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Report "Obama"   10-12 giugno 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

una liberal nominata da clinton può decidere la partita dell'auto - arturo zampaglione ( da "Repubblica, La" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il memorandum con cui la Casa Bianca di Barack Obama le ha chiesto lunedì mattina di avallare l´accordo specifica che la Chrysler perde già 100 milioni di dollari al giorno. E da lunedì 15 giugno la Fiat potrebbe in teoria rinunciare all´operazione (anche se Marchionne insiste di non volerlo fare).

cuba secondo casa america l'isola che attende obama ( da "Repubblica, La" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina XV - Genova Mondo Musica Cuba secondo Casa America L´isola che attende Obama Cresce il Conservatorio Una casetta in via Albaro

il pd: vendola, il nostro obama ( da "Repubblica, La" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il nostro Obama Ballottaggio a Bari. Michele: ora divertiamoci. Simeone: ero l´uomo giusto «Vendola può essere l´Obama di cui il Pd e l´Italia hanno bisogno». Dopo il successo europeo, il partito democratico fa la corte al governatore. «L´unico leader in grado di riconquistare gli elettori sia in Puglia che a livello nazionale».

il pd a vendola: "il nostro obama" - paolo russo ( da "Repubblica, La" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Bari Il Pd a Vendola: "Il nostro Obama" In campo Minervini. Il presidente: "Il cantiere della nuova Sinistra è aperto" La Regione Il partito sceglie un democratico della Margherita per esplorare le intenzioni di Nichi PAOLO RUSSO «Nichi Vendola adesso ha le carte in regola per essere l´Obama del Pd e di un´Italia migliore».

emiliano a un passo dalla gloria - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: assessore Minervini al vicepresidente Frisullo: porte aperte al compagno Nichita, "il nostro Obama", sono arrivati a dire nel partito democratico. I suoi voti, il suo carisma vanno spesi dentro una casa comune, per un obiettivo comune, le elezioni del 2010, tanto per cominciare. Forse è il momento di rompere gli indugi e costruire insieme una nuova sinistra.

Mentre si cammina verso lo stadio Heydar Nia, vicino alla vecchia ambasciata italiana, la folla anon... ( da "Stampa, La" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: gli occhiali e due strisce «verde Mousavi» disegnate sulle guance: «Se Obama è sincero cambierà il mondo». Fuori tema. Mojtaba è uno dei pochi cinquantunenni in questa festa della gioventù. Dice: «Il problema è la disoccupazione. In ogni famiglia ci sono uno o due senza lavoro. Come me per esempio». Il candidato ancora non arriva.

Obama: Stato palestinese nel 2011 ( da "Stampa, La" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: IN ATTESA CHE IL PREMIER ISRAELIANO DOMENICA ANNUNCI IL SUO PROGRAMMA Obama: Stato palestinese nel 2011 [FIRMA]ALDO BAQUIS TEL AVIV Due anni di lavorio diplomatico serrato per raggiungere nel 2011 il traguardo di uno Stato palestinese indipendente accanto allo Stato ebraico, finalmente sicuro ed in pace con i vicini.

La folla al comizio grida "morte al dittatore" e conta su Obama ( da "Stampa, La" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e conta su Obama Lo stadio è zeppo di ragazzi rigorosamente separati sul prato tra maschi e femmine Molte hanno il chador nero Ma si sente musica disco insieme a sure coraniche Conservatore moderato, fu premier popolare, ora è visto come l'uomo del cambiamento INVIATO A TEHERAN 01/01/1980 Abolhassan Bani Sadr Resta alla presidenza fino al 21 giugno 1981:

Arriva Gheddafi, Roma blindata ( da "Stampa, La" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: lunedì prossimo a Washington con Barack Obama, il vertice europeo del 18 e 19 a Bruxelles e il «G8» dell'8-9 luglio all'Aquila, che sarà lui a presiedere. A questi appuntamenti, ai quali arriva rafforzato almeno in parte dal voto ma indebolito dalle burrasche velino-famigliari, Berlusconi affida molte speranze: non ultima, la ricomposizione di un'immagine offuscata dal dilagare,

Le banche restituiscono 68 miliardi ( da "Stampa, La" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: sono tra le 10 banche americane che si preparano a restituire i fondi ricevuti come sostegno anticrisi attraverso il Troubled Asset Relief Program (Tarp), dopo che ieri l'amministrazione Obama ha dato il via libera al programma di riacquisto di azioni in mano al Tesoro Usa. In totale, gli istituti coinvolti riacquisteranno azioni proprie in mano al Tesoro per 68 miliardi di dollari.

New York accoglie un ex di Guantánamo ( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Amministrazione Obama si gioca la possibilità di tradurre in pratica, entro la scadenza promessa di fine d'anno, uno dei suoi impegni più complessi: la chiusura di Guantánamo. È arrivato ieri all'alba negli Stati Uniti, per esservi processato, il primo detenuto dalla prigione cubana, creata dopo l'11 settembre 2001 per i presunti terroristi islamici.

Fiat-Chrysler, sì della Corte Usa ( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama. Ieri i legali avevano presentato un'altra memoria, provando a sostenere che la stessa determinazione con la quale si muove il gruppo torinese dimostrerebbe che l'affare non è conveniente per l'azienda americana. Che, peraltro, è in bancarotta e in passato aveva tentato invano di stringere partnership con altri gruppi automobilistici.

Dieci big Usa restituiscono i fondi a Obama ( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: aziende nazionalizzate Dieci big Usa restituiscono i fondi a Obama Via libera al rimborso di 68 miliardi. Effetto: i manager evitano il tetto agli stipendi WASHINGTON - Il ministero del Tesoro ha autorizzato 10 grandi banche americane a rimborsargli circa 68 miliardi di dollari, una parte sostanziosa dei prestiti statali da loro ottenuti lo scorso autunno all' apice della crisi.

Le parole di Obama sul velo: un favore agli integralisti islamici ( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: parole di Obama sul velo: un favore agli integralisti islamici di CHRISTOPHER HITCHENS E siste un collegamento intrigante tra quanto detto dal presidente Barack Obama a proposito del velo delle donne musulmane nel suo discorso del 4 giugno al Cairo e le polemiche che infuriano sui prigionieri di Guantánamo, di recente liberati e tornati a ingrossare le file dei talebani e di Al Qaeda.

Sandy Cane, afroamericana, è l'Obama del Carroccio ( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Corriere della Sera sezione: PRIMA PAGINA data: 10/06/2009 - pag: 1 Le storie Sandy Cane, afroamericana, è l'Obama del Carroccio di ROBERTO ROTONDO A PAGINA 11

Nei quartieri sfonda il voto di protesta ( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: La replica: si crede Obama Nei quartieri «stranieri» sfonda il voto di protesta Lega e Idv volano in via Padova, consensi al Pd a Chinatown. Il Pdl vince nelle zone della movida Uno: «Lui vuole fare Obama. Ma non ci riesce ». L'altro: «Non pensi mica di avere i consensi che ha avuto sabato e domenica».

Podestà: sarò a Pontida Il mio avversario? Pensa di essere Obama ( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pensa di essere Obama «Lui vuole fare Obama, ma proprio non ci riesce». Se la ride, Guido Podestà, agli attacchi del presidente uscente della Provincia, Filippo Penati. Per il candidato del centrodestra non si parte da zero a zero, ma si riparte dal risultato elettorale.

Hariri: ( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente Barack Obama al Cairo ha fatto un discorso di apertura alla pace. E Israele cosa risponde? Rafforza le colonie nei territori occupati, nega il diritto dello Stato palestinese ». L'Italia è alla testa del contingente Unifil nel sud Libano. Pensa che dovrebbe fare di più?

Leghista di colore ( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la neoeletta pone nel suo Olimpo politico Barack Obama («Mi piacciono le sue idee») e Giulio Andreotti («Ha una cultura sterminata»). Dice di non avere alcun imbarazzo nel rapporto con i compagni di partito: «Anche i leghisti sono gente che viaggia, parla inglese, conosce il mondo». Il razzismo «I Lumbard?

Scrutini caos a Bari, Emiliano chiama gli avvocati ( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: incontrare Obama, aiutare l'Abruzzo, badare alla crisi economica...». La replica di Di Cagno Abbrescia: «I cittadini si sono resi conto delle promesse da marinaio del sindaco. Berlusconi qui? Non lo escludo ». Non si esclude niente, a Bari, città nella quale venti ore dopo l'apertura delle urne, non c'è ancora un risultato definitivo.>

Debora: ora tournée per convincere i delusi Il Pd? Pare Star Trek ( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Debora come Obama». In fondo anche lei ha sfondato con un discorso, è diventata famosa con il video su YouTube, è amichevole ma determinata. Grazie grazie a tutti, ma «resto con i piedi per terra». Ma anche no. C'è il Parlamento europeo, si prevedono zero vacanze perché praticamente tutte le Feste democratiche (insomma,

La Obama del Carroccio: ( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: afroamericana, è il nuovo sindaco di Viggiù La Obama del Carroccio: «I miei idoli? Bossi e Andreotti» VARESE Barack Obama, Umberto Bossi, Giulio Andreotti: sono i tre uomini politici preferiti di Sandy Cane, 48 anni, la prima «sindaca» afroamericana eletta in Italia, e per giunta sostenuta dalla Lega Nord;

Il primo sindaco nero da Obama a Bossi ( da "Stampaweb, La" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: italiana di Viggiù, pelle color Barack Obama e tessera della Lega in tasca, in tuta blu e pochette verde dietro la scrivania in noce, si allarga in un sorriso grande così: «E? chiaro che adesso utilizzano la mia immagine, ma io devo far capire bene che non sono solo una novità». Per incontrare il primo sindaco nero d?

Obama: Stato palestinese nel 2011 ( da "Stampaweb, La" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: obiettivo che il presidente americano Barack Obama ha appena illustrato ai dirigenti israeliani, palestinesi ed egiziani secondo quanto ha appreso l?influente quotidiano arabo a-Shark al-Awsat. Il trampolino di lancio di questa iniziativa, aggiungono fonti israeliane, potrebbe essere costituito da una nuova Conferenza di pace mediorientale, analoga a quella convocata a Madrid nel 1991.

Iran, i giovani pazzi per Mousavi "l'onesto" ( da "Stampaweb, La" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: gli occhiali e due strisce «verde Mousavi» disegnate sulle guance: «Se Obama è sincero cambierà il mondo». Fuori tema. Mojtaba è uno dei pochi cinquantunenni in questa festa della gioventù. Dice: «Il problema è la disoccupazione. In ogni famiglia ci sono uno o due senza lavoro. Come me per esempio». Il candidato ancora non arriva.

Editoria on line, Usa indagano su Google Obama in campo in difesa del copyright ( da "Repubblica.it" del 10-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama è scesa in campo per fare luce sulle attività di Google, visto fino ad oggi come una realtà privilegiata nei rapporti con il nuovo presidente: Obama usa il canale di YouTube (gruppo Google) per comunicare con gli americani, e l'amministratore delegato della società californiana, Eric Schmidt, è un consigliere personale del presidente.

Barack contro i negazionisti ( da "Stampa, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: A Buchenwald Barack contro i negazionisti Un chiaro messaggio contro i negazionisti dell'Olocausto era arrivato venerdì scorso dalla visita del presidente americano Barack Obama al campo di Buchenwald, in Germania. «Ancora oggi c'è chi afferma che l'Olocausto non è mai avvenuto. Dovrebbe visitare Buchenwald», aveva detto Obama.

Neonazi spara al museo della Shoah ( da "Stampa, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Olocausto fatto la scorsa settimana dal presidente Barack Obama nell'ex lager tedesco di Buchenwald è stata identificato dall'Fbi come un possibile movente del gesto, appena appurata l'identità dell'autore dell'aggressione. Si tratta di un «neonazista convinto», come detto da un portavoce della polizia di Washington, perché James von Brunn, classe 1920, figlio di immigrati austriaci,

"Con lui andremo in Paradiso" ( da "Stampa, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: di Obama: «Mitavonim Mishavad», noi possiamo, si può. Saranno in 400 mila. Se per Mousavi si erano mobilitati i giovani e la classe media, qui ci sono soprattutto i più poveri. Nei quattro anni di governo il Presidente ha usato generosamente i 250 miliardi di dollari di entrate petrolifere per favorire il suo elettorato tradizionale con una politica assistenziale,

Uno zar controllerà gli stipendi dei manager degli istituti salvati ( da "Stampa, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la decisione di Obama Uno zar controllerà gli stipendi dei manager degli istituti salvati Sarà un esperto nominato dall'Amministrazione del presidente Usa Barack Obama, Kenneth Feinberg, un noto avvocato di Washington, a decidere gli stipendi dei 175 manager dei sette grandi gruppi bancari ed industriali in crisi che hanno ricevuto aiuti dallo Stato per evitare il crac.

Come il porcello ( da "Stampa, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Imita Michelle Obama e sembra Madonna; imita il sindaco Moratti e dice: «Io non ho paura di niente: solo di finire la lacca». In stile Giacobbo si scoprono i misteri di Leonardo e della Monna Lisa: c'è una scritta esoterica sopra la roccia, indietro, sul paesaggio di sfondo, eccola.

Dal waterboarding all'isola felice ( da "Stampa, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: i detenuti che entro gennaio 2010 devono lasciare, sfrattati da Obama, le stanzette di Guantanamo con aria condizionata. I primi a essere liberati, i 17 cinesi musulmani della etnia degli uiguri, finiranno infatti nel paradisiaco arcipelago della Micronesia, nove isole abitate su 250, 750 kilometri a Est delle Filippine.

30 marzo Obama benedice l'alleanza Come condizione per erogare a Chrysler un finanziament... ( da "Stampa, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 30 marzo Obama benedice l'alleanza Come condizione per erogare a Chrysler un finanziamento pubblico di 6 miliardi di dollari il Presidente americano impone al colosso di Detroit in crisi di unirsi a Fiat, con le sue tecnologie per produrre auto più efficienti.

Giudici e legali per 48 ore di battaglia ( da "Stampa, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: operazione appoggiata dal presidente Barack Obama, di fatto un democratico come lei. Ma nel pomeriggio di lunedì arriva il colpo di scena, la Corte Suprema sospende la vendita accogliendo l'istanza presentata dai fondi dell'Indiana. Hanno fatto breccia le dichiarazioni di Richard Mourdock, il tesoriere dello Stato: «La battaglia è di principio,

Discorso ai dipendenti: meritocrazia e leadership, dovete sfidare l'ovvio ( da "Stampa, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama scommette sul successo della sfida delle auto piccole. «L'intesa raggiunta è un momento di orgoglio per Chrysler, l'alleanza con Fiat consente di uscire dalla bancarotta e di emergere come un'azienda automobilistica valida e competitiva» fa sapere un portavoce della Casa Bianca confermando l'elargizione del prestito da 4,

Pugno di ferro e guanto di velluto. Così la Fiat ha respinto l'assedio alla Corte Suprema ... ( da "Stampa, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: operazione appoggiata dal presidente Barack Obama, di fatto un democratico come lei. Ma nel pomeriggio di lunedì arriva il colpo di scena, la Corte Suprema sospende la vendita accogliendo l'istanza presentata dai fondi dell'Indiana. Hanno fatto breccia le dichiarazioni di Richard Mourdock, il tesoriere dello Stato: «La battaglia è di principio,

marchionne a capo di fiat-chrysler ( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina Via libera all´operazione, Obama soddisfatto Marchionne a capo di Fiat-Chrysler ROMA - Dopo il via libera della Corte suprema l´accordo tra Fiat e Chrysler è cosa fatta. A capo del nuovo gruppo sarà l´ad del Lingotto, Sergio Marchionne. Si punta su 23 nuovi manager per 4 marchi.

kenneth feinberg "zar degli stipendi" dei manager usa ( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dei manager Usa WASHINGTON - L´amministrazione Obama ha presentato le proposte di legge per regolare gli stipendi dei manager Usa. E intanto, ha nominato uno "zar degli stipendi", Kenneth Feinberg, che avrà il compito di determinare i compensi di 175 top manager in sette delle maggiori imprese del paese che hanno ricevuto aiuti pubblici.

collaborazione, non barricate - salvatore tropea ( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: nella direzione di quell´obiettivo sul quale Barack Obama ha impostato la strategia per la sopravvivenza di Chrysler e Gm. Dunque siamo di fronte a qualcosa di più che un tentativo di salvare dei siti produttivi. Proprio per questo la proposta di cui si è discusso ieri a Roma merita anche l´attenzione del governo.

"la mia techno? nasce dall'amore di dio" - fulvio paloscia ( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e so che con Obama questo accadrà». Ovviamente, «anche con l´aiuto di Dio». Oggi intanto il Muv ha in serbo altri assi della musica elettronica tra Italia e Europa: oltre ai nostrani Maggie Pie (21.30), dj tutta istinto, e Congorock (1), produttore e dj milanese con una sua solida fama negli Usa, arriveranno anche i Subs,

"divertimento e ricerca io donna li suono così" ( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: sono i coloured che negli Usa vanno incontro a pregiudizi incancellabili nonostante Obama. Agli americani non perdono ben altro: l´essere stati i burattinai del golpe di Pinochet». A New York «ho imparato a lavorare duro, perché così devi fare, laggiù, se vuoi sopravvivere»; a Berlino, dove vive adesso, «ho capito davvero cosa è la libertà: espressiva, di movimento.

regione, latorre benedice vendola leader "ma dovremmo aprire alla poli bortone" - lello parise ( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il nostro Obama»? «Vendola è un ottimo presidente di Regione e ha ottenuto un significativo successo personale alle europee...». Ma? «Nessun ma. Ripeto: per il momento dobbiamo concentrarci, tutti quanti, per conquistare cinque amministrazioni locali. Poi dovremo metterci al lavoro perché il centrosinistra in Puglia possa consolidarsi ed,

"lui in aula? nessuno scandalo rappresenta l'unione africana il discorso è un'occasione di pace" ( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: è un impegno per recuperare il dialogo con i paesi della sponda del Mediterraneo, dopo il discorso del presidente Obama al Cairo, francamente ci si dovrebbe preoccupare degli interessi generali del paese e guardare un po´ più in là piuttosto che privilegiare gli aspetti di cortile». Pd di nuovo diviso «Un esercizio purtroppo appassionante quello della divisione.

usa, nazista di 88 anni spara al museo della shoah - vittorio zucconi ( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama "rattristato" VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - Cercava il crepuscolo privato delle suoi divinità naziste, il vecchissimo Sigfrido americano di 88 anni che ieri ha invaso da solo il Museo della Shoah a Washington e ha cominciato a sparare, per finire il lavoro che Hitler, Himmler, Heydrich e i suoi eroi nella crociata contro la società multientica avevano lasciato incompiuto.

marchionne alla guida di fiat-chrysler - arturo zampaglione ( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: impegno del presidente Barack Obama (che ai tempi dell´università guidava una Fiat sgangherata), e in particolare del leader del suo team, Steven Rattner. «Ci siamo finalmente riusciti», ha detto ieri a Repubblica lo «zar» dell´auto, visibilmente soddisfatto per questa vittoria della Casa Bianca che avrà riflessi positivi anche sul dossier General Motors.

( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Dicono che lei sia la Michelle Obama dell'Islam. «Non sono Michelle, mi basta essere me stessa. Di certo ho grande stima di tutte le donne che, nel mondo, riescono ad avere un ruolo attivo nella società». Di solito, però, nei Paesi islamici alla donna viene chiesto di fare un passo indietro.

Svolta nell'auto Fiat conquista Chrysler negli Usa ( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione del presidente Barack Obama ». Lo aveva convinto con la «tecnologia verde» Fiat, non con il design italiano. Ora promette: «Costruiremo vetture che i consumatori vogliono». Ed è lui il primo ad aggiungere: «Sta a noi dimostrare che così sarà». Raffaella Polato Nel quartier generale della Chrysler Per il saluto ai dipendenti americani ad Auburn Hills,

Marchionne agli operai: vinceremo la grande sfida ( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama che si è esposto in prima persona fin dall'inizio, il sostegno finanziario garantito alla Chrysler anche rischiando una reazione irata dei contribuenti, la pressione sulle corti perché fosse evitato ogni intoppo di natura giudiziaria, i tre gradi di giudizio superati (forse anche con qualche forzatura) in poco più di una settimana,

Follia antisemita al Museo dell'Olocausto ( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il presidente Obama ha detto di essere «preoccupato e rattristato»: «E' un segno che ci ricorda come si debba sempre vigilare contro i pregiudizi». Secondo una prima ricostruzione, fatta dal capo della polizia di Washington, Cathy Lanier, Brunn avrebbe cominciato a sparare appena dentro l'edificio, prima cioè del controllo di sicurezza ai metal detector,

I big Usa ripuliscono il blasone ( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: miliardi di dollari provocando lo sdegno persino di Barack Obama? Facile, si cambia la «G» e si trasforma in A.I.U.. La strategia dei big della finanza anglosassone per uscire dalla crisi, ha scritto ieri l'Herald Tribune, passa anche per il maquillage di loghi e nomi «svalutati». La ripulitura, aggiunge il quotidiano, avviene con l'aiuto dei grandi nomi delle pubbliche relazioni.

Tetto allo stipendio per i 100 manager Usa delle aziende salvate dal governo ( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 06/2009 - pag: 33 La decisione di Obama Tetto allo stipendio per i 100 manager Usa delle aziende salvate dal governo WASHINGTON Il presidente Obama non fisserà un tetto ai megastipendi e premi dei grandi manager americani, ma vi porrà due paletti. Gli azionisti forniranno indicazioni su di essi, sia pure non vincolanti.

La faccia del potere ( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Sotto il titolo «Potere di carta» Colin raccoglie, stropiccia e rielabora una serie di manifesti elettorali (molti dedicati a Barack Obama) e pagine di giornale per proporre una riflessione sul ruolo dell'informazione e la responsabilità sociale della politica. La mostra prosegue fino al 30 giugno.

Floris: Nord e Sud? Ci serve un nuovo Garibaldi ( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: In Separati in patria auspica una svolta: «Non ci serve un Obama italiano, ci serve un nuovo Garibaldi. Che sappia rifare l'Italia, ma stavolta per bene». Ma l'identikit per ora non ha volto: «Il bello di Garibaldi è che non se lo immaginava nessuno. Sarà una persona capace di dare a tutti gli italiani la possibilità di farsi un futuro ».

Lombardo non cede Nuova giunta avanti contro la linea del Pdl ( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: INVIATO PALERMO Fra Gheddafi e Obama si restringe lo spazio per Raffaele Lombardo, il governatore in attesa di una convocazione da quando ha azzerato e rifatto la giunta siciliana. Berlusconi, diviso fra il premier libico e i preparativi per volare verso Washington, non è ancora riuscito ad occuparsi di questa spina, più pungente dopo la perdita secca di almeno 600 mila voti nell'

Dal waterboarding all'isola felice ( da "Stampaweb, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: i detenuti che entro gennaio 2010 devono lasciare, sfrattati da Obama, le stanzette di Guantanamo con aria condizionata. I primi a essere liberati, i 17 cinesi musulmani della etnia degli uiguri, finiranno infatti nel paradisiaco arcipelago della Micronesia, nove isole abitate su 250, 750 kilometri a Est delle Filippine.

Obama mette Google sotto inchiesta ( da "Stampaweb, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: WASHINGTON La lente di Obama sul mega piano di Google di trasferire milioni di libri online. Il Dipartimento di Giustizia Usa infatti ha inviato una nota formale al colosso di ricerca Internet informandolo che l?Antitrust stanno investigando sulla possibilità che l?

IE browser umanitario sfama l'America ( da "Stampaweb, La" del 11-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Mentre il presidente Obama lavora a piani di ripresa, anche dal mondo informatico arrivano esempi di solidarietà verso chi vive con particolare disagio questa fase economica. Microsoft ha, infatti, deciso di lanciare una campagna, in collaborazione con Feeding America, per fornire pasti gratuiti alle famiglie in difficoltà.

L'ex premier ha fatto capire che il ministro dell'Economia potrebbe guidare l'operazione ( da "Stampa, La" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Lo vedete Obama? Mentre lì, la risposta è stata accompagnata da una radicale svolta politico-culturale, col ritorno in campo della politica, qui da noi ha prevalso la paura. E purtroppo gli effetti negativi della crisi finanziaria non si sono scaricati ancora sull'economia reale.

Il cane Boh di Striscia scrive al Bo di Obama ( da "Stampa, La" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: LETTERA ALLA CASA BIANCA Il cane Boh di Striscia scrive al Bo di Obama «Hello my fellow dog friend, Bo!» (Ciao Bo, amico e fratello cane): comincia così, rigorosamente in inglese e su carta intestata, la lettera di Boh, il San Bernardo femmina, spalla di Michelle Hunziker a Striscia la notizia, al suo omonimo d'oltreoceano, quel «cao de agua» portoghese che scorazza alla Casa Bianca.

Quattrocento guerrieri per mettere in rotta i taleban in 36 mesi. È questa la scommessa del gen... ( da "Stampa, La" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: finale Kabul al fine di porre le basi per realizzare la nuova strategia del presidente Obama. Ciò che più conta per McChrystal sono gli uomini e le donne del proprio team e il capo del Pentagono Robert Gates gli ha dato un'autorizzazione senza precedenti: può reclutare e portare con sé i 400 migliori ufficiali e soldati presenti nei ranghi delle intere forze armate degli Stati Uniti.

il partito dei pirati online alla conquista di strasburgo - stoccolma ( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: E non solo come gruppo politico che si organizza, comunica e raccoglie fondi online («Roba superata, Obama è già storia»). No, proprio un partito vero, con sezioni, programmi e tesorieri. ALLE PAGINE 39, 40 E 41 CON UN ARTICOLO DI JAIME D´ALESSANDRO

"quando ci dicevano fate auto scadenti" - sergio marchionne* ( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: incluso il presidente Obama e la sua task force sull´automobile, Chrysler è ora una società più concentrata e agile, che beneficerà in grande misura della nuova alleanza strategica globale con Fiat... Per queste ragioni, oggi è un giorno di ottimismo. I veicoli Chrysler, Jeep e Dodge torneranno a essere sfornate dai nostri impianti,

se obama saluta in arabo - tahar ben jelloun ( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 37 - Commenti SE OBAMA SALUTA IN ARABO TAHAR BEN JELLOUN Poco prima di rendere l´anima, il Profeta Maometto raccomandò ai suoi compagni di salutare chiunque incontrassero sul loro cammino con le parole «assalam allikum» (letteralmente: la pace sia con voi): un saluto che è una premessa al paradiso.

stelle rock vecchie e nuove e la woodstock all'italiana - fulvio paloscia ( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: America da Luther King a Obama, il 17 arriverà il fumettista Gilbert Shelton, inventore dei Freak Brothers, autentico guru della controcultura americana mentre il 18 Gino Castaldo presenterà Il tempo di Woodstock, scritto con Ernesto Assante. Confermato il cast degli headliner allo stadio, il main stage, che vedrà il ritorno di Placebo (17/7,

vendola suona la carica per emiliano "e ora adriana vada fino in fondo" - lello parise ( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il Pd nel frattempo corteggia Vendola: «E´ il nostro Obama». «La questione non è dove finisco io. C´è la necessità di organizzare un´iniziativa larga per mobilitare le coscienze: in Italia manca l´ossigeno perché ci manca la sinistra, l´unica in grado di dare visibilità ad un pezzo di mondo cancellato dalla scena pubblica».

l'ultima carta di ahmadinejad "sono io il paladino dei più poveri" - vanna vannuccini ( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e che non «schiudere il pugno» alla mano tesa da Obama potrebbe significare un altro lungo periodo di isolamento internazionale e forse peggio. I tre rivali di Ahmadinejad promettono il dialogo, ma tutti sono consapevoli che chiunque venga eletto, l´ultima parola spetta a Khamenei, anche nella politica internazionale.

escalation taliban, attacco ai parà tre italiani feriti, uno è grave - alberto mattone ( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il presidente Barack Obama ha dato carta bianca al nuovo comandante delle truppe Usa in Afghanistan. Stanley McChrystal darà vita a un "dream team" di esperti di guerra per preparare una strategia più efficace. L´ultima imboscata dei Taliban agli italiani è avvenuta ieri mattina, durante un´operazione di pattugliamento congiunto tra le forze afgane e i paracadutisti della Folgore.

perché la storia di quelle foto cambia il registro di una crisi - (segue dalla prima pagina) giuseppe d'avanzo ( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: La vicenda può minare la credibilità del Paese alla vigilia dell´incontro con Obama e del G8 Perché la storia di quelle foto cambia il registro di una crisi (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) GIUSEPPE D´AVANZO è più responsabile parlare - per dirlo in modo chiaro - di una crisi della sicurezza nazionale. Può essere questo il nuovo e allarmante approdo di un affare che, in modo bizzarro,

"non una confluenza nel pse ma passo storico per l'unità" - andrea bonananni ( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ha dato il segnale: la globalizzazione richiede una progressiva cessione di sovranità. Per ora il processo è a livello di collaborazione tra governi. Poi arriverà alle forze politiche. Già ora i socialisti tedeschi, i democratici americani, quelli italiani, Lula o il Partito del Congresso indiano sui grandi temi della globalizzazione condividono le stesse idee.

dalla battaglia per internet libero agli scranni di strasburgo. ecco chi sono e cosa vogliono gli hacker svedesi che hanno stupito l'europa - anais ginori ( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama è già storia»). No, proprio un partito vero, con sezioni, programmi e tesorieri, che si occupa esclusivamente dell´universo del web, di "accesso all´informazione e alle tecnologie". Il capo del Piratpartiet è lui, Christian. Il capo dei Pirati, così lo chiamano tutti, e si vede subito che la definizione non gli dispiace.

Gheddafi parla ai senatori e accusa l'America ( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: tenere la scena come in Occidente la tiene Barack Obama e che non ha fatto distinzioni tra il linguaggio impiegato davanti agli studenti o ai senatori. Fino alla pirotecnia serale, quando dal balcone del Campidoglio ha dichiarato che la rinforzata amicizia con l'Italia consentirebbe di candidare «l'amico Silvio Berlusconi » alla guida del governo libico e se stesso a imperatore d'

, ironia del premier ( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: incontro con Obama ROMA Le ventidue cartelle del discorso ha deciso di lasciarle agli atti del convegno. Perché il Cavaliere non aveva molta voglia di parlare ieri mattina all'appuntamento con l'assemblea di Confartigianato. E così, in sette minuti di discorso, ha ridotto al minimo i contenuti, ma ha comunque centrato il suo intervento sulla «

( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Uno di loro ha adottato una campagna in stile Obama, tutta sms e Internet. A Tabriz la moglie di un candidato è salita sul palco con il piglio di una Michelle Obama. Eppure è sempre il Paese dell'hijab obbligatorio». Ma la democrazia o è rispettata o non lo è. «Certo, ma solo se si pensa a un modello politico definito.

( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Studia da Obama, ma parlerà da Netanyahu: il discorso che il premier israeliano si prepara a tenere domenica sera dall'università telavivi di Bar Ilan risposta a quello del presidente Usa dall'ateneo cairota , la feroce vignettista Daniella lo prevede così.

Tetto anche per lo stipendio di Marchionne ( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama. La casa automobilistica rientra infatti fra i gruppi che sono stati «salvati» grazie all'iniezione di denaro pubblico. E per questo ai bonus per i loro manager verrà imposto un limite massimo. Oltre a Chrysler (e al suo braccio finanziario Chrysler Finance) la lista comprende General Motors (e Gmac),

( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: altroieri la Casa Bianca di Barack Obama con le nuove misure per controllare le maxiretribuzioni, è quello che gli inglesi chiamano il «say on pay»: il parere dato dall'assemblea degli azionisti sui pacchetti retributivi dei piani più alti dell'azienda. E di questo ha parlato ieri Carney: «L'Europa è davanti agli Stati Uniti ha detto ,

La speranza nelle notti di Teheran ( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ma è sicuramente vero che Obama, con le sue aperture, ha messo in difficoltà perfino il coriaceo regime di Teheran. E in questo quadro, i margini per avviare processi di cambiamento sono sicuramente più ampi. Il compito della diplomazia internazionale è oggi comunque quello di salvare l'Iran, qualunque sia il risultato delle elezioni.

Energia pulita, via agli incentivi Subito boom di richieste ( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Una strada che negli Usa sta indicando con decisione il presidente Barack Obama che punta moltissimo sulla green economy. Discorso diverso per i privati. A Milano, secondo le ultime stime, solo l'uno per cento ha approfittato degli incentivi statali per il fotovoltaico. Un interesse tiepido legato, però, ai troppi intralci burocratici che frenano i cittadini nel fare questa scelta.

Perché la storia di quelle foto cambia il registro di una crisi ( da "Repubblica.it" del 12-06-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: atteso incontro con Obama, il G8 di luglio a l'Aquila). Ma, ammesso che ci siano i margini tecnici per mettere in sicurezza la reputazione del presidente del consiglio, nessuno oggi è in grado di dire se non sia già troppo tardi. In questo dubbio, c'è tutta l'asprezza di una crisi che deve ancora trovare il suo vero nome.


Articoli

una liberal nominata da clinton può decidere la partita dell'auto - arturo zampaglione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 22 - Economia Il giudice Ruth Ginsberg è da sedici anni alla Corte Suprema Una liberal nominata da Clinton può decidere la partita dell´auto ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - Il destino dell´accordo Chrysler-Fiat è nelle mani di Ruth Bader Ginsberg, 77 anni, di cui gli ultimi sedici trascorsi alla Corte Suprema degli Stati Uniti in cui si è sempre distinta per le sue posizioni liberal e il temperamento combattivo. E´ stata lei, Ginsberg, che ha la competenza sulla corte d´appello di New York, a imporre lunedì notte una battuta d´arresto al piano per il passaggio della parte sana della vecchia Chrysler a un nuovo gruppo guidato da Sergio Marchionne. Ed è sempre lei a dover prendere nelle prossime ore una decisione sul futuro della casa automobilistica americana, che, senza la partnership con la Fiat, rischia di sparire per sempre. Il tempo stringe, e la Ginsberg lo sa bene. Il memorandum con cui la Casa Bianca di Barack Obama le ha chiesto lunedì mattina di avallare l´accordo specifica che la Chrysler perde già 100 milioni di dollari al giorno. E da lunedì 15 giugno la Fiat potrebbe in teoria rinunciare all´operazione (anche se Marchionne insiste di non volerlo fare). Perché allora temporeggiare? La realtà è che la Ginsberg ha di fronte tre scelte, tutte delicate: 1) respingere il ricorso presentato da tre fondi pensione dell´Indiana che contestano la costituzionalità del piano per la Chrysler; 2) fissare una udienza per esaminare il caso, magari con tempi accelerati; 3) chiedere agli altri otto giudici della Corte Suprema - che ha da tempo una maggioranza di destra - di pronunciarsi al riguardo. Ognuna di queste strade rischia di avere conseguenze profonde non solo sul piano economico ma anche di natura costituzionale. Di qui la prudenza della Ginsberg che, investita del caso durante il week-end, vuole studiare meglio il problema. Anche perché il ricorso dei tre fondi pensione (agenti di polizia, insegnati e trasportatori), non è affatto privo di meriti. Questo approccio cauto è tipico della Ginsberg, che non ha mai permesso né alle passioni ideologiche né allo stato di salute (ha avuto due cancri) di interferire con le sue responsabilità alla Corte Suprema, dove ha sempre mantenuto ferma la sua autonomia di giudizio e dove fu nominata da Bill Clinton nel 1993, diventando la seconda donna-giudice dopo Sandra O´Connor e la prima di religione ebraica. Nata a Brooklyn nel 1933, laureatasi all´università di Cornell, specializzatasi in legge ad Harvard, la Ginsberg ha sempre intrecciato, prima di andare a Washington, gli studi giuridici con l´attività sul campo. Ha insegnato alla Columbia, a Rutgers, a Stanford. Fino al 1978 ha difeso vari casi presso la corte suprema, concentrandosi soprattutto su problemi di pari opportunità. Nel 1980 fu nominata giudice della corte d´appello da Jimmy Carter e un decennio più tardi entrò alla corte suprema - un incarico a vita - ricevendo un voto di ratifica quasi unanime del Senato (97 contro 3).

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cuba secondo casa america l'isola che attende obama (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina XV - Genova Mondo Musica Cuba secondo Casa America L´isola che attende Obama Cresce il Conservatorio Una casetta in via Albaro

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il pd: vendola, il nostro obama (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina I - Bari L´assessore Minervini rilancia un´alleanza con la formazione del suo presidente: "Abbiamo aperto il cantiere della nuova sinistra" Il Pd: Vendola, il nostro Obama Ballottaggio a Bari. Michele: ora divertiamoci. Simeone: ero l´uomo giusto «Vendola può essere l´Obama di cui il Pd e l´Italia hanno bisogno». Dopo il successo europeo, il partito democratico fa la corte al governatore. «L´unico leader in grado di riconquistare gli elettori sia in Puglia che a livello nazionale». E´ stato l´assessore Minervini a tramutare in proposta le lusinghe arrivate a Vendola dai vertici nazionali dei democratici. Prima però ci sono da affrontare ballottaggi pesanti. A Bari è già ripresa la campagna elettorale: tra Emiliano e Di Cagno Abbrescia è caccia all´ultimo voto. DA PAGINA II A PAGINA VI

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il pd a vendola: "il nostro obama" - paolo russo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina VI - Bari Il Pd a Vendola: "Il nostro Obama" In campo Minervini. Il presidente: "Il cantiere della nuova Sinistra è aperto" La Regione Il partito sceglie un democratico della Margherita per esplorare le intenzioni di Nichi PAOLO RUSSO «Nichi Vendola adesso ha le carte in regola per essere l´Obama del Pd e di un´Italia migliore». Mentre da Foggia a Lecce si contano i voti e al consiglio regionale comincia il grande valzer delle poltrone, l´exploit del presidente della Regione si impone come il vero tema politico di questa tornata elettorale. A lanciare la sfida di Vendola leader del Partito democratico e della nuova sinistra italiana non è propriamente un compagno comunista. Ma Guglielmo Minervini, democratico della Margherita, non ne fa una questione di vecchie ideologie, ma di nuove idee. «Nichi ha in mano intuizioni che sanno interpretare i bisogni profondi della società». E del Partito democratico. «Il 26 per cento dice che il Pd sopravvive, ma ci sono ancora troppe potenzialità inespresse - spiega Minervini - Vendola è l´unico leader di caratura nazionale in grado di indicare il profilo di una proposta politica in grado di rilanciare il partito e conquistare la fiducia dei nostri elettori». E a chi disprezza il presidente con l´orecchino, definendolo un "poeta del nulla", l´assessore regionale replica preventivamente: «La forza delle sue idee sta anche in questi anni di governo. La Puglia non più solo come laboratorio politico italiano, ma come fucina di progetti realizzati ed esportabili su scala nazionale, dall´economia pulita all´accoglienza degli immigrati. è questa la nuova immagine del Sud che funziona che si può contrapporre al Nord impaurito e dominato dalla Lega e da Berlusconi». Il governatore pugliese ha già risposto alle lusinghe arrivate dal Pd nazionale, con un comunicato ufficiale. «Col nostro 3,1 per cento abbiamo inaugurato il cantiere della nuova sinistra italiana. Noi, quel cantiere, non lo chiuderemo«, ha scritto Vendola, forte di aver incassato la conferma ufficiosa anche per le prossime Regionali. Ma a meno di un anno dalla fine di questa legislatura, in via Capruzzi sta per cominciare un grande giro di poltrone. Sono almeno quattro gli scranni del consiglio regionale che stanno per cambiare inquilino. Ma in palio ci sono anche la presidenza di un gruppo consiliare e la guida della commissione Bilancio. A liberare l´ambita poltrona sarà Vittorio Potì dei Socialisti autonomisti. Uno dei veterani del parlamentino pugliese ha scelto di chiudere la sua carriera da dove era cominciata quarant´anni fa. Il consigliere regionale è diventato sindaco del suo paese, Melendugno, e ha conquistato anche un posto nel nuovo consiglio provinciale di Lecce. «A questo punto mi manca solo l´Europa», ha scherzato Potì che lascerà il suo posto alla Regione al primo dei non eletti della lista Primavera Puglia, Aurelio Gianfreda, assessore uscente alla Provincia di Lecce. Lo svuotamento dei socialisti autonomisti dovrebbe completarsi a fine luglio quando per l´ex assessore alla Salute, Alberto Tedesco, si apriranno le porte di Palazzo Madama. Primo dei non eletti per il Pd al Senato, Tedesco prenderà la poltrona di Paolo De Castro, in partenza per Strasburgo. Al suo posto, in consiglio regionale esordirà Domenico Caputo che, in un colpo solo, potrebbe diventare anche capogruppo dei Socialisti autonomisti. Cambi in vista anche nel centrodestra dopo l´affermazione alle Europee di Sergio Silvestris e Raffaele Baldassarre. Sergio Tedeschi, comandante dei carabinieri del nucleo radiomobile di Trani, prenderà il posto del farmacista di An. Aldo Aloisi subentrerà a Baldassarre. Ma il Pdl potrebbe cambiare ancora squadra dopo il ballottaggio. Enrico Santaniello è ancora in corsa per il Comune di Foggia.

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emiliano a un passo dalla gloria - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina VII - Bari EMILIANO A UN PASSO DALLA GLORIA (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) (segue dalla prima di cronaca) Neanche porta a porta, ma quasi a "uomo", come si direbbe in termini calcistici. Efficace come pochi nel corpo a corpo con l´avversario, l´ex pm ha costretto Simeone a una campagna in difesa, sempre trincerato dietro qualcun altro, il Fitto o il Berlusconi di turno. In queste due settimane Pdl e company non si risparmieranno, giocheranno tutte le carte. Ora o mai più: si parla dell´arrivo, di nuovo, del premier, il quale ormai è considerato come il Messia, capace di miracoli. Un esempio? L´elezione di Barbara Matera, la bionda annunciatrice famosa finora per i comizi più brevi della storia repubblicana (qualche secondo) ma forte in Puglia di oltre 40 mila preferenze. Ecco, insieme al ritorno di Mastella e De Mita, che rappresentano la prima Repubblica, la signorina di Lucera si aggiudica la palma del peggio visto in queste elezioni nella categoria new entry. Ovviamente il peggio è da riferirsi ai criteri di selezione (faceva parte della schiera delle cosiddette veline del presidente) e non certo alle sue capacità, che restano un mistero per la maggior parte dei comuni mortali. La Matera è una miracolata, appunto, non una sorpresa. La novità, in Puglia, è il successo personale di Nichi Vendola (e dell´Italia dei valori). Dal Pd sono giunti al Governatore diversi segnali, che più espliciti non si può: dalla Melandri a Soro, dall´assessore Minervini al vicepresidente Frisullo: porte aperte al compagno Nichita, "il nostro Obama", sono arrivati a dire nel partito democratico. I suoi voti, il suo carisma vanno spesi dentro una casa comune, per un obiettivo comune, le elezioni del 2010, tanto per cominciare. Forse è il momento di rompere gli indugi e costruire insieme una nuova sinistra. è vero, qualche nemico dichiarato nel Pd ce l´ha ancora, ma dopo queste elezioni gli amici di Nichi sono diventati molti di più.

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Mentre si cammina verso lo stadio Heydar Nia, vicino alla vecchia ambasciata italiana, la folla anon... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Mentre si cammina verso lo stadio Heydar Nia, vicino alla vecchia ambasciata italiana, la folla anonima che sformicola per le ampie strade di Teheran comincia ad assumere un volto fatto di colori suoni e movimenti. Lentamente migliaia di macchie monocromatiche si fondono in un enorme serpente smeraldino che urla slogan e cresce fino a occupare il marciapiede a perdita d'occhio. Guardando più da vicino, la creatura nata nella strada torna a trasformarsi nei sorrisi della fiumana di giovani che sfoggiano il verde della campagna elettorale di Mir Hossein Mousavi, il candidato pronto a battere Ahmadinejad nelle presidenziali di venerdì in Iran. I ragazzi vanno a sentirlo, è atteso allo stadio con la moglie e l'ex presidente riformista Khatami. Su un corso laterale è appeso il gigantesco manifesto del presidente. Con il solito sguardo obliquo, è seduto e tiene in mano biro e taccuino. Come dire: mi appunto i vostri suggerimenti. I consigli urlati dalle ragazze che passano come erinni sotto il cartellone, col velo scivolato fino alla nuca, le ciocche di capelli volanti, spegnerebbero il sorriso al vero Ahmadinejad. Dei 46 milioni di persone che hanno diritto al voto, più della metà sono giovani. Tra questa gente in marcia più dell'80% ha meno di 30 anni. Un irrefrenabile impulso di liberazione, percepibile quasi fisicamente, li spinge a sostenere un conservatore illuminato piuttosto che lo scialbo Karroubi, che teoricamente è un vero riformista. Con la sua timidezza, la mancanza di carisma, la voce flebile Mousavi a 68 anni è diventato l'anti-Ahmadinejad. Il presidente è un animale politico che all'istinto non ha saputo aggiungere l'intelligenza. Studi di architettura in Inghilterra, un volto che ricorda Alec Guinness quando faceva Obi-Wan Kenobi, tranne che per il ciuffo bianco, Mousavi è un vecchio protagonista della politica iraniana anche se apparentemente manca dalle scene da una ventina d'anni. Negli infernali Anni 80 della guerra contro l'Iraq fu un primo ministro amato dal popolo per il suo tentativo poi fallito di introdurre un sistema di cooperative per arginare lo strapotere del bazaar. Allora l'attuale Guida Suprema e successore di Khomeini, Ali Khamenei, era presidente e l'attuale candidato conservatore Moshen Rezai comandava i pasdaran. Mousavi è azero, cioè di origini turche. Una sua vittoria segnerebbe la prima volta di un non persiano alla presidenza. Lui si definisce una via di mezzo tra i riformisti e «principisti», che si rifanno agli ideali della rivoluzione khomeinista. Non un centrista, ma sia di destra che di sinistra. Un equilibrio difficile nella pratica. Dice di sé: «Non mi considero separato dal movimento riformista. Non mi considero separato da un buon principismo. Penso che la società possa essere sia riformista sia principista». Sottigliezze politiche che a Nasrin, 25 anni, occhi verdi, velo grigio sui capelli biondi, spolverino fasciante marrone, rossetto sgargiante, trucco marcato, non interessano. Smitraglia il palco dello stadio con una Canon digitale dall'obiettivo esagerato. Dice: «Mousavi è la speranza di una società meno brutale, più gentile, meno ignorante». Non è difficile capire a chi si sta riferendo. Sullo zaino ha un badge con un volto che subito somiglia a Lou Reed ma poi si rivela essere il poeta iraniano Ahmad Shanlu. Ritmi disco si alternano a canzoni della rivoluzione islamica. Sugli spalti e sul prato donne e uomini si dimenano rigorosamente separati. E' una platea stereofonica: a destra le grida femminili acute, a sinistra quelle più basse maschili. La calca non lascia respiro, la gente che non è riuscita a riversarsi sul campo, occupa le strade e i cavalcavia intorno. Ci saranno 50 mila persone. Khatami ha dato forfait, dicono gli organizzatori. Soha, 23 anni, alta e magra, fasciatissima nel vestito a norma di legge, azzarda: «La gente che vota Ahmadinejad è prigioniera dell'ignoranza. Voto Mousavi anche perché dietro ogni grande uomo c'è una grande donna». Allude alla moglie, Zahra Rahnavard, che Ahmadinejad, nel suo mondo al contrario, ha insultato perché troppo istruita. Zahra è stata a lungo preside dell'università Alzahra di Teheran. Nella zona maschile, Mostafa, 23 anni, è furioso: «Vincerà lui al ballottaggio. Si occuperà dei giovani e caccerà gli incompetenti. Basta con la corruzione». Nei dibattiti tv torna come un tormentone il miliardo di dollari spariti dai conti dello Stato. S'intromette Behnan, 22 anni, alto, gli occhiali e due strisce «verde Mousavi» disegnate sulle guance: «Se Obama è sincero cambierà il mondo». Fuori tema. Mojtaba è uno dei pochi cinquantunenni in questa festa della gioventù. Dice: «Il problema è la disoccupazione. In ogni famiglia ci sono uno o due senza lavoro. Come me per esempio». Il candidato ancora non arriva. Parte un coro: «Era primo ministro con l'Imam e lo è ancora adesso», un tentativo di far cadere la benedizione di Khomeini sulla testa del loro prediletto. Attacca l'inno, tutti in piedi e poi un tale salmodia una sura del Corano. Ma dov'è Mousavi? Sul prato ci sono molte ragazze con il chador nero integrale, eppure portano appese le loro festucce verdi. Dopo una salva di interventi declamati come fossero poesie, arriva finalmente Zahra. Boato assordante che non finisce. Porta una sciarpa verde sul chador nero, sotto si scorge una mantella blu. Non cerca il compromesso: «Quando mio marito sarà presidente, ci saranno grandi cambiamenti». Si leva subito sfrenato un coro: «Marg bar dictator», morte al dittatore. Sempre lui. Zahra accusa le autorità di boicottare la campagna del marito. «Se ci davano un posto decente non dovevamo ammassarci qui dentro», urla tra gli applausi. Intorno al piccolo stadio s'è formata una tale marea umana che alla fine lo stesso Mousavi non riuscirà ad arrivare. Bloccato dalla stessa folla che si era radunata per sentirlo. Ma che importa, nessuno è deluso, ormai basta il suo solo nome per aprire i cuori delle masse giovanili. In fondo qualcuno dovrebbe ringraziare il povero Ahmadinejad.

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Obama: Stato palestinese nel 2011 (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

IN ATTESA CHE IL PREMIER ISRAELIANO DOMENICA ANNUNCI IL SUO PROGRAMMA Obama: Stato palestinese nel 2011 [FIRMA]ALDO BAQUIS TEL AVIV Due anni di lavorio diplomatico serrato per raggiungere nel 2011 il traguardo di uno Stato palestinese indipendente accanto allo Stato ebraico, finalmente sicuro ed in pace con i vicini. Questo l'obiettivo che il presidente americano Barack Obama ha appena illustrato ai dirigenti israeliani, palestinesi ed egiziani secondo quanto ha appreso l'influente quotidiano arabo a-Shark al-Awsat. Il trampolino di lancio di questa iniziativa, aggiungono fonti israeliane, potrebbe essere costituito da una nuova Conferenza di pace mediorientale, analoga a quella convocata a Madrid nel 1991. Nella nottata di lunedì Obama ha conversato a lungo, per telefono, con Benyamin Netanyahu. Era stato il premier israeliano a prendere l'iniziativa, per anticipargli a grandi linee il contenuto di un intervento politico (fissato per domenica) in cui esporrà per la prima volta in forma dettagliata gli obiettivi del suo governo. «Lo ascolterò con interesse» ha assicurato Obama che si attende in particolare dal leader del Likud un impegno a sostenere la formula dei «Due Stati per i due popoli» e a congelare ogni attività edile nelle colonie della Cisgiordania. Netanyahu, dicono i suoi consiglieri, sta ancora lavorando al discorso e si consulta fra l'altro con uno degli ideologi del Likud, il ministro Beny Begin, figlio dell'ex premier Menachem Begin. A quanto pare, ribadirà che Israele resta vincolato dalla Road Map, il tracciato di pace del 2003. Eppure il discorso di Obama al Cairo desta inquietudine a Gerusalemme: il timore è che Washington abbia deciso di «sacrificare» in parte i legami con Israele per guadagnare nel mondo arabo i punti perduti dalla amministrazione Bush. «Il nostro impegno verso Israele è indistruttibile» ha dunque ribadito ieri a Gerusalemme l'emissario di Obama George Mitchell, leggendo un testo ben calibrato preparato per tempo. «Le nostre sono divergenze di opinioni fra stretti alleati ed amici, non fra avversari». Ma quando si sono spente le telecamere, Mitchell è tornato a dire a Netanyahu, a Shimon Peres e ad Ehud Barak che la costruzione delle colonie rappresenta per gli Usa una dolorosa spina nel fianco, che deve essere rimossa. Alla Knesset il consenso quasi generale è che non è possibile imporre un «congelamento» totale nelle colonie perché non può essere ignorato il normale incremento demografico. Ma dati recenti rivelano che negli anni 2006-9, durante il governo Kadima, il numero dei coloni è cresciuto impetuosamente da 250 a 300 mila (ossia del 20%), e che alla fine del 2008 in Cisgiordania erano in fase di costruzione migliaia di nuove case. La seconda questione che la diplomazia statunitense deve seguire con grande attenzione è quella delle lacerazioni fra i palestinesi stessi. Ieri a Ramallah - alla vigilia di una nuova visita di Mitchell - il convoglio presidenziale è stato centrato da un'auto in corsa e nei primi momenti si è temuto un attentato ad Abu Mazen, che invece si trovava altrove.[FIRMA]GIORDANO STABILE Doveva essere la replica del devastante attentato dell'hotel Marriott a Islamabad lo scorso settembre, o addirittura dell'assalto al Tahal Mahal di Mumbai a novembre. Terroristi islamici, legati ai taleban, hanno attaccato ieri sera, con due auto imbottite di esplosivo, un hotel a 5 stelle nel centro di Peshawar, a poche decine di chilometri dal fronte dove l'esercito combatte gli islamisti e dove sempre ieri il quartier generale del leader talebano, il Maulana Fazlullah, è stato fatto saltare in aria dai militari. L'assalto è riuscito solo in parte, per la decisa reazione degli agenti di guardia all'albergo. Solo uno dei due pick-up alla fine è esploso. Ma il bilancio è comunque pesante: undici morti, compresi due funzionari dell'Onu, un tedesco e un britannico, oltre sessanta feriti. Nella notte le squadre dei soccorritori erano ancora al lavoro nell'edificio devastato, con un piano che continuava a bruciare, mentre, secondo alcuni testimoni, molte persone erano chiuse nelle stanze. Gli assalitori volevano probabilmente penetrare nell'hotel con le armi in pugno prima di fare esplodere le bombe. Hanno cercato di forzare il check-point davanti all'albergo sparando e lanciando granate sugli agenti di guardia, schierato dietro le barriere di protezione. Sono stati respinti, hanno deviato la corsa verso una moschea adiacente all'albergo e poi hanno fatto esplodere una delle auto. La deflagrazione (mezza tonnellata di tritolo) è stata così potente che la zona è rimasta senza energia elettrica. I vetri delle finestre sono andati in frantumi fino a 200 metri di distanza. Al Pearl Continental, il miglior albergo della città, alloggiavano un senatore, Haji Jamshed, e due ministri del governo provinciale Nabi Bangash e Rashid Khan, rimasti feriti leggermente e probabili obiettivi degli islamisti. Anche perché le autorità locali, da sempre tolleranti con gli estremisti, si sono allineate nelle ultime settimane al nuovo corso del presidente Asif Ali Zardari e stanno collaborando all'arresto dei fondamentalisti islamici, anche in quelli che una volta erano santuari sicuri.

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La folla al comizio grida "morte al dittatore" e conta su Obama (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Reportage I candidati Mahmoud Ahmadinejad Hossein Mousavi Moshen Rezai Mehdi Karroubi Tutti i presidenti I SEGUACI I SIMBOLI IL NUOVO IDOLO CLAUDIO GALLO Ahmadinejad I manifestanti insultano il ritratto del presidente attuale e dicono che venerdì voteranno un leader «gentile» Zahra La moglie dello sfidante dal palco promette: «Mio marito porterà grandi trasformazioni» e tutti applaudono Presidente in carica, appoggiato dalla guida suprema Ali Khamenei, guida il fronte dei conservatori Ex primo ministro sotto l'ayatollah Ali Khamenei, è un moderato che ha gestito bene l'economia Ex capo delle Guardie rivoluzionarie, conservatore duro e puro, si pone a destra di Ahmadinejad Riformista, sulla linea di Khatami, l'ex portavoce del Parlamento è l'unico religioso dei quattro in lizza La folla al comizio grida "morte al dittatore" e conta su Obama Lo stadio è zeppo di ragazzi rigorosamente separati sul prato tra maschi e femmine Molte hanno il chador nero Ma si sente musica disco insieme a sure coraniche Conservatore moderato, fu premier popolare, ora è visto come l'uomo del cambiamento INVIATO A TEHERAN 01/01/1980 Abolhassan Bani Sadr Resta alla presidenza fino al 21 giugno 1981: per gli attriti con Khomeini, viene destituito dal Parlamento e fugge in Francia. 24/07/1981 Mohammad Ali Rejai Il secondo presidente resta in carica poche settimane: il 30 agosto muore in un attentato dinamitardo assieme al premier Javad Bahonar. 02/10/1981 Ali Khamenei L'attuale Guida suprema viene rieletto nell'agosto del 1985. 03/08/1989 Akbar Hashemi Rafsanjani Anche per lui due mandati. Viene rieletto nel 1993. 03/08/1997 Mohammad Khatami Il riformista Khatami resta in carica due mandati. 03/08/2005 Mahmoud Ahmadinejad L'ultraconservatore sconfigge al ballottaggio Rafsanjani.

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Arriva Gheddafi, Roma blindata (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Arriva Gheddafi, Roma blindata [FIRMA]EMANUELE NOVAZIO ROMA Quando, alle 11 di stamane, Silvio Berlusconi accoglierà Mouammar Gheddafi all'aeroporto di Ciampino, il capo del governo calerà il sipario sulle tempeste elettorali e avvierà ufficialmente un capitolo internazionale denso di attese: la visita del leader libico precede l'incontro di lunedì prossimo a Washington con Barack Obama, il vertice europeo del 18 e 19 a Bruxelles e il «G8» dell'8-9 luglio all'Aquila, che sarà lui a presiedere. A questi appuntamenti, ai quali arriva rafforzato almeno in parte dal voto ma indebolito dalle burrasche velino-famigliari, Berlusconi affida molte speranze: non ultima, la ricomposizione di un'immagine offuscata dal dilagare, sui media europei e americani, di giudizi severi su un comportamento giudicato nel migliore dei casi disinvolto. In questa cornice la tre giorni italiana del Colonnello libico - che proprio quest'anno festeggia 40 anni di potere - offre almeno quattro opportunità di rilievo, al presidente del Consiglio, per recuperare autorevolezza e smalto. Gli permette, intanto, di rivendicare un importante risultato della politica estera italiana: la riabilitazione di Gheddafi, confermata dal ristabilimento delle relazioni diplomatiche con Washington, era stata avviata - nel 1998 - dalla visita a Tripoli da Lamberto Dini, ministro degli Esteri nel governo D'Alema. Ma è stata promossa e conseguita in prima persona, con la benedizione di americani e britannici, dall'attuale presidente del Consiglio, ospite abituale della tenda del Colonnello nella Sirte e firmatario del Trattato di amicizia che - nell'agosto scorso - ha definitivamente chiuso il doloroso capitolo della colonizzazione con un risarcimento di 5 miliardi di dollari in 25 anni. L'incontro di Roma, da questo punto di vista, sarà l'occasione per verificare se le contropartite all'accordo di Bengasi sono già attive: se cioè le aziende italiane sono in grado di entrare con forza nel mercato libico, e se ci sono le condizioni per colmare il tradizionale saldo negativo dell'interscambio commerciale, dovuto alle nostre importazioni di petrolio e gas. La visita consente inoltre a Berlusconi di approfittare del «doppio cappello» di Gheddafi - leader libico e presidente dell'Unione africana - per rilanciare la «vocazione mediterraneo-africana» della nostra politica estera, appesa all'Europa ma protesa verso il Sud: un'opportunità che il premier non mancherà di cogliere con un occhio rivolto, magari, ad alleati gelosi delle proprie primazie euro-mediterranee come la Francia. L'incontro con il Colonnello permette poi di pagare un debito che valica i confini della politica interna italiana: l'accordo con Tripoli sui rimpatri dei migranti, applicato dal mese scorso, ha offerto al premier una sponda politica decisiva di fronte alle richieste della Lega, ma ha anche imposto all'attenzione dell'Europa il problema della responsabilità collettiva di fronte al dilagare dell'immigrazione clandestina. Al fianco di Gheddafi, infine, Berlusconi potrà ricordare ai principali alleati quel «rapporto privilegiato» con la Libia al quale la nostra diplomazia affida un importante ruolo di visibilità internazionale. Non a caso, ieri, il ministro degli Esteri Frattini sottolineava la valenza «storica» di questa visita: «Vogliamo portare in Europa le buone ragioni di un Paese che torna sulla scena mondiale e chiede giustamente maggiore coinvolgimento». Gheddafi è costituzionalmente imprevedibile, e in passato non ha esitato a mettere in imbarazzo gli ospiti italiani, Berlusconi compreso. Ma a Roma saranno accontentate tutte le sue richieste, compreso il discorso dal balcone del Campidoglio e l'incontro con un rappresentativo «campione femminile» di 700 donne all'Auditorium. L'ottima intesa personale fra i due leader - fondata sul condiviso amore per il decisionismo e per la figura del leader «forte» - faranno il resto, con ricadute che a Palazzo Chigi e alla Farnesina si aspettano «di grande impatto». Il successo dell'incontro - anticipato da una campagna di «recupero immagine» promossa dalla nostra rete diplomatico-culturale per controbattere alle «velenose campagne dei media stranieri» - dovrà infatti fare da traino ai prossimi appuntamenti internazionali di Berlusconi. Molto delicata sarà, in particolare, la visita alla Casa Bianca: dove il presidente di turno del «G8», che discuterà soprattutto del vertice dell'Aquila, è stato preceduto da più di un partner.

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Le banche restituiscono 68 miliardi (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

I FONDI DEL TARP Le banche restituiscono 68 miliardi JP Morgan Chase e Goldman Sachs sono tra le 10 banche americane che si preparano a restituire i fondi ricevuti come sostegno anticrisi attraverso il Troubled Asset Relief Program (Tarp), dopo che ieri l'amministrazione Obama ha dato il via libera al programma di riacquisto di azioni in mano al Tesoro Usa. In totale, gli istituti coinvolti riacquisteranno azioni proprie in mano al Tesoro per 68 miliardi di dollari.

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New York accoglie un ex di Guantánamo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 10/06/2009 - pag: 19 Il caso Sarà processato per gli attentati del '98 in Africa New York accoglie un ex di Guantánamo Polemiche per l'arrivo del primo detenuto DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON È stato un corriere del tritolo, che ha ucciso vite americane. Ha forgiato documenti falsi per Al Qaeda. Ha addestrato terroristi in un campo. Ha fatto perfino la guardia del corpo di Osama Bin Laden. Ma non è detto che condannarlo con i mezzi dello Stato di diritto sarà semplice. In un'aula della Corte federale di New York, l'Amministrazione Obama si gioca la possibilità di tradurre in pratica, entro la scadenza promessa di fine d'anno, uno dei suoi impegni più complessi: la chiusura di Guantánamo. È arrivato ieri all'alba negli Stati Uniti, per esservi processato, il primo detenuto dalla prigione cubana, creata dopo l'11 settembre 2001 per i presunti terroristi islamici. Ahmed Ghailani deve rispondere di aver preso parte agli attentati del 1998 alle ambasciate americane di Kenya e Tanzania, firmati da Al Qaeda, dove morirono 224 persone fra cui 12 americani. Ghailani sarà custodito al Metropolitan Correctional Center di Manhattan e già nel pomeriggio è apparso davanti al giudice Loretta Preska, per una seduta preliminare del processo. Il suo caso è un test importantissimo per il presidente Obama, deciso, nei casi in cui sia possibile, a far giudicare una parte dei detenuti di Guantánamo nei tribunali ordinari. Il ministro della Giustizia, Eric Holder, ha assicurato che il suo dipartimento «ha una lunga esperienza nella sicura detenzione e nell'azione legale contro i sospettati di terrorismo, attraverso il sistema della giustizia penale». Ma il processo si presenta carico di insidie politiche e tecniche. Già il trasferimento negli Usa è criticato da repubblicani e conservatori come «il primo passo verso l'importazione di terroristi sul suolo americano». Particolarmente ricco di insidie è poi il dibattimento, nel quale i legali di Ghailani proveranno a smontare l'intero impianto dell'accusa, invocando le circostanze della cattura, della detenzione e del suo trattamento. Una carriera estremista, la sua, iniziata poco più che ventenne, trasportando in bicicletta esplosivo e bombole d'ossigeno che servirono a fabbricare le bombe degli attentati di 11 anni fa a Dar es Salaam e Nairobi. Lasciata l'Africa poco prima degli attacchi, Ghailani aveva lavorato per Al Qaeda come falsificatore di passaporti, istruttore nei campi, prima di salire nei ranghi ed entrare nelle unità d'élite delle bodyguard del capo dei capi. Venne catturato dagli americani nel 2004, in Pakistan, da dove venne poi trasferito a Guantánamo. Sfidando i critici, che lo accusano di mettere a repentaglio la sicurezza del Paese, Obama si è detto convinto che «bloccare il ritorno di Ghailani in America avrebbe impedito il processo e la condanna» e che «dopo più di 10 anni era tempo di fare giustizia ». Ma Ghailani rientra in fondo nella categoria più facile, tra i prigionieri di Guantánamo. Più complicati sono i casi di chi ha violato «leggi di guerra », che Obama vuole ancora affidare alle commissioni militari, sia pure in versione più garantista rispetto all'Amministrazione Bush. A questi si aggiungono i 50 detenuti che potrebbero essere trasferiti in altri Paesi. Infine ci sono i detenuti più pericolosi, che non possono essere perseguiti, ma neppure essere rilasciati perché costituiscono ancora una minaccia per il Paese: il presidente li vorrebbe in carceri di massima sicurezza, ma perfino tra i democratici del Congresso c'è qualche dubbio. Prigioniero A sinistra, il detenuto di Guantánamo Ahmed Ghailani. Sopra: il centro correzionale Metropolitan di New York Paolo Valentino

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Fiat-Chrysler, sì della Corte Usa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 10/06/2009 - pag: 32 L'intesa Respinto dai giudici il ricorso contro l'operazione presentato dai fondi pensione dell'Indiana Fiat-Chrysler, sì della Corte Usa La fretta della Casa Bianca. Cessione al Lingotto completata entro lunedì DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Via libera dalla Corte Suprema all'accordo Fiat-Chrysler. Con una decisione presa ieri a tarda sera, il massimo organo giudiziario americano ha dato il suo benestare alla vendita degli impianti Chrysler (ora in amministrazione controllata) alla nuova società costituita con la Fiat e guidata da Sergio Marchionne, e ha respinto la richiesta dei fondi pensione dell'Indiana di sospendere e rinviare la vendita della casa di Detroit. In un'ordinanza di due pagine, la Corte afferma che non ci sono gli estremi giuridici per giustificare una sospensione dell'accordo tra Fiat e Chrysler, dando così una vittoria ai protagonisti dell'intesa orchestrata dall'amministrazione Obama. Ieri i legali avevano presentato un'altra memoria, provando a sostenere che la stessa determinazione con la quale si muove il gruppo torinese dimostrerebbe che l'affare non è conveniente per l'azienda americana. Che, peraltro, è in bancarotta e in passato aveva tentato invano di stringere partnership con altri gruppi automobilistici. Attaccando direttamente la Casa Bianca, gli avvocati dell'Indiana avevano tracciato un curioso parallelo tra l'accordo con Fiat raggiunto quaranta giorni fa con l'appoggio decisivo del presidente Obama e una sentenza del 1952 con la quale la Corte Suprema respinse il tentativo del presidente Harry Truman di requisire alcune acciaierie durante la guerra di Corea. Chi studia la giurisprudenza della magistratura suprema era però convinto che la Corte avrebbe comunque dato via libera alla nuova società Chrysler- Fiat dopo un rapido riesame della questione. Secondo alcuni lo stesso Marchionne che, interrogato su questo punto, aveva ribadito che la Fiat non ha alcuna intenzione di disimpegnarsi dall'affare, avrebbe potuto contribuire a rendere meno urgente un pronunciamento della Corte, alla quale il governo Usa aveva peraltro chiesto di deliberare subito, nel timore di un ritiro del gruppo torinese qualora alla scadenza prevista dal contratto il 15 giugno la nuova società non fosse ancora operativa. In realtà con la sua dichiarazione, ribadita ieri da un comunicato del Lingotto, Marchionne avrebbe solo voluto evitare di sottoporre la Corte a pressioni ultimative, ribadendo, al tempo stesso, la serietà dell'impegno Fiat. Ma il gruppo italiano e la Chrysler continuavano a confidare che tutto si sarebbe formalizzato entro lunedì prossimo, come previsto dal contratto: le due società lo avevano confermato anche in un memorandum inviato ieri alla Corte Suprema in risposta a una richiesta di chiarimenti del giudice Ginsburg. Concetti ripresi anche dal portavoce del presidente Obama, Robert Gibbs, intervenuto di nuovo sulla questione per auspicare una sua rapida conclusione. Anche perché, come ha fatto notare la General Solicitor degli Usa, Elena Kagan, se la vendita non fosse andata in porto entro il 15 giugno la Fiat avrebbe potuto chiedere la revisione di alcune clausole, rendendo però necessario un nuovo passaggio al Tribunale della bancarotta. Ma la Kagan aveva anche sottolineato che la situazione finanziaria di Chrysler «peggiora ogni giorno che resta in bancarotta» e che la Fiat «è consapevole di questa situazione». Insomma, ad agitarsi è stata soprattutto la Casa Bianca che ha ricordato ai giudici il costo per il contribuente americano di ogni giorno di rinvio: 100 milioni di dollari di ulteriori finanziamenti pubblici per il salvataggio Chrysler. C'era poi l'esigenza industriale di riattivare quanto prima un'azienda che non può sopravvivere troppo a lungo nello stato di ibernazione iniziato con l'ingresso nell'amministrazione controllata. Un lungo rinvio avrebbe avuto conseguenze disastrose non solo per Chrysler (ieri, per esempio, il tribunale di New York ha esaminato un'ipotesi di accordo per la chiusura di centinaia di concessionarie, sospendendo poi tutto in attesa del verdetto della Corte Suprema) ma anche per la General Motors, entrata nelle procedure di bancarotta il primo giugno, seguendo proprio le orme di Chrysler. Per sopravvivere Gm ha bisogno di azzerare la situazione davanti al tribunale fallimentare e ripartire su basi nuove al più presto possibile. Ieri il gruppo, che ha da tempo avviato il rinnovamento della dirigenza su pressioni della Casa Bianca, ha scelto il presidente della nuova società che uscirà dall'amministrazione controllata: è l'ex amministratore delegato del gigante delle telecomunicazioni At&T, Ed Whitacre. Sergio Marchionne Massimo Gaggi

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Dieci big Usa restituiscono i fondi a Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 10/06/2009 - pag: 35 Exit strategy Oggi i paletti per le retribuzioni nelle aziende nazionalizzate Dieci big Usa restituiscono i fondi a Obama Via libera al rimborso di 68 miliardi. Effetto: i manager evitano il tetto agli stipendi WASHINGTON - Il ministero del Tesoro ha autorizzato 10 grandi banche americane a rimborsargli circa 68 miliardi di dollari, una parte sostanziosa dei prestiti statali da loro ottenuti lo scorso autunno all' apice della crisi. Lo ha annunciato il ministro Timothy Geithner, senza peraltro farne i nomi, commentando che «questo rimborso segnala una incoraggiante ripresa finanziaria », ma ammonendo che «resta ancora molto lavoro da fare ». Dalle anticipazioni di Wall street, la Morgan Chase restituirebbe 25 miliardi del Fondo Tarp (Troubled asset relief program), la Morgan Stanley 10 miliardi, la US Bancorp 6 miliardi e mezzo, la Capital One e l'American Express 3 miliardi e mezzo ognuna, la Goldman Sachs cifre imprecisate. Tra le 10 non figurerebbe Citigroup, tuttora in difficoltà tali da avere bisogno di ulteriori prestiti, né la Bank of America, i due colossi del settore. In tutto, il Tarp erogò alle banche americane 280 miliardi di dollari, e sinora solo 22 delle minori avevano rimborsato 2 miliardi complessivi. Come ha sottolineato il New York Times il rimborso, che verrà effettuato nei prossimi giorni, è in netto anticipo e molto superiore al previsto. Questo grazie all'esito in prevalenza positivo dello «stress test», o esame di rischio e solvibilità delle maggiori 19 banche, condotto ad aprile dal ministero stesso. Gli Usa vorrebbero che anche in Europa venisse adottato il test. Sulla sua scia, ben 16 hanno emesso nuovi titoli incassando oltre 75 miliardi di dollari. Ma al Congresso, l'autorizzazione di Geithner al rimborso ha suscitato ieri critiche per due motivi: perché una commissione ad hoc ha giudicato inadeguato il suo «test» di aprile e ne ha richiesto un secondo; e perché la fretta delle banche di restituire quanto più possibile il Tarp, fretta a cui la borsa ha reagito con un certo scetticismo, è considerata un tentativo di evitare una dura regolamentazione dei mercati e degli stipendi e premi d'oro dei manager. Che si tratti anche di un' operazione preventiva da parte delle grandi banche lo conferma la tempistica. Geithner si incontra infatti oggi con il capo della Riserva federale Ben Bernanke, la direttrice della Federal deposit insurance corporation, Sheila Bair, e il controllore della valuta John Dougan per mettere a punto i piani di regolamentazione. Il Wall Street Journal sostiene che il ministro non riformerà gli organi esistenti, ma amplierà i poteri di Bernanke, la Bair e Dougan; regolamenterà per la prima volta gli hedge funds e altri strumenti finanziari ancora incontrollati; e nominerà un «master for compensation » dei big, come a dire un padrone dei compensi. Il «master» potrebbe però ridurre solo gli stipendi e i premi dei manager degli istituti e imprese che usufruiscono dei sussidi statali. Di qui la corsa delle banche a emanciparsi. Il nome del padrone dei compensi è già noto. È Kenneth Feinberg, un rispettato commercialista che gestì il fondo di 7 miliardi di dollari stanziato per le famiglie delle vittime della strage delle Torri gemelle di Manhattan del 2001. Feiberg avrebbe nel mirino, tra gli altri, i big di Citigroup, di Bank of America, General Motors e l'Aig, l'assicurazione che riscosse 180 miliardi dallo Stato. Il presidente degli Stati uniti, ha ricordato, percepisce 400 mila dollari l'anno, un supermanager milioni, talora decine di milioni, indipendentemente dalla performance della sua banca o della sua impresa. Ennio Caretto

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Le parole di Obama sul velo: un favore agli integralisti islamici (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 10/06/2009 - pag: 40 CRITICHE AL DISCORSO DEL CAIRO Le parole di Obama sul velo: un favore agli integralisti islamici di CHRISTOPHER HITCHENS E siste un collegamento intrigante tra quanto detto dal presidente Barack Obama a proposito del velo delle donne musulmane nel suo discorso del 4 giugno al Cairo e le polemiche che infuriano sui prigionieri di Guantánamo, di recente liberati e tornati a ingrossare le file dei talebani e di Al Qaeda. Non cercate di indovinare: proseguite la lettura. Da quando l'ex vicepresidente Dick Cheney ha saputo sfruttare al meglio i titoli del New York Times del 21 maggio, ricorrendo alle statistiche del dipartimento della Difesa per insinuare che uno su sette dei rilasciati di Guantánamo aveva «fatto ritorno al terrorismo o alla militanza armata», è scoppiato un pandemonio nel tentativo di capire se le cose stanno effettivamente così e, nel caso affermativo, perché. Non potrebbe essere il caso, tanto per fare un esempio, che un innocente sottoposto al tritacarne di Guantánamo si sia trasformato in un «fondamentalista » e abbia deciso di arruolarsi nella Jihad per la prima volta? Quest'ultima spiegazione non vale per diversi recidivi che sono stati realmente identificati, dei quali conosciamo vita, morte e miracoli. Durante una mia visita a Guantánamo, mi è stata consegnata una lista che conteneva solo undici nomi, per la verità di ex militanti talebani, come Abdullah Mehsud, arrestato nel febbraio del 2002 e rilasciato nel marzo 2004, il quale in seguito ha preferito togliersi la vita piuttosto che arrendersi alle forze di sicurezza pachistane. Se costituisce un oltraggio alla giustizia incarcerare individui che potrebbero essere vittima di falsa identità o di vendetta per mano di altre fazioni, allora è un oltraggio alla giustizia anche il rilascio di criminali psicopatici, convinti di aver ricevuto ordine da Dio di gettare acido in faccia alle ragazzine che vogliono andare a scuola. Eppure, se pensiamo che sia probabile o possibile che un uomo possa trasformarsi in un simile mostro dopo aver vissuto l'esperienza di Guantánamo, allora vorrei azzardare una spiegazione. Non immaginavo mai di scoprire che in quel luogo le autorità hanno consentito agli elementi più fanatici di organizzare la giornata degli altri detenuti. Immaginate di essere un individuo laico, o semplicemente non estremista, che si è ritrovato impigliato nelle maglie del sistema per errore; ebbene, anche voi sareste obbligati a pregare cinque volte al giorno (le guardie non possono interferire), tenere in cella una copia del Corano, e consumare cibi preparati secondo le norme halal (o della Sharia). Forse potreste far richiesta di essere esonerato ma, in questo caso, dubito che sareste ascoltato. Gli ufficiali responsabili erano talmente orgogliosi di sfoggiare la loro grande apertura mentale nei confronti dell'Islam che hanno fatto una faccia quasi offesa quando ho chiesto come potevano giustificare l'impiego dei soldi dei contribuenti per mettere in piedi un'istituzione dedicata alla fervida pratica della versione più fondamentalista di un'unica religione. Al lungo elenco dei motivi validi per chiudere Guantánamo aggiungiamo anche questo: è una madrassa (scuola islamica) sponsorizzata dallo Stato americano. La stessa insistenza, quasi masochistica, nel prendere l'estremo come norma si ritrova nell'eloquente discorso di Obama nella capitale egiziana. Parte di quanto enunciato era dettato da informazioni inesatte, malgrado le migliori intenzioni. Oggi chiunque, per quanto piccolo il suo bagaglio culturale, sa benissimo che non esiste un luogo né un'entità che possa definirsi «il mondo musulmano», perché esso consiste di molti luoghi e molte realtà (è precisamente l'obiettivo degli jihadisti ridurre il tutto sotto la medesima autorità, nel progetto di imporre l'Islam come unica religione planetaria). Esaminiamo l'unico caso in cui il presidente ha sfiorato la più nota caratteristica del «mondo » islamico: la tendenza a vedere nelle donne dei cittadini di seconda classe. E lo ha fatto solo per dire che i «Paesi occidentali» praticano la discriminazione contro le donne musulmane! E come viene imposta tale discriminazione? Limitando l'uso del velo o hijab (parola che Obama ha pronunciato hajib figuriamoci le risate, se l'avesse detto George Bush). È stato un chiaro attacco alla legge francese che proibisce di indossare abiti o simboli religiosi nelle scuole statali. Ma alle donne che sono costrette a vestirsi secondo i precetti altrui, Obama non ha avuto nulla da dire, quasi che il loro unico diritto in questione fosse quello di obbedire a una regola che in realtà non si trova nemmeno nel Corano. Crede forse il nostro presidente che velo e burqa siano indumenti che le donne scelgono liberamente per essere alla moda? Tale manifestazione di ingenuità è a dir poco sconcertante e non c'è da meravigliarsi se tra il pubblico musulmano globale oggi le persone sbagliate sghignazzano alle nostre spalle, mentre a coloro che dovrebbero essere nostri amici e alleati non resta che piangere. BEPPE GIACOBBE traduzione di Rita Baldassarre

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Sandy Cane, afroamericana, è l'Obama del Carroccio (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: PRIMA PAGINA data: 10/06/2009 - pag: 1 Le storie Sandy Cane, afroamericana, è l'Obama del Carroccio di ROBERTO ROTONDO A PAGINA 11

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Nei quartieri sfonda il voto di protesta (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: PRIMA PAGINA data: 10/06/2009 - pag: 1 Penati e Podestà, la sfida parte con una querela. Il candidato del centrosinistra: l'ho denunciato. La replica: si crede Obama Nei quartieri «stranieri» sfonda il voto di protesta Lega e Idv volano in via Padova, consensi al Pd a Chinatown. Il Pdl vince nelle zone della movida Uno: «Lui vuole fare Obama. Ma non ci riesce ». L'altro: «Non pensi mica di avere i consensi che ha avuto sabato e domenica». Perché per quest'ultimo, ovvero Filippo Penati, «si riparte da zero ». Di qui Penati, di là Guido Podestà. Secondo il quale non è vero che si ricomincia daccapo: «Bossi mi ha invitato a Pontida domenica. E tutti sanno che per la Lega, Pontida è un luogo sacro». In casa Penati, confermata l'intenzione di non fare apparentamenti. Sul fronte del Pdl, si ragiona sull'Udc. Casini darà il suo appoggio? «L'Udc ha molti valori in comune con noi». A PAGINA 3

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Podestà: sarò a Pontida Il mio avversario? Pensa di essere Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Cronaca di Milano data: 10/06/2009 - pag: 3 Il centrodestra Podestà: sarò a Pontida Il mio avversario? Pensa di essere Obama «Lui vuole fare Obama, ma proprio non ci riesce». Se la ride, Guido Podestà, agli attacchi del presidente uscente della Provincia, Filippo Penati. Per il candidato del centrodestra non si parte da zero a zero, ma si riparte dal risultato elettorale. E dal «patto di sangue» siglato con la Lega l'altra sera ad Arcore, tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. Il Carroccio non diserterà le urne per boicottare il referendum e appoggerà Podestà al ballottaggio. La prova provata? «Umberto Bossi mi ha invitato a Pontida domenica. E tutti sanno che per la Lega, Pontida è un luogo sacro. Mi sembra un segno di vicinanza e di impegno. La Lega si è dimostrata coerente. Mi sono piaciuti ». Non solo. Sia Berlusconi sia Bossi hanno garantito la loro presenza per la chiusura del supplemento della campagna elettorale. Due binari. Quello ufficiale, sancito lunedì sera nella cena tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. La Lega appoggerà i candidati del Pdl al ballottaggio in cambio di una marcia indietro del premier sul referendum elettorale. È quanto ha spiegato lo stesso Berlusconi a Guido Podestà, quando il candidato del centrodestra è arrivato ad Arcore con il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini. «È la prima volta che invitiamo un non leghista a Pontida» ha sottolineato il ministro leghista Calderoli. È la priorità delle priorità. Portare i leghisti al voto il 21 e il 22 giugno. Tra Milano e provincia sono stati 281.671 voti, pari al 15,2 per cento. Una fetta irrinunciabile di elettorato per spuntarla al ballottaggio. Ma c'è anche un'altra via. Quella che passa da un accordo con l'Udc. Via ufficiosa. Su cui Berlusconi non può e non vuole intervenire, perché metterebbe a rischio il «patto di sangue » con Umberto Bossi. Tanto che la palla è stata messa in mano al candidato. Sarà lui a dover decidere se chiamare direttamente il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini per stringere un'alleanza con i centristi. Non Berlusconi. Una fetta del partito insiste. Ma Podestà sembra restio: «Nella cena dell'altra sera ad Arcore abbiamo messo dei paletti. Riteniamo che una parte dell'elettorato Udc non sarà disponibile a seguire Penati in un'ammucchiata che vede insieme Rifondazione, i centri sociali, i comunisti. Ma nel momento in cui l'Udc sentisse l'esigenza di parlare con noi, noi dialogheremo. Se saranno possibili convergenze, sentiremo i nostri vertici e i nostri alleati e poi decideremo». Ma poi ricorda un dato di fatto: «Abbiamo gli stessi valori: la famiglia, la sacralità della vita. Condividiamo l'impegno nel Partito popolare europeo. Come farebbero a mischiarsi con Daniele Farina del Leoncavallo?». È un Podestà tonico quello uscito dal primo turno. Risponde a Penati che ha minacciato di querelarlo se non farà un confronto pubblico anche sulle dichiarazioni rilasciate ieri sull'uso di denaro pubblico per la campagna elettorale. «Falsità» ha detto Penati. Secca la replica di Podestà: «Non dico che è un ricattatore. Ma che senso ha una frase di questo genere? Ti siedi a un tavolo con chi ha rispetto per te. Altrimenti no. Prima mi dà dello sfigato, poi telefona accusandomi di aver detto cose di basso livello, poi minaccia di querelarmi se non faccio il confronto. Che senso ha? Se vuole querelarmi mi quereli. Mi sembra una persona che abbia perso la serenità. La prossima volta mi verrà a minacciare con la clava». Quindi, niente confronto pubblico. E un tono duro. Molto più duro rispetto a prima. «Penati è uscito con le ossa rotte dal confronto. Con dieci punti in meno. La sua lista è stata un fallimento. Cerca di rimettere in piedi un'alleanza che assomiglia a un'ammucchiata. Vuole fare Obama, ma proprio non ci riesce». Querele e valori \\ Se vuole querelarmi, lo faccia. Mi sembra una persona che ha perso la serenità \\ Noi e l'Udc stessi valori Come può mischiarsi con Daniele Farina del Leoncavallo? Guido Podestà candidato presidente Pdl Maurizio Giannattasio

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Hariri: (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 10/06/2009 - pag: 21 L'intervista Il figlio del primo ministro libanese assassinato 4 anni fa si impegna a lavorare con il Partito di Dio «per la stabilità del Paese» Hariri: «Pronto a fare il premier ma niente violenze di Hezbollah» Il leader della coalizione filo-occidentale: «Governo di unità» DAL NOSTRO INVIATO BEIRUT È davvero pronto a turarsi il naso e in nome della pacificazione libanese creare un governo di unità nazionale con Hezbollah, il «Partito di Dio» sciita tra i cui ranghi potrebbero militare gli assassini di suo padre? Saad Hariri tira un lungo sospiro prima di parlare. Lo sa bene che questa è la domanda più delicata, allo stesso tempo al cuore della politica del Libano e più drammaticamente personale. Poi risponde. E lo fa con voce pacata, misurata, soppesando bene le parole. «L'unità e la stabilità del Paese prima di tutto. Esiste un tribunale internazionale che sta investigando sulla morte di mio padre, Rafiq Hariri, avvenuta quattro anni fa. Ecco perché non ho obbiettato poche settimane fa al rilascio di quattro generali sospettati. Quando arriverà il verdetto agirò di conseguenza. Non voglio anticiparlo. E alla fine chiunque sarà incriminato non dovrà vedersela solo con me, ma con tutta la comunità internazionale. Prima che venisse istituito quel tribunale noi avevamo puntato il dito contro la Siria. Ma poi abbiamo deciso di attendere. E' stato difficile restare in silenzio. Ho sacrificato tantissimo in questi quattro anni e non lascerò che un articolo sui media o una diceria diffusa ad arte di tanto in tanto possano politicizzare i lavori del tribunale e la ricerca della verità». È il momento più difficile di questa intervista rilasciata nel suo studio ad Hamra, nel cuore di Beirut, meno di 48 ore dopo la chiusura dei seggi. Solo un paio di anni fa avrebbe risposto in modo molto più impulsivo. Ma Saad Hariri ha imparato a fare politica. A 39 anni viene platealmente indicato come il prossimo premier del Paese dei Cedri. E lui lo dice chiaramente: «Sono pronto ad assumermi le mie responsabilità». Le preoccupazioni sono tante. Nel suo ufficio spiegano le sue diffidenze nei confronti delle ingerenze iraniane, del fondamentalismo islamico e del ruolo di Hezbollah. «Che alle elezioni vinca Ahmedinejad o Musavi per noi cambia poco», dicono. Governo monocolore con il blocco filo-occidentale del «14 marzo» o di unità nazionale con l'«8 marzo» pro-iraniano e siriano? «Ho già detto che reputo necessario stringerci reciprocamente la mano. Intendo lavorare per unificare il Libano, assopire i conflitti, lenire le divisioni. Dobbiamo impegnarci per scoprire i punti in comune e lasciare le differenze al tavolo dei negoziati, che in ogni caso saranno lunghi, complessi». Possiamo dire che sarà lei il prossimo premier? «Può dirlo, certo, anche se formalmente non è stato ancora deciso. Occorre attendere il 20 giugno per l'instaurazione del nuovo parlamento e la nomina del suo presidente. Poi non abdicherò al mio dovere». Ma diversi suoi alleati, specie tra i gruppi cristiani Kataeb e le Forze Libanesi, non intendono affatto coalizzarsi con gli estremisti dell'Hezbollah. Affermano che, contro le previsioni, il Libano ha votato per il «14 marzo ». Lei non va contro il suo mandato? «Avremo molto di cui discutere con i nostri alleati e con Hezbollah. Il Libano ha parlato. E' legittimo ascoltare le voci del '14 marzo'. Ma non dobbiamo dimenticare che esiste anche l''8 marzo', ed è forte. Il suo leader, Hassan Nasrallah ha pubblicamente accettato la sconfitta. Il mio partito ed i miei media hanno pagato per primi il prezzo delle violenze perpetuate da Hezbollah e i suoi alleati un anno fa. Dobbiamo evitare in ogni modo che si ripetano. Anche gli elettori e i leader del campo avversario hanno capito che la violenza va evitata ». Nel suo governo unitario Hezbollah avrà potere di veto in parlamento, come l'ha avuto negli ultimi 10 mesi paralizzando spesso l'attività politica? «No, assolutamente no. I meccanismi del prossimo governo saranno diversi». L'anomalia della democrazia libanese è oggi costituita dalla milizia armata di Hezbollah. Lei intende abolirla? «Sarà uno degli argomenti in discussione. E lo farò coinvolgendo il Presidente della Repubblica. Ma non penso sia utile affrontare adesso un tema tanto complesso pubblicamente sui media. Teniamo a mente che una parte consistente del Paese ha votato per l'agenda dell''8 marzo', che include le armi. Si tratta di un argomento assolutamente delicato, ha connotazioni di politica interna libanese, ma anche regionale. Il mio lavoro sarà fare in modo che l'agenda nazionale non divenga anche regionale. Nostra priorità sarà la stabilità interna». Ma come impedire che Hezbollah impieghi le armi a sua discrezione, come uno Stato nello Stato? «Una parte dell'anomalia è Israele. I suoi soldati occupano ancora le fattorie di Sheba, in contraddizione alla risoluzione Onu 1701, i suoi velivoli violano regolarmente i nostri spazi aerei, le sue navi le nostre acque territoriali. Il presidente Barack Obama al Cairo ha fatto un discorso di apertura alla pace. E Israele cosa risponde? Rafforza le colonie nei territori occupati, nega il diritto dello Stato palestinese ». L'Italia è alla testa del contingente Unifil nel sud Libano. Pensa che dovrebbe fare di più? «L'Unfil e l'Italia stanno facendo un ottimo lavoro. L'impegno è serio, costante. Il nostro ringraziamento è sincero. Ma voi sapete bene che le violazioni della 1701 vengono da Israele, non dal Libano». Lorenzo Cremonesi

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Leghista di colore (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 10/06/2009 - pag: 13 Eletta a Viggiù 3 Leghista di colore «Sarò una guida all'americana» VARESE «Perché stupirsi se sono stata eletta sindaco per la Lega? Anche nel mio Paese, gli Stati Uniti, l'immigrazione è governata da regole molto severe». Un po' di stupore rimane comunque nel sapere che il primo sindaco di colore eletto in Italia è una donna di 48 anni, Sandy Cane ( foto), che ha prevalso a Viggiù, centro di 4.800 abitanti, per il partito di Bossi. Che non ha molto in simpatia la società multietnica, com'è quella a stelle e strisce. «Ma la Lega non è affatto razzista ribatte sicura Sandy chiede solo che sia messo un freno all'illegalità perché ci sono troppi clandestini. E poi Bossi piacerebbe anche negli States, così diretto e mediatico». Direttrice d'albergo, Sandy è nata nel Massachusetts, è figlia di un militare americano e vive in Italia dal '71. «Sono stata io a iscrivermi alla Lega racconta e nessuno mi ha cercata. Alcuni amici mi hanno proposta come candidata sindaco e l'idea è piaciuta». Oltre a Bossi, la neoeletta pone nel suo Olimpo politico Barack Obama («Mi piacciono le sue idee») e Giulio Andreotti («Ha una cultura sterminata»). Dice di non avere alcun imbarazzo nel rapporto con i compagni di partito: «Anche i leghisti sono gente che viaggia, parla inglese, conosce il mondo». Il razzismo «I Lumbard? Non sono razzisti. Obama e Andreotti i miei punti di riferimento» Roberto Rotondo

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Scrutini caos a Bari, Emiliano chiama gli avvocati (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 10/06/2009 - pag: 14 Tempi lunghi Lo spoglio era ancora in corso ieri sera. Il sindaco uscente: è incredibile, non ce l'ho fatta al primo turno per soli 700 voti Scrutini caos a Bari, Emiliano chiama gli avvocati DAL NOSTRO INVIATO BARI Alle nove della sera lo scrutinio delle schede per le comunali di Bari non è ancora terminato: non per niente, il sindaco uscente Michele Emiliano ingaggia tre avvocati, li chiude in una stanza, e li mette a studiare il caso. I contendenti sarebbero attesi dal ballottaggio del 21 giugno (Emiliano del Pd al 49,2 e Simeone Di Cagno Abbrescia, Pdl, al 45,9) ma a questo punto non è possibile escludere il ricorso da parte del centrosinistra per ricontare le schede contestate, sembra siano un'infinità. Il sindaco prima minimizza «Io di ricorsi mi occupavo in un'altra vita», cioè quand'era magistrato, e in conferenza stampa nega: «Non lo presenteremo», ma poi ammette almeno i dubbi: «Per vincere mi mancano settecento voti, è incredibile quello che sta succedendo, ci sono ancora sezioni aperte, qualcosa di strano c'è». Sono tre le sezioni che mancano all'appello, fino a sera, tre su 345. Anche il centrodestra protesta, alcuni politici vanno direttamente dal prefetto: subito Squadra Il sindaco Emiliano con il presidente della Provincia uscente Divella (De Benedictis) dopo il deputato Antonio Distaso e il senatore Luigi D'Ambrosio Lettieri preannunciano interrogazioni al ministro Maroni. Invece alcuni dello staff del sindaco Emiliano sono convinti che in certe sezioni i verbali riportino un numero di voti diverso dalla somma delle schede. Voci, per il momento: che però raccontano questa giornata, il caos, i sospetti. La prefettura minimizza: ritardi fisiologici. Ma il candidato Pdl, già alla guida di Bari dal 1995 al 2004, accusa il rivale: «Molti scrutatori sono andati a casa, hanno lasciato le sezioni. La verità è che il Comune è abbandonato come la città. Emiliano dice di essere come Che Guevara, ma l'unica cosa da dire è che gli esponenti del centrosinistra, qui, todos caballeros ». E dunque mentre il conteggio dei voti deve ancora terminare, i due rivali si catapultano in campagna elettorale. Sentite Michele Emiliano: «Dite che a Bari verrà Berlusconi a tirare la volata a Di Cagno Abbrescia? Magari venisse, almeno avrei un avversario con il quale parlare di politica. Il mio rivale si è nascosto: se solo avesse accettato un confronto con me, avrei vinto facile». Ma davvero vorrebbe sfidare Berlusconi in un confronto a Bari? «Io sono il meno antiberlusconiano che c'è, e se ci fosse un faccia a faccia faremmo sicuramente divertire la gente. Però sono convinto che il Cavaliere abbia di meglio da fare: andare a Firenze e Bologna, incontrare Obama, aiutare l'Abruzzo, badare alla crisi economica...». La replica di Di Cagno Abbrescia: «I cittadini si sono resi conto delle promesse da marinaio del sindaco. Berlusconi qui? Non lo escludo ». Non si esclude niente, a Bari, città nella quale venti ore dopo l'apertura delle urne, non c'è ancora un risultato definitivo. L'unico che sa con certezza com'è andata è Tonino Matarrese, ex Figc: un migliaio di voti. La dote portata dal Bari in serie A, si è rivelata poca cosa. Alessandro Capponi

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Debora: ora tournée per convincere i delusi Il Pd? Pare Star Trek (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 10/06/2009 - pag: 17 La storia / 1 L'esponente democratica che ha «battuto» il premier Debora: ora tournée per convincere i delusi Il Pd? Pare Star Trek Serracchiani: ci serve più cinismo Se la famiglia disfunzionale del centrosinistra si chiamasse Simpson invece che Pd, Debora Serracchiani sarebbe ovvio Lisa: «Sì! Lisa Simpson mi piace». E in effetti. Lisa è la ragazzina assertiva, progressista, che suona il sax. I parenti la filano poco, ma alla fine l'unica brava, saggia, presentabile è lei. In un episodio sui Simpson nel futuro è alla Casa Bianca, tra l'altro. L'altro ieri si è saputo che lei (38 anni, avvocata romana a Udine) nel Friuli ha preso più preferenze di Berlusconi; che ha sfondato in tutto il Nordest superando capolista e boss locali. E il web di sinistra ha inneggiato (si è aggrappato?) a lei; da Facebook in giù era tutto un «Debora come Obama». In fondo anche lei ha sfondato con un discorso, è diventata famosa con il video su YouTube, è amichevole ma determinata. Grazie grazie a tutti, ma «resto con i piedi per terra». Ma anche no. C'è il Parlamento europeo, si prevedono zero vacanze perché praticamente tutte le Feste democratiche (insomma, ex dell'Unità) d'Italia l'hanno invitata e lei teme di aver detto sì a tutti: «Quest'estate me la faccio in tournée». Senza il sax, con molta voglia di dire che il Pd deve fare «opposizione dura»: «Presentando un programma politico vero, parlando di crisi economica, mostrandosi uniti. Con più disciplina e spirito di servizio. Chi ci ha votato lo ha fatto contro Berlusconi e/o perché voleva una vera opposizione. E finora, spesso, li abbiamo delusi». Delusi, come no. Debora S. è diventata una star del web e del voto perché parla chiaro (le migliori battute dell'intervista non sono pubblicabili; ma avrebbero scatenato una standing ovation sia dei fan sia dei critici del Pd). Parla chiaro, buca il video, sarebbe stato autolesionista non candidarla; e la sua aria da eterna ragazzina con la coda finora ha rassicurato i maggiorenti del Pd. Ma adesso? Riuscirà a trovarsi un ruolo in un partito di notabili in guerra? Non teme le correnti? E i dalemiani? «Dalemiani, veltroniani... a me sembrano nomi da alieni di Star Trek». Dal pop al politico, elabora: «Dobbiamo fare una battaglia all'interno del Pd per dargli credibilità; perché diventi un partito vero. Non due partiti che si sono messi insieme. Secondo me servono meno personalismi e un po' di cinismo nelle decisioni ». Cinismo? Debora S. cinica? E come. «Cinismo invece di timore, nelle scelte. Durante il dibattito sul testamento biologico, per esempio. Mettere una cattolica teodem come Dorina Bianchi capogruppo alla Sanità al Senato al posto del cattolico progressista Ignazio Marino è stato un errore. La maggior parte dei nostri iscritti e dei nostri elettori non era d'accordo. In questi casi, ben venga il dibattito interno; e poi la maggioranza decide. Le troppe cautele ci hanno fatto del male». Serracchiani aveva esordito a un'assemblea di delegati Pd e aveva iniziato dicendo «vengo da Udine, la città che ha accolto Eluana Englaro» e su quella storia, tuttora, non molla. Non molla in generale. Tra i suoi fan club su Facebook c'è «Debora Serracchiani contro Godzilla». Per ora in Friuli ha battuto ai voti Berlusca. Ieri era a Ballarò. Per due settimane andrà in giro a sostenere i candidati ai ballottaggi. E poi? «Poi in Europa voglio occuparmi di piccole imprese, che sono la vita del Nordest e dell'Italia. Per il resto mi metto a disposizione del Pd. Per carità, non sto lanciando un'Opa a nessuno». Per carità. Però magari qualcuno nel Pd (magari i dalemiani, guai a parlargli di Opa) comincia a sentirsi Godzilla (o meglio, vari Godzilla, fino al congresso di ottobre tra loro e con Debora S. se ne vedranno delle belle, si prevede). Maria Laura Rodotà

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La Obama del Carroccio: (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Lombardia data: 10/06/2009 - pag: 11 Varese Sandy Cane, afroamericana, è il nuovo sindaco di Viggiù La Obama del Carroccio: «I miei idoli? Bossi e Andreotti» VARESE Barack Obama, Umberto Bossi, Giulio Andreotti: sono i tre uomini politici preferiti di Sandy Cane, 48 anni, la prima «sindaca» afroamericana eletta in Italia, e per giunta sostenuta dalla Lega Nord; è stata eletta a Viggiù, paese del Varesotto al confine con la Svizzera. «Ammiro Obama per le sue idee spiega la neo eletta , ma Bossi piacerebbe anche negli States perché è molto diretto e mediatico. Mi intriga, invece, Giulio Andreotti perché ha una cultura sconfinata». Originale e anticonformista anche nelle scelte politiche, Sandra Maria detta Sandy è stata direttrice di albergo fino a un mese fa. Poi si è candidata, ha convinto il Carroccio a sostenerla e ha vinto: «Sì, sono stata io a cercare la Lega racconta , alcuni amici del paese mi avevano chiesto di candidarmi, poi ci siamo messi in contatto con la segreteria provinciale, mi hanno sentito parlare e hanno detto sì». La tessera, d'altronde, ce l'aveva già da tempo: «Sostenitore, numero 58.248». Le idee sono di un bossismo ortodosso: «La Lega non è assolutamente razzista continua ; chiede che si metta un freno all'illegalità, ci sono troppi clandestini, dappertutto, e solo quando avremo messo delle regole certe, potremo accogliere gli immigrati. Anche negli Stati Uniti, del resto, chi vuole ottenere il permesso di soggiorno deve obbedire a norme ferree». Di Sandy ha colpito il suo essere afroamericana, ma la sua è la formazione cosmopolita di una americana della middle class, del Massachusetts. Il padre è un ex militare americano di Springfield, la madre era di Viggiù. Nata nel 1961, fino a 10 anni ha vissuto negli Usa, dove ancora vivono il papà e una sorella. Parla l'inglese, l'italiano, il tedesco e un po' il dialetto. Ama viaggiare, quando era bambina passava quindici giorni d'estate a Londra o a Parigi. Ma quando ha tempo scende a giocare a scopone scientifico al bar del paese. Sportiva e molto pragmatica, come ogni americana, Sandy ha un compagno che simpatizza per il Pdl e che abita a Varese: «Molto meglio se ognuno sta a casa sua». Ha anche due cani: Dolly e Tommy, e per festeggiare l'elezione comprerà una cockerina e la chiamerà Dolly junior. Nel suo ufficio da sindaco, ha trovato una sorpresa che le ha fatto piacere: una statua di Alberto da Giussano, riproduzione di quella originale di Legnano, realizzata dallo scultore viggiutese Enrico Butti nel 1900 e che Umberto Bossi scelse come simbolo del movimento. Si è sempre sentita vicina alla destra e si inalbera quando qualcuno le fa notare che una donna di colore e cosmopolita di solito è più facile trovarla nelle file della sinistra: «E perché? Anche i leghisti viaggiano e parlano inglese, cosa credete? La mia educazione è frutto delle idee di mia madre, severa e rigorosa, mi ha insegnato che bisogna guadagnarsi tutto, e poi mi ha mandato a scuola dalla suore, al collegio Rosetum di Besozzo. Ma anche negli Usa era così: avevi i regali di Natale solo se te li meritavi ». Roberto Rotondo

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Il primo sindaco nero da Obama a Bossi (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

INVIATO A VIGGIU’ (Varese) Il viceministro Roberto Castelli le ha fatto i complimenti in diretta televisiva. Pierferdinando Casini si è detto cavallerescamente contento. La centralinista del Comune smista le telefonate dei giornalisti che arrivano pure dall’estero. Sandy Cane, americana del Massachusetts, italiana di Viggiù, pelle color Barack Obama e tessera della Lega in tasca, in tuta blu e pochette verde dietro la scrivania in noce, si allarga in un sorriso grande così: «E’ chiaro che adesso utilizzano la mia immagine, ma io devo far capire bene che non sono solo una novità». Per incontrare il primo sindaco nero d’Italia bisogna arrivare fino al confine con la Svizzera, alta Valceresio, 5000 abitanti quasi tutti frontalieri. Viggiù la conoscono per la canzoncina sui pompieri, per aver dato i natali al sassofonista Fausto Papetti e allo scrittore Aldo Nove, per gli scalpellini e un paio di scultori famosi. E ora pure per questo sindaco con il doppio passaporto - «In America ho votato per Obama, in Italia per Bossi» - figlia di un militare Usa e di una viggiutese sfollata durante la guerra. Traduttrice dall’inglese di professione, direttrice d’albergo in Val d’Aosta durante la stagione invernale, Sandy Cane giura di essere stata folgorata sulla via di Pontida da un paio di manifesti. «Di politica capivo niente. Da americana ho apprezzato subito i messaggi diretti della Lega. Alla fine sono quelli che fanno più presa sulla gente e che mi hanno fatto vincere». Assicura di non conoscere leghisti xenofobi o razzisti. Smentisce che i respingimenti degli immigrati, la lotta agli extracomunitari clandestini, certe sparate di Bossi e Maroni, siano l’anima nera del movimento in verde. «Tollerare l’immigrazione clandestina è prima di tutto un danno a chi entra nel nostro Paese solo con la voglia di lavorare e di integrarsi, di avere una vita normale». Adesso che è diventata sindaco con il 30% dei voti, 800 preferenze su 3000, 38 voti di scarto con il candidato di una lista civica, Sandy Cane sa che niente sarà più come prima. «Voglio ripulire questo paesino che è così bello ma molto sporco. Voglio pensare agli anziani e ai giovani. Qui c’è niente. Li capisco se tirano con la fionda ai lampioni». Più Obama che Bossi, Sandy Cane giura che in 47 anni solo una volta l’han presa di mira per il colore della pelle: «In discoteca a Varese ma era un ubriaco...». Un’altra volta invece ha dovuto difendere lei i suoi amici, che le avevano dato pubblicamente della negra scansafatiche solo per aver sbagliato un rigore, squadra di Viggiù, calcio femminile, serie D, la sua passione prima di lasciare una caviglia sul campetto. «Quelli dell’altra squadra volevano linciare i miei compagni, sono dovuta intervenire per dire che era tutto uno scherzo...». Mica uno scherzo invece questo finale di partita elettorale che l’ha catapultata sulla poltrona di sindaco e davanti agli obiettivi dei fotografi. Lei promette di dare il massimo. E assicura che prima di essere una leghista, adesso cercherà di essere il sindaco di tutti: «Domenica indosserò per la prima volta la fascia tricolore alla processione del Corpus Domini. Mi spiace per Bossi, ma non andrò a Pontida».

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Obama: Stato palestinese nel 2011 (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

TEL AVIV Due anni di lavorio diplomatico serrato per raggiungere nel 2011 il traguardo di uno Stato palestinese indipendente accanto allo Stato ebraico, finalmente sicuro ed in pace con i vicini. Questo l’obiettivo che il presidente americano Barack Obama ha appena illustrato ai dirigenti israeliani, palestinesi ed egiziani secondo quanto ha appreso l’influente quotidiano arabo a-Shark al-Awsat. Il trampolino di lancio di questa iniziativa, aggiungono fonti israeliane, potrebbe essere costituito da una nuova Conferenza di pace mediorientale, analoga a quella convocata a Madrid nel 1991. Nella nottata di lunedì Obama ha conversato a lungo, per telefono, con Benyamin Netanyahu. Era stato il premier israeliano a prendere l’iniziativa, per anticipargli a grandi linee il contenuto di un intervento politico (fissato per domenica) in cui esporrà per la prima volta in forma dettagliata gli obiettivi del suo governo. «Lo ascolterò con interesse» ha assicurato Obama che si attende in particolare dal leader del Likud un impegno a sostenere la formula dei «Due Stati per i due popoli» e a congelare ogni attività edile nelle colonie della Cisgiordania. Netanyahu, dicono i suoi consiglieri, sta ancora lavorando al discorso e si consulta fra l’altro con uno degli ideologi del Likud, il ministro Beny Begin, figlio dell’ex premier Menachem Begin. A quanto pare, ribadirà che Israele resta vincolato dalla Road Map, il tracciato di pace del 2003. Eppure il discorso di Obama al Cairo desta inquietudine a Gerusalemme: il timore è che Washington abbia deciso di «sacrificare» in parte i legami con Israele per guadagnare nel mondo arabo i punti perduti dalla amministrazione Bush. «Il nostro impegno verso Israele è indistruttibile» ha dunque ribadito ieri a Gerusalemme l’emissario di Obama George Mitchell, leggendo un testo ben calibrato preparato per tempo. «Le nostre sono divergenze di opinioni fra stretti alleati ed amici, non fra avversari». Ma quando si sono spente le telecamere, Mitchell è tornato a dire a Netanyahu, a Shimon Peres e ad Ehud Barak che la costruzione delle colonie rappresenta per gli Usa una dolorosa spina nel fianco, che deve essere rimossa. Alla Knesset il consenso quasi generale è che non è possibile imporre un «congelamento» totale nelle colonie perché non può essere ignorato il normale incremento demografico. Ma dati recenti rivelano che negli anni 2006-9, durante il governo Kadima, il numero dei coloni è cresciuto impetuosamente da 250 a 300 mila (ossia del 20%), e che alla fine del 2008 in Cisgiordania erano in fase di costruzione migliaia di nuove case. La seconda questione che la diplomazia statunitense deve seguire con grande attenzione è quella delle lacerazioni fra i palestinesi stessi. Ieri a Ramallah - alla vigilia di una nuova visita di Mitchell - il convoglio presidenziale è stato centrato da un’auto in corsa e nei primi momenti si è temuto un attentato ad Abu Mazen, che invece si trovava altrove.

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Iran, i giovani pazzi per Mousavi "l'onesto" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

TEHERAN Mentre si cammina verso lo stadio Heydar Nia, vicino alla vecchia ambasciata italiana, la folla anonima che sformicola per le ampie strade di Teheran comincia ad assumere un volto fatto di colori suoni e movimenti. Lentamente migliaia di macchie monocromatiche si fondono in un enorme serpente smeraldino che urla slogan e cresce fino a occupare il marciapiede a perdita d’occhio. Guardando più da vicino, la creatura nata nella strada torna a trasformarsi nei sorrisi della fiumana di giovani che sfoggiano il verde della campagna elettorale di Mir Hossein Mousavi, il candidato pronto a battere Ahmadinejad nelle presidenziali di venerdì in Iran. I ragazzi vanno a sentirlo, è atteso allo stadio con la moglie e l’ex presidente riformista Khatami. Su un corso laterale è appeso il gigantesco manifesto del presidente. Con il solito sguardo obliquo, è seduto e tiene in mano biro e taccuino. Come dire: mi appunto i vostri suggerimenti. I consigli urlati dalle ragazze che passano come erinni sotto il cartellone, col velo scivolato fino alla nuca, le ciocche di capelli volanti, spegnerebbero il sorriso al vero Ahmadinejad. Dei 46 milioni di persone che hanno diritto al voto, più della metà sono giovani. Tra questa gente in marcia più dell’80% ha meno di 30 anni. Un irrefrenabile impulso di liberazione, percepibile quasi fisicamente, li spinge a sostenere un conservatore illuminato piuttosto che lo scialbo Karroubi, che teoricamente è un vero riformista. Con la sua timidezza, la mancanza di carisma, la voce flebile Mousavi a 68 anni è diventato l'anti-Ahmadinejad. Il presidente è un animale politico che all’istinto non ha saputo aggiungere l’intelligenza. Studi di architettura in Inghilterra, un volto che ricorda Alec Guinness quando faceva Obi-Wan Kenobi, tranne che per il ciuffo bianco, Mousavi è un vecchio protagonista della politica iraniana anche se apparentemente manca dalle scene da una ventina d’anni. Negli infernali Anni 80 della guerra contro l’Iraq fu un primo ministro amato dal popolo per il suo tentativo poi fallito di introdurre un sistema di cooperative per arginare lo strapotere del bazaar. Allora l’attuale Guida Suprema e successore di Khomeini, Ali Khamenei, era presidente e l’attuale candidato conservatore Moshen Rezai comandava i pasdaran. Mousavi è azero, cioè di origini turche. Una sua vittoria segnerebbe la prima volta di un non persiano alla presidenza. Lui si definisce una via di mezzo tra i riformisti e «principisti», che si rifanno agli ideali della rivoluzione khomeinista. Non un centrista, ma sia di destra che di sinistra. Un equilibrio difficile nella pratica. Dice di sé: «Non mi considero separato dal movimento riformista. Non mi considero separato da un buon principismo. Penso che la società possa essere sia riformista sia principista». Sottigliezze politiche che a Nasrin, 25 anni, occhi verdi, velo grigio sui capelli biondi, spolverino fasciante marrone, rossetto sgargiante, trucco marcato, non interessano. Smitraglia il palco dello stadio con una Canon digitale dall’obiettivo esagerato. Dice: «Mousavi è la speranza di una società meno brutale, più gentile, meno ignorante». Non è difficile capire a chi si sta riferendo. Sullo zaino ha un badge con un volto che subito somiglia a Lou Reed ma poi si rivela essere il poeta iraniano Ahmad Shanlu. Ritmi disco si alternano a canzoni della rivoluzione islamica. Sugli spalti e sul prato donne e uomini si dimenano rigorosamente separati. E’ una platea stereofonica: a destra le grida femminili acute, a sinistra quelle più basse maschili. La calca non lascia respiro, la gente che non è riuscita a riversarsi sul campo, occupa le strade e i cavalcavia intorno. Ci saranno 50 mila persone. Khatami ha dato forfait, dicono gli organizzatori. Soha, 23 anni, alta e magra, fasciatissima nel vestito a norma di legge, azzarda: «La gente che vota Ahmadinejad è prigioniera dell’ignoranza. Voto Mousavi anche perché dietro ogni grande uomo c’è una grande donna». Allude alla moglie, Zahra Rahnavard, che Ahmadinejad, nel suo mondo al contrario, ha insultato perché troppo istruita. Zahra è stata a lungo preside dell’università Alzahra di Teheran. Nella zona maschile, Mostafa, 23 anni, è furioso: «Vincerà lui al ballottaggio. Si occuperà dei giovani e caccerà gli incompetenti. Basta con la corruzione». Nei dibattiti tv torna come un tormentone il miliardo di dollari spariti dai conti dello Stato. S’intromette Behnan, 22 anni, alto, gli occhiali e due strisce «verde Mousavi» disegnate sulle guance: «Se Obama è sincero cambierà il mondo». Fuori tema. Mojtaba è uno dei pochi cinquantunenni in questa festa della gioventù. Dice: «Il problema è la disoccupazione. In ogni famiglia ci sono uno o due senza lavoro. Come me per esempio». Il candidato ancora non arriva. Parte un coro: «Era primo ministro con l’Imam e lo è ancora adesso», un tentativo di far cadere la benedizione di Khomeini sulla testa del loro prediletto. Attacca l’inno, tutti in piedi e poi un tale salmodia una sura del Corano. Ma dov’è Mousavi? Sul prato ci sono molte ragazze con il chador nero integrale, eppure portano appese le loro festucce verdi. Dopo una salva di interventi declamati come fossero poesie, arriva finalmente Zahra. Boato assordante che non finisce. Porta una sciarpa verde sul chador nero, sotto si scorge una mantella blu. Non cerca il compromesso: «Quando mio marito sarà presidente, ci saranno grandi cambiamenti». Si leva subito sfrenato un coro: «Marg bar dictator», morte al dittatore. Sempre lui. Zahra accusa le autorità di boicottare la campagna del marito. «Se ci davano un posto decente non dovevamo ammassarci qui dentro», urla tra gli applausi. Intorno al piccolo stadio s’è formata una tale marea umana che alla fine lo stesso Mousavi non riuscirà ad arrivare. Bloccato dalla stessa folla che si era radunata per sentirlo. Ma che importa, nessuno è deluso, ormai basta il suo solo nome per aprire i cuori delle masse giovanili. In fondo qualcuno dovrebbe ringraziare il povero Ahmadinejad.

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Editoria on line, Usa indagano su Google Obama in campo in difesa del copyright (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 10-06-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON - Obama contro Google, in difesa del diritto d'autore. Il ministero della Giustizia Usa ha infatti avviato un'inchiesta sull'accordo tra il colosso di Mountain View, editori e scrittori, riguardo ai piani di Google di trasferire on line milioni di testi. Mettere questi libri gratuitamente alla portata di tutti, infatti, potrebbe rappresentare una gigantesca violazione alle leggi Usa sul diritto d'autore. L'inchiesta è un segnale forte della maggiore attività Antitrust promessa da Obama al suo insediamento. La "civil investigative demand" avviata da ministero, infatti, potrebbe portare a bloccare l'iniziativa di Google, partita nel 2004 con le prime scansioni di libri. L'anno successivo c'era stato un primo stop, dopo la protesta di autori editori che accusavano la società di una massiccia violazione del copyright. Lo scorso anno, Google ha raggiunto un accordo con loro versando 125 milioni di dollari per chiudere l'azione giudiziaria e soprattutto promettendo di creare un registro degli autori che permetta loro di venir pagati quando i loro libri finiscono online. L'accordo non è piaciuto, comunque, a moltissimi editori, che si sono lamentati del fatto che in questo modo Google avrebbe avuto comunque libero accesso a tutti quei testi per cui si è esaurito il diritto d'autore. E ora anche l'amministrazione Obama è scesa in campo per fare luce sulle attività di Google, visto fino ad oggi come una realtà privilegiata nei rapporti con il nuovo presidente: Obama usa il canale di YouTube (gruppo Google) per comunicare con gli americani, e l'amministratore delegato della società californiana, Eric Schmidt, è un consigliere personale del presidente. E anche altri quadri del colosso californiano hanno recentemente trovato lavoro con il governo. OAS_RICH('Middle'); Schmidt, intervistato dal Wall Street Journal, si è dichiarato tranquillo: "Ce lo aspettavamo, in un modo o nell'altro, non fa differenza quale governo è in carica". E un portavoce di Google ha aggiunto: "Loro fanno il loro lavoro e noi il nostro, non ci trovo niente di strano. Siamo comunque in buoni rapporti". I contrasti di Google non sono solo con il governo: la società di Mountain View deve vedersela in questi giorni anche con Microsof, che la accusa di essere un pericolo per la privacy. Tra i due è scontro aperto, e la concorrenza è spietata: mentre Bill Gates lancia un proprio motore di ricerca, Bing; Google risponde con un servizio per permettere agli utenti di Microsoft Outlook di integrarlo con la mail e il calendario di Google. (10 giugno 2009

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Barack contro i negazionisti (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

A Buchenwald Barack contro i negazionisti Un chiaro messaggio contro i negazionisti dell'Olocausto era arrivato venerdì scorso dalla visita del presidente americano Barack Obama al campo di Buchenwald, in Germania. «Ancora oggi c'è chi afferma che l'Olocausto non è mai avvenuto. Dovrebbe visitare Buchenwald», aveva detto Obama.

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Neonazi spara al museo della Shoah (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

IL TERRORISTA, FERITO E ARRESTATO, SI CHIAMA JAMES VON BRUNN. ERA NOTO PER LE SUE POSIZIONI RAZZISTE Neonazi spara al museo della Shoah [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Terrore al Museo dell'Olocausto di Washington. James Von Brunn, un neonazista di 88 anni, si è presentato all'entrata del museo che si trova a breve distanza dalla Casa Bianca e ha iniziato a fare fuoco, adoperando un fucile calibro 22. È riuscito a sparare almeno cinque proiettili, ferendo due agenti di guardia - uno è morto in serata - prima di essere investito dai colpi degli altri uomini del personale di sicurezza. La sparatoria è durata «meno di tre minuti», secondo la ricostruzione dei testimoni, scatenando il panico dentro un museo visitato ogni anno da 1,7 milioni di persone. Sono stati attimi di terrore per le diverse centinaia di turisti che si trovavano dentro l'edificio di quattro piani che ricostruisce lo sterminio di sei milioni di ebrei perpetrato dai nazifascisti. Chi era al piano terra, e ha visto la sparatoria, si è gettato in strada cercando aiuto e mandando in tilt il traffico nei paraggi del monumento a Washington. Chi invece si trovava ai piani rialzati è stato fatto uscire dal personale del museo attraverso le scale di sicurezza, riversandosi dietro l'edificio. La coincidenza con il discorso sull'importanza del ricordo dell'Olocausto fatto la scorsa settimana dal presidente Barack Obama nell'ex lager tedesco di Buchenwald è stata identificato dall'Fbi come un possibile movente del gesto, appena appurata l'identità dell'autore dell'aggressione. Si tratta di un «neonazista convinto», come detto da un portavoce della polizia di Washington, perché James von Brunn, classe 1920, figlio di immigrati austriaci, è un veterano della Seconda Guerra Mondiale che negli ultimi anni si è dedicato a diffondere odio contro gli ebrei e gli afroamericani, come testimonia anche il sito Internet che porta il suo nome. Ha scritto libri antisemiti come «Uccidi i migliori gentili» e «Il peggiore errore di Hitler». Ha anche la fedina penale sporca avendo scontato 6 anni e mezzo di detenzione in un penitenziario per aver tentato di rapire dei membri della Federal Reserve. Von Brunn attribuisce quella sentenza ad una «giuria composta di ebrei e negri» e, sul proprio sito, si definisce un seguace del movimento per la costruzione dell'«Impero Sacro d'Occidente» destinato a riscattare «i gentili» dall'«oppressione giudaica». Il sindaco di Washington, Adrian Fenty, ha condannato l'«odioso attacco alla città» facendo sapere che «l'aggressore versa in condizioni critiche», mentre Khaty Lanier, capo della polizia, assicura che «ha agito da solo» e dunque il blitz non sarebbe frutto di un complotto più vasto. Ma Mark Potok, direttore del centro di studi contro il razzismo di Montgomery in Alabama, ritiene che l'aggressione sia «il sintomo di un fenomeno più vasto in atto da diversi mesi in tutti gli Usa», ovvero «il rafforzamento dei gruppi suprematisti bianchi, più numerosi e aggressivi» dopo l'elezione di Barack Obama alla Casa Bianca. In nottata il presidente si è detto «profondamente scioccato per quanto avvenuto, che dimostra la necessità di vigilare contro l'antisemitismo».

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"Con lui andremo in Paradiso" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Reportage Choc in Israele "Con lui andremo in Paradiso" CLAUDIO GALLO Delirio al comizio di Ahmadinejad: "È un uomo del popolo, porta scarpe vecchie" «Gli ebrei iraniani votano per il nemico» Città paralizzata La folla invade le strade verso il Politecnico, il traffico si blocca Un boato scuote l'asfalto quando appare Orgoglio atomico Il pezzo forte del suo discorso è sul programma nucleare «Nessuno ci impedirà di realizzarlo» INVIATO A TEHERAN Una vecchia col chador tiene in braccio un bambino, dal nero pece che l'avvolge spunta solo l'ovale paffutello del viso, gli occhi sbilenchi e una barbetta ispida che le trafora il mento. Guarda nella direzione dove si dirigono migliaia di teste ondulanti che riempiono il grande corso tra piazza Engelab a piazza Azari, l'asse che taglia Teheran da Est a Ovest. Posa il bimbo a terra e guardando il cielo grigio urla: «Che il Mahdi protegga Ahmadinejad, l'uomo più coraggioso, il protettore della religione». Un gruppo di ragazzi dal look lumpenproletariat, avvolti nella bandiera tricolore iraniana si gira e grida: «Allahu Akbar», Dio è grande. Il Presidente l'aveva detto sprezzante durante il dibattito con l'ex comandante dei Pasdaran Moshen Rezai: «Andrò a fare un discorso all'Università», proprio il posto dove è meno amato. Così da un paio d'ore la gente col tricolore e i nastrini gialli si è incamminata verso l'ingresso Nord del Politecnico. Una folla da stadio allaga le strade, ingoiando macchine e motociclette che sembrano sprofondare nelle sabbie mobili. Un vecchietto su una Paykan, una copia della Hillman Hunter inglese del tempo dello Shah, fende la marea al rallentatore: è madido, pallido, trema come una foglia. Forse ce la farà a raggiungere piazza Azad, chissà. All'Università c'è una sorpresa. Il palco di Ahmadinejad, una specie di lunga veranda trainata da un camion Mercedes, è fuori delle mura, davanti alla moschea. Non dentro. Nessuno sa niente. Che non l'abbiano voluto? Mistero. A differenza del comizio dell'altro giorno allo stadio Heydar Nia del candidato dell'opposizione Mousavi, qui manca la musica. Solo slogan e spesso religiosi. «Ya Hussein» - strepitano -, l'invocazione al grande martire sciita. Oppure scandiscono: «Il martirio è il nostro onore». Ironicamente, il motto di Ahmadinejad è quasi uguale al «Yes We Can» di Obama: «Mitavonim Mishavad», noi possiamo, si può. Saranno in 400 mila. Se per Mousavi si erano mobilitati i giovani e la classe media, qui ci sono soprattutto i più poveri. Nei quattro anni di governo il Presidente ha usato generosamente i 250 miliardi di dollari di entrate petrolifere per favorire il suo elettorato tradizionale con una politica assistenziale, anche a costo di far volare l'inflazione, ufficialmente è al 26 per cento ma probabilmente più alta. Ali Tuhran, 45 anni, impiegato statale, tiene alto il suo santino. Dice: «Vincerà al primo turno perché è un uomo di parola. La crisi? Non è colpa sua, c'è in tutto il mondo». Ashraf, 46 anni, solita faccia che sbuca dal nero aggiunge trasognata: «È un uomo del Signore, aiuta i poveri, è coraggioso». Ali, 30 anni, camionista, è qui «perché lui è uno di noi, capisce la gente». Poi dice la battuta che stava covando da un pezzo: «Italiano? Io adoro Italia Uno». Anche qui un berlusconiano... Sotto il palco non si respira dalla calca, un giovane sui trent'anni si accascia. Arriva una barella issata sopra le teste. Lo portano verso un'ambulanza che non potrà mai partire, incastrata tra la folla. Un boato fa tremare l'asfalto bollente: è arrivato Ahmadinejad. Veste il solito giubbetto beige da poveraccio e una camicia dello stesso colore. «Porta sempre le vecchie scarpe», dice Bita, 32 anni, inchadoratissima, casalinga laureata in Geomorfologia, come parlando di un santo. Nei cartelloni il Presidente è sempre sorridente ma la sua espressione più vera ricorda lo sguardo di un bambino triste. Se la prende subito con gli Stati stranieri che offendono il capo spirituale, cioè l'Ayatollah Khamenei. Ma poi il discorso si fa minaccioso: «Tutti gli altri candidati mi hanno offeso - dice - ma offendere il Capo dello Stato significa offendere la Costituzione. Un atto che ha conseguenze penali». «Akbar vai in prigione», motteggia la folla riferendosi all'ex Presidente Rafsanjani, considerato l'emblema della corruzione. E ancora: «Ahmadi, ti proteggiamo noi». L'oratore incalza torvo: «Ci ricorderemo di loro quando sarò rieletto». Se il raduno per Mousavi comunicava un potente senso di speranza, magari ingenuo ma elettrizzante, qui il sentimento sotto la superficie sembra la paura. Ahmadinejad è l'ordine che attenua lo smarrimento, la certezza astratta che cura la disperazione, la semplificazione forzata del complicato. È un rifugio, non uno slancio verso il futuro. Non c'è un attimo di gioia in questo comizio. Il nucleare è un suo pezzo forte. «Il mondo cerca di impedirci di avere l'energia nucleare - dice - ma noi la stiamo ottenendo lo stesso». «Il nucleare è un nostro diritto», fanno eco i fedeli. Poi cita il suo rivale scatenando un'ondata di «Mousavi dorughgu», Mousavi bugiardo. La parte centrale del discorso è dedicata alla corruzione. «Certa gente - declama di nuovo minaccioso nel persiano ritmico degli oratori - dopo le elezioni dovrà rispondere di ciò che ha fatto». Si leva un urlo corale: «Morte a chi ruba i soldi del popolo». Una donna con una kefià in testa lancia la sua benedizione: «Che il santo Abolfazl ti protegga». Abolfazl martire era il martire prediletto dal mitico campione di pesi Hossein Reza Zadeh, l'Ercole iraniano che sollevò 263 chili e mezzo in un solo colpo. Portava il suo nome sulla maglietta. La gente è cotta dal sole quando Ahmadinejad intona la preghiera finale. Ai saluti, un contadino in vestito tradizionale gli porta un fascio di grano che lui come un dio dell'abbondanza offre alla massa in delirio. Sparisce nel retro del palco mentre i suoi intonano «ringraziamo il nostro Presidente». Si comincia a smobilitare. Perché la folla si sciolga ci andranno ancora un paio d'ore di parapiglia. Stanno tornando tutti a casa contenti, convinti che in questo mondo di fatica e dolore, c'è almeno un leader che li protegge. La maggioranza dei 25 mila ebrei iraniani voterà per Ahmadinejad perchè preferisce stare dalla parte del vincitore. Lo sostiene il quotidiano israeliano «Ynet», citando alcuni esperti, tra cui il portavoce dell'Organizzazione centrale degli immigrati iraniani in Israele, David Mutai, secondo il quale l'attuale presidente iraniano «abbaia ma non morde», mentre il suo principale rivale Mousavi è «imprevedibile» e per questo realmente più pericoloso. «Fin dalla rivoluzione di 30 anni fa - dice Mutai - la comunità ebraica è riuscita a scansare i problemi tenendosi buono l'establishment politico».

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Uno zar controllerà gli stipendi dei manager degli istituti salvati (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Stati Uniti, la decisione di Obama Uno zar controllerà gli stipendi dei manager degli istituti salvati Sarà un esperto nominato dall'Amministrazione del presidente Usa Barack Obama, Kenneth Feinberg, un noto avvocato di Washington, a decidere gli stipendi dei 175 manager dei sette grandi gruppi bancari ed industriali in crisi che hanno ricevuto aiuti dallo Stato per evitare il crac. Tra questi gli stipendi e i bonus di pesi massimi come Kenneth Lewis di Bank of America, Vikram Pandit di Citigroup, Fritz Henderson della General Motors. Come ha spiegato il segretario al Tesoro Timothy Geithner, è stato deciso però di non definire un tetto massimo, come era stato ipotizzato in un primo tempo, per gli stipendi dei supermanager delle imprese che hanno ricevuto fondi pubblici. «Non vogliamo imporre regole, perché sarebbe inefficace», ha spiegato Geithner. In una nota diffusa dal Tesoro lo stesso Geithner scrive che «non poniamo limiti agli stipendi e non suggeriamo nessuna formula precisa sulla maniera in cui le società devono definire le proprie politiche di remunerazione».

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Come il porcello (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Come il porcello Questa televisione è come il porcello, non si butta via niente. E meno male, con i tempi che corrono. Molto meglio recuperi, riutilizzi, riadattamenti, che sprechi. L'impressione è che però quel che da una parte si risparmia, dall'altra si scialacqua. La legge non è uguale per tutti. Come le famose autoriduzioni degli stipendi dei parlamentari: ma quando mai? O come quando, sempre loro, di qui e di là dagli schieramenti, tuonano contro qualsiasi «dico» & friends, cioè «attacchi alla famiglia», tanto essi l'equiparazione tra conviventi e coniugi l'hanno già acquisita da tempo. Per non buttare via niente, un'altra striscia ha preso il posto su Raitre del «Parla con me» di Serena Dandini. Tra l'altro: brava, Dandini, capocomica di razza che i programmi li sa fare, lei e la sua Banda Osiris e Vergassola e un genere di tv che si può seguire senza imbarazzo. Peccato l'ora, come al solito. E dunque al suo posto c'è «Non perdiamoci di vista short», brani scelti e rimixati della trasmissione di Paola Cortellesi con Francesco Mandelli. La scuola dei segmenti alla Paolo De Andreis fa tendenza: la tacitiana «brevitas» giova agli altrimenti sempre troppo allungati varietà di prima serata. Quindi è divertente rivedere la magica Cortellesi a frammenti. Imita Michelle Obama e sembra Madonna; imita il sindaco Moratti e dice: «Io non ho paura di niente: solo di finire la lacca». In stile Giacobbo si scoprono i misteri di Leonardo e della Monna Lisa: c'è una scritta esoterica sopra la roccia, indietro, sul paesaggio di sfondo, eccola. E' «Juve merda», parlando con pardon.

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Dal waterboarding all'isola felice (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

In Florida L'ARCIPELAGO DELLA MICRONESIA ACCOGLIERÀ GLI UIGURI SOSPETTATI DI TERRORISMO Diciassette detenuti di Guantanamo saranno trasferiti sulle spiagge di Palau Il killer dei gatti semina il panico «Ne ha uccisi 20» Dal waterboarding all'isola felice [FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK Dal rischio del simulato affogamento ai giochi acquatici sulle spiagge d'oro di Palau. Attenti a non viziarli troppo, i detenuti che entro gennaio 2010 devono lasciare, sfrattati da Obama, le stanzette di Guantanamo con aria condizionata. I primi a essere liberati, i 17 cinesi musulmani della etnia degli uiguri, finiranno infatti nel paradisiaco arcipelago della Micronesia, nove isole abitate su 250, 750 kilometri a Est delle Filippine. Gli Stati Uniti faranno un prestito di lungo termine da 200 milioni di dollari per aiutare lo sviluppo della minuscola nazione, che conta 20 mila abitanti: in pratica, 10 mila dollari a residente. «E' un grande giorno per Palau e un grande giorno per i diritti umani», ha detto Stuart Beck, avvocato di New York sposato a una palauana, Tulik, con cui ha quattro figli, e ambasciatore di Palau presso l'Onu dal 2004 (a un dollaro all'anno). Dagli Anni 70 Beck rappresenta gli interessi dell'arcipelago, diventato indipendente nel 1994 da protettorato Usa che era. «La trattativa per i cinesi si è svolta a livelli di capi di Stato - ha raccontato -. Obama ha chiamato il collega Toribiong, che si è detto onorato e orgoglioso di compiere un gesto umanitario. Ora alcuni incaricati di Palau andranno a Cuba per capire che qualità e capacità lavorative abbiano i 17, e per organizzare il loro inserimento. Vanno in un paradiso dell'accoglienza: dal primo vascello inglese che vi capitò nel 1783, quelle isolette hanno sempre accolto bene i rifugiati. Palau è amica di tutti». Amica soprattutto dell'America. E adesso sarà forse presa più sul serio, mentre quando fu inserita da Bush nella «coalizione dei volontari» per la guerra in Iraq veniva citata come Stato-barzelletta. Non ha forze armate, per l'accordo firmato all'atto dell'indipendenza quando c'era Clinton, ma i suoi cittadini possono arruolarsi nell'esercito americano, e lo hanno sempre fatto. «Più di cento sono ora nei battaglioni in missione di guerra, e uno è morto in Afghanistan la settimana scorsa», ha detto Beck. Anche sul piano diplomatico la fedeltà di Palau è a prova di bomba: all'assemblea generale delle Nazioni Unite, su tutte le questioni, il suo voto è in linea con quello degli Stati Uniti a un tasso quasi totalitario, che rivaleggia solo con quello di Israele. L'unico Paese che finora aveva detto di volere gli uiguri era la Cina, ma gli Usa l'hanno sempre escluso nel timore che, essendo dissidenti islamici, potessero essere processati e magari condannati a morte e uccisi. Non è ancora certo che tutti i 17 cinesi finiranno a Palau: le alternative, per gli eventuali esclusi da questa vincita alla lotteria, sono l'Australia e la Germania, dove già vivono piccole comunità di uiguri. Almeno una ventina di gatti sono stati trovati mutilati e uccisi nell'arco dell'ultimo mese nella contea Miami Dade della Florida. Ad alcuni è stato strappato completamente il pelo, mentre altri presentavano diverse ferite da taglio. «Sono terrorizzata, al punto che ovunque vada temo di trovare gatti morti sul ciglio della strada», ha detto Mary Lou Shad, residente dell'area e proprietaria di un gatto che fa parte della lista delle vittime. La paura è tale che molti proprietari di gatti hanno deciso di non far uscire di casa i propri animali.

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30 marzo Obama benedice l'alleanza Come condizione per erogare a Chrysler un finanziament... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

30 marzo Obama benedice l'alleanza Come condizione per erogare a Chrysler un finanziamento pubblico di 6 miliardi di dollari il Presidente americano impone al colosso di Detroit in crisi di unirsi a Fiat, con le sue tecnologie per produrre auto più efficienti. Parte la richiesta di amministrazione controllata (Chapter 11).

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Giudici e legali per 48 ore di battaglia (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Giudici e legali per 48 ore di battaglia Pugno di ferro e guanto di velluto. Così la Fiat ha respinto l'assedio alla Corte Suprema da parte dei creditori dissidenti. Una battaglia legale durata 48 ore durante le quali il Lingotto si è trovato a fronteggiare non solo le rivendicazioni finanziarie di una esigua minoranza di obbligazionisti Chrysler, ma anche le mire professionali di un principe del foro, le ambizioni elettorali del politico di turno e le inattese perplessità di un giudice navigato. A tirare le fila degli oppositori è Thomas Lauria, il volto noto delle maxi-cause a sfondo finanziario. Quarantotto anni, una passione per i gessati e parcelle da almeno mille dollari l'ora, Lauria ha il fiuto per gli affari e perorare la causa dei creditori Chrysler è una chance da non perdere, sia per salire sul grande carrozzone della bancarotta più importante degli ultimi anni, sia per non prendere il treno di quella ancor più sostanziosa di Gm. Il personaggio potrebbe dar del filo da torcere e per questo scattano le misure precauzionali: in un giro di consultazioni telefoniche tra Detroit, Torino e Washington vengono impartite ai legali di Chrysler a New York le direttive per tener testa all'offensiva. Osservare e confondere l'avversario con la calma tenendosi pronti al blitz in caso di necessità perché la pazienza è d'obbligo, ma perdere tempo è fuori discussione, ogni giorno che passa sono cento milioni di dollari in più. Lunedì la prima udienza, le attese sono per una decisione rapida di Ruth Bader Ginsburg, giudice navigato, la prima donna di religione ebraica a entrare nell'Alta corte per merito dell'ex presidente Bill Clinton. E' una liberal e in quanto tale non dovrebbe ostacolare per principio un'operazione appoggiata dal presidente Barack Obama, di fatto un democratico come lei. Ma nel pomeriggio di lunedì arriva il colpo di scena, la Corte Suprema sospende la vendita accogliendo l'istanza presentata dai fondi dell'Indiana. Hanno fatto breccia le dichiarazioni di Richard Mourdock, il tesoriere dello Stato: «La battaglia è di principio, ho fatto un giuramento accettando l'incarico pubblico e devo difendere i miei cittadini che in questo affare verrebbero pesantemente penalizzati». La crociata del funzionario, ribattezzato «l'uomo da sei milioni di dollari» (differenza tra i 18 pagati dai fondi per acquistare titoli Chrysler e i 12 ricevuti in sede di liquidazione del debito), appare bizzarra visto che solo di spese legali gli investitori devono pagare due milioni. Inoltre la sua militanza repubblicana fa pensare a una chiara campagna politica in vista di un turno elettorale non troppo lontano. Tra Torino e Detroit scatta lo stato di allerta, ma Sergio Marchionne tiene tutti col fiato sospeso optando per la mano di velluto: «Non ce ne andremo» nonostante i ritardi, dice ma quella che sembra una rassicurazione è solo l'ultimo avvertimento, un messaggio in codice per le controparti. I dissidenti non recepiscono e usano le parole dell'amministratore delegato per forzare ulteriormente la Corte Suprema: «Visto che Fiat non se ne va il giudice ha tutto il tempo per decidere con calma», dice il solito Mourdock con fare di sfida. Per il Lingotto è una dichiarazione di guerra. Dalle scuderie Fiat a quelle Chrysler rimbalza l'ordine di agire: «Attenti, dopo il 15 giugno tutto da rifare». Il blitz è coordinato con Elena Kagan, che in qualità di «Solicitor General» rappresenta il ministero della Giustizia di fronte alla Corte Suprema: «Attenti, la Fiat - dice - potrebbe mollare dopo il 15 giugno». Le conseguenze sarebbero gravissime, un disastro occupazionale. La giudice Ginsburg non ha alternative: gli interessi di pochi contro quelli della collettività. E allora non resta che decidere. Al tramonto della più lunga giornata che la storia della bancarotta americana ricordi, arriva il via libera della Corte Suprema. I fondi dell'Indiana sono costretti a battere in ritirata.

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Discorso ai dipendenti: meritocrazia e leadership, dovete sfidare l'ovvio (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Discorso ai dipendenti: meritocrazia e leadership, dovete sfidare l'ovvio [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK La firma elettronica dell'accordo a New York, l'annuncio del team di 23 manager per gestire la nuova Chrysler e il discorso ai dipendenti su «meritocrazia, leadership ed eccellenza» nel quartier generale di Auburn Hills: è una partenza a raffica quella di Sergio Marchionne nei nuovi panni di ceo a Detroit e ricorda da vicino quanto fece 5 anni fa al debutto ai vertici del Lingotto. Nella mattinata di ieri, poche ore dopo il via libera della Corte Suprema di Washington, l'alleanza Fiat-Chrysler si è concretizzata con l'atto legale in uno studio Manhattan che ha sancito la nascita di «Chrysler Group Llc», la nuova azienda libera dai lacci della bancarotta, dai miliardi di debiti della vecchia Chrysler dal fardello di 789 concessionari che non facevano profitto. L'atto formale ha coinciso con l'annuncio, da Auburn Hills e Torino, del team di 23 top manager selezionati personalmente da Marchionne negli ultimi giorni e la riapertura degli stabilimenti chiusi a causa della bancarotta, che costavano 100 milioni di dollari al giorno. «Siamo già al lavoro per sviluppare dei nuovi veicoli compatibili con l'ambiente, efficienti nel consumo di carburante e di alta qualità che consentiranno a Chrysler di andare in avanti» ha affermato il comunicato Fiat-Chrysler, pubblicato mentre Marchionne a Auburn Hills iniziava a parlare ad un parterre di migliaia di dipendenti nella sede quartier generale, che è il secondo edificio più grande d'America dopo quello del Pentagono. «Intendiamo costruire sulla cultura dell'innovazione che distingue Chrysler e sulla tecnologia di Fiat per espandere il portafoglio di Chrysler tanto in Nord America che all'estero» ha esordito Marchionne, sottolineando l'importanza del ruolo svolto «dal Tesoro Usa e dal governo canadese» per raggiungere l'intesa. La parte centrale del discorso ai dipendenti è stata sul ruolo di «leadership» della nuova Chrysler. «I leader sono coloro che sfidano l'ovvio e le convenzioni accettando di andare oltre, rifiutando il pensiero di chi dice "abbiamo sempre fatto così"» sono state le parole del ceo, promettendo di «rinnovare la guida di questa impresa» grazie alle potenzialità «del sesto gruppo automobilistico del mondo» e ad un metodo di lavoro che si basa sul «comunicazioni con porte aperte» ovvero una struttura snella, senza compartimenti stagni. Marchionne ha riassunto «i principi guida» con cui guiderà Chrysler in «meritocrazia, leadership, eccellenza e mantenimento delle promesse fatte» durante la lunga fase delle trattative, che ha avuto un momento di svolta nell'intesa con il sindacato americano Uaw, il cui fondo avrà il 55 per cento delle azioni di Chrysler Group a fronte del 20 di Fiat - che potrà arrivare al 35 - dell'8 del Tesoro Usa e del 2 del governo di Ottawa. Cercando il contatto diretto con i dipendenti - seguito alla formazione di una squadra che ha premiato molti funzionari finora di secondo livello - Marchionne ripete l'approccio avuto cinque anni fa al momento dello sbarco al Lingotto e riproposto l'anno scorso con Case New Holland. E' l'inizio dei primi cento giorni da ceo a Detroit, la roccaforte dell'auto nordamericana, e l'amministrazione Obama scommette sul successo della sfida delle auto piccole. «L'intesa raggiunta è un momento di orgoglio per Chrysler, l'alleanza con Fiat consente di uscire dalla bancarotta e di emergere come un'azienda automobilistica valida e competitiva» fa sapere un portavoce della Casa Bianca confermando l'elargizione del prestito da 4,7 miliardi di dollari che dovrà essere restituito in otto anni di tempo. Per l'America è l'inizio della stagione di una nuova generazione di automobili.

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Pugno di ferro e guanto di velluto. Così la Fiat ha respinto l'assedio alla Corte Suprema ... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Pugno di ferro e guanto di velluto. Così la Fiat ha respinto l'assedio alla Corte Suprema da parte dei creditori dissidenti. Una battaglia legale durata 48 ore durante le quali il Lingotto si è trovato a fronteggiare non solo le rivendicazioni finanziarie di una esigua minoranza di obbligazionisti Chrysler, ma anche le mire professionali di un principe del foro, le ambizioni elettorali del politico di turno e le inattese perplessità di un giudice navigato. A tirare le fila degli oppositori è Thomas Lauria, il volto noto delle maxi-cause a sfondo finanziario. Quarantotto anni, una passione per i gessati e parcelle da almeno mille dollari l'ora, Lauria ha il fiuto per gli affari e perorare la causa dei creditori Chrysler è una chance da non perdere, sia per salire sul grande carrozzone della bancarotta più importante degli ultimi anni, sia per non prendere il treno di quella ancor più sostanziosa di Gm. Il personaggio potrebbe dar del filo da torcere e per questo scattano le misure precauzionali: in un giro di consultazioni telefoniche tra Detroit, Torino e Washington vengono impartite ai legali di Chrysler a New York le direttive per tener testa all'offensiva. Osservare e confondere l'avversario con la calma tenendosi pronti al blitz in caso di necessità perché la pazienza è d'obbligo, ma perdere tempo è fuori discussione, ogni giorno che passa sono cento milioni di dollari in più. Lunedì la prima udienza, le attese sono per una decisione rapida di Ruth Bader Ginsburg, giudice navigato, la prima donna di religione ebraica a entrare nell'Alta corte per merito dell'ex presidente Bill Clinton. E' una liberal e in quanto tale non dovrebbe ostacolare per principio un'operazione appoggiata dal presidente Barack Obama, di fatto un democratico come lei. Ma nel pomeriggio di lunedì arriva il colpo di scena, la Corte Suprema sospende la vendita accogliendo l'istanza presentata dai fondi dell'Indiana. Hanno fatto breccia le dichiarazioni di Richard Mourdock, il tesoriere dello Stato: «La battaglia è di principio, ho fatto un giuramento accettando l'incarico pubblico e devo difendere i miei cittadini che in questo affare verrebbero pesantemente penalizzati». La crociata del funzionario, ribattezzato «l'uomo da sei milioni di dollari» (differenza tra i 18 pagati dai fondi per acquistare titoli Chrysler e i 12 ricevuti in sede di liquidazione del debito), appare bizzarra visto che solo di spese legali gli investitori devono pagare due milioni. Inoltre la sua militanza repubblicana fa pensare a una chiara campagna politica in vista di un turno elettorale non troppo lontano. Tra Torino e Detroit scatta lo stato di allerta, ma Sergio Marchionne tiene tutti col fiato sospeso optando per la mano di velluto: «Non ce ne andremo» nonostante i ritardi, dice ma quella che sembra una rassicurazione è solo l'ultimo avvertimento, un messaggio in codice per le controparti. I dissidenti non recepiscono e usano le parole dell'amministratore delegato per forzare ulteriormente la Corte Suprema: «Visto che Fiat non se ne va il giudice ha tutto il tempo per decidere con calma», dice il solito Mourdock con fare di sfida. Per il Lingotto è una dichiarazione di guerra. Dalle scuderie Fiat a quelle Chrysler rimbalza l'ordine di agire: «Attenti, dopo il 15 giugno tutto da rifare». Il blitz è coordinato con Elena Kagan, che in qualità di «Solicitor General» rappresenta il ministero della Giustizia di fronte alla Corte Suprema: «Attenti, la Fiat - dice - potrebbe mollare dopo il 15 giugno». Le conseguenze sarebbero gravissime, un disastro occupazionale. La giudice Ginsburg non ha alternative: gli interessi di pochi contro quelli della collettività. E allora non resta che decidere. Al tramonto della più lunga giornata che la storia della bancarotta americana ricordi, arriva il via libera della Corte Suprema. I fondi dell'Indiana sono costretti a battere in ritirata.

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marchionne a capo di fiat-chrysler (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Via libera all´operazione, Obama soddisfatto Marchionne a capo di Fiat-Chrysler ROMA - Dopo il via libera della Corte suprema l´accordo tra Fiat e Chrysler è cosa fatta. A capo del nuovo gruppo sarà l´ad del Lingotto, Sergio Marchionne. Si punta su 23 nuovi manager per 4 marchi. Concessi 4,3 miliardi di aiuti pubblici. John Elkann: «Siamo molto felici, è stato un lavoro incredibile». L´operazione è anche una vittoria del presidente Usa Barack Obama, che ieri si è detto soddisfatto: con l´alleanza nascerà un costruttore «vitale e competitivo». GRISERI, TROPEA E ZAMPAGLIONE ALLE PAGINE 22 E 23

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kenneth feinberg "zar degli stipendi" dei manager usa (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 21 - Economia Il caso Kenneth Feinberg "zar degli stipendi" dei manager Usa WASHINGTON - L´amministrazione Obama ha presentato le proposte di legge per regolare gli stipendi dei manager Usa. E intanto, ha nominato uno "zar degli stipendi", Kenneth Feinberg, che avrà il compito di determinare i compensi di 175 top manager in sette delle maggiori imprese del paese che hanno ricevuto aiuti pubblici.

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collaborazione, non barricate - salvatore tropea (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina VIII - Torino COLLABORAZIONE, NON BARRICATE SALVATORE TROPEA Il modello è quello Mirafiori e l´idea non a caso è partita da Torino. Questa volta, con un obiettivo ben più ambizioso e che sta perfettamente dentro la grande risacca di assestamento dell´industria mondiale dell´automobile. La proposta lanciata da Mercedes Bresso, quando era ancora aperto il caso Opel - ma si è mai chiuso? - esce dal perimetro torinese della Fiat e si propone come argomento di partenza per la elaborazione di un progetto mirato non solo alla difesa dei posti di lavoro a Mirafiori piuttosto che a Pomigliano d´Arco o a Termini Imerese. La finalità è più alta e del tutto nuova, salvo il precedente di quattro anni fa che ha permesso la «rinascita» di Mirafiori attraverso la collaborazione tra istituzioni e azienda. Sulla scia di quella operazione viene lanciata ora dal Nord Ovest l´idea di una nuova partecipazione tra pubblico e privato che si propone di aggredire la crisi del settore auto evitando i rischi di un pericoloso e sterile arroccamento difensivo. Insomma la collaborazione al posto delle barricate. E´ questo il messaggio che viene inviato a Sergio Marchionne che ha appena incassato una vittoria in terra americana che aiuta non poco a guardare avanti tra le cose da fare. Tra queste cose c´è anche la vettura ecocompatibile che, dando seguito a un orientamento già imboccato dalla Fiat, può andare oltre, nella direzione di quell´obiettivo sul quale Barack Obama ha impostato la strategia per la sopravvivenza di Chrysler e Gm. Dunque siamo di fronte a qualcosa di più che un tentativo di salvare dei siti produttivi. Proprio per questo la proposta di cui si è discusso ieri a Roma merita anche l´attenzione del governo. C´è solo da augurarsi che la chiusura della parentesi elettorale favorisca la sua evoluzione in qualcosa di più importante e che il Lingotto la veda come una opportunità. Tutto sommato, non è un´impresa impossibile.

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"la mia techno? nasce dall'amore di dio" - fulvio paloscia (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina VIII - Firenze I protagonisti "La mia techno? Nasce dall´amore di Dio" Allo Sferisterio arrivano le due stelle di Muv, il festival del digitale: domani c´è Dinky e sabato tocca a Robert Hood FULVIO PALOSCIA Più che il tappeto rosso della star, o il trono dei grandi padri degli stili musicali, a Robert Hood, riconosciuto come l´alfa e l´omega della minimal techno, si addice la tiara papale: «Dio è la mia ispirazione - dice alla vigilia del suo arrivo a Firenze, sabato alle 1, attesissimo ospite del Muv, il festival delle arti digitali in corso allo Sferisterio delle Cascine, dove terrà un dj set - è il creatore di tutto, io stesso sono plasmato per sua volontà e mi sento uno strumento nelle sue mani per comunicarne l´immensità, la meraviglia, lo stupore. Bisogna ascoltare Dio, sempre». Non è fuori luogo, dunque, usare il termine venerazione per raccontare l´atteggiamento con cui questo ragazzone statunitense viene accolto in tutte le parti del mondo: «Nella mia musica, nei mei dj set, aldilà dell´impatto fisico del ritmo, c´è una grande spiritualità: sia che componga o che metta dischi, io cerco sempre di portare chi mi ascolta in un altrove. Sarei felicissimo se anche solo due persone provassero questo». La musica è dunque una missione, per Hood? «No, perché la missione è sempre qualcosa che devi fare, che scegli. Io non ho scelto la musica, ma la musica ha scelto me. Quindi per me è una forma d´espressione vitale, necessaria. Come parlare, ridere, piangere, gridare, fare l´amore». La minimal techno è un fenomeno che ha cambiato volto alla musica da ballare, è la tendenza del momento, ma Hood non ne è così soddisfatto: «Questo genere sta diventando una semplice etichetta, un prodotto. Chi salta su questo carro pensa solo a guidarlo veloce, ma non guarda all´evoluzione delle ruote, o dei meccanismi fondamentali. Questa superficialità compromette il suo futuro. C´è, ad esempio, un accanimento sulla tecnologia, come se fosse l´unica prerogativa della minimal. Quando entro in studio, a tutto penso tranne che all´ultima diavoleria digitale di grido. Penso prima di tutto al cuore. Mio e di chi mi ascolta». Hood arriva da Detroit, città che ha dettato legge nella house. Continua a farlo? «Oggi Detroit sta vivendo una crisi pericolosissima, finanziaria e quindi anche sociale. La disoccupazione ha raggiunto livelli d´emergenza assoluta, la violenza dilaga, la cocaina è il rifugio di una depressione profonda. C´è una situazione di stallo anche creativo. Ma questa città ha sempre rialzato la testa grazie alla musica, fonte di vita e d´orgoglio, e so che con Obama questo accadrà». Ovviamente, «anche con l´aiuto di Dio». Oggi intanto il Muv ha in serbo altri assi della musica elettronica tra Italia e Europa: oltre ai nostrani Maggie Pie (21.30), dj tutta istinto, e Congorock (1), produttore e dj milanese con una sua solida fama negli Usa, arriveranno anche i Subs, trio belga in cui che affida il trattamento «in diretta» di chitarra e voce a un dj, e gli Autokratz (23.30), londinesi, con un live che guarda alle origini del pop elettronico (Kraftwerk) irrorandolo di suoni digitali presenti e futuri. Gratis dalle 19 alle 21, poi 13 euro. Info 055/6530215, www.muv.com.

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"divertimento e ricerca io donna li suono così" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina VIII - Firenze La rivelazione La dj cilena che oggi vive a Berlino racconta il suo lavoro "Divertimento e ricerca io donna li suono così" «Chi è nato in Cile e ci ha vissuto a lungo, come me, non dimentica mai le sue origini». è tutta una questione di ritmo, continua con una voce sospirata Dinky, la dj rivelazione che sarà ospite del Muv domani alle 1, «quel ritmo verso cui noi, cresciuti ascoltando musica tropicale, abbiamo una propensione fortissima, e che sappiamo mescolare in modo tutto nostro con la melodia». Attenzione, dice Dinky, nel deejaying mondiale non esiste una scena cilena vera e propria, «c´è casomai un suono, un chilean sound che però si basa su sradicati come me, come Luciano. In Cile è impossibile lavorare se non fai musica commerciale». Ha vissuto a lungo a New York, «poi con le restrizioni in seguito all´11 settembre, non mi è stato rinnovato il visto e sono dovuta venire via». Intravede, in questo, tracce di razzismo? «La mia pelle non è scura, sono i coloured che negli Usa vanno incontro a pregiudizi incancellabili nonostante Obama. Agli americani non perdono ben altro: l´essere stati i burattinai del golpe di Pinochet». A New York «ho imparato a lavorare duro, perché così devi fare, laggiù, se vuoi sopravvivere»; a Berlino, dove vive adesso, «ho capito davvero cosa è la libertà: espressiva, di movimento. Poco dopo esservi arrivata, ho trovato subito tutte le porte aperte». Atteggiamento che si rispecchia nelle sue playilist, dove il tappeto elettronico risente delle influenze più diverse, a partire da Depeche Mode e Kraftwerk, gruppi dei quali si dichiara devota. Cresciuta in una famiglia di musicisti dilettanti, lei stessa suona il pianoforte, «risorsa senza dubbio importante ma non necessaria: Thom Yorke dei Radiohead non conosce la musica, eppure è un genio. Gli studi classici conformano la mente su regole che impongono punti di vista molto settoriali sulla musica; molto meglio aver pratica di jazz, che scoperchia la creatività». In consolle si contraddistingue per una concentratissima compostezza, «questo non significa che non cerchi il divertimento. Diciamo che aspiro a educare la gente ai nuovi suoni attraverso il ballo». Obiettivo comune a tutte alle dj donne, «che amano essere più profonde, comunicative - conclude Dinky - Per questo non amo quelle colleghe che fanno di tutto per essere assimilate ai maschi. Abbiamo una nostra biodiversità: difendiamola». (f. p.)

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regione, latorre benedice vendola leader "ma dovremmo aprire alla poli bortone" - lello parise (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina III - Bari Regione, Latorre benedice Vendola leader "Ma dovremmo aprire alla Poli Bortone" Il senatore Pd: "Pdl diviso, ora pensiamo solo ai ballottaggi" LELLO PARISE «Centrosinistra pancia a terra per i ballottaggi» fa sapere Nicola Latorre, vicecapogruppo del Pd a Palazzo Madama. Solo dopo il 21 giugno «ci sarà la possibilità di costruire pure nuove alleanze nell´ambito dello stesso centrosinistra». Tuttavia il Pd, partito capofila della coalizione, esce malconcio da queste elezioni. «C´è stato un arretramento. Inutile nasconderlo. Le previsioni del resto, erano addirittura catastrofiche». Il bicchiere è mezzo vuoto? «Non dimenticate però che i numeri delle amministrative sono confortanti. Dimostrano che siamo capaci di difenderci dagli attacchi del Pdl». La Bat e la Provincia di Bari intanto, le consegnate al primo turno a Berlusconi & C. «Bat a parte, l´unico dato negativo è quello legato all´amministrazione provinciale barese». Enzo Divella rimane fermo al palo. «Ma la sua performance è stata di tutto rispetto. La "politicizzazione" del voto piuttosto non gli ha consentito di avere la meglio, purtroppo». L´industriale della pasta annuncia di dire addio alla politica. «Sarebbe sciocco perderlo. Abbiamo ancora tante battaglie da combattere. Ecco perché sarà indispensabile beneficiare del patrimonio di esperienze politiche e amministrative accumulato in questi cinque anni da Divella». Nel capoluogo pugliese non resta che Michele Emiliano a tenere alto l´onore del centrosinistra. Come finirà il faccia a faccia con Di Cagno Abbrescia? «Io sono fiducioso». Perché? «Emiliano ha un consenso che va oltre i due principali schieramenti politici. Purché gli elettori fra quindici giorni, non disertino le urne. Sì, credo che ci siano tutte le condizioni perché il sindaco bissi il trionfo del 2004». Emiliano, in questo caso, lascerebbe la guida dei democratici. Come segretario regionale dei riformisti circola con insistenza il nome di Enzo Lavarra, sconfitto alle europee. «L´uscita di Lavarra dall´assemblea di Strasburgo, è stato un duro colpo. Non fosse altro perché era uno dei migliori parlamentari europei del Pd». Potrebbe anche essere un buon segretario? «Questo tipo di discussione, come stanno le cose, è inopportuno». Come stanno le cose? «Adesso dobbiamo vincere i ballottaggi nei comuni di Bari e Foggia e nelle province di Brindisi, Lecce e Taranto. Possiamo farcela, dappertutto. L´esito di queste consultazioni inoltre, non sarà irrilevante rispetto a quello che accadrà per le regionali del 2010». Il candidato alla carica di governatore sarà per la seconda volta Nichi Vendola, che alcuni esponenti del Pd definiscono «il nostro Obama»? «Vendola è un ottimo presidente di Regione e ha ottenuto un significativo successo personale alle europee...». Ma? «Nessun ma. Ripeto: per il momento dobbiamo concentrarci, tutti quanti, per conquistare cinque amministrazioni locali. Poi dovremo metterci al lavoro perché il centrosinistra in Puglia possa consolidarsi ed, eventualmente, allargarsi» Adriana Poli Bortone così come l´Udc, potrebbero essere della partita? «La crisi del centrodestra apre nuovi spazi per il centrosinistra. Ma non siamo mica al mercato: ogni cosa a suo tempo».

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"lui in aula? nessuno scandalo rappresenta l'unione africana il discorso è un'occasione di pace" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 4 - Esteri Nicola Latorre, vice presidente dei senatori Pd "Lui in aula? Nessuno scandalo rappresenta l´Unione africana il discorso è un´occasione di pace" ROMA - «In aula a sentire Gheddafi? Io ci sarei andato comunque e mi sarei seduto in prima fila». Nicola Latorre non fa un passo indietro. Per il vice presidente dei senatori del Pd, dalemiano, al centro delle contestazioni di molti compagni di partito, «non c´era scandalo« nella presenza del leader libico in Parlamento. Gheddafi non è un campione di democrazia, senatore Latorre. Lei avrebbe ritenuto giusto farlo parlare in aula? «è il presidente dell´Unione africana. Questa è una circostanza storica per rilanciare una iniziativa di pace e di distensione con quei paesi». "No a un dittatore in aula", hanno protestato i suoi compagni di partito. «Intanto non c´era una convocazione di seduta. Il Senato sarebbe stato riunito come durante il concerto di Natale, con le rappresentanze diplomatiche e gli invitati. In una stagione nella quale c´è un impegno per recuperare il dialogo con i paesi della sponda del Mediterraneo, dopo il discorso del presidente Obama al Cairo, francamente ci si dovrebbe preoccupare degli interessi generali del paese e guardare un po´ più in là piuttosto che privilegiare gli aspetti di cortile». Pd di nuovo diviso «Un esercizio purtroppo appassionante quello della divisione. Anche se trovo legittime le perplessità». Lei la pensa come D´Alema «D´Alema ha solo detto che non aveva senso una polemica rumorosa». (g.c.)

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usa, nazista di 88 anni spara al museo della shoah - vittorio zucconi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 14 - Esteri Usa, nazista di 88 anni spara al museo della Shoah Panico a Washington, morta una guardia L´assassino tiene da anni un sito web "contro i negri e gli ebrei". Obama "rattristato" VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - Cercava il crepuscolo privato delle suoi divinità naziste, il vecchissimo Sigfrido americano di 88 anni che ieri ha invaso da solo il Museo della Shoah a Washington e ha cominciato a sparare, per finire il lavoro che Hitler, Himmler, Heydrich e i suoi eroi nella crociata contro la società multientica avevano lasciato incompiuto. Alla fine di una vita consumata invano per proteggere la purezza razziale dell´Occidente dalla minaccia di meticci, sanguemisti, neri ed ebrei, James VonBrunn aveva visto il proprio sogno ariano crollare nella disperazione quando un uomo di sangue caucasico e africano si era insediato sul trono del «Sacro Impero d´Occidente», come lo chiama il suo sito internet, e aveva deciso di agire. Ha sparato ai visitatori dello straziante museo che ricorda l´Olocausto ebraico, a 500 metri dalla Casa Bianca, deciso a uccidere o a farsi uccidere. Ha ammazzato una guardia e ne ha ferita un´altra. Ferito dal fuoco di risposta, è ricoverato in ospedale. Valhalla e la Valkirie dovranno attendere. VonBrunn, con quel suo nome etimologicamente identico a quello di un altro celebre nazista poi riciclato dalla candeggina della Guerra Fredda, Von Braun, non era comunque il solito good ol´ boy, il ragazzone ruspante delle Grandi Praterie arruolato nelle miliizie fasciste e antigovernative che puntualmente riaffiorano dal fondo dell´America per far strage di innocenti, come a Oklahoma City, o ammazzare un ostetrico abortista, come nei giorni scorsi nel Kansas, nella loro micidiale confusione fra razza, politica, religione e troppe armi da fuoco. James, figlio della classica famiglia tedesca piccolo borghese emigrata a metà dell´Ottocento e poi radicata nella rispettabilità delle professioni (il padre era ingegnere civile), era cresciuto nella più banale normalità. Laureato in giornalismo, forse l´unico sintomo di squilibrio mentale, arruolato in Marina, combattente encomiabile nel Pacifico, dove aveva ottenuto ben quattro stelle al valore, Von Brunn aveva lavorato nei giornali e nella produzione cinematografica, pubblicitaria e televisiva, prima di ritirarsi in una piccola casa sulle sabbie atlantiche del Maryland. In solitudine, ma collegato al mondo grazie a internet, aveva scritto e pubblicato online un libro molto apprezzato fra i gruppi delle croci celtiche, «Uccidete i gentili», una citazione talmudica che lui aveva utilizzato per spiegare che l´ebraismo è religione di morte, dunque da schiacciare. Aveva creato un sito web dal titolo autoesplicativo, l´impero d´occidente punto com, incoronandosi neo Carlo Magno, e il suo nome era venerato nei circoli delle aspiranti sturmtruppen che pullulano nel web. Il passaggio dalla sua fantasyland-nazi all´azione violenta ha richiesto quasi 89 anni - è nato nel 1920 - fino a ieri mattina, quando si è armato, ha raggiunto in automobile la Capitale, a un´ora di auto, è entrato nel Museo che dal 1993 ha ricordato la Shoah a 30 milioni di visitatori e ha sparato quattro colpi contro le guardie che controllano gli ingressi e i metal detector. Famiglie e scolaresche, abbondanti in questo mese di scuole in chiusura, si sono gettate a terra o nascoste dietro i pilastri, le guardie hanno risposto ai colpi, senza grande precisione, vetrate sono andate in frantumi, spargendo schegge e frammenti che hanno raggiunto un sorvegliante. Una sua piccola notte dei cristalli, come lo sfascio delle vetrine di negozi di ebrei nel pogrom nazista del 1938. Anziché l´ingresso nel paradiso dei nibelunghi, accanto a Odino e alle Valkirie, il figlio dell´ingegnere tedesco si è garantito il resto della propria vecchiaia in un altro penitenziario federale, dove già aveva trascorso sei anni e mezzo, fantasticando di essere il nuovo Adolfo incarcerato dopo il putsch nella birreria del 1923. Quattordici anni or sono, l´ex giornalista, ex produttore, ex pubblicitario, aveva personalmente occupato la sede della Federal Reserve, la banca centrale americana, arrestando come semplice cittadino che assiste a un flagrante delitto, i funzionari della Fed, per delitti contro i liberi cittadini americani vessati e schiacciati dalla mano del governo centrale asservito alla cabala demo-pluto-giudaico-massonica. Era stato condannato a sette anni da una giuria composta, ha scritto nel suo Mein Kampf, naturalmente da «negri ed ebrei» e ieri ha cercato di saldare il conto. Obama, avvertito dell´accaduto, si è detto «rattristato» dalla ferita inferta a Washington. James VonBrunn non nuocerà più a nessuno, ma non era l´ultimo crociato razzista annidato nel ventre di una nazione dalle quale altri terroristi emergeranno, per lottare contro un mondo che li ha lasciati indietro, senza che loro se ne rendano conto.

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marchionne alla guida di fiat-chrysler - arturo zampaglione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 22 - Economia Marchionne alla guida di Fiat-Chrysler Via all´accordo: "Torniamo forti". Casa Bianca: "Nasce un gruppo competitivo" John Elkann: "Siamo molto felici per l´intesa. è stato fatto un lavoro incredibile" ARTURO ZAMPAGLIONE NEW YORK - Sergio Marchionne, il cui look anticonformista e la grinta manageriale attraggono sempre più la curiosità del pubblico americano, è da ieri alla guida del sesto gruppo automobilistico mondiale, nato dall´ingresso della Fiat nel nuovo gruppo Chrysler. Dopo mesi di difficili negoziati e duri scontri giudiziari, di cui l´ultimo alla corte suprema risoltosi martedì notte, lo sbarco della casa torinese in America è avvenuto senza grandi cerimonie alle nove di mattina: qualche firma in calce ai contratti di vendita presso lo studio Cadwalader; la concessione di 4,7 miliardi di dollari di aiuti pubblici; e poi una dichiarazione del Tesoro che definisce la svolta come «un motivo d´orgoglio» nella storia di Auburn Hills, il quartiere generale della Chrysler vicino a Detroit. Anche Marchionne, che si è subito rimboccato le maniche nominando i luogotenenti e delineando la strategia, ha voluto sottolinearne l´importanza «per l´intera industria globale dell´automobile». Certo, è anche una scommessa rischiosa per l´ad della Fiat. La recessione ha colpito duramente il settore e la Chrysler, riemersa ieri dal fallimento, ha modelli antiquati ed è la più fragile tra le case americane. D´altra parte Marchionne è convinto che solo pochi grandi gruppi sopravviveranno alla crisi, e ha voluto a tutti costi acquisire le dimensioni idonee per affrontare le sfide. «Non ho dubbi: ce la faremo», ha promesso Marchionne, 56 anni, in un messaggio inviato ieri a tutti i suoi nuovi dipendenti, nella speranza di superare il trauma collettivo della Chrysler che fino all´altro ieri rischiava di sparire per sempre, e che ora rinasce senza i fardelli del passato, né il peso dei debiti, né la pletora di concessionari, né le fabbriche decotte, né i costi del lavoro spropositati. «Abbiamo intenzione - ha proseguito il neo-chief executive di Auburn Hill - di far leva sulla cultura dell´innovazione della Chrysler, e in modo complementare sulla tecnologia ed esperienza della Fiat». Più che soddisfatto John Elkann: «Siamo molto felici per la conclusione dell´accordo, Marchionne e la sua squadra hanno fatto un lavoro incredibile». L´accordo non sarebbe stato possibile senza l´impegno del presidente Barack Obama (che ai tempi dell´università guidava una Fiat sgangherata), e in particolare del leader del suo team, Steven Rattner. «Ci siamo finalmente riusciti», ha detto ieri a Repubblica lo «zar» dell´auto, visibilmente soddisfatto per questa vittoria della Casa Bianca che avrà riflessi positivi anche sul dossier General Motors. Nell´annunciare a fine aprile l´avvio delle procedure fallimentari per la Chrysler e la partnership con la Fiat, Obama aveva insistito sulla necessità di agire in modo efficiente e rapido: anche perché l´interruzione dell´attività produttiva aveva un costo di 100 milioni di dollari al giorno. Gli esperti ritenevano che il presidente fosse poco realista. Invece ci sono voluti solo 42 giorni, non uno di più, per far riemergere il nuovo gruppo Chrysler dalle ceneri del vecchio. L´ultimo scoglio è stato superato l´altro ieri quando la Corte suprema ha respinto la richiesta di tre fondi pensione dell´Indiana di bloccare l´accordo: «Non hanno dimostrato l´esigenza del nostro intervento», hanno spiegato i nove giudici. Presieduta da Robert Kidder (che ha preso il posto di Bob Nardelli), la nuova società è invece già operativa. La maggioranza del capitale del (55%) è detenuta dal fondo sanitario del Uaw, il sindacato dell´auto, che però può nominare solo un membro del board. Il governo americano ha l´8%, quello canadese il 2%. Attraverso una società collegata, la Fiat ha il 20% e tre poltrone nel board: ma la partecipazione è destinata a salire al 35% non appena saranno raggiunti alcuni obiettivi, mentre per arrivare al 51%, che è l´obiettivo del gruppo torinese, dovranno prima essere ripagati i miliardi di aiuti concessi da Washington.

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 11/06/2009 - pag: 6 L'intervista La moglie di Mousavi, candidato anti-Ahmadinejad «Lotto con mio marito per i diritti delle donne» Zahra vuole essere la prima first lady iraniana DAL NOSTRO INVIATO TEHERAN La donna che potrebbe diventare la prima first lady iraniana dopo Farah Diba ha il volto tirato di una 58enne poco truccata, in campagna elettorale da tre mesi. Gli occhi piccoli, orientali luccicano appena da sotto il chador nero, ma la voce è pronta, agile, come le sue risposte, capaci di dribblare i nodi più insidiosi. I fiori rossi del rusarì (il foulard) sono l'unica nota di colore che si concede. In una sfida tra monumenti del regime teocratico, come sono queste elezioni presidenziali iraniane, anche quelle roselline devono essere state soppesate con cura. Saranno troppo audaci per i conservatori? Troppo mortificanti per i riformisti? La soluzione è nel moderato conformismo che caratterizza l'offerta elettorale del marito. Eppure Zahra Rahnavard è stata l'unica donna rettore universitario dell'Iran. È scultrice, saggista, ex consigliere governativa. È passata dalla minigonna al velo quando, ventenne, incrociò uno degli ideologi della rivoluzione, il filosofo Ali Shariati. Oggi è soprattutto la moglie dell'ex premier Mir Hossein Mousavi, ma negli anni 70 era lei la più famosa tra i due. Mousavi è uscito dopo due decenni dalla naftalina per diventare il principale rivale del presidente Ahmadinejad. Ed è lei il suo asso nella manica. Se l'architetto ex premier è riuscito a riaccendere le speranze del popolo riformista orfano del presidente Khatami, non è per le sue (evanescenti) promesse o per un carisma che non c'è, ma piuttosto per questa moglie straordinaria tanto per quel che pensa l'Occidente di una donna col chador, quanto a confronto con altre figure pubbliche dell'universo musulmano. «Io e Mousavi abbiamo le stesse idee sui diritti delle donne mette subito in chiaro . Altrimenti non saremmo andati avanti per 40 anni di matrimonio ». Indipendente, provocatoria, un ego decisamente solido. Con vanità, racconta alle simpatizzanti di come ha conosciuto il marito. «Si è innamorato a prima vista, in una mostra di pittura. Dopo 10 giorni mi ha chiesto di sposarlo». Dottoressa Rahnavard, lei ha scioccato l'Iran facendo comizi da sola o mano nella mano con suo marito. «È stata una novità, è vero. Finora le autorità evitavano di portare le mogli nei viaggi ufficiali, mentre credo sia un fatto normale sia dal punto di vista religioso che intellettuale. All'estero potrebbero capirci meglio e le altre coppie iraniane potrebbero avere un esempio di collaborazione e confidenza familiare ». Dicono che lei sia la Michelle Obama dell'Islam. «Non sono Michelle, mi basta essere me stessa. Di certo ho grande stima di tutte le donne che, nel mondo, riescono ad avere un ruolo attivo nella società». Di solito, però, nei Paesi islamici alla donna viene chiesto di fare un passo indietro. «Da 30 anni mi occupo della questione femminile e non ho mai sentito tanta attenzione al tema come ora. In Iran sono donne più della metà dei contadini, un terzo degli operai e il 70 per cento degli universitari. Le donne hanno potenzialità superiori agli uomini in molte attività scientifiche e sociali. Ciò di cui noi abbiamo bisogno qui in Iran è un'evoluzione dei diritti civili. Vogliamo eliminare l'attuale status giuridico che impone alle donne la tutela di un uomo. Le donne devono decidere da sole il proprio destino». In Occidente il velo è il simbolo della sudditanza femminile. Lei lo porta. «L'ho scelto assieme alla fede nel fiore della mia gioventù e ne sono orgogliosa. Nel 1975 pubblicai un libro in America dal titolo L'hijab: il messaggio della donna musulmana. Il rispetto del velo, dicevo, deve derivare dal convincimento, non da un'ordine. Non ho mai cambiato idea: sono contraria alla trasformazione dell'hijab in strumento di oppressione. Credo fermamente alla libertà di scelta». La legge iraniana però. «Infatti la mia è solo un'opinione». Durante il governo Ahmadinejad oltre 120 donne sono state arrestate per le loro opinioni. «Il Corano dice di 'non spiare la vita privata altrui'. Perché Mousavi dovrebbe temere le donne quando sua moglie è scesa in campo? Se verrà eletto farà di tutto per rispettare i diritti, eliminare le discriminazioni, garantire processi giusti e rapidi». Gli ultimi sono stati anni duri per i diritti civili. Pochi mesi fa, ad esempio, il Parlamento stava per liberalizzare la poligamia. «Un altro capolavoro del presidente Ahmadinejad. Ha presentato due disegni di legge per fortuna entrambi bloccati». Eppure il Corano lo consentirebbe. «Dovremo affrontare il tema rispettando i precetti religiosi e la dignità della donna libera, musulmana, iraniana». Possibile? «Certo». Secondo i sondaggi, molte iraniane hanno deciso di votare suo marito perché hanno fiducia in lei. Immagina un ruolo per sé al governo in caso di vittoria? «Penso che potrei dare il mio contributo come consigliere politico. L'ho già fatto durante la presidenza Khatami e potrei rifarlo. Però nella prossima amministrazione dovranno esserci almeno due o tre ministri donna (oggi non ce n'è nessuna, ndr) tante ambasciatrici e consiglieri. Chi ha talenti deve poterli esprimere. Maschio o femmina che sia». In Iran c'è ancora chi pensa, come alle scorse elezioni, che sia meglio non votare per togliere legittimità al regime. «Agli astensionisti dico non lasciate il potere a chi mente, rovina l'economia, umilia il Paese all'estero, offende la Costituzione. Fate sentire la vostra voce». Lei ha annunciato querela nei confronti del presidente per aver messo in dubbio le sue credenziali accademiche. Perché Ahmadinejad l'ha attaccata? «È lui a dover rispondere, a me resta l'amarezza di un presidente che ha messo in ridicolo la sua carica. Deve chiedere scusa al popolo iraniano, alla mia famiglia e a me». Andrea Nicastro anicastro@corriere.it Obama Non sono Michelle, mi basta essere me stessa. Ho grande stima delle donne che riescono ad avere un ruolo attivo nella società Tutela Vogliamo eliminare lo status giuridico che impone alle donne la tutela di un uomo. Dobbiamo poter decidere da sole Impegno Zahra Rahnavard mostra la foto del marito Mir Hossein Mousavi. La Rahnavard è rettore dell'Università Alzhara di Teheran (Reuters) Il fan Il «braccio della propaganda»: un sostenitore del presidente Mahmud Ahmadinejad

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Svolta nell'auto Fiat conquista Chrysler negli Usa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 11/06/2009 - pag: 8 Svolta nell'auto Fiat conquista Chrysler negli Usa La Casa Bianca: gruppo sano e competitivo John Elkann: dal management lavoro incredibile MILANO L'ultimo ostacolo cade quando qui è da poco passata l'una del mattino. C'è anche il sigillo della Corte suprema degli Stati Uniti, adesso, sull'operazione Fiat-Chrysler. Sergio Marchionne, gli uomini del Lingotto e di Auburn Hills, quelli della task force del Tesoro si preparano a una notte in bianco. Lavoro, non festeggiamenti, ma è come se lo fossero: il rush finale serve al closing, al trasferimento dei prestiti concessi da Washington e alla vendita degli asset «buoni» da una società fallita a una che, dirà più tardi una Casa Bianca «rincuorata », grazie all'alleanza con Torino «è sulla strada per emergere come costruttore competitivo e sano». Alle nove del mattino dopo ora americana l'iter è completato. La «nuova Chrysler» c'è, può partire. Soci il sindacato Usa (55%), i governi statunitense e canadese (10%), il gruppo italiano (20% subito, 35% nei prossimi step, 51% in prospettiva). Guida: Fiat. Marchionne si insedia ufficialmente come ammini-- stratore delegato. Si è scelto un vice (quel Jim Press che era vicepresidente della «vecchia Chrysler») e una squadra composta in buona parte dai manager di Auburn Hills, con pochi inserimenti torinesi. Ma anche il team snello è modellato sul Lingotto. La gestione lo sarà a maggior ragione. Tempo per i brindisi, ieri, scarso: dipendenti riuniti nella Tech Plaza alle 14, una Dodge Ram 3500 rossa e una 500 blu sul palco-simbolo dell'alleanza, brevi discorsi di Marchionne e del neopresidente Robert Kidder. Poi di nuovo tutti ai loro posti: il lavoro comincia adesso. E adesso comincia la sfida. Che va al di là degli ovvi, e già impegnativi, obiettivi aziendali: risanare Chrysler, ripetere quella svolta Fiat cui nessuno credeva, integrare contemporaneamente i due gruppi per farli giocare da big player «tra i leader della futura generazione di produttori a livello globale ». Frase che in sé basta a dare l'idea di quale sia il vero, e persino più ambizioso, traguardo fissato da Marchionne. Il Lingotto non entra ad Auburn Hills solo per fare «massa», per avvicinarsi ai 5,5-6 milioni di auto che ora tutti considerano la soglia minima per non bruciare ricchezza, per proiettarsi già al sesto posto nel mondo (come il double Ceo, il doppio amministratore delegato, scrive subito «agli uomini e alle donne della nuova Chrysler»: e chissà che intanto non pensasse anche agli uomini e alle donne della ancora «vecchia» Opel). Questa è la cornice, sono i numeri-chiave. Ma né l'una né gli altri sono fini a se stessi. Arrivarci è una necessità. Lì sta lo spartiacque, nel pianetaauto affossato da una strutturale sovraccapacità produttiva, tra i costruttori di massa che prospereranno e chi al massimo potrà vivacchiare. Marchionne, di vivacchiare, non ha alcuna intenzione. Rischia? Sì. Ma l'immobilismo sarebbe sconfitta sicura. Difatti ai dipendenti dà la carica: «Non ho dubbi che porteremo a termine l'impresa». Però avverte anche: «Per riuscirci, c'è bisogno di dimostrare che l'alleanza funzionerà». E può sembrare presuntuoso quando, nella nota congiunta che annunc ia il closing , candida Fiat-Chrysler a vette molto, molto alte: «Lavoreremo a un modello di riferimento per le aziende automobilistiche che vogliano produrre utili». È che è proprio questa la posta in palio, questo il famoso spartiacque. L'intesa con Detroit, per la quale John Elkann parla di «lavoro incredibile fatto da Marchionne e dalla sua squadra », nasce così: cercata e voluta «come passo fondamentale per risolvere i problemi che affliggono l'industria dell'auto». Per carità, non di tutta: «Non risolve sicuramente» ogni questione, nemmeno in casa Fiat. Ma è comunque «un giorno molto importante» per l'intero settore, e fondamentale per i due gruppi: «Partendo dalla cultura di innovazione Chrysler e dalla tecnologia e know-how Fiat», il numero uno del Lingotto è certo di poterli portare «tra i leader globali ». Deve ringraziare, per questa prima chance, soprattutto la Casa Bianca, e infatti puntualmente sottolinea «il pieno sostegno dell'amministrazione del presidente Barack Obama ». Lo aveva convinto con la «tecnologia verde» Fiat, non con il design italiano. Ora promette: «Costruiremo vetture che i consumatori vogliono». Ed è lui il primo ad aggiungere: «Sta a noi dimostrare che così sarà». Raffaella Polato Nel quartier generale della Chrysler Per il saluto ai dipendenti americani ad Auburn Hills, Sergio Marchionne rinuncia per una volta al maglione nero e indossa la casacca del gruppo con i marchi Chrysler, Jeep e Dodge (Reuters/Joe Wilssens) John Elkann

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Marchionne agli operai: vinceremo la grande sfida (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 11/06/2009 - pag: 9 Detroit Sarà amministratore delegato anche della casa americana Marchionne agli operai: vinceremo la grande sfida Riaprono le fabbriche. Una «500» e una «Dodge» sul palco DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Il blu di una Fiat 500 e il rosso di una Dodge preparate sul 'set' dell'incontro coi dipendenti Chrysler per il battesimo della nuova società riemersa dalla bancarotta. Il blu dell'ottimismo, della fiducia in una Fiat che si presenta negli Usa come «la Apple dei costruttori d'auto che ha nella 500 il suo iPod» (un paragone fatto ai tempi del lancio della vettura proprio da Marchionne), ma anche il rosso di un'emergenza che non è finita, di una sala operatoria che rimane in piena attività. Sono i colori di una giornata straordinaria per la storia dell'industria automobilistica Usa nella quale, ottenuto il via libera dalla Corte Suprema e chiusa a tempo di record (41 giorni) una procedura di amministrazione fallimentare che era stata definita la più complessa della storia americana, in poche ore abbiamo assistito alla firma della cessione delle attività del gruppo di Detroit alla nuova società partecipata dalla Fiat, all'erogazione da parte del Tesoro dei 6,6 miliardi promessi per farla ripartire e alla riapertura dei battenti di una compagnia ora chiamata Chrysler Group LLP e guidata dall'amministratore delegato del gruppo torinese, Sergio Marchionne che ha già scelto i capi di tutte le sue divisioni aziendali. Ora gli impianti possono essere riattivati: nei prossimi giorni i 38 mila dipendenti rimasti torneranno al lavoro, la rete di distribuzione più snella dopo che il tribunale ha approvato la chiusura di 839 concessionarie riaccenderà le luci. Forse è l'inizio di una nuova era del capitalismo industriale da vivere con le cinture di sicurezza allacciate e senza farsi troppo condizionare dagli schemi applicati fino a oggi. La determinazione con la quale la Casa Bianca ha sostenuto l'intesa rappresenta una novità assoluta. Obama che si è esposto in prima persona fin dall'inizio, il sostegno finanziario garantito alla Chrysler anche rischiando una reazione irata dei contribuenti, la pressione sulle corti perché fosse evitato ogni intoppo di natura giudiziaria, i tre gradi di giudizio superati (forse anche con qualche forzatura) in poco più di una settimana, sono tutti elementi di un nuovo modo di procedere sul quale varrà la pena di ragionare. Ieri Marchionne, celebrando il «nuovo inizio» nel suo messaggio ai dipendenti Chrysler, ha giustamente puntato soprattutto a risollevare il morale di chi in pochi anni è passato da una proprietà industriale americana poco dinamica all'esperienza infelice coi tedeschi di Daimler, alla disastrosa gestione del gruppo finanziario Cerberus. Uomo delle «missioni impossibili », Marchionne ha detto ai suoi nuovi dipendenti: «So che dobbiamo affrontare grandi sfide, ma non ho alcun dubbio: ce la faremo». Il nuovo leader ha rivendicato il diritto di essere ottimista, ha evocato il frastuono delle catene di montaggio che si stanno per rimettere in attività, ha parlato dei nuovi modelli a basso consumo di derivazione Fiat sui quali i team delle due Case stanno già lavorando da settimane. Marchionne sa che deve bruciare i tempi. Sa che, eliminati i debiti, ridotti i costi ai livelli dei concorrenti giapponesi con impianti negli Stati Uniti, ora vanno fatti miracoli di tecnologia e di marketing per ridare vita a una società che negli ultimi 6 mesi ha pressochè dimezzato le vendite e che, già prima della crisi, aveva visto la sua quota del mercato Usa ridursi dal 15 al 10%. Far tornare i conti sarà una bella impresa, ma sarà difficile anche interpretare questa nuova stagione del capitalismo nella quale va preso atto pragmaticamente che il risanamento e il rilancio dei settori manifatturieri colpiti dalla crisi dipendono ampiamente dalla volontà dei governi. Ma in cui, al tempo stesso, bisogna evitare che le vecchie multinazionali si trasformino in imprese 'multigovernative'. Su questo nuovo terreno Marchionne rappresenta uno straordinario 'asset' per l'Italia: entra in scena, conquista la fiducia di Obama, diventa un motivo di speranza per gli americani proprio in un momento in cui i rapporti tra gli Stati Uniti e il nostro Paese non sono particarmente brillanti sul terreno economico né su quello politico. Il top manager italiano è sicuramente consapevole di questa sua responsabilità: ieri ha dato atto alla Casa Bianca del suo coraggio e della sua lungimiranza, mentre la sua intesa col Tesoro Usa si fa sempre più solida. Il rientro del capo di Fiat-Chrysler, oggi in Italia, potrebbe anche preludere a qualche incontro coi ministri economici del G8, riuniti venerdì e sabato nel nostro Paese. Ma la sfida di Marchionne è soprattutto quella di pompare imprenditorialità nella nuova impresa italo-americana. In fondo il primo a chiederglielo è proprio Obama: un interventista per necessità (nel consiglio della nuova società ci saranno uomini designati dal suo esecutivo e anche un rappresentante del governo canadese) consapevole dei rischi dell'interventismo che si è speso per Chrysler molto più che per GM, proprio perché qui ha visto in una tecnologia italiana e in un manager capace di visioni globali la chiave di una possibile riscossa. Massimo Gaggi

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Follia antisemita al Museo dell'Olocausto (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 11/06/2009 - pag: 21 Washington James von Brunn gestisce un sito Internet razzista Follia antisemita al Museo dell'Olocausto Ucciso un agente. L'attentatore ha 89 anni DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Non è mai troppo tardi, neppure per l'odio razzista e antisemita. James von Brunn, 89 anni, inguaribile relitto della supremazia bianca, è entrato armato di un fucile poco dopo mezzogiorno di ieri al Museo dell'Olocausto di Washington, sparando e ferendo una guardia giurata, prima di essere colpito a sua volta. L'attentatore e il poliziotto sono stati portati in ospedale, entrambi in condizioni critiche: l'agente è morto poco dopo. Nella sparatoria altri due addetti alla sicurezza hanno riportato ferite piuttosto lievi. Secondo la polizia e il sindaco della capitale Adrian Fenty, immediatamente accorso sul posto, von Brunn ha agito da solo. Viene esclusa cioè una matrice terroristica dell'episodio. L'attentatore, che risiede in Maryland e si dichiara veterano della Seconda Guerra Mondiale, è noto per aver pubblicato libri antiebraici e per gestire un sito internet, Holy Western Empire, una specie di pozzo nero di ogni pulsione antisemita. Collocato sul National Mall, il cuore politico e istituzionale di Washington, a meno di un chilometro dalla Casa Bianca, il Museo dell'Olocausto, ospita una delle più grandi raccolte al mondo di documenti e testimonianze sulla Shoah, lo sterminio di oltre 6 milioni di ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. In vent'anni è diventato polo di attrazione per turisti e scuole da ogni parte degli Usa e del mondo. L'attacco ha mandato in fibrillazione il distretto federale. L'intera area è stata evacuata e chiusa al traffico. Il museo è stato circondato e chiuso al pubblico per il resto della giornata. Subito informato dell'avvenimento, il presidente Obama ha detto di essere «preoccupato e rattristato»: «E' un segno che ci ricorda come si debba sempre vigilare contro i pregiudizi». Secondo una prima ricostruzione, fatta dal capo della polizia di Washington, Cathy Lanier, Brunn avrebbe cominciato a sparare appena dentro l'edificio, prima cioè del controllo di sicurezza ai metal detector, colpendo un agente, prima che le altre due guardie avessero il tempo di reagire aprendo il fuoco contro di lui. Confusione e panico hanno segnato i minuti successivi alla sparatoria. Come sempre, a quell'ora il museo era pieno di gente, soprattutto scolaresche. Dave Unruh, di Wichita, nel Kansas, ha raccontato di aver udito un primo colpo, mentre era in attesa nell'atrio d'ingresso, seguito da una successione di altri quattro o cinque colpi: «Qualcuno ha gridato: a terra! Siamo rimasti alcuni momenti, poi ci hanno scortato insieme a decine di persone verso l'uscita». Un altro testimone, una ragazza di 19 anni che ha dato soltanto il suo nome, Maria, ha detto alla Cnn di aver visto la guardia del museo a terra sanguinante: «Aveva la faccia rivolta verso terra e il sangue usciva da un punto della schiena». Anche Trevor Ezelo, 18 anni, parte di una comitiva di studenti dall'Arizona, ha confermato che i colpi sono stati cinque: «Eravamo nell'area della mostra sulla propaganda nazista. Non abbiamo pensato che fossero colpi d'arma da fuoco. Poi abbiamo visto alcuni agenti che correvano e ci dicevano di metterci al riparo. C'erano signore in lacrime. Altre persone urlavano. E' stato scioccante». Paolo Valentino Paura Un agente davanti al museo La ricostruzione L'uomo, armato di fucile, è entrato nell'edificio e ha aperto il fuoco prima di essere ferito. E' ricoverato in condizioni critiche La folla A quell'ora il museo era pieno di gente, soprattutto scolaresche. Obama si è detto «preoccupato e rattristato»

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I big Usa ripuliscono il blasone (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 11/06/2009 - pag: 32 «Herald Tribune» I big Usa ripuliscono il blasone Gmac, il famigerato buco nero di Gm? È diventato Ally Bank. Aig, il gruppo che ha bruciato aiuti pubblici per miliardi di dollari provocando lo sdegno persino di Barack Obama? Facile, si cambia la «G» e si trasforma in A.I.U.. La strategia dei big della finanza anglosassone per uscire dalla crisi, ha scritto ieri l'Herald Tribune, passa anche per il maquillage di loghi e nomi «svalutati». La ripulitura, aggiunge il quotidiano, avviene con l'aiuto dei grandi nomi delle pubbliche relazioni.

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Tetto allo stipendio per i 100 manager Usa delle aziende salvate dal governo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 11/06/2009 - pag: 33 La decisione di Obama Tetto allo stipendio per i 100 manager Usa delle aziende salvate dal governo WASHINGTON Il presidente Obama non fisserà un tetto ai megastipendi e premi dei grandi manager americani, ma vi porrà due paletti. Gli azionisti forniranno indicazioni su di essi, sia pure non vincolanti. E gli stipendi e i premi verranno stabiliti da un Comitato ad hoc indipendente dal Consiglio di amministrazione, che li baserà sulla oculata gestione dei rischi e sui progressi delle società a lungo termine. In questo modo, i grandi manager non saranno più incentivati a esporsi a disastri come quello del 2008. Lo ha dichiarato ieri il ministro del Tesoro Timothy Geithner, al termine di una riunione con Mary Schapiro, la presidente della Sec. Obama fisserà invece un tetto agli stipendi e ai premi dei primi 100 big delle banche e le imprese che fruiscono del Tarp, il fondo dei prestiti statali. Lo stabilirà un controllore o «master», il commercialista Kenneth Feinberg, l'uomo che distribuì gli indennizzi alle famiglie delle vittime delle Torri gemelle nel 2001. I premi dei cento non potranno superare un terzo del loro stipendio e tra di essi vi saranno i manager di Citigroup, BofA e Wells Fargo, e di imprese come Gm e Chrysler. Le decisioni di Obama sono un compromesso tra liberisti e statalisti. I primi si sono opposti a ogni restrizione agli stipendi e ai premi d'oro, ammonendo che i migliori se ne sarebbero andati, e i secondi hanno denunciato scandali come quello Aig, salvata con 180 miliardi di dollari dello stato, che tentò egualmente di distribuire 165 milioni ai big. Ennio Caretto

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La faccia del potere (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Tempo Libero data: 11/06/2009 - pag: 14 Fondazione Mudima La faccia del potere Alla Fondazione Mudima (via Tadino 26, ore 18.30) si inaugura una mostra di Gianluigi Colin, artista e art-director del «Corriere della Sera». Sotto il titolo «Potere di carta» Colin raccoglie, stropiccia e rielabora una serie di manifesti elettorali (molti dedicati a Barack Obama) e pagine di giornale per proporre una riflessione sul ruolo dell'informazione e la responsabilità sociale della politica. La mostra prosegue fino al 30 giugno.

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Floris: Nord e Sud? Ci serve un nuovo Garibaldi (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Politica data: 11/06/2009 - pag: 17 Il saggio Il giornalista autore del libro dal titolo «Separati in patria»: in Italia la secessione c'è già Floris: Nord e Sud? Ci serve un nuovo Garibaldi MILANO Chi auspica la secessione d'Italia rimarrà sorpreso. La secessione, almeno da un punto di vista socioeconomico, esiste già. L'Italia da cartolina, travestita da stivale, è la somma di tante Italie differenti, che vivono molteplici realtà. Un Paese, il nostro, spezzato al cuore, che oscilla tra Nord e Sud. Ma che non ha altra alternativa all'essere un'unica nazione: perché gli italiani, al di là delle diverse condizioni in cui vivono, sono tutti uguali. Profondamente. «Siamo davanti a due Paesi diversi se si parla di economia o servizi, non se si parla di valori, senso civico, radici, cultura. Se si parla di tasca, non se si parla di anima»: è da qui che parte il libro-inchiesta Separati in patria di Giovanni Floris, un viaggio nell'Italia di oggi per capirne i problemi e ipotizzarne il domani. Il quadro che Floris delinea con capillare abbondanza di dati è quello di una nazione frammentata in tutto, dalla gastronomia alla sanità, dalla tecnologia alle infrastrutture, dove l'area geografica di appartenenza determina il destino dei singoli. Una terra che vive di incongruenze perché l'italiano «ama contraddirsi e tentare di sanare le proprie insanabili contraddizioni». Un Paese diviso da sempre, che ha saputo però cementarsi, adottare anche una lingua comune, ma non oltrepassare lo steccato dei pregiudizi. Da Giacomo Leopardi, che nel 1822 parlava della «frivolezza di queste bestie» rivolgendosi ai romani, agli insulti al tempo del web, il passo è breve. E la spaccatura netta. «C'è una linea di frattura tra Nord e Sud a livello di opportunità che vengono offerte: il nostro è un Paese diseguale », spiega l'autore al Corriere. Ad approfittarne è la malavita, che, paradossalmente, si giova dell'unità del-- l'Italia per far proliferare soldi e affari. La politica? Indolente e divisa dai campanilismi, ha le sue responsabilità. Spesso ricorda Floris nel saggio si è «alimentata di un malinteso» e così «ha condannato il Nord a soffrire e il Sud a deperire», incapace di gestire le diversità che ci contraddistinguono. La svolta federalista? «È difficile prevederne gli effetti», ma «spezzare il legame solidale all'interno di una nazione significa mettere a rischio la tenuta complessiva del Paese». Si salva la Costituzione: «La Carta ci dice che l'Italia è una e indivisibile, ma allo stesso tempo riconosce le autonomie locali», sottolinea nel saggio la costituzionalista Carla Bassu. Guardare all'Europa è quasi un miraggio: «Ci domandiamo degli altri? dice Floris Pensiamo che già in Italia, per buona parte del Paese, c'è un estero dentro alla nazione»: due mondi distinti, ma uniti da orgoglio e valori. Per uscire dall'impasse, Floris lancia come spiega al Corriere «tre piccole idee, senza ridisegnare scenari »: liberalizzazioni, creazione di una scuola politica per il Sud e lotta alla criminalità con un «codice fiscale» delle opere pubbliche. In Separati in patria auspica una svolta: «Non ci serve un Obama italiano, ci serve un nuovo Garibaldi. Che sappia rifare l'Italia, ma stavolta per bene». Ma l'identikit per ora non ha volto: «Il bello di Garibaldi è che non se lo immaginava nessuno. Sarà una persona capace di dare a tutti gli italiani la possibilità di farsi un futuro ». Emanuele Buzzi La divisione «C'è una linea di frattura tra Nord e Sud a livello di opportunità: il nostro è un Paese diseguale» Il libro S'intitola Separati in patria. Nord contro Sud: perché l'Italia è sempre più divisa l'ultimo libro del giornalista romano Giovanni Floris (Rizzoli, pp. 267, e 19)

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Lombardo non cede Nuova giunta avanti contro la linea del Pdl (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Politica data: 11/06/2009 - pag: 18 La crisi in Sicilia Entro domani l'incontro con Berlusconi Lombardo non cede Nuova giunta avanti contro la linea del Pdl Affidate tutte le deleghe. I finiani con lui DAL NOSTRO INVIATO PALERMO Fra Gheddafi e Obama si restringe lo spazio per Raffaele Lombardo, il governatore in attesa di una convocazione da quando ha azzerato e rifatto la giunta siciliana. Berlusconi, diviso fra il premier libico e i preparativi per volare verso Washington, non è ancora riuscito ad occuparsi di questa spina, più pungente dopo la perdita secca di almeno 600 mila voti nell'isola. Ma non soffre per abbandono Lombardo, ieri sera a Palermo per distribuire le deleghe ai suoi assessori e da stamane a Roma: «Mi ha fatto sapere che ci vedremo al massimo domani, forse prima o dopo qualcosa di ufficiale all'ambasciata libica...». E ironizza su questa ricerca di spazi nell'agenda internazionale: «Beh, si sa, la Sicilia è una nazione». Caustico riferimento a un'altra insidia messa in agenda al Senato, ma ieri saltata con il mancato primo esame del disegno di legge pensato per sostituire con un voto d'aula all'Assembla il presidente della Regione eletto direttamente dal popolo. Una riforma costituzionale, visto che si tratta di rivedere lo Statuto del 1946. Contestata perché ritenuta, anche a sinistra e a destra, da Anna Finocchiaro e Fabio Granata, una legge «contra personam». Coltivata da un gruppo di senatori Pdl a Palazzo Madama dove era stato convocato per le 14 l'ufficio di presidenza della Commissione Affari istituzionali presieduta da Carlo Vizzini, uno dei leader col mal di pancia per i provvedimenti di Lombardo sgraditi a tanti siciliani eccellenti, a cominciare dal presidente del Senato, Renato Schifani. Ma l'unico a presentarsi puntuale è stato il senatore Giovanni Pistorio. «C'era andato con le bombe a mano in tasca, ma non se ne è fatto niente», si compiace Lombardo. «La combriccola avrà capito che con questo atto intimidatorio ha messo il piede nella..., diciamo in fallo». Ma rintuzza Vizzini, indispettito: «La macchina non si ferma. Partenza solo rinviata alla prossima settimana». Il fermento è però fuori discussione. Anche a Montecitorio dove, pur con tutte le cautele istituzionali, ottengono il via libera per Lombardo da Gianfranco Fini due «finiani» di ferro, Fabio Granata e Renato Scalia, entrati con un assessore nella giunta nata alla vigilia del voto. Una scelta che pesa, anche se a Palermo scatta il sindaco Cammarata, vicino a Schifani: «Regione lontana dalla città». Loro quella norma la farebbero passare subito. Ma la considera «un colpo di mano» perfino Leoluca Orlando, pur durissimo: «Parte la campagna per liberare la Sicilia dal governo Lombardo e Palermo da Cammarata ». È il gioco di fuoco incrociato nel quale l'Udc cerca da giorni di trascinare la Confindustria insistendo su un presunto asse con Beppe Lumia (Ds) e Lombardo per la nomina ad assessore all'Industria di Marco Venturi, uno degli imprenditori coraggio. E spazientito Ivan Lo Bello corregge le distorte interpretazioni, «sorpresi dalle sterili polemiche su fantasiose appartenenze politiche», ribandendo che si tratta di «una scelta individuale», pur «senza dimenticare minacce e impegno nella lotta contro la mafia». Un invito a guardare «il merito delle scelte, come non mancheremo di fare noi se non saranno in sintonia con modernizzazione e legalità...». Un modo per spronare il governo a essere effettivamente operativo, come annunciava ieri sera Lombardo, distribuendo tutte le deleghe, anche quelle dei tre assessorati vacanti. Felice Cavallaro La squadra La giunta del governatore Raffaele Lombardo presentata il 29 maggio scorso a Palazzo d'Orléans (Ansa/Lannino) La difesa del Pd Anche la Finocchiaro critica il progetto del Pdl al Senato: inaccettabile, è contra personam

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Dal waterboarding all'isola felice (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK Dal rischio del simulato affogamento ai giochi acquatici sulle spiagge d’oro di Palau. Attenti a non viziarli troppo, i detenuti che entro gennaio 2010 devono lasciare, sfrattati da Obama, le stanzette di Guantanamo con aria condizionata. I primi a essere liberati, i 17 cinesi musulmani della etnia degli uiguri, finiranno infatti nel paradisiaco arcipelago della Micronesia, nove isole abitate su 250, 750 kilometri a Est delle Filippine. Gli Stati Uniti faranno un prestito di lungo termine da 200 milioni di dollari per aiutare lo sviluppo della minuscola nazione, che conta 20 mila abitanti: in pratica, 10 mila dollari a residente. «E’ un grande giorno per Palau e un grande giorno per i diritti umani», ha detto Stuart Beck, avvocato di New York sposato a una palauana, Tulik, con cui ha quattro figli, e ambasciatore di Palau presso l’Onu dal 2004 (a un dollaro all’anno). Dagli Anni 70 Beck rappresenta gli interessi dell’arcipelago, diventato indipendente nel 1994 da protettorato Usa che era. «La trattativa per i cinesi si è svolta a livelli di capi di Stato - ha raccontato -. Obama ha chiamato il collega Toribiong, che si è detto onorato e orgoglioso di compiere un gesto umanitario. Ora alcuni incaricati di Palau andranno a Cuba per capire che qualità e capacità lavorative abbiano i 17, e per organizzare il loro inserimento. Vanno in un paradiso dell’accoglienza: dal primo vascello inglese che vi capitò nel 1783, quelle isolette hanno sempre accolto bene i rifugiati. Palau è amica di tutti». Amica soprattutto dell’America. E adesso sarà forse presa più sul serio, mentre quando fu inserita da Bush nella «coalizione dei volontari» per la guerra in Iraq veniva citata come Stato-barzelletta. Non ha forze armate, per l’accordo firmato all’atto dell’indipendenza quando c’era Clinton, ma i suoi cittadini possono arruolarsi nell’esercito americano, e lo hanno sempre fatto. «Più di cento sono ora nei battaglioni in missione di guerra, e uno è morto in Afghanistan la settimana scorsa», ha detto Beck. Anche sul piano diplomatico la fedeltà di Palau è a prova di bomba: all’assemblea generale delle Nazioni Unite, su tutte le questioni, il suo voto è in linea con quello degli Stati Uniti a un tasso quasi totalitario, che rivaleggia solo con quello di Israele. L’unico Paese che finora aveva detto di volere gli uiguri era la Cina, ma gli Usa l’hanno sempre escluso nel timore che, essendo dissidenti islamici, potessero essere processati e magari condannati a morte e uccisi. Non è ancora certo che tutti i 17 cinesi finiranno a Palau: le alternative, per gli eventuali esclusi da questa vincita alla lotteria, sono l’Australia e la Germania, dove già vivono piccole comunità di uiguri. Almeno una ventina di gatti sono stati trovati mutilati e uccisi nell’arco dell’ultimo mese nella contea Miami Dade della Florida. Ad alcuni è stato strappato completamente il pelo, mentre altri presentavano diverse ferite da taglio. «Sono terrorizzata, al punto che ovunque vada temo di trovare gatti morti sul ciglio della strada», ha detto Mary Lou Shad, residente dell’area e proprietaria di un gatto che fa parte della lista delle vittime. La paura è tale che molti proprietari di gatti hanno deciso di non far uscire di casa i propri animali.

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Obama mette Google sotto inchiesta (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON La lente di Obama sul mega piano di Google di trasferire milioni di libri online. Il Dipartimento di Giustizia Usa infatti ha inviato una nota formale al colosso di ricerca Internet informandolo che l’Antitrust stanno investigando sulla possibilità che l’accordo fatto con i vari editori non violi le leggi sul copyright. Lo ha confermato il legale di Google, David Drummond. Una nota informativa sull’inchiesta e stata inviata ancher a Lagarderès Hachette Book Group. Nell’accordo firmato lo scorso ottobre tra Google e l’associazione degli editori americani il motore di ricerca si era impegnato a versare 125 milioni di dollari per creare un registro degli autori che permetta loro di venir pagati quando i loro libri finiscono online. L’amministrazione Usa ora vuole far luce sull’accordo. + Aumenta il successo dell'eBook + Ebook, print on demand e il futuro dei libri ANNA MASERA + Ue, diritti d'autore: Google Books nel mirino dei 27 + Google scaccia i dubbi sui legami con Apple + Google Book Search, slitta la data per aderire

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IE browser umanitario sfama l'America (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 11-06-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK Nel bel mezzo della crisi economica che preoccupa tutti il mondo, gli Stati Uniti sono alle prese con una spirale ancora in discesa, in cui la gente perde il posto, spende meno, i negozi hanno meno clienti e ci sono di nuovo licenziamenti. Mentre il presidente Obama lavora a piani di ripresa, anche dal mondo informatico arrivano esempi di solidarietà verso chi vive con particolare disagio questa fase economica. Microsoft ha, infatti, deciso di lanciare una campagna, in collaborazione con Feeding America, per fornire pasti gratuiti alle famiglie in difficoltà. E' un impegno concreto quello di "Browser for the Better", grazie al quale, per ogni copia del nuovo browser Internet Explorer 8, verrà donata una cifra per assistere i meno abbienti. Il progetto, già operativo, dovrebbe proseguire fino al prossimo 8 agosto. + Adobe mette browser e sistemi operativi a confronto + Il browser Opera 10 è pronto per i test + Il sito della campagna "Browser for the Better" + «Microsoft and Feeding America Join Forces to Fight Hunger» sul sito di Microsoft

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L'ex premier ha fatto capire che il ministro dell'Economia potrebbe guidare l'operazione (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Retroscena TREMONTI A PALAZZO CHIGI? FABIO MARTINI L'ex premier ha fatto capire che il ministro dell'Economia potrebbe guidare l'operazione ROMA A Massimo D'Alema di solito piace così. Finito il comizio in piazza, andare a cena con un ristretto gruppo di compagni fidati è una di quelle abitudini alle quali l'ex premier non rinuncia mai e non lo ha fatto neppure nel rush finale di questa campagna elettorale: sono occasioni per chiacchierare in santa pace, tanto è vero che nei giorni scorsi - in Puglia, in due diverse circostanze - l'ex presidente del Consiglio ha confidato a tavola uno scenario che ha intrigato assai i compagni seduti al suo fianco. A chi gli chiedeva, Massimo dove andremo a finire, lui ha risposto così: «Vedete, in Italia c'è un profondo malessere sociale ed economico destinato purtroppo ad aggravarsi nei prossimi mesi. Berlusconi è ancora in piedi ma indebolito. Potrebbe non farcela. E a quel punto, per provare ad uscire per davvero dalla crisi, potrebbe servire un grande sforzo nazionale e anche il Pd potrebbe essere chiamato a dare una mano, a sostenere un governo di unità nazionale». Certo, si tratta di riflessioni informali, non di un disegno al quale D'Alema si stia attivamente dedicando. Ma i commensali hanno colto subito la grande novità contenuta nelle parole del loro capo: in un Paese a cultura consociativa (ma anche complottarda), parlare e sentire parlare di "governissimo" è qualcosa che ha sempre un sapore vagamente osé. Nelle sue riflessioni ad uso privato, Massimo D'Alema ha dispiegato argomentazioni di largo respiro prima di arrivare all'approdo: «La gestione della crisi da parte del governo italiano è stata finora molto deludente. Lo vedete Obama? Mentre lì, la risposta è stata accompagnata da una radicale svolta politico-culturale, col ritorno in campo della politica, qui da noi ha prevalso la paura. E purtroppo gli effetti negativi della crisi finanziaria non si sono scaricati ancora sull'economia reale...». Un autunno freddo per l'Italia, destinato a diventare gelido e la previsione di D'Alema è che «il centrodestra da solo potrebbe non farcela», perché «Berlusconi non è finito, ma è indebolito». Si rischiano elezioni anticipate? Per D'Alema quello scenario non c'è, «la legislatura durerà fino al 2013», ma per risollevarsi da una crisi sempre più pesante, potrebbe servire un esecutivo dalle spalle larghe, un governo di unità nazionale. Un governo politico inevitabilmente affidato alla guida di un esponente del centrodestra, dentro il quale potrebbe essere chiamato a partecipare anche il Partito democratico. Sui possibili interlocutori di un'operazione di questo tipo, D'Alema è stato meno circoscritto, anche se ha avuto parole di apprezzamento per Giulio Tremonti, ipotetico premier, ma anche per Gianfranco Fini. Con Tremonti, D'Alema coltiva da tempo un rapporto bivalente ma tendente al bello. Ai frequenti e fiammeggianti match televisivi fa da contrappunto un rapporto personale di reciproca stima. I due si studiano da anni e dopo aver preso le misure, hanno cominciato a farsi le "fusa" anche in sedi pubbliche. Nel maggio del 2008, subito dopo la vittoria elettorale di Berlusconi, durante un dibattito a due organizzato da Lottomatica, Tremonti arrivò in ritardo e nonostante l'"affronto" subito, D'Alema lo gratificò: «Uno dei più bravi e brillanti ministri d'Europa...». E due mesi dopo, durante il dibattito sulla manovra economica, Tremonti contraccambiò, definendo il discorso di D'Alema in aula «un intervento da statista». E qualche giorno fa, al direttore della "Gazzetta del Mezzogiorno" Giuseppe De Tomaso che gli chiedeva come mai da sinistra Tremonti ricevesse giudizi positivi e diversi rispetto agli altri leader del centrodestra, D'Alema ha testualmente risposto: «Sì, bisogna dare giudizi diversi». E D'Alema cosa farà da "grande"? I giornali, un giorno lo tirano da una parte («Punta tutto su Bersani candidato»), un giorno dall'altra («E' tentato di candidarsi in prima persona») e lui, parlando a RedTv, sostiene che la sfida "non è ancora aperta", che per ora sostiene Pierluigi Bersani e, per quanto lo riguarda, si dice "disponibile a fare quello che il Pd mi chiederà". D'Alema confina la sua candidatura alla guida del partito ad una "extrema ratio", anche perché nel Pd finora "non mi hanno mai chiesto di fare nulla", dopo che per mesi "sembravo un isolato rompiscatole". Refrattario come sempre a imprese velleitarie, D'Alema capisce la difficoltà di una sua candidatura in un Pd che non è crollato, anche se è un'ipotesi che non esclude in modo definitivo.

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Il cane Boh di Striscia scrive al Bo di Obama (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

OVADA.LETTERA ALLA CASA BIANCA Il cane Boh di Striscia scrive al Bo di Obama «Hello my fellow dog friend, Bo!» (Ciao Bo, amico e fratello cane): comincia così, rigorosamente in inglese e su carta intestata, la lettera di Boh, il San Bernardo femmina, spalla di Michelle Hunziker a Striscia la notizia, al suo omonimo d'oltreoceano, quel «cao de agua» portoghese che scorazza alla Casa Bianca. Il Bo a stelle e strisce è il cane del presidente Obama. Vista la somiglianza del nome (quello di Striscia ha solo un «h» in più, ma il suono è il medesimo) i padroni Spartia e Maurizio Pagliarini, di Masone ma legati ad Ovada, hanno deciso di stabilire un contatto epistolare tra la loro San Bernardo e il «cao de agua» più famoso del mondo. Così ieri mattina Boh è arrivata alle Poste di Ovada ed ha imbucato la lettera, naturalmente firmata: «C'è una zampata enorme sul foglio, dopo i saluti» dice Maurizio. Una trovata con un retroscena sociale: «Faccio una vita di divertimento - spiega Boh nella sua lettera -, Spartia e Maurizio sono responsabili dell'associazione italiana Pet Therapy ed io aiuto i piccoli umani a socializzare. A volte un po' del mio pelo rimane nelle manine dei cuccioli di uomo però non fa niente perché loro imparano ad amare e a relazionarsi con il mondo». Boh, da circa un anno, lavora coi bambini autistici. E poi la proposta: «Parlami del tuo padrone che a quanto pare vuole cambiare il mondo, speriamo che ci riesca. Se gli umani imparassero da noi... A proposito: perché non inventiamo un G8 dei cani? Intanto teniamoci in contatto, un abbraccio a quattro zampe e...Yes we can...».

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Quattrocento guerrieri per mettere in rotta i taleban in 36 mesi. È questa la scommessa del gen... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Quattrocento guerrieri per mettere in rotta i taleban in 36 mesi. È questa la scommessa del generale Stanley McChrystal che, fresco di conferma da parte del Senato di Washington nelle vesti di nuovo comandante delle truppe in Afghanistan, è in partenza per «due tappe in Europa» con destinazione finale Kabul al fine di porre le basi per realizzare la nuova strategia del presidente Obama. Ciò che più conta per McChrystal sono gli uomini e le donne del proprio team e il capo del Pentagono Robert Gates gli ha dato un'autorizzazione senza precedenti: può reclutare e portare con sé i 400 migliori ufficiali e soldati presenti nei ranghi delle intere forze armate degli Stati Uniti. Il capo degli Stati Maggiori Congiunti, Mike Mullen, non ha sollevato obiezioni e dunque McChrystal ha iniziato a confezionare la propria task force, destinata diventare l'ossatura di un contingente che in settembre toccherà i 70 mila uomini. Le indiscrezioni trapelate sul New York Times lasciano intendere che gran parte dei 400 guerrieri verranno dalle forze speciali - Delta Force, Navy Seals e Berretti Verdi - sommando conoscenza delle lingue di Afghanistan e Pakistan, agilità nell'uso delle più moderne tecnologie e una pronunciata tendenza ad affrontare il combattimento nelle condizioni più impervie. Non è difficile indovinare che alcuni di loro sono quegli «Horse Soldiers» - soldati a cavallo - che Doug Stanton racconta nel suo ultimo libro ricostruendo le gesta dei militari che nell'autunno 2001 affiancarono l'Alleanza del Nord nell'offensiva che portò al rovesciamento del regime dei taleban. Fu proprio grazie ad una task force che McChrystal riuscì in Iraq a catturare Saddam Hussein e a eliminare Abu Musab Al Zarqawi, leader locale di Al Qaeda, ma mai prima d'ora l'esercito americano aveva consentito a un suo generale di riunire ai propri ordini una tale capacità di fuoco e intelligenza militare. Proprio come avviene nei reparti delle forze speciali, i nomi dei 400 guerrieri saranno per la maggior parte top secret e verranno divisi in gruppi per assicurare una rotazione per avere sempre il massimo delle potenzialità durante un periodo complessivo di 36 mesi: tanto infatti durerà l'offensiva che McChrystal condurrà per fare terra bruciata nello scacchiere afghano-pakistano puntando a colpire le zone franche a cavallo della frontiera, i finanziamenti attraverso il traffico della droga, le forniture di armi e soprattutto a indebolire il sostegno delle popolazioni locali offrendo ai civili dell'Afpak «maggiore protezione di quella che gli potrà mai venire dal nemico» come recitano i manuali di controguerriglia di West Point applicati con successo dal generale David Petraeus nel nord dell'Iraq. Ad avvalorare le voci sulla super-task force ci sono le identità degli ufficiali che saranno a più stretto contatto con McChrystal: David Rodriguez, generale a tre stelle veterano di Iraq e Afghanistan, che conosce da oltre 30 anni, e Michael Flynn, un generale proveniente dall'intelligence che guiderà la war room di Kabul mentre l'interfaccia a Washington sarà Scott Miller, una leggenda per gli uomini delle «Special Operations», al comando della «cellula Afpak» che potrà contare a pieno tempo sul «National Military Command Center» situato nei sotterranei del Pentagono e, durante gli anni di George W. Bush, dedicato soprattutto a seguire le operazioni in Iraq. In cambio della carta bianca nella selezione degli uomini Gates ha chiesto a McChrystal di consegnare un primo rapporto «entro 60 giorni» per far sapere alla Casa Bianca come è la situazione sul terreno e quali sono le «opzioni possibili» per incalzare tanto i taleban che quanto resta della leadership di Al Qaeda.

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il partito dei pirati online alla conquista di strasburgo - stoccolma (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Il partito dei pirati online alla conquista di Strasburgo STOCCOLMA «Dai, pensaci bene che è facile. Anzi, certe volte mi domando perché nessuno ci sia arrivato prima di noi». Seduto in un divanetto bianco al cafè di Sodermalm, l´ex quartiere operaio ora crogiolo di negozi di design, boutique vintage e ristoranti vegetariani, Christian Engstrom ripete la sua domanda e intanto si racconta con aria beata a una tv romena, poi a una radio finlandese, e così per tutta la mattina. Come un bravo maestro al termine di una lezione, ripete il quesito con tono divertito e ci aggiunge anche la risposta. «Cos´è la cosa alla quale nessun giovane, mai, rinuncerebbe? Facile: il computer e Internet. Senza, i ragazzi si sentirebbero persi». Bastava pensarci, dice portandosi l´indice alla tempia destra. Qualcuno infine lo ha fatto. Magari non sarà una gran trovata, ma il copyright, anche se lui questa parola proprio la odia, ormai è suo. Il partito di Internet adesso esiste. E non solo come gruppo politico che si organizza, comunica e raccoglie fondi online («Roba superata, Obama è già storia»). No, proprio un partito vero, con sezioni, programmi e tesorieri. ALLE PAGINE 39, 40 E 41 CON UN ARTICOLO DI JAIME D´ALESSANDRO

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"quando ci dicevano fate auto scadenti" - sergio marchionne* (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 25 - Economia "QUANDO CI DICEVANO FATE AUTO SCADENTI" SERGIO MARCHIONNE* Agli uomini e alle donne della nuova Chrysler. Oggi è il giorno di un nuovo inizio per Chrysler e per l´industria dell´auto del Nord America... è con grande orgoglio che vi saluto come nuovo amministratore delegato... Sebbene di fronte a noi ci siano molte sfide da vincere, non ho alcun dubbio che faremo bene il nostro lavoro. Chrysler tornerà, forte e competitiva... Siete passati attraverso momenti di grande avversità e instabilità nel passato recente e io voglio iniziare riconoscendo il vostro impegno per Chrysler e prendendo atto dei molti sacrifici che avete fatto. Grazie al vostro impegno, e al duro lavoro di una folta schiera di persone, incluso il presidente Obama e la sua task force sull´automobile, Chrysler è ora una società più concentrata e agile, che beneficerà in grande misura della nuova alleanza strategica globale con Fiat... Per queste ragioni, oggi è un giorno di ottimismo. I veicoli Chrysler, Jeep e Dodge torneranno a essere sfornate dai nostri impianti, torneranno negli showroom dei nostri concessionari presto anche sulle strade e autostrade d´America... Nel corso dei prossimi mesi avrà inizio il processo di trasferimento della tecnologia Fiat, piattaforme e motori per le piccole e medie vetture negli impianti di produzione di Chrysler. Questa pluripremiata tecnologia sarà fondamentale per aiutare la Chrysler a migliorare i prodotti e a fornire alla società un vantaggio strategico in molti mercati di tutto il mondo... Chiedo a tutti voi di assumere un ruolo di leadership e di lavorare con me per far tornare Chrysler ad essere ancora una volta una società pienamente competitiva e in grado di generare utili... Cinque anni fa, ho messo piede in una situazione simile in Fiat. Era percepita da molti come un costruttore di auto letargico e sulla via del fallimento che produceva auto di bassa qualità e che era afflitto da una burocrazia senza fine. Ma la maggior parte delle persone in grado di ricostruire la Fiat erano lì da sempre. Attraverso un duro lavoro e scelte difficili, abbiamo trasformato la Fiat in una società che produce utile e che produce alcune delle più famose, affidabili ed ecologiche auto del mondo. Abbiamo creato una società molto più efficiente investendo pesantemente sulle nostre tecnologie e piattaforme... Possiamo ottenere e otterremo lo stesso risultato qui. Le persone che se ne faranno carico lavorano già qui alla Chrysler. Abbiamo pianificato di portare quella stessa pulsione e impegno nell´innovazione a Chrysler perché vogliamo renderla di nuovo una delle forze trainanti della nostra industria. Sono sicuro che possiamo arrivare lì insieme. Grazie per il vostro impegno in Chrysler. * lettera dell´ad di Fiat ai dipendenti Chrysler del 10 giugno

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se obama saluta in arabo - tahar ben jelloun (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 37 - Commenti SE OBAMA SALUTA IN ARABO TAHAR BEN JELLOUN Poco prima di rendere l´anima, il Profeta Maometto raccomandò ai suoi compagni di salutare chiunque incontrassero sul loro cammino con le parole «assalam allikum» (letteralmente: la pace sia con voi): un saluto che è una premessa al paradiso. Nel frattempo quest´espressione è diventata banale: la pronunciano tutti i musulmani per darsi il buongiorno o la buonasera. Da qualche anno, molti credenti non rispondono più al telefono col consueto «pronto» o «hallo», ma con la formula «assalam allikum», segno e simbolo dell´identità musulmana. Ora, da quando lo ha pronunciato il presidente Obama, questo augurio è diventato di moda. Quasi tutti gli oratori che hanno preso parte alla conferenza internazionale «Muslim Voices» (Voci musulmane) svoltasi a New York dal 6 all´8 giugno, hanno esordito con il saluto musulmano: e se qualcuno ha riso, altri si sono commossi. All´inaugurazione, il sindaco di New York Bloomberg e quello di Brooklyn si sono mostrati fieri di ripetere questa formula, suscitando gli applausi della sala. Non si era mai visto nulla del genere in questa parte dell´America, profondamente segnata dalla tragedia dell´11 settembre. L´equazione islam = terrorismo sta scomparendo. I sette milioni di cittadini americani di confessione musulmana si sentono riconosciuti, e sono grati a Obama di aver ridato loro la dignità, dichiarando che «l´islam fa parte dell´identità americana»: in queste sue parole hanno ritrovato le ragioni per sperare e dimenticare l´era di Bush. è bastata una formula, e soprattutto un discorso ben preparato perché l´America, o quantomeno buona parte della sua popolazione, incominci a guardare ai musulmani con un po´ di simpatia, o se non altro senza pregiudizi. Obama sa giocare con intelligenza sui simboli, e questa sua forza è un´arma politica che forse non fa miracoli, ma che ha certamente introdotto notevoli cambiamenti nella società americana. Il convegno «Muslim Voices» ha coinciso con un momento storico: quello del discorso pronunciato da Obama all´università del Cairo, rivolto al mondo musulmano. Il dibattito si è imperniato su una domanda fondamentale: come gettare un ponte tra gli Stati Uniti e il mondo musulmano? Il tema generale e lo slogan della Conferenza, cui hanno partecipato quaranta personalità americane, asiatiche, arabe, iraniane, pachistane, indiane, europee, è stato: «Bridging the Divide between the United States and the Muslim World» (Un ponte per superare le divisioni tra gli Stati Uniti e il mondo musulmano). Si è incominciato da una ricerca di definizioni. Che vuol dire artista musulmano? Cosa accomuna uno scrittore arabo, un cantante senegalese, un drammaturgo kuwaitiano, un ricercatore orientalista? L´islam non è solo una religione, è anche una cultura, una civiltà. Il suo travisamento da parte di voci estremiste e fanatiche è un atto anti-musulmano. I pensatori franco-egiziani che si firmano col nome di Mahmoud Hussein hanno dimostrato che l´interpretazione letterale del Corano è un tradimento del messaggio divino. Il loro saggio dal titolo «Pensare il Corano» è un sasso nello stagno del pensiero sclerotico di un islam fossilizzato. è necessario riabilitare il rapporto col diverso. Gli americani del Dipartimento di Stato presenti a quella conferenza hanno detto e ripetuto: dobbiamo attenuare le tensioni esistenti e conoscerci a vicenda. Uno dei tre organizzatori, lo scrittore tunisino Mustapha Tlili, ha promesso di trasmettere la conclusioni di quelle due giornate di riflessione alle ambasciate, al Dipartimento di Stato e ovviamente allo stesso presidente Obama. Il momento è cruciale, anche perché in tutti noi c´è la paura che una qualche disgrazia impedisca a quest´uomo eccezionale di portare fino in fondo la sua audacia. Alcuni oratori hanno fatto riferimento alla coraggiosa politica degli Stati Uniti in Medio Oriente, mettendo in guardia il mondo dall´atteggiamento di Israele, che rifiuta sistematicamente di negoziare una pace giusta e durevole. Si sta delineando una nuova America. Un membro del Dipartimento di Stato si è scusato con un invitato arabo che aveva incontrato qualche difficoltà per ottenere il visto d´ingresso negli Stati Uniti. Il pubblico ha accolto trionfalmente un gruppo di cantanti sufi (mistici musulmani) e il senegalese Youssou Ndour, che ha infiammato la sala con le sue canzoni e musiche africane. Traduzione di Elisabetta Horvat

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stelle rock vecchie e nuove e la woodstock all'italiana - fulvio paloscia (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina IX - Firenze Stelle rock vecchie e nuove e la Woodstock all´italiana FULVIO PALOSCIA Riuscirà The Niro alias David Combusti, cantautore romano lanciatissimo all´estero e gran rivelazione del rock italiano, a rievocare le emozioni provocate dalla voce graffiata di Janis Joplin in Summertime? Ce la farà lo stralunato Bugo a trascinare nei nostri giorni l´immortale fiamma hendrixiana di Fire? Forse, più che il risultato, conterà la memoria. Ricordarci che, quarant´anni fa, un´onda tellurica di rock, rabbia e sogni si propagava da Woodstock al resto del mondo. La seconda edizione livornese di Italia Wave ci proverà. E dedicherà tutta la giornata del 16 luglio all´evento che i festival rock del mondo intero considerano come un padre putativo. Con l´aiuto della stampa specializzata e del pubblico che, attraverso il sito web e Repubblica XL, ha ingaggiato un gioco: a chi rifareste interpretare alcuni dei classici di Woodstock? Tantissime le risposte, alla fine l´hanno spuntata oltre a The Niro e Bugo, Marina Rei con Piece Of My Heart sempre della Joplin, i Beautiful (ovvero Marlene Kuntz più il gran mago elettronico Howie B) con Somebody To Love dei Jefferson Airplane, Caparezza che con Bugo e gli Afterhours affronterà My Generation degli Who; chiusura con Manuel Agnelli & c. in Judy Blue Eyes di Crosby, Stills, Nash & Young. Tutti in concerto la sera del 16 allo stadio Picchi, ingresso libero. Su Woodstock anche incontri e conferenze. La più attesa: quella di Michael Lang, organizzatore del mitico evento che, intervistato da Riccardo Bertoncelli, ne svelerà il dietro le quinte (19/7); il 16, Enrico Mentana parlerà con Walter Veltroni sulle speranze dell´America da Luther King a Obama, il 17 arriverà il fumettista Gilbert Shelton, inventore dei Freak Brothers, autentico guru della controcultura americana mentre il 18 Gino Castaldo presenterà Il tempo di Woodstock, scritto con Ernesto Assante. Confermato il cast degli headliner allo stadio, il main stage, che vedrà il ritorno di Placebo (17/7, 22 euro); il 18 (25 euro) i teutonici Kraftwerk, autentica leggenda della musica elettronica, condivideranno il palco con un pioniere del genere, Aphex Twin col suo dj set, i dj Ralf e Marco Passarani, dieci anni fa vincitore del concorso per dj dell´allora Arezzo Wave, oggi tra i nomi di punta del clubbing italiano; il 19 (22 euro) toccherà a Bandabardò e all´antagonismo politico degli spagnoli Ska-P tra ska e reggae (abbonamento 60 euro, prevendite già in corso su www.greenticket.it). Sullo psychostage (Rotonda dell´Ardenza, gratis), le novità più importanti del rock italiano: i Proiettili Buoni nati dalla collaborazione tra Marco Parente e Paolo Benvegnù, la poeticissima rabbia adolescenziale delle Luci della centrale elettrica (16), il blues di Samuel Katarro, la visionarietà di Beatrice Antolini (17) e ancora Julie´s Haircut, Mariposa (18) e il 19 Tonino Carotone. Fioccano grandi nomi a Elettrowave, la sezione dedicata alla dance elettronica, il 17 al Palalivorno: la diva house Ellen Allien, la techno di Shinedoe e Marcel Dettmann, il sound rarefatto di John Hopkins salutato come il nuovo Brian Eno. E ancora teatro con Kinkaleri e Giorgio Rossi, sport con street soccer, street basker, parkour. E un incontro, il 18 alla Fortezza Vecchia, con Pietro Mennea. Info 0575/401722, www.italiawave.com

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vendola suona la carica per emiliano "e ora adriana vada fino in fondo" - lello parise (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina V - Bari Il presidente della Regione Puglia e fondatore di Sinistra e libertà dopo l´affermazione alle elezioni europee Vendola suona la carica per Emiliano "E ora Adriana vada fino in fondo" Voglio dialogare apertamente con l´Udc ma senza mettere il carro davanti ai buoi Non penso a un rimpasto, ma con i dipietristi serve prima un confronto sui programmi LELLO PARISE Dice innanzi tutto che il ballottaggio a Bari «dovrà concludersi bene per Emiliano: il sindaco della rinascita delle periferie, della legalità». D´accordo, governatore Nichi Vendola. Ma proprio dopo il secondo turno elettorale, ci sarà oppure no il rimpasto della giunta regionale? «Sono quattro anni che si parla di rimpasto». Suona come un no. «Io vorrei discutere prima di programmi e poi di organigrammi». L´Italia dei valori insiste per entrare nell´esecutivo. «A me interessa recuperare un dialogo con l´Idv, a tutti i livelli». Ma? «Vorrei che le parole non fossero usate per ferire le persone. Come ha fatto l´Idv nei miei riguardi, fino alla fine di questa campagna elettorale». Già, la campagna elettorale. Il suo movimento - Sinistra e libertà - alle europee in Puglia taglia un traguardo ambizioso: quello del 7 per cento. «Abbiamo contribuito a fermare l´avanzata della destra. Credo che sia stato un risultato utile per tutto il centrosinistra». E´ utile anche per il rivoluzionario gentile: nessuno a quanto pare potrà esorcizzare la sua ricandidatura alla guida della coalizione progressista in vista delle regionali 2010. «Questo a me non importa. Il punto è un altro: dal 2005 ad oggi, abbiamo aiutato la Puglia a crescere? Se è accaduto questo, la riconferma del sottoscritto sarà nelle cose: quelle fatte, non immaginate». Sulla base dei dati delle europee, Pdl e Lega Nord hanno da queste parti il 43,5 per cento dei consensi; il centrosinistra non supera il 40,8, ma se dovesse allearsi con l´Udc la percentuale s´impennerebbe al 49,9. Un accordo col partito di Casini è inevitabile? «Non sono entusiasta della politica intesa come una battaglia navale. Il problema non è, e non sarà, vincere o perdere. Vorrei piuttosto, radunare quella che non deve essere un´armata Brancaleone. Ma una squadra che abbia una cifra politico-culturale forte. Come nel 2005, appunto». All´epoca l´Udc non appoggiava Nichita il Rosso. «Io con l´Udc voglio confrontarmi apertamente sul futuro di questa regione, teatro di una delle più robuste strategie anticrisi con sostegni alle imprese e alle famiglie. Né d´altra parte sono abituato a lanciare anatemi contro questa o quella forza politica. Preferisco ascoltare». Quindi pure Casini & C. potrebbero essere della partita? «Non mettiamo il carro davanti ai buoi». E Adriana Poli Bortone, di Io Sud? «La prima mossa tocca a lei. Siamo alla prova del nove: quella della Poli Bortone è stata una genuina tessitura politica e sociale con l´obiettivo di uscire dalla destra o ha orchestrato una manovra buona per guadagnare un potere maggiore nell´ambito della destra stessa?». Il Pd nel frattempo corteggia Vendola: «E´ il nostro Obama». «La questione non è dove finisco io. C´è la necessità di organizzare un´iniziativa larga per mobilitare le coscienze: in Italia manca l´ossigeno perché ci manca la sinistra, l´unica in grado di dare visibilità ad un pezzo di mondo cancellato dalla scena pubblica».

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l'ultima carta di ahmadinejad "sono io il paladino dei più poveri" - vanna vannuccini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 16 - Esteri L´ultima carta di Ahmadinejad "Sono io il paladino dei più poveri" Viaggio tra i sostenitori del presidente. Oggi Iran al voto "Ha denunciato i ladri, e spezzato l´aura di sacralità che li rendeva intoccabili" Nelle campagne l´ex sindaco di Teheran è venerato, paga anche le bollette della luce VANNA VANNUCCINI TEHERAN - «Ha avuto il merito di denunciare i ladri, spezzato quell´aura di sacralità che li circondava e li faceva sentire intoccabili». Non sono pochi, nel sud di Teheran, ad ammirare «il coraggio» del presidente. Le sue accuse a Rafsanjani, visto dalla gente come l´incarnazione della ricchezza e della corruzione, hanno elettrizzato i sostenitori di Ahmadinejad. Ancora una volta le divisioni passano tra ricchi e poveri. Chi aveva votato Ahmadinejad 4 anni fa perché avrebbe portato «le rendite petrolifere sulle mense dei poveri», lo voterà di nuovo oggi che è diventato l´eroe che si batte contro le «mille famiglie» - un´espressione usata ai tempi dello scià che oggi viene usata per la nomenklatura teocratica. «Voi venite da Teheran nord e non potete capire» dice un saldatore. «Ahmadinejad ha aumentato del 50% le pensioni. Mio padre ora riesce a campare con 458mila tuman (380 euro). Prima ne prendeva 270mila. Ha permesso agli artigiani di venir curati gratis in caso di infortuni sul lavoro. Ha cominciato a distribuire le "azioni di giustizia" (sahame edalat, azioni di imprese petrolifere che rendono circa 70 euro all´anno di dividendi). E anche se sono più quelli che le aspettano di quelli che le hanno ricevute, almeno ci ha dato la speranza». Nelle campagne Ahmadinejad è venerato. A Ferdows, nel Khorasan, mi dice un´amica che in quella zona ha ereditato dei terreni e costruito un agriturismo raffinato, tutti votano per Ahmadinejad. I contadini colpiti dalla siccità hanno ricevuto 200.000 tuman (20 euro), le famiglie dove non c´è un uomo che lavora hanno avuto le bollette della luce pagate. Ahmadinejad è stato il primo ad andare in queste zone, come era nella tradizione dei grandi feudatari persiani, a ricevere lettere e petizioni dei poveri. Ma basta andare in una città non lontana da Ferdows, e appena un po´ più grande come Neishabur, dove vive una piccolissima borghesia fatta di impiegati e commercianti, gente che ha visto il proprio reddito eroso dalla politica economica del presidente, perché Moussavi sia il preferito. In tutto l´Iran questa piccolissima borghesia, che ha redditi di 400-500 euro al mese, conta intorno ai 15 milioni. La distribuzione a pioggia dei petrodollari ha mandato alle stelle i prezzi di cibo, benzina, appartamenti, senza ridurre la disoccupazione. Che statisticamente non è aumentata di molto grazie a un cambiamento nella definizione di "occupato": finora lo era chi lavorava due giorni la settimana, oggi bastano tre ore. Fiumane di donne coperte dal chador e di uomini i cui vestiti denunciano le ristrettezze economiche, aspettavano martedì di poter acclamare il presidente nella grande moschea di Mosallà, dove Ahmadinejad non è potuto arrivare per l´ingorgo provocato dalla "catena umana" dei sostenitori di Moussavi. Tra loro c´era Parvin, una donna anziana che si è barcamenata per tutta la vita subendo le più umilianti ingiustizie. Ama il presidente perché «ha fatto dell´Iran un paese rispettato in tutto il mondo», ha «saputo tener testa agli occidentali colonizzatori e difendere il diritto all´energia nucleare». Lei, mi dice, non manca mai a una manifestazione, e non solo per quei pochi soldi che riceve. E´ perché il presidente l´ha resa consapevole che lei «non è inferiore ai ricchi, anzi capisce di più di tutti gli intellettuali del paese». Il leader supremo Khamenei ha ricevuto Rafsanjani, che gli aveva scritto una lettera aperta lamentando il suo silenzio dopo le accuse di Ahmadinejad e chiedendogli di garantire che non ci siamo brogli. Ma la sua ingombrante presenza potrebbe indebolire il fronte di Moussavi: le accuse di Ahmadinejad l´hanno obbligato a uscire allo scoperto. Ieri sera, dopo gli ultimi appelli dei candidati (in spregio alla par condicio Ahmadinejad ha potuto parlare in tv per 20 minuti, Moussavi 103 secondi, Karrubi 76 e Rezai 70), sono continuate fino all´alba le manifestazioni dei giovani per le strade, con scambi verbali accesi ma senza scontri violenti. Tutti sono consapevoli che il momento è cruciale, e che non «schiudere il pugno» alla mano tesa da Obama potrebbe significare un altro lungo periodo di isolamento internazionale e forse peggio. I tre rivali di Ahmadinejad promettono il dialogo, ma tutti sono consapevoli che chiunque venga eletto, l´ultima parola spetta a Khamenei, anche nella politica internazionale. L´esperienza di Khatami, i cui tentativi di riforma furono tutti bloccati dalle alte sfere, brucia ancora. E´ questo convincimento che trattiene dall´andare alle urne molti iraniani, convinti che il voto non abbia altro senso che quello di legittimare l´esistenza della teocrazia. Molto dipenderà dunque dall´affluenza alle urne. Secondo le previsioni nessuno dei candidati potrebbe superare il 50%, rendendo necessario il ballottaggio. Ma gli iraniani sono maestri nel riservare sorprese. SEGUE A PAGINA 5

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escalation taliban, attacco ai parà tre italiani feriti, uno è grave - alberto mattone (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 17 - Esteri Escalation Taliban, attacco ai parà tre italiani feriti, uno è grave Battaglia nell´ovest dell´Afghanistan. Petraeus:"Mesi difficili" Per il comando dell´Alleanza servono subito più uomini da schierare L´allarme del capo di tutte le forze americane: "Livello di violenza ad altissimo rischio" ALBERTO MATTONE è stata un´imboscata, studiata nei minimi dettagli, preparata meticolosamente per uccidere. Solo la fortuna e la prontezza dei nostri militari, che hanno risposto al fuoco dei Taliban, ha evitato nuovi lutti tra gli italiani in Afghanistan. Il bilancio dell´attacco di ieri è, comunque, pesante: tre soldati sono stati feriti, uno in modo grave, colpito sotto l´ascella da un proiettile. Gli attacchi contro gli italiani si fanno sempre più frequenti. Ma è tutto l´Afghanistan a precipitare nel baratro della guerriglia, come spiega il generale Petraeus. «Nell´ultima settimana - dice il comandante di tutte le forze americane in guerra - abbiamo assistito al più alto livello di violenza dalla liberazione del Paese ad oggi. Ci aspettano tempi difficili». E per far compiere alle operazioni militari un salto di qualità, il presidente Barack Obama ha dato carta bianca al nuovo comandante delle truppe Usa in Afghanistan. Stanley McChrystal darà vita a un "dream team" di esperti di guerra per preparare una strategia più efficace. L´ultima imboscata dei Taliban agli italiani è avvenuta ieri mattina, durante un´operazione di pattugliamento congiunto tra le forze afgane e i paracadutisti della Folgore. A venti chilometri da Farah, nella parte occidentale del Paese sotto comando italiano, i Taliban hanno sparato simultaneamente contro più obiettivi: i nostri militari hanno risposto al fuoco immediatamente, anche grazie al supporto dei carri "Dardo" e dei bersaglieri. Tre parà, di cui non sono stati resi noti i nomi, sono rimasti feriti. Uno in modo grave, ma non è in pericolo di vita. Nella sparatoria sono stati uccisi alcuni guerriglieri. «L´azione - ha spiegato un portavoce del nostro contingente - è stata preparata con cura, in modo da colpire gli italiani, al termine di un´attività di rastrellamento in un´area nota per la forte presenza di Taliban». La pressione della guerriglia, infatti, è sempre più forte, e i nostri militari sono sempre più coinvolti in azioni di guerra. Decine sono le azioni ostili contro i nostri uomini negli ultimi mesi. Mercoledì, i paracadutisti sono stati impegnati in una battaglia di tre ore a Bala Morgab, un po´ più a nord di Herat. Sono stati colpiti due elicotteri Mangusta, ma non ci sono stati feriti. Neutralizzati, invece, decine di guerriglieri e uccisi due capi Taliban. «Nella regione ovest - spiega il generale Marco Bertolini, capo di Stato Maggiore di Isaf - siamo impegnati a tutto campo, soprattutto nel garantire la libertà di movimento ai locali nelle strade principali. Ecco perché finiamo nel mirino». «Il governo venga in parlamento e riferisca sulla recrudescenza della guerriglia nell´area controllata dagli italiani», dice Rosa Villecco Calipari, capogruppo del Pd in commissione Difesa della Camera. «Non ho nessuna difficoltà a venire in Aula», replica Ignazio La Russa, che ha confermato l´invio di altri centro addestratori militari in vista delle elezioni afgane. «L´ultimo attacco agli italiani - spiega il ministro della Difesa - dimostra che nel paese c´è una fase di maggiore pericolosità. Ho sempre detto che la nostra missione non è solo ricostruzione, ma uso della forza. Quando è necessario».

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perché la storia di quelle foto cambia il registro di una crisi - (segue dalla prima pagina) giuseppe d'avanzo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 11 - Interni La vicenda può minare la credibilità del Paese alla vigilia dell´incontro con Obama e del G8 Perché la storia di quelle foto cambia il registro di una crisi (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) GIUSEPPE D´AVANZO è più responsabile parlare - per dirlo in modo chiaro - di una crisi della sicurezza nazionale. Può essere questo il nuovo e allarmante approdo di un affare che, in modo bizzarro, ha avuto inizio a una festa di compleanno di una ragazza di Napoli. Si è gonfiato con le ricostruzioni pubbliche di Silvio Berlusconi, presto diventate pubbliche menzogne e impossibilità a rispondere a dieci domande suscitate dalle sue stesse parole, contraddizioni, incoerenze. Il "caso" è cresciuto con il racconto delle abitudini ambigue del presidente del consiglio che, in un qualsiasi pomeriggio d´autunno, telefona a una minorenne che non conosce (ne ha ammirato le grazie in un book fotografico) per invitarla a conservare la sua «purezza». Fin qui, anche se pochi hanno avuto finora l´interesse o la buona fede per capirlo, eravamo dinanzi a una questione politica che interrogava il divieto o il limite dell´uso della menzogna nel discorso pubblico. L´affare proponeva questioni non dappoco: l´attendibilità del premier e la costruzione di una realtà artefatta che si avvantaggia della debolezza delle istituzioni (il Parlamento); del dominio di chi - come Berlusconi - possiede e governa i media; delle pulsioni gregarie che li abitano. Il racconto per immagini della vita privata che il capo del governo conduce, con i suoi ospiti, a Villa Certosa (viene detto oggi in cinquemila scatti) muta ora il registro. In queste foto, raccolte nell´arco degli ultimi tre anni, si può scorgere Silvio Berlusconi, circondato da stuoli di ragazze, alcune italiane, altre apparentemente slave, sempre giovanissime. Il presidente del consiglio è con i suoi ospiti, in alcune occasioni. Sono avanti con gli anni. Hanno i capelli bianchi. Chi sono? Amici personali del presidente o dignitari stranieri? E, in questo caso, di quale Paese? Le fotografie - Repubblica ha preso visione soltanto di una parte - sono caste, ma non innocenti. La loro pubblicazione (vietata in Italia) può senza dubbio danneggiare l´immagine e la reputazione del capo del governo, provocare l´imbarazzo del nostro e di altri governi o comunque dei leader che Berlusconi ha ospitato a Punta Lada. Qui si può scorgere, in due incertezze, l´avvio di una possibile crisi. Si pensava (lo pensava l´avvocato del premier) che tutte le foto fossero state eliminate dal mercato. Non è così. Ce ne sono altre migliaia in circolazione. Che cosa ritraggono? Possono trasformare l´imbarazzo di Berlusconi in vergogna e la vergogna in disonore? E ancora, chi oggi può entrare in possesso di quelle foto? Al di là delle immagini delle jeunes filles en fleurs raccolte da Antonello Zappadu, quelle giovani ospiti straniere hanno avuto la possibilità di andar via con qualche scatto, con qualche immagine? Ecco allora perché un affare nato, in modo inatteso in un ristorante della periferia di Napoli, può diventare una minaccia della sicurezza nazionale. Non c´è dubbio che il presidente del Consiglio vive ore di grande debolezza in quanto non è in grado di sapere quali e quante immagini circolino (e non è necessario che siano compromettenti anche se sarebbe oggi avventuroso sostenere, con certezza, che non lo siano). Come non c´è dubbio che chi arraffa, o ha arraffato per tempo, quegli scatti, potrebbe avere un potere di interdizione sui passi del capo del governo. Si comprende quindi il nervosismo, l´ansia del premier; la pressione che in queste ore muove sui servizi segreti per avere non solo, come pure si è detto, una maggiore protezione per il futuro, ma - e quel che conta - la sterilizzazione di ogni minaccia che viene dal passato e la distruzione di ogni disegno aggressivo che può affacciarsi nel presente. Questa condizione di precarietà, dicono, avrebbe convinto Berlusconi a chiedere all´intelligence un´azione meno "politica" e discreta, più convinta e determinata per liberare i suoi giorni da ogni possibile ombra. Soprattutto alla vigilia di importati appuntamenti internazionali (l´atteso incontro con Obama, il G8 di luglio a l´Aquila). Ma, ammesso che ci siano i margini tecnici per mettere in sicurezza la reputazione del presidente del consiglio, nessuno oggi è in grado di dire se non sia già troppo tardi. In questo dubbio, c´è tutta l´asprezza di una crisi che deve ancora trovare il suo vero nome.

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"non una confluenza nel pse ma passo storico per l'unità" - andrea bonananni (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 13 - Interni Nostro obiettivo Le elezioni "Non una confluenza nel Pse ma passo storico per l´unità" Franceschini: serve una forza progressista europea Questo obiettivo era nei documenti di scioglimento di Ds e Margherita L´arretramento dei socialisti in Europa e la nostra tenuta hanno favorito l´intesa ANDREA BONANANNI BRUXELLES - Il segretario del Pd non ha neppure il tempo di brindare all´intesa appena siglata col capogruppo del Pse Martin Schultz: deve ripartire subito per Roma. Ma non nasconde la soddisfazione: «E pensare che da anni commentatori e politologi sostengono che il progetto del Pd sarebbe andato a sbattere sul tema della collocazione europea e che Berlusconi ha impostato tutta la campagna elettorale dicendo non avremmo saputo dove sederci al Parlamento europeo e che non avremmo contato nulla. Invece ce l´abbiamo fatta. E´ il primo passo in una direzione per cui stiamo lavorando da anni: la creazione in Europa di un´area di centrosinistra che unisca forze di ispirazione socialista con altre di diverse culture riformiste». Perché ci avete messo tanto? Chi è stato duro di comprendonio: i socialisti europei o i democratici italiani? «Dal loro punto di vista, è comprensibile che partiti socialisti con secoli di gloriosa storia alle spalle avessero qualche reticenza a rimettere in discussione la propria appartenenza identitaria per risolvere quello che sembrava un problema italiano. Diciamo che il risultato delle elezioni, con l´arretramento di tutte le forze socialiste in Europa e la nostra sostanziale tenuta, proprio grazie alla scelta di unire riformismi diversi del Pd, ci ha aiutato a far cadere le ultime resistenze». E non sarebbe stato meglio annunciarlo prima delle elezioni? Perché avete aspettato dopo il voto? «Ma io ho fatto tutta la campagna elettorale dicendo che questa era la nostra scelta. Ovviamente, per correttezza verso le delegazioni socialiste degli altri Paesi, non potevo dare per concluso un accordo che non era ancora stato formalizzato». E ora, che succede? «Adesso nasce questo nuovo gruppo al Parlamento europeo. La creazione di una nuova famiglia politica, invece, richiederà tempo: è ovvio. Il Partito socialista europeo resta come forza politica di riferimento della componente socialista del gruppo. Ma io sono certo che la Storia ci spinge verso la creazione di una grande forza riformista e progressista. Ed è una spinta planetaria, non solo europea. Obama ha dato il segnale: la globalizzazione richiede una progressiva cessione di sovranità. Per ora il processo è a livello di collaborazione tra governi. Poi arriverà alle forze politiche. Già ora i socialisti tedeschi, i democratici americani, quelli italiani, Lula o il Partito del Congresso indiano sui grandi temi della globalizzazione condividono le stesse idee. Il campo dei progressisti è uno. Questa è l´idea di fondo che stava già alla base della nascita dell´Ulivo, ancora prima del Pd». E non teme di avere difficoltà a far digerire a Roma la creazione del nuovo gruppo parlamentare europeo con i socialisti? Rutelli e molti ex Margherita non faranno difficoltà? «Penso di no. Il 26 ratificheremo questa intesa in direzione e lì discuteremo liberamente. E´ vero che una parte del partito temeva una nostra confluenza nel gruppo socialista. Ma questo non è avvenuto. E la creazione di un nuovo gruppo che riunisce in un´alleanza socialisti e democratici è proprio il risultato che cercavamo da anni. Sta addirittura scritto nei documenti di scioglimento della Margherita e dei Ds. Io sono molto prudente nell´utilizzare l´aggettivo «storico». Ma mi sembra proprio che l´accordo che abbiamo raggiunto oggi sia un passo importante, non solo per i democratici italiani, ma per tutti i riformisti europei».

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dalla battaglia per internet libero agli scranni di strasburgo. ecco chi sono e cosa vogliono gli hacker svedesi che hanno stupito l'europa - anais ginori (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 12-06-2009)

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Pagina 39 - R2 Dalla battaglia per Internet libero agli scranni di Strasburgo. Ecco chi sono e cosa vogliono gli hacker svedesi che hanno stupito l´Europa ANAIS GINORI dal nostro inviato stoccolma «Dai, pensaci bene che è facile. Anzi, certe volte mi domando perché nessuno ci sia arrivato prima di noi». Seduto in un divanetto bianco al cafè di Sodermalm, l´ex quartiere operaio ora crogiolo di negozi di design, boutique vintage e ristoranti vegetariani, Christian Engstrom ripete la sua domanda e intanto si racconta con aria beata a una tv romena, poi a una radio finlandese, e così per tutta la mattina. Come un bravo maestro al termine di una lezione, ripete il quesito con tono divertito e ci aggiunge anche la risposta. «Cos´è la cosa alla quale nessun giovane, mai, rinuncerebbe? Facile: il computer e Internet. Senza, i ragazzi si sentirebbero persi». Bastava pensarci, dice portandosi l´indice alla tempia destra. Qualcuno infine lo ha fatto. Magari non sarà una gran trovata, ma il copyright, anche se lui questa parola proprio la odia, ormai è suo. Il partito di Internet adesso esiste. E non solo come gruppo politico che si organizza, comunica e raccoglie fondi online («Roba superata, Obama è già storia»). No, proprio un partito vero, con sezioni, programmi e tesorieri, che si occupa esclusivamente dell´universo del web, di "accesso all´informazione e alle tecnologie". Il capo del Piratpartiet è lui, Christian. Il capo dei Pirati, così lo chiamano tutti, e si vede subito che la definizione non gli dispiace. Il suo sorriso è spalmato sulle prime pagine di tutti i quotidiani svedesi, che celebrano la sua elezione all´europarlamento come uno choc per il premier conservatore Fredrik Reinfeldt. Così va la vita. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN ARTICOLO DI JAIME D´ALESSANDRO

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Gheddafi parla ai senatori e accusa l'America (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 12/06/2009 - pag: 2 Gheddafi parla ai senatori e accusa l'America Gli Usa: siamo alle solite. E lui dal Campidoglio si candida a «imperatore d'Italia» ROMA Qualcuno credeva di aver invitato Tony Blair, diplomatico e britannico. Invece a Roma ieri c'era Muammar el Gheddafi, uno che ebbe il fegato di fare un colpo di Stato a 27 anni di età e che racconta da sempre di essersi ferito a un braccio da ragazzino mentre giocava con una mina lasciata nel deserto dal colonialismo italiano. Uno che dalle sue parti è abituato a tenere la scena come in Occidente la tiene Barack Obama e che non ha fatto distinzioni tra il linguaggio impiegato davanti agli studenti o ai senatori. Fino alla pirotecnia serale, quando dal balcone del Campidoglio ha dichiarato che la rinforzata amicizia con l'Italia consentirebbe di candidare «l'amico Silvio Berlusconi » alla guida del governo libico e se stesso a imperatore d'Italia. Paradossi, artifizi retorici da incantatore di folle, schegge di ordigni mediatici che hanno varcato l'Atlantico. «Non vale la pena di commentare. Typical Gheddafi», hanno risposto fonti della Casa Bianca quando si sono sentite domandare una reazione su alcune delle affermazioni romane del Colonnello. Per esempio, un paragone fra le Torri Gemelle e le bombe fatte lanciare da Ronald Reagan sulla sua casa, che gli uccisero una figlia adottiva: «Fra i bombardamenti del 1986 e quelli di Bin Laden che differenza c'è?». Oppure: «Gli Usa volevano uccidere Gheddafi perché voleva liberare il suo popolo. L'America vuole colonizzare il globo». Brividi lungo le schiene tra i senatori dai quali il Colonnello si era fatto attendere un'ora e venti a Palazzo Giustiniani. Non però di Giulio Andreotti, uno dei pochi ad apprezzare in pubblico il discorso del Leader, né di Francesco Cossiga, elogiati come amici. «Si è solo dimenticato che fece saltare l'aereo di Lockerbie », il commento di Cossiga, sornione. «Bisogna dialogare anche con il diavolo, se porta a soluzioni », ha teorizzato Gheddafi. Tra una lode a Berlusconi e una a Romano Prodi, ha buttato lì frasette del tipo: «Se la Libia smettesse di esportare il suo petrolio, oggi a 70 dollari al barile, il prezzo salirebbe a 100-120». Di fronte a Maurizio Gasparri, ex missino: «Ai tempi dell'assassino Mussolini e di Balbo, nessuno immaginava che la Libia avrebbe avuto armi e il greggio di cui l'Italia ha bisogno». Concetti simili a quelli esposti da Gheddafi a fianco del sindaco Gianni Alemanno. Preludio del comizio dal Campidoglio: «Baci, baci». Poi: «E' venuto prima di me a Roma un libico che non parlava latino e non era conquistatore: come imperatore di Italia e di Libia ci fu Settimio Severo». Il conterraneo vissuto tra 146 e 211 dopo Cristo è servito per ipotizzare lo scambio con Berlusconi alla guida dei rispettivi Paesi. «Se avete applaudito, siete d'accordo», ha detto Gheddafi giocoso alla folla. E ancora: «Darò il potere al popolo. Annullerò i partiti. Basta elezioni». Ai senatori che disprezzano le dittature aveva ricordato: «Fu il Senato a scegliere Giulio Cesare come dittatore...». Per capire tanta baldanza e la flemma americana almeno iniziale va tenuto presente un invito a non dare cattivi esempi a Iran e Corea del Nord: «Potevamo sviluppare l'arma atomica, non l'abbiamo ritenuto interesse della Libia. Ma che ricompensa abbiamo avuto?». La replica americana «Non vale la pena di commentare. Typical Gheddafi», hanno risposto dalla Casa Bianca Colonnello Gheddafi a Palazzo Giustiniani (Ansa/Giuseppe Giglia) Maurizio Caprara

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, ironia del premier (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Politica data: 12/06/2009 - pag: 12 Alla Confartigianato «Da noi poche parole e molti fatti». Nello staff l'idea che Veronica intenda riportare il caso divorzio nel privato «Noemi e Mills sposi», ironia del premier «Io regalerò un volo di Stato gratis». Lavoro a tempo pieno per l'incontro con Obama ROMA Le ventidue cartelle del discorso ha deciso di lasciarle agli atti del convegno. Perché il Cavaliere non aveva molta voglia di parlare ieri mattina all'appuntamento con l'assemblea di Confartigianato. E così, in sette minuti di discorso, ha ridotto al minimo i contenuti, ma ha comunque centrato il suo intervento sulla «fiducia» che il Paese ha nel suo governo e su quella che deve avere in una ripresa dell'economia: «Noi siamo un governo di poche parole e molti fatti, siamo pronti a continuare la nostra azione con convinzione, e offriamo il nostro pieno sostegno a chi intraprende, a chi rischia », è stato infatti il passaggio chiave della sua apparizione. Caratterizzata peraltro, anche stavolta, da una battuta sui due casi che ancora evidentemente gli fanno male, se il tentativo di esorcizzarli è continuo: «Scappo ha detto facendo ridere la platea perché sto combinando un matrimonio tra Noemi e l'avvocato inglese Mills... Porterò come dono un viaggio sui voli di Stato, naturalmente gratis ». Insomma, sembra in qualche modo che al premier stia tornando il buonumore, dopo un passaggio elettorale con luci ed ombre e nel bel mezzo della sfida ancora apertissima dei ballottaggi, per i quali si impegnerà in prima persona (è sicuramente previsto un comizio di chiusura venerdì 19 a Milano). E a renderlo più tranquillo, secondo alcune voci che filtrano dal suo entourage, sarebbe stata anche la lettera che sua moglie ha inviato al Corriere della Sera. Ufficialmente, nessuno commenta nulla. Ma l'opinione prevalente è che il solo fatto che Veronica Lario abbia «parlato d'amore», usando certo toni fermi ma «non polemici», fa pensare al «desiderio di riportare la vicenda in un ambito più privato». Per dirla con il pdl Osvaldo Napoli, «sembra di trovarsi di fronte ad una donna che cerca di raffreddare la situazione, magari facendo capire che con un colloquio privato certe tensioni potrebbero sciogliersi». Se così fosse, Berlusconi potrebbe dedicarsi con animo più leggero a quello che in questo momento considera il suo impegno più delicato e importante: l'incontro alla Casa Bianca con Barack Obama. Che non sarà una passeggiata su petali di rose, anche alla luce delle dichiarazioni di ieri di Gheddafi che ha paragonato gli Usa che bombardarono la Libia agli attentati di Bin Laden. Quindi una visita che va preparata al meglio, se è vero che Berlusconi ha deciso di anticipare la sua partenza per Washington a domenica mattina, anche se l'incontro si terrà solo lunedì. Da palazzo Chigi evidenziano come il premier sarà «il secondo leader europeo ricevuto alla Casa Bianca, dopo Gordon Brown», e dunque l'interesse a parlarsi, conoscersi a fondo, mettere a punto i dossier anche in vista del G8 di luglio sarebbe reciproco. Ma è vero che i tempi delle grandi pacche sulle spalle e dell'amicizia profonda con Bush appaiono lontani. L'attesa insomma è molta, anche se da qui a lunedì il premier ha un altro appuntamento da onorare, quello al convegno dei giovani imprenditori a Santa Margherita Ligure, domani in tarda mattinata. Potrebbe essere quella la sede giusta per affrontare più in profondità temi come la riforma delle pensioni, sul quale ieri si è limitato a una battuta: «Se aumenteremo le pensioni? Prima dovremo diminuire la spesa». E sicuramente, tra le vie d'uscita per la crisi, Berlusconi insisterà sull'impulso da dare al settore del turismo: «Ho appena approvato il marchio 'Magic Italy', per lanciare l'Italia e attirare qui i turisti da ogni parte del mondo». Un Berlusconi, quindi, ottimista. E riconfortato anche dall'approvazione del ddl sulle intercettazioni telefoniche, non solo da parte della maggioranza, ma anche da alcuni deputati dell'opposizione. La battuta Berlusconi ieri alla Confartigianato: «Sto combinando un matrimonio tra Noemi e l'avvocato inglese Mills. Il dono? Un viaggio sui voli di Stato. Gratis» (Eidon/Antimiani) Paola Di Caro

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 12/06/2009 - pag: 17 La scrittrice Sara Yalda, autrice di «Il Paese delle stelle nascoste» «Ma il vincitore non è già scritto» DAL NOSTRO INVIATO TEHERAN «L'Iran è il Paese delle sfumature, delle ambiguità, del mescolarsi di ombra e luce. Invece l'Occidente lo percepisce in due dimensioni: bianco o nero, riformisti o conservatori, dittatura o democrazia. Tornando a Teheran dopo 27 anni, ho faticato a liberarmi dagli stereotipi e percepire la complessità di quel che sta accadendo. Mi aspettavo un Paese violento, rigido. Invece, l'ho scoperto estremamente pacifico». Sara Yalda non si è ancora ripresa dal successo per il suo libro-autobiografia Il paese delle stelle nascoste. È la sua storia di esule che torna nella terra dov'è nata per riscoprirla. In Francia, dove Yalda vive, è un best seller, in Italia è appena stato pubblicato da Piemme. «Prendiamo queste elezioni. Non sono democratiche, ma allo stesso tempo lo sono. Il vincitore non è già scritto, i candidati devono guadagnarsi il consenso convincendo la gente. Uno di loro ha adottato una campagna in stile Obama, tutta sms e Internet. A Tabriz la moglie di un candidato è salita sul palco con il piglio di una Michelle Obama. Eppure è sempre il Paese dell'hijab obbligatorio». Ma la democrazia o è rispettata o non lo è. «Certo, ma solo se si pensa a un modello politico definito. Qui tutto è in evoluzione. Anche il sistema di governo. Quel che stupisce è l'energia, il senso che tutto è possibile. Qui non c'è la routine ufficio-supermercatotv con unico sfogo la vacanza. Il fermento intellettuale è travolgente. Dove in Occidente una conferenza sugli artisti di strada attirerebbe 300 persone? A Teheran accade. La fame di conoscenza è insaziabile». Il regime, però, è altra cosa. «Ho chiesto a una ragazza di 30 anni, single che vive sola: sei felice qui a Teheran? Mi ha risposto: ci sono cose più importanti della felicità. Ho l'impressione di vedere una pagina di storia mentre si scrive. Stanno cercando di inventare una nuova società senza riprodurre modelli che funzionano altrove. Stanno cercando di costruire un modello originale. Non so se avranno successo, ma ci stanno provando e hanno diritto di provarci». A. Ni.

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 12/06/2009 - pag: 17 Il discorso «Netanyahu dirà sì ai due Stati» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME Notte prima degli esami. Sudato come uno studente, la penna in bocca, Bibi scruta pensoso il soffitto e chiede alla moglie: «Conosci qualche passo del Corano che possa funzionare?». Studia da Obama, ma parlerà da Netanyahu: il discorso che il premier israeliano si prepara a tenere domenica sera dall'università telavivi di Bar Ilan risposta a quello del presidente Usa dall'ateneo cairota , la feroce vignettista Daniella lo prevede così. «Bibi vi sorprenderà», confida il ministro della Difesa, Barak. Pochi ci credono, però, e il quotidiano Haaretz tenta d'anticiparne i contenuti, senza scoprire grandi novità: Netanyahu dovrebbe pronunciare la formula che gli Usa esigono «due popoli, due Stati» , aggiungendo che quello palestinese potrà sedere all'Onu, ma smilitarizzato e controllato ai confini da Israele e Giordania: un po' come Andorra, nota qualcuno, che dipende in tutto da Francia e Spagna. Condizione irrinunciabile, per Bibi, dovrebbe essere il riconoscimento palestinese dell'«ebraicità» dello Stato d'Israele (un modo per evitare che il ritorno dei profughi arabi del 1948 possa snaturarne l'identità), mentre poco verrebbe concesso sugl'insediamenti che la comunità internazionale, invece, vorrebbe quantomeno congelati. Basterà? Probabilmente no, anche se Netanyahu non ha molta scelta e gli è già capitato di smentire gl'indovini. L'accenno allo Stato palestinese agita la destra Likud, dal figlio di Begin al ministro Landau, passando per lo speaker della Knesset, Rivlin. Non è un mistero che George Mitchell l'inviato di Obama che ha appena aperto l'ufficio a Gerusalemme e s'è portato pure un consigliere di passaporto israeliano spinga per un rimpasto di governo che recuperi Tzipi Livni, scaricando la destra estrema. A premere c'è anche il presidente, Peres, che non vuole uno scontro aperto con Washington. Qualche sera fa, Obama e Netanyahu si sono parlati al telefono. La prima volta dopo settimane. Sono uscite le foto della Casa Bianca, durante la chiacchierata: si vede un Barack stravaccato, i piedi sulla scrivania. È nel suo stile. Ma è uno stile che a Bibi non piace per nulla. F. Bat.

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Tetto anche per lo stipendio di Marchionne (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Economia data: 12/06/2009 - pag: 34 Detroit Tetto anche per lo stipendio di Marchionne MILANO Anche Sergio Marchionne, nuovo amministratore delegato di Chrysler, avrà un tetto al proprio stipendio fissato dall'amministrazione Obama. La casa automobilistica rientra infatti fra i gruppi che sono stati «salvati» grazie all'iniezione di denaro pubblico. E per questo ai bonus per i loro manager verrà imposto un limite massimo. Oltre a Chrysler (e al suo braccio finanziario Chrysler Finance) la lista comprende General Motors (e Gmac), Citigroup, Bank of America, Aig.

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)

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Corriere della Sera sezione: Economia data: 12/06/2009 - pag: 37 John Carney (Towers Perrin) «Maxistipendi, la soluzione? Legarli ai risultati, non alla Borsa» MILANO L'Europa fa scuola. E gli Stati Uniti prendono appunti. Succede in uno degli argomenti più spinosi che hanno accompagnato la crisi attuale: i superstipendi degli amministratori delegati. Ne ha parlato ieri, in una conferenza a porte chiuse alla Sda Bocconi davanti a 150 top manager e direttori del personale di grandi aziende italiane, John Carney, responsabile europeo di Towers Perrin alla voce «executive compensation». Il modello europeo, a cui si è accodata l'altroieri la Casa Bianca di Barack Obama con le nuove misure per controllare le maxiretribuzioni, è quello che gli inglesi chiamano il «say on pay»: il parere dato dall'assemblea degli azionisti sui pacchetti retributivi dei piani più alti dell'azienda. E di questo ha parlato ieri Carney: «L'Europa è davanti agli Stati Uniti ha detto , è ormai diverso tempo che questa procedura viene seguita in Stati come Gran Bretagna, Svezia e Paesi Bassi». O, agli antipodi, in Australia. Se l'America è arrivata dopo, non si è però fermata al «say on pay», annunciando anche un tetto agli stipendi e ai premi dei primi 100 manager delle banche e imprese finanziate dallo Stato: una mossa che Carney ha definito «inevitabile», anche se non priva di rischi se i tetti sono decisi troppo in fretta. Ma i pericoli non mancano anche in altre soluzioni proposte negli ultimi mesi per arginare gli eccessi dei superstipendi. Un esempio fra tutti, tra quelli fatti da Carney? «Ridurre la quota variabile per aumentare la fissa può far salire i costi delle aziende: si vedranno costrette a pagare stipendi alti anche quando le cose non vanno bene, senza contare che in molti Paesi i contributi pensionistici si calcolano sulla base del fisso». Tra l'altro, le stesse componenti variabili dello stipendio possono aiutare a legare le retribuzioni ai risultati effettivamente raggiunti: è la soluzione propugnata da Carney, che, precisa, non guarda alle quotazioni delle azioni (vedi le stock option). Certo le soluzioni non si fermano qui. Ci sono anche i comitati delle retribuzioni previsti nelle nuove misure di Obama: comitati indipendenti, per evitare che chi decide sugli stipendi dei top manager sia in qualche modo legato agli stessi top manager. Giovanni Stringa

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La speranza nelle notti di Teheran (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 12/06/2009 - pag: 8 OGGI IL VOTO La speranza nelle notti di Teheran di PAOLO LEPRI SEGUE DALLA PRIMA Trasformando in una grande novità politica, di partecipazione e di fantasia, la difficile campagna elettorale in un Paese che se non è una dittatura «non è certamente nemmeno una democrazia», come ammette Fareed Zakaria dopo avere spiegato che «tutto quello che si sa sull'Iran è sbagliato, o è almeno più complicato di quello che si pensa». La mobilitazione per questo poco carismatico ex primo ministro e per sua moglie che vuole difendere, accanto al marito, i diritti calpestati delle donne iraniane non deve essere stata un fenomeno marginale se i Pasdaran hanno sentito il bisogno di annunciare che stroncheranno qualsiasi tentativo di provocare con il voto una «rivoluzione di velluto». «I falchi non andranno tranquillamente all'opposizione se il loro candidato perderà», avverte preoccupato il transfuga Mohsen Sazegara, uno dei fondatori delle Guardie della rivoluzione, fatto arrestare nel 2003 dalla Guida Suprema, l'Ayatollah Khamenei. L'Iran è complicato, ma proprio per questo va evitata la più pericolosa delle semplificazioni: tutti i candidati sono uguali, non c'è nessuna speranza. Gli scambi di accuse tra Mousavi e Ahmadinejad non sono stati certamente un gioco delle parti. E molte cose, intanto, sono diverse da quei giorni di quattro anni fa in cui il semisconosciuto ex sindaco di Teheran, ultraconservatore religioso, avviava con l'imprevista vittoria nelle presidenziali la sua aggressiva e incendiaria leadership. Forse non è completamente vero che, come scrive Roger Cohen, «il radicalismo nella Casa Bianca di Bush ha alimentato il radicalismo iraniano». Il radicalismo del presidente Ahmadinejad è sembrato spesso alimentarsi da solo, riuscendo a estendere il proprio raggio d'azione in molti altri luoghi, primi fra tutti Gaza e il Libano. Ma è sicuramente vero che Obama, con le sue aperture, ha messo in difficoltà perfino il coriaceo regime di Teheran. E in questo quadro, i margini per avviare processi di cambiamento sono sicuramente più ampi. Il compito della diplomazia internazionale è oggi comunque quello di salvare l'Iran, qualunque sia il risultato delle elezioni. Salvare l'Iran vuol dire in primo luogo arrivare ad un accordo serio sul nucleare, tenendo contro che i margini tra la realizzazione di un programma civile, difeso anche da Mousavi, e la capacità di dotarsi di un arma atomica sono molto ravvicinati. Una sconfitta di Ahmadinejad aprirebbe opzioni diverse, nonostante la complessità del sistema di potere della teocrazia iraniana. Il finale è aperto, come in un film di Abbas Kiarostami.

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Energia pulita, via agli incentivi Subito boom di richieste (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Grande Milano data: 12/06/2009 - pag: 11 La sfida Pannelli fotovoltaici per il metrò. Poggio: si creeranno 100 mila nuovi posti Energia pulita, via agli incentivi Subito boom di richieste L'assessore Ponzoni: il futuro è la «scommessa verde» Si guarda al futuro, con un obiettivo: l'indipendenza energetica. E la Lombardia mostra due volti: quello di Milano, frenata ancora da troppi vincoli e quello del resto della regione, dove son stati raggiunti i primi risultati incoraggianti. Così il Pirellone, assieme allo Stato, pensa a nuovi incentivi e promozioni per indurre i cittadini a scegliere la «via verde» per l'energia. Partendo da un primato che non lascia adito a dubbi: ci sono già oltre cinquemila impianti di fotovoltaico in tutta la Lombardia. E sono più di di 25 milioni gli euro di cofinanziamenti già erogati, più altri cento annunciati dal presidente Roberto Formigoni. «Siamo al primo posto in Italia », spiega l'assessore Massimo Ponzoni. Senza contare il solare termico, il geotermico (a Corsico c'è la più grande struttura in Europa), le caldaie a condensazione e le pompe di calore. Un primato che mette la regione sulla scia degli altri Paesi europei che hanno intrapreso questa strada già da qualche anno. L'indipendenza energetica va sempre di pari passo un rinnovamento a trecentosessanta gradi. In questa direzione Milano sta cominciando a fare la sua parte. La prima a muoversi, in fase sperimentale, è stata l'Atm. L'azienda dei trasporti ha deciso di dotare i tetti dei depositi con pannelli fotovoltaici. Si inizierà con la stazione di Precotto, sulla linea rossa. Chi vincerà la gara (l'investimento è di 5 milioni di euro), dovrà installare a sue spese l'impianto. Metà dell'energia andrà all'Atm, il resto lo potrà rivendere. In totale saranno circa 1,2 milioni di kilowattora che serviranno per muovere parte dei treni della linea 1 della metropolitana e quelli della metrotramvia 7. Con un risparmio energetico del 5 per cento. Il Comune punta ad estendere impianti a risparmio energetico anche ad altri edifici pubblici. Mentre l'assessorato all'Istruzione della Provincia ha già provveduto ad installare i pannelli in una cinquantina di scuole superiori. Una strada che negli Usa sta indicando con decisione il presidente Barack Obama che punta moltissimo sulla green economy. Discorso diverso per i privati. A Milano, secondo le ultime stime, solo l'uno per cento ha approfittato degli incentivi statali per il fotovoltaico. Un interesse tiepido legato, però, ai troppi intralci burocratici che frenano i cittadini nel fare questa scelta. Il progetto nel capoluogo ambrosiano si chiama conto energia e prevede a un raddoppio degli investimenti in 20 anni. «Il costo per un sistema di pannelli è ancora molto alto. In più a Milano, a causa dei vincoli sui condomini, è difficile riuscire a installare l'impianto », spiega Enrico Fedrighini, consigliere comunale dei Verdi. Ecco perché bisognerebbe puntare anche sul geotermico, energia rinnovabile che deriva dal calore presente nel sottosuolo. «La città è seduta su una bolla d'acqua. Bisogna cominciare a sfruttare le risorse naturali, non solo per un discorso ambientale ma anche economico ». Un concetto che ancora non è stato compreso a fondo ma che potrebbe diventare un volano anche in termini di occupazione. Perché l'energia rinnovabile è anche un investimento. «Se noi occupassimo il 7 per cento dei tetti in Italia con il fotovoltaico, saremmo in grado di produrre almeno 10 mila megawatt di energia. E creare 100 mila posti di lavoro», spiega Andrea Poggio, vicedirettore di Legambiente. Le formule per gli incentivi sono diverse. «Oltre al conto energia c'è una detrazione fiscale al 55 per cento per le caldaie a condensazione e le pompe di calore». Un vero e proprio business «sia per il risparmio sia per l'occupazione ». La Lombardia si è mossa per tempo. «E questo spiega aggiunge l'assessore Ponzoniperché siamo una delle regioni più virtuose del Paese». Ma guai a fermarsi. «L'obiettivo è cercare di crescere ancora, per arrivare ai livelli di Paesi come la Germania». Come? «Attraverso incentivi e promozioni, come abbiamo in programma». Finanziamenti Sono oltre 25 i milioni di euro di cofinanziamenti già erogati, più altri cento annunciati. Pannelli solari anche in alcuni istituti scolastici Impianti Impianto di energia rinnovabile Benedetta Argentieri

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Perché la storia di quelle foto cambia il registro di una crisi (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 12-06-2009)

Argomenti: Obama

CINQUEMILA foto che scrutano la vita del capo di un governo (una vita "disordinata": lo dice la moglie; lo ammettono anche i suoi fedelissimi) possono essere un trascurabile gossip soltanto per teste imprevidenti o vecchi volponi. È più responsabile parlare - per dirlo in modo chiaro - di una crisi della sicurezza nazionale. Può essere questo il nuovo e allarmante approdo di un affare che, in modo bizzarro, ha avuto inizio a una festa di compleanno di una ragazza di Napoli. Si è gonfiato con le ricostruzioni pubbliche di Silvio Berlusconi, presto diventate pubbliche menzogne e impossibilità a rispondere a dieci domande suscitate dalle sue stesse parole, contraddizioni, incoerenze. Il "caso" è cresciuto con il racconto delle abitudini ambigue del presidente del consiglio che, in un qualsiasi pomeriggio d'autunno, telefona a una minorenne che non conosce (ne ha ammirato le grazie in un book fotografico) per invitarla a conservare la sua "purezza". Fin qui, anche se pochi hanno avuto finora l'interesse o la buona fede per capirlo, eravamo dinanzi a una questione politica che interrogava il divieto o il limite dell'uso della menzogna nel discorso pubblico. L'affare proponeva questioni non dappoco: l'attendibilità del premier e la costruzione di una realtà artefatta che si avvantaggia della debolezza delle istituzioni (il Parlamento); del dominio di chi - come Berlusconi - possiede e governa i media; delle pulsioni gregarie che li abitano. Il racconto per immagini della vita privata che il capo del governo conduce, con i suoi ospiti, a Villa Certosa (viene detto oggi in cinquemila scatti) muta ora il registro. In queste foto, raccolte nell'arco degli ultimi tre anni, si può scorgere Silvio Berlusconi, circondato da stuoli di ragazze, alcune italiane, altre apparentemente slave, sempre giovanissime. OAS_RICH('Middle'); Il presidente del consiglio è con i suoi ospiti, in alcune occasioni. Sono avanti con gli anni. Hanno i capelli bianchi. Chi sono? Amici personali del presidente o dignitari stranieri? E, in questo caso, di quale Paese? Le fotografie - Repubblica ha preso visione soltanto di una parte - sono caste, ma non innocenti. La loro pubblicazione (vietata in Italia) può senza dubbio danneggiare l'immagine e la reputazione del capo del governo, provocare l'imbarazzo del nostro e di altri governi o comunque dei leader che Berlusconi ha ospitato a Punta Lada. Qui si può scorgere, in due incertezze, l'avvio di una possibile crisi. Si pensava (lo pensava l'avvocato del premier) che tutte le foto fossero state eliminate dal mercato. Non è così. Ce ne sono altre migliaia in circolazione. Che cosa ritraggono? Possono trasformare l'imbarazzo di Berlusconi in vergogna e la vergogna in disonore? E ancora, chi oggi può entrare in possesso di quelle foto? Al di là delle immagini delle jeunes filles en fleurs raccolte da Antonello Zappadu, quelle giovani ospiti straniere hanno avuto la possibilità di andar via con qualche scatto, con qualche immagine? Ecco allora perché un affare nato in modo inatteso in un ristorante della periferia di Napoli, può diventare una minaccia della sicurezza nazionale. Non c'è dubbio che il presidente del Consiglio vive ore di grande debolezza in quanto non è in grado di sapere quali e quante immagini circolino (e non è necessario che siano compromettenti anche se sarebbe oggi avventuroso sostenere, con certezza, che non lo siano). Come non c'è dubbio che chi arraffa, o ha arraffato per tempo, quegli scatti, potrebbe avere un potere di interdizione sui passi del capo del governo. Si comprende quindi il nervosismo, l'ansia del premier; la pressione che in queste ore muove sui servizi segreti per avere non solo, come pure si è detto, una maggiore protezione per il futuro, ma - e quel che conta - la sterilizzazione di ogni minaccia che viene dal passato e la distruzione di ogni disegno aggressivo che può affacciarsi nel presente. Questa condizione di precarietà, dicono, avrebbe convinto Berlusconi a chiedere all'intelligence un'azione meno "politica" e discreta, più convinta e determinata per liberare i suoi giorni da ogni possibile ombra. Soprattutto alla vigilia di importati appuntamenti internazionali (l'atteso incontro con Obama, il G8 di luglio a l'Aquila). Ma, ammesso che ci siano i margini tecnici per mettere in sicurezza la reputazione del presidente del consiglio, nessuno oggi è in grado di dire se non sia già troppo tardi. In questo dubbio, c'è tutta l'asprezza di una crisi che deve ancora trovare il suo vero nome. (12 giugno 2009

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