagine a fianco del presidente Obama. Ma il linguaggio dei complottisti sembra ricalcato sugli stilemi classici del cospirazionismo di sinistra. Ci mancano solo gli «spezzoni deviati», i «poteri occulti», il «doppio Stato», i «mandanti a volto coperto». E si evoca il fantasma dei «servizi segreti» (infedeli) nell'attività di un fotografo che per anni ha potuto scattare un numero elevatissimo di immagini all'interno di Villa Certosa e all'aeroporto di Olbia, chiamato puntualmente ogni volta che era previsto l'arrivo dell'aereo presidenziale. Proiezioni mentali che sfiorano la paranoia politica, mentre cresce la concitata attesa non tanto dei risultati dei ballottaggi, ma della grande ordalia del G8 in Abruzzo, in cui si ipotizzano giganteschi sfracelli internazionali. Ma se il centrodestra riuscisse a superare la sindrome complottista che l'attanaglia, sarebbe un bene per tutti. Diraderebbe le nubi del sospetto generalizzato. Restituirebbe alla maggioranza il primato che le spetta con il conforto della democrazia: il primato del governo. Ci sono i numeri. Manca solo la volontà.

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Eventi data: 17/06/2009 - pag: 43 L'intervista L'autore della saga di Hap e Leonard parla dei «malintesi» tra letteratura e celluloide «Gli eroi di carta non vanno al cinema» Lansdale: i registi scelgono attori diversi da quelli che immaginano gli scrittori Padre e figlia Kasey Lansdale ( in alto), figlia dello scrittore statunitense Joe R. Lansdale ( a destra) di MATTEO PERSIVALE N el finale di «Sotto un cielo cremisi», ultimo libro di Joe R. Lansdale (224 pagine, 17 euro, traduzione di Luca Conti, edito da Fanucci) si manifesta un personaggio, Vanilla Ride, giovane bionda spietata killer su commissione, che, confessa Lansdale al Corriere, è tanto forte da meritare una futura serie di avventure tutta sua. Perché «Sotto un cielo cremisi» da una parte è il settimo capitolo della serie di romanzi dedicati da Joe a Hap e Leonard, malconci Holmes e Watson del Texas orientale: Hap è un manovale bianco pacifista e etero, Leonard è un afroamericano di destra, gay e reduce dal Vietnam (la cronologia completa della serie: «Una stagione selvaggia» uscito in America nel 1990, «Mucho Mojo» del '94, «Il mambo degli orsi» del '95, «Bad Chili» del '97, «Rumble Tumble» del '98, «Capitani oltraggiosi» del 2001, tutti pubblicati in Italia da Einaudi Stile libero prima che Lansdale «traslocasse» presso Fanucci). Ma quando arriva Vanilla Ride anche i due veterani della narrativa di Lansdale (lo scrittore sarà alla Milanesiana sabato 27, ore 21, teatro Dal Verme) si fanno da parte. «A volte succede così, senza che ci sia niente di programmato a tavolino spiega Lansdale al Corriere Un personaggio prende vita e diventa più grande, più intenso di quello che pensavi inizialmente. Se ho temuto che Vanilla Ride scappasse via con il libro? No, perché arriva davvero nel finale, ma certo ha colpito molto l'immaginazione l'editore americano ha messo in copertina del libro proprio una modella bionda e armata che ricorda Vanilla». Si potrebbe pensare alla Uma Thurman vendicatrice di «Kill Bill», ma in realtà l'ispirazione è venuta da molto più vicino da Kasey, la figlia 22enne di Joe, brava cantante country che si è esibita anche in Italia. Dolcissima, ma che sul palco si trasforma (niente armi letali però). «Kasey mi ha fatto uno scherzo: mentre mia moglie Karen e io eravamo in viaggio si è fatta fotografare con un impermeabile rosso maneggiando un grosso revolver in una posa alla Vanilla Ride, e poi ha caricato quella foto sul mio sito Internet. Certo se facessero un film da Vanilla Ride lei sarebbe perfetta. Ma il cinema cambia sempre tutto, e quello che immaginava lo scrittore creando un personaggio non conta più nulla. Un esempio? Raymond Chandler, che aveva studiato in una scuola inglese di lusso, la stessa di Wodehouse, immaginò Marlowe con la faccia di Cary Grant. Ian Fleming vedeva nella sua testa James Bond come David Niven, suo amico e membro dello stesso club. Però poi il cinema ha dato a Marlowe il broncio di Bogart e Mitchum più lontano dalla classe di Cary Grant non si può andare, no? E Niven è stato Bond solo in una parodia (Casino Royale, ndr), ma 007 per tutto il mondo è Connery, tra tutti gli interpreti dell'agente segreto proprio quello che meno ricorda Niven. Perché al limite sarebbe Roger Moore quello più vicino all'idea di Niven, spione gentleman, no? E ricordiamoci sempre che il successo globale di 007, anche se non tutti lo sanno, si deve a John F. Kennedy: impazziva per i libri di Fleming, e lanciò la moda in quegli anni, i primissimi Sessanta. In fondo lui era quel tipo d'uomo: bello, donnaiolo, avventuriero, viaggiatore, coinvolto in trame spionistiche. Un James Bond presidente degli Stati Uniti. Anche Obama è un lettore di romanzi, per fortuna, ma il tipo è diversissimo da JFK: idee kennediane ma altro stile. Obama è intelligente e cauto, un giocatore di scacchi carismatico. Un Bill Clinton per bene, un Clinton senza scandali, padre di famiglia». Lansdale per i suoi Holmes e Watson, Hap e Leonard, immaginava i volti di Jeff Bridges (in versione un po' malconcia alla Grande Lebowski) e Laurence Fishburne. Ma se, come sperano i fan, i molti romanzi della serie di Hap e Leonard diventeranno mai un film hollywoodiano, i candidati sono altri: Jamie Foxx, Matthew McConaughey. Che più diversi da Bridges e Fishburne non potrebbero essere. «Ma lo scrittore si deve fare da parte, è giusto così: quel che conta è l'immaginazione del lettore, come ci ha insegnato Poe. Io adoro Ray Bradbury, Philip K. Dick, ma chiunque abbia mai scritto un giallo o un racconto del mistero deve tutto a Edgar Allan Poe: ha inventato tutto lui, da Sherlock Holmes al telefilm CSI. E pensare che morì povero, malato e abbandonato. Ma Arthur Conan Doyle diceva che se tutti gli scrittori che si sono ispirati a Poe donassero un soldino per costruirgli un monumento, il povero Edgar avrebbe un mausoleo più grande della piramide di Cheope. Se lo merita tutto». La new entry Una killer bionda e spietata nel finale di «Sotto un cielo cremisi». «Avrà una serie tutta sua»

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Commedia in crisi a Hollywood? Arriva Brüno, gay provocatore (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Spettacoli data: 17/06/2009 - pag: 45 Il caso Il nuovo film dell'attore britannico spacca anche le associazioni omosessuali in America Commedia in crisi a Hollywood? Arriva Brüno, gay provocatore Sacha Baron Cohen oltre «Borat»: si dividono attori e registi LOS ANGELES Voce affettata, capelli ossigenati, nessun pudore nell'esibirsi in hot-pants e in biancheria leopardata: si aggira così in America Brüno, un giornalista gay che si occupa di moda, espertissimo di gusti e tendenze omosessuali. Per ora è stato censurato solo con il visto «Restricted» e i minori di 17 anni non accompagnati da un adulto non potranno vederlo al cinema. Brüno arriva sugli schermi Usa dal 10 luglio. E' un altro personaggio della galleria creata nel talk show «Ali G» dal conduttore Sacha Baron Cohen, laurea a Cambridge, 37 anni, nazionalità britannica, cresciuto in una famiglia di ebrei ortodossi, padre irlandese discendente da ebrei lituani e madre israeliana. Dopo il giornalista kazako Borat, Brüno è già colpevole per molti di scardinare i tralicci old fashion della commedia Usa aprendo le porte a una satira senza freni, scostumata, capace con volgarità di ignorare qualsiasi divieto hollywoodiano. Dileggia gli americani e ogni minoranza o maggioranza etnica dietro un paravento provocatorio e politicamente scorretto. La Universal ha pagato 43 milioni di dollari per i diritti del personaggio anche se non distribuirà la pellicola in molti paesi perché Sacha e il regista Larry Charles l'hanno prevenduta a diverse società (Medusa in Italia. Sacha/Brüno per ora non parla, ha rifiutato anche una intervista al New York Times che ha anticipato il film con una serie di considerazioni e interrogativi. Il primo è lo stesso di tanti: sarà un film sulla tolleranza delle minoranze, sia pure in pantaloncini, oppure no?. Le comunità gay e lesbo si sono già divise: c'è chi lo sostiene e chi si considera offeso a priori. Per alcune associazioni Brüno non farà che alimentare l'omofobia e gli atteggiamenti di scherno nei confronti dei gay. «Di sicuro sarà un pericoloso boomerang per il movimento di liberazione omosessuale ». Hollywood aspetta le anteprime del film mentre Borat/Brüno si nega: per ora ha chiesto che gli vengano inviate le domande via e-mail. Il mensile Usa GQ ha avuto alcune risposte sul «pensiero di Brüno» solo dietro la garanzia della copertina con il fashion reporter nudo, tuttavia abile nel coprire con una posa artefatta ogni intimità e con una parrucchetta bionda con frangetta alla Zac Efron, labbra e volto contratti in una smorfietta sexy. Tenore delle domande accettate: «Come è possibile avere gli stessi capelli di Robert Pattinson o seguire l'Obama style; com'è il look del french guy Sarkozy...». Per Brüno, i leader mondiali del «best dressed» sono JFK, Obama, Castro e Timberlake. A sua difesa però, quando ancora era lontano il lancio del film, Sacha aveva spiegato il senso di Brüno: «Ho sempre ammirato Peter Sellers e Andy Warhol e mi interessa raccontare come vive in America il rappresentante di una minoranza che si è accettato senza complessi e cerca anche di fare business. Brüno sarà un film contro ogni intolleranza e ignorante preconcetto». Ma l'attore, nonostante il silenzio attuale, è impegnato in una «aggressiva» campagna pubblicitaria. Ai recenti MTV Awards ha fatto discutere la sua «caduta» dalla volta del Gibson Amphitheatre: travestito da angelo sexy è «atterrato» seminudo sul volto di un Eminem molto infastidito (poi si è scoperto che era tutta una farsa: il rapper e Sacha Baron Cohen erano d'accordo). E l'angelo Brü- no, per nulla asessuato, ammette dai poster: «Prediligo sopra e sotto indumenti firmati ». Fa tendenza con il suo modo di vestire: domenica scorsa alla Pride Parade gay di Los Angeles è stato imitato nella sua predilezione per mini hot-pants e t-shirt aderenti. Trapelano anche indiscrezioni sulle gag. Si parla già molto della scena di Brüno in cui il fashion reporter annuncia di aver adottato un bambino africano e d'averlo chiamato «O.J». Il protagonista nella pellicola fa anche riferimento alle adozioni della coppia Brad Pitt e Angelina Jolie e di Madonna. Si sa anche di un «mezzo» rifiuto di Elton John: il divo del pop ha negato al comico l'utilizzo per una sequenza (pare molto forte) della sua canzone Can You Feel the Love Tonight ma poi ha acconsentito a cedere un altro motivo solo per i titoli di coda. Hollywood però si divide sul talento e sull'irriverenza dell'attore. Nel panorama di una commedia americana sempre più scollacciata, l'attesa e i giudizi sul suo lavoro sono più che mai bivalenti. Ben Stiller dichiara: «Tropic Thunder deve molto a ciò che ha fatto prima Borat». Adam Sandler aggiunge: «Ho pensato a Brüno interpretando in Tutte le donne vengono al pettine Zohan, il mio agente del Mossad che sogna di diventare a New York un parrucchiere esperto in prestazioni sessuali e taglio bisex di capelli». Apprezza la forza eversiva di Sacha/Borat/Brü- no Judd Apatow, regista e sceneggiatore, l'uomo nuovo della commedia americana che ha diretto successi commerciali da 40 anni vergine a Molto incinta. Sono invece molto critici sulla comicità «estrema» di Cohen due padri della commedia di classe come Garry Marshall (già regista di Pretty Woman) e Blake Edwards. Presentando per la prima volta a Los Angeles le sue sculture e i suoi dipinti al Pacific Design Center, Edwards ha detto: «Questa è la mia arte privata, che non fa patti con il diavolo come oggi accade al cinema svenduto a buffonesche caricature. Giovane o vecchio, come ormai sono, non ho mai fatto parte di questo team». Sul comico britannico ha «esternato» perfino Woody Allen, presentando il suo Whatever Works. Un giudizio pieno di sfumature, quello del regista di New York: « Borat ha aperto porte alla commedia Usa alta e bassa, umiliandola per certi aspetti, ma anche liberandola da freni o ipocrite restrizioni ». Complessi «Racconto chi fa parte di una minoranza e vive senza complessi» Giovanna Grassi

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Corea, le due giornaliste Usa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 17/06/2009 - pag: 19 Pyongyang, nuova sfida del regime Corea, «confessano» le due giornaliste Usa DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO Agenda degli appuntamenti diplomatici alla mano, la Corea del Nord lancia un nuovo messaggio agli Usa e al mondo. Nel giorno del faccia a faccia fra i presidenti americano Obama e sudcoreano Lee Myung-bak il regime di Kim Jong-il ha fatto sapere che le giornaliste Usa condannate a 12 anni di lavori forzati «hanno ammesso le loro colpe». Euna Lee e Laura Ling avrebbero confessato di aver varcato la frontiera fluviale che separa la Cina dalla Corea del Nord con l'intento «criminale» di «isolare e soffocare il sistema socialista della Repubblica Democratica Popolare». Per l'agenzia ufficiale Kcna le giornaliste intendevano girare materiale per «la campagna diffamatoria» contro la Nord Corea «sulla situazione dei diritti umani». Non è certo che Euna Lee, 32 anni, e Laura Ling, 36, abbiano davvero sconfinato lo scorso 17 marzo. Il reportage a cui stavano lavorando era mirato a raccontare la fuga dei sudditi di Kim Jong-il e la vita di abusi che li attende in Cina. Gli analisti cercano di interpretare il senso della «confessione» nel lessico e nell'ermetica ritualità di Pyongyang, in un momento in cui le donne sono ostaggi e pedine del gioco di minacce del Nord. Cosa pensi della Corea rossa, Obama l'ha detto ieri: «Una grave minaccia». Laura Ling Euna Lee M.D.C.

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