Scrutini caos a Bari, Emiliano chiama gli avvocati
(
da "Corriere della Sera"
del 10-06-2009)
Argomenti: ObamaAbstract: incontrare Obama, aiutare l'Abruzzo, badare alla crisi economica...». La replica di Di Cagno Abbrescia: «I cittadini si sono resi conto delle promesse da marinaio del sindaco. Berlusconi qui? Non lo escludo ». Non si esclude niente, a Bari, città nella quale venti ore dopo l'apertura delle urne, non c'è ancora un risultato definitivo.>
Debora: ora tournée per
convincere i delusi Il Pd? Pare Star Trek
( da "Corriere della Sera"
del 10-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Debora come Obama». In fondo anche
lei ha sfondato con un discorso, è diventata famosa con il video su YouTube, è
amichevole ma determinata. Grazie grazie a tutti, ma «resto con i piedi per
terra». Ma anche no. C'è il Parlamento europeo, si prevedono zero vacanze
perché praticamente tutte le Feste democratiche (insomma,
La Obama del Carroccio: ( da "Corriere
della Sera" del 10-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: afroamericana, è il nuovo sindaco
di Viggiù La Obama del Carroccio: «I miei idoli? Bossi e Andreotti» VARESE
Barack Obama, Umberto Bossi, Giulio Andreotti: sono i tre uomini politici
preferiti di Sandy Cane, 48 anni, la prima «sindaca» afroamericana eletta in
Italia, e per giunta sostenuta dalla Lega Nord;
Il primo sindaco nero da
Obama a Bossi ( da "Stampaweb,
La" del 10-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: italiana di Viggiù, pelle color
Barack Obama e tessera della Lega in tasca, in tuta blu e pochette verde dietro
la scrivania in noce, si allarga in un sorriso grande così: «E? chiaro che
adesso utilizzano la mia immagine, ma io devo far capire bene che non sono solo
una novità». Per incontrare il primo sindaco nero d?
Obama: Stato palestinese
nel 2011 ( da "Stampaweb,
La" del 10-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: obiettivo che il presidente
americano Barack Obama ha appena illustrato ai dirigenti israeliani,
palestinesi ed egiziani secondo quanto ha appreso l?influente quotidiano arabo
a-Shark al-Awsat. Il trampolino di lancio di questa iniziativa, aggiungono
fonti israeliane, potrebbe essere costituito da una nuova Conferenza di pace
mediorientale, analoga a quella convocata a Madrid nel 1991.
Iran, i giovani pazzi per
Mousavi "l'onesto" ( da "Stampaweb,
La" del 10-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: gli occhiali e due strisce «verde
Mousavi» disegnate sulle guance: «Se Obama è sincero cambierà il mondo». Fuori
tema. Mojtaba è uno dei pochi cinquantunenni in questa festa della gioventù.
Dice: «Il problema è la disoccupazione. In ogni famiglia ci sono uno o due
senza lavoro. Come me per esempio». Il candidato ancora non arriva.
Editoria on line, Usa
indagano su Google Obama in campo in difesa del copyright ( da "Repubblica.it" del 10-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione Obama è scesa in
campo per fare luce sulle attività di Google, visto fino ad oggi come una
realtà privilegiata nei rapporti con il nuovo presidente: Obama usa il canale
di YouTube (gruppo Google) per comunicare con gli americani, e l'amministratore
delegato della società californiana, Eric Schmidt, è un consigliere personale
del presidente.
Barack contro i
negazionisti ( da "Stampa,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: A Buchenwald Barack contro i
negazionisti Un chiaro messaggio contro i negazionisti dell'Olocausto era
arrivato venerdì scorso dalla visita del presidente americano Barack Obama al
campo di Buchenwald, in Germania. «Ancora oggi c'è chi afferma che l'Olocausto
non è mai avvenuto. Dovrebbe visitare Buchenwald», aveva detto Obama.
Neonazi spara al museo
della Shoah ( da "Stampa,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Olocausto fatto la scorsa settimana
dal presidente Barack Obama nell'ex lager tedesco di Buchenwald è stata
identificato dall'Fbi come un possibile movente del gesto, appena appurata
l'identità dell'autore dell'aggressione. Si tratta di un «neonazista convinto»,
come detto da un portavoce della polizia di Washington, perché James von Brunn,
classe 1920, figlio di immigrati austriaci,
"Con lui andremo in
Paradiso" ( da "Stampa,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: di Obama: «Mitavonim Mishavad», noi
possiamo, si può. Saranno in 400 mila. Se per Mousavi si erano mobilitati i
giovani e la classe media, qui ci sono soprattutto i più poveri. Nei quattro
anni di governo il Presidente ha usato generosamente i 250 miliardi di dollari
di entrate petrolifere per favorire il suo elettorato tradizionale con una
politica assistenziale,
Uno zar controllerà gli
stipendi dei manager degli istituti salvati ( da "Stampa,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: la decisione di Obama Uno zar
controllerà gli stipendi dei manager degli istituti salvati Sarà un esperto
nominato dall'Amministrazione del presidente Usa Barack Obama, Kenneth
Feinberg, un noto avvocato di Washington, a decidere gli stipendi dei 175
manager dei sette grandi gruppi bancari ed industriali in crisi che hanno
ricevuto aiuti dallo Stato per evitare il crac.
Come il porcello ( da "Stampa,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Imita Michelle Obama e sembra
Madonna; imita il sindaco Moratti e dice: «Io non ho paura di niente: solo di
finire la lacca». In stile Giacobbo si scoprono i misteri di Leonardo e della
Monna Lisa: c'è una scritta esoterica sopra la roccia, indietro, sul paesaggio
di sfondo, eccola.
Dal waterboarding
all'isola felice ( da "Stampa,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: i detenuti che entro gennaio 2010
devono lasciare, sfrattati da Obama, le stanzette di Guantanamo con aria
condizionata. I primi a essere liberati, i 17 cinesi musulmani della etnia
degli uiguri, finiranno infatti nel paradisiaco arcipelago della Micronesia,
nove isole abitate su 250, 750 kilometri a Est delle Filippine.
30 marzo Obama benedice
l'alleanza Come condizione per erogare a Chrysler un finanziament... ( da "Stampa,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 30 marzo Obama benedice l'alleanza
Come condizione per erogare a Chrysler un finanziamento pubblico di 6 miliardi
di dollari il Presidente americano impone al colosso di Detroit in crisi di
unirsi a Fiat, con le sue tecnologie per produrre auto più efficienti.
Giudici e legali per 48
ore di battaglia ( da "Stampa,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: operazione appoggiata dal
presidente Barack Obama, di fatto un democratico come lei. Ma nel pomeriggio di
lunedì arriva il colpo di scena, la Corte Suprema sospende la vendita
accogliendo l'istanza presentata dai fondi dell'Indiana. Hanno fatto breccia le
dichiarazioni di Richard Mourdock, il tesoriere dello Stato: «La battaglia è di
principio,
Discorso ai dipendenti:
meritocrazia e leadership, dovete sfidare l'ovvio ( da "Stampa,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione Obama scommette sul
successo della sfida delle auto piccole. «L'intesa raggiunta è un momento di
orgoglio per Chrysler, l'alleanza con Fiat consente di uscire dalla bancarotta
e di emergere come un'azienda automobilistica valida e competitiva» fa sapere
un portavoce della Casa Bianca confermando l'elargizione del prestito da 4,
Pugno di ferro e guanto di
velluto. Così la Fiat ha respinto l'assedio alla Corte Suprema ... ( da "Stampa,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: operazione appoggiata dal
presidente Barack Obama, di fatto un democratico come lei. Ma nel pomeriggio di
lunedì arriva il colpo di scena, la Corte Suprema sospende la vendita
accogliendo l'istanza presentata dai fondi dell'Indiana. Hanno fatto breccia le
dichiarazioni di Richard Mourdock, il tesoriere dello Stato: «La battaglia è di
principio,
marchionne a capo di
fiat-chrysler ( da "Repubblica,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina Via libera
all´operazione, Obama soddisfatto Marchionne a capo di Fiat-Chrysler ROMA -
Dopo il via libera della Corte suprema l´accordo tra Fiat e Chrysler è cosa
fatta. A capo del nuovo gruppo sarà l´ad del Lingotto, Sergio Marchionne. Si
punta su 23 nuovi manager per 4 marchi.
kenneth feinberg "zar
degli stipendi" dei manager usa ( da "Repubblica,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: dei manager Usa WASHINGTON -
L´amministrazione Obama ha presentato le proposte di legge per regolare gli
stipendi dei manager Usa. E intanto, ha nominato uno "zar degli
stipendi", Kenneth Feinberg, che avrà il compito di determinare i compensi
di 175 top manager in sette delle maggiori imprese del paese che hanno ricevuto
aiuti pubblici.
collaborazione, non
barricate - salvatore tropea ( da "Repubblica,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: nella direzione di quell´obiettivo
sul quale Barack Obama ha impostato la strategia per la sopravvivenza di
Chrysler e Gm. Dunque siamo di fronte a qualcosa di più che un tentativo di
salvare dei siti produttivi. Proprio per questo la proposta di cui si è discusso
ieri a Roma merita anche l´attenzione del governo.
"la mia techno? nasce
dall'amore di dio" - fulvio paloscia ( da "Repubblica,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: e so che con Obama questo accadrà».
Ovviamente, «anche con l´aiuto di Dio». Oggi intanto il Muv ha in serbo altri
assi della musica elettronica tra Italia e Europa: oltre ai nostrani Maggie Pie
(21.30), dj tutta istinto, e Congorock (1), produttore e dj milanese con una
sua solida fama negli Usa, arriveranno anche i Subs,
"divertimento e
ricerca io donna li suono così" ( da "Repubblica,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: sono i coloured che negli Usa vanno
incontro a pregiudizi incancellabili nonostante Obama. Agli americani non
perdono ben altro: l´essere stati i burattinai del golpe di Pinochet». A New
York «ho imparato a lavorare duro, perché così devi fare, laggiù, se vuoi
sopravvivere»; a Berlino, dove vive adesso, «ho capito davvero cosa è la
libertà: espressiva, di movimento.
regione, latorre benedice
vendola leader "ma dovremmo aprire alla poli bortone" - lello parise ( da "Repubblica,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il nostro Obama»? «Vendola è un
ottimo presidente di Regione e ha ottenuto un significativo successo personale
alle europee...». Ma? «Nessun ma. Ripeto: per il momento dobbiamo concentrarci,
tutti quanti, per conquistare cinque amministrazioni locali. Poi dovremo
metterci al lavoro perché il centrosinistra in Puglia possa consolidarsi ed,
"lui in aula? nessuno
scandalo rappresenta l'unione africana il discorso è un'occasione di pace" ( da "Repubblica,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: è un impegno per recuperare il
dialogo con i paesi della sponda del Mediterraneo, dopo il discorso del
presidente Obama al Cairo, francamente ci si dovrebbe preoccupare degli
interessi generali del paese e guardare un po´ più in là piuttosto che
privilegiare gli aspetti di cortile». Pd di nuovo diviso «Un esercizio
purtroppo appassionante quello della divisione.
usa, nazista di 88 anni
spara al museo della shoah - vittorio zucconi ( da "Repubblica,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama "rattristato"
VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - Cercava il crepuscolo privato delle suoi divinità
naziste, il vecchissimo Sigfrido americano di 88 anni che ieri ha invaso da
solo il Museo della Shoah a Washington e ha cominciato a sparare, per finire il
lavoro che Hitler, Himmler, Heydrich e i suoi eroi nella crociata contro la
società multientica avevano lasciato incompiuto.
marchionne alla guida di
fiat-chrysler - arturo zampaglione ( da "Repubblica,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: impegno del presidente Barack Obama
(che ai tempi dell´università guidava una Fiat sgangherata), e in particolare
del leader del suo team, Steven Rattner. «Ci siamo finalmente riusciti», ha
detto ieri a Repubblica lo «zar» dell´auto, visibilmente soddisfatto per questa
vittoria della Casa Bianca che avrà riflessi positivi anche sul dossier General
Motors.
(
da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Dicono che lei sia la Michelle
Obama dell'Islam. «Non sono Michelle, mi basta essere me stessa. Di certo ho
grande stima di tutte le donne che, nel mondo, riescono ad avere un ruolo
attivo nella società». Di solito, però, nei Paesi islamici alla donna viene
chiesto di fare un passo indietro.
Svolta nell'auto Fiat
conquista Chrysler negli Usa ( da "Corriere
della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione del presidente
Barack Obama ». Lo aveva convinto con la «tecnologia verde» Fiat, non con il
design italiano. Ora promette: «Costruiremo vetture che i consumatori
vogliono». Ed è lui il primo ad aggiungere: «Sta a noi dimostrare che così sarà».
Raffaella Polato Nel quartier generale della Chrysler Per il saluto ai
dipendenti americani ad Auburn Hills,
Marchionne agli operai:
vinceremo la grande sfida ( da "Corriere
della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama che si è esposto in prima
persona fin dall'inizio, il sostegno finanziario garantito alla Chrysler anche
rischiando una reazione irata dei contribuenti, la pressione sulle corti perché
fosse evitato ogni intoppo di natura giudiziaria, i tre gradi di giudizio
superati (forse anche con qualche forzatura) in poco più di una settimana,
Follia antisemita al Museo
dell'Olocausto ( da "Corriere
della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il presidente Obama ha detto di
essere «preoccupato e rattristato»: «E' un segno che ci ricorda come si debba
sempre vigilare contro i pregiudizi». Secondo una prima ricostruzione, fatta
dal capo della polizia di Washington, Cathy Lanier, Brunn avrebbe cominciato a
sparare appena dentro l'edificio, prima cioè del controllo di sicurezza ai
metal detector,
I big Usa ripuliscono il
blasone ( da "Corriere
della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: miliardi di dollari provocando lo
sdegno persino di Barack Obama? Facile, si cambia la «G» e si trasforma in
A.I.U.. La strategia dei big della finanza anglosassone per uscire dalla crisi,
ha scritto ieri l'Herald Tribune, passa anche per il maquillage di loghi e nomi
«svalutati». La ripulitura, aggiunge il quotidiano, avviene con l'aiuto dei
grandi nomi delle pubbliche relazioni.
Tetto allo stipendio per i
100 manager Usa delle aziende salvate dal governo ( da "Corriere
della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 06/2009 - pag: 33 La decisione di
Obama Tetto allo stipendio per i 100 manager Usa delle aziende salvate dal
governo WASHINGTON Il presidente Obama non fisserà un tetto ai megastipendi e
premi dei grandi manager americani, ma vi porrà due paletti. Gli azionisti
forniranno indicazioni su di essi, sia pure non vincolanti.
La faccia del potere ( da "Corriere
della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Sotto il titolo «Potere di carta»
Colin raccoglie, stropiccia e rielabora una serie di manifesti elettorali
(molti dedicati a Barack Obama) e pagine di giornale per proporre una
riflessione sul ruolo dell'informazione e la responsabilità sociale della
politica. La mostra prosegue fino al 30 giugno.
Floris: Nord e Sud? Ci
serve un nuovo Garibaldi ( da "Corriere
della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: In Separati in patria auspica una
svolta: «Non ci serve un Obama italiano, ci serve un nuovo Garibaldi. Che
sappia rifare l'Italia, ma stavolta per bene». Ma l'identikit per ora non ha
volto: «Il bello di Garibaldi è che non se lo immaginava nessuno. Sarà una
persona capace di dare a tutti gli italiani la possibilità di farsi un futuro
».
Lombardo non cede Nuova
giunta avanti contro la linea del Pdl ( da "Corriere
della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: INVIATO PALERMO Fra Gheddafi e
Obama si restringe lo spazio per Raffaele Lombardo, il governatore in attesa di
una convocazione da quando ha azzerato e rifatto la giunta siciliana.
Berlusconi, diviso fra il premier libico e i preparativi per volare verso Washington,
non è ancora riuscito ad occuparsi di questa spina, più pungente dopo la
perdita secca di almeno 600 mila voti nell'
Dal waterboarding
all'isola felice ( da "Stampaweb,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: i detenuti che entro gennaio 2010
devono lasciare, sfrattati da Obama, le stanzette di Guantanamo con aria
condizionata. I primi a essere liberati, i 17 cinesi musulmani della etnia
degli uiguri, finiranno infatti nel paradisiaco arcipelago della Micronesia,
nove isole abitate su 250, 750 kilometri a Est delle Filippine.
Obama mette Google sotto
inchiesta ( da "Stampaweb,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: WASHINGTON La lente di Obama sul
mega piano di Google di trasferire milioni di libri online. Il Dipartimento di
Giustizia Usa infatti ha inviato una nota formale al colosso di ricerca
Internet informandolo che l?Antitrust stanno investigando sulla possibilità che
l?
IE browser umanitario
sfama l'America ( da "Stampaweb,
La" del 11-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Mentre il presidente Obama lavora a
piani di ripresa, anche dal mondo informatico arrivano esempi di solidarietà
verso chi vive con particolare disagio questa fase economica. Microsoft ha,
infatti, deciso di lanciare una campagna, in collaborazione con Feeding
America, per fornire pasti gratuiti alle famiglie in difficoltà.
L'ex premier ha fatto
capire che il ministro dell'Economia potrebbe guidare l'operazione ( da "Stampa,
La" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Lo vedete Obama? Mentre lì, la
risposta è stata accompagnata da una radicale svolta politico-culturale, col
ritorno in campo della politica, qui da noi ha prevalso la paura. E purtroppo
gli effetti negativi della crisi finanziaria non si sono scaricati ancora
sull'economia reale.
Il cane Boh di Striscia
scrive al Bo di Obama ( da "Stampa,
La" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: LETTERA ALLA CASA BIANCA Il cane
Boh di Striscia scrive al Bo di Obama «Hello my fellow dog friend, Bo!» (Ciao
Bo, amico e fratello cane): comincia così, rigorosamente in inglese e su carta
intestata, la lettera di Boh, il San Bernardo femmina, spalla di Michelle
Hunziker a Striscia la notizia, al suo omonimo d'oltreoceano, quel «cao de agua»
portoghese che scorazza alla Casa Bianca.
Quattrocento guerrieri per
mettere in rotta i taleban in 36 mesi. È questa la scommessa del gen... ( da "Stampa,
La" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: finale Kabul al fine di porre le
basi per realizzare la nuova strategia del presidente Obama. Ciò che più conta
per McChrystal sono gli uomini e le donne del proprio team e il capo del
Pentagono Robert Gates gli ha dato un'autorizzazione senza precedenti: può
reclutare e portare con sé i 400 migliori ufficiali e soldati presenti nei
ranghi delle intere forze armate degli Stati Uniti.
il partito dei pirati
online alla conquista di strasburgo - stoccolma ( da "Repubblica,
La" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: E non solo come gruppo politico che
si organizza, comunica e raccoglie fondi online («Roba superata, Obama è già
storia»). No, proprio un partito vero, con sezioni, programmi e tesorieri. ALLE
PAGINE 39, 40 E 41 CON UN ARTICOLO
DI JAIME D´ALESSANDRO
"quando ci dicevano
fate auto scadenti" - sergio marchionne* ( da "Repubblica,
La" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: incluso il presidente Obama e la
sua task force sull´automobile, Chrysler è ora una società più concentrata e
agile, che beneficerà in grande misura della nuova alleanza strategica globale
con Fiat... Per queste ragioni, oggi è un giorno di ottimismo. I veicoli
Chrysler, Jeep e Dodge torneranno a essere sfornate dai nostri impianti,
se obama saluta in arabo -
tahar ben jelloun ( da "Repubblica,
La" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Pagina 37 - Commenti SE OBAMA SALUTA
IN ARABO TAHAR BEN JELLOUN Poco prima di rendere l´anima, il Profeta Maometto
raccomandò ai suoi compagni di salutare chiunque incontrassero sul loro cammino
con le parole «assalam allikum» (letteralmente: la pace sia con voi): un saluto
che è una premessa al paradiso.
stelle rock vecchie e
nuove e la woodstock all'italiana - fulvio paloscia ( da "Repubblica,
La" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: America da Luther King a Obama, il
17 arriverà il fumettista Gilbert Shelton, inventore dei Freak Brothers,
autentico guru della controcultura americana mentre il 18 Gino Castaldo
presenterà Il tempo di Woodstock, scritto con Ernesto Assante. Confermato il
cast degli headliner allo stadio, il main stage, che vedrà il ritorno di
Placebo (17/7,
vendola suona la carica
per emiliano "e ora adriana vada fino in fondo" - lello parise ( da "Repubblica,
La" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Il Pd nel frattempo corteggia
Vendola: «E´ il nostro Obama». «La questione non è dove finisco io. C´è la
necessità di organizzare un´iniziativa larga per mobilitare le coscienze: in
Italia manca l´ossigeno perché ci manca la sinistra, l´unica in grado di dare
visibilità ad un pezzo di mondo cancellato dalla scena pubblica».
l'ultima carta di
ahmadinejad "sono io il paladino dei più poveri" - vanna vannuccini ( da "Repubblica,
La" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: e che non «schiudere il pugno» alla
mano tesa da Obama potrebbe significare un altro lungo periodo di isolamento
internazionale e forse peggio. I tre rivali di Ahmadinejad promettono il
dialogo, ma tutti sono consapevoli che chiunque venga eletto, l´ultima parola
spetta a Khamenei, anche nella politica internazionale.
escalation taliban,
attacco ai parà tre italiani feriti, uno è grave - alberto mattone ( da "Repubblica,
La" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il presidente Barack Obama ha dato
carta bianca al nuovo comandante delle truppe Usa in Afghanistan. Stanley
McChrystal darà vita a un "dream team" di esperti di guerra per
preparare una strategia più efficace. L´ultima imboscata dei Taliban agli
italiani è avvenuta ieri mattina, durante un´operazione di pattugliamento
congiunto tra le forze afgane e i paracadutisti della Folgore.
perché la storia di quelle
foto cambia il registro di una crisi - (segue dalla prima pagina) giuseppe
d'avanzo ( da "Repubblica,
La" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: La vicenda può minare la
credibilità del Paese alla vigilia dell´incontro con Obama e del G8 Perché la
storia di quelle foto cambia il registro di una crisi (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) GIUSEPPE D´AVANZO è più responsabile parlare
- per dirlo in modo chiaro - di una crisi della sicurezza nazionale. Può essere
questo il nuovo e allarmante approdo di un affare che, in modo bizzarro,
"non una confluenza
nel pse ma passo storico per l'unità" - andrea bonananni ( da "Repubblica,
La" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama ha dato il segnale: la
globalizzazione richiede una progressiva cessione di sovranità. Per ora il
processo è a livello di collaborazione tra governi. Poi arriverà alle forze
politiche. Già ora i socialisti tedeschi, i democratici americani, quelli
italiani, Lula o il Partito del Congresso indiano sui grandi temi della
globalizzazione condividono le stesse idee.
dalla battaglia per
internet libero agli scranni di strasburgo. ecco chi sono e cosa vogliono gli
hacker svedesi che hanno stupito l'europa - anais ginori ( da "Repubblica,
La" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama è già storia»). No, proprio
un partito vero, con sezioni, programmi e tesorieri, che si occupa
esclusivamente dell´universo del web, di "accesso all´informazione e alle
tecnologie". Il capo del Piratpartiet è lui, Christian. Il capo dei Pirati,
così lo chiamano tutti, e si vede subito che la definizione non gli dispiace.
Gheddafi parla ai senatori
e accusa l'America ( da "Corriere
della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: tenere la scena come in Occidente
la tiene Barack Obama e che non ha fatto distinzioni tra il linguaggio
impiegato davanti agli studenti o ai senatori. Fino alla pirotecnia serale,
quando dal balcone del Campidoglio ha dichiarato che la rinforzata amicizia con
l'Italia consentirebbe di candidare «l'amico Silvio Berlusconi » alla guida del
governo libico e se stesso a imperatore d'
,
ironia del premier ( da "Corriere
della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: incontro con Obama ROMA Le ventidue
cartelle del discorso ha deciso di lasciarle agli atti del convegno. Perché il
Cavaliere non aveva molta voglia di parlare ieri mattina all'appuntamento con
l'assemblea di Confartigianato. E così, in sette minuti di discorso, ha ridotto
al minimo i contenuti, ma ha comunque centrato il suo intervento sulla «
(
da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Uno di loro ha adottato una
campagna in stile Obama, tutta sms e Internet. A Tabriz la moglie di un
candidato è salita sul palco con il piglio di una Michelle Obama. Eppure è
sempre il Paese dell'hijab obbligatorio». Ma la democrazia o è rispettata o non
lo è. «Certo, ma solo se si pensa a un modello politico definito.
(
da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Studia da Obama, ma parlerà da
Netanyahu: il discorso che il premier israeliano si prepara a tenere domenica
sera dall'università telavivi di Bar Ilan risposta a quello del presidente Usa
dall'ateneo cairota , la feroce vignettista Daniella lo prevede così.
Tetto anche per lo
stipendio di Marchionne ( da "Corriere
della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione Obama. La casa
automobilistica rientra infatti fra i gruppi che sono stati «salvati» grazie
all'iniezione di denaro pubblico. E per questo ai bonus per i loro manager verrà
imposto un limite massimo. Oltre a Chrysler (e al suo braccio finanziario
Chrysler Finance) la lista comprende General Motors (e Gmac),
(
da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: altroieri la Casa Bianca di Barack
Obama con le nuove misure per controllare le maxiretribuzioni, è quello che gli
inglesi chiamano il «say on pay»: il parere dato dall'assemblea degli azionisti
sui pacchetti retributivi dei piani più alti dell'azienda. E di questo ha
parlato ieri Carney: «L'Europa è davanti agli Stati Uniti ha detto ,
La speranza nelle notti di
Teheran ( da "Corriere
della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Ma è sicuramente vero che Obama,
con le sue aperture, ha messo in difficoltà perfino il coriaceo regime di
Teheran. E in questo quadro, i margini per avviare processi di cambiamento sono
sicuramente più ampi. Il compito della diplomazia internazionale è oggi
comunque quello di salvare l'Iran, qualunque sia il risultato delle elezioni.
Energia pulita, via agli
incentivi Subito boom di richieste ( da "Corriere
della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Una strada che negli Usa sta
indicando con decisione il presidente Barack Obama che punta moltissimo sulla
green economy. Discorso diverso per i privati. A Milano, secondo le ultime
stime, solo l'uno per cento ha approfittato degli incentivi statali per il
fotovoltaico. Un interesse tiepido legato, però, ai troppi intralci burocratici
che frenano i cittadini nel fare questa scelta.
Perché la storia di quelle
foto cambia il registro di una crisi ( da "Repubblica.it" del 12-06-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: atteso incontro con Obama, il G8 di
luglio a l'Aquila). Ma, ammesso che ci siano i margini tecnici per mettere in
sicurezza la reputazione del presidente del consiglio, nessuno oggi è in grado
di dire se non sia già troppo tardi. In questo dubbio, c'è tutta l'asprezza di
una crisi che deve ancora trovare il suo vero nome.
( da "Repubblica, La"
del 10-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 22 -
Economia Il giudice Ruth Ginsberg è da sedici anni alla Corte Suprema Una
liberal nominata da Clinton può decidere la partita dell´auto ARTURO
ZAMPAGLIONE NEW YORK - Il destino dell´accordo Chrysler-Fiat è nelle mani di
Ruth Bader Ginsberg, 77 anni, di cui gli ultimi sedici trascorsi alla Corte
Suprema degli Stati Uniti in cui si è sempre distinta per le sue posizioni
liberal e il temperamento combattivo. E´ stata lei, Ginsberg, che ha la competenza
sulla corte d´appello di New York, a imporre lunedì notte una battuta d´arresto
al piano per il passaggio della parte sana della vecchia Chrysler a un nuovo
gruppo guidato da Sergio Marchionne. Ed è sempre lei a dover prendere nelle
prossime ore una decisione sul futuro della casa automobilistica americana,
che, senza la partnership con la Fiat, rischia di sparire per sempre. Il tempo
stringe, e la Ginsberg lo sa bene. Il memorandum con cui la
Casa Bianca di Barack Obama
le ha chiesto lunedì mattina di avallare l´accordo specifica che la Chrysler
perde già 100 milioni di dollari al giorno. E da lunedì 15 giugno la Fiat
potrebbe in teoria rinunciare all´operazione (anche se Marchionne insiste di
non volerlo fare). Perché allora temporeggiare? La realtà è che la
Ginsberg ha di fronte tre scelte, tutte delicate: 1) respingere il ricorso
presentato da tre fondi pensione dell´Indiana che contestano la
costituzionalità del piano per la Chrysler; 2) fissare una udienza per
esaminare il caso, magari con tempi accelerati; 3) chiedere agli altri otto
giudici della Corte Suprema - che ha da tempo una maggioranza di destra - di
pronunciarsi al riguardo. Ognuna di queste strade rischia di avere conseguenze
profonde non solo sul piano economico ma anche di natura costituzionale. Di qui
la prudenza della Ginsberg che, investita del caso durante il week-end, vuole
studiare meglio il problema. Anche perché il ricorso dei tre fondi pensione
(agenti di polizia, insegnati e trasportatori), non è affatto privo di meriti.
Questo approccio cauto è tipico della Ginsberg, che non ha mai permesso né alle
passioni ideologiche né allo stato di salute (ha avuto due cancri) di
interferire con le sue responsabilità alla Corte Suprema, dove ha sempre
mantenuto ferma la sua autonomia di giudizio e dove fu nominata da Bill Clinton
nel 1993, diventando la seconda donna-giudice dopo Sandra O´Connor e la prima
di religione ebraica. Nata a Brooklyn nel 1933, laureatasi all´università di
Cornell, specializzatasi in legge ad Harvard, la Ginsberg ha sempre
intrecciato, prima di andare a Washington, gli studi giuridici con l´attività
sul campo. Ha insegnato alla Columbia, a Rutgers, a Stanford. Fino al 1978 ha difeso vari casi
presso la corte suprema, concentrandosi soprattutto su problemi di pari
opportunità. Nel 1980 fu nominata giudice della corte d´appello da Jimmy Carter
e un decennio più tardi entrò alla corte suprema - un incarico a vita -
ricevendo un voto di ratifica quasi unanime del Senato (97 contro 3).
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( da "Repubblica, La"
del 10-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina XV - Genova Mondo Musica Cuba secondo Casa America L´isola che
attende Obama Cresce il Conservatorio Una
casetta in via Albaro
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( da "Repubblica, La"
del 10-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina I -
Bari L´assessore Minervini rilancia un´alleanza con la formazione del suo
presidente: "Abbiamo aperto il cantiere della nuova sinistra" Il Pd:
Vendola, il nostro Obama Ballottaggio a Bari. Michele: ora divertiamoci. Simeone: ero
l´uomo giusto «Vendola può essere l´Obama di cui il Pd e l´Italia hanno bisogno». Dopo il successo
europeo, il partito democratico fa la corte al governatore. «L´unico leader in
grado di riconquistare gli elettori sia in Puglia che a livello nazionale».
E´ stato l´assessore Minervini a tramutare in proposta le lusinghe arrivate a
Vendola dai vertici nazionali dei democratici. Prima però ci sono da affrontare
ballottaggi pesanti. A Bari è già ripresa la campagna elettorale: tra Emiliano
e Di Cagno Abbrescia è caccia all´ultimo voto. DA PAGINA
II A PAGINA VI
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( da "Repubblica, La"
del 10-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina VI - Bari Il Pd a Vendola: "Il nostro Obama" In campo Minervini. Il presidente: "Il cantiere della
nuova Sinistra è aperto" La Regione Il partito sceglie un democratico
della Margherita per esplorare le intenzioni di Nichi PAOLO RUSSO «Nichi
Vendola adesso ha le carte in regola per essere l´Obama del Pd e di un´Italia migliore». Mentre da Foggia a Lecce
si contano i voti e al consiglio regionale comincia il grande valzer delle
poltrone, l´exploit del presidente della Regione si impone come il vero tema
politico di questa tornata elettorale. A lanciare la sfida di Vendola leader
del Partito democratico e della nuova sinistra italiana non è propriamente un
compagno comunista. Ma Guglielmo Minervini, democratico della Margherita, non
ne fa una questione di vecchie ideologie, ma di nuove idee. «Nichi ha in mano
intuizioni che sanno interpretare i bisogni profondi della società». E del
Partito democratico. «Il 26 per cento dice che il Pd sopravvive, ma ci sono
ancora troppe potenzialità inespresse - spiega Minervini - Vendola è l´unico
leader di caratura nazionale in grado di indicare il profilo di una proposta
politica in grado di rilanciare il partito e conquistare la fiducia dei nostri
elettori». E a chi disprezza il presidente con l´orecchino, definendolo un "poeta
del nulla", l´assessore regionale replica preventivamente: «La forza delle
sue idee sta anche in questi anni di governo. La Puglia non più solo come
laboratorio politico italiano, ma come fucina di progetti realizzati ed
esportabili su scala nazionale, dall´economia pulita all´accoglienza degli
immigrati. è questa la nuova immagine del Sud che funziona che si può
contrapporre al Nord impaurito e dominato dalla Lega e da Berlusconi». Il
governatore pugliese ha già risposto alle lusinghe arrivate dal Pd nazionale,
con un comunicato ufficiale. «Col nostro 3,1 per cento abbiamo inaugurato il
cantiere della nuova sinistra italiana. Noi, quel cantiere, non lo chiuderemo«,
ha scritto Vendola, forte di aver incassato la conferma ufficiosa anche per le
prossime Regionali. Ma a meno di un anno dalla fine di questa legislatura, in
via Capruzzi sta per cominciare un grande giro di poltrone. Sono almeno quattro
gli scranni del consiglio regionale che stanno per cambiare inquilino. Ma in
palio ci sono anche la presidenza di un gruppo consiliare e la guida della
commissione Bilancio. A liberare l´ambita poltrona sarà Vittorio Potì dei
Socialisti autonomisti. Uno dei veterani del parlamentino pugliese ha scelto di
chiudere la sua carriera da dove era cominciata quarant´anni fa. Il consigliere
regionale è diventato sindaco del suo paese, Melendugno, e ha conquistato anche
un posto nel nuovo consiglio provinciale di Lecce. «A questo punto mi manca
solo l´Europa», ha scherzato Potì che lascerà il suo posto alla Regione al
primo dei non eletti della lista Primavera Puglia, Aurelio Gianfreda, assessore
uscente alla Provincia di Lecce. Lo svuotamento dei socialisti autonomisti
dovrebbe completarsi a fine luglio quando per l´ex assessore alla Salute,
Alberto Tedesco, si apriranno le porte di Palazzo Madama. Primo dei non eletti
per il Pd al Senato, Tedesco prenderà la poltrona di Paolo De Castro, in
partenza per Strasburgo. Al suo posto, in consiglio regionale esordirà Domenico
Caputo che, in un colpo solo, potrebbe diventare anche capogruppo dei
Socialisti autonomisti. Cambi in vista anche nel centrodestra dopo
l´affermazione alle Europee di Sergio Silvestris e Raffaele Baldassarre. Sergio
Tedeschi, comandante dei carabinieri del nucleo radiomobile di Trani, prenderà
il posto del farmacista di An. Aldo Aloisi subentrerà a Baldassarre. Ma il Pdl
potrebbe cambiare ancora squadra dopo il ballottaggio. Enrico Santaniello è
ancora in corsa per il Comune di Foggia.
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( da "Repubblica, La"
del 10-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina VII -
Bari EMILIANO A UN PASSO DALLA GLORIA (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) (segue dalla prima di cronaca) Neanche porta
a porta, ma quasi a "uomo", come si direbbe in termini calcistici.
Efficace come pochi nel corpo a corpo con l´avversario, l´ex pm ha costretto
Simeone a una campagna in difesa, sempre trincerato dietro qualcun altro, il
Fitto o il Berlusconi di turno. In queste due settimane Pdl e company non si
risparmieranno, giocheranno tutte le carte. Ora o mai più: si parla
dell´arrivo, di nuovo, del premier, il quale ormai è considerato come il
Messia, capace di miracoli. Un esempio? L´elezione di Barbara Matera, la bionda
annunciatrice famosa finora per i comizi più brevi della storia repubblicana
(qualche secondo) ma forte in Puglia di oltre 40 mila preferenze. Ecco, insieme
al ritorno di Mastella e De Mita, che rappresentano la prima Repubblica, la
signorina di Lucera si aggiudica la palma del peggio visto in queste elezioni
nella categoria new entry. Ovviamente il peggio è da riferirsi ai criteri di
selezione (faceva parte della schiera delle cosiddette veline del presidente) e
non certo alle sue capacità, che restano un mistero per la maggior parte dei
comuni mortali. La Matera è una miracolata, appunto, non una sorpresa. La
novità, in Puglia, è il successo personale di Nichi Vendola (e dell´Italia dei
valori). Dal Pd sono giunti al Governatore diversi segnali, che più espliciti
non si può: dalla Melandri a Soro, dall´assessore Minervini
al vicepresidente Frisullo: porte aperte al compagno Nichita, "il nostro Obama", sono arrivati a dire nel
partito democratico. I suoi voti, il suo carisma vanno spesi dentro una casa
comune, per un obiettivo comune, le elezioni del 2010, tanto per cominciare.
Forse è il momento di rompere gli indugi e costruire insieme una nuova
sinistra. è vero, qualche nemico dichiarato nel Pd ce l´ha ancora, ma
dopo queste elezioni gli amici di Nichi sono diventati molti di più.
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( da "Stampa, La" del
10-06-2009)
Argomenti: Obama
Mentre si
cammina verso lo stadio Heydar Nia, vicino alla vecchia ambasciata italiana, la
folla anonima che sformicola per le ampie strade di Teheran comincia ad
assumere un volto fatto di colori suoni e movimenti. Lentamente migliaia di
macchie monocromatiche si fondono in un enorme serpente smeraldino che urla
slogan e cresce fino a occupare il marciapiede a perdita d'occhio. Guardando
più da vicino, la creatura nata nella strada torna a trasformarsi nei sorrisi
della fiumana di giovani che sfoggiano il verde della campagna elettorale di
Mir Hossein Mousavi, il candidato pronto a battere Ahmadinejad nelle
presidenziali di venerdì in Iran. I ragazzi vanno a sentirlo, è atteso allo
stadio con la moglie e l'ex presidente riformista Khatami. Su un corso laterale
è appeso il gigantesco manifesto del presidente. Con il solito sguardo obliquo,
è seduto e tiene in mano biro e taccuino. Come dire: mi appunto i vostri
suggerimenti. I consigli urlati dalle ragazze che passano come erinni sotto il
cartellone, col velo scivolato fino alla nuca, le ciocche di capelli volanti,
spegnerebbero il sorriso al vero Ahmadinejad. Dei 46 milioni di persone che
hanno diritto al voto, più della metà sono giovani. Tra questa gente in marcia
più dell'80% ha meno di 30 anni. Un irrefrenabile impulso di liberazione,
percepibile quasi fisicamente, li spinge a sostenere un conservatore illuminato
piuttosto che lo scialbo Karroubi, che teoricamente è un vero riformista. Con
la sua timidezza, la mancanza di carisma, la voce flebile Mousavi a 68 anni è
diventato l'anti-Ahmadinejad. Il presidente è un animale politico che
all'istinto non ha saputo aggiungere l'intelligenza. Studi di architettura in
Inghilterra, un volto che ricorda Alec Guinness quando faceva Obi-Wan Kenobi,
tranne che per il ciuffo bianco, Mousavi è un vecchio protagonista della politica
iraniana anche se apparentemente manca dalle scene da una ventina d'anni. Negli
infernali Anni 80 della guerra contro l'Iraq fu un primo ministro amato dal
popolo per il suo tentativo poi fallito di introdurre un sistema di cooperative
per arginare lo strapotere del bazaar. Allora l'attuale Guida Suprema e
successore di Khomeini, Ali Khamenei, era presidente e l'attuale candidato
conservatore Moshen Rezai comandava i pasdaran. Mousavi è azero, cioè di
origini turche. Una sua vittoria segnerebbe la prima volta di un non persiano
alla presidenza. Lui si definisce una via di mezzo tra i riformisti e
«principisti», che si rifanno agli ideali della rivoluzione khomeinista. Non un
centrista, ma sia di destra che di sinistra. Un equilibrio difficile nella pratica.
Dice di sé: «Non mi considero separato dal movimento riformista. Non mi
considero separato da un buon principismo. Penso che la società possa essere
sia riformista sia principista». Sottigliezze politiche che a Nasrin, 25 anni,
occhi verdi, velo grigio sui capelli biondi, spolverino fasciante marrone,
rossetto sgargiante, trucco marcato, non interessano. Smitraglia il palco dello
stadio con una Canon digitale dall'obiettivo esagerato. Dice: «Mousavi è la
speranza di una società meno brutale, più gentile, meno ignorante». Non è
difficile capire a chi si sta riferendo. Sullo zaino ha un badge con un volto
che subito somiglia a Lou Reed ma poi si rivela essere il poeta iraniano Ahmad
Shanlu. Ritmi disco si alternano a canzoni della rivoluzione islamica. Sugli
spalti e sul prato donne e uomini si dimenano rigorosamente separati. E' una
platea stereofonica: a destra le grida femminili acute, a sinistra quelle più
basse maschili. La calca non lascia respiro, la gente che non è riuscita a
riversarsi sul campo, occupa le strade e i cavalcavia intorno. Ci saranno 50
mila persone. Khatami ha dato forfait, dicono gli organizzatori. Soha, 23 anni,
alta e magra, fasciatissima nel vestito a norma di legge, azzarda: «La gente
che vota Ahmadinejad è prigioniera dell'ignoranza. Voto Mousavi anche perché
dietro ogni grande uomo c'è una grande donna». Allude alla moglie, Zahra
Rahnavard, che Ahmadinejad, nel suo mondo al contrario, ha insultato perché
troppo istruita. Zahra è stata a lungo preside dell'università Alzahra di
Teheran. Nella zona maschile, Mostafa, 23 anni, è furioso: «Vincerà lui al
ballottaggio. Si occuperà dei giovani e caccerà gli incompetenti. Basta con la
corruzione». Nei dibattiti tv torna come un tormentone il miliardo di dollari
spariti dai conti dello Stato. S'intromette Behnan, 22 anni, alto, gli occhiali e due strisce «verde Mousavi» disegnate sulle
guance: «Se Obama è sincero
cambierà il mondo». Fuori tema. Mojtaba è uno dei pochi cinquantunenni in
questa festa della gioventù. Dice: «Il problema è la disoccupazione. In ogni
famiglia ci sono uno o due senza lavoro. Come me per esempio». Il candidato
ancora non arriva. Parte un coro: «Era primo ministro con l'Imam e lo è
ancora adesso», un tentativo di far cadere la benedizione di Khomeini sulla
testa del loro prediletto. Attacca l'inno, tutti in piedi e poi un tale
salmodia una sura del Corano. Ma dov'è Mousavi? Sul prato ci sono molte ragazze
con il chador nero integrale, eppure portano appese le loro festucce verdi.
Dopo una salva di interventi declamati come fossero poesie, arriva finalmente
Zahra. Boato assordante che non finisce. Porta una sciarpa verde sul chador
nero, sotto si scorge una mantella blu. Non cerca il compromesso: «Quando mio
marito sarà presidente, ci saranno grandi cambiamenti». Si leva subito sfrenato
un coro: «Marg bar dictator», morte al dittatore. Sempre lui. Zahra accusa le
autorità di boicottare la campagna del marito. «Se ci davano un posto decente
non dovevamo ammassarci qui dentro», urla tra gli applausi. Intorno al piccolo
stadio s'è formata una tale marea umana che alla fine lo stesso Mousavi non
riuscirà ad arrivare. Bloccato dalla stessa folla che si era radunata per
sentirlo. Ma che importa, nessuno è deluso, ormai basta il suo solo nome per
aprire i cuori delle masse giovanili. In fondo qualcuno dovrebbe ringraziare il
povero Ahmadinejad.
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( da "Stampa, La" del
10-06-2009)
Argomenti: Obama
IN ATTESA CHE IL PREMIER ISRAELIANO DOMENICA ANNUNCI IL SUO PROGRAMMA Obama: Stato
palestinese nel 2011 [FIRMA]ALDO BAQUIS TEL AVIV Due anni di lavorio
diplomatico serrato per raggiungere nel 2011 il traguardo di uno Stato
palestinese indipendente accanto allo Stato ebraico, finalmente sicuro ed in
pace con i vicini. Questo l'obiettivo che il presidente americano Barack Obama ha appena illustrato ai dirigenti israeliani,
palestinesi ed egiziani secondo quanto ha appreso l'influente quotidiano arabo
a-Shark al-Awsat. Il trampolino di lancio di questa iniziativa, aggiungono
fonti israeliane, potrebbe essere costituito da una nuova Conferenza di pace
mediorientale, analoga a quella convocata a Madrid nel 1991. Nella nottata di
lunedì Obama ha conversato a lungo, per telefono, con
Benyamin Netanyahu. Era stato il premier israeliano a prendere l'iniziativa,
per anticipargli a grandi linee il contenuto di un intervento politico (fissato
per domenica) in cui esporrà per la prima volta in forma dettagliata gli
obiettivi del suo governo. «Lo ascolterò con interesse» ha assicurato Obama che si attende in particolare dal leader del Likud un
impegno a sostenere la formula dei «Due Stati per i due popoli» e a congelare
ogni attività edile nelle colonie della Cisgiordania. Netanyahu, dicono i suoi
consiglieri, sta ancora lavorando al discorso e si consulta fra l'altro con uno
degli ideologi del Likud, il ministro Beny Begin, figlio dell'ex premier
Menachem Begin. A quanto pare, ribadirà che Israele resta vincolato dalla Road
Map, il tracciato di pace del 2003. Eppure il discorso di Obama
al Cairo desta inquietudine a Gerusalemme: il timore è che Washington abbia
deciso di «sacrificare» in parte i legami con Israele per guadagnare nel mondo
arabo i punti perduti dalla amministrazione Bush. «Il nostro impegno verso
Israele è indistruttibile» ha dunque ribadito ieri a Gerusalemme l'emissario di
Obama George Mitchell, leggendo un testo ben calibrato
preparato per tempo. «Le nostre sono divergenze di opinioni fra stretti alleati
ed amici, non fra avversari». Ma quando si sono spente le telecamere, Mitchell
è tornato a dire a Netanyahu, a Shimon Peres e ad Ehud Barak che la costruzione
delle colonie rappresenta per gli Usa una dolorosa spina nel fianco, che deve
essere rimossa. Alla Knesset il consenso quasi generale è che non è possibile
imporre un «congelamento» totale nelle colonie perché non può essere ignorato
il normale incremento demografico. Ma dati recenti rivelano che negli anni
2006-9, durante il governo Kadima, il numero dei coloni è cresciuto
impetuosamente da 250 a
300 mila (ossia del 20%), e che alla fine del 2008 in Cisgiordania erano
in fase di costruzione migliaia di nuove case. La seconda questione che la
diplomazia statunitense deve seguire con grande attenzione è quella delle
lacerazioni fra i palestinesi stessi. Ieri a Ramallah - alla vigilia di una
nuova visita di Mitchell - il convoglio presidenziale è stato centrato da
un'auto in corsa e nei primi momenti si è temuto un attentato ad Abu Mazen, che
invece si trovava altrove.[FIRMA]GIORDANO STABILE Doveva essere la replica del
devastante attentato dell'hotel Marriott a Islamabad lo scorso settembre, o
addirittura dell'assalto al Tahal Mahal di Mumbai a novembre. Terroristi
islamici, legati ai taleban, hanno attaccato ieri sera, con due auto imbottite
di esplosivo, un hotel a 5 stelle nel centro di Peshawar, a poche decine di
chilometri dal fronte dove l'esercito combatte gli islamisti e dove sempre ieri
il quartier generale del leader talebano, il Maulana Fazlullah, è stato fatto
saltare in aria dai militari. L'assalto è riuscito solo in parte, per la decisa
reazione degli agenti di guardia all'albergo. Solo uno dei due pick-up alla
fine è esploso. Ma il bilancio è comunque pesante: undici morti, compresi due
funzionari dell'Onu, un tedesco e un britannico, oltre sessanta feriti. Nella
notte le squadre dei soccorritori erano ancora al lavoro nell'edificio
devastato, con un piano che continuava a bruciare, mentre, secondo alcuni
testimoni, molte persone erano chiuse nelle stanze. Gli assalitori volevano
probabilmente penetrare nell'hotel con le armi in pugno prima di fare esplodere
le bombe. Hanno cercato di forzare il check-point davanti all'albergo sparando
e lanciando granate sugli agenti di guardia, schierato dietro le barriere di
protezione. Sono stati respinti, hanno deviato la corsa verso una moschea
adiacente all'albergo e poi hanno fatto esplodere una delle auto. La
deflagrazione (mezza tonnellata di tritolo) è stata così potente che la zona è
rimasta senza energia elettrica. I vetri delle finestre sono andati in frantumi
fino a 200 metri
di distanza. Al Pearl Continental, il miglior albergo della città, alloggiavano
un senatore, Haji Jamshed, e due ministri del governo provinciale Nabi Bangash
e Rashid Khan, rimasti feriti leggermente e probabili obiettivi degli
islamisti. Anche perché le autorità locali, da sempre tolleranti con gli
estremisti, si sono allineate nelle ultime settimane al nuovo corso del
presidente Asif Ali Zardari e stanno collaborando all'arresto dei
fondamentalisti islamici, anche in quelli che una volta erano santuari sicuri.
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( da "Stampa, La" del
10-06-2009)
Argomenti: Obama
Reportage I
candidati Mahmoud Ahmadinejad Hossein Mousavi Moshen Rezai Mehdi Karroubi Tutti
i presidenti I SEGUACI I SIMBOLI IL NUOVO IDOLO CLAUDIO GALLO Ahmadinejad I
manifestanti insultano il ritratto del presidente attuale e dicono che venerdì
voteranno un leader «gentile» Zahra La moglie dello sfidante dal palco
promette: «Mio marito porterà grandi trasformazioni» e tutti applaudono
Presidente in carica, appoggiato dalla guida suprema Ali Khamenei, guida il
fronte dei conservatori Ex primo ministro sotto l'ayatollah Ali Khamenei, è un
moderato che ha gestito bene l'economia Ex capo delle Guardie rivoluzionarie,
conservatore duro e puro, si pone a destra di Ahmadinejad Riformista, sulla
linea di Khatami, l'ex portavoce del Parlamento è l'unico religioso dei quattro
in lizza La folla al comizio grida "morte al dittatore" e conta su Obama Lo stadio è zeppo di ragazzi rigorosamente separati sul prato
tra maschi e femmine Molte hanno il chador nero Ma si sente musica disco
insieme a sure coraniche Conservatore moderato, fu premier popolare, ora è
visto come l'uomo del cambiamento INVIATO A TEHERAN 01/01/1980 Abolhassan Bani
Sadr Resta alla presidenza fino al 21 giugno 1981: per gli attriti con
Khomeini, viene destituito dal Parlamento e fugge in Francia. 24/07/1981
Mohammad Ali Rejai Il secondo presidente resta in carica poche settimane: il 30
agosto muore in un attentato dinamitardo assieme al premier Javad Bahonar.
02/10/1981 Ali Khamenei L'attuale Guida suprema viene rieletto nell'agosto del
1985. 03/08/1989 Akbar Hashemi Rafsanjani Anche per lui due mandati. Viene
rieletto nel 1993. 03/08/1997 Mohammad Khatami Il riformista Khatami resta in
carica due mandati. 03/08/2005 Mahmoud Ahmadinejad L'ultraconservatore
sconfigge al ballottaggio Rafsanjani.
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( da "Stampa, La" del
10-06-2009)
Argomenti: Obama
Arriva
Gheddafi, Roma blindata [FIRMA]EMANUELE NOVAZIO ROMA Quando, alle 11 di
stamane, Silvio Berlusconi accoglierà Mouammar Gheddafi all'aeroporto di
Ciampino, il capo del governo calerà il sipario sulle tempeste elettorali e
avvierà ufficialmente un capitolo internazionale denso di attese: la visita del
leader libico precede l'incontro di lunedì prossimo a
Washington con Barack Obama,
il vertice europeo del 18 e 19
a Bruxelles e il «G8» dell'8-9 luglio all'Aquila, che
sarà lui a presiedere. A questi appuntamenti, ai quali arriva rafforzato almeno
in parte dal voto ma indebolito dalle burrasche velino-famigliari, Berlusconi
affida molte speranze: non ultima, la ricomposizione di un'immagine offuscata
dal dilagare, sui media europei e americani, di giudizi severi su un
comportamento giudicato nel migliore dei casi disinvolto. In questa cornice la
tre giorni italiana del Colonnello libico - che proprio quest'anno festeggia 40
anni di potere - offre almeno quattro opportunità di rilievo, al presidente del
Consiglio, per recuperare autorevolezza e smalto. Gli permette, intanto, di
rivendicare un importante risultato della politica estera italiana: la
riabilitazione di Gheddafi, confermata dal ristabilimento delle relazioni
diplomatiche con Washington, era stata avviata - nel 1998 - dalla visita a
Tripoli da Lamberto Dini, ministro degli Esteri nel governo D'Alema. Ma è stata
promossa e conseguita in prima persona, con la benedizione di americani e
britannici, dall'attuale presidente del Consiglio, ospite abituale della tenda
del Colonnello nella Sirte e firmatario del Trattato di amicizia che -
nell'agosto scorso - ha definitivamente chiuso il doloroso capitolo della
colonizzazione con un risarcimento di 5 miliardi di dollari in 25 anni.
L'incontro di Roma, da questo punto di vista, sarà l'occasione per verificare
se le contropartite all'accordo di Bengasi sono già attive: se cioè le aziende
italiane sono in grado di entrare con forza nel mercato libico, e se ci sono le
condizioni per colmare il tradizionale saldo negativo dell'interscambio
commerciale, dovuto alle nostre importazioni di petrolio e gas. La visita
consente inoltre a Berlusconi di approfittare del «doppio cappello» di Gheddafi
- leader libico e presidente dell'Unione africana - per rilanciare la «vocazione
mediterraneo-africana» della nostra politica estera, appesa all'Europa ma
protesa verso il Sud: un'opportunità che il premier non mancherà di cogliere
con un occhio rivolto, magari, ad alleati gelosi delle proprie primazie
euro-mediterranee come la Francia. L'incontro con il Colonnello permette poi di
pagare un debito che valica i confini della politica interna italiana:
l'accordo con Tripoli sui rimpatri dei migranti, applicato dal mese scorso, ha
offerto al premier una sponda politica decisiva di fronte alle richieste della
Lega, ma ha anche imposto all'attenzione dell'Europa il problema della
responsabilità collettiva di fronte al dilagare dell'immigrazione clandestina.
Al fianco di Gheddafi, infine, Berlusconi potrà ricordare ai principali alleati
quel «rapporto privilegiato» con la Libia al quale la nostra diplomazia affida
un importante ruolo di visibilità internazionale. Non a caso, ieri, il ministro
degli Esteri Frattini sottolineava la valenza «storica» di questa visita:
«Vogliamo portare in Europa le buone ragioni di un Paese che torna sulla scena
mondiale e chiede giustamente maggiore coinvolgimento». Gheddafi è
costituzionalmente imprevedibile, e in passato non ha esitato a mettere in
imbarazzo gli ospiti italiani, Berlusconi compreso. Ma a Roma saranno
accontentate tutte le sue richieste, compreso il discorso dal balcone del
Campidoglio e l'incontro con un rappresentativo «campione femminile» di 700
donne all'Auditorium. L'ottima intesa personale fra i due leader - fondata sul
condiviso amore per il decisionismo e per la figura del leader «forte» -
faranno il resto, con ricadute che a Palazzo Chigi e alla Farnesina si
aspettano «di grande impatto». Il successo dell'incontro - anticipato da una
campagna di «recupero immagine» promossa dalla nostra rete
diplomatico-culturale per controbattere alle «velenose campagne dei media
stranieri» - dovrà infatti fare da traino ai prossimi appuntamenti
internazionali di Berlusconi. Molto delicata sarà, in particolare, la visita
alla Casa Bianca: dove il presidente di turno del «G8», che discuterà
soprattutto del vertice dell'Aquila, è stato preceduto da più di un partner.
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( da "Stampa, La" del
10-06-2009)
Argomenti: Obama
I FONDI DEL
TARP Le banche restituiscono 68 miliardi JP Morgan Chase e Goldman Sachs sono tra le 10 banche americane che si preparano a restituire i
fondi ricevuti come sostegno anticrisi attraverso il Troubled Asset Relief
Program (Tarp), dopo che ieri l'amministrazione Obama ha dato il via libera al programma di riacquisto di azioni in
mano al Tesoro Usa. In totale, gli istituti coinvolti riacquisteranno azioni
proprie in mano al Tesoro per 68 miliardi di dollari.
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( da "Corriere della Sera"
del 10-06-2009)
Argomenti: Obama
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Sera sezione: Esteri data: 10/06/2009 - pag: 19 Il caso Sarà processato per gli
attentati del '98 in
Africa New York accoglie un ex di Guantánamo Polemiche per l'arrivo del primo
detenuto DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON È stato un corriere del tritolo,
che ha ucciso vite americane. Ha forgiato documenti falsi per Al Qaeda. Ha
addestrato terroristi in un campo. Ha fatto perfino la guardia del corpo di
Osama Bin Laden. Ma non è detto che condannarlo con i mezzi dello Stato di
diritto sarà semplice. In un'aula della Corte federale di New York, l'Amministrazione Obama si gioca la possibilità di tradurre in pratica, entro la
scadenza promessa di fine d'anno, uno dei suoi impegni più complessi: la
chiusura di Guantánamo. È arrivato ieri all'alba negli Stati Uniti, per esservi
processato, il primo detenuto dalla prigione cubana, creata dopo l'11 settembre
2001 per i presunti terroristi islamici. Ahmed Ghailani deve rispondere
di aver preso parte agli attentati del 1998 alle ambasciate americane di Kenya
e Tanzania, firmati da Al Qaeda, dove morirono 224 persone fra cui 12 americani.
Ghailani sarà custodito al Metropolitan Correctional Center di Manhattan e già
nel pomeriggio è apparso davanti al giudice Loretta Preska, per una seduta
preliminare del processo. Il suo caso è un test importantissimo per il
presidente Obama, deciso, nei casi in cui sia
possibile, a far giudicare una parte dei detenuti di Guantánamo nei tribunali
ordinari. Il ministro della Giustizia, Eric Holder, ha assicurato che il suo
dipartimento «ha una lunga esperienza nella sicura detenzione e nell'azione legale
contro i sospettati di terrorismo, attraverso il sistema della giustizia
penale». Ma il processo si presenta carico di insidie politiche e tecniche. Già
il trasferimento negli Usa è criticato da repubblicani e conservatori come «il
primo passo verso l'importazione di terroristi sul suolo americano».
Particolarmente ricco di insidie è poi il dibattimento, nel quale i legali di
Ghailani proveranno a smontare l'intero impianto dell'accusa, invocando le
circostanze della cattura, della detenzione e del suo trattamento. Una carriera
estremista, la sua, iniziata poco più che ventenne, trasportando in bicicletta
esplosivo e bombole d'ossigeno che servirono a fabbricare le bombe degli
attentati di 11 anni fa a Dar es Salaam e Nairobi. Lasciata l'Africa poco prima
degli attacchi, Ghailani aveva lavorato per Al Qaeda come falsificatore di
passaporti, istruttore nei campi, prima di salire nei ranghi ed entrare nelle
unità d'élite delle bodyguard del capo dei capi. Venne catturato dagli
americani nel 2004, in
Pakistan, da dove venne poi trasferito a Guantánamo. Sfidando i critici, che lo
accusano di mettere a repentaglio la sicurezza del Paese, Obama
si è detto convinto che «bloccare il ritorno di Ghailani in America avrebbe
impedito il processo e la condanna» e che «dopo più di 10 anni era tempo di
fare giustizia ». Ma Ghailani rientra in fondo nella categoria più facile, tra
i prigionieri di Guantánamo. Più complicati sono i casi di chi ha violato
«leggi di guerra », che Obama vuole ancora affidare
alle commissioni militari, sia pure in versione più garantista rispetto
all'Amministrazione Bush. A questi si aggiungono i 50 detenuti che potrebbero
essere trasferiti in altri Paesi. Infine ci sono i detenuti più pericolosi, che
non possono essere perseguiti, ma neppure essere rilasciati perché
costituiscono ancora una minaccia per il Paese: il presidente li vorrebbe in
carceri di massima sicurezza, ma perfino tra i democratici del Congresso c'è
qualche dubbio. Prigioniero A sinistra, il detenuto di Guantánamo Ahmed Ghailani.
Sopra: il centro correzionale Metropolitan di New York Paolo Valentino
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( da "Corriere della Sera"
del 10-06-2009)
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Sera sezione: Economia data: 10/06/2009 - pag: 32 L'intesa Respinto dai
giudici il ricorso contro l'operazione presentato dai fondi pensione
dell'Indiana Fiat-Chrysler, sì della Corte Usa La fretta della Casa Bianca.
Cessione al Lingotto completata entro lunedì DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Via
libera dalla Corte Suprema all'accordo Fiat-Chrysler. Con una decisione presa
ieri a tarda sera, il massimo organo giudiziario americano ha dato il suo
benestare alla vendita degli impianti Chrysler (ora in amministrazione
controllata) alla nuova società costituita con la Fiat e guidata da Sergio
Marchionne, e ha respinto la richiesta dei fondi pensione dell'Indiana di
sospendere e rinviare la vendita della casa di Detroit. In un'ordinanza di due pagine,
la Corte afferma che non ci sono gli estremi giuridici per giustificare una
sospensione dell'accordo tra Fiat e Chrysler, dando così una vittoria ai
protagonisti dell'intesa orchestrata dall'amministrazione Obama. Ieri i legali avevano presentato
un'altra memoria, provando a sostenere che la stessa determinazione con la
quale si muove il gruppo torinese dimostrerebbe che l'affare non è conveniente
per l'azienda americana. Che, peraltro, è in bancarotta e in passato aveva
tentato invano di stringere partnership con altri gruppi automobilistici.
Attaccando direttamente la Casa Bianca, gli avvocati dell'Indiana avevano
tracciato un curioso parallelo tra l'accordo con Fiat raggiunto quaranta giorni
fa con l'appoggio decisivo del presidente Obama e una
sentenza del 1952 con la quale la Corte Suprema respinse il tentativo del
presidente Harry Truman di requisire alcune acciaierie durante la guerra di
Corea. Chi studia la giurisprudenza della magistratura suprema era però
convinto che la Corte avrebbe comunque dato via libera alla nuova società
Chrysler- Fiat dopo un rapido riesame della questione. Secondo alcuni lo stesso
Marchionne che, interrogato su questo punto, aveva ribadito che la Fiat non ha
alcuna intenzione di disimpegnarsi dall'affare, avrebbe potuto contribuire a
rendere meno urgente un pronunciamento della Corte, alla quale il governo Usa
aveva peraltro chiesto di deliberare subito, nel timore di un ritiro del gruppo
torinese qualora alla scadenza prevista dal contratto il 15 giugno la nuova
società non fosse ancora operativa. In realtà con la sua dichiarazione,
ribadita ieri da un comunicato del Lingotto, Marchionne avrebbe solo voluto
evitare di sottoporre la Corte a pressioni ultimative, ribadendo, al tempo
stesso, la serietà dell'impegno Fiat. Ma il gruppo italiano e la Chrysler
continuavano a confidare che tutto si sarebbe formalizzato entro lunedì
prossimo, come previsto dal contratto: le due società lo avevano confermato
anche in un memorandum inviato ieri alla Corte Suprema in risposta a una richiesta
di chiarimenti del giudice Ginsburg. Concetti ripresi anche dal portavoce del
presidente Obama, Robert Gibbs, intervenuto di nuovo
sulla questione per auspicare una sua rapida conclusione. Anche perché, come ha
fatto notare la General Solicitor degli Usa, Elena Kagan, se la vendita non
fosse andata in porto entro il 15 giugno la Fiat avrebbe potuto chiedere la
revisione di alcune clausole, rendendo però necessario un nuovo passaggio al
Tribunale della bancarotta. Ma la Kagan aveva anche sottolineato che la
situazione finanziaria di Chrysler «peggiora ogni giorno che resta in
bancarotta» e che la Fiat «è consapevole di questa situazione». Insomma, ad
agitarsi è stata soprattutto la Casa Bianca che ha ricordato ai giudici il
costo per il contribuente americano di ogni giorno di rinvio: 100 milioni di
dollari di ulteriori finanziamenti pubblici per il salvataggio Chrysler. C'era
poi l'esigenza industriale di riattivare quanto prima un'azienda che non può
sopravvivere troppo a lungo nello stato di ibernazione iniziato con l'ingresso
nell'amministrazione controllata. Un lungo rinvio avrebbe avuto conseguenze
disastrose non solo per Chrysler (ieri, per esempio, il tribunale di New York
ha esaminato un'ipotesi di accordo per la chiusura di centinaia di concessionarie,
sospendendo poi tutto in attesa del verdetto della Corte Suprema) ma anche per
la General Motors, entrata nelle procedure di bancarotta il primo giugno,
seguendo proprio le orme di Chrysler. Per sopravvivere Gm ha bisogno di
azzerare la situazione davanti al tribunale fallimentare e ripartire su basi
nuove al più presto possibile. Ieri il gruppo, che ha da tempo avviato il
rinnovamento della dirigenza su pressioni della Casa Bianca, ha scelto il
presidente della nuova società che uscirà dall'amministrazione controllata: è
l'ex amministratore delegato del gigante delle telecomunicazioni At&T, Ed
Whitacre. Sergio Marchionne Massimo Gaggi
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( da "Corriere della Sera"
del 10-06-2009)
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Sera sezione: Economia data: 10/06/2009 - pag: 35 Exit strategy Oggi i paletti
per le retribuzioni nelle aziende nazionalizzate Dieci big
Usa restituiscono i fondi a Obama Via libera al rimborso di 68 miliardi. Effetto: i manager
evitano il tetto agli stipendi WASHINGTON - Il ministero del Tesoro ha
autorizzato 10 grandi banche americane a rimborsargli circa 68 miliardi di
dollari, una parte sostanziosa dei prestiti statali da loro ottenuti lo scorso
autunno all' apice della crisi. Lo ha annunciato il ministro Timothy
Geithner, senza peraltro farne i nomi, commentando che «questo rimborso segnala
una incoraggiante ripresa finanziaria », ma ammonendo che «resta ancora molto
lavoro da fare ». Dalle anticipazioni di Wall street, la Morgan Chase
restituirebbe 25 miliardi del Fondo Tarp (Troubled asset relief program), la
Morgan Stanley 10 miliardi, la US Bancorp 6 miliardi e mezzo, la Capital One e
l'American Express 3 miliardi e mezzo ognuna, la Goldman Sachs cifre
imprecisate. Tra le 10 non figurerebbe Citigroup, tuttora in difficoltà tali da
avere bisogno di ulteriori prestiti, né la Bank of America, i due colossi del
settore. In tutto, il Tarp erogò alle banche americane 280 miliardi di dollari,
e sinora solo 22 delle minori avevano rimborsato 2 miliardi complessivi. Come
ha sottolineato il New York Times il rimborso, che verrà effettuato nei
prossimi giorni, è in netto anticipo e molto superiore al previsto. Questo
grazie all'esito in prevalenza positivo dello «stress test», o esame di rischio
e solvibilità delle maggiori 19 banche, condotto ad aprile dal ministero
stesso. Gli Usa vorrebbero che anche in Europa venisse adottato il test. Sulla
sua scia, ben 16 hanno emesso nuovi titoli incassando oltre 75 miliardi di
dollari. Ma al Congresso, l'autorizzazione di Geithner al rimborso ha suscitato
ieri critiche per due motivi: perché una commissione ad hoc ha giudicato
inadeguato il suo «test» di aprile e ne ha richiesto un secondo; e perché la
fretta delle banche di restituire quanto più possibile il Tarp, fretta a cui la
borsa ha reagito con un certo scetticismo, è considerata un tentativo di
evitare una dura regolamentazione dei mercati e degli stipendi e premi d'oro
dei manager. Che si tratti anche di un' operazione preventiva da parte delle
grandi banche lo conferma la tempistica. Geithner si incontra infatti oggi con
il capo della Riserva federale Ben Bernanke, la direttrice della Federal
deposit insurance corporation, Sheila Bair, e il controllore della valuta John
Dougan per mettere a punto i piani di regolamentazione. Il Wall Street Journal
sostiene che il ministro non riformerà gli organi esistenti, ma amplierà i
poteri di Bernanke, la Bair e Dougan; regolamenterà per la prima volta gli
hedge funds e altri strumenti finanziari ancora incontrollati; e nominerà un
«master for compensation » dei big, come a dire un padrone dei compensi. Il
«master» potrebbe però ridurre solo gli stipendi e i premi dei manager degli
istituti e imprese che usufruiscono dei sussidi statali. Di qui la corsa delle
banche a emanciparsi. Il nome del padrone dei compensi è già noto. È Kenneth
Feinberg, un rispettato commercialista che gestì il fondo di 7 miliardi di
dollari stanziato per le famiglie delle vittime della strage delle Torri
gemelle di Manhattan del 2001. Feiberg avrebbe nel mirino, tra gli altri, i big
di Citigroup, di Bank of America, General Motors e l'Aig, l'assicurazione che
riscosse 180 miliardi dallo Stato. Il presidente degli Stati uniti, ha
ricordato, percepisce 400 mila dollari l'anno, un supermanager milioni, talora
decine di milioni, indipendentemente dalla performance della sua banca o della
sua impresa. Ennio Caretto
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( da "Corriere della Sera"
del 10-06-2009)
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Sera sezione: Opinioni data: 10/06/2009 - pag: 40 CRITICHE AL DISCORSO DEL
CAIRO Le parole di Obama sul velo: un favore agli integralisti islamici di CHRISTOPHER
HITCHENS E siste un collegamento intrigante tra quanto detto dal presidente Barack
Obama a proposito del velo
delle donne musulmane nel suo discorso del 4 giugno al Cairo e le polemiche che
infuriano sui prigionieri di Guantánamo, di recente liberati e tornati a
ingrossare le file dei talebani e di Al Qaeda. Non cercate di indovinare:
proseguite la lettura. Da quando l'ex vicepresidente Dick Cheney ha saputo
sfruttare al meglio i titoli del New York Times del 21 maggio, ricorrendo alle
statistiche del dipartimento della Difesa per insinuare che uno su sette dei
rilasciati di Guantánamo aveva «fatto ritorno al terrorismo o alla militanza
armata», è scoppiato un pandemonio nel tentativo di capire se le cose stanno
effettivamente così e, nel caso affermativo, perché. Non potrebbe essere il
caso, tanto per fare un esempio, che un innocente sottoposto al tritacarne di
Guantánamo si sia trasformato in un «fondamentalista » e abbia deciso di
arruolarsi nella Jihad per la prima volta? Quest'ultima spiegazione non vale
per diversi recidivi che sono stati realmente identificati, dei quali conosciamo
vita, morte e miracoli. Durante una mia visita a Guantánamo, mi è stata
consegnata una lista che conteneva solo undici nomi, per la verità di ex
militanti talebani, come Abdullah Mehsud, arrestato nel febbraio del 2002 e
rilasciato nel marzo 2004, il quale in seguito ha preferito togliersi la vita
piuttosto che arrendersi alle forze di sicurezza pachistane. Se costituisce un
oltraggio alla giustizia incarcerare individui che potrebbero essere vittima di
falsa identità o di vendetta per mano di altre fazioni, allora è un oltraggio
alla giustizia anche il rilascio di criminali psicopatici, convinti di aver
ricevuto ordine da Dio di gettare acido in faccia alle ragazzine che vogliono
andare a scuola. Eppure, se pensiamo che sia probabile o possibile che un uomo
possa trasformarsi in un simile mostro dopo aver vissuto l'esperienza di
Guantánamo, allora vorrei azzardare una spiegazione. Non immaginavo mai di
scoprire che in quel luogo le autorità hanno consentito agli elementi più
fanatici di organizzare la giornata degli altri detenuti. Immaginate di essere
un individuo laico, o semplicemente non estremista, che si è ritrovato
impigliato nelle maglie del sistema per errore; ebbene, anche voi sareste
obbligati a pregare cinque volte al giorno (le guardie non possono
interferire), tenere in cella una copia del Corano, e consumare cibi preparati
secondo le norme halal (o della Sharia). Forse potreste far richiesta di essere
esonerato ma, in questo caso, dubito che sareste ascoltato. Gli ufficiali
responsabili erano talmente orgogliosi di sfoggiare la loro grande apertura
mentale nei confronti dell'Islam che hanno fatto una faccia quasi offesa quando
ho chiesto come potevano giustificare l'impiego dei soldi dei contribuenti per
mettere in piedi un'istituzione dedicata alla fervida pratica della versione
più fondamentalista di un'unica religione. Al lungo elenco dei motivi validi
per chiudere Guantánamo aggiungiamo anche questo: è una madrassa (scuola
islamica) sponsorizzata dallo Stato americano. La stessa insistenza, quasi
masochistica, nel prendere l'estremo come norma si ritrova nell'eloquente
discorso di Obama nella capitale egiziana. Parte di
quanto enunciato era dettato da informazioni inesatte, malgrado le migliori
intenzioni. Oggi chiunque, per quanto piccolo il suo bagaglio culturale, sa
benissimo che non esiste un luogo né un'entità che possa definirsi «il mondo
musulmano», perché esso consiste di molti luoghi e molte realtà (è precisamente
l'obiettivo degli jihadisti ridurre il tutto sotto la medesima autorità, nel
progetto di imporre l'Islam come unica religione planetaria). Esaminiamo
l'unico caso in cui il presidente ha sfiorato la più nota caratteristica del
«mondo » islamico: la tendenza a vedere nelle donne dei cittadini di seconda
classe. E lo ha fatto solo per dire che i «Paesi occidentali» praticano la
discriminazione contro le donne musulmane! E come viene imposta tale
discriminazione? Limitando l'uso del velo o hijab (parola che Obama ha pronunciato hajib figuriamoci le risate, se
l'avesse detto George Bush). È stato un chiaro attacco alla legge francese che
proibisce di indossare abiti o simboli religiosi nelle scuole statali. Ma alle
donne che sono costrette a vestirsi secondo i precetti altrui, Obama non ha avuto nulla da dire, quasi che il loro unico
diritto in questione fosse quello di obbedire a una regola che in realtà non si
trova nemmeno nel Corano. Crede forse il nostro presidente che velo e burqa
siano indumenti che le donne scelgono liberamente per essere alla moda? Tale
manifestazione di ingenuità è a dir poco sconcertante e non c'è da
meravigliarsi se tra il pubblico musulmano globale oggi le persone sbagliate
sghignazzano alle nostre spalle, mentre a coloro che dovrebbero essere nostri
amici e alleati non resta che piangere. BEPPE GIACOBBE traduzione di Rita
Baldassarre
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( da "Corriere della Sera"
del 10-06-2009)
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Corriere della Sera sezione: PRIMA PAGINA
data: 10/06/2009 - pag: 1 Le storie Sandy Cane, afroamericana, è l'Obama del
Carroccio di ROBERTO ROTONDO A PAGINA
11
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Sera sezione: PRIMA PAGINA data:
10/06/2009 - pag: 1 Penati e Podestà, la sfida parte con una querela. Il
candidato del centrosinistra: l'ho denunciato. La replica:
si crede Obama Nei
quartieri «stranieri» sfonda il voto di protesta Lega e Idv volano in via
Padova, consensi al Pd a Chinatown. Il Pdl vince nelle zone della movida Uno:
«Lui vuole fare Obama. Ma
non ci riesce ». L'altro: «Non pensi mica di avere i consensi che ha avuto
sabato e domenica». Perché per quest'ultimo, ovvero Filippo Penati, «si
riparte da zero ». Di qui Penati, di là Guido Podestà. Secondo il quale non è
vero che si ricomincia daccapo: «Bossi mi ha invitato a Pontida domenica. E
tutti sanno che per la Lega, Pontida è un luogo sacro». In casa Penati,
confermata l'intenzione di non fare apparentamenti. Sul fronte del Pdl, si
ragiona sull'Udc. Casini darà il suo appoggio? «L'Udc ha molti valori in comune
con noi». A PAGINA 3
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( da "Corriere della Sera"
del 10-06-2009)
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Corriere della
Sera sezione: Cronaca di Milano data: 10/06/2009 - pag: 3 Il centrodestra
Podestà: sarò a Pontida Il mio avversario? Pensa di essere Obama «Lui vuole fare Obama, ma proprio non ci riesce». Se la
ride, Guido Podestà, agli attacchi del presidente uscente della Provincia,
Filippo Penati. Per il candidato del centrodestra non si parte da zero a zero,
ma si riparte dal risultato elettorale. E dal «patto di sangue» siglato
con la Lega l'altra sera ad Arcore, tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. Il
Carroccio non diserterà le urne per boicottare il referendum e appoggerà
Podestà al ballottaggio. La prova provata? «Umberto Bossi mi ha invitato a
Pontida domenica. E tutti sanno che per la Lega, Pontida è un luogo sacro. Mi
sembra un segno di vicinanza e di impegno. La Lega si è dimostrata coerente. Mi
sono piaciuti ». Non solo. Sia Berlusconi sia Bossi hanno garantito la loro presenza
per la chiusura del supplemento della campagna elettorale. Due binari. Quello
ufficiale, sancito lunedì sera nella cena tra Silvio Berlusconi e Umberto
Bossi. La Lega appoggerà i candidati del Pdl al ballottaggio in cambio di una
marcia indietro del premier sul referendum elettorale. È quanto ha spiegato lo
stesso Berlusconi a Guido Podestà, quando il candidato del centrodestra è
arrivato ad Arcore con il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini. «È la
prima volta che invitiamo un non leghista a Pontida» ha sottolineato il
ministro leghista Calderoli. È la priorità delle priorità. Portare i leghisti
al voto il 21 e il 22 giugno. Tra Milano e provincia sono stati 281.671 voti,
pari al 15,2 per cento. Una fetta irrinunciabile di elettorato per spuntarla al
ballottaggio. Ma c'è anche un'altra via. Quella che passa da un accordo con
l'Udc. Via ufficiosa. Su cui Berlusconi non può e non vuole intervenire, perché
metterebbe a rischio il «patto di sangue » con Umberto Bossi. Tanto che la
palla è stata messa in mano al candidato. Sarà lui a dover decidere se chiamare
direttamente il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini per stringere
un'alleanza con i centristi. Non Berlusconi. Una fetta del partito insiste. Ma
Podestà sembra restio: «Nella cena dell'altra sera ad Arcore abbiamo messo dei
paletti. Riteniamo che una parte dell'elettorato Udc non sarà disponibile a
seguire Penati in un'ammucchiata che vede insieme Rifondazione, i centri
sociali, i comunisti. Ma nel momento in cui l'Udc sentisse l'esigenza di parlare
con noi, noi dialogheremo. Se saranno possibili convergenze, sentiremo i nostri
vertici e i nostri alleati e poi decideremo». Ma poi ricorda un dato di fatto:
«Abbiamo gli stessi valori: la famiglia, la sacralità della vita. Condividiamo
l'impegno nel Partito popolare europeo. Come farebbero a mischiarsi con Daniele
Farina del Leoncavallo?». È un Podestà tonico quello uscito dal primo turno.
Risponde a Penati che ha minacciato di querelarlo se non farà un confronto
pubblico anche sulle dichiarazioni rilasciate ieri sull'uso di denaro pubblico
per la campagna elettorale. «Falsità» ha detto Penati. Secca la replica di
Podestà: «Non dico che è un ricattatore. Ma che senso ha una frase di questo
genere? Ti siedi a un tavolo con chi ha rispetto per te. Altrimenti no. Prima
mi dà dello sfigato, poi telefona accusandomi di aver detto cose di basso
livello, poi minaccia di querelarmi se non faccio il confronto. Che senso ha?
Se vuole querelarmi mi quereli. Mi sembra una persona che abbia perso la
serenità. La prossima volta mi verrà a minacciare con la clava». Quindi, niente
confronto pubblico. E un tono duro. Molto più duro rispetto a prima. «Penati è
uscito con le ossa rotte dal confronto. Con dieci punti in meno. La sua lista è
stata un fallimento. Cerca di rimettere in piedi un'alleanza che assomiglia a
un'ammucchiata. Vuole fare Obama, ma proprio non ci
riesce». Querele e valori \\ Se vuole querelarmi, lo faccia. Mi sembra una
persona che ha perso la serenità \\ Noi e l'Udc stessi valori Come può
mischiarsi con Daniele Farina del Leoncavallo? Guido Podestà candidato
presidente Pdl Maurizio Giannattasio
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( da "Corriere della Sera"
del 10-06-2009)
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Corriere della
Sera sezione: Esteri data: 10/06/2009 - pag: 21 L'intervista Il figlio del
primo ministro libanese assassinato 4 anni fa si impegna a lavorare con il
Partito di Dio «per la stabilità del Paese» Hariri: «Pronto a fare il premier
ma niente violenze di Hezbollah» Il leader della coalizione filo-occidentale:
«Governo di unità» DAL NOSTRO INVIATO BEIRUT È davvero pronto a turarsi il naso
e in nome della pacificazione libanese creare un governo di unità nazionale con
Hezbollah, il «Partito di Dio» sciita tra i cui ranghi potrebbero militare gli
assassini di suo padre? Saad Hariri tira un lungo sospiro prima di parlare. Lo
sa bene che questa è la domanda più delicata, allo stesso tempo al cuore della
politica del Libano e più drammaticamente personale. Poi risponde. E lo fa con
voce pacata, misurata, soppesando bene le parole. «L'unità e la stabilità del
Paese prima di tutto. Esiste un tribunale internazionale che sta investigando
sulla morte di mio padre, Rafiq Hariri, avvenuta quattro anni fa. Ecco perché
non ho obbiettato poche settimane fa al rilascio di quattro generali
sospettati. Quando arriverà il verdetto agirò di conseguenza. Non voglio
anticiparlo. E alla fine chiunque sarà incriminato non dovrà vedersela solo con
me, ma con tutta la comunità internazionale. Prima che venisse istituito quel
tribunale noi avevamo puntato il dito contro la Siria. Ma poi abbiamo deciso di
attendere. E' stato difficile restare in silenzio. Ho sacrificato tantissimo in
questi quattro anni e non lascerò che un articolo sui media o una diceria
diffusa ad arte di tanto in tanto possano politicizzare i lavori del tribunale
e la ricerca della verità». È il momento più difficile di questa intervista
rilasciata nel suo studio ad Hamra, nel cuore di Beirut, meno di 48 ore dopo la
chiusura dei seggi. Solo un paio di anni fa avrebbe risposto in modo molto più
impulsivo. Ma Saad Hariri ha imparato a fare politica. A 39 anni viene
platealmente indicato come il prossimo premier del Paese dei Cedri. E lui lo
dice chiaramente: «Sono pronto ad assumermi le mie responsabilità». Le
preoccupazioni sono tante. Nel suo ufficio spiegano le sue diffidenze nei
confronti delle ingerenze iraniane, del fondamentalismo islamico e del ruolo di
Hezbollah. «Che alle elezioni vinca Ahmedinejad o Musavi per noi cambia poco»,
dicono. Governo monocolore con il blocco filo-occidentale del «14 marzo» o di
unità nazionale con l'«8 marzo» pro-iraniano e siriano? «Ho già detto che
reputo necessario stringerci reciprocamente la mano. Intendo lavorare per
unificare il Libano, assopire i conflitti, lenire le divisioni. Dobbiamo
impegnarci per scoprire i punti in comune e lasciare le differenze al tavolo
dei negoziati, che in ogni caso saranno lunghi, complessi». Possiamo dire che
sarà lei il prossimo premier? «Può dirlo, certo, anche se formalmente non è
stato ancora deciso. Occorre attendere il 20 giugno per l'instaurazione del
nuovo parlamento e la nomina del suo presidente. Poi non abdicherò al mio
dovere». Ma diversi suoi alleati, specie tra i gruppi cristiani Kataeb e le
Forze Libanesi, non intendono affatto coalizzarsi con gli estremisti
dell'Hezbollah. Affermano che, contro le previsioni, il Libano ha votato per il
«14 marzo ». Lei non va contro il suo mandato? «Avremo molto di cui discutere
con i nostri alleati e con Hezbollah. Il Libano ha parlato. E' legittimo
ascoltare le voci del '14 marzo'. Ma non dobbiamo dimenticare che esiste anche
l''8 marzo', ed è forte. Il suo leader, Hassan Nasrallah ha pubblicamente
accettato la sconfitta. Il mio partito ed i miei media hanno pagato per primi
il prezzo delle violenze perpetuate da Hezbollah e i suoi alleati un anno fa.
Dobbiamo evitare in ogni modo che si ripetano. Anche gli elettori e i leader
del campo avversario hanno capito che la violenza va evitata ». Nel suo governo
unitario Hezbollah avrà potere di veto in parlamento, come l'ha avuto negli
ultimi 10 mesi paralizzando spesso l'attività politica? «No, assolutamente no.
I meccanismi del prossimo governo saranno diversi». L'anomalia della democrazia
libanese è oggi costituita dalla milizia armata di Hezbollah. Lei intende
abolirla? «Sarà uno degli argomenti in discussione. E lo farò coinvolgendo il
Presidente della Repubblica. Ma non penso sia utile affrontare adesso un tema
tanto complesso pubblicamente sui media. Teniamo a mente che una parte
consistente del Paese ha votato per l'agenda dell''8 marzo', che include le
armi. Si tratta di un argomento assolutamente delicato, ha connotazioni di
politica interna libanese, ma anche regionale. Il mio lavoro sarà fare in modo
che l'agenda nazionale non divenga anche regionale. Nostra priorità sarà la
stabilità interna». Ma come impedire che Hezbollah impieghi le armi a sua
discrezione, come uno Stato nello Stato? «Una parte dell'anomalia è Israele. I
suoi soldati occupano ancora le fattorie di Sheba, in contraddizione alla
risoluzione Onu 1701, i suoi velivoli violano regolarmente i nostri spazi
aerei, le sue navi le nostre acque territoriali. Il
presidente Barack Obama al
Cairo ha fatto un discorso di apertura alla pace. E Israele cosa risponde?
Rafforza le colonie nei territori occupati, nega il diritto dello Stato
palestinese ». L'Italia è alla testa del contingente Unifil nel sud Libano.
Pensa che dovrebbe fare di più? «L'Unfil e l'Italia stanno facendo un ottimo
lavoro. L'impegno è serio, costante. Il nostro ringraziamento è sincero. Ma voi
sapete bene che le violazioni della 1701 vengono da Israele, non dal Libano».
Lorenzo Cremonesi
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(
da "Corriere della Sera"
del 10-06-2009)
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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 10/06/2009 - pag: 13 Eletta a Viggiù 3 Leghista di colore «Sarò una guida all'americana» VARESE «Perché stupirsi se sono stata eletta sindaco per la Lega? Anche nel mio Paese, gli Stati Uniti, l'immigrazione è governata da regole molto severe». Un po' di stupore rimane comunque nel sapere che il primo sindaco di colore eletto in Italia è una donna di 48 anni, Sandy Cane ( foto), che ha prevalso a Viggiù, centro di 4.800 abitanti, per il partito di Bossi. Che non ha molto in simpatia la società multietnica, com'è quella a stelle e strisce. «Ma la Lega non è affatto razzista ribatte sicura Sandy chiede solo che sia messo un freno all'illegalità perché ci sono troppi clandestini. E poi Bossi piacerebbe anche negli States, così diretto e mediatico». Direttrice d'albergo, Sandy è nata nel Massachusetts, è figlia di un militare americano e vive in Italia dal '71. «Sono stata io a iscrivermi alla Lega racconta e nessuno mi ha cercata. Alcuni amici mi hanno proposta come candidata sindaco e l'idea è piaciuta». Oltre a Bossi, la neoeletta pone nel suo Olimpo politico Barack Obama («Mi piacciono le sue idee») e Giulio Andreotti («Ha una cultura sterminata»). Dice di non avere alcun imbarazzo nel rapporto con i compagni di partito: «Anche i leghisti sono gente che viaggia, parla inglese, conosce il mondo». Il razzismo «I Lumbard? Non sono razzisti. Obama e Andreotti i miei punti di riferimento» Roberto Rotondo
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(
da "Corriere della Sera"
del 10-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 10/06/2009 - pag: 14 Tempi lunghi Lo
spoglio era ancora in corso ieri sera. Il sindaco uscente: è incredibile, non
ce l'ho fatta al primo turno per soli 700 voti Scrutini caos a Bari, Emiliano
chiama gli avvocati DAL NOSTRO INVIATO BARI Alle nove della sera lo scrutinio
delle schede per le comunali di Bari non è ancora terminato: non per niente, il
sindaco uscente Michele Emiliano ingaggia tre avvocati, li chiude in una
stanza, e li mette a studiare il caso. I contendenti sarebbero attesi dal
ballottaggio del 21 giugno (Emiliano del Pd al 49,2 e Simeone Di Cagno
Abbrescia, Pdl, al 45,9) ma a questo punto non è possibile escludere il ricorso
da parte del centrosinistra per ricontare le schede contestate, sembra siano
un'infinità. Il sindaco prima minimizza «Io di ricorsi mi occupavo in un'altra
vita», cioè quand'era magistrato, e in conferenza stampa nega: «Non lo
presenteremo», ma poi ammette almeno i dubbi: «Per vincere mi mancano
settecento voti, è incredibile quello che sta succedendo, ci sono ancora
sezioni aperte, qualcosa di strano c'è». Sono tre le sezioni che mancano
all'appello, fino a sera, tre su 345. Anche il centrodestra protesta, alcuni
politici vanno direttamente dal prefetto: subito Squadra Il sindaco Emiliano
con il presidente della Provincia uscente Divella (De Benedictis) dopo il
deputato Antonio Distaso e il senatore Luigi D'Ambrosio Lettieri preannunciano
interrogazioni al ministro Maroni. Invece alcuni dello staff del sindaco
Emiliano sono convinti che in certe sezioni i verbali riportino un numero di
voti diverso dalla somma delle schede. Voci, per il momento: che però
raccontano questa giornata, il caos, i sospetti. La prefettura minimizza:
ritardi fisiologici. Ma il candidato Pdl, già alla guida di Bari dal 1995 al
2004, accusa il rivale: «Molti scrutatori sono andati a casa, hanno lasciato le
sezioni. La verità è che il Comune è abbandonato come la città. Emiliano dice
di essere come Che Guevara, ma l'unica cosa da dire è che gli esponenti del
centrosinistra, qui, todos caballeros ». E dunque mentre il conteggio dei voti
deve ancora terminare, i due rivali si catapultano in campagna elettorale.
Sentite Michele Emiliano: «Dite che a Bari verrà Berlusconi a tirare la volata
a Di Cagno Abbrescia? Magari venisse, almeno avrei un avversario con il quale
parlare di politica. Il mio rivale si è nascosto: se solo avesse accettato un
confronto con me, avrei vinto facile». Ma davvero vorrebbe sfidare Berlusconi
in un confronto a Bari? «Io sono il meno antiberlusconiano che c'è, e se ci
fosse un faccia a faccia faremmo sicuramente divertire la gente. Però sono
convinto che il Cavaliere abbia di meglio da fare: andare a Firenze e Bologna, incontrare Obama, aiutare l'Abruzzo, badare alla crisi economica...». La replica
di Di Cagno Abbrescia: «I cittadini si sono resi conto delle promesse da
marinaio del sindaco. Berlusconi qui? Non lo escludo ». Non si esclude niente,
a Bari, città nella quale venti ore dopo l'apertura delle urne, non c'è ancora
un risultato definitivo. L'unico che sa con certezza com'è andata è
Tonino Matarrese, ex Figc: un migliaio di voti. La dote portata dal Bari in
serie A, si è rivelata poca cosa. Alessandro Capponi
(
da "Corriere della Sera"
del 10-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 10/06/2009 - pag: 17 La storia / 1 L'esponente democratica che
ha «battuto» il premier Debora: ora tournée per convincere i delusi Il Pd? Pare
Star Trek Serracchiani: ci serve più cinismo Se la famiglia disfunzionale del
centrosinistra si chiamasse Simpson invece che Pd, Debora Serracchiani sarebbe
ovvio Lisa: «Sì! Lisa Simpson mi piace». E in effetti. Lisa è la ragazzina
assertiva, progressista, che suona il sax. I parenti la filano poco, ma alla
fine l'unica brava, saggia, presentabile è lei. In un episodio sui Simpson nel
futuro è alla Casa Bianca, tra l'altro. L'altro ieri si è saputo che lei (38
anni, avvocata romana a Udine) nel Friuli ha preso più preferenze di
Berlusconi; che ha sfondato in tutto il Nordest superando capolista e boss
locali. E il web di sinistra ha inneggiato (si è aggrappato?) a lei; da
Facebook in giù era tutto un «Debora come Obama». In fondo anche lei ha sfondato
con un discorso, è diventata famosa con il video su YouTube, è amichevole ma
determinata. Grazie grazie a tutti, ma «resto con i piedi per terra». Ma anche
no. C'è il Parlamento europeo, si prevedono zero vacanze perché praticamente
tutte le Feste democratiche (insomma, ex dell'Unità) d'Italia l'hanno
invitata e lei teme di aver detto sì a tutti: «Quest'estate me la faccio in
tournée». Senza il sax, con molta voglia di dire che il Pd deve fare
«opposizione dura»: «Presentando un programma politico vero, parlando di crisi
economica, mostrandosi uniti. Con più disciplina e spirito di servizio. Chi ci
ha votato lo ha fatto contro Berlusconi e/o perché voleva una vera opposizione.
E finora, spesso, li abbiamo delusi». Delusi, come no. Debora S. è diventata
una star del web e del voto perché parla chiaro (le migliori battute dell'intervista
non sono pubblicabili; ma avrebbero scatenato una standing ovation sia dei fan
sia dei critici del Pd). Parla chiaro, buca il video, sarebbe stato
autolesionista non candidarla; e la sua aria da eterna ragazzina con la coda
finora ha rassicurato i maggiorenti del Pd. Ma adesso? Riuscirà a trovarsi un
ruolo in un partito di notabili in guerra? Non teme le correnti? E i dalemiani?
«Dalemiani, veltroniani... a me sembrano nomi da alieni di Star Trek». Dal pop
al politico, elabora: «Dobbiamo fare una battaglia all'interno del Pd per
dargli credibilità; perché diventi un partito vero. Non due partiti che si sono
messi insieme. Secondo me servono meno personalismi e un po' di cinismo nelle
decisioni ». Cinismo? Debora S. cinica? E come. «Cinismo invece di timore,
nelle scelte. Durante il dibattito sul testamento biologico, per esempio.
Mettere una cattolica teodem come Dorina Bianchi capogruppo alla Sanità al
Senato al posto del cattolico progressista Ignazio Marino è stato un errore. La
maggior parte dei nostri iscritti e dei nostri elettori non era d'accordo. In
questi casi, ben venga il dibattito interno; e poi la maggioranza decide. Le
troppe cautele ci hanno fatto del male». Serracchiani aveva esordito a
un'assemblea di delegati Pd e aveva iniziato dicendo «vengo da Udine, la città
che ha accolto Eluana Englaro» e su quella storia, tuttora, non molla. Non
molla in generale. Tra i suoi fan club su Facebook c'è «Debora Serracchiani
contro Godzilla». Per ora in Friuli ha battuto ai voti Berlusca. Ieri era a
Ballarò. Per due settimane andrà in giro a sostenere i candidati ai
ballottaggi. E poi? «Poi in Europa voglio occuparmi di piccole imprese, che
sono la vita del Nordest e dell'Italia. Per il resto mi metto a disposizione
del Pd. Per carità, non sto lanciando un'Opa a nessuno». Per carità. Però
magari qualcuno nel Pd (magari i dalemiani, guai a parlargli di Opa) comincia a
sentirsi Godzilla (o meglio, vari Godzilla, fino al congresso di ottobre tra
loro e con Debora S. se ne vedranno delle belle, si prevede). Maria Laura
Rodotà
(
da "Corriere della Sera"
del 10-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Lombardia data: 10/06/2009 - pag: 11 Varese Sandy Cane, afroamericana, è il nuovo sindaco di Viggiù La Obama del Carroccio: «I miei idoli?
Bossi e Andreotti» VARESE Barack Obama, Umberto Bossi, Giulio Andreotti: sono i tre uomini politici
preferiti di Sandy Cane, 48 anni, la prima «sindaca» afroamericana eletta in
Italia, e per giunta sostenuta dalla Lega Nord; è stata eletta a Viggiù,
paese del Varesotto al confine con la Svizzera. «Ammiro Obama
per le sue idee spiega la neo eletta , ma Bossi piacerebbe anche negli States
perché è molto diretto e mediatico. Mi intriga, invece, Giulio Andreotti perché
ha una cultura sconfinata». Originale e anticonformista anche nelle scelte
politiche, Sandra Maria detta Sandy è stata direttrice di albergo fino a un
mese fa. Poi si è candidata, ha convinto il Carroccio a sostenerla e ha vinto:
«Sì, sono stata io a cercare la Lega racconta , alcuni amici del paese mi
avevano chiesto di candidarmi, poi ci siamo messi in contatto con la segreteria
provinciale, mi hanno sentito parlare e hanno detto sì». La tessera,
d'altronde, ce l'aveva già da tempo: «Sostenitore, numero 58.248». Le idee sono
di un bossismo ortodosso: «La Lega non è assolutamente razzista continua ;
chiede che si metta un freno all'illegalità, ci sono troppi clandestini,
dappertutto, e solo quando avremo messo delle regole certe, potremo accogliere
gli immigrati. Anche negli Stati Uniti, del resto, chi vuole ottenere il
permesso di soggiorno deve obbedire a norme ferree». Di Sandy ha colpito il suo
essere afroamericana, ma la sua è la formazione cosmopolita di una americana
della middle class, del Massachusetts. Il padre è un ex militare americano di
Springfield, la madre era di Viggiù. Nata nel 1961, fino a 10 anni ha vissuto
negli Usa, dove ancora vivono il papà e una sorella. Parla l'inglese,
l'italiano, il tedesco e un po' il dialetto. Ama viaggiare, quando era bambina
passava quindici giorni d'estate a Londra o a Parigi. Ma quando ha tempo scende
a giocare a scopone scientifico al bar del paese. Sportiva e molto pragmatica,
come ogni americana, Sandy ha un compagno che simpatizza per il Pdl e che abita
a Varese: «Molto meglio se ognuno sta a casa sua». Ha anche due cani: Dolly e
Tommy, e per festeggiare l'elezione comprerà una cockerina e la chiamerà Dolly
junior. Nel suo ufficio da sindaco, ha trovato una sorpresa che le ha fatto
piacere: una statua di Alberto da Giussano, riproduzione di quella originale di
Legnano, realizzata dallo scultore viggiutese Enrico Butti nel 1900 e che Umberto
Bossi scelse come simbolo del movimento. Si è sempre sentita vicina alla destra
e si inalbera quando qualcuno le fa notare che una donna di colore e
cosmopolita di solito è più facile trovarla nelle file della sinistra: «E
perché? Anche i leghisti viaggiano e parlano inglese, cosa credete? La mia
educazione è frutto delle idee di mia madre, severa e rigorosa, mi ha insegnato
che bisogna guadagnarsi tutto, e poi mi ha mandato a scuola dalla suore, al
collegio Rosetum di Besozzo. Ma anche negli Usa era così: avevi i regali di
Natale solo se te li meritavi ». Roberto Rotondo
(
da "Stampaweb, La"
del 10-06-2009)
Argomenti: Obama
INVIATO
A VIGGIU (Varese) Il viceministro
Roberto Castelli le ha fatto i complimenti in diretta televisiva.
Pierferdinando Casini si è detto cavallerescamente contento. La centralinista
del Comune smista le telefonate dei giornalisti che arrivano pure dallestero. Sandy Cane, americana del Massachusetts,
italiana di Viggiù, pelle color Barack Obama e
tessera della Lega in tasca, in tuta blu e pochette verde dietro la scrivania
in noce, si allarga in un sorriso grande così: «E chiaro che adesso utilizzano la mia
immagine, ma io devo far capire bene che non sono solo una novità». Per
incontrare il primo sindaco nero dItalia
bisogna arrivare fino al confine con la Svizzera, alta Valceresio, 5000
abitanti quasi tutti frontalieri. Viggiù la conoscono per la canzoncina sui
pompieri, per aver dato i natali al sassofonista Fausto Papetti e allo
scrittore Aldo Nove, per gli scalpellini e un paio di scultori famosi. E ora
pure per questo sindaco con il doppio passaporto - «In America ho votato per Obama, in Italia per Bossi» - figlia di un militare Usa e di
una viggiutese sfollata durante la guerra. Traduttrice dallinglese di professione, direttrice dalbergo in
Val dAosta durante la stagione invernale, Sandy Cane giura di essere
stata folgorata sulla via di Pontida da un paio di manifesti. «Di
politica capivo niente. Da americana ho apprezzato subito i messaggi diretti
della Lega. Alla fine sono quelli che fanno più presa sulla gente e che mi
hanno fatto vincere». Assicura di non conoscere leghisti xenofobi o razzisti.
Smentisce che i respingimenti degli immigrati, la lotta agli extracomunitari
clandestini, certe sparate di Bossi e Maroni, siano lanima nera del movimento in verde. «Tollerare
limmigrazione clandestina è prima di tutto un danno a chi entra nel nostro Paese solo
con la voglia di lavorare e di integrarsi, di avere una vita normale». Adesso
che è diventata sindaco con il 30% dei voti, 800 preferenze su 3000, 38 voti di
scarto con il candidato di una lista civica, Sandy Cane sa che niente sarà più come
prima. «Voglio ripulire questo paesino che è così bello ma molto sporco. Voglio
pensare agli anziani e ai giovani. Qui cè
niente. Li capisco se tirano con la fionda ai lampioni». Più Obama che Bossi, Sandy Cane giura che in 47 anni solo una
volta lhan presa di mira
per il colore della pelle: «In discoteca a Varese ma era un ubriaco...». Unaltra volta invece ha dovuto difendere lei i suoi
amici, che le avevano dato pubblicamente della negra scansafatiche solo per
aver sbagliato un rigore, squadra di Viggiù, calcio femminile, serie D, la sua
passione prima di lasciare una caviglia sul campetto. «Quelli dellaltra squadra volevano linciare i miei compagni, sono
dovuta intervenire per dire che era tutto uno scherzo...». Mica uno scherzo
invece questo finale di partita elettorale che lha catapultata sulla poltrona di sindaco e davanti agli
obiettivi dei fotografi. Lei promette di dare il massimo. E assicura che prima
di essere una leghista, adesso cercherà di essere il sindaco di tutti:
«Domenica indosserò per la prima volta la fascia tricolore alla processione del
Corpus Domini. Mi spiace per Bossi, ma non andrò a Pontida».
(
da "Stampaweb, La"
del 10-06-2009)
Argomenti: Obama
TEL
AVIV Due anni di lavorio diplomatico serrato per raggiungere nel 2011 il
traguardo di uno Stato palestinese indipendente accanto allo Stato ebraico,
finalmente sicuro ed in pace con i vicini. Questo lobiettivo che il presidente americano Barack Obama ha appena illustrato ai dirigenti israeliani,
palestinesi ed egiziani secondo quanto ha appreso linfluente quotidiano arabo a-Shark al-Awsat. Il
trampolino di lancio di questa iniziativa, aggiungono fonti israeliane,
potrebbe essere costituito da una nuova Conferenza di pace mediorientale,
analoga a quella convocata a Madrid nel 1991. Nella nottata di lunedì Obama ha conversato a lungo, per telefono, con Benyamin
Netanyahu. Era stato il premier israeliano a prendere liniziativa, per anticipargli a grandi linee il contenuto
di un intervento politico (fissato per domenica) in cui esporrà per la prima
volta in forma dettagliata gli obiettivi del suo governo. «Lo ascolterò con
interesse» ha assicurato Obama che si attende in
particolare dal leader del Likud un impegno a sostenere la formula dei «Due
Stati per i due popoli» e a congelare ogni attività edile nelle colonie della
Cisgiordania. Netanyahu, dicono i suoi consiglieri, sta ancora lavorando al
discorso e si consulta fra laltro
con uno degli ideologi del Likud, il ministro Beny Begin, figlio
dellex premier Menachem Begin. A quanto pare,
ribadirà che Israele resta vincolato dalla Road Map, il tracciato di pace del
2003. Eppure il discorso di Obama al Cairo
desta inquietudine a Gerusalemme: il timore è che Washington abbia deciso di
«sacrificare» in parte i legami con Israele per guadagnare nel mondo arabo i
punti perduti dalla amministrazione Bush. «Il nostro impegno verso Israele è
indistruttibile» ha dunque ribadito ieri a Gerusalemme lemissario di Obama George
Mitchell, leggendo un testo ben calibrato preparato per tempo. «Le nostre sono
divergenze di opinioni fra stretti alleati ed amici, non fra avversari». Ma
quando si sono spente le telecamere, Mitchell è tornato a dire a Netanyahu, a
Shimon Peres e ad Ehud Barak che la costruzione delle colonie rappresenta per
gli Usa una dolorosa spina nel fianco, che deve essere rimossa. Alla Knesset il
consenso quasi generale è che non è possibile imporre un «congelamento» totale
nelle colonie perché non può essere ignorato il normale incremento demografico.
Ma dati recenti rivelano che negli anni 2006-9, durante il governo Kadima, il
numero dei coloni è cresciuto impetuosamente da 250 a 300 mila (ossia del
20%), e che alla fine del 2008
in Cisgiordania erano in fase di costruzione migliaia di
nuove case. La seconda questione che la diplomazia statunitense deve seguire
con grande attenzione è quella delle lacerazioni fra i palestinesi stessi. Ieri
a Ramallah - alla vigilia di una nuova visita di Mitchell - il convoglio
presidenziale è stato centrato da unauto
in corsa e nei primi momenti si è temuto un attentato ad Abu Mazen, che invece
si trovava altrove.
(
da "Stampaweb, La"
del 10-06-2009)
Argomenti: Obama
TEHERAN
Mentre si cammina verso lo stadio Heydar Nia, vicino alla vecchia ambasciata
italiana, la folla anonima che sformicola per le ampie strade di Teheran
comincia ad assumere un volto fatto di colori suoni e movimenti. Lentamente
migliaia di macchie monocromatiche si fondono in un enorme serpente smeraldino
che urla slogan e cresce fino a occupare il marciapiede a perdita docchio. Guardando più da vicino, la creatura nata nella
strada torna a trasformarsi nei sorrisi della fiumana di giovani che sfoggiano
il verde della campagna elettorale di Mir Hossein Mousavi, il candidato pronto
a battere Ahmadinejad nelle presidenziali di venerdì in Iran. I ragazzi vanno a
sentirlo, è atteso allo stadio con la moglie e lex presidente riformista Khatami. Su un corso laterale
è appeso il gigantesco manifesto del presidente. Con il solito sguardo obliquo,
è seduto e tiene in mano biro e taccuino. Come dire: mi appunto i vostri suggerimenti. I
consigli urlati dalle ragazze che passano come erinni sotto il cartellone, col
velo scivolato fino alla nuca, le ciocche di capelli volanti, spegnerebbero il
sorriso al vero Ahmadinejad. Dei 46 milioni di persone che hanno diritto al
voto, più della metà sono giovani. Tra questa gente in marcia più dell80% ha meno di 30 anni. Un irrefrenabile impulso di
liberazione, percepibile quasi fisicamente, li spinge a sostenere un
conservatore illuminato piuttosto che lo scialbo Karroubi, che teoricamente è un vero
riformista. Con la sua timidezza, la mancanza di carisma, la voce flebile
Mousavi a 68 anni è diventato l'anti-Ahmadinejad. Il presidente è un animale
politico che allistinto non ha saputo
aggiungere lintelligenza. Studi di architettura in Inghilterra, un
volto che ricorda Alec Guinness quando faceva Obi-Wan Kenobi, tranne che per il
ciuffo bianco, Mousavi è un vecchio protagonista della politica iraniana anche
se apparentemente manca dalle scene da una ventina danni. Negli infernali Anni 80 della guerra
contro lIraq fu un primo ministro
amato dal popolo per il suo tentativo poi fallito di introdurre un sistema di
cooperative per arginare lo strapotere del bazaar. Allora lattuale Guida
Suprema e successore di Khomeini, Ali Khamenei, era presidente e lattuale candidato conservatore Moshen Rezai comandava i
pasdaran. Mousavi è azero, cioè di origini turche. Una sua vittoria segnerebbe
la prima volta di un non persiano alla presidenza. Lui si definisce una via di
mezzo tra i riformisti e «principisti», che si rifanno agli ideali
della rivoluzione khomeinista. Non un centrista, ma sia di destra che di
sinistra. Un equilibrio difficile nella pratica. Dice di sé: «Non mi considero
separato dal movimento riformista. Non mi considero separato da un buon
principismo. Penso che la società possa essere sia riformista sia principista».
Sottigliezze politiche che a Nasrin, 25 anni, occhi verdi, velo grigio sui
capelli biondi, spolverino fasciante marrone, rossetto sgargiante, trucco
marcato, non interessano. Smitraglia il palco dello stadio con una Canon
digitale dallobiettivo esagerato. Dice:
«Mousavi è la speranza di una società meno brutale, più gentile, meno
ignorante». Non è difficile capire a chi si sta riferendo. Sullo zaino ha un
badge con un volto che subito somiglia a Lou Reed ma poi si rivela essere il
poeta iraniano Ahmad Shanlu. Ritmi disco si alternano a canzoni della
rivoluzione islamica. Sugli spalti e sul prato donne e uomini si dimenano
rigorosamente separati. E una platea
stereofonica: a destra le grida femminili acute, a sinistra quelle più
basse maschili. La calca non lascia respiro, la gente che non è riuscita a
riversarsi sul campo, occupa le strade e i cavalcavia intorno. Ci saranno 50
mila persone. Khatami ha dato forfait, dicono gli organizzatori. Soha, 23 anni,
alta e magra, fasciatissima nel vestito a norma di legge, azzarda: «La gente
che vota Ahmadinejad è prigioniera dellignoranza.
Voto Mousavi anche perché dietro ogni grande uomo cè una grande donna».
Allude alla moglie, Zahra Rahnavard, che Ahmadinejad, nel suo mondo al
contrario, ha insultato perché troppo istruita. Zahra è stata a lungo preside
delluniversità Alzahra di Teheran. Nella zona
maschile, Mostafa, 23 anni, è furioso: «Vincerà lui al ballottaggio. Si
occuperà dei giovani e caccerà gli incompetenti. Basta con la
corruzione». Nei dibattiti tv torna come un tormentone il miliardo di dollari
spariti dai conti dello Stato. Sintromette
Behnan, 22 anni, alto, gli occhiali e due strisce
«verde Mousavi» disegnate sulle guance: «Se Obama è sincero cambierà il mondo». Fuori tema. Mojtaba è uno dei
pochi cinquantunenni in questa festa della gioventù. Dice: «Il problema è la
disoccupazione. In ogni famiglia ci sono uno o due senza lavoro. Come me per
esempio». Il candidato ancora non arriva. Parte un coro: «Era primo
ministro con lImam e lo è ancora
adesso», un tentativo di far cadere la benedizione di Khomeini sulla testa del
loro prediletto. Attacca linno, tutti in piedi e poi un
tale salmodia una sura del Corano. Ma dovè
Mousavi? Sul prato ci sono molte ragazze con il chador nero integrale, eppure
portano appese le loro festucce verdi. Dopo una salva di interventi declamati
come fossero poesie, arriva finalmente Zahra. Boato assordante che non
finisce. Porta una sciarpa verde sul chador nero, sotto si scorge una mantella
blu. Non cerca il compromesso: «Quando mio marito sarà presidente, ci saranno
grandi cambiamenti». Si leva subito sfrenato un coro: «Marg bar dictator»,
morte al dittatore. Sempre lui. Zahra accusa le autorità di boicottare la
campagna del marito. «Se ci davano un posto decente non dovevamo ammassarci qui
dentro», urla tra gli applausi. Intorno al piccolo stadio sè formata una tale marea umana che alla fine lo
stesso Mousavi non riuscirà ad arrivare. Bloccato dalla stessa folla che si era
radunata per sentirlo. Ma che importa, nessuno è deluso, ormai basta il suo
solo nome per aprire i cuori delle masse giovanili. In fondo qualcuno dovrebbe
ringraziare il povero Ahmadinejad.
(
da "Repubblica.it"
del 10-06-2009)
Argomenti: Obama
WASHINGTON
- Obama contro Google, in difesa del diritto d'autore.
Il ministero della Giustizia Usa ha infatti avviato un'inchiesta sull'accordo
tra il colosso di Mountain View, editori e scrittori, riguardo ai piani di
Google di trasferire on line milioni di testi. Mettere questi libri
gratuitamente alla portata di tutti, infatti, potrebbe rappresentare una
gigantesca violazione alle leggi Usa sul diritto d'autore. L'inchiesta è un
segnale forte della maggiore attività Antitrust promessa da Obama
al suo insediamento. La "civil investigative demand" avviata da
ministero, infatti, potrebbe portare a bloccare l'iniziativa di Google, partita
nel 2004 con le prime scansioni di libri. L'anno successivo c'era stato un
primo stop, dopo la protesta di autori editori che accusavano la società di una
massiccia violazione del copyright. Lo scorso anno, Google ha raggiunto un
accordo con loro versando 125 milioni di dollari per chiudere l'azione
giudiziaria e soprattutto promettendo di creare un registro degli autori che permetta
loro di venir pagati quando i loro libri finiscono online. L'accordo non è
piaciuto, comunque, a moltissimi editori, che si sono lamentati del fatto che
in questo modo Google avrebbe avuto comunque libero accesso a tutti quei testi
per cui si è esaurito il diritto d'autore. E ora anche l'amministrazione
Obama è scesa in campo per
fare luce sulle attività di Google, visto fino ad oggi come una realtà
privilegiata nei rapporti con il nuovo presidente: Obama usa il canale di YouTube (gruppo Google) per comunicare con gli
americani, e l'amministratore delegato della società californiana, Eric
Schmidt, è un consigliere personale del presidente. E anche altri quadri
del colosso californiano hanno recentemente trovato lavoro con il governo.
OAS_RICH('Middle'); Schmidt, intervistato dal Wall Street Journal, si è
dichiarato tranquillo: "Ce lo aspettavamo, in un modo o nell'altro, non fa
differenza quale governo è in carica". E un portavoce di Google ha
aggiunto: "Loro fanno il loro lavoro e noi il nostro, non ci trovo niente
di strano. Siamo comunque in buoni rapporti". I contrasti di Google non
sono solo con il governo: la società di Mountain View deve vedersela in questi
giorni anche con Microsof, che la accusa di essere un pericolo per la privacy.
Tra i due è scontro aperto, e la concorrenza è spietata: mentre Bill Gates
lancia un proprio motore di ricerca, Bing; Google risponde con un servizio per
permettere agli utenti di Microsoft Outlook di integrarlo con la mail e il
calendario di Google. (10 giugno 2009
(
da "Stampa, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
A Buchenwald Barack contro i negazionisti Un chiaro messaggio
contro i negazionisti dell'Olocausto era arrivato venerdì scorso dalla visita
del presidente americano Barack Obama
al campo di Buchenwald, in Germania. «Ancora oggi c'è chi afferma che l'Olocausto
non è mai avvenuto. Dovrebbe visitare Buchenwald», aveva detto Obama.
(
da "Stampa, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
IL
TERRORISTA, FERITO E ARRESTATO, SI CHIAMA JAMES VON BRUNN. ERA NOTO PER LE SUE
POSIZIONI RAZZISTE Neonazi spara al museo della Shoah [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI
CORRISPONDENTE DA NEW YORK Terrore al Museo dell'Olocausto di Washington. James
Von Brunn, un neonazista di 88 anni, si è presentato all'entrata del museo che
si trova a breve distanza dalla Casa Bianca e ha iniziato a fare fuoco,
adoperando un fucile calibro 22. È riuscito a sparare almeno cinque proiettili,
ferendo due agenti di guardia - uno è morto in serata - prima di essere
investito dai colpi degli altri uomini del personale di sicurezza. La
sparatoria è durata «meno di tre minuti», secondo la ricostruzione dei
testimoni, scatenando il panico dentro un museo visitato ogni anno da 1,7
milioni di persone. Sono stati attimi di terrore per le diverse centinaia di
turisti che si trovavano dentro l'edificio di quattro piani che ricostruisce lo
sterminio di sei milioni di ebrei perpetrato dai nazifascisti. Chi era al piano
terra, e ha visto la sparatoria, si è gettato in strada cercando aiuto e
mandando in tilt il traffico nei paraggi del monumento a Washington. Chi invece
si trovava ai piani rialzati è stato fatto uscire dal personale del museo
attraverso le scale di sicurezza, riversandosi dietro l'edificio. La
coincidenza con il discorso sull'importanza del ricordo dell'Olocausto fatto la scorsa settimana dal presidente Barack Obama nell'ex lager tedesco di
Buchenwald è stata identificato dall'Fbi come un possibile movente del gesto,
appena appurata l'identità dell'autore dell'aggressione. Si tratta di un
«neonazista convinto», come detto da un portavoce della polizia di Washington,
perché James von Brunn, classe 1920, figlio di immigrati austriaci, è un
veterano della Seconda Guerra Mondiale che negli ultimi anni si è dedicato a
diffondere odio contro gli ebrei e gli afroamericani, come testimonia anche il
sito Internet che porta il suo nome. Ha scritto libri antisemiti come «Uccidi i
migliori gentili» e «Il peggiore errore di Hitler». Ha anche la fedina penale
sporca avendo scontato 6 anni e mezzo di detenzione in un penitenziario per
aver tentato di rapire dei membri della Federal Reserve. Von Brunn attribuisce
quella sentenza ad una «giuria composta di ebrei e negri» e, sul proprio sito,
si definisce un seguace del movimento per la costruzione dell'«Impero Sacro
d'Occidente» destinato a riscattare «i gentili» dall'«oppressione giudaica». Il
sindaco di Washington, Adrian Fenty, ha condannato l'«odioso attacco alla
città» facendo sapere che «l'aggressore versa in condizioni critiche», mentre
Khaty Lanier, capo della polizia, assicura che «ha agito da solo» e dunque il
blitz non sarebbe frutto di un complotto più vasto. Ma Mark Potok, direttore
del centro di studi contro il razzismo di Montgomery in Alabama, ritiene che
l'aggressione sia «il sintomo di un fenomeno più vasto in atto da diversi mesi
in tutti gli Usa», ovvero «il rafforzamento dei gruppi suprematisti bianchi,
più numerosi e aggressivi» dopo l'elezione di Barack Obama
alla Casa Bianca. In nottata il presidente si è detto «profondamente scioccato
per quanto avvenuto, che dimostra la necessità di vigilare contro
l'antisemitismo».
(
da "Stampa, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Reportage
Choc in Israele "Con lui andremo in Paradiso" CLAUDIO GALLO Delirio
al comizio di Ahmadinejad: "È un uomo del popolo, porta scarpe
vecchie" «Gli ebrei iraniani votano per il nemico» Città paralizzata La
folla invade le strade verso il Politecnico, il traffico si blocca Un boato
scuote l'asfalto quando appare Orgoglio atomico Il pezzo forte del suo discorso
è sul programma nucleare «Nessuno ci impedirà di realizzarlo» INVIATO A TEHERAN
Una vecchia col chador tiene in braccio un bambino, dal nero pece che l'avvolge
spunta solo l'ovale paffutello del viso, gli occhi sbilenchi e una barbetta
ispida che le trafora il mento. Guarda nella direzione dove si dirigono
migliaia di teste ondulanti che riempiono il grande corso tra piazza Engelab a
piazza Azari, l'asse che taglia Teheran da Est a Ovest. Posa il bimbo a terra e
guardando il cielo grigio urla: «Che il Mahdi protegga Ahmadinejad, l'uomo più
coraggioso, il protettore della religione». Un gruppo di ragazzi dal look
lumpenproletariat, avvolti nella bandiera tricolore iraniana si gira e grida:
«Allahu Akbar», Dio è grande. Il Presidente l'aveva detto sprezzante durante il
dibattito con l'ex comandante dei Pasdaran Moshen Rezai: «Andrò a fare un discorso
all'Università», proprio il posto dove è meno amato. Così da un paio d'ore la
gente col tricolore e i nastrini gialli si è incamminata verso l'ingresso Nord
del Politecnico. Una folla da stadio allaga le strade, ingoiando macchine e
motociclette che sembrano sprofondare nelle sabbie mobili. Un vecchietto su una
Paykan, una copia della Hillman Hunter inglese del tempo dello Shah, fende la
marea al rallentatore: è madido, pallido, trema come una foglia. Forse ce la
farà a raggiungere piazza Azad, chissà. All'Università c'è una sorpresa. Il
palco di Ahmadinejad, una specie di lunga veranda trainata da un camion
Mercedes, è fuori delle mura, davanti alla moschea. Non dentro. Nessuno sa
niente. Che non l'abbiano voluto? Mistero. A differenza del comizio dell'altro
giorno allo stadio Heydar Nia del candidato dell'opposizione Mousavi, qui manca
la musica. Solo slogan e spesso religiosi. «Ya Hussein» - strepitano -,
l'invocazione al grande martire sciita. Oppure scandiscono: «Il martirio è il
nostro onore». Ironicamente, il motto di Ahmadinejad è quasi uguale al «Yes We
Can» di Obama: «Mitavonim Mishavad», noi possiamo, si può. Saranno in 400
mila. Se per Mousavi si erano mobilitati i giovani e la classe media, qui ci
sono soprattutto i più poveri. Nei quattro anni di governo il Presidente ha
usato generosamente i 250 miliardi di dollari di entrate petrolifere per
favorire il suo elettorato tradizionale con una politica assistenziale,
anche a costo di far volare l'inflazione, ufficialmente è al 26 per cento ma
probabilmente più alta. Ali Tuhran, 45 anni, impiegato statale, tiene alto il
suo santino. Dice: «Vincerà al primo turno perché è un uomo di parola. La
crisi? Non è colpa sua, c'è in tutto il mondo». Ashraf, 46 anni, solita faccia
che sbuca dal nero aggiunge trasognata: «È un uomo del Signore, aiuta i poveri,
è coraggioso». Ali, 30 anni, camionista, è qui «perché lui è uno di noi,
capisce la gente». Poi dice la battuta che stava covando da un pezzo:
«Italiano? Io adoro Italia Uno». Anche qui un berlusconiano... Sotto il palco
non si respira dalla calca, un giovane sui trent'anni si accascia. Arriva una
barella issata sopra le teste. Lo portano verso un'ambulanza che non potrà mai
partire, incastrata tra la folla. Un boato fa tremare l'asfalto bollente: è
arrivato Ahmadinejad. Veste il solito giubbetto beige da poveraccio e una
camicia dello stesso colore. «Porta sempre le vecchie scarpe», dice Bita, 32
anni, inchadoratissima, casalinga laureata in Geomorfologia, come parlando di
un santo. Nei cartelloni il Presidente è sempre sorridente ma la sua
espressione più vera ricorda lo sguardo di un bambino triste. Se la prende
subito con gli Stati stranieri che offendono il capo spirituale, cioè
l'Ayatollah Khamenei. Ma poi il discorso si fa minaccioso: «Tutti gli altri
candidati mi hanno offeso - dice - ma offendere il Capo dello Stato significa
offendere la Costituzione. Un atto che ha conseguenze penali». «Akbar vai in
prigione», motteggia la folla riferendosi all'ex Presidente Rafsanjani,
considerato l'emblema della corruzione. E ancora: «Ahmadi, ti proteggiamo noi».
L'oratore incalza torvo: «Ci ricorderemo di loro quando sarò rieletto». Se il
raduno per Mousavi comunicava un potente senso di speranza, magari ingenuo ma
elettrizzante, qui il sentimento sotto la superficie sembra la paura.
Ahmadinejad è l'ordine che attenua lo smarrimento, la certezza astratta che
cura la disperazione, la semplificazione forzata del complicato. È un rifugio,
non uno slancio verso il futuro. Non c'è un attimo di gioia in questo comizio. Il
nucleare è un suo pezzo forte. «Il mondo cerca di impedirci di avere l'energia
nucleare - dice - ma noi la stiamo ottenendo lo stesso». «Il nucleare è un
nostro diritto», fanno eco i fedeli. Poi cita il suo rivale scatenando
un'ondata di «Mousavi dorughgu», Mousavi bugiardo. La parte centrale del
discorso è dedicata alla corruzione. «Certa gente - declama di nuovo minaccioso
nel persiano ritmico degli oratori - dopo le elezioni dovrà rispondere di ciò
che ha fatto». Si leva un urlo corale: «Morte a chi ruba i soldi del popolo».
Una donna con una kefià in testa lancia la sua benedizione: «Che il santo
Abolfazl ti protegga». Abolfazl martire era il martire prediletto dal mitico
campione di pesi Hossein Reza Zadeh, l'Ercole iraniano che sollevò 263 chili e
mezzo in un solo colpo. Portava il suo nome sulla maglietta. La gente è cotta
dal sole quando Ahmadinejad intona la preghiera finale. Ai saluti, un contadino
in vestito tradizionale gli porta un fascio di grano che lui come un dio
dell'abbondanza offre alla massa in delirio. Sparisce nel retro del palco
mentre i suoi intonano «ringraziamo il nostro Presidente». Si comincia a
smobilitare. Perché la folla si sciolga ci andranno ancora un paio d'ore di
parapiglia. Stanno tornando tutti a casa contenti, convinti che in questo mondo
di fatica e dolore, c'è almeno un leader che li protegge. La maggioranza dei 25
mila ebrei iraniani voterà per Ahmadinejad perchè preferisce stare dalla parte
del vincitore. Lo sostiene il quotidiano israeliano «Ynet», citando alcuni esperti,
tra cui il portavoce dell'Organizzazione centrale degli immigrati iraniani in
Israele, David Mutai, secondo il quale l'attuale presidente iraniano «abbaia ma
non morde», mentre il suo principale rivale Mousavi è «imprevedibile» e per
questo realmente più pericoloso. «Fin dalla rivoluzione di 30 anni fa - dice
Mutai - la comunità ebraica è riuscita a scansare i problemi tenendosi buono
l'establishment politico».
(
da "Stampa, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Stati
Uniti, la decisione di Obama Uno zar controllerà gli stipendi dei manager degli istituti
salvati Sarà un esperto nominato dall'Amministrazione del presidente Usa Barack
Obama, Kenneth Feinberg, un
noto avvocato di Washington, a decidere gli stipendi dei 175 manager dei sette
grandi gruppi bancari ed industriali in crisi che hanno ricevuto aiuti dallo
Stato per evitare il crac. Tra questi gli stipendi e i bonus di pesi
massimi come Kenneth Lewis di Bank of America, Vikram Pandit di Citigroup,
Fritz Henderson della General Motors. Come ha spiegato il segretario al Tesoro
Timothy Geithner, è stato deciso però di non definire un tetto massimo, come
era stato ipotizzato in un primo tempo, per gli stipendi dei supermanager delle
imprese che hanno ricevuto fondi pubblici. «Non vogliamo imporre regole, perché
sarebbe inefficace», ha spiegato Geithner. In una nota diffusa dal Tesoro lo
stesso Geithner scrive che «non poniamo limiti agli stipendi e non suggeriamo
nessuna formula precisa sulla maniera in cui le società devono definire le
proprie politiche di remunerazione».
(
da "Stampa, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Come
il porcello Questa televisione è come il porcello, non si butta via niente. E
meno male, con i tempi che corrono. Molto meglio recuperi, riutilizzi,
riadattamenti, che sprechi. L'impressione è che però quel che da una parte si
risparmia, dall'altra si scialacqua. La legge non è uguale per tutti. Come le
famose autoriduzioni degli stipendi dei parlamentari: ma quando mai? O come
quando, sempre loro, di qui e di là dagli schieramenti, tuonano contro
qualsiasi «dico» & friends, cioè «attacchi alla famiglia», tanto essi
l'equiparazione tra conviventi e coniugi l'hanno già acquisita da tempo. Per
non buttare via niente, un'altra striscia ha preso il posto su Raitre del
«Parla con me» di Serena Dandini. Tra l'altro: brava, Dandini, capocomica di
razza che i programmi li sa fare, lei e la sua Banda Osiris e Vergassola e un
genere di tv che si può seguire senza imbarazzo. Peccato l'ora, come al solito.
E dunque al suo posto c'è «Non perdiamoci di vista short», brani scelti e
rimixati della trasmissione di Paola Cortellesi con Francesco Mandelli. La
scuola dei segmenti alla Paolo De Andreis fa tendenza: la tacitiana «brevitas»
giova agli altrimenti sempre troppo allungati varietà di prima serata. Quindi è
divertente rivedere la magica Cortellesi a frammenti. Imita
Michelle Obama e sembra
Madonna; imita il sindaco Moratti e dice: «Io non ho paura di niente: solo di
finire la lacca». In stile Giacobbo si scoprono i misteri di Leonardo e della
Monna Lisa: c'è una scritta esoterica sopra la roccia, indietro, sul paesaggio
di sfondo, eccola. E' «Juve merda», parlando con pardon.
(
da "Stampa, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
In
Florida L'ARCIPELAGO DELLA MICRONESIA ACCOGLIERÀ GLI UIGURI SOSPETTATI DI
TERRORISMO Diciassette detenuti di Guantanamo saranno trasferiti sulle spiagge
di Palau Il killer dei gatti semina il panico «Ne ha uccisi 20» Dal
waterboarding all'isola felice [FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK Dal rischio del
simulato affogamento ai giochi acquatici sulle spiagge d'oro di Palau. Attenti
a non viziarli troppo, i detenuti che entro gennaio 2010
devono lasciare, sfrattati da Obama, le stanzette di Guantanamo con aria condizionata. I primi a
essere liberati, i 17 cinesi musulmani della etnia degli uiguri, finiranno
infatti nel paradisiaco arcipelago della Micronesia, nove isole abitate su 250,
750 kilometri a Est delle Filippine. Gli Stati Uniti faranno un prestito
di lungo termine da 200 milioni di dollari per aiutare lo sviluppo della
minuscola nazione, che conta 20 mila abitanti: in pratica, 10 mila dollari a
residente. «E' un grande giorno per Palau e un grande giorno per i diritti
umani», ha detto Stuart Beck, avvocato di New York sposato a una palauana,
Tulik, con cui ha quattro figli, e ambasciatore di Palau presso l'Onu dal 2004
(a un dollaro all'anno). Dagli Anni 70 Beck rappresenta gli interessi
dell'arcipelago, diventato indipendente nel 1994 da protettorato Usa che era.
«La trattativa per i cinesi si è svolta a livelli di capi di Stato - ha
raccontato -. Obama ha chiamato il collega Toribiong,
che si è detto onorato e orgoglioso di compiere un gesto umanitario. Ora alcuni
incaricati di Palau andranno a Cuba per capire che qualità e capacità
lavorative abbiano i 17, e per organizzare il loro inserimento. Vanno in un
paradiso dell'accoglienza: dal primo vascello inglese che vi capitò nel 1783,
quelle isolette hanno sempre accolto bene i rifugiati. Palau è amica di tutti».
Amica soprattutto dell'America. E adesso sarà forse presa più sul serio, mentre
quando fu inserita da Bush nella «coalizione dei volontari» per la guerra in
Iraq veniva citata come Stato-barzelletta. Non ha forze armate, per l'accordo
firmato all'atto dell'indipendenza quando c'era Clinton, ma i suoi cittadini
possono arruolarsi nell'esercito americano, e lo hanno sempre fatto. «Più di
cento sono ora nei battaglioni in missione di guerra, e uno è morto in
Afghanistan la settimana scorsa», ha detto Beck. Anche sul piano diplomatico la
fedeltà di Palau è a prova di bomba: all'assemblea generale delle Nazioni
Unite, su tutte le questioni, il suo voto è in linea con quello degli Stati
Uniti a un tasso quasi totalitario, che rivaleggia solo con quello di Israele.
L'unico Paese che finora aveva detto di volere gli uiguri era la Cina, ma gli
Usa l'hanno sempre escluso nel timore che, essendo dissidenti islamici,
potessero essere processati e magari condannati a morte e uccisi. Non è ancora
certo che tutti i 17 cinesi finiranno a Palau: le alternative, per gli
eventuali esclusi da questa vincita alla lotteria, sono l'Australia e la
Germania, dove già vivono piccole comunità di uiguri. Almeno una ventina di
gatti sono stati trovati mutilati e uccisi nell'arco dell'ultimo mese nella
contea Miami Dade della Florida. Ad alcuni è stato strappato completamente il
pelo, mentre altri presentavano diverse ferite da taglio. «Sono terrorizzata,
al punto che ovunque vada temo di trovare gatti morti sul ciglio della strada»,
ha detto Mary Lou Shad, residente dell'area e proprietaria di un gatto che fa
parte della lista delle vittime. La paura è tale che molti proprietari di gatti
hanno deciso di non far uscire di casa i propri animali.
(
da "Stampa, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
30 marzo Obama
benedice l'alleanza Come condizione per erogare a Chrysler un finanziamento
pubblico di 6 miliardi di dollari il Presidente americano impone al colosso di
Detroit in crisi di unirsi a Fiat, con le sue tecnologie per produrre auto più
efficienti. Parte la richiesta di amministrazione controllata (Chapter
11).
(
da "Stampa, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Giudici
e legali per 48 ore di battaglia Pugno di ferro e guanto di velluto. Così la
Fiat ha respinto l'assedio alla Corte Suprema da parte dei creditori
dissidenti. Una battaglia legale durata 48 ore durante le quali il Lingotto si
è trovato a fronteggiare non solo le rivendicazioni finanziarie di una esigua
minoranza di obbligazionisti Chrysler, ma anche le mire professionali di un
principe del foro, le ambizioni elettorali del politico di turno e le inattese
perplessità di un giudice navigato. A tirare le fila degli oppositori è Thomas
Lauria, il volto noto delle maxi-cause a sfondo finanziario. Quarantotto anni,
una passione per i gessati e parcelle da almeno mille dollari l'ora, Lauria ha
il fiuto per gli affari e perorare la causa dei creditori Chrysler è una chance
da non perdere, sia per salire sul grande carrozzone della bancarotta più
importante degli ultimi anni, sia per non prendere il treno di quella ancor più
sostanziosa di Gm. Il personaggio potrebbe dar del filo da torcere e per questo
scattano le misure precauzionali: in un giro di consultazioni telefoniche tra
Detroit, Torino e Washington vengono impartite ai legali di Chrysler a New York
le direttive per tener testa all'offensiva. Osservare e confondere l'avversario
con la calma tenendosi pronti al blitz in caso di necessità perché la pazienza
è d'obbligo, ma perdere tempo è fuori discussione, ogni giorno che passa sono
cento milioni di dollari in più. Lunedì la prima udienza, le attese sono per
una decisione rapida di Ruth Bader Ginsburg, giudice navigato, la prima donna
di religione ebraica a entrare nell'Alta corte per merito dell'ex presidente
Bill Clinton. E' una liberal e in quanto tale non dovrebbe ostacolare per
principio un'operazione appoggiata dal presidente Barack Obama, di fatto un democratico come lei.
Ma nel pomeriggio di lunedì arriva il colpo di scena, la Corte Suprema sospende
la vendita accogliendo l'istanza presentata dai fondi dell'Indiana. Hanno fatto
breccia le dichiarazioni di Richard Mourdock, il tesoriere dello Stato: «La
battaglia è di principio, ho fatto un giuramento accettando l'incarico
pubblico e devo difendere i miei cittadini che in questo affare verrebbero
pesantemente penalizzati». La crociata del funzionario, ribattezzato «l'uomo da
sei milioni di dollari» (differenza tra i 18 pagati dai fondi per acquistare
titoli Chrysler e i 12 ricevuti in sede di liquidazione del debito), appare
bizzarra visto che solo di spese legali gli investitori devono pagare due
milioni. Inoltre la sua militanza repubblicana fa pensare a una chiara campagna
politica in vista di un turno elettorale non troppo lontano. Tra Torino e
Detroit scatta lo stato di allerta, ma Sergio Marchionne tiene tutti col fiato
sospeso optando per la mano di velluto: «Non ce ne andremo» nonostante i ritardi,
dice ma quella che sembra una rassicurazione è solo l'ultimo avvertimento, un
messaggio in codice per le controparti. I dissidenti non recepiscono e usano le
parole dell'amministratore delegato per forzare ulteriormente la Corte Suprema:
«Visto che Fiat non se ne va il giudice ha tutto il tempo per decidere con
calma», dice il solito Mourdock con fare di sfida. Per il Lingotto è una
dichiarazione di guerra. Dalle scuderie Fiat a quelle Chrysler rimbalza
l'ordine di agire: «Attenti, dopo il 15 giugno tutto da rifare». Il blitz è
coordinato con Elena Kagan, che in qualità di «Solicitor General» rappresenta
il ministero della Giustizia di fronte alla Corte Suprema: «Attenti, la Fiat -
dice - potrebbe mollare dopo il 15 giugno». Le conseguenze sarebbero gravissime,
un disastro occupazionale. La giudice Ginsburg non ha alternative: gli
interessi di pochi contro quelli della collettività. E allora non resta che
decidere. Al tramonto della più lunga giornata che la storia della bancarotta
americana ricordi, arriva il via libera della Corte Suprema. I fondi
dell'Indiana sono costretti a battere in ritirata.
(
da "Stampa, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Discorso
ai dipendenti: meritocrazia e leadership, dovete sfidare l'ovvio
[FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK La firma elettronica
dell'accordo a New York, l'annuncio del team di 23 manager per gestire la nuova
Chrysler e il discorso ai dipendenti su «meritocrazia, leadership ed
eccellenza» nel quartier generale di Auburn Hills: è una partenza a raffica
quella di Sergio Marchionne nei nuovi panni di ceo a Detroit e ricorda da vicino
quanto fece 5 anni fa al debutto ai vertici del Lingotto. Nella mattinata di
ieri, poche ore dopo il via libera della Corte Suprema di Washington,
l'alleanza Fiat-Chrysler si è concretizzata con l'atto legale in uno studio
Manhattan che ha sancito la nascita di «Chrysler Group Llc», la nuova azienda
libera dai lacci della bancarotta, dai miliardi di debiti della vecchia
Chrysler dal fardello di 789 concessionari che non facevano profitto. L'atto
formale ha coinciso con l'annuncio, da Auburn Hills e Torino, del team di 23
top manager selezionati personalmente da Marchionne negli ultimi giorni e la
riapertura degli stabilimenti chiusi a causa della bancarotta, che costavano
100 milioni di dollari al giorno. «Siamo già al lavoro per sviluppare dei nuovi
veicoli compatibili con l'ambiente, efficienti nel consumo di carburante e di
alta qualità che consentiranno a Chrysler di andare in avanti» ha affermato il
comunicato Fiat-Chrysler, pubblicato mentre Marchionne a Auburn Hills iniziava
a parlare ad un parterre di migliaia di dipendenti nella sede quartier
generale, che è il secondo edificio più grande d'America dopo quello del
Pentagono. «Intendiamo costruire sulla cultura dell'innovazione che distingue
Chrysler e sulla tecnologia di Fiat per espandere il portafoglio di Chrysler
tanto in Nord America che all'estero» ha esordito Marchionne, sottolineando
l'importanza del ruolo svolto «dal Tesoro Usa e dal governo canadese» per
raggiungere l'intesa. La parte centrale del discorso ai dipendenti è stata sul
ruolo di «leadership» della nuova Chrysler. «I leader sono coloro che sfidano
l'ovvio e le convenzioni accettando di andare oltre, rifiutando il pensiero di
chi dice "abbiamo sempre fatto così"» sono state le parole del ceo,
promettendo di «rinnovare la guida di questa impresa» grazie alle potenzialità
«del sesto gruppo automobilistico del mondo» e ad un metodo di lavoro che si
basa sul «comunicazioni con porte aperte» ovvero una struttura snella, senza
compartimenti stagni. Marchionne ha riassunto «i principi guida» con cui
guiderà Chrysler in «meritocrazia, leadership, eccellenza e mantenimento delle
promesse fatte» durante la lunga fase delle trattative, che ha avuto un momento
di svolta nell'intesa con il sindacato americano Uaw, il cui fondo avrà il 55
per cento delle azioni di Chrysler Group a fronte del 20 di Fiat - che potrà
arrivare al 35 - dell'8 del Tesoro Usa e del 2 del governo di Ottawa. Cercando
il contatto diretto con i dipendenti - seguito alla formazione di una squadra
che ha premiato molti funzionari finora di secondo livello - Marchionne ripete
l'approccio avuto cinque anni fa al momento dello sbarco al Lingotto e
riproposto l'anno scorso con Case New Holland. E' l'inizio dei primi cento
giorni da ceo a Detroit, la roccaforte dell'auto nordamericana, e l'amministrazione Obama scommette sul successo della sfida delle auto piccole. «L'intesa
raggiunta è un momento di orgoglio per Chrysler, l'alleanza con Fiat consente
di uscire dalla bancarotta e di emergere come un'azienda automobilistica valida
e competitiva» fa sapere un portavoce della Casa Bianca confermando
l'elargizione del prestito da 4,7 miliardi di dollari che dovrà essere
restituito in otto anni di tempo. Per l'America è l'inizio della stagione di
una nuova generazione di automobili.
(
da "Stampa, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Pugno
di ferro e guanto di velluto. Così la Fiat ha respinto l'assedio alla Corte
Suprema da parte dei creditori dissidenti. Una battaglia legale durata 48 ore
durante le quali il Lingotto si è trovato a fronteggiare non solo le
rivendicazioni finanziarie di una esigua minoranza di obbligazionisti Chrysler,
ma anche le mire professionali di un principe del foro, le ambizioni elettorali
del politico di turno e le inattese perplessità di un giudice navigato. A
tirare le fila degli oppositori è Thomas Lauria, il volto noto delle maxi-cause
a sfondo finanziario. Quarantotto anni, una passione per i gessati e parcelle
da almeno mille dollari l'ora, Lauria ha il fiuto per gli affari e perorare la
causa dei creditori Chrysler è una chance da non perdere, sia per salire sul
grande carrozzone della bancarotta più importante degli ultimi anni, sia per
non prendere il treno di quella ancor più sostanziosa di Gm. Il personaggio
potrebbe dar del filo da torcere e per questo scattano le misure precauzionali:
in un giro di consultazioni telefoniche tra Detroit, Torino e Washington
vengono impartite ai legali di Chrysler a New York le direttive per tener testa
all'offensiva. Osservare e confondere l'avversario con la calma tenendosi
pronti al blitz in caso di necessità perché la pazienza è d'obbligo, ma perdere
tempo è fuori discussione, ogni giorno che passa sono cento milioni di dollari
in più. Lunedì la prima udienza, le attese sono per una decisione rapida di
Ruth Bader Ginsburg, giudice navigato, la prima donna di religione ebraica a
entrare nell'Alta corte per merito dell'ex presidente Bill Clinton. E' una
liberal e in quanto tale non dovrebbe ostacolare per principio un'operazione appoggiata dal presidente Barack Obama, di fatto un democratico come lei.
Ma nel pomeriggio di lunedì arriva il colpo di scena, la Corte Suprema sospende
la vendita accogliendo l'istanza presentata dai fondi dell'Indiana. Hanno fatto
breccia le dichiarazioni di Richard Mourdock, il tesoriere dello Stato: «La
battaglia è di principio, ho fatto un giuramento accettando l'incarico
pubblico e devo difendere i miei cittadini che in questo affare verrebbero
pesantemente penalizzati». La crociata del funzionario, ribattezzato «l'uomo da
sei milioni di dollari» (differenza tra i 18 pagati dai fondi per acquistare
titoli Chrysler e i 12 ricevuti in sede di liquidazione del debito), appare
bizzarra visto che solo di spese legali gli investitori devono pagare due
milioni. Inoltre la sua militanza repubblicana fa pensare a una chiara campagna
politica in vista di un turno elettorale non troppo lontano. Tra Torino e
Detroit scatta lo stato di allerta, ma Sergio Marchionne tiene tutti col fiato
sospeso optando per la mano di velluto: «Non ce ne andremo» nonostante i
ritardi, dice ma quella che sembra una rassicurazione è solo l'ultimo
avvertimento, un messaggio in codice per le controparti. I dissidenti non
recepiscono e usano le parole dell'amministratore delegato per forzare
ulteriormente la Corte Suprema: «Visto che Fiat non se ne va il giudice ha
tutto il tempo per decidere con calma», dice il solito Mourdock con fare di
sfida. Per il Lingotto è una dichiarazione di guerra. Dalle scuderie Fiat a
quelle Chrysler rimbalza l'ordine di agire: «Attenti, dopo il 15 giugno tutto
da rifare». Il blitz è coordinato con Elena Kagan, che in qualità di «Solicitor
General» rappresenta il ministero della Giustizia di fronte alla Corte Suprema:
«Attenti, la Fiat - dice - potrebbe mollare dopo il 15 giugno». Le conseguenze
sarebbero gravissime, un disastro occupazionale. La giudice Ginsburg non ha
alternative: gli interessi di pochi contro quelli della collettività. E allora
non resta che decidere. Al tramonto della più lunga giornata che la storia
della bancarotta americana ricordi, arriva il via libera della Corte Suprema. I
fondi dell'Indiana sono costretti a battere in ritirata.
(
da "Repubblica, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 1 - Prima Pagina Via libera all´operazione, Obama
soddisfatto Marchionne a capo di Fiat-Chrysler ROMA - Dopo il via libera della
Corte suprema l´accordo tra Fiat e Chrysler è cosa fatta. A capo del nuovo
gruppo sarà l´ad del Lingotto, Sergio Marchionne. Si punta su 23 nuovi manager
per 4 marchi. Concessi 4,3 miliardi di aiuti pubblici. John
Elkann: «Siamo molto felici, è stato un lavoro incredibile». L´operazione è
anche una vittoria del presidente Usa Barack Obama,
che ieri si è detto soddisfatto: con l´alleanza nascerà un costruttore «vitale
e competitivo». GRISERI, TROPEA E ZAMPAGLIONE ALLE PAGINE
22 E 23
(
da "Repubblica, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
21 - Economia Il caso Kenneth Feinberg "zar degli stipendi" dei manager Usa WASHINGTON - L´amministrazione Obama ha presentato le proposte di legge
per regolare gli stipendi dei manager Usa. E intanto, ha nominato uno "zar
degli stipendi", Kenneth Feinberg, che avrà il compito di determinare i
compensi di 175 top manager in sette delle maggiori imprese del paese che hanno
ricevuto aiuti pubblici.
(
da "Repubblica, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
VIII - Torino COLLABORAZIONE, NON BARRICATE SALVATORE TROPEA Il modello è
quello Mirafiori e l´idea non a caso è partita da Torino. Questa volta, con un
obiettivo ben più ambizioso e che sta perfettamente dentro la grande risacca di
assestamento dell´industria mondiale dell´automobile. La proposta lanciata da
Mercedes Bresso, quando era ancora aperto il caso Opel - ma si è mai chiuso? -
esce dal perimetro torinese della Fiat e si propone come argomento di partenza
per la elaborazione di un progetto mirato non solo alla difesa dei posti di
lavoro a Mirafiori piuttosto che a Pomigliano d´Arco o a Termini Imerese. La
finalità è più alta e del tutto nuova, salvo il precedente di quattro anni fa
che ha permesso la «rinascita» di Mirafiori attraverso la collaborazione tra
istituzioni e azienda. Sulla scia di quella operazione viene lanciata ora dal
Nord Ovest l´idea di una nuova partecipazione tra pubblico e privato che si
propone di aggredire la crisi del settore auto evitando i rischi di un
pericoloso e sterile arroccamento difensivo. Insomma la collaborazione al posto
delle barricate. E´ questo il messaggio che viene inviato a Sergio Marchionne
che ha appena incassato una vittoria in terra americana che aiuta non poco a
guardare avanti tra le cose da fare. Tra queste cose c´è anche la vettura
ecocompatibile che, dando seguito a un orientamento già imboccato dalla Fiat,
può andare oltre, nella direzione di quell´obiettivo sul
quale Barack Obama ha
impostato la strategia per la sopravvivenza di Chrysler e Gm. Dunque siamo di
fronte a qualcosa di più che un tentativo di salvare dei siti produttivi.
Proprio per questo la proposta di cui si è discusso ieri a Roma merita anche
l´attenzione del governo. C´è solo da augurarsi che la chiusura della
parentesi elettorale favorisca la sua evoluzione in qualcosa di più importante
e che il Lingotto la veda come una opportunità. Tutto sommato, non è un´impresa
impossibile.
(
da "Repubblica, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
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VIII - Firenze I protagonisti "La mia techno? Nasce dall´amore di
Dio" Allo Sferisterio arrivano le due stelle di Muv, il festival del
digitale: domani c´è Dinky e sabato tocca a Robert Hood FULVIO PALOSCIA Più che
il tappeto rosso della star, o il trono dei grandi padri degli stili musicali,
a Robert Hood, riconosciuto come l´alfa e l´omega della minimal techno, si
addice la tiara papale: «Dio è la mia ispirazione - dice alla vigilia del suo
arrivo a Firenze, sabato alle 1, attesissimo ospite del Muv, il festival delle
arti digitali in corso allo Sferisterio delle Cascine, dove terrà un dj set - è
il creatore di tutto, io stesso sono plasmato per sua volontà e mi sento uno
strumento nelle sue mani per comunicarne l´immensità, la meraviglia, lo stupore.
Bisogna ascoltare Dio, sempre». Non è fuori luogo, dunque, usare il termine
venerazione per raccontare l´atteggiamento con cui questo ragazzone
statunitense viene accolto in tutte le parti del mondo: «Nella mia musica, nei
mei dj set, aldilà dell´impatto fisico del ritmo, c´è una grande spiritualità:
sia che componga o che metta dischi, io cerco sempre di portare chi mi ascolta
in un altrove. Sarei felicissimo se anche solo due persone provassero questo».
La musica è dunque una missione, per Hood? «No, perché la missione è sempre
qualcosa che devi fare, che scegli. Io non ho scelto la musica, ma la musica ha
scelto me. Quindi per me è una forma d´espressione vitale, necessaria. Come
parlare, ridere, piangere, gridare, fare l´amore». La minimal techno è un
fenomeno che ha cambiato volto alla musica da ballare, è la tendenza del
momento, ma Hood non ne è così soddisfatto: «Questo genere sta diventando una
semplice etichetta, un prodotto. Chi salta su questo carro pensa solo a
guidarlo veloce, ma non guarda all´evoluzione delle ruote, o dei meccanismi
fondamentali. Questa superficialità compromette il suo futuro. C´è, ad esempio,
un accanimento sulla tecnologia, come se fosse l´unica prerogativa della
minimal. Quando entro in studio, a tutto penso tranne che all´ultima diavoleria
digitale di grido. Penso prima di tutto al cuore. Mio e di chi mi ascolta».
Hood arriva da Detroit, città che ha dettato legge nella house. Continua a
farlo? «Oggi Detroit sta vivendo una crisi pericolosissima, finanziaria e
quindi anche sociale. La disoccupazione ha raggiunto livelli d´emergenza
assoluta, la violenza dilaga, la cocaina è il rifugio di una depressione
profonda. C´è una situazione di stallo anche creativo. Ma questa città ha
sempre rialzato la testa grazie alla musica, fonte di vita e d´orgoglio, e so che con Obama questo accadrà». Ovviamente, «anche con l´aiuto di Dio». Oggi
intanto il Muv ha in serbo altri assi della musica elettronica tra Italia e
Europa: oltre ai nostrani Maggie Pie (21.30), dj tutta istinto, e Congorock
(1), produttore e dj milanese con una sua solida fama negli Usa, arriveranno
anche i Subs, trio belga in cui che affida il trattamento «in diretta»
di chitarra e voce a un dj, e gli Autokratz (23.30), londinesi, con un live che
guarda alle origini del pop elettronico (Kraftwerk) irrorandolo di suoni
digitali presenti e futuri. Gratis dalle 19 alle 21, poi 13 euro. Info
055/6530215, www.muv.com.
(
da "Repubblica, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
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VIII - Firenze La rivelazione La dj cilena che oggi vive a Berlino racconta il
suo lavoro "Divertimento e ricerca io donna li suono così" «Chi è
nato in Cile e ci ha vissuto a lungo, come me, non dimentica mai le sue
origini». è tutta una questione di ritmo, continua con una voce sospirata
Dinky, la dj rivelazione che sarà ospite del Muv domani alle 1, «quel ritmo
verso cui noi, cresciuti ascoltando musica tropicale, abbiamo una propensione
fortissima, e che sappiamo mescolare in modo tutto nostro con la melodia».
Attenzione, dice Dinky, nel deejaying mondiale non esiste una scena cilena vera
e propria, «c´è casomai un suono, un chilean sound che però si basa su
sradicati come me, come Luciano. In Cile è impossibile lavorare se non fai
musica commerciale». Ha vissuto a lungo a New York, «poi con le restrizioni in
seguito all´11 settembre, non mi è stato rinnovato il visto e sono dovuta
venire via». Intravede, in questo, tracce di razzismo? «La mia pelle non è
scura, sono i coloured che negli Usa vanno incontro a
pregiudizi incancellabili nonostante Obama. Agli americani non perdono ben altro: l´essere stati i
burattinai del golpe di Pinochet». A New York «ho imparato a lavorare duro,
perché così devi fare, laggiù, se vuoi sopravvivere»; a Berlino, dove vive
adesso, «ho capito davvero cosa è la libertà: espressiva, di movimento.
Poco dopo esservi arrivata, ho trovato subito tutte le porte aperte».
Atteggiamento che si rispecchia nelle sue playilist, dove il tappeto
elettronico risente delle influenze più diverse, a partire da Depeche Mode e
Kraftwerk, gruppi dei quali si dichiara devota. Cresciuta in una famiglia di
musicisti dilettanti, lei stessa suona il pianoforte, «risorsa senza dubbio
importante ma non necessaria: Thom Yorke dei Radiohead non conosce la musica,
eppure è un genio. Gli studi classici conformano la mente su regole che
impongono punti di vista molto settoriali sulla musica; molto meglio aver
pratica di jazz, che scoperchia la creatività». In consolle si contraddistingue
per una concentratissima compostezza, «questo non significa che non cerchi il
divertimento. Diciamo che aspiro a educare la gente ai nuovi suoni attraverso
il ballo». Obiettivo comune a tutte alle dj donne, «che amano essere più
profonde, comunicative - conclude Dinky - Per questo non amo quelle colleghe
che fanno di tutto per essere assimilate ai maschi. Abbiamo una nostra
biodiversità: difendiamola». (f. p.)
(
da "Repubblica, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
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III - Bari Regione, Latorre benedice Vendola leader "Ma dovremmo aprire
alla Poli Bortone" Il senatore Pd: "Pdl diviso, ora pensiamo solo ai
ballottaggi" LELLO PARISE «Centrosinistra pancia a terra per i
ballottaggi» fa sapere Nicola Latorre, vicecapogruppo del Pd a Palazzo Madama.
Solo dopo il 21 giugno «ci sarà la possibilità di costruire pure nuove alleanze
nell´ambito dello stesso centrosinistra». Tuttavia il Pd, partito capofila
della coalizione, esce malconcio da queste elezioni. «C´è stato un arretramento.
Inutile nasconderlo. Le previsioni del resto, erano addirittura catastrofiche».
Il bicchiere è mezzo vuoto? «Non dimenticate però che i numeri delle
amministrative sono confortanti. Dimostrano che siamo capaci di difenderci
dagli attacchi del Pdl». La Bat e la Provincia di Bari intanto, le consegnate
al primo turno a Berlusconi & C. «Bat a parte, l´unico dato negativo è
quello legato all´amministrazione provinciale barese». Enzo Divella rimane
fermo al palo. «Ma la sua performance è stata di tutto rispetto. La
"politicizzazione" del voto piuttosto non gli ha consentito di avere
la meglio, purtroppo». L´industriale della pasta annuncia di dire addio alla
politica. «Sarebbe sciocco perderlo. Abbiamo ancora tante battaglie da
combattere. Ecco perché sarà indispensabile beneficiare del patrimonio di
esperienze politiche e amministrative accumulato in questi cinque anni da
Divella». Nel capoluogo pugliese non resta che Michele Emiliano a tenere alto
l´onore del centrosinistra. Come finirà il faccia a faccia con Di Cagno
Abbrescia? «Io sono fiducioso». Perché? «Emiliano ha un consenso che va oltre i
due principali schieramenti politici. Purché gli elettori fra quindici giorni,
non disertino le urne. Sì, credo che ci siano tutte le condizioni perché il sindaco
bissi il trionfo del 2004». Emiliano, in questo caso, lascerebbe la guida dei
democratici. Come segretario regionale dei riformisti circola con insistenza il
nome di Enzo Lavarra, sconfitto alle europee. «L´uscita di Lavarra
dall´assemblea di Strasburgo, è stato un duro colpo. Non fosse altro perché era
uno dei migliori parlamentari europei del Pd». Potrebbe anche essere un buon
segretario? «Questo tipo di discussione, come stanno le cose, è inopportuno».
Come stanno le cose? «Adesso dobbiamo vincere i ballottaggi nei comuni di Bari
e Foggia e nelle province di Brindisi, Lecce e Taranto. Possiamo farcela,
dappertutto. L´esito di queste consultazioni inoltre, non sarà irrilevante
rispetto a quello che accadrà per le regionali del 2010». Il candidato alla
carica di governatore sarà per la seconda volta Nichi Vendola, che alcuni
esponenti del Pd definiscono «il nostro Obama»? «Vendola è un ottimo presidente
di Regione e ha ottenuto un significativo successo personale alle europee...».
Ma? «Nessun ma. Ripeto: per il momento dobbiamo concentrarci, tutti quanti, per
conquistare cinque amministrazioni locali. Poi dovremo metterci al lavoro
perché il centrosinistra in Puglia possa consolidarsi ed, eventualmente,
allargarsi» Adriana Poli Bortone così come l´Udc, potrebbero essere della
partita? «La crisi del centrodestra apre nuovi spazi per il centrosinistra. Ma
non siamo mica al mercato: ogni cosa a suo tempo».
(
da "Repubblica, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
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4 - Esteri Nicola Latorre, vice presidente dei senatori Pd "Lui in aula?
Nessuno scandalo rappresenta l´Unione africana il discorso è un´occasione di
pace" ROMA - «In aula a sentire Gheddafi? Io ci sarei andato comunque e mi
sarei seduto in prima fila». Nicola Latorre non fa un passo indietro. Per il
vice presidente dei senatori del Pd, dalemiano, al centro delle contestazioni
di molti compagni di partito, «non c´era scandalo« nella presenza del leader
libico in Parlamento. Gheddafi non è un campione di democrazia, senatore
Latorre. Lei avrebbe ritenuto giusto farlo parlare in aula? «è il presidente
dell´Unione africana. Questa è una circostanza storica per rilanciare una
iniziativa di pace e di distensione con quei paesi». "No a un dittatore in
aula", hanno protestato i suoi compagni di partito. «Intanto non c´era una
convocazione di seduta. Il Senato sarebbe stato riunito come durante il
concerto di Natale, con le rappresentanze diplomatiche e gli invitati. In una
stagione nella quale c´è un impegno per recuperare il
dialogo con i paesi della sponda del Mediterraneo, dopo il discorso del
presidente Obama al Cairo,
francamente ci si dovrebbe preoccupare degli interessi generali del paese e
guardare un po´ più in là piuttosto che privilegiare gli aspetti di cortile».
Pd di nuovo diviso «Un esercizio purtroppo appassionante quello della
divisione. Anche se trovo legittime le perplessità». Lei la pensa come
D´Alema «D´Alema ha solo detto che non aveva senso una polemica rumorosa».
(g.c.)
(
da "Repubblica, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
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14 - Esteri Usa, nazista di 88 anni spara al museo della Shoah Panico a
Washington, morta una guardia L´assassino tiene da anni un sito web
"contro i negri e gli ebrei". Obama "rattristato" VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - Cercava il
crepuscolo privato delle suoi divinità naziste, il vecchissimo Sigfrido
americano di 88 anni che ieri ha invaso da solo il Museo della Shoah a
Washington e ha cominciato a sparare, per finire il lavoro che Hitler, Himmler,
Heydrich e i suoi eroi nella crociata contro la società multientica avevano
lasciato incompiuto. Alla fine di una vita consumata invano per
proteggere la purezza razziale dell´Occidente dalla minaccia di meticci,
sanguemisti, neri ed ebrei, James VonBrunn aveva visto il proprio sogno ariano
crollare nella disperazione quando un uomo di sangue caucasico e africano si
era insediato sul trono del «Sacro Impero d´Occidente», come lo chiama il suo
sito internet, e aveva deciso di agire. Ha sparato ai visitatori dello
straziante museo che ricorda l´Olocausto ebraico, a 500 metri dalla Casa
Bianca, deciso a uccidere o a farsi uccidere. Ha ammazzato una guardia e ne ha
ferita un´altra. Ferito dal fuoco di risposta, è ricoverato in ospedale.
Valhalla e la Valkirie dovranno attendere. VonBrunn, con quel suo nome etimologicamente
identico a quello di un altro celebre nazista poi riciclato dalla candeggina
della Guerra Fredda, Von Braun, non era comunque il solito good ol´ boy, il
ragazzone ruspante delle Grandi Praterie arruolato nelle miliizie fasciste e
antigovernative che puntualmente riaffiorano dal fondo dell´America per far
strage di innocenti, come a Oklahoma City, o ammazzare un ostetrico abortista,
come nei giorni scorsi nel Kansas, nella loro micidiale confusione fra razza,
politica, religione e troppe armi da fuoco. James, figlio della classica
famiglia tedesca piccolo borghese emigrata a metà dell´Ottocento e poi radicata
nella rispettabilità delle professioni (il padre era ingegnere civile), era
cresciuto nella più banale normalità. Laureato in giornalismo, forse l´unico
sintomo di squilibrio mentale, arruolato in Marina, combattente encomiabile nel
Pacifico, dove aveva ottenuto ben quattro stelle al valore, Von Brunn aveva
lavorato nei giornali e nella produzione cinematografica, pubblicitaria e
televisiva, prima di ritirarsi in una piccola casa sulle sabbie atlantiche del
Maryland. In solitudine, ma collegato al mondo grazie a internet, aveva scritto
e pubblicato online un libro molto apprezzato fra i gruppi delle croci
celtiche, «Uccidete i gentili», una citazione talmudica che lui aveva
utilizzato per spiegare che l´ebraismo è religione di morte, dunque da
schiacciare. Aveva creato un sito web dal titolo autoesplicativo, l´impero
d´occidente punto com, incoronandosi neo Carlo Magno, e il suo nome era venerato
nei circoli delle aspiranti sturmtruppen che pullulano nel web. Il passaggio
dalla sua fantasyland-nazi all´azione violenta ha richiesto quasi 89 anni - è
nato nel 1920 - fino a ieri mattina, quando si è armato, ha raggiunto in
automobile la Capitale, a un´ora di auto, è entrato nel Museo che dal 1993 ha ricordato la Shoah
a 30 milioni di visitatori e ha sparato quattro colpi contro le guardie che
controllano gli ingressi e i metal detector. Famiglie e scolaresche, abbondanti
in questo mese di scuole in chiusura, si sono gettate a terra o nascoste dietro
i pilastri, le guardie hanno risposto ai colpi, senza grande precisione,
vetrate sono andate in frantumi, spargendo schegge e frammenti che hanno
raggiunto un sorvegliante. Una sua piccola notte dei cristalli, come lo sfascio
delle vetrine di negozi di ebrei nel pogrom nazista del 1938. Anziché
l´ingresso nel paradiso dei nibelunghi, accanto a Odino e alle Valkirie, il
figlio dell´ingegnere tedesco si è garantito il resto della propria vecchiaia
in un altro penitenziario federale, dove già aveva trascorso sei anni e mezzo,
fantasticando di essere il nuovo Adolfo incarcerato dopo il putsch nella
birreria del 1923. Quattordici anni or sono, l´ex giornalista, ex produttore,
ex pubblicitario, aveva personalmente occupato la sede della Federal Reserve,
la banca centrale americana, arrestando come semplice cittadino che assiste a
un flagrante delitto, i funzionari della Fed, per delitti contro i liberi
cittadini americani vessati e schiacciati dalla mano del governo centrale
asservito alla cabala demo-pluto-giudaico-massonica. Era stato condannato a
sette anni da una giuria composta, ha scritto nel suo Mein Kampf, naturalmente
da «negri ed ebrei» e ieri ha cercato di saldare il conto. Obama,
avvertito dell´accaduto, si è detto «rattristato» dalla ferita inferta a
Washington. James VonBrunn non nuocerà più a nessuno, ma non era l´ultimo
crociato razzista annidato nel ventre di una nazione dalle quale altri
terroristi emergeranno, per lottare contro un mondo che li ha lasciati
indietro, senza che loro se ne rendano conto.
(
da "Repubblica, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
22 - Economia Marchionne alla guida di Fiat-Chrysler Via all´accordo:
"Torniamo forti". Casa Bianca: "Nasce un gruppo
competitivo" John Elkann: "Siamo molto felici per l´intesa. è stato
fatto un lavoro incredibile" ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - Sergio
Marchionne, il cui look anticonformista e la grinta manageriale attraggono
sempre più la curiosità del pubblico americano, è da ieri alla guida del sesto
gruppo automobilistico mondiale, nato dall´ingresso della Fiat nel nuovo gruppo
Chrysler. Dopo mesi di difficili negoziati e duri scontri giudiziari, di cui
l´ultimo alla corte suprema risoltosi martedì notte, lo sbarco della casa
torinese in America è avvenuto senza grandi cerimonie alle nove di mattina:
qualche firma in calce ai contratti di vendita presso lo studio Cadwalader; la
concessione di 4,7 miliardi di dollari di aiuti pubblici; e poi una
dichiarazione del Tesoro che definisce la svolta come «un motivo d´orgoglio»
nella storia di Auburn Hills, il quartiere generale della Chrysler vicino a
Detroit. Anche Marchionne, che si è subito rimboccato le maniche nominando i
luogotenenti e delineando la strategia, ha voluto sottolinearne l´importanza
«per l´intera industria globale dell´automobile». Certo, è anche una scommessa
rischiosa per l´ad della Fiat. La recessione ha colpito duramente il settore e
la Chrysler, riemersa ieri dal fallimento, ha modelli antiquati ed è la più
fragile tra le case americane. D´altra parte Marchionne è convinto che solo
pochi grandi gruppi sopravviveranno alla crisi, e ha voluto a tutti costi
acquisire le dimensioni idonee per affrontare le sfide. «Non ho dubbi: ce la
faremo», ha promesso Marchionne, 56 anni, in un messaggio inviato ieri a tutti
i suoi nuovi dipendenti, nella speranza di superare il trauma collettivo della
Chrysler che fino all´altro ieri rischiava di sparire per sempre, e che ora
rinasce senza i fardelli del passato, né il peso dei debiti, né la pletora di
concessionari, né le fabbriche decotte, né i costi del lavoro spropositati.
«Abbiamo intenzione - ha proseguito il neo-chief executive di Auburn Hill - di
far leva sulla cultura dell´innovazione della Chrysler, e in modo complementare
sulla tecnologia ed esperienza della Fiat». Più che soddisfatto John Elkann:
«Siamo molto felici per la conclusione dell´accordo, Marchionne e la sua
squadra hanno fatto un lavoro incredibile». L´accordo non sarebbe stato
possibile senza l´impegno del presidente Barack Obama (che ai tempi dell´università
guidava una Fiat sgangherata), e in particolare del leader del suo team, Steven
Rattner. «Ci siamo finalmente riusciti», ha detto ieri a Repubblica lo «zar»
dell´auto, visibilmente soddisfatto per questa vittoria della Casa Bianca che
avrà riflessi positivi anche sul dossier General Motors. Nell´annunciare
a fine aprile l´avvio delle procedure fallimentari per la Chrysler e la
partnership con la Fiat, Obama aveva insistito sulla
necessità di agire in modo efficiente e rapido: anche perché l´interruzione
dell´attività produttiva aveva un costo di 100 milioni di dollari al giorno.
Gli esperti ritenevano che il presidente fosse poco realista. Invece ci sono
voluti solo 42 giorni, non uno di più, per far riemergere il nuovo gruppo Chrysler
dalle ceneri del vecchio. L´ultimo scoglio è stato superato l´altro ieri quando
la Corte suprema ha respinto la richiesta di tre fondi pensione dell´Indiana di
bloccare l´accordo: «Non hanno dimostrato l´esigenza del nostro intervento»,
hanno spiegato i nove giudici. Presieduta da Robert Kidder (che ha preso il
posto di Bob Nardelli), la nuova società è invece già operativa. La maggioranza
del capitale del (55%) è detenuta dal fondo sanitario del Uaw, il sindacato
dell´auto, che però può nominare solo un membro del board. Il governo americano
ha l´8%, quello canadese il 2%. Attraverso una società collegata, la Fiat ha il
20% e tre poltrone nel board: ma la partecipazione è destinata a salire al 35%
non appena saranno raggiunti alcuni obiettivi, mentre per arrivare al 51%, che
è l´obiettivo del gruppo torinese, dovranno prima essere ripagati i miliardi di
aiuti concessi da Washington.
(sezione: Obama)
(
da "Corriere della Sera"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 11/06/2009 - pag: 6 L'intervista La moglie di
Mousavi, candidato anti-Ahmadinejad «Lotto con mio marito per i diritti delle
donne» Zahra vuole essere la prima first lady iraniana DAL NOSTRO INVIATO
TEHERAN La donna che potrebbe diventare la prima first lady iraniana dopo Farah
Diba ha il volto tirato di una 58enne poco truccata, in campagna elettorale da
tre mesi. Gli occhi piccoli, orientali luccicano appena da sotto il chador
nero, ma la voce è pronta, agile, come le sue risposte, capaci di dribblare i
nodi più insidiosi. I fiori rossi del rusarì (il foulard) sono l'unica nota di
colore che si concede. In una sfida tra monumenti del regime teocratico, come
sono queste elezioni presidenziali iraniane, anche quelle roselline devono
essere state soppesate con cura. Saranno troppo audaci per i conservatori?
Troppo mortificanti per i riformisti? La soluzione è nel moderato conformismo
che caratterizza l'offerta elettorale del marito. Eppure Zahra Rahnavard è
stata l'unica donna rettore universitario dell'Iran. È scultrice, saggista, ex
consigliere governativa. È passata dalla minigonna al velo quando, ventenne,
incrociò uno degli ideologi della rivoluzione, il filosofo Ali Shariati. Oggi è
soprattutto la moglie dell'ex premier Mir Hossein Mousavi, ma negli anni 70 era
lei la più famosa tra i due. Mousavi è uscito dopo due decenni dalla naftalina
per diventare il principale rivale del presidente Ahmadinejad. Ed è lei il suo
asso nella manica. Se l'architetto ex premier è riuscito a riaccendere le
speranze del popolo riformista orfano del presidente Khatami, non è per le sue
(evanescenti) promesse o per un carisma che non c'è, ma piuttosto per questa
moglie straordinaria tanto per quel che pensa l'Occidente di una donna col
chador, quanto a confronto con altre figure pubbliche dell'universo musulmano.
«Io e Mousavi abbiamo le stesse idee sui diritti delle donne mette subito in
chiaro . Altrimenti non saremmo andati avanti per 40 anni di matrimonio ».
Indipendente, provocatoria, un ego decisamente solido. Con vanità, racconta
alle simpatizzanti di come ha conosciuto il marito. «Si è innamorato a prima
vista, in una mostra di pittura. Dopo 10 giorni mi ha chiesto di sposarlo».
Dottoressa Rahnavard, lei ha scioccato l'Iran facendo comizi da sola o mano
nella mano con suo marito. «È stata una novità, è vero. Finora le autorità
evitavano di portare le mogli nei viaggi ufficiali, mentre credo sia un fatto
normale sia dal punto di vista religioso che intellettuale. All'estero potrebbero
capirci meglio e le altre coppie iraniane potrebbero avere un esempio di
collaborazione e confidenza familiare ». Dicono che lei sia
la Michelle Obama
dell'Islam. «Non sono Michelle, mi basta essere me stessa. Di certo ho grande
stima di tutte le donne che, nel mondo, riescono ad avere un ruolo attivo nella
società». Di solito, però, nei Paesi islamici alla donna viene chiesto di fare
un passo indietro. «Da 30 anni mi occupo della questione femminile e non
ho mai sentito tanta attenzione al tema come ora. In Iran sono donne più della
metà dei contadini, un terzo degli operai e il 70 per cento degli universitari.
Le donne hanno potenzialità superiori agli uomini in molte attività
scientifiche e sociali. Ciò di cui noi abbiamo bisogno qui in Iran è un'evoluzione
dei diritti civili. Vogliamo eliminare l'attuale status giuridico che impone
alle donne la tutela di un uomo. Le donne devono decidere da sole il proprio
destino». In Occidente il velo è il simbolo della sudditanza femminile. Lei lo
porta. «L'ho scelto assieme alla fede nel fiore della mia gioventù e ne sono
orgogliosa. Nel 1975 pubblicai un libro in America dal titolo L'hijab: il
messaggio della donna musulmana. Il rispetto del velo, dicevo, deve derivare
dal convincimento, non da un'ordine. Non ho mai cambiato idea: sono contraria
alla trasformazione dell'hijab in strumento di oppressione. Credo fermamente
alla libertà di scelta». La legge iraniana però. «Infatti la mia è solo
un'opinione». Durante il governo Ahmadinejad oltre 120 donne sono state
arrestate per le loro opinioni. «Il Corano dice di 'non spiare la vita privata
altrui'. Perché Mousavi dovrebbe temere le donne quando sua moglie è scesa in
campo? Se verrà eletto farà di tutto per rispettare i diritti, eliminare le
discriminazioni, garantire processi giusti e rapidi». Gli ultimi sono stati
anni duri per i diritti civili. Pochi mesi fa, ad esempio, il Parlamento stava
per liberalizzare la poligamia. «Un altro capolavoro del presidente
Ahmadinejad. Ha presentato due disegni di legge per fortuna entrambi bloccati».
Eppure il Corano lo consentirebbe. «Dovremo affrontare il tema rispettando i
precetti religiosi e la dignità della donna libera, musulmana, iraniana».
Possibile? «Certo». Secondo i sondaggi, molte iraniane hanno deciso di votare suo
marito perché hanno fiducia in lei. Immagina un ruolo per sé al governo in caso
di vittoria? «Penso che potrei dare il mio contributo come consigliere
politico. L'ho già fatto durante la presidenza Khatami e potrei rifarlo. Però
nella prossima amministrazione dovranno esserci almeno due o tre ministri donna
(oggi non ce n'è nessuna, ndr) tante ambasciatrici e consiglieri. Chi ha
talenti deve poterli esprimere. Maschio o femmina che sia». In Iran c'è ancora
chi pensa, come alle scorse elezioni, che sia meglio non votare per togliere
legittimità al regime. «Agli astensionisti dico non lasciate il potere a chi
mente, rovina l'economia, umilia il Paese all'estero, offende la Costituzione.
Fate sentire la vostra voce». Lei ha annunciato querela nei confronti del
presidente per aver messo in dubbio le sue credenziali accademiche. Perché
Ahmadinejad l'ha attaccata? «È lui a dover rispondere, a me resta l'amarezza di
un presidente che ha messo in ridicolo la sua carica. Deve chiedere scusa al
popolo iraniano, alla mia famiglia e a me». Andrea Nicastro
anicastro@corriere.it Obama Non sono Michelle, mi
basta essere me stessa. Ho grande stima delle donne che riescono ad avere un
ruolo attivo nella società Tutela Vogliamo eliminare lo status giuridico che
impone alle donne la tutela di un uomo. Dobbiamo poter decidere da sole Impegno
Zahra Rahnavard mostra la foto del marito Mir Hossein Mousavi. La Rahnavard è
rettore dell'Università Alzhara di Teheran (Reuters) Il fan Il «braccio della
propaganda»: un sostenitore del presidente Mahmud Ahmadinejad
(
da "Corriere della Sera"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 11/06/2009 - pag: 8 Svolta nell'auto Fiat
conquista Chrysler negli Usa La Casa Bianca: gruppo sano e competitivo John
Elkann: dal management lavoro incredibile MILANO L'ultimo ostacolo cade quando
qui è da poco passata l'una del mattino. C'è anche il sigillo della Corte
suprema degli Stati Uniti, adesso, sull'operazione Fiat-Chrysler. Sergio
Marchionne, gli uomini del Lingotto e di Auburn Hills, quelli della task force
del Tesoro si preparano a una notte in bianco. Lavoro, non festeggiamenti, ma è
come se lo fossero: il rush finale serve al closing, al trasferimento dei
prestiti concessi da Washington e alla vendita degli asset «buoni» da una
società fallita a una che, dirà più tardi una Casa Bianca «rincuorata », grazie
all'alleanza con Torino «è sulla strada per emergere come costruttore
competitivo e sano». Alle nove del mattino dopo ora americana l'iter è
completato. La «nuova Chrysler» c'è, può partire. Soci il sindacato Usa (55%),
i governi statunitense e canadese (10%), il gruppo italiano (20% subito, 35%
nei prossimi step, 51% in prospettiva). Guida: Fiat. Marchionne si insedia
ufficialmente come ammini-- stratore delegato. Si è scelto un vice (quel Jim
Press che era vicepresidente della «vecchia Chrysler») e una squadra composta
in buona parte dai manager di Auburn Hills, con pochi inserimenti torinesi. Ma
anche il team snello è modellato sul Lingotto. La gestione lo sarà a maggior
ragione. Tempo per i brindisi, ieri, scarso: dipendenti riuniti nella Tech Plaza
alle 14, una Dodge Ram 3500 rossa e una 500 blu sul palco-simbolo
dell'alleanza, brevi discorsi di Marchionne e del neopresidente Robert Kidder.
Poi di nuovo tutti ai loro posti: il lavoro comincia adesso. E adesso comincia
la sfida. Che va al di là degli ovvi, e già impegnativi, obiettivi aziendali:
risanare Chrysler, ripetere quella svolta Fiat cui nessuno credeva, integrare
contemporaneamente i due gruppi per farli giocare da big player «tra i leader
della futura generazione di produttori a livello globale ». Frase che in sé
basta a dare l'idea di quale sia il vero, e persino più ambizioso, traguardo
fissato da Marchionne. Il Lingotto non entra ad Auburn Hills solo per fare
«massa», per avvicinarsi ai 5,5-6 milioni di auto che ora tutti considerano la
soglia minima per non bruciare ricchezza, per proiettarsi già al sesto posto
nel mondo (come il double Ceo, il doppio amministratore delegato, scrive subito
«agli uomini e alle donne della nuova Chrysler»: e chissà che intanto non
pensasse anche agli uomini e alle donne della ancora «vecchia» Opel). Questa è
la cornice, sono i numeri-chiave. Ma né l'una né gli altri sono fini a se
stessi. Arrivarci è una necessità. Lì sta lo spartiacque, nel pianetaauto
affossato da una strutturale sovraccapacità produttiva, tra i costruttori di
massa che prospereranno e chi al massimo potrà vivacchiare. Marchionne, di
vivacchiare, non ha alcuna intenzione. Rischia? Sì. Ma l'immobilismo sarebbe
sconfitta sicura. Difatti ai dipendenti dà la carica: «Non ho dubbi che porteremo
a termine l'impresa». Però avverte anche: «Per riuscirci, c'è bisogno di
dimostrare che l'alleanza funzionerà». E può sembrare presuntuoso quando, nella
nota congiunta che annunc ia il closing , candida Fiat-Chrysler a vette molto,
molto alte: «Lavoreremo a un modello di riferimento per le aziende
automobilistiche che vogliano produrre utili». È che è proprio questa la posta
in palio, questo il famoso spartiacque. L'intesa con Detroit, per la quale John
Elkann parla di «lavoro incredibile fatto da Marchionne e dalla sua squadra »,
nasce così: cercata e voluta «come passo fondamentale per risolvere i problemi
che affliggono l'industria dell'auto». Per carità, non di tutta: «Non risolve
sicuramente» ogni questione, nemmeno in casa Fiat. Ma è comunque «un giorno
molto importante» per l'intero settore, e fondamentale per i due gruppi:
«Partendo dalla cultura di innovazione Chrysler e dalla tecnologia e know-how
Fiat», il numero uno del Lingotto è certo di poterli portare «tra i leader
globali ». Deve ringraziare, per questa prima chance, soprattutto la Casa
Bianca, e infatti puntualmente sottolinea «il pieno sostegno dell'amministrazione del presidente Barack Obama ». Lo aveva convinto con la «tecnologia verde» Fiat, non con il
design italiano. Ora promette: «Costruiremo vetture che i consumatori
vogliono». Ed è lui il primo ad aggiungere: «Sta a noi dimostrare che così
sarà». Raffaella Polato Nel quartier generale della Chrysler Per il saluto ai
dipendenti americani ad Auburn Hills, Sergio Marchionne rinuncia per una
volta al maglione nero e indossa la casacca del gruppo con i marchi Chrysler,
Jeep e Dodge (Reuters/Joe Wilssens) John Elkann
(
da "Corriere della Sera"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 11/06/2009 - pag: 9 Detroit Sarà
amministratore delegato anche della casa americana Marchionne agli operai: vinceremo
la grande sfida Riaprono le fabbriche. Una «500» e una «Dodge» sul palco DAL
NOSTRO INVIATO NEW YORK Il blu di una Fiat 500 e il rosso di una Dodge
preparate sul 'set' dell'incontro coi dipendenti Chrysler per il battesimo
della nuova società riemersa dalla bancarotta. Il blu dell'ottimismo, della
fiducia in una Fiat che si presenta negli Usa come «la Apple dei costruttori
d'auto che ha nella 500 il suo iPod» (un paragone fatto ai tempi del lancio
della vettura proprio da Marchionne), ma anche il rosso di un'emergenza che non
è finita, di una sala operatoria che rimane in piena attività. Sono i colori di
una giornata straordinaria per la storia dell'industria automobilistica Usa
nella quale, ottenuto il via libera dalla Corte Suprema e chiusa a tempo di
record (41 giorni) una procedura di amministrazione fallimentare che era stata
definita la più complessa della storia americana, in poche ore abbiamo
assistito alla firma della cessione delle attività del gruppo di Detroit alla
nuova società partecipata dalla Fiat, all'erogazione da parte del Tesoro dei
6,6 miliardi promessi per farla ripartire e alla riapertura dei battenti di una
compagnia ora chiamata Chrysler Group LLP e guidata dall'amministratore
delegato del gruppo torinese, Sergio Marchionne che ha già scelto i capi di
tutte le sue divisioni aziendali. Ora gli impianti possono essere riattivati:
nei prossimi giorni i 38 mila dipendenti rimasti torneranno al lavoro, la rete
di distribuzione più snella dopo che il tribunale ha approvato la chiusura di
839 concessionarie riaccenderà le luci. Forse è l'inizio di una nuova era del
capitalismo industriale da vivere con le cinture di sicurezza allacciate e
senza farsi troppo condizionare dagli schemi applicati fino a oggi. La
determinazione con la quale la Casa Bianca ha sostenuto l'intesa rappresenta
una novità assoluta. Obama che si
è esposto in prima persona fin dall'inizio, il sostegno finanziario garantito
alla Chrysler anche rischiando una reazione irata dei contribuenti, la
pressione sulle corti perché fosse evitato ogni intoppo di natura giudiziaria,
i tre gradi di giudizio superati (forse anche con qualche forzatura) in poco
più di una settimana, sono tutti elementi di un nuovo modo di procedere
sul quale varrà la pena di ragionare. Ieri Marchionne, celebrando il «nuovo
inizio» nel suo messaggio ai dipendenti Chrysler, ha giustamente puntato
soprattutto a risollevare il morale di chi in pochi anni è passato da una
proprietà industriale americana poco dinamica all'esperienza infelice coi
tedeschi di Daimler, alla disastrosa gestione del gruppo finanziario Cerberus.
Uomo delle «missioni impossibili », Marchionne ha detto ai suoi nuovi
dipendenti: «So che dobbiamo affrontare grandi sfide, ma non ho alcun dubbio:
ce la faremo». Il nuovo leader ha rivendicato il diritto di essere ottimista,
ha evocato il frastuono delle catene di montaggio che si stanno per rimettere
in attività, ha parlato dei nuovi modelli a basso consumo di derivazione Fiat
sui quali i team delle due Case stanno già lavorando da settimane. Marchionne
sa che deve bruciare i tempi. Sa che, eliminati i debiti, ridotti i costi ai
livelli dei concorrenti giapponesi con impianti negli Stati Uniti, ora vanno
fatti miracoli di tecnologia e di marketing per ridare vita a una società che
negli ultimi 6 mesi ha pressochè dimezzato le vendite e che, già prima della
crisi, aveva visto la sua quota del mercato Usa ridursi dal 15 al 10%. Far
tornare i conti sarà una bella impresa, ma sarà difficile anche interpretare
questa nuova stagione del capitalismo nella quale va preso atto pragmaticamente
che il risanamento e il rilancio dei settori manifatturieri colpiti dalla crisi
dipendono ampiamente dalla volontà dei governi. Ma in cui, al tempo stesso,
bisogna evitare che le vecchie multinazionali si trasformino in imprese
'multigovernative'. Su questo nuovo terreno Marchionne rappresenta uno
straordinario 'asset' per l'Italia: entra in scena, conquista la fiducia di Obama, diventa un motivo di speranza per gli americani
proprio in un momento in cui i rapporti tra gli Stati Uniti e il nostro Paese
non sono particarmente brillanti sul terreno economico né su quello politico.
Il top manager italiano è sicuramente consapevole di questa sua responsabilità:
ieri ha dato atto alla Casa Bianca del suo coraggio e della sua lungimiranza,
mentre la sua intesa col Tesoro Usa si fa sempre più solida. Il rientro del
capo di Fiat-Chrysler, oggi in Italia, potrebbe anche preludere a qualche
incontro coi ministri economici del G8, riuniti venerdì e sabato nel nostro
Paese. Ma la sfida di Marchionne è soprattutto quella di pompare
imprenditorialità nella nuova impresa italo-americana. In fondo il primo a
chiederglielo è proprio Obama: un interventista per
necessità (nel consiglio della nuova società ci saranno uomini designati dal
suo esecutivo e anche un rappresentante del governo canadese) consapevole dei
rischi dell'interventismo che si è speso per Chrysler molto più che per GM,
proprio perché qui ha visto in una tecnologia italiana e in un manager capace
di visioni globali la chiave di una possibile riscossa. Massimo Gaggi
(
da "Corriere della Sera"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 11/06/2009 - pag: 21 Washington James von
Brunn gestisce un sito Internet razzista Follia antisemita al Museo
dell'Olocausto Ucciso un agente. L'attentatore ha 89 anni DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE WASHINGTON Non è mai troppo tardi, neppure per l'odio razzista e
antisemita. James von Brunn, 89 anni, inguaribile relitto della supremazia
bianca, è entrato armato di un fucile poco dopo mezzogiorno di ieri al Museo
dell'Olocausto di Washington, sparando e ferendo una guardia giurata, prima di
essere colpito a sua volta. L'attentatore e il poliziotto sono stati portati in
ospedale, entrambi in condizioni critiche: l'agente è morto poco dopo. Nella
sparatoria altri due addetti alla sicurezza hanno riportato ferite piuttosto lievi.
Secondo la polizia e il sindaco della capitale Adrian Fenty, immediatamente
accorso sul posto, von Brunn ha agito da solo. Viene esclusa cioè una matrice
terroristica dell'episodio. L'attentatore, che risiede in Maryland e si
dichiara veterano della Seconda Guerra Mondiale, è noto per aver pubblicato
libri antiebraici e per gestire un sito internet, Holy Western Empire, una
specie di pozzo nero di ogni pulsione antisemita. Collocato sul National Mall,
il cuore politico e istituzionale di Washington, a meno di un chilometro dalla
Casa Bianca, il Museo dell'Olocausto, ospita una delle più grandi raccolte al
mondo di documenti e testimonianze sulla Shoah, lo sterminio di oltre 6 milioni
di ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. In vent'anni è diventato polo di
attrazione per turisti e scuole da ogni parte degli Usa e del mondo. L'attacco
ha mandato in fibrillazione il distretto federale. L'intera area è stata
evacuata e chiusa al traffico. Il museo è stato circondato e chiuso al pubblico
per il resto della giornata. Subito informato dell'avvenimento, il presidente Obama ha detto di essere «preoccupato e rattristato»: «E' un segno che
ci ricorda come si debba sempre vigilare contro i pregiudizi». Secondo una
prima ricostruzione, fatta dal capo della polizia di Washington, Cathy Lanier,
Brunn avrebbe cominciato a sparare appena dentro l'edificio, prima cioè del
controllo di sicurezza ai metal detector, colpendo un agente, prima che
le altre due guardie avessero il tempo di reagire aprendo il fuoco contro di
lui. Confusione e panico hanno segnato i minuti successivi alla sparatoria.
Come sempre, a quell'ora il museo era pieno di gente, soprattutto scolaresche.
Dave Unruh, di Wichita, nel Kansas, ha raccontato di aver udito un primo colpo,
mentre era in attesa nell'atrio d'ingresso, seguito da una successione di altri
quattro o cinque colpi: «Qualcuno ha gridato: a terra! Siamo rimasti alcuni
momenti, poi ci hanno scortato insieme a decine di persone verso l'uscita». Un
altro testimone, una ragazza di 19 anni che ha dato soltanto il suo nome,
Maria, ha detto alla Cnn di aver visto la guardia del museo a terra
sanguinante: «Aveva la faccia rivolta verso terra e il sangue usciva da un
punto della schiena». Anche Trevor Ezelo, 18 anni, parte di una comitiva di
studenti dall'Arizona, ha confermato che i colpi sono stati cinque: «Eravamo
nell'area della mostra sulla propaganda nazista. Non abbiamo pensato che
fossero colpi d'arma da fuoco. Poi abbiamo visto alcuni agenti che correvano e
ci dicevano di metterci al riparo. C'erano signore in lacrime. Altre persone
urlavano. E' stato scioccante». Paolo Valentino Paura Un agente davanti al
museo La ricostruzione L'uomo, armato di fucile, è entrato nell'edificio e ha
aperto il fuoco prima di essere ferito. E' ricoverato in condizioni critiche La
folla A quell'ora il museo era pieno di gente, soprattutto scolaresche. Obama si è detto «preoccupato e rattristato»
(
da "Corriere della Sera"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Economia data: 11/06/2009 - pag: 32 «Herald Tribune» I big
Usa ripuliscono il blasone Gmac, il famigerato buco nero di Gm? È diventato
Ally Bank. Aig, il gruppo che ha bruciato aiuti pubblici per miliardi di dollari provocando lo sdegno persino di Barack Obama? Facile, si cambia la «G» e si
trasforma in A.I.U.. La strategia dei big della finanza anglosassone per uscire
dalla crisi, ha scritto ieri l'Herald Tribune, passa anche per il maquillage di
loghi e nomi «svalutati». La ripulitura, aggiunge il quotidiano, avviene con
l'aiuto dei grandi nomi delle pubbliche relazioni.
(
da "Corriere della Sera"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Economia data: 11/06/2009 - pag: 33 La
decisione di Obama Tetto
allo stipendio per i 100 manager Usa delle aziende salvate dal governo
WASHINGTON Il presidente Obama non fisserà un tetto ai megastipendi e premi dei grandi manager
americani, ma vi porrà due paletti. Gli azionisti forniranno indicazioni su di
essi, sia pure non vincolanti. E gli stipendi e i premi verranno
stabiliti da un Comitato ad hoc indipendente dal Consiglio di amministrazione,
che li baserà sulla oculata gestione dei rischi e sui progressi delle società a
lungo termine. In questo modo, i grandi manager non saranno più incentivati a
esporsi a disastri come quello del 2008. Lo ha dichiarato ieri il ministro del
Tesoro Timothy Geithner, al termine di una riunione con Mary Schapiro, la
presidente della Sec. Obama fisserà invece un tetto
agli stipendi e ai premi dei primi 100 big delle banche e le imprese che
fruiscono del Tarp, il fondo dei prestiti statali. Lo stabilirà un controllore
o «master», il commercialista Kenneth Feinberg, l'uomo che distribuì gli
indennizzi alle famiglie delle vittime delle Torri gemelle nel 2001. I premi
dei cento non potranno superare un terzo del loro stipendio e tra di essi vi
saranno i manager di Citigroup, BofA e Wells Fargo, e di imprese come Gm e
Chrysler. Le decisioni di Obama sono un compromesso
tra liberisti e statalisti. I primi si sono opposti a ogni restrizione agli
stipendi e ai premi d'oro, ammonendo che i migliori se ne sarebbero andati, e i
secondi hanno denunciato scandali come quello Aig, salvata con 180 miliardi di
dollari dello stato, che tentò egualmente di distribuire 165 milioni ai big.
Ennio Caretto
(
da "Corriere della Sera"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Tempo Libero data: 11/06/2009 - pag: 14 Fondazione Mudima
La faccia del potere Alla Fondazione Mudima (via Tadino 26, ore 18.30) si
inaugura una mostra di Gianluigi Colin, artista e art-director del «Corriere
della Sera». Sotto il titolo «Potere di carta» Colin
raccoglie, stropiccia e rielabora una serie di manifesti elettorali (molti
dedicati a Barack Obama) e
pagine di giornale per proporre una riflessione sul ruolo dell'informazione e
la responsabilità sociale della politica. La mostra prosegue fino al 30 giugno.
(
da "Corriere della Sera"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Politica data: 11/06/2009 - pag: 17 Il saggio Il
giornalista autore del libro dal titolo «Separati in patria»: in Italia la
secessione c'è già Floris: Nord e Sud? Ci serve un nuovo Garibaldi MILANO Chi
auspica la secessione d'Italia rimarrà sorpreso. La secessione, almeno da un
punto di vista socioeconomico, esiste già. L'Italia da cartolina, travestita da
stivale, è la somma di tante Italie differenti, che vivono molteplici realtà.
Un Paese, il nostro, spezzato al cuore, che oscilla tra Nord e Sud. Ma che non
ha altra alternativa all'essere un'unica nazione: perché gli italiani, al di là
delle diverse condizioni in cui vivono, sono tutti uguali. Profondamente.
«Siamo davanti a due Paesi diversi se si parla di economia o servizi, non se si
parla di valori, senso civico, radici, cultura. Se si parla di tasca, non se si
parla di anima»: è da qui che parte il libro-inchiesta Separati in patria di
Giovanni Floris, un viaggio nell'Italia di oggi per capirne i problemi e
ipotizzarne il domani. Il quadro che Floris delinea con capillare abbondanza di
dati è quello di una nazione frammentata in tutto, dalla gastronomia alla
sanità, dalla tecnologia alle infrastrutture, dove l'area geografica di
appartenenza determina il destino dei singoli. Una terra che vive di
incongruenze perché l'italiano «ama contraddirsi e tentare di sanare le proprie
insanabili contraddizioni». Un Paese diviso da sempre, che ha saputo però
cementarsi, adottare anche una lingua comune, ma non oltrepassare lo steccato dei
pregiudizi. Da Giacomo Leopardi, che nel 1822 parlava della «frivolezza di
queste bestie» rivolgendosi ai romani, agli insulti al tempo del web, il passo
è breve. E la spaccatura netta. «C'è una linea di frattura tra Nord e Sud a
livello di opportunità che vengono offerte: il nostro è un Paese diseguale »,
spiega l'autore al Corriere. Ad approfittarne è la malavita, che,
paradossalmente, si giova dell'unità del-- l'Italia per far proliferare soldi e
affari. La politica? Indolente e divisa dai campanilismi, ha le sue
responsabilità. Spesso ricorda Floris nel saggio si è «alimentata di un
malinteso» e così «ha condannato il Nord a soffrire e il Sud a deperire»,
incapace di gestire le diversità che ci contraddistinguono. La svolta
federalista? «È difficile prevederne gli effetti», ma «spezzare il legame
solidale all'interno di una nazione significa mettere a rischio la tenuta
complessiva del Paese». Si salva la Costituzione: «La Carta ci dice che
l'Italia è una e indivisibile, ma allo stesso tempo riconosce le autonomie
locali», sottolinea nel saggio la costituzionalista Carla Bassu. Guardare
all'Europa è quasi un miraggio: «Ci domandiamo degli altri? dice Floris
Pensiamo che già in Italia, per buona parte del Paese, c'è un estero dentro
alla nazione»: due mondi distinti, ma uniti da orgoglio e valori. Per uscire
dall'impasse, Floris lancia come spiega al Corriere «tre piccole idee, senza
ridisegnare scenari »: liberalizzazioni, creazione di una scuola politica per
il Sud e lotta alla criminalità con un «codice fiscale» delle opere pubbliche. In Separati in patria auspica una svolta: «Non ci serve un Obama italiano, ci serve un nuovo
Garibaldi. Che sappia rifare l'Italia, ma stavolta per bene». Ma l'identikit
per ora non ha volto: «Il bello di Garibaldi è che non se lo immaginava
nessuno. Sarà una persona capace di dare a tutti gli italiani la possibilità di
farsi un futuro ». Emanuele Buzzi La divisione «C'è una linea di
frattura tra Nord e Sud a livello di opportunità: il nostro è un Paese
diseguale» Il libro S'intitola Separati in patria. Nord contro Sud: perché
l'Italia è sempre più divisa l'ultimo libro del giornalista romano Giovanni
Floris (Rizzoli, pp. 267, e 19)
(
da "Corriere della Sera"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Politica data: 11/06/2009 - pag: 18 La crisi in Sicilia Entro
domani l'incontro con Berlusconi Lombardo non cede Nuova giunta avanti contro
la linea del Pdl Affidate tutte le deleghe. I finiani con lui DAL NOSTRO INVIATO PALERMO Fra Gheddafi e Obama si restringe lo spazio per Raffaele Lombardo, il governatore in attesa
di una convocazione da quando ha azzerato e rifatto la giunta siciliana.
Berlusconi, diviso fra il premier libico e i preparativi per volare verso
Washington, non è ancora riuscito ad occuparsi di questa spina, più pungente
dopo la perdita secca di almeno 600 mila voti nell'isola. Ma non soffre
per abbandono Lombardo, ieri sera a Palermo per distribuire le deleghe ai suoi
assessori e da stamane a Roma: «Mi ha fatto sapere che ci vedremo al massimo
domani, forse prima o dopo qualcosa di ufficiale all'ambasciata libica...». E
ironizza su questa ricerca di spazi nell'agenda internazionale: «Beh, si sa, la
Sicilia è una nazione». Caustico riferimento a un'altra insidia messa in agenda
al Senato, ma ieri saltata con il mancato primo esame del disegno di legge
pensato per sostituire con un voto d'aula all'Assembla il presidente della
Regione eletto direttamente dal popolo. Una riforma costituzionale, visto che
si tratta di rivedere lo Statuto del 1946. Contestata perché ritenuta, anche a
sinistra e a destra, da Anna Finocchiaro e Fabio Granata, una legge «contra
personam». Coltivata da un gruppo di senatori Pdl a Palazzo Madama dove era
stato convocato per le 14 l'ufficio
di presidenza della Commissione Affari istituzionali presieduta da Carlo
Vizzini, uno dei leader col mal di pancia per i provvedimenti di Lombardo
sgraditi a tanti siciliani eccellenti, a cominciare dal presidente del Senato,
Renato Schifani. Ma l'unico a presentarsi puntuale è stato il senatore Giovanni
Pistorio. «C'era andato con le bombe a mano in tasca, ma non se ne è fatto
niente», si compiace Lombardo. «La combriccola avrà capito che con questo atto
intimidatorio ha messo il piede nella..., diciamo in fallo». Ma rintuzza
Vizzini, indispettito: «La macchina non si ferma. Partenza solo rinviata alla
prossima settimana». Il fermento è però fuori discussione. Anche a Montecitorio
dove, pur con tutte le cautele istituzionali, ottengono il via libera per
Lombardo da Gianfranco Fini due «finiani» di ferro, Fabio Granata e Renato
Scalia, entrati con un assessore nella giunta nata alla vigilia del voto. Una
scelta che pesa, anche se a Palermo scatta il sindaco Cammarata, vicino a
Schifani: «Regione lontana dalla città». Loro quella norma la farebbero passare
subito. Ma la considera «un colpo di mano» perfino Leoluca Orlando, pur
durissimo: «Parte la campagna per liberare la Sicilia dal governo Lombardo e
Palermo da Cammarata ». È il gioco di fuoco incrociato nel quale l'Udc cerca da
giorni di trascinare la Confindustria insistendo su un presunto asse con Beppe
Lumia (Ds) e Lombardo per la nomina ad assessore all'Industria di Marco
Venturi, uno degli imprenditori coraggio. E spazientito Ivan Lo Bello corregge
le distorte interpretazioni, «sorpresi dalle sterili polemiche su fantasiose
appartenenze politiche», ribandendo che si tratta di «una scelta individuale»,
pur «senza dimenticare minacce e impegno nella lotta contro la mafia». Un
invito a guardare «il merito delle scelte, come non mancheremo di fare noi se
non saranno in sintonia con modernizzazione e legalità...». Un modo per
spronare il governo a essere effettivamente operativo, come annunciava ieri
sera Lombardo, distribuendo tutte le deleghe, anche quelle dei tre assessorati
vacanti. Felice Cavallaro La squadra La giunta del governatore Raffaele
Lombardo presentata il 29 maggio scorso a Palazzo d'Orléans (Ansa/Lannino) La
difesa del Pd Anche la Finocchiaro critica il progetto del Pdl al Senato:
inaccettabile, è contra personam
(
da "Stampaweb, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
NEW
YORK Dal rischio del simulato affogamento ai giochi acquatici sulle spiagge doro di Palau. Attenti a non viziarli troppo, i detenuti che entro gennaio 2010 devono lasciare, sfrattati da Obama, le stanzette di Guantanamo con
aria condizionata. I primi a essere liberati, i 17 cinesi musulmani della etnia
degli uiguri, finiranno infatti nel paradisiaco arcipelago della Micronesia,
nove isole abitate su 250, 750 kilometri a Est delle Filippine. Gli
Stati Uniti faranno un prestito di lungo termine da 200 milioni di dollari per
aiutare lo sviluppo della minuscola nazione, che conta 20 mila abitanti: in
pratica, 10 mila dollari a residente. «E
un grande giorno per Palau e un grande giorno per i diritti umani», ha
detto Stuart Beck, avvocato di New York sposato a una palauana, Tulik, con cui
ha quattro figli, e ambasciatore di Palau presso lOnu dal 2004 (a un dollaro allanno). Dagli Anni
70 Beck rappresenta gli interessi dellarcipelago, diventato indipendente nel
1994 da protettorato Usa che era. «La trattativa per i cinesi si è svolta a
livelli di capi di Stato - ha raccontato -. Obama ha
chiamato il collega Toribiong, che si è detto onorato e orgoglioso di compiere
un gesto umanitario. Ora alcuni incaricati di Palau andranno a Cuba per capire
che qualità e capacità lavorative abbiano i 17, e per organizzare il loro
inserimento. Vanno in un paradiso dellaccoglienza:
dal primo vascello inglese che vi capitò nel 1783, quelle isolette hanno sempre
accolto
bene i rifugiati. Palau è amica di tutti». Amica soprattutto dellAmerica. E adesso sarà forse presa più sul serio,
mentre quando fu inserita da Bush nella «coalizione dei volontari» per la
guerra in Iraq veniva citata come Stato-barzelletta. Non ha forze armate, per laccordo firmato allatto dellindipendenza
quando cera Clinton, ma i suoi cittadini possono arruolarsi
nellesercito americano, e lo hanno sempre fatto. «Più di cento sono ora
nei battaglioni in missione di guerra, e uno è morto in Afghanistan la
settimana scorsa», ha detto Beck. Anche sul piano diplomatico la fedeltà di
Palau è a prova di bomba: allassemblea
generale delle Nazioni Unite, su tutte le questioni, il suo voto è in linea con
quello degli Stati Uniti a un tasso quasi totalitario, che
rivaleggia solo con quello di Israele. Lunico
Paese che finora aveva detto di volere gli uiguri era la Cina, ma gli Usa
lhanno sempre escluso nel timore che, essendo dissidenti islamici,
potessero essere processati e magari condannati a morte e uccisi. Non è
ancora certo che tutti i 17 cinesi finiranno a Palau: le alternative, per gli
eventuali esclusi da questa vincita alla lotteria, sono lAustralia e la Germania, dove già vivono piccole
comunità di uiguri. Almeno una ventina di gatti sono stati trovati mutilati
e uccisi nellarco dellultimo mese
nella contea Miami Dade della Florida. Ad alcuni è stato strappato
completamente il pelo, mentre altri presentavano diverse ferite da taglio.
«Sono terrorizzata, al punto che ovunque vada temo di trovare gatti morti sul
ciglio della strada», ha detto Mary Lou Shad, residente dellarea e proprietaria di un gatto che fa parte della
lista delle vittime. La paura è tale che molti proprietari di gatti hanno
deciso di non far uscire di casa i propri animali.
(
da "Stampaweb, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
WASHINGTON
La lente di Obama sul mega piano di Google di
trasferire milioni di libri online. Il Dipartimento di Giustizia Usa infatti ha
inviato una nota formale al colosso di ricerca Internet informandolo che lAntitrust stanno investigando sulla possibilità che
laccordo fatto con i vari editori non violi le leggi sul
copyright. Lo ha confermato il legale di Google, David Drummond. Una nota
informativa sullinchiesta e stata inviata
ancher a Lagarderès Hachette Book Group. Nellaccordo firmato lo scorso
ottobre tra Google e lassociazione degli editori americani il motore
di ricerca si era impegnato a versare 125 milioni di dollari per creare un
registro degli autori che permetta loro di venir pagati quando i loro libri
finiscono online. Lamministrazione Usa ora
vuole far luce sullaccordo. + Aumenta il successo dell'eBook
+ Ebook, print on demand e il futuro dei libri ANNA MASERA + Ue, diritti
d'autore: Google Books nel mirino dei 27 + Google scaccia i dubbi sui legami
con Apple + Google Book Search, slitta la data per aderire
(
da "Stampaweb, La"
del 11-06-2009)
Argomenti: Obama
NEW
YORK Nel bel mezzo della crisi economica che preoccupa tutti il mondo, gli Stati
Uniti sono alle prese con una spirale ancora in discesa, in cui la gente perde
il posto, spende meno, i negozi hanno meno clienti e ci sono di nuovo
licenziamenti. Mentre il presidente Obama lavora a piani di ripresa, anche
dal mondo informatico arrivano esempi di solidarietà verso chi vive con
particolare disagio questa fase economica. Microsoft ha, infatti, deciso di
lanciare una campagna, in collaborazione con Feeding America, per fornire pasti
gratuiti alle famiglie in difficoltà. E' un impegno concreto quello di
"Browser for the Better", grazie al quale, per ogni copia del nuovo
browser Internet Explorer 8, verrà donata una cifra per assistere i meno
abbienti. Il progetto, già operativo, dovrebbe proseguire fino al prossimo 8
agosto. + Adobe mette browser e sistemi operativi a confronto + Il browser
Opera 10 è pronto per i test + Il sito della campagna "Browser for the
Better" + «Microsoft and Feeding America Join Forces to Fight Hunger» sul
sito di Microsoft
(
da "Stampa, La"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Retroscena
TREMONTI A PALAZZO CHIGI? FABIO MARTINI L'ex premier ha fatto capire che il
ministro dell'Economia potrebbe guidare l'operazione ROMA A Massimo D'Alema di
solito piace così. Finito il comizio in piazza, andare a cena con un ristretto
gruppo di compagni fidati è una di quelle abitudini alle quali l'ex premier non
rinuncia mai e non lo ha fatto neppure nel rush finale di questa campagna
elettorale: sono occasioni per chiacchierare in santa pace, tanto è vero che
nei giorni scorsi - in Puglia, in due diverse circostanze - l'ex presidente del
Consiglio ha confidato a tavola uno scenario che ha intrigato assai i compagni
seduti al suo fianco. A chi gli chiedeva, Massimo dove andremo a finire, lui ha
risposto così: «Vedete, in Italia c'è un profondo malessere sociale ed
economico destinato purtroppo ad aggravarsi nei prossimi mesi. Berlusconi è
ancora in piedi ma indebolito. Potrebbe non farcela. E a quel punto, per
provare ad uscire per davvero dalla crisi, potrebbe servire un grande sforzo
nazionale e anche il Pd potrebbe essere chiamato a dare una mano, a sostenere
un governo di unità nazionale». Certo, si tratta di riflessioni informali, non
di un disegno al quale D'Alema si stia attivamente dedicando. Ma i commensali
hanno colto subito la grande novità contenuta nelle parole del loro capo: in un
Paese a cultura consociativa (ma anche complottarda), parlare e sentire parlare
di "governissimo" è qualcosa che ha sempre un sapore vagamente osé.
Nelle sue riflessioni ad uso privato, Massimo D'Alema ha dispiegato
argomentazioni di largo respiro prima di arrivare all'approdo: «La gestione
della crisi da parte del governo italiano è stata finora molto deludente. Lo vedete Obama? Mentre lì, la risposta è stata accompagnata da una radicale
svolta politico-culturale, col ritorno in campo della politica, qui da noi ha
prevalso la paura. E purtroppo gli effetti negativi della crisi finanziaria non
si sono scaricati ancora sull'economia reale...». Un autunno freddo per
l'Italia, destinato a diventare gelido e la previsione di D'Alema è che «il
centrodestra da solo potrebbe non farcela», perché «Berlusconi non è finito, ma
è indebolito». Si rischiano elezioni anticipate? Per D'Alema quello scenario
non c'è, «la legislatura durerà fino al 2013», ma per risollevarsi da una crisi
sempre più pesante, potrebbe servire un esecutivo dalle spalle larghe, un
governo di unità nazionale. Un governo politico inevitabilmente affidato alla
guida di un esponente del centrodestra, dentro il quale potrebbe essere
chiamato a partecipare anche il Partito democratico. Sui possibili
interlocutori di un'operazione di questo tipo, D'Alema è stato meno
circoscritto, anche se ha avuto parole di apprezzamento per Giulio Tremonti,
ipotetico premier, ma anche per Gianfranco Fini. Con Tremonti, D'Alema coltiva
da tempo un rapporto bivalente ma tendente al bello. Ai frequenti e
fiammeggianti match televisivi fa da contrappunto un rapporto personale di
reciproca stima. I due si studiano da anni e dopo aver preso le misure, hanno
cominciato a farsi le "fusa" anche in sedi pubbliche. Nel maggio del
2008, subito dopo la vittoria elettorale di Berlusconi, durante un dibattito a
due organizzato da Lottomatica, Tremonti arrivò in ritardo e nonostante
l'"affronto" subito, D'Alema lo gratificò: «Uno dei più bravi e
brillanti ministri d'Europa...». E due mesi dopo, durante il dibattito sulla
manovra economica, Tremonti contraccambiò, definendo il discorso di D'Alema in
aula «un intervento da statista». E qualche giorno fa, al direttore della
"Gazzetta del Mezzogiorno" Giuseppe De Tomaso che gli chiedeva come
mai da sinistra Tremonti ricevesse giudizi positivi e diversi rispetto agli
altri leader del centrodestra, D'Alema ha testualmente risposto: «Sì, bisogna
dare giudizi diversi». E D'Alema cosa farà da "grande"? I giornali,
un giorno lo tirano da una parte («Punta tutto su Bersani candidato»), un
giorno dall'altra («E' tentato di candidarsi in prima persona») e lui, parlando
a RedTv, sostiene che la sfida "non è ancora aperta", che per ora
sostiene Pierluigi Bersani e, per quanto lo riguarda, si dice "disponibile
a fare quello che il Pd mi chiederà". D'Alema confina la sua candidatura
alla guida del partito ad una "extrema ratio", anche perché nel Pd
finora "non mi hanno mai chiesto di fare nulla", dopo che per mesi
"sembravo un isolato rompiscatole". Refrattario come sempre a imprese
velleitarie, D'Alema capisce la difficoltà di una sua candidatura in un Pd che
non è crollato, anche se è un'ipotesi che non esclude in modo definitivo.
(
da "Stampa, La"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
OVADA.LETTERA ALLA CASA BIANCA Il cane Boh di Striscia scrive al Bo di Obama «Hello my fellow dog friend, Bo!»
(Ciao Bo, amico e fratello cane): comincia così, rigorosamente in inglese e su
carta intestata, la lettera di Boh, il San Bernardo femmina, spalla di Michelle
Hunziker a Striscia la notizia, al suo omonimo d'oltreoceano, quel «cao de
agua» portoghese che scorazza alla Casa Bianca. Il Bo a stelle e strisce
è il cane del presidente Obama. Vista la somiglianza
del nome (quello di Striscia ha solo un «h» in più, ma il suono è il medesimo)
i padroni Spartia e Maurizio Pagliarini, di Masone ma legati ad Ovada, hanno
deciso di stabilire un contatto epistolare tra la loro San Bernardo e il «cao
de agua» più famoso del mondo. Così ieri mattina Boh è arrivata alle Poste di
Ovada ed ha imbucato la lettera, naturalmente firmata: «C'è una zampata enorme
sul foglio, dopo i saluti» dice Maurizio. Una trovata con un retroscena
sociale: «Faccio una vita di divertimento - spiega Boh nella sua lettera -,
Spartia e Maurizio sono responsabili dell'associazione italiana Pet Therapy ed
io aiuto i piccoli umani a socializzare. A volte un po' del mio pelo rimane
nelle manine dei cuccioli di uomo però non fa niente perché loro imparano ad
amare e a relazionarsi con il mondo». Boh, da circa un anno, lavora coi bambini
autistici. E poi la proposta: «Parlami del tuo padrone che a quanto pare vuole
cambiare il mondo, speriamo che ci riesca. Se gli umani imparassero da noi... A
proposito: perché non inventiamo un G8 dei cani? Intanto teniamoci in contatto,
un abbraccio a quattro zampe e...Yes we can...».
(
da "Stampa, La"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Quattrocento
guerrieri per mettere in rotta i taleban in 36 mesi. È questa la scommessa del
generale Stanley McChrystal che, fresco di conferma da parte del Senato di
Washington nelle vesti di nuovo comandante delle truppe in Afghanistan, è in
partenza per «due tappe in Europa» con destinazione finale
Kabul al fine di porre le basi per realizzare la nuova strategia del presidente
Obama. Ciò che più conta
per McChrystal sono gli uomini e le donne del proprio team e il capo del
Pentagono Robert Gates gli ha dato un'autorizzazione senza precedenti: può
reclutare e portare con sé i 400 migliori ufficiali e soldati presenti nei
ranghi delle intere forze armate degli Stati Uniti. Il capo degli Stati
Maggiori Congiunti, Mike Mullen, non ha sollevato obiezioni e dunque McChrystal
ha iniziato a confezionare la propria task force, destinata diventare
l'ossatura di un contingente che in settembre toccherà i 70 mila uomini. Le
indiscrezioni trapelate sul New York Times lasciano intendere che gran parte
dei 400 guerrieri verranno dalle forze speciali - Delta Force, Navy Seals e
Berretti Verdi - sommando conoscenza delle lingue di Afghanistan e Pakistan,
agilità nell'uso delle più moderne tecnologie e una pronunciata tendenza ad
affrontare il combattimento nelle condizioni più impervie. Non è difficile
indovinare che alcuni di loro sono quegli «Horse Soldiers» - soldati a cavallo
- che Doug Stanton racconta nel suo ultimo libro ricostruendo le gesta dei
militari che nell'autunno 2001 affiancarono l'Alleanza del Nord nell'offensiva
che portò al rovesciamento del regime dei taleban. Fu proprio grazie ad una
task force che McChrystal riuscì in Iraq a catturare Saddam Hussein e a
eliminare Abu Musab Al Zarqawi, leader locale di Al Qaeda, ma mai prima d'ora
l'esercito americano aveva consentito a un suo generale di riunire ai propri
ordini una tale capacità di fuoco e intelligenza militare. Proprio come avviene
nei reparti delle forze speciali, i nomi dei 400 guerrieri saranno per la
maggior parte top secret e verranno divisi in gruppi per assicurare una
rotazione per avere sempre il massimo delle potenzialità durante un periodo
complessivo di 36 mesi: tanto infatti durerà l'offensiva che McChrystal
condurrà per fare terra bruciata nello scacchiere afghano-pakistano puntando a
colpire le zone franche a cavallo della frontiera, i finanziamenti attraverso
il traffico della droga, le forniture di armi e soprattutto a indebolire il
sostegno delle popolazioni locali offrendo ai civili dell'Afpak «maggiore
protezione di quella che gli potrà mai venire dal nemico» come recitano i
manuali di controguerriglia di West Point applicati con successo dal generale
David Petraeus nel nord dell'Iraq. Ad avvalorare le voci sulla super-task force
ci sono le identità degli ufficiali che saranno a più stretto contatto con
McChrystal: David Rodriguez, generale a tre stelle veterano di Iraq e
Afghanistan, che conosce da oltre 30 anni, e Michael Flynn, un generale
proveniente dall'intelligence che guiderà la war room di Kabul mentre
l'interfaccia a Washington sarà Scott Miller, una leggenda per gli uomini delle
«Special Operations», al comando della «cellula Afpak» che potrà contare a
pieno tempo sul «National Military Command Center» situato nei sotterranei del
Pentagono e, durante gli anni di George W. Bush, dedicato soprattutto a seguire
le operazioni in Iraq. In cambio della carta bianca nella selezione degli
uomini Gates ha chiesto a McChrystal di consegnare un primo rapporto «entro 60
giorni» per far sapere alla Casa Bianca come è la situazione sul terreno e
quali sono le «opzioni possibili» per incalzare tanto i taleban che quanto
resta della leadership di Al Qaeda.
(
da "Repubblica, La"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
1 - Prima Pagina Il partito dei pirati online alla conquista di Strasburgo
STOCCOLMA «Dai, pensaci bene che è facile. Anzi, certe volte mi domando perché
nessuno ci sia arrivato prima di noi». Seduto in un divanetto bianco al cafè di
Sodermalm, l´ex quartiere operaio ora crogiolo di negozi di design, boutique
vintage e ristoranti vegetariani, Christian Engstrom ripete la sua domanda e
intanto si racconta con aria beata a una tv romena, poi a una radio finlandese,
e così per tutta la mattina. Come un bravo maestro al termine di una lezione,
ripete il quesito con tono divertito e ci aggiunge anche la risposta. «Cos´è la
cosa alla quale nessun giovane, mai, rinuncerebbe? Facile: il computer e
Internet. Senza, i ragazzi si sentirebbero persi». Bastava pensarci, dice
portandosi l´indice alla tempia destra. Qualcuno infine lo ha fatto. Magari non
sarà una gran trovata, ma il copyright, anche se lui questa parola proprio la
odia, ormai è suo. Il partito di Internet adesso esiste. E
non solo come gruppo politico che si organizza, comunica e raccoglie fondi
online («Roba superata, Obama è già storia»). No, proprio un partito vero, con sezioni,
programmi e tesorieri. ALLE PAGINE
39, 40 E 41 CON UN ARTICOLO DI JAIME D´ALESSANDRO
(
da "Repubblica, La"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
25 - Economia "QUANDO CI DICEVANO FATE AUTO SCADENTI" SERGIO
MARCHIONNE* Agli uomini e alle donne della nuova Chrysler. Oggi è il giorno di
un nuovo inizio per Chrysler e per l´industria dell´auto del Nord America... è
con grande orgoglio che vi saluto come nuovo amministratore delegato... Sebbene
di fronte a noi ci siano molte sfide da vincere, non ho alcun dubbio che faremo
bene il nostro lavoro. Chrysler tornerà, forte e competitiva... Siete passati
attraverso momenti di grande avversità e instabilità nel passato recente e io
voglio iniziare riconoscendo il vostro impegno per Chrysler e prendendo atto
dei molti sacrifici che avete fatto. Grazie al vostro impegno, e al duro lavoro
di una folta schiera di persone, incluso il presidente Obama e la sua task force
sull´automobile, Chrysler è ora una società più concentrata e agile, che
beneficerà in grande misura della nuova alleanza strategica globale con Fiat...
Per queste ragioni, oggi è un giorno di ottimismo. I veicoli Chrysler, Jeep e
Dodge torneranno a essere sfornate dai nostri impianti, torneranno negli
showroom dei nostri concessionari presto anche sulle strade e autostrade
d´America... Nel corso dei prossimi mesi avrà inizio il processo di
trasferimento della tecnologia Fiat, piattaforme e motori per le piccole e
medie vetture negli impianti di produzione di Chrysler. Questa pluripremiata
tecnologia sarà fondamentale per aiutare la Chrysler a migliorare i prodotti e
a fornire alla società un vantaggio strategico in molti mercati di tutto il
mondo... Chiedo a tutti voi di assumere un ruolo di leadership e di lavorare
con me per far tornare Chrysler ad essere ancora una volta una società
pienamente competitiva e in grado di generare utili... Cinque anni fa, ho messo
piede in una situazione simile in Fiat. Era percepita da molti come un
costruttore di auto letargico e sulla via del fallimento che produceva auto di
bassa qualità e che era afflitto da una burocrazia senza fine. Ma la maggior
parte delle persone in grado di ricostruire la Fiat erano lì da sempre.
Attraverso un duro lavoro e scelte difficili, abbiamo trasformato la Fiat in
una società che produce utile e che produce alcune delle più famose, affidabili
ed ecologiche auto del mondo. Abbiamo creato una società molto più efficiente
investendo pesantemente sulle nostre tecnologie e piattaforme... Possiamo
ottenere e otterremo lo stesso risultato qui. Le persone che se ne faranno
carico lavorano già qui alla Chrysler. Abbiamo pianificato di portare quella
stessa pulsione e impegno nell´innovazione a Chrysler perché vogliamo renderla
di nuovo una delle forze trainanti della nostra industria. Sono sicuro che
possiamo arrivare lì insieme. Grazie per il vostro impegno in Chrysler. *
lettera dell´ad di Fiat ai dipendenti Chrysler del 10 giugno
(
da "Repubblica, La"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 37 - Commenti SE OBAMA SALUTA IN ARABO TAHAR BEN
JELLOUN Poco prima di rendere l´anima, il Profeta Maometto raccomandò ai suoi
compagni di salutare chiunque incontrassero sul loro cammino con le parole
«assalam allikum» (letteralmente: la pace sia con voi): un saluto che è una
premessa al paradiso. Nel frattempo quest´espressione è
diventata banale: la pronunciano tutti i musulmani per darsi il buongiorno o la
buonasera. Da qualche anno, molti credenti non rispondono più al telefono col
consueto «pronto» o «hallo», ma con la formula «assalam allikum», segno e
simbolo dell´identità musulmana. Ora, da quando lo ha pronunciato il presidente
Obama, questo augurio è diventato di moda. Quasi tutti
gli oratori che hanno preso parte alla conferenza internazionale «Muslim
Voices» (Voci musulmane) svoltasi a New York dal 6 all´8 giugno, hanno esordito
con il saluto musulmano: e se qualcuno ha riso, altri si sono commossi.
All´inaugurazione, il sindaco di New York Bloomberg e quello di Brooklyn si
sono mostrati fieri di ripetere questa formula, suscitando gli applausi della
sala. Non si era mai visto nulla del genere in questa parte dell´America,
profondamente segnata dalla tragedia dell´11 settembre. L´equazione islam =
terrorismo sta scomparendo. I sette milioni di cittadini americani di
confessione musulmana si sentono riconosciuti, e sono grati a Obama di aver ridato loro la dignità, dichiarando che
«l´islam fa parte dell´identità americana»: in queste sue parole hanno
ritrovato le ragioni per sperare e dimenticare l´era di Bush. è bastata una
formula, e soprattutto un discorso ben preparato perché l´America, o quantomeno
buona parte della sua popolazione, incominci a guardare ai musulmani con un po´
di simpatia, o se non altro senza pregiudizi. Obama sa
giocare con intelligenza sui simboli, e questa sua forza è un´arma politica che
forse non fa miracoli, ma che ha certamente introdotto notevoli cambiamenti
nella società americana. Il convegno «Muslim Voices» ha coinciso con un momento
storico: quello del discorso pronunciato da Obama
all´università del Cairo, rivolto al mondo musulmano. Il dibattito si è
imperniato su una domanda fondamentale: come gettare un ponte tra gli Stati
Uniti e il mondo musulmano? Il tema generale e lo slogan della Conferenza, cui
hanno partecipato quaranta personalità americane, asiatiche, arabe, iraniane,
pachistane, indiane, europee, è stato: «Bridging the Divide between the United
States and the Muslim World» (Un ponte per superare le divisioni tra gli Stati
Uniti e il mondo musulmano). Si è incominciato da una ricerca di definizioni.
Che vuol dire artista musulmano? Cosa accomuna uno scrittore arabo, un cantante
senegalese, un drammaturgo kuwaitiano, un ricercatore orientalista? L´islam non
è solo una religione, è anche una cultura, una civiltà. Il suo travisamento da
parte di voci estremiste e fanatiche è un atto anti-musulmano. I pensatori
franco-egiziani che si firmano col nome di Mahmoud Hussein hanno dimostrato che
l´interpretazione letterale del Corano è un tradimento del messaggio divino. Il
loro saggio dal titolo «Pensare il Corano» è un sasso nello stagno del pensiero
sclerotico di un islam fossilizzato. è necessario riabilitare il rapporto col
diverso. Gli americani del Dipartimento di Stato presenti a quella conferenza
hanno detto e ripetuto: dobbiamo attenuare le tensioni esistenti e conoscerci a
vicenda. Uno dei tre organizzatori, lo scrittore tunisino Mustapha Tlili, ha
promesso di trasmettere la conclusioni di quelle due giornate di riflessione
alle ambasciate, al Dipartimento di Stato e ovviamente allo stesso presidente Obama. Il momento è cruciale, anche perché in tutti noi c´è
la paura che una qualche disgrazia impedisca a quest´uomo eccezionale di
portare fino in fondo la sua audacia. Alcuni oratori hanno fatto riferimento
alla coraggiosa politica degli Stati Uniti in Medio Oriente, mettendo in
guardia il mondo dall´atteggiamento di Israele, che rifiuta sistematicamente di
negoziare una pace giusta e durevole. Si sta delineando una nuova America. Un
membro del Dipartimento di Stato si è scusato con un invitato arabo che aveva
incontrato qualche difficoltà per ottenere il visto d´ingresso negli Stati
Uniti. Il pubblico ha accolto trionfalmente un gruppo di cantanti sufi (mistici
musulmani) e il senegalese Youssou Ndour, che ha infiammato la sala con le sue
canzoni e musiche africane. Traduzione di Elisabetta Horvat
(
da "Repubblica, La"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
IX - Firenze Stelle rock vecchie e nuove e la Woodstock all´italiana FULVIO
PALOSCIA Riuscirà The Niro alias David Combusti, cantautore romano
lanciatissimo all´estero e gran rivelazione del rock italiano, a rievocare le
emozioni provocate dalla voce graffiata di Janis Joplin in Summertime? Ce la
farà lo stralunato Bugo a trascinare nei nostri giorni l´immortale fiamma
hendrixiana di Fire? Forse, più che il risultato, conterà la memoria.
Ricordarci che, quarant´anni fa, un´onda tellurica di rock, rabbia e sogni si
propagava da Woodstock al resto del mondo. La seconda edizione livornese di
Italia Wave ci proverà. E dedicherà tutta la giornata del 16 luglio all´evento
che i festival rock del mondo intero considerano come un padre putativo. Con
l´aiuto della stampa specializzata e del pubblico che, attraverso il sito web e
Repubblica XL, ha ingaggiato un gioco: a chi rifareste interpretare alcuni dei
classici di Woodstock? Tantissime le risposte, alla fine l´hanno spuntata oltre
a The Niro e Bugo, Marina Rei con Piece Of My Heart sempre della Joplin, i
Beautiful (ovvero Marlene Kuntz più il gran mago elettronico Howie B) con
Somebody To Love dei Jefferson Airplane, Caparezza che con Bugo e gli
Afterhours affronterà My Generation degli Who; chiusura con Manuel Agnelli
& c. in Judy Blue Eyes di Crosby, Stills, Nash & Young. Tutti in
concerto la sera del 16 allo stadio Picchi, ingresso libero. Su Woodstock anche
incontri e conferenze. La più attesa: quella di Michael Lang, organizzatore del
mitico evento che, intervistato da Riccardo Bertoncelli, ne svelerà il dietro
le quinte (19/7); il 16, Enrico Mentana parlerà con Walter Veltroni sulle
speranze dell´America da Luther King a Obama, il 17 arriverà il fumettista
Gilbert Shelton, inventore dei Freak Brothers, autentico guru della
controcultura americana mentre il 18 Gino Castaldo presenterà Il tempo di
Woodstock, scritto con Ernesto Assante. Confermato il cast degli headliner allo
stadio, il main stage, che vedrà il ritorno di Placebo (17/7, 22 euro);
il 18 (25 euro) i teutonici Kraftwerk, autentica leggenda della musica
elettronica, condivideranno il palco con un pioniere del genere, Aphex Twin col
suo dj set, i dj Ralf e Marco Passarani, dieci anni fa vincitore del concorso
per dj dell´allora Arezzo Wave, oggi tra i nomi di punta del clubbing italiano;
il 19 (22 euro) toccherà a Bandabardò e all´antagonismo politico degli spagnoli
Ska-P tra ska e reggae (abbonamento 60 euro, prevendite già in corso su
www.greenticket.it). Sullo psychostage (Rotonda dell´Ardenza, gratis), le
novità più importanti del rock italiano: i Proiettili Buoni nati dalla
collaborazione tra Marco Parente e Paolo Benvegnù, la poeticissima rabbia
adolescenziale delle Luci della centrale elettrica (16), il blues di Samuel
Katarro, la visionarietà di Beatrice Antolini (17) e ancora Julie´s Haircut,
Mariposa (18) e il 19 Tonino Carotone. Fioccano grandi nomi a Elettrowave, la
sezione dedicata alla dance elettronica, il 17 al Palalivorno: la diva house
Ellen Allien, la techno di Shinedoe e Marcel Dettmann, il sound rarefatto di
John Hopkins salutato come il nuovo Brian Eno. E ancora teatro con Kinkaleri e
Giorgio Rossi, sport con street soccer, street basker, parkour. E un incontro,
il 18 alla Fortezza Vecchia, con Pietro Mennea. Info 0575/401722,
www.italiawave.com
(
da "Repubblica, La"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
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V - Bari Il presidente della Regione Puglia e fondatore di Sinistra e libertà
dopo l´affermazione alle elezioni europee Vendola suona la carica per Emiliano
"E ora Adriana vada fino in fondo" Voglio dialogare apertamente con
l´Udc ma senza mettere il carro davanti ai buoi Non penso a un rimpasto, ma con
i dipietristi serve prima un confronto sui programmi LELLO PARISE Dice innanzi
tutto che il ballottaggio a Bari «dovrà concludersi bene per Emiliano: il
sindaco della rinascita delle periferie, della legalità». D´accordo,
governatore Nichi Vendola. Ma proprio dopo il secondo turno elettorale, ci sarà
oppure no il rimpasto della giunta regionale? «Sono quattro anni che si parla
di rimpasto». Suona come un no. «Io vorrei discutere prima di programmi e poi
di organigrammi». L´Italia dei valori insiste per entrare nell´esecutivo. «A me
interessa recuperare un dialogo con l´Idv, a tutti i livelli». Ma? «Vorrei che
le parole non fossero usate per ferire le persone. Come ha fatto l´Idv nei miei
riguardi, fino alla fine di questa campagna elettorale». Già, la campagna
elettorale. Il suo movimento - Sinistra e libertà - alle europee in Puglia
taglia un traguardo ambizioso: quello del 7 per cento. «Abbiamo contribuito a
fermare l´avanzata della destra. Credo che sia stato un risultato utile per
tutto il centrosinistra». E´ utile anche per il rivoluzionario gentile: nessuno
a quanto pare potrà esorcizzare la sua ricandidatura alla guida della
coalizione progressista in vista delle regionali 2010. «Questo a me non importa.
Il punto è un altro: dal 2005 ad oggi, abbiamo aiutato la Puglia a crescere? Se
è accaduto questo, la riconferma del sottoscritto sarà nelle cose: quelle
fatte, non immaginate». Sulla base dei dati delle europee, Pdl e Lega Nord
hanno da queste parti il 43,5 per cento dei consensi; il centrosinistra non
supera il 40,8, ma se dovesse allearsi con l´Udc la percentuale s´impennerebbe
al 49,9. Un accordo col partito di Casini è inevitabile? «Non sono entusiasta
della politica intesa come una battaglia navale. Il problema non è, e non sarà,
vincere o perdere. Vorrei piuttosto, radunare quella che non deve essere
un´armata Brancaleone. Ma una squadra che abbia una cifra politico-culturale
forte. Come nel 2005, appunto». All´epoca l´Udc non appoggiava Nichita il
Rosso. «Io con l´Udc voglio confrontarmi apertamente sul futuro di questa
regione, teatro di una delle più robuste strategie anticrisi con sostegni alle
imprese e alle famiglie. Né d´altra parte sono abituato a lanciare anatemi
contro questa o quella forza politica. Preferisco ascoltare». Quindi pure
Casini & C. potrebbero essere della partita? «Non mettiamo il carro davanti
ai buoi». E Adriana Poli Bortone, di Io Sud? «La prima mossa tocca a lei. Siamo
alla prova del nove: quella della Poli Bortone è stata una genuina tessitura
politica e sociale con l´obiettivo di uscire dalla destra o ha orchestrato una
manovra buona per guadagnare un potere maggiore nell´ambito della destra
stessa?». Il Pd nel frattempo corteggia Vendola: «E´ il
nostro Obama». «La questione
non è dove finisco io. C´è la necessità di organizzare un´iniziativa larga per
mobilitare le coscienze: in Italia manca l´ossigeno perché ci manca la
sinistra, l´unica in grado di dare visibilità ad un pezzo di mondo cancellato
dalla scena pubblica».
(
da "Repubblica, La"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
16 - Esteri L´ultima carta di Ahmadinejad "Sono io il paladino dei più
poveri" Viaggio tra i sostenitori del presidente. Oggi Iran al voto
"Ha denunciato i ladri, e spezzato l´aura di sacralità che li rendeva
intoccabili" Nelle campagne l´ex sindaco di Teheran è venerato, paga anche
le bollette della luce VANNA VANNUCCINI TEHERAN - «Ha avuto il merito di
denunciare i ladri, spezzato quell´aura di sacralità che li circondava e li
faceva sentire intoccabili». Non sono pochi, nel sud di Teheran, ad ammirare
«il coraggio» del presidente. Le sue accuse a Rafsanjani, visto dalla gente
come l´incarnazione della ricchezza e della corruzione, hanno elettrizzato i
sostenitori di Ahmadinejad. Ancora una volta le divisioni passano tra ricchi e
poveri. Chi aveva votato Ahmadinejad 4 anni fa perché avrebbe portato «le
rendite petrolifere sulle mense dei poveri», lo voterà di nuovo oggi che è
diventato l´eroe che si batte contro le «mille famiglie» - un´espressione usata
ai tempi dello scià che oggi viene usata per la nomenklatura teocratica. «Voi
venite da Teheran nord e non potete capire» dice un saldatore. «Ahmadinejad ha
aumentato del 50% le pensioni. Mio padre ora riesce a campare con 458mila tuman
(380 euro). Prima ne prendeva 270mila. Ha permesso agli artigiani di venir
curati gratis in caso di infortuni sul lavoro. Ha cominciato a distribuire le
"azioni di giustizia" (sahame edalat, azioni di imprese petrolifere
che rendono circa 70 euro all´anno di dividendi). E anche se sono più quelli
che le aspettano di quelli che le hanno ricevute, almeno ci ha dato la
speranza». Nelle campagne Ahmadinejad è venerato. A Ferdows, nel Khorasan, mi
dice un´amica che in quella zona ha ereditato dei terreni e costruito un
agriturismo raffinato, tutti votano per Ahmadinejad. I contadini colpiti dalla
siccità hanno ricevuto 200.000 tuman (20 euro), le famiglie dove non c´è un
uomo che lavora hanno avuto le bollette della luce pagate. Ahmadinejad è stato
il primo ad andare in queste zone, come era nella tradizione dei grandi feudatari
persiani, a ricevere lettere e petizioni dei poveri. Ma basta andare in una
città non lontana da Ferdows, e appena un po´ più grande come Neishabur, dove
vive una piccolissima borghesia fatta di impiegati e commercianti, gente che ha
visto il proprio reddito eroso dalla politica economica del presidente, perché
Moussavi sia il preferito. In tutto l´Iran questa piccolissima borghesia, che
ha redditi di 400-500 euro al mese, conta intorno ai 15 milioni. La
distribuzione a pioggia dei petrodollari ha mandato alle stelle i prezzi di
cibo, benzina, appartamenti, senza ridurre la disoccupazione. Che
statisticamente non è aumentata di molto grazie a un cambiamento nella
definizione di "occupato": finora lo era chi lavorava due giorni la
settimana, oggi bastano tre ore. Fiumane di donne coperte dal chador e di
uomini i cui vestiti denunciano le ristrettezze economiche, aspettavano martedì
di poter acclamare il presidente nella grande moschea di Mosallà, dove
Ahmadinejad non è potuto arrivare per l´ingorgo provocato dalla "catena
umana" dei sostenitori di Moussavi. Tra loro c´era Parvin, una donna
anziana che si è barcamenata per tutta la vita subendo le più umilianti
ingiustizie. Ama il presidente perché «ha fatto dell´Iran un paese rispettato
in tutto il mondo», ha «saputo tener testa agli occidentali colonizzatori e
difendere il diritto all´energia nucleare». Lei, mi dice, non manca mai a una
manifestazione, e non solo per quei pochi soldi che riceve. E´ perché il
presidente l´ha resa consapevole che lei «non è inferiore ai ricchi, anzi
capisce di più di tutti gli intellettuali del paese». Il leader supremo
Khamenei ha ricevuto Rafsanjani, che gli aveva scritto una lettera aperta
lamentando il suo silenzio dopo le accuse di Ahmadinejad e chiedendogli di
garantire che non ci siamo brogli. Ma la sua ingombrante presenza potrebbe
indebolire il fronte di Moussavi: le accuse di Ahmadinejad l´hanno obbligato a
uscire allo scoperto. Ieri sera, dopo gli ultimi appelli dei candidati (in
spregio alla par condicio Ahmadinejad ha potuto parlare in tv per 20 minuti,
Moussavi 103 secondi, Karrubi 76 e Rezai 70), sono continuate fino all´alba le
manifestazioni dei giovani per le strade, con scambi verbali accesi ma senza
scontri violenti. Tutti sono consapevoli che il momento è cruciale, e che non «schiudere il pugno» alla mano tesa da Obama potrebbe significare un altro
lungo periodo di isolamento internazionale e forse peggio. I tre rivali di
Ahmadinejad promettono il dialogo, ma tutti sono consapevoli che chiunque venga
eletto, l´ultima parola spetta a Khamenei, anche nella politica internazionale.
L´esperienza di Khatami, i cui tentativi di riforma furono tutti bloccati dalle
alte sfere, brucia ancora. E´ questo convincimento che trattiene dall´andare
alle urne molti iraniani, convinti che il voto non abbia altro senso che quello
di legittimare l´esistenza della teocrazia. Molto dipenderà dunque
dall´affluenza alle urne. Secondo le previsioni nessuno dei candidati potrebbe
superare il 50%, rendendo necessario il ballottaggio. Ma gli iraniani sono
maestri nel riservare sorprese. SEGUE A PAGINA
5
(
da "Repubblica, La"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
17 - Esteri Escalation Taliban, attacco ai parà tre italiani feriti, uno è
grave Battaglia nell´ovest dell´Afghanistan. Petraeus:"Mesi
difficili" Per il comando dell´Alleanza servono subito più uomini da
schierare L´allarme del capo di tutte le forze americane: "Livello di
violenza ad altissimo rischio" ALBERTO MATTONE è stata un´imboscata,
studiata nei minimi dettagli, preparata meticolosamente per uccidere. Solo la
fortuna e la prontezza dei nostri militari, che hanno risposto al fuoco dei
Taliban, ha evitato nuovi lutti tra gli italiani in Afghanistan. Il bilancio
dell´attacco di ieri è, comunque, pesante: tre soldati sono stati feriti, uno
in modo grave, colpito sotto l´ascella da un proiettile. Gli attacchi contro
gli italiani si fanno sempre più frequenti. Ma è tutto l´Afghanistan a
precipitare nel baratro della guerriglia, come spiega il generale Petraeus.
«Nell´ultima settimana - dice il comandante di tutte le forze americane in
guerra - abbiamo assistito al più alto livello di violenza dalla liberazione
del Paese ad oggi. Ci aspettano tempi difficili». E per far compiere alle
operazioni militari un salto di qualità, il presidente
Barack Obama ha dato carta
bianca al nuovo comandante delle truppe Usa in Afghanistan. Stanley McChrystal
darà vita a un "dream team" di esperti di guerra per preparare una
strategia più efficace. L´ultima imboscata dei Taliban agli italiani è avvenuta
ieri mattina, durante un´operazione di pattugliamento congiunto tra le forze
afgane e i paracadutisti della Folgore. A venti chilometri da Farah,
nella parte occidentale del Paese sotto comando italiano, i Taliban hanno
sparato simultaneamente contro più obiettivi: i nostri militari hanno risposto
al fuoco immediatamente, anche grazie al supporto dei carri "Dardo" e
dei bersaglieri. Tre parà, di cui non sono stati resi noti i nomi, sono rimasti
feriti. Uno in modo grave, ma non è in pericolo di vita. Nella sparatoria sono
stati uccisi alcuni guerriglieri. «L´azione - ha spiegato un portavoce del
nostro contingente - è stata preparata con cura, in modo da colpire gli
italiani, al termine di un´attività di rastrellamento in un´area nota per la
forte presenza di Taliban». La pressione della guerriglia, infatti, è sempre
più forte, e i nostri militari sono sempre più coinvolti in azioni di guerra.
Decine sono le azioni ostili contro i nostri uomini negli ultimi mesi.
Mercoledì, i paracadutisti sono stati impegnati in una battaglia di tre ore a
Bala Morgab, un po´ più a nord di Herat. Sono stati colpiti due elicotteri
Mangusta, ma non ci sono stati feriti. Neutralizzati, invece, decine di
guerriglieri e uccisi due capi Taliban. «Nella regione ovest - spiega il
generale Marco Bertolini, capo di Stato Maggiore di Isaf - siamo impegnati a
tutto campo, soprattutto nel garantire la libertà di movimento ai locali nelle
strade principali. Ecco perché finiamo nel mirino». «Il governo venga in
parlamento e riferisca sulla recrudescenza della guerriglia nell´area
controllata dagli italiani», dice Rosa Villecco Calipari, capogruppo del Pd in
commissione Difesa della Camera. «Non ho nessuna difficoltà a venire in Aula»,
replica Ignazio La Russa, che ha confermato l´invio di altri centro
addestratori militari in vista delle elezioni afgane. «L´ultimo attacco agli
italiani - spiega il ministro della Difesa - dimostra che nel paese c´è una
fase di maggiore pericolosità. Ho sempre detto che la nostra missione non è
solo ricostruzione, ma uso della forza. Quando è necessario».
(
da "Repubblica, La"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
11 - Interni La vicenda può minare la credibilità del Paese
alla vigilia dell´incontro con Obama e del G8 Perché la storia di quelle foto cambia il registro di
una crisi (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
GIUSEPPE D´AVANZO è più responsabile parlare - per dirlo in modo chiaro - di
una crisi della sicurezza nazionale. Può essere questo il nuovo e allarmante
approdo di un affare che, in modo bizzarro, ha avuto inizio a una festa
di compleanno di una ragazza di Napoli. Si è gonfiato con le ricostruzioni
pubbliche di Silvio Berlusconi, presto diventate pubbliche menzogne e
impossibilità a rispondere a dieci domande suscitate dalle sue stesse parole,
contraddizioni, incoerenze. Il "caso" è cresciuto con il racconto
delle abitudini ambigue del presidente del consiglio che, in un qualsiasi
pomeriggio d´autunno, telefona a una minorenne che non conosce (ne ha ammirato
le grazie in un book fotografico) per invitarla a conservare la sua «purezza».
Fin qui, anche se pochi hanno avuto finora l´interesse o la buona fede per
capirlo, eravamo dinanzi a una questione politica che interrogava il divieto o
il limite dell´uso della menzogna nel discorso pubblico. L´affare proponeva
questioni non dappoco: l´attendibilità del premier e la costruzione di una
realtà artefatta che si avvantaggia della debolezza delle istituzioni (il
Parlamento); del dominio di chi - come Berlusconi - possiede e governa i media;
delle pulsioni gregarie che li abitano. Il racconto per immagini della vita
privata che il capo del governo conduce, con i suoi ospiti, a Villa Certosa
(viene detto oggi in cinquemila scatti) muta ora il registro. In queste foto,
raccolte nell´arco degli ultimi tre anni, si può scorgere Silvio Berlusconi,
circondato da stuoli di ragazze, alcune italiane, altre apparentemente slave,
sempre giovanissime. Il presidente del consiglio è con i suoi ospiti, in alcune
occasioni. Sono avanti con gli anni. Hanno i capelli bianchi. Chi sono? Amici
personali del presidente o dignitari stranieri? E, in questo caso, di quale
Paese? Le fotografie - Repubblica ha preso visione soltanto di una parte - sono
caste, ma non innocenti. La loro pubblicazione (vietata in Italia) può senza
dubbio danneggiare l´immagine e la reputazione del capo del governo, provocare
l´imbarazzo del nostro e di altri governi o comunque dei leader che Berlusconi
ha ospitato a Punta Lada. Qui si può scorgere, in due incertezze, l´avvio di
una possibile crisi. Si pensava (lo pensava l´avvocato del premier) che tutte
le foto fossero state eliminate dal mercato. Non è così. Ce ne sono altre migliaia
in circolazione. Che cosa ritraggono? Possono trasformare l´imbarazzo di
Berlusconi in vergogna e la vergogna in disonore? E ancora, chi oggi può
entrare in possesso di quelle foto? Al di là delle immagini delle jeunes filles
en fleurs raccolte da Antonello Zappadu, quelle giovani ospiti straniere hanno
avuto la possibilità di andar via con qualche scatto, con qualche immagine?
Ecco allora perché un affare nato, in modo inatteso in un ristorante della
periferia di Napoli, può diventare una minaccia della sicurezza nazionale. Non
c´è dubbio che il presidente del Consiglio vive ore di grande debolezza in
quanto non è in grado di sapere quali e quante immagini circolino (e non è
necessario che siano compromettenti anche se sarebbe oggi avventuroso sostenere,
con certezza, che non lo siano). Come non c´è dubbio che chi arraffa, o ha
arraffato per tempo, quegli scatti, potrebbe avere un potere di interdizione
sui passi del capo del governo. Si comprende quindi il nervosismo, l´ansia del
premier; la pressione che in queste ore muove sui servizi segreti per avere non
solo, come pure si è detto, una maggiore protezione per il futuro, ma - e quel
che conta - la sterilizzazione di ogni minaccia che viene dal passato e la
distruzione di ogni disegno aggressivo che può affacciarsi nel presente. Questa
condizione di precarietà, dicono, avrebbe convinto Berlusconi a chiedere
all´intelligence un´azione meno "politica" e discreta, più convinta e
determinata per liberare i suoi giorni da ogni possibile ombra. Soprattutto
alla vigilia di importati appuntamenti internazionali (l´atteso incontro con Obama, il G8 di luglio a l´Aquila). Ma, ammesso che ci siano
i margini tecnici per mettere in sicurezza la reputazione del presidente del
consiglio, nessuno oggi è in grado di dire se non sia già troppo tardi. In
questo dubbio, c´è tutta l´asprezza di una crisi che deve ancora trovare il suo
vero nome.
(
da "Repubblica, La"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
13 - Interni Nostro obiettivo Le elezioni "Non una confluenza nel Pse ma
passo storico per l´unità" Franceschini: serve una forza progressista
europea Questo obiettivo era nei documenti di scioglimento di Ds e Margherita
L´arretramento dei socialisti in Europa e la nostra tenuta hanno favorito
l´intesa ANDREA BONANANNI BRUXELLES - Il segretario del Pd non ha neppure il
tempo di brindare all´intesa appena siglata col capogruppo del Pse Martin
Schultz: deve ripartire subito per Roma. Ma non nasconde la soddisfazione: «E
pensare che da anni commentatori e politologi sostengono che il progetto del Pd
sarebbe andato a sbattere sul tema della collocazione europea e che Berlusconi
ha impostato tutta la campagna elettorale dicendo non avremmo saputo dove
sederci al Parlamento europeo e che non avremmo contato nulla. Invece ce
l´abbiamo fatta. E´ il primo passo in una direzione per cui stiamo lavorando da
anni: la creazione in Europa di un´area di centrosinistra che unisca forze di
ispirazione socialista con altre di diverse culture riformiste». Perché ci
avete messo tanto? Chi è stato duro di comprendonio: i socialisti europei o i
democratici italiani? «Dal loro punto di vista, è comprensibile che partiti
socialisti con secoli di gloriosa storia alle spalle avessero qualche reticenza
a rimettere in discussione la propria appartenenza identitaria per risolvere
quello che sembrava un problema italiano. Diciamo che il risultato delle
elezioni, con l´arretramento di tutte le forze socialiste in Europa e la nostra
sostanziale tenuta, proprio grazie alla scelta di unire riformismi diversi del
Pd, ci ha aiutato a far cadere le ultime resistenze». E non sarebbe stato
meglio annunciarlo prima delle elezioni? Perché avete aspettato dopo il voto?
«Ma io ho fatto tutta la campagna elettorale dicendo che questa era la nostra
scelta. Ovviamente, per correttezza verso le delegazioni socialiste degli altri
Paesi, non potevo dare per concluso un accordo che non era ancora stato
formalizzato». E ora, che succede? «Adesso nasce questo nuovo gruppo al
Parlamento europeo. La creazione di una nuova famiglia politica, invece,
richiederà tempo: è ovvio. Il Partito socialista europeo resta come forza
politica di riferimento della componente socialista del gruppo. Ma io sono
certo che la Storia ci spinge verso la creazione di una grande forza riformista
e progressista. Ed è una spinta planetaria, non solo europea. Obama ha dato il segnale: la globalizzazione
richiede una progressiva cessione di sovranità. Per ora il processo è a livello
di collaborazione tra governi. Poi arriverà alle forze politiche. Già ora i
socialisti tedeschi, i democratici americani, quelli italiani, Lula o il
Partito del Congresso indiano sui grandi temi della globalizzazione condividono
le stesse idee. Il campo dei progressisti è uno. Questa è l´idea di
fondo che stava già alla base della nascita dell´Ulivo, ancora prima del Pd». E
non teme di avere difficoltà a far digerire a Roma la creazione del nuovo
gruppo parlamentare europeo con i socialisti? Rutelli e molti ex Margherita non
faranno difficoltà? «Penso di no. Il 26 ratificheremo questa intesa in
direzione e lì discuteremo liberamente. E´ vero che una parte del partito temeva
una nostra confluenza nel gruppo socialista. Ma questo non è avvenuto. E la
creazione di un nuovo gruppo che riunisce in un´alleanza socialisti e
democratici è proprio il risultato che cercavamo da anni. Sta addirittura
scritto nei documenti di scioglimento della Margherita e dei Ds. Io sono molto
prudente nell´utilizzare l´aggettivo «storico». Ma mi sembra proprio che
l´accordo che abbiamo raggiunto oggi sia un passo importante, non solo per i
democratici italiani, ma per tutti i riformisti europei».
(
da "Repubblica, La"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
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39 - R2 Dalla battaglia per Internet libero agli scranni di Strasburgo. Ecco
chi sono e cosa vogliono gli hacker svedesi che hanno stupito l´Europa ANAIS
GINORI dal nostro inviato stoccolma «Dai, pensaci bene che è facile. Anzi,
certe volte mi domando perché nessuno ci sia arrivato prima di noi». Seduto in
un divanetto bianco al cafè di Sodermalm, l´ex quartiere operaio ora crogiolo
di negozi di design, boutique vintage e ristoranti vegetariani, Christian
Engstrom ripete la sua domanda e intanto si racconta con aria beata a una tv
romena, poi a una radio finlandese, e così per tutta la mattina. Come un bravo
maestro al termine di una lezione, ripete il quesito con tono divertito e ci
aggiunge anche la risposta. «Cos´è la cosa alla quale nessun giovane, mai,
rinuncerebbe? Facile: il computer e Internet. Senza, i ragazzi si sentirebbero
persi». Bastava pensarci, dice portandosi l´indice alla tempia destra. Qualcuno
infine lo ha fatto. Magari non sarà una gran trovata, ma il copyright, anche se
lui questa parola proprio la odia, ormai è suo. Il partito di Internet adesso
esiste. E non solo come gruppo politico che si organizza, comunica e raccoglie
fondi online («Roba superata, Obama è già storia»). No, proprio un partito vero, con sezioni,
programmi e tesorieri, che si occupa esclusivamente dell´universo del web, di
"accesso all´informazione e alle tecnologie". Il capo del
Piratpartiet è lui, Christian. Il capo dei Pirati, così lo chiamano tutti, e si
vede subito che la definizione non gli dispiace. Il suo sorriso è
spalmato sulle prime pagine di tutti i quotidiani svedesi, che celebrano la sua
elezione all´europarlamento come uno choc per il premier conservatore Fredrik
Reinfeldt. Così va la vita. SEGUE NELLE PAGINE
SUCCESSIVE CON UN ARTICOLO DI JAIME D´ALESSANDRO
(
da "Corriere della Sera"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 12/06/2009 - pag: 2 Gheddafi parla ai
senatori e accusa l'America Gli Usa: siamo alle solite. E lui dal Campidoglio
si candida a «imperatore d'Italia» ROMA Qualcuno credeva di aver invitato Tony
Blair, diplomatico e britannico. Invece a Roma ieri c'era Muammar el Gheddafi,
uno che ebbe il fegato di fare un colpo di Stato a 27 anni di età e che
racconta da sempre di essersi ferito a un braccio da ragazzino mentre giocava
con una mina lasciata nel deserto dal colonialismo italiano. Uno che dalle sue
parti è abituato a tenere la scena come in Occidente la
tiene Barack Obama e che
non ha fatto distinzioni tra il linguaggio impiegato davanti agli studenti o ai
senatori. Fino alla pirotecnia serale, quando dal balcone del Campidoglio ha
dichiarato che la rinforzata amicizia con l'Italia consentirebbe di candidare
«l'amico Silvio Berlusconi » alla guida del governo libico e se stesso a
imperatore d'Italia. Paradossi, artifizi retorici da incantatore di
folle, schegge di ordigni mediatici che hanno varcato l'Atlantico. «Non vale la
pena di commentare. Typical Gheddafi», hanno risposto fonti della Casa Bianca
quando si sono sentite domandare una reazione su alcune delle affermazioni
romane del Colonnello. Per esempio, un paragone fra le Torri Gemelle e le bombe
fatte lanciare da Ronald Reagan sulla sua casa, che gli uccisero una figlia
adottiva: «Fra i bombardamenti del 1986 e quelli di Bin Laden che differenza
c'è?». Oppure: «Gli Usa volevano uccidere Gheddafi perché voleva liberare il
suo popolo. L'America vuole colonizzare il globo». Brividi lungo le schiene tra
i senatori dai quali il Colonnello si era fatto attendere un'ora e venti a
Palazzo Giustiniani. Non però di Giulio Andreotti, uno dei pochi ad apprezzare
in pubblico il discorso del Leader, né di Francesco Cossiga, elogiati come
amici. «Si è solo dimenticato che fece saltare l'aereo di Lockerbie », il
commento di Cossiga, sornione. «Bisogna dialogare anche con il diavolo, se
porta a soluzioni », ha teorizzato Gheddafi. Tra una lode a Berlusconi e una a
Romano Prodi, ha buttato lì frasette del tipo: «Se la Libia smettesse di
esportare il suo petrolio, oggi a 70 dollari al barile, il prezzo salirebbe a
100-120». Di fronte a Maurizio Gasparri, ex missino: «Ai tempi dell'assassino
Mussolini e di Balbo, nessuno immaginava che la Libia avrebbe avuto armi e il
greggio di cui l'Italia ha bisogno». Concetti simili a quelli esposti da
Gheddafi a fianco del sindaco Gianni Alemanno. Preludio del comizio dal
Campidoglio: «Baci, baci». Poi: «E' venuto prima di me a Roma un libico che non
parlava latino e non era conquistatore: come imperatore di Italia e di Libia ci
fu Settimio Severo». Il conterraneo vissuto tra 146 e 211 dopo Cristo è servito
per ipotizzare lo scambio con Berlusconi alla guida dei rispettivi Paesi. «Se
avete applaudito, siete d'accordo», ha detto Gheddafi giocoso alla folla. E
ancora: «Darò il potere al popolo. Annullerò i partiti. Basta elezioni». Ai
senatori che disprezzano le dittature aveva ricordato: «Fu il Senato a
scegliere Giulio Cesare come dittatore...». Per capire tanta baldanza e la
flemma americana almeno iniziale va tenuto presente un invito a non dare
cattivi esempi a Iran e Corea del Nord: «Potevamo sviluppare l'arma atomica,
non l'abbiamo ritenuto interesse della Libia. Ma che ricompensa abbiamo
avuto?». La replica americana «Non vale la pena di commentare. Typical
Gheddafi», hanno risposto dalla Casa Bianca Colonnello Gheddafi a Palazzo
Giustiniani (Ansa/Giuseppe Giglia) Maurizio Caprara
(
da "Corriere della Sera"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Politica data: 12/06/2009 - pag: 12 Alla Confartigianato
«Da noi poche parole e molti fatti». Nello staff l'idea che Veronica intenda
riportare il caso divorzio nel privato «Noemi e Mills sposi», ironia del
premier «Io regalerò un volo di Stato gratis». Lavoro a tempo pieno per l'incontro con Obama ROMA Le ventidue cartelle del discorso ha deciso di lasciarle
agli atti del convegno. Perché il Cavaliere non aveva molta voglia di parlare
ieri mattina all'appuntamento con l'assemblea di Confartigianato. E così, in
sette minuti di discorso, ha ridotto al minimo i contenuti, ma ha comunque
centrato il suo intervento sulla «fiducia» che il Paese ha nel suo
governo e su quella che deve avere in una ripresa dell'economia: «Noi siamo un
governo di poche parole e molti fatti, siamo pronti a continuare la nostra
azione con convinzione, e offriamo il nostro pieno sostegno a chi intraprende,
a chi rischia », è stato infatti il passaggio chiave della sua apparizione.
Caratterizzata peraltro, anche stavolta, da una battuta sui due casi che ancora
evidentemente gli fanno male, se il tentativo di esorcizzarli è continuo:
«Scappo ha detto facendo ridere la platea perché sto combinando un matrimonio
tra Noemi e l'avvocato inglese Mills... Porterò come dono un viaggio sui voli
di Stato, naturalmente gratis ». Insomma, sembra in qualche modo che al premier
stia tornando il buonumore, dopo un passaggio elettorale con luci ed ombre e
nel bel mezzo della sfida ancora apertissima dei ballottaggi, per i quali si
impegnerà in prima persona (è sicuramente previsto un comizio di chiusura
venerdì 19 a
Milano). E a renderlo più tranquillo, secondo alcune voci che filtrano dal suo
entourage, sarebbe stata anche la lettera che sua moglie ha inviato al Corriere
della Sera. Ufficialmente, nessuno commenta nulla. Ma l'opinione prevalente è che
il solo fatto che Veronica Lario abbia «parlato d'amore», usando certo toni
fermi ma «non polemici», fa pensare al «desiderio di riportare la vicenda in un
ambito più privato». Per dirla con il pdl Osvaldo Napoli, «sembra di trovarsi
di fronte ad una donna che cerca di raffreddare la situazione, magari facendo
capire che con un colloquio privato certe tensioni potrebbero sciogliersi». Se
così fosse, Berlusconi potrebbe dedicarsi con animo più leggero a quello che in
questo momento considera il suo impegno più delicato e importante: l'incontro
alla Casa Bianca con Barack Obama. Che non sarà una
passeggiata su petali di rose, anche alla luce delle dichiarazioni di ieri di
Gheddafi che ha paragonato gli Usa che bombardarono la Libia agli attentati di
Bin Laden. Quindi una visita che va preparata al meglio, se è vero che
Berlusconi ha deciso di anticipare la sua partenza per Washington a domenica
mattina, anche se l'incontro si terrà solo lunedì. Da palazzo Chigi evidenziano
come il premier sarà «il secondo leader europeo ricevuto alla Casa Bianca, dopo
Gordon Brown», e dunque l'interesse a parlarsi, conoscersi a fondo, mettere a
punto i dossier anche in vista del G8 di luglio sarebbe reciproco. Ma è vero
che i tempi delle grandi pacche sulle spalle e dell'amicizia profonda con Bush
appaiono lontani. L'attesa insomma è molta, anche se da qui a lunedì il premier
ha un altro appuntamento da onorare, quello al convegno dei giovani
imprenditori a Santa Margherita Ligure, domani in tarda mattinata. Potrebbe
essere quella la sede giusta per affrontare più in profondità temi come la
riforma delle pensioni, sul quale ieri si è limitato a una battuta: «Se
aumenteremo le pensioni? Prima dovremo diminuire la spesa». E sicuramente, tra
le vie d'uscita per la crisi, Berlusconi insisterà sull'impulso da dare al
settore del turismo: «Ho appena approvato il marchio 'Magic Italy', per
lanciare l'Italia e attirare qui i turisti da ogni parte del mondo». Un
Berlusconi, quindi, ottimista. E riconfortato anche dall'approvazione del ddl
sulle intercettazioni telefoniche, non solo da parte della maggioranza, ma
anche da alcuni deputati dell'opposizione. La battuta Berlusconi ieri alla
Confartigianato: «Sto combinando un matrimonio tra Noemi e l'avvocato inglese
Mills. Il dono? Un viaggio sui voli di Stato. Gratis» (Eidon/Antimiani) Paola
Di Caro
(sezione: Obama)
(
da "Corriere della Sera"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 12/06/2009 - pag: 17 La scrittrice Sara Yalda,
autrice di «Il Paese delle stelle nascoste» «Ma il vincitore non è già scritto»
DAL NOSTRO INVIATO TEHERAN «L'Iran è il Paese delle sfumature, delle ambiguità,
del mescolarsi di ombra e luce. Invece l'Occidente lo percepisce in due
dimensioni: bianco o nero, riformisti o conservatori, dittatura o democrazia.
Tornando a Teheran dopo 27 anni, ho faticato a liberarmi dagli stereotipi e
percepire la complessità di quel che sta accadendo. Mi aspettavo un Paese
violento, rigido. Invece, l'ho scoperto estremamente pacifico». Sara Yalda non
si è ancora ripresa dal successo per il suo libro-autobiografia Il paese delle
stelle nascoste. È la sua storia di esule che torna nella terra dov'è nata per
riscoprirla. In Francia, dove Yalda vive, è un best seller, in Italia è appena
stato pubblicato da Piemme. «Prendiamo queste elezioni. Non sono democratiche,
ma allo stesso tempo lo sono. Il vincitore non è già scritto, i candidati devono
guadagnarsi il consenso convincendo la gente. Uno di loro
ha adottato una campagna in stile Obama, tutta sms e Internet. A Tabriz la moglie di un candidato è
salita sul palco con il piglio di una Michelle Obama. Eppure è sempre il Paese dell'hijab obbligatorio». Ma la
democrazia o è rispettata o non lo è. «Certo, ma solo se si pensa a un modello
politico definito. Qui tutto è in evoluzione. Anche il sistema di
governo. Quel che stupisce è l'energia, il senso che tutto è possibile. Qui non
c'è la routine ufficio-supermercatotv con unico sfogo la vacanza. Il fermento
intellettuale è travolgente. Dove in Occidente una conferenza sugli artisti di
strada attirerebbe 300 persone? A Teheran accade. La fame di conoscenza è
insaziabile». Il regime, però, è altra cosa. «Ho chiesto a una ragazza di 30
anni, single che vive sola: sei felice qui a Teheran? Mi ha risposto: ci sono
cose più importanti della felicità. Ho l'impressione di vedere una pagina di
storia mentre si scrive. Stanno cercando di inventare una nuova società senza
riprodurre modelli che funzionano altrove. Stanno cercando di costruire un
modello originale. Non so se avranno successo, ma ci stanno provando e hanno
diritto di provarci». A. Ni.
(sezione: Obama)
(
da "Corriere della Sera"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 12/06/2009 - pag: 17 Il discorso «Netanyahu
dirà sì ai due Stati» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME Notte prima degli
esami. Sudato come uno studente, la penna in bocca, Bibi scruta pensoso il
soffitto e chiede alla moglie: «Conosci qualche passo del Corano che possa
funzionare?». Studia da Obama, ma parlerà da Netanyahu: il discorso che il premier israeliano
si prepara a tenere domenica sera dall'università telavivi di Bar Ilan risposta
a quello del presidente Usa dall'ateneo cairota , la feroce vignettista
Daniella lo prevede così. «Bibi vi sorprenderà», confida il ministro
della Difesa, Barak. Pochi ci credono, però, e il quotidiano Haaretz tenta
d'anticiparne i contenuti, senza scoprire grandi novità: Netanyahu dovrebbe
pronunciare la formula che gli Usa esigono «due popoli, due Stati» ,
aggiungendo che quello palestinese potrà sedere all'Onu, ma smilitarizzato e
controllato ai confini da Israele e Giordania: un po' come Andorra, nota
qualcuno, che dipende in tutto da Francia e Spagna. Condizione irrinunciabile,
per Bibi, dovrebbe essere il riconoscimento palestinese dell'«ebraicità» dello
Stato d'Israele (un modo per evitare che il ritorno dei profughi arabi del 1948
possa snaturarne l'identità), mentre poco verrebbe concesso sugl'insediamenti
che la comunità internazionale, invece, vorrebbe quantomeno congelati. Basterà?
Probabilmente no, anche se Netanyahu non ha molta scelta e gli è già capitato
di smentire gl'indovini. L'accenno allo Stato palestinese agita la destra
Likud, dal figlio di Begin al ministro Landau, passando per lo speaker della
Knesset, Rivlin. Non è un mistero che George Mitchell l'inviato di Obama che ha appena aperto l'ufficio a Gerusalemme e s'è
portato pure un consigliere di passaporto israeliano spinga per un rimpasto di
governo che recuperi Tzipi Livni, scaricando la destra estrema. A premere c'è
anche il presidente, Peres, che non vuole uno scontro aperto con Washington.
Qualche sera fa, Obama e Netanyahu si sono parlati al
telefono. La prima volta dopo settimane. Sono uscite le foto della Casa Bianca,
durante la chiacchierata: si vede un Barack stravaccato, i piedi sulla
scrivania. È nel suo stile. Ma è uno stile che a Bibi non piace per nulla. F.
Bat.
(
da "Corriere della Sera"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Economia data: 12/06/2009 - pag: 34 Detroit Tetto anche per
lo stipendio di Marchionne MILANO Anche Sergio Marchionne, nuovo amministratore
delegato di Chrysler, avrà un tetto al proprio stipendio fissato dall'amministrazione Obama. La casa automobilistica rientra infatti fra i gruppi che sono
stati «salvati» grazie all'iniezione di denaro pubblico. E per questo ai bonus
per i loro manager verrà imposto un limite massimo. Oltre a Chrysler (e al suo
braccio finanziario Chrysler Finance) la lista comprende General Motors (e
Gmac), Citigroup, Bank of America, Aig.
(sezione: Obama)
(
da "Corriere della Sera"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Economia data: 12/06/2009 - pag: 37 John Carney (Towers
Perrin) «Maxistipendi, la soluzione? Legarli ai risultati, non alla Borsa»
MILANO L'Europa fa scuola. E gli Stati Uniti prendono appunti. Succede in uno
degli argomenti più spinosi che hanno accompagnato la crisi attuale: i
superstipendi degli amministratori delegati. Ne ha parlato ieri, in una
conferenza a porte chiuse alla Sda Bocconi davanti a 150 top manager e
direttori del personale di grandi aziende italiane, John Carney, responsabile
europeo di Towers Perrin alla voce «executive compensation». Il modello
europeo, a cui si è accodata l'altroieri la Casa Bianca di
Barack Obama con le nuove
misure per controllare le maxiretribuzioni, è quello che gli inglesi chiamano
il «say on pay»: il parere dato dall'assemblea degli azionisti sui pacchetti
retributivi dei piani più alti dell'azienda. E di questo ha parlato ieri
Carney: «L'Europa è davanti agli Stati Uniti ha detto , è ormai diverso
tempo che questa procedura viene seguita in Stati come Gran Bretagna, Svezia e
Paesi Bassi». O, agli antipodi, in Australia. Se l'America è arrivata dopo, non
si è però fermata al «say on pay», annunciando anche un tetto agli stipendi e
ai premi dei primi 100 manager delle banche e imprese finanziate dallo Stato:
una mossa che Carney ha definito «inevitabile», anche se non priva di rischi se
i tetti sono decisi troppo in fretta. Ma i pericoli non mancano anche in altre
soluzioni proposte negli ultimi mesi per arginare gli eccessi dei superstipendi.
Un esempio fra tutti, tra quelli fatti da Carney? «Ridurre la quota variabile
per aumentare la fissa può far salire i costi delle aziende: si vedranno
costrette a pagare stipendi alti anche quando le cose non vanno bene, senza
contare che in molti Paesi i contributi pensionistici si calcolano sulla base
del fisso». Tra l'altro, le stesse componenti variabili dello stipendio possono
aiutare a legare le retribuzioni ai risultati effettivamente raggiunti: è la
soluzione propugnata da Carney, che, precisa, non guarda alle quotazioni delle
azioni (vedi le stock option). Certo le soluzioni non si fermano qui. Ci sono
anche i comitati delle retribuzioni previsti nelle nuove misure di Obama: comitati indipendenti, per evitare che chi decide
sugli stipendi dei top manager sia in qualche modo legato agli stessi top
manager. Giovanni Stringa
(
da "Corriere della Sera"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Opinioni data: 12/06/2009 - pag: 8 OGGI IL VOTO La speranza
nelle notti di Teheran di PAOLO LEPRI SEGUE DALLA PRIMA Trasformando in una
grande novità politica, di partecipazione e di fantasia, la difficile campagna
elettorale in un Paese che se non è una dittatura «non è certamente nemmeno una
democrazia», come ammette Fareed Zakaria dopo avere spiegato che «tutto quello
che si sa sull'Iran è sbagliato, o è almeno più complicato di quello che si
pensa». La mobilitazione per questo poco carismatico ex primo ministro e per
sua moglie che vuole difendere, accanto al marito, i diritti calpestati delle
donne iraniane non deve essere stata un fenomeno marginale se i Pasdaran hanno
sentito il bisogno di annunciare che stroncheranno qualsiasi tentativo di
provocare con il voto una «rivoluzione di velluto». «I falchi non andranno
tranquillamente all'opposizione se il loro candidato perderà», avverte
preoccupato il transfuga Mohsen Sazegara, uno dei fondatori delle Guardie della
rivoluzione, fatto arrestare nel 2003 dalla Guida Suprema, l'Ayatollah
Khamenei. L'Iran è complicato, ma proprio per questo va evitata la più
pericolosa delle semplificazioni: tutti i candidati sono uguali, non c'è
nessuna speranza. Gli scambi di accuse tra Mousavi e Ahmadinejad non sono stati
certamente un gioco delle parti. E molte cose, intanto, sono diverse da quei
giorni di quattro anni fa in cui il semisconosciuto ex sindaco di Teheran,
ultraconservatore religioso, avviava con l'imprevista vittoria nelle
presidenziali la sua aggressiva e incendiaria leadership. Forse non è
completamente vero che, come scrive Roger Cohen, «il radicalismo nella Casa
Bianca di Bush ha alimentato il radicalismo iraniano». Il radicalismo del
presidente Ahmadinejad è sembrato spesso alimentarsi da solo, riuscendo a
estendere il proprio raggio d'azione in molti altri luoghi, primi fra tutti
Gaza e il Libano. Ma è sicuramente vero che Obama, con le sue aperture, ha messo in
difficoltà perfino il coriaceo regime di Teheran. E in questo quadro, i margini
per avviare processi di cambiamento sono sicuramente più ampi. Il compito della
diplomazia internazionale è oggi comunque quello di salvare l'Iran, qualunque
sia il risultato delle elezioni. Salvare l'Iran vuol dire in primo luogo
arrivare ad un accordo serio sul nucleare, tenendo contro che i margini tra la
realizzazione di un programma civile, difeso anche da Mousavi, e la capacità di
dotarsi di un arma atomica sono molto ravvicinati. Una sconfitta di Ahmadinejad
aprirebbe opzioni diverse, nonostante la complessità del sistema di potere
della teocrazia iraniana. Il finale è aperto, come in un film di Abbas
Kiarostami.
(
da "Corriere della Sera"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Grande Milano data: 12/06/2009 - pag: 11 La sfida Pannelli
fotovoltaici per il metrò. Poggio: si creeranno 100 mila nuovi posti Energia
pulita, via agli incentivi Subito boom di richieste L'assessore Ponzoni: il
futuro è la «scommessa verde» Si guarda al futuro, con un obiettivo:
l'indipendenza energetica. E la Lombardia mostra due volti: quello di Milano,
frenata ancora da troppi vincoli e quello del resto della regione, dove son
stati raggiunti i primi risultati incoraggianti. Così il Pirellone, assieme
allo Stato, pensa a nuovi incentivi e promozioni per indurre i cittadini a
scegliere la «via verde» per l'energia. Partendo da un primato che non lascia
adito a dubbi: ci sono già oltre cinquemila impianti di fotovoltaico in tutta
la Lombardia. E sono più di di 25 milioni gli euro di cofinanziamenti già
erogati, più altri cento annunciati dal presidente Roberto Formigoni. «Siamo al
primo posto in Italia », spiega l'assessore Massimo Ponzoni. Senza contare il
solare termico, il geotermico (a Corsico c'è la più grande struttura in
Europa), le caldaie a condensazione e le pompe di calore. Un primato che mette
la regione sulla scia degli altri Paesi europei che hanno intrapreso questa
strada già da qualche anno. L'indipendenza energetica va sempre di pari passo
un rinnovamento a trecentosessanta gradi. In questa direzione Milano sta
cominciando a fare la sua parte. La prima a muoversi, in fase sperimentale, è
stata l'Atm. L'azienda dei trasporti ha deciso di dotare i tetti dei depositi
con pannelli fotovoltaici. Si inizierà con la stazione di Precotto, sulla linea
rossa. Chi vincerà la gara (l'investimento è di 5 milioni di euro), dovrà
installare a sue spese l'impianto. Metà dell'energia andrà all'Atm, il resto lo
potrà rivendere. In totale saranno circa 1,2 milioni di kilowattora che
serviranno per muovere parte dei treni della linea 1 della metropolitana e
quelli della metrotramvia 7. Con un risparmio energetico del 5 per cento. Il
Comune punta ad estendere impianti a risparmio energetico anche ad altri
edifici pubblici. Mentre l'assessorato all'Istruzione della Provincia ha già
provveduto ad installare i pannelli in una cinquantina di scuole superiori. Una strada che negli Usa sta indicando con decisione il
presidente Barack Obama che
punta moltissimo sulla green economy. Discorso diverso per i privati. A Milano,
secondo le ultime stime, solo l'uno per cento ha approfittato degli incentivi
statali per il fotovoltaico. Un interesse tiepido legato, però, ai troppi
intralci burocratici che frenano i cittadini nel fare questa scelta. Il
progetto nel capoluogo ambrosiano si chiama conto energia e prevede a un
raddoppio degli investimenti in 20 anni. «Il costo per un sistema di pannelli è
ancora molto alto. In più a Milano, a causa dei vincoli sui condomini, è
difficile riuscire a installare l'impianto », spiega Enrico Fedrighini,
consigliere comunale dei Verdi. Ecco perché bisognerebbe puntare anche sul
geotermico, energia rinnovabile che deriva dal calore presente nel sottosuolo.
«La città è seduta su una bolla d'acqua. Bisogna cominciare a sfruttare le
risorse naturali, non solo per un discorso ambientale ma anche economico ». Un
concetto che ancora non è stato compreso a fondo ma che potrebbe diventare un
volano anche in termini di occupazione. Perché l'energia rinnovabile è anche un
investimento. «Se noi occupassimo il 7 per cento dei tetti in Italia con il
fotovoltaico, saremmo in grado di produrre almeno 10 mila megawatt di energia.
E creare 100 mila posti di lavoro», spiega Andrea Poggio, vicedirettore di
Legambiente. Le formule per gli incentivi sono diverse. «Oltre al conto energia
c'è una detrazione fiscale al 55 per cento per le caldaie a condensazione e le
pompe di calore». Un vero e proprio business «sia per il risparmio sia per l'occupazione
». La Lombardia si è mossa per tempo. «E questo spiega aggiunge l'assessore
Ponzoniperché siamo una delle regioni più virtuose del Paese». Ma guai a
fermarsi. «L'obiettivo è cercare di crescere ancora, per arrivare ai livelli di
Paesi come la Germania». Come? «Attraverso incentivi e promozioni, come abbiamo
in programma». Finanziamenti Sono oltre 25 i milioni di euro di cofinanziamenti
già erogati, più altri cento annunciati. Pannelli solari anche in alcuni
istituti scolastici Impianti Impianto di energia rinnovabile Benedetta
Argentieri
(
da "Repubblica.it"
del 12-06-2009)
Argomenti: Obama
CINQUEMILA
foto che scrutano la vita del capo di un governo (una vita
"disordinata": lo dice la moglie; lo ammettono anche i suoi
fedelissimi) possono essere un trascurabile gossip soltanto per teste
imprevidenti o vecchi volponi. È più responsabile parlare - per dirlo in modo
chiaro - di una crisi della sicurezza nazionale. Può essere questo il nuovo e
allarmante approdo di un affare che, in modo bizzarro, ha avuto inizio a una
festa di compleanno di una ragazza di Napoli. Si è gonfiato con le ricostruzioni
pubbliche di Silvio Berlusconi, presto diventate pubbliche menzogne e
impossibilità a rispondere a dieci domande suscitate dalle sue stesse parole,
contraddizioni, incoerenze. Il "caso" è cresciuto con il racconto
delle abitudini ambigue del presidente del consiglio che, in un qualsiasi
pomeriggio d'autunno, telefona a una minorenne che non conosce (ne ha ammirato
le grazie in un book fotografico) per invitarla a conservare la sua
"purezza". Fin qui, anche se pochi hanno avuto finora l'interesse o
la buona fede per capirlo, eravamo dinanzi a una questione politica che
interrogava il divieto o il limite dell'uso della menzogna nel discorso
pubblico. L'affare proponeva questioni non dappoco: l'attendibilità del premier
e la costruzione di una realtà artefatta che si avvantaggia della debolezza
delle istituzioni (il Parlamento); del dominio di chi - come Berlusconi -
possiede e governa i media; delle pulsioni gregarie che li abitano. Il racconto
per immagini della vita privata che il capo del governo conduce, con i suoi
ospiti, a Villa Certosa (viene detto oggi in cinquemila scatti) muta ora il
registro. In queste foto, raccolte nell'arco degli ultimi tre anni, si può
scorgere Silvio Berlusconi, circondato da stuoli di ragazze, alcune italiane,
altre apparentemente slave, sempre giovanissime. OAS_RICH('Middle'); Il
presidente del consiglio è con i suoi ospiti, in alcune occasioni. Sono avanti
con gli anni. Hanno i capelli bianchi. Chi sono? Amici personali del presidente
o dignitari stranieri? E, in questo caso, di quale Paese? Le fotografie -
Repubblica ha preso visione soltanto di una parte - sono caste, ma non
innocenti. La loro pubblicazione (vietata in Italia) può senza dubbio
danneggiare l'immagine e la reputazione del capo del governo, provocare
l'imbarazzo del nostro e di altri governi o comunque dei leader che Berlusconi
ha ospitato a Punta Lada. Qui si può scorgere, in due incertezze, l'avvio di
una possibile crisi. Si pensava (lo pensava l'avvocato del premier) che tutte
le foto fossero state eliminate dal mercato. Non è così. Ce ne sono altre
migliaia in circolazione. Che cosa ritraggono? Possono trasformare l'imbarazzo
di Berlusconi in vergogna e la vergogna in disonore? E ancora, chi oggi può
entrare in possesso di quelle foto? Al di là delle immagini delle jeunes filles
en fleurs raccolte da Antonello Zappadu, quelle giovani ospiti straniere hanno
avuto la possibilità di andar via con qualche scatto, con qualche immagine?
Ecco allora perché un affare nato in modo inatteso in un ristorante della periferia
di Napoli, può diventare una minaccia della sicurezza nazionale. Non c'è dubbio
che il presidente del Consiglio vive ore di grande debolezza in quanto non è in
grado di sapere quali e quante immagini circolino (e non è necessario che siano
compromettenti anche se sarebbe oggi avventuroso sostenere, con certezza, che
non lo siano). Come non c'è dubbio che chi arraffa, o ha arraffato per tempo,
quegli scatti, potrebbe avere un potere di interdizione sui passi del capo del
governo. Si comprende quindi il nervosismo, l'ansia del premier; la pressione
che in queste ore muove sui servizi segreti per avere non solo, come pure si è
detto, una maggiore protezione per il futuro, ma - e quel che conta - la
sterilizzazione di ogni minaccia che viene dal passato e la distruzione di ogni
disegno aggressivo che può affacciarsi nel presente. Questa condizione di
precarietà, dicono, avrebbe convinto Berlusconi a chiedere all'intelligence
un'azione meno "politica" e discreta, più convinta e determinata per
liberare i suoi giorni da ogni possibile ombra. Soprattutto alla vigilia di
importati appuntamenti internazionali (l'atteso incontro
con Obama, il G8 di luglio
a l'Aquila). Ma, ammesso che ci siano i margini tecnici per mettere in
sicurezza la reputazione del presidente del consiglio, nessuno oggi è in grado
di dire se non sia già troppo tardi. In questo dubbio, c'è tutta l'asprezza di
una crisi che deve ancora trovare il suo vero nome. (12 giugno 2009