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Report "Obama"  28-31 luglio 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

"L'Iran risponda a settembre" ( da "Stampa, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: pressione diplomatica statunitense espressa oltre che da Gates anche da George Mitchell (emissario di Obama per il Medio Oriente), e da James Jones (Consigliere per la sicurezza nazionale). E ieri, nel cuore di Gerusalemme, il movimento dei coloni ha inscenato una prima manifestazione anti-Obama con lo slogan: «No al diktat degli Usa», ossia «no» al congelamento degli insediamenti.

Il problema di Bossi è l'America ( da "Stampa, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: E che dire poi di Obama? Non è questione di razzismo, ma Obama è pur sempre l'uomo che nella crisi riprende in mano l'egemonia Usa, cerca il contatto con il Medio Oriente, riporta in primo piano l'Africa, e dà un rilievo enorme alla Turchia. Sull'altro grande fronte del mondo, la Cina, la Lega coltiva da anni perplessità forti.

Via dall'Afghanistan la frenata della Lega ( da "Stampa, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: a una cena che l'inviato di Obama per Afghanistan e Pakistan, Holbrooke, aveva organizzato per gli ambasciatori Nato: per assicurare agli Stati Uniti che il governo rispetterà gli impegni in Afghanistan, e che le divisioni nella maggioranza non mettono in discussione il nostro ruolo di «partner ascoltato» nel mondo.

[FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Costruiamo assieme il XXI secolo... ( da "Stampa, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Bush e confermò poi al G20 di Londra con Obama per assegnare una dimensione unica ai rapporti bilaterali. È per questo che il discorso di apertura di Obama è modellato per essere la piattaforma di 48 ore di colloqui di più gruppi di lavoro - guidati a livello di ministri - destinati ad affrontare «i problemi più urgenti del momento».

Crisi, il Ben Bernanke show ( da "Stampa, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: AMMISSIONI Sulle orme di Obama: la ricetta anti-crisi spiegata alla gente Crisi, il Ben Bernanke show MAURIZIO MOLINARI «Ho dormito per molte notti sul divano del mio ufficio Meritiamo qualche critica» Il presidente della Fed in tv: "Mi sono turato il naso per decidere di salvare le banche" CORRISPONDENTE DA NEW YORK Ho dovuto turarmi il naso nel decidere i salvataggi delle banche»

"Addio a 007 Ora me la prendo con i corrotti" ( da "Stampa, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: un sostenitore della prima ora di Obama, ha appoggiato la sua campagna elettorale e dichiara di vigilare sull'operato della nuova amministrazione americana. Dal suo osservatorio che cosa vede? «Obama ha già fatto tanto per chi crede nei valori della sinistra. La speranza nel cambiamento è forte, i diritti umani sono al centro dell'agenda politica e questa è già una buona notizia.

Chrysler, Marchionne porta la squadra in ritiro ( da "Stampa, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: la società automobilistica uscita dalla bancarotta e affidata da Obama alla cura Fiat. E' la "squadra Chrysler" al via, e la formazione del board, presieduto da Robert Kidder, amministratore delegato della 3Stone Advisors LLC, riflette la piena delega all'azienda torinese per la conduzione del business dell'auto sotto l'aspetto manageriale.

L'autostrada che unì il Sud In questo periodo, in cui si parla tanto dei... ( da "Stampa, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: LUCIANO SIMONETTI, CASELLE TORINESE Povero Obama dategli tempo Faccio riferimento all'editoriale della dottoressa Lucia Annunziata, per il cui contenuto desidero esprimere il mio dissenso. Sono rimasto sorpreso dal tono eccessivamente critico con cui sono state enfatizzate alcune dichiarazioni del presidente Obama.

obama alla cina: cooperare sul clima - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Prima Pagina Il presidente inaugura la "diplomazia del basket" Obama alla Cina: cooperare sul clima FEDERICO RAMPINI La diplomazia del ping-pong preparò il disgelo tra Nixon e Mao 38 anni fa. Oggi tocca al basket accompagnare il dialogo tra Stati Uniti e Cina, ormai promosso al rango di un G2 sui temi cruciali della recessione globale e dell´ambiente.

afghanistan, lite nel governo frattini alla lega: lì anche per voi - luciano nigro ( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Franco Frattini, incontra l´inviato di Obama Richard Holbrooke per confermare l´invio di nuovi mezzi a Kabul e Harat. E´ il capo della Farnesina ad aprile le ostilità. Di buon mattino legge l´intervista di Calderoli a Repubblica («La democrazia non si esporta, via anche da Libano e Balcani») e lancia l´altolà.

berlusconi, scatta l'allarme "non facciamo irritare obama" - (segue dalla prima pagina) francesco bei ( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Non facciamo irritare Obama" Il Cavaliere telefona al Senatur e il Carroccio frena "Con Umberto parlo io, ma Frattini deve dare subito un segnale agli americani" Il ministro degli Esteri si fa invitare alla cena dell´inviato di Obama a Bruxelles A Milano vertice dei leader della Lega "Manterremo come sempre gli impegni presi dal governo" (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)

omara regina del son "con una canzone si uccide il dolore" - luigi bolognini ( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Confido molto in Obama per migliorare un po´ la nostra situazione internazionale». Chi è il più grande artista con cui ha mai suonato? «Da dove parto? Non so: Chucho Valdés, Herbie Hancock, Maria Bethania, Avishai Cohen, Trilok Gurtu...». E di italiani chi stima?

- (segue dalla prima pagina) federico rampini ( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: che Obama non ha voluto dribblare. Aprendo il summit bilaterale di due giorni, affiancato dal segretario di Stato Hillary Clinton e dal segretario al Tesoro Tim Geithner, il presidente ha fatto un riferimento alla condizione dei buddisti tibetani, degli islamici uiguri, dei cristiani e di tutte le minoranze oppresse: «Tutti devono potersi esprimere liberamente:

quando bush censurava i ghiacciai - angelo aquaro ( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama. L´ambiente è uno dei punti forti del programma di Barack, che appena un mese fa ha sbandierato come una grande vittoria l´approvazione alla Camera del pacchetto clima, malgrado le critiche dei verdi più radical delusi dal Cap and Trade, il meccanismo di compravendita dei "diritti" (ovviamente costosi) di inquinamento.

appello di obama alla cina "cooperiamo su ripresa e clima" ( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 21 - Economia Appello di Obama alla Cina "Cooperiamo su ripresa e clima" Via alla diplomazia del basket: saremo una forza Vertice a due Washington. Gli Usa: a tutte le minoranze il diritto di espressione

sul nuovo "reset" pd e beni culturali ( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Altri temi trattati sul numero di Reset, il profilo delle first ladies (come è cambiata la figura della moglie del Presidente con l´avvento di Michelle Obama alla Casa Bianca?), una lettura del libro di Martha Nussbaum sull´India ad opera di Mariella Gramaglia, e le origini inglesi della non violenza del "mahatma" Gandhi.

Berlusconi, scatta l'allarme "Non facciamo irritare Obama" ( da "Repubblica.it" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ma va dato immediatamente un segnale agli americani, a Obama". Già, perché la dichiarazione estemporanea di Bossi alla serata di miss Padania, quella richiesta di far tornare "a casa" tutti i soldati italiani, cozzava in maniera troppo vistosa con quanto promesso dal premier ad Obama nel delicato (e sudato) incontro di metà giugno a Washington.

Via dall'Afghanistan, la Lega frena ( da "Stampaweb, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: inviato di Obama per Afghanistan e Pakistan, Holbrooke, aveva organizzato per gli ambasciatori Nato: per assicurare agli Stati Uniti che il governo rispetterà gli impegni in Afghanistan, e che le divisioni nella maggioranza non mettono in discussione il nostro ruolo di «partner ascoltato» nel mondo.

Obama lancia l'asse con la Cina ( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente americano: uniti per la crescita sostenibile Obama lancia l'asse con la Cina Vertice sull'economia, offerto «un patto strategico per il XXI secolo» «Collaboriamo per un futuro energetico pulito, sicuro e prospero ». È l'invito del presidente Usa Obama alla Cina al vertice di Washington.

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ha aperto il «Dialogo economico strategico» parlando proprio di clima: perché? «Usa e Cina sono i più grandi inquinatori del pianeta e le emissioni non conoscono frontiera. D'altro canto, nessuna politica sull'ambiente può essere fatta senza uno dei due.

Frattini rassicura gli americani: ( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Afghanistan e il Pakistan degli Stati Uniti di Barak Obama. I due commensali sono uno di fronte all'altro, soli se si eccettua il padrone di casa e cioè Ivo Daalder, rappresentante permanente americano presso la Nato (Truman Hall è appunto la sua sede). La cena è stata organizzata all'ultimo momento, ai margini del Consiglio dei ministri degli Esteri dell'Unione Europea,

G2 Usa-Cina per il governo dell'economia ( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: economia Obama: «L'inizio di una nuova era Così plasmeremo il XXI secolo» WASHINGTON E' nato il G2, il Dialogo strategico ed economico tra l'America e la Cina, la superpotenza di oggi e quella di domani, un forum annuale dove, ha dichiarato il presidente Obama aprendo i due giorni di lavori, «inizia una nuova era di sostanziosa cooperazione,

Il rebus di Pechino grande creditore costretto a tifare per Washington ( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: con la quale il presidente Obama ha presentato il nuovo «round» di discussioni strategiche Usa-Cina iniziato ieri a Washington. Con gli americani che tentano faticosamente di ricominciare a risparmiare, stabilità finanziaria, tenuta del dollaro e controllo dell'inflazione dipendono sempre di più dalla disponibilità degli altri Paesi a sottoscrivere titoli basati sulla valuta Usa.

<È un duopolio benigno Nessun rischio di conflitto>( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: WASHINGTON Secondo Richard Pipes, il noto storico del comunismo, Obama ha ragione: nel XXI secolo, la Cina sarà l'interlocutore d'obbligo dell'America, come l'Urss lo fu nel secolo XX. Ma se si formerà un G2, un direttorato a due, sarà per un dialogo costruttivo, non un confronto rischioso come quello della Guerra fredda.

Kabul, tregua nel Pdl Il Carroccio sosterrà la missione ( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: come ha fatto anche Obama». E infatti la Lega la settimana scorsa ha dato il via libera alla Camera al rifinanziamento delle missioni e si appresta a fare lo stesso in commissione al Senato. Ieri il leader dell'Udc Pierferdinando Casini, insieme a Roberta Pinotti del Pd, ha ufficialmente invitato il governo a riferire in Aula.

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama ha revocato le restrizioni ai viaggi e alle rimesse per gli americani con familiari a Cuba e ha riaperto il dialogo sull'immigrazione. Di questo, però, Raúl non parla. Cuba importa fino all'84% delle derrate alimentari e l'anno scorso ha subito perdite per 10 miliardi di euro a causa di tre uragani.>

Londra, la disfida dei due salotti in rosa ( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ha stretto amicizia con Michelle, la moglie di Obama, ha partecipato al raduno di gay e lesbiche, ha chiamato a raccolta i vecchi supporter. Infine ha ripreso i contatti con il mondo del cinema, della televisione, dei libri, dell'arte. Ma lì si è accorta che il monopolio laburista nell'alta società era in pericolo.

in campo Obiettivo Casa Bianca 2012 ( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: leggasi Obama), i media, i liberal naturalmente, «decisi a fare a pezzi la nazione », persino Hollywood che si oppone alla caccia ai lupi «perché non capisce niente». È uscita dall'Alaska, dimettendosi da governatore a metà del proprio mandato, per arrivare non si sa bene dove, ma con ogni probabilità alla candidatura alla Casa Bianca nel 2012,

Chrysler, Marchionne apre l'era Fiat ( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: numero uno della task force creata dal presidente Barack Obama per l'auto, ha fatto sapere che la Casa Bianca ha in programma di vendere «appena possibile» le quote in Chrysler e Gm. Su quest'ultima è possibile un'Ipo nel 2010. Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat e di Chrysler Giacomo Ferrari gferrari@corriere.

Per la mostra di Edward Hopper la gente ci mette la faccia... ( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: più accettabile perché somiglia alla figlia del presidente americano Barack Obama) e persino a una possibile coppia omosessuale. Ovviamente quest'ultima è solo un'allusione per chi vuole pensarlo, ma anche questo trucco serve a non escludere nessuno dei potenziali clienti della mostra. Tutti, insomma, sono chiamati a comprare il biglietto, non importa il sesso, il colore, l'età.

Bush censurava i ghiacciai Ecco le foto tenute segrete ( da "Repubblica.it" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama. L'ambiente è uno dei punti forti del programma di Barack, che appena un mese fa ha sbandierato come una grande vittoria l'approvazione alla Camera del pacchetto clima, malgrado le critiche dei verdi più radical delusi dal Cap and Trade, il meccanismo di compravendita dei "diritti" (ovviamente costosi) di inquinamento.

Obama spegne il tabellone anti-Castro ( da "Stampaweb, La" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract:

Pd, Marino annuncia querele Franceschini: "Non trituriamoci" ( da "Repubblica.it" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: sapendo che le idee nuove nascono dalla sintesi dopo un confronto tra diversità". Cita Obama, il segretario del Pd. E il suo tentativo riuscito di mettere in campo "una gerarchia di valori rovesciata, l'America di oggi sembra un'altra rispetto a quella di due anni fa. E' quello che dobbiamo fare noi". (28 luglio 2009

Cina-Usa, accordo al summit "Collaboriamo per crescere" ( da "Repubblica.it" del 28-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Solo ieri Obama aveva annunciato "una nuova era di collaborazione, non di scontro" con la Cina, invito subito colto al balzo da Wang, uno dei responsabili della politica economica cinese: "Cina e America collaboreranno più da vicino e le relazioni commerciali fra i due paesi progrediranno".

Le parole di Umberto Bossi sul ritiro dall'Afghanistan preoccupano l'amministrazione Obama... ( da "Stampa, La" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Le parole di Umberto Bossi sul ritiro dall'Afghanistan preoccupano l'amministrazione Obama»: parola di Charlie Kupchan, titolare degli studi europei al «Council on Foreign Relations» di Washington nonché ex consigliere della Casa Bianca negli anni di Bill Clinton. Quali sono i motivi della preoccupazione americana? «Riguardano due aspetti.

Se l'Italia ti snobba, c'è Obama ( da "Stampa, La" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: c'è Obama RICCARDO LATTANZI NEW YORK UNIVERSITY - USA A molti sarà capitato di bere un po' per distendersi, sospirando «ho bisogno di un drink». Si sa che l'alcol aiuta a rilassarsi, ma quali sono i meccanismi fisiologici alla base del fenomeno? Paradossalmente, potrebbero essere gli studi di una ricercatrice italiana,

La Russa: da Kabul nessuno si muove ( da "Stampa, La" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: inviato di Obama, Richard Holbrooke, era per il presidente del Consiglio «solo una battuta», e foriera di «polemiche sul nulla di giornali che han pagine da riempire». Umberto Bossi, politico pragmatico, s'era limitato ad aggiungere qualche considerazione illuminante, «la missione costa moltissimo, comincia a fare troppi morti,

la logica dell'irresponsabilità - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il nostro Berlusconi - non proprio affine a Obama per biografia e profilo cultural-politico. Sicché a Roma si stenta a percepire che questa America dall´Afghanistan se ne vuole andare appena possibile. Perché Obama sa e fa sapere che la guerra non si può vincere. A nessuno piace combattere senza coltivare alcuna speranza di successo.

la cina rimprovera gli usa "dovete risanare il deficit" - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Amministrazione Obama. Il vertice bilaterale di Washington si è chiuso ieri sotto il segno dell´offensiva "capitalista" degli ospiti cinesi, preoccupati di tutelare i propri investimenti in dollari. Il vicepremier Wang Qishan ha richiamato all´ordine i padroni di casa, sospettati di voler esportare inflazione per ridurre i propri debiti:

washington spegne il tabellone anti-castro "quelle frasi di protesta non servono più" - omero ciai ( da "Repubblica, La" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: è parte della politica di dialogo e distensione verso il regime cubano voluta da Barack Obama ma è anche il riconoscimento di una straordinaria fesseria. L´idea di usare la facciata del palazzo per lanciare messaggi anti - castristi venne nel 2004 a James Cason, il più determinato tra i recenti responsabili Usa dell´ex ambasciata.

meno disoccupati sorpresa d'estate per sarkozy ( da "Repubblica, La" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: obama e gli speculatori] ROMA - La speculazione finanziaria sul petrolio c´è. Anzi, non c´è. Il dibattito è destinato a continuare e, adesso, vede su fronti opposti anche le massime istituzioni di regolamentazione del mercato. A Londra, la Fsa è appena arrivata alla conclusione che gli sbalzi nei prezzi del barile sono frutto dell´

Uniti contro l'effetto serra ( da "Stampaweb, La" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: impatto della loro offerta di dollari sull?economia domestica e sull?economia del mondo in generale», ha detto Wang. E? una critica al superdeficit di Washington e alle intenzioni d?indebitamento di Obama per finanziare la riforma sanitaria.

Sonia Sotomayor, primo sì del Senato ( da "Corriere della Sera" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: era stata proposta dal presidente Barack Obama. La Commissione, composta da 12 senatori democratici e 7 repubblicani, ha espresso 6 voti contrari e 13 favorevoli, compreso quello del senatore repubblicano Lindsey Graham. Per la nomina definitiva bisogna attendere il voto dell'intero Senato, atteso per i primi di agosto.

LA S CALATA DI O BAMA E I D UBBI DI I SRAELE ( da "Corriere della Sera" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: aneddoto funziona ancora per spiegare l'approccio alla missione che Barack Obama gli ha affidato. Le montagne che Mitchell ha affrontato nella visita a Gerusalemme sono quelle della Cisgiordania, dove gli americani pretendono il blocco degli insediamenti. «Progressi», dice dopo l'incontro di due ore e mezzo con il premier Benyamin Netanyahu.

Obama spegne lo schermo con gli slogan anti Castro ( da "Corriere della Sera" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: da Bush nel 2006 era montato sulla rappresentanza diplomatica americana a L'Avana Obama spegne lo schermo con gli slogan anti Castro Nemmeno i 638 tentativi della Cia per farlo fuori (vero o falso, è un numero che fa parte della mitologia cubana) avevano fatto infuriare tanto Fidel Castro come quel tabellone luminoso, dall'incerto funzionamento, piazzato sul lungomare dell'Avana.

Nuove regole d'ingaggio e prospettive di exit strategy ( da "Corriere della Sera" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Mentre il presidente Obama è costretto a muoversi tra una politica offensiva ulteriori 4 mila marines sono stati inviati all'inizio di luglio nella provincia meridionale dell'Helmand e a parlare di un'«efficace strategia d'uscita». La data, però, è ancora imprecisata.

Strout: la vera America e il mio orgoglio bianco ( da "Corriere della Sera" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: è stato in fila per ore ai seggi per votare Obama». È la stessa fierezza che si respira in certi libri di John Cheever e John Updike, di cui la Strout si considera l'erede spirituale: «Sento una grande affinità soprattutto con Cheever. Abbiamo un'estrazione culturale molto simile, salvo che lui si dava un sacco d'arie ed aveva problemi con l'alcol,

Obama corteggia la Fifa: "Vogliamo i mondiali di calcio del 2018" ( da "Stampaweb, La" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama ha accolto alla Casa Bianca il presidente della Fifa Sepp Blatter per una vera e propria azione di lobbying calcistico: durante l?incontro privato di lunedì, Obama ha presentato, seppure in via informale, e promosso la candidatura degli Stati Uniti a paese ospite dei mondiali, sottolineando le enormi potenzialità dell?

Tutti su Twitter; il governo inglese educa i ministri al social networking ( da "Stampaweb, La" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: in prima fila il presidente americano Barack Obama (oltre 1,8 milioni di seguaci) e la Casa Bianca - ne fanno già uso. Fra i ministri italiani più attivi nel microblogging, c?è il capo della diplomazia Franco Frattini che proprio oggi pubblica su Twitter - e sulla sua pagina di Facebook - un bilancio in cifre dei suoi primi 15 mesi di lavoro alla Farnesina.

Obama: "La crisi è quasi finita" ( da "Stampaweb, La" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama, secondo cui però il futuro economico del Paese è legato a doppio filo all?approvazione della riforma sanitaria, un tasto su cui il presidente batte con insistenza da settimane. «È vero che abbiamo fermato la caduta libera dell?economia, i mercati azionari sono in rialzo, il sistema finanziario non è più a un passo dal collasso e la perdita di posti di lavoro è dimezzata rispetto

Obama: "Vicini a fine recessione salvati migliaia di posti di lavoro" ( da "Repubblica.it" del 29-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: a detta dei detrattori, cominciano a voltare le spalle a Obama. L'obiettivo, quindi, è spiegare l'azione della sua amministrazione. A partire dal salvataggio delle banche. "Se non l'avessimo fatto - spiega Obama - non ci sarebbe stata ripresa economica". Stesso tono per quanto riguarda gli aiuti al settore delle auto.

"Exit strategy da Kabul dopo il voto" ( da "Stampaweb, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Con i senatori del Pdl il presidente del Consiglio si è dilungato poi in un lungo elogio di Barack Obama. «C?è - ha detto - una grande collaborazione. È un uomo colto e preparato, simpatico e con un grande amore per la famiglia». Elogi dell?attuale sì, ma anche contatti con il predecessore. Il Cavaliere ha infatti raccontato di aver sentito oggi George W.

Il Cavaliere nel cocktail di saluto coi senatori Chi di noi non vuole i soldati a casa? ( da "Stampa, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: secondo il piano varato dal presidente Obama, che punta a salire da 38 mila a 59 mila uomini. «Con lui c'è una grande collaborazione. E' un uomo colto e preparato, simpatico e con un grande amore per la famiglia», lo loda Berlusconi. Oggi è previsto alle Commissioni Esteri e Difesa del Senato il voto definitivo sul rifinanziamento delle missioni per i prossimi quattro mesi.

Colin Powell: "Anche io una vittima del razzismo" ( da "Stampa, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: schiera sulle stesse posizioni del presidente Barack Obama perché da una parte critica la polizia di Cambridge osservando che «l'arresto non sarebbe dovuto avvenire» ma dall'altra suggerisce che forse anche Gates ha commesso gravi errori. È questa la cornice nella quale oggi pomeriggio nello Studio Ovale della Casa Bianca il presidente riceve tanto Gates che il poliziotto Crowley,

"Più vicina la fine della crisi" ( da "Stampa, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: i prezzi delle case stanno crescendo negli Stati Uniti» consentendo a Obama di chiudere la giornata-maratona in tono positivo.Se Obama vede una fine prossima della recessione e un certo riavvio del ciclo in America probabilmente è nel giusto: ma si tratta di una ripresa artificiale, perchè è guidata dalla spesa pubblica.

Yahoo e Microsoft alleanza anti-Google ( da "Stampa, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ma Ballmer ha anche detto che si teme una "opposizione" sotto l'aspetto dell'antitrust da ciò che ha polemicamente bollato come "il concorrente", un chiaro riferimento a Google. E' ben noto, e preoccupante per Microsoft e Yahoo, che tra l'amministrazione Obama e Google i legami siano strettissimi.

"Il vero obiettivo è conquistare il mercato cinese" ( da "Stampa, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama e Google i legami siano strettissimi. «Il patto che è stato raggiunto fra Yahoo e Microsoft punta alla conquista del mercato cinese». Allen Sinai, guru della finanza di Wall Street, legge l'accordo sulla nascita del nuovo motore di ricerca come «l'inizio di una sfida globale per i controllo del web che va ben oltre i confini americani»

"Genoa, non lasciarci" Acqui a colpi di ruspa si tiene stretti i rossoblù ( da "Stampa, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: viene accolti da un grande striscione rossoblù che riprende nello stile e nei contenuti i manifesti della campagna elettorale di Obama, ma il volto rappresentato è quello di un altro presidente. Un sorridente Enrico Preziosi con il motto «Yes we go» è una scelta di immagine importante a sottolineare il ritorno in Europa di una delle squadre che hanno scritto la storia del calcio.

Quando la morte è decisa dallo Stato ( da "Stampa, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Gli Usa stanno cambiando con Obama? I segnali restano contrastanti. Da un lato, infatti, la Corte Suprema ha confermato la legittimità dell'iniezione letale, in quanto «una certa quota di dolore» nell'esecuzione è inevitabile, dall'altro il New Mexico ha abolito la pena di morte.

obama: tempi ancora duri ma la crisi sta per finire - federico rampini ( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: si allenta la stretta al credito Obama: tempi ancora duri ma la crisi sta per finire FEDERICO RAMPINI «La recessione è finita!». è un titolo di copertina del settimanale Newsweek il pretesto usato da Barack Obama: per cavalcare la speranza di una ripresa imminente, incassare i primi dati positivi dall´economia reale, e difendere la propria politica economica.

terzi ambasciatore italiano a washington, domani la nomina ( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: di avviare il dialogo con i leader del Partito democratico che ha poi portato Barack Obama alla presidenza. Nell´ufficio di 2 Millenium Plaza, di fronte al Palazzo di Vetro, al suo posto arriverà Cesare Ragaglini, fino ad oggi direttore generale per il Medio Oriente, uno dei diplomatici col grado di ambasciatore più giovani e combattivi.

"cittadini americani impegnatevi di più la lotta al terrorismo riguarda anche voi" - angelo aquaro ( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: America di Obama anche la guerra al terrore ricomincia dal basso. «Per troppo tempo abbiamo trattato la gente come soggetto passivo e da proteggere, piuttosto che bene prezioso per la sicurezza nazionale». In uno dei primi discorsi dalla designazione di gennaio, Janet Napolitano, il ministro dell´Interno che Barack ha scelto per rileggere la dottrina antiterrore di Bush,

wynton marsalis, la poesia del jazz - lucia marchio ( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: formazione è la stessa che si esibì davanti al presidente americano Barack Obama nel giorno dell´insediamento lo scorso 19 gennaio (tra l´altro con il giovanissimo genio del sax nostrano, il siculo Francesco Cafiso, già al suo fianco a soli 14 anni). Stasera di sicuro non ripeterà il celeberrimo Concert for Obama, ma qualche rimando alle composizioni della tradizione swing e blues,

la rivincita dello zucchero torna campione in tavola e al mercato diventa oro - (segue dalla prima pagina) ettore livini ( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ETTORE LIVINI Michelle Obama l´ha sdoganato dal ghetto del cibo-spazzatura: «è un prodotto naturale. Alle mie figlie non darò mai dolcificanti». Le alluvioni sulle piantagioni di canna in Brasile e un monsone troppo secco in India (i due maggiori produttori mondiali) hanno fatto il resto: i raccolti saranno inferiori al previsto e il prezzo dell´

la diplomazia alla birra del "presidente-barista" - angelo aquaro ( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ANGELO AQUARO DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - La notte in cui sembrava che il mondo stesse cambiando davvero, Barack Obama stappò 3mila bottiglie di 312 Urban Wheat Ale, la birra più chic prodotta dalla Goose Island, marchio-simbolo della sua Chicago da bere. Questa sera, se le indiscrezioni saranno confermate, brinderà con la più prosaica Bud (e pure light).

vertice di governo nel weekend ( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Esteri Sanità e riforme Vertice di governo nel weekend WASHINGTON - Il presidente Usa Barack Obama, il suo vice Joe Biden e 22 membri di governo si riuniranno a Washington venerdì e sabato. Obiettivo: una maratona di riunioni per fare il punto sui primi sei mesi di presidenza e programmare un autunno di riforme che si preannuncia caldo.

obama: "la recessione sta per finire" - (segue dalla prima pagina) federico rampini ( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama: "La recessione sta per finire" "Abbiamo fermato il tracollo, ma ci saranno ancora tempi duri" Il presidente contro i repubblicani: "Non è ancora il momento per i tagli di spesa" Ma la crisi comincia a colpire anche il suo indice di gradimento: ora è al 53 per cento Il sistema finanziario non è più sull´orlo del collasso La perdita di posti di lavoro è due volte meno rapida

"Exit strategy dall'Afghanistan" ( da "Stampaweb, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: secondo il piano varato dal presidente Obama, che punta a salire da 38 mila a 59 mila uomini. «Con lui c?è una grande collaborazione. E? un uomo colto e preparato, simpatico e con un grande amore per la famiglia», lo loda Berlusconi. Oggi è previsto alle Commissioni Esteri e Difesa del Senato il voto definitivo sul rifinanziamento delle missioni per i prossimi quattro mesi.

Il Cavaliere fa il dj ( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Al termine politica estera e ancora battute, con un lungo elogio per Obama («colto, preparato e simpatico») e la rivelazione di una telefonata affettuosa con Bush. E sulla Pravda : «Mi elogia, dice che sono bravo anche a letto». R. R. Al piano Silvio Berlusconi suona al pianoforte durante il vertice Russia-Nato a Pratica di mare (2002).

Obama: ( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 6 Obama: «L'economia non è più in caduta libera» Il presidente: rallenta anche il calo dell'occupazione e i mercati azionari sono in rialzo DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK «Siamo vicini alla fine della recessione»: Barack Obama mostra per la prima volta un prudente ottimismo sulla congiuntura, ma la Borsa (ieri in leggera flessione)

Obama: fine della crisi più vicina ( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: presidente americano arriva un messaggio di fiducia sullo stato dell'economia Obama: fine della crisi più vicina «Disoccupazione e finanza, non siamo più in caduta libera» «La fine della crisi è più vicina». L'ottimismo del presidente Usa Obama sullo stato dell'economia: «Il mercato si è ripreso, il sistema finanziario non è più in caduta libera e molti posti di lavoro sono salvi».

Due anni di neointerventismo di Stato ( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: appello del presidente Obama a contenere le remunerazioni al top. È una mina sotto la coesione sociale: il conflitto tra regolazione e deregolazione è strettamente legato, come mostra il grafico, agli interessi della ristretta minoranza che tratta il denaro. Ma per l'economia il punto cruciale è quanto rischio le banche stanno prendendo per riavviare la giostra.

No R 20,8 ( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: it Vi piacerebbe che al posto di Felipe Massa tornasse a guidare una Ferrari Michael Schumacher? SUL WEB Risposte alle 19 di ieri Sì R 79,2 No R 20,8 La domanda di oggi Il presidente americano Barack Obama: la fine della crisi economica è più vicina. Siete ottimisti?

Locali del centro storico, la fiera dell'illegalità ( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: in occasione della cena di Michelle Obama ». Ilaria Sacchettoni Piazza delle Coppelle Auto della Municipale durante uno dei controlli sulla piazzetta dietro al Pantheon Campo de' Fiori Uno dei luoghi della movida più scatenata ed una delle piazze a più alta concentrazione di locali, che affollano tutto il perimetro della piazza

Berlusconi: ( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama. Tutti i Paesi impegnati sul fronte desiderano vedere in atto un'«efficace strategia d'uscita che consenta all'esercito dell'Afghanistan, alla polizia, ai tribunali, al governo afghani di farsi carico di sempre maggiori responsabilità riguardanti la loro sicurezza», aveva detto il presidente americano lo scorso 14 luglio di fronte al crescente numero di perdite nell'

E in Bulgaria arriva il premier-bodyguard ( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Amministrazione Obama. Nel tentativo di inaugurare il nuovo corso della trasparenza, lunedì Borisov ha riaperto un capitolo doloroso per il Paese dichiarando che nel 2007 Sofia pagò alla Libia 100 milioni di dollari per il rilascio delle cinque infermiere bulgare e del medico palestinese accusati di aver inoculato deliberatamente il virus dell'

Colin Powell sul caso Gates: "Anch'io giudicato per il colore della pelle" ( da "Stampaweb, La" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: E se cancellare questi atteggiamenti richiede un cambiamento culturale lento e profondo, è previsto per oggi un passo decisivo per risolvere il caso Gates: il professore e il sergente Crowley sono attesi alla Casa Bianca, per un incontro con il presidente Obama che dovrebbe mettere la parola fine alla vicenda. + Finestra sull''America, di Maurizio Molinari commenti (0) scrivi

Nomine alla Farnesina Terzi ambasciatore a Washington ( da "Repubblica.it" del 30-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: di avviare il dialogo con i leader del Partito democratico che ha poi portato Barack Obama alla presidenza. Nell'ufficio di 2 Millenium Plaza, di fronte al Palazzo di Vetro, al posto di Terzi arriverà Cesare Ragaglini, fino ad oggi direttore generale per il Medio Oriente, uno dei diplomatici col grado di ambasciatore più giovani e combattivi.

Obama frena sulla crisi economica "Pil in calo nel secondo trimestre" ( da "Repubblica.it" del 31-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: gli entusiasmi di Barack Obama. Dopo un incontro ufficiale con il presidente delle Filippine Gloria Macapagal Arroyo, il presidente americano ha fatto il punto sullo stato di salute dell'economia statunitense assieme ad alcuni giornalisti. Obama non ha ancora visto i dati ufficiali (saranno pubblicati soltanto venerdì), ma sospetta che mostreranno "

Obama, il prof e il poliziotto Pace davanti a una birra ( da "Stampa, La" del 31-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: «Bud Light» per Obama e Biden. Da qui il termine «summit della birra». Per Obama però si è trattato «non di un vertice ma solo di quattro persone che prendono assieme una birra a fine giornata per aver la possibilità di comprendersi l'un l'altro al fine di ridurre la rabbia e promuovere la riflessione».

La regina d'Olanda compra le lavasciuga della Lindhaus ( da "Stampa, La" del 31-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: La piccola impresa rifornisce infatti anche la Casa Bianca del Presidente Obama, il Cremlino, la Camera dei Deputati italiana, il Parlamento austriaco e quello sloveno. L'azienda nel 2008 ha fatturato 15 milioni di euro con una quota di export dell'80%.

e rispunta la vecchia cassa per il mezzogiorno - luca iezzi ( da "Repubblica, La" del 31-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Un confronto che la maggioranza di governo mostra di non temere, d´altronde se negli Usa Obama rivaluta gli interventi di emergenza del New deal di Roosevelt, perché noi non dovremmo riproporre la Cassa, che nel 1950 fu istituita proprio per ricalcare le agenzie di sviluppo locale pensate negli Usa? Stesso modello e risultati opposti.

afghanistan, pronta la jihad contro il voto ( da "Repubblica, La" del 31-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: intervista al New York Times ieri il premier Josè Luis Zapatero ha detto che Madrid manderà altre truppe in Afghanistan se sarà necessario. E i consiglieri del responsabile delle truppe Usa, Stanley McChrystal, hanno fatto trapelare la notizia che il generale si appresta a chiedere all´amministrazione Obama ulteriori rinforzi oltre a quelli già inviati nei mesi scorsi.

guantanamo, giudice usa ordina "a casa il detenuto ragazzino" ( da "Repubblica, La" del 31-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Jawad era accusato di avere legami con i Taliban: per i suoi avvocati al momento dell´arresto aveva 12 anni, per le autorità americane 17. La sua liberazione potrebbe costituire un precedente per altri prigionieri del centro che Barack Obama si è impegnato a smantellare.

il guru di moveon "il modello obama si può esportare" - anais ginori roma ( da "Repubblica, La" del 31-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Gli elettori delusi sono sempre recuperabili" Il guru di MoveOn "Il modello Obama si può esportare" La comunità online che ha dato una spinta decisiva a Barack ha già una "figlia" in Australia Cinque milioni di iscritti, il gruppo ha inventato la politica via email e le microdonazioni ANAIS GINORI ROMA Ognuno ha la sua specialità.

fmi: eurolandia resta in recessione - elena polidori ( da "Repubblica, La" del 31-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ottimismo di Obama fa bene alle Borse, tutte in rialzo. Milano è ai massimi dell´anno ELENA POLIDORI ROMA - Negli Usa la crisi sta per finire ma in Europa no. L´intera zona euro è tuttora in recessione «con segnali di miglioramento che devono ancora evolversi in recupero», sostengono gli esperti del Fondo monetario internazionale.

E il premier scherza sulla mosca: mi ha preso per Obama ( da "Corriere della Sera" del 31-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 5 La battuta E il premier scherza sulla mosca: mi ha preso per Obama MILANO Silvio Berlusconi, nel corso della conferenza stampa a L'Aquila al termine della visita alle zone colpite dal terremoto, ieri è stato disturbato da una mosca. L'insetto gli ronzava intorno. Il presidente del Consiglio non si è scomposto però più di tanto.

Neri e arabi controllati più dei bianchi ( da "Corriere della Sera" del 31-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ricevuto ieri sera da Obama dopo l' ingiusto arresto). Ma anche la Francia delle banlieues degli immigrati arabi, esplose nel 2005 dopo l'uccisione di due ragazzi da parte delle forze dell'ordine. E dei tanti atti di razzismo di flics e gendarmes denunciati finora unilateralmente da minoranze e da Ong, che sembrano adesso confermati per la prima volta da uno studio scientifico.

Berlusconi ferma lo strappo ( da "Corriere della Sera" del 31-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: deve avermi preso per Obama... ». Tutto questo accadeva all'Aquila. Ma non c'è dubbio che lo sforzo maggiore ieri Silvio Berlusconi lo abbia fatto a Roma, per chiudere una volta per tutte il tormentone del partito del Sud, e soprattutto quel caso Sicilia che rischia di costare parecchio al governo in termini di immagine e di equilibri politici complessivi.

Il balzo delle Borse Ma il Fmi vede l'Europa in recessione fino al 2010 ( da "Corriere della Sera" del 31-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Europa in recessione fino al 2010 Obama: i big finanziari, un rischio per l'economia MILANO Mercoledì le rassicurazioni del presidente Barack Obama sulla ripresa dell'economia. Ieri l'aumento inferiore alle attese dei nuovi sussidi di disoccupazione e una raffica di confortanti bilanci trimestrali, da General Electric a Ibm.

Sì R 50,9 No R 49,1 ( da "Corriere della Sera" del 31-07-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: it La domanda di oggi Il presidente americano Obama: la fine della crisi economica è più vicina. Siete ottimisti? Sì R 50,9 No R 49,1 Dopo i nuovi attacchi dell'Eta a Burgos e a Maiorca, avete paura di fare turismo nelle Isole Baleari e in Spagna?


Articoli

"L'Iran risponda a settembre" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

IL MINISTRO DELLE DIFESA DI GERUSALEMME: NON ESCLUDIAMO NESSUNA OPZIONE Il ministro della Difesa americano: pronti a nuove sanzioni se non ci saranno novità "L'Iran risponda a settembre" [FIRMA]ALDO BAQUIS TEL AVIV In una visita-lampo di sei ore, il segretario alla difesa Robert Gates ha detto ieri ai dirigenti israeliani che per far fronte alla minaccia nucleare iraniana è necessario garantire alla diplomazia degli Stati Uniti ancora alcuni mesi di tempo. L'assistenza militare qualitativa del suo Paese allo Stato ebraico resta comunque confermata, ha aggiunto Gates, malgrado le divergenze di opinioni sulla colonizzazione ebraica in Cisgiordania. Una settimana, per Israele, all'insegna della pressione diplomatica statunitense espressa oltre che da Gates anche da George Mitchell (emissario di Obama per il Medio Oriente), e da James Jones (Consigliere per la sicurezza nazionale). E ieri, nel cuore di Gerusalemme, il movimento dei coloni ha inscenato una prima manifestazione anti-Obama con lo slogan: «No al diktat degli Usa», ossia «no» al congelamento degli insediamenti. A Gates il ministro della difesa Ehud Barak ha detto sulla questione iraniana «Israele non esclude alcuna opzione», ma ha subito aggiunto che il suo Paese «non è cieco di fronte alla ripercussioni regionali ed altrove delle sue attività». Nelle settimane scorse Israele è sembrato inoltrare messaggi di crescente impazienza verso l'Iran quando un suo sottomarino Dolphin e due corvette lanciamissili Saar hanno attraversato il canale di Suez dal Mediterraneo al mar Rosso, (con il beneplacito dell'Egitto), accompagnati da vistosi titoli sulla stampa. Barak ha ribadito il profondo scetticismo di Israele per l'apertura diplomatica di Obama verso Teheran e ha proposto che fin d'ora siano messe a punto sanzioni severe. Gates ha replicato che comunque il Presidente non pazienterà all'infinito: si aspetta dall'Iran un risposta «per questo autunno, con la Assemblea generale delle Nazioni Unite». Più tardi, nel corso della visita ad Amman, Gates ha detto che Washington spingerà per nuove sanzioni contro l'Iran se i colloqui diplomatici si concludessero con un nulla. «Se le trattative non andranno a buon fine gli Stati Uniti sono pronti a fare pressione per nuove significative sanzioni e perchè la comunità internazionale assuma un atteggiamento più duro», ha detto Gates, durante la conferenza stampa seguita all'incontro con re Abdallah di Giordania. Il segretario della Difesa ha tuttavia sottolineato che la Casa Bianca spera ancora che «l'Iran risponda alla mano tesa dal presidente (Usa, Barack Obama) in maniera positiva e costruttiva». In Israele, Perez ha discusso con il capo dello stato Shimon Peres La questione palestinese e le prospettive di rilanciare negoziati di pace con la Siria. Peres ha insistito su tasti ottimistici: nelle posizioni del premier Benyamin Netanyahu (che ora parla di uno «stato palestinese smilitarizzato al fianco di un Israele riconosciuto come stato ebraico») c'è stata una evoluzione molto positiva, ha notato. L'economia della Cisgiordania decolla e la Siria - ha assicurato Peres - troverà di sicuro in Israele un partner di pace se non porrà precondizioni. Reduce da Damasco e dal Cairo, Mitchell ha spronato i dirigenti israeliani a verificare come possano essere appagate le richieste palestinesi per il congelamento delle colonie. Israele sperava di ricevere almeno in cambio primi gesti di normalizzazione da parte dei Paesi arabi: invece, ha constatato Mitchell, i tempi sono ancora prematuri.

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Il problema di Bossi è l'America (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Lucia Annunziata Il problema di Bossi è l'America Uno dei suoi più famosi manifesti recita: «Sì alla polenta, no al cous cous». Naturalmente il messaggio, come tutti i messaggi politici, è terribilmente semplificato, ma rende molto bene su quale base si fonda la politica estera della Lega Nord: quella di una forza legata al territorio, in un mondo che tende a omogeneizzarsi nella globalizzazione. Per una organizzazione sostanzialmente nazionale, anzi, semiregionale, questa idea è finora più che bastata. Ora che la Lega ha ruolo nazionale, basterà questa base a elaborare una politica estera di governo? Un quesito interessante, con cui il partito di Bossi sembra in questi giorni determinato a misurarsi, proponendo una sorta di riapertura della discussione sulle missioni italiane all'estero. Ma può davvero la Lega permettersi di intraprendere questa strada, o rischia una cantonata clamorosa? Guardando alla storia di questo partito, è molto alta la possibilità che proprio la politica estera si riveli il suo primo, vero, tallone di Achille. Anno 1989, elezioni europee (due leghisti eletti), la Lega si ritrova campione degli euroscettici e autonomisti di tutta Europa. Nei suoi primi anni, infatti, incrocia molto bene il pullulare di organizzazioni e di spinte localiste, molte di orientamento «democratico», che si battono contro i primi effetti della globalizzazione. È l'epoca dei no global, della difesa dei formaggi francesi, delle prime spinte protezioniste dentro i sindacati americani. L'autonomismo, come quello basco di Pujol, è una bandiera più di identità che di separazione: e alla Lega guardano autonomisti fiamminghi (VolksUnie), Eusko Alkartasuna (indipendentisti pacifici baschi), Sud Tirolesi,Psd'Az, Sardinia Natzione, Catalani. Ma lo schema di alleanze cambia con il tempo, e con le stesse evoluzioni della Lega. Spuntano altre seduzioni internazionali. Iniziano nel 1996 i primi contatti con il reazionario russo Zirinovksy. Una delegazione della Lega guidata da Maroni incontra Haider a Bolzano tramite i Freiheitlichen del Sud Tirolo. E una delegazione del partito di Haider è presente al Congresso leghista del febbraio 1997. Questi contatti con la destra estrema creano tensioni politiche dentro e fuori l'organizzazione, specie in Europa. Il cambiamento, tuttavia, non è un vero voltafaccia: piuttosto è un segno dei tempi, come si diceva. Dentro la questione globalizzazione cresce quella dell'immigrazione e l'identità nazionale diventa la difesa della propria cultura dalle invasioni. Certi feeling sono dunque quasi naturali. Altri si traducono in posizioni quasi bizzarre. Come quella che la Lega assume nella guerra del Kosovo, del 1999, che è anche il suo punto di maggiore esposizione sulla politica estera. Bossi si schiera con Milosevic e contro gli «immigrati» e «straccioni» kosovari. Sulla Padania si inneggia al «valoroso popolo serbo». Persino la pulizia etnica viene negata (26 marzo, La Padania). Bossi si reca anche a Belgrado, incontra Milosevic e raccoglie i consensi più vari, inclusi quelli di Rifondazione e dei Comunisti italiani. Surreale, come si diceva, ma la Lega fa il suo gioco di sempre: si smarca su una guerra, combattuta dal governo D'Alema e sostenuta anche dal centrodestra. Da allora molto tempo è trascorso. Dal 2001 la Lega sceglie con convinzione un ruolo progressivamente più istituzionale e più agganciato a quello di Silvio Berlusconi. La politica estera leghista va sotto traccia, e su molte questioni sceglie di tacere (ad esempio la guerra contro Saddam Hussein non li trova esattamente felici) o, se parla, come nel caso della maglietta di Calderoli, viene bastonata. Insomma, più forte diventa il ruolo istituzionale della Lega e meno paga il suo metodo «pirata». Perché allora riaprire una discussione così corposa come quella sulle missioni estere che sono uno dei pochi punti di accordo fra tutti i governi degli ultimi quindici anni? Perché questa Lega, oggi così forte e così pesante istituzionalmente, rimane tuttavia a disagio con alcuni fili della storia di questo Paese. Gli Stati Uniti sono uno di questi. Gli Usa sono, nell'universo leghista, il motore della globalizzazione - una forza guardata dunque non esattamente come un modello. La crisi economica, il ruolo che vi hanno avuto le grandi banche americane, risvegliano echi negativi nei cuori leghisti. E che dire poi di Obama? Non è questione di razzismo, ma Obama è pur sempre l'uomo che nella crisi riprende in mano l'egemonia Usa, cerca il contatto con il Medio Oriente, riporta in primo piano l'Africa, e dà un rilievo enorme alla Turchia. Sull'altro grande fronte del mondo, la Cina, la Lega coltiva da anni perplessità forti. La Cina è infatti nel suo linguaggio il simbolo di ogni rischio vero della globalizzazione. Il disagio affiora così su un terreno più vicino, quello delle missioni estere, su cui c'è un evidente stato di paura nel Paese. E che può servire a sostenere l'idea che nella crisi non si possa spendere per aiutare «stranieri» e «musulmani». Del resto, credere che uno Stato abbia un suo interesse nazionale non è molto facile per una forza politica che non è nemmeno del tutto convinta che questo Stato debba esistere nella forma attuale. La coalizione di Palazzo Chigi, a cominciare dal Premier, ha però solide radici atlantiste. E dopo l'accelerazione della crisi ha bisogno più che mai del rapporto con gli Usa, e di un (riscoperto) rapporto con l'Europa; per non parlare della Cina e dell'Est, guardate come occasioni di investimento e sviluppo. Posizioni che costituiscono per altro alcuni dei pochi punti davvero condivisi con l'opposizione. Tentiamo dunque ad azzardare: se la Lega si fa davvero tentare dal porre pressioni al governo sulle missioni, è probabile che la politica estera diventi la sua prima occasione di ridimensionamento.

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Via dall'Afghanistan la frenata della Lega (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Via dall'Afghanistan la frenata della Lega ROMA La Lega frena, confermando di voler rispettare i patti di governo. Ma il dibattito sulla presenza italiana in Afghanistan fa salire la tensione all'interno della maggioranza, sull'onda delle dichiarazioni di Umberto Bossi che, tre giorni fa, ha proposto di «riportare a casa tutti i nostri soldati». Al rilancio del ministro della Semplificazione Roberto Calderoli, che in un'intervista a Repubblica a chiesto di «lasciare intanto il Libano e i Balcani», ribadendo che «sull'Afghanistan ragioniamo ma la stragrande maggioranza degli italiani la pensa come Bossi», è seguita la dura replica del ministro degli Esteri Frattini: «Lavoriamo in Afghanistan per la sicurezza anche dell'Italia, quindi anche di Calderoli». Anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa parla di «missione irrinunciabile», e invita a «non usare questi argomenti contro la nostra presenza in Afghanistan soltanto per avere visibilità». Finché, nel pomeriggio, una nota congiunta dei capigruppo leghisti di Camera e Senato, Roberto Cota e Federico Bricolo, smorza i toni, assicurando che «la Lega ha sempre mantenuto gli impegni assunti dal governo e lo farà anche in questo caso». Anche se «Bossi ha aperto una riflessione giusta», che sarà necessario approfondire dopo le presidenziali. Per disinnescare la miccia, oggi pomeriggio il governo terrà alla Camera «un'informativa urgente sugli intendimenti in materia di partecipazione delle forze armate alle missioni internazionali». Finora era stato il centrosinistra a dividersi sulle missioni militari all'estero, e anche per questo forse l'imbarazzo nel centrodestra è palpabile. Le parole di Bossi hanno creato una frattura che la nota dei capigruppo leghisti non ha del tutto sanato, nonostante il 23 luglio il Carroccio abbia votato alla Camera il rifinanziamento di tutte le 35 missioni militari italiane all'estero, che complessivamente impiegano 8942 militari: 510 milioni di euro per i prossimi 4 mesi (oggi il pacchetto passa al Senato). L'imbarazzo, si sostiene alla Farnesina, c'è anche nei confronti degli alleati. Per questo ieri sera Frattini ha partecipato, a Bruxelles, a una cena che l'inviato di Obama per Afghanistan e Pakistan, Holbrooke, aveva organizzato per gli ambasciatori Nato: per assicurare agli Stati Uniti che il governo rispetterà gli impegni in Afghanistan, e che le divisioni nella maggioranza non mettono in discussione il nostro ruolo di «partner ascoltato» nel mondo. Frattini e Holbrooke hanno concordato sulla necessità di un «piano di 100 giorni» per fare «passi avanti decisivi nella ricostruzione» del Paese. La questione della presenza dei nostri soldati in Afghanistan - dove ieri il presidente Karzai ha offerto un dialogo ai talebani che rinunciano alla violenza, proposta subito respinta - divide anche l'opposizione. Scontata l'approvazione della sinistra radicale per le affermazioni di Bossi, il segretario Pd Franceschini ieri si è detto convinto che «non è il momento di far rientrare i ragazzi dall'Afghanistan, ma di far completare il loro lavoro»: «Abbiamo ritirato i soldati dall'Iraq perché quella era una guerra unilaterale, ma la presenza in Afghanistan è voluta dalla comunità internazionale». Alla «sensibilità» di Bossi è invece vicina l'Idv. Antonio Di Pietro annuncia che non si opporrà alla permanenza del nostro contingente prima delle presidenziali, ma si dice contrario a una nuova fase della missione, e attacca Berlusconi: «Pur di entrare nella stanza dei bottoni è disposto a mettere sul piatto la pelle dei nostri soldati». \

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[FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Costruiamo assieme il XXI secolo... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

[FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK «Costruiamo assieme il XXI secolo». Barack Obama dà inizio alla prima sessione del dialogo economico-strategico Usa-Cina offrendo a Pechino una «partnership» a tutto campo: sul rilancio della crescita economica, la difesa del clima, il contrasto alla proliferazione nucleare e la lotta al terrorismo. Il presidente americano parla nella grande sala del Ronald Reagan Building di Washington gremita di centinaia di diplomatici dei due Paesi - i cinesi arrivati in delegazione sono 150 - ed esordisce assicurando che «le relazioni fra di noi disegneranno il XXI secolo» e saranno dunque «le più importanti del mondo» anche se «non mi illudo sul fatto che andremo d'accordo su tutto». Il summit somma economia e politica estera secondo una formula che il leader cinese Hu Jintao pianificò con George W. Bush e confermò poi al G20 di Londra con Obama per assegnare una dimensione unica ai rapporti bilaterali. È per questo che il discorso di apertura di Obama è modellato per essere la piattaforma di 48 ore di colloqui di più gruppi di lavoro - guidati a livello di ministri - destinati ad affrontare «i problemi più urgenti del momento». Anzitutto la necessità di far ripartire la crescita globale, nel «mutuo interesse» di «prevenire una recessione più profonda e salvare posti di lavoro» guardando anche al rilancio dei negoziati di Doha sul libero commercio. Subito dopo per il presidente americano c'è il nodo del clima ovvero la necessità di un accordo con Pechino su sviluppo di energia rinnovabile e taglio delle emissioni di gas nocivi nell'atmosfera senza il quale la conferenza di Copenhagen dell'Onu, in programma a dicembre, sarebbe condannata al fallimento. «Nessuno di noi trae profitto dalla dipendenza del greggio - sottolinea Obama - come entrambi dobbiamo collaborare se vogliamo risparmiare alle nostre genti la furia del clima». Il presidente vede in Pechino il partner per «trasformare l'economia globale», favorendo «innovazioni capaci di aumentare prosperità e sicurezza». Da qui anche il «mutuo interesse a fermare la proliferazione di armi nucleari» ovvero la necessità di «lavorare assieme per la denuclearizzazione della Penisola coreana» e per «impedire all'Iran di ottenere un'arma atomica». Questo è un passaggio decisivo per la Casa Bianca perché senza l'avallo di Pechino non potranno essere adottate più rigide sanzioni contro Teheran al summit del G20 in programma a settembre a Pittsburgh. Guardando più in avanti, Obama termina suggerendo alla Cina di Hu Jintao di «affrontare assieme le maggiori minacce internazionali» dai terroristi ai pirati, dai narcotrafficanti alle epidemie. Evocando il viaggio di Richard Nixon a Pechino nel 1972, l'impegno di Woodrow Wilson per costruire un mondo «più unito» ed anche l'eredità di Ronald Reagan, Obama termina affrontando il nodo più delicato: le tensioni fra apparati militari che negli ultimi mesi hanno causato molteplici fibrillazioni nel Mar della Cina del Sud. «Aumentiamo i contatti, condividiamo l'intelligence, operiamo assieme per risolvere conflitti regionali come in Darfur» incalza il presidente, facendo poi sfoggio di Realpolitik: «Rispettiamo la vostra storia e visione del mondo, non vogliamo imporre nulla ma ciò che noi siamo include libertà di parola, libertà di fede religiosa e di scegliersi i propri leader politici». Quando Obama scende dal palco tocca al Segretario di Stato, Hillary Clinton, prendere le redini dei lavori assieme al titolare del Tesoro, Timothy Geithner, al vicepremier Wang Qishan e al ministro cinese Dai Bingguo, che riassume lo stato d'animo dell'evento così: «Siamo tutti sulla stessa barca, investita da forti venti e alte onde». Sul tavolo i grattacapi non mancano: la Cina detiene 801,5 miliardi di dollari di debito americano e con il deficit federale proiettato oltre quota 1,84 trilioni rivendica voce in capitolo sulle scelte economiche del team della Casa Bianca.

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Crisi, il Ben Bernanke show (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

La storia LE AMMISSIONI Sulle orme di Obama: la ricetta anti-crisi spiegata alla gente Crisi, il Ben Bernanke show MAURIZIO MOLINARI «Ho dormito per molte notti sul divano del mio ufficio Meritiamo qualche critica» Il presidente della Fed in tv: "Mi sono turato il naso per decidere di salvare le banche" CORRISPONDENTE DA NEW YORK Ho dovuto turarmi il naso nel decidere i salvataggi delle banche», «ho dormito per molte notti sul divano del mio ufficio», «meritiamo qualche critica»: a parlare a ruota libera è uno dei uomini più riservati d'America, il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke. Il bello è che lo fa nella cornice di uno show tv in onda da Kansas City, in Missouri, sugli schermi della Pbs. Attorno a lui ci sono 190 persone, invitate dall'anchorman Jim Lehrer a un incontro sul modello dei «town hall meeting» nei quali si getta il presidente Barack Obama per spiegare al grande pubblico la riforma della sanità. Se Bernanke sceglie questo format è perché punta a ridisegnare l'immagine della Federal Reserve «avvicinandola alla gente», come riassume un suo portavoce. Il botta e risposta da una città-simbolo dell'entroterra continentale è tutto proiettato in questa direzione. Quando gli chiedono il perché di tanti «miliardi pubblici» adoperati per salvare «banche private», risponde: «mi sono dovuto turare il naso» e allorché uno dei presenti ribatte «ma non era più giusto aiutare le piccole imprese?», lui ammette: «sì è vero, le decisioni prese sono state dure da ingoiare perché so bene quanto anche i piccoli imprenditori abbiano simili difficoltà». Con il microfono in mano, ora seduto ora in piedi, incline ai ricordi autobiografici ma soprattutto intenzionato a farsi capire e conoscere, Bernanke dice che «niente mi ha fatto arrabbiare di più che intervenire per aiutare imprese responsabili di scommesse selvagge» ma «non avevo alternativa perché non farlo avrebbe causato conseguenze terribili per l'economia». «Sono disgustato quanto voi, comprendo la vostra frustazione ma non volevo diventare il presidente della Federal Reserve durante la seconda Grande Depressione», aggiunge Bernanke con una franchezza insolita rispetto alla cauela che distingue le deposizioni al Congresso o all'estremo riserbo che manteneva, in qualsiasi circostanza, il precedecessore Alan Greenspan. «Ho passato molte notti a dormire sul divano dell'ufficio - racconta, quasi parlasse ai figli - perché ci siamo trovati nel bel mezzo di una tempesta perfetta per la convergenza di problemi finanziari, immobiliari e del credito» e «spesso mi sono trovato a fare cose insolite». Seppur selezionati con cura, i componenti del pubblico non gli risparmiano nulla. Quando arriva la domanda «cosa fate per proteggere i consumatori?», la risposta è un mezzo mea culpa: «Abbiamo affrontato tardi il poblema dei mutui a rischio e ci meritiamo qualche critica su questo». Sui temi politici è più prudente. Suggerisce «cautela» nel definire la Fed «il quarto potere», chiede «pazienza» sugli effetti dello stimolo economico da 787 miliardi di dollari, si dice «non contrario a priori» alla proposta di Obama di creare un agenzia ad hoc per tutelare i consumatori e riguardo alla crescita prevede che tornerà «fra qualche anno», anche se l'economia inizierà a riprendersi entro dicembre. Se in marzo Bernanke aveva fatto notizia facendosi intervistare dalla Cbs dentro la sede della Fed ora lo show di 75 minuti in tv - che la Pbs trasmetterà in tre puntate - viene interpretato a Wall Street come un'offensiva preventiva per scongiurare il rischio di essere rimosso a fine anno, quando scadrà il mandato. Non è un mistero che a volere la sua sedia è Larry Summers, capo dei consiglieri economici del presidente, e il rischio maggiore per Bernanke è di diventare il capro espiatorio della recessione. Anche per questo ripete a più riprese «sono pronto a rispondere alle domande del popolo americano» come mai nessun precedessore aveva fatto. In attesa di sapere quali saranno le reazioni della Casa Bianca al blitz di Kansas City - a cui ne seguiranno altri simili - Bernanke incassa il plauso dell'economista Nouriel Roubini dalle colonne del «New York Times» gli attribuisce il merito di «aver evitato una depressione che sembrava molto verosimile». La campagna per la riconferma è solo all'inizio.

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"Addio a 007 Ora me la prendo con i corrotti" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Intervista Paul Haggis "Addio a 007 Ora me la prendo con i corrotti" Il premio Oscar gira un thriller politico MICHELA TAMBURRINO INVIATA A ISCHIA Poche settimane di svago estivo per il due volte premio Oscar Paul Haggis. Una l'ha passata al Global Fest di Ischia di cui è chairman, perché gli piace il mare, perché va in barca con Sting e Zucchero, perché niente stress competitivi, niente orari rigidi. A settembre sarà tutt'altra musica. Perché proprio a settembre in America, il regista canadese di Crash e sceneggiatore del remake americano de L'ultimo bacio di Gabriele Muccino, di Million dollar Baby, di Flags of our fathers di Lettere da Iwo Jima, tutti diretti da Clint Eastwood, che è passato con nonchalance da Nella valle di Elah a 007 Quantum of Solace, comincerà a girare il suo nuovo lavoro, The Next Three Days. Del film ancora non si è parlato, come degli attori protagonisti che stanno chiudendo il contratto proprio in questi giorni. Ma da indiscrezioni sembra ci sono buone possibilità che a spuntarla siano Charlize Theron e Russell Crowe. Haggis, di che si tratta? «Diciamo che è un thriller, un genere che sento molto vicino e al quale voglio dedicare sempre più attenzione». Allora mette da parte l'impegno politico e sociale? «No, i temi politici mi interessano sempre, le domande rilevanti dell'esistere mi affascinano ancora ma li studio in modo diverso. In questo caso, mi soffermo sulla piaga della corruzione. La storia vede i due protagonisti, una coppia sposata, che si trova ad affrontare l'improvviso arresto della donna, accusata di omicidio. Una situazione ai limiti dell'impossibile che si trasforma, mano mano che si va avanti, in una lotta contro il sistema corrotto. La sceneggiatura però non è originale ma basata su un film francese, Pour Elle». Un film importante che la vede impegnato in varie vesti. «Tornerò a collaborare con la Lionsgate, la stessa società con la quale ho realizzato il mio debutto, Crash. E sarò anche produttore del film, un'attività che mi ha impegnato di recente anche nella serie tivù tratta da Crash. La seconda stagione è in scrittura». The Next Three Days è un omaggio al suo film culto? «Certo, un tributo dovuto a I tre giorni del Condor, il film che avrei voluto fare, dove Sidney Pollack mescolò temi politici e intrattenimento». E 007? «Basta con James Bond, ora è nelle mani dello sceneggiatore Peter Morgan e lì sta benissimo». Lei è stato un sostenitore della prima ora di Obama, ha appoggiato la sua campagna elettorale e dichiara di vigilare sull'operato della nuova amministrazione americana. Dal suo osservatorio che cosa vede? «Obama ha già fatto tanto per chi crede nei valori della sinistra. La speranza nel cambiamento è forte, i diritti umani sono al centro dell'agenda politica e questa è già una buona notizia. Però, personalmente, non ho approvato la decisione di bloccare le foto sulle torture a Guantanamo e mi auguro che presto il nostro Presidente faccia una visita in quel luogo che giudico una vergogna per l'America. Credo anche che le guerre al terrorismo in Afghanistan e in Iraq siano state guerre sbagliate fin dall'inizio. Più a lungo rimaniamo laggiù peggio è. È arrivato il momento di ammetterlo». Del nostro presidente Berlusconi che cosa pensa? «Dopo aver eletto Bush noi americani abbiamo perso il diritto a criticare gli altri».

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Chrysler, Marchionne porta la squadra in ritiro (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

TRE GIORNI DI RIUNIONE A DETROIT PER IL BOARD DELLA SOCIETÀ AFFIDATA ALLE CURE DELLA FIAT Chrysler, Marchionne porta la squadra in ritiro Prima del cda prove di guida e corsi teorici in aula [FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK Hanno fatto la prova su strada ieri e oggi sono in aula per la parte teorica: così domani, mercoledì 29 luglio, saranno pronti per il primo consiglio di amministrazione del Chrysler Group LLC, la società automobilistica uscita dalla bancarotta e affidata da Obama alla cura Fiat. E' la "squadra Chrysler" al via, e la formazione del board, presieduto da Robert Kidder, amministratore delegato della 3Stone Advisors LLC, riflette la piena delega all'azienda torinese per la conduzione del business dell'auto sotto l'aspetto manageriale. Affiancati a Sergio Marchionne, amministratore delegato di Chrysler Group LLC e di Fiat, e ad Alfredo Altavilla, a.d. di Fiat Powertrain Technologies, ci sono, con Kidder, James Blanchard, un ex deputato ed ex governatore del Michigan; George F.J. Gosbee, presidente di Tristone Capital Inc.; Douglas Steenland, ex CEO di Northwest Airlines; Scott Stuart, fondatore e partner di Sageview Capital LLC; Ronald L. Thompson, presidente dei fiduciari della associazione delle assicurazioni per gli insegnanti (Tiaa); e Stephen Wolf, presidente della R.R. Donnelley & Sons Co. Mentre quest'ultimo è stato indicato da Marchionne, gli altri siedono nel consiglio per conto del Tesoro Usa (che ha quattro posti), del governo canadese (uno) e del Veba, il fondo pensione aziendale (uno). A parte i due manager dell'auto, tutti gli altri hanno avuto esperienze con ristrutturazioni aziendali in settori extra automobilistici, dai trasporti all'energia, dalla finanza al settore pubblico. Essendo digiuni di quattro ruote, ed in particolare della realtà della Chrysler, Marchionne ha organizzato la full immersion che è in corso. Il primo atto è stata un'uscita sulla pista-prove della sede della ditta ad Auburn Hill, in Michigan: i neo-consiglieri hanno potuto guidare oltre una ventina di modelli della gamma dei tre brand Chrysler, Jeep e Dodge, e hanno avuto a disposizione gli ingegneri per soddisfare le loro curiosità. A ragguagliarli sul posizionamento della ditta negli Usa e a livello internazionale sono oggi, martedì, le relazioni dei responsabili delle principali divisioni aziendali, guidati da Marchionne. Nei primi mesi di lavoro in ditta, il ceo senza cravatta e con il maglioncino nero, che negli uffici della Chrysler è stato visto anche con una T-shirt nera con i tre marchi della casa, ha replicato in fotocopia l'approccio usato per raddrizzare prima la Fiat e poi la Case New Holland (Cnh, la controllata americana che produce trattori): riorganizzare la squadra, concentrarsi sul prodotto. In Chrysler ciò ha comportato la nomina di 23 alti dirigenti, che riportano direttamente a lui. Sono stati scovati per la quasi totalità, 20, fra i quadri aziendali preesistenti e sono stati promossi sul campo. I soli tre portati dal mondo Fiat sono un inglese, Richard Palmer, responsabile della finanza, Gualberto Ranieri, il capo della comunicazione corporate (ex Cnh) e Pietro Gorlier, messo a capo dei ricambi (una azienda a sé controllata da Chrysler, la Mopar) e della soddisfazione dei clienti. La scelta della valorizzazione interna e della mano leggerissima nell'occupare l'azienda con truppe straniere è stata subito molto apprezzata in Chrysler, dove ricordano il fallimento del metodo Daimler. Acquisita la società, i tedeschi mandarono subito 60 quadri, che arrivarono in poco tempo ad essere 200. Il ricordo dell'aereo privato che, ogni settimana, partiva il venerdì per riportare a casa le "truppe" germaniche per il week-end, fa sorridere, ma era la spia di un atteggiamento di totale non integrazione tra le due culture. Marchionne è l'opposto. «E' alla mano, ascolta, è focalizzato sul prodotto», dicono di lui a Detroit.

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L'autostrada che unì il Sud In questo periodo, in cui si parla tanto dei... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

L'autostrada che unì il Sud In questo periodo, in cui si parla tanto dei problemi irrisolti del Mezzogiorno, di cui dovrebbe farsi carico un nuovo Partito del Sud, sarebbe giusto ricordare Giacomo Mancini. Da caparbio ministro dei Lavori pubblici, lo statista si battè per la realizzazione dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria. Mancini fu il primo a portare avanti il progetto del Ponte sullo stretto di Messina, ritenendolo la continuazione dell'autostrada, con l'obiettivo di rompere l'isolamento della Sicilia e della Calabria. Nel 1975 il leader lasciò il governo e da allora cominciò il lungo periodo di blocco di tutti i progetti del Mezzogiorno. Le responsabilità principali furono, certo, dei governi centrali, ma anche degli inascoltati esponenti politici meridionali a Roma, oltre che della grande stampa e dei capi del sindacato, che subirono in silenzio il «niet» ai programmi di sviluppo del Sud. PIETRO MANCINI «FONDAZIONE G. MANCINI», COSENZA Ordinari palpeggiamenti Ho accolto con stupore e un non meno forte senso di nausea la sentenza della Cassazione, per la quale i palpeggiamenti alle colleghe se fatti senza intenti libidinosi, sono leciti. Indubbiamente un passo indietro e nel buio dell'ignoranza! Quindi chiunque domani mattina potrà salutare la propria collega con un'energica pacca sul sedere. Ma se la collega sentendosi a disagio per così tanta attenzione, reagisse con uno schiaffo? La Cassazione cosa direbbe? Che è stata una reazione lecita? Mi chiedo se i giudici, o coloro che hanno sentenziato questo orrore, abbiano madri, sorelle, mogli, e se troverebbero naturale che anche loro venissero «toccate» dai colleghi maschi. LUCIANO SIMONETTI, CASELLE TORINESE Povero Obama dategli tempo Faccio riferimento all'editoriale della dottoressa Lucia Annunziata, per il cui contenuto desidero esprimere il mio dissenso. Sono rimasto sorpreso dal tono eccessivamente critico con cui sono state enfatizzate alcune dichiarazioni del presidente Obama. L'attuale Presidente Usa è quanto di meglio potessero avere gli statunitensi in questo difficile periodo della loro storia. E se gli si dà tempo, sono certo che saprà portare a termine la maggior parte del suo programma. Non dimentichiamo che, a questi livelli, si viene boicottati dai potenti delle lobbies, i quali, purtroppo, hanno in mano una grande fetta del potere. GAETANO FRISENDA Terremotati vecchi e nuovi Mia suocera possiede una casa nel comune di Casalnuovo Monterotaro in provincia di Foggia, che a seguito degli eventi sismici dell'ottobre 2002 nel territorio di Molise e Puglia ha subito danni tali da essere dichiarata inagibile. Dal 2002 non si è potuto più usufruire dell'abitazione. Ricordo le parole del Governo (lo stesso di adesso) che sull'onda della commozione per i bambini morti nella scuola dichiarava che non avrebbe lasciato soli i cittadini e che si sarebbe impiegato nella ricostruzione in tempi rapidissimi. Be', voglio fare una comunicazione ufficiale: a 7 anni di distanza non si è ricostruito ancora tutto (vedasi la casa di mia suocera) però il comune ci comunica che ai sensi dell'articolo 3 del D.l. 23 ottobre 2008 n°162 i tributi sospesi negli anni dal 2002 al 2008 devono essere versati al 40% del loro ammontare in 120 rate a partire dal 16 giugno 2009. Sotto il sole nulla di nuovo, solo parole per chi crede ancora alle favole. Passato un terremoto ce n'è un altro, togliamo ai primi per dare ai secondi. DANILO ALBENGA L'erba del vicino si può copiare È di questi giorni il provvedimento del sindaco di Milano che vieta la vendita di alcolici ai minori. Vorrei segnalare che in Francia il divieto è a livello nazionale ed è datato dalla notte dei tempi. Altro piccolo esempio: sempre in Francia, le famose «rotonde» stradali sono decenni che esistono. Tra qualche decennio, forse, applicheremo sui pali dei semafori i semaforini visibili da chi è al volante, come hanno i nostri cugini francesi. Possibile che, nel terzo millennio, chi governa e legifera non si guardi attorno per adottare le cose che funzionano in altri Paesi europei o nel mondo? LUIGI FRANCONE Brava Pellegrini ma niente laurea Federica Pellegrini ha oggi compiuto un'impresa storica ribadendo la sua superiorità atletica e psicologica vincendo, con record mondiale, i 400 sl e i commentatori si sono sperticati in elogi meritati paragonandola a Valentino Rossi quale patrimonio sportivo italiano. Faccio un appello a tutti i rettori delle università del nostro Paese affinché non le vengano conferite lauree honoris causa come è stato fatto per il motociclista che si fregia del titolo di dottore, bene in evidenza in una parte del corpo non consona al prestigio del diploma di laurea: sarebbe un'offesa a tutti e tutte coloro che ogni giorno faticano sui libri e nelle aule degli atenei. RENATO LOMBARDO, PIOSSASCO Dietro le barbe dei talebani Nel nostro immaginario i talebani sono dei rozzi orchi; tuttavia mi sembra che Calderoli sia nel giusto quando afferma che probabilmente i veri cervelli del terrore si trovano negli Emirati, alleati degli Usa e detentori d'enormi ricchezze. Cambiano gli scenari di conflitti epocali, dall'Iraq all'Afghanistan, ma il nemico sfuggente continua a fare buoni affari nel cuore stesso di un Occidente concentrato sui barbuti col kalashnikov. FILIPPO TESTA, BALDISSERO TORINESE Quanti abbandoni non solo di cani Esiste in Italia un grosso «problema abbandoni» che vede coinvolti i cani, ma che si estende a numerose altre specie. L'animale domestico non fa ormai più notizia; vi è poco interesse per i combattimenti clandestini, scarsissima attenzione verso il reato di abbandono e/o maltrattamento. Tutto questo si evidenzia con notizie di cronaca infelici che mostrano solo la «punta di un iceberg» che, prima o poi, sveleranno la parte nascosta travolgendoci con irruenza. LORIS BURGIO, PIACENZA

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obama alla cina: cooperare sul clima - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Il presidente inaugura la "diplomazia del basket" Obama alla Cina: cooperare sul clima FEDERICO RAMPINI La diplomazia del ping-pong preparò il disgelo tra Nixon e Mao 38 anni fa. Oggi tocca al basket accompagnare il dialogo tra Stati Uniti e Cina, ormai promosso al rango di un G2 sui temi cruciali della recessione globale e dell´ambiente. Nel ricevere la più ampia delegazione governativa cinese mai venuta a Washington, Barack Obama ha citato Yao Ming, il campione cinese di pallacanestro che gioca nel campionato Nba con gli Houston Rockets. SEGUE A PAGINA 6

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afghanistan, lite nel governo frattini alla lega: lì anche per voi - luciano nigro (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 2 - Interni Afghanistan, lite nel governo Frattini alla Lega: lì anche per voi Il Pd: non si gioca con i nostri soldati. Oggi discute il Senato La politica La Russa: "Proporrò l´impiego dei cannoncini sui Tornado" LUCIANO NIGRO ROMA - Una gazzarra tra i ministri. E la maggioranza sull´orlo della rottura per 48 ore. A infiammare la polemica e aprire crepe nella politica estera del governo alla vigilia del via libera al rifinanziamento per 510 milioni di euro delle missioni all´estero previsto tra oggi e domani al Senato, è l´appello "pacifista" di Roberto Calderoli che chiede un cambio di strategia in Afghanistan. Un rilancio dopo l´ipotesi di un ritiro delle truppe ventilata da Umberto Bossi. E lo scontro nella coalizione di governo scoppia proprio nel giorno in cui il ministro degli Esteri, Franco Frattini, incontra l´inviato di Obama Richard Holbrooke per confermare l´invio di nuovi mezzi a Kabul e Harat. E´ il capo della Farnesina ad aprile le ostilità. Di buon mattino legge l´intervista di Calderoli a Repubblica («La democrazia non si esporta, via anche da Libano e Balcani») e lancia l´altolà. «Lavoriamo in Afghanistan per la sicurezza dell´Italia e quindi anche di Calderoli» dice Frattini da Bruxelles, decisamente irritato. E´ il segnale che dà inizio alla controffensiva del Pdl verso il Carroccio. «Guai mettere in discussione la missione», avverte il ministro Gianfranco Rotondi. «In Afghanistan si va avanti rispettando gli accordi», rincara il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri. «Un grave errore parlare di un ritiro», incalza il presidente dei deputati Fabrizio Cicchitto. «Così non si aiuta il morale delle truppe», si arrabbia il suo numero due, Italo Bocchino. La Lega, però, non molla. «Bossi parla con il cuore, io sto con lui», assicura il viceministro Roberto Castelli. L´opposizione osserva allibita. «Da Bossi e Calderoli parole allucinanti», protesta il segretario dell´Udc Lorenzo Cesa, mentre il Pd gioca la carta della responsabilità. Franceschini annuncia il voto favorevole alle missioni e attacca: «I nostri soldati hanno il diritto di avere un governo compatto alle loro spalle». Stesse parole usa Pierluigi Bersani. Sembra, a parti rovesciate, il replay di tre anni fa, quando la rissa lacerava il governo Prodi e il Pdl si mostrava compatto. Solo Antonio Di Pietro applaude a Bossi: «Meglio tardi che mai». In un clima di tensione Pier Ferdinando Casini chiede che «il governo riferisca in Parlamento» perché, attacca, «non si fanno giochini sulla pelle dei nostri militari». «Trasmetterò la richiesta al governo», assicura il presidente della Camera Gianfranco Fini. La tensione è massima quando entrano in azione i pontieri della maggioranza. Mentre Roberto Maroni incontra Umberto Bossi, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, avverte: «La missione non si discute, anzi proporrò l´impiego dei cannoncini sui Tornado e non conviene una discussione mediatica su questi temi» però, concede, «stiamo riducendo la presenza in Kosovo e ridurremo quella in Libano». è a questo punto che il Carroccio frena. «La Lega mantiene gli impegni», dice il capogruppo alla Camera Roberto Cota. «Dopo le presidenziali in Afghanistan, rifletteremo. Ora basta polemiche». Anche Frattini abbassa i toni: «Bossi è stato chiaro, la Lega vota con la maggioranza». Mentre il governo riferisce oggi alla Camera, insomma è tregua. Almeno fino al 20 agosto, quando si voterà a Kabul, il Carroccio ammaina la bandiera della pace. Ma intanto nella maggioranza si è aperto un nuovo fronte di scontro, su uno dei terreni più delicati, la politica estera.

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berlusconi, scatta l'allarme "non facciamo irritare obama" - (segue dalla prima pagina) francesco bei (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 3 - Interni Berlusconi, scatta l´allarme "Non facciamo irritare Obama" Il Cavaliere telefona al Senatur e il Carroccio frena "Con Umberto parlo io, ma Frattini deve dare subito un segnale agli americani" Il ministro degli Esteri si fa invitare alla cena dell´inviato di Obama a Bruxelles A Milano vertice dei leader della Lega "Manterremo come sempre gli impegni presi dal governo" (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) FRANCESCO BEI rodolfo sala Fino a mettere in dubbio, nell´intervista di Calderoli a Repubblica, tutte le missioni all´estero dell´Italia. Così il premier da Arcore si è messo subito in contatto con il ministro degli Esteri, in partenza per Bruxelles. «Con Bossi ci parlo io - ha annunciato Berlusconi a Frattini - ma va dato immediatamente un segnale agli americani, a Obama». Già, perché la dichiarazione estemporanea di Bossi alla serata di miss Padania, quella richiesta di far tornare «a casa» tutti i soldati italiani, cozzava in maniera troppo vistosa con quanto promesso dal premier ad Obama nel delicato (e sudato) incontro di metà giugno a Washington. E già allora il Carroccio, ricordano oggi con fastidio gli uomini di Berlusconi, si era messo di traverso rispetto all´idea di "ospitare" in Italia alcuni reclusi di Guantanamo, garanzia data da Berlusconi alla Casa Bianca. Ora, prospettare addirittura un ritiro unilaterale da Kabul a un mese dalle elezioni, mentre gli Usa hanno chiesto all´Italia un aumento del contingente fino a 700 unità, è sembrato davvero troppo. Da qui l´ordine impartito da Berlusconi al ministro Frattini di correre subito ai ripari per non «irritare» l´alleato. Un´operazione che il ministro degli Esteri ha eseguito immediatamente, replicando in maniera ruvida a Calderoli. E, soprattutto, facendosi invitare alla cena organizzata ieri sera a Bruxelles dall´inviato speciale di Obama per l´Afghanistan, Richard Holbrooke. Una richiesta fuori dal protocollo, visto che Frattini sarebbe stato l´unico ministro in una tavolata di ambasciatori. Ma in certi casi, ha ammesso Frattini, «io faccio prevalere la sostanza alla forma». E la «sostanza» è rassicurare gli Usa, al più alto livello, che l´Italia non cambia linea. Che quella che conta è la parola del Cavaliere. Una precisazione tanto più importante se si dà credito ad alcune voci preoccupate della maggioranza, che riferiscono di una persistenza «freddezza» del presidente americano nei confronti di Berlusconi, nonostante il successo dell´ultimo G8. Nel frattempo, mentre Frattini tappava la falla principale con gli americani, anche sul fronte interno le diplomazie si davano da fare per ridimensionare l´incidente. Al telefono con Berlusconi, Bossi prometteva di rimediare. Oggi infatti al Senato inizierà la discussione sul rifinanziamento delle 35 missioni militari all´estero (compresa quindi quella in Afghanistan), un provvedimento che alla Camera ha già incassato il voto della Lega. Così, nel primo pomeriggio, riuniti a via Bellerio i luogotenenti Maroni e Calderoli, il leader del Carroccio ha imposto la retromarcia. «Me l´ha chiesto Berlusconi», ha spiegato ai due ministri. Per non sconfessare Calderoli, sono stati i capigruppo Cota e Bricolo ad assumersi l´onere della frenata. «La Lega ha sempre mantenuto gli impegni assunti dal Governo - hanno dichiarato i due in una nota congiunta partorita in realtà a via Bellerio - e lo farà anche in questo caso». La polemica sulle missioni all´estero - con la Lega a giocare la parte che nella scorsa legislatura era della sinistra pacifista - ha prodotto comunque strascichi nei rapporti tra il Pdl e il potente alleato del Nord. Ieri a Montecitorio erano in molti a mostrare aperta ostilità nei confronti dei colleghi leghisti. «Sono un partito di lotta e di governo - si sfoga la bresciana Viviana Beccalossi, ex An - e cercano di intercettare tutti gli umori, compresi quelli di sinistra. Ormai dalle mie parti persino i senegalesi votano Lega». Piero Testoni, berlusconiano doc, ragiona ad alta voce: «I leghisti sanno che stiamo trattando per riavvicinare l´Udc e così provano a mandarci qualche segnale di insofferenza su un terreno diverso, come le missioni all´estero». Ma è un ministro del Pdl a dar corpo all´opinione prevalente all´interno del governo: «In queste settimane si è parlato solo del Mezzogiorno, del partito del Sud. Così Bossi ha voluto riprendersi la scena a modo suo, per ricordare che la Lega c´è». Ad ogni modo c´è la volontà da parte di tutti di mettersi questa vicenda alle spalle. Anche Gianfranco Fini, nonostante la webmagazine di Farefuturo abbia attaccato il Carroccio, non intende alimentare polemiche. «Mi sembra - osserva Fini conversando con i suoi nel cortile della Camera - che la stessa Lega sia preoccupata di chiudere al più presto il caso e lo dimostrano le dichiarazioni dei due capigruppo. Naturalmente, quando parla Bossi, loro si sentono in dovere di andargli dietro. Ma non mi pare che ci sia aria di uno scontro vero». Allora meglio provare esorcizzare tutto con una battuta: «Vorrà dire che quando costituiremo l´esercito siciliano - scherza il catanese Nino Strano - manderemo i nostri in Afghanistan al posto dei soldati italiani. Così Bossi sarà contento».

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omara regina del son "con una canzone si uccide il dolore" - luigi bolognini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina XV - Milano Il successo La carriera Il paragone Omara regina del son "Con una canzone si uccide il dolore" La Portuondo giovedì al Latinoamericando è un onore essere avvicinata a Edith Piaf: ma lo potranno dire solo gli storici quando io non ci sarò più Ho festeggiato i 60 anni con un disco cui hanno collaborato tanti artisti Unico rimpianto: che non ci fosse più Ferrer Non mi spiace che sia arrivato tardi, anzi mi fa ridere. Con Wenders la musica cubana si ascolta a Tokyo e a Mosca LUIGI BOLOGNINI La vita sa essere bizzarra. Una si batte e si sbatte per decenni portando avanti la bandiera della musica cubana, diventa un mito nel suo Paese, paragonata a Edith Piaf per quanto è un esempio morale e politico, oltre che artistico, ma fuori dall´isola ottiene stima solo dagli addetti ai lavori e da pochi appassionati. Poi Wim Wenders gira Buena vista social club, e di botto Omara Portuondo ottiene in età avanzata tutta la fama mondiale che non aveva mai avuto prima. Ora, a quasi 80 anni e a 61 di carriera, la cantante cubana approda al Latinoamericando. Non le fa rabbia essere diventata celebre così tardi? «No, anzi mi fa ridere. E comunque quel film ha reso celebre la musica cubana nel mondo. Per cui preferisco emozionarmi all´idea che le canzoni mie e degli altri artisti ora siano ascoltate e amate a Tokyo, Sydney, Mosca. E Milano, ovvio». Quanto le è cambiata la vita? «Diciamo che è più facile trovare date, e questo significa più tempo lontano da casa, che non è mai facile a una certa età. Ma siamo tutti professionisti, e l´emozione di salire sul palco, di ricevere calore e applausi, di produrre arte, è qualcosa di unico. Ecco, ora torniamo a casa con un po´ di soldi in tasca» A Milano arriva dopo Gracias, il suo ultimo disco, in cui ha suonato con gente come Pablo Milanés, Jorge Drexler, Chucho Valdés, Buarque de Hollanda. Come si fa a metterli assieme? «Semplice: gliel´ho chiesto. è un regalo che mi son voluta fare per i miei 60 anni di attività. Ed è, appunto, un grazie, al pubblico e a chi mi ha aiutato nella mia carriera. Ho solo un rimpianto, che non ci fosse Ibrahim Ferrer. Era un grande artista e un grande amico». Nella canzone che dà il nome al disco, Jorge Drexler scrive che lei "uccide il dolore con una canzone". Concorda? «La musica è la mia terapia: se ti senti triste basta mettere su un po´ di musica per risollevarti, e se sei felice starai anche meglio. Non potrei immaginare la vita senza musica». Lei è una paladina della tradizione cubana, come il son. Ora imperano la contaminazione tra caraibico, afroa, ericano e altri generi. Le piace? «Da matti. Ora Cuba è piena di ragazzi che hanno studiato al conservatorio, imparando ogni genere, e per loro è giusto e naturale mischiare. Mi divertono molto, anche se io prediligo cose più classiche. Ma quando ascolti la fusione di jazz e ritmi cubani di Roberto Fonseca, come fai a non amarla?». La sua figura è stata spesso paragonata a Edith Piaf. «Troppo onore. Sarebbe bello essere l´ambasciatrice della musica cubana come lei lo fu della francese. Ma credo che lo potranno dire gli storici, e io allora non ci sarò più». Com´è la situazione a Cuba ora? «Pessima, ma un po´ come dappertutto. Certo in un Paese povero come il nostro certe cose si sentono ancor di più. Confido molto in Obama per migliorare un po´ la nostra situazione internazionale». Chi è il più grande artista con cui ha mai suonato? «Da dove parto? Non so: Chucho Valdés, Herbie Hancock, Maria Bethania, Avishai Cohen, Trilok Gurtu...». E di italiani chi stima? «Rita Pavone. Ma anche Modugno e Bocelli. Un paio di mesi fa ho avuto il piacere di cantare in una canzone del nuovo disco di Joe Barbieri. I musicisti italiani sono caldi, come il loro pubblico. è sempre così bello suonare in Italia, fin dagli anni Ottanta, quando avevamo pochissimi soldi di diaria e dormivamo a casa degli organizzatori dei festival».

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- (segue dalla prima pagina) federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 6 - Esteri Vertice a due a Washington Barack: a tutte le minoranze il diritto di espressione Il Tesoro Usa cerca di rassicurare il colosso asiatico su debito pubblico e tenuta del dollaro (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) FEDERICO RAMPINI «Ho imparato da Yao che in una squadra c´è sempre bisogno di abituarsi gli uni agli altri, non importa se sei nuovo o vecchio». Un modo per ingraziarsi i visitatori, ma anche una messa in guardia sui punti di attrito e le numerose divisioni tra le due superpotenze. A cominciare dalla questione più spinosa - i diritti umani - che Obama non ha voluto dribblare. Aprendo il summit bilaterale di due giorni, affiancato dal segretario di Stato Hillary Clinton e dal segretario al Tesoro Tim Geithner, il presidente ha fatto un riferimento alla condizione dei buddisti tibetani, degli islamici uiguri, dei cristiani e di tutte le minoranze oppresse: «Tutti devono potersi esprimere liberamente: questo comprende le minoranze religiose ed etniche in Cina». Ma sulle critiche ha prevalso l´appello alla cooperazione. Per Obama «la relazione tra Stati Uniti e Cina darà forma al XXI secolo». Criticando implicitamente la destra americana che auspica un "contenimento" dell´ascesa cinese, il presidente ha invocato «l´inizio di una nuova era di stretta cooperazione, non di rivalità». Gli ha fatto eco il capo della delegazione di Pechino, Dai Bingguo: «Siamo sulla stessa barca, sbattuta da un vento violento e da enormi onde, non eravamo mai stati così strettamente interconnessi». L´interdipendenza è quasi una simbiosi tra le due maggiori economie mondiali, ribattezzate "Chimerica" quasi fossero una cosa sola. Infatti i temi economici - compreso lo sviluppo sostenibile - hanno dominato la prima giornata del summit. Un compito di Geithner ieri è stato quello di "rassicurare": sulla tenuta del dollaro, sul deficit pubblico, sulle misure anti-recessione. Rassicurare i suoi interlocutori, perché da loro dipende una bella quota del finanziamento del debito pubblico Usa. Negli ultimi due anni, la banca centrale di Pechino ha raddoppiato i suoi acquisti di Treasury Bonds americani, passando da 400 a 800 miliardi di dollari. A questi si aggiungono altri investimenti fatti dal fondo sovrano o dalle banche cinesi in titoli pubblici Usa, comprese le obbligazioni emesse da Fannie Mae e Freddie Mac per finanziare i mutui-casa. Da quando a marzo il premier Wen Jiabao ha esternato i «timori per la sicurezza dei nostri investimenti in America», la pressione cinese è stata un crescendo. Il ruolo della Cina come principale creditore estero è un vincolo in più per Obama nelle sue politiche di bilancio. Geithner ieri ha elogiato «la stretta collaborazione tra Cina e Stati Uniti, cruciale per l´economia globale». Il segretario al Tesoro deve tenere a bada però il fronte interno che accusa la Cina di concorrenza sleale, una constituency ben radicata nel movimento sindacale americano e negli Stati democratici a più forte concentrazione di colletti blu. Lo stesso Geithner appena insediato al Tesoro accusò la Cina di "manipolare la sua valuta" per mantenere sottovalutate le esportazioni. La questione del cambio resta controversa. Le proteste dell´Amministrazione Bush ottennero che dopo il 2005 Pechino rivalutasse gradualmente del 22% il renminbi rispetto a dollaro. Ma con la crisi internazionale nel 2008 la Cina ha smesso di spingere la sua moneta al rialzo, per non peggiorare le difficoltà della sua industria esportatrice. Lobby potenti del partito democratico Usa spingono per far passare tariffe doganali che "compensino" il vantaggio di cui gode il made in China grazie alla moneta debole. Il deficit commerciale con la Cina resta il più massiccio squilibrio esterno di cui soffre l´economia americana. Ieri Geithner ha sottolineato che da questa recessione non si uscirà con un rilancio dell´iperconsumismo delle famiglie americane. Ha invitato Pechino a promuovere un aumento della quota dei consumi delle famiglie cinesi sul Pil nazionale, riconvertendo un modello di sviluppo finora trainato soprattutto dall´export. Una riconversione che per il momento è lungi dal venire: la manovra di sostegno della crescita varata da Pechino si basa su lavori pubblici in infrastrutture, sussidi all´export e aiuti alla grande industria, privilegia gli investimenti pesanti anziché i consumi. Accuse di concorrenza sleale e tentazioni di protezionismo insidiano anche l´altro grande tema del vertice bilaterale: l´ambiente. Ieri Obama ha messo la "cooperazione nella lotta al cambiamento climatico" tra le priorità del G2: assieme, America e Cina rappresentano una quota sproporzionata delle emissioni carboniche, nessuna svolta è possibile se i due giganti non uniscono i loro sforzi. E il suo segretario al Tesoro ha auspicato una strategia comune per "la transizione verso un´economia verde". Ma i dirigenti cinesi continuano a rifiutare impegni vincolanti sul modello di Kyoto, per la riduzione delle emissioni di CO2. Forte dell´appoggio di India e Brasile, la Repubblica Popolare esclude che siano messi sullo stesso piano i paesi di antica industrializzazione e le nazioni emergenti. Per costringere Pechino a un´azione più decisa contro l´inquinamento, la Camera dei deputati di Washington ha approvato un "dazio verde": colpirebbe le importazioni dai paesi colpevoli di elevate emissioni carboniche. Può essere l´inizio di una escalation protezionista, che l´Amministrazione Obama vuole disinnescare. D´altra parte la Cina potrebbe diventare più malleabile, se Washington facilitasse e promuovesse l´export di tecnologie avanzate nel campo delle energie rinnovabili. Il G2 sino-americano ha affrontato anche i due dossier più caldi di politica estera: il pericolo rappresentato dai programmi nucleari dell´Iran e della Corea del Nord. Due paesi con cui l´America non ha rapporti, mentre la Cina ne ha di molto intensi. Obama ha ammonito: «Né la Cina né l´America hanno interesse a vedere dei terroristi impadronirsi della bomba nucleare, o a vedere l´avvio di una escalation nucleare in Estremo Oriente». Il presidente ha confermato che visiterà presto Pechino, probabilmente a novembre. Di certo gli faranno trovare un campo di pallacanestro allestito nella sua residenza, e la nazionale cinese del basket pronta ad accompagnarlo negli allenamenti.

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quando bush censurava i ghiacciai - angelo aquaro (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 7 - Esteri Quando Bush censurava i ghiacciai Ecco le foto segrete che confermavano il riscaldamento del Pianeta Sono mille scatti del supersatellite intorno a sei siti a rischio L´Osservatorio geologico ha concordato la mossa con lo staff del presidente ANGELO AQUARO DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Le foto c´erano, chiare e dettagliate. «Un metro ogni pixel», gongola Thorsten Markus, il ricercatore tedesco volato da Brema alla Nasa per combattere la battaglia dell´ambiente: «Una risoluzione così non s´era mai vista, trenta volte superiore a quelle che avevamo a disposizione: qui si vede tutto». Cioè non si vede più nulla, perché il ghiaccio di Barrow, Alaska, non c´è più, sparito, inghiottito da quel mare Artico che è sempre meno Glaciale per il surriscaldamento. Sì, le foto c´erano: mille immagini scattate dal supersatellite intorno a sei siti a rischio sull´Oceano. Peccato che quegli scatti praticamente storici, prova visibile del global warming, fossero stati nascosti, proibiti, censurati: proprio da quel George Bush che già aveva classificato come segretissimi altri studi sull´effetto serra, compreso quello firmato, anno 2004, dal suo stesso Pentagono. Prendete Barrow: è il villaggio più a nord del mondo, nell´Alaska fino all´altro ieri governata da Sarah Palin, con un occhio più alle trivelle petrolifere che ai ghiacci. Quattromila anime affacciate sul nulla eterno, una stazione del servizio meteorologico nazionale che si arrampicò già alla fine dell´Ottocento, e soprattutto la base del Noaa, il National Oceanic and Atmosphere Administration. Ecco, adesso nelle foto desecretate il disastro si vede a occhio nudo: questo, luglio 2006, è l´Oceano davanti a Barrow come è apparso da che mondo e mondo, con la linea dei ghiacci all´orizzonte, e questa è la stessa foto scattata nel luglio 2007, nulla di nulla: la striscia bianca non c´è più. Le foto, straordinarie davvero, sono state fatte spuntare dal cassetto da un´agenzia governativa, l´Osservatorio geologico degli Stati Uniti, a poche ore dall´allarme lanciato sul clima dall´Accademia nazionale delle scienze, in una mossa che si presume concordata con lo staff dell´amministrazione Obama. L´ambiente è uno dei punti forti del programma di Barack, che appena un mese fa ha sbandierato come una grande vittoria l´approvazione alla Camera del pacchetto clima, malgrado le critiche dei verdi più radical delusi dal Cap and Trade, il meccanismo di compravendita dei "diritti" (ovviamente costosi) di inquinamento. Ora per il piano si prevede però una dura battaglia al Senato, dove già il presidente ha il suo bel da fare con la riforma sanitaria. Ma le foto nascoste e riapparse aprono anche un altro fronte di lotta: quello per la sopravvivenza della ricerca scientifica. Dice Jane Lubchenco del Noaa: «Immagini come queste ormai sono la prova che cerchiamo, ma la flotta dei satelliti spia non è stata rimpiazzata e ora rischiamo il collasso. Lottiamo in un campo di battaglia in cui l´America si presenta cieca». In febbraio, scrive Suzanne Goldeberg, esperta di ambiente dell´inglese Guardian, un satellite della Nasa che trasportava strumenti per produrre la prima mappa dell´emissione di carbone intorno alla Terra è caduto nell´Antartico appena tre minuti dal decollo. Non è un segnale incoraggiante. Ora nel piano di Obama ci sono 170 milioni per recuperare il gap. Per l´istituto di ricerca che lotta nei posti più impervi, come sulla trincea del nulla di Barrow, ne servono altri 390. Bush e Cheney facevano presto a risolvere il problema: bastava nasconderlo nel cassetto. Ma oggi il clima è cambiato, anche alla Casa Bianca. Peccato che insieme ai ghiacci siano spariti anche i fondi.

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appello di obama alla cina "cooperiamo su ripresa e clima" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 21 - Economia Appello di Obama alla Cina "Cooperiamo su ripresa e clima" Via alla diplomazia del basket: saremo una forza Vertice a due Washington. Gli Usa: a tutte le minoranze il diritto di espressione

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sul nuovo "reset" pd e beni culturali (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 43 - Cultura La rivista in edicola Sul nuovo "Reset" Pd e Beni culturali ROMA - I Beni culturali, i giovani e il Pd e due dossier dedicati a JÜrgen Habermas e a Ralf Dahrendorf sono fra gli argomenti trattati sul nuovo numero di Reset, la rivista diretta da Giancarlo Bosetti in edicola in questi giorni. Il tema del patrimonio storico-artistico e della sua tutela, di come rilanciarlo e di quale debba essere il ruolo dello Stato e quale quello dei privati è affrontato in un dialogo fra Andrea Carandini, archeologo e presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, Giulia Maria Crespi, presidente del Fai (Fondo Ambiente Italiano), il finanziere Francesco Micheli, l´economista Guido Guerzoni e il giornalista Pasquale Chessa. Da Trento a Napoli, alcuni giovani dirigenti del Partito democratico riflettono sulla politica, sull´Italia e su quali compiti attendono il partito e il centrosinistra nel suo complesso. Fra i protagonisti del forum ospitato da Reset, Nicola Corrado, Anna Rita Fioroni, Alessia Mosca, Victor Rasetto, Francesco Spano, Simone Verde e Luca Zeni. Ad Habermas è dedicato un dossier, con interventi di Leonardo Ceppa, Gian Enrico Rusconi, Massimo Rosati, padre Gian Luigi Brena, Elena Agazzi, Alessandro Ferrara, Marina Calloni, Axel Honneth, Stefano Petrucciani, Walter Privitera. Mentre di populismo e liberalismo discutono Nadia Urbinati ed Emma Bonino. Un altro dossier è invece intitolato a Dahrendorf, scomparso recentemente. Giancarlo Bosetti e Giuliano Amato ripercorrono la storia dell´intellettuale che ha dato del «thatcheriano» a Craxi e che si era appassionato alla «svolta» di Achille Occhetto che sembrava potesse aprire scenari liberali alla sinistra post-comunista. Altri temi trattati sul numero di Reset, il profilo delle first ladies (come è cambiata la figura della moglie del Presidente con l´avvento di Michelle Obama alla Casa Bianca?), una lettura del libro di Martha Nussbaum sull´India ad opera di Mariella Gramaglia, e le origini inglesi della non violenza del "mahatma" Gandhi.

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Berlusconi, scatta l'allarme "Non facciamo irritare Obama" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

ROMA - A palazzo Chigi l'allarme rosso è scattato di primo mattino, alla lettura dei giornali. Quando si è capito che, per coprire politicamente l'uscita di Bossi, la Lega si stava spingendo troppo oltre. Fino a mettere in dubbio, nell'intervista di Calderoli a Repubblica, tutte le missioni all'estero dell'Italia. Così il premier da Arcore si è messo subito in contatto con il ministro degli Esteri, in partenza per Bruxelles. "Con Bossi ci parlo io - ha annunciato Berlusconi a Frattini - ma va dato immediatamente un segnale agli americani, a Obama". Già, perché la dichiarazione estemporanea di Bossi alla serata di miss Padania, quella richiesta di far tornare "a casa" tutti i soldati italiani, cozzava in maniera troppo vistosa con quanto promesso dal premier ad Obama nel delicato (e sudato) incontro di metà giugno a Washington. E già allora il Carroccio, ricordano oggi con fastidio gli uomini di Berlusconi, si era messo di traverso rispetto all'idea di "ospitare" in Italia alcuni reclusi di Guantanamo, garanzia data da Berlusconi alla Casa Bianca. Ora, prospettare addirittura un ritiro unilaterale da Kabul a un mese dalle elezioni, mentre gli Usa hanno chiesto all'Italia un aumento del contingente fino a 700 unità, è sembrato davvero troppo. Da qui l'ordine impartito da Berlusconi al ministro Frattini di correre subito ai ripari per non "irritare" l'alleato. OAS_RICH('Middle'); Un'operazione che il ministro degli Esteri ha eseguito immediatamente, replicando in maniera ruvida a Calderoli. E, soprattutto, facendosi invitare alla cena organizzata ieri sera a Bruxelles dall'inviato speciale di Obama per l'Afghanistan, Richard Holbrooke. Una richiesta fuori dal protocollo, visto che Frattini sarebbe stato l'unico ministro in una tavolata di ambasciatori. Ma in certi casi, ha ammesso Frattini, "io faccio prevalere la sostanza sulla forma". E la "sostanza" è rassicurare gli Usa, al più alto livello, che l'Italia non cambia linea. Che quella che conta è la parola del Cavaliere. Una precisazione tanto più importante se si dà credito ad alcune voci preoccupate della maggioranza, che riferiscono di una persistenza "freddezza" del presidente americano nei confronti di Berlusconi, nonostante il successo dell'ultimo G8. Nel frattempo, mentre Frattini tappava la falla principale con gli americani, anche sul fronte interno le diplomazie si davano da fare per ridimensionare l'incidente. Al telefono con Berlusconi, Bossi prometteva di rimediare. Oggi infatti al Senato inizierà la discussione sul rifinanziamento delle 35 missioni militari all'estero (compresa quindi quella in Afghanistan), un provvedimento che alla Camera ha già incassato il voto della Lega. Così, nel primo pomeriggio, riuniti a via Bellerio i luogotenenti Maroni e Calderoli, il leader del Carroccio ha imposto la retromarcia. "Me l'ha chiesto Berlusconi", ha spiegato ai due ministri. Per non sconfessare Calderoli, sono stati i capigruppo Cota e Bricolo ad assumersi l'onere della frenata. "La Lega ha sempre mantenuto gli impegni assunti dal Governo - hanno dichiarato i due in una nota congiunta partorita in realtà a via Bellerio - e lo farà anche in questo caso". La polemica sulle missioni all'estero - con la Lega a giocare la parte che nella scorsa legislatura era della sinistra pacifista - ha prodotto comunque strascichi nei rapporti tra il Pdl e il potente alleato del Nord. Ieri a Montecitorio erano in molti a mostrare aperta ostilità nei confronti dei colleghi leghisti. "Sono un partito di lotta e di governo - si sfoga la bresciana Viviana Beccalossi, ex An - e cercano di intercettare tutti gli umori, compresi quelli di sinistra. Ormai dalle mie parti persino i senegalesi votano Lega". Piero Testoni, berlusconiano doc, ragiona ad alta voce: "I leghisti sanno che stiamo trattando per riavvicinare l'Udc e così provano a mandarci qualche segnale di insofferenza su un terreno diverso, come le missioni all'estero". Ma è un ministro del Pdl a dar corpo all'opinione prevalente all'interno del governo: "In queste settimane si è parlato solo del Mezzogiorno, del partito del Sud. Così Bossi ha voluto riprendersi la scena a modo suo, per ricordare che la Lega c'è". Ad ogni modo c'è la volontà da parte di tutti di mettersi questa vicenda alle spalle. Anche Gianfranco Fini, nonostante la webmagazine di Farefuturo abbia attaccato il Carroccio, non intende alimentare polemiche. "Mi sembra - osserva Fini conversando con i suoi nel cortile della Camera - che la stessa Lega sia preoccupata di chiudere al più presto il caso e lo dimostrano le dichiarazioni dei due capigruppo. Naturalmente, quando parla Bossi, loro si sentono in dovere di andargli dietro. Ma non mi pare che ci sia aria di uno scontro vero". Allora meglio provare esorcizzare tutto con una battuta: "Vorrà dire che quando costituiremo l'esercito siciliano - scherza il catanese Nino Strano - manderemo i nostri in Afghanistan al posto dei soldati italiani. Così Bossi sarà contento". (28 luglio 2009

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Via dall'Afghanistan, la Lega frena (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

ROMA La Lega frena, confermando di voler rispettare i patti di governo. Ma il dibattito sulla presenza italiana in Afghanistan fa salire la tensione all’interno della maggioranza, sull’onda delle dichiarazioni di Umberto Bossi che, tre giorni fa, ha proposto di «riportare a casa tutti i nostri soldati». Al rilancio del ministro della Semplificazione Roberto Calderoli, che in un’intervista a Repubblica a chiesto di «lasciare intanto il Libano e i Balcani», ribadendo che «sull’Afghanistan ragioniamo ma la stragrande maggioranza degli italiani la pensa come Bossi», è seguita la dura replica del ministro degli Esteri Frattini: «Lavoriamo in Afghanistan per la sicurezza anche dell’Italia, quindi anche di Calderoli». Anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa parla di «missione irrinunciabile», e invita a «non usare questi argomenti contro la nostra presenza in Afghanistan soltanto per avere visibilità». Finché, nel pomeriggio, una nota congiunta dei capigruppo leghisti di Camera e Senato, Roberto Cota e Federico Bricolo, smorza i toni, assicurando che «la Lega ha sempre mantenuto gli impegni assunti dal governo e lo farà anche in questo caso». Anche se «Bossi ha aperto una riflessione giusta», che sarà necessario approfondire dopo le presidenziali. Per disinnescare la miccia, oggi pomeriggio il governo terrà alla Camera «un’informativa urgente sugli intendimenti in materia di partecipazione delle forze armate alle missioni internazionali». Finora era stato il centrosinistra a dividersi sulle missioni militari all’estero, e anche per questo forse l’imbarazzo nel centrodestra è palpabile. Le parole di Bossi hanno creato una frattura che la nota dei capigruppo leghisti non ha del tutto sanato, nonostante il 23 luglio il Carroccio abbia votato alla Camera il rifinanziamento di tutte le 35 missioni militari italiane all’estero, che complessivamente impiegano 8942 militari: 510 milioni di euro per i prossimi 4 mesi (oggi il pacchetto passa al Senato). L’imbarazzo, si sostiene alla Farnesina, c’è anche nei confronti degli alleati. Per questo ieri sera Frattini ha partecipato, a Bruxelles, a una cena che linviato di Obama per Afghanistan e Pakistan, Holbrooke, aveva organizzato per gli ambasciatori Nato: per assicurare agli Stati Uniti che il governo rispetterà gli impegni in Afghanistan, e che le divisioni nella maggioranza non mettono in discussione il nostro ruolo di «partner ascoltato» nel mondo. Frattini e Holbrooke hanno concordato sulla necessità di un «piano di 100 giorni» per fare «passi avanti decisivi nella ricostruzione» del Paese. La questione della presenza dei nostri soldati in Afghanistan - dove ieri il presidente Karzai ha offerto un dialogo ai talebani che rinunciano alla violenza, proposta subito respinta - divide anche l’opposizione. Scontata l’approvazione della sinistra radicale per le affermazioni di Bossi, il segretario Pd Franceschini ieri si è detto convinto che «non è il momento di far rientrare i ragazzi dall’Afghanistan, ma di far completare il loro lavoro»: «Abbiamo ritirato i soldati dall’Iraq perché quella era una guerra unilaterale, ma la presenza in Afghanistan è voluta dalla comunità internazionale». Alla «sensibilità» di Bossi è invece vicina l’Idv. Antonio Di Pietro annuncia che non si opporrà alla permanenza del nostro contingente prima delle presidenziali, ma si dice contrario a una nuova fase della missione, e attacca Berlusconi: «Pur di entrare nella stanza dei bottoni è disposto a mettere sul piatto la pelle dei nostri soldati».

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Obama lancia l'asse con la Cina (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 28/07/2009 - pag: 1 Anche il clima nell'incontro di Washington. Il presidente americano: uniti per la crescita sostenibile Obama lancia l'asse con la Cina Vertice sull'economia, offerto «un patto strategico per il XXI secolo» «Collaboriamo per un futuro energetico pulito, sicuro e prospero ». È l'invito del presidente Usa Obama alla Cina al vertice di Washington. ALLE PAGINE 2E3

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 28/07/2009 - pag: 2 Il docente cinese «Una relazione inevitabile dal clima al terrorismo» Due Paesi sempre più legati e interdipendenti. Votati quasi obbligati a essere partner e non avversari. Il Ventunesimo secolo, nella visione di Yang Dali, docente di Scienze Politiche e direttore del Centro per gli studi estremoorientali dell'Università di Chicago, sarà forgiato da una «relazione inevitabile » tra Stati Uniti e Repubblica popolare. «Sia Washington sia Pechino non hanno altra scelta che cooperare», spiega Yang rispondendo al telefono da Singapore, dove si trova per un periodo di ricerca sui temi dell'ambiente. Obama ha aperto il «Dialogo economico strategico» parlando proprio di clima: perché? «Usa e Cina sono i più grandi inquinatori del pianeta e le emissioni non conoscono frontiera. D'altro canto, nessuna politica sull'ambiente può essere fatta senza uno dei due. In più, consideriamo che questo è il punto su cui è più facile trovare affinità. Meglio cominciare da qui». Chi otterrebbe più vantaggi dal dialogo, gli Stati Uniti o la Cina? «La verità è che l'uno ha bisogno dell'altro. Washington persegue il dialogo da tempo, sin dall'amministrazione Bush. La crisi finanziaria mondiale e i problemi del clima hanno messo in chiaro quanto sia importante che i due Paesi cooperino invece di essere nemici » . Ma Bush non parlava di «avversario strategico» riferendosi a Pechino? «Sì, all'inizio. Poi la realtà ha riportato il confronto sui binari della cooperazione, per esempio nel campo del terrorismo. E la Cina è cresciuta sulla scena del mondo. Contemporaneamente, ha acquistato il debito americano: 800 miliardi di dollari in titoli del Tesoro. Non perché è un benefattore, ma perché riconosce il ruolo fondamentale dell'America nell'economia globale» . Gli Usa dipendono dalla Cina? «Se ti presto una piccola somma, tu dipendi da me. Ma se ti presto tanto, sono io che tremo per te. La Cina non può fare quello che vuole e poi, comprando il debito, aiuta a tenere in equilibrio i mercati, perché evita il crollo del dollaro. Detto questo, è vero che l'America è in una fase di debolezza. È successo altre volte in passato: ne uscirà» . Quanto reggerà questa «cooperazione strategica» ? «Su temi come Corea del Nord e Iran ci sono grandi spazi per coltivare i comuni interessi: la non proliferazione nucleare e la stabilità regionale. Per il resto, non è detto che i due Paesi debbano per forza trovarsi l'uno contro l'altro armati: sono più importanti i punti di convergenza che quelli di disaccordo » . La Cina è sempre più forte: perché non dovrebbe diventare una rivale degli Usa? «Anche Pechino ha i suoi problemi: lo sviluppo ineguale, l'invecchiamento della popolazione, la povertà ancora molto diffusa. Ha fatto passi da gigante. Ma la sua influenza globale è ancora limitata. Il dialogo strategico con l'America eleva il suo status sulla scena del mondo: è questo che conta di più, ora, a Pechino». Docente Il cinese Yang Dali Paolo Salom

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Frattini rassicura gli americani: (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 28/07/2009 - pag: 6 Frattini rassicura gli americani: «Resteremo» Cena con Holbrooke a Bruxelles sull'Afghanistan. Gli Usa: piano di 100 giorni per il dopo voto DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES Prima ancora che si apra, lo strappo politicodiplomatico si ricuce a Truman Hall, una splendida villa fiamminga dai marmi neri e azzurrini. Qui, alle otto di sera, nel salone che domina con le sue vetrate il tramonto estivo sui prati, due uomini sono seduti a cena. E uno assicura all'altro: l'Italia rispetterà gli impegni presi, non se ne va dal calderone dell'Afghanistan. Resta, e anzi è pronta a inviare più uomini e mezzi. Chi parla è Franco Frattini, ministro italiano degli Esteri. Chi ascolta, è la persona che probabilmente più attendeva queste parole: Richard Charles Albert Holbrooke, alto rappresentante per l'Afghanistan e il Pakistan degli Stati Uniti di Barak Obama. I due commensali sono uno di fronte all'altro, soli se si eccettua il padrone di casa e cioè Ivo Daalder, rappresentante permanente americano presso la Nato (Truman Hall è appunto la sua sede). La cena è stata organizzata all'ultimo momento, ai margini del Consiglio dei ministri degli Esteri dell'Unione Europea, con qualche acrobazia protocollare: a tavola non erano presenti altri ministri della Ue. Ma forse non avrebbe potuto essere diversamente: solo in Italia, e non in altri Paesi, due esponenti del governo si sono augurati che i soldati se ne tornino a casa. La cena è stata così l'occasione non ufficiale, ma nello stesso tempo non certo informale, per tranquillizzare Obama. E secondo fonti diplomatiche italiane, il colloquio ha fissato alcuni punti importanti: «grande apprezzamento» degli Usa per il ruolo italiano; gli alleati concordano sul fatto che le prossime elezioni presidenziali saranno il fulcro di una fase storica per l'Afghanistan, che bisogna incoraggiare il dialogo e i gruppi più moderati, e che le condizioni per un successo ci sono perché nella maggioranza dei distretti l'affluenza alle urne dovrebbe essere normale; ma nello stesso tempo, subito dopo il voto, dovrà anche scattare quello che è stato definito «un Big Bang afghano», cioè un piano di 100 giorni per la ricostruzione sociale ed economica del Paese. Poco prima dell'incontro, Frattini aveva anche ribadito che «l'Italia vuole essere sempre un attore protagonista per la stabilizzazione dell'Afghanistan... E' per questo che siamo ascoltati e consultati. Ciò vale per l'Afghanistan, ma anche per la Somalia (dove fra poco andrà una missione esplorativa della Ue con la probabile partecipazione italiana, ndr) e certamente per i Balcani occidentali». Altro tema delicato è quello delle possibili «soluzioni politiche» da offrire ai talebani: al Consiglio Ue, ne ha parlato ieri il ministro britannico degli E steri David Miliband, chiarendo che si pensa a «incentivi» per chi abbandoni le armi, e a un'offensiva più decisa contro chi invece rifiuti ogni compromesso. Opzioni «interessanti », ha commentato Frattini: ma «il dialogo richiede precondizioni: il rispetto della Costituzione afghana e il rifiuto della violenza. Chi non accetta questo è difficile che possa diventare un nostro interlocutore». Unico invitato L'italiano solo ministro Ue presente a tavola: da nessun altro Paese si è levata la minaccia di un ritiro Al fronte Italiani a Herat ( Laruffa) Luigi Offeddu

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G2 Usa-Cina per il governo dell'economia (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 28/07/2009 - pag: 2 G2 Usa-Cina per il governo dell'economia Obama: «L'inizio di una nuova era Così plasmeremo il XXI secolo» WASHINGTON E' nato il G2, il Dialogo strategico ed economico tra l'America e la Cina, la superpotenza di oggi e quella di domani, un forum annuale dove, ha dichiarato il presidente Obama aprendo i due giorni di lavori, «inizia una nuova era di sostanziosa cooperazione, non di confronto, nei nostri rapporti che plasmerà il secolo XXI». Non ci illudiamo di essere d'accordo su tutto, ha proseguito il presidente, ma stiamo registrando solidi progressi sui più importanti problemi. Obama si è rifatto alla storica svolta del predecessore repubblicano Nixon, che nel '72 pose fino all'ostracismo della Cina con la diplomazia del ping pong. Lanciando la diplomazia del basket-ball, il presidente ha citato Yao Ming, la star cinese del campionato americano, secondo cui «non importa se sei un giocatore esperto o un novellino, hai bisogno comunque di tempo per adattarti al gioco della squadra». Confido, ha detto Obama, «che insieme faremo come dice Ming e che raggiungeremo il suo livello di gioco». Lo ha spalleggiato la segretaria di stato Hillary Clinton, che presiede i lavori: «Mattone per mattone, noi costruiamo una casa comune ». Il G2 è nato in seguito a un' iniziativa di George Bush, che nel 2006 varò un forum biennale, il Dialogo economico strategico, limitato all'economia. Obama lo ha esteso alla politica e alla sicurezza, con l'appoggio del presidente cinese Hu Jintao. Il vicepremier Wang Qishang, il capo della delegazione, forte di 150 funzionari, lo ha definito «un importante punto di incontro »: «Siamo sulla stessa grande barca ha aggiunto scossa da enormi onde». Di fatto, con il Dialogo economico e strategico l'America sostituisce la Cina alla Russia come suo primo interlocutore dopo l'Europa. Lo fa perché ritiene che la Cina eserciti una maggiore influenza oltre che sull'economia globale anche sull'energia e sul clima, sulla politica e sulla sicurezza dell'Asia. Obama vi ha alluso espressamente con un appello all'unità contro il riarmo nucleare dell'Iran e della Corea del nord: «La non proliferazione ha affermato è nel comune interesse, più nazioni producono la bomba e più aumenta il rischio che qualcuno la usi». Nel discorso d'apertura, il presidente ha affrontato la questione dei diritti umani, invitando la Cina «a trovare un terreno comune per il rispetto della dignità personale » e ricordandole che «ognuno deve avere la libertà di parola, anche le minoranze etniche e religiose da voi come da noi». Si è poi concentrato sulla recessione, ammonendo che «le scelte in America si riverberano sull'economia globale da New York a Shanghai, e occorre perciò che coordiniamo i nostri interventi ». Obama ha suggerito «regolamentazione e trasparenza dei mercati, e liberi ed equi commerci», e ha sostenuto che se la Cina si aprirà ai prodotti stranieri «lo sviluppo globale sarà più sostenibile ». Interlocutore Di fatto, con il forum annuale sul Dialogo economico e strategico l'America sostituisce la Cina alla Russia come suo primo interlocutore dopo l'Europa Ennio Caretto

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Il rebus di Pechino grande creditore costretto a tifare per Washington (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 28/07/2009 - pag: 3 L'analisi L'esposizione cinese con il Tesoro americano supera gli 800 miliardi di dollari. La Repubblica Popolare deve continuare a sostenere la valuta Usa Il rebus di Pechino grande creditore costretto a tifare per Washington DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Duecento. In una sola settimana, quella iniziata ieri, gli Stati Uniti chiederanno a risparmiatori e governi del mondo di sottoscrivere Buoni del Tesoro Usa per oltre 200 miliardi di dollari. Un'enormità: prima dell'esplosione della crisi, in un intero anno il 2007 erano stati emessi «bond» federali per 350 miliardi. Basterebbe questo dato a spiegare l'enfasi con la quale il presidente Obama ha presentato il nuovo «round» di discussioni strategiche Usa-Cina iniziato ieri a Washington. Con gli americani che tentano faticosamente di ricominciare a risparmiare, stabilità finanziaria, tenuta del dollaro e controllo dell'inflazione dipendono sempre di più dalla disponibilità degli altri Paesi a sottoscrivere titoli basati sulla valuta Usa. E qui, pur avendo più volte auspicato la nascita di strumenti monetari alternativi al dollaro, Pechino continua ad aumentare i suoi acquisti di titoli del debito statunitense: con i 30 miliardi sottoscritti in maggio, l'esposizione cinese col Tesoro di Washington ha superato la soglia degli 800 miliardi di dollari. Ormai un quarto del debito pubblico Usa detenuto all'estero è in mani cinesi. Numeri che indicano dipendenza la crescente dipendenza americana dai 2 trilioni di dollari di surplus valutario cinese ma anche interdipendenza: Pechino scommette in modo così massiccio sul dollaro, nonostante la fragilità di questa moneta, perché non ha alcun interesse ad un crollo dell'economia Usa che sarebbe disastroso per il suo export e il destino dei suoi investimenti a Washington e a Wall Street. Pechino temeva che la «corsia preferenziale » del dialogo Cina-Usa aperta dal liberista Bush in tempi di globalizzazione trionfante potesse essere chiusa da un nuovo presidente democratico più attento al rispetto dei diritti umani, che parla di libero scambio ma poi sostiene il «buy American» e che è stato eletto col sostegno dei sindacati che vedono nel commercio con l'Asia la ragione principale della rovina degli operai Usa. Invece Obama, mostrando ancora una volta tutto il suo pragmatismo, non solo ha ripreso l'iniziativa ideata quasi tre anni fa dal ministro del Tesoro repubblicano, Henry Paulson, ma l'ha addirittura raddoppiata, affiancando a quella economica anche una fitta agenda di temi politici (dalla proliferazione nucleare alla lotta al terrorismo). E impegnando nel negoziato con una delegazione cinese di caratura sicuramente inferiore, non solo il ministro del Tesoro Tim Geithner, ma anche il Segretario di Stato, Hillary Clinton. Lo ha fatto perché per la prima volta da quando, un secolo fa, è divenuta la potenza globale dominante, l'America si trova davanti un rivale che può condizionare in modo profondo le sue prospettive economiche. Ma anche perché si è reso conto che dal dollaro all'inquinamento, dalle regole per la finanza all'uso delle fonti di energia, le due potenze hanno interessi comuni. E, anche quando questi interessi divergono, un conflitto rischia di portare a tutti e due più danni che vantaggi. L'idea della «staffetta» tra un G8 che perde di peso e un G2 molto più snello e operativo non è solo una formuletta giornalistica: l'America sa che le sue radici sono al di là dell'Atlantico, ma da anni guarda al Pacifico per il suo futuro. E se sulle questioni strategiche dalla Corea del Nord ai rapporti con l'Iran c'è molto lavoro politico da fare, sulla gestione della crisi economica Cina e Usa sembrano parlare la stessa lingua: sono gli unici due Paesi che hanno reagito alla recessione globale con massicci piani di stimoli fiscali, mentre proprio lo «tsunami» finanziario ha fatto passare in seconda linea antiche controversie. Geithner da mesi non accusa più la Cina di manipolazioni valutarie perché nelle attuali condizioni di mercato la sottovalutazione del renminbi non è più il problema-chiave. E i cinesi non accusano più gli americani di minare il dollaro con l'iperindebitamento pubblico perché capiscono che, nelle attuali circostanze, non ci sono molte alternative all' iperattivismo del Tesoro. Il messaggio che viene dagli incontri di Washington è che, col consumatore americano ormai alle corde e quello cinese non ancora in grado di sostituirlo, le speranze di ripresa riposano soprattutto sullo sviluppo di una nuova economia dei servizi collettivi basata sulle infrastrutture, le tecnologie del risparmio energetico e quelle del disinquinamento. Rispetto al dialogo con l'Europa, per Obama è più difficile trovare su questi temi un accordo con la Cina; ma è anche più importante, visto che i due Paesi sono i maggiori inquinatori e i maggiori consumatori di idrocarburi del mondo. Se riescono a trovare un terreno comune, tutti gli altri non potranno fare altro che seguire. Interdipendenza Un quarto del debito pubblico americano detenuto all'estero è in mano cinese. Numeri che indicano interdipendenza Massimo Gaggi

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<È un duopolio benigno Nessun rischio di conflitto>(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 28/07/2009 - pag: 2 Lo storico Usa «È un duopolio benigno Nessun rischio di conflitto» WASHINGTON Secondo Richard Pipes, il noto storico del comunismo, Obama ha ragione: nel XXI secolo, la Cina sarà l'interlocutore d'obbligo dell'America, come l'Urss lo fu nel secolo XX. Ma se si formerà un G2, un direttorato a due, sarà per un dialogo costruttivo, non un confronto rischioso come quello della Guerra fredda. Pipes prevede «un dialogo benigno » tra i due colossi, foriero di stabilità anziché di tensioni. Sono possibili sorprese, ammonisce lo storico, ma Pechino non sembra nutrire le ambizioni egemoniche di Mosca e sembra disposta «alla creazione di buone infrastrutture internazionali ». Non avremo una nuova versione del bipolarismo? «Non lo credo. Almeno per il momento, la Cina non è una minaccia per nessuno, forse neppure per Taiwan. L'Urss di Krusciov voleva seppellire la 'cavalla stanca del capitalismo', così disse, ma Hu Jintao è per il dialogo bilaterale e multilaterale, e penso che lo saranno anche i successori, è nell'interesse del Paese ». Ma la Cina non sfida l'America, non vuole superarla, sia pure pacificamente? «La sfida c'è, ma dubito che Pechino la vinca. Comunque, non è una sfida per ampliare le proprie sfere d'influenza ma, ripeto, per concordare nuovi equilibri. Prevedere che cosa succederà da qui alla fine del secolo è impossibile, ma non vedo come la Cina possa compiere il sorpasso in 20-30 anni. Il nostro vantaggio tecnologico e di capitali è ancora ingente». Ci sarà una «special relationship », quasi un'alleanza, tra l'America e la Cina? «Non proprio, a causa delle diversità culturali e della mancanza di vera democrazia in Cina. Non abbiamo contrasti insolubili, ma non amiamo il suo regime, e non risparmiamo le critiche per le sue violazioni dei diritti umani. Una cosa è lavorare insieme, un'altra essere in simbiosi ». La formazione di un G2 non emarginerebbe l'Europa? «L'America è destinata a rimanere ancorata all'Europa a tempo indeterminato, e l'Europa continuerà a espandersi e a rafforzarsi. Semmai un giorno potrebbe esserci un G3: noi, voi e i cinesi. La tendenza attuale è di formare blocchi regionali che collaborano tra di loro. Ma è troppo presto per parlarne». Dove si collocherebbe la Russia? «Questo è un problema. Il vicepresidente Biden l'ha descritta in crisi e ha ipotizzato che sarà costretta ad accettare il disarmo atomico per non crollare, commettendo a mio giudizio un errore diplomatico e politico. Bisogna trovare il modo di averla come partner. La Russia è una superpotenza, non si può permette che si isoli, tanto meno che venga umiliata. E non mi pare che Obama ne abbia la minima intenzione ». Esperto Richard Pipes, 86 anni E. C.

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Kabul, tregua nel Pdl Il Carroccio sosterrà la missione (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)

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Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 28/07/2009 - pag: 5 Kabul, tregua nel Pdl Il Carroccio sosterrà la missione Rifinanziamento, sì anche da Pd e Idv ROMA L'emergenza Afghanistan resta uno dei dossier principali per Palazzo Chigi: nonostante la tregua almeno fino alla data delle elezioni, il 20 agosto, i rischi per il contingente italiano restano molto alti. Per questo il ministro degli Esteri Franco Frattini e il suo collega Ignazio La Russa stanno cercando di accelerare l'impiego dei Tornado (già in loco per la copertura e difesa delle operazioni). Ma se l'allerta «operativa» è massima, quella politica è cessata ieri. A ridimensionare definitivamente le parole del ministro Umberto Bossi («se fosse per me riporterei tutti a casa»), dopo la precisazione di Roberto Calderoli, i due capigruppo Roberto Cota e Federico Bricolo hanno scritto un comunicato a quattro mani per dire che «la Lega ha sempre mantenuto gli impegni assunti dal governo e lo farà anche in questo caso. Dunque non c'è alcun contrasto a livello di maggioranza». Altro, spiegano, è aprire una riflessione sull'impegno internazionale e l'exit strategy «come ha fatto anche Obama». E infatti la Lega la settimana scorsa ha dato il via libera alla Camera al rifinanziamento delle missioni e si appresta a fare lo stesso in commissione al Senato. Ieri il leader dell'Udc Pierferdinando Casini, insieme a Roberta Pinotti del Pd, ha ufficialmente invitato il governo a riferire in Aula. E stasera ci sarà un'informativa. Ma intanto al Senato, dove si vota il rifinanziamento, le missioni avranno l'ok anche dell'opposizione. Dario Franceschini ha fatto sapere che quello del Pd non mancherà e Antonio Di Pietro, il cui partito è diviso tra «pacifisti» come De Magistris e «istituzionali» come il capogruppo Massimo Donadi favorevole alla permanenza in Afghanistan, ha confermato anche l'appoggio dell'Idv alle missioni: «Non lasceremo privi del consenso politico i nostri ragazzi in Afghanistan». Quanto all'impiego di altri soldati e alle missioni internazionali il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha messo un punto fermo: «La missione in Afghanistan rimane, lo si sa, per quanto riguarda il Kosovo (evocato da Bossi e da Calderoli) è già prevista una riduzione sensibile della nostra presenza e stiamo pensando di ridurla anche in Libano in occasione del passaggio del comando dall'Italia ad un'altra nazione». Sul palco Nella foto, il ministro dell'Interno Roberto Maroni e, a destra, il leader della Lega Umberto Bossi Gianna Fregonara

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 28/07/2009 - pag: 14 Il cubano Raúl Castro «Meno lamentele sull'embargo e lavorare la terra» «Non si tratta di gridare 'Patria o morte!', 'Abbasso l'imperialismo!'. L'embargo ci colpisce ma la terra è lì che aspetta i nostri sforzi». In tempi di crisi economica, il terzo discorso da presidente di Raúl Castro per l'anniversario della Rivoluzione il 26 luglio porta con sé un messaggio chiaro: bando al vittimismo e rimboccarsi le maniche. Il leader cubano parla alle 7 del mattino a 200 mila persone a Holguín, nella parte orientale del Paese, dove nel 2006 il fratello Fidel tenne l'ultimo comizio. Per Raúl, la festa è l'occasione per un invito a non usare l'embargo Usa come un alibi e per spingere alla coltivazione della terra come una «questione di sicurezza nazionale». Il blocco degli scambi commerciali è in vigore dal 1962, imposto dall'allora presidente Kennedy. Nel corso degli anni si è indurito o allentato a seconda dei rapporti con l'isola. Di recente, >Barack Obama ha revocato le restrizioni ai viaggi e alle rimesse per gli americani con familiari a Cuba e ha riaperto il dialogo sull'immigrazione. Di questo, però, Raúl non parla. Cuba importa fino all'84% delle derrate alimentari e l'anno scorso ha subito perdite per 10 miliardi di euro a causa di tre uragani. Ecco perché sarebbe fondamentale una maggiore indipendenza, almeno dal punto di vista alimentare. L'anno scorso il presidente lanciò un programma di vendita a cooperative e privati di terreni coltivabili dello Stato. Ma finora «solo il 40%» è stato sfruttato, sottolinea nel discorso. Aggiungendo: «La terra è lì, vediamo se siamo in grado di lavorare o meno». Raúl Castro Alessia Rastelli

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Londra, la disfida dei due salotti in rosa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 28/07/2009 - pag: 14 Strategie Prima erano i laburisti ad avere i migliori testimonial. Con la nuova leadership conservatrice gli equilibri sono cambiati Londra, la disfida dei due salotti in rosa Le signore Brown e Cameron in prima linea per arruolare celebrità DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA Da che parte schierarsi: con Sarah, classe 1963, la stratega di pubbliche relazioni? O con Samantha, classe 1971, la creativa nel design d'interni? Coi Labour? O coi Tory? I salotti della cultura e dello spettacolo tifano e si dividono. Poco importa che le elezioni siano ancora lontane. La grande sfida per Downing Street è già cominciata a suon di feste e di ricevimenti, di party e di pettegolezzi. Con due nuove «regine» a caccia del voto che conta. È sicuro: anche da queste due signore (e mamme) dipenderà l'esito finale. Sarah, la moglie del premier Gordon Brown, viste le disgrazie del marito, ha rispolverato tutte le magie di ex abilissima «public relation woman ». E siccome i guai peggiori venivano proprio dagli amici o supposti tali di Gordon Brown, guarda caso gli stessi laburisti, ha avviato la controffensiva della lasagna, ovvero una cena settimanale fra compagni di partito per assorbire così, fra una forchettata e l'altra, i veleni del governo. Poi si è dedicata al look, rispolverando gonne sgargianti, ha stretto amicizia con Michelle, la moglie di Obama, ha partecipato al raduno di gay e lesbiche, ha chiamato a raccolta i vecchi supporter. Infine ha ripreso i contatti con il mondo del cinema, della televisione, dei libri, dell'arte. Ma lì si è accorta che il monopolio laburista nell'alta società era in pericolo. La rivale Samantha (consorte di David, il leader dei conservatori) stava lavorando. E bene. È partita la conta. Con chi sta questo salotto? Con chi sta quest'attrice? E questo cantante? Noel Gallagher, leader degli Oasis, non ha ripudiato i laburisti. E la pop star Lily Allen pure. Sarah ha riconquistato Kate Winslet, fresca di Oscar, e JK Rowling, l'autrice di Harry Potter. Ma Samantha, quindi i Tory, hanno il supporto di Jade Jagger, figlia di Mick (Rolling Stones), di Tafari Hinds, modella giamaicana, dell'attrice Greta Scacchi, di una parte del giro della moda che ruota attorno al quartier generale londinese di Vogue e di un discreto numero di straordinari collezionisti i quali trascinano artisti e artiste dell'ultima generazione, come Sam Taylor-Wood. Combattuta è Tracey Emin. Lei si era rifiutata di consegnare le sue opere a Charles Saatchi per i legami di questo con i Tory ma, lo ha scritto il Times , è rimasta folgorata dalle ultime performance dei conservatori. È ora indecisa. «I Tory sono cambiati». Non è un buon segno per Sarah e i laburisti. Come mai? Una volta c'era Lui, Tony Blair con il fascino innovatore della «terza via». Se ai vernissage, alle feste, alle inaugurazioni non c'era un new labour in carne ed ossa, il party era un fallimento già in partenza. Il fascino della spregiudicatezza e della modernità. Per una quindicina d'anni, finita l'era di Margaret Thatcher, i Tory sono stati messi all'indice: gradimento in picchiata, ricacciati nelle loro riserve. Tony Blair era il Messia dei salotti d'arte e di spettacolo, di cinema e di teatro. Poi però Blair ha mollato Downing Street. E adesso che Gordon Brown e i laburisti, effetto della crisi finanziaria, navigano in cattive acque, la storia è un po' diversa. I conservatori scalano posizioni su posizioni: l'asso di briscola di chi organizza o partecipa all'evento mondano di turno è la frequentazione o la presenza di un Tory doc, anzi di un new tory. Si sa che quando un premier, un ministro o un governo sono in uscita, i voltagabbana entrano in fretta all'opera. Opportunismo, allora? Non solo. Quello c'è sempre e ovunque. C'è piuttosto da rilevare che i conservatori hanno riscoperto l'antica arte dell'invito, della chiacchiera, del gossip. Il salotto di George Osborne, il cancelliere ombra, è punto di ritrovo fisso a Notting Hill di scrittori di successo. E casa Cameron ospita storici, filosofi, critici. Un'offensiva in piena regola. Per Gordon Brown (e per Sarah) il pericolo numero uno è Samantha, designer d'interni, signora Cameron. Una consolazione a metà per il premier e la consorte: l'assalto Tory al giovane Daniel Radcliff, Harry Potter, è fallito. Il maghetto sta con i liberaldemocratici. I fronti Sarah Brown rispolvera le magie di ex «public relation woman» e i Tory riscoprono l'arte della chiacchiera e del gossip Fabio Cavalera

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in campo Obiettivo Casa Bianca 2012 (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)

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Corriere della Sera sezione: Esteri data: 28/07/2009 - pag: 14 America Nel partito repubblicano è l'unica vera stella «Sarah Barracuda» in campo Obiettivo Casa Bianca 2012 La Palin lascia la guida del suo Alaska WASHINGTON È uscita di scena come vi era entrata, da «pitbull con il rossetto», come fu chiamata alle elezioni presidenziali del 2008, con un discorso aggressivo, in cui ha attaccato tutti, lo statalismo (leggasi Obama), i media, i liberal naturalmente, «decisi a fare a pezzi la nazione », persino Hollywood che si oppone alla caccia ai lupi «perché non capisce niente». È uscita dall'Alaska, dimettendosi da governatore a metà del proprio mandato, per arrivare non si sa bene dove, ma con ogni probabilità alla candidatura alla Casa Bianca nel 2012, sebbene lei dica di no. A differenza dell'anno scorso, tuttavia, è uscita non più con un indice di popolarità del 60 per cento, ma del 40 per cento. Colpa della questione etica: in seguito a una ventina di esposti, Sarah Palin è inquisita, rischia uno scandalo. Domenica, al «picnic» a Fairbanks per il suo commiato dall'Alaska, il nuovo paradiso americano del petrolio, sono accorse oltre 5 mila persone, in maggioranza Palintologists ossia suoi sostenitori: «Studiosi dei valori conservatori, dell'indipendenza e del patriottismo» dell'ex candidata repubblicana alla vicepresidenza a fianco del senatore John McCain, come è stato spiegato ai media. Si vedeva qualche nemico con cartelli con su scritto «Grazie di averci fatto ridere» in riferimento alle sue gaffes, e «Meteora furiosa » in riferimento alla sua ferocia politica. Ma i 5 mila li hanno tacitati all'unanime grido di «Palin for president» e «Avanti verso il 2012», una conferma delle sue malcelate ambizioni. Ma malcelate è dire poco. Dopo avere confusamente ribadito di essersi dimessa per porre fine alla persecuzione della sua famiglia da parte dei media («Che ne direste di smetterla in nome del soldato americano?» ha chiesto, come se c'entrasse) e per non infliggere all'Alaska «spese di avvocati», Sarah Palin ha infatti annunciato che formerà una coalizione di destra, scriverà un libro, e combatterà «con ancora più ardore per l'America, la verità e la giustizia ». Non ho mai pensato, ha voluto chiarire, «che per fare tutto questo uno abbia bisogno di un titolo». Ha quindi aggiunto che esordirà in veste di crociata l'8 agosto alla Biblioteca presidenziale Ronald Reagan, il tempio del conservatori americani. Come a dire, un assalto al partito in funzione anti Obama. Non a caso il suo messaggio è: «Guardatevi dagli interventi governativi, li si paga a caro prezzo». Fuori dall'America, può riuscire inconcepibile che una novizia di 45 anni, con alle spalle l'esperienza solo di sindaco di una cittadina, Wasilla, di 7 mila abitanti, e di governatore dimezzato del-- l'Alaska, si senta l'anima del repubblicanesimo. Ma alle elezioni del 2008, Sarah Palin ha lasciato sulla destra una profonda impronta. Su Internet, dove il social network Twitter è il suo preferito, vanta un seguito enorme. Il suo Pac, Comitato di azione politica, ha raccolto fondi per oltre 1 milione di dollari. Nei sondaggi figura alla pari con Mitt Romney, l'altro papabile alla Casa Bianca. E molti candidati repubblicani alle elezioni parlamentari del 2010 hanno chiesto il suo aiuto. Vedono nella «Barracuda», l'appellativo datole dagli ex compagni di scuola, una carta vincente. In calo Ma a differenza dell'anno scorso il suo indice di popolarità è sceso dal 60 per cento al 40 per cento «Pitbull con il rossetto» Sarah Palin al picnic di saluto ( Ap) Ennio Caretto

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Chrysler, Marchionne apre l'era Fiat (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)

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Corriere della Sera sezione: Economia data: 28/07/2009 - pag: 27 Il summit Sul tavolo strategie e modelli del nuovo gruppo. La Casa Bianca pronta a vendere «appena possibile» Chrysler, Marchionne apre l'era Fiat Domani primo consiglio post-bancarotta. Tornano in produzione 9 stabilimenti MILANO Aveva promesso di ridurre al massimo i tempi del risanamento e di introdurre un «cambio di mentalità», se non di cultura, nel management di Chrysler. Adesso Sergio Marchionne, che da poco più di un mese è al timone della terza compagnia automobilistica americana, è passato dalle intenzioni ai fatti. Nove degli undici stabilimenti americani di Chrysler hanno riaperto ieri i battenti dopo due settimane di inattività. Restano per il momento ferme, a causa della scarsa richiesta dei modelli che producono, le altre due fabbriche. Ma ciò che conta è che Chrysler sia ormai uscita dall'emergenza. Anche se il lavoro da fare è ancora molto, la strada è tracciata. Domani nella sede della società ad Auburn Hills, nel Michigan, si insedierà il primo consiglio di amministrazione post-bancarotta. Nei due giorni precedenti questo appuntamento (vale a dire ieri e oggi) Marchionne ha riunito tutti i membri del board e alcuni top manager del gruppo per un approfondimento su strategie e prodotti della «nuova» Chrysler targata Fiat. Anche se il Lingotto possiede per ora soltanto il 20% del capitale, la guida operativa è infatti nelle mani di Marchionne. La prima giornata del meeting è stata dedicata alla presentazione della gamma. Le vetture con marchio Jeep, Dodge e Chrysler sono state poi messe a disposizione dei consiglieri per un test di guida. Molti dei consiglieri designati, in effetti, non hanno grande dimestichezza con il prodotto auto. A parte Marchionne e Alfredo Altavilla, gli altri sette membri (i quattro designati dal governo Usa, uno dal governo canadese, uno dal sindacato, oltre al terzo rappresentante di Fiat, Stephen M. Wolf) provengono da settori diversi, in prevalenza da quello finanziario. C'era dunque l'esigenza di introdurli nel mondo dell'industria e in particolare in quello dell' automotive . Oggi, secondo giorno del meeting e vigilia della riunione di consiglio, i temi in discussione saranno i problemi di Chrysler (a cominciare dalla mancanza di prodotti innovativi) e quelli più in generale dell'industria automobilistica mondiale. È probabile che Marchionne coglierà l'occasione per ribadire la sua strategia: arrivare a un gruppo in grado di produrre almeno 5,5-6 milioni di vetture all'anno. «Con Opel ci saremmo arrivati subito ha detto l'amministratore delegato la scorsa settimana ai consiglieri della Fiat . Ma anche se questo capitolo è ormai chiuso, raggiungeremo comunque questo obiettivo ». Aggiungendo di avere molta fiducia nella «qualità del management » di Chrysler. Al gruppo Usa, intanto, stanno già arrivando le piattaforme Fiat per costruire vetture più piccole, oltre che più efficienti ed «ecologiche », di quelle attualmente in produzione. Nuovi prodotti e nuova immagine del marchio Chrysler, dunque, per un rilancio che Marchionne ritiene possibile nei tempi previsti. La scommessa è particolarmente impegnativa. Soprattutto perché la casa di Auburn Hills è reduce da risultati semestrali disastrosi. Nella prima metà del 2009, per esempio, le vendite sono calate del 45,7%, molto più del -35,1% fatto registrare nello stesso periodo dal mercato nel suo complesso. E in serata Ron Bloom, numero uno della task force creata dal presidente Barack Obama per l'auto, ha fatto sapere che la Casa Bianca ha in programma di vendere «appena possibile» le quote in Chrysler e Gm. Su quest'ultima è possibile un'Ipo nel 2010. Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat e di Chrysler Giacomo Ferrari gferrari@corriere.it

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Per la mostra di Edward Hopper la gente ci mette la faccia... (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 28-07-2009)

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Corriere della Sera sezione: Tempo Libero data: 28/07/2009 - pag: 8 SUI MURI Per la mostra di Edward Hopper la gente ci mette la faccia... Da oggi, dai muri di Milano, dieci persone dal volto comune, né veline filiformi né modelli palestrati, vi diranno che il loro artista preferito è Edward Hopper. Sono i dieci volti selezionati attraverso un set fotografico allestito in piazza Duomo lo scorso 3 luglio per la campagna (a sinistra, un manifesto) che, fino a settembre, lancerà la mostra dedicata da Palazzo Reale al pittore realista americano dal prossimo 15 ottobre. Sono stati oltre tremila i cittadini milanesi che hanno voluto partecipare e mettersi in posa; la scelta finale è stata politicamente corretta perché ha incluso anziani e bambini, una timida apertura agli extracomunitari (con il volto della piccola Ruth tanto più accettabile perché somiglia alla figlia del presidente americano Barack Obama) e persino a una possibile coppia omosessuale. Ovviamente quest'ultima è solo un'allusione per chi vuole pensarlo, ma anche questo trucco serve a non escludere nessuno dei potenziali clienti della mostra. Tutti, insomma, sono chiamati a comprare il biglietto, non importa il sesso, il colore, l'età. Geniale campagna: è costata poco, non paga i testimonial e, ciliegina sulla torta, sembra pure democratica. ( fr. bon.)

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Bush censurava i ghiacciai Ecco le foto tenute segrete (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - Le foto c'erano, chiare e dettagliate. "Un metro ogni pixel", gongola Thorsten Markus, il ricercatore tedesco volato da Brema alla Nasa per combattere la battaglia dell'ambiente: "Una risoluzione così non s'era mai vista, trenta volte superiore a quelle che avevamo a disposizione: qui si vede tutto". Cioè non si vede più nulla, perché il ghiaccio di Barrow, Alaska, non c'è più, sparito, inghiottito da quel mare Artico che è sempre meno Glaciale per il surriscaldamento. Sì, le foto c'erano: mille immagini scattate dal supersatellite intorno a sei siti a rischio sull'Oceano. Peccato che quegli scatti praticamente storici, prova visibile del global warming, fossero stati nascosti, proibiti, censurati: proprio da quel George Bush che già aveva classificato come segretissimi altri studi sull'effetto serra, compreso quello firmato, anno 2004, dal suo stesso Pentagono. Prendete Barrow: è il villaggio più a nord del mondo, nell'Alaska fino all'altro ieri governata da Sarah Palin, con un occhio più alle trivelle petrolifere che ai ghiacci. Quattromila anime affacciate sul nulla eterno, una stazione del servizio meteorologico nazionale che si arrampicò già alla fine dell'Ottocento, e soprattutto la base del Noaa, il National Oceanic and Atmosphere Administration. Ecco, adesso nelle foto desecretate il disastro si vede a occhio nudo: questo, luglio 2006, è l'Oceano davanti a Barrow come è apparso da che mondo e mondo, con la linea dei ghiacci all'orizzonte, e questa è la stessa foto scattata nel luglio 2007, nulla di nulla: la striscia bianca non c'è più. OAS_RICH('Middle'); Le foto, straordinarie davvero, sono state fatte spuntare dal cassetto da un'agenzia governativa, l'Osservatorio geologico degli Stati Uniti, a poche ore dall'allarme lanciato sul clima dall'Accademia nazionale delle scienze, in una mossa che si presume concordata con lo staff dell'amministrazione Obama. L'ambiente è uno dei punti forti del programma di Barack, che appena un mese fa ha sbandierato come una grande vittoria l'approvazione alla Camera del pacchetto clima, malgrado le critiche dei verdi più radical delusi dal Cap and Trade, il meccanismo di compravendita dei "diritti" (ovviamente costosi) di inquinamento. Ora per il piano si prevede però una dura battaglia al Senato, dove già il presidente ha il suo bel da fare con la riforma sanitaria. Ma le foto nascoste e riapparse aprono anche un altro fronte di lotta: quello per la sopravvivenza della ricerca scientifica. Dice Jane Lubchenco del Noaa: "Immagini come queste ormai sono la prova che cerchiamo, ma la flotta dei satelliti spia non è stata rimpiazzata e ora rischiamo il collasso. Lottiamo in un campo di battaglia in cui l'America si presenta cieca". In febbraio, scrive Suzanne Goldeberg, esperta di ambiente dell'inglese Guardian, un satellite della Nasa che trasportava strumenti per produrre la prima mappa dell'emissione di carbone intorno alla Terra è caduto nell'Antartico appena tre minuti dal decollo. Non è un segnale incoraggiante. Ora nel piano di Obama ci sono 170 milioni per recuperare il gap. Per l'istituto di ricerca che lotta nei posti più impervi, come sulla trincea del nulla di Barrow, ne servono altri 390. Bush e Cheney facevano presto a risolvere il problema: bastava nasconderlo nel cassetto. Ma oggi il clima è cambiato, anche alla Casa Bianca. Peccato che insieme ai ghiacci siano spariti anche i fondi. (28 luglio 2009

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Obama spegne il tabellone anti-Castro (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

ROMA Simbolo della discordia fra Washington e la Cuba di Fidel Castro, un tabellone luminoso che le autorità cubane non potevano toccare campeggiava dal 2006, per volere di George W. Bush, sopra la sezione d’interessi statunitense ben in vista dalla spiaggia della capitale cubana, facendo scorrere 24 ore su 24 slogan e notizie anti-castristi. Ora, segno della timida distensione fra Washington e l’Avana, il tabellone è stato spento e lo conferma il Dipartimento di stato Usa. Il portavoce del ministero degli esteri americano Ian Kelly, citato dai siti online di Cnn e Bbc, ha detto che il tabellone, simile a quello che campeggia su Times Square a New York, è stato spento in giugno perchè considerato non più efficace come strumento per far avere notizie ai cubani. Il tabellone faceva scorrere giganteschi caratteri rossi, alti un metro e mezzo, per tutta la lunghezza dell’edificio, con frasi celebri sulla libertà, quali «ho fatto un sogno che un giorno questa nazione sorgerà» di Martin Luther King, o «nessun uomo è così speciale da governare un altro uomo senza il consenso di quest’ultimo» di Abraham Lincoln, e così via. Il tabellone aveva fatto infuriare Fidel, che fece marciare un milione di persone attorno alla sezione d’interessi americana e fece erigere, per coprirlo, un contro-tabellone anti-Usa e 138 grandi bandiere nere, quante le vittime cubane della «aggressione» americana contro l’isola. Le barriere erette da Cuba avevano in qualche modo avuto effetto, perchè fino a oggi nessuno si era accorto che il tabellone era stato spento il mese scorso.

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Pd, Marino annuncia querele Franceschini: "Non trituriamoci" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

ROMA - Continua a colpi di mail e annunci di querele la polemica, innescata dal Foglio di Giuliano Ferrara, che vede contrapposto Ignazio Marino e l'università di Pittsburgh. Una vicenda che si inserisce nella corsa verso il congresso dei democratici di cui Marino è uno dei candidati. E proprio a quell'appuntamento pensa Dario Franceschini quando chiede un impegno comune: "Togliamoci dalla testa che chiunque vinca cominci ad essere tritato dopo il congresso perchè "ci sono le elezioni regionali". Il caso Marino. Oggi l'università americana ribadisce le ragioni dell'allontanamento del medico italiano.Con una lettera pubblicata sul Foglio, conferma le "dozzine di irregolarità intenzionali e deliberate" nei rimborsi chiesti dal chirurgo. Marino, però, non ci sta. E passa al contrattacco. "Si vuole impedire che si parli dei contenuti della mia candidatura". Questo perchè "l'Upcm, che sto valutando se querelare per diffamazione, ha un'importante situazione di affari da proteggere in Sicilia". Franceschini: "Basta triturare i leader". Pochi mesi dopo il congresso il Pd dovrà affrontare elezioni "difficili" come le regionali e per questo è bene che "chiunque vinca" venga messa da parte una volta per tutte l'abitudine di "triturare" il leader. Dario Franceschini lancia un appello all'unità. E lo fa sottolineando come gli stessi che poche settimane fa gli attribuivano il merito di aver condotto bene il partito durante la campagna elettorale per le europee, adesso gli rinfacciano i "4 milioni di voti persi". OAS_RICH('Middle'); Poi il nuovo commento su quello che dovrà essere il partito del futuro: "Solido, con circoli e militanti, ma non basta più un modello di 50 anni fa. Allora chi voleva partecipare si iscriveva a un partito. Oggi c'è chi prende un impegno solo in occasione delle elezioni o di determinati eventi, che vuole dare una mano non tutto l'anno, ma in determinate circostanze. Questa è una ricchezza del Pd, è oro da difendere". Franceschini torna sui rapporti tra le diverse anime che compongono il Pd e sulle difficoltà di amalgamarle: "Non ce l'ha ordinato il dottore di fare il Pd. Ciascuno di noi poteva restare nei Ds o nella Margherita. Se lo abbiamo fatto è perchè crediamo nell'importanza della diversità, sapendo che le idee nuove nascono dalla sintesi dopo un confronto tra diversità". Cita Obama, il segretario del Pd. E il suo tentativo riuscito di mettere in campo "una gerarchia di valori rovesciata, l'America di oggi sembra un'altra rispetto a quella di due anni fa. E' quello che dobbiamo fare noi". (28 luglio 2009

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Cina-Usa, accordo al summit "Collaboriamo per crescere" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 28-07-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - Alla fine c'è la stretta di mano fra Stati Uniti e Cina. Timothy Geithner, segretario Usa al Tesoro, annuncia che le due superpotenze hanno trovato l'accordo sulla necessità di lavorare assieme per favorire una crescita economica che si stenta ancora a vedere. Il summit di Washington si chiuderà con la pubblicazione di un piano di lavoro congiunto che fisserà le strategie dei due paesi, riassumibili con un "no" al protezionismo e un "sì" a maggiori poteri agli organismi internazionali. Ma al di là dei sorrisi d'ordinanza non tutto è filato lisco. Secondo fonti interne alle delegazioni, ci sarebbero stati dei contrasti a causa delle perplessità dei cinesi per la crescita del deficit statunitense. Stati Uniti e Cina "si impegnano a creare un sistema finanziario internazionale stabile e solido, che contribuisca a una crescita economica globale equilibrata", ha detto Geithner prima di riprendere le discussioni con la delegazione cinese, guidata dal vicepremier cinese Wan Qshand e dal consigliere di Stato Di Bngguo. In particolare, l'obiettivo è sia disinnescare tentazioni protezionistiche durante i periodi di crisi, sia dare maggiori poteri a organizzazioni come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale per sostenere le economie in via di sviluppo. E se i cinesi hanno dato segni di insofferenza per il deficit americano, Geithner ha fatto pressione per spingere il gigante asiatico a riequilibrare la propria situazione economica che, a detta del segretario Usa, deve basarsi di più sulle attività interne che sulle esportazioni verso gli Stati Uniti. OAS_RICH('Middle'); Ma il clima, almeno davanti ai giornalisti, resta di grande cordialità. Solo ieri Obama aveva annunciato "una nuova era di collaborazione, non di scontro" con la Cina, invito subito colto al balzo da Wang, uno dei responsabili della politica economica cinese: "Cina e America collaboreranno più da vicino e le relazioni commerciali fra i due paesi progrediranno". (28 luglio 2009

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Le parole di Umberto Bossi sul ritiro dall'Afghanistan preoccupano l'amministrazione Obama... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

Le parole di Umberto Bossi sul ritiro dall'Afghanistan preoccupano l'amministrazione Obama»: parola di Charlie Kupchan, titolare degli studi europei al «Council on Foreign Relations» di Washington nonché ex consigliere della Casa Bianca negli anni di Bill Clinton. Quali sono i motivi della preoccupazione americana? «Riguardano due aspetti. Il primo ha a che vedere con il fatto che finora l'opposizione alla guerra afghana in Europa è venuta soprattutto dalla sinistra, penso all'estrema sinistra in Italia e alla Spd in Germania. Il fatto che la Lega Nord, componente-chiave di una maggioranza di centrodestra in Italia, faccia proprie le obiezioni all'intervento della Nato suggerisce che lo scontento in Europa sta diventando più vasto. E se questo suscita forte preoccupazione lo si deve al secondo aspetto della vicenda: l'amministrazione Obama ha appena iniziato nell'Helmand un'offensiva militare anti-taleban di vasta portata, destinata a richiedere più impegno agli alleati, in termini economici e di vite umane. I dubbi italiani dunque indeboliscono la coalizione e fanno sembrare più vulnerabile la missione della Nato». Le garanzie date dal premier Silvio Berlusconi sulla permanenza delle truppe italiane rassicurano la Casa Bianca? «Certo, ma quanto avvenuto resta comunque un serio segnale di allarme per Washington. La Casa Bianca ha sempre considerato l'Italia un alleato stabile, sicuro, in Afghanistan. Ora invece le parole di Umberto Bossi fanno sorgere dubbi su che cosa potrà avvenire. L'Italia entra nell'insieme di quei Paesi della Nato, come il Canada e i Paesi Bassi, dove è in atto un duro dibattito interno sul mantenimento o meno delle truppe in Afghanistan». Come spiega la decisione del governo britannico di dirsi a favore di un dialogo con i taleban? «E' un passo in sintonia con gli orientamenti dell'amministrazione Obama, intenzionata a cercare di ottenere maggiore stabilità in Afghanistan offrendosi come interlocutore a quei capi taleban disposti ad abbandonare Al Qaeda e il mullah Omar, a rinunciare alla guerriglia perché convinti di poter ottenere di più dallo scenario della pacificazione». Ma come è possibile decidere con quali taleban trattare? «Spetta all'intelligence farlo, sulla base delle informazioni raccolte in loco, per poter distinguere fra capi terroristi e possibili interlocutori locali». Sul modello di quanto riuscito all'amministrazione Bush nel Triangolo Sunnita in Iraq? «Sì, ma con la differenza che in questo caso è tutto più difficile. In Iraq le tribù hanno una struttura più coesa e quando si fa l'accordo con un capo-tribù si ha la certezza che verrà rispettato in una determinata area, in Afghanistan invece le tribù sono meno solide, c'è maggiore frammentazione ed è per questo che bisogna andare nei singoli villaggi a fare accordi con i capi locali. Ciò comporta più tempo, risorse e ovviamente più rischi». Che impatto avrà la missione Nato in Afghanistan sul futuro del peacekeeping? «A mio parere l'amministrazione Obama sta tentando di resuscitare il peacekeeping. Lo fa in Iraq, accelerando il ritiro delle truppe, e anche in Afghanistan, accelerando l'addestramento delle forze di sicurezza locali. In entrambi i casi il processo in corso è di ridurre la presenza e il ruolo delle truppe combattenti, americane e Nato, ponendo le basi per un ritorno alle missioni internazionali di mantenimento della pace».

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Se l'Italia ti snobba, c'è Obama (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

Se l'Italia ti snobba, c'è Obama RICCARDO LATTANZI NEW YORK UNIVERSITY - USA A molti sarà capitato di bere un po' per distendersi, sospirando «ho bisogno di un drink». Si sa che l'alcol aiuta a rilassarsi, ma quali sono i meccanismi fisiologici alla base del fenomeno? Paradossalmente, potrebbero essere gli studi di una ricercatrice italiana, astemia, a dare la risposta. Marisa Roberto, professoressa di neurobiologia allo «Scripps Research Institute» di San Diego, è tra i 100 vincitori del «Presidential Early Career Award for Scientists and Engineers» («Pecase»), un premio che, nel suo caso, consiste in 5 anni di finanziamento per studiare l'effetto dell'alcol sul cervello e comprendere i cambiamenti a livello cellulare che portano alla dipendenza negli alcolisti. Il segreto sembra essere nell'amigdala, una regione del cervello che ha un ruolo fondamentale nella regolazione dello stress e dell'ansia. «Un bicchiere di vino può aiutare a ridurre la tensione, perché l'etanolo stimola il rilascio di "Gaba", un neurotrasmettitore che rallenta la comunicazione tra cellule nervose - spiega la professoressa -. Un consumo eccessivo di alcol aumenta invece la quantità di "Gaba" e a lungo andare il cervello finisce con l'adattarsi, fino a non poter più fare a meno della sua "dose"». Negli alcolisti l'astinenza causa un accumulo di ormone dello stress, a cui il cervello risponde creando un bisogno incontrollabile di alcol per ripristinare il livello del neurotrasmettitore. Il circolo vizioso si potrebbe rompere - è l'ipotesi - bloccando i ricettori dell'ormone dello stress e agendo sul rilascio di «Gaba». L'obiettivo è creare dei farmaci per combattere a livello cellulare la dipendenza, un problema che in America costa 180 miliardi di dollari all'anno. «I risultati sui ratti sono incoraggianti e grazie al premio potrò continuare il mio progetto senza temere le ristrettezze della crisi». Il «Pecase» è il più prestigioso riconoscimento per un ricercatore a inizio carriera e sarà il presidente Barack Obama a premiare chi ha definito «giovani scienziati e ingegneri straordinariamente dotati che rappresentano il meglio nel nostro Paese». Un elogio che la professoressa Roberto avrebbe preferito ricevere dal nostro presidente della Repubblica. «Il mio paese è l'Italia. E' da quando sono arrivata in America che cerco di tornare». All'Università di Pisa, dove ha conseguito la laurea in biologia e il dottorato in neuroscienze, non c'era posto. «A San Diego mi hanno offerto un lavoro e in quattro anni sono diventata professore». Oggi dirige un laboratorio in uno dei più importanti istituti di ricerca negli Usa, ma un ponte con l'Italia è riuscita a crearlo. Lo scorso anno ha organizzato a Volterra, la città natale, un convegno su «alcolismo e stress». L'evento «è stato talmente un successo che se ne farà un'altro nel 2011». E ad agosto sarà di nuovo nella sua città, stavolta per l'inaugurazione di una mostra di pittura, dove saranno esposti alcuni suoi quadri. Marisa Roberto nel tempo libero dipinge e scrive poesie. Starà cercando di dimostrare che per essere artisti non è necessario ubriacarsi?

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La Russa: da Kabul nessuno si muove (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

La Russa: da Kabul nessuno si muove [FIRMA]ANTONELLA RAMPINO ROMA In Afghanistan l'impegno italiano «non cambierà in nulla». E' il ministro della Difesa Ignazio La Russa a spendersi personalmente in Parlamento per informare sulla presenza italiana in Afghanistan, ma soprattutto per chiudere la polemica con la Lega. La Russa interviene alla Camera, così come chiesto dal Pd e da tutte le opposizioni, e in particolare anche da Pier Ferdinando Casini in un colloquio personale con Gianfranco Fini, e la sua prima preoccupazione è ovviamente chiarire che «il governo è compatto, non c'è tra noi alcuna divisione», perché l'impegno in Afghanistan è stato assunto in Parlamento «da tutta la maggioranza, e non solo, ma in particolare anche dalla Lega». Insomma, resta «imprescindibile e irrinunciabile» la missione a Kabul, e quando Bossi e Calderoli hanno lanciato il loro «tutti a casa» era solo un modo di dire. Del resto, a dare pubblica rappresentazione della Lega che prima rumoreggia ma poi si allinea era servito il plateale gesto di Berlusconi alla buvette di Montecitorio con Umberto Bossi: quella frase del senatùr sul «riportare a casa tutti i nostri militari» che tanto aveva imbarazzato Frattini nell'incontro a Bruxelles con l'inviato di Obama, Richard Holbrooke, era per il presidente del Consiglio «solo una battuta», e foriera di «polemiche sul nulla di giornali che han pagine da riempire». Umberto Bossi, politico pragmatico, s'era limitato ad aggiungere qualche considerazione illuminante, «la missione costa moltissimo, comincia a fare troppi morti, e non è così facile portare la democrazia: Berlusconi ci crede perché lui è un idealista, io penso che sia molto difficile, ma poi certo farò quel che dice la maggioranza». E insomma oggi in Senato, quando nel pomeriggio le commissioni Esteri e Difesa voteranno (riunite in sede deliberante) il via libera definitivo al rifinanziamento per quattro mesi di tutti gli impegni militari italiani all'estero, i voti della Lega ci saranno. L'aveva in verità annunciato già da giorni il colonnello padano Cota, inverando così l'idea che la Lega volesse anzitutto tenere politicamente sulla corda la maggioranza. Come non sfugge poi alle opposizioni, nel breve dibattito che segue l'intervento di La Russa. «Bossi non ha parlato né da ministro, né da padre, ma ha fatto pesare la sua golden share sul governo», accusa Casini. Per il Pd resta lo spettacolo di «ministri divisi, che non sostengono i nostri militari», come aveva detto Franceschini. Ieri, durante un dibattito a Cortina con Bertinotti, il segretario del Pd ha detto: «Voteremo per la permanenza dei soldati italiani all'estero. Diciamo sì a una presenza decisa dalla comunità internazionale». Il ministro La Russa ha voluto precisare a Bossi che «nessuno ha l'obiettivo irraggiungibile di instaurare la democrazia». In Afghanistan, oltre che adempiere ad obblighi internazionalmente assunti e «difendere l'Italia dal terrorismo», si tratta «di mettere in condizione il governo locale di gestire il Paese». Ma la polemica politica resta aperta, e il centrodestra spaccato: nel dibattito, per la Lega Manuela Dal Lago fa rilevare che i padani «non rinunciano» a porre il problema del ritiro. Fonti riferiscono di aver udito Fini commentare l'«ambiguità» dei leghisti. Ma Ignazio La Russa, mettendo da parte il lungo discorso che i suoi uffici tecnici avevano approntato, «perché qui c'è una contabilità di lutti a confronto, i nostri con quegli di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania», ha fatto molto di più. Ha spiegato che in Kosovo i nostri soldati verranno in futuro ritirati, che dal primo gennaio 2010 si verificherà «una sensibile riduzione in Libano e il parallelo aumento di altri contingenti». Aggiungendo subito dopo il «dettaglio sull'Afghanistan, priorità operativa assoluta della Nato». E lasciando dunque intendere, come confermano fonti della Difesa, che dall'anno prossimo potrebbe venire incrementata la nostra presenza proprio nel teatro di guerra afghano. Uno scatto d'orgoglio davanti al «tutti a casa» di Bossi. Tanto che già da subito il ministro ha disposto «un rafforzamento della nostra presenza». Altri 100 carabinieri partiranno per la «Nato training mission». E poi «per la sicurezza dei nostri militari occorre aumentare i mezzi di difesa aerea, gli elicotteri anzitutto, e infatti invieremo nei prossimi giorni altri Mangusta, due immediatamente, e raddoppieremo gli aerei Predator». Prima di intervenire alla Camera il ministro ha riunito lo Stato maggiore dell'esercito, «i militari mi hanno detto che non è usuale fornire al Parlamento tutti questi dettagli tecnici, ma io credo che il Parlamento debba sapere». E dunque, i Tornado spareranno, «ma nessun ricorso a bombe, potrebbero colpire i civili». Piuttosto, occorre dotare «gli elicotteri di cannoncini» e modificare i blindati Lince «in modo che la mitragliatrice sia manovrabile dall'interno». Una caratteristica già operativa sui nuovi blindati Freccia che l'esercito ha ordinato. I costi, ha specificato la Russa, «restano quelli preventivati».

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la logica dell'irresponsabilità - (segue dalla prima pagina) (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 27 - Commenti LA LOGICA DELL´IRRESPONSABILITà (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) E VALE - in modo meno scomposto - per molti alleati coinvolti sul terreno afghano, alcuni con le valigie in mano. Ma non è una buona ragione per evadere la questione. C´è una versione ufficiale, cui speriamo non credano nemmeno coloro che per presunto dovere d´ufficio continuano a martellarla. Siamo lì per una missione di pace, per stabilizzare l´Afghanistan e avviarlo sulla strada della democrazia e della libertà. Un ritornello nel quale è arduo stabilire se prevalga l´ignoranza o il cinismo. In ogni caso, nulla a che vedere con la storia e con i fatti attuali. Dai quali si ricava che noi e un´altra quarantina di paesi siamo lì per sostenere gli Stati Uniti nella guerra al terrorismo. «Correttezza politica» e discutibile lettura della nostra costituzione impediscono al governo di chiamare guerra la guerra che stiamo combattendo. Una scorsa alla qualità dei mezzi e degli uomini impiegati in teatro - quanto di meglio fra le nostre Forze Armate - oltre al crescente impiego in battaglia delle nostre truppe di élite e alle relative perdite, dovrebbero togliere ogni dubbio sul carattere della missione. Un´interpretazione più sottile del refrain ufficiale ci avverte che la volontà di compiacere l´amico americano non è fine a se stessa, ma mira a salvare la Nato. Perché se perdiamo la guerra in Afghanistan perdiamo la nostra alleanza. Tesi azzardata. Sulla carta e come organizzazione, la Nato potrà comunque avere lunga vita, a prescindere dalla campagna afghana. Anche se ogni tanto qualche decisore americano si lascia tentare dall´idea di disfarsene. Come alleanza geopolitica, è da quando ha vinto la guerra fredda che cerca uno scopo altro dal fornire supporto alle campagne decise da Washington, che spesso non sa che farsene. Sotto il profilo strategico, la Nato è morta da un pezzo. Difficile possa rimorire a Kabul. Un recente episodio valga da epitaffio. Quando Obama ha deciso di cambiare approccio nella guerra afghana, ha per conseguenza sostituito il comandante delle truppe alleate sul terreno. Ma sul fatto che a guidare le forze Nato fosse Stanley McChrystal e non più David McKiernan - scelta in teoria spettante all´insieme della galassia atlantica - il Pentagono ha deciso da solo. Sovrano. Agli altri bastasse un comunicato. Peggio. La nostra vulgata governativa è rimasta indietro rispetto all´evoluzione della strategia americana. Persino rispetto alla sua retorica. Dal centro alla periferia, si sa, le notizie arrivano distorte. Tanto più in una periferia estrema, considerata non troppo affidabile dai dirigenti della potenza numero uno. E guidata da un leader - il nostro Berlusconi - non proprio affine a Obama per biografia e profilo cultural-politico. Sicché a Roma si stenta a percepire che questa America dall´Afghanistan se ne vuole andare appena possibile. Perché Obama sa e fa sapere che la guerra non si può vincere. A nessuno piace combattere senza coltivare alcuna speranza di successo. Inoltre, scorrendo i discorsi del presidente americano si noterà che la dizione «guerra al terrorismo» è stata messa in naftalina. Quella era la guerra di Bush. Non di Obama. E non è solo retorica. La vittoriosa campagna dell´autunno-inverno 2001, quella sì era guerra al terrorismo. A 24 carati. Si andava a stanare un nemico che aveva osato colpirti a freddo sul tuo proprio territorio, e ad abbattere il regime che lo proteggeva (o ne era protetto). Obiettivi solo parzialmente e provvisoriamente raggiunti: sulla sorte di Osama bin Laden mancano notizie certe e quanto ai talibani, se erano stati eradicati, come giuravano Bush e Blair, evidentemente sono ripiovuti dal cielo. Tanto che con l´arcinemico di ieri - o almeno con i talibani «redimibili» - trattiamo tutti, americani e «governo» di Kabul in testa. Dopo una breve parentesi, negli ultimi cinque anni la guerra ha perso il suo senso originario. Si è incrudelita. Miete vittime fra soldati e insorti (non solo talibani), ma soprattutto fra gli innocenti. Anche per il ricorso all´arma aerea, in carenza di truppe. Le nuove direttive di Obama vertono su tre priorità: afghanizzazione della guerra, irrobustendo e mandando al fronte l´«esercito di Kabul» (si fa per dire); controguerriglia seria, «stivali sul terreno»; riassorbimento di parte degli insorti nelle strutture di potere locali. Il tutto onde riportare al più presto i ragazzi a casa, salvandone la pelle - e possibilmente la faccia dell´America. Il limite di questa come di qualsiasi altra strategia americana è che i tagliagole afghani, compresi quelli «al governo» - e soprattutto le potenze regionali che tentano di manovrarli - sanno che gli occidentali non vedono l´ora di andarsene. Si preparano dunque alla contesa decisiva. Fra loro. Il punto è allora se vogliamo prendervi parte, magari per essere utilizzati dalle parti in conflitto, o meno. E´ in ogni caso buona norma non restare prigionieri della propria propaganda. Contrariamente alla versione autorizzata, oggi non c´è nesso fra guerra in Afghanistan e sicurezza d´Europa o d´America. Se non forse in senso negativo. Lì si combattono infatti diverse guerre calde e fredde - fra alleati e insorti, India e Pakistan, Pakistan e Iran, signori della droga e altri banditi - nessuna delle quali deciderà del fatto che un giorno una bomba, magari non convenzionale, possa esplodere nelle nostre piazze. Come ci insegnano gli attentati di New York, Londra o Madrid, è qui da noi che bisogna anzitutto guardare. Fra cellule jihadiste e terroristi-fai-da-te che prescindono dalla presunta centrale qaidista incistata nell´Hindu Kush (possibile che in quasi otto anni non l´abbiamo scovata e annientata? Possibile, soprattutto se non esiste). Semmai, sono le guerre non finite e non vincibili, che per di più fingiamo di non combattere, ad eccitare e addestrare i fanatici sanguinari che un giorno vorranno emulare le gesta di Osama. Ora, è perfettamente legittimo sostenere il contrario, condannare la prospettiva del ritiro come disfattismo, vestire Obama da novello Chamberlain e ammonire che a Kabul si gioca il destino d´Italia e d´Occidente. Magari dimostrandolo. Nel qual caso la nostra missione andrebbe rafforzata: più uomini, più truppe, meno caveat. E la nostra diplomazia dovrebbe dedicarsi a riconvertire quei rammolliti degli americani. Non serve, invece, restare nevroticamente confitti nella logica dell´irresponsabilità: non dire ciò che facciamo, fare ciò che non diciamo.

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la cina rimprovera gli usa "dovete risanare il deficit" - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 11 - Esteri La Cina rimprovera gli Usa "Dovete risanare il deficit" Il governo di Pechino al G2: più tutela per il dollaro Uno dei risultati positivi è stato l´accordo-quadro sul clima e sull´ambiente "State attenti all´impatto che l´offerta di dollari ha sull´economia mondiale" FEDERICO RAMPINI La Cina sale in cattedra al G2 e dà lezioni di rigore finanziario e disciplina fiscale all´Amministrazione Obama. Il vertice bilaterale di Washington si è chiuso ieri sotto il segno dell´offensiva "capitalista" degli ospiti cinesi, preoccupati di tutelare i propri investimenti in dollari. Il vicepremier Wang Qishan ha richiamato all´ordine i padroni di casa, sospettati di voler esportare inflazione per ridurre i propri debiti: «Voi americani - ha detto Wang - avete la principale moneta di riserva mondiale. Tocca a voi governare con cura l´impatto che l´offerta di dollari ha sull´economia mondiale». Ad ascoltare il rimbrotto c´erano Barack Obama, Hillary Clinton, e lo staff economico al gran completo: il segretario al Tesoro Tim Geithner, il banchiere centrale Ben Bernanke, il capo economista della Casa Bianca Larry Summers. A loro il viceministro delle Finanze Zhu Guangyao ha rivolto un rimbrotto ancora più esplicito: «Ci auguriamo sinceramente che il deficit pubblico americano venga ridotto, anno dopo anno». L´ortodossia economica dei cinesi nasce da una preoccupazione concreta, come ha spiegato Zhu. «La responsabilità del mio governo - ha detto - è nei confronti del popolo cinese. è nostro compito tutelare il valore della ricchezza nazionale». Una parte della quale, sempre più cospicua, viene reinvestita da anni in titoli del debito pubblico Usa. Al punto che la Cina è oggi di gran lunga il principale creditore estero di Washington. Con un deficit federale Usa che sta per quadruplicare l´ultimo record storico - sfonderà i 1.850 miliardi di dollari entro la fine del 2009 - Pechino chiede garanzie. Guai se un´esplosione incontrollata di disavanzi americani dovesse generare inflazione, sfiducia nel dollaro, svalutazioni, intaccando il valore delle riserve investite in Treasury Bonds. Geithner ha dovuto offrire alla delegazione cinese una promessa: «L´America rientrerà in un deficit sostenibile entro il 2013». è l´impegno preso da Obama con gli elettori, coincide con la scadenza del suo primo mandato presidenziale. Ma lo stesso impegno ieri è stato esteso verso la superpotenza rivale, che è anche diventata il banchiere dell´America. Questa dipendenza dai finanziamenti di Pechino ha reso gli americani improvvisamente discreti sulla parità dollaro-yuan. Al G2 concluso ieri sono state risparmiate ai cinesi le accuse di manipolare il cambio (per avere uno yuan debole che aiuti le esportazioni). Un silenzio significativo, perché il tema della sottovalutazione competitiva resta un cavallo di battaglia dei sindacati Usa e di ampi settori del Partito democratico, che cercano rivalse protezioniste contro il made in China. Obama, Geithner e Bernanke hanno dribblato la controversia: uno yuan più forte ridurrebbe il valore dei capitali cinesi investiti in America; la perdita di ricchezza potrebbe indurre Pechino a stringere i rubinetti del credito scatenando un´ulteriore crisi di sfiducia verso il dollaro. Obama e i suoi hanno reiterato la richiesta che la Cina consumi di più e importi di più, perché la ripresa globale non potrà essere trainata dalla spesa delle famiglie americane come fu in passato. Geithner ha cercato di ingraziarsi i cinesi offrendo loro un peso politico maggiore nella governance globale, a cominciare dai diritti di voto dentro il Fondo monetario internazionale. I cinesi hanno rilanciato: «Volete che importiamo di più, per ridurre il vostro deficit commerciale? Allora liberalizzate la vendita delle nostre tecnologie avanzate». Una richiesta logica sul piano economico, indigesta per i suoi risvolti politici. Tra i prodotti hi-tech che l´America non vuole vendere alla Cina ci sono tecnologie "duali", suscettibili di uso sia civile sia militare: un elenco di apparecchiature strategiche che fu messo sotto embargo nel 1989, in risposta al massacro di Piazza Tienanmen. A Pechino preme cancellare quell´onta; e anche mettere le mani su tecnologie sofisticate che possono accelerare la modernizzazione del suo esercito. Dopo la rivolta e la strage degli uiguri, accaduta alla vigilia del G8, Obama ha deciso di non mettere la sordina sui diritti umani. Promuovere l´export americano in Cina gli sta a cuore, ma l´abolizione dell´embargo non è all´ordine del giorno. Tra i risultati positivi del G2 spiccava ieri l´accordo-quadro sull´ambiente e le energie pulite. è un´intesa di principio per favorire la cooperazione sulle tecnologie verdi, tra le due superpotenze che insieme generano oltre il 40% delle emissioni carboniche nell´atmosfera del pianeta. A firmarlo per l´Amministrazione Obama c´era il "ministro cinese", il segretario all´Energia Steven Chu, figlio di immigrati dalla Repubblica Popolare. La Clinton ha salutato l´accordo sull´ambiente come «una nuova piattaforma di dialogo per le politiche contro il cambiamento climatico, un piano di marcia verso una economia low-carbon, a basso tenore carbonico». Nessun impegno vincolante, però, tantomeno tetti precisi alle emissioni di CO2 cinesi. Il numero due della delegazione cinese, Dai Bingguo, ha sottolineato la diversità tra le due nazioni: «La più grande economia sviluppata e la più grande economia emergente hanno responsabilità comuni ma capacità diverse nell´affrontare il risanamento dell´ambiente». Come sul fronte diplomatico - dove restano le divergenze sulle sanzioni contro i programmi nucleari di Iran e Corea del Nord - i due giganti hanno chiuso il G2 senza svolte né colpi di scena. Convinti che la loro relazione bilaterale darà forma al XXI secolo, come ha detto Obama in apertura. Ma impegnati, per ora, soprattutto a prendere le misure del rivale.

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washington spegne il tabellone anti-castro "quelle frasi di protesta non servono più" - omero ciai (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 10 - Esteri Era stato affisso dagli americani nel 2004 sulla facciata dell´ex ambasciata dell´Avana Washington spegne il tabellone anti-Castro "Quelle frasi di protesta non servono più" La prima scritta luminosa recava il numero "75", in ricordo dei dissidenti arrestati OMERO CIAI Era così inutile quel tabellone luminoso che occupava 25 finestre al quinto piano della Sezione di interessi Usa (la Sina) sul Malecon dell´Avana che quando l´hanno spento, più di un mese fa, nessuno se n´è accorto. C´è voluto l´annuncio ufficiale, ieri, del portavoce del Pentagono, Ian Kelly, per ricordarne a tutti l´esistenza. «Non serviva - ha detto Kelly - non era efficace come mezzo per comunicare messaggi ai cittadini, né per promuovere relazioni migliori tra i due paesi». L´azzeramento del tabellone luminoso sulla facciata di quella che fino al 3 gennaio del ‘61 fu l´ambasciata degli Stati Uniti all´Avana e, poi grazie a Jimmy Carter che volle riaprirla anche se con un rango inferiore, dal 1977 la «Sezione di interessi», è parte della politica di dialogo e distensione verso il regime cubano voluta da Barack Obama ma è anche il riconoscimento di una straordinaria fesseria. L´idea di usare la facciata del palazzo per lanciare messaggi anti - castristi venne nel 2004 a James Cason, il più determinato tra i recenti responsabili Usa dell´ex ambasciata. Era quello, anche grazie a Cason che incontrava e finanziava pubblicamente gli sparuti gruppi di oppositori politici sull´isola, uno dei momenti di massima tensione tra i due paesi. Cuba aveva appena processato e condannato 75 dissidenti - accusati di ricevere fondi Usa - e Bush firmato il decreto - poi annullato da Obama - che inaspriva l´embargo. Nella foga di quei giorni Cason ordinò di appendere sul palazzo due grandi numeri luminosi: "75". L´iniziativa fece arrabbiare Fidel Castro che rispose innalzando davanti all´ambasciata un centinaio di pennoni con la bandiera cubana per impedire che dalla strada fosse visibile la facciata. In seguito, ai pennoni, si aggiunsero grandi cartelloni pubblicitari con foto di Bush e la scritta «assassino», istantanee di Guantanamo e delle torture di Abu Ghraib e, infine, perfino un ritratto di Hitler. Mentre dall´altra parte, Cason esponeva gigantografie dei dissidenti arrestati. Nel gennaio 2006 la "guerra dei tabelloni" si arricchì del megaschermo elettronico sul quale gli americani scrivevano messaggi alla popolazione (frasi di Martin Luther King e Lincoln) o contestavano le affermazioni di Castro. Ma un po´ per le bandiere (che sono diventate 138 e sono nere), un po´ per il sole che batte su quel lato del palazzo tutto il giorno, la striscia luminosa era quasi invisibile fino a dopo il tramonto. Raramente qualcuno si fermava a leggerla. Disattivare lo schermo luminoso è un altro passo simbolico della nuova amministrazione dopo l´eliminazione delle restrizioni sulle rimesse e sui viaggi dei cubano-americani nell´isola e il voto favorevole alla riammissione di Cuba nell´Osa. Obama ha chiarito che non affronterà l´eliminazione dell´embargo fino a quando i fratelli Castro saranno al potere ma continua a inviare messaggi di distensione. D´altra parte all´Avana basta osservare i grandi spazi intorno all´edificio della Sezione d´interessi per tastare il polso alle relazioni tra i due paesi. Raramente, negli ultimi 30 anni, sono stati liberi.

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meno disoccupati sorpresa d'estate per sarkozy (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 23 - Economia Meno disoccupati sorpresa d´estate per Sarkozy PARIGI - Una divina sorpresa, inattesa, è arrivata sul tavolo del governo: in giugno, il numero dei disoccupati è diminuito. E´ la prima volta dall´agosto 2008. Nessuno se lo aspettava, tanto meno il ministero dell´Economia: «La notizia non deve spingerci ad abbassare la guardia, il 2009 resterà difficile. Non credo che le assunzioni riprendano subito», ha detto il sottosegretario al Lavoro. I contratti part time e gli aiuti pubblici sono all´origine del buon risultato di giugno. Non solo. Recentemente, un rapporto aveva sottolineato la reattività delle aziende francesi alla crisi, migliore che in altri Paesi europei. E i licenziamenti per ragioni economiche, anche se in aumento, restano un fenomeno marginale: meno del 5% del totale. Giampiero Martinotti [obama e gli speculatori] ROMA - La speculazione finanziaria sul petrolio c´è. Anzi, non c´è. Il dibattito è destinato a continuare e, adesso, vede su fronti opposti anche le massime istituzioni di regolamentazione del mercato. A Londra, la Fsa è appena arrivata alla conclusione che gli sbalzi nei prezzi del barile sono frutto dell´incertezza sulla situazione economica e non di manovre della speculazione. E´ la posizione tenuta, fino a questo inverno, dalla Cftc il suo omologo americano. Ma, finita l´era Bush e iniziata quella Obama, la Cftc - e il suo nuovo presidente, Gary Gensler, di fresca nomina - hanno cambiato registro. Per agosto, annunciano un nuovo rapporto che addebita agli speculatori un ruolo "significativo" nelle oscillazioni del barile. La nuova prospettiva è il risultato dei nuovi poteri che il Congresso ha dato alla Cftc. Fra i due organismi ci saranno scintille: il grosso della speculazione si realizzerebbe proprio a Londra, all´Ice Europe, braccio europeo del mercato telematico Usa. Maurizio Ricci

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Uniti contro l'effetto serra (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK «Abbiamo gettato le basi per una positiva, cooperativa e comprensiva relazione per il 21° secolo», ha detto il segretario di Stato Hillary Clinton al termine della due giorni di «Dialogo strategico ed economico» tra Usa e Cina a Washington. La Clinton si è detta anche «soddisfatta che la Cina abbia condiviso le preoccupazioni sul fatto che l’Iran possa diventare uno Stato dotato dell’arma atomica». I due Paesi si sono accordati per una larga intesa nel momento in cui entrambi sono tesi nel guidare la economia globale fuori dalla recessione e nel forgiare un’alleanza più stretta sulle questioni spinose dell’ambiente e della politica estera. Tra i punti fermi dell’accordo generale ci sono il mantenimento delle spese «di stimolo» finchè la ripresa non sarà assicurata; la firma di un memorandum sul clima, l’energia e l’ambiente; e la promessa di sostenere la libertà dei traffici commerciali combattendo il protezionismo. Il documento di intenti sul clima è un risultato di alta rilevanza politica, anche se l’intesa non fissa obiettivi nè tempi vincolanti: promette però l’impegno dei due maggiori Paesi al mondo per emissioni di gas da effetto serra e per inquinamento, a lavorare più strettamente in futuro. «Fornisce ai nostri Paesi la direzione per operare insieme nel sostenere negoziati internazionali sul clima e nell’accelerare la transizione a un’economia a basso contenuto di carbonio"» ha detto la Clinton. Il documento non è stato reso pubblico ma il portavoce del Dipartimento di Stato, Ian Kelly, ha specificato che non contiene numeri o date: piuttosto è una cornice entro cui andare avanti a discutere. «Non è un accordo che impegna le due parti a raggiungere determinati obiettivi, ma fissa la struttura per un dialogo», ha insistito Kelly. Era impossibile, in questo confronto ad alto livello tra Pechino e Washington, raggiungere un risultato più incisivo nella lotta contro le emissioni nocive; ma forse era anche difficile ottenere di meno, poichè l’interesse strategico delle due nazioni non può prevedere rotture clamorose e richiedeva quel successo diplomatico finale che è stato perseguito. La Cina è indispensabile all’America sia per assorbire i suoi bond, sia per dare una mano all’Onu contro le ambizioni e i rischi nucleari dell’Iran e della Corea del Nord. Ma gli Usa sono non meno vitali per i cinesi, ancora dipendenti dall’export per sopravvivere in patria, ed esposti al dollaro fino a un livello di non ritorno. Così, hanno annunciato alla fine dei lavori gli Usa, è stato ottenuto l’impegno di Pechino a riformare la sua economia, con la liberalizzazione del suo settore finanziario e l’apertura alla concorrenza dei suoi mercati pubblici. Se sul terreno del clima l’accordo è stato pieno, non essendo vincolante, il confronto economico ha avuto invece i toni del braccio di ferro. Dollaro-yuan, debito americano, import-export reciproco sono destinati a influenzare i rapporti tra Washington e Pechino sul lungo termine, ma nell’immediato sono i timori dell’inflazione americana e del deprezzamento del biglietto verde a far salire la Cina in cattedra: da grande creditore, ha ammonito gli Usa «a essere prudenti» nelle emissioni di debito pubblico che stanno inondando i mercati. Gli Usa hanno promesso di appoggiare i cinesi nella loro ambizione ad avere un maggior ruolo nelle istituzioni monetarie internazionali, ma hanno anche ribattuto che la Cina deve fare la sua parte nel consentire un maggiore sviluppo dei consumi interni, senza puntare solo sull’export verso l’America, facilitato peraltro dalla politica cinese dello yuan debole. Al tavolo economico, gomito a gomito col ministro del Tesoro Timothy Geithner, il vicepresidente cinese Wang Qishan ha ricordato che gli Usa hanno precise responsabilità essendo «il Paese maggiore al mondo per emissioni in riserve valutarie, occorre bilanciare l’impatto della loro offerta di dollari sull’economia domestica e sull’economia del mondo in generale», ha detto Wang. E’ una critica al superdeficit di Washington e alle intenzioni d’indebitamento di Obama per finanziare la riforma sanitaria.

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Sonia Sotomayor, primo sì del Senato (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 29/07/2009 - pag: 11 In breve Nomina alla Corte Suprema Usa Sonia Sotomayor, primo sì del Senato La Commissione Giustizia del Senato ha approvato la nomina di Sonia Sotomayor alla Corte Suprema, il massimo organo giudiziario americano. Sotomayor, 55 anni, di origini portoricane e cresciuta nel Bronx, era stata proposta dal presidente Barack Obama. La Commissione, composta da 12 senatori democratici e 7 repubblicani, ha espresso 6 voti contrari e 13 favorevoli, compreso quello del senatore repubblicano Lindsey Graham. Per la nomina definitiva bisogna attendere il voto dell'intero Senato, atteso per i primi di agosto.

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LA S CALATA DI O BAMA E I D UBBI DI I SRAELE (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 29/07/2009 - pag: 10 L'analisi LA S CALATA DI O BAMA E I D UBBI DI I SRAELE di DAVIDE FRATTINI GERUSALEMME «Sapete come ho festeggiato i sessant'anni? », ha chiesto George Mitchell qualche settimana fa a un gruppo di ebrei americani. «Con la scalata al monte Katahdin». Per raggiungere la vetta più alta del Maine, dove vive, l'ex senatore democratico si è preparato con la meticolosità che applica ai negoziati e si è consultato con alpinisti esperti. «Il loro consiglio è stato: mentre sali, non devi mai guardare verso la cima, sembrerà tanto lontana da deprimerti. Non guardare neppure in basso, verresti distratto. Devi solo concentrarti sul passo che stai per compiere, è l'unico modo per sopravvivere ». Sono passati sedici anni dall'ascensione e l'aneddoto funziona ancora per spiegare l'approccio alla missione che Barack Obama gli ha affidato. Le montagne che Mitchell ha affrontato nella visita a Gerusalemme sono quelle della Cisgiordania, dove gli americani pretendono il blocco degli insediamenti. «Progressi», dice dopo l'incontro di due ore e mezzo con il premier Benyamin Netanyahu. Ripete che Israele e gli Stati Uniti sono «amici e alleati». Proclama che l'obiettivo della Casa Bianca è una pace regionale: tra lo Stato ebraico e i palestinesi, ma anche un accordo con il Libano e la Siria (l'amministrazione starebbe pensando di ammorbidire le sanzioni contro Damasco) e la normalizzazione dei rapporti con i Paesi arabi. Il congelamento delle costruzioni anche a Gerusalemme Est è considerato da Mitchell il primo passo da compiere, perché la salita verso la vetta mediorientale possa continuare. Netanyahu vorrebbe che venisse garantita la cosiddetta «crescita naturale», nuovi alloggi per famiglie che si allargano: i coloni in Cisgiordania sono arrivati a 300 mila, calcola un rapporto ufficiale rivelato dal quotidiano Haaretz. Le pressioni americane hanno trasformato Obama in un presidente impopolare tra gli israeliani. Solo il 6 per cento secondo un sondaggio del Jerusalem Post lo considera un amico dello Stato ebraico, gli editorialisti di destra lo evocano con il secondo nome Hussein per evidenziare quelle che sarebbero le sue «tendenze arabe ». «Gli israeliani sentono che tutto il peso per far ripartire i negoziati di pace scrive Yossi Klein Halevy, intellettuale conservatore, su The New Republic è stato messo sulle loro spalle. Molti (e non solo gli elettori del Likud) sono convinti che Barack cerchi lo scontro con noi per rafforzare la sua immagine nel mondo musulmano ». È d'accordo da sinistra Aluf Benn, analista di Haaretz : «Se Israele è parte del problema, è anche parte della soluzione commenta in un articolo ospitato dal New York Times . Eppure fino ad ora, né il presidente né uno dei suoi emissari si sono rivolti alla gente di questo Paese. Gli arabi hanno avuto il discorso del Cairo, noi il silenzio». Impopolare Gli opinionisti israeliani diffidano dei «silenzi» di Barack Obama

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Obama spegne lo schermo con gli slogan anti Castro (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 29/07/2009 - pag: 11 Cuba Il tabellone luminoso voluto da Bush nel 2006 era montato sulla rappresentanza diplomatica americana a L'Avana Obama spegne lo schermo con gli slogan anti Castro Nemmeno i 638 tentativi della Cia per farlo fuori (vero o falso, è un numero che fa parte della mitologia cubana) avevano fatto infuriare tanto Fidel Castro come quel tabellone luminoso, dall'incerto funzionamento, piazzato sul lungomare dell'Avana. Controllato dagli americani, ma irraggiungibile dalla polizia cubana e impossibile da spegnere. Ci ha pensato l'amministrazione Obama nei giorni scorsi, mettendo fine a un inutile orpello dell'era Bush. Nel 2006, venticinque finestre al quinto piano del palazzo della missione diplomatica Usa erano state coperte con altrettanti pannelli luminosi rossi, programmati per trasmettere brevi messaggi di testo visibili dalla strada. Con molta pazienza, vi si potevano leggere frasi scorrevoli in spagnolo: citazioni di personalità americane come Martin Luther King e Abraham Lincoln, notizie dal mondo e soprattutto i primi tempi incitamenti ai cubani per ripudiare il castrismo e lottare per la libertà made in Usa. Persino i falchi dell'antica amministrazione avevano ammesso che il tabellone non serviva tanto a informare i cubani e dribblare la censura di Stato, ma piuttosto per irritare il regime. Cosa che puntualmente era avvenuta. Una delle ultime adunate oceaniche sul Malecon alla quale Fidel Castro partecipò prima di ammalarsi venne convocata proprio per protestare contro il tabellone in stile Times Square, che aveva iniziato pochi giorni prima le trasmissioni con una semplice scritta fissa: «Democracia en Cuba». Un milione di persone sfilarono davanti alla sede diplomatica americana, una specie di ambasciataombra vista l'assenza di relazioni ufficiali tra i due Paesi. Nel discorso, Castro aveva minacciato la sospensione di qualunque contatto con gli americani fino a quando l'imperialista marchingegno fosse rimasto in funzione. Poiché nulla accadde, il governo cubano decise di requisire il parcheggio del palazzo e lì vi piazzò una selva di bandiere nere alte quanto l'edificio, per «commemorare le vittime cubane dell'aggressione Usa». In realtà serviva a oscurare le scritte luminose dalla strada. Mossa da guerra fredda «low tech», come si faceva un tempo per disturbare le trasmissioni in onde corte. La vicenda venne presto dimenticata, un po' perché i messaggi divennero difficili da leggere, ma anche per la scelta dei funzionari americani di attenuarne il tenore. Al posto delle frasi ironiche sui cubani di serie A che girano in Mercedes e tutti gli altri che si aggrappano a vecchi camion, o sulla qualità di vita dei bambini americani, iniziarono ad apparire soprattutto innocui aggiornamenti tratti da agenzie di stampa internazionali. Il tabellone nascosto dalle bandiere è da tempo solo un'attrazione turistica. Tanto poco efficace che aveva smesso di lampeggiare già da alcune settimane prima che qualcuno se ne accorgesse. Richiesti di una spiegazione, i funzionari Usa all'Avana hanno parlato genericamente di problemi tecnici, senza specificare una data per la sua riaccensione. In realtà, la decisione ha tutta l'aria di essere politica e di tenore distensivo. A sei mesi dal cambio della guardia alla Casa Bianca, le promesse reciproche di disgelo tra Cuba e Stati Uniti non hanno prodotto finora risultati significativi. «Andiamo avanti a piccoli passi ha detto Obama la scorsa settimana . E notiamo qualche movimento da parte del governo cubano». Dopo aver tolto le restrizioni alle rimesse in dollari e ai viaggi dei cubani residenti degli Stati Uniti sull'isola, ma non l'embargo, ora potrebbe essere stato lo stesso leader americano ad aver deciso un gesto piccolo ma simbolico, come staccare quella spina sul Malecon. Rocco Cotroneo

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Nuove regole d'ingaggio e prospettive di exit strategy (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 29/07/2009 - pag: 11 Le mosse degli alleati Nuove regole d'ingaggio e prospettive di exit strategy Bombe talebane sempre più potenti, un recupero dei ribelli che il comandante dell'Isaf, la missione internazionale a guida Nato, definisce «sorprendente» e un numero di vittime che cresce di giorno in giorno. Nei Paesi impegnati in Afghanistan 42 nell'Isaf, cui si aggiungono le operazioni sotto diretto controllo americano, per un totale di circa 90 mila uomini crescono le polemiche e il malcontento. E i governi corrono ai ripari. In Gran Bretagna la conta dei morti ha raggiunto la cifra record di 22 soldati dall'inizio di luglio e ieri un sondaggio condotto per il quotidiano Independent ha rivelato che il 52% degli inglesi vorrebbe il ritiro immediato. Il premier Gordon Brown, finito più volte sotto attacco per l'insufficienza dei mezzi e del numero di soldati sul campo, ha reagito con la decisione di inviare altri 125 militari (tra i quali forze specializzate nel contrasto degli ordigni esplosivi). Nessun provvedimento, invece, su eventuali nuovi elicotteri e blindati, che pure erano stati richiesti dai vertici militari. Misure straordinarie anche in Germania, terzo contingente più numeroso con 4 mila soldati impegnati a nord-est. Il governo ha modificato le regole d'ingaggio concedendo ai soldati di sparare contro gli aggressori anche quando si stanno ritirando. Una possibilità vietata finora, persino nei casi in cui si rischiavano nuovi attacchi. La scorsa settimana, inoltre con il sostegno unitario della Grande Coalizione , l'esercito tedesco è tornato a muovere i suoi panzer e a sparare con armi pesanti: non lo faceva dalla Seconda guerra mondiale. I vertici militari Usa il cui esercito ha subito una quarantina di perdite nel solo mese di luglio sta pensando di assumere una polizia privata composta da contractor per garantire la sicurezza delle sue basi. Mentre il presidente Obama è costretto a muoversi tra una politica offensiva ulteriori 4 mila marines sono stati inviati all'inizio di luglio nella provincia meridionale dell'Helmand e a parlare di un'«efficace strategia d'uscita». La data, però, è ancora imprecisata. A. Ras.

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Strout: la vera America e il mio orgoglio bianco (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Cultura data: 29/07/2009 - pag: 28 Incontri La vincitrice del Pulitzer ripercorre i luoghi dell'ispirazione e i maestri letterari. Rivendicando le origini scozzesi «wasp» Strout: la vera America e il mio orgoglio bianco «Sono figlia del Maine povero e puritano, come Stephen King» dal nostro corrispondente ALESSANDRA FARKAS NEW YORK È emigrata a New York dal Maine negli anni Ottanta, perché, spiega, «mi piaceva l'anonimato che solo New York ti concede». Vent'anni più tardi, Elizabeth Strout si scopre, suo malgrado, una celebrità grazie al Pulitzer. La giuria che dal 1901, ogni anno, assegna il riconoscimento, uno dei più ambiti per la letteratura mondiale, ha premiato la 53enne scrittrice e docente universitaria per il suo terzo libro, Olive Kitteridge (Fazi editore). Si tratta di un romanzo patchwork di tredici episodi, sconnessi ma tutti collegati fra loro, nel quale la protagonista Olive è al centro di una serie di vicende sullo sfondo di Crosby, cittadina sulla costa atlantica del Maine, nel cuore dell'America Wasp, (bianca, anglosassone e protestante). Testimone non indulgente, ma sempre empatica, è lei che regge i fili delle vite dei suoi concittadini, specchio di un mondo di ben più ampio respiro. «La letteratura è un luogo», spiega l'autrice dal salotto del suo appartamento al 26Úpiano di un grattacielo dell'Upper East Side, pieno di luce e rose colorate come un grande giardino di campagna. « Guerra e Pace », aggiunge, «non avrebbe potuto essere scritto in nessun altro posto al mondo se non in Russia». Così come la protagonista, il romanzo è figlio del Maine, al pari dell'autrice: «Sono nata in Maine da una famiglia emigrata in America dalla Scozia nel 1603. Le nostre radici non potrebbero essere più profonde. Nelle zone rurali l'identità è intrinsecamente connaturata alla terra». Qualcuno ha parlato di ritorno del premio Pulitzer alla letteratura Wasp, dopo anni di predominio dei cosiddetti «autori etnici». «Dev'essere vero», nota la Strout, «visto che già nel 2005 Marilynne Robinson vinse per Gilead , la storia di un pastore protestante in Iowa. Però è bene dire che vi sono moltissime gradazioni di Wasp ed è un errore generalizzare, pensando che il termine sia sinonimo solo di ricchezza e privilegio». Certo, l'insegnante di mezza età eroina del suo libro, Olive, è al 100 per cento americana. «È come una conchiglia attaccata a uno scoglio. Se la si portasse fuori del suo ambiente, soffrirebbe da morire. I francesi probabilmente la manderebbero in tilt, mentre l'Italia, terra sensuale e carnascialesca, la spaventerebbe a morte, ma forse la incuriosirebbe più dell'Inghilterra». In un certo senso Olive è il suo alter ego: «Anche se sono tecnicamente una Wasp, non sono certo nata ricca. Il Maine è uno Stato in parte molto povero. Ciò spiega il suo lato oscuro e nascosto, che Stephen King, un vero figlio del Maine, è riuscito ad incarnare più di tutti». Non parlatele invece del clan Bush: «Il fatto di avere una residenza estiva», osserva, «non li rende parte della cultura o della tradizione locale. Sono visti con sospetto, quasi come intrusi, anche dai repubblicani ». Il suo Maine, come quello di King, è lontano anni luce da Kennebunkport: «Il nostro background è una filosofia frugale e schiva, fatta di duro lavoro e puritanesimo, dove non esiste il culto del denaro. «Nei miei libri esploro l'attaccamento atavico della mia gente yeoman , cioè gli yankees del New England alla terra dove arrivarono per primi. L'orgoglio americano da queste parti è fortissimo anche per chi, come mia madre, è stato in fila per ore ai seggi per votare Obama». È la stessa fierezza che si respira in certi libri di John Cheever e John Updike, di cui la Strout si considera l'erede spirituale: «Sento una grande affinità soprattutto con Cheever. Abbiamo un'estrazione culturale molto simile, salvo che lui si dava un sacco d'arie ed aveva problemi con l'alcol, mentre la mia è una famiglia di astemi». La madre, che oggi ha 81 anni, è stata la sua musa: «Quando verso i quattro anni cominciai a scrivere, mamma, che avrebbe voluto essere una scrittrice ma era un'insegnante di inglese, mi comprò un quadernino e mi disse di annotarvi i miei pensieri, cosa che facevo puntualmente ogni giorno. Da allora non ho più smesso». La confessione Più tardi, fu sempre lei ad insegnarle la regola d'oro di ogni scrittore. «Quando lessi Piume di piccione di Updike rimasi colpita dal tono molto critico nei confronti di sua madre. 'La mamma di Updike si sentirà in imbarazzo a leggere queste cose', dissi a mia madre, che senza batter ciglio mi rispose: 'No! Lei sa benissimo che suo figlio è uno scrittore e certe cose non le può evitare'. Mi spiegò che la paura di esporsi impedisce alle persone di lasciarsi andare, anche nella fiction. Quelle parole m'insegnarono una lezione preziosissima». La sua passione per Philip Roth nasce proprio dall'onestà senza pudori dell'autore di Pastorale americana . «Le sue opere sono così ricche di forza e di energia, il frutto di un'esperienza di minoranza ebraica americana che imprime velocità e consistenza ai suoi personaggi. I miei invece rispecchiano le caratteristiche del New England puritano e tendono ad essere più introversi. Non provano la stessa gioia nel condividere cibo, humour e sventure». Ma sugli scaffali della sua libreria Roth fa a gara con Alice Munro, William Trevor, Virginia Woolf e D. H. Lawrence. «Gli scrittori russi e in particolare Tolstoj occupano un posto speciale nel mio cuore. Mi interessa anche come si è evoluta la voce degli americani: Theodore Dreiser e Sherwood Anderson che hanno introdotto lo stile giornalistico e aperto la strada ad Ernest Hemingway. Ammiro anche John Steinbeck, F. S. Fitzgerald e, tra i più recenti, Raymond Carver, Norman Mailer, Joan Didion e Joyce Carol Oates ». Tra i contemporanei ama Oscar Hijuelos, Junot Diaz, Michael Chabon («soprattutto Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay »), Andre Dubus III e Joshua Ferris, pur confessando una passione smodata per la poesia. «Penso che il verso di una poesia abbia il potere di salvare una vita. Abbiamo bisogno di poesia che dia dignità ai nostri sentimenti più profondi ed è fantastico che poeti come Billy Collins siano letti anche da chi non è appassionato di poesia». Oltre a comporre versi da quand'era bambina, la Strout scrive ancora a mano. «Se passassi al computer mi mancherebbe questa fisicità: il pc va troppo veloce e a me piace il caos creativo». Per questo ha deciso di laurearsi in legge come Turow, Dershowitz, Wolfe, che però giudica «molto più commerciali» di lei. «Come scrittrice tendo ad essere irrazionale ed emotiva, quindi mi è servito esercitarmi a pensare in modo più logico: già all'università notai che persone assolutamente intelligenti ragionavano sulla base delle emozioni, e per questo erano irrazionali e impulsive. Non volevo fare la stessa fine». Ma invece di fare l'avvocato, ha cominciato a spedire i suoi racconti al «New Yorker», che, a sorpresa, li ha pubblicati. «È ancora un'ottima palestra, che continua a lanciare talenti nuovi, come del resto altre riviste letterarie quali 'Ploughshares', 'Granta', 'Paris Review', 'Kenyon Review' ». Ma anche il settimanale diretto da David Remnick non è privo di nei. «Qualche anno fa Francine Prose ha scritto un pezzo su 'Harper's' dove sosteneva che su circa 52 storie del 'New Yorker', quelle scritte da donne erano pochissime. La riprova che le pari opportunità tra scrittori maschi e femmine, soprattutto nel genere fiction, non esiste». Nonostante il divario, lei ce l'ha fatta e il suo prossimo romanzo la storia di tre fratelli tra il Maine e New York è già uno dei libri più attesi. Il suo unico rimpianto è la notorietà. «Essere uno scrittore implica una ricerca solitaria e meditativa. Richiede un voto di solitudine e molta concentrazione, quasi uno stato di trance . Al contrario, gli autori escono allo scoperto e si presentano al pubblico, si esibiscono come istrioni. Io vorrei continuare ad essere una scrittrice». «Le nostre radici non potrebbero essere più profonde. Nelle zone rurali l'identità è intrinsecamente connaturata alla terra» «CAPE ELIZABETH, MAINE» DI EDWARD HOPPER

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Obama corteggia la Fifa: "Vogliamo i mondiali di calcio del 2018" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

Due palleggi con i piedi, uno sulla testa e un gol da portare a casa: riuscire ad ospitare negli Stati Uniti i campionati del mondo di calcio del 2018, o 2022. Così, con un’esibizione delle proprie doti calcistiche e una domanda ben chiara in mente, Barack Obama ha accolto alla Casa Bianca il presidente della Fifa Sepp Blatter per una vera e propria azione di lobbying calcistico: durante l’incontro privato di lunedì, Obama ha presentato, seppure in via informale, e promosso la candidatura degli Stati Uniti a paese ospite dei mondiali, sottolineando le enormi potenzialità dell’evento, dal punto di vista sia dello sviluppo economico e del ritorno d’immagine, sia della diffusione del gioco del calcio in Nord America. Per raggiungere l’obiettivo, gli Stati Uniti dovranno confrontarsi con altri 10 paesi candidati e dimostrare di possedere i requisiti - tecnici, infrastrutturali, economici - necessari per ospitare l’evento: a questo proposito “è necessario che mi mantenga neutrale” nelle valutazioni dei meriti, ha ricordato Blatter. I palleggi nell’intimità dello Studio Ovale, con i palloni portati in dono dallo stesso presidente Fifa, hanno insomma assicurato a Obama qualche complimento, ma non certo il lasciapassare per Usa 2018 o 2022. Blatter ha però voluto invitare ufficialmente il presidente americano ad assistere alla coppa del mondo del 2010, che si svolgerà in Sud Africa: una proposta accolta con interesse da Obama, che ha invitato i propri collaboratori più stretti a verificare l’agenda degli impegni per il periodo in questione, in modo da poter programmare un’eventuale partecipazione. Al di là del risultato del meeting, a favore della candidatura degli Stati Uniti giocano alcuni fattori oggettivi: innanzitutto, il principio della rotazione seguito dalla Fifa, per cui si cerca di assegnare i mondiali ad un continente diverso ogni quattro anni. Dopo l’Asia con Corea 2002, l’Europa di Germania 2006, l’Africa del 2010 e il Sud America di Brasile 2014, affidare l’organizzazione al Nord America nel quadriennio successivo “sarebbe un modo normale di procedere”, ha ammesso lo stesso Blatter. Inoltre, gli Stati Uniti possono vantare l’esperienza di Usa 1994: anche se i mondiali non sono bastati a far raggiungere al calcio il livello di popolarità di cui negli Stati Uniti godono il basket o il football americano, le partite di quell’evento sono state le uniche, in decine di edizioni, ad essere seguite a stadi pieni, senza un solo posto vuoto o biglietto invenduto. + Finestra sull'America, di Maurizio Molinari commenti (0) scrivi

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Tutti su Twitter; il governo inglese educa i ministri al social networking (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

LONDRA “Go forth and Tweet”, o meglio “avanti twitta”! Il governo britannico sdogana l’ultima mania in materia di social networking, Twitter, con una vera e propria guida di istruzioni per i suoi dipendenti. Il servizio, che permette agli utenti di pubblicare brevi messaggi di 140 caratteri - i cosiddetti “tweet” (dal verbo inglese che significa cinguettare, ndr) - è diventato sempre più popolare, dopo il suo lancio nel 2006. Sia il Foreign Office che Downing Street “twittano” regolarmente. Unico limite della guida istituzionale londinese: 20 pagine, oltre 5mila caratteri, per spiegare un sistema di messaggi che ne usa poche decine. Il libro di istruzioni spiega a ministri e dipendenti pubblici come servirsene: i messaggi devono essere “umani e credibili”, scritti nell’inglese “informale del parlato”. Il governo consiglia ai ministeri di produrre dai due ai 10 “tweet” al giorno, con un intervallo di almeno 30 minuti fra loro per «evitare di investire gli utenti con veri e propri flussi di Twitter». La guida consiglia di usare il servizio di microblogging per qualsiasi cosa che spazi dagli annunci ufficiali ai retroscena dei ministri, e suggerisce che in una crisi potrebbe essere un “canale primario” per la comunicazione con l’elettorato. Il governo mette in guardia dall’eccesso di messaggi politici promozionali, sottolineando che Twitter dovrebbe essere “anche puro divertimento”. In generale comunque, ogni contenuto dovrebbe restare in linea con gli obiettivi del governo. La campagna è l’ultimo tentativo del governo laburista di cavalcare il Web e i social network dopo diversi tentativi falliti. Basti pensare che il premier Gordon Brown è stato esaustivamente definito dal leader dell’opposizione “un politico analogico nell’era digitale”. Una sua apparizione piuttosto goffa su YouTube in aprile nel bel mezzo dello scandalo sui rimborsi truccati dei parlamentari, si è rivelata per Brown un boomerang politico. Diventato celebre come strumento dei fan per seguire i pensieri e la vita privata di celebrità del calibro di Oprah Winfrey (2 milioni di contatti) e Ashton Kutcher (3 milioni), Twitter si è recentemente rivelato un potente veicolo di comunicazione, mobilitazione e protesta nelle principali crisi internazionali, in Iran e in Moldova. Nel mondo diversi governi - in prima fila il presidente americano Barack Obama (oltre 1,8 milioni di seguaci) e la Casa Bianca - ne fanno già uso. Fra i ministri italiani più attivi nel microblogging, c’è il capo della diplomazia Franco Frattini che proprio oggi pubblica su Twitter - e sulla sua pagina di Facebook - un bilancio in cifre dei suoi primi 15 mesi di lavoro alla Farnesina. «In quindici mesi ho fatto 28 giri intorno al mondo» twitta Frattini. Incontri avuti in Italia: 138 (pari al 43% degli incontri complessivi) - Incontri avuti all’estero: 185 (pari al 57% degli incontri complessivi) - Incontri complessivi: il 45 è costituito da bilaterali all’estero, il 34% da incontri bilaterali in Italia, il 15% da multilaterali all’estero, il 2% da incontri all’Unione Europea (13 Cagre - Consigli Affari Generali e Relazioni Esterne, 6 Consigli Europei), il 2% da vertici all’estero e l’1% da vertici in Italia - Visite all’Estero: 105 (di cui 53 in Europa, 24 nel Mediterraneo e Medio Oriente, 13 in Africa sub Sahariana, 11 in America settentrionale, 3 in Asia e Oceania e 1 in America centro-meridionale) - Chilometri percorsi: 357.599, Pari a 28 giri della Terra - Ore di volo: 527 h e 43 minuti.

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Obama: "La crisi è quasi finita" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON L’inizio della fine della recessione che ha messo in ginocchio gli Stati Uniti potrebbe essere arrivato. Lo ha detto il presidente Barack Obama, secondo cui però il futuro economico del Paese è legato a doppio filo all’approvazione della riforma sanitaria, un tasto su cui il presidente batte con insistenza da settimane. «È vero che abbiamo fermato la caduta libera dell’economia, i mercati azionari sono in rialzo, il sistema finanziario non è più a un passo dal collasso e la perdita di posti di lavoro è dimezzata rispetto a quando sono salito alla Casa Bianca sei mesi fa. Per questo forse si sta cominciando a vedere l’inizio della fine della recessione», ha detto Obama nel corso di un incontro con i cittadini di Raleigh, in Nord Carolina. Il presidente ha comunque optato per la cautela, definendo «un pò sorprendente» la copertina del settimanale Newsweek che dà per conclusa la recessione (sul numero di questa settimana, a piena pagina la scritta «recession is over», la recessione è finita). Obama, pur difendendo la strada intrapresa dall’amministrazione per fare fronte alla crisi, ha sottolineato che anche se la situazione è in qualche modo migliorata, questo è di «scarso sollievo per coloro che hanno perso il proprio posto di lavoro e non ne hanno ancora trovato un altro».

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Obama: "Vicini a fine recessione salvati migliaia di posti di lavoro" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 29-07-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON - "La notizia è stupefacente, ma siamo all'inizio della fine della recessione". Così il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, commentando lo stato di salute dell'economia americana davanti a una platea di comuni cittadini a Raleigh, in North Carolina. "Non siamo più in caduta libera, il sistema finanziario non è sull'orlo del collasso. Perdiamo il 50% in meno di posti di lavoro rispetto all'anno scorso. I prezzi delle case sono in aumento dopo 3 anni". Certo, ammette, questo non consolerà "le persone che hanno perso il lavoro, ma siamo nella direzione giusta. I tempi duri però non sono ancora finiti". A sei mesi esatti dall'insediamento alla Casa Bianca, il presidente americano cerca di corroborare sondaggi ed elettorato che, a detta dei detrattori, cominciano a voltare le spalle a Obama. L'obiettivo, quindi, è spiegare l'azione della sua amministrazione. A partire dal salvataggio delle banche. "Se non l'avessimo fatto - spiega Obama - non ci sarebbe stata ripresa economica". Stesso tono per quanto riguarda gli aiuti al settore delle auto. "Abbiamo aiutato il sistema automobilistico - dice di fronte a una folla in ovazione - Se si fanno cattive decisioni probabilmente non si ottiene il salvataggio. Noi, invece, abbiamo preservato centinaia di migliaia di posti di lavoro". E in questo senso, General Motors e Chrysler restano nel mirino di Obama. "Ci attendiamo che restituiscano i soldi ai contribuenti". E poi c'è il pacchetto di incentivi all'economia, che si divide in tre parti. "Un terzo dei soldi - dice Obama - è per gli sgravi alle famiglie, alle piccole imprese". E qui il presidente americano si rivolge direttamente al "suo" popolo, alternando gli ampi disegni in aria fatti con le braccia all'ormai classico sorriso magnetico che ne ha fatto un'icona pop prima ancora che politica. "Il 95% di voi ha avuto sgravi fiscali - dice - avete iniziato a vederlo nelle vostre buste paga". OAS_RICH('Middle'); Poi tocca a chi non ha più un lavoro. "Un altro terzo di questi soldi è andato a favore dei disoccupati, per garantire loro l'assistenza sanitaria anche quando perdono il lavoro". E infine "l'ultimo terzo è destinato agli investimenti per le infrastrutture, di medio e lungo termine". (29 luglio 2009

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"Exit strategy da Kabul dopo il voto" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

ROMA «Dopo le elezioni in Afghanistan potremo pensare attentamente a una exit strategy dal Paese ma solo concordata con gli altri partner». Il presidente del Consiglio Berlusconi detta la linea sulla missione a Kabul durante il cocktail di saluto ai senatori del Pdl presso la terrazza Caffarelli a Roma. «Ci aspettavamo una recrudescenza degli scontri in prossimità delle elezioni e così è stato», ha aggiunto il premier. «Chi di noi non vorrebbe - ha concluso Berlusconi - che i nostri soldati tornassero a casa? Ma i giornali devono riempire le pagine e guardate cosa è successo quando Bossi ha fatto una battuta, ma noi dobbiamo essere là e far crescere una democrazia». Con i senatori del Pdl il presidente del Consiglio si è dilungato poi in un lungo elogio di Barack Obama. «C’è - ha detto - una grande collaborazione. È un uomo colto e preparato, simpatico e con un grande amore per la famiglia». Elogi dell’attuale sì, ma anche contatti con il predecessore. Il Cavaliere ha infatti raccontato di aver sentito oggi George W. Bush e di aver avuto con lui una «telefonata molto affettuosa». Il premier ha inoltre sottolineato il suo impegno in politica estera a cui - ha osservato - «ho dedicato il 50% del tempo». Ma gli alletai dell'Italia per ora sembrano inamovibili. Stati Uniti e Gran Bretagna sono «più che mai» convinti della necessità di continuare la guerra in Afghanistan. L’ipotesi di un ritiro, come sollecitato da una parte sempre più consistente dell’opinione pubblica britannica, non può essere presa in considerazione. Questo l’esito del lungo colloquio che il ministro degli esteri britannico, David Miliband, ha avuto a Washington con il segretario di Stato americano, Hillary Clinton. Nello stesso tempo è auspicabile in Afghanistan una strategia che coinvolga in modo più significativo i talebani moderati, e che insista in primo luogo sugli aspetti "civili" del conflitto. Oggetto dell’incontro, la situazione in Afghanistan, considerata da entrambi i governi una priorità assoluta soprattutto alla luce delle pesanti perdite registrate in quest’ultima fase del conflitto. Lunedì scorso, parlando a Bruxelles, Miliband aveva suggerito l’opportunità di una possibile nuova strategia basata sulla «riconciliazione» con la popolazione talebana moderata. Oggi a Washington il ministro britannico ha ribadito questa posizione. Che non significa però ammorbidire la linea militare, anzi. Miliband ha ribadito che Gran Bretagna e Stati Uniti sono in Afghanistan «per combattere un nemico comune» e che quella guerra resta per Londra «una questione di sicurezza nazionale». La perdita di vite umane addolora, ma se necessario Londra è pronta ad «inviare altre truppe» in aggiunta ai 9.000 soldati già presenti sul terreno. Analoga la posizione di Hillary Clinton, che ha detto di accogliere «in pieno» la linea di Milliband. «Il ministro ha pronunciato a Bruxelles un grande discorso, che condividiamo pienamente», ha detto il segretario di Stato Usa, che ha colto l’occasione per esprimere il suo cordoglio per le gravi perdite subite recentemente. Detto questo, «Stati Uniti e Gran Bretagna continueranno a stare fianco a fianco nella lotta contro un nemico che ha già colpito a New York, Washington e Londra». In Afghanistan «c’è ancora molto da fare». Ben venga la linea della «riconciliazione» con i talebani moderati, ma ogni strategia non può prescindere da quanto i comandi militari riferiscono ai loro governi. E, stando a quanto riferito oggi dalla Cnn, il comandante in capo delle forze americane in Afghanistan, generale Stanley McChrystal, ha intenzione di chiedere un significativo aumento delle truppe. La Gran Bretagna è presente in Afghanistan con 22 mila uomini. Gli Stati Uniti con 38mila uomini (erano 30mila fino all’aprile scorso). Il presidente Barack Obama, annunciando la nuova strategia, aveva detto in aprile che sarebbero stati inviati a Kabul altri 21mila soldati. Ora le inattese perdite del mese di luglio hanno dato alla questione Afghanistan un’urgenza particolare. Ma che porterà ad un aumento dei soldati, non al loro ritiro.

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Il Cavaliere nel cocktail di saluto coi senatori Chi di noi non vuole i soldati a casa? (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Il Cavaliere nel cocktail di saluto coi senatori «Chi di noi non vuole i soldati a casa?» [FIRMA]FRANCESCA SCHIANCHI ROMA «Solo dopo le elezioni in Afghanistan potremo pensare attentamente a una exit strategy dal Paese, ma solo concordata con gli altri partner», dice il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, durante un cocktail di saluto, a Roma, con i senatori del Pdl. Ed è la prima, cauta apertura a un'ipotesi-ritiro da Kabul che arriva dal premier, dopo giorni di polemiche nella maggioranza. Cominciate a partire dalle dichiarazioni del leader della Lega, Umberto Bossi: «Io li porterei a casa tutti, la missione costa un sacco di soldi e visti i risultati e i costi bisognerebbe pensarci su». Spalleggiato dal ministro, sempre del Carroccio, Roberto Calderoli: «Il Libano e i Balcani intanto lasciamoli. E sull'Afghanistan ragioniamo». «Bossi ragiona da papà, ma noi siamo ministri», il commento del titolare della Difesa, Ignazio La Russa: «La presenza dei nostri militari in Afghanistan è imprescindibile». Sulla stessa linea il collega del Pdl titolare degli Esteri, Franco Frattini: «In Afghanistan si lavora anche per la sicurezza dell'Italia e quindi di Calderoli». Fino alla smentita principe, due giorni fa: «La nostra linea non cambia», è stato categorico il premier Berlusconi. Poi, ieri, per la prima volta, ha prospettato un termine oltre al quale è lecito cominciare a parlare di uscita dall'Afghanistan: «Dopo le elezioni», cioè dopo agosto, e solamente «concordata con gli altri partner». A partire da americani e inglesi: pronta ad aggiungere truppe ai novemila già inviati la Gran Bretagna. «Penso che gli inglesi continueranno a stare in questa missione perché c'è una strategia chiara e una chiara determinazione da parte degli Stati Uniti e gli altri membri della coalizione ad arrivare fino in fondo. Gli inglesi sanno quanto sia vitale questa missione perché sanno che l'Afghanistan è stato l'incubatore del terrorismo globale», ha spiegato ieri a Washington il ministro degli Esteri britannico David Miliband, incontrando il segretario di Stato americano, Hillary Clinton. «E' una fase molto dura per tutti i Paesi che si trovano in Aghanistan in questo momento, però voglio essere assolutamente chiaro: abbiamo cominciato questa missione insieme e la finiremo insieme, perché insieme siamo più forti». Dagli Stati Uniti, poi, stanno arrivando in Afghanistan quattromila uomini in più, secondo il piano varato dal presidente Obama, che punta a salire da 38 mila a 59 mila uomini. «Con lui c'è una grande collaborazione. E' un uomo colto e preparato, simpatico e con un grande amore per la famiglia», lo loda Berlusconi. Oggi è previsto alle Commissioni Esteri e Difesa del Senato il voto definitivo sul rifinanziamento delle missioni per i prossimi quattro mesi. E ieri sera Berlusconi ha ricordato che al momento si resta in missione. «Chi di noi non vorrebbe che i nostri soldati tornassero a casa? Ma i giornali devono riempire le pagine e guardate cosa è successo quando Bossi ha fatto una battuta - ha spiegato - ma noi dobbiamo essere là e far crescere una democrazia». Soddisfatto comunque della cauta apertura il leghista Roberto Cota: «Si dimostra che la riflessione fatta da Bossi è giusta e anche molto ponderata».

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Colin Powell: "Anche io una vittima del razzismo" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

L'EX SEGRETARIO DI STATO Colin Powell: "Anche io una vittima del razzismo" NEW YORK «Anch'io sono stato oggetto di razzismo». L'ex Segretario di Stato Usa, Colin Powell, si confessa intervenendo alla trasmissione di Larry King sulla Cnn, e racconta della prassi dei «profili etnici» adoperata dalle forze dell'ordine in America che spesso porta a discriminare cittadini afroamericani o ispanici. «Sì, è avvenuto anche a me» dice l'ex generale, tracciando un paragone con l'incidente di cui è stato protagonista il docente di Harvard Henry Louis Gates. Ma proprio riferendosi a Gates aggiunge: «Forse ha reagito troppo bruscamente» all'arrivo degli agenti». In questo modo Powell si schiera sulle stesse posizioni del presidente Barack Obama perché da una parte critica la polizia di Cambridge osservando che «l'arresto non sarebbe dovuto avvenire» ma dall'altra suggerisce che forse anche Gates ha commesso gravi errori. È questa la cornice nella quale oggi pomeriggio nello Studio Ovale della Casa Bianca il presidente riceve tanto Gates che il poliziotto Crowley, autore dell'arresto, per «prendersi assieme una birra» - come suggeriscono i portavoce - al fine di archiviare in fretta un episodio che ha causato imbarazzo a Obama, scivolato la scorsa settimana sull'uso dell'avverbio «stupidamente» che in un primo momento aveva adoperato per descrivere l'arresto, sollevando le aspre proteste delle associazioni di polizia. Durante l'intervista tv King ha chiesto a Powell anche cosa pensasse di Sarah Palin, l'ex candidata repubblicana alla vicepresidenza che si è appena dimessa da governatrice dell'Alaska lasciando intendere di voler inseguire progetti ambiziosi. «È una donna affascinante» ha risposto Powell, parlando da repubblicano.\

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"Più vicina la fine della crisi" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

LA PREVISIONE SULLE BORSE ECONOMIA GLOBALE "Più vicina la fine della crisi" L'indice Dow Jones salirà oltre 10.000 punti entro fine anno il 15% in più rispetto a oggi "Ma la ripresa è drogata dal governo" La Federal Reserve: «Segnali di stabilità da New York a San Francisco» SEGNALI DI SVOLTA La promessa «Abbasseremo i costi per lo Stato ed estenderemo la copertura sanitaria a chi non l'ha» [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE NEW YORK «Forse stiamo vedendo l'inizio della fine della recessione»: Barack Obama fa tappa in North Carolina e sottolinea i progressi economici compiuti dalla sua amministrazione con il fine di spingere la classe media a sostenere la riforma del sistema sanitario. Il presidente americano è convinto che il maggiore ostacolo alla riforma siano le «molte informazioni negative che circolano sull'impatto dello stimolo economico» da 787 miliardi di dollari approvato dopo l'insediamento alla Casa Bianca. E' per scardinare questo pessimismo che va incontro ai cittadini prima in un «town hall meeting» a Raleigh, in North Carolina, e poi in un supermaket di Bristol, in Virginia, disegnando uno scenario «diverso dalla disinformazione che circola». Ecco di cosa si tratta: «Sappiamo bene che i momenti difficili non sono terminati ma sappiamo anche se senza i passi compiuti la nostra malconcia economia sarebbe in condizioni molto peggiori». Da qui la conclusione che grazie alla decisone di «salvare le banche e i posti di lavoro nel settore dell'auto» come anche a seguito «dell'impatto dello stimolo sull'economia» l'America «forse oggi intravede l'inizio della fine della recessione». Obama descrive una situazione in bilico, chiede ai cittadini di evitare facili illusioni ma anche di non cedere al pessimismo di «chi ci critica con troppa facilità a Washington dimenticando il pesante debito pubblico ereditato da Bush». L'appello è «vedere che grazie allo stimolo economico la clsse media ha avuto tagli fiscali e ricevuto gli aiuti per i lavoratori che hanno perso il posto». L'intenzione del presidente è di far comprendere agli americani che si avvicina la luce in fondo al tunnel, al fine di ottenere il sostegno necessario per spingere il Congresso a varare la riforma della sanità che considera un importante tassello alla ripresa. Se gli avversari repubblicani e i democratici moderati temono che la «sanità universale» farà affondare il debito pubblico, Obama ribatte: «Abbasseremo i costi per lo Stato e estenderemo la copertura a chi non ce l'ha». Il bisogno di arrivare nella regione degli Appalachi, tradizionale bastione conservatore espugnato nelle presienziali di novembre, nasce dal fatto che proprio deputati e senatori democratici eletti in questi distretti sono coloro che fanno più resistenza a Washington. Una buona notizia raggiunge il presidente all'uscita da Raleigh quando viene a sapere che a Capitol Hill il capo di gabinetto Rahm Emanuel ha siglato il primo accordo con i «Blue Dogs» - i democratici moderati - per sbloccare il percorso della riforma alla Camera dei Rappresentanti. Dallo staff trapela soddisfazione anche se, come ammette il portavoce Robert Gibbs, «la strada da fare resta ancora molto lunga». Quando arriva a Bristol, Obama va ancora all'attacco dei «critici che diffondono notizie errate» ed a sostegno della tesi che «vi sono dei segnali positivi» cita il rapporto della Federal Reserve secondo cui nella maggiorana delle 12 regioni economiche degli Stati Uniti la «recessione sta diminuendo e l'attività economista si sta stabilizzando, anche se a livelli bassi». Per la Fed di Ben Bernanke i «segnali di stabilizzazione» arrivano infatti da New York, Cleveland, Kansas City e San Francisco mentre a Chicago e St Louis «il declino economico si sta moderando» a fronte delle permanenti difficoltà di Boston, Filadelfia, Richmond, Atlanta e Dallas con l'eccezione negativa di Minneapolis dove «la situazione sta peggiorando». I dati riguardano il mese di giugno e includono anche l'andamento del mercato immobiliare portando il conservatore «Wall Street Journal» a titolare «i prezzi delle case stanno crescendo negli Stati Uniti» consentendo a Obama di chiudere la giornata-maratona in tono positivo.Se Obama vede una fine prossima della recessione e un certo riavvio del ciclo in America probabilmente è nel giusto: ma si tratta di una ripresa artificiale, perchè è guidata dalla spesa pubblica. A un certo punto serviranno capitali di rischio, per una ripresa vera. Ma da questo traguardo siamo ancora molto lontani». E' scettico Jason Trennert, anche se dà ragione al presidente, come tiene a precisare, «nel breve termine». Mba alla Wharton Business School, 41 anni di cui 15 anni da analista all'Isi Group di New York prima di mettersi in proprio nel 2006 fondando Strategas, Trennert è tra i più ascoltati guru di Wall Street. In aprile la Bibbia di Wall Street, Barron's, gli ha dedicato una lunga intervista, e per il blog del gossip finanziario Seeking Alpha è un «guru internazionale». La sua società, oltre 20 analisti nelle sedi di Manhattan, Washington e Ginevra, è specializzata nella consulenza finanziaria ed economica agli investitori istituzionali: non investe in proprio e non ha quindi conflitti d'interesse nel dare i suoi consigli e nel fornire le sue analisi. Ecco come Trennert vede l'evolversi della crisi americana. Il presidente è ottimista, sia pure con moderazione. Fa bene ad esserlo? «Obama ha probabilmente ragione a dire che l'economia sta reagendo allo stimolo degli investimenti pubblici. Ma si tratta di un riavvio artificiale del ciclo, guidato appunto dalla spesa governativa. Per questo è destinato a durare fintanto che durano le iniezioni di soldi dalle casse pubbliche». E poi che cosa succederà? «Che qualcuno dovrà pagare. Questa attuale forma di prosperità è legata all'impegno governativo, che non potrà essere eterno. A un certo punto si dovrà fermare». E a quel punto... «I tassi di interesse dovranno riprendere a salire. La Federal Reserve ha fatto sapere che li terrà bassi ancora a lungo, ma Ben Bernanke è consapevole che arriverà il momento in cui dovrà dire basta». Basta a che cosa? «La banca centrale sta comprando i titoli di stato americani, e con ciò ne sostiene i prezzi mantenendo bassi i tassi sul mercato. Ma nel momento in cui non potrà più pagare, i tassi si alzeranno perchè le quotazioni dei bond scenderanno. Ricordiamoci che il deficit americano è avviato ai due mila miliardi di dollari, cioè è già arrivato al 14% del prodotto interno lordo». Ma i dati dell'indice sul mercato delle case negli Stati Uniti, hanno indicato che i prezzi sono risaliti in una dozzina di aree metropolitane su 20, e che per la prima volta da tre anni la variazione trimestrale di maggio sul mese precedente è stata positiva: non è un buon segno reale? «No. E' artificiale pure quello. A sostenere le vendite sono i mutui agevolati dallo Stato e, ancora, i tassi bassissimi della Fed. Se e quando si dovesse arrestare il sostegno pubblico nelle diverse forme, anche il mercato del mattone dovrebbe muoversi sulle sue gambe». E la Borsa? A marzo il Dow Jones delle blue chips era a quota 6500 e in meno di cinque mesi ha registrato una crescita fino a superare i 9000 punti. E' un'illusione ottica pure quella? «No, ma l'incremento riflette la situazione da ripresa drogata di cui parlavo poc'anzi. E potrà anche salire ancora oltre 10mila entro la fine di dicembre, circa il 15% in più di dov'è adesso. Il problema è che in un ciclo normale, a far bene sarebbero le azioni dei settori tipici delle fasi espansive, come le catene di vendite al dettaglio che traggono beneficio dall'aumento dei consumi. Invece, da vari mesi andiamo suggerendo di stare sui settori dell'energia e dei materiali di base, perchè sono quelli che possono lucrare i maggiori profitti dai programmi di spesa governativi». Anche l'ottimismo moderato di Obama non si è spinto a ipotizzare la fine delle perdite di posti di lavoro. Come la vedete voi? «Ha fatto bene. E' vero che la velocità del calo è inferiore di mese in mese, ma anche per noi si potrà toccare un picco dell'11% del tasso di disoccupati. Solo i capitali di rischo e il tempo guariranno l'economia Usa malata».

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Yahoo e Microsoft alleanza anti-Google (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

L'ANNUNCIO DOPO MESI DI TRATTATIVE E UN TENTATIVO FALLITO DI FUSIONE IN CIFRE Yahoo e Microsoft alleanza anti-Google Risparmi per oltre cinquecento milioni Ma la Borsa punisce l'ex leader del web I tre colossi della nuova frontiera Google Fondato nel 1998, ha registrato un fatturato 21,79 miliardi di dollari nel 2008, con un utile netto di 4,22 miliardi di dollari. Alla fine dello scorso anno l'azienda aveva 19.800 dipendenti. Il suo valore in Borsa è di 138 miliardi di dollari. Yahoo! Nato nel 1994, ha archiviato il 2008 con un fatturato di 7,2 miliardi di dollari, e un utile netto di 424 milioni. Ha 13.600 dipendenti, il suo valore in Borsa è di 24 miliardi. Microsoft Fondato nel 1975, è leader nella produzione di software: il 90% dei computer gira con i suoi sistemi. [FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK Il matrimonio che andava fatto, alla fine, è stato consumato. Yahoo, ex leader di Internet e Microsoft, campione del software, hanno deciso di unire le loro forze nel redditizio e crescente settore del traffico e della pubblicità sulla rete web, puntando così a limitare lo strapotere di Google. Carol Bartz, amministratore delegato di Yahoo e Steve Ballmer, il suo corrispettivo alla Microsoft, hanno enfatizzato questo obiettivo nella conferenza a distanza con gli investitori: «Abbiamo da fronteggiare un formidabile concorrente nel business dei motori di ricerca», ha ammesso Bartz. «Ciò che è alla base di questo accordo è l'economia di scala». Il sì è venuto dopo una corte reciproca e travagliata, passata attraverso un precedente tentativo di fusione fallito, l'estromissione di un amministratore delegato per un colpo di mano degli azionisti (il co-fondatore di Yahoo Jerry Yang, dimesso nel novembre del 2008) e gli ultimi mesi di voci e di trattative sotterranee. La partnership durerà 10 anni, che nell'era digitale sono un'eternità. Nel 2020 si vedrà quali protagonisti saranno ancora lì, tra vecchi e nuovi, a spartirsi il bottino degli avvisi commerciali generati dalle navigazioni per i motori di ricerca. Ma adesso (dati di fine giugno), in un mercato dove il prodigio Google rastrella con il suo sito il 65% del totale delle ricerche, Yahoo circa il 20% e l'azienda fondata da Bill Gates circa l'8,5%, la mappa dell'offerta, per gli utenti, si presenterà con questo nuovo assetto: Yahoo ha accettato di utilizzare nei propri siti la tecnologia di Bing, la nuova generazione dei motori di ricerca, lanciato da Microsoft; Microsoft integrerà la tecnologia della ricerca Yahoo, nelle sue ricerche web; e Yahoo, infine, venderà la pubblicità su entrambi i canali. Non sono state date stime sul valore totale dell'intesa, e non c'è stato alcun pagamento di cash da parte di Microsoft a Yahoo. Punita con un calo dell'8% in Borsa all'annuncio delle condizioni dell'intesa «senza cash», Yahoo ha tenuto però a far sapere che la partnership aumenterà di 500 milioni all'anno i suoi profitti operativi e consentirà di risparmiare 275 milioni. Per i primi cinque anni, l'accordo prevede una divisione delle entrate, con Microsoft che pagherà a Yahoo l'88% del fatturato prodotto dai suoi siti. Oltre a ciò, Ballmer ha anche aggiunto che Microsoft, il cui titolo è salito leggermente, dovrà investire «diverse centinaia di milioni di dollari» nel breve termine. La linea di business online di Microsoft, del resto, sta perdendo da tempo denaro e la partnership era quindi sempre più urgente e vitale. Nella presentazione il numero uno di Yahoo Bartz ha detto che «l'intesa porta con sé un gran carico di valore per la nostra società, gli utenti e l'intero settore», e che «può porre le basi per una nuova età di sviluppo ed innovazione su Internet». Ballmer, che persegue da oltre un anno e mezzo il traguardo dell'unione delle forze con Yahoo in funzione anti Google, gli ha fatto eco: «Questa partnership produrrà più novità nella ricerca, in un mercato che oggi è dominato da una sola compagnia». Perchè l'accordo possa diventare operativo occorre ora l'autorizzazione dell'autorità per la difesa della concorrenza: la speranza dei due top manager è che arrivi nella prima metà dell'anno venturo. Ma Ballmer ha anche detto che si teme una "opposizione" sotto l'aspetto dell'antitrust da ciò che ha polemicamente bollato come "il concorrente", un chiaro riferimento a Google. E' ben noto, e preoccupante per Microsoft e Yahoo, che tra l'amministrazione Obama e Google i legami siano strettissimi.

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"Il vero obiettivo è conquistare il mercato cinese" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

"Il vero obiettivo è conquistare il mercato cinese" [FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK Il matrimonio che andava fatto, alla fine, è stato consumato. Yahoo, ex leader di Internet e Microsoft, campione del software, hanno deciso di unire le loro forze nel redditizio e crescente settore del traffico e della pubblicità sulla rete web, puntando così a limitare lo strapotere di Google. Carol Bartz, amministratore delegato di Yahoo e Steve Ballmer, il suo corrispettivo alla Microsoft, hanno enfatizzato questo obiettivo nella conferenza a distanza con gli investitori: «Abbiamo da fronteggiare un formidabile concorrente nel business dei motori di ricerca», ha ammesso Bartz. «Ciò che è alla base di questo accordo è l'economia di scala». Il sì è venuto dopo una corte reciproca e travagliata, passata attraverso un precedente tentativo di fusione fallito, l'estromissione di un amministratore delegato per un colpo di mano degli azionisti (il co-fondatore di Yahoo Jerry Yang, dimesso nel novembre del 2008) e gli ultimi mesi di voci e di trattative sotterranee. La partnership durerà 10 anni, che nell'era digitale sono un'eternità. Nel 2020 si vedrà quali protagonisti saranno ancora lì, tra vecchi e nuovi, a spartirsi il bottino degli avvisi commerciali generati dalle navigazioni per i motori di ricerca. Ma adesso (dati di fine giugno), in un mercato dove il prodigio Google rastrella con il suo sito il 65% del totale delle ricerche, Yahoo circa il 20% e l'azienda fondata da Bill Gates circa l'8,5%, la mappa dell'offerta, per gli utenti, si presenterà con questo nuovo assetto: Yahoo ha accettato di utilizzare nei propri siti la tecnologia di Bing, la nuova generazione dei motori di ricerca, lanciato da Microsoft; Microsoft integrerà la tecnologia della ricerca Yahoo, nelle sue ricerche web; e Yahoo, infine, venderà la pubblicità su entrambi i canali. Non sono state date stime sul valore totale dell'intesa, e non c'è stato alcun pagamento di cash da parte di Microsoft a Yahoo. Punita con un calo dell'8% in Borsa all'annuncio delle condizioni dell'intesa «senza cash», Yahoo ha tenuto però a far sapere che la partnership aumenterà di 500 milioni all'anno i suoi profitti operativi e consentirà di risparmiare 275 milioni. Per i primi cinque anni, l'accordo prevede una divisione delle entrate, con Microsoft che pagherà a Yahoo l'88% del fatturato prodotto dai suoi siti. Oltre a ciò, Ballmer ha anche aggiunto che Microsoft, il cui titolo è salito leggermente, dovrà investire «diverse centinaia di milioni di dollari» nel breve termine. La linea di business online di Microsoft, del resto, sta perdendo da tempo denaro e la partnership era quindi sempre più urgente e vitale. Nella presentazione il numero uno di Yahoo Bartz ha detto che «l'intesa porta con sé un gran carico di valore per la nostra società, gli utenti e l'intero settore», e che «può porre le basi per una nuova età di sviluppo ed innovazione su Internet». Ballmer, che persegue da oltre un anno e mezzo il traguardo dell'unione delle forze con Yahoo in funzione anti Google, gli ha fatto eco: «Questa partnership produrrà più novità nella ricerca, in un mercato che oggi è dominato da una sola compagnia». Perchè l'accordo possa diventare operativo occorre ora l'autorizzazione dell'autorità per la difesa della concorrenza: la speranza dei due top manager è che arrivi nella prima metà dell'anno venturo. Ma Ballmer ha anche detto che si teme una "opposizione" sotto l'aspetto dell'antitrust da ciò che ha polemicamente bollato come "il concorrente", un chiaro riferimento a Google. E' ben noto, e preoccupante per Microsoft e Yahoo, che tra l'amministrazione Obama e Google i legami siano strettissimi. «Il patto che è stato raggiunto fra Yahoo e Microsoft punta alla conquista del mercato cinese». Allen Sinai, guru della finanza di Wall Street, legge l'accordo sulla nascita del nuovo motore di ricerca come «l'inizio di una sfida globale per i controllo del web che va ben oltre i confini americani». Ma l'obiettivo di Yahoo e Microsoft non è anzitutto fare concorrenza a Google? «Questo è quello che lasciano intendere perché è lo scenario più ovvio. La realtà a mio avviso è un po' diversa. Google è un gigante che sui nostri mercati vive di luce propria, difficilmente vedrà il proprio predominio sui motori di ricerca intaccato dal patto fra Yahoo e Microsoft. Altra cosa invece è la competizione per il controllo dei nuovi mercati di Internet...». A chi pensa? «Anzitutto alla Cina. Il numero di utenti Internet cresce in maniera vertiginosa, con conseguenze a pioggia su investimenti e pubblicità. Yahoo e Microsoft una volta assieme punteranno ad offrire ai cinesi il motore di ricerca più adatto alle caratteristiche di quel mercato. Google al momento è senza concorrenti sul mercato in lingua inglese ma le economie emergenti parlano e scrivono in idiomi che non si scrivono in caratteri latini». Ma Google c'è anche in Cina... «Certo, ma non ha una posizione così dominante come avviene da noi. E si tratta di un mercato in rapida espansione. Sarà su questo terreno che vedremo le maggiori novità. E' qui che si svilupperà la nuova concorrenza per gli utenti del web. A vederne gli effetti saranno prima gli utenti di New Delhi e di Shangai piuttosto che quelli europei o nordamericani». Prevede obiezioni da parte dell'antitrust americana al patto che è stato siglato? «Prevedo controlli molto severi. Le regole dell'antitrust negli Stati Uniti sono molto rigide e Yahoo e Microsoft dovranno saper dare tutte le spiegazioni necessarie ma non credo che alla fine vi saranno obiezioni tali da far deragliare il progetto. La maggiore curiosità per gli investitori in questo momento non riguarda i rischi ma le opportunità dell'intesa Yahoo-Microsoft ovvero da dove inizieranno a muoversi. E io credo è che inizieranno dalla Cina». La notizia dell'accordo Yahoo-Microsoft è arrivata poco prima che Obama parlasse in North Carolina di possibile fine della recessione. Cosa sta avvenendo nell'economia americana? «Siamo in una fase di passaggio. C'è la sensazione che il peggio sia alle spalle ma nessuno è sicuro sulla possibilità di riprendere la crescita. Le previsioni parlano di una possibile, lenta, ripresa fra l'estate e l'autunno. I prossimi 3-4 mesi saranno dunque decisivi ma bisogna essere molto prudenti su cosa potrà avvenire per il semplice fatto che se alcuni indicatori, come il mercato immobiliare, mostrano dei leggeri segnali di ripresa sul fronte dell'occupazione invece stiamo andando incontro ad un tasso del 10 per cento. Molti americani stanno perdere il posto ed altrettanti lo perderanno nelle prossime settimane. Tutto ciò non farà certo bene ai consumi. Per superare la recessione serve la convergenza fra ripresa dell'occupazione e ripresa del mercato immobiliare. Ancora non ci siamo». Come spiega allora le parole del presidente Obama? «Sta dicendo la verità ai cittadini. Vuole trasmettere la sensazione che siamo in un momento di transizione, che le cose possono andare nel verso giusto come in quello errato». Quali sono i segnali positivi che vede nell'economia? «L'aumento delle spese aziendali. Hanno segnato un progressivo, e sostenuto, incremento negli ultimi mesi».

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"Genoa, non lasciarci" Acqui a colpi di ruspa si tiene stretti i rossoblù (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

il caso Maquillage al campo prima dell'amichevole per scongiurare la fuga "Genoa, non lasciarci" Acqui a colpi di ruspa si tiene stretti i rossoblù GIOVANNI FACELLI ACQUI TERME In questi giorni quando si arriva in Piazza Italia si viene accolti da un grande striscione rossoblù che riprende nello stile e nei contenuti i manifesti della campagna elettorale di Obama, ma il volto rappresentato è quello di un altro presidente. Un sorridente Enrico Preziosi con il motto «Yes we go» è una scelta di immagine importante a sottolineare il ritorno in Europa di una delle squadre che hanno scritto la storia del calcio. Ma qui in realtà si spera non si parli di un «Back to home», di un ritorno a casa. Il Genoa è infatti arrivato ad Acqui lunedì scorso per rinnovare ancora con la città termale quel sodalizio che dura da molto tempo. In tanti ricordano i memorabili allenamenti del grande professor Scoglio sui campi di Mombarone o de La Sorgente. Purtroppo le condizioni del terreno dello stadio Ottolenghi non erano ottimali e pare che il tecnico rossoblù Gasperini non l'abbia presa bene. Comunque ieri si è giocata l'amichevole contro i padroni di casa, qualcuno aveva proposto di posticiparla ad oggi, poi si è deciso di evitare lo spostamento per rispetto nei confronti dei tanti tifosi giunti a seguire la squadra in questo periodo di preparazione. L'amministrazione comunale acquese ha fatto di tutto per salvare una situazione che si era prospettata critica: un lavoro a tempo di record. Martedì le ruspe hanno lavorato tutto il giorno, si sono fermate solo quando è arrivata la squadra e hanno poi ripreso anche dopo le 19. Oggi e domani sono previsti altri allenamenti, sabato trasferimento a Cuneo per la sfida con il Nizza. Mentre da alcuni giornali genovesi rimbalza la notizia che da lunedì la squadra potrebbe spostarsi altrove. Si è parlato anche dello stadio Signorini di Pegli, l'ipotesi non sembra concreta in quanto anche là ci sono lavori in corso. Più realistico a questo punto è che la società decida di fermarsi ad Acqui. La città intanto risponde con grande entusiasmo e in molti sperano che la permanenza del Genoa non finisca a breve. I titolari degli esercizi commerciali vedono giungere in città in queste ore tanti tifosi rossoblù. Gasperini poco prima di cena passeggiava sotto i portici all'inizio di corso Bagni, parlando al cellulare: una coppia si è complimentata con lui, che ha risposto con un sorriso, lasciandosi fotografare senza remore. La nutrita comunità marocchina del posto, con tanti bambini, ha atteso Kharja fuori dall'albergo per poi acclamarlo. E' il capitano della nazionale marocchina e, appena arrivato al Genoa, ha segnato nell'ultima amichevole contro l'Anderlecht. Intanto anche l'altro nuovo acquisto, Palacio, è stato presentato alle 18 di ieri al Grand Hotel Nuove Terme.

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Quando la morte è decisa dallo Stato (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Le esecuzioni capitali A cura di Giacomo Galeazzi Quando la morte è decisa dallo Stato Qual è la situazione della pena di morte nel mondo? Secondo il rapporto di «Nessuno tocchi Caino», nel 2008 sono state eseguite in 26 Paesi 5727 esecuzioni capitali (124 in meno rispetto al 2007). Con almeno 5 mila esecuzioni la Cina si è aggiudicata il macabro primato di nazione con il maggior numero di condannati a morte: l'87,3% del totale. Seguono Iran (almeno 346), Arabia Saudita (102), Corea del Nord (63), Usa (37), Pakistan (36), Iraq (34). Ma il bilancio potrebbe anche essere anche più «pesante», visto che in alcuni Paesi (Cina, Vietnam, Bielorussia e Mongolia) le esecuzioni sono protette dal segreto di Stato. L'Arabia Saudita è terza nella «black list» in termini assoluti, ma è prima in percentuale sulla popolazione: le esecuzioni avvengono in pubblico, per decapitazione, nei cortili fuori le moschee più frequentate dopo la preghiera del venerdì. Il boia è in azione anche in Europa? L'Europa sarebbe libera dalla pena di morte, se non fosse per la Bielorussia, dove anche dopo la fine dell'Urss non si è mai smesso di condannare a morte. Secondo stime non ufficiali, 400 persone sono state giustiziate dal 1991. In base a dati ufficiali, oltre 160 sentenze capitali sono state eseguite dal 1997 al 2008. Per quanto riguarda il resto dell'Europa, a parte la Lettonia (che prevede la pena di morte solo per reati commessi in tempo di guerra), gli altri Stati europei hanno abolito la pena di morte in tutte le circostanze. Quanto incide la forma di governo? Molto. Dei 46 Stati che mantengono la pena di morte, 36 sono dittatoriali, autoritari o illiberali. In 20, nel 2008, sono state compiute almeno 5662 esecuzioni, il 98,9% del totale. Degli altri 10 Paesi, definiti democrazie liberali, 6 hanno applicato la pena di morte e hanno effettuato 65 esecuzioni (l'1,1% del totale): Usa (37), Giappone (15), Indonesia (10). Arrivano segnali incoraggianti dalla Cina? Sì. Anche se la pena di morte continua a essere considerata un segreto di Stato, negli ultimi anni le condanne a morte sarebbero diminuite, fino a un 30% in meno. Nel gennaio 2007 è entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna emessa da tribunali di grado inferiore dev'essere rivista dalla Corte Suprema: questa, da parte sua, ha reso noto di aver annullato il 15% delle condanne esaminate nel 2007 e nei primi 6 mesi del 2008. Nonostante questi primi segnali garantisti, però, nel tritacarne giudiziario cinese continuano a finire imputati di reati violenti e non violenti, mentre gli avvocati denunciano il fatto di non aver accesso ai loro clienti e che molte confessioni sono estorte. Esiste inoltre un doppio standard: funzionari pubblici che si appropriano indebitamente di milioni sono condannati a morte, ma con la sospensione della pena, mentre comuni cittadini condannati per aver rubato molto meno muoiono con l'iniezione letale o con un colpo alla nuca. Esiste un problema-Iran anche in questo campo? Sì. Anche nel 2008 l'Iran si è piazzato al secondo posto quanto a esecuzioni (346). Qui la situazione non sembra mostrare segni di un'inversione di rotta, visto che nel 2009 (al 31 maggio) erano già state effettuate almeno 200 esecuzioni. Inoltre la Repubblica Islamica è stato l'unico Paese al mondo ad aver praticato nel 2008 la pena di morte nei confronti di persone che avevano meno di 18 anni al momento del reato: 13 minori sono stati giustiziati violando la Convenzione sui Diritti del Fanciullo. Queste esecuzioni di minori sono continuate anche nel 2009 e, al 30 giugno, erano già 4. L'impiccagione è il metodo più utilizzato per l'applicazione della «sharia», ma è stata praticata anche la lapidazione in 2 casi nel 2008 (e uno nel 2009). A riprova di questa recrudescenza anche nel 2008 sono continuate le esecuzioni di massa. Gli Usa stanno cambiando con Obama? I segnali restano contrastanti. Da un lato, infatti, la Corte Suprema ha confermato la legittimità dell'iniezione letale, in quanto «una certa quota di dolore» nell'esecuzione è inevitabile, dall'altro il New Mexico ha abolito la pena di morte. Questa decisione risale al 18 marzo 2009: è la seconda in 40 anni, dopo quella del New Jersey del 2007. Al governatore Bill Richardson e alla parlamentare Gail Chasey è andato quest'anno, «ex aequo», il premio «Abolizionista dell'Anno», promosso da «Nessuno tocchi Caino» quale riconoscimento alla personalità che si è impegnata sul fronte della moratoria delle esecuzioni capitali e dell'abolizione della pena di morte. Intanto, però, la moratoria «de facto» iniziata il 25 settembre 2007, quando la Corte Suprema aveva annunciato di voler discutere la costituzionalità dell'iniezione letale, si è conclusa con il verdetto emesso il 16 aprile 2008. I dati rivelano che il 95% di tutte le esecuzioni è stato effettuato nel Sud: 18 in Texas (il 48% di tutte quelle Usa). L'unico Stato non del Sud a compiere esecuzioni è stato l'Ohio.

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obama: tempi ancora duri ma la crisi sta per finire - federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Ottimista anche la Fed sulla recessione. Bce: si allenta la stretta al credito Obama: tempi ancora duri ma la crisi sta per finire FEDERICO RAMPINI «La recessione è finita!». è un titolo di copertina del settimanale Newsweek il pretesto usato da Barack Obama: per cavalcare la speranza di una ripresa imminente, incassare i primi dati positivi dall´economia reale, e difendere la propria politica economica. Il presidente è cauto, non vuole prestare il fianco alle accuse di ottimismo irresponsabile. SEGUE A PAGINA 5

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terzi ambasciatore italiano a washington, domani la nomina (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri La diplomazia Terzi ambasciatore italiano a Washington, domani la nomina Oltre a Silvio Berlusconi, anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano e il presidente della Camera Gianfranco Fini (ex ministro degli Esteri) hanno seguito il processo decisionale in prima persona: domani il ministro degli Esteri Frattini porta in Consiglio dei ministri la più importante tornata di nomine diplomatiche da quando il Pdl è tornato al governo. L´incarico centrale è quello di ambasciatore d´Italia a Washington: il prescelto è Giulio Terzi, da poco più di un anno rappresentante italiano all´Onu dopo essere stato direttore generale degli affari politici alla Farnesina. Sostituisce Gianni Castellaneta che era arrivato a Washington dopo gli anni trascorsi a Roma come consigliere diplomatico di Berlusconi. Negli anni di Bush Castellaneta era riuscito a intrecciare buoni rapporti con l´amministrazione repubblicana, aprendo la sua residenza a ministri come Condoleezza Rice o John Ashcroft. Ma contemporaneamente aveva incaricato un suo attivo funzionario (Luca Ferrari) di avviare il dialogo con i leader del Partito democratico che ha poi portato Barack Obama alla presidenza. Nell´ufficio di 2 Millenium Plaza, di fronte al Palazzo di Vetro, al suo posto arriverà Cesare Ragaglini, fino ad oggi direttore generale per il Medio Oriente, uno dei diplomatici col grado di ambasciatore più giovani e combattivi. Ragaglini è stato anche lui a Palazzo Chigi consigliere di Berlusconi, ma poi ha lavorato al fianco di D´Alema su Libano e Iran, i dossier più caldi in politica estera di cui il governo di Prodi si sia occupato. Proprio sull´Iran Ragaglini ha provato a tessere la tela del coinvolgimento di Teheran nella stabilizzazione dell´Afghanistan, con il conseguente invito al vertice di Trieste, disertato dopo il caos esploso in Iran dopo le elezioni. (v. n.)

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"cittadini americani impegnatevi di più la lotta al terrorismo riguarda anche voi" - angelo aquaro (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 13 - Esteri Janet Napolitano, ministro degli Interni Usa, prepara piani per la sicurezza che coinvolgano direttamente la popolazione "Cittadini americani impegnatevi di più la lotta al terrorismo riguarda anche voi" "Con un nemico che si ramifica in rete, in rete si deve ramificare la nostra risposta" ANGELO AQUARO DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Nell´America di Obama anche la guerra al terrore ricomincia dal basso. «Per troppo tempo abbiamo trattato la gente come soggetto passivo e da proteggere, piuttosto che bene prezioso per la sicurezza nazionale». In uno dei primi discorsi dalla designazione di gennaio, Janet Napolitano, il ministro dell´Interno che Barack ha scelto per rileggere la dottrina antiterrore di Bush, non ha illustrato i «nuovi piani» che il Wall Street Journal aveva predetto, ma ha comunque tracciato le «linee guida» della svolta. «Basta con la confusione, l´ansia e la paura: abbiamo bisogno di una cultura della responsabilità collettiva, nella quale ciascuno abbia un suo ruolo. Siete voi cittadini i primi a sapere se c´è qualcosa che non va nella vostra comunità», ha detto Napolitano parlando al Council on Foreign Relations. Le minacce, oggi, sono ancora più complesse che l´11 settembre, colpa anche della vulnerabilità della rete: «I mezzi che permettono di creare violenza e caos sono facili da trovare come quelli che permettono di procurarsi musica online». Il richiamo all´antiterrorismo della porta accanto arriva mentre sui teleschermi scorrono le immagini dell´ultima cellula scoperta, un gruppo del North Carolina pronto a portare la jihad all´estero (per gli investigatori «non ci sono elementi che lascino ipotizzare attentati in America») e guidato da un americano, Daniel Patrick Boyd. Il ministro italo-americano ha anche ammesso divisioni e rivalità che hanno caratterizzato nel passato la struttura antiterrore. «Dalla Cia all´Fbi, le strutture devono condividere le informazioni. L´approccio deve essere il più ramificato possibile: abbiamo un nemico che si ramifica in rete, e in rete si deve ramificare la nostra risposta: rafforzamento delle strutture locali, coordinamento federale, coinvolgimento dei cittadini». L´allarme che parte dal basso è il frutto di una strategia sviluppata sulla base di un report intitolato, come fosse un programma di Internet, «Sicurezza nazionale 3.0». Ma il ministro ha anche risposto, a domanda diretta sull´eredità delle norme anti-terrore di Bush, che per ora non si tratta di mettere mano a nuove leggi «ma di rivedere l´approccio. Avremo più possibilità di successo se rafforzeremo la nostra struttura, riconoscendo i talenti e le energie di tutti gli americani», ha concluso prima di recarsi in pellegrinaggio a Ground Zero: 2.750 morti, otto anni e tante norme-antiterrore fa.

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wynton marsalis, la poesia del jazz - lucia marchio (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina XIII - Genova Wynton Marsalis, la poesia del jazz La Fortezza Firmafede di Sarzana ospita stasera il grande jazzista statunitense LUCIA MARCHIO lucia marchiò «Un assolo? è un monologo in cui affermiamo la nostra esistenza». Poesia in musica, insomma, in cui il jazz occupa un posto speciale nell´esistenza di ognuno. Parola del grande trombettista Wynton Marsalis, che stasera - insieme alla Jazz at Lincoln Center Orchestra - chiuderà in bellezza con la sua performance la diciottesima edizione di Sconfinando, il festival internazionale di musiche e suoni dal mondo ideato dall´infaticabile direttrice artistica Carmen Bertacchi, di scena nella suggestiva Fortezza Firmafede della Cittadella a Sarzana, in pieno centro storico. Il vincitore di tanti Grammy Award, già considerato ragazzo-prodigio del jazz negli anni ‘80, a fianco degli «Young Lions», arriva a Sarzana dopo la magistrale esibizione a Perugia nell´ambito di Umbria Jazz, ove ha riscosso i dovuti tributi con questa celeberrima orchestra, la cui formazione è la stessa che si esibì davanti al presidente americano Barack Obama nel giorno dell´insediamento lo scorso 19 gennaio (tra l´altro con il giovanissimo genio del sax nostrano, il siculo Francesco Cafiso, già al suo fianco a soli 14 anni). Stasera di sicuro non ripeterà il celeberrimo Concert for Obama, ma qualche rimando alle composizioni della tradizione swing e blues, da Thelonius Monk ad Armstrong e Gillespie sino a Clifford Brown, sino a quelle di New Orleans da lui studiate e amate sin dagli esordi, è auspicabile. Marsalis incarna inopinabilmente l´anima più conservatrice e vetusta della musica afroamericana, ma è altresì molto amato dalla critica non solo per la sua personalissima e perfetta tecnica moderna, ma per come ha saputo interpretare e riassumere le influenze del jazz di epoche diverse. «Il jazz non è solo musica, bensì un modo di stare nel mondo, e di stare con gli altri», ribadisce lui persino nella sua libro autobiografico Come il jazz può cambiarti la vita. Il perchè lo spiega quasi filosofeggiando, rimarcando che a lui, il jazz ha insegnato a vivere da che decise di diventare un musicista, all´età di 12 anni. «E´stato creato dai discendenti degli schiavi, ma sa parlare di libertà. E´ figlio della malinconia del blues, ma sa lasciarsi andare alla felicità più pura. Le sue radici sono nella tradizione, ma la sua sfida è la continua innovazione. E anche se vive di tensioni armoniche e ritmiche, ha saputo e sa essere ancora messaggero di pace». Un pensiero che non si può contraddire, al pari delle sue elucubrazioni sulla nostra esistenza, assimilabili a quelle del jazz, attraverso il jazz e il blues, che è «la musica di tutti, perché è il suono della vita e al tempo stesso amore/dolore, e detta un messaggio realistico, ovvero che le cose non sono mai tanto brutte da non poter andar peggio», mentre lo swing «è l´arte di arrivare a un patto con qualcuno, è una metafora della democrazia. E il jazz? «è un allenamento alla democrazia, perchè improvvisare è come mutare idea in continuazione; significa che in fondo, si è sempre pronti a cambiare per raggiungere un accordo». Ore 21.30. Ingresso I platea 65€+prev. II° platea 55€+prev. Prevendita e biglietteria 0585.811014; Iat Sarzana 0187620419.

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la rivincita dello zucchero torna campione in tavola e al mercato diventa oro - (segue dalla prima pagina) ettore livini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 19 - Cronaca La rivincita dello zucchero torna campione in tavola e al mercato diventa oro Il maltempo in India e Brasile ne ha fatto lievitare il prezzo (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) ETTORE LIVINI Michelle Obama l´ha sdoganato dal ghetto del cibo-spazzatura: «è un prodotto naturale. Alle mie figlie non darò mai dolcificanti». Le alluvioni sulle piantagioni di canna in Brasile e un monsone troppo secco in India (i due maggiori produttori mondiali) hanno fatto il resto: i raccolti saranno inferiori al previsto e il prezzo dell´oro bianco della tavola è schizzato alle stelle. A gennaio per una libbra si pagavano 13,38 cent. Oggi siamo a 18,4, il 50% in più, a un soffio dal massimo di 28 anni fa. Un balzo che in Europa, dove il mercato è sussidiato dalla Ue, non dovrebbe avere riflessi sui costi al dettaglio. La riabilitazione dell´ex nemico numero uno di girovita e placche dentali non è solo una questione di numeri. I consumi - malgrado lo sbarco in supermercati e bar di surrogati d´ogni tipo - non hanno mai ceduto: lo zucchero continua a fornire il 7% delle calorie bruciate ogni giorno sul pianeta, con 160 milioni di tonnellate (un record) venduti nel 2008. A segnare la fine di due decenni di amarissima gogna mediatica, però, è stata la resa dei suoi detrattori: Pepsi Cola, per dire, dopo anni di marketing a base di prodotti sugar-free, diet e light ha appena lanciato la versione "Natural". Dove il marchio, un vero ribaltone ideologico, è giustificato dal fatto che in bottiglia c´è solo zucchero puro. L´ostracismo commerciale è finito. Il più dolce dei carboidrati non è più un ingrediente da occultare a caratteri microscopici in fondo alle etichette. «Hanno provato a metterci in ginocchio in ogni modo - dice Giovanni Tamburini, presidente di Unionzucchero, l´associazione di settore - . Ma alla fine sono venuti a Canossa: il nostro è un prodotto naturale al cento per cento, una molecola purissima e che si conserva per vent´anni». Il valore energetico, 15 calorie a cucchiaino, obbliga a consumi moderati (in Italia siamo a 26 chili a testa l´anno, contro i 45 del Belgio e i 58 dei brasiliani). Ma l´uso di surrogati come aspartame e saccarina - parola della Texas University - aumenta del 41% il rischio di ingrassare perché con la coscienza a posto, dicono gli scienziati, si mangia di più. Il business dei surrogati così si è arenato a un modesto 4% di un mercato che oggi vale più di 70 miliardi. Ma i pericoli per il futuro dello zucchero non sono finiti. A fine 2008 gli Stati Uniti hanno dato l´ok all´uso della Stevia, la pianta sudamericana "zero calorie" che da secoli gli indigeni Guaranì usano per dolcificare i loro piatti. Proibita in Europa, in Giappone ha già conquistato una bella quota di mercato. La resurrezione dell´oro bianco però, come confermano le antenne sensibili dei mercati, non è un fenomeno transitorio. Anche perché la canna (che garantisce il 75% del prodotto finito) viene trasformata in carburante come bio-etanolo. In caso di carenza di materia prima, comunque, il futuro è già qui. I telescopi della Nasa hanno individuato zucchero ghiacciato nella nebulosa Sagittarius B2. L´unico problema è avere qualche anno-luce di tempo per recuperarlo e versarlo nella tazzina di caffè.

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la diplomazia alla birra del "presidente-barista" - angelo aquaro (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 5 - Esteri Oggi alla Casa Bianca per bere una "light" il professore nero e il poliziotto che lo arrestò La diplomazia alla birra del "Presidente-barista" ANGELO AQUARO DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - La notte in cui sembrava che il mondo stesse cambiando davvero, Barack Obama stappò 3mila bottiglie di 312 Urban Wheat Ale, la birra più chic prodotta dalla Goose Island, marchio-simbolo della sua Chicago da bere. Questa sera, se le indiscrezioni saranno confermate, brinderà con la più prosaica Bud (e pure light). Ma la domanda è: riuscirà il bartender in chief, comandante-barista, come lo chiama ora il velenosissimo New York Post, a spegnere con un bicchiere di birra il Gates-gate, lo scandalo del professore nero che ha accusato di razzismo il poliziotto che lo ha arrestato in casa? Ancora ieri, la donna che ha dato il via all´incredibile vicenda («ci sono due tizi che cercano di forzare una porta, qui a Cambridge») ha indetto una conferenza stampa, quasi fosse lei, Lucia Whalen, il capo di Stato, per dire che lo rifarebbe ma che lei non ha mai detto che quei due uomini «erano neri». La verità era già saltata fuori dalle registrazioni della polizia. Che svelano, anche, la reazione scomposta del luminare di Harvard, Louis Henry Gates, all´invito del sergente di origine irlandese James Crowley a qualificarsi («C´è qui un signore che dice di essere il proprietario, ma non è molto cooperativo.....»). Con il ricevimento alla Casa Bianca, Obama vuole chiudere il caso che lui stesso aveva amplificato, prima accusando la polizia di aver agito «stupidamente», poi facendo pubblica marcia indietro. «Dovevo considerare meglio le parole, ora ho invitato il professore e il sergente a chiarire tutto davanti a una birra». Già, ma quale? Il totoboccale ha impazzato fino a ieri. Il sergente beve Blue Moon, birra scura di origine belga. Anzi, proprio con quella birra in mano avrebbe risposto al presidente che lo chiamava per chiedergli scusa durante la pausa pranzo al Tommy Doyles´Irish Pub. Altri gusti per il professor Gates che, filologicamente, preferisce la Red Stripe, vera bandiera afro-caraibica. In realtà la birra più gettonata dai sondaggi che si sono scatenati in rete è la Samuel Adams, uno dei successi di marketing degli ultimi vent´anni, e per di più made in Boston, capitale di quel Massachusetts teatro della vicenda. Ora, se il presidente ha davvero scelto la vecchia Bud in fondo è perché è la più amata e venduta d´America, 22 per cento del mercato. Peccato sia anche un simbolo di un famoso «furto» industriale, modellata a immagine e somiglianza, era il 1870, della birra imbottigliata nella città boema Budweiss. Non basta: la storica birreria di Saint Louis oggi è proprietà dell´Anheuser-Busch InBev. Che è una multinazionale. E belga.

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vertice di governo nel weekend (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 5 - Esteri Sanità e riforme Vertice di governo nel weekend WASHINGTON - Il presidente Usa Barack Obama, il suo vice Joe Biden e 22 membri di governo si riuniranno a Washington venerdì e sabato. Obiettivo: una maratona di riunioni per fare il punto sui primi sei mesi di presidenza e programmare un autunno di riforme che si preannuncia caldo. Proprio di ieri l´annuncio di un compromesso bipartisan sull´attesa riforma della sanità.

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obama: "la recessione sta per finire" - (segue dalla prima pagina) federico rampini (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 5 - Esteri Economia in ripresa Il mercato del lavoro Obama: "La recessione sta per finire" "Abbiamo fermato il tracollo, ma ci saranno ancora tempi duri" Il presidente contro i repubblicani: "Non è ancora il momento per i tagli di spesa" Ma la crisi comincia a colpire anche il suo indice di gradimento: ora è al 53 per cento Il sistema finanziario non è più sull´orlo del collasso La perdita di posti di lavoro è due volte meno rapida di quando sono diventato presidente sei mesi fa Le cose vanno meglio Abbiamo evitato che la recessione si trasformasse in depressione. Ma è una magra consolazione se siete fra quelli che hanno perso il lavoro, e non riuscite a trovarne un altro (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) FEDERICO RAMPINI Perciò da avido lettore di giornali si appropria di quel titolo di copertina che è accompagnato da un´illustrazione ambigua: un palloncino gonfio d´aria, verso cui punta minaccioso un ago pronto a sgonfiarlo. In un incontro con i cittadini di Raleigh, nel North Carolina, formato botta-e-risposta da campagna elettorale, Obama calibra il messaggio. «La verità è questa: abbiamo fermato la caduta libera. I mercati hanno recuperato. Il sistema finanziario non è più sull´orlo del collasso. La perdita di posti di lavoro è due volte meno rapida di quando sono diventato presidente sei mesi fa. I prezzi delle case hanno ricominciato a salire per la prima volta da tre anni. Non c´è dubbio che le cose vanno meglio». Segue l´affondo contro i repubblicani: prima gli hanno lasciato in eredità un´economia stremata e un deficit pubblico già alle stelle; ora lo accusano di spesa facile, gli rinfacciano i costi del salvataggio delle banche e dell´industria automobilistica. «Scongelando il mercato del credito - si difende il presidente - abbiamo riavviato i prestiti alle famiglie e alle imprese, abbiamo evitato che la recessione si trasformasse in depressione. Verrà il momento di stringere la cinghia per risanare i conti pubblici, ma non ora, non quando l´economia si sta risollevando dalla crisi». Perché il palloncino gonfiato di Newsweek non vola in alto per tutti. Obama ricorda che i segnali di miglioramento «sono una magra consolazione se siete fra quelli che hanno perso il lavoro, e non riuscite a trovarne un altro». Dietro questo avvertimento c´è un´amara certezza: per milioni di famiglie americane la condizione sociale è ancora destinata ad aggravarsi. Lo va ripetendo il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke: in ogni ciclo economico, la fine "tecnica" della recessione (quando cioè il Pil smette di de-crescere) non coincide con la ripresa dell´occupazione. Il mercato del lavoro è l´ultimo a beneficiare della ripresa. A maggior ragione questo sarà vero dopo una crisi che per la sua durata ha già battuto ogni record storico dopo la Grande Depressione degli anni Trenta. Perciò il discorso di Obama a Raleigh è un esercizio di equilibrismo. Deve incoraggiare, diffondere fiducia. Senza però apparire insensibile alla middle class in affanno, alle prese con pignoramenti giudiziari, mutui insolventi, ratei sugli scoperti delle carte di credito, ristrutturazioni aziendali drastiche. è un clima sociale che Obama non riesce più a scaricare interamente sul bilancio dell´Amministrazione Bush: ormai il disagio economico "stinge" anche su di lui, con un indice di approvazione sceso al 53%, secondo l´ultimo sondaggio della National Public Radio. Nella sua pedagogia della fiducia il presidente è aiutato da un importante studio della banca centrale. Il Libro Beige della Federal Reserve, un´indagine periodica sullo stato dell´economia reale, conferma la diagnosi del presidente: il mercato del lavoro e quello immobiliare restano deboli; in entrambe i settori però ci sono segnali incoraggianti che il peggio è passato, che la fase più acuta della recessione è ormai alle spalle. Ma nelle stesse ore in cui Obama parla in North Carolina, giungono anche segnali di segno opposto. Crolla la Borsa cinese e anche Wall Street chiude in rosso, preoccupata dal calo degli ordini manifatturieri e da uno scivolone nel prezzo del petrolio (segno di debolezza della domanda). E sulla strada di Obama c´è un ostacolo di stazza, la ragione per cui moltiplica i comizi e le apparizione televisive: contro la sua riforma sanitaria si organizza un´alleanza dei poteri forti, dalla lobby delle assicurazioni private al business ospedaliero. è il test politico più delicato dell´autunno. Contro lo scetticismo dell´opinione pubblica, che ancora non capisce quanto ha da perderci o da guadagnarci, il presidente gioca anche qui la carta della recessione: senza aggredire il Moloch della spesa sanitaria, non può esserci ripresa durevole. «In America - dice - non deve più essere possibile finire in bancarotta solo perché si è malati».

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"Exit strategy dall'Afghanistan" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

ROMA «Solo dopo le elezioni in Afghanistan potremo pensare attentamente a una exit strategy dal Paese, ma solo concordata con gli altri partner», dice il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, durante un cocktail di saluto, a Roma, con i senatori del Pdl. Ed è la prima, cauta apertura a un’ipotesi-ritiro da Kabul che arriva dal premier, dopo giorni di polemiche nella maggioranza. Cominciate a partire dalle dichiarazioni del leader della Lega, Umberto Bossi: «Io li porterei a casa tutti, la missione costa un sacco di soldi e visti i risultati e i costi bisognerebbe pensarci su». Spalleggiato dal ministro, sempre del Carroccio, Roberto Calderoli: «Il Libano e i Balcani intanto lasciamoli. E sull’Afghanistan ragioniamo». «Bossi ragiona da papà, ma noi siamo ministri», il commento del titolare della Difesa, Ignazio La Russa: «La presenza dei nostri militari in Afghanistan è imprescindibile». Sulla stessa linea il collega del Pdl titolare degli Esteri, Franco Frattini: «In Afghanistan si lavora anche per la sicurezza dell'Italia e quindi di Calderoli». Fino alla smentita principe, due giorni fa: «La nostra linea non cambia», è stato categorico il premier Berlusconi. Poi, ieri, per la prima volta, ha prospettato un termine oltre al quale è lecito cominciare a parlare di uscita dall’Afghanistan: «Dopo le elezioni», cioè dopo agosto, e solamente «concordata con gli altri partner». A partire da americani e inglesi: pronta ad aggiungere truppe ai novemila già inviati la Gran Bretagna. «Penso che gli inglesi continueranno a stare in questa missione perché c’è una strategia chiara e una chiara determinazione da parte degli Stati Uniti e gli altri membri della coalizione ad arrivare fino in fondo. Gli inglesi sanno quanto sia vitale questa missione perché sanno che l’Afghanistan è stato l’incubatore del terrorismo globale», ha spiegato ieri a Washington il ministro degli Esteri britannico David Miliband, incontrando il segretario di Stato americano, Hillary Clinton. «E’ una fase molto dura per tutti i Paesi che si trovano in Aghanistan in questo momento, però voglio essere assolutamente chiaro: abbiamo cominciato questa missione insieme e la finiremo insieme, perché insieme siamo più forti». Dagli Stati Uniti, poi, stanno arrivando in Afghanistan quattromila uomini in più, secondo il piano varato dal presidente Obama, che punta a salire da 38 mila a 59 mila uomini. «Con lui c’è una grande collaborazione. E’ un uomo colto e preparato, simpatico e con un grande amore per la famiglia», lo loda Berlusconi. Oggi è previsto alle Commissioni Esteri e Difesa del Senato il voto definitivo sul rifinanziamento delle missioni per i prossimi quattro mesi. E ieri sera Berlusconi ha ricordato che al momento si resta in missione. «Chi di noi non vorrebbe che i nostri soldati tornassero a casa? Ma i giornali devono riempire le pagine e guardate cosa è successo quando Bossi ha fatto una battuta - ha spiegato - ma noi dobbiamo essere là e far crescere una democrazia». Soddisfatto comunque della cauta apertura il leghista Roberto Cota: «Si dimostra che la riflessione fatta da Bossi è giusta e anche molto ponderata».

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Il Cavaliere fa il dj (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Politica data: 30/07/2009 - pag: 16 In radio «Vacanze? Nove giorni in un centro benessere dove si dimagrisce» Il Cavaliere fa il dj «Basta vita spericolata» «Per il futuro mi piacerebbe essere un po' più tranquillo» ROMA «Per tutte le ragazze e i ragazzi in ascolto, una canzone cult di Vasco Rossi il cui titolo voi conoscete bene: 'Vita spericolata'». Ieri Silvio Berlusconi è stato anche dj. I microfoni sono quelli di Radio Gioventù, l'emittente online del ministero della Gioventù, guidato da Giorgia Meloni. «Presidente, le devo chiedere di lanciare una canzone», dice Pier Luigi Diaco, che conduce insieme al ministro. Berlusconi sulle prime esita: «Non sono molto adeguato ai tempi, sono rimasto un po' indietro...». Ma Meloni lo rassicura: «Il disco lo abbiamo scelto noi: È 'Vita spericolata'». Berlusconi sorride compiaciuto: «Mi sembra che il titolo coincida in effetti con il mio passato e con il mio presente. Per il futuro, mi piacerebbe una vita un po' più tranquilla, ma so che sarà molto difficile». Ogni riferimento alle vicende degli ultimi mesi, dalla festa di Noemi alle rivelazioni delle ragazze di Bari, è voluto. Berlusconi imposta la voce e lancia il brano, che Vasco, giovane e sconosciuto, portò a Sanremo nel 1983, imponendosi all'attenzione. Il testo dice, fra l'altro: «Voglio una vita spericolata, voglio una vita esagerata, voglio una vita che non è mai tardi, di quelle che non dormi mai, voglio una vita piena di guai. Voglio una vita maleducata, voglio una vita che se ne frega di tutto sì». Si è parlato anche di vacanze. Non andrà in vacanza presidente?, ha chiesto Diaco. E Berlusconi: «Un po' di spazio per il riposo me lo voglio ritagliare, anche perché mi devo curare da questa cosa che ho al collo, devo fare delle cure cortisoniche ». Poi ha promesso andrà tutte le settimane a L'Aquila: «Dobbiamo consegnare entro novembre le case completamente arredate, con le lenzuola al letto e il frigo pieno. Questo è qualcosa che nessuno ha mai fatto. Anche in Cina e in America chi ha subito la perdita di una casa per terremoti o uragani mai ha avuto una risposta così veloce e tempestiva, con abitazioni così belle: immerse nel verde e con opere d'arte a conforto dei vari giardini. E con torte gelato nei frigoriferi e lenzuola cifrate per le famiglie». Più tardi, al ministero dei Beni culturali, Berlusconi è tornato a promuovere il suo lavoro: «Le riforme epocali che abbiamo avviato sono straordinarie». La giornata del premier si è conclusa con un cocktail con i senatori del Pdl sulla terrazza Caffarelli. E Berlusconi è tornato sulle vacanze: «Ho questo male che mi affligge da tempo e mi sottopongo a infiltrazioni di cortisone, voi andate in vacanza e tornate belli, io invece andrò 9 giorni da quelli che fanno dimagrire ». Al termine politica estera e ancora battute, con un lungo elogio per Obama («colto, preparato e simpatico») e la rivelazione di una telefonata affettuosa con Bush. E sulla Pravda : «Mi elogia, dice che sono bravo anche a letto». R. R. Al piano Silvio Berlusconi suona al pianoforte durante il vertice Russia-Nato a Pratica di mare (2002). Alle sue spalle, Tony Renis

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Obama: (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 30/07/2009 - pag: 6 Obama: «L'economia non è più in caduta libera» Il presidente: rallenta anche il calo dell'occupazione e i mercati azionari sono in rialzo DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK «Siamo vicini alla fine della recessione»: Barack Obama mostra per la prima volta un prudente ottimismo sulla congiuntura, ma la Borsa (ieri in leggera flessione) non sembra prenderlo molto sul serio. I mercati e anche i maggiori media americani interpretano le parole del presidente più come un tentativo di autodifesa in un momento di calo della sua popolarità e di attacchi dal fronte repubblicano, che come un chiaro segnale di ripresa. E, in effetti, nel discorso fatto ieri in una scuola del North Carolina, Obama, oltre a difendere le sue proposte di riforma sanitaria (sulla quale il Congresso ha finalmente fatto quale importante passo avanti, dopo un lungo stallo), ha soprattutto cercato di dimostrare che il suo piano di stimoli fiscali da quasi 800 miliardi di dollari sta funzionando: le banche - ha sottolineato - non rischiano più il tracollo, i mercati finanziari sono in ripresa, qualche segno di vitalità viene anche dal mercato immobiliare. La disoccupazione continua a crescere, è vero, ma a ritmo dimezzato rispetto a qualche mese fa. Il leader democratico aggiunge che è stato giusto salvare l'industria dell'auto, anche se il conto per i contribuenti è stato pesante e promette che, con la ripresa, i soldi versati in aiuti ai settori in crisi verranno recuperati. Obama respinge, poi, le accuse dell'opposizione per l'esplosione del debito pubblico, ricordando che il deficit cresciuto fino a 1300 miliardi di dollari è figlio di una crisi deflagrata quando alla Casa Bianca c'era ancora il repubblicano George Bush. Quanto alle speranze di ripresa, non si può certo dire che il presidente abbia usato toni enfatici: Obama si è detto sorpreso dalla copertina di «Newsweek» che dichiara «La recessione è finita» (ma il sottotitolo del settimanale avverte poi che ci vorrà molta fortuna per sopravvivere a una ripresa che si prospetta debolissima), ha affermato che «non c'è dubbio che le cose stanno andando meglio», ma ha anche ammesso che il quadro è ancora cupo e che chi ha perso il lavoro ha ben poco da rallegrarsi. E tuttavia è innegabile che da qualche giorno si registra il susseguirsi di segnali, se non proprio positivi, almeno confortanti. Il principale riguarda le compravendite immobiliari e i prezzi delle case: due indici in timida ripresa a giugno in varie regioni degli Usa per la prima volta dopo tre anni in continua picchiata. Con un'economia che rimane estremamente debole, gli economisti avvertono però che questa ripresa, anche se dovesse essere confermata dai dati dei prossimi mesi, potrebbe rivelarsi illusoria, lasciando spazio, in autunno, a una nuova flessione: è il timore, di cui si parla da tempo, di una crisi a «W», nella quale la ripresa potrebbe essere solo momentanea. Intanto, però, c'è ancora ha chiudere la lunghissima parentesi di una recessione che ormai, negli Stati Uniti, sta per entrare nel suo 21esimo mese. Proprio ieri le speranze di Obama di poter mettere presto la parola fine alla fase di contrazione dell'economia sono state confortate dalla pubblicazione del Beige book , il rapporto mensile della Federal Reserve sulla congiuntura. Secondo l'analisi della Banca centrale, l'economia americana sta finalmente mostrando segni di stabilizzazione soprattutto nel Nordest e negli Stati del Midwest anche se, nel complesso, la situazione rimane fragile. Le cose stanno migliorando a New York, in California e in Pennsylvania, mentre da Boston, Chicago, Atlanta e dal Texas vengono segnali meno positivi. Massimo Gaggi Segnali di ottimismo dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che parlando in North Carolina ha detto che la recessione sta finendo

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Obama: fine della crisi più vicina (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 30/07/2009 - pag: 1 Dal presidente americano arriva un messaggio di fiducia sullo stato dell'economia Obama: fine della crisi più vicina «Disoccupazione e finanza, non siamo più in caduta libera» «La fine della crisi è più vicina». L'ottimismo del presidente Usa Obama sullo stato dell'economia: «Il mercato si è ripreso, il sistema finanziario non è più in caduta libera e molti posti di lavoro sono salvi». Obama ha difeso la scelta del governo di aiutare Chrysler e General Motors: «Il loro fallimento sarebbe stato una catastrofe». Ma ha anche frenato gli entusiasmi: «I tempi difficili non sono terminati». A PAGINA 6 Jacchia

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Due anni di neointerventismo di Stato (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Focus Vuota data: 30/07/2009 - pag: 9 Aiuti pubblici Gli Usa hanno concesso capitali e garanzie per ben 797 miliardi di dollari, il 5% del Pil Acciaio e finanza Dopo la grande paura l'industria del credito è diventata, quanto a protezioni pubbliche, la siderurgia del nuovo secolo Due anni di neointerventismo di Stato Il 9 agosto 2007 il primo soccorso della Bce alle banche E Wall Street rischia di nuovo. Con i soldi dei contribuenti D ue anni fa la Banca centrale europea apriva una linea di credito a breve di 95 miliardi di euro riservata alle banche che non riuscivano più a trovare i soliti prestiti overnight per regolare i pagamenti. Sembrava ordinaria amministrazione ed era, invece, il prologo di un dramma che avrebbe portato le banche centrali e i governi a imbottirsi di titoli tossici e azioni bancarie come mai era accaduto nemmeno nei decenni più statalisti del Novecento. La crisi covava da cinque mesi. Secondo la Bank of England, dal 5 marzo 2007 quando la Hong Kong Shanghai Banking Corporation aveva reso noto che un suo portafoglio di mutui subprime stava subendo più insolvenze di quante fossero previste nel prezzo. Ma è dal 9 agosto, con quel pronto soccorso della Bce, che la mano pubblica comincia a riacquistare la centralità dalla quale era stata allontanata negli anni ruggenti della tecnofinanza e della deregulation . E adesso, dopo 24 mesi, si può tentare un primo, provvisorio bilancio del neointerventismo degli Stati, che non sanno ancora se essere, con i soldi dei contribuenti, Stati banchieri oppure Stati azionisti riformatori o ancora Stati azionisti conservatori e infine succubi dei signori della debt economy. Come accade perfino nelle guerre, qualcuno ci guadagna da subito. Briciole d'oro raccoglie, per esempio, la famiglia svizzera Amon. Da 80 anni possiede la Sicpa di Losanna, piccola multinazionale degli inchiostri che fornisce i preziosi verde e nero alle rotative del Bureau of Engraving and Printing. Le banconote con l'effige di George Washington sono aumentate del 10% in un anno. Così come ben si accontentano di ricevere dal Tesoro Usa 7,2 milioni di dollari per la consulenza legale gli studi Simpson, Hughes e Squire, per la consulenza finanziaria la EnnisK- nupp e per quella contabile Pricewaterhouse e Ernst & Young: sono parcelle assai inferiori a quelle pagate dalle investment banks , ma cementano la reputazione, bene raro e redditizio. Sarà interessante vedere le percentuali della Bank of New York Mellon sulla gestione degli aiuti pubblici americani, ma l'essere braccio secolare del Tesoro e della Federal Reserve contribuisce a farle avere il rating tripla A, che molto abbassa il costo della raccolta rispetto alla concorrenza. La quale, peraltro, non se ne lamenta. Le prime sei banche di Wall Street sono Goldman Sachs, JP Morgan Chase, Citigroup, Bank of America, Wells Fargo e Morgan Stanley. The Washington Post calcola che abbiano stanziato quest'anno 74 miliardi di dollari per salari, bonus e benefit dei dipendenti, 14 miliardi in più rispetto all'esercizio precedente. In media, 128 mila dollari per colletto bianco. Parecchio, e tuttavia poco in confronto ai compensi che corrono nell 'investment banking . Proiettando su base annua il primo semestre, Goldman pagherà in media 773 mila dollari a ciascuno dei suoi 29 mila dipendenti nel 2009, record assoluto. La divisione specializzata di JP Morgan, 466 mila. Morgan Stanley, che ha chiuso in rosso il secondo trimestre, ha elargito 3,9 miliardi ai dipendenti, pari al 72% dei ricavi del periodo, e ha premiato principalmente il desk delle obbligazioni istituzionali che, pur migliorando, non ha nemmeno chiuso in nero. Già il colosso assicurativo Aig aveva confermato i bonus, nonostante il Tesoro l'avesse appena salvato dal fallimento. La nuova ondata di Wall Street declassa a grida manzoniane l'appello del presidente Obama a contenere le remunerazioni al top. È una mina sotto la coesione sociale: il conflitto tra regolazione e deregolazione è strettamente legato, come mostra il grafico, agli interessi della ristretta minoranza che tratta il denaro. Ma per l'economia il punto cruciale è quanto rischio le banche stanno prendendo per riavviare la giostra. Una parte rilevante degli 11,4 mi-- liardi di ricavi di Goldman deriva da trading di titoli. Quanto è fatto in proprio, rischiando molto, e quanto per conto dei clienti, dove, pur rischiando meno, i margini si vanno allargando anche perché, adesso, c'è meno concorrenza di prima? I bilanci non sono chiari. Del resto, in attesa che si adottino le raccomandazioni del Financial Stability Board, negli Usa vigono i principi contabili Us Gaap che compensano le posizioni attive e passive in derivati finendo così con il nascondere il rischio di controparte: quello stesso rischio che era stato trascurato negli anni della bolla globale. È arduo misurarne la portata. Ma il caso della Deutsche Bank, che fa molti derivati e dà rendiconti all'europea e all'americana, è istruttivo: in Deutsche Bank, la leva finanziaria, ovvero il rapporto tra totale degli attivi e mezzi propri, appare quasi tre volte meno spinta se calcolata con gli Us Gaap. Sarà una combinazione, ma il value at risk di Goldman Sachs in primavera ha toccato il record. Delle sei grandi di Wall Street, tre hanno restituito al Tesoro gli aiuti ricevuti: 10 miliardi Goldman, 10 Morgan Stanley e 25 Jp Morgan. E tanto basta loro per ritenersi con le mani libere. Ma si tratta solo degli aiuti diretti e per le due investment banks resta la copertura della Federal Reserve quale prestatrice di ultima istanza in caso di crisi di liquidità: copertura concessa per evitare altre Lehman pur non essendo queste vere banche commerciali. Di più, le banche tornano al profitto anche perché l'intero settore, da loro contaminato con la tecnofinanza, è stato salvato a spese dello Stato. Secondo Mediobanca, lo Stato Usa ha dato capitali e garanzie «pesanti» a 683 banche e finanziarie per ben 797 miliardi di dollari, il 5% del Pil, più della metà del patrimonio netto aggregato del sistema bancario. Solo il Regno Unito ha fatto peggio obbligando il Tesoro di Sua Maestà a impegnare 656 miliardi di sterline in cinque enormi salvataggi. La contabilità degli aiuti pubblici non è ancora definitiva. La Bank of England stima in 1.260 miliardi di sterline gli interventi statali del suo Paese per l'acquisto di azioni bancarie, titoli tossici, garanzie, assicurazioni di attività finanziarie, in 10.440 miliardi di dollari gli analoghi interventi fatti dal governo Usa e in 1.640 miliardi di euro quelli fatti dai 16 Paesi dell'Euro. Traducendo tutto in dollari, fa 14.810 miliardi. Ma niente più delle cifre del Fondo monetario, ancorché meno aggiornate sul fronte degli aiuti pubblici, dà l'idea di come l'industria del credito sia diventata, quanto a protezioni pubbliche, la siderurgia del nuovo secolo: a metà 2008, ante Lehman cioè, la raccolta bancaria totale di Eurolandia, Usa e Regno Unito era di quasi 31 mila miliardi di dollari; di questi, circa 9 mila miliardi erano assicurati sotto forma di liquidità extra dalle banche centrali (1.950 miliardi), impegno dei governi a comprare attivi nei bilanci delle banche (2.525) e garanzie pubbliche sul debito emesso dalle banche stesse (4.480). Se si aggiungono i pacchetti di sostegno all'economia reale che hanno frenato le insolvenze private, e dunque le sofferenze bancarie, la conclusione è evidente: più di un dollaro ogni tre è in mano al sistema finanziario grazie all'intervento pubblico in barba alle prediche contro gli aiuti di Stato. Alla droga del debito privato in eccesso è dunque seguito il metadone dei governi, non la disintossicazione. E da quella parte della City che ancora resiste viene ora una particolare visione del futuro. Dice John Varley, amministratore delegato del gruppo britannico Barclays, che ha saputo stare a galla senza il salvagente pubblico: «Il modo migliore di ritirare il sostegno pubblico è che i governi e le banche centrali dicano che, se mai ci saranno altre scosse sul mercato, loro non esiteranno a garantire la liquidità. Più netto è quell'impegno, meno saranno le probabilità che poi lo si reclami davvero». Ma la bolla ha lasciato due drammatici paradossi che non si risolvono con lo Stato che si limita al ruolo di Lord Protettore della liquidità. Le banche centrali dicono che non ci possono più essere istituzioni troppo grandi per non poter essere lasciate fallire e, dopo le fusioni di emergenza, come nota Simon Johnson, economista del Mit, il grado di concentrazione del sistema è aumentato. Le banche devono lavorare con meno debiti e più capitale, aggiungono le autorità di Vigilanza, e adesso, complice la recessione, hanno spesso una leva finanziaria più lunga di prima. Se vorrà davvero ritirarsi, lo Stato banchiere per forza dovrà fare ancora molta strada, mentre gli squali di Wall Street tornano a scommettere sull'economia del debito. Federico Fubini Massimo Mucchetti Nuove fortune La Sicpa di Losanna fornisce gli inchiostri verde e nero per stampare i dollari: banconote aumentate del 10% in un anno Le prediche sui bonus La nuova ondata declassa a grida manzoniane gli appelli del presidente Usa a contenere i compensi dei banchieri Il primato Hong Kong, capitale finanziaria asiatica, è la piazza giudicata al primo posto per l'apertura delle banche all'informazione, grazie a una ferrea disciplina

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No R 20,8 (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Lettere al Corriere data: 30/07/2009 - pag: 37 La tua opinione su corriere.it Vi piacerebbe che al posto di Felipe Massa tornasse a guidare una Ferrari Michael Schumacher? SUL WEB Risposte alle 19 di ieri Sì R 79,2 No R 20,8 La domanda di oggi Il presidente americano Barack Obama: la fine della crisi economica è più vicina. Siete ottimisti?

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Locali del centro storico, la fiera dell'illegalità (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Cronaca di Roma data: 30/07/2009 - pag: 3 Locali del centro storico, la fiera dell'illegalità Sedie e tavoli senza autorizzazioni, licenze scadute, multe non pagate: 113 esercizi fuorilegge Abusivo il salottino in vimini (color panna) del «Caffè Colombo » al Pantheon. Abusivi i tavoli a lume di candela di «Coco» in piazza delle Coppelle. Abusiva l'occupazione di suolo pubblico di due su tre dei locali in piazza di Pietra. Non vengono risparmiati siti Unesco, piazze vincolate e luoghi simbolo: tavoli e sedie abusivi prosperano a Fontana di Trevi (quattro locali in via del Lavatore) a piazza della Colonna Antonina, via del Babuino e largo Argentina. Se le norme fossero rispettate scomparirebbero dall'orizzonte intere schiere di tavoli apparecchiati, a cominciare da via dei Pastini (dietro piazza ella Rotonda), via della Maddalena e sant'Agnese in Agone. Piazza sant'Apollinare, via della Vite e piazza di Santa Maria in Trastevere. Per novecentosettanta locali che nel I municipio hanno presentato una richiesta di autorizzazione c'è più di un dieci per cento che ha optato per la scorciatoia, occupando di fatto il suolo pubblico senza pagare. Frutto del bilancio effettuato dalla task force che per nove mesi ha controllato (metro alla mano) la zona della movida a cavallo di Corso Vittorio e delle ricognizioni da parte del I Gruppo della municipale, guidato da Cesarino Caioni, ecco l'ultima istantanea della ristorazione nel centro storico (turistico). Centotredici occupazioni abusive. Un' ottantina circa di recidivi, già sanzionati due volte e a rischio chiusura secondo la normativa (delibera 119 del 2005). Perfino la politicamente corretta Gay Street si allinea al «trend». Visto che ben quattro dei locali con tavoli all'aperto in via San Giovanni in Laterano risultano non autorizzati. Ma è piazza Navona che riserva la maggiore sconfitta all'amministrazione pubblica. Con tredici ristoranti già segnalati al municipio come privi di titolo ad occupare il suolo pubblico. Concessione scaduta secondo la delibera di «massima occupabilità» varata dal Comune nel 2006. Eppure le delibere non smuovono di un millimetro i ristoratori di piazza Navona. Che dopo aver diffidato (attraverso il proprio studio legale) il municipio dal «promuovere atti pregiudizievoli degli interessi » dei propri assistiti, affidano al loro presidente Guido Campopiano una risposta che suona definitiva: «È destituito di fondamento che le nostre autorizzazioni siano scadute. Si tratta di concessioni permanenti. In realtà l'amministrazione non ha mai avviato una procedura di revoca della concessione nei nostri confronti». Il motore della ristorazione gira a pieno ritmo fra disparità e abusi, sacrificando la trasparenza (vedi i recenti casi di truffe ai turisti) e trasgredendo le regole, incluse quelle della sicurezza: «Le autorità credono di rassicurarci col verbale di una multa ma poi la legge non fa interamente il suo corso. Non scatta la multa per i recidivi, non vengono effettuati i sequestri magari perchè mancano i depositi e nessun mezzo di soccorso per quanto striminzito può addentrarsi nelle strade occupate selvaggiamente da tavoli e sedie» dice per l'associazione Viviana Di Capua. Tra locali che vantano onorevoli tra i propri clienti (c'è anche questo additivo nell'offerta romana) e furbi che improvvisano, la legalità fa un passo indietro, mentre sembra prosperare la concorrenza sleale tra onesti (che pagano regolarmente la tassa di concessione) e furbi. Ora queste due due pagine fitte di nomi, imprese e multe già notificate dalla polizia municipale costringe a delle decisioni. Per prima cosa bisognerà vedere se, applicando la normativa, sarà imposta la chiusura per tre giorni) ai recidivi. La domanda è lecita, specie dopo i nove mesi di sforzi protratti nella task force guidata dagli uomini di Michele La Ratta del commissariato Trevi Campo Marzio. C'è chi i controlli non li ha ancora visti come i residenti delle Coppelle. Dice Simone Pietro Ciotti dell'associazione «Sisto V»: «Da tempo immemorabile non capita un vigile qui, tranne, forse, in occasione della cena di Michelle Obama ». Ilaria Sacchettoni Piazza delle Coppelle Auto della Municipale durante uno dei controlli sulla piazzetta dietro al Pantheon Campo de' Fiori Uno dei luoghi della movida più scatenata ed una delle piazze a più alta concentrazione di locali, che affollano tutto il perimetro della piazza

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Berlusconi: (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 30/07/2009 - pag: 15 Dopo le elezioni Berlusconi: «Exit strategy con gli alleati» ROMA «Solo dopo le elezioni potremo pensare attentamente a una exit strategy». Così Silvio Berlusconi torna sulla missione in Afghanistan, dopo che il ministro delle Riforme Umberto Bossi si era espresso, nei giorni scorsi, per un rientro in patria dei soldati italiani. Il presidente del Consiglio aveva già ribadito che «la linea non si cambia» ma ieri è intervenuto nuovamente sulla questione durante il cocktail di saluto ai senatori del Pdl prima delle vacanze estive. La novità è l'apertura del premier a una strategia di uscita dall'Afghanistan dopo le elezioni che si terranno nel Paese il prossimo 20 agosto. «Solo concordata con gli altri partner», ha precisato però Berlusconi. L'Italia è impegnata in Afghanistan con altri 42 Paesi nell'ambito della missione internazionale Isaf a guida Nato con 2.795 soldati, a cui si stanno aggiungendo proprio in questi giorni altri 500 rinforzi. Della necessità di una «exit strategy» aveva parlato anche Barack Obama. Tutti i Paesi impegnati sul fronte desiderano vedere in atto un'«efficace strategia d'uscita che consenta all'esercito dell'Afghanistan, alla polizia, ai tribunali, al governo afghani di farsi carico di sempre maggiori responsabilità riguardanti la loro sicurezza», aveva detto il presidente americano lo scorso 14 luglio di fronte al crescente numero di perdite nell'esercito dall'inizio del mese e alla ripresa dei talebani. Sull'aggressività dei ribelli in vista del voto si è soffermato anche Berlusconi: «Ci aspettavamo una recrudescenza degli scontri in prossimità delle elezioni e così è stato», ha detto ieri il premier. Che è poi tornato anche sulle frasi pronunciate dal leader della Lega: «Chi di noi non vorrebbe che i nostri soldati tornassero a casa? Ma i giornali devono riempire le pagine e guardate cosa è successo quando Bossi ha fatto una battuta. Ma noi dobbiamo essere là e far crescere una democrazia». Fronte Un italiano a Herat

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E in Bulgaria arriva il premier-bodyguard (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 30/07/2009 - pag: 13 Nuova Europa È stato guardia del corpo del dittatore Zhivkov e dell'ex re Simeone E in Bulgaria arriva il premier-bodyguard Borisov promette maniere forti per sconfiggere la corruzione Sembra Putin ma s'ispira a Schwarzenegger. Boiko Borisov è il premier d'azione dal quale la Bulgaria aspetta il riscatto, e l'Europa riforme. Lunedì si è insediato a Sofia il nuovo governo di centrodestra uscito dalle elezioni del 5 luglio, un esecutivo di minoranza che può contare su 116 seggi su 240 ed è formato da un solo partito, il Gerb, acronimo che in bulgaro significa «blasone» e sta per «Cittadini per lo Sviluppo europeo della Bulgaria». Dichiarazione d'intenti del fondatore Borisov, che due anni e mezzo dopo l'ingresso dello Stato balcanico nell'Ue promette di usare le maniere forti per riportare all'ovile la pecora nera d'Europa, devastata da corruzione e criminalità organizzata. C'è da aspettarsi che manterrà la parola. A cinquant'anni Boiko ha vissuto molte vite. Cintura nera ed ex allenatore della nazionale bulgara di karate (il russo Vladimir Putin è esperto judoka), si è avvicinato all'agone politico come guardia del corpo prima di Todor Zhivkov, l'ultimo leader comunista della Bulgaria al potere dal 1954 al 1989, poi di re Simeone II tornato dall'esilio e diventato premier nel 2001. Ex poliziotto e vigile del fuoco, nel 2001 è stato nominato segretario generale del Ministero degli Interni, distinguendosi per una serie di operazioni che miravano a decapitare i principali clan malavitosi. Nel 2005 è stato eletto sindaco di Sofia, dopo aver dominato la campagna elettorale con slogano del tipo: «Giudicatemi non per quello che farò, ma per quello che ho fatto». È stato il salto. Fino ad allora Boiko «Batman » Borisov era rimasto a metà strada tra il politico di professione e il dilettante che suscitava commenti ironici per il passato da picchiatore e la passione per i film di Terminator e Rocky Balboa. Diventando primo cittadino della capitale dimostrava di aver conquistato la stima dei cittadini, e di poter puntare ancora più in alto. Gerb è il suo grande successo. Fondato nel 2006, alle elezioni di luglio il partito ha ottenuto il 39,8 per cento dei voti. Governerà con l'appoggio esterno dei gruppi di destra «Coalizione blu» e «Ordine, legge e giustizia», oltre che con il sostegno degli ultranazionalisti di Ataka. Rifiutando le ipotesi di coalizione con l'estrema destra e scegliendo di governare da solo, ufficialmente perché «vogliamo essere gli unici responsabili» delle prossime mosse, Borisov ha risposto alle preoccupazioni di quanti ricordano le frasi pronunciate in passato sui «turchi che dovrebbero tornare in Turchia» e le donne lesbiche «che evidentemente non hanno ancora incontrato Boiko» . Al suo governo tocca risollevare l'economia in ginocchio, rassicurare chi fino alle elezioni temeva che il Paese cedesse al richiamo russo e riconquistare la fiducia dell'Unione europea, che l'anno scorso ha congelato 500 milioni di euro di aiuti accusando la coalizione guidata dai socialisti di tollerare frodi e gravi connivenze tra politica e crimine. Borisov ha voluto con sé nomi pesanti, primo tra tutti il neo ministro delle Finanze Simeon Djankov che porta in dote un'esperienza di 15 anni alla Banca Mondiale ed è sposato con l'economista Caroline Freunde, indicata come possibile consigliera dell'Amministrazione Obama. Nel tentativo di inaugurare il nuovo corso della trasparenza, lunedì Borisov ha riaperto un capitolo doloroso per il Paese dichiarando che nel 2007 Sofia pagò alla Libia 100 milioni di dollari per il rilascio delle cinque infermiere bulgare e del medico palestinese accusati di aver inoculato deliberatamente il virus dell'Hiv a 400 bambini nell'ospedale di Bengasi. Non ha fornito prove. Dice di voler procedere alla modernizzazione delle infrastrutture e al rilancio di settori tradizionali come agricoltura e turismo. «Prenderò personalmente in mano i dossier ha dichiarato . La strada che abbiamo davanti non sarà facile, ma non ci perderemo d'animo». Maria Serena Natale Cinema e politica Boiko Borisov (a sinistra) con Sylvester Stallone nel 2008: Borisov era sindaco di Sofia; il 5 luglio 2009 è stato eletto primo ministro bulgaro

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Colin Powell sul caso Gates: "Anch'io giudicato per il colore della pelle" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Essere generale dell’esercito americano, consigliere per la sicurezza nazionale alla Casa Bianca e infine segretario di Stato non mette al riparo dai pregiudizi legati alla razza. Parola di Colin Powell, che, ospite martedì al talk show di Cnn “Larry King Live”, ha affrontato il delicato tema commentando il caso di Henry Louis Gates, il professore afroamericano di Harvard arrestato la settimana scorsa mentre entrava nella propria casa e che ora accusa la polizia di averlo scambiato per uno scassinatore solo perchè nero. Il generale Powell ha ammesso di essere stato vittima di pregiudizi razzisti “molte volte”, anche quando la sua carriera militare e politica e il suo ruolo istituzionale erano già più che consolidati, ma se in questi casi la rabbia è la reazione più istintiva, calma e capacità di mediare sono invece le qualità indispensabili per affrontare la situazione. Qualità che, rimprovera Powell, il professor Gates avrebbe dovuto mostrare al momento dell’arresto: “Conosco Skip Gates molto bene, è un amico da anni: mi ha intervistato tante volte e tante volte ho diviso un palco con lui. Ho per lui il massimo rispetto, è una gran persona”, ha ricordato il generale, “Ma quando un poliziotto ti chiede qualcosa o quando ti tiene in stato di fermo, devi cooperare. Se non ti piace il modo in cui si comporta, se pensi di essere vittima di comportamenti razzisti o di pregiudizi, allora sporgerai denuncia, ma dopo”. “Quel che voglio dire”, ha chiarito ancora Powell, “è che in questa circostanza Gates forse avrebbe dovuto aspettare un attimo, poi uscire di casa, parlare con l’agente e la cosa sarebbe finita lì. Avrebbe dovuto chiedersi se fosse il momento di discutere”. Non che la polizia di Cambridge non abbia a sua volta commesso degli errori, ha poi sottolineato Powell: l’arresto è stato condotto in modo frettoloso, senza cercare conferme della presunta colpevolezza o dell’identità dell’arrestato. Entrambi i protagonisti della vicenda, il professor Gates e il sergente James Crowley, si sono evidentemente sentiti minacciati e hanno reagito istintivamente, facendo sì che la situazione degenerasse, ha ancora chiarito il generale. Se l’America di oggi si può definire “post-razziale”, è però pur vero che “non c’è afroamericano in questo paese che non si sia trovato esposto a questo genere di situazioni”, ha aggiunto Powell: in particolare, la popolazione maschile e certi ambienti, come quello delle forze di polizia, ad esempio, mostrano ancora forti segni di pregiudizio razziale. E se cancellare questi atteggiamenti richiede un cambiamento culturale lento e profondo, è previsto per oggi un passo decisivo per risolvere il caso Gates: il professore e il sergente Crowley sono attesi alla Casa Bianca, per un incontro con il presidente Obama che dovrebbe mettere la parola fine alla vicenda. + Finestra sull''America, di Maurizio Molinari commenti (0) scrivi

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Nomine alla Farnesina Terzi ambasciatore a Washington (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 30-07-2009)

Argomenti: Obama

Oltre a Silvio Berlusconi, anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano e il presidente della Camera Gianfranco Fini (ex ministro degli Esteri) hanno seguito il processo decisionale in prima persona: domani il ministro degli Esteri Frattini porta in Consiglio dei ministri la più importante tornata di nomine diplomatiche da quando il Pdl è tornato al governo. L'incarico centrale è quello di ambasciatore d'Italia a Washington: il prescelto è Giulio Terzi, da poco più di un anno rappresentante italiano all'Onu dopo essere stato direttore generale degli affari politici alla Farnesina. Sostituisce Gianni Castellaneta che era arrivato a Washington dopo gli anni trascorsi a Roma come consigliere diplomatico di Berlusconi. Negli anni di Bush Castellaneta era riuscito a intrecciare buoni rapporti con l'amministrazione repubblicana, aprendo la sua residenza a ministri come Condoleezza Rice o John Ashcroft. Ma contemporaneamente aveva incaricato un suo attivo funzionario (Luca Ferrari) di avviare il dialogo con i leader del Partito democratico che ha poi portato Barack Obama alla presidenza. Nell'ufficio di 2 Millenium Plaza, di fronte al Palazzo di Vetro, al posto di Terzi arriverà Cesare Ragaglini, fino ad oggi direttore generale per il Medio Oriente, uno dei diplomatici col grado di ambasciatore più giovani e combattivi. Ragaglini è stato anche lui a Palazzo Chigi consigliere di Berlusconi, ma poi ha lavorato al fianco di D'Alema su Libano e Iran, i dossier più caldi in politica estera di cui il governo di Prodi si sia occupato. Proprio sull'Iran Ragaglini ha provato a tessere la tela del coinvolgimento di Teheran nella stabilizzazione dell'Afghanistan, con il conseguente invito al vertice di Trieste, disertato dopo il caos esploso in Iran dopo le elezioni. OAS_RICH('Middle'); (30 luglio 2009

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Obama frena sulla crisi economica "Pil in calo nel secondo trimestre" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 31-07-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON - Dopo l'ottimismo ostentato ieri, i numeri sul Pil americano raffreddano un po' gli entusiasmi di Barack Obama. Dopo un incontro ufficiale con il presidente delle Filippine Gloria Macapagal Arroyo, il presidente americano ha fatto il punto sullo stato di salute dell'economia statunitense assieme ad alcuni giornalisti. Obama non ha ancora visto i dati ufficiali (saranno pubblicati soltanto venerdì), ma sospetta che mostreranno "una contrazione nel secondo trimestre". E poi c'è la disoccupazione, che sta diventando una priorità. "La perdita di posti di lavoro - ha detto - resta ancora un grande problema, anche se il tasso di chi perde il lavoro sta rallentando". Obama comunque conferma il suo impegno per il rilancio dell'economia: "Non avremo pace fino a quando non avremo visto un miglioramento tecnico nel pil e le prospettive di lavoro del popolo americano e i loro redditi non si saranno ripresi. Per questo ci vorrà ancora del tempo". Obama ritiene ormai stabilizzati "il sistema credizio, quello bancario e quello finanziario. Non vedremo più le enormi ondate di panico che avevamo visto nei mesi passati, segno che siamo lontani dal precipizio. Eravamo in una posizione in cui saremmo potuti finire in una grande depressione. Io penso che quei timori siano diminuiti". (30 luglio 2009

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Obama, il prof e il poliziotto Pace davanti a una birra (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 31-07-2009)

Argomenti: Obama

«SUMMIT» ALLA CASA BIANCA Obama, il prof e il poliziotto Pace davanti a una birra [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Attorno ad un tavolo bianco davanti a quattro boccali di birra si è svolto nel Giardino delle Rose della Casa Bianca il summit teso ad archiviare le polemiche sul razzismo innescate dall'arresto del docente afroamericano Henry Gates. A partecipare all'insolito vertice c'erano tutti i protagonisti della vicenda e dunque, oltre a Gates, l'agente bianco James Crowley che gli mise le manette, il presidente Barack Obama che ha prima accusato la polizia di aver agito «stupidamente» e poi fatto marcia indietro, e anche Joe Biden, il vicepresidente con le radici nella classe media bianca. La Casa Bianca ha curato l'evento nei dettagli per trasformare l'incidente che ha infiammato i rapporti interrazziali in un'occasione di dialogo: Obama e Biden erano in maniche di camicia, Gates e Crowley stavano seduti vicino e le tv hanno assistito in diretta al momento in cui sono stati portati i boccali. «Blue Moon» per il sergente, «Red Stripe» per il professore, «Bud Light» per Obama e Biden. Da qui il termine «summit della birra». Per Obama però si è trattato «non di un vertice ma solo di quattro persone che prendono assieme una birra a fine giornata per aver la possibilità di comprendersi l'un l'altro al fine di ridurre la rabbia e promuovere la riflessione».

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La regina d'Olanda compra le lavasciuga della Lindhaus (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 31-07-2009)

Argomenti: Obama

CLIENTI SPECIALI La regina d'Olanda compra le lavasciuga della Lindhaus La Lindhaus, un'azienda padovana a conduzione familiare di soli 48 dipendenti, è stata scelta dalla regina dei Paesi Bassi per la fornitura di lavasciuga che serviranno alla pulizia dei Palazzi Reali olandesi. Questo nuovo cliente della Lindhaus è solo l'ultimo di una lunga serie. La piccola impresa rifornisce infatti anche la Casa Bianca del Presidente Obama, il Cremlino, la Camera dei Deputati italiana, il Parlamento austriaco e quello sloveno. L'azienda nel 2008 ha fatturato 15 milioni di euro con una quota di export dell'80%.

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e rispunta la vecchia cassa per il mezzogiorno - luca iezzi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 31-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 5 - Economia Insieme all´idea tremontiana della banca per il Sud, arriva un ente che ricorda gli anni ´70. L´Udc: "Una soluzione inquietante" E rispunta la vecchia Cassa per il Mezzogiorno LUCA IEZZI ROMA - Il via libera preventivo di Tremonti era arrivato due giorni fa: «Fosse per me rifarei la Cassa del Mezzogiorno, i soldi ci sono». Detto fatto: arriva "l´ente" che si occuperà del nuovo piano del Sud, e il fantasma del vecchio carrozzone che chiuse nel 1992 anche per evitare la bancarotta dell´intero paese. Un confronto che la maggioranza di governo mostra di non temere, d´altronde se negli Usa Obama rivaluta gli interventi di emergenza del New deal di Roosevelt, perché noi non dovremmo riproporre la Cassa, che nel 1950 fu istituita proprio per ricalcare le agenzie di sviluppo locale pensate negli Usa? Stesso modello e risultati opposti. Se il segretario dell´Udc, Lorenzo Cesa definisce l´ipotesi «Semplicemente inquietante» è perché tra i politici, e ancor più tra i cittadini, l´associazione tra "Cassa del Mezzogiorno" e "spreco di denaro pubblico" è ancora molto forte. In quarant´anni la Cassa ha distribuito 140 miliardi di euro e le tracce di questa montagna di soldi nella "dotazione infrastrutturale" delle Regioni interessate non si vedono, così come poco hanno ottenuto le seguenti leggi d´incentivazione e i fondi strutturali dell´Europa (57 miliardi dal 2000). La lista dei treni passati inutilmente per ridurre il gap con il resto del paese potrebbe continuare. «Il Sud ha bisogno di molte cose ma sicuramente non di un nuovo ente burocratico per coordinare ciò che è facilmente attuabile seguendo le leggi e le procedure già definite» insiste Cesa. In più il ripensamento così radicale della politica per il Sud, peraltro il giorno prima che la Roma della politica ordini il rompete le righe estivo, finisce per perdere di credibilità: «E´ sbagliato e fazioso, mettere in relazione questo trasferimento dei fondi alla Sicilia a un fantomatico piano per il Sud - sottolinea il responsabile del Mezzogiorno del Pd Sergio D´Antoni -. Del piano non si vede l´ombra e quei quattro miliardi per la Sicilia sono previsti per legge, non c´è un solo euro aggiuntivo». «Le solite frottole da raccontare ad alleati politici e cittadini», afferma Anna Finocchiaro che liquida così l´operato del centrodestra rispetto alla questione meridionale. Annunci a cui non seguono proposte serie, come la Banca del Sud, ideata da Tremonti per compensare la miopia del sistema bancario del Nord che dopo aver salvato le vecchie casse di risparmio meridionali fatica a concedere prestiti sul territorio. Nata formalmente tre governi fa, la banca non ha ricevuto né fondi né strategie. L´altro nodo è che il neo meridionalismo di Berlusconi e Tremonti è tutt´altro che federalista: solo una settimana fa il ministro dell´Economia sottolineava il disastro finanziario della sanità meridionale. «Non è un problema di soldi, ma culturale» diceva Tremonti ricordando l´incapacità di spendere della classe dirigente del Sud, di presentare piani credibili per i fondi nazionali e quelli Ue, di unirsi per realizzare progetti di infrastrutture che superino i confini regionali. Allora resuscitare la Cassa potrebbe servire a centralizzare di nuovo la spesa, un´ipotesi politicamente poco presentabile in un momento in cui si agitano i venti di un partito del Sud e la Lega conta i giorni che separano le Regioni da un federalismo fiscale pienamente realizzato.

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afghanistan, pronta la jihad contro il voto (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 31-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri Afghanistan, pronta la jihad contro il voto I seguaci del Mullah Omar: "Boicottare le urne volute dagli Usa" Luglio il mese più sanguinoso per la Nato. Zapatero: "Pronti a mandare nuovi soldati" Nel giorno in cui il Parlamento dà il via libera definitivo al prolungamento delle missioni militari italiane all´estero, compresa quella in Afghanistan, un messaggio Internet dei Taliban ricorda quanto la situazione nel paese sia ancora difficile. Con un appello diffuso via web i seguaci del Mullah Omar hanno intimato agli afgani di boicottare il voto del 20 agosto, con il quale saranno chiamati a scegliere il nuovo presidente della Repubblica. Il testo definisce le elezioni una «invenzione degli americani» per legittimare l´attuale presidente, Hamid Karzai - chiamato «servo degli stranieri» - e invita la popolazione a unirsi agli sforzi dei combattenti islamici per «liberare il Paese occupato dagli invasori». Il messaggio spiega anche che per impedire fisicamente le operazioni di voto i Taliban lanceranno «operazioni contro le basi nemiche» e «impediranno alla gente di prendere parte alle elezioni», bloccando le strade e informando gli elettori della necessità di sostenere il boicottaggio. Ben chiara è la minaccia che pesa su chi non darà ascolto all´intimidazione e deciderà di andare a votare. L´avvertimento dei militanti islamici arriva alla vigilia della fine del mese più sanguinoso per le truppe internazionali dall´inizio della guerra: 69 soldati, per la maggior parte inglesi e americani, sono stati uccisi in Afghanistan dall´inizio di luglio a ieri. L´alto numero di vittime è il risultato delle due operazioni lanciate dalle truppe straniere nel Sud del paese per guadagnare controllo nelle zone dominate dai Taliban, ma è anche conseguenza dell´aumento degli attacchi condotti dai seguaci del Mullah Omar contro le truppe straniere proprio in vista del voto di agosto. Tutto, secondo gli esperti, fa presagire che in vista delle elezioni la strategia contro i militari internazionali sarà intensificata. Gli attentati sono in qualche modo facilitati anche dal fatto che in vista delle operazioni elettorali la maggior parte dei paesi Nato hanno aumentato il numero delle truppe sul terreno. Dopo l´appuntamento alcuni cominceranno a ragionare apertamente di una «exit strategy»: per l´Italia si è espresso in questo senso due giorni fa il primo ministro Silvio Berlusconi, anche se ieri il titolare degli Esteri Franco Frattini ha spiegato che è impossibile ora pensare a tempi chiari per un ritiro. Ma altri paesi sono invece pronti a confermare se non aumentare il proprio impegno: è il caso degli Stati Uniti e della Spagna. In un´intervista al New York Times ieri il premier Josè Luis Zapatero ha detto che Madrid manderà altre truppe in Afghanistan se sarà necessario. E i consiglieri del responsabile delle truppe Usa, Stanley McChrystal, hanno fatto trapelare la notizia che il generale si appresta a chiedere all´amministrazione Obama ulteriori rinforzi oltre a quelli già inviati nei mesi scorsi.

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guantanamo, giudice usa ordina "a casa il detenuto ragazzino" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 31-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 12 - Esteri Il caso Guantanamo, giudice Usa ordina "A casa il detenuto ragazzino" WASHINGTON - Tornerà a casa dopo sei anni a Guantanamo Mohammed Jawad, un giovane afgano che secondo i suoi avvocati aveva 12 anni al momento della cattura. Il rilascio è stato deciso ieri da un giudice Usa: ha ritenuto che le prove fossero invalide, perché raccolte sotto tortura. Jawad era accusato di avere legami con i Taliban: per i suoi avvocati al momento dell´arresto aveva 12 anni, per le autorità americane 17. La sua liberazione potrebbe costituire un precedente per altri prigionieri del centro che Barack Obama si è impegnato a smantellare.

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il guru di moveon "il modello obama si può esportare" - anais ginori roma (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 31-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 39 - Esteri Trevor FitzGibbon, spin doctor dei liberal Usa "Gli elettori delusi sono sempre recuperabili" Il guru di MoveOn "Il modello Obama si può esportare" La comunità online che ha dato una spinta decisiva a Barack ha già una "figlia" in Australia Cinque milioni di iscritti, il gruppo ha inventato la politica via email e le microdonazioni ANAIS GINORI ROMA Ognuno ha la sua specialità. Trevor FitzGibbon è esperto di «elettori di sinistra delusi o persino disgustati dalla politica». Quelli che negli Usa si sono sempre astenuti o hanno votato candidati di protesta, decretando per anni la sconfitta dei democratici. «Mai darli per persi. C´è sempre un modo di recuperarli», racconta lo strano spin doctor seduto alla terrazza di un hotel romano. FitzGibbon non lavora per un partito, ma negli ultimi dieci anni ha contribuito alla crescita di MoveOn, il movimento con 5 milioni di iscritti, motore della scalata democratica tra il 2006 e il 2008. «è grazie a noi e alle nostre campagne - ricorda - che molti giovani hanno incominciato a votare». L´aspetto è ancora quello del ragazzo di Seattle e amico dei Pearl Jam, anche se oramai ha passato i quaranta e colleziona consulenze ben pagate nella nuova Washington liberal. è stato MoveOn a sperimentare per primo il sistema delle micro- donazioni online, poi sfruttato al massimo da Obama. Sempre MoveOn ha inventato gli aggiornamenti per email, i comizi nelle case invece che nelle piazze. Tutte tecniche seguite l´anno scorso dal candidato democratico. «Cominciò con una banale email tra militanti democratici delusi dall´affaire Lewinsky», ricorda FitzGibbon. Era il 1998. La petizione chiedeva ai deputati del Congresso di «censurare» i comportamenti del presidente Clinton ma di evitare l´impeachment e, soprattutto, di «andare avanti» con l´agenda politica del Paese. Tre settimane dopo avevano firmato 250.000 persone. Le donazioni erano già sufficienti a comprare una pagina di pubblicità sul New York Times. Dopo l´11 settembre 2001, MoveOn fu il primo a invocare una reazione moderata e razionale al terrorismo, e a organizzare poi cortei pacifisti contro l´intervento in Iraq. «Democracy in Action» è lo slogan applicato a tutte le battaglie, dalla protesta contro la cancellazione di un popolare programma per bimbi sulla tv pubblica, sino alle primarie online per incoronare nel 2004 il candidato Howard Dean, battuto però nella sfida interna da John Kerry. Altri tempi. Ora la "guerriglia della comunicazione" del movimento è come neutralizzata davanti a un Congresso e un Presidente troppo amici. «Dobbiamo ripensare la nostra identità», ammette FitzGibbon, che da qualche mese ha creato una propria società di consulenza. Senza più un bersaglio (George W. Bush) cosa ne sarà delle petizioni, delle cene di raccolta fondi, degli spot più cattivi? «Andremo avanti - risponde -. Non per criticare Obama, ma per fargli trovare la direzione giusta». MoveOn ha già pronta una campagna sulla green economy (manifesto firmato da Shepard Fairey, l´artista del manifesto "Hope") e una serie di video sulla riforma sanitaria. «La luna di miele con l´elettorato democratico è già finita. Il nostro compito è fare pressione da sinistra, affinché il Presidente abbia più margine di manovra al centro», argomenta ancora FitzGibbon. Bisognerà vedere se gli elettori democratici «delusi o disgustati» sentiranno ancora il bisogno di mobilitarsi come ai tempi dell´amministrazione repubblicana. Per ora, nessun calo di iscritti. In Australia c´è già un´organizzazione affiliata a MoveOn, battezzata Get Up e ha ormai più membri di qualsiasi partito nazionale. «Ora stiamo già discutendo di filiazioni in Francia e Gran Bretagna». I militanti statunitensi hanno messo a disposizione la loro esperienza e una serie di tecniche collaudate, compresi dei software in grado di far girare le petizioni o dei format di documentari. «L´importante è spezzare il muro dell´indifferenza», conclude ancora FitzGibbon, che è venuto in Italia per una conferenza con la speranza di trovare "alleanze" possibili per il movimento americano. Anche MoveOn cominciò con un leader azzoppato da uno scandalo sessuale. Ma le analogie finiscono qui.

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fmi: eurolandia resta in recessione - elena polidori (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 31-07-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 24 - Economia Fmi: Eurolandia resta in recessione Nel 2010 Pil a -0,3%. Euro sopravvalutato del 15%, c´è il rischio deflazione Ma l´ottimismo di Obama fa bene alle Borse, tutte in rialzo. Milano è ai massimi dell´anno ELENA POLIDORI ROMA - Negli Usa la crisi sta per finire ma in Europa no. L´intera zona euro è tuttora in recessione «con segnali di miglioramento che devono ancora evolversi in recupero», sostengono gli esperti del Fondo monetario internazionale. Restano «altamente incerti» i tempi e la portata della ripresa, che è attesa nella prima metà del 2010 e sarà comunque «modesta». Eppure le Borse europee volano, galvanizzate dalle speranze di uscita dalla crisi rese pubbliche da Barack Obama. Ovunque compare il segno più e Milano chiude ai massimi dell´anno con l´indice «ftse all share» in recupero del 2,48%. Trainata dai bilanci societari, anche Wall Street recupera (+0.88% il Dow Jones) nonostante le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione siano aumentate di 25mila unità, (fino a 584 mila) oltre le attese, ma al di sotto dei picchi della scorsa primavera. Ripresa a due velocità, allora? Di certo in Europa, secondo le stime del Fmi, l´anno venturo il Pil dovrebbe contrarsi dello 0,3%, dopo un meno 4,8% previsto per il 2009; il tasso di disoccupazione passerà dal 10,1% al 12% e i conti pubblici peggioreranno. Perché l´agognata recovery sia «robusta» bisogna che i governi continuino a sostenere la crescita. E, soprattutto, occorre fare di più per le banche, per «pulire» i loro bilanci in modo che possano svolgere al meglio «la loro funzione di intermediari»: al momento gli istituti sono ancora afflitti da «un considerevole stress». Secondo il Fondo l´euro è sopravvalutato del 15%, c´è un rischio deflazione in Europa e la Bce, che bene ha fatto ad adottare misure non convenzionali a sostegno della liquidità, deve mantenere i tassi bassi. La diagnosi del Fmi arriva nel giorno in cui la presidenza svedese fa sapere che lavora ad un vertice straordinario sulla crisi economica tra i capi di stato e di governo dei Grandi, da tenersi il 16 settembre, prima del G20 di Pittsburgh. Mali e rimedi degli esperti internazionali si accoppiano a nuovi dati Eurostat secondo cui nei primi mesi di quest´anno, la paura della recessione ha spinto gli europei a tagliare le spese e a risparmiare come mai era accaduto negli ultimi dieci anni. Tra gennaio e marzo il tasso di risparmio delle famiglie europee ha toccato il massimo dal 1999, cioè da quando questo indicatore viene misurato. Nei paesi di Eurolandia il record è a quota 15,6% contro il 13,8% dell´ultimo trimestre del 2008. Nell´insieme dei 27 si è passati dal 12,3 al 13,8%. Nel periodo, scendono invece al minimo storico gli investimenti: 9,3%, rispetto al 9,8% dell´ultimo trimestre 2008. Anche il Sud del mondo soffre per la crisi. Così il Fondo decide di vendere parte delle riserve auree per sostenere i paesi poveri: sono previsti aiuti sino a 17 miliardi di dollari entro il 2014, di cui 8 nei prossimi due anni; è ipotizzata anche la sospensione degli interessi sui prestiti già approvati. «Uno sforzo storico», commenta il numero uno del Fmi, Dominique Strauss-Kahn.

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E il premier scherza sulla mosca: mi ha preso per Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 31-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 31/07/2009 - pag: 5 La battuta E il premier scherza sulla mosca: mi ha preso per Obama MILANO Silvio Berlusconi, nel corso della conferenza stampa a L'Aquila al termine della visita alle zone colpite dal terremoto, ieri è stato disturbato da una mosca. L'insetto gli ronzava intorno. Il presidente del Consiglio non si è scomposto però più di tanto. Anzi, ha scherzato con i giornalisti: «C'è questa mosca che mi ha preso per Obama...». Il riferimento è al presidente Usa ( foto ) che durante un'intervista televisiva colpì con una mano l'insetto che gli si era posato sul braccio lasciandolo stecchito sul pavimento.

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Neri e arabi controllati più dei bianchi (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 31-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Focus Vuota data: 31/07/2009 - pag: 11 Lo studio Due sociologi francesi hanno filmato di nascosto 525 interventi delle forze dell'ordine Neri e arabi controllati più dei bianchi I luoghi Sotto esame cinque punti dentro o vicino alle due stazioni della Gare du Nord e di Châtelet-Les Halles, tra le più frequentate Ricerca su Parigi: minoranze prese di mira nelle verifiche «casuali» della polizia in metrò L a Francia della laïcité che vieta hijab, crocefissi e kippah nelle scuole, perché ostacoli all'integrazione. La Francia che ritiene fallimentare il multiculturalismo messo alla prova dal caso olandese di Theo Van Gogh (il regista ucciso per il film antiislamico «Submission») o da quello più recente del professore Henry Gates di Harvard (ricevuto ieri sera da Obama dopo l' ingiusto arresto). Ma anche la Francia delle banlieues degli immigrati arabi, esplose nel 2005 dopo l'uccisione di due ragazzi da parte delle forze dell'ordine. E dei tanti atti di razzismo di flics e gendarmes denunciati finora unilateralmente da minoranze e da Ong, che sembrano adesso confermati per la prima volta da uno studio scientifico. La ricerca è stata voluta e finanziata dalla fondazione Open Society Institute del miliardario americano di origini ungheresi George Soros, impegnato da anni in una battaglia globale contro il razzismo. «I cittadini francesi di origine straniera, soprattutto quelli di origine nord-africana e sub-sahariana, si lamentano da tempo di essere oggetto di controlli polizieschi discriminatori e ingiusti. L'inchiesta ha confermato che la polizia si basa in effetti sull'apparenza e non sul comportamento, su quello che la gente sembra piuttosto che su quello che fa sostengono Fabien Jobard e René Lévy, i due sociologi coordinatori della ricerca condotta dal Centre National de la Recherce Scientifique, il Cnr transalpino . In particolare: per i 'neri' le probabilità di essere fermati dalla polizia sono 7,8 volte più alte che per i 'bianchi'. Per gli 'arabi' sono 6 volte di più». Lo studio raccolto in un ponderoso rapporto dal titolo «Polizia e minoranze visibili» è stato compiuto in cinque punti dentro o vicino alle due stazioni parigine della Gare du Nord e di Châtelet-Les Halles. Luoghi prescelti perché da lì, a ogni ora, passano migliaia di persone di ogni tipo, e i controlli di polizia sono frequenti. Tra l'ottobre 2007 e il maggio 2008, in giornate qualsiasi, un gruppo di osservatori ne ha seguiti discretamente 525, filmandoli con telefonini e annotando età, sesso, abiti, aspetto delle persone che passavano vicino alle pattuglie, in genere ignorate, e di quelle fermate. Queste ultime, poi, sono state intervistate, per sapere quanto frequentemente capitasse loro di essere controllate (molte hanno risposto «spesso»), se fossero state trattate bene (in genere sì), se fosse stato spiegato il motivo del controllo (quasi mai). Ma la parte centrale della ricerca ha riguardato i criteri in base ai quali i «sospetti » sono stati ritenuti tali. E così, è emerso che se sulle 38 mila persone passate accanto alle pattuglie i «bianchi» erano il 57,9%, i «neri» il 23% e gli «arabi » l'11,3%, i fermati appartenenti ai tre gruppi sono stati rispettivamente 141, 201 e 102. Questione di look, concludono quindi Jobard e Lévy, e questo non vale solo per il colore della pelle. Anche l'abbigliamento, infatti, è spesso motivo di fermo. «Le persone che indossano abiti associati a 'culture giovanili' come l'hip-hop, il gotico, il tecktonik o il punk sono solo il 10% della popolazione, ma hanno rappresentato il 47% dei fermati», dicono i ricercatori del Cnrs. Ma il dato, aggiungono, conferma ancora una volta il racial profiling , ovvero l'inclusione di elementi razziali nel sospettare qualcuno come possibile criminale. Due ragazzi su tre, tra quelli così vestiti e fermati dalla polizia, appartengono infatti a minoranze etniche: gli «arabi» e i «neri», ad esempio, adorano i cappucci. I risultati dell'indagine, corredata da varie raccomandazioni alle autorità per creare reciproca fiducia tra le forze dell'ordine e le minoranze, hanno fatto parlare in Francia. Ma sono stati respinti dal governo: «Non è esatto affermare che i controlli sono effettuati in base all'aspetto fisico ha dichiarato Christian Estrosi, ministro dell'Industria, molto vicino a Nicolas Sarkozy, autore della nuova e contestata legge sulle bande armate . E in quella stessa indagine, solo il 3% delle persone fermate ha protestato, l'82% non ha avuto niente di cui lamentarsi». Nessun commento, invece, dai vertici della polizia francese: nemmeno sulle raccomandazioni per controlli più «etnicamente corretti», già iniziati a diventare realtà ad esempio in Spagna e in Ungheria. «La ricerca ha alcuni punti deboli ma offre spunti molto interessanti anche per l'Italia sostiene Enzo Letizia, segretario nazionale dell'Associazione funzionari di polizia . Punti deboli perché è stata effettuata solo a Parigi in due zone ad alto traffico, dove la gente si comporta tutta nello stesso modo e per ovvi meccanismi psicologici sono le differenze d'aspetto a contare. Spunti interessanti perché lo studio indica che sarebbero necessarie, anche da noi, direttive su come effettuare meglio i controlli ». Per Letizia bisognerebbe allargare la visione all'intero territorio nazionale. «Se facessimo un simile studio a Roma e Milano i risultati sarebbero probabilmente identici spiega , con la differenza che da noi i rom hanno una presenza più importante che in Francia e questa etnia esprime un'emergenza per furti e borseggi: un dato che emerge dalle statistiche, purtroppo, non certo da pregiudizi razzisti. Ma se guardiamo ad esempio alle zone ad alto rischio mafioso, i controlli di polizia riguardano in modo preponderante gli italiani». Così, quando era giovane funzionario a Malpensa durante la guerra del Golfo, Letizia ricorda che l'attenzione era rivolta ai passeggeri in arrivo dai Paesi a rischio terrorismo, ma non meno a quelli provenienti dalla Sicilia o dall'America latina per le emergenze mafia e droga. Vero è che anche in Italia l'aspetto conta, lo prova la recente protesta di Marcello Veneziani su Libero : il suo «aspetto vagamente arabo-islamicomediorientale», ha scritto, lo sottopone a continui controlli e perquisizioni. Ma per Letizia il racial profiling da noi «non è avvertito». «Qui dichiara siamo ferrei sulla formazione e sul comportamento dei nostri uomini. La deontologia è vitale e la nostra organizzazione è da sempre impegnata a favore l'integrazione». Anzi, aggiunge Letizia, l'Associazione dei funzionari di polizia si sta battendo perché nelle forze dell'ordine vengano assunti immigrati di seconda generazione, che sarebbero utilissimi a livello linguistico, tecnico e culturale. «Avere dei Petrosino arabi, cinesi o rom significherebbe maggior integrazione ma anche più sicurezza per l'intero Paese. Negli Usa l'hanno fatto con ottimi risultati», dice. In Italia, però, i tempi non sembrano maturi: «Nel 2008 rivela Letizia abbiamo mandato una lettera con questa proposta a tutti i candidati premier. Nessuno ci ha risposto, e finora non si è mosso niente ». Cecilia Zecchinelli

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Berlusconi ferma lo strappo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 31-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 31/07/2009 - pag: 8 Berlusconi ferma lo strappo «Partito del Sud inaccettabile» «E' contro il Pdl». Poi una citazione in latino. Bossi con lui DAL NOSTRO INVIATO L'Aquila Si è arrampicato su un montacarichi per issare la prima bandiera sulle case appena finite di costruire all'Aquila, ha sorvolato l'area devastata dal terremoto, ha fatto un punto con i vertici della Protezione Civile sui tempi di consegna degli alloggi ai terremotati, che per i «fortunati che vi entreranno» saranno dotati anche di una torta e di bigliettini di benvenuto vergati dal premier, e ha anche tentato di acchiappare, in conferenza stampa, una mosca che «deve avermi preso per Obama... ». Tutto questo accadeva all'Aquila. Ma non c'è dubbio che lo sforzo maggiore ieri Silvio Berlusconi lo abbia fatto a Roma, per chiudere una volta per tutte il tormentone del partito del Sud, e soprattutto quel caso Sicilia che rischia di costare parecchio al governo in termini di immagine e di equilibri politici complessivi. Per questo, dopo una mattinata di incontri con il ministro Prestigiacomo che «se non è stata invitata mercoledì al vertice era solo perché non si discuteva di materie attinenti al suo dicastero», un pranzo con i siciliani «lealisti» di Angelino Alfano e prima di una cena di chiarimento con Gianfranco Miccichè, Silvio Berlusconi spegne ogni sogno o velleità di chi immagina un partito del Sud federato, vicino, amico, comunque diverso dal Pdl come è oggi: «Non credo - scandisce - che sia un'ipotesi che possa avere successo. Sto per incontrare alcuni deputati (Miccichè e i suoi, ndr) che hanno ventilato una ipotesi o di correnti nel Pdl o di una nuova formazione politica, e posso dire che questo è esattamente il contrario di quello per cui io ho lavorato con il Pdl», quando si sono unite 7 formazioni politiche che hanno deciso di abbandonare il proprio simbolo. Per questo «non si può guardare con simpatia o accettare che, anziché aumentare la coesione nel Pdl», si vada ad un frazionamento. E se il messaggio non fosse chiaro, Berlusconi spiega anche quali sarebbero el conseguenze di eventuali alzate di testa: come è successo con Udc e Destra di Storace che, non volendo confluire nel partito unico, non sono state accettate nell'alleanza, così accadrebbe «con qualunque altro partito che nasca da una diaspora del Pdl». Insomma, dice con citazione latina Berlusconi, «extra ecclesiam nulla salus», non c'è salvezza fuori dalla Chiesa, e tantomeno fuori dal Pdl. Già ma, come ha lamentato qualche ministro, la vicenda si chiude cedendo ai «ricatti» dei siciliani che sono riusciti con le minacce a farsi concedere 4 miliardi di euro di fondi Tas. Una versione che Berlusconi smentisce: «Io spero che, con questo finanziamento che era stato portato avanti come ragione per fare un nuovo partito» adesso la situazione si calmi, ma in ogni caso se i soldi sono stati concessi è perché la Sicilia si è mossa correttamente nella sua richiesta e quei fondi le arrivano non come un regalo. Poi toccherà «alla Puglia» e alle altre regioni che porteranno avanti piani corretti, nell'ambito di quel «Piano per il Sud» che dovrebbe soddisfare le esigenze di tutto il Meridione. E che però lascia freddino Bossi. Il leader della Lega, che doveva ieri visitare l'Aquila assieme a Berlusconi, Calderoli e Tremonti ma poi - come ha spiegato il Cavaliere - ha preferito rinunciare perché «fa troppo caldo, lo sentite, verrà un'altra volta, magari di mattina che è più fresco», qualche dubbio sembra averlo: «Non sono così negativo sul piano per il Sud, ma i soldi non devono essere sprecati ». E Calderoli fa capire che la questione Sud non andrà così liscia come sembra: «Il provvedimento per il Mezzogiorno? Prima vedere cammello, poi dare tappeto...» Battute che, giura Berlusconi, non incrinano minimamente l'unità di una maggioranza che «non è mai stata più coesa di così», visto che «non c'è nessuna divisione, nè sull'Afghanistan, nè sulla scuola, nè sulla sicurezza». Il consiglio «Ho suggerito a Bossi di non venire oggi, perché fa troppo caldo. Verrà quando sarà più fresco» Paola Di Caro

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Il balzo delle Borse Ma il Fmi vede l'Europa in recessione fino al 2010 (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 31-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 31/07/2009 - pag: 31 Mercati Wall Street riconquista i livelli di otto mesi fa Il balzo delle Borse Ma il Fmi vede l'Europa in recessione fino al 2010 Obama: i big finanziari, un rischio per l'economia MILANO Mercoledì le rassicurazioni del presidente Barack Obama sulla ripresa dell'economia. Ieri l'aumento inferiore alle attese dei nuovi sussidi di disoccupazione e una raffica di confortanti bilanci trimestrali, da General Electric a Ibm. Così, dopo due giorni di discesa, Wall Street è tornata a correre. Contribuendo a una giornata ancora più positiva per le piazze europee. A metà mattinata l'indice Dow Jones viaggiava a ritmi del 2%, toccando il livello più alto di quest'anno. E il Nasdaq, basket di riferimento per le aziende tecnologiche, ha varcato anche quella soglia dei 2000 punti che non vedeva dall'ottobre dell'anno scorso. Una corsa che in Europa si è trascinata fino al termine della seduta. Alla fine, la performance più consistente è quella di Piazza Affari, che ha chiuso con l'indice Ftse Mib a più 2,65%. Poco al di sotto s'è fermato il resto del continente: più 1,85% l'Ftse100 di Londra, più 1,71% il Dax30 di Francoforte, più 2,08% il Cac40 di Parigi. Complessivamente, in base all'indice Dow Jones Stoxx600, le borse europee hanno riguadagnato i livelli del novembre 2008. A New York, invece, i rialzi della prima parte di seduta non sono stati confermati al suono della campana: il Dow Jones ha terminato a più 0,92%, il Nasdaq a più 0,84% Ma non basta certo una giornata di rialzi azionari per poter parlare di una svolta compiuta, tantopiù in Europa. Proprio ieri il Fondo Monetario Internazionale ha confermato che l'economia della zona-euro «resta in recessione», e che «ci sono segni di miglioramento del-- l'attività, ma non si sono ancora evoluti in una ripresa». Per il 2009, l'organizzazione di Washington prevede una contrazione del prodotto interno lordo di Eurolandia del 4,8%, con un tasso di disoccupazione del 10,1%. E anche nel 2010 resterà il segno meno (dello 0,3%), mentre il tasso dei senza lavoro arriverà al 12%. Quanto al rapporto deficit-pil, sarà del 6,2% quest'anno e del 6,9% il prossimo. Insomma, quella che si è vista finora è solo «una riduzione del ritmo di contrazione economica». Densa di incognite per il sistema finanziario: l'Fmi lo considera «ancora sotto stress, nonostante le azioni di governi e banche centrali abbiano aiutato a contenere i rischi sistemici». Raccomandazioni: «Un'ampia revisione dei bilanci delle banche per accertare i bisogni di capitale, accompagnata da una maggiore diffusione delle informazioni, da ricapitalizzazioni e, dove necessario, da ristrutturazioni». Anche dall'altra parte dell'Atlantico è arrivato un autorevole monito agli istituti finanziari. In un'intervista a BusinessWeek , il presidente Obama ha puntato il dito contro «quelle compagnie che si considerano troppo grandi per fallire e, per questo, sono troppo propense al rischio». «Rappresentano un pericolo per l'economia», ha osservato. Giancarlo Radice

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Sì R 50,9 No R 49,1 (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 31-07-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Lettere al Corriere data: 31/07/2009 - pag: 39 SUL WEB Risposte alle 19 di ieri La tua opinione su corriere.it La domanda di oggi Il presidente americano Obama: la fine della crisi economica è più vicina. Siete ottimisti? Sì R 50,9 No R 49,1 Dopo i nuovi attacchi dell'Eta a Burgos e a Maiorca, avete paura di fare turismo nelle Isole Baleari e in Spagna?

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