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Report "Obama"   12-13 maggio 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

"Facciamo la pace subito o tra un anno è guerra" ( da "Stampa, La" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Retroscena Così Obama vuole sbloccare lo stallo "Facciamo la pace subito o tra un anno è guerra" Re Abdallah svela il piano Usa: sì arabo a Israele e Stato palestinese FRANCESCA PACI CORRISPONDENTE DA LONDRA Il Papa chiede una pace «giusta» per la Terra Santa, il presidente americano Barack Hussein Obama vola in Egitto alla conquista dell'

Così Obama ha piegato JP Morgan ( da "Stampa, La" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: INDISCRETO Così Obama ha piegato JP Morgan L'accordo tra grandi creditori e amministrazione Usa sulla vicenda Fiat-Chrysler fu deciso da un brusco botta e risposta tra Barack Obama e James B. Lee, il vicepresidente di Jp Morgan la banca che vantava la porzione più grande di debito (2,5 miliardi di dollari)dalla casa di Detroit.

Cofferati per l'Europa "Regole al mercato e serve la politica" ( da "Stampa, La" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: patria del capitalismo, il presidente Obama ha iniziato a parlare di intervento dello Stato e rete di assistenza», ha aggiunto il sindaco di Bologna. «La voglia di esserci non si è persa - ha detto il segretario regionale del pd Mario Tullo - abbiamo una grande energia, che chiediamo a tutto l'elettorato di ritrovare».

Sanità: primo round a Obama ( da "Stampa, La" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: primo round a Obama LA SFIDA SOCIALE Il dossier salute Era una promessa di Barack a Hillary, che tentò di cambiare il sistema con Bill alla Casa Bianca [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Barack Obama avvia i lavori per la riforma del sistema sanitario, una delle sfide più difficili per la sua amministrazione, la stessa su cui spesso in passato,

"Nel braccio di ferro hanno vinto i riformisti" ( da "Stampa, La" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Sul piatto ci sono la mano tesa di Barack Obama verso l'Iran e anche i rapporti con il Giappone, che ha esercitato pressioni molto forti su Teheran. I riformisti hanno fatto passare la linea che in questo momento chiudersi a riccio e accumulare attriti non avrebbe giovato all'Iran». Che ruolo ha avuto la Guida Suprema della rivoluzione, Alì Khamenei?

Teheran libera la reporter Usa "Subito a casa" ( da "Stampa, La" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: IL CASO SABERI Washington Obama ringrazia per il «gesto umanitario». Hillary: però chiederemo il verdetto di innocenza Il governo parla di «grazia islamica» lasciando intuire un intervento dei religiosi Pena ridotta e scarcerazione perché "Gli Stati Uniti non sono paese ostile" DAL CORRISPONDENTE DA NEWYORK Teheran libera Roxana Saberi e Hillary Clinton si dice «

Il piano di pace di 57 Paesi islamici ( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: prossima settimana tra il presidente Usa Barack Obama e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Abdallah ha rivelato che gli Stati Uniti stanno mettendo a punto un piano di pace mediorientale che coinvolge 57 Paesi arabi e musulmani, un terzo del mondo, perché riconoscano Israele. Ma se Obama non si muoverà entro maggio, dice Abdallah, «la sua formidabile credibilità evaporerà»

La scelta di Marlene e la kippah di Fini I gesti della memoria ( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Lo dichiara Barack Obama, ancora senatore, e lo proclama George W. Bush, ancora per poco presidente. Nel gennaio 2008, il miglior amico di Israele alla Casa Bianca visita il memoriale, piange per due volte e chiede a Condoleezza Rice perché gli americani non abbiano bombardato Auschwitz per fermare lo sterminio.

Soldato Usa spara sui compagni: 5 morti ( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente Obama, che ha avuto un rapporto sui fatti dal ministro della Difesa Gates, si è detto «scioccato e rattristato » dalla notizia. «Il suo pensiero e il suo cuore sono con le famiglie delle vittime », ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, aggiungendo che il presidente vuole che si faccia piena luce su quanto è accaduto.

( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: offerta di dialogo di Obama, Khamenei avvertì che «cambiare a parole» non basta... «L'Iran dimostra che sa fare lo stesso gioco in risposta al comportamento degli Stati Uniti e di Israele. Quando gli Usa dicono che stanno valutando sanzioni e Israele che ritiene possibile attaccare l'Iran, Teheran deve mostrarsi forte».

Rimosso il comandante militare ( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: McKiernan, nominato meno di un anno fa da Bush, si è rivelato incapace, secondo l'Amministrazione Usa, di imprimere una svolta alla guerra contro i talebani. La sostituzione arriva poche settimane dopo la presentazione della nuova strategia di Obama per l'Afghanistan.

Berlusconi, in Egitto ( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Mubarak ha visto il premier israeliano Netanyahu e a fine maggio volerà ad Washington per incontrare Obama, che subito dopo potrebbe ricevere il Cavaliere). Nello stesso momento, nel centro congressi di Sharm, i ministri degli Esteri Frattini, dell'Interno Maroni, dello Sviluppo economico Scajola, del Welfare Sacconi e delle Infrastrutture Matteoli incontreranno i colleghi egiziani.

Teheran libera Roxana ( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: «Sollevato» il presidente Usa Barack Obama (ha ribadito però che le accuse sono ingiuste). L'arresto di Roxana prima per l'acquisto di una bottiglia di vino, poi per credenziali scadute, infine con l'accusa di spionaggio ha creato tensioni tra Usa e Iran dopo l'offerta di dialogo di Obama.

Bertolaso attacca i politici: litigano sulla pelle dei terremotati ( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Come avevano già fatto in precedenza gli americani di Barack Obama, anche gli emissari del Cremlino hanno promosso L'Aquila a pieni voti. Resistere tutta l'estate «Occorre resistere fino a settembre». Poi arriveranno venti villaggi provvisori antisismici Incontro Guido Bertolaso durante l'incontro con i parroci (Tam tam) Fabrizio Caccia

Per lo scudo fiscale spunta l'ipotesi delle aliquote variabili ( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: oltre che dagli Stati Uniti del presidente Obama). Il governo italiano non pare avere fretta, benché le indiscrezioni che parlano di decisioni imminenti si susseguano ogni giorno. Anche l'enfasi sulla lotta globale all'evasione fiscale internazionale che cresce parallelamente all'attesa, del resto, può essere un'arma in più per il successo dell'operazione.

( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e come Barack Obama, tutti in rivolta contro le sirene del «mercatismo», del mercato che regola tutto. Ma allora, che cosa mai è accaduto in questi anni? «Che la fuga verso il mercatismo risponde Mario Mauro, cattolico del Ppe e vicepresidente dell'Europarlamento ha completato il rinnegamento delle radici culturali d'Europa.

Ospedali, medici e sindacati tagliano le spese per Obama ( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama Risparmi per 2.000 miliardi in favore della riforma sanitaria DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Obama adesso riesce anche a trasformare i lupi in agnelli? Lo stesso presidente si diverte a ironizzare sugli agiografi che gli attribuiscono capacità miracolose, ma ieri molti sono rimasti colpiti nel vedere i principali protagonisti della sanità privata mettersi in riga e offrire alla

Sanità Usa, un'assicurazione per tutti Obama avvia la sua "riforma da sogno" ( da "Repubblica.it" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama annuncia tagli ai costi sanitari per oltre duemila miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, primo gradino della riforma sanitaria che dovrà essere varata "entro la fine dell'anno". I costi della sanità sono "fuori controllo" e limitarli è "essenziale" per il futuro dell'economia americana, dice il presidente Usa,

"Facciamo la pace subito o tra un anno è guerra" ( da "Stampaweb, La" del 12-05-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il presidente americano Barack Hussein Obama vola in Egitto alla conquista dell?opinione pubblica musulmana, le elezioni israeliane hanno consegnato la Knesset al superfalco Netanyahu ma i palestinesi ammettono a bassa voce che in sessant?anni di conflitto le uniche concessioni territoriali, da Hebron alla Striscia di Gaza, sono arrivate dalla destra.


Articoli

"Facciamo la pace subito o tra un anno è guerra" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 12-05-2009)

Argomenti: Obama

Retroscena Così Obama vuole sbloccare lo stallo "Facciamo la pace subito o tra un anno è guerra" Re Abdallah svela il piano Usa: sì arabo a Israele e Stato palestinese FRANCESCA PACI CORRISPONDENTE DA LONDRA Il Papa chiede una pace «giusta» per la Terra Santa, il presidente americano Barack Hussein Obama vola in Egitto alla conquista dell'opinione pubblica musulmana, le elezioni israeliane hanno consegnato la Knesset al superfalco Netanyahu ma i palestinesi ammettono a bassa voce che in sessant'anni di conflitto le uniche concessioni territoriali, da Hebron alla Striscia di Gaza, sono arrivate dalla destra. Nonostante la secolare palude che avvolge il Medio Oriente, molti analisti intravedono oggi le condizioni per una bonifica. La conferma arriva dal re Abdallah II di Giordania che ieri, in un'intervista al quotidiano britannico The Times, ha annunciato l'impegno ufficiale di Washington nella stabilizzazione della regione. Il giovane sovrano è appena tornato dagli Stati Uniti, primo leader arabo a varcare la soglia della Casa Bianca nell'era Obama, con la bozza di un piano di pace ad ampio raggio, la nascita di uno Stato palestinese nei confini del 1967 in cambio della normalizzazione dei rapporti tra Israele e i 57 paesi della Conferenza islamica. Lo schema è quello dell'iniziativa saudita del 2002 rimasto finora un ambizioso pezzo di carta, ma la nuova Amministrazione Usa sembra più disposta della precedente a servirsi del soft power prima di cedere alle armi. «Se rinviamo ancora i negoziati vedremo un nuovo conflitto nel giro di un anno», sostiene re Abdallah. Obama è avvertito: «O si muove qualcosa entro maggio o la sua formidabile credibilità svanirà». La tempistica preoccupa gli attori mediorientali almeno quanto gli spin doctors della Casa Bianca. La Giordania, come l'Egitto e l'Arabia Saudita, segue con ansia l'espansione iraniana nel cortile di casa. La Siria, strangolata dalla crisi economica, valuta seriamente l'ipotesi di abbandonare il tradizionale equilibrismo opportunista e passare dalla parte dei «buoni», i Paesi arabi cosiddetti moderati, rinunciando alla protezione di Teheran per avere indietro le alture del Golan occupate nel 1967 e annesse nell'81. Israele mostra la faccia dura del ministro degli esteri Lieberman ma sa che nell'imminente viaggio a Washington il premier Netanyahu non potrà limitarsi a dire no. L'ha ammesso lui stesso ieri al termine del meeting con il presidente egiziano a Sharm el Sheik quando, dopo aver eluso la domanda di Mubarak sulla nascita d'uno Stato palestinese indipendente, ha rivelato che «i colloqui con i palestinesi riprenderanno a settimane». Bibi è un osso duro, concede al Times il sovrano giordano: «Lo vidi dieci anni fa, ero appena salito al trono. L'incontro più sgradevole che ricordi». Ma i tempi cambiano e cambiano le priorità. Per questo, continua il monarca che oggi partirà per Damasco, «l'esito della visita di Netanyahu alla Casa Bianca è decisivo». Secondo la soluzione «57 Stati» Israele si ritira entro i confini del 1967 e smantella le colonie ebraiche nei territori palestinesi ottenendo in cambio la possibilità di volare con aerei El Al nell'immenso cielo arabo-musulmano. Il ritorno dei profughi palestinesi del '48 e l'autorità su Gerusalemme, nodi spinosi forse più delle frontiere, passano in secondo piano, materia da discutere in progress. Re Abdallah è fiducioso: «Gerusalemme non è un problema internazionale ma una soluzione internazionale, parliamo di un terzo della popolazione mondiale che incontra gli israeliani a braccia aperte». Un tavolo così affollato non s'immaginava più dal 1991, quando il presidente Bush padre riuscì a portare a Madrid tutte le parti coinvolte nel conflitto. Il futuro della regione pare, non sorgerà dal Giordano, dalle Alture del Golan o dal deserto del Sinai. Bisogna spingere lo sguardo oltre, in Marocco, nel Golfo, in Indonesia. I palestinesi scuotono la testa scettici ma aguzzano la vista. Non si sa mai. «Il piano saudita è tornato in pista, è vero, l'ha confermato il presidente palestinese Abu Mazen», osserva Hafez Barghouti, direttore del quotidiano Al Hayat al Jadidah, organo ufficiale di Fatah. L'esito delle elezioni israeliane ha scoraggiato gli abitanti di Ramallah, ma Obama resta un faro: «Per la prima volta la Casa Bianca ha affermato che la nascita di uno Stato palestinese indipendente è interesse americano. C'è una chance, anche i leader di Hamas hanno capito che devono scegliere da che parte stare. Washington può usare la carta iraniana per far pressione su Israele. La destra israeliana, dal canto suo, sa che qualsiasi cosa concedesse in nome della pace avrebbe l'appoggio dei laburisti, un privilegio che la sinistra non ha». Il calendario incalza. Dopo Netanyahu il presidente Obama riceverà il collega egiziano Mubarak e quello palestinese Abu Mazen, colloqui preliminari e di sostanza prima dello sbarco al Cairo il 4 giugno con l'annuncio del nuovo piano pace. L'audacia della speranza tradotta in arabo funzionerà? Il professor Efraim Inbar, docente di studi politici all'università Bar Ilan e direttore del Begin-Sadat Center for Strategic Studies invita alla cautela: «I paesi musulmani non sono pronti alla fine delle ostilità. E poi la questione palestinese non interessa a nessuno, conta solo l'Iran». Gli ottimisti però, confidano nel gioco di sponda. www.lastampa.it/paci

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Così Obama ha piegato JP Morgan (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 12-05-2009)

Argomenti: Obama

INDISCRETO Così Obama ha piegato JP Morgan L'accordo tra grandi creditori e amministrazione Usa sulla vicenda Fiat-Chrysler fu deciso da un brusco botta e risposta tra Barack Obama e James B. Lee, il vicepresidente di Jp Morgan la banca che vantava la porzione più grande di debito (2,5 miliardi di dollari)dalla casa di Detroit. Lee chiama il capo della task force governativa dell'auto, Steven Rattner, il 29 marzo e gli dice di rivolere «tutti i soldi, non un centesimo di meno», altrimenti sarà liquidazione. Il giorno dopo il presidente Usa accusa Lee di bluffare e convoca una conferenza stampa per annunciare che in caso di bancarotta traumatica o liquidazione i creditori non avrebbero visto neanche una minima parte dei 6,9 miliardi. A quel punto Lee richiama Rattner e gli dice: "Dobbiamo parlare...".

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Cofferati per l'Europa "Regole al mercato e serve la politica" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 12-05-2009)

Argomenti: Obama

ELEZIONI PRESENTATI I CANDIDATI LIGURI DEL PD Cofferati per l'Europa "Regole al mercato e serve la politica" Sergio Cofferati, capolista per il pd alle prossime elezioni europee, collegio del Nord-Ovest, ha incontrato ieri pomeriggio per la prima volta il suo elettorato insieme con gli altri candidati liguri, il presidente del Parco delle Cinque Terre Francesco Bonanini e l'assessore al bilancio del Comune di Genova Francesca Balzani. «Ho accettato l'invito del segretario Franceschini perché in questo momento difficile ho ritenuto giusto mettere a disposizione del partito quel poco di esperienza maturata - ha detto Cofferati - In un primo momento avevo rifiutato, ma ora non era più possibile. Inoltre, rispetto al mio impegno come sindaco di Bologna, avrò il vantaggio di non sottoporre la mia famiglia e mio figlio agli svantaggi del pendolarismo e il sacrificio sarà solo mio». E poi: ««Ci aspettano giorni impegnativi, dobbiamo evitare che le elezioni europee vengano vissute solo come un sondaggio sulla politica italiana», ha sottolineato il capolista del pd. «Il mercato deve avere delle regole e non può vivere senza politica. Anche negli Stati Uniti, patria del capitalismo, il presidente Obama ha iniziato a parlare di intervento dello Stato e rete di assistenza», ha aggiunto il sindaco di Bologna. «La voglia di esserci non si è persa - ha detto il segretario regionale del pd Mario Tullo - abbiamo una grande energia, che chiediamo a tutto l'elettorato di ritrovare». «In questi anni abbiamo sbagliato anche noi, perdendo di vista il dialogo con le persone e le piccole imprese - ha aggiunto Bonanini - ora è arrivato il momento della svolta». \

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Sanità: primo round a Obama (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 12-05-2009)

Argomenti: Obama

NUOVA AMERICA Sanità: primo round a Obama LA SFIDA SOCIALE Il dossier salute Era una promessa di Barack a Hillary, che tentò di cambiare il sistema con Bill alla Casa Bianca [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Barack Obama avvia i lavori per la riforma del sistema sanitario, una delle sfide più difficili per la sua amministrazione, la stessa su cui spesso in passato, Washington ha fallito. «Non avrò pace sino a quando il sogno non sarà realizzato», dice il presidente dalla Casa Bianca, al termine di un incontro con alcuni operatori del settore. Il punto di partenza è l'offerta volontaria avanzata da un consorzio di ospedali, assicurazioni, produttori farmaceutici e medici di ridurre l'aumento dei costi dell'1,5% annuo sino al 2019 grazie a maggiore efficienza, tecnologie all'avanguardia e una profonda revisione delle regole. «Una svolta storica», dice Obama. L'iniziativa consente un risparmio di 2 mila miliardi di dollari entro il 2019 a fronte di un costo tra 1200 e 1500 miliardi. I costi della sanità sono «fuori controllo» e il sistema è «insostenibile», dice il presidente, secondo il quale la riforma «non è un lusso ma un passaggio obbligato»: «Spendiamo per la sanità più di qualsiasi altra nazione sulla Terra». Ieri la Casa Bianca ha rivisto al rialzo le stime del deficit per l'anno fiscale in corso, a 1.840 miliardi di dollari, 89 in più della precedente previsione, il 12,9% del Pil, contro il 12,3% stimato a febbraio. Il presidente ha inoltre varato una mini-manovra parallela attraverso modifiche fiscali in grado di produrre un gettito da 59 miliardi che andrà a finanziare l'ampliamento della copertura medica ai 46 milioni di americani che attualmente ne sono sprovvisti. L'Amministrazione Obama sta pianificando massicci tagli fiscali di 736 miliardi di dollari per le famiglie lavoratrici e di 100 miliardi per le imprese nei prossimi dieci anni. Il nodo della sanità ha origini antiche: è del 1917 la prima legge che garantiva ai lavoratori la copertura gratuita, la malattia pagata e un indennizzo in caso di morte. Sulla sanità hanno lavorato quasi tutti i presidenti da FDR a Truman, da JFK a Clinton che nel 1993 diede mandato alla moglie Hillary, attuale segretario di Stato, di guidare un'ambiziosa riforma. Fu un fallimento, causato dalla debolezza del progetto ma anche dalle lobby assicurative e industriali che misero a punto una campagna di spot tv interpretati da due personaggi fittizi, «Harry e Louise». Gli stessi che ha menzionato Obama: «oggi anche Harry e Louise hanno bisogno della riforma». Per evitare un altro fallimento Obama ha optato per la strategia dell'inclusione, per fare degli oppositori dell'epoca i protagonisti della riforma. L'impegno è stato una delle promesse di Obama ad Hillary che ne aveva fatto un cavallo di battaglia nelle primarie. Ma la riforma ha anche il volto di Ted Kennedy, che 40 anni fa lanciò l'idea di una copertura medica «in grado di garantire le stesse cure a ogni americano». L'anziano e malato senatore guida la commissione di Capitol Hill incaricata di mettere a punto soluzioni, e spinge Obama a copiare i modelli europei e avvicinarsi quanto possibile alla sanità pubblica universale prima del compromesso finale con le assicurazioni. Per il «Re Leone» della politica Usa potrebbe essere l'ultimo ruggito.

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"Nel braccio di ferro hanno vinto i riformisti" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 12-05-2009)

Argomenti: Obama

LA POSTA IN GIOCO «Il vero scontro era sulla volontà di tenere aperto un canale di dialogo» "Nel braccio di ferro hanno vinto i riformisti" L'ex pasdaran che ha scelto gli Usa Roxana Saberi è tornata in libertà grazie alle pressioni della fazione riformista a Teheran». Parola di Mohsen Sazegara, che nel 1979 fondò il corpo dei Guardiani della Rivoluzione in Iran e oggi vive e insegna negli Stati Uniti. Perché la corte d'appello di Teheran ha consentito il rilascio di Saberi che era stata condannata per spionaggio? «C'è stato un duro braccio di ferro tra la fazione della linea dura e quella dei riformisti. Hanno prevalso questi ultimi». Chi si è battuto sui due fronti? «A ottenere la condanna di Saberi e a opporsi al rilascio sono stati i capi dei pasdaran, il ministero dell'Intelligence, il giornale Kayhan e soprattutto Sayyed Hassan Khomeini, figlio dell'ayatollah che guidò la rivoluzione. Sul fronte opposto si sono battuti ambienti molto vicini ad Ali Larijani, presidente del Parlamento, e alcuni esponenti del governo di Mahmud Ahmadinejad». Come hanno fatto i riformisti a prevalere in questo duro braccio di ferro? «Lo scontro non è stato su Roxana Saberi ma sulla volontà di tenere aperto in questo momento un canale di dialogo con la comunità internazionale. Sul piatto ci sono la mano tesa di Barack Obama verso l'Iran e anche i rapporti con il Giappone, che ha esercitato pressioni molto forti su Teheran. I riformisti hanno fatto passare la linea che in questo momento chiudersi a riccio e accumulare attriti non avrebbe giovato all'Iran». Che ruolo ha avuto la Guida Suprema della rivoluzione, Alì Khamenei? «E' l'ago della bilancia. Nessuna decisione importante può essere presa senza di lui. E' avvenuto anche questa volta». Che impatto avrà il rilascio di Saberi sulle relazioni fra Stati Uniti e Iran? «La crisi nei rapporti fra i due Paesi dipende non da Saberi ma dai disaccordi su tre argomenti: nucleare iraniano, terrorismo, pace in Medio Oriente. Lo scoglio maggiore è il nucleare. Vedremo nelle prossime settimane eventi mediatici, forse un incontro fra gli americani e il negoziatore iraniano nella cornice del gruppo di contatto con europei, russi e cinesi. Ma per il resto non avverrà nulla di rilevante prima del voto di giugno». Quali previsioni fa per le elezioni? «Al momento in lizza ci sono sei candidati ma i due indipendenti non credo saranno ammessi e fra gli ultraconservatori prevarrà Ahmadinejad. Dunque lo scontro che si profila è fra l'attuale presidente e i due candidati riformisti: l'ex capo del Parlamento Mehdi Karroubi e l'ex premier Hossein Moussavi». A che cosa è legato l'esito delle presidenziali? «All'affluenza al voto. Se la maggioranza silenziosa non si recherà alle urne, avrà facile gioco Ahmadinejad, mobilitando la base dei volontari e dei religiosi che sostiene la teocrazia così com'è oggi. Se invece la maggioranza silenziosa, che soffre le conseguenze della crisi economica e auspica un cambiamento, voterà, allora a prevalere sarà un riformista».

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Teheran libera la reporter Usa "Subito a casa" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 12-05-2009)

Argomenti: Obama

IRAN Teheran libera la reporter Usa "Subito a casa" IL CASO SABERI Washington Obama ringrazia per il «gesto umanitario». Hillary: però chiederemo il verdetto di innocenza Il governo parla di «grazia islamica» lasciando intuire un intervento dei religiosi Pena ridotta e scarcerazione perché "Gli Stati Uniti non sono paese ostile" DAL CORRISPONDENTE DA NEWYORK Teheran libera Roxana Saberi e Hillary Clinton si dice «incoraggiata da quanto avvenuto». La giornalista americana Saberi, 32 anni, era stata arrestata quattro mesi in Iran e condannata per «spionaggio» da un tribunale speciale a 8 anni di reclusione da scontare nel famigerato carcere di Evin. Ieri era in programma la sentenza di appello e, a sorpresa, il verdetto dei giudici ha ridotto la condanna a due anni assegnando anche la sospensione di pena e quindi, come detto dal portavoce del ministero della Giustizia Ali Reza Jamshidi, «la possibilità di lasciare da subito l'Iran». Il padre della giornalista, Reza, era a Teheran e nella serata è stato il primo a riabbracciare la figlia dicendosi «molto felice per la sua liberazione» e descrivendola «in buone condizioni». La donna non ha voluto rilasciare alcun commento. Entro domani entrambi lasceranno l'Iran per tornare a Fargo, in North Dakota, dove la famiglia risiede. L'arresto e i cento giorni di detenzione di Saberi avevano causato forti tensioni internazionali a causa del fatto che la ragazza - di padre iraniano e madre giapponese - era una free lance che da sei anni viveva e lavorava in Iran per diverse testate giornalistiche. L'amministrazione Obama aveva recapitato messaggi espliciti a Teheran chiedendo l'immediata liberazione della giornalista e poco dopo la sentenza d'appello il presidente si è detto sollevato dal «gesto umanitario». Il Segretario di Stato, Hillary Clinton ha aggiunto: «Siamo molto incoraggiati per il rilascio e continueremo ovviamente a opporci alle accuse che le sono state sollevate puntando a rovesciare il verdetto». Sebbene Hillary non abbia fatto alcun riferimento alle autorità iraniane, le sue parole testimoniano un rilassamento delle tensioni accumulatesi nelle ultime settimane allorché la Casa Bianca era rimasta colpita dall'improvviso arresto, coinciso con le aperture di Obama verso l'Iran. Da Teheran la scelta del rilascio è stata motivata con una «grazia islamica», terminologia che lascia intendere come la decisione sia venuta dai più alti gradi della teocrazia. Teheran punta a presentare la «grazia concessa» come un gesto di apertura nei confronti degli Usa desiderando probabilmente chiedere una veloce contropartita. «Inoltre la giornalista ha cooperato con le autorità ed ha espresso rimorso» ha aggiunto Jashmidi lasciando intendere che la condanna per spionaggio era in effetti giustificata. Ma secondo l'avvocato Saleh Nikbakht, il rilascio è stato possibile grazie al fatto che la condanna in primo grado per «cooperazione con Paese ostile» è stata derubricata a «raccolta e trasmissione di informazioni atte a minacciare la sicurezza», in quanto i giudici non hanno ritenuto che Stati Uniti e Iran non possono essere definiti Paesi tra loro «ostili». Byron Dorgan, il senatore del North Dakota che negli ultimi quattro mesi si è battuto per la liberazione di Saberi, ritiene che a muovere Teheran siano stati ben altri motivi: «Avevano preso un ostaggio per usarlo a piacimento contro gli Usa ma devono aver sentito una pressione internazionale molto forte ed hanno fatto marcia indietro». Per Human Right Watch quanto avvenuto dimostra che Teheran «se vuole è in grado di rispettare gli standard dei diritti umani», commenta Sarah Leah Whitson, direttore del dipartimento Medio Oriente, auspicando che «vengano liberati anche i molti iraniani imprigionati senza alcuna ragione». \

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Il piano di pace di 57 Paesi islamici (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 12/05/2009 - pag: 3 Re Abdallah di Giordania Il piano di pace di 57 Paesi islamici «Ci sarà una nuova guerra in Medio Oriente nei prossimi 12-18 mesi» se i negoziati di pace con i palestinesi saranno rinviati. E' il monito di re Abdallah di Giordania intervistato dal quotidiano The Times. Decisivo in questa luce l'incontro della prossima settimana tra il presidente Usa Barack Obama e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Abdallah ha rivelato che gli Stati Uniti stanno mettendo a punto un piano di pace mediorientale che coinvolge 57 Paesi arabi e musulmani, un terzo del mondo, perché riconoscano Israele. Ma se Obama non si muoverà entro maggio, dice Abdallah, «la sua formidabile credibilità evaporerà». Per far cessare l'espansione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania, sostiene il sovrano hashemita, i Paesi arabi e musulmani potrebbero offrire a Israele l'apertura degli spazi aerei ai voli della compagnia di bandiera El Al e la garanzia di visti per gli israeliani.

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La scelta di Marlene e la kippah di Fini I gesti della memoria (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 12/05/2009 - pag: 2 Omaggi Le visite dei leader internazionali La scelta di Marlene e la kippah di Fini I gesti della memoria Marlene Dietrich, foulard e vestito bianchi, è in raccoglimento davanti alla Fiamma perenne. 1966, sono passati cinque anni dall'inaugurazione della sala più importante di Yad Vashem. Sulla pietra del pavimento, ventidue nomi di lager declinano la toponomastica dell'orrore. La sorella dell'attrice viveva vicino a Bergen-Belsen. Quando si rividero dopo la guerra, Marlene scoprì che gestiva un cinema per le guardie: non le ha più parlato. La diva è in Israele per la seconda volta a testimoniare l'impegno antinazista di una tedesca che ha scelto la cittadinanza americana. Anwar Sadat, presidente egiziano, entra nella stanza buia accompagnato da Menachem Begin. La «sacra missione » e lo storico viaggio a Gerusalemme del 1977 non possono non portarlo al museo dell'Olocausto. E' il giorno di Id al-Adha, quando gli islamici ricordano il sacrificio di Isacco. «Che cessino tutte le sofferenze per l'umanità» scrive il leader arabo nel libro dei visitatori. Assieme alla parola «pace», che lui e il primo ministro israeliano sono riusciti a pronunciare dopo trent'anni di guerre. Nelson Mandela rende omaggio agli ebrei, i sei milioni morti nella Shoah e quelli che hanno sostenuto la sua lotta contro l'apartheid. L'emozione della cerimonia sul Monte Herzl, ottobre 1999, riscalda una visita disseminata di freddezze diplomatiche. «Ho un debito verso la comunità che mi ha aiutato, anche se ho spesso criticato Israele», ammette il presidente sudafricano. Gianfranco Fini estrae dalla tasca destra della giacca il regalo di Amos Luzzatto, una kippah viola. La indossa prima di ravvivare la fiamma nella Sala della Ricordo e piegare il ginocchio per deporre una corona in memoria delle vittime. Evoca il «Male assoluto»: anche «quanto ha condotto alla persecuzione ». E' il 2003, otto anni dalla svolta Fiuggi e sessantacinque dalle leggi razziali fasciste. I gesti, le parole, l'angoscia. In «pellegrinaggio» a Yad Vashem così l'ha chiamato Fini i leader internazionali rivivono le atrocità del passato, ripetono e promettono quel «mai più». Lo dichiara Barack Obama, ancora senatore, e lo proclama George W. Bush, ancora per poco presidente. Nel gennaio 2008, il miglior amico di Israele alla Casa Bianca visita il memoriale, piange per due volte e chiede a Condoleezza Rice perché gli americani non abbiano bombardato Auschwitz per fermare lo sterminio. Le stanze della memoria diventano qualche volta il palcoscenico di imbarazzi nel presente. Gerhard Schröder è il protagonista di un incidente nel luogo meno indicato per un cancelliere tedesco. Dopo aver ascoltato lo El Malei Rahamim, la preghiera per i morti della Shoah, si avvicina alla piccola manopola che regola la Fiamma perenne: il cerimoniale vorrebbe che quel fuoco si rianimi, diventi ancora più grande. Schröder sbaglia rotazione e spegne il simbolo che dovrebbe restare sempre acceso. Per non dimenticare. Davide Frattini

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Soldato Usa spara sui compagni: 5 morti (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 12/05/2009 - pag: 13 Iraq L'attacco nella clinica di una base a Bagdad, almeno tre feriti. È il più grave episodio dal 2003 Soldato Usa spara sui compagni: 5 morti DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Tragedia della follia a Camp Liberty, la più grande base americana di Bagdad. Un soldato ha aperto il fuoco contro i suoi compagni, uccidendo cinque di loro prima di essere bloccato e arrestato dagli agenti della polizia militare. Almeno altre tre persone sarebbero rimaste ferite nella sparatoria. I comandi Usa non hanno fornito alcun dettaglio sulla dinamica dei fatti. I nomi e i reparti dei militari coinvolti non sono stati resi noti. È il più grave incidente di questo tipo dall'inizio della guerra in Iraq, nel 2003. Secondo fonti del Pentagono, l'attacco è avvenuto poco dopo le 2 del pomeriggio, in una stress clinic, una struttura medica a disposizione dei soldati con problemi nervosi, psicologici o di carattere personale, legati alle pressioni della guerra. Il presidente Obama, che ha avuto un rapporto sui fatti dal ministro della Difesa Gates, si è detto «scioccato e rattristato » dalla notizia. «Il suo pensiero e il suo cuore sono con le famiglie delle vittime », ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, aggiungendo che il presidente vuole che si faccia piena luce su quanto è accaduto. Quello del Pentagono, il colonnello John Robinson, ha parlato di «terribile tragedia »: «Ogni volta che muore uno di noi, siamo tutti colpiti ». Parlando in via confidenziale con l'Associated Press, un ufficiale di stanza a Bagdad ha spiegato come l'intera base sia «sconvolta» per quanto è accaduto, anche perché Camp Liberty, parte del complesso di Victory Base Compound, è considerata l'installazione più sicura dell'esercito americano in Iraq. «Molti soldati ci chiedono perché, cosa avremmo dovuto fare per evitarlo, come avremmo potuto proteggere meglio le truppe». Incidenti come quello di ieri sono infrequenti, ma non inediti. L'ultimo in ordine di tempo era accaduto in settembre, quando un soldato della Terza Divisione di fanteria aveva ucciso due commilitoni, durante un pattugliamento nella zona di Iskandariya. Altri due episodi mortali si erano registrati nel 2003 e nel 2005: sei anni fa, a Camp Pennsylvania, una base nel Kuwait, un sergente di origine araba, Hasan Akbar, aveva lanciato diverse granate e sparato contro i suoi colleghi, uccidendo due ufficiali e ferendo altre 14 persone. Akbar era stato condannato a morte. Due anni dopo a Tikrit, in un'ex residenza di Saddam Hussein, due ufficiali erano saltati in aria, dopo che una mina anti-uomo era stata fatta esplodere sotto la finestra del loro alloggio. In questo secondo caso, il sergente accusato dell'esplosione, Alberto Martinez, era stato assolto dalla Corte marziale. Ma i casi di ordinaria follia non sono tutto. L'esercito americano si misura in questi mesi anche con un crescente numero di suicidi di soldati reduci da Iraq e Afghanistan, che i comandi militari attribuiscono alla tensione inflitta dai ripetuti turni di servizio in guerra. Secondo il New England Journal of Medicine, 1 su 6 dei militari rientrati dalla Mesopotamia o dall'Afghanistan soffrono di «post-traumatic stress disorder » o accusano altri problemi di carattere psicologico. In preghiera Militari a Camp Liberty prima di una missione (Reuters) Paolo Valentino

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 12/05/2009 - pag: 13 L'intervista Saeed Leilaz «Un messaggio mandato a Washington» Per adesso, il gioco è sempre lo stesso: «Il bastone e la carota». Il caso di Roxana Saberi ne è la riprova, secondo Saeed Leilaz, esperto di economia e politica, docente universitario a Teheran. Ma forse non sarà così per sempre: «Sia l'Iran sia gli Stati Uniti vogliono il dialogo perché hanno bisogno l'uno dell'altro. Noi siamo economicamente in grave difficoltà e preoccupati per la sicurezza interna, e gli Usa cercano aiuto per ragioni di sicurezza nella regione». La Corte Rivoluzionaria che aveva condannato Roxana è controllata al ministero dell'intelligence. E la Corte d'appello che l'ha liberata? «E' esattamente la stessa cosa. La maggior parte dei tribunali in Iran sono sotto il controllo dei servizi di sicurezza». E l'intelligence risponde alla Guida Suprema Ali Khamenei. Perché dunque arrestarla e poi rilasciarla? «Il caso era politico: riguarda il rapporto tra Teheran e Washington e i potenziali negoziati tra i due paesi. Non si è seguita una procedura giudiziaria. Roxana è stata rilasciata nonostante le gravissime accuse. Per spionaggio, in Iran si rischia la morte. L'anno scorso un uomo è stato messo a morte come spia di Israele (Ali Ashtari, commerciante accusato di vendere ai militari materiale elettronico fornitogli dal Mossad, ndr)». La Corte ha concluso che Iran e Usa «non sono paesi ostili». «L'Iran sta mandando un messaggio agli Usa: 'Siamo forti. Attenti al modo in cui penetrate nel nostro Paese'. Ma pure: 'Siamo pronti ad arrivare a un compromesso', partendo però da una posizione di forza». Assomiglia al gioco «del bastone e della carota» di Bush con l'Iran. Dopo l'offerta di dialogo di Obama, Khamenei avvertì che «cambiare a parole» non basta... «L'Iran dimostra che sa fare lo stesso gioco in risposta al comportamento degli Stati Uniti e di Israele. Quando gli Usa dicono che stanno valutando sanzioni e Israele che ritiene possibile attaccare l'Iran, Teheran deve mostrarsi forte». Cos'era dunque Roxana per le autorità iraniane? «Una carta vincente per ottenere qualcosa. Gli Stati Uniti hanno arrestato alcuni comandanti iraniani in Iraq. Forse Teheran voleva uno scambio. Chissà, forse hanno ricevuto qualcosa per rilasciarla. O forse volevano solo mostrare la propria forza, o li ha convinti la reazione internazionale». L'arresto di Roxana è anche un messaggio agli iraniani? «Può avere avuto un doppio obiettivo, per dire anche ai giornalisti iraniani: 'Attenti a come vi comportate'». America e Iran giocheranno a 'bastone e carota' per sempre? «Io sono ottimista. Credo che l'Iran sia abbastanza flessibile e disposto ad arrivare a un compromesso anche sulla questione nucleare. Ma dipenderà anche dagli Stati Uniti». \\ Il caso era politico. l'Iran dice: attenti, siamo forti, ma siamo anche disposti al compromesso V.Ma.

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Rimosso il comandante militare (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 12/05/2009 - pag: 13 Afghanistan Rimosso il comandante militare WASHINGTON Il Segretario alla Difesa Robert Gates ha rimosso il comandante delle operazioni Usa e Nato in Afghanistan, il generale David McKiernan, sostituendolo con il generale Stanley McChrystal. McKiernan, nominato meno di un anno fa da Bush, si è rivelato incapace, secondo l'Amministrazione Usa, di imprimere una svolta alla guerra contro i talebani. La sostituzione arriva poche settimane dopo la presentazione della nuova strategia di Obama per l'Afghanistan.

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Berlusconi, in Egitto (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Politica data: 12/05/2009 - pag: 17 La visita Il premier non è andato ai funerali di Baget Bozzo ed è volato da Mubarak. Ieri notte a Sharm un blitz in discoteca Berlusconi, «missione» in Egitto Ritorno alla politica internazionale dopo gli strascichi del caso Veronica DAL NOSTRO INVIATO SHARM EL SHEIKH Venti accordi economici nei settori dell'energia, dei trasporti, della cultura e della cooperazione scientifica. Per un valore che potrebbe superare dieci miliardi di dollari. L'Italia che si conferma il primo partner commerciale nella Ue e il più forte sponsor del Cairo nel G8 come rappresentante delle economie emergenti. Ma soprattutto la rinnovata amicizia fra i due leader: l'anno scorso il Cavaliere prestò la sua casa sarda a Hosni Mubarak per alcuni giorni di vacanza; oggi, con al seguito cinque ministri, renderà la visita per un vertice intergovernativo che celebrerà un anno di «partenariato strategico» fra i due Stati e le loro economie. Berlusconi si rituffa nella politica internazionale. Dopo una settimana trascorsa a gestire gli strascichi del litigio con la moglie, dopo avere annullato molti appuntamenti ufficiali (non è andato ai funerali dell'amico don Baget Bozzo), ieri sera il capo del governo è atterrato in Egitto, accolto da un piccolo bagno di folla di turisti italiani al resort Domina Coral Bay, con annessa veloce puntata nella discoteca dell'albergo. Con un faccia a faccia con Mubarak, stamane, a pochi metri dalle spiagge coralline del Royal Golf Club, inizierà una densa visita di Stato. I due presidenti passeranno in rassegna gli accordi commerciali, parleranno dei temi di attualità internazionale, a cominciare dalla questione palestinese (ieri Mubarak ha visto il premier israeliano Netanyahu e a fine maggio volerà ad Washington per incontrare Obama, che subito dopo potrebbe ricevere il Cavaliere). Nello stesso momento, nel centro congressi di Sharm, i ministri degli Esteri Frattini, dell'Interno Maroni, dello Sviluppo economico Scajola, del Welfare Sacconi e delle Infrastrutture Matteoli incontreranno i colleghi egiziani. Scajola firmerà un memorandum sulla cooperazione economica 2009-2012, insieme ad un'intesa tra Ice, Expo di Milano 2015 e ministero del-- l'Industria egiziano in vista dell'Expo. Al termine del vertice presiederà un forum economico al quale saranno presenti un ristretto numero di imprenditori italiani ed egiziani (per parte italiana Pirelli, Moretti, Scaroni, Passera, Gemmo, Quadrino, Pesenti, Rocca) sulle opportunità delle privatizzazioni in corso in Egitto. Gli accordi sull'energia riguardano Eni ed Edison. L'ad dell'Eni Scaroni incontrerà il ministro del Petrolio, Amin Sameh Fhamy, per mettere a punto gli ultimi dettagli di intese del valore di 8 miliardi di dollari, che potrebbero essere sottoscritte oggi. In testa lo sfruttamento di nuovi giacimenti nel Sinai e quello del gas nel deserto occidentale. Edison ha contratti per 3,15 miliardi di dollari, mentre Matteoli dovrebbe concludere un accordo per lo studio di fattibilità dell'alta velocità tra Cairo ed Alessandria. Frattini invece siglerà intese sulla cooperazione allo sviluppo. Altri memorandum riguardano l'Università italo-egiziana, il riconoscimento dei titoli di studio, la conversione del debito mentre Maroni firmerà un'intesa per il contrasto all'immigrazione clandestina. L'anno scorso a Olbia Il presidente egiziano Mubarak e Berlusconi Marco Galluzzo

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Teheran libera Roxana (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 12/05/2009 - pag: 13 Teheran libera Roxana «L'America non è ostile» La giornalista condannata a due anni con la condizionale Roxana è libera. Dopo 100 giorni nella prigione di Evin a Teheran, ieri la giornalista iranoamericana è stata rilasciata. Pallida in volto, magra nel chador blu scuro, Roxana era stata scortata da tre guardie alla Corte d'appello di Teheran, domenica mattina. Prima di entrare, aveva sorriso. Poi, spaesata, aveva chiesto: «E' oggi?». Il verdetto del processo d'appello è arrivato ieri mattina: la condanna emessa ad aprile per «cooperazione con uno stato ostile» (articolo 408 del codice penale) è stata ridotta a due anni con la condizionale. In un processo di 5 ore, la Corte d'appello ha dato ragione agli avvocati difensori Abdolsamad Khorramshahi e Saleh Nikbakht. Hanno argomentato che nonostante i «rapporti tesi» tra Usa e Iran, «non sono paesi ostili o nemici». Hanno fatto riferimento al precedente dell'attivista riformista Abbas Abdi, condannato nel 2002 per aver diffuso un sondaggio secondo il quale tre quarti degli iraniani vogliono il dialogo con gli Usa. In primo grado, gli diedero 10 anni, in appello 4 e mezzo, definendo l'America uno stato «non ostile». Resta per Roxana una condanna a due anni perché «avrebbe raccolto informazioni top secret». E' stata liberata per «pietà islamica», ha detto il portavoce della magistratura: ha collaborato ed è pentita. «Sollevato» il presidente Usa Barack Obama (ha ribadito però che le accuse sono ingiuste). L'arresto di Roxana prima per l'acquisto di una bottiglia di vino, poi per credenziali scadute, infine con l'accusa di spionaggio ha creato tensioni tra Usa e Iran dopo l'offerta di dialogo di Obama. Il presidente iraniano Ahmadinejad aveva raccomandato che il processo fosse equo, precisando poi che la magistratura è indipendente. Il papà Reza Saberi, sopraffatto dall'emozione, e la mamma Akiko, sorridente, hanno atteso Roxana per qualche ora davanti a Evin, nella calca dei reporter. C'era anche il fidanzato Bahman Ghobadi, regista, che aveva scritto una lettera d'amore chiedendone il rilascio. I genitori sono entrati da una porta sul retro. Ghobadi l'ha vista salire in auto con loro, vestita di nero. «Non voglio fare commenti, ma sto bene», ha detto Roxana. Per due anni non potrà lavorare in Iran, ma è libera di partire o restare. Petizioni, pagine su Facebook, scioperi della fame a catena. Il caso di Roxana ha mobilitato organizzazioni e gente comune. «Sono un po' sorpresa. Sapevo che l'avrebbero lasciata andare ma pensavo dopo le elezioni commenta la giornalista di Radio Farda Golnaz Esfandiari . Penso che sia una vittoria per i moderati in Iran». «Pura fantasia replica dall'Università americana di Parigi Ali Fatemi . E' stata solo fortunata perché il regime ora vuole buoni rapporti con gli Usa. Non dimentichiamo la reporter iraniana-canadese Zahra Kazemi, picchiata a morte a Evin. Il regime non è cambiato ». «Il messaggio è di pace dice dall'Università di Stanford Abbas Milani . Ma è pure: siamo pronti a usare i cittadini iraniani come pedine del gioco». Almeno 6 giornalisti e blogger restano in carcere in Iran: 5 iraniani e un irano-canadese, secondo l'organizzazione Committee to protect journalists. Un settimo, il blogger Omidreza Mirsayafi vi è morto a marzo: «suicidio per overdose di anti- depressivi» per le autorità, ma aveva tagli e lividi sul viso. Ci sono anche diversi studenti a Evin. Giorni fa, 5 universitari sono stati rilasciati su cauzione: «Mi torturavano 4 volte al giorno», ha detto uno di loro; restano rinchiusi 5 suoi colleghi per la stessa protesta ad Amir Kabir. Tra le accuse: complotto con gli Usa e Israele. Il filosofo iraniano Ramin Jahanbegloo, che fu rinchiuso a Evin per spionaggio nel 2006, spiega: «A differenza di Roxana, loro non sono merce di scambio ». «La portiamo a casa», ha detto ieri Reza Saberi, nato in Iran. Si riferiva agli Stati Uniti. I familiari Ad attendere la reporter fuori dal carcere di Evin il padre Reza, la madre Akiko e il fidanzato Bahman Il caso Rilasciata l'irano-americana accusata di spionaggio. Obama «sollevato» Benvenuta Dall'alto a sinistra, fidanzato e genitori di Roxana, fiori sulla porta di casa Viviana Mazza

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Bertolaso attacca i politici: litigano sulla pelle dei terremotati (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Cronache data: 12/05/2009 - pag: 25 Abruzzo Il capo della Protezione civile ai parroci: se non dovessi occuparmi di 80 mila persone, li manderei tutti al diavolo Bertolaso attacca i politici: litigano sulla pelle dei terremotati DAL NOSTRO INVIATO L'AQUILA «Se non avessi 80 mila persone di cui occuparmi, manderei tutti al diavolo, è vero». Mai visto il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, così amareggiato. E stanco. Ce l'ha con i politici e li attacca apertamente: «Mentono sapendo di mentire. E alcuni stanno anche in Parlamento, capito? Ci sono le elezioni alle porte e i terremotati diventano la palestra per le loro polemiche. Giocano sulla pelle della gente ». Non fa i nomi, ma è chiaro che si riferisce alle ultime polemiche sui fondi per la ricostruzione («Perché dire che non bastano i soldi? È ovvio che i mutui che faremo saranno pagati per i prossimi 30 anni. Quelli per la ricostruzione dell'Umbria e delle Marche li paghiamo ancora oggi e li pagheremo fino al 2018...»). Bertolaso parla davanti a una platea di parroci. Li ha convocati lui stesso, nel quartier generale di Coppito, perché capisce che un'altra grana è alle porte. Il presidente della provincia dell'Aquila, Stefania Pezzopane, ha appena dettato alle agenzie di stampa un duro comunicato: «La situazione nelle 170 tendopoli è al limite della sussistenza. Caldo, aria irrespirabile, malattie... ». Il capo della Protezione civile è preoccupato, teme che la politica ancora una volta soffi sul fuoco: «Se si comincia così, a fine maggio che cosa potrà accadere. Chiedo a tutti un sussulto di onestà». Trentamila persone, attualmente, vivono nelle tendopoli e ogni giorno che passa si fa più dura (i Nas sono già andati a ispezionare le cucine). C'è l'allarmecaldo, la tensione cresce, per questo Bertolaso ha chiesto ieri ai 70 parroci delle zone terremotate di fare da pontieri con la gente accampata («Voi siete come noi, siete la Protezione civile, siete le nostre antenne») per arrivare a siglare un patto solenne, non scritto, tra i cittadini e lo Stato. Occorre resistere fino a settembre promette il commissario per l'emergenza poi arriveranno le Costruzioni Anti Sismiche Ecocompatibili, venti villaggi provvisori a più piani, in legno lamellare, calcestruzzo compresso e acciaio, per i 15 mila che non potranno rientrare nelle loro case distrutte dal terremoto del 6 aprile. Le aree sono già state individuate ed è stata firmata anche la convenzione per l'esproprio dei terreni. Più del 50 per cento degli edifici, invece, risulta agibile e ieri sera malgrado le scosse non si fermino (2.5 e 3.1 Richter nelle ultime 24 ore) il primo aquilano ha deciso di tornare a dormire a casa. È il signor Michele Armenia, ex ufficiale dell'Esercito: «Se vado io, andate tutti, questo è il mio slogan. Abbiamo bisogno di normalità ». Il procuratore capo Alfredo Rossini, intanto, prosegue la sua inchiesta sui 140 palazzi sequestrati. «Ci sono le carte per i processi», ammette. E dunque, molto presto, arriveranno interrogatori e indagati. In vista del G8 di luglio, infine, ieri a Coppito è passata in visita una delegazione dell'ambasciata russa. Come avevano già fatto in precedenza gli americani di Barack Obama, anche gli emissari del Cremlino hanno promosso L'Aquila a pieni voti. Resistere tutta l'estate «Occorre resistere fino a settembre». Poi arriveranno venti villaggi provvisori antisismici Incontro Guido Bertolaso durante l'incontro con i parroci (Tam tam) Fabrizio Caccia

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Per lo scudo fiscale spunta l'ipotesi delle aliquote variabili (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Economia data: 12/05/2009 - pag: 30 Pre-G8 sui «legal standard» Per lo scudo fiscale spunta l'ipotesi delle aliquote variabili ROMA «Trasparenza e cooperazione fiscale». C'è anche questo capitolo, insieme a quelli sui nuovi principi per l'antiriciclaggio, la pubblicità delle informazioni finanziarie, la convenzione anticorruzione, le nuove regole per la gestione delle imprese e i diritti sulla proprietà, nel menu dei nuovi 'legal standard' che i delegati del G8 hanno cominciato a discutere ieri sera a Roma insieme ai vertici dell'Ocse, diversi premi Nobel ed esperti internazionali di diritto. Per il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, che fa gli onori di casa, e che oggi terrà una conferenza stampa sui lavori del gruppo, la trasparenza in campo fiscale è uno dei cardini della nuova carta economica del dopo crisi. Con il suo corollario, la lotta senza quartiere all'evasione internazionale, che si sostanzierà nel provvedimento da tempo allo studio per il rientro dei capitali dall'estero. I meccanismi tecnici e giuridici ormai sono pronti e il governo italiano aspetta solo il momento giusto per metterli all'opera. Intanto la diplomazia economica ha le sue esigenze e non è escluso che, prima che il provvedimento veda la luce, il governo decida di aspettare che la discussione sui nuovi «legal» o «global » standard si formalizzi in un testo e venga portata all'attenzione dei Capi di Stato e di Governo. Così come è probabile che si decida di attendere la maturazione del dibattito anche in sede europea: i provvedimenti per il rientro dei capitali, per inciso, saranno discussi nella prossima riunione dell'Eurogruppo (ospitata, ironia della sorte, in Lussemburgo), anche se sono già stati annunciati da Gran Bretagna, Germania e Ungheria (oltre che dagli Stati Uniti del presidente Obama). Il governo italiano non pare avere fretta, benché le indiscrezioni che parlano di decisioni imminenti si susseguano ogni giorno. Anche l'enfasi sulla lotta globale all'evasione fiscale internazionale che cresce parallelamente all'attesa, del resto, può essere un'arma in più per il successo dell'operazione. Tanto più accerchiati si sentiranno, tanti più soldi potranno rientrare nei confini nazionali. Perché questa volta, a differenza delle due precedenti edizioni dello scudo fiscale, nel 2001 e nel 2003, i capitali parcheggiati all'estero dovranno davvero rientrare fisicamente in Italia. E saranno soggetti ad aliquote fiscali differenti, a seconda di come verranno successivamente utilizzati. Il livello della tassazione sarà stabilito solo all'ultimo momento. Le aliquote, tuttavia, non dovranno essere troppo elevate, per non scoraggiare l'operazione (da cui si attende un gettito alto, che difficilmente però sarà cifrato) , né troppo basse, rendendola eccessivamente vantaggiosa. Pagherebbe di più chi deciderà di far rientrare i capitali depositandoli in banca, un po' di meno chi li userà per ricapitalizzare la propria impresa, e ancora un po' di meno chi deciderà di destinarli (magari sottoscrivendo particolari titoli di Stato) al finanziamento di quello che al Tesoro già chiamano il 'Prestito Italia', da usare anche per la ricostruzione dell'Abruzzo. Nel decreto sul terremoto è già previsto. Mario Sensini

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 12/05/2009 - pag: 15 Patto Ue Mario Mauro interviene nel dibattito aperto da Monti «Liberismo o economia sociale? Recuperiamo le nostre radici» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES Riuniti a parlare di crisi, ieri i capi religiosi e politici d'Europa hanno battuto in coro sullo stesso concetto: se qualcosa ci salverà, sarà «l'economia sociale di mercato». Joaquìn Almunia, José Manuel Barroso, Hans-Gert Pöttering, con vescovi e imam, e come Barack Obama, tutti in rivolta contro le sirene del «mercatismo», del mercato che regola tutto. Ma allora, che cosa mai è accaduto in questi anni? «Che la fuga verso il mercatismo risponde Mario Mauro, cattolico del Ppe e vicepresidente dell'Europarlamento ha completato il rinnegamento delle radici culturali d'Europa. E ha sancito la crisi dell'identità più profonda della società europea. L'economia sociale di mercato? Si rifà a esperienze di condivisione, a ideali universalistici, alla piazza del Comune, luoghi ideali di transito di diverse esperienze europee. Mentre l'appiattirsi sulle formule Usa ha rappresentato un grave condizionamento dell'Europa unitaria. Per questo, ora, raddrizzare quella tendenza significherà fare o rifare l'unità d'Europa». È un po' un «mea culpa», anche di voi centristi o cattolici? «In un certo senso, sì. Come tanti altri ci siamo lasciati tentare da un'opzione culturale che non aveva più al centro la persona. E questo ha fatto perdere slancio al progetto politico della Ue. Ci siamo messi a misurare quanto successo avesse questo o quel Paese. Ci chiedevamo: quanto conta l'Italia in Europa? Invece di: cosa conta l'Europa per noi?» Appunto: che cosa conta? Lo dica lei, che è candidato alla presidenza del futuro Europarlamento. «Che l'Europa conti moltissimo, è un dato obiettivo. Anzi: è l'unico scenario possibile. O vogliamo dire, per esempio, che Malta o l'Italia possano risolvere da sole l'emergenza immigrazione?» Alcuni gridano: «Europa cristiana, mai musulmana» «Ma no, il problema è rispondere a quell'altra domanda: in che cosa crede veramente l'Europa? Se ricordiamo il progetto originario, la risposta è già qui, ora: ciò che ci unisce è più di ciò che ci divide ». Ma non è troppo tardi, a 59 anni dal sogno di Schuman? «No. L'opinione pubblica comincia a capire che l'Europa è un'opportunità che non si può perdere. Ma ognuno ha bisogno di ritrovare la propria faccia, la propria identità. E bisogna ridare un ruolo politico a ciò che si muove già, trasversale, in tutta la società: cioè ai principi e alle forze della sussidiarietà». Mario Monti auspica un compromesso fra «mercatisti » e fautori dell'economia sociale di mercato.... «Sì. Purché ci ricordiamo tutti che, anche nelle forme più illuminate delle socialdemocrazie europee, il socialismo ha sempre visto le istituzioni come padrone della vita del cittadino, dalla culla alla tomba. Mentre devono essere invece garanti, non padrone, della libertà e della creatività di ciascuno. E nel futuro, c'è poi un'altra certezza più importante». Quale? «Se non troveremo delle buone ragioni da offrire alle nuove generazioni per farsi una famiglia, progredire nel lavoro e nella vita personale, anche il grosso di ciò che possono fare le istituzioni europee rischierà di andar perso. E questo non deve accadere, mai». Luigi Offeddu

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Ospedali, medici e sindacati tagliano le spese per Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-05-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 12/05/2009 - pag: 15 Cambio Sì alla manovra anche dalle compagnie assicurative e farmaceutiche che 16 anni fa si opposero al piano Clinton Ospedali, medici e sindacati tagliano le spese per Obama Risparmi per 2.000 miliardi in favore della riforma sanitaria DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Obama adesso riesce anche a trasformare i lupi in agnelli? Lo stesso presidente si diverte a ironizzare sugli agiografi che gli attribuiscono capacità miracolose, ma ieri molti sono rimasti colpiti nel vedere i principali protagonisti della sanità privata mettersi in riga e offrire alla Casa Bianca interventi spontanei di contenimento della spesa capaci di generare duemila miliardi di dollari di risparmi in 10 anni. Se non è un miracolo, poco ci manca, visto che questi stessi soggetti ad esempio l'associazione delle compagnie assicurative sono quelli che 16 anni fa alzarono le barricate contro le quali si infranse la riforma sanitaria di Bill e Hillary Clinton. Stavolta, invece, assicuratori, industria farmaceutica, aziende ospedaliere, medici e sindacati della sanità scelgono di salire sul carro della riforma di Obama e mostrano anche di condividerne l'impostazione. «Un cavallo di Troia?» si chiede, sospettoso, l'economista liberal Paul Krugman sul New York Times. Probabilmente no: solo un tentativo di minimizzare i danni. Col sistema sanitario Usa che è il più costoso del mondo (17,6% del Pil), la spesa in continua crescita (assorbirà più di un quinto del reddito nazionale entro il 2015), la qualità del servizio che sta peggiorando e 46 milioni di americani privi di ogni copertura medica, le imprese del settore si sono rese conto che è impossibile opporsi a un cambiamento. Nel '93 ci si poteva stendere sui binari e fermare il treno. Oggi si rischia di essere travolti: meglio salire sul convoglio e cercare di incidere sulla riforma. Il presidente (per cui ottenere via libera a un nuovo sistema e alle politiche fiscali necessarie per alimentarlo non sarà comunque facile) ha accolto a braccia aperte le organizzazioni sanitarie. Anzi, probabilmente le ha sollecitate, a giudicare dal battage organizzato dalla Casa Bianca. I suoi comunicatori ora descrivono gli ex nemici come compagni di strada, ma, nella fretta, hanno dimenticato di aggiornare il linguaggio: così i nuovi alleati vengono ancora definiti «il complesso medico-industriale ». Che suona un po' come il «complesso militare-industriale » dei tempi del Vietnam. Che poi i lupi abbiano cambiato davvero natura, è tutto da dimostrare: 16 anni fa le imprese mobilitarono l'America contro la riforma «statalista» dei Clinton, con una campagna di spot basati sulle peripezie di Harry e Louise, due coniugi del ceto medio soffocati dai burocrati della sanità pubblica. Oggi non si vede nulla di simile, ma gli spot contro la riforma Obama ci sono ugualmente: ritraggono medici inglesi e canadesi (Paesi col sistema pubblico) che discutono della lunghezza delle liste d'attesa e di come ridurre le possibilità di scelta dei pazienti. Li ha confezionati la stessa agenzia che nel 2004 costruì la campagna degli «Swift Boat for Truth»: quella dei veterani del Vietnam che azzoppò John Kerry nella volata con Bush per la Casa Bianca. Solo che a pagare stavolta non sono assicuratori né ospedali ma i Conservatori per i Diritti dei Pazienti, un'organizzazione di destra. Obama non si chiede chi paga per la campagna e prende volentieri le aziende a bordo, anche perché solo costruendo un terreno di mediazione con gli interessi economici può costruire una riforma equilibrata, che offra ai cittadini anche un'opzione pubblica, ma senza il ruolo centrale dello Stato invocato dalla sinistra radicale. Poi dovrà vedersela col Congresso dove gli stessi parlamentari democratici da un lato pretendono una riforma sanitaria incisiva, dall'altro osteggiano le sue proposte di espansione del gettito fiscale, necessarie per finanziarla. Il suo progetto di ridurre le detrazioni per beneficenza, mutui e altre spese che finiscono per sgonfiare la base imponibile di imprese e contribuenti benestanti ha trovato grossi ostacoli. Ieri, presentando una nuova versione del bilancio 2009, Obama ha riproposto, con qualche modifica, questi interventi: un po' meno penalizzazioni per la filantropia, il ricorso (limitato a 24 miliardi di dollari di gettito in 10 anni) all'imposta di successione e un aumento di 3-4 punti dell' aliquota massima per chi guadagna più di 250 mila dollari l'anno. Salute Barack Obama, 47 anni, con un gruppo di cardiologi: il suo piano comprende l'assicurazione sanitaria per i 46 milioni di americani che ne sono privi Massimo Gaggi

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Sanità Usa, un'assicurazione per tutti Obama avvia la sua "riforma da sogno" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 12-05-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - "Non mi fermerò fino a quando il sogno di una riforma del sistema sanitario negli Stati Uniti non sarà esaudito". Barack Obama annuncia tagli ai costi sanitari per oltre duemila miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, primo gradino della riforma sanitaria che dovrà essere varata "entro la fine dell'anno". I costi della sanità sono "fuori controllo" e limitarli è "essenziale" per il futuro dell'economia americana, dice il presidente Usa, presentando il piano messo a punto con tutte le organizzazioni del settore (industrie farmaceutiche, grandi ospedali privati, associazioni dei medici e produttori di materiale sanitario) i cui leader si sono ritrovato ieri tutti insieme alla Casa Bianca: "Spendiamo per la sanità più di qualsiasi altra nazione sulla faccia della terra e nonostante ciò ci sono 46 milioni di americani che non hanno alcun tipo di assicurazione medica. Non è possibile continuare così". Un incontro come quello di ieri "sarebbe stato impensabile" fino a poco tempo fa , ha sottolineato il presidente e se tutti i leader del settore "sono venuti qui" è perché riconoscono "un chiaro e indiscutibile fatto: che la spesa sanitaria minaccia la stabilità finanziaria delle famiglie, del business e dello stesso governo". Era stata proprio l'industria farmaceutica con le sue potenti lobby al Congresso ad affossare il tentativo di riforma sanitaria di Clinton (e Hillary) all'inizio degli anni Novanta, una delle sconfitte più cocenti dell'ex presidente democratico che aprì la strada alla grande vittoria repubblicana nelle elezioni di mid-term del 1994. Di fronte alla crisi economica attuale, alla determinazione della Casa Bianca e grazie anche al carisma personale di Obama i gruppi farmaceutici e le grandi catene ospedaliere sono adesso pronti a dare una mano decisiva affinché il "sogno" di dare a tutti gli americani l'assicurazione sanitaria possa diventare realtà. Il piano messo a punto prevede di ridurre dell'1,5% l'anno i costi dell'assistenza medica, facendoli diminuire in dieci anni per un totale di circa duemila miliardi di dollari. OAS_RICH('Middle'); "Non possiamo continuare sulla strada pericolosa che abbiamo percorso per anni, la riforma non è un lusso che possiamo rimandare, ma una necessità che non può aspettare". Quella sanitaria è una delle riforme più difficili - se non la più difficile in assoluto - che attende Obama. Nel 1993 la "lobby" di assicurazioni e industriali del settore lanciò una campagna di spot televisivi grazie alla quale due personaggi fittizi (Harry e Louise) riuscirono a convincere gli americani che la riforma costava troppo ed era una pessima idea. Obama l'ha ricordato ("quella coppia televisiva che divenne l'icona di coloro che si opponevano alla riforma negli anni Novanta") ma ha aggiunto che oggi Harry e Louise "hanno disperatamente bisogno della riforma". I tagli annunciati (che sono su base assolutamente volontaria) rappresentano "il primo gradino" di una riforma che non è più rinviabile e che dovrà essere completata entro l'anno. Obama ha ricordato la promessa fatta in campagna elettorale - l'assicurazione sanitaria per tutti gli americani - dichiarandosi molto "soddisfatto" per le proposte arrivate dall'industria farmaceutica. In cambio della loro disponibilità, assicurazioni e industrie farmaceutiche chiedono che il Congresso vari al più presto una legge che obblighi ogni americano ad avere l'assicurazione medica, esattamente come ha quella per l'automobile. Ieri la Casa Bianca ha annunciato che il deficit Usa sarà più alto del previsto (90 miliardi di dollari in più nel budget 2009 e in quello 2010), per un totale superiore ai 1800 miliardi di dollari e che sta pianificando un massiccio programma di tagli fiscali: 736 miliardi di dollari per le famiglie e cento miliardi per le imprese nell'arco dei prossimi dieci anni. (12 maggio 2009

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"Facciamo la pace subito o tra un anno è guerra" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 12-05-2009)

Argomenti: Obama

CORRISPONDENTE DA LONDRA Il Papa chiede una pace «giusta» per la Terra Santa, il presidente americano Barack Hussein Obama vola in Egitto alla conquista dell’opinione pubblica musulmana, le elezioni israeliane hanno consegnato la Knesset al superfalco Netanyahu ma i palestinesi ammettono a bassa voce che in sessant’anni di conflitto le uniche concessioni territoriali, da Hebron alla Striscia di Gaza, sono arrivate dalla destra. Nonostante la secolare palude che avvolge il Medio Oriente, molti analisti intravedono oggi le condizioni per una bonifica. La conferma arriva dal re Abdallah II di Giordania che ieri, in un’intervista al quotidiano britannico The Times, ha annunciato l’impegno ufficiale di Washington nella stabilizzazione della regione. Il giovane sovrano è appena tornato dagli Stati Uniti, primo leader arabo a varcare la soglia della Casa Bianca nell’era Obama, con la bozza di un piano di pace ad ampio raggio, la nascita di uno Stato palestinese nei confini del 1967 in cambio della normalizzazione dei rapporti tra Israele e i 57 paesi della Conferenza islamica. Lo schema è quello dell’iniziativa saudita del 2002 rimasto finora un ambizioso pezzo di carta, ma la nuova Amministrazione Usa sembra più disposta della precedente a servirsi del soft power prima di cedere alle armi. «Se rinviamo ancora i negoziati vedremo un nuovo conflitto nel giro di un anno», sostiene re Abdallah. Obama è avvertito: «O si muove qualcosa entro maggio o la sua formidabile credibilità svanirà». La tempistica preoccupa gli attori mediorientali almeno quanto gli spin doctors della Casa Bianca. La Giordania, come l’Egitto e l’Arabia Saudita, segue con ansia l’espansione iraniana nel cortile di casa. La Siria, strangolata dalla crisi economica, valuta seriamente l’ipotesi di abbandonare il tradizionale equilibrismo opportunista e passare dalla parte dei «buoni», i Paesi arabi cosiddetti moderati, rinunciando alla protezione di Teheran per avere indietro le alture del Golan occupate nel 1967 e annesse nell’81. Israele mostra la faccia dura del ministro degli esteri Lieberman ma sa che nell’imminente viaggio a Washington il premier Netanyahu non potrà limitarsi a dire no. L’ha ammesso lui stesso ieri al termine del meeting con il presidente egiziano a Sharm el Sheik quando, dopo aver eluso la domanda di Mubarak sulla nascita d’uno Stato palestinese indipendente, ha rivelato che «i colloqui con i palestinesi riprenderanno a settimane». Bibi è un osso duro, concede al Times il sovrano giordano: «Lo vidi dieci anni fa, ero appena salito al trono. L’incontro più sgradevole che ricordi». Ma i tempi cambiano e cambiano le priorità. Per questo, continua il monarca che oggi partirà per Damasco, «l’esito della visita di Netanyahu alla Casa Bianca è decisivo». Secondo la soluzione «57 Stati» Israele si ritira entro i confini del 1967 e smantella le colonie ebraiche nei territori palestinesi ottenendo in cambio la possibilità di volare con aerei El Al nell’immenso cielo arabo-musulmano. Il ritorno dei profughi palestinesi del ‘48 e l’autorità su Gerusalemme, nodi spinosi forse più delle frontiere, passano in secondo piano, materia da discutere in progress. Re Abdallah è fiducioso: «Gerusalemme non è un problema internazionale ma una soluzione internazionale, parliamo di un terzo della popolazione mondiale che incontra gli israeliani a braccia aperte». Un tavolo così affollato non s’immaginava più dal 1991, quando il presidente Bush padre riuscì a portare a Madrid tutte le parti coinvolte nel conflitto. Il futuro della regione pare, non sorgerà dal Giordano, dalle Alture del Golan o dal deserto del Sinai. Bisogna spingere lo sguardo oltre, in Marocco, nel Golfo, in Indonesia. I palestinesi scuotono la testa scettici ma aguzzano la vista. Non si sa mai. «Il piano saudita è tornato in pista, è vero, l’ha confermato il presidente palestinese Abu Mazen», osserva Hafez Barghouti, direttore del quotidiano Al Hayat al Jadidah, organo ufficiale di Fatah. L’esito delle elezioni israeliane ha scoraggiato gli abitanti di Ramallah, ma Obama resta un faro: «Per la prima volta la Casa Bianca ha affermato che la nascita di uno Stato palestinese indipendente è interesse americano. C’è una chance, anche i leader di Hamas hanno capito che devono scegliere da che parte stare. Washington può usare la carta iraniana per far pressione su Israele. La destra israeliana, dal canto suo, sa che qualsiasi cosa concedesse in nome della pace avrebbe l’appoggio dei laburisti, un privilegio che la sinistra non ha». Il calendario incalza. Dopo Netanyahu il presidente Obama riceverà il collega egiziano Mubarak e quello palestinese Abu Mazen, colloqui preliminari e di sostanza prima dello sbarco al Cairo il 4 giugno con l’annuncio del nuovo piano pace. L’audacia della speranza tradotta in arabo funzionerà? Il professor Efraim Inbar, docente di studi politici all’università Bar Ilan e direttore del Begin-Sadat Center for Strategic Studies invita alla cautela: «I paesi musulmani non sono pronti alla fine delle ostilità. E poi la questione palestinese non interessa a nessuno, conta solo l’Iran». Gli ottimisti però, confidano nel gioco di sponda.

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