Abstract: Barack Obama ha revocato le restrizioni ai viaggi e alle rimesse per gli americani con familiari a Cuba e ha riaperto il dialogo sull'immigrazione. Di questo, però, Raúl non parla. Cuba importa fino all'84% delle derrate alimentari e l'anno scorso ha subito perdite per 10 miliardi di euro a causa di tre uragani.>
Londra, la disfida dei due
salotti in rosa ( da "Corriere
della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ha stretto amicizia con Michelle,
la moglie di Obama, ha partecipato al raduno di gay e lesbiche, ha chiamato a
raccolta i vecchi supporter. Infine ha ripreso i contatti con il mondo del
cinema, della televisione, dei libri, dell'arte. Ma lì si è accorta che il
monopolio laburista nell'alta società era in pericolo.
in campo
Obiettivo Casa Bianca 2012 ( da "Corriere
della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: leggasi Obama), i media, i liberal
naturalmente, «decisi a fare a pezzi la nazione », persino Hollywood che si
oppone alla caccia ai lupi «perché non capisce niente». È uscita dall'Alaska,
dimettendosi da governatore a metà del proprio mandato, per arrivare non si sa
bene dove, ma con ogni probabilità alla candidatura alla Casa Bianca nel 2012,
Chrysler, Marchionne apre
l'era Fiat ( da "Corriere
della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: numero uno della task force creata
dal presidente Barack Obama per l'auto, ha fatto sapere che la Casa Bianca ha
in programma di vendere «appena possibile» le quote in Chrysler e Gm. Su
quest'ultima è possibile un'Ipo nel 2010. Sergio Marchionne, amministratore
delegato di Fiat e di Chrysler Giacomo Ferrari gferrari@corriere.
Per la mostra di Edward
Hopper la gente ci mette la faccia...
( da "Corriere della Sera"
del 28-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: più accettabile perché somiglia
alla figlia del presidente americano Barack Obama) e persino a una possibile
coppia omosessuale. Ovviamente quest'ultima è solo un'allusione per chi vuole
pensarlo, ma anche questo trucco serve a non escludere nessuno dei potenziali
clienti della mostra. Tutti, insomma, sono chiamati a comprare il biglietto,
non importa il sesso, il colore, l'età.
Bush censurava i ghiacciai
Ecco le foto tenute segrete ( da "Repubblica.it"
del 28-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione Obama. L'ambiente è
uno dei punti forti del programma di Barack, che appena un mese fa ha
sbandierato come una grande vittoria l'approvazione alla Camera del pacchetto
clima, malgrado le critiche dei verdi più radical delusi dal Cap and Trade, il
meccanismo di compravendita dei "diritti" (ovviamente costosi) di
inquinamento.
Obama spegne il tabellone
anti-Castro ( da "Stampaweb,
La" del 28-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract:
Pd, Marino annuncia
querele Franceschini: "Non trituriamoci"
( da "Repubblica.it"
del 28-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: sapendo che le idee nuove nascono
dalla sintesi dopo un confronto tra diversità". Cita Obama, il segretario
del Pd. E il suo tentativo riuscito di mettere in campo "una gerarchia di
valori rovesciata, l'America di oggi sembra un'altra rispetto a quella di due
anni fa. E' quello che dobbiamo fare noi". (28 luglio 2009
Cina-Usa, accordo al
summit "Collaboriamo per crescere"
( da "Repubblica.it"
del 28-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Solo ieri Obama aveva annunciato
"una nuova era di collaborazione, non di scontro" con la Cina, invito
subito colto al balzo da Wang, uno dei responsabili della politica economica
cinese: "Cina e America collaboreranno più da vicino e le relazioni
commerciali fra i due paesi progrediranno".
Le parole di Umberto Bossi
sul ritiro dall'Afghanistan preoccupano l'amministrazione Obama...
( da "Stampa, La"
del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Le parole di Umberto Bossi sul
ritiro dall'Afghanistan preoccupano l'amministrazione Obama»: parola di Charlie
Kupchan, titolare degli studi europei al «Council on Foreign Relations» di
Washington nonché ex consigliere della Casa Bianca negli anni di Bill Clinton.
Quali sono i motivi della preoccupazione americana? «Riguardano due aspetti.
Se l'Italia ti snobba, c'è
Obama ( da "Stampa,
La" del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: c'è Obama RICCARDO LATTANZI NEW
YORK UNIVERSITY - USA A molti sarà capitato di bere un po' per distendersi,
sospirando «ho bisogno di un drink». Si sa che l'alcol aiuta a rilassarsi, ma
quali sono i meccanismi fisiologici alla base del fenomeno? Paradossalmente,
potrebbero essere gli studi di una ricercatrice italiana,
La Russa: da Kabul nessuno
si muove ( da "Stampa,
La" del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: inviato di Obama, Richard
Holbrooke, era per il presidente del Consiglio «solo una battuta», e foriera di
«polemiche sul nulla di giornali che han pagine da riempire». Umberto Bossi,
politico pragmatico, s'era limitato ad aggiungere qualche considerazione
illuminante, «la missione costa moltissimo, comincia a fare troppi morti,
la logica
dell'irresponsabilità - (segue dalla prima pagina)
( da "Repubblica, La"
del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: il nostro Berlusconi - non proprio
affine a Obama per biografia e profilo cultural-politico. Sicché a Roma si
stenta a percepire che questa America dall´Afghanistan se ne vuole andare
appena possibile. Perché Obama sa e fa sapere che la guerra non si può vincere.
A nessuno piace combattere senza coltivare alcuna speranza di successo.
la cina rimprovera gli usa
"dovete risanare il deficit" - federico rampini
( da "Repubblica, La"
del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Amministrazione Obama. Il vertice
bilaterale di Washington si è chiuso ieri sotto il segno dell´offensiva
"capitalista" degli ospiti cinesi, preoccupati di tutelare i propri
investimenti in dollari. Il vicepremier Wang Qishan ha richiamato all´ordine i
padroni di casa, sospettati di voler esportare inflazione per ridurre i propri
debiti:
washington spegne il
tabellone anti-castro "quelle frasi di protesta non servono più" -
omero ciai ( da "Repubblica,
La" del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: è parte della politica di dialogo e
distensione verso il regime cubano voluta da Barack Obama ma è anche il
riconoscimento di una straordinaria fesseria. L´idea di usare la facciata del
palazzo per lanciare messaggi anti - castristi venne nel 2004 a James Cason, il
più determinato tra i recenti responsabili Usa dell´ex ambasciata.
meno disoccupati sorpresa
d'estate per sarkozy ( da "Repubblica,
La" del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: obama e gli speculatori] ROMA - La
speculazione finanziaria sul petrolio c´è. Anzi, non c´è. Il dibattito è
destinato a continuare e, adesso, vede su fronti opposti anche le massime
istituzioni di regolamentazione del mercato. A Londra, la Fsa è appena arrivata
alla conclusione che gli sbalzi nei prezzi del barile sono frutto dell´
Uniti contro l'effetto
serra ( da "Stampaweb,
La" del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: impatto della loro offerta di
dollari sull?economia domestica e sull?economia del mondo in generale», ha
detto Wang. E? una critica al superdeficit di Washington e alle intenzioni
d?indebitamento di Obama per finanziare la riforma sanitaria.
Sonia Sotomayor, primo sì
del Senato ( da "Corriere
della Sera" del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: era stata proposta dal presidente
Barack Obama. La Commissione, composta da 12 senatori democratici e 7
repubblicani, ha espresso 6 voti contrari e 13 favorevoli, compreso quello del
senatore repubblicano Lindsey Graham. Per la nomina definitiva bisogna
attendere il voto dell'intero Senato, atteso per i primi di agosto.
LA S CALATA DI O BAMA E I
D UBBI DI I SRAELE ( da "Corriere
della Sera" del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: aneddoto funziona ancora per
spiegare l'approccio alla missione che Barack Obama gli ha affidato. Le
montagne che Mitchell ha affrontato nella visita a Gerusalemme sono quelle
della Cisgiordania, dove gli americani pretendono il blocco degli insediamenti.
«Progressi», dice dopo l'incontro di due ore e mezzo con il premier Benyamin
Netanyahu.
Obama spegne lo schermo
con gli slogan anti Castro ( da "Corriere
della Sera" del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: da Bush nel 2006 era montato sulla
rappresentanza diplomatica americana a L'Avana Obama spegne lo schermo con gli
slogan anti Castro Nemmeno i 638 tentativi della Cia per farlo fuori (vero o
falso, è un numero che fa parte della mitologia cubana) avevano fatto infuriare
tanto Fidel Castro come quel tabellone luminoso, dall'incerto funzionamento,
piazzato sul lungomare dell'Avana.
Nuove regole d'ingaggio e
prospettive di exit strategy ( da "Corriere
della Sera" del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Mentre il presidente Obama è
costretto a muoversi tra una politica offensiva ulteriori 4 mila marines sono
stati inviati all'inizio di luglio nella provincia meridionale dell'Helmand e a
parlare di un'«efficace strategia d'uscita». La data, però, è ancora imprecisata.
Strout: la vera America e
il mio orgoglio bianco ( da "Corriere
della Sera" del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: è stato in fila per ore ai seggi
per votare Obama». È la stessa fierezza che si respira in certi libri di John
Cheever e John Updike, di cui la Strout si considera l'erede spirituale: «Sento
una grande affinità soprattutto con Cheever. Abbiamo un'estrazione culturale
molto simile, salvo che lui si dava un sacco d'arie ed aveva problemi con
l'alcol,
Obama corteggia la Fifa:
"Vogliamo i mondiali di calcio del 2018"
( da "Stampaweb, La"
del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack Obama ha accolto alla Casa
Bianca il presidente della Fifa Sepp Blatter per una vera e propria azione di
lobbying calcistico: durante l?incontro privato di lunedì, Obama ha presentato,
seppure in via informale, e promosso la candidatura degli Stati Uniti a paese
ospite dei mondiali, sottolineando le enormi potenzialità dell?
Tutti su Twitter; il
governo inglese educa i ministri al social networking
( da "Stampaweb, La"
del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: in prima fila il presidente
americano Barack Obama (oltre 1,8 milioni di seguaci) e la Casa Bianca - ne
fanno già uso. Fra i ministri italiani più attivi nel microblogging, c?è il
capo della diplomazia Franco Frattini che proprio oggi pubblica su Twitter - e
sulla sua pagina di Facebook - un bilancio in cifre dei suoi primi 15 mesi di
lavoro alla Farnesina.
Obama: "La crisi è
quasi finita" ( da "Stampaweb,
La" del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama, secondo cui però il futuro
economico del Paese è legato a doppio filo all?approvazione della riforma
sanitaria, un tasto su cui il presidente batte con insistenza da settimane. «È
vero che abbiamo fermato la caduta libera dell?economia, i mercati azionari sono
in rialzo, il sistema finanziario non è più a un passo dal collasso e la
perdita di posti di lavoro è dimezzata rispetto
Obama: "Vicini a fine
recessione salvati migliaia di posti di lavoro"
( da "Repubblica.it"
del 29-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: a detta dei detrattori, cominciano
a voltare le spalle a Obama. L'obiettivo, quindi, è spiegare l'azione della sua
amministrazione. A partire dal salvataggio delle banche. "Se non
l'avessimo fatto - spiega Obama - non ci sarebbe stata ripresa economica".
Stesso tono per quanto riguarda gli aiuti al settore delle auto.
"Exit strategy da
Kabul dopo il voto" ( da "Stampaweb,
La" del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Con i senatori del Pdl il
presidente del Consiglio si è dilungato poi in un lungo elogio di Barack Obama.
«C?è - ha detto - una grande collaborazione. È un uomo colto e preparato,
simpatico e con un grande amore per la famiglia». Elogi dell?attuale sì, ma anche
contatti con il predecessore. Il Cavaliere ha infatti raccontato di aver
sentito oggi George W.
Il Cavaliere nel cocktail
di saluto coi senatori Chi di noi non vuole i soldati a casa?
( da "Stampa, La"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: secondo il piano varato dal
presidente Obama, che punta a salire da 38 mila a 59 mila uomini. «Con lui c'è
una grande collaborazione. E' un uomo colto e preparato, simpatico e con un
grande amore per la famiglia», lo loda Berlusconi. Oggi è previsto alle
Commissioni Esteri e Difesa del Senato il voto definitivo sul rifinanziamento
delle missioni per i prossimi quattro mesi.
Colin Powell: "Anche
io una vittima del razzismo"
( da "Stampa, La"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: schiera sulle stesse posizioni del
presidente Barack Obama perché da una parte critica la polizia di Cambridge
osservando che «l'arresto non sarebbe dovuto avvenire» ma dall'altra suggerisce
che forse anche Gates ha commesso gravi errori. È questa la cornice nella quale
oggi pomeriggio nello Studio Ovale della Casa Bianca il presidente riceve tanto
Gates che il poliziotto Crowley,
"Più vicina la fine
della crisi" ( da "Stampa,
La" del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: i prezzi delle case stanno
crescendo negli Stati Uniti» consentendo a Obama di chiudere la
giornata-maratona in tono positivo.Se Obama vede una fine prossima della
recessione e un certo riavvio del ciclo in America probabilmente è nel giusto:
ma si tratta di una ripresa artificiale, perchè è guidata dalla spesa pubblica.
Yahoo e Microsoft alleanza
anti-Google ( da "Stampa,
La" del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Ma Ballmer ha anche detto che si
teme una "opposizione" sotto l'aspetto dell'antitrust da ciò che ha
polemicamente bollato come "il concorrente", un chiaro riferimento a
Google. E' ben noto, e preoccupante per Microsoft e Yahoo, che tra
l'amministrazione Obama e Google i legami siano strettissimi.
"Il vero obiettivo è
conquistare il mercato cinese"
( da "Stampa, La"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: amministrazione Obama e Google i
legami siano strettissimi. «Il patto che è stato raggiunto fra Yahoo e
Microsoft punta alla conquista del mercato cinese». Allen Sinai, guru della
finanza di Wall Street, legge l'accordo sulla nascita del nuovo motore di
ricerca come «l'inizio di una sfida globale per i controllo del web che va ben
oltre i confini americani»
"Genoa, non
lasciarci" Acqui a colpi di ruspa si tiene stretti i rossoblù
( da "Stampa, La"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: viene accolti da un grande
striscione rossoblù che riprende nello stile e nei contenuti i manifesti della
campagna elettorale di Obama, ma il volto rappresentato è quello di un altro
presidente. Un sorridente Enrico Preziosi con il motto «Yes we go» è una scelta
di immagine importante a sottolineare il ritorno in Europa di una delle squadre
che hanno scritto la storia del calcio.
Quando la morte è decisa
dallo Stato ( da "Stampa,
La" del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Gli Usa stanno cambiando con Obama?
I segnali restano contrastanti. Da un lato, infatti, la Corte Suprema ha
confermato la legittimità dell'iniezione letale, in quanto «una certa quota di
dolore» nell'esecuzione è inevitabile, dall'altro il New Mexico ha abolito la
pena di morte.
obama: tempi ancora duri
ma la crisi sta per finire - federico rampini
( da "Repubblica, La"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: si allenta la stretta al credito
Obama: tempi ancora duri ma la crisi sta per finire FEDERICO RAMPINI «La
recessione è finita!». è un titolo di copertina del settimanale Newsweek il
pretesto usato da Barack Obama: per cavalcare la speranza di una ripresa imminente,
incassare i primi dati positivi dall´economia reale, e difendere la propria
politica economica.
terzi ambasciatore
italiano a washington, domani la nomina
( da "Repubblica, La"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: di avviare il dialogo con i leader
del Partito democratico che ha poi portato Barack Obama alla presidenza.
Nell´ufficio di 2 Millenium Plaza, di fronte al Palazzo di Vetro, al suo posto
arriverà Cesare Ragaglini, fino ad oggi direttore generale per il Medio
Oriente, uno dei diplomatici col grado di ambasciatore più giovani e
combattivi.
"cittadini americani
impegnatevi di più la lotta al terrorismo riguarda anche voi" - angelo
aquaro ( da "Repubblica,
La" del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: America di Obama anche la guerra al
terrore ricomincia dal basso. «Per troppo tempo abbiamo trattato la gente come
soggetto passivo e da proteggere, piuttosto che bene prezioso per la sicurezza
nazionale». In uno dei primi discorsi dalla designazione di gennaio, Janet
Napolitano, il ministro dell´Interno che Barack ha scelto per rileggere la
dottrina antiterrore di Bush,
wynton marsalis, la poesia
del jazz - lucia marchio ( da "Repubblica,
La" del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: formazione è la stessa che si esibì
davanti al presidente americano Barack Obama nel giorno dell´insediamento lo
scorso 19 gennaio (tra l´altro con il giovanissimo genio del sax nostrano, il
siculo Francesco Cafiso, già al suo fianco a soli 14 anni). Stasera di sicuro
non ripeterà il celeberrimo Concert for Obama, ma qualche rimando alle
composizioni della tradizione swing e blues,
la rivincita dello
zucchero torna campione in tavola e al mercato diventa oro - (segue dalla prima
pagina) ettore livini ( da "Repubblica,
La" del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ETTORE LIVINI Michelle Obama l´ha
sdoganato dal ghetto del cibo-spazzatura: «è un prodotto naturale. Alle mie
figlie non darò mai dolcificanti». Le alluvioni sulle piantagioni di canna in
Brasile e un monsone troppo secco in India (i due maggiori produttori mondiali)
hanno fatto il resto: i raccolti saranno inferiori al previsto e il prezzo
dell´
la diplomazia alla birra
del "presidente-barista" - angelo aquaro
( da "Repubblica, La"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ANGELO AQUARO DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK - La notte in cui sembrava che il mondo stesse cambiando davvero,
Barack Obama stappò 3mila bottiglie di 312 Urban Wheat Ale, la birra più chic
prodotta dalla Goose Island, marchio-simbolo della sua Chicago da bere. Questa
sera, se le indiscrezioni saranno confermate, brinderà con la più prosaica Bud
(e pure light).
vertice di governo nel
weekend ( da "Repubblica,
La" del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Esteri Sanità e riforme Vertice di
governo nel weekend WASHINGTON - Il presidente Usa Barack Obama, il suo vice
Joe Biden e 22 membri di governo si riuniranno a Washington venerdì e sabato.
Obiettivo: una maratona di riunioni per fare il punto sui primi sei mesi di
presidenza e programmare un autunno di riforme che si preannuncia caldo.
obama: "la recessione
sta per finire" - (segue dalla prima pagina) federico rampini
( da "Repubblica, La"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Obama: "La recessione sta per
finire" "Abbiamo fermato il tracollo, ma ci saranno ancora tempi
duri" Il presidente contro i repubblicani: "Non è ancora il momento
per i tagli di spesa" Ma la crisi comincia a colpire anche il suo indice
di gradimento: ora è al 53 per cento Il sistema finanziario non è più sull´orlo
del collasso La perdita di posti di lavoro è due volte meno rapida
"Exit strategy
dall'Afghanistan" ( da "Stampaweb,
La" del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: secondo il piano varato dal
presidente Obama, che punta a salire da 38 mila a 59 mila uomini. «Con lui c?è
una grande collaborazione. E? un uomo colto e preparato, simpatico e con un
grande amore per la famiglia», lo loda Berlusconi. Oggi è previsto alle
Commissioni Esteri e Difesa del Senato il voto definitivo sul rifinanziamento
delle missioni per i prossimi quattro mesi.
Il Cavaliere fa il dj (
da "Corriere della Sera"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Al termine politica estera e ancora
battute, con un lungo elogio per Obama («colto, preparato e simpatico») e la
rivelazione di una telefonata affettuosa con Bush. E sulla Pravda : «Mi elogia,
dice che sono bravo anche a letto». R. R. Al piano Silvio Berlusconi suona al
pianoforte durante il vertice Russia-Nato a Pratica di mare (2002).
Obama: (
da "Corriere della Sera"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 6 Obama: «L'economia non è più in
caduta libera» Il presidente: rallenta anche il calo dell'occupazione e i
mercati azionari sono in rialzo DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK «Siamo vicini alla
fine della recessione»: Barack Obama mostra per la prima volta un prudente
ottimismo sulla congiuntura, ma la Borsa (ieri in leggera flessione)
Obama: fine della crisi
più vicina ( da "Corriere
della Sera" del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: presidente americano arriva un
messaggio di fiducia sullo stato dell'economia Obama: fine della crisi più
vicina «Disoccupazione e finanza, non siamo più in caduta libera» «La fine
della crisi è più vicina». L'ottimismo del presidente Usa Obama sullo stato
dell'economia: «Il mercato si è ripreso, il sistema finanziario non è più in
caduta libera e molti posti di lavoro sono salvi».
Due anni di
neointerventismo di Stato ( da "Corriere
della Sera" del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: appello del presidente Obama a
contenere le remunerazioni al top. È una mina sotto la coesione sociale: il
conflitto tra regolazione e deregolazione è strettamente legato, come mostra il
grafico, agli interessi della ristretta minoranza che tratta il denaro. Ma per
l'economia il punto cruciale è quanto rischio le banche stanno prendendo per
riavviare la giostra.
No R 20,8
( da "Corriere della Sera"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: it Vi piacerebbe che al posto di
Felipe Massa tornasse a guidare una Ferrari Michael Schumacher? SUL WEB
Risposte alle 19 di ieri Sì R 79,2 No R 20,8 La domanda di oggi Il presidente
americano Barack Obama: la fine della crisi economica è più vicina. Siete
ottimisti?
Locali del centro storico,
la fiera dell'illegalità ( da "Corriere
della Sera" del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: in occasione della cena di Michelle
Obama ». Ilaria Sacchettoni Piazza delle Coppelle Auto della Municipale durante
uno dei controlli sulla piazzetta dietro al Pantheon Campo de' Fiori Uno dei
luoghi della movida più scatenata ed una delle piazze a più alta concentrazione
di locali, che affollano tutto il perimetro della piazza
Berlusconi: (
da "Corriere della Sera"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Barack Obama. Tutti i Paesi
impegnati sul fronte desiderano vedere in atto un'«efficace strategia d'uscita
che consenta all'esercito dell'Afghanistan, alla polizia, ai tribunali, al
governo afghani di farsi carico di sempre maggiori responsabilità riguardanti
la loro sicurezza», aveva detto il presidente americano lo scorso 14 luglio di
fronte al crescente numero di perdite nell'
E in Bulgaria arriva il
premier-bodyguard ( da "Corriere
della Sera" del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Amministrazione Obama. Nel
tentativo di inaugurare il nuovo corso della trasparenza, lunedì Borisov ha
riaperto un capitolo doloroso per il Paese dichiarando che nel 2007 Sofia pagò
alla Libia 100 milioni di dollari per il rilascio delle cinque infermiere bulgare
e del medico palestinese accusati di aver inoculato deliberatamente il virus
dell'
Colin Powell sul caso
Gates: "Anch'io giudicato per il colore della pelle"
( da "Stampaweb, La"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: E se cancellare questi
atteggiamenti richiede un cambiamento culturale lento e profondo, è previsto
per oggi un passo decisivo per risolvere il caso Gates: il professore e il
sergente Crowley sono attesi alla Casa Bianca, per un incontro con il presidente
Obama che dovrebbe mettere la parola fine alla vicenda. + Finestra
sull''America, di Maurizio Molinari commenti (0) scrivi
Nomine alla Farnesina
Terzi ambasciatore a Washington ( da "Repubblica.it"
del 30-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: di avviare il dialogo con i leader
del Partito democratico che ha poi portato Barack Obama alla presidenza.
Nell'ufficio di 2 Millenium Plaza, di fronte al Palazzo di Vetro, al posto di
Terzi arriverà Cesare Ragaglini, fino ad oggi direttore generale per il Medio
Oriente, uno dei diplomatici col grado di ambasciatore più giovani e
combattivi.
Obama frena sulla crisi
economica "Pil in calo nel secondo trimestre"
( da "Repubblica.it"
del 31-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: gli entusiasmi di Barack Obama.
Dopo un incontro ufficiale con il presidente delle Filippine Gloria Macapagal
Arroyo, il presidente americano ha fatto il punto sullo stato di salute
dell'economia statunitense assieme ad alcuni giornalisti. Obama non ha ancora
visto i dati ufficiali (saranno pubblicati soltanto venerdì), ma sospetta che
mostreranno "
Obama, il prof e il
poliziotto Pace davanti a una birra
( da "Stampa, La"
del 31-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: «Bud Light» per Obama e Biden. Da
qui il termine «summit della birra». Per Obama però si è trattato «non di un
vertice ma solo di quattro persone che prendono assieme una birra a fine
giornata per aver la possibilità di comprendersi l'un l'altro al fine di
ridurre la rabbia e promuovere la riflessione».
La regina d'Olanda compra
le lavasciuga della Lindhaus ( da "Stampa,
La" del 31-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: La piccola impresa rifornisce
infatti anche la Casa Bianca del Presidente Obama, il Cremlino, la Camera dei
Deputati italiana, il Parlamento austriaco e quello sloveno. L'azienda nel 2008
ha fatturato 15 milioni di euro con una quota di export dell'80%.
e rispunta la vecchia
cassa per il mezzogiorno - luca iezzi
( da "Repubblica, La"
del 31-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Un confronto che la maggioranza di
governo mostra di non temere, d´altronde se negli Usa Obama rivaluta gli
interventi di emergenza del New deal di Roosevelt, perché noi non dovremmo
riproporre la Cassa, che nel 1950 fu istituita proprio per ricalcare le agenzie
di sviluppo locale pensate negli Usa? Stesso modello e risultati opposti.
afghanistan, pronta la
jihad contro il voto ( da "Repubblica,
La" del 31-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: intervista al New York Times ieri
il premier Josè Luis Zapatero ha detto che Madrid manderà altre truppe in
Afghanistan se sarà necessario. E i consiglieri del responsabile delle truppe
Usa, Stanley McChrystal, hanno fatto trapelare la notizia che il generale si
appresta a chiedere all´amministrazione Obama ulteriori rinforzi oltre a quelli
già inviati nei mesi scorsi.
guantanamo, giudice usa
ordina "a casa il detenuto ragazzino"
( da "Repubblica, La"
del 31-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Jawad era accusato di avere legami
con i Taliban: per i suoi avvocati al momento dell´arresto aveva 12 anni, per
le autorità americane 17. La sua liberazione potrebbe costituire un precedente
per altri prigionieri del centro che Barack Obama si è impegnato a smantellare.
il guru di moveon "il
modello obama si può esportare" - anais ginori roma
( da "Repubblica, La"
del 31-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Gli elettori delusi sono sempre
recuperabili" Il guru di MoveOn "Il modello Obama si può
esportare" La comunità online che ha dato una spinta decisiva a Barack ha
già una "figlia" in Australia Cinque milioni di iscritti, il gruppo
ha inventato la politica via email e le microdonazioni ANAIS GINORI ROMA Ognuno
ha la sua specialità.
fmi: eurolandia resta in
recessione - elena polidori ( da "Repubblica,
La" del 31-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ottimismo di Obama fa bene alle
Borse, tutte in rialzo. Milano è ai massimi dell´anno ELENA POLIDORI ROMA -
Negli Usa la crisi sta per finire ma in Europa no. L´intera zona euro è tuttora
in recessione «con segnali di miglioramento che devono ancora evolversi in
recupero», sostengono gli esperti del Fondo monetario internazionale.
E il premier scherza sulla
mosca: mi ha preso per Obama ( da "Corriere
della Sera" del 31-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: 5 La battuta E il premier scherza
sulla mosca: mi ha preso per Obama MILANO Silvio Berlusconi, nel corso della
conferenza stampa a L'Aquila al termine della visita alle zone colpite dal
terremoto, ieri è stato disturbato da una mosca. L'insetto gli ronzava intorno.
Il presidente del Consiglio non si è scomposto però più di tanto.
Neri e arabi controllati
più dei bianchi ( da "Corriere
della Sera" del 31-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: ricevuto ieri sera da Obama dopo l'
ingiusto arresto). Ma anche la Francia delle banlieues degli immigrati arabi,
esplose nel 2005 dopo l'uccisione di due ragazzi da parte delle forze
dell'ordine. E dei tanti atti di razzismo di flics e gendarmes denunciati
finora unilateralmente da minoranze e da Ong, che sembrano adesso confermati
per la prima volta da uno studio scientifico.
Berlusconi ferma lo
strappo (
da "Corriere della Sera"
del 31-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: deve avermi preso per Obama... ».
Tutto questo accadeva all'Aquila. Ma non c'è dubbio che lo sforzo maggiore ieri
Silvio Berlusconi lo abbia fatto a Roma, per chiudere una volta per tutte il
tormentone del partito del Sud, e soprattutto quel caso Sicilia che rischia di
costare parecchio al governo in termini di immagine e di equilibri politici
complessivi.
Il balzo delle Borse Ma il
Fmi vede l'Europa in recessione fino al 2010
( da "Corriere della Sera"
del 31-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: Europa in recessione fino al 2010
Obama: i big finanziari, un rischio per l'economia MILANO Mercoledì le
rassicurazioni del presidente Barack Obama sulla ripresa dell'economia. Ieri
l'aumento inferiore alle attese dei nuovi sussidi di disoccupazione e una
raffica di confortanti bilanci trimestrali, da General Electric a Ibm.
Sì R 50,9 No R 49,1
( da "Corriere della Sera"
del 31-07-2009)
Argomenti:
Obama
Abstract: it La domanda di oggi Il presidente
americano Obama: la fine della crisi economica è più vicina. Siete ottimisti?
Sì R 50,9 No R 49,1 Dopo i nuovi attacchi dell'Eta a Burgos e a Maiorca, avete
paura di fare turismo nelle Isole Baleari e in Spagna?
( da "Stampa, La" del
28-07-2009)
Argomenti: Obama
IL MINISTRO DELLE
DIFESA DI GERUSALEMME: NON ESCLUDIAMO NESSUNA OPZIONE Il ministro della Difesa
americano: pronti a nuove sanzioni se non ci saranno novità "L'Iran
risponda a settembre" [FIRMA]ALDO BAQUIS TEL AVIV In una visita-lampo di
sei ore, il segretario alla difesa Robert Gates ha detto ieri ai dirigenti
israeliani che per far fronte alla minaccia nucleare iraniana è necessario
garantire alla diplomazia degli Stati Uniti ancora alcuni mesi di tempo.
L'assistenza militare qualitativa del suo Paese allo Stato ebraico resta
comunque confermata, ha aggiunto Gates, malgrado le divergenze di opinioni
sulla colonizzazione ebraica in Cisgiordania. Una settimana, per Israele,
all'insegna della pressione diplomatica statunitense
espressa oltre che da Gates anche da George Mitchell (emissario di Obama per il Medio Oriente), e da James
Jones (Consigliere per la sicurezza nazionale). E ieri, nel cuore di
Gerusalemme, il movimento dei coloni ha inscenato una prima manifestazione
anti-Obama con lo slogan:
«No al diktat degli Usa», ossia «no» al congelamento degli insediamenti.
A Gates il ministro della difesa Ehud Barak ha detto sulla questione iraniana
«Israele non esclude alcuna opzione», ma ha subito aggiunto che il suo Paese
«non è cieco di fronte alla ripercussioni regionali ed altrove delle sue
attività». Nelle settimane scorse Israele è sembrato inoltrare messaggi di
crescente impazienza verso l'Iran quando un suo sottomarino Dolphin e due
corvette lanciamissili Saar hanno attraversato il canale di Suez dal
Mediterraneo al mar Rosso, (con il beneplacito dell'Egitto), accompagnati da
vistosi titoli sulla stampa. Barak ha ribadito il profondo scetticismo di
Israele per l'apertura diplomatica di Obama verso
Teheran e ha proposto che fin d'ora siano messe a punto sanzioni severe. Gates
ha replicato che comunque il Presidente non pazienterà all'infinito: si aspetta
dall'Iran un risposta «per questo autunno, con la Assemblea generale delle
Nazioni Unite». Più tardi, nel corso della visita ad Amman, Gates ha detto che
Washington spingerà per nuove sanzioni contro l'Iran se i colloqui diplomatici
si concludessero con un nulla. «Se le trattative non andranno a buon fine gli
Stati Uniti sono pronti a fare pressione per nuove significative sanzioni e
perchè la comunità internazionale assuma un atteggiamento più duro», ha detto
Gates, durante la conferenza stampa seguita all'incontro con re Abdallah di
Giordania. Il segretario della Difesa ha tuttavia sottolineato che la Casa
Bianca spera ancora che «l'Iran risponda alla mano tesa dal presidente (Usa,
Barack Obama) in maniera positiva e costruttiva». In
Israele, Perez ha discusso con il capo dello stato Shimon Peres La questione
palestinese e le prospettive di rilanciare negoziati di pace con la Siria.
Peres ha insistito su tasti ottimistici: nelle posizioni del premier Benyamin
Netanyahu (che ora parla di uno «stato palestinese smilitarizzato al fianco di
un Israele riconosciuto come stato ebraico») c'è stata una evoluzione molto
positiva, ha notato. L'economia della Cisgiordania decolla e la Siria - ha
assicurato Peres - troverà di sicuro in Israele un partner di pace se non porrà
precondizioni. Reduce da Damasco e dal Cairo, Mitchell ha spronato i dirigenti
israeliani a verificare come possano essere appagate le richieste palestinesi
per il congelamento delle colonie. Israele sperava di ricevere almeno in cambio
primi gesti di normalizzazione da parte dei Paesi arabi: invece, ha constatato
Mitchell, i tempi sono ancora prematuri.
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( da "Stampa, La" del
28-07-2009)
Argomenti: Obama
Lucia Annunziata
Il problema di Bossi è l'America Uno dei suoi più famosi manifesti recita: «Sì
alla polenta, no al cous cous». Naturalmente il messaggio, come tutti i
messaggi politici, è terribilmente semplificato, ma rende molto bene su quale
base si fonda la politica estera della Lega Nord: quella di una forza legata al
territorio, in un mondo che tende a omogeneizzarsi nella globalizzazione. Per
una organizzazione sostanzialmente nazionale, anzi, semiregionale, questa idea
è finora più che bastata. Ora che la Lega ha ruolo nazionale, basterà questa
base a elaborare una politica estera di governo? Un quesito interessante, con
cui il partito di Bossi sembra in questi giorni determinato a misurarsi,
proponendo una sorta di riapertura della discussione sulle missioni italiane
all'estero. Ma può davvero la Lega permettersi di intraprendere questa strada,
o rischia una cantonata clamorosa? Guardando alla storia di questo partito, è
molto alta la possibilità che proprio la politica estera si riveli il suo primo,
vero, tallone di Achille. Anno 1989, elezioni europee (due leghisti eletti), la
Lega si ritrova campione degli euroscettici e autonomisti di tutta Europa. Nei
suoi primi anni, infatti, incrocia molto bene il pullulare di organizzazioni e
di spinte localiste, molte di orientamento «democratico», che si battono contro
i primi effetti della globalizzazione. È l'epoca dei no global, della difesa
dei formaggi francesi, delle prime spinte protezioniste dentro i sindacati
americani. L'autonomismo, come quello basco di Pujol, è una bandiera più di
identità che di separazione: e alla Lega guardano autonomisti fiamminghi
(VolksUnie), Eusko Alkartasuna (indipendentisti pacifici baschi), Sud
Tirolesi,Psd'Az, Sardinia Natzione, Catalani. Ma lo schema di alleanze cambia
con il tempo, e con le stesse evoluzioni della Lega. Spuntano altre seduzioni
internazionali. Iniziano nel 1996 i primi contatti con il reazionario russo
Zirinovksy. Una delegazione della Lega guidata da Maroni incontra Haider a
Bolzano tramite i Freiheitlichen del Sud Tirolo. E una delegazione del partito
di Haider è presente al Congresso leghista del febbraio 1997. Questi contatti
con la destra estrema creano tensioni politiche dentro e fuori
l'organizzazione, specie in Europa. Il cambiamento, tuttavia, non è un vero
voltafaccia: piuttosto è un segno dei tempi, come si diceva. Dentro la
questione globalizzazione cresce quella dell'immigrazione e l'identità
nazionale diventa la difesa della propria cultura dalle invasioni. Certi
feeling sono dunque quasi naturali. Altri si traducono in posizioni quasi
bizzarre. Come quella che la Lega assume nella guerra del Kosovo, del 1999, che
è anche il suo punto di maggiore esposizione sulla politica estera. Bossi si
schiera con Milosevic e contro gli «immigrati» e «straccioni» kosovari. Sulla
Padania si inneggia al «valoroso popolo serbo». Persino la pulizia etnica viene
negata (26 marzo, La Padania). Bossi si reca anche a Belgrado, incontra
Milosevic e raccoglie i consensi più vari, inclusi quelli di Rifondazione e dei
Comunisti italiani. Surreale, come si diceva, ma la Lega fa il suo gioco di
sempre: si smarca su una guerra, combattuta dal governo D'Alema e sostenuta
anche dal centrodestra. Da allora molto tempo è trascorso. Dal 2001 la Lega
sceglie con convinzione un ruolo progressivamente più istituzionale e più
agganciato a quello di Silvio Berlusconi. La politica estera leghista va sotto
traccia, e su molte questioni sceglie di tacere (ad esempio la guerra contro
Saddam Hussein non li trova esattamente felici) o, se parla, come nel caso
della maglietta di Calderoli, viene bastonata. Insomma, più forte diventa il
ruolo istituzionale della Lega e meno paga il suo metodo «pirata». Perché
allora riaprire una discussione così corposa come quella sulle missioni estere
che sono uno dei pochi punti di accordo fra tutti i governi degli ultimi
quindici anni? Perché questa Lega, oggi così forte e così pesante
istituzionalmente, rimane tuttavia a disagio con alcuni fili della storia di
questo Paese. Gli Stati Uniti sono uno di questi. Gli Usa sono, nell'universo
leghista, il motore della globalizzazione - una forza guardata dunque non
esattamente come un modello. La crisi economica, il ruolo che vi hanno avuto le
grandi banche americane, risvegliano echi negativi nei cuori leghisti. E che dire poi di Obama? Non è questione di razzismo, ma Obama è pur sempre l'uomo che nella crisi riprende in mano l'egemonia
Usa, cerca il contatto con il Medio Oriente, riporta in primo piano l'Africa, e
dà un rilievo enorme alla Turchia. Sull'altro grande fronte del mondo, la Cina,
la Lega coltiva da anni perplessità forti. La Cina è infatti nel suo
linguaggio il simbolo di ogni rischio vero della globalizzazione. Il disagio
affiora così su un terreno più vicino, quello delle missioni estere, su cui c'è
un evidente stato di paura nel Paese. E che può servire a sostenere l'idea che
nella crisi non si possa spendere per aiutare «stranieri» e «musulmani». Del
resto, credere che uno Stato abbia un suo interesse nazionale non è molto
facile per una forza politica che non è nemmeno del tutto convinta che questo
Stato debba esistere nella forma attuale. La coalizione di Palazzo Chigi, a
cominciare dal Premier, ha però solide radici atlantiste. E dopo
l'accelerazione della crisi ha bisogno più che mai del rapporto con gli Usa, e
di un (riscoperto) rapporto con l'Europa; per non parlare della Cina e
dell'Est, guardate come occasioni di investimento e sviluppo. Posizioni che
costituiscono per altro alcuni dei pochi punti davvero condivisi con
l'opposizione. Tentiamo dunque ad azzardare: se la Lega si fa davvero tentare
dal porre pressioni al governo sulle missioni, è probabile che la politica
estera diventi la sua prima occasione di ridimensionamento.
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( da "Stampa, La" del
28-07-2009)
Argomenti: Obama
Via
dall'Afghanistan la frenata della Lega ROMA La Lega frena, confermando di voler
rispettare i patti di governo. Ma il dibattito sulla presenza italiana in
Afghanistan fa salire la tensione all'interno della maggioranza, sull'onda
delle dichiarazioni di Umberto Bossi che, tre giorni fa, ha proposto di
«riportare a casa tutti i nostri soldati». Al rilancio del ministro della
Semplificazione Roberto Calderoli, che in un'intervista a Repubblica a chiesto
di «lasciare intanto il Libano e i Balcani», ribadendo che «sull'Afghanistan
ragioniamo ma la stragrande maggioranza degli italiani la pensa come Bossi», è
seguita la dura replica del ministro degli Esteri Frattini: «Lavoriamo in
Afghanistan per la sicurezza anche dell'Italia, quindi anche di Calderoli».
Anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa parla di «missione
irrinunciabile», e invita a «non usare questi argomenti contro la nostra
presenza in Afghanistan soltanto per avere visibilità». Finché, nel pomeriggio,
una nota congiunta dei capigruppo leghisti di Camera e Senato, Roberto Cota e
Federico Bricolo, smorza i toni, assicurando che «la Lega ha sempre mantenuto
gli impegni assunti dal governo e lo farà anche in questo caso». Anche se
«Bossi ha aperto una riflessione giusta», che sarà necessario approfondire dopo
le presidenziali. Per disinnescare la miccia, oggi pomeriggio il governo terrà
alla Camera «un'informativa urgente sugli intendimenti in materia di
partecipazione delle forze armate alle missioni internazionali». Finora era
stato il centrosinistra a dividersi sulle missioni militari all'estero, e anche
per questo forse l'imbarazzo nel centrodestra è palpabile. Le parole di Bossi
hanno creato una frattura che la nota dei capigruppo leghisti non ha del tutto
sanato, nonostante il 23 luglio il Carroccio abbia votato alla Camera il
rifinanziamento di tutte le 35 missioni militari italiane all'estero, che
complessivamente impiegano 8942 militari: 510 milioni di euro per i prossimi 4
mesi (oggi il pacchetto passa al Senato). L'imbarazzo, si sostiene alla
Farnesina, c'è anche nei confronti degli alleati. Per questo ieri sera Frattini
ha partecipato, a Bruxelles, a una cena che l'inviato di Obama per Afghanistan e Pakistan,
Holbrooke, aveva organizzato per gli ambasciatori Nato: per assicurare agli
Stati Uniti che il governo rispetterà gli impegni in Afghanistan, e che le
divisioni nella maggioranza non mettono in discussione il nostro ruolo di
«partner ascoltato» nel mondo. Frattini e Holbrooke hanno concordato
sulla necessità di un «piano di 100 giorni» per fare «passi avanti decisivi
nella ricostruzione» del Paese. La questione della presenza dei nostri soldati
in Afghanistan - dove ieri il presidente Karzai ha offerto un dialogo ai
talebani che rinunciano alla violenza, proposta subito respinta - divide anche
l'opposizione. Scontata l'approvazione della sinistra radicale per le
affermazioni di Bossi, il segretario Pd Franceschini ieri si è detto convinto
che «non è il momento di far rientrare i ragazzi dall'Afghanistan, ma di far
completare il loro lavoro»: «Abbiamo ritirato i soldati dall'Iraq perché quella
era una guerra unilaterale, ma la presenza in Afghanistan è voluta dalla
comunità internazionale». Alla «sensibilità» di Bossi è invece vicina l'Idv.
Antonio Di Pietro annuncia che non si opporrà alla permanenza del nostro
contingente prima delle presidenziali, ma si dice contrario a una nuova fase
della missione, e attacca Berlusconi: «Pur di entrare nella stanza dei bottoni
è disposto a mettere sul piatto la pelle dei nostri soldati». \
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( da "Stampa, La" del
28-07-2009)
Argomenti: Obama
[FIRMA]MAURIZIO
MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK «Costruiamo assieme il XXI secolo». Barack Obama dà inizio alla prima sessione del dialogo
economico-strategico Usa-Cina offrendo a Pechino una «partnership» a tutto
campo: sul rilancio della crescita economica, la difesa del clima, il contrasto
alla proliferazione nucleare e la lotta al terrorismo. Il presidente americano
parla nella grande sala del Ronald Reagan Building di Washington gremita di
centinaia di diplomatici dei due Paesi - i cinesi arrivati in delegazione sono
150 - ed esordisce assicurando che «le relazioni fra di noi disegneranno il XXI
secolo» e saranno dunque «le più importanti del mondo» anche se «non mi illudo
sul fatto che andremo d'accordo su tutto». Il summit somma economia e politica
estera secondo una formula che il leader cinese Hu Jintao pianificò con George
W. Bush e confermò poi al G20 di Londra con Obama per assegnare una dimensione unica
ai rapporti bilaterali. È per questo che il discorso di apertura di Obama è modellato per essere la
piattaforma di 48 ore di colloqui di più gruppi di lavoro - guidati a livello
di ministri - destinati ad affrontare «i problemi più urgenti del momento».
Anzitutto la necessità di far ripartire la crescita globale, nel «mutuo
interesse» di «prevenire una recessione più profonda e salvare posti di lavoro»
guardando anche al rilancio dei negoziati di Doha sul libero commercio. Subito
dopo per il presidente americano c'è il nodo del clima ovvero la necessità di
un accordo con Pechino su sviluppo di energia rinnovabile e taglio delle
emissioni di gas nocivi nell'atmosfera senza il quale la conferenza di
Copenhagen dell'Onu, in programma a dicembre, sarebbe condannata al fallimento.
«Nessuno di noi trae profitto dalla dipendenza del greggio - sottolinea Obama - come entrambi dobbiamo collaborare se vogliamo
risparmiare alle nostre genti la furia del clima». Il presidente vede in
Pechino il partner per «trasformare l'economia globale», favorendo «innovazioni
capaci di aumentare prosperità e sicurezza». Da qui anche il «mutuo interesse a
fermare la proliferazione di armi nucleari» ovvero la necessità di «lavorare
assieme per la denuclearizzazione della Penisola coreana» e per «impedire
all'Iran di ottenere un'arma atomica». Questo è un passaggio decisivo per la
Casa Bianca perché senza l'avallo di Pechino non potranno essere adottate più
rigide sanzioni contro Teheran al summit del G20 in programma a settembre a Pittsburgh.
Guardando più in avanti, Obama termina suggerendo alla
Cina di Hu Jintao di «affrontare assieme le maggiori minacce internazionali»
dai terroristi ai pirati, dai narcotrafficanti alle epidemie. Evocando il
viaggio di Richard Nixon a Pechino nel 1972, l'impegno di Woodrow Wilson per
costruire un mondo «più unito» ed anche l'eredità di Ronald Reagan, Obama termina affrontando il nodo più delicato: le tensioni
fra apparati militari che negli ultimi mesi hanno causato molteplici
fibrillazioni nel Mar della Cina del Sud. «Aumentiamo i contatti, condividiamo
l'intelligence, operiamo assieme per risolvere conflitti regionali come in
Darfur» incalza il presidente, facendo poi sfoggio di Realpolitik: «Rispettiamo
la vostra storia e visione del mondo, non vogliamo imporre nulla ma ciò che noi
siamo include libertà di parola, libertà di fede religiosa e di scegliersi i
propri leader politici». Quando Obama scende dal palco
tocca al Segretario di Stato, Hillary Clinton, prendere le redini dei lavori
assieme al titolare del Tesoro, Timothy Geithner, al vicepremier Wang Qishan e
al ministro cinese Dai Bingguo, che riassume lo stato d'animo dell'evento così:
«Siamo tutti sulla stessa barca, investita da forti venti e alte onde». Sul
tavolo i grattacapi non mancano: la Cina detiene 801,5 miliardi di dollari di
debito americano e con il deficit federale proiettato oltre quota 1,84 trilioni
rivendica voce in capitolo sulle scelte economiche del team della Casa Bianca.
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( da "Stampa, La" del
28-07-2009)
Argomenti: Obama
La storia LE AMMISSIONI Sulle orme di Obama: la ricetta anti-crisi spiegata alla gente Crisi, il Ben
Bernanke show MAURIZIO MOLINARI «Ho dormito per molte notti sul divano del mio
ufficio Meritiamo qualche critica» Il presidente della Fed in tv: "Mi sono
turato il naso per decidere di salvare le banche" CORRISPONDENTE DA NEW
YORK Ho dovuto turarmi il naso nel decidere i salvataggi delle banche»,
«ho dormito per molte notti sul divano del mio ufficio», «meritiamo qualche
critica»: a parlare a ruota libera è uno dei uomini più riservati d'America, il
presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke. Il bello è che lo fa nella
cornice di uno show tv in onda da Kansas City, in Missouri, sugli schermi della
Pbs. Attorno a lui ci sono 190 persone, invitate dall'anchorman Jim Lehrer a un
incontro sul modello dei «town hall meeting» nei quali si getta il presidente
Barack Obama per spiegare al grande pubblico la
riforma della sanità. Se Bernanke sceglie questo format è perché punta a
ridisegnare l'immagine della Federal Reserve «avvicinandola alla gente», come riassume
un suo portavoce. Il botta e risposta da una città-simbolo dell'entroterra
continentale è tutto proiettato in questa direzione. Quando gli chiedono il
perché di tanti «miliardi pubblici» adoperati per salvare «banche private»,
risponde: «mi sono dovuto turare il naso» e allorché uno dei presenti ribatte
«ma non era più giusto aiutare le piccole imprese?», lui ammette: «sì è vero,
le decisioni prese sono state dure da ingoiare perché so bene quanto anche i
piccoli imprenditori abbiano simili difficoltà». Con il microfono in mano, ora
seduto ora in piedi, incline ai ricordi autobiografici ma soprattutto
intenzionato a farsi capire e conoscere, Bernanke dice che «niente mi ha fatto
arrabbiare di più che intervenire per aiutare imprese responsabili di scommesse
selvagge» ma «non avevo alternativa perché non farlo avrebbe causato
conseguenze terribili per l'economia». «Sono disgustato quanto voi, comprendo
la vostra frustazione ma non volevo diventare il presidente della Federal
Reserve durante la seconda Grande Depressione», aggiunge Bernanke con una
franchezza insolita rispetto alla cauela che distingue le deposizioni al
Congresso o all'estremo riserbo che manteneva, in qualsiasi circostanza, il
precedecessore Alan Greenspan. «Ho passato molte notti a dormire sul divano
dell'ufficio - racconta, quasi parlasse ai figli - perché ci siamo trovati nel
bel mezzo di una tempesta perfetta per la convergenza di problemi finanziari,
immobiliari e del credito» e «spesso mi sono trovato a fare cose insolite».
Seppur selezionati con cura, i componenti del pubblico non gli risparmiano
nulla. Quando arriva la domanda «cosa fate per proteggere i consumatori?», la
risposta è un mezzo mea culpa: «Abbiamo affrontato tardi il poblema dei mutui a
rischio e ci meritiamo qualche critica su questo». Sui temi politici è più
prudente. Suggerisce «cautela» nel definire la Fed «il quarto potere», chiede
«pazienza» sugli effetti dello stimolo economico da 787 miliardi di dollari, si
dice «non contrario a priori» alla proposta di Obama
di creare un agenzia ad hoc per tutelare i consumatori e riguardo alla crescita
prevede che tornerà «fra qualche anno», anche se l'economia inizierà a
riprendersi entro dicembre. Se in marzo Bernanke aveva fatto notizia facendosi
intervistare dalla Cbs dentro la sede della Fed ora lo show di 75 minuti in tv
- che la Pbs trasmetterà in tre puntate - viene interpretato a Wall Street come
un'offensiva preventiva per scongiurare il rischio di essere rimosso a fine
anno, quando scadrà il mandato. Non è un mistero che a volere la sua sedia è
Larry Summers, capo dei consiglieri economici del presidente, e il rischio
maggiore per Bernanke è di diventare il capro espiatorio della recessione.
Anche per questo ripete a più riprese «sono pronto a rispondere alle domande
del popolo americano» come mai nessun precedessore aveva fatto. In attesa di
sapere quali saranno le reazioni della Casa Bianca al blitz di Kansas City - a
cui ne seguiranno altri simili - Bernanke incassa il plauso dell'economista
Nouriel Roubini dalle colonne del «New York Times» gli attribuisce il merito di
«aver evitato una depressione che sembrava molto verosimile». La campagna per
la riconferma è solo all'inizio.
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( da "Stampa, La" del
28-07-2009)
Argomenti: Obama
Intervista Paul
Haggis "Addio a 007 Ora me la prendo con i corrotti" Il premio Oscar
gira un thriller politico MICHELA TAMBURRINO INVIATA A ISCHIA Poche settimane
di svago estivo per il due volte premio Oscar Paul Haggis. Una l'ha passata al
Global Fest di Ischia di cui è chairman, perché gli piace il mare, perché va in
barca con Sting e Zucchero, perché niente stress competitivi, niente orari
rigidi. A settembre sarà tutt'altra musica. Perché proprio a settembre in
America, il regista canadese di Crash e sceneggiatore del remake americano de
L'ultimo bacio di Gabriele Muccino, di Million dollar Baby, di Flags of our
fathers di Lettere da Iwo Jima, tutti diretti da Clint Eastwood, che è passato
con nonchalance da Nella valle di Elah a 007 Quantum of Solace, comincerà a
girare il suo nuovo lavoro, The Next Three Days. Del film ancora non si è
parlato, come degli attori protagonisti che stanno chiudendo il contratto
proprio in questi giorni. Ma da indiscrezioni sembra ci sono buone possibilità
che a spuntarla siano Charlize Theron e Russell Crowe. Haggis, di che si
tratta? «Diciamo che è un thriller, un genere che sento molto vicino e al quale
voglio dedicare sempre più attenzione». Allora mette da parte l'impegno
politico e sociale? «No, i temi politici mi interessano sempre, le domande
rilevanti dell'esistere mi affascinano ancora ma li studio in modo diverso. In
questo caso, mi soffermo sulla piaga della corruzione. La storia vede i due
protagonisti, una coppia sposata, che si trova ad affrontare l'improvviso arresto
della donna, accusata di omicidio. Una situazione ai limiti dell'impossibile
che si trasforma, mano mano che si va avanti, in una lotta contro il sistema
corrotto. La sceneggiatura però non è originale ma basata su un film francese,
Pour Elle». Un film importante che la vede impegnato in varie vesti. «Tornerò a
collaborare con la Lionsgate, la stessa società con la quale ho realizzato il
mio debutto, Crash. E sarò anche produttore del film, un'attività che mi ha
impegnato di recente anche nella serie tivù tratta da Crash. La seconda
stagione è in scrittura». The Next Three Days è un omaggio al suo film culto?
«Certo, un tributo dovuto a I tre giorni del Condor, il film che avrei voluto
fare, dove Sidney Pollack mescolò temi politici e intrattenimento». E 007?
«Basta con James Bond, ora è nelle mani dello sceneggiatore Peter Morgan e lì
sta benissimo». Lei è stato un sostenitore della prima ora
di Obama, ha appoggiato la
sua campagna elettorale e dichiara di vigilare sull'operato della nuova
amministrazione americana. Dal suo osservatorio che cosa vede? «Obama ha già fatto tanto per chi crede
nei valori della sinistra. La speranza nel cambiamento è forte, i diritti umani
sono al centro dell'agenda politica e questa è già una buona notizia.
Però, personalmente, non ho approvato la decisione di bloccare le foto sulle
torture a Guantanamo e mi auguro che presto il nostro Presidente faccia una
visita in quel luogo che giudico una vergogna per l'America. Credo anche che le
guerre al terrorismo in Afghanistan e in Iraq siano state guerre sbagliate fin
dall'inizio. Più a lungo rimaniamo laggiù peggio è. È arrivato il momento di
ammetterlo». Del nostro presidente Berlusconi che cosa pensa? «Dopo aver eletto
Bush noi americani abbiamo perso il diritto a criticare gli altri».
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( da "Stampa, La" del
28-07-2009)
Argomenti: Obama
TRE GIORNI DI
RIUNIONE A DETROIT PER IL BOARD DELLA SOCIETÀ AFFIDATA ALLE CURE DELLA FIAT
Chrysler, Marchionne porta la squadra in ritiro Prima del cda prove di guida e
corsi teorici in aula [FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK Hanno fatto la prova su
strada ieri e oggi sono in aula per la parte teorica: così domani, mercoledì 29
luglio, saranno pronti per il primo consiglio di amministrazione del Chrysler
Group LLC, la società automobilistica uscita dalla
bancarotta e affidata da Obama alla cura Fiat. E' la "squadra Chrysler" al via, e la
formazione del board, presieduto da Robert Kidder, amministratore delegato
della 3Stone Advisors LLC, riflette la piena delega all'azienda torinese per la
conduzione del business dell'auto sotto l'aspetto manageriale.
Affiancati a Sergio Marchionne, amministratore delegato di Chrysler Group LLC e
di Fiat, e ad Alfredo Altavilla, a.d. di Fiat Powertrain Technologies, ci sono,
con Kidder, James Blanchard, un ex deputato ed ex governatore del Michigan;
George F.J. Gosbee, presidente di Tristone Capital Inc.; Douglas Steenland, ex
CEO di Northwest Airlines; Scott Stuart, fondatore e partner di Sageview
Capital LLC; Ronald L. Thompson, presidente dei fiduciari della associazione
delle assicurazioni per gli insegnanti (Tiaa); e Stephen Wolf, presidente della
R.R. Donnelley & Sons Co. Mentre quest'ultimo è stato indicato da
Marchionne, gli altri siedono nel consiglio per conto del Tesoro Usa (che ha
quattro posti), del governo canadese (uno) e del Veba, il fondo pensione
aziendale (uno). A parte i due manager dell'auto, tutti gli altri hanno avuto
esperienze con ristrutturazioni aziendali in settori extra automobilistici, dai
trasporti all'energia, dalla finanza al settore pubblico. Essendo digiuni di
quattro ruote, ed in particolare della realtà della Chrysler, Marchionne ha
organizzato la full immersion che è in corso. Il primo atto è stata un'uscita
sulla pista-prove della sede della ditta ad Auburn Hill, in Michigan: i
neo-consiglieri hanno potuto guidare oltre una ventina di modelli della gamma
dei tre brand Chrysler, Jeep e Dodge, e hanno avuto a disposizione gli
ingegneri per soddisfare le loro curiosità. A ragguagliarli sul posizionamento
della ditta negli Usa e a livello internazionale sono oggi, martedì, le
relazioni dei responsabili delle principali divisioni aziendali, guidati da
Marchionne. Nei primi mesi di lavoro in ditta, il ceo senza cravatta e con il
maglioncino nero, che negli uffici della Chrysler è stato visto anche con una
T-shirt nera con i tre marchi della casa, ha replicato in fotocopia l'approccio
usato per raddrizzare prima la Fiat e poi la Case New Holland (Cnh, la
controllata americana che produce trattori): riorganizzare la squadra,
concentrarsi sul prodotto. In Chrysler ciò ha comportato la nomina di 23 alti
dirigenti, che riportano direttamente a lui. Sono stati scovati per la quasi
totalità, 20, fra i quadri aziendali preesistenti e sono stati promossi sul
campo. I soli tre portati dal mondo Fiat sono un inglese, Richard Palmer, responsabile
della finanza, Gualberto Ranieri, il capo della comunicazione corporate (ex
Cnh) e Pietro Gorlier, messo a capo dei ricambi (una azienda a sé controllata
da Chrysler, la Mopar) e della soddisfazione dei clienti. La scelta della
valorizzazione interna e della mano leggerissima nell'occupare l'azienda con
truppe straniere è stata subito molto apprezzata in Chrysler, dove ricordano il
fallimento del metodo Daimler. Acquisita la società, i tedeschi mandarono
subito 60 quadri, che arrivarono in poco tempo ad essere 200. Il ricordo
dell'aereo privato che, ogni settimana, partiva il venerdì per riportare a casa
le "truppe" germaniche per il week-end, fa sorridere, ma era la spia
di un atteggiamento di totale non integrazione tra le due culture. Marchionne è
l'opposto. «E' alla mano, ascolta, è focalizzato sul prodotto», dicono di lui a
Detroit.
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( da "Stampa, La" del
28-07-2009)
Argomenti: Obama
L'autostrada che
unì il Sud In questo periodo, in cui si parla tanto dei problemi irrisolti del
Mezzogiorno, di cui dovrebbe farsi carico un nuovo Partito del Sud, sarebbe
giusto ricordare Giacomo Mancini. Da caparbio ministro dei Lavori pubblici, lo
statista si battè per la realizzazione dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria.
Mancini fu il primo a portare avanti il progetto del Ponte sullo stretto di
Messina, ritenendolo la continuazione dell'autostrada, con l'obiettivo di
rompere l'isolamento della Sicilia e della Calabria. Nel 1975 il leader lasciò
il governo e da allora cominciò il lungo periodo di blocco di tutti i progetti
del Mezzogiorno. Le responsabilità principali furono, certo, dei governi centrali,
ma anche degli inascoltati esponenti politici meridionali a Roma, oltre che
della grande stampa e dei capi del sindacato, che subirono in silenzio il
«niet» ai programmi di sviluppo del Sud. PIETRO MANCINI «FONDAZIONE G.
MANCINI», COSENZA Ordinari palpeggiamenti Ho accolto con stupore e un non meno
forte senso di nausea la sentenza della Cassazione, per la quale i
palpeggiamenti alle colleghe se fatti senza intenti libidinosi, sono leciti.
Indubbiamente un passo indietro e nel buio dell'ignoranza! Quindi chiunque
domani mattina potrà salutare la propria collega con un'energica pacca sul
sedere. Ma se la collega sentendosi a disagio per così tanta attenzione,
reagisse con uno schiaffo? La Cassazione cosa direbbe? Che è stata una reazione
lecita? Mi chiedo se i giudici, o coloro che hanno sentenziato questo orrore,
abbiano madri, sorelle, mogli, e se troverebbero naturale che anche loro
venissero «toccate» dai colleghi maschi. LUCIANO SIMONETTI,
CASELLE TORINESE Povero Obama dategli tempo Faccio riferimento all'editoriale della dottoressa
Lucia Annunziata, per il cui contenuto desidero esprimere il mio dissenso. Sono
rimasto sorpreso dal tono eccessivamente critico con cui sono state enfatizzate
alcune dichiarazioni del presidente Obama. L'attuale Presidente Usa è quanto di meglio potessero
avere gli statunitensi in questo difficile periodo della loro storia. E se gli
si dà tempo, sono certo che saprà portare a termine la maggior parte del suo
programma. Non dimentichiamo che, a questi livelli, si viene boicottati dai
potenti delle lobbies, i quali, purtroppo, hanno in mano una grande fetta del
potere. GAETANO FRISENDA Terremotati vecchi e nuovi Mia suocera possiede una
casa nel comune di Casalnuovo Monterotaro in provincia di Foggia, che a seguito
degli eventi sismici dell'ottobre 2002 nel territorio di Molise e Puglia ha
subito danni tali da essere dichiarata inagibile. Dal 2002 non si è potuto più
usufruire dell'abitazione. Ricordo le parole del Governo (lo stesso di adesso)
che sull'onda della commozione per i bambini morti nella scuola dichiarava che
non avrebbe lasciato soli i cittadini e che si sarebbe impiegato nella
ricostruzione in tempi rapidissimi. Be', voglio fare una comunicazione
ufficiale: a 7 anni di distanza non si è ricostruito ancora tutto (vedasi la
casa di mia suocera) però il comune ci comunica che ai sensi dell'articolo 3
del D.l. 23 ottobre 2008 n°162 i tributi sospesi negli anni dal 2002 al 2008
devono essere versati al 40% del loro ammontare in 120 rate a partire dal 16
giugno 2009. Sotto il sole nulla di nuovo, solo parole per chi crede ancora
alle favole. Passato un terremoto ce n'è un altro, togliamo ai primi per dare
ai secondi. DANILO ALBENGA L'erba del vicino si può copiare È di questi giorni
il provvedimento del sindaco di Milano che vieta la vendita di alcolici ai
minori. Vorrei segnalare che in Francia il divieto è a livello nazionale ed è
datato dalla notte dei tempi. Altro piccolo esempio: sempre in Francia, le
famose «rotonde» stradali sono decenni che esistono. Tra qualche decennio,
forse, applicheremo sui pali dei semafori i semaforini visibili da chi è al
volante, come hanno i nostri cugini francesi. Possibile che, nel terzo
millennio, chi governa e legifera non si guardi attorno per adottare le cose
che funzionano in altri Paesi europei o nel mondo? LUIGI FRANCONE Brava
Pellegrini ma niente laurea Federica Pellegrini ha oggi compiuto un'impresa
storica ribadendo la sua superiorità atletica e psicologica vincendo, con
record mondiale, i 400 sl e i commentatori si sono sperticati in elogi meritati
paragonandola a Valentino Rossi quale patrimonio sportivo italiano. Faccio un
appello a tutti i rettori delle università del nostro Paese affinché non le
vengano conferite lauree honoris causa come è stato fatto per il motociclista che
si fregia del titolo di dottore, bene in evidenza in una parte del corpo non
consona al prestigio del diploma di laurea: sarebbe un'offesa a tutti e tutte
coloro che ogni giorno faticano sui libri e nelle aule degli atenei. RENATO
LOMBARDO, PIOSSASCO Dietro le barbe dei talebani Nel nostro immaginario i
talebani sono dei rozzi orchi; tuttavia mi sembra che Calderoli sia nel giusto
quando afferma che probabilmente i veri cervelli del terrore si trovano negli
Emirati, alleati degli Usa e detentori d'enormi ricchezze. Cambiano gli scenari
di conflitti epocali, dall'Iraq all'Afghanistan, ma il nemico sfuggente
continua a fare buoni affari nel cuore stesso di un Occidente concentrato sui
barbuti col kalashnikov. FILIPPO TESTA, BALDISSERO TORINESE Quanti abbandoni
non solo di cani Esiste in Italia un grosso «problema abbandoni» che vede
coinvolti i cani, ma che si estende a numerose altre specie. L'animale
domestico non fa ormai più notizia; vi è poco interesse per i combattimenti
clandestini, scarsissima attenzione verso il reato di abbandono e/o
maltrattamento. Tutto questo si evidenzia con notizie di cronaca infelici che
mostrano solo la «punta di un iceberg» che, prima o poi, sveleranno la parte
nascosta travolgendoci con irruenza. LORIS BURGIO, PIACENZA
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( da "Repubblica, La"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 1 - Prima Pagina Il presidente inaugura la "diplomazia del
basket" Obama alla
Cina: cooperare sul clima FEDERICO RAMPINI La diplomazia del ping-pong preparò
il disgelo tra Nixon e Mao 38 anni fa. Oggi tocca al basket accompagnare il
dialogo tra Stati Uniti e Cina, ormai promosso al rango di un G2 sui temi
cruciali della recessione globale e dell´ambiente. Nel ricevere la più
ampia delegazione governativa cinese mai venuta a Washington, Barack Obama ha citato Yao Ming, il campione cinese di
pallacanestro che gioca nel campionato Nba con gli Houston Rockets. SEGUE A
PAGINA 6
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( da "Repubblica, La"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 2 -
Interni Afghanistan, lite nel governo Frattini alla Lega: lì anche per voi Il
Pd: non si gioca con i nostri soldati. Oggi discute il Senato La politica La
Russa: "Proporrò l´impiego dei cannoncini sui Tornado" LUCIANO NIGRO
ROMA - Una gazzarra tra i ministri. E la maggioranza sull´orlo della rottura
per 48 ore. A infiammare la polemica e aprire crepe nella politica estera del
governo alla vigilia del via libera al rifinanziamento per 510 milioni di euro
delle missioni all´estero previsto tra oggi e domani al Senato, è l´appello
"pacifista" di Roberto Calderoli che chiede un cambio di strategia in
Afghanistan. Un rilancio dopo l´ipotesi di un ritiro delle truppe ventilata da
Umberto Bossi. E lo scontro nella coalizione di governo scoppia proprio nel
giorno in cui il ministro degli Esteri, Franco Frattini,
incontra l´inviato di Obama
Richard Holbrooke per confermare l´invio di nuovi mezzi a Kabul e Harat. E´ il
capo della Farnesina ad aprile le ostilità. Di buon mattino legge l´intervista
di Calderoli a Repubblica («La democrazia non si esporta, via anche da Libano e
Balcani») e lancia l´altolà. «Lavoriamo in Afghanistan per la sicurezza
dell´Italia e quindi anche di Calderoli» dice Frattini da Bruxelles,
decisamente irritato. E´ il segnale che dà inizio alla controffensiva del Pdl
verso il Carroccio. «Guai mettere in discussione la missione», avverte il
ministro Gianfranco Rotondi. «In Afghanistan si va avanti rispettando gli
accordi», rincara il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri. «Un grave
errore parlare di un ritiro», incalza il presidente dei deputati Fabrizio
Cicchitto. «Così non si aiuta il morale delle truppe», si arrabbia il suo
numero due, Italo Bocchino. La Lega, però, non molla. «Bossi parla con il
cuore, io sto con lui», assicura il viceministro Roberto Castelli.
L´opposizione osserva allibita. «Da Bossi e Calderoli parole allucinanti»,
protesta il segretario dell´Udc Lorenzo Cesa, mentre il Pd gioca la carta della
responsabilità. Franceschini annuncia il voto favorevole alle missioni e
attacca: «I nostri soldati hanno il diritto di avere un governo compatto alle
loro spalle». Stesse parole usa Pierluigi Bersani. Sembra, a parti rovesciate,
il replay di tre anni fa, quando la rissa lacerava il governo Prodi e il Pdl si
mostrava compatto. Solo Antonio Di Pietro applaude a Bossi: «Meglio tardi che
mai». In un clima di tensione Pier Ferdinando Casini chiede che «il governo
riferisca in Parlamento» perché, attacca, «non si fanno giochini sulla pelle
dei nostri militari». «Trasmetterò la richiesta al governo», assicura il
presidente della Camera Gianfranco Fini. La tensione è massima quando entrano
in azione i pontieri della maggioranza. Mentre Roberto Maroni incontra Umberto
Bossi, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, avverte: «La missione non si
discute, anzi proporrò l´impiego dei cannoncini sui Tornado e non conviene una
discussione mediatica su questi temi» però, concede, «stiamo riducendo la
presenza in Kosovo e ridurremo quella in Libano». è a questo punto che il
Carroccio frena. «La Lega mantiene gli impegni», dice il capogruppo alla Camera
Roberto Cota. «Dopo le presidenziali in Afghanistan, rifletteremo. Ora basta
polemiche». Anche Frattini abbassa i toni: «Bossi è stato chiaro, la Lega vota
con la maggioranza». Mentre il governo riferisce oggi alla Camera, insomma è
tregua. Almeno fino al 20 agosto, quando si voterà a Kabul, il Carroccio
ammaina la bandiera della pace. Ma intanto nella maggioranza si è aperto un
nuovo fronte di scontro, su uno dei terreni più delicati, la politica estera.
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( da "Repubblica, La"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 3 -
Interni Berlusconi, scatta l´allarme "Non facciamo
irritare Obama" Il
Cavaliere telefona al Senatur e il Carroccio frena "Con Umberto parlo io,
ma Frattini deve dare subito un segnale agli americani" Il ministro degli
Esteri si fa invitare alla cena dell´inviato di Obama a Bruxelles A Milano vertice dei leader della Lega
"Manterremo come sempre gli impegni presi dal governo" (SEGUE DALLA
PRIMA PAGINA) FRANCESCO BEI rodolfo sala Fino a mettere in dubbio,
nell´intervista di Calderoli a Repubblica, tutte le missioni all´estero
dell´Italia. Così il premier da Arcore si è messo subito in contatto con il
ministro degli Esteri, in partenza per Bruxelles. «Con Bossi ci parlo io - ha
annunciato Berlusconi a Frattini - ma va dato immediatamente un segnale agli
americani, a Obama». Già, perché la dichiarazione
estemporanea di Bossi alla serata di miss Padania, quella richiesta di far
tornare «a casa» tutti i soldati italiani, cozzava in maniera troppo vistosa
con quanto promesso dal premier ad Obama nel delicato
(e sudato) incontro di metà giugno a Washington. E già allora il Carroccio,
ricordano oggi con fastidio gli uomini di Berlusconi, si era messo di traverso
rispetto all´idea di "ospitare" in Italia alcuni reclusi di
Guantanamo, garanzia data da Berlusconi alla Casa Bianca. Ora, prospettare
addirittura un ritiro unilaterale da Kabul a un mese dalle elezioni, mentre gli
Usa hanno chiesto all´Italia un aumento del contingente fino a 700 unità, è
sembrato davvero troppo. Da qui l´ordine impartito da Berlusconi al ministro
Frattini di correre subito ai ripari per non «irritare» l´alleato.
Un´operazione che il ministro degli Esteri ha eseguito immediatamente,
replicando in maniera ruvida a Calderoli. E, soprattutto, facendosi invitare
alla cena organizzata ieri sera a Bruxelles dall´inviato speciale di Obama per l´Afghanistan, Richard Holbrooke. Una richiesta
fuori dal protocollo, visto che Frattini sarebbe stato l´unico ministro in una
tavolata di ambasciatori. Ma in certi casi, ha ammesso Frattini, «io faccio
prevalere la sostanza alla forma». E la «sostanza» è rassicurare gli Usa, al
più alto livello, che l´Italia non cambia linea. Che quella che conta è la
parola del Cavaliere. Una precisazione tanto più importante se si dà credito ad
alcune voci preoccupate della maggioranza, che riferiscono di una persistenza
«freddezza» del presidente americano nei confronti di Berlusconi, nonostante il
successo dell´ultimo G8. Nel frattempo, mentre Frattini tappava la falla
principale con gli americani, anche sul fronte interno le diplomazie si davano
da fare per ridimensionare l´incidente. Al telefono con Berlusconi, Bossi
prometteva di rimediare. Oggi infatti al Senato inizierà la discussione sul
rifinanziamento delle 35 missioni militari all´estero (compresa quindi quella
in Afghanistan), un provvedimento che alla Camera ha già incassato il voto
della Lega. Così, nel primo pomeriggio, riuniti a via Bellerio i luogotenenti
Maroni e Calderoli, il leader del Carroccio ha imposto la retromarcia. «Me l´ha
chiesto Berlusconi», ha spiegato ai due ministri. Per non sconfessare
Calderoli, sono stati i capigruppo Cota e Bricolo ad assumersi l´onere della
frenata. «La Lega ha sempre mantenuto gli impegni assunti dal Governo - hanno
dichiarato i due in una nota congiunta partorita in realtà a via Bellerio - e
lo farà anche in questo caso». La polemica sulle missioni all´estero - con la
Lega a giocare la parte che nella scorsa legislatura era della sinistra
pacifista - ha prodotto comunque strascichi nei rapporti tra il Pdl e il
potente alleato del Nord. Ieri a Montecitorio erano in molti a mostrare aperta
ostilità nei confronti dei colleghi leghisti. «Sono un partito di lotta e di
governo - si sfoga la bresciana Viviana Beccalossi, ex An - e cercano di
intercettare tutti gli umori, compresi quelli di sinistra. Ormai dalle mie
parti persino i senegalesi votano Lega». Piero Testoni, berlusconiano doc,
ragiona ad alta voce: «I leghisti sanno che stiamo trattando per riavvicinare
l´Udc e così provano a mandarci qualche segnale di insofferenza su un terreno
diverso, come le missioni all´estero». Ma è un ministro del Pdl a dar corpo
all´opinione prevalente all´interno del governo: «In queste settimane si è
parlato solo del Mezzogiorno, del partito del Sud. Così Bossi ha voluto
riprendersi la scena a modo suo, per ricordare che la Lega c´è». Ad ogni modo
c´è la volontà da parte di tutti di mettersi questa vicenda alle spalle. Anche
Gianfranco Fini, nonostante la webmagazine di Farefuturo abbia attaccato il
Carroccio, non intende alimentare polemiche. «Mi sembra - osserva Fini
conversando con i suoi nel cortile della Camera - che la stessa Lega sia
preoccupata di chiudere al più presto il caso e lo dimostrano le dichiarazioni
dei due capigruppo. Naturalmente, quando parla Bossi, loro si sentono in dovere
di andargli dietro. Ma non mi pare che ci sia aria di uno scontro vero». Allora
meglio provare esorcizzare tutto con una battuta: «Vorrà dire che quando
costituiremo l´esercito siciliano - scherza il catanese Nino Strano - manderemo
i nostri in Afghanistan al posto dei soldati italiani. Così Bossi sarà
contento».
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( da "Repubblica, La"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina XV -
Milano Il successo La carriera Il paragone Omara regina del son "Con una
canzone si uccide il dolore" La Portuondo giovedì al Latinoamericando è un
onore essere avvicinata a Edith Piaf: ma lo potranno dire solo gli storici
quando io non ci sarò più Ho festeggiato i 60 anni con un disco cui hanno
collaborato tanti artisti Unico rimpianto: che non ci fosse più Ferrer Non mi
spiace che sia arrivato tardi, anzi mi fa ridere. Con Wenders la musica cubana
si ascolta a Tokyo e a Mosca LUIGI BOLOGNINI La vita sa essere bizzarra. Una si
batte e si sbatte per decenni portando avanti la bandiera della musica cubana,
diventa un mito nel suo Paese, paragonata a Edith Piaf per quanto è un esempio
morale e politico, oltre che artistico, ma fuori dall´isola ottiene stima solo
dagli addetti ai lavori e da pochi appassionati. Poi Wim Wenders gira Buena
vista social club, e di botto Omara Portuondo ottiene in età avanzata tutta la
fama mondiale che non aveva mai avuto prima. Ora, a quasi 80 anni e a 61 di
carriera, la cantante cubana approda al Latinoamericando. Non le fa rabbia
essere diventata celebre così tardi? «No, anzi mi fa ridere. E comunque quel
film ha reso celebre la musica cubana nel mondo. Per cui preferisco emozionarmi
all´idea che le canzoni mie e degli altri artisti ora siano ascoltate e amate a
Tokyo, Sydney, Mosca. E Milano, ovvio». Quanto le è cambiata la vita? «Diciamo
che è più facile trovare date, e questo significa più tempo lontano da casa,
che non è mai facile a una certa età. Ma siamo tutti professionisti, e
l´emozione di salire sul palco, di ricevere calore e applausi, di produrre
arte, è qualcosa di unico. Ecco, ora torniamo a casa con un po´ di soldi in
tasca» A Milano arriva dopo Gracias, il suo ultimo disco, in cui ha suonato con
gente come Pablo Milanés, Jorge Drexler, Chucho Valdés, Buarque de Hollanda.
Come si fa a metterli assieme? «Semplice: gliel´ho chiesto. è un regalo che mi
son voluta fare per i miei 60 anni di attività. Ed è, appunto, un grazie, al
pubblico e a chi mi ha aiutato nella mia carriera. Ho solo un rimpianto, che
non ci fosse Ibrahim Ferrer. Era un grande artista e un grande amico». Nella
canzone che dà il nome al disco, Jorge Drexler scrive che lei "uccide il
dolore con una canzone". Concorda? «La musica è la mia terapia: se ti
senti triste basta mettere su un po´ di musica per risollevarti, e se sei
felice starai anche meglio. Non potrei immaginare la vita senza musica». Lei è
una paladina della tradizione cubana, come il son. Ora imperano la
contaminazione tra caraibico, afroa, ericano e altri generi. Le piace? «Da
matti. Ora Cuba è piena di ragazzi che hanno studiato al conservatorio,
imparando ogni genere, e per loro è giusto e naturale mischiare. Mi divertono
molto, anche se io prediligo cose più classiche. Ma quando ascolti la fusione
di jazz e ritmi cubani di Roberto Fonseca, come fai a non amarla?». La sua
figura è stata spesso paragonata a Edith Piaf. «Troppo onore. Sarebbe bello
essere l´ambasciatrice della musica cubana come lei lo fu della francese. Ma
credo che lo potranno dire gli storici, e io allora non ci sarò più». Com´è la
situazione a Cuba ora? «Pessima, ma un po´ come dappertutto. Certo in un Paese
povero come il nostro certe cose si sentono ancor di più. Confido
molto in Obama per
migliorare un po´ la nostra situazione internazionale». Chi è il più grande
artista con cui ha mai suonato? «Da dove parto? Non so: Chucho Valdés, Herbie
Hancock, Maria Bethania, Avishai Cohen, Trilok Gurtu...». E di italiani chi
stima? «Rita Pavone. Ma anche Modugno e Bocelli. Un paio di mesi fa ho
avuto il piacere di cantare in una canzone del nuovo disco di Joe Barbieri. I
musicisti italiani sono caldi, come il loro pubblico. è sempre così bello
suonare in Italia, fin dagli anni Ottanta, quando avevamo pochissimi soldi di
diaria e dormivamo a casa degli organizzatori dei festival».
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( da "Repubblica, La"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 6 - Esteri
Vertice a due a Washington Barack: a tutte le minoranze il diritto di
espressione Il Tesoro Usa cerca di rassicurare il colosso asiatico su debito
pubblico e tenuta del dollaro (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) FEDERICO RAMPINI «Ho
imparato da Yao che in una squadra c´è sempre bisogno di abituarsi gli uni agli
altri, non importa se sei nuovo o vecchio». Un modo per ingraziarsi i
visitatori, ma anche una messa in guardia sui punti di attrito e le numerose
divisioni tra le due superpotenze. A cominciare dalla questione più spinosa - i
diritti umani - che Obama non ha voluto dribblare. Aprendo il summit bilaterale di due
giorni, affiancato dal segretario di Stato Hillary Clinton e dal segretario al
Tesoro Tim Geithner, il presidente ha fatto un riferimento alla condizione dei
buddisti tibetani, degli islamici uiguri, dei cristiani e di tutte le minoranze
oppresse: «Tutti devono potersi esprimere liberamente: questo comprende
le minoranze religiose ed etniche in Cina». Ma sulle critiche ha prevalso
l´appello alla cooperazione. Per Obama «la relazione
tra Stati Uniti e Cina darà forma al XXI secolo». Criticando implicitamente la
destra americana che auspica un "contenimento" dell´ascesa cinese, il
presidente ha invocato «l´inizio di una nuova era di stretta cooperazione, non
di rivalità». Gli ha fatto eco il capo della delegazione di Pechino, Dai
Bingguo: «Siamo sulla stessa barca, sbattuta da un vento violento e da enormi
onde, non eravamo mai stati così strettamente interconnessi». L´interdipendenza
è quasi una simbiosi tra le due maggiori economie mondiali, ribattezzate
"Chimerica" quasi fossero una cosa sola. Infatti i temi economici -
compreso lo sviluppo sostenibile - hanno dominato la prima giornata del summit.
Un compito di Geithner ieri è stato quello di "rassicurare": sulla
tenuta del dollaro, sul deficit pubblico, sulle misure anti-recessione.
Rassicurare i suoi interlocutori, perché da loro dipende una bella quota del
finanziamento del debito pubblico Usa. Negli ultimi due anni, la banca centrale
di Pechino ha raddoppiato i suoi acquisti di Treasury Bonds americani, passando
da 400 a 800 miliardi di dollari. A questi si aggiungono altri investimenti
fatti dal fondo sovrano o dalle banche cinesi in titoli pubblici Usa, comprese
le obbligazioni emesse da Fannie Mae e Freddie Mac per finanziare i mutui-casa.
Da quando a marzo il premier Wen Jiabao ha esternato i «timori per la sicurezza
dei nostri investimenti in America», la pressione cinese è stata un crescendo.
Il ruolo della Cina come principale creditore estero è un vincolo in più per Obama nelle sue politiche di bilancio. Geithner ieri ha
elogiato «la stretta collaborazione tra Cina e Stati Uniti, cruciale per
l´economia globale». Il segretario al Tesoro deve tenere a bada però il fronte
interno che accusa la Cina di concorrenza sleale, una constituency ben radicata
nel movimento sindacale americano e negli Stati democratici a più forte
concentrazione di colletti blu. Lo stesso Geithner appena insediato al Tesoro
accusò la Cina di "manipolare la sua valuta" per mantenere sottovalutate
le esportazioni. La questione del cambio resta controversa. Le proteste
dell´Amministrazione Bush ottennero che dopo il 2005 Pechino rivalutasse
gradualmente del 22% il renminbi rispetto a dollaro. Ma con la crisi
internazionale nel 2008 la Cina ha smesso di spingere la sua moneta al rialzo,
per non peggiorare le difficoltà della sua industria esportatrice. Lobby
potenti del partito democratico Usa spingono per far passare tariffe doganali
che "compensino" il vantaggio di cui gode il made in China grazie
alla moneta debole. Il deficit commerciale con la Cina resta il più massiccio
squilibrio esterno di cui soffre l´economia americana. Ieri Geithner ha
sottolineato che da questa recessione non si uscirà con un rilancio
dell´iperconsumismo delle famiglie americane. Ha invitato Pechino a promuovere
un aumento della quota dei consumi delle famiglie cinesi sul Pil nazionale,
riconvertendo un modello di sviluppo finora trainato soprattutto dall´export.
Una riconversione che per il momento è lungi dal venire: la manovra di sostegno
della crescita varata da Pechino si basa su lavori pubblici in infrastrutture,
sussidi all´export e aiuti alla grande industria, privilegia gli investimenti
pesanti anziché i consumi. Accuse di concorrenza sleale e tentazioni di protezionismo
insidiano anche l´altro grande tema del vertice bilaterale: l´ambiente. Ieri Obama ha messo la "cooperazione nella lotta al
cambiamento climatico" tra le priorità del G2: assieme, America e Cina
rappresentano una quota sproporzionata delle emissioni carboniche, nessuna
svolta è possibile se i due giganti non uniscono i loro sforzi. E il suo
segretario al Tesoro ha auspicato una strategia comune per "la transizione
verso un´economia verde". Ma i dirigenti cinesi continuano a rifiutare impegni
vincolanti sul modello di Kyoto, per la riduzione delle emissioni di CO2. Forte
dell´appoggio di India e Brasile, la Repubblica Popolare esclude che siano
messi sullo stesso piano i paesi di antica industrializzazione e le nazioni
emergenti. Per costringere Pechino a un´azione più decisa contro
l´inquinamento, la Camera dei deputati di Washington ha approvato un
"dazio verde": colpirebbe le importazioni dai paesi colpevoli di
elevate emissioni carboniche. Può essere l´inizio di una escalation protezionista,
che l´Amministrazione Obama vuole disinnescare.
D´altra parte la Cina potrebbe diventare più malleabile, se Washington
facilitasse e promuovesse l´export di tecnologie avanzate nel campo delle
energie rinnovabili. Il G2 sino-americano ha affrontato anche i due dossier più
caldi di politica estera: il pericolo rappresentato dai programmi nucleari
dell´Iran e della Corea del Nord. Due paesi con cui l´America non ha rapporti,
mentre la Cina ne ha di molto intensi. Obama ha
ammonito: «Né la Cina né l´America hanno interesse a vedere dei terroristi
impadronirsi della bomba nucleare, o a vedere l´avvio di una escalation
nucleare in Estremo Oriente». Il presidente ha confermato che visiterà presto
Pechino, probabilmente a novembre. Di certo gli faranno trovare un campo di
pallacanestro allestito nella sua residenza, e la nazionale cinese del basket
pronta ad accompagnarlo negli allenamenti.
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( da "Repubblica, La"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 7 - Esteri
Quando Bush censurava i ghiacciai Ecco le foto segrete che confermavano il
riscaldamento del Pianeta Sono mille scatti del supersatellite intorno a sei
siti a rischio L´Osservatorio geologico ha concordato la mossa con lo staff del
presidente ANGELO AQUARO DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Le foto c´erano, chiare
e dettagliate. «Un metro ogni pixel», gongola Thorsten Markus, il ricercatore
tedesco volato da Brema alla Nasa per combattere la battaglia dell´ambiente:
«Una risoluzione così non s´era mai vista, trenta volte superiore a quelle che
avevamo a disposizione: qui si vede tutto». Cioè non si vede più nulla, perché
il ghiaccio di Barrow, Alaska, non c´è più, sparito, inghiottito da quel mare
Artico che è sempre meno Glaciale per il surriscaldamento. Sì, le foto c´erano:
mille immagini scattate dal supersatellite intorno a sei siti a rischio
sull´Oceano. Peccato che quegli scatti praticamente storici, prova visibile del
global warming, fossero stati nascosti, proibiti, censurati: proprio da quel
George Bush che già aveva classificato come segretissimi altri studi
sull´effetto serra, compreso quello firmato, anno 2004, dal suo stesso
Pentagono. Prendete Barrow: è il villaggio più a nord del mondo, nell´Alaska
fino all´altro ieri governata da Sarah Palin, con un occhio più alle trivelle
petrolifere che ai ghiacci. Quattromila anime affacciate sul nulla eterno, una
stazione del servizio meteorologico nazionale che si arrampicò già alla fine
dell´Ottocento, e soprattutto la base del Noaa, il National Oceanic and
Atmosphere Administration. Ecco, adesso nelle foto desecretate il disastro si
vede a occhio nudo: questo, luglio 2006, è l´Oceano davanti a Barrow come è
apparso da che mondo e mondo, con la linea dei ghiacci all´orizzonte, e questa
è la stessa foto scattata nel luglio 2007, nulla di nulla: la striscia bianca
non c´è più. Le foto, straordinarie davvero, sono state fatte spuntare dal
cassetto da un´agenzia governativa, l´Osservatorio geologico degli Stati Uniti,
a poche ore dall´allarme lanciato sul clima dall´Accademia nazionale delle
scienze, in una mossa che si presume concordata con lo staff dell´amministrazione Obama. L´ambiente è uno dei punti forti del programma di Barack, che
appena un mese fa ha sbandierato come una grande vittoria l´approvazione alla
Camera del pacchetto clima, malgrado le critiche dei verdi più radical delusi
dal Cap and Trade, il meccanismo di compravendita dei "diritti"
(ovviamente costosi) di inquinamento. Ora per il piano si prevede però
una dura battaglia al Senato, dove già il presidente ha il suo bel da fare con
la riforma sanitaria. Ma le foto nascoste e riapparse aprono anche un altro fronte
di lotta: quello per la sopravvivenza della ricerca scientifica. Dice Jane
Lubchenco del Noaa: «Immagini come queste ormai sono la prova che cerchiamo, ma
la flotta dei satelliti spia non è stata rimpiazzata e ora rischiamo il
collasso. Lottiamo in un campo di battaglia in cui l´America si presenta
cieca». In febbraio, scrive Suzanne Goldeberg, esperta di ambiente dell´inglese
Guardian, un satellite della Nasa che trasportava strumenti per produrre la
prima mappa dell´emissione di carbone intorno alla Terra è caduto
nell´Antartico appena tre minuti dal decollo. Non è un segnale incoraggiante.
Ora nel piano di Obama ci sono 170 milioni per
recuperare il gap. Per l´istituto di ricerca che lotta nei posti più impervi,
come sulla trincea del nulla di Barrow, ne servono altri 390. Bush e Cheney
facevano presto a risolvere il problema: bastava nasconderlo nel cassetto. Ma
oggi il clima è cambiato, anche alla Casa Bianca. Peccato che insieme ai
ghiacci siano spariti anche i fondi.
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( da "Repubblica, La"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
21 - Economia Appello di Obama alla Cina
"Cooperiamo su ripresa e clima" Via alla diplomazia del basket:
saremo una forza Vertice a due Washington. Gli Usa: a tutte le minoranze il
diritto di espressione
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( da "Repubblica, La"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 43 -
Cultura La rivista in edicola Sul nuovo "Reset" Pd e Beni culturali
ROMA - I Beni culturali, i giovani e il Pd e due dossier dedicati a JÜrgen Habermas
e a Ralf Dahrendorf sono fra gli argomenti trattati sul nuovo numero di Reset,
la rivista diretta da Giancarlo Bosetti in edicola in questi giorni. Il tema
del patrimonio storico-artistico e della sua tutela, di come rilanciarlo e di
quale debba essere il ruolo dello Stato e quale quello dei privati è affrontato
in un dialogo fra Andrea Carandini, archeologo e presidente del Consiglio
superiore dei Beni culturali, Giulia Maria Crespi, presidente del Fai (Fondo
Ambiente Italiano), il finanziere Francesco Micheli, l´economista Guido
Guerzoni e il giornalista Pasquale Chessa. Da Trento a Napoli, alcuni giovani
dirigenti del Partito democratico riflettono sulla politica, sull´Italia e su
quali compiti attendono il partito e il centrosinistra nel suo complesso. Fra i
protagonisti del forum ospitato da Reset, Nicola Corrado, Anna Rita Fioroni,
Alessia Mosca, Victor Rasetto, Francesco Spano, Simone Verde e Luca Zeni. Ad
Habermas è dedicato un dossier, con interventi di Leonardo Ceppa, Gian Enrico
Rusconi, Massimo Rosati, padre Gian Luigi Brena, Elena Agazzi, Alessandro
Ferrara, Marina Calloni, Axel Honneth, Stefano Petrucciani, Walter Privitera.
Mentre di populismo e liberalismo discutono Nadia Urbinati ed Emma Bonino. Un
altro dossier è invece intitolato a Dahrendorf, scomparso recentemente.
Giancarlo Bosetti e Giuliano Amato ripercorrono la storia dell´intellettuale
che ha dato del «thatcheriano» a Craxi e che si era appassionato alla «svolta»
di Achille Occhetto che sembrava potesse aprire scenari liberali alla sinistra
post-comunista. Altri temi trattati sul numero di Reset, il
profilo delle first ladies (come è cambiata la figura della moglie del
Presidente con l´avvento di Michelle Obama alla Casa Bianca?), una lettura del libro di Martha Nussbaum
sull´India ad opera di Mariella Gramaglia, e le origini inglesi della non
violenza del "mahatma" Gandhi.
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( da "Repubblica.it"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
ROMA - A palazzo
Chigi l'allarme rosso è scattato di primo mattino, alla lettura dei giornali.
Quando si è capito che, per coprire politicamente l'uscita di Bossi, la Lega si
stava spingendo troppo oltre. Fino a mettere in dubbio, nell'intervista di
Calderoli a Repubblica, tutte le missioni all'estero dell'Italia. Così il
premier da Arcore si è messo subito in contatto con il ministro degli Esteri,
in partenza per Bruxelles. "Con Bossi ci parlo io - ha annunciato
Berlusconi a Frattini - ma va dato immediatamente un
segnale agli americani, a Obama". Già, perché la dichiarazione estemporanea di Bossi alla
serata di miss Padania, quella richiesta di far tornare "a casa"
tutti i soldati italiani, cozzava in maniera troppo vistosa con quanto promesso
dal premier ad Obama nel
delicato (e sudato) incontro di metà giugno a Washington. E già allora
il Carroccio, ricordano oggi con fastidio gli uomini di Berlusconi, si era
messo di traverso rispetto all'idea di "ospitare" in Italia alcuni
reclusi di Guantanamo, garanzia data da Berlusconi alla Casa Bianca. Ora,
prospettare addirittura un ritiro unilaterale da Kabul a un mese dalle
elezioni, mentre gli Usa hanno chiesto all'Italia un aumento del contingente
fino a 700 unità, è sembrato davvero troppo. Da qui l'ordine impartito da
Berlusconi al ministro Frattini di correre subito ai ripari per non
"irritare" l'alleato. OAS_RICH('Middle'); Un'operazione che il
ministro degli Esteri ha eseguito immediatamente, replicando in maniera ruvida
a Calderoli. E, soprattutto, facendosi invitare alla cena organizzata ieri sera
a Bruxelles dall'inviato speciale di Obama per
l'Afghanistan, Richard Holbrooke. Una richiesta fuori dal protocollo, visto che
Frattini sarebbe stato l'unico ministro in una tavolata di ambasciatori. Ma in
certi casi, ha ammesso Frattini, "io faccio prevalere la sostanza sulla
forma". E la "sostanza" è rassicurare gli Usa, al più alto
livello, che l'Italia non cambia linea. Che quella che conta è la parola del
Cavaliere. Una precisazione tanto più importante se si dà credito ad alcune
voci preoccupate della maggioranza, che riferiscono di una persistenza
"freddezza" del presidente americano nei confronti di Berlusconi,
nonostante il successo dell'ultimo G8. Nel frattempo, mentre Frattini tappava
la falla principale con gli americani, anche sul fronte interno le diplomazie
si davano da fare per ridimensionare l'incidente. Al telefono con Berlusconi,
Bossi prometteva di rimediare. Oggi infatti al Senato inizierà la discussione
sul rifinanziamento delle 35 missioni militari all'estero (compresa quindi
quella in Afghanistan), un provvedimento che alla Camera ha già incassato il
voto della Lega. Così, nel primo pomeriggio, riuniti a via Bellerio i
luogotenenti Maroni e Calderoli, il leader del Carroccio ha imposto la
retromarcia. "Me l'ha chiesto Berlusconi", ha spiegato ai due
ministri. Per non sconfessare Calderoli, sono stati i capigruppo Cota e Bricolo
ad assumersi l'onere della frenata. "La Lega ha sempre mantenuto gli
impegni assunti dal Governo - hanno dichiarato i due in una nota congiunta
partorita in realtà a via Bellerio - e lo farà anche in questo caso". La
polemica sulle missioni all'estero - con la Lega a giocare la parte che nella
scorsa legislatura era della sinistra pacifista - ha prodotto comunque
strascichi nei rapporti tra il Pdl e il potente alleato del Nord. Ieri a
Montecitorio erano in molti a mostrare aperta ostilità nei confronti dei
colleghi leghisti. "Sono un partito di lotta e di governo - si sfoga la
bresciana Viviana Beccalossi, ex An - e cercano di intercettare tutti gli
umori, compresi quelli di sinistra. Ormai dalle mie parti persino i senegalesi
votano Lega". Piero Testoni, berlusconiano doc, ragiona ad alta voce:
"I leghisti sanno che stiamo trattando per riavvicinare l'Udc e così
provano a mandarci qualche segnale di insofferenza su un terreno diverso, come
le missioni all'estero". Ma è un ministro del Pdl a dar corpo all'opinione
prevalente all'interno del governo: "In queste settimane si è parlato solo
del Mezzogiorno, del partito del Sud. Così Bossi ha voluto riprendersi la scena
a modo suo, per ricordare che la Lega c'è". Ad ogni modo c'è la volontà da
parte di tutti di mettersi questa vicenda alle spalle. Anche Gianfranco Fini,
nonostante la webmagazine di Farefuturo abbia attaccato il Carroccio, non
intende alimentare polemiche. "Mi sembra - osserva Fini conversando con i
suoi nel cortile della Camera - che la stessa Lega sia preoccupata di chiudere
al più presto il caso e lo dimostrano le dichiarazioni dei due capigruppo.
Naturalmente, quando parla Bossi, loro si sentono in dovere di andargli dietro.
Ma non mi pare che ci sia aria di uno scontro vero". Allora meglio provare
esorcizzare tutto con una battuta: "Vorrà dire che quando costituiremo
l'esercito siciliano - scherza il catanese Nino Strano - manderemo i nostri in
Afghanistan al posto dei soldati italiani. Così Bossi sarà contento". (28
luglio 2009
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( da "Stampaweb, La"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
ROMA La Lega
frena, confermando di voler rispettare i patti di governo. Ma il dibattito
sulla presenza italiana in Afghanistan fa salire la tensione allinterno
della maggioranza, sullonda delle dichiarazioni di Umberto Bossi che, tre
giorni fa, ha proposto di «riportare a casa tutti i nostri soldati». Al rilancio del ministro
della Semplificazione Roberto Calderoli, che in unintervista
a Repubblica a chiesto di «lasciare intanto il Libano e i Balcani», ribadendo
che «sullAfghanistan ragioniamo ma la stragrande maggioranza degli
italiani la pensa
come Bossi», è seguita la dura replica del ministro degli Esteri Frattini:
«Lavoriamo in Afghanistan per la sicurezza anche dellItalia,
quindi anche di Calderoli». Anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa
parla di «missione irrinunciabile», e invita a «non usare questi argomenti contro la nostra
presenza in Afghanistan soltanto per avere visibilità». Finché, nel pomeriggio,
una nota congiunta dei capigruppo leghisti di Camera e Senato, Roberto Cota e
Federico Bricolo, smorza i toni, assicurando che «la Lega ha sempre mantenuto
gli impegni assunti dal governo e lo farà anche in questo caso». Anche se
«Bossi ha aperto una riflessione giusta», che sarà necessario approfondire dopo
le presidenziali. Per disinnescare la miccia, oggi pomeriggio il governo terrà
alla Camera «uninformativa urgente sugli intendimenti in
materia di partecipazione delle forze armate alle missioni internazionali».
Finora era stato il centrosinistra a dividersi sulle missioni militari
allestero, e anche per questo forse limbarazzo nel centrodestra è
palpabile. Le parole di Bossi hanno creato una frattura che la nota dei
capigruppo leghisti non ha del tutto sanato, nonostante il 23 luglio il
Carroccio abbia votato alla Camera il rifinanziamento di tutte le 35 missioni
militari italiane allestero, che complessivamente
impiegano 8942 militari: 510 milioni di euro per i prossimi 4 mesi (oggi il
pacchetto passa al Senato). Limbarazzo, si sostiene alla Farnesina,
cè anche nei confronti degli alleati. Per questo ieri sera Frattini ha partecipato, a Bruxelles, a una
cena che linviato di Obama per
Afghanistan e Pakistan, Holbrooke, aveva organizzato per gli ambasciatori Nato:
per assicurare agli Stati Uniti che il governo rispetterà gli impegni in
Afghanistan, e che le divisioni nella maggioranza non mettono in discussione il
nostro ruolo di «partner ascoltato» nel mondo. Frattini e Holbrooke hanno
concordato sulla necessità di un «piano di 100 giorni» per fare «passi avanti
decisivi nella ricostruzione» del Paese. La questione della presenza dei nostri
soldati in Afghanistan - dove ieri il presidente Karzai ha offerto un dialogo
ai talebani che rinunciano alla violenza, proposta subito respinta - divide
anche lopposizione. Scontata lapprovazione
della sinistra radicale per le affermazioni di Bossi, il segretario Pd
Franceschini ieri si è detto convinto che «non è il momento di far rientrare i ragazzi dallAfghanistan,
ma di far completare il loro lavoro»: «Abbiamo ritirato i soldati
dallIraq perché quella era una guerra unilaterale, ma la presenza in
Afghanistan è voluta dalla comunità internazionale». Alla «sensibilità» di Bossi è invece vicina lIdv.
Antonio Di Pietro annuncia che non si opporrà alla permanenza del nostro
contingente prima delle presidenziali, ma si dice contrario a una nuova fase
della missione, e attacca Berlusconi: «Pur di entrare nella stanza dei bottoni è disposto a mettere sul
piatto la pelle dei nostri soldati».
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( da "Corriere della Sera"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Prima Pagina data: 28/07/2009 - pag: 1 Anche il clima
nell'incontro di Washington. Il presidente americano: uniti
per la crescita sostenibile Obama lancia l'asse con la Cina Vertice sull'economia, offerto «un
patto strategico per il XXI secolo» «Collaboriamo per un futuro energetico
pulito, sicuro e prospero ». È l'invito del presidente Usa Obama alla Cina al vertice di
Washington. ALLE PAGINE 2E3
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(sezione: Obama)
( da "Corriere della Sera"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 28/07/2009 - pag: 2 Il docente cinese «Una
relazione inevitabile dal clima al terrorismo» Due Paesi sempre più legati e
interdipendenti. Votati quasi obbligati a essere partner e non avversari. Il
Ventunesimo secolo, nella visione di Yang Dali, docente di Scienze Politiche e
direttore del Centro per gli studi estremoorientali dell'Università di Chicago,
sarà forgiato da una «relazione inevitabile » tra Stati Uniti e Repubblica
popolare. «Sia Washington sia Pechino non hanno altra scelta che cooperare»,
spiega Yang rispondendo al telefono da Singapore, dove si trova per un periodo
di ricerca sui temi dell'ambiente. Obama ha aperto il «Dialogo economico strategico» parlando proprio di
clima: perché? «Usa e Cina sono i più grandi inquinatori del pianeta e le
emissioni non conoscono frontiera. D'altro canto, nessuna politica
sull'ambiente può essere fatta senza uno dei due. In più, consideriamo
che questo è il punto su cui è più facile trovare affinità. Meglio cominciare
da qui». Chi otterrebbe più vantaggi dal dialogo, gli Stati Uniti o la Cina?
«La verità è che l'uno ha bisogno dell'altro. Washington persegue il dialogo da
tempo, sin dall'amministrazione Bush. La crisi finanziaria mondiale e i
problemi del clima hanno messo in chiaro quanto sia importante che i due Paesi
cooperino invece di essere nemici » . Ma Bush non parlava di «avversario
strategico» riferendosi a Pechino? «Sì, all'inizio. Poi la realtà ha riportato
il confronto sui binari della cooperazione, per esempio nel campo del
terrorismo. E la Cina è cresciuta sulla scena del mondo. Contemporaneamente, ha
acquistato il debito americano: 800 miliardi di dollari in titoli del Tesoro.
Non perché è un benefattore, ma perché riconosce il ruolo fondamentale
dell'America nell'economia globale» . Gli Usa dipendono dalla Cina? «Se ti
presto una piccola somma, tu dipendi da me. Ma se ti presto tanto, sono io che
tremo per te. La Cina non può fare quello che vuole e poi, comprando il debito,
aiuta a tenere in equilibrio i mercati, perché evita il crollo del dollaro.
Detto questo, è vero che l'America è in una fase di debolezza. È successo altre
volte in passato: ne uscirà» . Quanto reggerà questa «cooperazione strategica»
? «Su temi come Corea del Nord e Iran ci sono grandi spazi per coltivare i
comuni interessi: la non proliferazione nucleare e la stabilità regionale. Per
il resto, non è detto che i due Paesi debbano per forza trovarsi l'uno contro l'altro
armati: sono più importanti i punti di convergenza che quelli di disaccordo » .
La Cina è sempre più forte: perché non dovrebbe diventare una rivale degli Usa?
«Anche Pechino ha i suoi problemi: lo sviluppo ineguale, l'invecchiamento della
popolazione, la povertà ancora molto diffusa. Ha fatto passi da gigante. Ma la
sua influenza globale è ancora limitata. Il dialogo strategico con l'America
eleva il suo status sulla scena del mondo: è questo che conta di più, ora, a
Pechino». Docente Il cinese Yang Dali Paolo Salom
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( da "Corriere della Sera"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 28/07/2009 - pag: 6 Frattini rassicura gli
americani: «Resteremo» Cena con Holbrooke a Bruxelles sull'Afghanistan. Gli
Usa: piano di 100 giorni per il dopo voto DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES
Prima ancora che si apra, lo strappo politicodiplomatico si ricuce a Truman
Hall, una splendida villa fiamminga dai marmi neri e azzurrini. Qui, alle otto
di sera, nel salone che domina con le sue vetrate il tramonto estivo sui prati,
due uomini sono seduti a cena. E uno assicura all'altro: l'Italia rispetterà
gli impegni presi, non se ne va dal calderone dell'Afghanistan. Resta, e anzi è
pronta a inviare più uomini e mezzi. Chi parla è Franco Frattini, ministro
italiano degli Esteri. Chi ascolta, è la persona che probabilmente più
attendeva queste parole: Richard Charles Albert Holbrooke, alto rappresentante
per l'Afghanistan e il Pakistan degli Stati Uniti di Barak Obama. I due commensali sono uno di
fronte all'altro, soli se si eccettua il padrone di casa e cioè Ivo Daalder,
rappresentante permanente americano presso la Nato (Truman Hall è appunto la
sua sede). La cena è stata organizzata all'ultimo momento, ai margini del
Consiglio dei ministri degli Esteri dell'Unione Europea, con qualche
acrobazia protocollare: a tavola non erano presenti altri ministri della Ue. Ma
forse non avrebbe potuto essere diversamente: solo in Italia, e non in altri
Paesi, due esponenti del governo si sono augurati che i soldati se ne tornino a
casa. La cena è stata così l'occasione non ufficiale, ma nello stesso tempo non
certo informale, per tranquillizzare Obama. E secondo
fonti diplomatiche italiane, il colloquio ha fissato alcuni punti importanti:
«grande apprezzamento» degli Usa per il ruolo italiano; gli alleati concordano
sul fatto che le prossime elezioni presidenziali saranno il fulcro di una fase
storica per l'Afghanistan, che bisogna incoraggiare il dialogo e i gruppi più
moderati, e che le condizioni per un successo ci sono perché nella maggioranza
dei distretti l'affluenza alle urne dovrebbe essere normale; ma nello stesso
tempo, subito dopo il voto, dovrà anche scattare quello che è stato definito
«un Big Bang afghano», cioè un piano di 100 giorni per la ricostruzione sociale
ed economica del Paese. Poco prima dell'incontro, Frattini aveva anche ribadito
che «l'Italia vuole essere sempre un attore protagonista per la stabilizzazione
dell'Afghanistan... E' per questo che siamo ascoltati e consultati. Ciò vale
per l'Afghanistan, ma anche per la Somalia (dove fra poco andrà una missione
esplorativa della Ue con la probabile partecipazione italiana, ndr) e
certamente per i Balcani occidentali». Altro tema delicato è quello delle
possibili «soluzioni politiche» da offrire ai talebani: al Consiglio Ue, ne ha
parlato ieri il ministro britannico degli E steri David Miliband, chiarendo che
si pensa a «incentivi» per chi abbandoni le armi, e a un'offensiva più decisa
contro chi invece rifiuti ogni compromesso. Opzioni «interessanti », ha
commentato Frattini: ma «il dialogo richiede precondizioni: il rispetto della
Costituzione afghana e il rifiuto della violenza. Chi non accetta questo è
difficile che possa diventare un nostro interlocutore». Unico invitato
L'italiano solo ministro Ue presente a tavola: da nessun altro Paese si è
levata la minaccia di un ritiro Al fronte Italiani a Herat ( Laruffa) Luigi
Offeddu
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( da "Corriere della Sera"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 28/07/2009 - pag: 2 G2 Usa-Cina per il governo
dell'economia Obama: «L'inizio di una nuova era Così plasmeremo il XXI secolo»
WASHINGTON E' nato il G2, il Dialogo strategico ed economico tra l'America e la
Cina, la superpotenza di oggi e quella di domani, un forum annuale dove, ha
dichiarato il presidente Obama aprendo i due giorni di lavori, «inizia una nuova era di
sostanziosa cooperazione, non di confronto, nei nostri rapporti che
plasmerà il secolo XXI». Non ci illudiamo di essere d'accordo su tutto, ha
proseguito il presidente, ma stiamo registrando solidi progressi sui più
importanti problemi. Obama si è rifatto alla storica
svolta del predecessore repubblicano Nixon, che nel '72 pose fino
all'ostracismo della Cina con la diplomazia del ping pong. Lanciando la
diplomazia del basket-ball, il presidente ha citato Yao Ming, la star cinese
del campionato americano, secondo cui «non importa se sei un giocatore esperto
o un novellino, hai bisogno comunque di tempo per adattarti al gioco della
squadra». Confido, ha detto Obama, «che insieme faremo
come dice Ming e che raggiungeremo il suo livello di gioco». Lo ha spalleggiato
la segretaria di stato Hillary Clinton, che presiede i lavori: «Mattone per
mattone, noi costruiamo una casa comune ». Il G2 è nato in seguito a un'
iniziativa di George Bush, che nel 2006 varò un forum biennale, il Dialogo
economico strategico, limitato all'economia. Obama lo
ha esteso alla politica e alla sicurezza, con l'appoggio del presidente cinese
Hu Jintao. Il vicepremier Wang Qishang, il capo della delegazione, forte di 150
funzionari, lo ha definito «un importante punto di incontro »: «Siamo sulla
stessa grande barca ha aggiunto scossa da enormi onde». Di fatto, con il
Dialogo economico e strategico l'America sostituisce la Cina alla Russia come
suo primo interlocutore dopo l'Europa. Lo fa perché ritiene che la Cina
eserciti una maggiore influenza oltre che sull'economia globale anche
sull'energia e sul clima, sulla politica e sulla sicurezza dell'Asia. Obama vi ha alluso espressamente con un appello all'unità
contro il riarmo nucleare dell'Iran e della Corea del nord: «La non
proliferazione ha affermato è nel comune interesse, più nazioni producono la
bomba e più aumenta il rischio che qualcuno la usi». Nel discorso d'apertura,
il presidente ha affrontato la questione dei diritti umani, invitando la Cina
«a trovare un terreno comune per il rispetto della dignità personale » e
ricordandole che «ognuno deve avere la libertà di parola, anche le minoranze
etniche e religiose da voi come da noi». Si è poi concentrato sulla recessione,
ammonendo che «le scelte in America si riverberano sull'economia globale da New
York a Shanghai, e occorre perciò che coordiniamo i nostri interventi ». Obama ha suggerito «regolamentazione e trasparenza dei
mercati, e liberi ed equi commerci», e ha sostenuto che se la Cina si aprirà ai
prodotti stranieri «lo sviluppo globale sarà più sostenibile ». Interlocutore
Di fatto, con il forum annuale sul Dialogo economico e strategico l'America
sostituisce la Cina alla Russia come suo primo interlocutore dopo l'Europa
Ennio Caretto
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( da "Corriere della Sera"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 28/07/2009 - pag: 3 L'analisi L'esposizione
cinese con il Tesoro americano supera gli 800 miliardi di dollari. La
Repubblica Popolare deve continuare a sostenere la valuta Usa Il rebus di
Pechino grande creditore costretto a tifare per Washington DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK Duecento. In una sola settimana, quella iniziata ieri, gli Stati Uniti
chiederanno a risparmiatori e governi del mondo di sottoscrivere Buoni del
Tesoro Usa per oltre 200 miliardi di dollari. Un'enormità: prima
dell'esplosione della crisi, in un intero anno il 2007 erano stati emessi
«bond» federali per 350 miliardi. Basterebbe questo dato a spiegare l'enfasi con la quale il presidente Obama ha presentato il nuovo «round» di discussioni strategiche
Usa-Cina iniziato ieri a Washington. Con gli americani che tentano
faticosamente di ricominciare a risparmiare, stabilità finanziaria, tenuta del
dollaro e controllo dell'inflazione dipendono sempre di più dalla disponibilità
degli altri Paesi a sottoscrivere titoli basati sulla valuta Usa. E qui,
pur avendo più volte auspicato la nascita di strumenti monetari alternativi al
dollaro, Pechino continua ad aumentare i suoi acquisti di titoli del debito
statunitense: con i 30 miliardi sottoscritti in maggio, l'esposizione cinese
col Tesoro di Washington ha superato la soglia degli 800 miliardi di dollari.
Ormai un quarto del debito pubblico Usa detenuto all'estero è in mani cinesi.
Numeri che indicano dipendenza la crescente dipendenza americana dai 2 trilioni
di dollari di surplus valutario cinese ma anche interdipendenza: Pechino
scommette in modo così massiccio sul dollaro, nonostante la fragilità di questa
moneta, perché non ha alcun interesse ad un crollo dell'economia Usa che
sarebbe disastroso per il suo export e il destino dei suoi investimenti a
Washington e a Wall Street. Pechino temeva che la «corsia preferenziale » del
dialogo Cina-Usa aperta dal liberista Bush in tempi di globalizzazione
trionfante potesse essere chiusa da un nuovo presidente democratico più attento
al rispetto dei diritti umani, che parla di libero scambio ma poi sostiene il
«buy American» e che è stato eletto col sostegno dei sindacati che vedono nel
commercio con l'Asia la ragione principale della rovina degli operai Usa. Invece
Obama, mostrando ancora una volta tutto il suo
pragmatismo, non solo ha ripreso l'iniziativa ideata quasi tre anni fa dal
ministro del Tesoro repubblicano, Henry Paulson, ma l'ha addirittura
raddoppiata, affiancando a quella economica anche una fitta agenda di temi
politici (dalla proliferazione nucleare alla lotta al terrorismo). E impegnando
nel negoziato con una delegazione cinese di caratura sicuramente inferiore, non
solo il ministro del Tesoro Tim Geithner, ma anche il Segretario di Stato,
Hillary Clinton. Lo ha fatto perché per la prima volta da quando, un secolo fa,
è divenuta la potenza globale dominante, l'America si trova davanti un rivale
che può condizionare in modo profondo le sue prospettive economiche. Ma anche
perché si è reso conto che dal dollaro all'inquinamento, dalle regole per la
finanza all'uso delle fonti di energia, le due potenze hanno interessi comuni.
E, anche quando questi interessi divergono, un conflitto rischia di portare a
tutti e due più danni che vantaggi. L'idea della «staffetta» tra un G8 che
perde di peso e un G2 molto più snello e operativo non è solo una formuletta
giornalistica: l'America sa che le sue radici sono al di là dell'Atlantico, ma
da anni guarda al Pacifico per il suo futuro. E se sulle questioni strategiche
dalla Corea del Nord ai rapporti con l'Iran c'è molto lavoro politico da fare,
sulla gestione della crisi economica Cina e Usa sembrano parlare la stessa
lingua: sono gli unici due Paesi che hanno reagito alla recessione globale con
massicci piani di stimoli fiscali, mentre proprio lo «tsunami» finanziario ha
fatto passare in seconda linea antiche controversie. Geithner da mesi non
accusa più la Cina di manipolazioni valutarie perché nelle attuali condizioni
di mercato la sottovalutazione del renminbi non è più il problema-chiave. E i
cinesi non accusano più gli americani di minare il dollaro con
l'iperindebitamento pubblico perché capiscono che, nelle attuali circostanze,
non ci sono molte alternative all' iperattivismo del Tesoro. Il messaggio che viene
dagli incontri di Washington è che, col consumatore americano ormai alle corde
e quello cinese non ancora in grado di sostituirlo, le speranze di ripresa
riposano soprattutto sullo sviluppo di una nuova economia dei servizi
collettivi basata sulle infrastrutture, le tecnologie del risparmio energetico
e quelle del disinquinamento. Rispetto al dialogo con l'Europa, per Obama è più difficile trovare su questi temi un accordo con
la Cina; ma è anche più importante, visto che i due Paesi sono i maggiori inquinatori
e i maggiori consumatori di idrocarburi del mondo. Se riescono a trovare un
terreno comune, tutti gli altri non potranno fare altro che seguire.
Interdipendenza Un quarto del debito pubblico americano detenuto all'estero è
in mano cinese. Numeri che indicano interdipendenza Massimo Gaggi
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( da "Corriere della Sera"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 28/07/2009 - pag: 2 Lo storico Usa «È un
duopolio benigno Nessun rischio di conflitto» WASHINGTON
Secondo Richard Pipes, il noto storico del comunismo, Obama ha ragione: nel XXI secolo, la Cina sarà l'interlocutore
d'obbligo dell'America, come l'Urss lo fu nel secolo XX. Ma se si formerà un
G2, un direttorato a due, sarà per un dialogo costruttivo, non un confronto
rischioso come quello della Guerra fredda. Pipes prevede «un dialogo
benigno » tra i due colossi, foriero di stabilità anziché di tensioni. Sono
possibili sorprese, ammonisce lo storico, ma Pechino non sembra nutrire le
ambizioni egemoniche di Mosca e sembra disposta «alla creazione di buone
infrastrutture internazionali ». Non avremo una nuova versione del bipolarismo?
«Non lo credo. Almeno per il momento, la Cina non è una minaccia per nessuno,
forse neppure per Taiwan. L'Urss di Krusciov voleva seppellire la 'cavalla
stanca del capitalismo', così disse, ma Hu Jintao è per il dialogo bilaterale e
multilaterale, e penso che lo saranno anche i successori, è nell'interesse del
Paese ». Ma la Cina non sfida l'America, non vuole superarla, sia pure
pacificamente? «La sfida c'è, ma dubito che Pechino la vinca. Comunque, non è
una sfida per ampliare le proprie sfere d'influenza ma, ripeto, per concordare
nuovi equilibri. Prevedere che cosa succederà da qui alla fine del secolo è
impossibile, ma non vedo come la Cina possa compiere il sorpasso in 20-30 anni.
Il nostro vantaggio tecnologico e di capitali è ancora ingente». Ci sarà una
«special relationship », quasi un'alleanza, tra l'America e la Cina? «Non
proprio, a causa delle diversità culturali e della mancanza di vera democrazia
in Cina. Non abbiamo contrasti insolubili, ma non amiamo il suo regime, e non risparmiamo
le critiche per le sue violazioni dei diritti umani. Una cosa è lavorare
insieme, un'altra essere in simbiosi ». La formazione di un G2 non
emarginerebbe l'Europa? «L'America è destinata a rimanere ancorata all'Europa a
tempo indeterminato, e l'Europa continuerà a espandersi e a rafforzarsi. Semmai
un giorno potrebbe esserci un G3: noi, voi e i cinesi. La tendenza attuale è di
formare blocchi regionali che collaborano tra di loro. Ma è troppo presto per
parlarne». Dove si collocherebbe la Russia? «Questo è un problema. Il
vicepresidente Biden l'ha descritta in crisi e ha ipotizzato che sarà costretta
ad accettare il disarmo atomico per non crollare, commettendo a mio giudizio un
errore diplomatico e politico. Bisogna trovare il modo di averla come partner.
La Russia è una superpotenza, non si può permette che si isoli, tanto meno che
venga umiliata. E non mi pare che Obama ne abbia la
minima intenzione ». Esperto Richard Pipes, 86 anni E. C.
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( da "Corriere della Sera"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della
Sera sezione: Primo Piano data: 28/07/2009 - pag: 5 Kabul, tregua nel Pdl Il Carroccio
sosterrà la missione Rifinanziamento, sì anche da Pd e Idv ROMA L'emergenza
Afghanistan resta uno dei dossier principali per Palazzo Chigi: nonostante la
tregua almeno fino alla data delle elezioni, il 20 agosto, i rischi per il
contingente italiano restano molto alti. Per questo il ministro degli Esteri
Franco Frattini e il suo collega Ignazio La Russa stanno cercando di accelerare
l'impiego dei Tornado (già in loco per la copertura e difesa delle operazioni).
Ma se l'allerta «operativa» è massima, quella politica è cessata ieri. A
ridimensionare definitivamente le parole del ministro Umberto Bossi («se fosse
per me riporterei tutti a casa»), dopo la precisazione di Roberto Calderoli, i
due capigruppo Roberto Cota e Federico Bricolo hanno scritto un comunicato a
quattro mani per dire che «la Lega ha sempre mantenuto gli impegni assunti dal
governo e lo farà anche in questo caso. Dunque non c'è alcun contrasto a
livello di maggioranza». Altro, spiegano, è aprire una riflessione sull'impegno
internazionale e l'exit strategy «come ha fatto anche Obama». E infatti la Lega la settimana
scorsa ha dato il via libera alla Camera al rifinanziamento delle missioni e si
appresta a fare lo stesso in commissione al Senato. Ieri il leader dell'Udc
Pierferdinando Casini, insieme a Roberta Pinotti del Pd, ha ufficialmente
invitato il governo a riferire in Aula. E stasera ci sarà
un'informativa. Ma intanto al Senato, dove si vota il rifinanziamento, le
missioni avranno l'ok anche dell'opposizione. Dario Franceschini ha fatto
sapere che quello del Pd non mancherà e Antonio Di Pietro, il cui partito è
diviso tra «pacifisti» come De Magistris e «istituzionali» come il capogruppo
Massimo Donadi favorevole alla permanenza in Afghanistan, ha confermato anche
l'appoggio dell'Idv alle missioni: «Non lasceremo privi del consenso politico i
nostri ragazzi in Afghanistan». Quanto all'impiego di altri soldati e alle
missioni internazionali il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha messo un
punto fermo: «La missione in Afghanistan rimane, lo si sa, per quanto riguarda
il Kosovo (evocato da Bossi e da Calderoli) è già prevista una riduzione
sensibile della nostra presenza e stiamo pensando di ridurla anche in Libano in
occasione del passaggio del comando dall'Italia ad un'altra nazione». Sul palco
Nella foto, il ministro dell'Interno Roberto Maroni e, a destra, il leader
della Lega Umberto Bossi Gianna Fregonara
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(sezione:
Obama)
(
da "Corriere della Sera"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere della Sera sezione: Esteri data: 28/07/2009 - pag: 14 Il cubano Raúl Castro «Meno lamentele sull'embargo e lavorare la terra» «Non si tratta di gridare 'Patria o morte!', 'Abbasso l'imperialismo!'. L'embargo ci colpisce ma la terra è lì che aspetta i nostri sforzi». In tempi di crisi economica, il terzo discorso da presidente di Raúl Castro per l'anniversario della Rivoluzione il 26 luglio porta con sé un messaggio chiaro: bando al vittimismo e rimboccarsi le maniche. Il leader cubano parla alle 7 del mattino a 200 mila persone a Holguín, nella parte orientale del Paese, dove nel 2006 il fratello Fidel tenne l'ultimo comizio. Per Raúl, la festa è l'occasione per un invito a non usare l'embargo Usa come un alibi e per spingere alla coltivazione della terra come una «questione di sicurezza nazionale». Il blocco degli scambi commerciali è in vigore dal 1962, imposto dall'allora presidente Kennedy. Nel corso degli anni si è indurito o allentato a seconda dei rapporti con l'isola. Di recente, >Barack
Obama ha revocato le restrizioni ai
viaggi e alle rimesse per gli americani con familiari a Cuba e ha riaperto il
dialogo sull'immigrazione. Di questo, però, Raúl non parla. Cuba importa fino
all'84% delle derrate alimentari e l'anno scorso ha subito perdite per 10
miliardi di euro a causa di tre uragani. Ecco perché sarebbe fondamentale una maggiore
indipendenza, almeno dal punto di vista alimentare. L'anno scorso il presidente
lanciò un programma di vendita a cooperative e privati di terreni coltivabili
dello Stato. Ma finora «solo il 40%» è stato sfruttato, sottolinea nel
discorso. Aggiungendo: «La terra è lì, vediamo se siamo in grado di lavorare o
meno». Raúl Castro Alessia Rastelli
(
da "Corriere della Sera"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 28/07/2009 - pag: 14 Strategie Prima erano i
laburisti ad avere i migliori testimonial. Con la nuova leadership
conservatrice gli equilibri sono cambiati Londra, la disfida dei due salotti in
rosa Le signore Brown e Cameron in prima linea per arruolare celebrità DAL
NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA Da che parte schierarsi: con Sarah, classe 1963,
la stratega di pubbliche relazioni? O con Samantha, classe 1971, la creativa
nel design d'interni? Coi Labour? O coi Tory? I salotti della cultura e dello
spettacolo tifano e si dividono. Poco importa che le elezioni siano ancora
lontane. La grande sfida per Downing Street è già cominciata a suon di feste e
di ricevimenti, di party e di pettegolezzi. Con due nuove «regine» a caccia del
voto che conta. È sicuro: anche da queste due signore (e mamme) dipenderà
l'esito finale. Sarah, la moglie del premier Gordon Brown, viste le disgrazie
del marito, ha rispolverato tutte le magie di ex abilissima «public relation
woman ». E siccome i guai peggiori venivano proprio dagli amici o supposti tali
di Gordon Brown, guarda caso gli stessi laburisti, ha avviato la controffensiva
della lasagna, ovvero una cena settimanale fra compagni di partito per
assorbire così, fra una forchettata e l'altra, i veleni del governo. Poi si è
dedicata al look, rispolverando gonne sgargianti, ha
stretto amicizia con Michelle, la moglie di Obama, ha partecipato al raduno di gay e lesbiche, ha chiamato a
raccolta i vecchi supporter. Infine ha ripreso i contatti con il mondo del
cinema, della televisione, dei libri, dell'arte. Ma lì si è accorta che il
monopolio laburista nell'alta società era in pericolo. La rivale
Samantha (consorte di David, il leader dei conservatori) stava lavorando. E
bene. È partita la conta. Con chi sta questo salotto? Con chi sta
quest'attrice? E questo cantante? Noel Gallagher, leader degli Oasis, non ha
ripudiato i laburisti. E la pop star Lily Allen pure. Sarah ha riconquistato
Kate Winslet, fresca di Oscar, e JK Rowling, l'autrice di Harry Potter. Ma
Samantha, quindi i Tory, hanno il supporto di Jade Jagger, figlia di Mick
(Rolling Stones), di Tafari Hinds, modella giamaicana, dell'attrice Greta
Scacchi, di una parte del giro della moda che ruota attorno al quartier
generale londinese di Vogue e di un discreto numero di straordinari
collezionisti i quali trascinano artisti e artiste dell'ultima generazione,
come Sam Taylor-Wood. Combattuta è Tracey Emin. Lei si era rifiutata di
consegnare le sue opere a Charles Saatchi per i legami di questo con i Tory ma,
lo ha scritto il Times , è rimasta folgorata dalle ultime performance dei
conservatori. È ora indecisa. «I Tory sono cambiati». Non è un buon segno per
Sarah e i laburisti. Come mai? Una volta c'era Lui, Tony Blair con il fascino
innovatore della «terza via». Se ai vernissage, alle feste, alle inaugurazioni
non c'era un new labour in carne ed ossa, il party era un fallimento già in
partenza. Il fascino della spregiudicatezza e della modernità. Per una
quindicina d'anni, finita l'era di Margaret Thatcher, i Tory sono stati messi
all'indice: gradimento in picchiata, ricacciati nelle loro riserve. Tony Blair
era il Messia dei salotti d'arte e di spettacolo, di cinema e di teatro. Poi
però Blair ha mollato Downing Street. E adesso che Gordon Brown e i laburisti,
effetto della crisi finanziaria, navigano in cattive acque, la storia è un po'
diversa. I conservatori scalano posizioni su posizioni: l'asso di briscola di
chi organizza o partecipa all'evento mondano di turno è la frequentazione o la
presenza di un Tory doc, anzi di un new tory. Si sa che quando un premier, un
ministro o un governo sono in uscita, i voltagabbana entrano in fretta
all'opera. Opportunismo, allora? Non solo. Quello c'è sempre e ovunque. C'è
piuttosto da rilevare che i conservatori hanno riscoperto l'antica arte
dell'invito, della chiacchiera, del gossip. Il salotto di George Osborne, il
cancelliere ombra, è punto di ritrovo fisso a Notting Hill di scrittori di
successo. E casa Cameron ospita storici, filosofi, critici. Un'offensiva in
piena regola. Per Gordon Brown (e per Sarah) il pericolo numero uno è Samantha,
designer d'interni, signora Cameron. Una consolazione a metà per il premier e
la consorte: l'assalto Tory al giovane Daniel Radcliff, Harry Potter, è
fallito. Il maghetto sta con i liberaldemocratici. I fronti Sarah Brown
rispolvera le magie di ex «public relation woman» e i Tory riscoprono l'arte della
chiacchiera e del gossip Fabio Cavalera
(
da "Corriere della Sera"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 28/07/2009 - pag: 14 America Nel partito
repubblicano è l'unica vera stella «Sarah Barracuda» in campo Obiettivo Casa
Bianca 2012 La Palin lascia la guida del suo Alaska WASHINGTON È uscita di
scena come vi era entrata, da «pitbull con il rossetto», come fu chiamata alle
elezioni presidenziali del 2008, con un discorso aggressivo, in cui ha
attaccato tutti, lo statalismo (leggasi Obama), i media, i liberal naturalmente,
«decisi a fare a pezzi la nazione », persino Hollywood che si oppone alla
caccia ai lupi «perché non capisce niente». È uscita dall'Alaska, dimettendosi
da governatore a metà del proprio mandato, per arrivare non si sa bene dove, ma
con ogni probabilità alla candidatura alla Casa Bianca nel 2012, sebbene
lei dica di no. A differenza dell'anno scorso, tuttavia, è uscita non più con
un indice di popolarità del 60 per cento, ma del 40 per cento. Colpa della
questione etica: in seguito a una ventina di esposti, Sarah Palin è inquisita,
rischia uno scandalo. Domenica, al «picnic» a Fairbanks per il suo commiato
dall'Alaska, il nuovo paradiso americano del petrolio, sono accorse oltre 5
mila persone, in maggioranza Palintologists ossia suoi sostenitori: «Studiosi
dei valori conservatori, dell'indipendenza e del patriottismo» dell'ex
candidata repubblicana alla vicepresidenza a fianco del senatore John McCain,
come è stato spiegato ai media. Si vedeva qualche nemico con cartelli con su
scritto «Grazie di averci fatto ridere» in riferimento alle sue gaffes, e
«Meteora furiosa » in riferimento alla sua ferocia politica. Ma i 5 mila li
hanno tacitati all'unanime grido di «Palin for president» e «Avanti verso il
2012», una conferma delle sue malcelate ambizioni. Ma malcelate è dire poco.
Dopo avere confusamente ribadito di essersi dimessa per porre fine alla
persecuzione della sua famiglia da parte dei media («Che ne direste di
smetterla in nome del soldato americano?» ha chiesto, come se c'entrasse) e per
non infliggere all'Alaska «spese di avvocati», Sarah Palin ha infatti
annunciato che formerà una coalizione di destra, scriverà un libro, e
combatterà «con ancora più ardore per l'America, la verità e la giustizia ».
Non ho mai pensato, ha voluto chiarire, «che per fare tutto questo uno abbia
bisogno di un titolo». Ha quindi aggiunto che esordirà in veste di crociata l'8
agosto alla Biblioteca presidenziale Ronald Reagan, il tempio del conservatori
americani. Come a dire, un assalto al partito in funzione anti Obama. Non a caso il suo messaggio è: «Guardatevi dagli
interventi governativi, li si paga a caro prezzo». Fuori dall'America, può
riuscire inconcepibile che una novizia di 45 anni, con alle spalle l'esperienza
solo di sindaco di una cittadina, Wasilla, di 7 mila abitanti, e di governatore
dimezzato del-- l'Alaska, si senta l'anima del repubblicanesimo. Ma alle
elezioni del 2008, Sarah Palin ha lasciato sulla destra una profonda impronta.
Su Internet, dove il social network Twitter è il suo preferito, vanta un
seguito enorme. Il suo Pac, Comitato di azione politica, ha raccolto fondi per
oltre 1 milione di dollari. Nei sondaggi figura alla pari con Mitt Romney,
l'altro papabile alla Casa Bianca. E molti candidati repubblicani alle elezioni
parlamentari del 2010 hanno chiesto il suo aiuto. Vedono nella «Barracuda»,
l'appellativo datole dagli ex compagni di scuola, una carta vincente. In calo
Ma a differenza dell'anno scorso il suo indice di popolarità è sceso dal 60 per
cento al 40 per cento «Pitbull con il rossetto» Sarah Palin al picnic di saluto
( Ap) Ennio Caretto
(
da "Corriere della Sera"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Economia data: 28/07/2009 - pag: 27 Il summit Sul tavolo
strategie e modelli del nuovo gruppo. La Casa Bianca pronta a vendere «appena
possibile» Chrysler, Marchionne apre l'era Fiat Domani primo consiglio
post-bancarotta. Tornano in produzione 9 stabilimenti MILANO Aveva promesso di
ridurre al massimo i tempi del risanamento e di introdurre un «cambio di
mentalità», se non di cultura, nel management di Chrysler. Adesso Sergio
Marchionne, che da poco più di un mese è al timone della terza compagnia
automobilistica americana, è passato dalle intenzioni ai fatti. Nove degli
undici stabilimenti americani di Chrysler hanno riaperto ieri i battenti dopo
due settimane di inattività. Restano per il momento ferme, a causa della scarsa
richiesta dei modelli che producono, le altre due fabbriche. Ma ciò che conta è
che Chrysler sia ormai uscita dall'emergenza. Anche se il lavoro da fare è
ancora molto, la strada è tracciata. Domani nella sede della società ad Auburn
Hills, nel Michigan, si insedierà il primo consiglio di amministrazione
post-bancarotta. Nei due giorni precedenti questo appuntamento (vale a dire
ieri e oggi) Marchionne ha riunito tutti i membri del board e alcuni top
manager del gruppo per un approfondimento su strategie e prodotti della «nuova»
Chrysler targata Fiat. Anche se il Lingotto possiede per ora soltanto il 20%
del capitale, la guida operativa è infatti nelle mani di Marchionne. La prima
giornata del meeting è stata dedicata alla presentazione della gamma. Le vetture
con marchio Jeep, Dodge e Chrysler sono state poi messe a disposizione dei
consiglieri per un test di guida. Molti dei consiglieri designati, in effetti,
non hanno grande dimestichezza con il prodotto auto. A parte Marchionne e
Alfredo Altavilla, gli altri sette membri (i quattro designati dal governo Usa,
uno dal governo canadese, uno dal sindacato, oltre al terzo rappresentante di
Fiat, Stephen M. Wolf) provengono da settori diversi, in prevalenza da quello
finanziario. C'era dunque l'esigenza di introdurli nel mondo dell'industria e
in particolare in quello dell' automotive . Oggi, secondo giorno del meeting e
vigilia della riunione di consiglio, i temi in discussione saranno i problemi
di Chrysler (a cominciare dalla mancanza di prodotti innovativi) e quelli più
in generale dell'industria automobilistica mondiale. È probabile che Marchionne
coglierà l'occasione per ribadire la sua strategia: arrivare a un gruppo in
grado di produrre almeno 5,5-6 milioni di vetture all'anno. «Con Opel ci
saremmo arrivati subito ha detto l'amministratore delegato la scorsa settimana
ai consiglieri della Fiat . Ma anche se questo capitolo è ormai chiuso,
raggiungeremo comunque questo obiettivo ». Aggiungendo di avere molta fiducia
nella «qualità del management » di Chrysler. Al gruppo Usa, intanto, stanno già
arrivando le piattaforme Fiat per costruire vetture più piccole, oltre che più
efficienti ed «ecologiche », di quelle attualmente in produzione. Nuovi
prodotti e nuova immagine del marchio Chrysler, dunque, per un rilancio che
Marchionne ritiene possibile nei tempi previsti. La scommessa è particolarmente
impegnativa. Soprattutto perché la casa di Auburn Hills è reduce da risultati
semestrali disastrosi. Nella prima metà del 2009, per esempio, le vendite sono
calate del 45,7%, molto più del -35,1% fatto registrare nello stesso periodo
dal mercato nel suo complesso. E in serata Ron Bloom, numero
uno della task force creata dal presidente Barack Obama per l'auto, ha fatto sapere che la Casa Bianca ha in programma
di vendere «appena possibile» le quote in Chrysler e Gm. Su quest'ultima è
possibile un'Ipo nel 2010. Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat e
di Chrysler Giacomo Ferrari gferrari@corriere.it
(
da "Corriere della Sera"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Tempo Libero data: 28/07/2009 - pag: 8 SUI MURI Per la
mostra di Edward Hopper la gente ci mette la faccia... Da oggi, dai muri di
Milano, dieci persone dal volto comune, né veline filiformi né modelli
palestrati, vi diranno che il loro artista preferito è Edward Hopper. Sono i
dieci volti selezionati attraverso un set fotografico allestito in piazza Duomo
lo scorso 3 luglio per la campagna (a sinistra, un manifesto) che, fino a
settembre, lancerà la mostra dedicata da Palazzo Reale al pittore realista
americano dal prossimo 15 ottobre. Sono stati oltre tremila i cittadini
milanesi che hanno voluto partecipare e mettersi in posa; la scelta finale è
stata politicamente corretta perché ha incluso anziani e bambini, una timida
apertura agli extracomunitari (con il volto della piccola Ruth tanto più accettabile perché somiglia alla figlia del presidente
americano Barack Obama) e
persino a una possibile coppia omosessuale. Ovviamente quest'ultima è solo
un'allusione per chi vuole pensarlo, ma anche questo trucco serve a non
escludere nessuno dei potenziali clienti della mostra. Tutti, insomma, sono
chiamati a comprare il biglietto, non importa il sesso, il colore, l'età.
Geniale campagna: è costata poco, non paga i testimonial e, ciliegina sulla
torta, sembra pure democratica. ( fr. bon.)
(
da "Repubblica.it"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
NEW YORK
- Le foto c'erano, chiare e dettagliate. "Un metro ogni pixel",
gongola Thorsten Markus, il ricercatore tedesco volato da Brema alla Nasa per
combattere la battaglia dell'ambiente: "Una risoluzione così non s'era mai
vista, trenta volte superiore a quelle che avevamo a disposizione: qui si vede
tutto". Cioè non si vede più nulla, perché il ghiaccio di Barrow, Alaska,
non c'è più, sparito, inghiottito da quel mare Artico che è sempre meno
Glaciale per il surriscaldamento. Sì, le foto c'erano: mille immagini scattate
dal supersatellite intorno a sei siti a rischio sull'Oceano. Peccato che quegli
scatti praticamente storici, prova visibile del global warming, fossero stati
nascosti, proibiti, censurati: proprio da quel George Bush che già aveva
classificato come segretissimi altri studi sull'effetto serra, compreso quello
firmato, anno 2004, dal suo stesso Pentagono. Prendete Barrow: è il villaggio
più a nord del mondo, nell'Alaska fino all'altro ieri governata da Sarah Palin,
con un occhio più alle trivelle petrolifere che ai ghiacci. Quattromila anime
affacciate sul nulla eterno, una stazione del servizio meteorologico nazionale
che si arrampicò già alla fine dell'Ottocento, e soprattutto la base del Noaa,
il National Oceanic and Atmosphere Administration. Ecco, adesso nelle foto
desecretate il disastro si vede a occhio nudo: questo, luglio 2006, è l'Oceano
davanti a Barrow come è apparso da che mondo e mondo, con la linea dei ghiacci
all'orizzonte, e questa è la stessa foto scattata nel luglio 2007, nulla di
nulla: la striscia bianca non c'è più. OAS_RICH('Middle'); Le foto,
straordinarie davvero, sono state fatte spuntare dal cassetto da un'agenzia
governativa, l'Osservatorio geologico degli Stati Uniti, a poche ore
dall'allarme lanciato sul clima dall'Accademia nazionale delle scienze, in una
mossa che si presume concordata con lo staff dell'amministrazione
Obama. L'ambiente è uno dei
punti forti del programma di Barack, che appena un mese fa ha sbandierato come
una grande vittoria l'approvazione alla Camera del pacchetto clima, malgrado le
critiche dei verdi più radical delusi dal Cap and Trade, il meccanismo di
compravendita dei "diritti" (ovviamente costosi) di inquinamento.
Ora per il piano si prevede però una dura battaglia al Senato, dove già il presidente
ha il suo bel da fare con la riforma sanitaria. Ma le foto nascoste e riapparse
aprono anche un altro fronte di lotta: quello per la sopravvivenza della
ricerca scientifica. Dice Jane Lubchenco del Noaa: "Immagini come queste
ormai sono la prova che cerchiamo, ma la flotta dei satelliti spia non è stata
rimpiazzata e ora rischiamo il collasso. Lottiamo in un campo di battaglia in
cui l'America si presenta cieca". In febbraio, scrive Suzanne Goldeberg,
esperta di ambiente dell'inglese Guardian, un satellite della Nasa che
trasportava strumenti per produrre la prima mappa dell'emissione di carbone
intorno alla Terra è caduto nell'Antartico appena tre minuti dal decollo. Non è
un segnale incoraggiante. Ora nel piano di Obama ci
sono 170 milioni per recuperare il gap. Per l'istituto di ricerca che lotta nei
posti più impervi, come sulla trincea del nulla di Barrow, ne servono altri
390. Bush e Cheney facevano presto a risolvere il problema: bastava nasconderlo
nel cassetto. Ma oggi il clima è cambiato, anche alla Casa Bianca. Peccato che
insieme ai ghiacci siano spariti anche i fondi. (28 luglio 2009
(
da "Stampaweb, La"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
ROMA
Simbolo della discordia fra Washington e la Cuba di Fidel Castro, un tabellone
luminoso che le autorità cubane non potevano toccare campeggiava dal 2006, per
volere di George W. Bush, sopra la sezione dinteressi
statunitense ben in vista dalla spiaggia della capitale cubana, facendo
scorrere 24 ore su 24 slogan e notizie anti-castristi. Ora, segno della timida
distensione fra Washington e lAvana, il tabellone è stato spento e lo
conferma il Dipartimento di stato Usa. Il portavoce del ministero degli esteri
americano Ian Kelly, citato dai siti online di Cnn e Bbc, ha detto che il
tabellone, simile a quello che campeggia su Times Square a New York, è stato
spento in giugno perchè considerato non più efficace come strumento per far
avere notizie ai cubani. Il tabellone faceva scorrere giganteschi caratteri
rossi, alti un metro e mezzo, per tutta la lunghezza delledificio, con frasi celebri sulla libertà, quali «ho
fatto un sogno che un giorno questa nazione sorgerà» di Martin Luther King, o
«nessun uomo è così speciale da governare un altro uomo senza il consenso di
questultimo» di Abraham Lincoln, e così via. Il
tabellone aveva fatto infuriare Fidel, che fece marciare un milione di persone
attorno alla
sezione dinteressi americana e fece erigere, per
coprirlo, un contro-tabellone anti-Usa e 138 grandi bandiere nere, quante le
vittime cubane della «aggressione» americana contro lisola. Le barriere
erette da Cuba avevano in qualche modo avuto effetto, perchè fino a
oggi nessuno si era accorto che il tabellone era stato spento il mese scorso.
(
da "Repubblica.it"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
ROMA -
Continua a colpi di mail e annunci di querele la polemica, innescata dal Foglio
di Giuliano Ferrara, che vede contrapposto Ignazio Marino e l'università di
Pittsburgh. Una vicenda che si inserisce nella corsa verso il congresso dei
democratici di cui Marino è uno dei candidati. E proprio a quell'appuntamento
pensa Dario Franceschini quando chiede un impegno comune: "Togliamoci
dalla testa che chiunque vinca cominci ad essere tritato dopo il congresso perchè
"ci sono le elezioni regionali". Il caso Marino. Oggi l'università
americana ribadisce le ragioni dell'allontanamento del medico italiano.Con una
lettera pubblicata sul Foglio, conferma le "dozzine di irregolarità
intenzionali e deliberate" nei rimborsi chiesti dal chirurgo. Marino,
però, non ci sta. E passa al contrattacco. "Si vuole impedire che si parli
dei contenuti della mia candidatura". Questo perchè "l'Upcm, che sto
valutando se querelare per diffamazione, ha un'importante situazione di affari
da proteggere in Sicilia". Franceschini: "Basta triturare i
leader". Pochi mesi dopo il congresso il Pd dovrà affrontare elezioni
"difficili" come le regionali e per questo è bene che "chiunque
vinca" venga messa da parte una volta per tutte l'abitudine di "triturare"
il leader. Dario Franceschini lancia un appello all'unità. E lo fa
sottolineando come gli stessi che poche settimane fa gli attribuivano il merito
di aver condotto bene il partito durante la campagna elettorale per le europee,
adesso gli rinfacciano i "4 milioni di voti persi".
OAS_RICH('Middle'); Poi il nuovo commento su quello che dovrà essere il partito
del futuro: "Solido, con circoli e militanti, ma non basta più un modello
di 50 anni fa. Allora chi voleva partecipare si iscriveva a un partito. Oggi
c'è chi prende un impegno solo in occasione delle elezioni o di determinati
eventi, che vuole dare una mano non tutto l'anno, ma in determinate
circostanze. Questa è una ricchezza del Pd, è oro da difendere".
Franceschini torna sui rapporti tra le diverse anime che compongono il Pd e
sulle difficoltà di amalgamarle: "Non ce l'ha ordinato il dottore di fare
il Pd. Ciascuno di noi poteva restare nei Ds o nella Margherita. Se lo abbiamo
fatto è perchè crediamo nell'importanza della diversità, sapendo
che le idee nuove nascono dalla sintesi dopo un confronto tra diversità".
Cita Obama, il segretario
del Pd. E il suo tentativo riuscito di mettere in campo "una gerarchia di
valori rovesciata, l'America di oggi sembra un'altra rispetto a quella di due
anni fa. E' quello che dobbiamo fare noi". (28 luglio 2009
(
da "Repubblica.it"
del 28-07-2009)
Argomenti: Obama
NEW YORK
- Alla fine c'è la stretta di mano fra Stati Uniti e Cina. Timothy Geithner,
segretario Usa al Tesoro, annuncia che le due superpotenze hanno trovato
l'accordo sulla necessità di lavorare assieme per favorire una crescita
economica che si stenta ancora a vedere. Il summit di Washington si chiuderà
con la pubblicazione di un piano di lavoro congiunto che fisserà le strategie
dei due paesi, riassumibili con un "no" al protezionismo e un
"sì" a maggiori poteri agli organismi internazionali. Ma al di là dei
sorrisi d'ordinanza non tutto è filato lisco. Secondo fonti interne alle delegazioni,
ci sarebbero stati dei contrasti a causa delle perplessità dei cinesi per la
crescita del deficit statunitense. Stati Uniti e Cina "si impegnano a
creare un sistema finanziario internazionale stabile e solido, che contribuisca
a una crescita economica globale equilibrata", ha detto Geithner prima di
riprendere le discussioni con la delegazione cinese, guidata dal vicepremier
cinese Wan Qshand e dal consigliere di Stato Di Bngguo. In particolare,
l'obiettivo è sia disinnescare tentazioni protezionistiche durante i periodi di
crisi, sia dare maggiori poteri a organizzazioni come il Fondo monetario
internazionale e la Banca mondiale per sostenere le economie in via di
sviluppo. E se i cinesi hanno dato segni di insofferenza per il deficit
americano, Geithner ha fatto pressione per spingere il gigante asiatico a
riequilibrare la propria situazione economica che, a detta del segretario Usa,
deve basarsi di più sulle attività interne che sulle esportazioni verso gli
Stati Uniti. OAS_RICH('Middle'); Ma il clima, almeno davanti ai giornalisti,
resta di grande cordialità. Solo ieri Obama aveva annunciato "una nuova
era di collaborazione, non di scontro" con la Cina, invito subito colto al
balzo da Wang, uno dei responsabili della politica economica cinese: "Cina
e America collaboreranno più da vicino e le relazioni commerciali fra i due
paesi progrediranno". (28 luglio 2009
(
da "Stampa, La"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
Le parole di Umberto Bossi sul ritiro dall'Afghanistan
preoccupano l'amministrazione Obama»:
parola di Charlie Kupchan, titolare degli studi europei al «Council on Foreign
Relations» di Washington nonché ex consigliere della Casa Bianca negli anni di
Bill Clinton. Quali sono i motivi della preoccupazione americana? «Riguardano
due aspetti. Il primo ha a che vedere con il fatto che finora
l'opposizione alla guerra afghana in Europa è venuta soprattutto dalla
sinistra, penso all'estrema sinistra in Italia e alla Spd in Germania. Il fatto
che la Lega Nord, componente-chiave di una maggioranza di centrodestra in
Italia, faccia proprie le obiezioni all'intervento della Nato suggerisce che lo
scontento in Europa sta diventando più vasto. E se questo suscita forte
preoccupazione lo si deve al secondo aspetto della vicenda: l'amministrazione Obama ha appena iniziato nell'Helmand un'offensiva militare
anti-taleban di vasta portata, destinata a richiedere più impegno agli alleati,
in termini economici e di vite umane. I dubbi italiani dunque indeboliscono la
coalizione e fanno sembrare più vulnerabile la missione della Nato». Le
garanzie date dal premier Silvio Berlusconi sulla permanenza delle truppe
italiane rassicurano la Casa Bianca? «Certo, ma quanto avvenuto resta comunque
un serio segnale di allarme per Washington. La Casa Bianca ha sempre considerato
l'Italia un alleato stabile, sicuro, in Afghanistan. Ora invece le parole di
Umberto Bossi fanno sorgere dubbi su che cosa potrà avvenire. L'Italia entra
nell'insieme di quei Paesi della Nato, come il Canada e i Paesi Bassi, dove è
in atto un duro dibattito interno sul mantenimento o meno delle truppe in
Afghanistan». Come spiega la decisione del governo britannico di dirsi a favore
di un dialogo con i taleban? «E' un passo in sintonia con gli orientamenti
dell'amministrazione Obama, intenzionata a cercare di
ottenere maggiore stabilità in Afghanistan offrendosi come interlocutore a quei
capi taleban disposti ad abbandonare Al Qaeda e il mullah Omar, a rinunciare
alla guerriglia perché convinti di poter ottenere di più dallo scenario della
pacificazione». Ma come è possibile decidere con quali taleban trattare?
«Spetta all'intelligence farlo, sulla base delle informazioni raccolte in loco,
per poter distinguere fra capi terroristi e possibili interlocutori locali».
Sul modello di quanto riuscito all'amministrazione Bush nel Triangolo Sunnita
in Iraq? «Sì, ma con la differenza che in questo caso è tutto più difficile. In
Iraq le tribù hanno una struttura più coesa e quando si fa l'accordo con un
capo-tribù si ha la certezza che verrà rispettato in una determinata area, in
Afghanistan invece le tribù sono meno solide, c'è maggiore frammentazione ed è
per questo che bisogna andare nei singoli villaggi a fare accordi con i capi
locali. Ciò comporta più tempo, risorse e ovviamente più rischi». Che impatto
avrà la missione Nato in Afghanistan sul futuro del peacekeeping? «A mio parere
l'amministrazione Obama sta tentando di resuscitare il
peacekeeping. Lo fa in Iraq, accelerando il ritiro delle truppe, e anche in
Afghanistan, accelerando l'addestramento delle forze di sicurezza locali. In
entrambi i casi il processo in corso è di ridurre la presenza e il ruolo delle
truppe combattenti, americane e Nato, ponendo le basi per un ritorno alle
missioni internazionali di mantenimento della pace».
(
da "Stampa, La"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
Se
l'Italia ti snobba, c'è Obama RICCARDO LATTANZI NEW YORK UNIVERSITY - USA A molti sarà
capitato di bere un po' per distendersi, sospirando «ho bisogno di un drink».
Si sa che l'alcol aiuta a rilassarsi, ma quali sono i meccanismi fisiologici
alla base del fenomeno? Paradossalmente, potrebbero essere gli studi di una
ricercatrice italiana, astemia, a dare la risposta. Marisa Roberto,
professoressa di neurobiologia allo «Scripps Research Institute» di San Diego,
è tra i 100 vincitori del «Presidential Early Career Award for Scientists and
Engineers» («Pecase»), un premio che, nel suo caso, consiste in 5 anni di
finanziamento per studiare l'effetto dell'alcol sul cervello e comprendere i
cambiamenti a livello cellulare che portano alla dipendenza negli alcolisti. Il
segreto sembra essere nell'amigdala, una regione del cervello che ha un ruolo
fondamentale nella regolazione dello stress e dell'ansia. «Un bicchiere di vino
può aiutare a ridurre la tensione, perché l'etanolo stimola il rilascio di
"Gaba", un neurotrasmettitore che rallenta la comunicazione tra
cellule nervose - spiega la professoressa -. Un consumo eccessivo di alcol
aumenta invece la quantità di "Gaba" e a lungo andare il cervello
finisce con l'adattarsi, fino a non poter più fare a meno della sua
"dose"». Negli alcolisti l'astinenza causa un accumulo di ormone
dello stress, a cui il cervello risponde creando un bisogno incontrollabile di
alcol per ripristinare il livello del neurotrasmettitore. Il circolo vizioso si
potrebbe rompere - è l'ipotesi - bloccando i ricettori dell'ormone dello stress
e agendo sul rilascio di «Gaba». L'obiettivo è creare dei farmaci per
combattere a livello cellulare la dipendenza, un problema che in America costa
180 miliardi di dollari all'anno. «I risultati sui ratti sono incoraggianti e
grazie al premio potrò continuare il mio progetto senza temere le ristrettezze
della crisi». Il «Pecase» è il più prestigioso riconoscimento per un
ricercatore a inizio carriera e sarà il presidente Barack Obama
a premiare chi ha definito «giovani scienziati e ingegneri straordinariamente
dotati che rappresentano il meglio nel nostro Paese». Un elogio che la
professoressa Roberto avrebbe preferito ricevere dal nostro presidente della
Repubblica. «Il mio paese è l'Italia. E' da quando sono arrivata in America che
cerco di tornare». All'Università di Pisa, dove ha conseguito la laurea in
biologia e il dottorato in neuroscienze, non c'era posto. «A San Diego mi hanno
offerto un lavoro e in quattro anni sono diventata professore». Oggi dirige un
laboratorio in uno dei più importanti istituti di ricerca negli Usa, ma un
ponte con l'Italia è riuscita a crearlo. Lo scorso anno ha organizzato a
Volterra, la città natale, un convegno su «alcolismo e stress». L'evento «è
stato talmente un successo che se ne farà un'altro nel 2011». E ad agosto sarà
di nuovo nella sua città, stavolta per l'inaugurazione di una mostra di
pittura, dove saranno esposti alcuni suoi quadri. Marisa Roberto nel tempo
libero dipinge e scrive poesie. Starà cercando di dimostrare che per essere
artisti non è necessario ubriacarsi?
(
da "Stampa, La"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
La
Russa: da Kabul nessuno si muove [FIRMA]ANTONELLA RAMPINO ROMA In Afghanistan
l'impegno italiano «non cambierà in nulla». E' il ministro della Difesa Ignazio
La Russa a spendersi personalmente in Parlamento per informare sulla presenza
italiana in Afghanistan, ma soprattutto per chiudere la polemica con la Lega.
La Russa interviene alla Camera, così come chiesto dal Pd e da tutte le
opposizioni, e in particolare anche da Pier Ferdinando Casini in un colloquio
personale con Gianfranco Fini, e la sua prima preoccupazione è ovviamente
chiarire che «il governo è compatto, non c'è tra noi alcuna divisione», perché
l'impegno in Afghanistan è stato assunto in Parlamento «da tutta la
maggioranza, e non solo, ma in particolare anche dalla Lega». Insomma, resta «imprescindibile
e irrinunciabile» la missione a Kabul, e quando Bossi e Calderoli hanno
lanciato il loro «tutti a casa» era solo un modo di dire. Del resto, a dare
pubblica rappresentazione della Lega che prima rumoreggia ma poi si allinea era
servito il plateale gesto di Berlusconi alla buvette di Montecitorio con
Umberto Bossi: quella frase del senatùr sul «riportare a casa tutti i nostri
militari» che tanto aveva imbarazzato Frattini nell'incontro a Bruxelles con l'inviato di Obama, Richard Holbrooke, era per il presidente del Consiglio «solo
una battuta», e foriera di «polemiche sul nulla di giornali che han pagine da
riempire». Umberto Bossi, politico pragmatico, s'era limitato ad aggiungere
qualche considerazione illuminante, «la missione costa moltissimo, comincia a
fare troppi morti, e non è così facile portare la democrazia: Berlusconi
ci crede perché lui è un idealista, io penso che sia molto difficile, ma poi
certo farò quel che dice la maggioranza». E insomma oggi in Senato, quando nel
pomeriggio le commissioni Esteri e Difesa voteranno (riunite in sede
deliberante) il via libera definitivo al rifinanziamento per quattro mesi di
tutti gli impegni militari italiani all'estero, i voti della Lega ci saranno.
L'aveva in verità annunciato già da giorni il colonnello padano Cota, inverando
così l'idea che la Lega volesse anzitutto tenere politicamente sulla corda la
maggioranza. Come non sfugge poi alle opposizioni, nel breve dibattito che
segue l'intervento di La Russa. «Bossi non ha parlato né da ministro, né da
padre, ma ha fatto pesare la sua golden share sul governo», accusa Casini. Per
il Pd resta lo spettacolo di «ministri divisi, che non sostengono i nostri
militari», come aveva detto Franceschini. Ieri, durante un dibattito a Cortina
con Bertinotti, il segretario del Pd ha detto: «Voteremo per la permanenza dei
soldati italiani all'estero. Diciamo sì a una presenza decisa dalla comunità
internazionale». Il ministro La Russa ha voluto precisare a Bossi che «nessuno
ha l'obiettivo irraggiungibile di instaurare la democrazia». In Afghanistan,
oltre che adempiere ad obblighi internazionalmente assunti e «difendere
l'Italia dal terrorismo», si tratta «di mettere in condizione il governo locale
di gestire il Paese». Ma la polemica politica resta aperta, e il centrodestra
spaccato: nel dibattito, per la Lega Manuela Dal Lago fa rilevare che i padani
«non rinunciano» a porre il problema del ritiro. Fonti riferiscono di aver
udito Fini commentare l'«ambiguità» dei leghisti. Ma Ignazio La Russa, mettendo
da parte il lungo discorso che i suoi uffici tecnici avevano approntato,
«perché qui c'è una contabilità di lutti a confronto, i nostri con quegli di
Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania», ha fatto molto di più. Ha spiegato che
in Kosovo i nostri soldati verranno in futuro ritirati, che dal primo gennaio
2010 si verificherà «una sensibile riduzione in Libano e il parallelo aumento
di altri contingenti». Aggiungendo subito dopo il «dettaglio sull'Afghanistan,
priorità operativa assoluta della Nato». E lasciando dunque intendere, come
confermano fonti della Difesa, che dall'anno prossimo potrebbe venire
incrementata la nostra presenza proprio nel teatro di guerra afghano. Uno
scatto d'orgoglio davanti al «tutti a casa» di Bossi. Tanto che già da subito
il ministro ha disposto «un rafforzamento della nostra presenza». Altri 100
carabinieri partiranno per la «Nato training mission». E poi «per la sicurezza
dei nostri militari occorre aumentare i mezzi di difesa aerea, gli elicotteri
anzitutto, e infatti invieremo nei prossimi giorni altri Mangusta, due
immediatamente, e raddoppieremo gli aerei Predator». Prima di intervenire alla
Camera il ministro ha riunito lo Stato maggiore dell'esercito, «i militari mi
hanno detto che non è usuale fornire al Parlamento tutti questi dettagli
tecnici, ma io credo che il Parlamento debba sapere». E dunque, i Tornado
spareranno, «ma nessun ricorso a bombe, potrebbero colpire i civili».
Piuttosto, occorre dotare «gli elicotteri di cannoncini» e modificare i
blindati Lince «in modo che la mitragliatrice sia manovrabile dall'interno».
Una caratteristica già operativa sui nuovi blindati Freccia che l'esercito ha
ordinato. I costi, ha specificato la Russa, «restano quelli preventivati».
(
da "Repubblica, La"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
27 - Commenti LA LOGICA DELL´IRRESPONSABILITà (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) E VALE
- in modo meno scomposto - per molti alleati coinvolti sul terreno afghano,
alcuni con le valigie in mano. Ma non è una buona ragione per evadere la
questione. C´è una versione ufficiale, cui speriamo non credano nemmeno coloro
che per presunto dovere d´ufficio continuano a martellarla. Siamo lì per una
missione di pace, per stabilizzare l´Afghanistan e avviarlo sulla strada della
democrazia e della libertà. Un ritornello nel quale è arduo stabilire se
prevalga l´ignoranza o il cinismo. In ogni caso, nulla a che vedere con la storia
e con i fatti attuali. Dai quali si ricava che noi e un´altra quarantina di
paesi siamo lì per sostenere gli Stati Uniti nella guerra al terrorismo.
«Correttezza politica» e discutibile lettura della nostra costituzione
impediscono al governo di chiamare guerra la guerra che stiamo combattendo. Una
scorsa alla qualità dei mezzi e degli uomini impiegati in teatro - quanto di
meglio fra le nostre Forze Armate - oltre al crescente impiego in battaglia
delle nostre truppe di élite e alle relative perdite, dovrebbero togliere ogni
dubbio sul carattere della missione. Un´interpretazione più sottile del refrain
ufficiale ci avverte che la volontà di compiacere l´amico americano non è fine
a se stessa, ma mira a salvare la Nato. Perché se perdiamo la guerra in
Afghanistan perdiamo la nostra alleanza. Tesi azzardata. Sulla carta e come
organizzazione, la Nato potrà comunque avere lunga vita, a prescindere dalla
campagna afghana. Anche se ogni tanto qualche decisore americano si lascia
tentare dall´idea di disfarsene. Come alleanza geopolitica, è da quando ha
vinto la guerra fredda che cerca uno scopo altro dal fornire supporto alle
campagne decise da Washington, che spesso non sa che farsene. Sotto il profilo
strategico, la Nato è morta da un pezzo. Difficile possa rimorire a Kabul. Un
recente episodio valga da epitaffio. Quando Obama ha
deciso di cambiare approccio nella guerra afghana, ha per conseguenza
sostituito il comandante delle truppe alleate sul terreno. Ma sul fatto che a
guidare le forze Nato fosse Stanley McChrystal e non più David McKiernan -
scelta in teoria spettante all´insieme della galassia atlantica - il Pentagono
ha deciso da solo. Sovrano. Agli altri bastasse un comunicato. Peggio. La
nostra vulgata governativa è rimasta indietro rispetto all´evoluzione della
strategia americana. Persino rispetto alla sua retorica. Dal centro alla
periferia, si sa, le notizie arrivano distorte. Tanto più in una periferia
estrema, considerata non troppo affidabile dai dirigenti della potenza numero
uno. E guidata da un leader - il nostro Berlusconi - non
proprio affine a Obama per
biografia e profilo cultural-politico. Sicché a Roma si stenta a percepire che
questa America dall´Afghanistan se ne vuole andare appena possibile. Perché Obama sa e fa sapere che la guerra non
si può vincere. A nessuno piace combattere senza coltivare alcuna speranza di
successo. Inoltre, scorrendo i discorsi del presidente americano si
noterà che la dizione «guerra al terrorismo» è stata messa in naftalina. Quella
era la guerra di Bush. Non di Obama. E non è solo
retorica. La vittoriosa campagna dell´autunno-inverno 2001, quella sì era
guerra al terrorismo. A 24 carati. Si andava a stanare un nemico che aveva
osato colpirti a freddo sul tuo proprio territorio, e ad abbattere il regime
che lo proteggeva (o ne era protetto). Obiettivi solo parzialmente e provvisoriamente
raggiunti: sulla sorte di Osama bin Laden mancano notizie certe e quanto ai
talibani, se erano stati eradicati, come giuravano Bush e Blair, evidentemente
sono ripiovuti dal cielo. Tanto che con l´arcinemico di ieri - o almeno con i
talibani «redimibili» - trattiamo tutti, americani e «governo» di Kabul in
testa. Dopo una breve parentesi, negli ultimi cinque anni la guerra ha perso il
suo senso originario. Si è incrudelita. Miete vittime fra soldati e insorti
(non solo talibani), ma soprattutto fra gli innocenti. Anche per il ricorso
all´arma aerea, in carenza di truppe. Le nuove direttive di Obama
vertono su tre priorità: afghanizzazione della guerra, irrobustendo e mandando
al fronte l´«esercito di Kabul» (si fa per dire); controguerriglia seria,
«stivali sul terreno»; riassorbimento di parte degli insorti nelle strutture di
potere locali. Il tutto onde riportare al più presto i ragazzi a casa,
salvandone la pelle - e possibilmente la faccia dell´America. Il limite di
questa come di qualsiasi altra strategia americana è che i tagliagole afghani,
compresi quelli «al governo» - e soprattutto le potenze regionali che tentano
di manovrarli - sanno che gli occidentali non vedono l´ora di andarsene. Si
preparano dunque alla contesa decisiva. Fra loro. Il punto è allora se vogliamo
prendervi parte, magari per essere utilizzati dalle parti in conflitto, o meno.
E´ in ogni caso buona norma non restare prigionieri della propria propaganda.
Contrariamente alla versione autorizzata, oggi non c´è nesso fra guerra in
Afghanistan e sicurezza d´Europa o d´America. Se non forse in senso negativo.
Lì si combattono infatti diverse guerre calde e fredde - fra alleati e insorti,
India e Pakistan, Pakistan e Iran, signori della droga e altri banditi -
nessuna delle quali deciderà del fatto che un giorno una bomba, magari non
convenzionale, possa esplodere nelle nostre piazze. Come ci insegnano gli
attentati di New York, Londra o Madrid, è qui da noi che bisogna anzitutto
guardare. Fra cellule jihadiste e terroristi-fai-da-te che prescindono dalla
presunta centrale qaidista incistata nell´Hindu Kush (possibile che in quasi
otto anni non l´abbiamo scovata e annientata? Possibile, soprattutto se non
esiste). Semmai, sono le guerre non finite e non vincibili, che per di più fingiamo
di non combattere, ad eccitare e addestrare i fanatici sanguinari che un giorno
vorranno emulare le gesta di Osama. Ora, è perfettamente legittimo sostenere il
contrario, condannare la prospettiva del ritiro come disfattismo, vestire Obama da novello Chamberlain e ammonire che a Kabul si gioca
il destino d´Italia e d´Occidente. Magari dimostrandolo. Nel qual caso la
nostra missione andrebbe rafforzata: più uomini, più truppe, meno caveat. E la
nostra diplomazia dovrebbe dedicarsi a riconvertire quei rammolliti degli
americani. Non serve, invece, restare nevroticamente confitti nella logica
dell´irresponsabilità: non dire ciò che facciamo, fare ciò che non diciamo.
(
da "Repubblica, La"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
11 - Esteri La Cina rimprovera gli Usa "Dovete risanare il deficit"
Il governo di Pechino al G2: più tutela per il dollaro Uno dei risultati
positivi è stato l´accordo-quadro sul clima e sull´ambiente "State attenti
all´impatto che l´offerta di dollari ha sull´economia mondiale" FEDERICO
RAMPINI La Cina sale in cattedra al G2 e dà lezioni di rigore finanziario e
disciplina fiscale all´Amministrazione Obama. Il vertice bilaterale di
Washington si è chiuso ieri sotto il segno dell´offensiva "capitalista"
degli ospiti cinesi, preoccupati di tutelare i propri investimenti in dollari.
Il vicepremier Wang Qishan ha richiamato all´ordine i padroni di casa,
sospettati di voler esportare inflazione per ridurre i propri debiti:
«Voi americani - ha detto Wang - avete la principale moneta di riserva
mondiale. Tocca a voi governare con cura l´impatto che l´offerta di dollari ha
sull´economia mondiale». Ad ascoltare il rimbrotto c´erano Barack Obama, Hillary Clinton, e lo staff economico al gran
completo: il segretario al Tesoro Tim Geithner, il banchiere centrale Ben
Bernanke, il capo economista della Casa Bianca Larry Summers. A loro il
viceministro delle Finanze Zhu Guangyao ha rivolto un rimbrotto ancora più
esplicito: «Ci auguriamo sinceramente che il deficit pubblico americano venga
ridotto, anno dopo anno». L´ortodossia economica dei cinesi nasce da una
preoccupazione concreta, come ha spiegato Zhu. «La responsabilità del mio
governo - ha detto - è nei confronti del popolo cinese. è nostro compito
tutelare il valore della ricchezza nazionale». Una parte della quale, sempre
più cospicua, viene reinvestita da anni in titoli del debito pubblico Usa. Al
punto che la Cina è oggi di gran lunga il principale creditore estero di
Washington. Con un deficit federale Usa che sta per quadruplicare l´ultimo
record storico - sfonderà i 1.850 miliardi di dollari entro la fine del 2009 -
Pechino chiede garanzie. Guai se un´esplosione incontrollata di disavanzi
americani dovesse generare inflazione, sfiducia nel dollaro, svalutazioni,
intaccando il valore delle riserve investite in Treasury Bonds. Geithner ha
dovuto offrire alla delegazione cinese una promessa: «L´America rientrerà in un
deficit sostenibile entro il 2013». è l´impegno preso da Obama
con gli elettori, coincide con la scadenza del suo primo mandato presidenziale.
Ma lo stesso impegno ieri è stato esteso verso la superpotenza rivale, che è
anche diventata il banchiere dell´America. Questa dipendenza dai finanziamenti
di Pechino ha reso gli americani improvvisamente discreti sulla parità
dollaro-yuan. Al G2 concluso ieri sono state risparmiate ai cinesi le accuse di
manipolare il cambio (per avere uno yuan debole che aiuti le esportazioni). Un
silenzio significativo, perché il tema della sottovalutazione competitiva resta
un cavallo di battaglia dei sindacati Usa e di ampi settori del Partito
democratico, che cercano rivalse protezioniste contro il made in China. Obama, Geithner e Bernanke hanno dribblato la controversia:
uno yuan più forte ridurrebbe il valore dei capitali cinesi investiti in
America; la perdita di ricchezza potrebbe indurre Pechino a stringere i
rubinetti del credito scatenando un´ulteriore crisi di sfiducia verso il
dollaro. Obama e i suoi hanno reiterato la richiesta
che la Cina consumi di più e importi di più, perché la ripresa globale non
potrà essere trainata dalla spesa delle famiglie americane come fu in passato.
Geithner ha cercato di ingraziarsi i cinesi offrendo loro un peso politico
maggiore nella governance globale, a cominciare dai diritti di voto dentro il
Fondo monetario internazionale. I cinesi hanno rilanciato: «Volete che
importiamo di più, per ridurre il vostro deficit commerciale? Allora
liberalizzate la vendita delle nostre tecnologie avanzate». Una richiesta
logica sul piano economico, indigesta per i suoi risvolti politici. Tra i
prodotti hi-tech che l´America non vuole vendere alla Cina ci sono tecnologie
"duali", suscettibili di uso sia civile sia militare: un elenco di
apparecchiature strategiche che fu messo sotto embargo nel 1989, in risposta al
massacro di Piazza Tienanmen. A Pechino preme cancellare quell´onta; e anche
mettere le mani su tecnologie sofisticate che possono accelerare la
modernizzazione del suo esercito. Dopo la rivolta e la strage degli uiguri,
accaduta alla vigilia del G8, Obama ha deciso di non
mettere la sordina sui diritti umani. Promuovere l´export americano in Cina gli
sta a cuore, ma l´abolizione dell´embargo non è all´ordine del giorno. Tra i
risultati positivi del G2 spiccava ieri l´accordo-quadro sull´ambiente e le
energie pulite. è un´intesa di principio per favorire la cooperazione sulle
tecnologie verdi, tra le due superpotenze che insieme generano oltre il 40%
delle emissioni carboniche nell´atmosfera del pianeta. A firmarlo per
l´Amministrazione Obama c´era il "ministro
cinese", il segretario all´Energia Steven Chu, figlio di immigrati dalla
Repubblica Popolare. La Clinton ha salutato l´accordo sull´ambiente come «una
nuova piattaforma di dialogo per le politiche contro il cambiamento climatico,
un piano di marcia verso una economia low-carbon, a basso tenore carbonico».
Nessun impegno vincolante, però, tantomeno tetti precisi alle emissioni di CO2
cinesi. Il numero due della delegazione cinese, Dai Bingguo, ha sottolineato la
diversità tra le due nazioni: «La più grande economia sviluppata e la più
grande economia emergente hanno responsabilità comuni ma capacità diverse
nell´affrontare il risanamento dell´ambiente». Come sul fronte diplomatico -
dove restano le divergenze sulle sanzioni contro i programmi nucleari di Iran e
Corea del Nord - i due giganti hanno chiuso il G2 senza svolte né colpi di
scena. Convinti che la loro relazione bilaterale darà forma al XXI secolo, come
ha detto Obama in apertura. Ma impegnati, per ora,
soprattutto a prendere le misure del rivale.
(
da "Repubblica, La"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
10 - Esteri Era stato affisso dagli americani nel 2004 sulla facciata dell´ex
ambasciata dell´Avana Washington spegne il tabellone anti-Castro "Quelle
frasi di protesta non servono più" La prima scritta luminosa recava il
numero "75", in ricordo dei dissidenti arrestati OMERO CIAI Era così
inutile quel tabellone luminoso che occupava 25 finestre al quinto piano della
Sezione di interessi Usa (la Sina) sul Malecon dell´Avana che quando l´hanno
spento, più di un mese fa, nessuno se n´è accorto. C´è voluto l´annuncio
ufficiale, ieri, del portavoce del Pentagono, Ian Kelly, per ricordarne a tutti
l´esistenza. «Non serviva - ha detto Kelly - non era efficace come mezzo per
comunicare messaggi ai cittadini, né per promuovere relazioni migliori tra i
due paesi». L´azzeramento del tabellone luminoso sulla facciata di quella che
fino al 3 gennaio del 61 fu l´ambasciata degli
Stati Uniti all´Avana e, poi grazie a Jimmy Carter che volle riaprirla anche se
con un rango inferiore, dal 1977 la «Sezione di interessi», è parte della politica di dialogo e distensione verso il regime
cubano voluta da Barack Obama ma è anche il riconoscimento di una straordinaria fesseria.
L´idea di usare la facciata del palazzo per lanciare messaggi anti - castristi
venne nel 2004 a James Cason, il più determinato tra i recenti responsabili Usa
dell´ex ambasciata. Era quello, anche grazie a Cason che incontrava e
finanziava pubblicamente gli sparuti gruppi di oppositori politici sull´isola,
uno dei momenti di massima tensione tra i due paesi. Cuba aveva appena
processato e condannato 75 dissidenti - accusati di ricevere fondi Usa - e Bush
firmato il decreto - poi annullato da Obama - che
inaspriva l´embargo. Nella foga di quei giorni Cason ordinò di appendere sul
palazzo due grandi numeri luminosi: "75". L´iniziativa fece
arrabbiare Fidel Castro che rispose innalzando davanti all´ambasciata un
centinaio di pennoni con la bandiera cubana per impedire che dalla strada fosse
visibile la facciata. In seguito, ai pennoni, si aggiunsero grandi cartelloni
pubblicitari con foto di Bush e la scritta «assassino», istantanee di
Guantanamo e delle torture di Abu Ghraib e, infine, perfino un ritratto di
Hitler. Mentre dall´altra parte, Cason esponeva gigantografie dei dissidenti
arrestati. Nel gennaio 2006 la "guerra dei tabelloni" si arricchì del
megaschermo elettronico sul quale gli americani scrivevano messaggi alla
popolazione (frasi di Martin Luther King e Lincoln) o contestavano le
affermazioni di Castro. Ma un po´ per le bandiere (che sono diventate 138 e
sono nere), un po´ per il sole che batte su quel lato del palazzo tutto il
giorno, la striscia luminosa era quasi invisibile fino a dopo il tramonto.
Raramente qualcuno si fermava a leggerla. Disattivare lo schermo luminoso è un
altro passo simbolico della nuova amministrazione dopo l´eliminazione delle
restrizioni sulle rimesse e sui viaggi dei cubano-americani nell´isola e il
voto favorevole alla riammissione di Cuba nell´Osa. Obama
ha chiarito che non affronterà l´eliminazione dell´embargo fino a quando i
fratelli Castro saranno al potere ma continua a inviare messaggi di
distensione. D´altra parte all´Avana basta osservare i grandi spazi intorno
all´edificio della Sezione d´interessi per tastare il polso alle relazioni tra
i due paesi. Raramente, negli ultimi 30 anni, sono stati liberi.
(
da "Repubblica, La"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
23 - Economia Meno disoccupati sorpresa d´estate per Sarkozy PARIGI - Una
divina sorpresa, inattesa, è arrivata sul tavolo del governo: in giugno, il
numero dei disoccupati è diminuito. E´ la prima volta dall´agosto 2008. Nessuno
se lo aspettava, tanto meno il ministero dell´Economia: «La notizia non deve
spingerci ad abbassare la guardia, il 2009 resterà difficile. Non credo che le
assunzioni riprendano subito», ha detto il sottosegretario al Lavoro. I
contratti part time e gli aiuti pubblici sono all´origine del buon risultato di
giugno. Non solo. Recentemente, un rapporto aveva sottolineato la reattività
delle aziende francesi alla crisi, migliore che in altri Paesi europei. E i
licenziamenti per ragioni economiche, anche se in aumento, restano un fenomeno
marginale: meno del 5% del totale. Giampiero Martinotti [obama
e gli speculatori] ROMA - La speculazione finanziaria sul petrolio c´è. Anzi,
non c´è. Il dibattito è destinato a continuare e, adesso, vede su fronti
opposti anche le massime istituzioni di regolamentazione del mercato. A Londra,
la Fsa è appena arrivata alla conclusione che gli sbalzi nei prezzi del barile
sono frutto dell´incertezza sulla situazione economica e non di manovre
della speculazione. E´ la posizione tenuta, fino a questo inverno, dalla Cftc
il suo omologo americano. Ma, finita l´era Bush e iniziata quella Obama, la Cftc - e il suo nuovo presidente, Gary Gensler, di
fresca nomina - hanno cambiato registro. Per agosto, annunciano un nuovo
rapporto che addebita agli speculatori un ruolo "significativo" nelle
oscillazioni del barile. La nuova prospettiva è il risultato dei nuovi poteri
che il Congresso ha dato alla Cftc. Fra i due organismi ci saranno scintille:
il grosso della speculazione si realizzerebbe proprio a Londra, all´Ice Europe,
braccio europeo del mercato telematico Usa. Maurizio Ricci
(
da "Stampaweb, La"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
NEW YORK
«Abbiamo gettato le basi per una positiva, cooperativa e comprensiva relazione
per il 21° secolo», ha detto il segretario di Stato Hillary Clinton al termine
della due giorni di «Dialogo strategico ed economico» tra Usa e Cina a
Washington. La Clinton si è detta anche «soddisfatta che la Cina abbia
condiviso le preoccupazioni sul fatto che lIran
possa diventare uno Stato dotato dellarma atomica». I due Paesi si sono
accordati per una larga intesa nel momento in cui entrambi sono tesi nel
guidare la economia globale fuori dalla recessione e nel forgiare unalleanza più stretta sulle questioni spinose
dellambiente e della politica estera. Tra i punti fermi dellaccordo
generale ci sono il mantenimento delle spese «di stimolo» finchè la ripresa non
sarà assicurata;
la firma di un memorandum sul clima, lenergia
e lambiente; e la promessa di sostenere la libertà dei traffici
commerciali combattendo il protezionismo. Il documento di intenti sul clima è
un risultato di alta rilevanza politica, anche se lintesa non fissa
obiettivi nè tempi vincolanti: promette però limpegno
dei due maggiori Paesi al mondo per emissioni di gas da effetto serra e per
inquinamento, a lavorare più strettamente in futuro. «Fornisce ai nostri Paesi
la direzione per operare insieme nel sostenere negoziati internazionali sul
clima e nellaccelerare la transizione a uneconomia a
basso contenuto di carbonio"» ha detto la Clinton. Il documento non è
stato reso pubblico ma il portavoce del Dipartimento di Stato, Ian Kelly, ha
specificato che non contiene numeri o date: piuttosto è una cornice entro
cui andare avanti a discutere. «Non è un accordo che impegna le due parti a
raggiungere determinati obiettivi, ma fissa la struttura per un dialogo», ha
insistito Kelly. Era impossibile, in questo confronto ad alto livello tra
Pechino e Washington, raggiungere un risultato più incisivo nella lotta contro
le emissioni nocive; ma forse era anche difficile ottenere di meno, poichè linteresse strategico delle due nazioni non può
prevedere rotture clamorose e richiedeva quel successo diplomatico finale che è
stato perseguito. La Cina è indispensabile allAmerica
sia per assorbire i suoi bond, sia per dare una mano allOnu contro le
ambizioni e i rischi nucleari dellIran e della Corea del Nord. Ma gli Usa sono non meno
vitali per i cinesi, ancora dipendenti dallexport
per sopravvivere in patria, ed esposti al dollaro fino a un livello di non
ritorno. Così, hanno annunciato alla fine dei lavori gli Usa, è stato ottenuto
limpegno di Pechino a riformare la sua economia, con la liberalizzazione
del suo settore finanziario e lapertura alla
concorrenza dei suoi mercati pubblici. Se sul terreno del clima laccordo
è stato pieno, non essendo vincolante, il confronto economico ha avuto invece i
toni del braccio di ferro. Dollaro-yuan, debito americano, import-export
reciproco sono destinati a influenzare i rapporti tra Washington e Pechino sul
lungo termine, ma nellimmediato sono i timori
dellinflazione americana e del deprezzamento del biglietto verde a far salire la Cina in
cattedra: da grande creditore, ha ammonito gli Usa «a essere prudenti» nelle
emissioni di debito pubblico che stanno inondando i mercati. Gli Usa hanno
promesso di appoggiare i cinesi nella loro ambizione ad avere un maggior ruolo
nelle istituzioni monetarie internazionali, ma hanno anche ribattuto che la
Cina deve fare la sua parte nel consentire un maggiore sviluppo dei consumi
interni, senza puntare solo sullexport verso
lAmerica, facilitato peraltro dalla politica cinese dello yuan debole. Al tavolo
economico, gomito a gomito col ministro del Tesoro Timothy Geithner, il
vicepresidente cinese Wang Qishan ha ricordato che gli Usa hanno precise
responsabilità essendo «il Paese maggiore al mondo per emissioni in riserve
valutarie, occorre bilanciare limpatto della loro
offerta di dollari sulleconomia domestica e sulleconomia del mondo
in generale», ha detto Wang. E una critica al superdeficit di Washington
e alle intenzioni dindebitamento di Obama per
finanziare la riforma sanitaria.
(
da "Corriere della Sera"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 29/07/2009 - pag: 11 In breve Nomina alla
Corte Suprema Usa Sonia Sotomayor, primo sì del Senato La Commissione Giustizia
del Senato ha approvato la nomina di Sonia Sotomayor alla Corte Suprema, il
massimo organo giudiziario americano. Sotomayor, 55 anni, di origini
portoricane e cresciuta nel Bronx, era stata proposta dal
presidente Barack Obama. La
Commissione, composta da 12 senatori democratici e 7 repubblicani, ha espresso
6 voti contrari e 13 favorevoli, compreso quello del senatore repubblicano
Lindsey Graham. Per la nomina definitiva bisogna attendere il voto dell'intero
Senato, atteso per i primi di agosto.
(
da "Corriere della Sera"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 29/07/2009 - pag: 10 L'analisi LA S CALATA DI
O BAMA E I D UBBI DI I SRAELE di DAVIDE FRATTINI GERUSALEMME «Sapete come ho
festeggiato i sessant'anni? », ha chiesto George Mitchell qualche settimana fa
a un gruppo di ebrei americani. «Con la scalata al monte Katahdin». Per
raggiungere la vetta più alta del Maine, dove vive, l'ex senatore democratico
si è preparato con la meticolosità che applica ai negoziati e si è consultato
con alpinisti esperti. «Il loro consiglio è stato: mentre sali, non devi mai
guardare verso la cima, sembrerà tanto lontana da deprimerti. Non guardare
neppure in basso, verresti distratto. Devi solo concentrarti sul passo che stai
per compiere, è l'unico modo per sopravvivere ». Sono passati sedici anni
dall'ascensione e l'aneddoto funziona ancora per spiegare
l'approccio alla missione che Barack Obama gli ha affidato. Le montagne che Mitchell ha affrontato nella
visita a Gerusalemme sono quelle della Cisgiordania, dove gli americani
pretendono il blocco degli insediamenti. «Progressi», dice dopo l'incontro di
due ore e mezzo con il premier Benyamin Netanyahu. Ripete che Israele e
gli Stati Uniti sono «amici e alleati». Proclama che l'obiettivo della Casa
Bianca è una pace regionale: tra lo Stato ebraico e i palestinesi, ma anche un
accordo con il Libano e la Siria (l'amministrazione starebbe pensando di ammorbidire
le sanzioni contro Damasco) e la normalizzazione dei rapporti con i Paesi
arabi. Il congelamento delle costruzioni anche a Gerusalemme Est è considerato
da Mitchell il primo passo da compiere, perché la salita verso la vetta
mediorientale possa continuare. Netanyahu vorrebbe che venisse garantita la
cosiddetta «crescita naturale», nuovi alloggi per famiglie che si allargano: i
coloni in Cisgiordania sono arrivati a 300 mila, calcola un rapporto ufficiale
rivelato dal quotidiano Haaretz. Le pressioni americane hanno trasformato Obama in un presidente impopolare tra gli israeliani. Solo
il 6 per cento secondo un sondaggio del Jerusalem Post lo considera un amico
dello Stato ebraico, gli editorialisti di destra lo evocano con il secondo nome
Hussein per evidenziare quelle che sarebbero le sue «tendenze arabe ». «Gli
israeliani sentono che tutto il peso per far ripartire i negoziati di pace
scrive Yossi Klein Halevy, intellettuale conservatore, su The New Republic è
stato messo sulle loro spalle. Molti (e non solo gli elettori del Likud) sono
convinti che Barack cerchi lo scontro con noi per rafforzare la sua immagine
nel mondo musulmano ». È d'accordo da sinistra Aluf Benn, analista di Haaretz :
«Se Israele è parte del problema, è anche parte della soluzione commenta in un
articolo ospitato dal New York Times . Eppure fino ad ora, né il presidente né
uno dei suoi emissari si sono rivolti alla gente di questo Paese. Gli arabi
hanno avuto il discorso del Cairo, noi il silenzio». Impopolare Gli opinionisti
israeliani diffidano dei «silenzi» di Barack Obama
(
da "Corriere della Sera"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 29/07/2009 - pag: 11 Cuba Il tabellone
luminoso voluto da Bush nel 2006 era montato sulla
rappresentanza diplomatica americana a L'Avana Obama spegne lo schermo con gli slogan anti Castro Nemmeno i 638
tentativi della Cia per farlo fuori (vero o falso, è un numero che fa parte
della mitologia cubana) avevano fatto infuriare tanto Fidel Castro come quel
tabellone luminoso, dall'incerto funzionamento, piazzato sul lungomare
dell'Avana. Controllato dagli americani, ma irraggiungibile dalla
polizia cubana e impossibile da spegnere. Ci ha pensato l'amministrazione Obama nei giorni scorsi, mettendo fine a un inutile orpello
dell'era Bush. Nel 2006, venticinque finestre al quinto piano del palazzo della
missione diplomatica Usa erano state coperte con altrettanti pannelli luminosi
rossi, programmati per trasmettere brevi messaggi di testo visibili dalla
strada. Con molta pazienza, vi si potevano leggere frasi scorrevoli in
spagnolo: citazioni di personalità americane come Martin Luther King e Abraham
Lincoln, notizie dal mondo e soprattutto i primi tempi incitamenti ai cubani
per ripudiare il castrismo e lottare per la libertà made in Usa. Persino i
falchi dell'antica amministrazione avevano ammesso che il tabellone non serviva
tanto a informare i cubani e dribblare la censura di Stato, ma piuttosto per
irritare il regime. Cosa che puntualmente era avvenuta. Una delle ultime
adunate oceaniche sul Malecon alla quale Fidel Castro partecipò prima di
ammalarsi venne convocata proprio per protestare contro il tabellone in stile
Times Square, che aveva iniziato pochi giorni prima le trasmissioni con una
semplice scritta fissa: «Democracia en Cuba». Un milione di persone sfilarono
davanti alla sede diplomatica americana, una specie di ambasciataombra vista
l'assenza di relazioni ufficiali tra i due Paesi. Nel discorso, Castro aveva minacciato
la sospensione di qualunque contatto con gli americani fino a quando
l'imperialista marchingegno fosse rimasto in funzione. Poiché nulla accadde, il
governo cubano decise di requisire il parcheggio del palazzo e lì vi piazzò una
selva di bandiere nere alte quanto l'edificio, per «commemorare le vittime
cubane dell'aggressione Usa». In realtà serviva a oscurare le scritte luminose
dalla strada. Mossa da guerra fredda «low tech», come si faceva un tempo per
disturbare le trasmissioni in onde corte. La vicenda venne presto dimenticata,
un po' perché i messaggi divennero difficili da leggere, ma anche per la scelta
dei funzionari americani di attenuarne il tenore. Al posto delle frasi ironiche
sui cubani di serie A che girano in Mercedes e tutti gli altri che si
aggrappano a vecchi camion, o sulla qualità di vita dei bambini americani,
iniziarono ad apparire soprattutto innocui aggiornamenti tratti da agenzie di
stampa internazionali. Il tabellone nascosto dalle bandiere è da tempo solo
un'attrazione turistica. Tanto poco efficace che aveva smesso di lampeggiare
già da alcune settimane prima che qualcuno se ne accorgesse. Richiesti di una
spiegazione, i funzionari Usa all'Avana hanno parlato genericamente di problemi
tecnici, senza specificare una data per la sua riaccensione. In realtà, la
decisione ha tutta l'aria di essere politica e di tenore distensivo. A sei mesi
dal cambio della guardia alla Casa Bianca, le promesse reciproche di disgelo
tra Cuba e Stati Uniti non hanno prodotto finora risultati significativi.
«Andiamo avanti a piccoli passi ha detto Obama la
scorsa settimana . E notiamo qualche movimento da parte del governo cubano».
Dopo aver tolto le restrizioni alle rimesse in dollari e ai viaggi dei cubani
residenti degli Stati Uniti sull'isola, ma non l'embargo, ora potrebbe essere
stato lo stesso leader americano ad aver deciso un gesto piccolo ma simbolico,
come staccare quella spina sul Malecon. Rocco Cotroneo
(
da "Corriere della Sera"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 29/07/2009 - pag: 11 Le mosse degli alleati
Nuove regole d'ingaggio e prospettive di exit strategy Bombe talebane sempre
più potenti, un recupero dei ribelli che il comandante dell'Isaf, la missione
internazionale a guida Nato, definisce «sorprendente» e un numero di vittime
che cresce di giorno in giorno. Nei Paesi impegnati in Afghanistan 42 nell'Isaf,
cui si aggiungono le operazioni sotto diretto controllo americano, per un
totale di circa 90 mila uomini crescono le polemiche e il malcontento. E i
governi corrono ai ripari. In Gran Bretagna la conta dei morti ha raggiunto la
cifra record di 22 soldati dall'inizio di luglio e ieri un sondaggio condotto
per il quotidiano Independent ha rivelato che il 52% degli inglesi vorrebbe il
ritiro immediato. Il premier Gordon Brown, finito più volte sotto attacco per
l'insufficienza dei mezzi e del numero di soldati sul campo, ha reagito con la
decisione di inviare altri 125 militari (tra i quali forze specializzate nel
contrasto degli ordigni esplosivi). Nessun provvedimento, invece, su eventuali
nuovi elicotteri e blindati, che pure erano stati richiesti dai vertici
militari. Misure straordinarie anche in Germania, terzo contingente più
numeroso con 4 mila soldati impegnati a nord-est. Il governo ha modificato le
regole d'ingaggio concedendo ai soldati di sparare contro gli aggressori anche
quando si stanno ritirando. Una possibilità vietata finora, persino nei casi in
cui si rischiavano nuovi attacchi. La scorsa settimana, inoltre con il sostegno
unitario della Grande Coalizione , l'esercito tedesco è tornato a muovere i
suoi panzer e a sparare con armi pesanti: non lo faceva dalla Seconda guerra
mondiale. I vertici militari Usa il cui esercito ha subito una quarantina di
perdite nel solo mese di luglio sta pensando di assumere una polizia privata
composta da contractor per garantire la sicurezza delle sue basi. Mentre il presidente Obama è costretto a muoversi tra una politica offensiva ulteriori 4
mila marines sono stati inviati all'inizio di luglio nella provincia
meridionale dell'Helmand e a parlare di un'«efficace strategia d'uscita». La
data, però, è ancora imprecisata. A. Ras.
(
da "Corriere della Sera"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Cultura data: 29/07/2009 - pag: 28 Incontri La vincitrice
del Pulitzer ripercorre i luoghi dell'ispirazione e i maestri letterari.
Rivendicando le origini scozzesi «wasp» Strout: la vera America e il mio
orgoglio bianco «Sono figlia del Maine povero e puritano, come Stephen King»
dal nostro corrispondente ALESSANDRA FARKAS NEW YORK È emigrata a New York dal
Maine negli anni Ottanta, perché, spiega, «mi piaceva l'anonimato che solo New
York ti concede». Vent'anni più tardi, Elizabeth Strout si scopre, suo
malgrado, una celebrità grazie al Pulitzer. La giuria che dal 1901, ogni anno,
assegna il riconoscimento, uno dei più ambiti per la letteratura mondiale, ha
premiato la 53enne scrittrice e docente universitaria per il suo terzo libro,
Olive Kitteridge (Fazi editore). Si tratta di un romanzo patchwork di tredici
episodi, sconnessi ma tutti collegati fra loro, nel quale la protagonista Olive
è al centro di una serie di vicende sullo sfondo di Crosby, cittadina sulla
costa atlantica del Maine, nel cuore dell'America Wasp, (bianca, anglosassone e
protestante). Testimone non indulgente, ma sempre empatica, è lei che regge i
fili delle vite dei suoi concittadini, specchio di un mondo di ben più ampio
respiro. «La letteratura è un luogo», spiega l'autrice dal salotto del suo
appartamento al 26Úpiano di un grattacielo dell'Upper East Side, pieno di luce
e rose colorate come un grande giardino di campagna. « Guerra e Pace »,
aggiunge, «non avrebbe potuto essere scritto in nessun altro posto al mondo se
non in Russia». Così come la protagonista, il romanzo è figlio del Maine, al
pari dell'autrice: «Sono nata in Maine da una famiglia emigrata in America
dalla Scozia nel 1603. Le nostre radici non potrebbero essere più profonde.
Nelle zone rurali l'identità è intrinsecamente connaturata alla terra».
Qualcuno ha parlato di ritorno del premio Pulitzer alla letteratura Wasp, dopo
anni di predominio dei cosiddetti «autori etnici». «Dev'essere vero», nota la
Strout, «visto che già nel 2005 Marilynne Robinson vinse per Gilead , la storia
di un pastore protestante in Iowa. Però è bene dire che vi sono moltissime
gradazioni di Wasp ed è un errore generalizzare, pensando che il termine sia
sinonimo solo di ricchezza e privilegio». Certo, l'insegnante di mezza età
eroina del suo libro, Olive, è al 100 per cento americana. «È come una
conchiglia attaccata a uno scoglio. Se la si portasse fuori del suo ambiente,
soffrirebbe da morire. I francesi probabilmente la manderebbero in tilt, mentre
l'Italia, terra sensuale e carnascialesca, la spaventerebbe a morte, ma forse
la incuriosirebbe più dell'Inghilterra». In un certo senso Olive è il suo alter
ego: «Anche se sono tecnicamente una Wasp, non sono certo nata ricca. Il Maine
è uno Stato in parte molto povero. Ciò spiega il suo lato oscuro e nascosto,
che Stephen King, un vero figlio del Maine, è riuscito ad incarnare più di
tutti». Non parlatele invece del clan Bush: «Il fatto di avere una residenza
estiva», osserva, «non li rende parte della cultura o della tradizione locale.
Sono visti con sospetto, quasi come intrusi, anche dai repubblicani ». Il suo
Maine, come quello di King, è lontano anni luce da Kennebunkport: «Il nostro
background è una filosofia frugale e schiva, fatta di duro lavoro e
puritanesimo, dove non esiste il culto del denaro. «Nei miei libri esploro
l'attaccamento atavico della mia gente yeoman , cioè gli yankees del New
England alla terra dove arrivarono per primi. L'orgoglio americano da queste
parti è fortissimo anche per chi, come mia madre, è stato
in fila per ore ai seggi per votare Obama». È la stessa fierezza che si respira in certi libri di John
Cheever e John Updike, di cui la Strout si considera l'erede spirituale: «Sento
una grande affinità soprattutto con Cheever. Abbiamo un'estrazione culturale
molto simile, salvo che lui si dava un sacco d'arie ed aveva problemi con
l'alcol, mentre la mia è una famiglia di astemi». La madre, che oggi ha
81 anni, è stata la sua musa: «Quando verso i quattro anni cominciai a
scrivere, mamma, che avrebbe voluto essere una scrittrice ma era un'insegnante
di inglese, mi comprò un quadernino e mi disse di annotarvi i miei pensieri,
cosa che facevo puntualmente ogni giorno. Da allora non ho più smesso». La
confessione Più tardi, fu sempre lei ad insegnarle la regola d'oro di ogni
scrittore. «Quando lessi Piume di piccione di Updike rimasi colpita dal tono
molto critico nei confronti di sua madre. 'La mamma di Updike si sentirà in
imbarazzo a leggere queste cose', dissi a mia madre, che senza batter ciglio mi
rispose: 'No! Lei sa benissimo che suo figlio è uno scrittore e certe cose non
le può evitare'. Mi spiegò che la paura di esporsi impedisce alle persone di
lasciarsi andare, anche nella fiction. Quelle parole m'insegnarono una lezione
preziosissima». La sua passione per Philip Roth nasce proprio dall'onestà senza
pudori dell'autore di Pastorale americana . «Le sue opere sono così ricche di
forza e di energia, il frutto di un'esperienza di minoranza ebraica americana
che imprime velocità e consistenza ai suoi personaggi. I miei invece
rispecchiano le caratteristiche del New England puritano e tendono ad essere
più introversi. Non provano la stessa gioia nel condividere cibo, humour e
sventure». Ma sugli scaffali della sua libreria Roth fa a gara con Alice Munro,
William Trevor, Virginia Woolf e D. H. Lawrence. «Gli scrittori russi e in
particolare Tolstoj occupano un posto speciale nel mio cuore. Mi interessa
anche come si è evoluta la voce degli americani: Theodore Dreiser e Sherwood
Anderson che hanno introdotto lo stile giornalistico e aperto la strada ad
Ernest Hemingway. Ammiro anche John Steinbeck, F. S. Fitzgerald e, tra i più
recenti, Raymond Carver, Norman Mailer, Joan Didion e Joyce Carol Oates ». Tra
i contemporanei ama Oscar Hijuelos, Junot Diaz, Michael Chabon («soprattutto Le
fantastiche avventure di Kavalier e Clay »), Andre Dubus III e Joshua Ferris,
pur confessando una passione smodata per la poesia. «Penso che il verso di una
poesia abbia il potere di salvare una vita. Abbiamo bisogno di poesia che dia
dignità ai nostri sentimenti più profondi ed è fantastico che poeti come Billy
Collins siano letti anche da chi non è appassionato di poesia». Oltre a
comporre versi da quand'era bambina, la Strout scrive ancora a mano. «Se
passassi al computer mi mancherebbe questa fisicità: il pc va troppo veloce e a
me piace il caos creativo». Per questo ha deciso di laurearsi in legge come
Turow, Dershowitz, Wolfe, che però giudica «molto più commerciali» di lei.
«Come scrittrice tendo ad essere irrazionale ed emotiva, quindi mi è servito
esercitarmi a pensare in modo più logico: già all'università notai che persone
assolutamente intelligenti ragionavano sulla base delle emozioni, e per questo
erano irrazionali e impulsive. Non volevo fare la stessa fine». Ma invece di
fare l'avvocato, ha cominciato a spedire i suoi racconti al «New Yorker», che,
a sorpresa, li ha pubblicati. «È ancora un'ottima palestra, che continua a
lanciare talenti nuovi, come del resto altre riviste letterarie quali
'Ploughshares', 'Granta', 'Paris Review', 'Kenyon Review' ». Ma anche il
settimanale diretto da David Remnick non è privo di nei. «Qualche anno fa
Francine Prose ha scritto un pezzo su 'Harper's' dove sosteneva che su circa 52
storie del 'New Yorker', quelle scritte da donne erano pochissime. La riprova
che le pari opportunità tra scrittori maschi e femmine, soprattutto nel genere
fiction, non esiste». Nonostante il divario, lei ce l'ha fatta e il suo
prossimo romanzo la storia di tre fratelli tra il Maine e New York è già uno dei
libri più attesi. Il suo unico rimpianto è la notorietà. «Essere uno scrittore
implica una ricerca solitaria e meditativa. Richiede un voto di solitudine e
molta concentrazione, quasi uno stato di trance . Al contrario, gli autori
escono allo scoperto e si presentano al pubblico, si esibiscono come istrioni.
Io vorrei continuare ad essere una scrittrice». «Le nostre radici non
potrebbero essere più profonde. Nelle zone rurali l'identità è intrinsecamente
connaturata alla terra» «CAPE ELIZABETH, MAINE» DI EDWARD HOPPER
(
da "Stampaweb, La"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
Due
palleggi con i piedi, uno sulla testa e un gol da portare a casa: riuscire ad
ospitare negli Stati Uniti i campionati del mondo di calcio del 2018, o 2022.
Così, con unesibizione delle proprie doti calcistiche e una
domanda ben chiara in mente, Barack Obama ha
accolto alla Casa Bianca il presidente della Fifa Sepp Blatter per una vera e
propria azione di lobbying calcistico: durante lincontro
privato di lunedì, Obama ha presentato, seppure in via
informale, e promosso la candidatura degli Stati Uniti a paese ospite dei
mondiali, sottolineando le enormi potenzialità dellevento, dal punto di vista sia dello sviluppo economico
e del ritorno dimmagine, sia della diffusione del gioco del calcio in
Nord America. Per raggiungere lobiettivo, gli Stati Uniti dovranno
confrontarsi con altri 10 paesi candidati e dimostrare di possedere i requisiti
- tecnici, infrastrutturali, economici - necessari per ospitare levento: a questo proposito “è necessario che mi
mantenga neutrale” nelle valutazioni dei meriti, ha ricordato Blatter.
I palleggi nellintimità dello Studio
Ovale, con i palloni portati in dono dallo stesso presidente Fifa, hanno
insomma assicurato a Obama qualche complimento, ma non
certo il lasciapassare per Usa 2018 o 2022. Blatter ha però voluto invitare
ufficialmente il presidente americano ad assistere alla coppa del mondo del
2010, che si svolgerà in Sud Africa: una proposta accolta con interesse da Obama, che ha invitato i propri collaboratori più stretti a
verificare lagenda degli impegni per il periodo in
questione, in modo da poter programmare uneventuale
partecipazione. Al di là del risultato del meeting, a favore della candidatura
degli Stati Uniti giocano alcuni fattori oggettivi: innanzitutto, il principio
della rotazione seguito dalla Fifa, per cui si cerca di assegnare i
mondiali ad un continente diverso ogni quattro anni. Dopo lAsia con Corea 2002, lEuropa di Germania 2006,
lAfrica del 2010 e il Sud America di Brasile 2014, affidare
lorganizzazione al Nord America nel quadriennio successivo “sarebbe
un modo normale di procedere”, ha ammesso lo stesso Blatter. Inoltre, gli Stati
Uniti possono vantare lesperienza di Usa 1994:
anche se i mondiali non sono bastati a far raggiungere al calcio il livello di
popolarità di cui negli Stati Uniti godono il basket o il football americano, le
partite di quellevento sono state le
uniche, in decine di edizioni, ad essere seguite a stadi pieni, senza un solo
posto vuoto o biglietto invenduto. + Finestra sull'America, di Maurizio
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(
da "Stampaweb, La"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
LONDRA
“Go forth and Tweet”, o meglio “avanti twitta”! Il governo britannico sdogana lultima mania in materia di social networking, Twitter,
con una vera e propria guida di istruzioni per i suoi dipendenti. Il servizio,
che permette agli utenti di pubblicare brevi messaggi di 140 caratteri - i
cosiddetti “tweet” (dal verbo inglese che significa cinguettare, ndr) - è
diventato sempre più popolare, dopo il suo lancio nel 2006. Sia il Foreign
Office che Downing Street “twittano” regolarmente. Unico limite della guida
istituzionale londinese: 20 pagine, oltre 5mila caratteri, per spiegare un
sistema di messaggi che ne usa poche decine. Il libro di istruzioni spiega a
ministri e dipendenti pubblici come servirsene: i messaggi devono essere “umani
e credibili”, scritti nellinglese “informale del
parlato”. Il governo consiglia ai ministeri di produrre dai due ai 10 “tweet”
al giorno, con un intervallo di almeno 30 minuti fra loro per «evitare di
investire gli utenti con veri e propri flussi di Twitter». La guida consiglia di usare
il servizio di microblogging per qualsiasi cosa che spazi dagli annunci
ufficiali ai retroscena dei ministri, e suggerisce che in una crisi potrebbe
essere un “canale primario” per la comunicazione con lelettorato. Il governo mette in guardia dalleccesso di messaggi politici promozionali,
sottolineando che Twitter dovrebbe essere “anche puro divertimento”. In
generale comunque, ogni contenuto dovrebbe restare in linea con gli obiettivi
del governo. La campagna è lultimo tentativo del governo laburista di
cavalcare il Web e i social network dopo diversi tentativi falliti. Basti
pensare che il premier Gordon Brown è stato esaustivamente definito dal leader
dellopposizione “un politico analogico
nellera digitale”. Una sua apparizione piuttosto goffa su YouTube in aprile
nel bel mezzo dello scandalo sui rimborsi truccati dei parlamentari, si è
rivelata per Brown un boomerang politico. Diventato celebre come strumento dei
fan per seguire i pensieri e la vita privata di celebrità del calibro di Oprah
Winfrey (2 milioni di contatti) e Ashton Kutcher (3 milioni), Twitter si è
recentemente rivelato un potente veicolo di comunicazione, mobilitazione e
protesta nelle principali crisi internazionali, in Iran e in Moldova. Nel mondo
diversi governi - in prima fila il presidente americano Barack Obama (oltre 1,8 milioni di seguaci) e la Casa Bianca - ne
fanno già uso. Fra i ministri italiani più attivi nel microblogging, cè il capo della diplomazia Franco Frattini che proprio
oggi pubblica su Twitter - e sulla sua pagina di Facebook - un bilancio in cifre dei
suoi primi 15 mesi di lavoro alla Farnesina. «In quindici mesi ho fatto 28 giri
intorno al mondo» twitta Frattini. Incontri avuti in Italia: 138 (pari al 43%
degli incontri complessivi) - Incontri avuti allestero:
185 (pari al 57% degli incontri complessivi) - Incontri complessivi: il 45 è
costituito da bilaterali allestero, il 34% da incontri bilaterali in
Italia, il 15% da multilaterali allestero, il 2% da incontri
allUnione Europea (13 Cagre - Consigli Affari Generali e Relazioni
Esterne, 6 Consigli Europei), il 2% da vertici allestero e l1% da vertici in Italia - Visite
allEstero: 105 (di cui 53 in Europa, 24 nel Mediterraneo e Medio Oriente,
13 in Africa sub Sahariana, 11 in America settentrionale, 3 in Asia e Oceania e 1
in America centro-meridionale) - Chilometri percorsi: 357.599, Pari a 28 giri
della Terra - Ore di volo: 527 h e 43 minuti.
(
da "Stampaweb, La"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
WASHINGTON
Linizio della fine della recessione che ha messo
in ginocchio gli Stati Uniti potrebbe essere arrivato. Lo ha detto il
presidente Barack Obama, secondo cui però il futuro
economico del Paese è legato a doppio filo allapprovazione
della riforma sanitaria, un tasto su cui il presidente batte con insistenza da
settimane. «È vero che abbiamo fermato la caduta libera delleconomia, i
mercati azionari sono in rialzo, il sistema finanziario non è più a un passo
dal collasso e la perdita di posti di lavoro è dimezzata rispetto a quando sono
salito alla Casa Bianca sei mesi fa. Per questo forse si sta cominciando a
vedere linizio della fine della recessione», ha detto Obama nel corso di un incontro con i cittadini di Raleigh,
in Nord Carolina. Il presidente ha comunque optato per la cautela, definendo
«un pò sorprendente» la copertina del settimanale Newsweek che dà per conclusa
la recessione (sul numero di questa settimana, a piena pagina la scritta
«recession is over», la recessione è finita). Obama,
pur difendendo la strada intrapresa dallamministrazione
per fare fronte alla crisi, ha sottolineato che anche se la situazione è in
qualche modo migliorata, questo è di «scarso sollievo per coloro che hanno perso il
proprio posto di lavoro e non ne hanno ancora trovato un altro».
(
da "Repubblica.it"
del 29-07-2009)
Argomenti: Obama
WASHINGTON
- "La notizia è stupefacente, ma siamo all'inizio della fine della
recessione". Così il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, commentando lo stato di salute dell'economia
americana davanti a una platea di comuni cittadini a Raleigh, in North
Carolina. "Non siamo più in caduta libera, il sistema finanziario non è
sull'orlo del collasso. Perdiamo il 50% in meno di posti di lavoro rispetto
all'anno scorso. I prezzi delle case sono in aumento dopo 3 anni". Certo,
ammette, questo non consolerà "le persone che hanno perso il lavoro, ma
siamo nella direzione giusta. I tempi duri però non sono ancora finiti". A
sei mesi esatti dall'insediamento alla Casa Bianca, il presidente americano
cerca di corroborare sondaggi ed elettorato che, a detta
dei detrattori, cominciano a voltare le spalle a Obama. L'obiettivo, quindi, è spiegare l'azione della sua
amministrazione. A partire dal salvataggio delle banche. "Se non
l'avessimo fatto - spiega Obama - non ci sarebbe stata ripresa economica". Stesso tono per
quanto riguarda gli aiuti al settore delle auto. "Abbiamo aiutato
il sistema automobilistico - dice di fronte a una folla in ovazione - Se si
fanno cattive decisioni probabilmente non si ottiene il salvataggio. Noi,
invece, abbiamo preservato centinaia di migliaia di posti di lavoro". E in
questo senso, General Motors e Chrysler restano nel mirino di Obama. "Ci attendiamo che restituiscano i soldi ai
contribuenti". E poi c'è il pacchetto di incentivi all'economia, che si
divide in tre parti. "Un terzo dei soldi - dice Obama
- è per gli sgravi alle famiglie, alle piccole imprese". E qui il
presidente americano si rivolge direttamente al "suo" popolo,
alternando gli ampi disegni in aria fatti con le braccia all'ormai classico
sorriso magnetico che ne ha fatto un'icona pop prima ancora che politica.
"Il 95% di voi ha avuto sgravi fiscali - dice - avete iniziato a vederlo
nelle vostre buste paga". OAS_RICH('Middle'); Poi tocca a chi non ha più
un lavoro. "Un altro terzo di questi soldi è andato a favore dei
disoccupati, per garantire loro l'assistenza sanitaria anche quando perdono il
lavoro". E infine "l'ultimo terzo è destinato agli investimenti per
le infrastrutture, di medio e lungo termine". (29 luglio 2009
(
da "Stampaweb, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
ROMA
«Dopo le elezioni in Afghanistan potremo pensare attentamente a una exit
strategy dal Paese ma solo concordata con gli altri partner». Il presidente del
Consiglio Berlusconi detta la linea sulla missione a Kabul durante il cocktail
di saluto ai senatori del Pdl presso la terrazza Caffarelli a Roma. «Ci
aspettavamo una recrudescenza degli scontri in prossimità delle elezioni e così
è stato», ha aggiunto il premier. «Chi di noi non vorrebbe - ha concluso
Berlusconi - che i nostri soldati tornassero a casa? Ma i giornali devono
riempire le pagine e guardate cosa è successo quando Bossi ha fatto una
battuta, ma noi dobbiamo essere là e far crescere una democrazia». Con i senatori
del Pdl il presidente del Consiglio si è dilungato poi in un lungo elogio di
Barack Obama. «Cè - ha
detto - una grande collaborazione. È un uomo colto e preparato, simpatico e con
un grande amore per la famiglia». Elogi dellattuale sì, ma anche contatti con il
predecessore. Il Cavaliere ha infatti raccontato di aver sentito oggi George W.
Bush e di aver avuto con lui una «telefonata molto affettuosa». Il premier ha
inoltre sottolineato il suo impegno in politica estera a cui - ha osservato -
«ho dedicato il 50% del tempo». Ma gli alletai dell'Italia per ora sembrano
inamovibili. Stati Uniti e Gran Bretagna sono «più che mai» convinti della
necessità di continuare la guerra in Afghanistan. Lipotesi di un ritiro, come sollecitato da una parte
sempre più
consistente dellopinione pubblica
britannica, non può essere presa in considerazione. Questo lesito del
lungo colloquio che il ministro degli esteri britannico, David Miliband, ha
avuto a Washington con il segretario di Stato americano, Hillary Clinton. Nello stesso
tempo è auspicabile in Afghanistan una strategia che coinvolga in modo più
significativo i talebani moderati, e che insista in primo luogo sugli aspetti
"civili" del conflitto. Oggetto dellincontro,
la situazione in Afghanistan, considerata da entrambi i governi una priorità
assoluta soprattutto alla luce delle pesanti perdite registrate in questultima fase del conflitto. Lunedì scorso, parlando a
Bruxelles, Miliband aveva suggerito lopportunità di una possibile nuova
strategia basata sulla «riconciliazione» con la popolazione talebana moderata.
Oggi a Washington il ministro britannico ha ribadito questa posizione. Che non
significa però ammorbidire la linea militare, anzi. Miliband ha ribadito che
Gran Bretagna e Stati Uniti sono in Afghanistan «per combattere un nemico
comune» e che quella guerra resta per Londra «una questione di sicurezza
nazionale». La perdita di vite umane addolora, ma se necessario Londra è pronta
ad «inviare altre truppe» in aggiunta ai 9.000 soldati già presenti sul
terreno. Analoga la posizione di Hillary Clinton, che ha detto di accogliere
«in pieno» la linea di Milliband. «Il ministro ha pronunciato a Bruxelles un
grande discorso, che condividiamo pienamente», ha detto il segretario di Stato
Usa, che ha colto loccasione per
esprimere il suo cordoglio per le gravi perdite subite recentemente. Detto
questo, «Stati Uniti e Gran Bretagna continueranno a stare fianco a fianco
nella lotta contro un nemico che ha già colpito a New York, Washington e
Londra». In Afghanistan «cè ancora molto da fare».
Ben venga la linea della «riconciliazione» con i talebani moderati, ma ogni
strategia non può prescindere da quanto i comandi militari riferiscono ai loro
governi. E, stando a quanto riferito oggi dalla Cnn, il comandante in capo delle forze
americane in Afghanistan, generale Stanley McChrystal, ha intenzione di
chiedere un significativo aumento delle truppe. La Gran Bretagna è presente in
Afghanistan con 22 mila uomini. Gli Stati Uniti con 38mila uomini (erano 30mila
fino allaprile scorso). Il presidente Barack Obama, annunciando la nuova strategia, aveva detto in aprile
che sarebbero stati inviati a Kabul altri 21mila soldati. Ora le inattese
perdite del mese di luglio hanno dato alla questione Afghanistan unurgenza particolare. Ma che porterà ad un aumento dei
soldati,
non al loro ritiro.
(
da "Stampa, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Il
Cavaliere nel cocktail di saluto coi senatori «Chi di noi non vuole i soldati a
casa?» [FIRMA]FRANCESCA SCHIANCHI ROMA «Solo dopo le elezioni in Afghanistan
potremo pensare attentamente a una exit strategy dal Paese, ma solo concordata
con gli altri partner», dice il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi,
durante un cocktail di saluto, a Roma, con i senatori del Pdl. Ed è la prima,
cauta apertura a un'ipotesi-ritiro da Kabul che arriva dal premier, dopo giorni
di polemiche nella maggioranza. Cominciate a partire dalle dichiarazioni del
leader della Lega, Umberto Bossi: «Io li porterei a casa tutti, la missione
costa un sacco di soldi e visti i risultati e i costi bisognerebbe pensarci
su». Spalleggiato dal ministro, sempre del Carroccio, Roberto Calderoli: «Il
Libano e i Balcani intanto lasciamoli. E sull'Afghanistan ragioniamo». «Bossi
ragiona da papà, ma noi siamo ministri», il commento del titolare della Difesa,
Ignazio La Russa: «La presenza dei nostri militari in Afghanistan è
imprescindibile». Sulla stessa linea il collega del Pdl titolare degli Esteri,
Franco Frattini: «In Afghanistan si lavora anche per la sicurezza dell'Italia e
quindi di Calderoli». Fino alla smentita principe, due giorni fa: «La nostra
linea non cambia», è stato categorico il premier Berlusconi. Poi, ieri, per la
prima volta, ha prospettato un termine oltre al quale è lecito cominciare a
parlare di uscita dall'Afghanistan: «Dopo le elezioni», cioè dopo agosto, e
solamente «concordata con gli altri partner». A partire da americani e inglesi:
pronta ad aggiungere truppe ai novemila già inviati la Gran Bretagna. «Penso
che gli inglesi continueranno a stare in questa missione perché c'è una
strategia chiara e una chiara determinazione da parte degli Stati Uniti e gli
altri membri della coalizione ad arrivare fino in fondo. Gli inglesi sanno
quanto sia vitale questa missione perché sanno che l'Afghanistan è stato
l'incubatore del terrorismo globale», ha spiegato ieri a Washington il ministro
degli Esteri britannico David Miliband, incontrando il segretario di Stato
americano, Hillary Clinton. «E' una fase molto dura per tutti i Paesi che si
trovano in Aghanistan in questo momento, però voglio essere assolutamente
chiaro: abbiamo cominciato questa missione insieme e la finiremo insieme,
perché insieme siamo più forti». Dagli Stati Uniti, poi, stanno arrivando in
Afghanistan quattromila uomini in più, secondo il piano
varato dal presidente Obama,
che punta a salire da 38 mila a 59 mila uomini. «Con lui c'è una grande
collaborazione. E' un uomo colto e preparato, simpatico e con un grande amore
per la famiglia», lo loda Berlusconi. Oggi è previsto alle Commissioni Esteri e
Difesa del Senato il voto definitivo sul rifinanziamento delle missioni per i
prossimi quattro mesi. E ieri sera Berlusconi ha ricordato che al
momento si resta in missione. «Chi di noi non vorrebbe che i nostri soldati
tornassero a casa? Ma i giornali devono riempire le pagine e guardate cosa è
successo quando Bossi ha fatto una battuta - ha spiegato - ma noi dobbiamo essere
là e far crescere una democrazia». Soddisfatto comunque della cauta apertura il
leghista Roberto Cota: «Si dimostra che la riflessione fatta da Bossi è giusta
e anche molto ponderata».
(
da "Stampa, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
L'EX
SEGRETARIO DI STATO Colin Powell: "Anche io una vittima del razzismo"
NEW YORK «Anch'io sono stato oggetto di razzismo». L'ex Segretario di Stato
Usa, Colin Powell, si confessa intervenendo alla trasmissione di Larry King
sulla Cnn, e racconta della prassi dei «profili etnici» adoperata dalle forze
dell'ordine in America che spesso porta a discriminare cittadini afroamericani
o ispanici. «Sì, è avvenuto anche a me» dice l'ex generale, tracciando un
paragone con l'incidente di cui è stato protagonista il docente di Harvard
Henry Louis Gates. Ma proprio riferendosi a Gates aggiunge: «Forse ha reagito
troppo bruscamente» all'arrivo degli agenti». In questo modo Powell si schiera sulle stesse posizioni del presidente Barack Obama perché da una parte critica la
polizia di Cambridge osservando che «l'arresto non sarebbe dovuto avvenire» ma
dall'altra suggerisce che forse anche Gates ha commesso gravi errori. È questa
la cornice nella quale oggi pomeriggio nello Studio Ovale della Casa Bianca il
presidente riceve tanto Gates che il poliziotto Crowley, autore
dell'arresto, per «prendersi assieme una birra» - come suggeriscono i portavoce
- al fine di archiviare in fretta un episodio che ha causato imbarazzo a Obama, scivolato la scorsa settimana sull'uso dell'avverbio
«stupidamente» che in un primo momento aveva adoperato per descrivere
l'arresto, sollevando le aspre proteste delle associazioni di polizia. Durante
l'intervista tv King ha chiesto a Powell anche cosa pensasse di Sarah Palin,
l'ex candidata repubblicana alla vicepresidenza che si è appena dimessa da
governatrice dell'Alaska lasciando intendere di voler inseguire progetti
ambiziosi. «È una donna affascinante» ha risposto Powell, parlando da
repubblicano.\
(
da "Stampa, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
LA
PREVISIONE SULLE BORSE ECONOMIA GLOBALE "Più vicina la fine della
crisi" L'indice Dow Jones salirà oltre 10.000 punti entro fine anno il 15%
in più rispetto a oggi "Ma la ripresa è drogata dal governo" La
Federal Reserve: «Segnali di stabilità da New York a San Francisco» SEGNALI DI
SVOLTA La promessa «Abbasseremo i costi per lo Stato ed estenderemo la
copertura sanitaria a chi non l'ha» [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE NEW
YORK «Forse stiamo vedendo l'inizio della fine della recessione»: Barack Obama fa tappa in North Carolina e sottolinea i progressi
economici compiuti dalla sua amministrazione con il fine di spingere la classe
media a sostenere la riforma del sistema sanitario. Il presidente americano è
convinto che il maggiore ostacolo alla riforma siano le «molte informazioni
negative che circolano sull'impatto dello stimolo economico» da 787 miliardi di
dollari approvato dopo l'insediamento alla Casa Bianca. E' per scardinare
questo pessimismo che va incontro ai cittadini prima in un «town hall meeting»
a Raleigh, in North Carolina, e poi in un supermaket di Bristol, in Virginia,
disegnando uno scenario «diverso dalla disinformazione che circola». Ecco di
cosa si tratta: «Sappiamo bene che i momenti difficili non sono terminati ma
sappiamo anche se senza i passi compiuti la nostra malconcia economia sarebbe
in condizioni molto peggiori». Da qui la conclusione che grazie alla decisone
di «salvare le banche e i posti di lavoro nel settore dell'auto» come anche a
seguito «dell'impatto dello stimolo sull'economia» l'America «forse oggi
intravede l'inizio della fine della recessione». Obama
descrive una situazione in bilico, chiede ai cittadini di evitare facili
illusioni ma anche di non cedere al pessimismo di «chi ci critica con troppa
facilità a Washington dimenticando il pesante debito pubblico ereditato da
Bush». L'appello è «vedere che grazie allo stimolo economico la clsse media ha
avuto tagli fiscali e ricevuto gli aiuti per i lavoratori che hanno perso il
posto». L'intenzione del presidente è di far comprendere agli americani che si
avvicina la luce in fondo al tunnel, al fine di ottenere il sostegno necessario
per spingere il Congresso a varare la riforma della sanità che considera un
importante tassello alla ripresa. Se gli avversari repubblicani e i democratici
moderati temono che la «sanità universale» farà affondare il debito pubblico, Obama ribatte: «Abbasseremo i costi per lo Stato e
estenderemo la copertura a chi non ce l'ha». Il bisogno di arrivare nella
regione degli Appalachi, tradizionale bastione conservatore espugnato nelle
presienziali di novembre, nasce dal fatto che proprio deputati e senatori
democratici eletti in questi distretti sono coloro che fanno più resistenza a
Washington. Una buona notizia raggiunge il presidente all'uscita da Raleigh
quando viene a sapere che a Capitol Hill il capo di gabinetto Rahm Emanuel ha
siglato il primo accordo con i «Blue Dogs» - i democratici moderati - per
sbloccare il percorso della riforma alla Camera dei Rappresentanti. Dallo staff
trapela soddisfazione anche se, come ammette il portavoce Robert Gibbs, «la
strada da fare resta ancora molto lunga». Quando arriva a Bristol, Obama va ancora all'attacco dei «critici che diffondono
notizie errate» ed a sostegno della tesi che «vi sono dei segnali positivi»
cita il rapporto della Federal Reserve secondo cui nella maggiorana delle 12
regioni economiche degli Stati Uniti la «recessione sta diminuendo e l'attività
economista si sta stabilizzando, anche se a livelli bassi». Per la Fed di Ben
Bernanke i «segnali di stabilizzazione» arrivano infatti da New York,
Cleveland, Kansas City e San Francisco mentre a Chicago e St Louis «il declino
economico si sta moderando» a fronte delle permanenti difficoltà di Boston,
Filadelfia, Richmond, Atlanta e Dallas con l'eccezione negativa di Minneapolis
dove «la situazione sta peggiorando». I dati riguardano il mese di giugno e
includono anche l'andamento del mercato immobiliare portando il conservatore
«Wall Street Journal» a titolare «i prezzi delle case
stanno crescendo negli Stati Uniti» consentendo a Obama di chiudere la giornata-maratona in tono positivo.Se Obama vede una fine prossima della
recessione e un certo riavvio del ciclo in America probabilmente è nel giusto:
ma si tratta di una ripresa artificiale, perchè è guidata dalla spesa pubblica.
A un certo punto serviranno capitali di rischio, per una ripresa vera. Ma da
questo traguardo siamo ancora molto lontani». E' scettico Jason Trennert, anche
se dà ragione al presidente, come tiene a precisare, «nel breve termine». Mba
alla Wharton Business School, 41 anni di cui 15 anni da analista all'Isi Group
di New York prima di mettersi in proprio nel 2006 fondando Strategas, Trennert
è tra i più ascoltati guru di Wall Street. In aprile la Bibbia di Wall Street,
Barron's, gli ha dedicato una lunga intervista, e per il blog del gossip
finanziario Seeking Alpha è un «guru internazionale». La sua società, oltre 20
analisti nelle sedi di Manhattan, Washington e Ginevra, è specializzata nella
consulenza finanziaria ed economica agli investitori istituzionali: non investe
in proprio e non ha quindi conflitti d'interesse nel dare i suoi consigli e nel
fornire le sue analisi. Ecco come Trennert vede l'evolversi della crisi
americana. Il presidente è ottimista, sia pure con moderazione. Fa bene ad
esserlo? «Obama ha probabilmente ragione a dire che
l'economia sta reagendo allo stimolo degli investimenti pubblici. Ma si tratta
di un riavvio artificiale del ciclo, guidato appunto dalla spesa governativa.
Per questo è destinato a durare fintanto che durano le iniezioni di soldi dalle
casse pubbliche». E poi che cosa succederà? «Che qualcuno dovrà pagare. Questa
attuale forma di prosperità è legata all'impegno governativo, che non potrà
essere eterno. A un certo punto si dovrà fermare». E a quel punto... «I tassi
di interesse dovranno riprendere a salire. La Federal Reserve ha fatto sapere
che li terrà bassi ancora a lungo, ma Ben Bernanke è consapevole che arriverà
il momento in cui dovrà dire basta». Basta a che cosa? «La banca centrale sta
comprando i titoli di stato americani, e con ciò ne sostiene i prezzi
mantenendo bassi i tassi sul mercato. Ma nel momento in cui non potrà più
pagare, i tassi si alzeranno perchè le quotazioni dei bond scenderanno.
Ricordiamoci che il deficit americano è avviato ai due mila miliardi di
dollari, cioè è già arrivato al 14% del prodotto interno lordo». Ma i dati
dell'indice sul mercato delle case negli Stati Uniti, hanno indicato che i
prezzi sono risaliti in una dozzina di aree metropolitane su 20, e che per la
prima volta da tre anni la variazione trimestrale di maggio sul mese precedente
è stata positiva: non è un buon segno reale? «No. E' artificiale pure quello. A
sostenere le vendite sono i mutui agevolati dallo Stato e, ancora, i tassi
bassissimi della Fed. Se e quando si dovesse arrestare il sostegno pubblico
nelle diverse forme, anche il mercato del mattone dovrebbe muoversi sulle sue
gambe». E la Borsa? A marzo il Dow Jones delle blue chips era a quota 6500 e in
meno di cinque mesi ha registrato una crescita fino a superare i 9000 punti. E'
un'illusione ottica pure quella? «No, ma l'incremento riflette la situazione da
ripresa drogata di cui parlavo poc'anzi. E potrà anche salire ancora oltre
10mila entro la fine di dicembre, circa il 15% in più di dov'è adesso. Il
problema è che in un ciclo normale, a far bene sarebbero le azioni dei settori
tipici delle fasi espansive, come le catene di vendite al dettaglio che
traggono beneficio dall'aumento dei consumi. Invece, da vari mesi andiamo
suggerendo di stare sui settori dell'energia e dei materiali di base, perchè
sono quelli che possono lucrare i maggiori profitti dai programmi di spesa
governativi». Anche l'ottimismo moderato di Obama non
si è spinto a ipotizzare la fine delle perdite di posti di lavoro. Come la
vedete voi? «Ha fatto bene. E' vero che la velocità del calo è inferiore di
mese in mese, ma anche per noi si potrà toccare un picco dell'11% del tasso di
disoccupati. Solo i capitali di rischo e il tempo guariranno l'economia Usa
malata».
(
da "Stampa, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
L'ANNUNCIO
DOPO MESI DI TRATTATIVE E UN TENTATIVO FALLITO DI FUSIONE IN CIFRE Yahoo e
Microsoft alleanza anti-Google Risparmi per oltre cinquecento milioni Ma la
Borsa punisce l'ex leader del web I tre colossi della nuova frontiera Google
Fondato nel 1998, ha registrato un fatturato 21,79 miliardi di dollari nel
2008, con un utile netto di 4,22 miliardi di dollari. Alla fine dello scorso
anno l'azienda aveva 19.800 dipendenti. Il suo valore in Borsa è di 138
miliardi di dollari. Yahoo! Nato nel 1994, ha archiviato il 2008 con un
fatturato di 7,2 miliardi di dollari, e un utile netto di 424 milioni. Ha
13.600 dipendenti, il suo valore in Borsa è di 24 miliardi. Microsoft Fondato
nel 1975, è leader nella produzione di software: il 90% dei computer gira con i
suoi sistemi. [FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK Il matrimonio che andava fatto, alla
fine, è stato consumato. Yahoo, ex leader di Internet e Microsoft, campione del
software, hanno deciso di unire le loro forze nel redditizio e crescente
settore del traffico e della pubblicità sulla rete web, puntando così a
limitare lo strapotere di Google. Carol Bartz, amministratore delegato di Yahoo
e Steve Ballmer, il suo corrispettivo alla Microsoft, hanno enfatizzato questo
obiettivo nella conferenza a distanza con gli investitori: «Abbiamo da
fronteggiare un formidabile concorrente nel business dei motori di ricerca», ha
ammesso Bartz. «Ciò che è alla base di questo accordo è l'economia di scala».
Il sì è venuto dopo una corte reciproca e travagliata, passata attraverso un
precedente tentativo di fusione fallito, l'estromissione di un amministratore
delegato per un colpo di mano degli azionisti (il co-fondatore di Yahoo Jerry
Yang, dimesso nel novembre del 2008) e gli ultimi mesi di voci e di trattative
sotterranee. La partnership durerà 10 anni, che nell'era digitale sono
un'eternità. Nel 2020 si vedrà quali protagonisti saranno ancora lì, tra vecchi
e nuovi, a spartirsi il bottino degli avvisi commerciali generati dalle
navigazioni per i motori di ricerca. Ma adesso (dati di fine giugno), in un
mercato dove il prodigio Google rastrella con il suo sito il 65% del totale
delle ricerche, Yahoo circa il 20% e l'azienda fondata da Bill Gates circa
l'8,5%, la mappa dell'offerta, per gli utenti, si presenterà con questo nuovo
assetto: Yahoo ha accettato di utilizzare nei propri siti la tecnologia di
Bing, la nuova generazione dei motori di ricerca, lanciato da Microsoft;
Microsoft integrerà la tecnologia della ricerca Yahoo, nelle sue ricerche web;
e Yahoo, infine, venderà la pubblicità su entrambi i canali. Non sono state
date stime sul valore totale dell'intesa, e non c'è stato alcun pagamento di
cash da parte di Microsoft a Yahoo. Punita con un calo dell'8% in Borsa
all'annuncio delle condizioni dell'intesa «senza cash», Yahoo ha tenuto però a
far sapere che la partnership aumenterà di 500 milioni all'anno i suoi profitti
operativi e consentirà di risparmiare 275 milioni. Per i primi cinque anni,
l'accordo prevede una divisione delle entrate, con Microsoft che pagherà a
Yahoo l'88% del fatturato prodotto dai suoi siti. Oltre a ciò, Ballmer ha anche
aggiunto che Microsoft, il cui titolo è salito leggermente, dovrà investire
«diverse centinaia di milioni di dollari» nel breve termine. La linea di
business online di Microsoft, del resto, sta perdendo da tempo denaro e la
partnership era quindi sempre più urgente e vitale. Nella presentazione il
numero uno di Yahoo Bartz ha detto che «l'intesa porta con sé un gran carico di
valore per la nostra società, gli utenti e l'intero settore», e che «può porre
le basi per una nuova età di sviluppo ed innovazione su Internet». Ballmer, che
persegue da oltre un anno e mezzo il traguardo dell'unione delle forze con
Yahoo in funzione anti Google, gli ha fatto eco: «Questa partnership produrrà
più novità nella ricerca, in un mercato che oggi è dominato da una sola
compagnia». Perchè l'accordo possa diventare operativo occorre ora
l'autorizzazione dell'autorità per la difesa della concorrenza: la speranza dei
due top manager è che arrivi nella prima metà dell'anno venturo. Ma Ballmer ha anche detto che si teme una "opposizione"
sotto l'aspetto dell'antitrust da ciò che ha polemicamente bollato come
"il concorrente", un chiaro riferimento a Google. E' ben noto, e
preoccupante per Microsoft e Yahoo, che tra l'amministrazione Obama e Google i legami siano
strettissimi.
(
da "Stampa, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
"Il
vero obiettivo è conquistare il mercato cinese" [FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW
YORK Il matrimonio che andava fatto, alla fine, è stato consumato. Yahoo, ex
leader di Internet e Microsoft, campione del software, hanno deciso di unire le
loro forze nel redditizio e crescente settore del traffico e della pubblicità
sulla rete web, puntando così a limitare lo strapotere di Google. Carol Bartz,
amministratore delegato di Yahoo e Steve Ballmer, il suo corrispettivo alla
Microsoft, hanno enfatizzato questo obiettivo nella conferenza a distanza con
gli investitori: «Abbiamo da fronteggiare un formidabile concorrente nel
business dei motori di ricerca», ha ammesso Bartz. «Ciò che è alla base di
questo accordo è l'economia di scala». Il sì è venuto dopo una corte reciproca
e travagliata, passata attraverso un precedente tentativo di fusione fallito,
l'estromissione di un amministratore delegato per un colpo di mano degli
azionisti (il co-fondatore di Yahoo Jerry Yang, dimesso nel novembre del 2008)
e gli ultimi mesi di voci e di trattative sotterranee. La partnership durerà 10
anni, che nell'era digitale sono un'eternità. Nel 2020 si vedrà quali
protagonisti saranno ancora lì, tra vecchi e nuovi, a spartirsi il bottino
degli avvisi commerciali generati dalle navigazioni per i motori di ricerca. Ma
adesso (dati di fine giugno), in un mercato dove il prodigio Google rastrella
con il suo sito il 65% del totale delle ricerche, Yahoo circa il 20% e
l'azienda fondata da Bill Gates circa l'8,5%, la mappa dell'offerta, per gli
utenti, si presenterà con questo nuovo assetto: Yahoo ha accettato di
utilizzare nei propri siti la tecnologia di Bing, la nuova generazione dei
motori di ricerca, lanciato da Microsoft; Microsoft integrerà la tecnologia
della ricerca Yahoo, nelle sue ricerche web; e Yahoo, infine, venderà la
pubblicità su entrambi i canali. Non sono state date stime sul valore totale
dell'intesa, e non c'è stato alcun pagamento di cash da parte di Microsoft a
Yahoo. Punita con un calo dell'8% in Borsa all'annuncio delle condizioni
dell'intesa «senza cash», Yahoo ha tenuto però a far sapere che la partnership
aumenterà di 500 milioni all'anno i suoi profitti operativi e consentirà di
risparmiare 275 milioni. Per i primi cinque anni, l'accordo prevede una
divisione delle entrate, con Microsoft che pagherà a Yahoo l'88% del fatturato
prodotto dai suoi siti. Oltre a ciò, Ballmer ha anche aggiunto che Microsoft,
il cui titolo è salito leggermente, dovrà investire «diverse centinaia di
milioni di dollari» nel breve termine. La linea di business online di
Microsoft, del resto, sta perdendo da tempo denaro e la partnership era quindi
sempre più urgente e vitale. Nella presentazione il numero uno di Yahoo Bartz
ha detto che «l'intesa porta con sé un gran carico di valore per la nostra
società, gli utenti e l'intero settore», e che «può porre le basi per una nuova
età di sviluppo ed innovazione su Internet». Ballmer, che persegue da oltre un
anno e mezzo il traguardo dell'unione delle forze con Yahoo in funzione anti
Google, gli ha fatto eco: «Questa partnership produrrà più novità nella
ricerca, in un mercato che oggi è dominato da una sola compagnia». Perchè
l'accordo possa diventare operativo occorre ora l'autorizzazione dell'autorità
per la difesa della concorrenza: la speranza dei due top manager è che arrivi
nella prima metà dell'anno venturo. Ma Ballmer ha anche detto che si teme una
"opposizione" sotto l'aspetto dell'antitrust da ciò che ha
polemicamente bollato come "il concorrente", un chiaro riferimento a
Google. E' ben noto, e preoccupante per Microsoft e Yahoo, che tra l'amministrazione Obama e Google i legami siano strettissimi. «Il patto che è stato
raggiunto fra Yahoo e Microsoft punta alla conquista del mercato cinese». Allen
Sinai, guru della finanza di Wall Street, legge l'accordo sulla nascita del
nuovo motore di ricerca come «l'inizio di una sfida globale per i controllo del
web che va ben oltre i confini americani». Ma l'obiettivo di Yahoo e
Microsoft non è anzitutto fare concorrenza a Google? «Questo è quello che lasciano
intendere perché è lo scenario più ovvio. La realtà a mio avviso è un po'
diversa. Google è un gigante che sui nostri mercati vive di luce propria,
difficilmente vedrà il proprio predominio sui motori di ricerca intaccato dal
patto fra Yahoo e Microsoft. Altra cosa invece è la competizione per il
controllo dei nuovi mercati di Internet...». A chi pensa? «Anzitutto alla Cina.
Il numero di utenti Internet cresce in maniera vertiginosa, con conseguenze a
pioggia su investimenti e pubblicità. Yahoo e Microsoft una volta assieme
punteranno ad offrire ai cinesi il motore di ricerca più adatto alle
caratteristiche di quel mercato. Google al momento è senza concorrenti sul
mercato in lingua inglese ma le economie emergenti parlano e scrivono in idiomi
che non si scrivono in caratteri latini». Ma Google c'è anche in Cina...
«Certo, ma non ha una posizione così dominante come avviene da noi. E si tratta
di un mercato in rapida espansione. Sarà su questo terreno che vedremo le
maggiori novità. E' qui che si svilupperà la nuova concorrenza per gli utenti
del web. A vederne gli effetti saranno prima gli utenti di New Delhi e di
Shangai piuttosto che quelli europei o nordamericani». Prevede obiezioni da
parte dell'antitrust americana al patto che è stato siglato? «Prevedo controlli
molto severi. Le regole dell'antitrust negli Stati Uniti sono molto rigide e
Yahoo e Microsoft dovranno saper dare tutte le spiegazioni necessarie ma non
credo che alla fine vi saranno obiezioni tali da far deragliare il progetto. La
maggiore curiosità per gli investitori in questo momento non riguarda i rischi
ma le opportunità dell'intesa Yahoo-Microsoft ovvero da dove inizieranno a
muoversi. E io credo è che inizieranno dalla Cina». La notizia dell'accordo
Yahoo-Microsoft è arrivata poco prima che Obama
parlasse in North Carolina di possibile fine della recessione. Cosa sta
avvenendo nell'economia americana? «Siamo in una fase di passaggio. C'è la
sensazione che il peggio sia alle spalle ma nessuno è sicuro sulla possibilità
di riprendere la crescita. Le previsioni parlano di una possibile, lenta,
ripresa fra l'estate e l'autunno. I prossimi 3-4 mesi saranno dunque decisivi
ma bisogna essere molto prudenti su cosa potrà avvenire per il semplice fatto
che se alcuni indicatori, come il mercato immobiliare, mostrano dei leggeri
segnali di ripresa sul fronte dell'occupazione invece stiamo andando incontro
ad un tasso del 10 per cento. Molti americani stanno perdere il posto ed
altrettanti lo perderanno nelle prossime settimane. Tutto ciò non farà certo
bene ai consumi. Per superare la recessione serve la convergenza fra ripresa
dell'occupazione e ripresa del mercato immobiliare. Ancora non ci siamo». Come
spiega allora le parole del presidente Obama? «Sta
dicendo la verità ai cittadini. Vuole trasmettere la sensazione che siamo in un
momento di transizione, che le cose possono andare nel verso giusto come in
quello errato». Quali sono i segnali positivi che vede nell'economia?
«L'aumento delle spese aziendali. Hanno segnato un progressivo, e sostenuto,
incremento negli ultimi mesi».
(
da "Stampa, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
il caso
Maquillage al campo prima dell'amichevole per scongiurare la fuga "Genoa,
non lasciarci" Acqui a colpi di ruspa si tiene stretti i rossoblù GIOVANNI
FACELLI ACQUI TERME In questi giorni quando si arriva in Piazza Italia si viene accolti da un grande striscione rossoblù che riprende nello
stile e nei contenuti i manifesti della campagna elettorale di Obama, ma il volto rappresentato è
quello di un altro presidente. Un sorridente Enrico Preziosi con il motto «Yes
we go» è una scelta di immagine importante a sottolineare il ritorno in Europa
di una delle squadre che hanno scritto la storia del calcio. Ma qui in
realtà si spera non si parli di un «Back to home», di un ritorno a casa. Il
Genoa è infatti arrivato ad Acqui lunedì scorso per rinnovare ancora con la
città termale quel sodalizio che dura da molto tempo. In tanti ricordano i
memorabili allenamenti del grande professor Scoglio sui campi di Mombarone o de
La Sorgente. Purtroppo le condizioni del terreno dello stadio Ottolenghi non
erano ottimali e pare che il tecnico rossoblù Gasperini non l'abbia presa bene.
Comunque ieri si è giocata l'amichevole contro i padroni di casa, qualcuno
aveva proposto di posticiparla ad oggi, poi si è deciso di evitare lo
spostamento per rispetto nei confronti dei tanti tifosi giunti a seguire la
squadra in questo periodo di preparazione. L'amministrazione comunale acquese
ha fatto di tutto per salvare una situazione che si era prospettata critica: un
lavoro a tempo di record. Martedì le ruspe hanno lavorato tutto il giorno, si
sono fermate solo quando è arrivata la squadra e hanno poi ripreso anche dopo
le 19. Oggi e domani sono previsti altri allenamenti, sabato trasferimento a
Cuneo per la sfida con il Nizza. Mentre da alcuni giornali genovesi rimbalza la
notizia che da lunedì la squadra potrebbe spostarsi altrove. Si è parlato anche
dello stadio Signorini di Pegli, l'ipotesi non sembra concreta in quanto anche
là ci sono lavori in corso. Più realistico a questo punto è che la società
decida di fermarsi ad Acqui. La città intanto risponde con grande entusiasmo e
in molti sperano che la permanenza del Genoa non finisca a breve. I titolari
degli esercizi commerciali vedono giungere in città in queste ore tanti tifosi
rossoblù. Gasperini poco prima di cena passeggiava sotto i portici all'inizio
di corso Bagni, parlando al cellulare: una coppia si è complimentata con lui,
che ha risposto con un sorriso, lasciandosi fotografare senza remore. La
nutrita comunità marocchina del posto, con tanti bambini, ha atteso Kharja
fuori dall'albergo per poi acclamarlo. E' il capitano della nazionale
marocchina e, appena arrivato al Genoa, ha segnato nell'ultima amichevole
contro l'Anderlecht. Intanto anche l'altro nuovo acquisto, Palacio, è stato
presentato alle 18 di ieri al Grand Hotel Nuove Terme.
(
da "Stampa, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Le
esecuzioni capitali A cura di Giacomo Galeazzi Quando la morte è decisa dallo
Stato Qual è la situazione della pena di morte nel mondo? Secondo il rapporto
di «Nessuno tocchi Caino», nel 2008 sono state eseguite in 26 Paesi 5727
esecuzioni capitali (124 in meno rispetto al 2007). Con almeno 5 mila
esecuzioni la Cina si è aggiudicata il macabro primato di nazione con il
maggior numero di condannati a morte: l'87,3% del totale. Seguono Iran (almeno
346), Arabia Saudita (102), Corea del Nord (63), Usa (37), Pakistan (36), Iraq
(34). Ma il bilancio potrebbe anche essere anche più «pesante», visto che in
alcuni Paesi (Cina, Vietnam, Bielorussia e Mongolia) le esecuzioni sono
protette dal segreto di Stato. L'Arabia Saudita è terza nella «black list» in
termini assoluti, ma è prima in percentuale sulla popolazione: le esecuzioni
avvengono in pubblico, per decapitazione, nei cortili fuori le moschee più
frequentate dopo la preghiera del venerdì. Il boia è in azione anche in Europa?
L'Europa sarebbe libera dalla pena di morte, se non fosse per la Bielorussia,
dove anche dopo la fine dell'Urss non si è mai smesso di condannare a morte.
Secondo stime non ufficiali, 400 persone sono state giustiziate dal 1991. In
base a dati ufficiali, oltre 160 sentenze capitali sono state eseguite dal 1997
al 2008. Per quanto riguarda il resto dell'Europa, a parte la Lettonia (che
prevede la pena di morte solo per reati commessi in tempo di guerra), gli altri
Stati europei hanno abolito la pena di morte in tutte le circostanze. Quanto
incide la forma di governo? Molto. Dei 46 Stati che mantengono la pena di
morte, 36 sono dittatoriali, autoritari o illiberali. In 20, nel 2008, sono
state compiute almeno 5662 esecuzioni, il 98,9% del totale. Degli altri 10
Paesi, definiti democrazie liberali, 6 hanno applicato la pena di morte e hanno
effettuato 65 esecuzioni (l'1,1% del totale): Usa (37), Giappone (15),
Indonesia (10). Arrivano segnali incoraggianti dalla Cina? Sì. Anche se la pena
di morte continua a essere considerata un segreto di Stato, negli ultimi anni
le condanne a morte sarebbero diminuite, fino a un 30% in meno. Nel gennaio
2007 è entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna emessa da
tribunali di grado inferiore dev'essere rivista dalla Corte Suprema: questa, da
parte sua, ha reso noto di aver annullato il 15% delle condanne esaminate nel
2007 e nei primi 6 mesi del 2008. Nonostante questi primi segnali garantisti,
però, nel tritacarne giudiziario cinese continuano a finire imputati di reati
violenti e non violenti, mentre gli avvocati denunciano il fatto di non aver
accesso ai loro clienti e che molte confessioni sono estorte. Esiste inoltre un
doppio standard: funzionari pubblici che si appropriano indebitamente di
milioni sono condannati a morte, ma con la sospensione della pena, mentre
comuni cittadini condannati per aver rubato molto meno muoiono con l'iniezione
letale o con un colpo alla nuca. Esiste un problema-Iran anche in questo campo?
Sì. Anche nel 2008 l'Iran si è piazzato al secondo posto quanto a esecuzioni
(346). Qui la situazione non sembra mostrare segni di un'inversione di rotta,
visto che nel 2009 (al 31 maggio) erano già state effettuate almeno 200
esecuzioni. Inoltre la Repubblica Islamica è stato l'unico Paese al mondo ad
aver praticato nel 2008 la pena di morte nei confronti di persone che avevano
meno di 18 anni al momento del reato: 13 minori sono stati giustiziati violando
la Convenzione sui Diritti del Fanciullo. Queste esecuzioni di minori sono
continuate anche nel 2009 e, al 30 giugno, erano già 4. L'impiccagione è il
metodo più utilizzato per l'applicazione della «sharia», ma è stata praticata
anche la lapidazione in 2 casi nel 2008 (e uno nel 2009). A riprova di questa
recrudescenza anche nel 2008 sono continuate le esecuzioni di massa. Gli Usa stanno cambiando con Obama? I segnali restano contrastanti. Da un lato, infatti, la Corte
Suprema ha confermato la legittimità dell'iniezione letale, in quanto «una
certa quota di dolore» nell'esecuzione è inevitabile, dall'altro il New Mexico
ha abolito la pena di morte. Questa decisione risale al 18 marzo 2009: è
la seconda in 40 anni, dopo quella del New Jersey del 2007. Al governatore Bill
Richardson e alla parlamentare Gail Chasey è andato quest'anno, «ex aequo», il
premio «Abolizionista dell'Anno», promosso da «Nessuno tocchi Caino» quale
riconoscimento alla personalità che si è impegnata sul fronte della moratoria
delle esecuzioni capitali e dell'abolizione della pena di morte. Intanto, però,
la moratoria «de facto» iniziata il 25 settembre 2007, quando la Corte Suprema
aveva annunciato di voler discutere la costituzionalità dell'iniezione letale,
si è conclusa con il verdetto emesso il 16 aprile 2008. I dati rivelano che il
95% di tutte le esecuzioni è stato effettuato nel Sud: 18 in Texas (il 48% di
tutte quelle Usa). L'unico Stato non del Sud a compiere esecuzioni è stato
l'Ohio.
(
da "Repubblica, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 1
- Prima Pagina Ottimista anche la Fed sulla recessione. Bce: si allenta la stretta al credito Obama: tempi ancora duri ma la crisi sta per finire FEDERICO RAMPINI
«La recessione è finita!». è un titolo di copertina del settimanale Newsweek il
pretesto usato da Barack Obama: per cavalcare la speranza di una ripresa imminente, incassare i
primi dati positivi dall´economia reale, e difendere la propria politica
economica. Il presidente è cauto, non vuole prestare il fianco alle
accuse di ottimismo irresponsabile. SEGUE A PAGINA 5
(
da "Repubblica, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
12 - Esteri La diplomazia Terzi ambasciatore italiano a Washington, domani la
nomina Oltre a Silvio Berlusconi, anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano
e il presidente della Camera Gianfranco Fini (ex ministro degli Esteri) hanno
seguito il processo decisionale in prima persona: domani il ministro degli
Esteri Frattini porta in Consiglio dei ministri la più importante tornata di
nomine diplomatiche da quando il Pdl è tornato al governo. L´incarico centrale
è quello di ambasciatore d´Italia a Washington: il prescelto è Giulio Terzi, da
poco più di un anno rappresentante italiano all´Onu dopo essere stato direttore
generale degli affari politici alla Farnesina. Sostituisce Gianni Castellaneta
che era arrivato a Washington dopo gli anni trascorsi a Roma come consigliere
diplomatico di Berlusconi. Negli anni di Bush Castellaneta era riuscito a
intrecciare buoni rapporti con l´amministrazione repubblicana, aprendo la sua
residenza a ministri come Condoleezza Rice o John Ashcroft. Ma
contemporaneamente aveva incaricato un suo attivo funzionario (Luca Ferrari) di avviare il dialogo con i leader del Partito democratico che ha
poi portato Barack Obama
alla presidenza. Nell´ufficio di 2 Millenium Plaza, di fronte al Palazzo di
Vetro, al suo posto arriverà Cesare Ragaglini, fino ad oggi direttore generale
per il Medio Oriente, uno dei diplomatici col grado di ambasciatore più giovani
e combattivi. Ragaglini è stato anche lui a Palazzo Chigi consigliere di
Berlusconi, ma poi ha lavorato al fianco di D´Alema su Libano e Iran, i dossier
più caldi in politica estera di cui il governo di Prodi si sia occupato.
Proprio sull´Iran Ragaglini ha provato a tessere la tela del coinvolgimento di
Teheran nella stabilizzazione dell´Afghanistan, con il conseguente invito al vertice
di Trieste, disertato dopo il caos esploso in Iran dopo le elezioni. (v. n.)
(
da "Repubblica, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
13 - Esteri Janet Napolitano, ministro degli Interni Usa, prepara piani per la
sicurezza che coinvolgano direttamente la popolazione "Cittadini americani
impegnatevi di più la lotta al terrorismo riguarda anche voi" "Con un
nemico che si ramifica in rete, in rete si deve ramificare la nostra
risposta" ANGELO AQUARO DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Nell´America di Obama anche la guerra al terrore ricomincia dal basso. «Per troppo
tempo abbiamo trattato la gente come soggetto passivo e da proteggere, piuttosto
che bene prezioso per la sicurezza nazionale». In uno dei primi discorsi dalla
designazione di gennaio, Janet Napolitano, il ministro dell´Interno che Barack
ha scelto per rileggere la dottrina antiterrore di Bush, non ha
illustrato i «nuovi piani» che il Wall Street Journal aveva predetto, ma ha
comunque tracciato le «linee guida» della svolta. «Basta con la confusione,
l´ansia e la paura: abbiamo bisogno di una cultura della responsabilità
collettiva, nella quale ciascuno abbia un suo ruolo. Siete voi cittadini i
primi a sapere se c´è qualcosa che non va nella vostra comunità», ha detto
Napolitano parlando al Council on Foreign Relations. Le minacce, oggi, sono
ancora più complesse che l´11 settembre, colpa anche della vulnerabilità della
rete: «I mezzi che permettono di creare violenza e caos sono facili da trovare
come quelli che permettono di procurarsi musica online». Il richiamo
all´antiterrorismo della porta accanto arriva mentre sui teleschermi scorrono
le immagini dell´ultima cellula scoperta, un gruppo del North Carolina pronto a
portare la jihad all´estero (per gli investigatori «non ci sono elementi che
lascino ipotizzare attentati in America») e guidato da un americano, Daniel
Patrick Boyd. Il ministro italo-americano ha anche ammesso divisioni e rivalità
che hanno caratterizzato nel passato la struttura antiterrore. «Dalla Cia
all´Fbi, le strutture devono condividere le informazioni. L´approccio deve
essere il più ramificato possibile: abbiamo un nemico che si ramifica in rete,
e in rete si deve ramificare la nostra risposta: rafforzamento delle strutture
locali, coordinamento federale, coinvolgimento dei cittadini». L´allarme che
parte dal basso è il frutto di una strategia sviluppata sulla base di un report
intitolato, come fosse un programma di Internet, «Sicurezza nazionale 3.0». Ma
il ministro ha anche risposto, a domanda diretta sull´eredità delle norme
anti-terrore di Bush, che per ora non si tratta di mettere mano a nuove leggi
«ma di rivedere l´approccio. Avremo più possibilità di successo se rafforzeremo
la nostra struttura, riconoscendo i talenti e le energie di tutti gli
americani», ha concluso prima di recarsi in pellegrinaggio a Ground Zero: 2.750
morti, otto anni e tante norme-antiterrore fa.
(
da "Repubblica, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
XIII - Genova Wynton Marsalis, la poesia del jazz La Fortezza Firmafede di
Sarzana ospita stasera il grande jazzista statunitense LUCIA MARCHIO lucia
marchiò «Un assolo? è un monologo in cui affermiamo la nostra esistenza».
Poesia in musica, insomma, in cui il jazz occupa un posto speciale
nell´esistenza di ognuno. Parola del grande trombettista Wynton Marsalis, che
stasera - insieme alla Jazz at Lincoln Center Orchestra - chiuderà in bellezza
con la sua performance la diciottesima edizione di Sconfinando, il festival
internazionale di musiche e suoni dal mondo ideato dall´infaticabile direttrice
artistica Carmen Bertacchi, di scena nella suggestiva Fortezza Firmafede della
Cittadella a Sarzana, in pieno centro storico. Il vincitore di tanti Grammy Award,
già considerato ragazzo-prodigio del jazz negli anni 80, a fianco degli «Young Lions», arriva a Sarzana dopo
la magistrale esibizione a Perugia nell´ambito di Umbria Jazz, ove ha riscosso
i dovuti tributi con questa celeberrima orchestra, la cui formazione è la stessa che si esibì davanti al presidente
americano Barack Obama nel
giorno dell´insediamento lo scorso 19 gennaio (tra l´altro con il giovanissimo
genio del sax nostrano, il siculo Francesco Cafiso, già al suo fianco a soli 14
anni). Stasera di sicuro non ripeterà il celeberrimo Concert for Obama, ma qualche rimando alle
composizioni della tradizione swing e blues, da Thelonius Monk ad
Armstrong e Gillespie sino a Clifford Brown, sino a quelle di New Orleans da
lui studiate e amate sin dagli esordi, è auspicabile. Marsalis incarna
inopinabilmente l´anima più conservatrice e vetusta della musica afroamericana,
ma è altresì molto amato dalla critica non solo per la sua personalissima e
perfetta tecnica moderna, ma per come ha saputo interpretare e riassumere le
influenze del jazz di epoche diverse. «Il jazz non è solo musica, bensì un modo
di stare nel mondo, e di stare con gli altri», ribadisce lui persino nella sua
libro autobiografico Come il jazz può cambiarti la vita. Il perchè lo spiega
quasi filosofeggiando, rimarcando che a lui, il jazz ha insegnato a vivere da
che decise di diventare un musicista, all´età di 12 anni. «E´stato creato dai
discendenti degli schiavi, ma sa parlare di libertà. E´ figlio della malinconia
del blues, ma sa lasciarsi andare alla felicità più pura. Le sue radici sono
nella tradizione, ma la sua sfida è la continua innovazione. E anche se vive di
tensioni armoniche e ritmiche, ha saputo e sa essere ancora messaggero di
pace». Un pensiero che non si può contraddire, al pari delle sue elucubrazioni
sulla nostra esistenza, assimilabili a quelle del jazz, attraverso il jazz e il
blues, che è «la musica di tutti, perché è il suono della vita e al tempo
stesso amore/dolore, e detta un messaggio realistico, ovvero che le cose non
sono mai tanto brutte da non poter andar peggio», mentre lo swing «è l´arte di
arrivare a un patto con qualcuno, è una metafora della democrazia. E il jazz?
«è un allenamento alla democrazia, perchè improvvisare è come mutare idea in
continuazione; significa che in fondo, si è sempre pronti a cambiare per
raggiungere un accordo». Ore 21.30. Ingresso I platea 65€+prev. II° platea
55€+prev. Prevendita e biglietteria 0585.811014; Iat Sarzana 0187620419.
(
da "Repubblica, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
19 - Cronaca La rivincita dello zucchero torna campione in tavola e al mercato
diventa oro Il maltempo in India e Brasile ne ha fatto lievitare il prezzo
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) ETTORE LIVINI Michelle Obama l´ha sdoganato dal ghetto del
cibo-spazzatura: «è un prodotto naturale. Alle mie figlie non darò mai
dolcificanti». Le alluvioni sulle piantagioni di canna in Brasile e un monsone
troppo secco in India (i due maggiori produttori mondiali) hanno fatto il
resto: i raccolti saranno inferiori al previsto e il prezzo dell´oro
bianco della tavola è schizzato alle stelle. A gennaio per una libbra si
pagavano 13,38 cent. Oggi siamo a 18,4, il 50% in più, a un soffio dal massimo
di 28 anni fa. Un balzo che in Europa, dove il mercato è sussidiato dalla Ue,
non dovrebbe avere riflessi sui costi al dettaglio. La riabilitazione dell´ex
nemico numero uno di girovita e placche dentali non è solo una questione di
numeri. I consumi - malgrado lo sbarco in supermercati e bar di surrogati
d´ogni tipo - non hanno mai ceduto: lo zucchero continua a fornire il 7% delle
calorie bruciate ogni giorno sul pianeta, con 160 milioni di tonnellate (un
record) venduti nel 2008. A segnare la fine di due decenni di amarissima gogna
mediatica, però, è stata la resa dei suoi detrattori: Pepsi Cola, per dire,
dopo anni di marketing a base di prodotti sugar-free, diet e light ha appena
lanciato la versione "Natural". Dove il marchio, un vero ribaltone
ideologico, è giustificato dal fatto che in bottiglia c´è solo zucchero puro.
L´ostracismo commerciale è finito. Il più dolce dei carboidrati non è più un
ingrediente da occultare a caratteri microscopici in fondo alle etichette.
«Hanno provato a metterci in ginocchio in ogni modo - dice Giovanni Tamburini,
presidente di Unionzucchero, l´associazione di settore - . Ma alla fine sono
venuti a Canossa: il nostro è un prodotto naturale al cento per cento, una
molecola purissima e che si conserva per vent´anni». Il valore energetico, 15
calorie a cucchiaino, obbliga a consumi moderati (in Italia siamo a 26 chili a
testa l´anno, contro i 45 del Belgio e i 58 dei brasiliani). Ma l´uso di
surrogati come aspartame e saccarina - parola della Texas University - aumenta
del 41% il rischio di ingrassare perché con la coscienza a posto, dicono gli
scienziati, si mangia di più. Il business dei surrogati così si è arenato a un
modesto 4% di un mercato che oggi vale più di 70 miliardi. Ma i pericoli per il
futuro dello zucchero non sono finiti. A fine 2008 gli Stati Uniti hanno dato
l´ok all´uso della Stevia, la pianta sudamericana "zero calorie" che
da secoli gli indigeni Guaranì usano per dolcificare i loro piatti. Proibita in
Europa, in Giappone ha già conquistato una bella quota di mercato. La
resurrezione dell´oro bianco però, come confermano le antenne sensibili dei
mercati, non è un fenomeno transitorio. Anche perché la canna (che garantisce
il 75% del prodotto finito) viene trasformata in carburante come bio-etanolo.
In caso di carenza di materia prima, comunque, il futuro è già qui. I telescopi
della Nasa hanno individuato zucchero ghiacciato nella nebulosa Sagittarius B2.
L´unico problema è avere qualche anno-luce di tempo per recuperarlo e versarlo
nella tazzina di caffè.
(
da "Repubblica, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 5
- Esteri Oggi alla Casa Bianca per bere una "light" il professore
nero e il poliziotto che lo arrestò La diplomazia alla birra del
"Presidente-barista" ANGELO AQUARO DAL NOSTRO
INVIATO NEW YORK - La notte in cui sembrava che il mondo stesse cambiando
davvero, Barack Obama
stappò 3mila bottiglie di 312 Urban Wheat Ale, la birra più chic prodotta dalla
Goose Island, marchio-simbolo della sua Chicago da bere. Questa sera, se le
indiscrezioni saranno confermate, brinderà con la più prosaica Bud (e pure
light). Ma la domanda è: riuscirà il bartender in chief,
comandante-barista, come lo chiama ora il velenosissimo New York Post, a
spegnere con un bicchiere di birra il Gates-gate, lo scandalo del professore
nero che ha accusato di razzismo il poliziotto che lo ha arrestato in casa?
Ancora ieri, la donna che ha dato il via all´incredibile vicenda («ci sono due
tizi che cercano di forzare una porta, qui a Cambridge») ha indetto una
conferenza stampa, quasi fosse lei, Lucia Whalen, il capo di Stato, per dire
che lo rifarebbe ma che lei non ha mai detto che quei due uomini «erano neri».
La verità era già saltata fuori dalle registrazioni della polizia. Che svelano,
anche, la reazione scomposta del luminare di Harvard, Louis Henry Gates,
all´invito del sergente di origine irlandese James Crowley a qualificarsi («C´è
qui un signore che dice di essere il proprietario, ma non è molto cooperativo.....»).
Con il ricevimento alla Casa Bianca, Obama vuole
chiudere il caso che lui stesso aveva amplificato, prima accusando la polizia
di aver agito «stupidamente», poi facendo pubblica marcia indietro. «Dovevo
considerare meglio le parole, ora ho invitato il professore e il sergente a
chiarire tutto davanti a una birra». Già, ma quale? Il totoboccale ha impazzato
fino a ieri. Il sergente beve Blue Moon, birra scura di origine belga. Anzi,
proprio con quella birra in mano avrebbe risposto al presidente che lo chiamava
per chiedergli scusa durante la pausa pranzo al Tommy Doyles´Irish Pub. Altri
gusti per il professor Gates che, filologicamente, preferisce la Red Stripe,
vera bandiera afro-caraibica. In realtà la birra più gettonata dai sondaggi che
si sono scatenati in rete è la Samuel Adams, uno dei successi di marketing
degli ultimi vent´anni, e per di più made in Boston, capitale di quel
Massachusetts teatro della vicenda. Ora, se il presidente ha davvero scelto la
vecchia Bud in fondo è perché è la più amata e venduta d´America, 22 per cento
del mercato. Peccato sia anche un simbolo di un famoso «furto» industriale,
modellata a immagine e somiglianza, era il 1870, della birra imbottigliata
nella città boema Budweiss. Non basta: la storica birreria di Saint Louis oggi
è proprietà dell´Anheuser-Busch InBev. Che è una multinazionale. E belga.
(
da "Repubblica, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 5
- Esteri Sanità e riforme Vertice di governo nel weekend
WASHINGTON - Il presidente Usa Barack Obama, il suo vice Joe Biden e 22 membri di governo si riuniranno a
Washington venerdì e sabato. Obiettivo: una maratona di riunioni per fare il
punto sui primi sei mesi di presidenza e programmare un autunno di riforme che
si preannuncia caldo. Proprio di ieri l´annuncio di un compromesso
bipartisan sull´attesa riforma della sanità.
(
da "Repubblica, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 5
- Esteri Economia in ripresa Il mercato del lavoro Obama: "La recessione sta per finire" "Abbiamo fermato
il tracollo, ma ci saranno ancora tempi duri" Il presidente contro i
repubblicani: "Non è ancora il momento per i tagli di spesa" Ma la
crisi comincia a colpire anche il suo indice di gradimento: ora è al 53 per
cento Il sistema finanziario non è più sull´orlo del collasso La perdita di
posti di lavoro è due volte meno rapida di quando sono diventato
presidente sei mesi fa Le cose vanno meglio Abbiamo evitato che la recessione
si trasformasse in depressione. Ma è una magra consolazione se siete fra quelli
che hanno perso il lavoro, e non riuscite a trovarne un altro (SEGUE DALLA
PRIMA PAGINA) FEDERICO RAMPINI Perciò da avido lettore di giornali si appropria
di quel titolo di copertina che è accompagnato da un´illustrazione ambigua: un
palloncino gonfio d´aria, verso cui punta minaccioso un ago pronto a
sgonfiarlo. In un incontro con i cittadini di Raleigh, nel North Carolina,
formato botta-e-risposta da campagna elettorale, Obama
calibra il messaggio. «La verità è questa: abbiamo fermato la caduta libera. I
mercati hanno recuperato. Il sistema finanziario non è più sull´orlo del
collasso. La perdita di posti di lavoro è due volte meno rapida di quando sono
diventato presidente sei mesi fa. I prezzi delle case hanno ricominciato a
salire per la prima volta da tre anni. Non c´è dubbio che le cose vanno
meglio». Segue l´affondo contro i repubblicani: prima gli hanno lasciato in
eredità un´economia stremata e un deficit pubblico già alle stelle; ora lo
accusano di spesa facile, gli rinfacciano i costi del salvataggio delle banche
e dell´industria automobilistica. «Scongelando il mercato del credito - si
difende il presidente - abbiamo riavviato i prestiti alle famiglie e alle
imprese, abbiamo evitato che la recessione si trasformasse in depressione.
Verrà il momento di stringere la cinghia per risanare i conti pubblici, ma non
ora, non quando l´economia si sta risollevando dalla crisi». Perché il
palloncino gonfiato di Newsweek non vola in alto per tutti. Obama
ricorda che i segnali di miglioramento «sono una magra consolazione se siete
fra quelli che hanno perso il lavoro, e non riuscite a trovarne un altro».
Dietro questo avvertimento c´è un´amara certezza: per milioni di famiglie
americane la condizione sociale è ancora destinata ad aggravarsi. Lo va
ripetendo il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke: in ogni ciclo
economico, la fine "tecnica" della recessione (quando cioè il Pil
smette di de-crescere) non coincide con la ripresa dell´occupazione. Il mercato
del lavoro è l´ultimo a beneficiare della ripresa. A maggior ragione questo
sarà vero dopo una crisi che per la sua durata ha già battuto ogni record
storico dopo la Grande Depressione degli anni Trenta. Perciò il discorso di Obama a Raleigh è un esercizio di equilibrismo. Deve
incoraggiare, diffondere fiducia. Senza però apparire insensibile alla middle
class in affanno, alle prese con pignoramenti giudiziari, mutui insolventi,
ratei sugli scoperti delle carte di credito, ristrutturazioni aziendali
drastiche. è un clima sociale che Obama non riesce più
a scaricare interamente sul bilancio dell´Amministrazione Bush: ormai il
disagio economico "stinge" anche su di lui, con un indice di
approvazione sceso al 53%, secondo l´ultimo sondaggio della National Public Radio.
Nella sua pedagogia della fiducia il presidente è aiutato da un importante
studio della banca centrale. Il Libro Beige della Federal Reserve, un´indagine
periodica sullo stato dell´economia reale, conferma la diagnosi del presidente:
il mercato del lavoro e quello immobiliare restano deboli; in entrambe i
settori però ci sono segnali incoraggianti che il peggio è passato, che la fase
più acuta della recessione è ormai alle spalle. Ma nelle stesse ore in cui Obama parla in North Carolina, giungono anche segnali di
segno opposto. Crolla la Borsa cinese e anche Wall Street chiude in rosso,
preoccupata dal calo degli ordini manifatturieri e da uno scivolone nel prezzo
del petrolio (segno di debolezza della domanda). E sulla strada di Obama c´è un ostacolo di stazza, la ragione per cui
moltiplica i comizi e le apparizione televisive: contro la sua riforma
sanitaria si organizza un´alleanza dei poteri forti, dalla lobby delle
assicurazioni private al business ospedaliero. è il test politico più delicato
dell´autunno. Contro lo scetticismo dell´opinione pubblica, che ancora non
capisce quanto ha da perderci o da guadagnarci, il presidente gioca anche qui
la carta della recessione: senza aggredire il Moloch della spesa sanitaria, non
può esserci ripresa durevole. «In America - dice - non deve più essere
possibile finire in bancarotta solo perché si è malati».
(
da "Stampaweb, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
ROMA
«Solo dopo le elezioni in Afghanistan potremo pensare attentamente a una exit
strategy dal Paese, ma solo concordata con gli altri partner», dice il
presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, durante un cocktail di saluto, a
Roma, con i senatori del Pdl. Ed è la prima, cauta apertura a unipotesi-ritiro da Kabul che arriva dal premier, dopo
giorni di polemiche nella maggioranza. Cominciate a partire dalle dichiarazioni
del leader della Lega, Umberto Bossi: «Io li porterei a casa tutti, la missione
costa un sacco di soldi e visti i risultati e i costi bisognerebbe pensarci
su». Spalleggiato dal ministro, sempre del Carroccio, Roberto Calderoli: «Il
Libano e i Balcani intanto lasciamoli. E sullAfghanistan
ragioniamo».
«Bossi ragiona da papà, ma noi siamo ministri», il commento del titolare della
Difesa, Ignazio La Russa: «La presenza dei nostri militari in Afghanistan è
imprescindibile». Sulla stessa linea il collega del Pdl titolare degli Esteri,
Franco Frattini: «In Afghanistan si lavora anche per la sicurezza dell'Italia e
quindi di Calderoli». Fino alla smentita principe, due giorni fa: «La nostra
linea non cambia», è stato categorico il premier Berlusconi. Poi, ieri, per la
prima volta, ha prospettato un termine oltre al quale è lecito cominciare a
parlare di uscita dallAfghanistan: «Dopo le
elezioni», cioè dopo agosto, e solamente «concordata con gli altri partner». A
partire da americani e inglesi: pronta ad aggiungere truppe ai novemila già
inviati la Gran Bretagna. «Penso che gli inglesi continueranno a stare in questa
missione perché cè una strategia chiara e
una chiara determinazione da parte degli Stati Uniti e gli altri membri della
coalizione ad arrivare fino in fondo. Gli inglesi sanno quanto sia vitale questa missione
perché sanno che lAfghanistan è stato
lincubatore del terrorismo globale», ha spiegato ieri a Washington il
ministro degli Esteri britannico David Miliband, incontrando il segretario di
Stato americano, Hillary Clinton. «E una fase molto dura per tutti i
Paesi che si trovano in Aghanistan in questo momento, però voglio essere
assolutamente chiaro: abbiamo cominciato questa missione insieme e la finiremo
insieme, perché insieme siamo più forti». Dagli Stati Uniti, poi, stanno
arrivando in Afghanistan quattromila uomini in più, secondo il piano varato dal
presidente Obama, che punta a salire da 38 mila a 59
mila uomini. «Con lui cè una grande
collaborazione. E un uomo colto e preparato, simpatico e con un grande
amore per la famiglia», lo loda Berlusconi. Oggi è previsto alle Commissioni
Esteri e Difesa del Senato il voto definitivo sul rifinanziamento delle
missioni per i prossimi quattro mesi. E ieri sera Berlusconi ha ricordato che
al momento si resta in missione. «Chi di noi non vorrebbe che i nostri soldati
tornassero a casa? Ma i giornali devono riempire le pagine e guardate cosa è
successo quando Bossi ha fatto una battuta - ha spiegato - ma noi dobbiamo
essere là e far crescere una democrazia». Soddisfatto comunque della cauta
apertura il leghista Roberto Cota: «Si dimostra che la riflessione fatta da
Bossi è giusta e anche molto ponderata».
(
da "Corriere della Sera"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Politica data: 30/07/2009 - pag: 16 In radio «Vacanze? Nove
giorni in un centro benessere dove si dimagrisce» Il Cavaliere fa il dj «Basta
vita spericolata» «Per il futuro mi piacerebbe essere un po' più tranquillo»
ROMA «Per tutte le ragazze e i ragazzi in ascolto, una canzone cult di Vasco
Rossi il cui titolo voi conoscete bene: 'Vita spericolata'». Ieri Silvio
Berlusconi è stato anche dj. I microfoni sono quelli di Radio Gioventù,
l'emittente online del ministero della Gioventù, guidato da Giorgia Meloni.
«Presidente, le devo chiedere di lanciare una canzone», dice Pier Luigi Diaco,
che conduce insieme al ministro. Berlusconi sulle prime esita: «Non sono molto
adeguato ai tempi, sono rimasto un po' indietro...». Ma Meloni lo rassicura:
«Il disco lo abbiamo scelto noi: È 'Vita spericolata'». Berlusconi sorride
compiaciuto: «Mi sembra che il titolo coincida in effetti con il mio passato e
con il mio presente. Per il futuro, mi piacerebbe una vita un po' più
tranquilla, ma so che sarà molto difficile». Ogni riferimento alle vicende
degli ultimi mesi, dalla festa di Noemi alle rivelazioni delle ragazze di Bari,
è voluto. Berlusconi imposta la voce e lancia il brano, che Vasco, giovane e
sconosciuto, portò a Sanremo nel 1983, imponendosi all'attenzione. Il testo
dice, fra l'altro: «Voglio una vita spericolata, voglio una vita esagerata,
voglio una vita che non è mai tardi, di quelle che non dormi mai, voglio una
vita piena di guai. Voglio una vita maleducata, voglio una vita che se ne frega
di tutto sì». Si è parlato anche di vacanze. Non andrà in vacanza presidente?,
ha chiesto Diaco. E Berlusconi: «Un po' di spazio per il riposo me lo voglio
ritagliare, anche perché mi devo curare da questa cosa che ho al collo, devo
fare delle cure cortisoniche ». Poi ha promesso andrà tutte le settimane a
L'Aquila: «Dobbiamo consegnare entro novembre le case completamente arredate,
con le lenzuola al letto e il frigo pieno. Questo è qualcosa che nessuno ha mai
fatto. Anche in Cina e in America chi ha subito la perdita di una casa per
terremoti o uragani mai ha avuto una risposta così veloce e tempestiva, con
abitazioni così belle: immerse nel verde e con opere d'arte a conforto dei vari
giardini. E con torte gelato nei frigoriferi e lenzuola cifrate per le
famiglie». Più tardi, al ministero dei Beni culturali, Berlusconi è tornato a
promuovere il suo lavoro: «Le riforme epocali che abbiamo avviato sono
straordinarie». La giornata del premier si è conclusa con un cocktail con i
senatori del Pdl sulla terrazza Caffarelli. E Berlusconi è tornato sulle
vacanze: «Ho questo male che mi affligge da tempo e mi sottopongo a
infiltrazioni di cortisone, voi andate in vacanza e tornate belli, io invece
andrò 9 giorni da quelli che fanno dimagrire ». Al termine
politica estera e ancora battute, con un lungo elogio per Obama («colto, preparato e simpatico») e
la rivelazione di una telefonata affettuosa con Bush. E sulla Pravda : «Mi
elogia, dice che sono bravo anche a letto». R. R. Al piano Silvio Berlusconi
suona al pianoforte durante il vertice Russia-Nato a Pratica di mare (2002).
Alle sue spalle, Tony Renis
(
da "Corriere della Sera"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 30/07/2009 - pag: 6 Obama: «L'economia non è più in caduta
libera» Il presidente: rallenta anche il calo dell'occupazione e i mercati
azionari sono in rialzo DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK «Siamo vicini alla fine
della recessione»: Barack Obama mostra per la prima volta un prudente ottimismo sulla
congiuntura, ma la Borsa (ieri in leggera flessione) non sembra
prenderlo molto sul serio. I mercati e anche i maggiori media americani
interpretano le parole del presidente più come un tentativo di autodifesa in un
momento di calo della sua popolarità e di attacchi dal fronte repubblicano, che
come un chiaro segnale di ripresa. E, in effetti, nel discorso fatto ieri in
una scuola del North Carolina, Obama, oltre a
difendere le sue proposte di riforma sanitaria (sulla quale il Congresso ha
finalmente fatto quale importante passo avanti, dopo un lungo stallo), ha
soprattutto cercato di dimostrare che il suo piano di stimoli fiscali da quasi
800 miliardi di dollari sta funzionando: le banche - ha sottolineato - non
rischiano più il tracollo, i mercati finanziari sono in ripresa, qualche segno
di vitalità viene anche dal mercato immobiliare. La disoccupazione continua a
crescere, è vero, ma a ritmo dimezzato rispetto a qualche mese fa. Il leader
democratico aggiunge che è stato giusto salvare l'industria dell'auto, anche se
il conto per i contribuenti è stato pesante e promette che, con la ripresa, i
soldi versati in aiuti ai settori in crisi verranno recuperati. Obama respinge, poi, le accuse dell'opposizione per
l'esplosione del debito pubblico, ricordando che il deficit cresciuto fino a
1300 miliardi di dollari è figlio di una crisi deflagrata quando alla Casa
Bianca c'era ancora il repubblicano George Bush. Quanto alle speranze di
ripresa, non si può certo dire che il presidente abbia usato toni enfatici: Obama si è detto sorpreso dalla copertina di «Newsweek» che
dichiara «La recessione è finita» (ma il sottotitolo del settimanale avverte
poi che ci vorrà molta fortuna per sopravvivere a una ripresa che si prospetta
debolissima), ha affermato che «non c'è dubbio che le cose stanno andando
meglio», ma ha anche ammesso che il quadro è ancora cupo e che chi ha perso il
lavoro ha ben poco da rallegrarsi. E tuttavia è innegabile che da qualche
giorno si registra il susseguirsi di segnali, se non proprio positivi, almeno
confortanti. Il principale riguarda le compravendite immobiliari e i prezzi
delle case: due indici in timida ripresa a giugno in varie regioni degli Usa
per la prima volta dopo tre anni in continua picchiata. Con un'economia che
rimane estremamente debole, gli economisti avvertono però che questa ripresa,
anche se dovesse essere confermata dai dati dei prossimi mesi, potrebbe
rivelarsi illusoria, lasciando spazio, in autunno, a una nuova flessione: è il
timore, di cui si parla da tempo, di una crisi a «W», nella quale la ripresa
potrebbe essere solo momentanea. Intanto, però, c'è ancora ha chiudere la
lunghissima parentesi di una recessione che ormai, negli Stati Uniti, sta per
entrare nel suo 21esimo mese. Proprio ieri le speranze di Obama
di poter mettere presto la parola fine alla fase di contrazione dell'economia
sono state confortate dalla pubblicazione del Beige book , il rapporto mensile
della Federal Reserve sulla congiuntura. Secondo l'analisi della Banca
centrale, l'economia americana sta finalmente mostrando segni di
stabilizzazione soprattutto nel Nordest e negli Stati del Midwest anche se, nel
complesso, la situazione rimane fragile. Le cose stanno migliorando a New York,
in California e in Pennsylvania, mentre da Boston, Chicago, Atlanta e dal Texas
vengono segnali meno positivi. Massimo Gaggi Segnali di ottimismo dal
presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che
parlando in North Carolina ha detto che la recessione sta finendo
(
da "Corriere della Sera"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Prima Pagina data: 30/07/2009 - pag: 1 Dal presidente americano arriva un messaggio di fiducia sullo stato
dell'economia Obama: fine
della crisi più vicina «Disoccupazione e finanza, non siamo più in caduta
libera» «La fine della crisi è più vicina». L'ottimismo del presidente Usa Obama sullo stato dell'economia: «Il
mercato si è ripreso, il sistema finanziario non è più in caduta libera e molti
posti di lavoro sono salvi». Obama ha difeso la
scelta del governo di aiutare Chrysler e General Motors: «Il loro fallimento
sarebbe stato una catastrofe». Ma ha anche frenato gli entusiasmi: «I tempi
difficili non sono terminati». A PAGINA 6 Jacchia
(
da "Corriere della Sera"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Focus Vuota data: 30/07/2009 - pag: 9 Aiuti pubblici Gli
Usa hanno concesso capitali e garanzie per ben 797 miliardi di dollari, il 5%
del Pil Acciaio e finanza Dopo la grande paura l'industria del credito è
diventata, quanto a protezioni pubbliche, la siderurgia del nuovo secolo Due
anni di neointerventismo di Stato Il 9 agosto 2007 il primo soccorso della Bce
alle banche E Wall Street rischia di nuovo. Con i soldi dei contribuenti D ue
anni fa la Banca centrale europea apriva una linea di credito a breve di 95
miliardi di euro riservata alle banche che non riuscivano più a trovare i
soliti prestiti overnight per regolare i pagamenti. Sembrava ordinaria
amministrazione ed era, invece, il prologo di un dramma che avrebbe portato le
banche centrali e i governi a imbottirsi di titoli tossici e azioni bancarie
come mai era accaduto nemmeno nei decenni più statalisti del Novecento. La
crisi covava da cinque mesi. Secondo la Bank of England, dal 5 marzo 2007
quando la Hong Kong Shanghai Banking Corporation aveva reso noto che un suo
portafoglio di mutui subprime stava subendo più insolvenze di quante fossero
previste nel prezzo. Ma è dal 9 agosto, con quel pronto soccorso della Bce, che
la mano pubblica comincia a riacquistare la centralità dalla quale era stata
allontanata negli anni ruggenti della tecnofinanza e della deregulation . E
adesso, dopo 24 mesi, si può tentare un primo, provvisorio bilancio del
neointerventismo degli Stati, che non sanno ancora se essere, con i soldi dei
contribuenti, Stati banchieri oppure Stati azionisti riformatori o ancora Stati
azionisti conservatori e infine succubi dei signori della debt economy. Come
accade perfino nelle guerre, qualcuno ci guadagna da subito. Briciole d'oro
raccoglie, per esempio, la famiglia svizzera Amon. Da 80 anni possiede la Sicpa
di Losanna, piccola multinazionale degli inchiostri che fornisce i preziosi
verde e nero alle rotative del Bureau of Engraving and Printing. Le banconote
con l'effige di George Washington sono aumentate del 10% in un anno. Così come
ben si accontentano di ricevere dal Tesoro Usa 7,2 milioni di dollari per la
consulenza legale gli studi Simpson, Hughes e Squire, per la consulenza
finanziaria la EnnisK- nupp e per quella contabile Pricewaterhouse e Ernst
& Young: sono parcelle assai inferiori a quelle pagate dalle investment
banks , ma cementano la reputazione, bene raro e redditizio. Sarà interessante
vedere le percentuali della Bank of New York Mellon sulla gestione degli aiuti
pubblici americani, ma l'essere braccio secolare del Tesoro e della Federal
Reserve contribuisce a farle avere il rating tripla A, che molto abbassa il
costo della raccolta rispetto alla concorrenza. La quale, peraltro, non se ne
lamenta. Le prime sei banche di Wall Street sono Goldman Sachs, JP Morgan
Chase, Citigroup, Bank of America, Wells Fargo e Morgan Stanley. The Washington
Post calcola che abbiano stanziato quest'anno 74 miliardi di dollari per
salari, bonus e benefit dei dipendenti, 14 miliardi in più rispetto
all'esercizio precedente. In media, 128 mila dollari per colletto bianco.
Parecchio, e tuttavia poco in confronto ai compensi che corrono nell
'investment banking . Proiettando su base annua il primo semestre, Goldman
pagherà in media 773 mila dollari a ciascuno dei suoi 29 mila dipendenti nel
2009, record assoluto. La divisione specializzata di JP Morgan, 466 mila.
Morgan Stanley, che ha chiuso in rosso il secondo trimestre, ha elargito 3,9
miliardi ai dipendenti, pari al 72% dei ricavi del periodo, e ha premiato
principalmente il desk delle obbligazioni istituzionali che, pur migliorando,
non ha nemmeno chiuso in nero. Già il colosso assicurativo Aig aveva confermato
i bonus, nonostante il Tesoro l'avesse appena salvato dal fallimento. La nuova
ondata di Wall Street declassa a grida manzoniane l'appello
del presidente Obama a
contenere le remunerazioni al top. È una mina sotto la coesione sociale: il
conflitto tra regolazione e deregolazione è strettamente legato, come mostra il
grafico, agli interessi della ristretta minoranza che tratta il denaro. Ma per
l'economia il punto cruciale è quanto rischio le banche stanno prendendo per
riavviare la giostra. Una parte rilevante degli 11,4 mi-- liardi di
ricavi di Goldman deriva da trading di titoli. Quanto è fatto in proprio,
rischiando molto, e quanto per conto dei clienti, dove, pur rischiando meno, i
margini si vanno allargando anche perché, adesso, c'è meno concorrenza di
prima? I bilanci non sono chiari. Del resto, in attesa che si adottino le
raccomandazioni del Financial Stability Board, negli Usa vigono i principi
contabili Us Gaap che compensano le posizioni attive e passive in derivati
finendo così con il nascondere il rischio di controparte: quello stesso rischio
che era stato trascurato negli anni della bolla globale. È arduo misurarne la
portata. Ma il caso della Deutsche Bank, che fa molti derivati e dà rendiconti
all'europea e all'americana, è istruttivo: in Deutsche Bank, la leva
finanziaria, ovvero il rapporto tra totale degli attivi e mezzi propri, appare
quasi tre volte meno spinta se calcolata con gli Us Gaap. Sarà una
combinazione, ma il value at risk di Goldman Sachs in primavera ha toccato il
record. Delle sei grandi di Wall Street, tre hanno restituito al Tesoro gli
aiuti ricevuti: 10 miliardi Goldman, 10 Morgan Stanley e 25 Jp Morgan. E tanto
basta loro per ritenersi con le mani libere. Ma si tratta solo degli aiuti
diretti e per le due investment banks resta la copertura della Federal Reserve
quale prestatrice di ultima istanza in caso di crisi di liquidità: copertura
concessa per evitare altre Lehman pur non essendo queste vere banche
commerciali. Di più, le banche tornano al profitto anche perché l'intero
settore, da loro contaminato con la tecnofinanza, è stato salvato a spese dello
Stato. Secondo Mediobanca, lo Stato Usa ha dato capitali e garanzie «pesanti» a
683 banche e finanziarie per ben 797 miliardi di dollari, il 5% del Pil, più
della metà del patrimonio netto aggregato del sistema bancario. Solo il Regno
Unito ha fatto peggio obbligando il Tesoro di Sua Maestà a impegnare 656
miliardi di sterline in cinque enormi salvataggi. La contabilità degli aiuti
pubblici non è ancora definitiva. La Bank of England stima in 1.260 miliardi di
sterline gli interventi statali del suo Paese per l'acquisto di azioni
bancarie, titoli tossici, garanzie, assicurazioni di attività finanziarie, in
10.440 miliardi di dollari gli analoghi interventi fatti dal governo Usa e in
1.640 miliardi di euro quelli fatti dai 16 Paesi dell'Euro. Traducendo tutto in
dollari, fa 14.810 miliardi. Ma niente più delle cifre del Fondo monetario,
ancorché meno aggiornate sul fronte degli aiuti pubblici, dà l'idea di come
l'industria del credito sia diventata, quanto a protezioni pubbliche, la
siderurgia del nuovo secolo: a metà 2008, ante Lehman cioè, la raccolta
bancaria totale di Eurolandia, Usa e Regno Unito era di quasi 31 mila miliardi
di dollari; di questi, circa 9 mila miliardi erano assicurati sotto forma di
liquidità extra dalle banche centrali (1.950 miliardi), impegno dei governi a
comprare attivi nei bilanci delle banche (2.525) e garanzie pubbliche sul
debito emesso dalle banche stesse (4.480). Se si aggiungono i pacchetti di
sostegno all'economia reale che hanno frenato le insolvenze private, e dunque
le sofferenze bancarie, la conclusione è evidente: più di un dollaro ogni tre è
in mano al sistema finanziario grazie all'intervento pubblico in barba alle
prediche contro gli aiuti di Stato. Alla droga del debito privato in eccesso è
dunque seguito il metadone dei governi, non la disintossicazione. E da quella
parte della City che ancora resiste viene ora una particolare visione del
futuro. Dice John Varley, amministratore delegato del gruppo britannico
Barclays, che ha saputo stare a galla senza il salvagente pubblico: «Il modo
migliore di ritirare il sostegno pubblico è che i governi e le banche centrali
dicano che, se mai ci saranno altre scosse sul mercato, loro non esiteranno a
garantire la liquidità. Più netto è quell'impegno, meno saranno le probabilità
che poi lo si reclami davvero». Ma la bolla ha lasciato due drammatici paradossi
che non si risolvono con lo Stato che si limita al ruolo di Lord Protettore
della liquidità. Le banche centrali dicono che non ci possono più essere
istituzioni troppo grandi per non poter essere lasciate fallire e, dopo le
fusioni di emergenza, come nota Simon Johnson, economista del Mit, il grado di
concentrazione del sistema è aumentato. Le banche devono lavorare con meno
debiti e più capitale, aggiungono le autorità di Vigilanza, e adesso, complice
la recessione, hanno spesso una leva finanziaria più lunga di prima. Se vorrà
davvero ritirarsi, lo Stato banchiere per forza dovrà fare ancora molta strada,
mentre gli squali di Wall Street tornano a scommettere sull'economia del
debito. Federico Fubini Massimo Mucchetti Nuove fortune La Sicpa di Losanna fornisce
gli inchiostri verde e nero per stampare i dollari: banconote aumentate del 10%
in un anno Le prediche sui bonus La nuova ondata declassa a grida manzoniane
gli appelli del presidente Usa a contenere i compensi dei banchieri Il primato
Hong Kong, capitale finanziaria asiatica, è la piazza giudicata al primo posto
per l'apertura delle banche all'informazione, grazie a una ferrea disciplina
(
da "Corriere della Sera"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Lettere al Corriere data: 30/07/2009 - pag: 37 La tua
opinione su corriere.it Vi piacerebbe che al posto di
Felipe Massa tornasse a guidare una Ferrari Michael Schumacher? SUL WEB
Risposte alle 19 di ieri Sì R 79,2 No R 20,8 La domanda di oggi Il presidente
americano Barack Obama: la
fine della crisi economica è più vicina. Siete ottimisti?
(
da "Corriere della Sera"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Cronaca di Roma data: 30/07/2009 - pag: 3 Locali del centro
storico, la fiera dell'illegalità Sedie e tavoli senza autorizzazioni, licenze
scadute, multe non pagate: 113 esercizi fuorilegge Abusivo il salottino in
vimini (color panna) del «Caffè Colombo » al Pantheon. Abusivi i tavoli a lume
di candela di «Coco» in piazza delle Coppelle. Abusiva l'occupazione di suolo
pubblico di due su tre dei locali in piazza di Pietra. Non vengono risparmiati
siti Unesco, piazze vincolate e luoghi simbolo: tavoli e sedie abusivi
prosperano a Fontana di Trevi (quattro locali in via del Lavatore) a piazza
della Colonna Antonina, via del Babuino e largo Argentina. Se le norme fossero
rispettate scomparirebbero dall'orizzonte intere schiere di tavoli
apparecchiati, a cominciare da via dei Pastini (dietro piazza ella Rotonda),
via della Maddalena e sant'Agnese in Agone. Piazza sant'Apollinare, via della
Vite e piazza di Santa Maria in Trastevere. Per novecentosettanta locali che
nel I municipio hanno presentato una richiesta di autorizzazione c'è più di un
dieci per cento che ha optato per la scorciatoia, occupando di fatto il suolo
pubblico senza pagare. Frutto del bilancio effettuato dalla task force che per
nove mesi ha controllato (metro alla mano) la zona della movida a cavallo di
Corso Vittorio e delle ricognizioni da parte del I Gruppo della municipale,
guidato da Cesarino Caioni, ecco l'ultima istantanea della ristorazione nel
centro storico (turistico). Centotredici occupazioni abusive. Un' ottantina
circa di recidivi, già sanzionati due volte e a rischio chiusura secondo la
normativa (delibera 119 del 2005). Perfino la politicamente corretta Gay Street
si allinea al «trend». Visto che ben quattro dei locali con tavoli all'aperto
in via San Giovanni in Laterano risultano non autorizzati. Ma è piazza Navona
che riserva la maggiore sconfitta all'amministrazione pubblica. Con tredici
ristoranti già segnalati al municipio come privi di titolo ad occupare il suolo
pubblico. Concessione scaduta secondo la delibera di «massima occupabilità»
varata dal Comune nel 2006. Eppure le delibere non smuovono di un millimetro i
ristoratori di piazza Navona. Che dopo aver diffidato (attraverso il proprio
studio legale) il municipio dal «promuovere atti pregiudizievoli degli
interessi » dei propri assistiti, affidano al loro presidente Guido Campopiano
una risposta che suona definitiva: «È destituito di fondamento che le nostre
autorizzazioni siano scadute. Si tratta di concessioni permanenti. In realtà
l'amministrazione non ha mai avviato una procedura di revoca della concessione
nei nostri confronti». Il motore della ristorazione gira a pieno ritmo fra
disparità e abusi, sacrificando la trasparenza (vedi i recenti casi di truffe
ai turisti) e trasgredendo le regole, incluse quelle della sicurezza: «Le
autorità credono di rassicurarci col verbale di una multa ma poi la legge non
fa interamente il suo corso. Non scatta la multa per i recidivi, non vengono
effettuati i sequestri magari perchè mancano i depositi e nessun mezzo di
soccorso per quanto striminzito può addentrarsi nelle strade occupate
selvaggiamente da tavoli e sedie» dice per l'associazione Viviana Di Capua. Tra
locali che vantano onorevoli tra i propri clienti (c'è anche questo additivo
nell'offerta romana) e furbi che improvvisano, la legalità fa un passo
indietro, mentre sembra prosperare la concorrenza sleale tra onesti (che pagano
regolarmente la tassa di concessione) e furbi. Ora queste due due pagine fitte
di nomi, imprese e multe già notificate dalla polizia municipale costringe a
delle decisioni. Per prima cosa bisognerà vedere se, applicando la normativa,
sarà imposta la chiusura per tre giorni) ai recidivi. La domanda è lecita,
specie dopo i nove mesi di sforzi protratti nella task force guidata dagli
uomini di Michele La Ratta del commissariato Trevi Campo Marzio. C'è chi i
controlli non li ha ancora visti come i residenti delle Coppelle. Dice Simone
Pietro Ciotti dell'associazione «Sisto V»: «Da tempo immemorabile non capita un
vigile qui, tranne, forse, in occasione della cena di
Michelle Obama ». Ilaria
Sacchettoni Piazza delle Coppelle Auto della Municipale durante uno dei
controlli sulla piazzetta dietro al Pantheon Campo de' Fiori Uno dei luoghi
della movida più scatenata ed una delle piazze a più alta concentrazione di
locali, che affollano tutto il perimetro della piazza
(
da "Corriere della Sera"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 30/07/2009 - pag: 15 Dopo le elezioni
Berlusconi: «Exit strategy con gli alleati» ROMA «Solo dopo le elezioni potremo
pensare attentamente a una exit strategy». Così Silvio Berlusconi torna sulla
missione in Afghanistan, dopo che il ministro delle Riforme Umberto Bossi si
era espresso, nei giorni scorsi, per un rientro in patria dei soldati italiani.
Il presidente del Consiglio aveva già ribadito che «la linea non si cambia» ma
ieri è intervenuto nuovamente sulla questione durante il cocktail di saluto ai
senatori del Pdl prima delle vacanze estive. La novità è l'apertura del premier
a una strategia di uscita dall'Afghanistan dopo le elezioni che si terranno nel
Paese il prossimo 20 agosto. «Solo concordata con gli altri partner», ha
precisato però Berlusconi. L'Italia è impegnata in Afghanistan con altri 42
Paesi nell'ambito della missione internazionale Isaf a guida Nato con 2.795
soldati, a cui si stanno aggiungendo proprio in questi giorni altri 500
rinforzi. Della necessità di una «exit strategy» aveva parlato anche Barack Obama.
Tutti i Paesi impegnati sul fronte desiderano vedere in atto un'«efficace
strategia d'uscita che consenta all'esercito dell'Afghanistan, alla polizia, ai
tribunali, al governo afghani di farsi carico di sempre maggiori responsabilità
riguardanti la loro sicurezza», aveva detto il presidente americano lo scorso
14 luglio di fronte al crescente numero di perdite nell'esercito
dall'inizio del mese e alla ripresa dei talebani. Sull'aggressività dei ribelli
in vista del voto si è soffermato anche Berlusconi: «Ci aspettavamo una
recrudescenza degli scontri in prossimità delle elezioni e così è stato», ha
detto ieri il premier. Che è poi tornato anche sulle frasi pronunciate dal
leader della Lega: «Chi di noi non vorrebbe che i nostri soldati tornassero a
casa? Ma i giornali devono riempire le pagine e guardate cosa è successo quando
Bossi ha fatto una battuta. Ma noi dobbiamo essere là e far crescere una
democrazia». Fronte Un italiano a Herat
(
da "Corriere della Sera"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Esteri data: 30/07/2009 - pag: 13 Nuova Europa È stato
guardia del corpo del dittatore Zhivkov e dell'ex re Simeone E in Bulgaria
arriva il premier-bodyguard Borisov promette maniere forti per sconfiggere la
corruzione Sembra Putin ma s'ispira a Schwarzenegger. Boiko Borisov è il
premier d'azione dal quale la Bulgaria aspetta il riscatto, e l'Europa riforme.
Lunedì si è insediato a Sofia il nuovo governo di centrodestra uscito dalle
elezioni del 5 luglio, un esecutivo di minoranza che può contare su 116 seggi
su 240 ed è formato da un solo partito, il Gerb, acronimo che in bulgaro
significa «blasone» e sta per «Cittadini per lo Sviluppo europeo della
Bulgaria». Dichiarazione d'intenti del fondatore Borisov, che due anni e mezzo
dopo l'ingresso dello Stato balcanico nell'Ue promette di usare le maniere
forti per riportare all'ovile la pecora nera d'Europa, devastata da corruzione
e criminalità organizzata. C'è da aspettarsi che manterrà la parola. A
cinquant'anni Boiko ha vissuto molte vite. Cintura nera ed ex allenatore della
nazionale bulgara di karate (il russo Vladimir Putin è esperto judoka), si è
avvicinato all'agone politico come guardia del corpo prima di Todor Zhivkov,
l'ultimo leader comunista della Bulgaria al potere dal 1954 al 1989, poi di re
Simeone II tornato dall'esilio e diventato premier nel 2001. Ex poliziotto e
vigile del fuoco, nel 2001 è stato nominato segretario generale del Ministero
degli Interni, distinguendosi per una serie di operazioni che miravano a decapitare
i principali clan malavitosi. Nel 2005 è stato eletto sindaco di Sofia, dopo
aver dominato la campagna elettorale con slogano del tipo: «Giudicatemi non per
quello che farò, ma per quello che ho fatto». È stato il salto. Fino ad allora
Boiko «Batman » Borisov era rimasto a metà strada tra il politico di
professione e il dilettante che suscitava commenti ironici per il passato da
picchiatore e la passione per i film di Terminator e Rocky Balboa. Diventando
primo cittadino della capitale dimostrava di aver conquistato la stima dei
cittadini, e di poter puntare ancora più in alto. Gerb è il suo grande
successo. Fondato nel 2006, alle elezioni di luglio il partito ha ottenuto il
39,8 per cento dei voti. Governerà con l'appoggio esterno dei gruppi di destra
«Coalizione blu» e «Ordine, legge e giustizia», oltre che con il sostegno degli
ultranazionalisti di Ataka. Rifiutando le ipotesi di coalizione con l'estrema
destra e scegliendo di governare da solo, ufficialmente perché «vogliamo essere
gli unici responsabili» delle prossime mosse, Borisov ha risposto alle
preoccupazioni di quanti ricordano le frasi pronunciate in passato sui «turchi
che dovrebbero tornare in Turchia» e le donne lesbiche «che evidentemente non
hanno ancora incontrato Boiko» . Al suo governo tocca risollevare l'economia in
ginocchio, rassicurare chi fino alle elezioni temeva che il Paese cedesse al
richiamo russo e riconquistare la fiducia dell'Unione europea, che l'anno
scorso ha congelato 500 milioni di euro di aiuti accusando la coalizione
guidata dai socialisti di tollerare frodi e gravi connivenze tra politica e
crimine. Borisov ha voluto con sé nomi pesanti, primo tra tutti il neo ministro
delle Finanze Simeon Djankov che porta in dote un'esperienza di 15 anni alla
Banca Mondiale ed è sposato con l'economista Caroline Freunde, indicata come
possibile consigliera dell'Amministrazione Obama. Nel tentativo di inaugurare il
nuovo corso della trasparenza, lunedì Borisov ha riaperto un capitolo doloroso
per il Paese dichiarando che nel 2007 Sofia pagò alla Libia 100 milioni di
dollari per il rilascio delle cinque infermiere bulgare e del medico
palestinese accusati di aver inoculato deliberatamente il virus dell'Hiv
a 400 bambini nell'ospedale di Bengasi. Non ha fornito prove. Dice di voler procedere
alla modernizzazione delle infrastrutture e al rilancio di settori tradizionali
come agricoltura e turismo. «Prenderò personalmente in mano i dossier ha
dichiarato . La strada che abbiamo davanti non sarà facile, ma non ci perderemo
d'animo». Maria Serena Natale Cinema e politica Boiko Borisov (a sinistra) con
Sylvester Stallone nel 2008: Borisov era sindaco di Sofia; il 5 luglio 2009 è
stato eletto primo ministro bulgaro
(
da "Stampaweb, La"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Essere
generale dellesercito americano,
consigliere per la sicurezza nazionale alla Casa Bianca e infine segretario di
Stato non mette al riparo dai pregiudizi legati alla razza. Parola di Colin
Powell, che, ospite martedì al talk show di Cnn “Larry King Live”, ha
affrontato il delicato tema commentando il caso di Henry Louis Gates, il
professore afroamericano di Harvard arrestato la settimana scorsa mentre
entrava nella propria casa e che ora accusa la polizia di averlo scambiato per
uno scassinatore solo perchè nero. Il generale Powell ha ammesso di essere
stato vittima di pregiudizi razzisti “molte volte”, anche quando la sua
carriera militare e politica e il suo ruolo istituzionale erano già più che
consolidati, ma se in questi casi la rabbia è la reazione più istintiva, calma
e capacità di mediare sono invece le qualità indispensabili per affrontare la
situazione. Qualità che, rimprovera Powell, il professor Gates avrebbe dovuto
mostrare al momento dellarresto: “Conosco Skip
Gates molto bene, è un amico da anni: mi ha intervistato tante volte e tante
volte ho diviso un palco con lui. Ho per lui il massimo rispetto, è una gran
persona”, ha ricordato il generale, “Ma quando un poliziotto ti chiede qualcosa
o quando ti tiene in stato di fermo, devi cooperare. Se non ti piace il modo in
cui si comporta, se pensi di essere vittima di comportamenti razzisti o di
pregiudizi, allora sporgerai denuncia, ma dopo”. “Quel che voglio dire”, ha
chiarito ancora Powell, “è che in questa circostanza Gates forse avrebbe dovuto
aspettare un attimo, poi uscire di casa, parlare con lagente e la cosa sarebbe finita lì. Avrebbe dovuto
chiedersi se fosse il momento di discutere”. Non che la polizia di Cambridge
non abbia a sua volta commesso degli errori, ha poi sottolineato Powell: larresto è stato condotto in modo frettoloso, senza
cercare conferme della presunta colpevolezza o dellidentità
dellarrestato. Entrambi i protagonisti della vicenda, il professor Gates
e il sergente James Crowley, si sono evidentemente sentiti minacciati e hanno
reagito istintivamente, facendo sì che la situazione degenerasse, ha ancora
chiarito il generale. Se lAmerica di oggi si può
definire “post-razziale”, è però pur vero che “non cè afroamericano in
questo paese che non si sia trovato esposto a questo genere di situazioni”, ha
aggiunto Powell: in particolare, la popolazione maschile e certi ambienti, come
quello delle forze di polizia, ad esempio, mostrano ancora forti segni di
pregiudizio razziale. E se cancellare questi atteggiamenti
richiede un cambiamento culturale lento e profondo, è previsto per oggi un
passo decisivo per risolvere il caso Gates: il professore e il sergente Crowley
sono attesi alla Casa Bianca, per un incontro con il presidente Obama che dovrebbe mettere la parola
fine alla vicenda. + Finestra sull''America, di Maurizio Molinari commenti (0)
scrivi
(
da "Repubblica.it"
del 30-07-2009)
Argomenti: Obama
Oltre a
Silvio Berlusconi, anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano e il presidente
della Camera Gianfranco Fini (ex ministro degli Esteri) hanno seguito il
processo decisionale in prima persona: domani il ministro degli Esteri Frattini
porta in Consiglio dei ministri la più importante tornata di nomine
diplomatiche da quando il Pdl è tornato al governo. L'incarico centrale è
quello di ambasciatore d'Italia a Washington: il prescelto è Giulio Terzi, da
poco più di un anno rappresentante italiano all'Onu dopo essere stato direttore
generale degli affari politici alla Farnesina. Sostituisce Gianni Castellaneta
che era arrivato a Washington dopo gli anni trascorsi a Roma come consigliere
diplomatico di Berlusconi. Negli anni di Bush Castellaneta era riuscito a
intrecciare buoni rapporti con l'amministrazione repubblicana, aprendo la sua
residenza a ministri come Condoleezza Rice o John Ashcroft. Ma
contemporaneamente aveva incaricato un suo attivo funzionario (Luca Ferrari) di avviare il dialogo con i leader del Partito democratico che ha
poi portato Barack Obama
alla presidenza. Nell'ufficio di 2 Millenium Plaza, di fronte al Palazzo di
Vetro, al posto di Terzi arriverà Cesare Ragaglini, fino ad oggi direttore
generale per il Medio Oriente, uno dei diplomatici col grado di ambasciatore
più giovani e combattivi. Ragaglini è stato anche lui a Palazzo Chigi
consigliere di Berlusconi, ma poi ha lavorato al fianco di D'Alema su Libano e
Iran, i dossier più caldi in politica estera di cui il governo di Prodi si sia
occupato. Proprio sull'Iran Ragaglini ha provato a tessere la tela del
coinvolgimento di Teheran nella stabilizzazione dell'Afghanistan, con il
conseguente invito al vertice di Trieste, disertato dopo il caos esploso in
Iran dopo le elezioni. OAS_RICH('Middle'); (30 luglio 2009
(
da "Repubblica.it"
del 31-07-2009)
Argomenti: Obama
WASHINGTON
- Dopo l'ottimismo ostentato ieri, i numeri sul Pil americano raffreddano un
po' gli entusiasmi di Barack Obama. Dopo un incontro ufficiale con il presidente delle Filippine
Gloria Macapagal Arroyo, il presidente americano ha fatto il punto sullo stato
di salute dell'economia statunitense assieme ad alcuni giornalisti. Obama non ha ancora visto i dati
ufficiali (saranno pubblicati soltanto venerdì), ma sospetta che mostreranno
"una contrazione nel secondo trimestre". E poi c'è la
disoccupazione, che sta diventando una priorità. "La perdita di posti di
lavoro - ha detto - resta ancora un grande problema, anche se il tasso di chi
perde il lavoro sta rallentando". Obama comunque
conferma il suo impegno per il rilancio dell'economia: "Non avremo pace
fino a quando non avremo visto un miglioramento tecnico nel pil e le
prospettive di lavoro del popolo americano e i loro redditi non si saranno
ripresi. Per questo ci vorrà ancora del tempo". Obama
ritiene ormai stabilizzati "il sistema credizio, quello bancario e quello
finanziario. Non vedremo più le enormi ondate di panico che avevamo visto nei
mesi passati, segno che siamo lontani dal precipizio. Eravamo in una posizione
in cui saremmo potuti finire in una grande depressione. Io penso che quei timori
siano diminuiti". (30 luglio 2009
(
da "Stampa, La"
del 31-07-2009)
Argomenti: Obama
«SUMMIT»
ALLA CASA BIANCA Obama, il prof e il poliziotto Pace
davanti a una birra [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Attorno
ad un tavolo bianco davanti a quattro boccali di birra si è svolto nel Giardino
delle Rose della Casa Bianca il summit teso ad archiviare le polemiche sul
razzismo innescate dall'arresto del docente afroamericano Henry Gates. A
partecipare all'insolito vertice c'erano tutti i protagonisti della vicenda e
dunque, oltre a Gates, l'agente bianco James Crowley che gli mise le manette,
il presidente Barack Obama che ha prima accusato la
polizia di aver agito «stupidamente» e poi fatto marcia indietro, e anche Joe
Biden, il vicepresidente con le radici nella classe media bianca. La Casa
Bianca ha curato l'evento nei dettagli per trasformare l'incidente che ha
infiammato i rapporti interrazziali in un'occasione di dialogo: Obama e Biden erano in maniche di camicia, Gates e Crowley
stavano seduti vicino e le tv hanno assistito in diretta al momento in cui sono
stati portati i boccali. «Blue Moon» per il sergente, «Red Stripe» per il
professore, «Bud Light» per Obama e Biden. Da qui il termine «summit della birra». Per Obama però si è trattato «non di un
vertice ma solo di quattro persone che prendono assieme una birra a fine
giornata per aver la possibilità di comprendersi l'un l'altro al fine di
ridurre la rabbia e promuovere la riflessione».
(
da "Stampa, La"
del 31-07-2009)
Argomenti: Obama
CLIENTI
SPECIALI La regina d'Olanda compra le lavasciuga della Lindhaus La Lindhaus,
un'azienda padovana a conduzione familiare di soli 48 dipendenti, è stata
scelta dalla regina dei Paesi Bassi per la fornitura di lavasciuga che
serviranno alla pulizia dei Palazzi Reali olandesi. Questo nuovo cliente della
Lindhaus è solo l'ultimo di una lunga serie. La piccola
impresa rifornisce infatti anche la Casa Bianca del Presidente Obama, il Cremlino, la Camera dei
Deputati italiana, il Parlamento austriaco e quello sloveno. L'azienda nel 2008
ha fatturato 15 milioni di euro con una quota di export dell'80%.
(
da "Repubblica, La"
del 31-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina 5
- Economia Insieme all´idea tremontiana della banca per il Sud, arriva un ente
che ricorda gli anni ´70. L´Udc: "Una soluzione inquietante" E
rispunta la vecchia Cassa per il Mezzogiorno LUCA IEZZI ROMA - Il via libera
preventivo di Tremonti era arrivato due giorni fa: «Fosse per me rifarei la
Cassa del Mezzogiorno, i soldi ci sono». Detto fatto: arriva "l´ente"
che si occuperà del nuovo piano del Sud, e il fantasma del vecchio carrozzone
che chiuse nel 1992 anche per evitare la bancarotta dell´intero paese. Un confronto che la maggioranza di governo mostra di non temere,
d´altronde se negli Usa Obama rivaluta gli interventi di emergenza del New deal di Roosevelt,
perché noi non dovremmo riproporre la Cassa, che nel 1950 fu istituita proprio
per ricalcare le agenzie di sviluppo locale pensate negli Usa? Stesso modello e
risultati opposti. Se il segretario dell´Udc, Lorenzo Cesa definisce
l´ipotesi «Semplicemente inquietante» è perché tra i politici, e ancor più tra
i cittadini, l´associazione tra "Cassa del Mezzogiorno" e
"spreco di denaro pubblico" è ancora molto forte. In quarant´anni la
Cassa ha distribuito 140 miliardi di euro e le tracce di questa montagna di
soldi nella "dotazione infrastrutturale" delle Regioni interessate
non si vedono, così come poco hanno ottenuto le seguenti leggi d´incentivazione
e i fondi strutturali dell´Europa (57 miliardi dal 2000). La lista dei treni
passati inutilmente per ridurre il gap con il resto del paese potrebbe
continuare. «Il Sud ha bisogno di molte cose ma sicuramente non di un nuovo
ente burocratico per coordinare ciò che è facilmente attuabile seguendo le
leggi e le procedure già definite» insiste Cesa. In più il ripensamento così
radicale della politica per il Sud, peraltro il giorno prima che la Roma della
politica ordini il rompete le righe estivo, finisce per perdere di credibilità:
«E´ sbagliato e fazioso, mettere in relazione questo trasferimento dei fondi
alla Sicilia a un fantomatico piano per il Sud - sottolinea il responsabile del
Mezzogiorno del Pd Sergio D´Antoni -. Del piano non si vede l´ombra e quei
quattro miliardi per la Sicilia sono previsti per legge, non c´è un solo euro
aggiuntivo». «Le solite frottole da raccontare ad alleati politici e
cittadini», afferma Anna Finocchiaro che liquida così l´operato del
centrodestra rispetto alla questione meridionale. Annunci a cui non seguono
proposte serie, come la Banca del Sud, ideata da Tremonti per compensare la
miopia del sistema bancario del Nord che dopo aver salvato le vecchie casse di
risparmio meridionali fatica a concedere prestiti sul territorio. Nata
formalmente tre governi fa, la banca non ha ricevuto né fondi né strategie.
L´altro nodo è che il neo meridionalismo di Berlusconi e Tremonti è tutt´altro
che federalista: solo una settimana fa il ministro dell´Economia sottolineava
il disastro finanziario della sanità meridionale. «Non è un problema di soldi,
ma culturale» diceva Tremonti ricordando l´incapacità di spendere della classe
dirigente del Sud, di presentare piani credibili per i fondi nazionali e quelli
Ue, di unirsi per realizzare progetti di infrastrutture che superino i confini
regionali. Allora resuscitare la Cassa potrebbe servire a centralizzare di
nuovo la spesa, un´ipotesi politicamente poco presentabile in un momento in cui
si agitano i venti di un partito del Sud e la Lega conta i giorni che separano
le Regioni da un federalismo fiscale pienamente realizzato.
(
da "Repubblica, La"
del 31-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
12 - Esteri Afghanistan, pronta la jihad contro il voto I seguaci del Mullah
Omar: "Boicottare le urne volute dagli Usa" Luglio il mese più
sanguinoso per la Nato. Zapatero: "Pronti a mandare nuovi soldati"
Nel giorno in cui il Parlamento dà il via libera definitivo al prolungamento
delle missioni militari italiane all´estero, compresa quella in Afghanistan, un
messaggio Internet dei Taliban ricorda quanto la situazione nel paese sia
ancora difficile. Con un appello diffuso via web i seguaci del Mullah Omar
hanno intimato agli afgani di boicottare il voto del 20 agosto, con il quale
saranno chiamati a scegliere il nuovo presidente della Repubblica. Il testo
definisce le elezioni una «invenzione degli americani» per legittimare
l´attuale presidente, Hamid Karzai - chiamato «servo degli stranieri» - e
invita la popolazione a unirsi agli sforzi dei combattenti islamici per
«liberare il Paese occupato dagli invasori». Il messaggio spiega anche che per
impedire fisicamente le operazioni di voto i Taliban lanceranno «operazioni
contro le basi nemiche» e «impediranno alla gente di prendere parte alle
elezioni», bloccando le strade e informando gli elettori della necessità di
sostenere il boicottaggio. Ben chiara è la minaccia che pesa su chi non darà
ascolto all´intimidazione e deciderà di andare a votare. L´avvertimento dei
militanti islamici arriva alla vigilia della fine del mese più sanguinoso per
le truppe internazionali dall´inizio della guerra: 69 soldati, per la maggior
parte inglesi e americani, sono stati uccisi in Afghanistan dall´inizio di
luglio a ieri. L´alto numero di vittime è il risultato delle due operazioni
lanciate dalle truppe straniere nel Sud del paese per guadagnare controllo
nelle zone dominate dai Taliban, ma è anche conseguenza dell´aumento degli
attacchi condotti dai seguaci del Mullah Omar contro le truppe straniere
proprio in vista del voto di agosto. Tutto, secondo gli esperti, fa presagire
che in vista delle elezioni la strategia contro i militari internazionali sarà
intensificata. Gli attentati sono in qualche modo facilitati anche dal fatto
che in vista delle operazioni elettorali la maggior parte dei paesi Nato hanno
aumentato il numero delle truppe sul terreno. Dopo l´appuntamento alcuni
cominceranno a ragionare apertamente di una «exit strategy»: per l´Italia si è
espresso in questo senso due giorni fa il primo ministro Silvio Berlusconi,
anche se ieri il titolare degli Esteri Franco Frattini ha spiegato che è
impossibile ora pensare a tempi chiari per un ritiro. Ma altri paesi sono
invece pronti a confermare se non aumentare il proprio impegno: è il caso degli
Stati Uniti e della Spagna. In un´intervista al New York
Times ieri il premier Josè Luis Zapatero ha detto che Madrid manderà altre
truppe in Afghanistan se sarà necessario. E i consiglieri del responsabile
delle truppe Usa, Stanley McChrystal, hanno fatto trapelare la notizia che il
generale si appresta a chiedere all´amministrazione Obama ulteriori rinforzi oltre a quelli già inviati nei mesi scorsi.
(
da "Repubblica, La"
del 31-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
12 - Esteri Il caso Guantanamo, giudice Usa ordina "A casa il detenuto
ragazzino" WASHINGTON - Tornerà a casa dopo sei anni a Guantanamo Mohammed
Jawad, un giovane afgano che secondo i suoi avvocati aveva 12 anni al momento
della cattura. Il rilascio è stato deciso ieri da un giudice Usa: ha ritenuto
che le prove fossero invalide, perché raccolte sotto tortura. Jawad era accusato di avere legami con i Taliban: per i suoi
avvocati al momento dell´arresto aveva 12 anni, per le autorità americane 17.
La sua liberazione potrebbe costituire un precedente per altri prigionieri del
centro che Barack Obama si
è impegnato a smantellare.
(
da "Repubblica, La"
del 31-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
39 - Esteri Trevor FitzGibbon, spin doctor dei liberal Usa "Gli elettori delusi sono sempre recuperabili" Il guru di
MoveOn "Il modello Obama si può esportare" La comunità online che ha dato una spinta
decisiva a Barack ha già una "figlia" in Australia Cinque milioni di
iscritti, il gruppo ha inventato la politica via email e le microdonazioni
ANAIS GINORI ROMA Ognuno ha la sua specialità. Trevor FitzGibbon è
esperto di «elettori di sinistra delusi o persino disgustati dalla politica».
Quelli che negli Usa si sono sempre astenuti o hanno votato candidati di
protesta, decretando per anni la sconfitta dei democratici. «Mai darli per
persi. C´è sempre un modo di recuperarli», racconta lo strano spin doctor
seduto alla terrazza di un hotel romano. FitzGibbon non lavora per un partito,
ma negli ultimi dieci anni ha contribuito alla crescita di MoveOn, il movimento
con 5 milioni di iscritti, motore della scalata democratica tra il 2006 e il
2008. «è grazie a noi e alle nostre campagne - ricorda - che molti giovani
hanno incominciato a votare». L´aspetto è ancora quello del ragazzo di Seattle
e amico dei Pearl Jam, anche se oramai ha passato i quaranta e colleziona
consulenze ben pagate nella nuova Washington liberal. è stato MoveOn a
sperimentare per primo il sistema delle micro- donazioni online, poi sfruttato
al massimo da Obama. Sempre MoveOn ha inventato gli
aggiornamenti per email, i comizi nelle case invece che nelle piazze. Tutte
tecniche seguite l´anno scorso dal candidato democratico. «Cominciò con una
banale email tra militanti democratici delusi dall´affaire Lewinsky», ricorda
FitzGibbon. Era il 1998. La petizione chiedeva ai deputati del Congresso di
«censurare» i comportamenti del presidente Clinton ma di evitare l´impeachment
e, soprattutto, di «andare avanti» con l´agenda politica del Paese. Tre
settimane dopo avevano firmato 250.000 persone. Le donazioni erano già
sufficienti a comprare una pagina di pubblicità sul New York Times. Dopo l´11
settembre 2001, MoveOn fu il primo a invocare una reazione moderata e razionale
al terrorismo, e a organizzare poi cortei pacifisti contro l´intervento in
Iraq. «Democracy in Action» è lo slogan applicato a tutte le battaglie, dalla
protesta contro la cancellazione di un popolare programma per bimbi sulla tv
pubblica, sino alle primarie online per incoronare nel 2004 il candidato Howard
Dean, battuto però nella sfida interna da John Kerry. Altri tempi. Ora la
"guerriglia della comunicazione" del movimento è come neutralizzata
davanti a un Congresso e un Presidente troppo amici. «Dobbiamo ripensare la
nostra identità», ammette FitzGibbon, che da qualche mese ha creato una propria
società di consulenza. Senza più un bersaglio (George W. Bush) cosa ne sarà
delle petizioni, delle cene di raccolta fondi, degli spot più cattivi? «Andremo
avanti - risponde -. Non per criticare Obama, ma per
fargli trovare la direzione giusta». MoveOn ha già pronta una campagna sulla
green economy (manifesto firmato da Shepard Fairey, l´artista del manifesto
"Hope") e una serie di video sulla riforma sanitaria. «La luna di
miele con l´elettorato democratico è già finita. Il nostro compito è fare
pressione da sinistra, affinché il Presidente abbia più margine di manovra al
centro», argomenta ancora FitzGibbon. Bisognerà vedere se gli elettori
democratici «delusi o disgustati» sentiranno ancora il bisogno di mobilitarsi
come ai tempi dell´amministrazione repubblicana. Per ora, nessun calo di
iscritti. In Australia c´è già un´organizzazione affiliata a MoveOn, battezzata
Get Up e ha ormai più membri di qualsiasi partito nazionale. «Ora stiamo già
discutendo di filiazioni in Francia e Gran Bretagna». I militanti statunitensi
hanno messo a disposizione la loro esperienza e una serie di tecniche
collaudate, compresi dei software in grado di far girare le petizioni o dei
format di documentari. «L´importante è spezzare il muro dell´indifferenza»,
conclude ancora FitzGibbon, che è venuto in Italia per una conferenza con la
speranza di trovare "alleanze" possibili per il movimento americano.
Anche MoveOn cominciò con un leader azzoppato da uno scandalo sessuale. Ma le
analogie finiscono qui.
(
da "Repubblica, La"
del 31-07-2009)
Argomenti: Obama
Pagina
24 - Economia Fmi: Eurolandia resta in recessione Nel 2010 Pil a -0,3%. Euro
sopravvalutato del 15%, c´è il rischio deflazione Ma l´ottimismo
di Obama fa bene alle
Borse, tutte in rialzo. Milano è ai massimi dell´anno ELENA POLIDORI ROMA -
Negli Usa la crisi sta per finire ma in Europa no. L´intera zona euro è tuttora
in recessione «con segnali di miglioramento che devono ancora evolversi in
recupero», sostengono gli esperti del Fondo monetario internazionale.
Restano «altamente incerti» i tempi e la portata della ripresa, che è attesa
nella prima metà del 2010 e sarà comunque «modesta». Eppure le Borse europee
volano, galvanizzate dalle speranze di uscita dalla crisi rese pubbliche da
Barack Obama. Ovunque compare il segno più e Milano
chiude ai massimi dell´anno con l´indice «ftse all share» in recupero del
2,48%. Trainata dai bilanci societari, anche Wall Street recupera (+0.88% il
Dow Jones) nonostante le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione
siano aumentate di 25mila unità, (fino a 584 mila) oltre le attese, ma al di
sotto dei picchi della scorsa primavera. Ripresa a due velocità, allora? Di
certo in Europa, secondo le stime del Fmi, l´anno venturo il Pil dovrebbe
contrarsi dello 0,3%, dopo un meno 4,8% previsto per il 2009; il tasso di
disoccupazione passerà dal 10,1% al 12% e i conti pubblici peggioreranno.
Perché l´agognata recovery sia «robusta» bisogna che i governi continuino a
sostenere la crescita. E, soprattutto, occorre fare di più per le banche, per
«pulire» i loro bilanci in modo che possano svolgere al meglio «la loro
funzione di intermediari»: al momento gli istituti sono ancora afflitti da «un
considerevole stress». Secondo il Fondo l´euro è sopravvalutato del 15%, c´è un
rischio deflazione in Europa e la Bce, che bene ha fatto ad adottare misure non
convenzionali a sostegno della liquidità, deve mantenere i tassi bassi. La
diagnosi del Fmi arriva nel giorno in cui la presidenza svedese fa sapere che
lavora ad un vertice straordinario sulla crisi economica tra i capi di stato e
di governo dei Grandi, da tenersi il 16 settembre, prima del G20 di Pittsburgh.
Mali e rimedi degli esperti internazionali si accoppiano a nuovi dati Eurostat
secondo cui nei primi mesi di quest´anno, la paura della recessione ha spinto
gli europei a tagliare le spese e a risparmiare come mai era accaduto negli
ultimi dieci anni. Tra gennaio e marzo il tasso di risparmio delle famiglie
europee ha toccato il massimo dal 1999, cioè da quando questo indicatore viene
misurato. Nei paesi di Eurolandia il record è a quota 15,6% contro il 13,8%
dell´ultimo trimestre del 2008. Nell´insieme dei 27 si è passati dal 12,3 al
13,8%. Nel periodo, scendono invece al minimo storico gli investimenti: 9,3%,
rispetto al 9,8% dell´ultimo trimestre 2008. Anche il Sud del mondo soffre per
la crisi. Così il Fondo decide di vendere parte delle riserve auree per
sostenere i paesi poveri: sono previsti aiuti sino a 17 miliardi di dollari
entro il 2014, di cui 8 nei prossimi due anni; è ipotizzata anche la
sospensione degli interessi sui prestiti già approvati. «Uno sforzo storico»,
commenta il numero uno del Fmi, Dominique Strauss-Kahn.
(
da "Corriere della Sera"
del 31-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 31/07/2009 - pag: 5
La battuta E il premier scherza sulla mosca: mi ha preso per Obama MILANO Silvio Berlusconi, nel
corso della conferenza stampa a L'Aquila al termine della visita alle zone
colpite dal terremoto, ieri è stato disturbato da una mosca. L'insetto gli
ronzava intorno. Il presidente del Consiglio non si è scomposto però più di
tanto. Anzi, ha scherzato con i giornalisti: «C'è questa mosca che mi ha
preso per Obama...». Il riferimento è al presidente
Usa ( foto ) che durante un'intervista televisiva colpì con una mano l'insetto
che gli si era posato sul braccio lasciandolo stecchito sul pavimento.
(
da "Corriere della Sera"
del 31-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Focus Vuota data: 31/07/2009 - pag: 11 Lo studio Due
sociologi francesi hanno filmato di nascosto 525 interventi delle forze
dell'ordine Neri e arabi controllati più dei bianchi I luoghi Sotto esame
cinque punti dentro o vicino alle due stazioni della Gare du Nord e di
Châtelet-Les Halles, tra le più frequentate Ricerca su Parigi: minoranze prese
di mira nelle verifiche «casuali» della polizia in metrò L a Francia della
laïcité che vieta hijab, crocefissi e kippah nelle scuole, perché ostacoli
all'integrazione. La Francia che ritiene fallimentare il multiculturalismo
messo alla prova dal caso olandese di Theo Van Gogh (il regista ucciso per il
film antiislamico «Submission») o da quello più recente del professore Henry
Gates di Harvard (ricevuto ieri sera da Obama dopo l' ingiusto arresto). Ma
anche la Francia delle banlieues degli immigrati arabi, esplose nel 2005 dopo
l'uccisione di due ragazzi da parte delle forze dell'ordine. E dei tanti atti
di razzismo di flics e gendarmes denunciati finora unilateralmente da minoranze
e da Ong, che sembrano adesso confermati per la prima volta da uno studio
scientifico. La ricerca è stata voluta e finanziata dalla fondazione
Open Society Institute del miliardario americano di origini ungheresi George
Soros, impegnato da anni in una battaglia globale contro il razzismo. «I
cittadini francesi di origine straniera, soprattutto quelli di origine
nord-africana e sub-sahariana, si lamentano da tempo di essere oggetto di
controlli polizieschi discriminatori e ingiusti. L'inchiesta ha confermato che
la polizia si basa in effetti sull'apparenza e non sul comportamento, su quello
che la gente sembra piuttosto che su quello che fa sostengono Fabien Jobard e
René Lévy, i due sociologi coordinatori della ricerca condotta dal Centre
National de la Recherce Scientifique, il Cnr transalpino . In particolare: per
i 'neri' le probabilità di essere fermati dalla polizia sono 7,8 volte più alte
che per i 'bianchi'. Per gli 'arabi' sono 6 volte di più». Lo studio raccolto
in un ponderoso rapporto dal titolo «Polizia e minoranze visibili» è stato
compiuto in cinque punti dentro o vicino alle due stazioni parigine della Gare
du Nord e di Châtelet-Les Halles. Luoghi prescelti perché da lì, a ogni ora,
passano migliaia di persone di ogni tipo, e i controlli di polizia sono
frequenti. Tra l'ottobre 2007 e il maggio 2008, in giornate qualsiasi, un
gruppo di osservatori ne ha seguiti discretamente 525, filmandoli con
telefonini e annotando età, sesso, abiti, aspetto delle persone che passavano
vicino alle pattuglie, in genere ignorate, e di quelle fermate. Queste ultime,
poi, sono state intervistate, per sapere quanto frequentemente capitasse loro
di essere controllate (molte hanno risposto «spesso»), se fossero state trattate
bene (in genere sì), se fosse stato spiegato il motivo del controllo (quasi
mai). Ma la parte centrale della ricerca ha riguardato i criteri in base ai
quali i «sospetti » sono stati ritenuti tali. E così, è emerso che se sulle 38
mila persone passate accanto alle pattuglie i «bianchi» erano il 57,9%, i
«neri» il 23% e gli «arabi » l'11,3%, i fermati appartenenti ai tre gruppi sono
stati rispettivamente 141, 201 e 102. Questione di look, concludono quindi
Jobard e Lévy, e questo non vale solo per il colore della pelle. Anche
l'abbigliamento, infatti, è spesso motivo di fermo. «Le persone che indossano
abiti associati a 'culture giovanili' come l'hip-hop, il gotico, il tecktonik o
il punk sono solo il 10% della popolazione, ma hanno rappresentato il 47% dei
fermati», dicono i ricercatori del Cnrs. Ma il dato, aggiungono, conferma
ancora una volta il racial profiling , ovvero l'inclusione di elementi razziali
nel sospettare qualcuno come possibile criminale. Due ragazzi su tre, tra
quelli così vestiti e fermati dalla polizia, appartengono infatti a minoranze
etniche: gli «arabi» e i «neri», ad esempio, adorano i cappucci. I risultati
dell'indagine, corredata da varie raccomandazioni alle autorità per creare
reciproca fiducia tra le forze dell'ordine e le minoranze, hanno fatto parlare
in Francia. Ma sono stati respinti dal governo: «Non è esatto affermare che i
controlli sono effettuati in base all'aspetto fisico ha dichiarato Christian
Estrosi, ministro dell'Industria, molto vicino a Nicolas Sarkozy, autore della
nuova e contestata legge sulle bande armate . E in quella stessa indagine, solo
il 3% delle persone fermate ha protestato, l'82% non ha avuto niente di cui
lamentarsi». Nessun commento, invece, dai vertici della polizia francese:
nemmeno sulle raccomandazioni per controlli più «etnicamente corretti», già
iniziati a diventare realtà ad esempio in Spagna e in Ungheria. «La ricerca ha
alcuni punti deboli ma offre spunti molto interessanti anche per l'Italia
sostiene Enzo Letizia, segretario nazionale dell'Associazione funzionari di
polizia . Punti deboli perché è stata effettuata solo a Parigi in due zone ad
alto traffico, dove la gente si comporta tutta nello stesso modo e per ovvi
meccanismi psicologici sono le differenze d'aspetto a contare. Spunti interessanti
perché lo studio indica che sarebbero necessarie, anche da noi, direttive su
come effettuare meglio i controlli ». Per Letizia bisognerebbe allargare la
visione all'intero territorio nazionale. «Se facessimo un simile studio a Roma
e Milano i risultati sarebbero probabilmente identici spiega , con la
differenza che da noi i rom hanno una presenza più importante che in Francia e
questa etnia esprime un'emergenza per furti e borseggi: un dato che emerge
dalle statistiche, purtroppo, non certo da pregiudizi razzisti. Ma se guardiamo
ad esempio alle zone ad alto rischio mafioso, i controlli di polizia riguardano
in modo preponderante gli italiani». Così, quando era giovane funzionario a
Malpensa durante la guerra del Golfo, Letizia ricorda che l'attenzione era
rivolta ai passeggeri in arrivo dai Paesi a rischio terrorismo, ma non meno a
quelli provenienti dalla Sicilia o dall'America latina per le emergenze mafia e
droga. Vero è che anche in Italia l'aspetto conta, lo prova la recente protesta
di Marcello Veneziani su Libero : il suo «aspetto vagamente
arabo-islamicomediorientale», ha scritto, lo sottopone a continui controlli e
perquisizioni. Ma per Letizia il racial profiling da noi «non è avvertito».
«Qui dichiara siamo ferrei sulla formazione e sul comportamento dei nostri
uomini. La deontologia è vitale e la nostra organizzazione è da sempre
impegnata a favore l'integrazione». Anzi, aggiunge Letizia, l'Associazione dei
funzionari di polizia si sta battendo perché nelle forze dell'ordine vengano
assunti immigrati di seconda generazione, che sarebbero utilissimi a livello
linguistico, tecnico e culturale. «Avere dei Petrosino arabi, cinesi o rom
significherebbe maggior integrazione ma anche più sicurezza per l'intero Paese.
Negli Usa l'hanno fatto con ottimi risultati», dice. In Italia, però, i tempi
non sembrano maturi: «Nel 2008 rivela Letizia abbiamo mandato una lettera con
questa proposta a tutti i candidati premier. Nessuno ci ha risposto, e finora
non si è mosso niente ». Cecilia Zecchinelli
(
da "Corriere della Sera"
del 31-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Primo Piano data: 31/07/2009 - pag: 8 Berlusconi ferma lo
strappo «Partito del Sud inaccettabile» «E' contro il Pdl». Poi una citazione
in latino. Bossi con lui DAL NOSTRO INVIATO L'Aquila Si è arrampicato su un
montacarichi per issare la prima bandiera sulle case appena finite di costruire
all'Aquila, ha sorvolato l'area devastata dal terremoto, ha fatto un punto con
i vertici della Protezione Civile sui tempi di consegna degli alloggi ai
terremotati, che per i «fortunati che vi entreranno» saranno dotati anche di
una torta e di bigliettini di benvenuto vergati dal premier, e ha anche tentato
di acchiappare, in conferenza stampa, una mosca che «deve
avermi preso per Obama...
». Tutto questo accadeva all'Aquila. Ma non c'è dubbio che lo sforzo maggiore
ieri Silvio Berlusconi lo abbia fatto a Roma, per chiudere una volta per tutte
il tormentone del partito del Sud, e soprattutto quel caso Sicilia che rischia
di costare parecchio al governo in termini di immagine e di equilibri politici
complessivi. Per questo, dopo una mattinata di incontri con il ministro
Prestigiacomo che «se non è stata invitata mercoledì al vertice era solo perché
non si discuteva di materie attinenti al suo dicastero», un pranzo con i
siciliani «lealisti» di Angelino Alfano e prima di una cena di chiarimento con
Gianfranco Miccichè, Silvio Berlusconi spegne ogni sogno o velleità di chi
immagina un partito del Sud federato, vicino, amico, comunque diverso dal Pdl
come è oggi: «Non credo - scandisce - che sia un'ipotesi che possa avere
successo. Sto per incontrare alcuni deputati (Miccichè e i suoi, ndr) che hanno
ventilato una ipotesi o di correnti nel Pdl o di una nuova formazione politica,
e posso dire che questo è esattamente il contrario di quello per cui io ho
lavorato con il Pdl», quando si sono unite 7 formazioni politiche che hanno
deciso di abbandonare il proprio simbolo. Per questo «non si può guardare con
simpatia o accettare che, anziché aumentare la coesione nel Pdl», si vada ad un
frazionamento. E se il messaggio non fosse chiaro, Berlusconi spiega anche
quali sarebbero el conseguenze di eventuali alzate di testa: come è successo
con Udc e Destra di Storace che, non volendo confluire nel partito unico, non
sono state accettate nell'alleanza, così accadrebbe «con qualunque altro
partito che nasca da una diaspora del Pdl». Insomma, dice con citazione latina
Berlusconi, «extra ecclesiam nulla salus», non c'è salvezza fuori dalla Chiesa,
e tantomeno fuori dal Pdl. Già ma, come ha lamentato qualche ministro, la
vicenda si chiude cedendo ai «ricatti» dei siciliani che sono riusciti con le minacce
a farsi concedere 4 miliardi di euro di fondi Tas. Una versione che Berlusconi
smentisce: «Io spero che, con questo finanziamento che era stato portato avanti
come ragione per fare un nuovo partito» adesso la situazione si calmi, ma in
ogni caso se i soldi sono stati concessi è perché la Sicilia si è mossa
correttamente nella sua richiesta e quei fondi le arrivano non come un regalo.
Poi toccherà «alla Puglia» e alle altre regioni che porteranno avanti piani
corretti, nell'ambito di quel «Piano per il Sud» che dovrebbe soddisfare le
esigenze di tutto il Meridione. E che però lascia freddino Bossi. Il leader
della Lega, che doveva ieri visitare l'Aquila assieme a Berlusconi, Calderoli e
Tremonti ma poi - come ha spiegato il Cavaliere - ha preferito rinunciare
perché «fa troppo caldo, lo sentite, verrà un'altra volta, magari di mattina
che è più fresco», qualche dubbio sembra averlo: «Non sono così negativo sul
piano per il Sud, ma i soldi non devono essere sprecati ». E Calderoli fa
capire che la questione Sud non andrà così liscia come sembra: «Il
provvedimento per il Mezzogiorno? Prima vedere cammello, poi dare tappeto...»
Battute che, giura Berlusconi, non incrinano minimamente l'unità di una
maggioranza che «non è mai stata più coesa di così», visto che «non c'è nessuna
divisione, nè sull'Afghanistan, nè sulla scuola, nè sulla sicurezza». Il
consiglio «Ho suggerito a Bossi di non venire oggi, perché fa troppo caldo.
Verrà quando sarà più fresco» Paola Di Caro
(
da "Corriere della Sera"
del 31-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Economia data: 31/07/2009 - pag: 31 Mercati Wall Street
riconquista i livelli di otto mesi fa Il balzo delle Borse Ma il Fmi vede l'Europa in recessione fino al 2010 Obama: i big finanziari, un rischio per l'economia MILANO Mercoledì le
rassicurazioni del presidente Barack Obama sulla ripresa dell'economia. Ieri l'aumento inferiore alle
attese dei nuovi sussidi di disoccupazione e una raffica di confortanti bilanci
trimestrali, da General Electric a Ibm. Così, dopo due giorni di
discesa, Wall Street è tornata a correre. Contribuendo a una giornata ancora
più positiva per le piazze europee. A metà mattinata l'indice Dow Jones
viaggiava a ritmi del 2%, toccando il livello più alto di quest'anno. E il
Nasdaq, basket di riferimento per le aziende tecnologiche, ha varcato anche
quella soglia dei 2000 punti che non vedeva dall'ottobre dell'anno scorso. Una
corsa che in Europa si è trascinata fino al termine della seduta. Alla fine, la
performance più consistente è quella di Piazza Affari, che ha chiuso con
l'indice Ftse Mib a più 2,65%. Poco al di sotto s'è fermato il resto del
continente: più 1,85% l'Ftse100 di Londra, più 1,71% il Dax30 di Francoforte,
più 2,08% il Cac40 di Parigi. Complessivamente, in base all'indice Dow Jones
Stoxx600, le borse europee hanno riguadagnato i livelli del novembre 2008. A
New York, invece, i rialzi della prima parte di seduta non sono stati
confermati al suono della campana: il Dow Jones ha terminato a più 0,92%, il
Nasdaq a più 0,84% Ma non basta certo una giornata di rialzi azionari per poter
parlare di una svolta compiuta, tantopiù in Europa. Proprio ieri il Fondo
Monetario Internazionale ha confermato che l'economia della zona-euro «resta in
recessione», e che «ci sono segni di miglioramento del-- l'attività, ma non si
sono ancora evoluti in una ripresa». Per il 2009, l'organizzazione di
Washington prevede una contrazione del prodotto interno lordo di Eurolandia del
4,8%, con un tasso di disoccupazione del 10,1%. E anche nel 2010 resterà il
segno meno (dello 0,3%), mentre il tasso dei senza lavoro arriverà al 12%.
Quanto al rapporto deficit-pil, sarà del 6,2% quest'anno e del 6,9% il
prossimo. Insomma, quella che si è vista finora è solo «una riduzione del ritmo
di contrazione economica». Densa di incognite per il sistema finanziario: l'Fmi
lo considera «ancora sotto stress, nonostante le azioni di governi e banche
centrali abbiano aiutato a contenere i rischi sistemici». Raccomandazioni:
«Un'ampia revisione dei bilanci delle banche per accertare i bisogni di
capitale, accompagnata da una maggiore diffusione delle informazioni, da
ricapitalizzazioni e, dove necessario, da ristrutturazioni». Anche dall'altra
parte dell'Atlantico è arrivato un autorevole monito agli istituti finanziari.
In un'intervista a BusinessWeek , il presidente Obama
ha puntato il dito contro «quelle compagnie che si considerano troppo grandi
per fallire e, per questo, sono troppo propense al rischio». «Rappresentano un
pericolo per l'economia», ha osservato. Giancarlo Radice
(
da "Corriere della Sera"
del 31-07-2009)
Argomenti: Obama
Corriere
della Sera sezione: Lettere al Corriere data: 31/07/2009 - pag: 39 SUL WEB
Risposte alle 19 di ieri La tua opinione su corriere.it La
domanda di oggi Il presidente americano Obama: la fine della crisi economica è più vicina. Siete ottimisti? Sì
R 50,9 No R 49,1 Dopo i nuovi attacchi dell'Eta a Burgos e a Maiorca, avete
paura di fare turismo nelle Isole Baleari e in Spagna?