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Report "Globalizzazione"    8-3-2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Globalizzazione

L'asse transatlantico e la dottrina Clinton ( da "EUROPA ON-LINE" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: agenda Usa perché non è un?area di crisi. Al contrario la Cina è in cima a quell?agenda perché sta finanziando la spesa pubblica americana con l?acquisto dei titoli di stato, e al momento la priorità assoluta è la crisi economica, come ha spiegato al Time un analista del Centre for European Policy Studies di Bruxelles.

Russia: serve nuovo trattato sul nucleare ( da "Corriere.it" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Mancano le ratifiche di Cina, Colombia, Egitto, Indonesia, Iran, Israele, Stati Uniti e Vietnam; Corea del Nord, India e Pakistan non lo hanno neppure sottoscritto. Il numero complessivo delle adesioni è di 176 Stati, 132 hanno anche provveduto alla ratifica. stampa |

BRIXIA CARGO INVESTE SUL FUTURO ( da "Bresciaoggi(Abbonati)" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Nel 2008 Brixia Züst aveva chiuso l'esercizio con un fatturato di circa seimila euro e da questo riparte Brixia Cargo, con la consapevolezza che un mercato che deve fare i conti con la crisi globalizzata richiederà il massimo impegno per raggiungere gli obiettivi di crescita. Una crescita che passa dall'esperienza e dalla professionalità.

coldiretti, no al progetto ( da "Nuova Sardegna, La" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: ». Infatti «in un momento di crisi globalizzata dei mercati agricoli sarebbe assurdo perdere autonomia funzionale». L'auspicio di Scalas e Saba è che la «notizia sull'accorpamento sia priva di fondamento, per il bene dell'agricoltura sarda».

Il commento La crisi: l'alba di... ( da "Giornale.it, Il" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: realizzando la prima globalizzazione e giungendo all'apogeo alla fine del secolo XIX. E subito scricchiola: prima guerra mondiale (che determinerà la seconda), rivoluzione russa, crisi del '29: questa crisi è la storia del XX secolo. Il terzo millennio è quello della globalizzazione, secondo trionfo apparente (e reale) della civiltà capitalista,

<Il protezionismo sarebbe una rovina> ( da "Eco di Bergamo, L'" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: protezionismo sarebbe una rovina» --> Lo storico inglese: servono regole internazionali, ma manca un Paese attorno al quale costruire il consenso Gli europei impantanati tra un'economia parzialmente globalizzata e un'estensione di norme nazionali Domenica 08 Marzo 2009 SOCIETA, pagina 11 e-mail print Il libro che lo storico inglese Donald Sassoon ha ora in cantiere è un paragone

LA RESTRIZIONE del credito ormai in atto da tempo, congiuntamente a una crisi glo... ( da "Giorno, Il (Lodi)" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: LA RESTRIZIONE del credito ormai in atto da tempo, congiuntamente a una crisi globalizzata nata guarda caso dalla finanza, sta affossando sempre più anche l'economia del nostro territorio. In questo quadro a tinte purtroppo sempre più fosche almeno per le micro e piccole imprese, si inserisce l'operato dei Confidi e l'intervento delle istituzioni.

L'AMMINISTRAZIONE comunale ha varato tre progetti per la riduzione dei rifiu... ( da "Nazione, La (Pistoia)" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: scuola primaria Galilei e scuola secondaria Cino da Pistoia), l'uso dell'acqua del rubinetto al posto di quella imbottigliata. Il progetto prevede la sistemazione di nuove reti per l'acqua potabile in multistrato, per garantirne la qualità. In pratica l'acqua da bere arriverà direttamente dall'acquedotto, bypassando i depositi esistenti in alcune scuole.

Le crisi hanno sempre qualcosa da insegnare. Se il 1929 ci ha insegnato che il mercato non è in... ( da "Messaggero, Il" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: dalla capacità di acquistare bond pubblici da parte di paesi emergenti come la Cina e una politica monetaria espansiva durata troppo a lungo, insieme alla mancanza di trasparenza e regolamentazione su strumenti finanziari rischiosi e sfuggenti come derivati e affini. E sul fronte italiano? Anche da noi si sono commessi clamorosi errori di valutazione.

E l'anti-Obama <re di Las Vegas> rischia la bancarotta ( da "Corriere della Sera" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: azzardo è legale in 30 Stati Usa». E così, anche se rischia la bancarotta e se è stato costretto a sospendere la costruzione di nuovi alberghi a Las Vegas e in Cina, Adelson adesso vuole dimostrare il suo "impegno sociale" andando avanti col nuovo Sands di Bethlehem, in Pennsylvania, antica città siderurgica diventata una città fantasma.

Blitz contro la pedofilia on line Perquisiti anche tre fiorentini ( da "Nazione, La (Firenze)" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: 850 segnalazioni del 2008 i server dei siti internet sono localizzati in Usa (32%); Russia (30%); Olanda (7%); Inghilterra (6%) Cina e Germania (4%); Polonia (3%), Italia, Spagna, Francia, Belgio, Austria, Svezia, Liechtenstein, Giappone, Corea del Sud, Turchia (2%), Israele (1%), Svizzera (1%), Iran (1%), Iraq (1%).

Julia ( da "Corriere della Sera" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: globalizzate », che chiamano in causa trafficanti, agenti o ex agenti della Cia, capitalisti corrotti e avventurieri solitari alla pulp fiction con toni alla Philip Marlowe, spesso in cerca di un'anima gemella. Superati i quarant'anni, Julia, diva dall'alto cachet, dovrà dimostrare in Duplicity (come ha fatto Meryl Streep in Mamma Mia!

banca etica compie dieci anni scommessa vinta ( da "Mattino di Padova, Il" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Cosa ha creato la disfatta della finanza globalizzata? Una sintesi la troviamo in una parola: l'avidità. Avidità di manager che, per arricchire i conti della banca e propri, hanno fatto ricorso con eccessiva disinvoltura a ogni ingegneria finanziaria. E poi c'è Banca Etica, 30 mila soci per il 77% Onlus, che festeggia oggi il decennale.

La mamma la chiamava la macchina parlante , un mobile grammofono pezzo unico e raro... ( da "Stampa, La" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: «Per la Cina e il Giappone fu ideato il modello laccato e istoriato con soggetti a cineserie di cui uno è di proprietà del nostro lettore. Vi è un buon collezionismo di questo tipo di grammofoni e il loro valore, secondo le condizioni in cui si trovano, varia tra i 5 e i 10 mila euro.

Julia (la spia), il ritorno con un intrigo internazionale ( da "Corriere.it" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: globalizzate », che chiamano in causa trafficanti, agenti o ex agenti della Cia, capitalisti corrotti e avventurieri solitari alla pulp fiction con toni alla Philip Marlowe, spesso in cerca di un'anima gemella. Superati i quarant'anni, Julia, diva dall'alto cachet, dovrà dimostrare in Duplicity (come ha fatto Meryl Streep in Mamma Mia!

Di fronte alla recessione globale non siamo tutti uguali ( da "Sicilia, La" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: nel caso degli Usa, un'economia e una «way of life» spinte sul versante del debito, con un reddito garantito dalla capacità di acquistare bond pubblici da parte di Paesi emergenti come la Cina e una politica monetaria espansiva durata troppo a lungo, assieme alla mancanza di trasparenza e regolamentazione su strumenti finanziari rischiosi e sfuggenti come derivati e affini.

Governancesenza fiducia ( da "Sicilia, La" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: Il problema più grande con cui ci misuriamo nel dibattito corrente è quanto i fenomeni di globalizzazione rendano diversi i sistemi economici oggi rispetto al passato; la maggiore integrazione dei mercati di sicuro favorisce il propagarsi di situazioni di crisi. Ma non si può certo pensare di limitare i contagi tornando al passato, ad un mondo meno integrato!

"Grande Industria e Mezzogiorno 1996-2007" ( da "Napoli.com" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: societari e i riposizionamenti competitivi nel contesto della globalizzazione. Nella seconda parte del libro, partendo dallo scenario che emerge dalla ristrutturazione che nel ventennio 80 ? 90 trasforma profondamente il sistema delle imprese del Mezzogiorno, gli autori ricostruiscono, ? con studi di comparti industriali e casi aziendali di riposizionamento e ricollocazione sul mercato,

Piano casa, no di Franceschini: cementificazione dell'Italia ( da "Reuters Italia" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: il rischio cementificazione è pericolosissimo soprattutto in Italia, perché nella globalizzazione ogni Paese deve investire in quello che ha e ciò che ci rende unici è l'Italia stessa, il paesaggio, il centro storico. Rovinare il nostro territorio è come se un Paese arabo bruciasse il petrolio. Non possiamo rovinare ciò che ci rende unici".

MOVIMENTO PER LA SINISTRA: FACCIAMO "BILANCIO PARTECIPATIVO" ( da "Corriere del Sud Online, Il" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: 08/03/2009 16:45 Il territorio, ai tempi della globalizzazione, viene usato come spazio economico unico ; in questo spazio le risorse locali sono beni da trasformare in prodotti di mercato, senza tenere in nessun conto la sostenibilità ambientale e sociale dei processi di produzione, (contratto d?

E il re dei casinò rischia la bancarotta ( da "Corriere.it" del 08-03-2009)
Argomenti: Cina Usa

Abstract: azzardo è legale in 30 Stati Usa». E così, anche se rischia la bancarotta e se è stato costretto a sospendere la costruzione di nuovi alberghi a Las Vegas e in Cina, Adelson adesso vuole dimostrare il suo "impegno sociale" andando avanti col nuovo Sands di Bethlehem, in Pennsylvania, antica città siderurgica diventata una città fantasma.


Articoli

L'asse transatlantico e la dottrina Clinton (sezione: Globalizzazione)

( da "EUROPA ON-LINE" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

L?asse transatlantico e la dottrina Clinton MARILISA PALUMBO Nonostante abbia sbagliato qualche nome e fatto una gaffe niente male (quando ha detto che la democrazia americana esiste da molto più tempo di quella europea), l?accoglienza riservata a Hillary Clinton a Bruxelles non poteva essere più calorosa. Gli europei non vedevano l?ora di salutare il neo segretario di stato e di sottolineare come con la nuova amministrazione le due sponde dell?Atlantico siano tornate a parlare la stessa lingua. «La maggior parte delle cose che hai detto potrebbero essere state pronunciate da un europeo », ha esultato il presidente del parlamento Ue Hans Pöttering dopo il discorso della Clinton all?assemblea, per l?occasione piena di giovani lavoratori delle istituzioni comunitarie. E Hillary non ha fatto nulla per raffreddare gli entusiasmi, anzi. A proposito della lotta al global warming ha detto che «gli Stati Uniti sono stati negligenti», e che è ora di agire, rafforzando le speranze europee di avere al loro fianco Washington nei delicatissimi negoziati sul dopo Kyoto che si apriranno a Copenhagen a dicembre. Dopo aver avuto il presidente che voleva, nelle ultime settimane l?Europa ha temuto di essere stata ?declassata? nella lista dei partner americani quando proprio Hillary, con una mossa inusuale, ha scelto l?Asia per la sua prima visita all?estero. Ma le parole della Clinton («Obama e io intendiamo infondere energia nel rapporto transatlantico»), aggiunte al fatto che il presidente, accompagnato dalla moglie Michelle, sarà in Gran Bretagna, Germania, Francia e Repubblica ceca tra il 31 marzo e il 5 aprile, hanno rassicurato gli animi. La verità è che il rapporto speciale con l?Europa, il cui recupero dopo la frattura irachena era già cominciato nel secondo mandato di Bush, non è mai stato in discussione. Semplicemente, l?Europa non è al centro dell?agenda Usa perché non è un?area di crisi. Al contrario la Cina è in cima a quell?agenda perché sta finanziando la spesa pubblica americana con l?acquisto dei titoli di stato, e al momento la priorità assoluta è la crisi economica, come ha spiegato al Time un analista del Centre for European Policy Studies di Bruxelles. Ciò non toglie che per affrontare tutte le più grandi sfide geopolitiche ed economiche Washington abbia bisogno di coinvolgere l?Europa. Con un approccio diverso però: in cambio di una maggiore consultazione, ci si aspetta un vecchio continente più disposto a condividere i fardelli. A cominciare dall?impegno in Afghanistan. Sin dalla campagna elettorale Obama, che qualche giorno fa ha deciso l?invio di altri 17mila soldati nel paese, aveva detto che avrebbe chiesto più truppe ai partner europei, da sempre riluttanti. Ora la collaborazione potrebbe essere facilitata dal fatto che Washington sembra avere più bisogno di aiuti economici e di uomini per addestrare la polizia locale che di altri militari. Più soldi verranno chiesti anche per aiuti al Pakistan, la cui stabilizzazione è ritenuta essenziale se si vuole avere qualche possibilità di successo in Afghanistan. Sul fronte economico, dopo che le richieste europee di maggiori consultazioni sul pacchetto di misure per il risanamento e sui piani di salvataggio delle banche sono state lasciate cadere nel silenzio, ieri Hillary ha voluto sottolineare «lo stretto livello di coordinamento e preparazione in vista del summit del G20 di Londra ». Resta però sullo sfondo la più classica delle questioni, quella della difficoltà americana a trovare un interlocutore che parli per tutta l?Europa. Perché se Obama non userà l?arma bushiana del divide et impera, è anche vero che l?Europa è bravissima a dividersi da sola. Per questo, dicono gli analisti, il presidente sarà portato a intessere rapporti più stretti con le nazioni più grandi, dalla Gran Bretagna alla Francia alla Germania (che sono poi le tre nazioni che ha visitato nel suo tour estivo da candidato e in cui ritornerà tra pochi giorni).

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Russia: serve nuovo trattato sul nucleare (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere.it" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

«è il momento di fare dei veri passi avanti, riprendendo il processo globale di disarmo» Russia: serve nuovo trattato sul nucleare Il ministro degli Esteri Lavrov: tutti gli Stati interessati si uniscano contro la minaccia dei missili offensivi Il ministro degli Esteri russo Lavrov (Reuters) GINEVRA - Il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov ha lanciato un appello per il disarmo nucleare. Parlando alla Conferenza Onu a Ginevra, Lavrov ha ribadito l'importanza di concludere un nuovo trattato "Start" con gli Usa, che non limiti solo le testate nucleari ma anche i vettori strategici e che garantisca ai firmatari l'utilizzo dell'energia nucleare per fini civili. Il capo della diplomazia russa ha proposto che tutti gli Stati interessati si uniscano contro la minaccia dei missili offensivi. «È giunto il momento di fare dei veri passi avanti, riprendendo il processo globale di disarmo, per la prima volta dalla fine della guerra fredda abbiamo l'occasione di compiere progressi» ha detto Lavrov, esortando i Paesi presenti a uscire da una «nefasta inerzia». Sulla delicata questione dello scudo antimissili - oggetto di una lettera inviata giorni fa da Obama al presidente Medvedev -, il ministro ha chiaramente detto che «progressi reali nel disarmo nucleare non possono essere compiuti mentre ci sono sforzi unilaterali di sviluppare sistemi anti-missili balistici». LAVROV-CLINTON - Venerdì Lavrov aveva concordato con il suo omologo americano Hillary Clinton di collaborare per arrivare a un nuovo trattato di riduzione delle armi strategiche entro la fine del 2009 ed è stato sottolineato che il dialogo tra i due Paesi deve avvenire tenendo conto del rispetto e degli interessi reciproci. Lavrov e Clinton hanno avuto un «dettagliato scambio di opinioni sulle questioni attuali inerenti i rapporti russo-americani e sulle tematiche internazionali di comune interesse, soprattutto nell'ambito dei preparativi del primo incontro fra i presidenti dei due Paesi, in programma a inizio aprile a margine del summit del G20 di Londra». Fra i temi trattati anche la lotta al terrorismo e alla proliferazione delle armi di distruzione di massa, la soluzione delle crisi regionali a cominciare da Afghanistan e Medioriente. GLI ACCORDI - Gli "Start" (Strategic Arms Reduction Treaty) sono accordi internazionali volti a limitare gli arsenali di distruzione di massa, come le armi nucleari. Il trattato "Start I" fu firmato nel '91 da Stati Uniti e Urss e prevedeva una riduzione del 40% delle testate nucleari. Nel gennaio '93 George Bush senior e Boris Eltsin hanno firmato un'integrazione ("Start II") che prevedeva un'ulteriore riduzione di un quarto degli arsenali. Contestualmente dovevano essere eliminati i missili a testata multipla ma fu evitato di includere i bombardieri strategici. L'accordo scade a dicembre 2009. Nel maggio 2002 Bush jr e Putin hanno poi firmato a Mosca il trattato "Sort" (Trattato per la riduzione delle offese strategiche): le parti si sono impegnate a una riduzione unilaterale indipendente del numero totale delle testate. IL TRATTATO DEL '68 - Il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) è un accordo internazionale sulle armi nucleari che si basa su tre principi: disarmo, non proliferazione e uso pacifico del nucleare. Proibisce agli Stati che non possiedono armi nucleari di procurarsi tali armamenti e agli Stati "nucleari" di fornire loro tecnologie nucleari belliche. Prevede inoltre che il trasferimento di tecnologie nucleari per scopi pacifici avvenga sotto il controllo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Il trattato, sottoscritto da Usa, Regno Unito e Unione Sovietica il 1º luglio 1968, è entrato in vigore il 5 marzo 1970. I firmatari sono 189. Tra i Paesi che possiedono testate nucleari non vi aderiscono Israele, India, Pakistan e Corea del Nord. IL «TEST BAN TREATY» - Esiste infine un trattato per la completa sospensione degli esperimenti nucleari, il CTBT (Comprehensive Test Ban Treaty), il cui testo definitivo, negoziato inizialmente in seno alla Conferenza per il disarmo di Ginevra, è stato aperto alla firma il 24 settembre 1996 a New York e sottoscritto da 71 nazioni dopo essere stato approvato dall'assemblea generale dell'Onu il 10 settembre dello stesso anno su iniziativa dell'Australia. È però previsto che entri in vigore solo alla scadenza del 180° giorno dal deposito dell'ultima ratifica da parte dei 44 Stati riconosciuti con capacità nucleari. Attualmente solo 33 paesi hanno aderito all'accordo. Mancano le ratifiche di Cina, Colombia, Egitto, Indonesia, Iran, Israele, Stati Uniti e Vietnam; Corea del Nord, India e Pakistan non lo hanno neppure sottoscritto. Il numero complessivo delle adesioni è di 176 Stati, 132 hanno anche provveduto alla ratifica. stampa |

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BRIXIA CARGO INVESTE SUL FUTURO (sezione: Globalizzazione)

( da "Bresciaoggi(Abbonati)" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

LA GRANDE SFIDA «BRIXIA CARGO» INVESTE SUL FUTURO PARTE DA MONTICHIARI IL NUOVO CORSO Brixia Züst diventa Brixia Cargo e investe sul futuro. L'azienda specializzata a tutto tondo nel mondo dei trasporti - spedizioni aeree, marittime, ferroviarie e su gomma sulle rotte internazionali - era attiva dal '95 quando era entrata a far parte del gruppo Ambrosetti, uno dei maggiori network mondiali delle spedizioni diventato poi Geodis Züst Ambrosetti. Lo scorso anno Geodis ha separato i rami di attività in Italia - Geodis Immobiliare, Geodis Traffici terrestri, Geodis Wilson - e per Brixia Züst si è aperta l'opportunità di affrontare una grande sfida in proprio. Nasce così Brixia Cargo, nuova denominazione ma inalterate know-how ed esperienza per affrontare competitivamente il mondo del trasporto. Brixia Cargo ha sede a Montichiari dove si trova la struttura di 2.500 metri quadrati coperti servita da un piazzale di 1.500 metri quadrati. Nel 2008 Brixia Züst aveva chiuso l'esercizio con un fatturato di circa seimila euro e da questo riparte Brixia Cargo, con la consapevolezza che un mercato che deve fare i conti con la crisi globalizzata richiederà il massimo impegno per raggiungere gli obiettivi di crescita. Una crescita che passa dall'esperienza e dalla professionalità.

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coldiretti, no al progetto (sezione: Globalizzazione)

( da "Nuova Sardegna, La" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

L'accorpamento Industria-Agricoltura Coldiretti, no al progetto CAGLIARI. La Coldiretti boccia l'ipotesi di un unico assessorato regionale per l'Industria e l'Agricoltura prospettato in questi giorni durante le trattative per la formazione della nuova giunta guidata dal presidente Ugo Cappellacci. «Il settore primario - hanno dichiarato il presidente e il direttore di Coldiretti, Marco Scalas e Luca Saba - sta attraversando un momento drammatico in Sardegna, che rende assolutamente necessario poter contare su un interlocutore politico dedicato». I responsabili dell'organizzazione agricola hanno quindi affermato che «a parte le avversità atmosferiche, c'è da mettere mano subito alla piaga dell'indebitamento, c'è da rivedere la riforma degli enti, quella sui Consorzi di bonifica, c'è da fare una revisione del Programma di sviluppo rurale». In conclusione hanno chiesto «come farà un solo assessore a coordinare anche i 1900 dipendenti delle tre aziende agricole?». Infatti «in un momento di crisi globalizzata dei mercati agricoli sarebbe assurdo perdere autonomia funzionale». L'auspicio di Scalas e Saba è che la «notizia sull'accorpamento sia priva di fondamento, per il bene dell'agricoltura sarda».

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Il commento La crisi: l'alba di... (sezione: Globalizzazione)

( da "Giornale.it, Il" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

n. 58 del 2009-03-08 pagina 1 Il commento La crisi: l'alba di una civiltà nuova di zecca di Max Gallo Quando - e come - usciremo dalla crisi? A fine 2009, si diceva. Ma l'ultima profezia è che «il 2009 sarà terribile». Si parla del 2010, anzi del 2011. Alcuni pensano a una durata da cinque a dieci anni. E ricordano che la crisi del 1929 cominciò a finire solo nel 1938-40 e che non furono i grandi lavori pubblici del New Deal rooseveltiano a strappare gli Stati Uniti alla disoccupazione e alla recessione, ma il balzo dell'industria degli armamenti, quindi la guerra. In realtà le previsioni sono incerte perché non si coglie il fenomeno in toto, essendo incapaci di definirne la natura. Cecità che deriva in parte dal fatto che gli analisti non vedono l'evento che ci opprime sulla lunghissima durata. Va abbandonato il riferimento al 1929 e alle crisi di fine '800. I paragoni vanno fatti coi tramonti delle civiltà, fenomeni di decenni e perfino di un paio di secoli! Del resto la crisi non è più la causa, ma il sintomo. Accade così per la fine dell'Impero romano, quando un intero sistema - economico, politico, culturale - si altera, poi scompare. Ma il processo è proseguito per l'«antichità tardiva», che va ben oltre la data spesso convenuta (476). Nel 600, nel 700, si è ancora in un'antichità tardiva, mentre appariva la feudalità - fondata sulla servitù, la relazione da uomo a uomo, la nascita dei feudi che poi origineranno regni e nazioni. E il «medioevo», con le monarchie, si prolunga fino al XVI secolo. Ma già agiscono mercanti fiorentini e veneziani, fabbricanti, primi banchieri con lettere di credito. Nasce e cresce il capitalismo, strutturando i rapporti umani, realizzando la prima globalizzazione e giungendo all'apogeo alla fine del secolo XIX. E subito scricchiola: prima guerra mondiale (che determinerà la seconda), rivoluzione russa, crisi del '29: questa crisi è la storia del XX secolo. Il terzo millennio è quello della globalizzazione, secondo trionfo apparente (e reale) della civiltà capitalista, mentre la crisi che viviamo segna sia la sua mutazione, sia la sua caduta. E dopo? Chi lo sa? Ma tutti sentiamo che in questo mondo «finito» sta apparendo un'altra civiltà (Internet, ecc.). E presto l'individualismo esasperato, tipico di questo momento storico, sarà inquadrato e regolato. La crisi dell'industria automobilistica potrebbe rispecchiare la fine del sistema: l'auto ha permesso di spostarsi liberamente, è l'espressione della riuscita tecnica e dell'individualismo. Ha organizzato lo spazio urbano, separato l'abitazione dal luogo di lavoro. Ci ha resi padroni dello «spazio-tempo». E poi ecco le crisi del petrolio, quella climatica, gli ingorghi, ecc. Torna il tempo dei radicamenti e soprattutto dei trasporti pubblici! E Internet permette, come le videoconferenze, il lavoro a distanza. Una civiltà declina. La crisi è una delle doglie di questo «parto». Ce ne saranno molte altre. Nell'ultimo mese, 630.000 disoccupati in più! E che cosa sarà quando fallirà la General Motors! (Traduzione di Maurizio Cabona) © SOCIETà EUROPEA DI EDIZIONI SPA - Via G. Negri 4 - 20123 Milano

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<Il protezionismo sarebbe una rovina> (sezione: Globalizzazione)

( da "Eco di Bergamo, L'" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

«Il protezionismo sarebbe una rovina» --> Lo storico inglese: servono regole internazionali, ma manca un Paese attorno al quale costruire il consenso Gli europei impantanati tra un'economia parzialmente globalizzata e un'estensione di norme nazionali Domenica 08 Marzo 2009 SOCIETA, pagina 11 e-mail print Il libro che lo storico inglese Donald Sassoon ha ora in cantiere è un paragone tra due globalizzazioni: quella dal 1850 al 1919 e quella tra il 1950 e il 2010. Si porterà le bozze in Australia, dove dal prossimo autunno sarà visiting professor all'University of Queensland a Brisbane. La mole del nuovo libro promette di essere pari a quella di «La cultura degli europei dal 1800 a oggi», il saggio pubblicato in Italia da Rizzoli che Sassoon ha presentato a Bergamo su invito di Pia Locatelli, eurodeputata e presidente della Fondazione Zaninoni. In comune hanno l'orientamento politico a sinistra. Il professor Sassoon è stato tra i firmatari ebrei dell'appello all'Unione Europea perché fermasse l'attacco israeliano a Gaza e nei giorni della crisi, quando gli studenti del suo college hanno occupato per protesta il Queen Mary, ha espresso sul blog dell'università la sua solidarietà con parole molto chiare: «Condivido il vostro senso di oltraggio per l'ingiustificabile massacro israeliano della popolazione di Gaza». Sassoon, che per motivi biografici e accademici è legato all'Italia, ha firmato anche un appello al Parlamento europeo (lanciato da un blog di ricercatori italiani all'estero, «Energie in fuga») contro la legge, ritenuta ad personam, per l'immunità per le quattro più alte cariche dello Stato italiano. Con lui hanno firmato alcune decine di intellettuali inglesi, tra i quali Sebastian Balfour, emerito della London School of Economics and Political Science, e lo storico Denis Mack Smith. Professor Sassoon, lei è docente di storia europea comparata e se ne va agli antipodi proprio mentre la crisi rischia di mandare in pezzi di nuovo il Vecchio Continente? «L'Europa che abbiamo costruito è un'Europa di Stati-nazione, più oggi di cent'anni fa. Mi son preso la briga di contare gli Stati: nel 1880 erano un ventina, adesso siamo a una cinquantina. C'è stato un aumento notevole, considerato che dal 1945 a oggi si è trattato tutto sommato di un periodo di pace. Quanto all'Unione Europea, non è ancora unita. Siamo 27 più o meno; ci sono cose che facciamo insieme, ma soprattutto cose su cui decidiamo di non competere; il Parlamento europeo non è un vero parlamento. Ci è perfino difficile accettare una Costituzione che, se fosse più corta da leggere, scopriremmo contenere cose che già stanno nelle nostre Costituzioni». Se la situazione non era rosea prima, che succede adesso? «Adesso non lo so. Non siamo stati capaci di prevedere quello che è successo, come possiamo prevedere come uscire da una situazione inimmaginata? Però abbiamo in comune la crisi economica che o spinge tutti a lavorare insieme, o farà andare ognuno per conto suo... Io sto passando dall'ottimismo al pessimismo, perché quanto più lunga è una crisi economica, tanto più profonde saranno le conseguenze politiche. E mi sembra difficile arrivare a un sistema di regole internazionali quando la tentazione di non farlo è forte, perché tutti gli eletti in Europa lo sono a livello nazionale e quindi rispondono all'elettorato del proprio Paese. Sarei già contento se non arrivassimo al protezionismo. Il protezionismo sarebbe una grossa rovina per quasi tutti noi». Ci sono anche le spinte xenofobe che si fanno sentire. «Nei Paesi più ricchi, che dovrebbero essere più stabili, già prima della crisi, un 20% della popolazione si era raccolta intorno a posizioni nazionaliste o francamente razziste di varia natura e intensità. In Francia, Austria, Italia era più visibile, in Gran Bretagna meno, perché il nostro sistema elettorale rende la vita difficile a terze posizioni. Quando ci fosse la disoccupazione di massa, le cose diventerebbero molto, molto serie». Allora la crisi ci farà tornare agli Stati nazionali? «Non è così semplice. Che funzioni devono avere oggi gli Stati? Abbiamo di fronte Stati concreti molto diversi gli uni dagli altri, immersi in modi diversi nel contesto internazionale. Li legano molti accordi formali e informali che riducono la sovranità e tutto quanto va ricompreso nella globalizzazione. Quindi c'è bisogno di un sistema di regole internazionali, ma gli Stati sono diversi e ritengo che in mancanza di un Paese egemone che "tiri", intorno al quale si possa costruire il consenso, e sembra che gli Stati Uniti difficilmente riusciranno a ricostruire l'egemonia che hanno avuto nei trent'anni dopo Bretton Woods, non ci sarà accordo. Gli Stati europei continueranno a giocare le parti di sempre, al massimo aggiustando le loro economie in modi più o meno concertati. Noi europei resteremo probabilmente impantanati tra un'economia parzialmente globalizzata e un'estensione di regole nazionali». Non è una bella prospettiva. E in Italia siamo sull'orlo di tutto. «Io faccio lo storico, guardo al passato che è già abbastanza complicato. Per quanto posso vedere, da storico, l'Italia ha problemi di lungo termine perché ha fatto scelte economiche medie, di tecnologia media. Doveva essere pianificato vent'anni fa, a livello politico, il passaggio a un sistema industriale diverso. Non è stato fatto, verrà pagato. L'Italia ha perso molte occasioni e, d'altra parte molte ne ha colte, se pensiamo al Paese nel dopoguerra, quando esportava lavoratori». Adesso esporta cervelli... «Esporta cervelli perché non si è riusciti a fare la transizione puntando su un tipo di sviluppo collegato all'università, alla ricerca. Noi inglesi siamo beneficiari di questa situazione disastrosa della scienza italiana, perché siamo pieni di ricercatori italiani bravissimi, molto competenti, che stanno nei nostri laboratori e nelle nostre università». La globalizzazione è anche della cultura: il libro che ha presentato alla Fondazione Zaninoni si occupa di mercato e consumo, di cultura come prodotto da acquistare e vendere. «Mi interessava studiare i mercati culturali, quello che gli europei hanno consumato, il rapporto tra la cultura e i meccanismi tecnologici di accesso e uso della cultura. Nell'Ottocento l'Italia esportava l'opera. Da Verdi a Puccini, se si guardano i libretti, si scopre che partivano tutti con un'opera ambientata in Italia e poi si spostavano su storie localizzate in Francia, in Scozia... Puccini arriva in America con La fanciulla del West e nel Pacifico con la Butterfly. Cioè già allora si cercava di allargare il mercato con prodotti ad hoc». Cosa ha cambiato la tecnologia? «Tanto. Ha messo a disposizione il prodotto culturale indipendentemente dal tempo e dal luogo. Il fonografo, il cinema rendono la fruizione dell'opera indipendente dalla presenza dello spettatore al concerto o a teatro in quell'unica sera». E i prezzi? «Il problema del prezzo della cultura è rimasto a lungo. Anche per i libri. Prendiamo Walter Scott che era un best seller internazionale, un mito editoriale per Manzoni, Puskin, Balzac... Dai suoi libri han tirato fuori 92 opere liriche, come dire decine di film oggi... Era popolarissimo. Nel 1815 un suo libro costava una sterlina e mezzo. Un buon artigiano guadagnava tre quarti di sterlina alla settimana. Un domestico, dieci sterline l'anno. Tutta gente che sapeva leggere ma non poteva certo permettersi di comperare libri. Allora la tecnologia crea il libro diviso in tomi, in fascicoli-capitolo. Il libro girava a pezzi, più lettori lo leggevano contemporaneamente, si prestavano a vicenda i fascicoli. Ogni pezzo doveva incoraggiare ad acquistare il capitolo successivo, perciò doveva avere un cliff hanger, un punto in cui qualcuno stava «appeso alla scogliera», stava in una posizione rischiosa in senso proprio o metaforico, per spingere i lettori ad andare avanti. Tipo serial televisivo. Meccanismi di mercato che abbiamo anche ora». Il ruolo della cultura in Europa quale può essere ora? «La cultura non avrà nessun ruolo per tirarci fuori dai pasticci economici, se vuol dire questo. Ha però un ruolo come mercato possibile, parlo evidentemente di prodotti di cultura di massa, anche gli Stati deboli possono fare cultura e ogni cittadino è abituato a godere di moltissimi prodotti culturali, basta guardarsi in giro in metropolitana, quello che la gente legge, ascolta, naviga è molto vario». Se c'è produzione culturale, c'è anche acquisto. Può passare qualche idea che riesca a far sentire gli europei più uniti in quanto europei? «Mah, agli europei piace la loro cultura nazionale e quella americana. Nei Paesi bilingui c'è il collante linguistico dell'inglese, per esempio nei Paesi scandinavi. Bisognerebbe considerare anche questo, la parte francofona d'Europa legge le stesse cose. In Inghilterra abbiamo la nostra telenovela, very english, incomprensibile a chi non vive in Gran Bretagna. É una strategia per tener fuori molte cose americane: la cultura popolare vera non è esportabile, perché risente troppo del contesto. Si esporta il gusto medio: nel XIX secolo l'export di fiction era francese e inglese, di musica tedesco e di opera italiano. Nel XIX secolo gli americani non esportavano cultura. Gli italiani hanno esportato Pinocchio, la Danimarca Andersen, i russi esistono solo negli ultimi trent'anni dell'Ottocento e arrivano in traduzione francese». E il mercato pubblicitario? «Un mercato diverso, partito negli Usa con i giornali perché funziona dove ci sono abbastanza lettori e per di più interessati a un incontro domanda-offerta. La grandezza del Paese e l'unità linguistica hanno permesso agli Stati Uniti di utilizzare subito la pubblicità anche per la radio, e poi per la tv, mentre i piccoli Stati europei, non avendo un mercato potenziale abbastanza ampio per ripagarsi dei costi di produzione delle trasmissioni radio, hanno dovuto statalizzare le loro aziende di produzione culturale via etere e la privatizzazione è avvenuta molto più tardi. Alla base c'è sempre un meccanismo di mercato, come rendere il costo del prodotto culturale accettabile per l'utente». Dal concerto all'iPod, come si regola il mercato globale della cultura? «Il problema della proprietà intellettuale è stato posto già nella Venezia del '500 che tutelava le innovazioni tecnico-scientifiche e poi nell'Inghilterra della rivoluzione industriale, con lo statuto della regina Anna che, giusto trecento anni fa, nel 1709, riconosceva il diritto d'autore. Nella musica la tutela della proprietà intellettuale è diventata una bella sfida a partire dall'invenzione del registratore. Invece il fonografo, che ha reso riproducibile la musica, e il disco sono stati la manna di autori ed editori. Alla morte del tenore Caruso, due dei tre milioni di sterline del suo patrimonio, erano stati guadagnati con le royalties sui dischi. L'iPod ha reso tutto inutile. Difficile dire cosa accadrà. Bisognerebbe forse passare dal concetto di possesso della musica a quello d'uso». Tutta questa cultura in circolazione, avvicina le persone? «A metà Ottocento se due artigiani, italiano e francese, si incontravano, in comune avevano solo la religione cattolica. Conoscevano cose diverse, non avevano esperienze comuni. Oggi, quando la gente si incontra, ha in comune molta musica, molta tv. Ma consumare la stessa cultura non vuol dire che non ci si scannerà in futuro, le guerre civili continuano a esistere, anche in Europa. La cultura non risolve niente. Dà piacere, soddisfazione, ma non direi che di per sé risolva problemi politici o garantisca la democrazia. E non penso nemmeno che a leggere si diventi più buoni». La cultura non migliora l'etica? «Direi di no. L'esempio dei comandanti nazisti che ascoltavano Mozart, vale sempre». Susanna Pesenti 08/03/2009 nascosto-->

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LA RESTRIZIONE del credito ormai in atto da tempo, congiuntamente a una crisi glo... (sezione: Globalizzazione)

( da "Giorno, Il (Lodi)" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

VETRINA pag. 1 LA RESTRIZIONE del credito ormai in atto da tempo, congiuntamente a una crisi glo... LA RESTRIZIONE del credito ormai in atto da tempo, congiuntamente a una crisi globalizzata nata guarda caso dalla finanza, sta affossando sempre più anche l'economia del nostro territorio. In questo quadro a tinte purtroppo sempre più fosche almeno per le micro e piccole imprese, si inserisce l'operato dei Confidi e l'intervento delle istituzioni.Per quanto riguarda gli Organismi di garanzia collettiva o più semplicemente Confidi, il cui compito è quello di dare garanzie al sistema del credito al fine di favorire l'accesso alle fonti di finanziamento alle imprese associate, essi rappresentano ora più che mai la «chiave di volta» tra banche e imprese. Se poi, come nel caso di Artfidi Lombardia (che ha già avanzato richiesta in merito) verrano iscritti all'art.107 del Testo Unico Bancario, diverrano anche strumenti di uteriore ponderazione degli accantonamenti obbligatori previsti da ciò che si chiama «Basilea 2» e che sta all'origine di molti mali delle imprese minori... *Responsabile Artfidi Lombardia Unione territoriale di Lodi

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L'AMMINISTRAZIONE comunale ha varato tre progetti per la riduzione dei rifiu... (sezione: Globalizzazione)

( da "Nazione, La (Pistoia)" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

CRONACA PISTOIA pag. 8 L'AMMINISTRAZIONE comunale ha varato tre progetti per la riduzione dei rifiu... L'AMMINISTRAZIONE comunale ha varato tre progetti per la riduzione dei rifiuti di plastica prodotti nelle scuole. Ciò sarà possibile grazie al riuso di contenitori per i prodotti di pulizia, all'utilizzo di acqua potabile dell'acquedotto al posto di quella imbottigliata e alle stoviglie in plastica resistente in sostituzione di quelle usa e getta. «Teniamo molto a questi progetti - sottolinea l'assessore all'educazione Rosanna Moroni - perché crediamo che educare i bambini al rispetto e alla salvaguardia dell'ambiente rappresenti un investimento fondamentale per il futuro». Kit per il pranzo al posto delle stoviglie usa e getta. L'iniziativa partirà in via sperimentale nelle prossime settimane nelle scuole elementare e media dell'istituto comprensivo Raffaello, coinvolgendo 330 ragazzi. Il Comune ha già acquistato un kit per il pranzo dei bimbi a scuola composto da due piatti (uno pari e uno fondo), un bicchiere e le posate, tutto sistemato in un contenitore. Il materiale è in plastica resistente lavabile a mano e in lavastoviglie. Non appena il fornitore consegnerà piatti e bicchieri al Comune, saranno dati gratuitamente ai bambini, i quali ogni giorno dovranno portarli a casa per essere lavati. Con questo progetto, oltre a ridurre il "consumo" di plastica, il Comune risparmierà all'anno circa 9.000 euro. L'altra iniziativa riguarda i contenitori ricaricabili per i prodotti di pulizia nelle scuole. Dalla prossima settimana gli addetti alle pulizie ricaricheranno i prodotti per pulizia di pavimenti, vetri e stoviglie, direttamente nei magazzini comunali. Così si otterranno due risultati: la diminuzione del consumo di plastica e l'utilizzo di prodotti a basso impatto ambientale. Bere a scuola. Attualmente tutte le mense scolastiche comunali utilizzano acqua in bottiglie di plastica da un litro e mezzo. L'idea è di andare a sperimentare, a partire dal prossimo anno scolastico in quattro scuole del territorio (asilo nido Lago Mago, scuola dell'infanzia Parco Drago, scuola primaria Galilei e scuola secondaria Cino da Pistoia), l'uso dell'acqua del rubinetto al posto di quella imbottigliata. Il progetto prevede la sistemazione di nuove reti per l'acqua potabile in multistrato, per garantirne la qualità. In pratica l'acqua da bere arriverà direttamente dall'acquedotto, bypassando i depositi esistenti in alcune scuole. «Vogliamo far scoprire ai cittadini che non lo sanno sottolinea l'assessore all'ambiente Mario Tuci che l'acqua del rubinetto è buona e costantemente controllata. E' importante saperlo perché se da ora in poi iniziamo a bere l'acqua dell'acquedotto si avrà un'importante diminuzione di rifiuti di plastica e conseguentemente si abbasserà il livello di inquinamento causato da questo materiale».

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Le crisi hanno sempre qualcosa da insegnare. Se il 1929 ci ha insegnato che il mercato non è in... (sezione: Globalizzazione)

( da "Messaggero, Il" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

Domenica 08 Marzo 2009 Chiudi Le crisi hanno sempre qualcosa da insegnare. Se il 1929 ci ha insegnato che il mercato non è in grado di autoregolarsi (poi ce ne siamo dimenticati) quella attuale, probabilmente, ci lascerà una maggiore attenzione a quei segnali d'allarme che si è voluto trascurare a favore di un'euforia da profitto e di un ottimismo di maniera, che si sono rivelati letali. Perché è vero - come sostiene, per esempio, il vicedirettore generale della Banca d'Italia, Ignazio Visco - che i prodromi della crisi erano sotto gli occhi di tutti, ma sono stati sottostimati, complici previsioni statistiche non del tutto affidabili, "antiche" e rozze come sono rispetto alla "modernità" di una crisi senza precedenti. Eppure, i problemi erano evidenti: nel caso degli Stati Uniti, un'economia e una "way of life" spinte totalmente sul versante del debito, con un "reddito garantito" dalla capacità di acquistare bond pubblici da parte di paesi emergenti come la Cina e una politica monetaria espansiva durata troppo a lungo, insieme alla mancanza di trasparenza e regolamentazione su strumenti finanziari rischiosi e sfuggenti come derivati e affini. E sul fronte italiano? Anche da noi si sono commessi clamorosi errori di valutazione. In particolare ci si è cullati nella grande illusione secondo cui la crisi sarebbe stata un fenomeno internazionale di fronte al quale "siamo tutti uguali". Eppure le statistiche, pur rozze, parlavano chiaro: sarebbe bastato guardare quelle degli ultimi anni per rendersi conto che l'Italia, per dirla con Charles Collyns del Fondo Monetario, è entrata nella crisi "da una posizione già di estrema debolezza". Osservando gli ultimi 15 anni, infatti, era evidente che il nostro pil continuava ad accumulare un gap sia rispetto alla Ue che agli Usa (rispettivamente uno e quasi due punti e mezzo di meno all'anno). Così, oggi, non dovrebbero stupire i dati Eurostat relativi al biennio 2007-2008. Dai quali si evince chiaramente che l'Italia ha continuato a perdere posizioni, sia rispetto al passato e sia nei confronti dei suoi competitor. Infatti, il pil dell'Eurozona è cresciuto del 2,6% nel 2007 e dello 0,8% nel 2008, mentre gli Stati Uniti hanno segnato una performance pari a +2% (2007) e +1,1% (2008). Se si confrontano questi dati con quelli italiani ormai definitivi (+1,5% nel 2007 e -1% nel 2008), emergono tre elementi. Primo: l'Italia da un anno all'altro ha registrato il tonfo peggiore di tutti i suoi "rivali", pari a una perdita di 2,5 punti di pil, contro 1,8 punti dell'area euro e 0,9 punti degli Usa. Secondo: a livello di benchmark europeo, si scopre come l'Italia continui ad aumentare il gap verso i suoi principali "concorrenti". Nel 2007, infatti, ha segnato 1,1 punti di minor crescita con Eurolandia (nella media degli ultimi tre lustri), mentre nel 2008 la forbice sale a 1,8 punti, segnando una performance negativa del 60% circa. Terzo: il raffronto con gli Usa, che pure sono l'epicentro della crisi, è ancora più devastante, perché il differenziale di 0,5% del 2007 sale a 2,1 nel 2008, più che quadruplicandosi. Sono dati che nella loro drammaticità non hanno però nulla di emergenziale, ma rappresentano la logica continuazione di un trend più che consolidato. Solo che è mancato il coraggio di fare una diagnosi conseguente, e dunque di adottare una cura appropriata. Ma per imparare non è mai troppo tardi. (www.enricocisnetto.it)

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E l'anti-Obama <re di Las Vegas> rischia la bancarotta (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere della Sera" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2009-03-08 num: - pag: 6 categoria: REDAZIONALE Classifiche Proprietario di storici casinò, figlio di un tassista ebreo lituano, è in testa alla graduatoria di «Forbes» sui ricchi più colpiti dalla crisi E l'anti-Obama «re di Las Vegas» rischia la bancarotta Sheldon Adelson, repubblicano radicale, ha perduto il 95% del suo patrimonio di 27 miliardi di dollari SEGUE DALLA PRIMA «Voglio fare una ricerca e istituire un premio per la città più noiosa. Magari viene fuori che è Chicago». Circondato ancora da una vastissima popolarità, trattato con rispetto anche dai politici e dalle lobby che lo contrastano, il presidente americano non aveva fin qui subito attacchi di questa durezza. Tantomeno da un grande imprenditore come Sheldon Adelson, il re dei casinò di Las Vegas, uno che fino a un anno fa si faceva chiamare Sheldon III: non per motivi dinastici, ma perché a fine 2007 Forbes l'aveva incoronato terzo uomo più ricco d'America, con un patrimonio personale di 27 miliardi di dollari. Ma oggi Adelson è un uomo furioso e disperato: in poco più di un anno il figlio di un tassista ebreo lituano che 63 anni fa, quando ne aveva appena 12, cominciò a guadagnarsi da vivere a Boston vendendo giornali, è passato da una ricchezza spropositata alla distruzione del 95 per cento del suo patrimonio. E ora rischia la bancarotta. Con l'impennata dei prezzi dei carburanti prima e con la crisi finanziaria poi, gli americani hanno ridotto i loro pellegrinaggi a Las Vegas. Un guaio doppio per Adelson che non solo aveva costruito giganti come il "Palazzo" e il "Venetian" - 4000 suite e 19 ristoranti - ormai difficilissimi da riempire, ma aveva inventato il business delle "convention" aziendali e delle fiere, come quella dell'elettronica che si tiene in gennaio. Il crollo del sistema creditizio ha fatto precipitare soprattutto questo business. E le poche banche che, rispettando vecchi impegni, avevano continuato a ricompensare i loro "broker" e i funzionari più produttivi con una vacanza a Las Vegas, hanno fatto marcia indietro dopo le scudisciate del leader democratico. Adelson non ci ha pensato due volte e ha attaccato a testa bassa. Del resto lui, oltre ad essere un imprenditore in difficoltà, è pure un repubblicano a trazione integrale: uno impegnato nella difficile impresa di spostare più a destra l'Aipac, la lobby degli ebrei americani che ha un'enorme influenza sulla Casa Bianca. Oggi Sheldon se la prende con Obama con la stessa durezza con la quale l'anno scorso aveva attaccato Olmert perché aveva aperto alla costituzione di uno Stato palestinese indipendente. Col predecessore di Obama Adelson aveva una rapporto talmente familiare da prendersi qualche libertà di troppo. Un anno fa era andato alla Casa Bianca per invitare Bush a diffidare dell'eccessiva disinvoltura con cui, a suo avviso, l'allora Segretario di Stato Condoleezza Rice si muoveva in Medio Oriente («sta costruendo la sua immagine, non si preoccupa della coerenza della tua politica»). Alla fine raccontò che Bush lo aveva abbracciato ma gli aveva spiegato che non poteva opporsi al doppio Stato perché «non posso pretendere di essere più cattolico del Papa» (frase ufficialmente smentita dalla Casa Bianca). Adelson non ha mai tentato, neanche tatticamente, il dialogo coi democratici. E nemmeno loro hanno mai provato ad avvicinare un miliardario divenuto celebre per frasi come «l'Islam radicale e la legge che dà ai sindacati piena libertà di accesso nelle aziende sono le due principali minacce che pesano sulla nostra società ». Ma il padrone del gruppo Sands ha ugualmente considerato le parole del presidente su Las Vegas un affronto, oltre che un colpo mortale al suo "business", perché Adelson si considera, in fondo, un benefattore: uno che ha creato decine di migliaia di posti di lavoro. Certo, il gioco d'azzardo non è un modello di crescita virtuosa della società, ma Obama durante la campagna elettorale non aveva mostrato di disprezzarlo troppo, quando era andato a battere Hillary Clinton nei caucus del Nevada, tenuti proprio nei casinò. Sheldon - un uomo pieno di energia nonostante i 75 anni e una malattia che ha colpito nervi e muscoli, costringendolo su una sedia a rotelle - schiuma rabbia: aveva conquistato il suo sterminato impero con le unghie, è stato per decenni un super-ricco che nonostante i miliardi e il "jumbo jet", un Boeing 747 lungo 70 metri usato come aereo personale, ha avuto sempre il "complesso di Calimero": la sensazione di non essere mai preso abbastanza sul serio, di essere maltrattato, come nella sua infanzia a Boston, dove «noi ragazzi ebrei venivamo sistematicamente picchiati dai nostri coetanei irlandesi». La sua rivincita era stata quella di aver affiancato Warren Buffett e Bill Gates in cima alla classifica dei miliardari, di essere diventato il grande finanziatore della lobby ebraica, addirittura di aver avuto un ruolo nella disputa delle Olimpiadi del 2008 a Pechino: fu, infatti, proprio lui, l'imprenditore che sta costruendo una nuova Las Vegas a Macao, ad aiutare il governo cinese ad evitare che il Congresso Usa lanciasse un'offensiva contro l'assegnazione dei Giochi a un Paese responsabile di gravi violazioni dei diritti umani. I democratici avevano presentato una risoluzione in questo senso, ma Adelson attivò il suo amico Tom DeLay, allora capo della maggioranza repubblicana: il veto alla Cina finì in un cestino. Ma successi e gloria sono svaniti nell'arco di pochi mesi: adesso Adelson capeggia un'altra classifica della rivista "Forbes": quella dei miliardari che hanno perso di più nel 2008. In dodici mesi ben 24 miliardi di dollari dal suo patrimonio sono andati in fumo. Segue, al secondo posto, Warren Buffett, che ha perso 16,5 miliardi. L'azione della Sands (la sua holding ha mantenuto il nome del primo casinò da lui acquistato, quello in cui si esibiva Frank Sinatra) che nel 2007 era arrivata a quotare 144 dollari, ora a Wall Street vale meno di due dollari. Sull'orlo della bancarotta, Adelson si sente abbandonato e anche disprezzato, mentre gli altri settori in crisi vengono aiutati. «Eppure - contrattacca - a Chicago (la città di Obama) ci sono nove casinò. Lì, però, le "convention" si possono fare, ci si annoia abbastanza. A meno che - Dio non voglia - a qualcuno non venga in mente di andare a divertirsi in una casa gioco. Ma l'importante è che i dollari pubblici non arrivino fino a Las Vegas. Eppure il gioco d'azzardo è legale in 30 Stati Usa». E così, anche se rischia la bancarotta e se è stato costretto a sospendere la costruzione di nuovi alberghi a Las Vegas e in Cina, Adelson adesso vuole dimostrare il suo "impegno sociale" andando avanti col nuovo Sands di Bethlehem, in Pennsylvania, antica città siderurgica diventata una città fantasma. Il nuovo casinò aprirà il 22 maggio proprio nei capannoni della vecchia acciaieria: 3000 "slot machine" al posto del treno di laminazione. Massimo Gaggi Roulette d'acciaio Anche se rischia la bancarotta Adelson sta per inaugurare un casinò in Pennsylvania, nei capannoni di una vecchia acciaieria: 3000 «slot machine» al posto del treno di laminazione Venezia in Nevada Sheldon Adelson e il «Venetian» di Las Vegas, un casinò del suo gruppo Las Vegas Sands Corp

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Blitz contro la pedofilia on line Perquisiti anche tre fiorentini (sezione: Globalizzazione)

( da "Nazione, La (Firenze)" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

24 ORE FIRENZE pag. 15 Blitz contro la pedofilia on line Perquisiti anche tre fiorentini NELLA RETE DELLA POLIZIA POSTALE UN ADULTO E DUE RAGAZZI DI 16 4 14 ANNI SONO 37 le persone finite nel registro degli indagati nell'ambito dell'operazione della Polizia postale di Catania contro un giro di pedo-pornografia on-line che ha portato a controlli e perquisizioni in varie città d'Italia, anche a Firenze, in casa di un ragazzo di 14 anni e di uno di 16, oltre che nell'abitazione di un adulto. Due giorni fa la Polizia Postale di Firenze ha fatto scattare i controlli sulla base di delega d'indagine e si è presentata a casa di tre fiorentini e un grossetano. Le verifiche sui computer sono state, come sempre, molto meticolose e per quanto riguarda lo stralcio fiorentino della maxi-inchiesta, rassicuranti. Delle tre perquisizioni fiorentine una è stata effettuata a una persona adulta: non è stato trovato niente di compromettente dal punto di vista pedopornografico. Due a carico di minorenni, un quattordicenne e un sedicenne. Quest'ultimo è risultato pulito' nel senso che nella memoria del suo pc non sono state trovate immagini o filmini vietati'. L'unico al quale è stato sequetrato qualcosa è il più giovane degli indagati, il quattordicenne: nel suo computer è stata trovata una sola immagine di una minorenne nuda. La persona raffigurata in foto, scaricata dalla rete, ha comunque all'incirca l'età del ragazzo curioso'. Non sembrano dunque pedofili incalliti e in questo senso gli esperti della Polposta di Firenze hanno inviato gli atti alla procura di Catania. Nel corso dell'inchiesta a carattere nazionale, la Polizia ha sequestrato diversi file, tra foto e video, contenuti in personal computer, tutti condivisi on-line tramite il programma di file sharing' Limewire: le perquisizioni sono scattate grazie alla recente legge contro il cyber crime. Per tutti l'accusa è divulgazione di materiale pornografico minorile. La polizia postale ha eseguito perquisizioni domiciliari in 29 città italiane. La Procura di Catania ha autorizzato attività sotto copertura di agenti della polizia postale che si sono finti pedofili e hanno scoperto filmati pedo-pornografici. L'inchiesta è partita da una segnalazione dell'associazione Meter di don Fortunato Di Noto. L'allarme arriva dal Rapporto 2008 elaborato appunto da un gruppo di esperti di Meter, che insieme al sacerdote siciliano collaborano per la segnalazione alla polizia postale e delle comunicazioni di tutti i portali sospetti e dei siti palesemente a carattere pedopornografico. Meter e don Di Noto, dal 2002 al 2008 hanno segnalato 44.050 siti e riferimenti pedofili a tutte le polizie del mondo, facendo scaturire importanti operazioni con arresti e indagati. Sulle 2.850 segnalazioni del 2008 i server dei siti internet sono localizzati in Usa (32%); Russia (30%); Olanda (7%); Inghilterra (6%) Cina e Germania (4%); Polonia (3%), Italia, Spagna, Francia, Belgio, Austria, Svezia, Liechtenstein, Giappone, Corea del Sud, Turchia (2%), Israele (1%), Svizzera (1%), Iran (1%), Iraq (1%). am ag

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Julia (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere della Sera" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Spettacoli - data: 2009-03-08 num: - pag: 39 categoria: REDAZIONALE «Duplicity» In coppia con Clive Owen la diva ancora protagonista è la sua sfida al box office americano Julia (la spia) Un ruolo alla Matt Damon per il ritorno della Roberts con un intrigo internazionale NEW York — Proprio quando il cinema americano sembrava aver trovato una nuova fidanzata per tutta la platea in Anne Hathaway — anche lei con un sorriso a troppi denti — ecco riapparire, dopo due gemelli, l'altro figlio e la solita smagliante dentatura, la «pretty woman» Julia Roberts, regina della commedia romantica hollywoodiana. è un'attrice, però, capace anche di vincere un Oscar con Erin Brockovich e questa volta si è data in prestito — per il suo atteso ritorno con in una produzione degli studios — a una delle tante storie di intrighi e avventure economico-parapolitiche «globalizzate », che chiamano in causa trafficanti, agenti o ex agenti della Cia, capitalisti corrotti e avventurieri solitari alla pulp fiction con toni alla Philip Marlowe, spesso in cerca di un'anima gemella. Superati i quarant'anni, Julia, diva dall'alto cachet, dovrà dimostrare in Duplicity (come ha fatto Meryl Streep in Mamma Mia!) di saper reggere il box office con un thriller girato in mezzo mondo, farcito di spie doppiogiochiste, lenzuola e notti calde al ritmo di «Besame Mucho» di Daniel May. Ossia di riuscire, con incassi mondiali, ad essere ancora una top star e di poter fare concorrenza, in eleganti abiti firmati e mature curve sinuose (ben diversa, insomma, dai suoi fine Anni '80 con Mystic Pizza e Steel Magnolia/ Fiori d'acciaio) ai colleghi maschi tipo Matt Damon, star incontrastata di film simili, ma più complessi, si pensi a The Bourne Identity. Nel caso della pellicola diretta da Tony Gilroy (guarda caso, proprio l' autore della trilogia di Bourne), Julia è affiancata da Clive Owen, protagonista con il quale rivela sempre sullo schermo una riuscita alchimia di suspense e sensualità: basta ricordare Closer di Mike Nichols. Lei, ormai anche produttrice in proprio di piccoli e coraggiosi film, sembra sapere il fatto suo e, già impegnata in un'altra pellicola «al femminile» che da anni tentava di realizzare,su un gruppo di donne che formarono un circolo di sferruzzanti donzelle a New York come racconta il best seller di Kathleen Jacobs, si mostra certa che sarà un ritorno in grande stile. «Sono molto occupata — tiene subito a precisare — proprio come altre colleghe, e mi riferisco per esempio a Drew Barrymore, anche sul fronte produttivo dei tv movie oltre che per il grande schermo. Tra i miei più forti interessi c'è quello di scoprire nuovi e voglio portare questo sforzo anche al cinema». Come in Michael Collins (1996) e nella serie di Ocean's, Julia è a suo agio nei film d'intrighi maschili: questa volta è comprimaria e gioca, con il nome di Claire Stenwick, una partita spionistico-industriale intrecciata a una forte attrazione fisica per un altro agente dagli svariati traffici, Ray Koval (Clive Owen , appunto) che dovrebbe essere un suo rivale, ma con il quale finisce per essere travolta da una liaison clandestina. Il regista è convinto che la miscela di toni romantico-avventurosi sia una carta vincente da sempre nel cinema americano che la società globalizzata si presti perfettamente ai nuovi gialli, in bilico tra spionaggio e business. «Dove sta la verità oggi? — si interroga Julia —. Forse si annida nella stabilità che ognuno riesce a dare al proprio privato. Il passaggio dalla Cia a un'impresa in proprio, il connubio non semplice tra due ego ambiziosi prestati al servizio degli interessi di corporation farmaceutiche costituiscono il plot di una storia che per me ha diversi significati, anche la ricerca di un'onestà personale nella società tra New York, Roma o Zurigo, Londra, Miami... insomma ovunque. E' interessante scavare con un film dietro gli intrecci del mondo attuale. Il cinema può farlo, può generare dibattiti». Riuscirà Julia a comporre con Clive una coppia glamour capace di riportare alla platea i sogni e le tensioni di una volta? Sono lontanissimi i fasti di Lauren Bacall e Humphrey Bogart, di Cary Grant e Grace Kelly (i preferiti dalla stessa Roberts. «Mi è sempre piaciuto fare coppia con qualche attore, penso a Brad Pitt, a George Clooney, a Liam Neeson e, ovviamente, a Richard Gere. Oggi il cinema ha bisogno di forti alleanze, lo star system non esiste più, polverizzato da tante cose, dai canali televisivi... Però l'idea di una Pretty Woman continua a far sognare tante generazioni, Erin Brockovich è diventato il simbolo di chi si impegna nella lotta per l'ambiente. Il cinema, in fondo, è diventato un reality show al quale io chiedo lo stile della vecchia Hollywood e non volgarità. In questo senso, lo ammetto, voglio essere una star». Giovanna Grassi \\ E' interessante scavare con un film dietro gli intrecci del mondo attuale. Il cinema può farlo, può anche servire a generare dibattiti 41 anni Julia Roberts, 41 anni, torna al cinema con il film «Duplicity», thriller diretto da Tony Gilroy in cui l'attrice è una specie di spia Suo rivale nella pellicola, Clive Owen (con lei in alto a sinistra): i due finiranno però per innamorarsi C'è anche Andrea Un piccolo ruolo anche per Andrea OsvÁrt, qui con Owen

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banca etica compie dieci anni scommessa vinta (sezione: Globalizzazione)

( da "Mattino di Padova, Il" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

Intervista con Mario Crosta Banca Etica compie dieci anni Scommessa vinta PADOVA. Cosa ha creato la disfatta della finanza globalizzata? Una sintesi la troviamo in una parola: l'avidità. Avidità di manager che, per arricchire i conti della banca e propri, hanno fatto ricorso con eccessiva disinvoltura a ogni ingegneria finanziaria. E poi c'è Banca Etica, 30 mila soci per il 77% Onlus, che festeggia oggi il decennale. Ne abbiamo parlato con il direttore Mario Crosta (nella foto). PERTILE ALLE PAGINE 22 E 23

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La mamma la chiamava la macchina parlante , un mobile grammofono pezzo unico e raro... (sezione: Globalizzazione)

( da "Stampa, La" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

La mamma la chiamava «la macchina parlante», un mobile grammofono «pezzo unico e raro proveniente dagli Usa». Ora Filippo di Alessandria chiede notizie e stima. Questo in sintesi, per motivi di spazio. Spiega il prof. Ferdinando Viglieno Cossalino: «Per rispondere in modo corretto ecco alcune notizie storiche. "La macchina parlante" o grammofono fu lanciato sul mercato nel 1906 dalla Victor Talking Machine Company del New-Jersey, Usa, sotto forma di mobile da salotto a scomparti. A differenza degli altri grammofoni dell'epoca, incorporava all'interno del mobile il conoamplificatore della voce nascosto da 2 antine in legno; nello scomparto superiore c'erano il piatto e il braccio. Quello inferiore fungeva da piccola libreria per dischi a 78 giri e la manovella per la carica era sul lato. Costava all'epoca ben 200 dollari, un prezzo elevatissimo, ma andò a ruba e entrò in moltissime famiglie americane. «Molto apprezzato il logo di questo prodotto che raffigura un cane (un Jack Russell Terrier) di nome Wipper intento ad ascoltare i suoni che provengono dalla tromba. Si narra che il primo collaudo di questo meccanismo in azienda fu fatto dal proprietario del cane che incise alcune parole; durante la prova si dice che il cane si sia accostato alla tromba del grammofono per ascoltare «la voce del padrone» ("His master's voice"). Questo episodio fu adottato come slogan e, tradotto in diverse lingue, diventò famosissimo (anche in Italia). «L'idea della macchina parlante fu di un americano di origine tedesca, Emil Berliner, che nel 1888 vendette il sistema alla Victor che lo brevettò. La Victor ideò poi il mobile per il grammofono, in diversi stili e colori adatti alle tradizioni e culture di popoli diversi; infatti furono inviati in tutto il mondo. «Per la Cina e il Giappone fu ideato il modello laccato e istoriato con soggetti a cineserie di cui uno è di proprietà del nostro lettore. Vi è un buon collezionismo di questo tipo di grammofoni e il loro valore, secondo le condizioni in cui si trovano, varia tra i 5 e i 10 mila euro. Attenzione ai tanti bei falsi realizzati proprio per il centenario del grammofono».

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Julia (la spia), il ritorno con un intrigo internazionale (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere.it" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

«Duplicity» In coppia con Clive Owen la diva ancora protagonista Julia (la spia) Un ruolo alla Matt Damon per il ritorno della Roberts con un intrigo internazionale NEW YORK Proprio quando il cinema americano sembrava aver trovato una nuova fidanzata per tutta la platea in Anne Hathaway anche lei con un sorriso a troppi denti ecco riapparire, dopo due gemelli, l'altro figlio e la solita smagliante dentatura, la «pretty woman» Julia Roberts, regina della commedia romantica hollywoodiana. È un'attrice, però, capace anche di vincere un Oscar con Erin Brockovich e questa volta si è data in prestito per il suo atteso ritorno con in una produzione degli studios a una delle tante storie di intrighi e avventure economico-parapolitiche «globalizzate », che chiamano in causa trafficanti, agenti o ex agenti della Cia, capitalisti corrotti e avventurieri solitari alla pulp fiction con toni alla Philip Marlowe, spesso in cerca di un'anima gemella. Superati i quarant'anni, Julia, diva dall'alto cachet, dovrà dimostrare in Duplicity (come ha fatto Meryl Streep in Mamma Mia!) di saper reggere il box office con un thriller girato in mezzo mondo, farcito di spie doppiogiochiste, lenzuola e notti calde al ritmo di «Besame Mucho» di Daniel May. Ossia di riuscire, con incassi mondiali, ad essere ancora una top star e di poter fare concorrenza, in eleganti abiti firmati e mature curve sinuose (ben diversa, insomma, dai suoi fine Anni '80 con Mystic Pizza e Steel Magnolia/ Fiori d'acciaio) ai colleghi maschi tipo Matt Damon, star incontrastata di film simili, ma più complessi, si pensi a The Bourne Identity. Nel caso della pellicola diretta da Tony Gilroy (guarda caso, proprio l' autore della trilogia di Bourne), Julia è affiancata da Clive Owen, protagonista con il quale rivela sempre sullo schermo una riuscita alchimia di suspense e sensualità: basta ricordare Closer di Mike Nichols. Lei, ormai anche produttrice in proprio di piccoli e coraggiosi film, sembra sapere il fatto suo e, già impegnata in un'altra pellicola «al femminile» che da anni tentava di realizzare,su un gruppo di donne che formarono un circolo di sferruzzanti donzelle a New York come racconta il best seller di Kathleen Jacobs, si mostra certa che sarà un ritorno in grande stile. «Sono molto occupata tiene subito a precisare proprio come altre colleghe, e mi riferisco per esempio a Drew Barrymore, anche sul fronte produttivo dei tv movie oltre che per il grande schermo. Tra i miei più forti interessi c'è quello di scoprire nuovi e voglio portare questo sforzo anche al cinema». Come in Michael Collins (1996) e nella serie di Ocean's, Julia è a suo agio nei film d'intrighi maschili: questa volta è comprimaria e gioca, con il nome di Claire Stenwick, una partita spionistico-industriale intrecciata a una forte attrazione fisica per un altro agente dagli svariati traffici, Ray Koval (Clive Owen , appunto) che dovrebbe essere un suo rivale, ma con il quale finisce per essere travolta da una liaison clandestina. Il regista è convinto che la miscela di toni romantico-avventurosi sia una carta vincente da sempre nel cinema americano che la società globalizzata si presti perfettamente ai nuovi gialli, in bilico tra spionaggio e business. «Dove sta la verità oggi? si interroga Julia . Forse si annida nella stabilità che ognuno riesce a dare al proprio privato. Il passaggio dalla Cia a un'impresa in proprio, il connubio non semplice tra due ego ambiziosi prestati al servizio degli interessi di corporation farmaceutiche costituiscono il plot di una storia che per me ha diversi significati, anche la ricerca di un'onestà personale nella società tra New York, Roma o Zurigo, Londra, Miami... insomma ovunque. E' interessante scavare con un film dietro gli intrecci del mondo attuale. Il cinema può farlo, può generare dibattiti». Riuscirà Julia a comporre con Clive una coppia glamour capace di riportare alla platea i sogni e le tensioni di una volta? Sono lontanissimi i fasti di Lauren Bacall e Humphrey Bogart, di Cary Grant e Grace Kelly (i preferiti dalla stessa Roberts. «Mi è sempre piaciuto fare coppia con qualche attore, penso a Brad Pitt, a George Clooney, a Liam Neeson e, ovviamente, a Richard Gere. Oggi il cinema ha bisogno di forti alleanze, lo star system non esiste più, polverizzato da tante cose, dai canali televisivi... Però l'idea di una Pretty Woman continua a far sognare tante generazioni, Erin Brockovich è diventato il simbolo di chi si impegna nella lotta per l'ambiente. Il cinema, in fondo, è diventato un reality show al quale io chiedo lo stile della vecchia Hollywood e non volgarità. In questo senso, lo ammetto, voglio essere una star». Giovanna Grassi stampa |

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Di fronte alla recessione globale non siamo tutti uguali (sezione: Globalizzazione)

( da "Sicilia, La" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

Di fronte alla recessione globale non siamo tutti uguali Enrico Cisnetto Le crisi hanno sempre qualcosa da insegnare. Se il 1929 ci ha insegnato che il mercato non è in grado di autoregolarsi (poi ce ne siamo dimenticati) quella attuale, probabilmente, ci lascerà una maggiore attenzione a quei segnali d'allarme che si è voluto trascurare a favore di un'euforia da profitto e di un ottimismo di maniera, che si sono rivelati letali. Perché è vero - come sostiene, per esempio, il vicedirettore generale di Bankitalia, Ignazio Visco - che i prodromi della crisi erano sotto gli occhi di tutti, ma sono stati sottostimati, complici previsioni statistiche non del tutto affidabili, antiche e rozze come sono rispetto alla modernità di una crisi senza precedenti. Eppure i problemi erano evidenti: nel caso degli Usa, un'economia e una «way of life» spinte sul versante del debito, con un reddito garantito dalla capacità di acquistare bond pubblici da parte di Paesi emergenti come la Cina e una politica monetaria espansiva durata troppo a lungo, assieme alla mancanza di trasparenza e regolamentazione su strumenti finanziari rischiosi e sfuggenti come derivati e affini. E sul fronte italiano? Anche da noi si sono commessi clamorosi errori di valutazione. In particolare ci si è cullati nella grande illusione secondo cui la crisi sarebbe stata un fenomeno internazionale di fronte al quale «siamo tutti uguali». Eppure le statistiche, pur rozze, parlavano chiaro: sarebbe bastato guardare quelle degli ultimi anni per rendersi conto che l'Italia, per dirla con Charles Collyns del Fondo Monetario, è entrata nella crisi «da una posizione già di estrema debolezza». Osservando gli ultimi 15 anni, infatti, era evidente che il nostro Pil continuava ad accumulare un gap sia rispetto alla Ue sia agli Usa (rispettivamente uno e quasi 2 punti e mezzo di meno all'anno). Così oggi non dovrebbero stupire i dati Eurostat relativi al biennio 2007-2008. Dai quali si evince che l'Italia ha continuato a perdere posizioni, sia rispetto al passato sia nei confronti dei suoi competitor. Infatti, il Pil dell'Eurozona è cresciuto del 2,6% nel 2007 e dello 0,8% nel 2008, mentre gli Usa hanno segnato una performance pari a +2% (2007) e +1,1% (2008). Se si confrontano questi dati con quelli italiani ormai definitivi (+1,5% nel 2007 e -1% nel 2008), emergono tre elementi. L'Italia da un anno all'altro ha registrato il tonfo peggiore di tutti i suoi «rivali», pari a una perdita di 2,5 punti di Pil, contro 1,8 punti dell'area euro e 0,9 punti degli Usa. A livello di benchmark europeo si scopre che l'Italia continua ad aumentare il gap verso i suoi principali «concorrenti». Nel 2007, infatti, ha segnato 1,1 punti di minor crescita con Eurolandia (nella media degli ultimi tre lustri), mentre nel 2008 la forbice sale a 1,8 punti, segnando una performance negativa del 60% circa. Il raffronto con gli Usa, che pure sono l'epicentro della crisi, è ancora più devastante, perché il differenziale di 0,5% del 2007 sale a 2,1 nel 2008, più che quadruplicandosi. Sono dati che nella loro drammaticità non hanno però nulla di emergenziale, ma rappresentano la logica continuazione di un trend più che consolidato. Solo che è mancato il coraggio di fare una diagnosi conseguente, e dunque di adottare una cura appropriata. Ma per imparare non è mai troppo tardi. www.enricocisnetto.it

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Governancesenza fiducia (sezione: Globalizzazione)

( da "Sicilia, La" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

Governance senza fiducia Non c'è dubbio che gli ultimi dati sull'andamento della produzione e dell'occupazione in Usa e nei Paesi europei destino preoccupazione. Il punto su cui si interrogano oggi gli economisti non riguarda il se o il quanto le economie occidentali si trovino in recessione, ma se questa crisi manifesti caratteri di novità strutturali rispetto alle esperienze passate. Giova ricordare che le crisi finanziarie documentate da secoli; sono sempre originate da meccanismi simili e seguono sentieri ben noti: iniziale abbondanza di liquidità; impiego di questa in attività finanziarie o reali la cui domanda viene alimentata da speculazione; scoppio delle bolle, con effetti negativi su chi deteneva quelle attività ("patate bollenti" in mano); ripercussioni generalizzate sulle scelte di consumo e sui livelli di attività produttiva. La bolla che è scoppiata all'origine della crisi attuale, è quella relativa agli immobili in Usa; qualche anno fa è stata quella relativa ai titoli azionari del settore informatico; e via via indietro, sino alle speculazioni sui tulipani nell'Olanda del Seicento o addirittura ai prestiti ai re d'Inghilterra (poi insolventi) nella Firenze del Trecento. Su dati storici si calcola che vi sia stata in media una "grande crisi finanziaria" ogni 8 anni, dal Seicento ad oggi, sempre seguita da contrazioni più o meno forti dei consumi e della produzione. La ciclicità degli andamenti delle economie capitalistiche non è una novità. La situazione delle migliaia -forse milioni- di individui colpiti oggi dalla crisi è di grande serietà, e talvolta di tragicità, ma non di "novità". Certamente, gli ultimi quindici anni sono stati di forte crescita economica, a livello planetario; l'ultima recessione pesante che aveva colpito gli Usa è databile 1991. Qualcuno poteva forse sognare che la ciclicità degli andamenti economici fosse un ricordo storico ormai archiviato. La crisi di oggi ci dice che questo non è vero. Il problema più grande con cui ci misuriamo nel dibattito corrente è quanto i fenomeni di globalizzazione rendano diversi i sistemi economici oggi rispetto al passato; la maggiore integrazione dei mercati di sicuro favorisce il propagarsi di situazioni di crisi. Ma non si può certo pensare di limitare i contagi tornando al passato, ad un mondo meno integrato! La globalizzazione ha minato l'efficacia delle tradizionali misure di politica economica dei governi nazionali. Le risposte vanno concordate a livello più ampio. Ma su questo versante la strada da compiere è ancora tanta. Gli interventi di politica intrapresi negli ultimi mesi sono stati volti soprattutto a garantire la disponibilità della liquidità ai sistemi bancari, mentre il problema principale è quello della mancanza di fiducia: fiducia delle famiglie e delle imprese nel futuro, fiducia reciproca tra gli intermediari finanziari e gli altri soggetti, fiducia di tutti verso le capacità delle istituzioni politiche, ecc.. Per ricostruire un clima di fiducia, gli annunci rassicuranti sono importanti ma insufficienti, perché una razionale fiducia deve avere elementi solidi su cui basarsi; e questi richiedono una ricostruzione delle istituzioni internazionali, la cui oggettiva latitanza ha un ruolo non secondario nella propagazione della crisi attuale. Io penso che abbia ragione chi sostiene che è inutile garantire liquidità alle banche se poi queste non la impiegano (il che è esattamente quello che sta succedendo); il problema è capire perché non la impiegano; e la risposta a me pare risieda nella mancanza di fiducia, in gran parte imputabile all'incertezza sul quadro di "governance" istituzionale innanzitutto a livello internazionale. Va da sè poi che la drammaticità della situazione economica è maggiore in quelle regioni dove la crescita degli ultimi dieci anni è stata più debole, semplicemente poiché lì (volevo dire, qui) la situazione di partenza è più grave; invocare interventi peculiari "territoriali" mi sembra però del tutto improprio, soprattutto in un momento nel quale gli sforzi devono essere indirizzati a cercare soluzioni a livelli un po' più elevati. *Università di Catania

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"Grande Industria e Mezzogiorno 1996-2007" (sezione: Globalizzazione)

( da "Napoli.com" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

8/3/2009 ?Grande Industria e Mezzogiorno 1996-2007? di Antonio Ferrara Tema ricorrente nelle analisi e nei dibattiti pubblici, quanto si discute del fallito processo d?industrializzazione dei territori del Mezzogiorno è il ruolo che ha svolto nel secolo scorso la grande industria pubblica nello sviluppo dell?economia delle regioni meridionali. In queste settimane durante le quali gli effetti della crisi economica colpiscono pesantemente anche il tessuto industriale del nostro Paese e molti recuperano la funzione dello Stato nella programmazione economica e nella gestione del territorio, si ritorna a riflettere sulle esperienze di quegli anni che, con tutti i limiti che pure ebbero, produssero una robusta industrializzazione di vaste aree del Mezzogiorno. A Taranto, la scorsa settimana - in occasione della presentazione del libro dell?ex segretario generale della UIL - Giorgio Benvenuto e il Presidente di Alenia Aeronautica Giorgio Brazzelli, hanno affrontato il tema di come ridefinire una nuova centralità dell?impresa e come il sistema delle grandi aziende deve contribuire a riavviare l?economia in affanno delle regioni meridionali. La Fondazione Mezzogiorno Europa ripropone a Napoli, venerdì 13 marzo ?09 i temi di quella discussione in un workshop moderato da Alfonso Ruffo, Direttore del ?Il Denaro?, previsto in un albergo cittadino, dove sarà presentato il volume "Grande Industria e Mezzogiorno 1996 - 2006" di Federico Pirro e Angelo Guarini. Gli autori del volume, che è pubblicato dalla casa editrice pugliese Cacucci, con una prefazione di Luca Cordero di Montezemolo, non si propongono di rileggere il percorso della grande azienda nel processo d?industrializzazione/deindustrializzazione che dagli anni settanta ad oggi ha investito economia meridionale, espongono invece le conclusioni di un complesso lavoro di ricerca e di rilettura della vicenda industriale del Mezzogiorno nel periodo dal 1996-2007. Il volume indaga sui mutamenti intervenuti nell?ultimo decennio nella geografia delle grandi industrie italiane ed estere insediatesi dall?inizio degli anni ?60 del Novecento in aree strategiche del Mezzogiorno e ne emerge un quadro del tutto inedito che smentisce l?opinione secondo cui molti grandi complessi ubicati nel Sud siano solo reperti d?archeologia industriale. Gli autori, nella prima parte del volume, espongono al lettore geografia, assetti produttivi, investimenti, subforniture e occupazione delle grandi industrie insediate nel Mezzogiorno e per i comparti monitorati, ne seguono le ristrutturazioni, gli ammodernamenti impiantistici, le nuove capacità, i mutamenti societari e i riposizionamenti competitivi nel contesto della globalizzazione. Nella seconda parte del libro, partendo dallo scenario che emerge dalla ristrutturazione che nel ventennio 80 ? 90 trasforma profondamente il sistema delle imprese del Mezzogiorno, gli autori ricostruiscono, ? con studi di comparti industriali e casi aziendali di riposizionamento e ricollocazione sul mercato, con testimonianze di positive esperienze d?attrazione d?investimenti ? una mappa articolata dei settori dell?impresa meridionale, e propongono essi stessi i comparti d?eccellenza verso i quali orientare interesse, attenzione e risorse. Il lavoro dei due ricercatori sollecita il lettore a guardare oltre la crisi e propone di ridisegnare un progetto di reindustrializzazione dei territori meridionali, che per la Campania e Puglia, significa centralità del comparto dell?aerospazio. La proposta coincide con quella del presidente di Alenia Aeronautica che a Taranto esortava : «La crisi lancia una sfida: le aziende devono mostrare la propria forza in questo momento. Le regioni meridionali devono scommettere sul settore aeronautico e, per Alenia, sul programma del Boeing 787 e - prosegue Brazzelli - le diverse attività e i progetti sviluppati nei siti di eccellenza in Campania.». Nel capitolo che il libro dedica all?industria aeronautica ed aerospaziale nell?Italia Meridionale, Angelo Guarini, che è anche il vicepresidente del Distretto pugliese dell?aerospazio, auspica la nascita di un distretto interregionale fra Campania e Puglia, imperniato proprio sul programma Boeing B787 e sui nuovi progetti di velivoli regionali, attività che Alenia Aeronautica sviluppa negli impianti localizzati nelle due regioni meridionali. Lo studio mette in risalto che i processi di globalizzazione, se hanno prodotto l?emergere di debolezze strutturali in larghi strati di PMI meridionali del settore che stentano ormai a competere sul piano internazionale, hanno anche reso possibile il rilancio dei maggiori impianti dei gruppi nazionali ed esteri in esercizio nel Mezzogiorno, che si propongono da tempo come small player sul mercato mondiale. L?autore ritiene che l?industria aeronautica ed aerospaziale nel Mezzogiorno meriti un?attenzione particolare per una serie di ragioni, così sintetizzabili: - si tratta di un settore ad alta tecnologia, che favorisce processi di naturale integrazione e collaborazione con il mondo dell?Università e dei Centri di ricerca applicata. - a tutt?oggi non pregiudicata la caratteristica ?labour intensive? di tale comparto, quasi da artigianato industriale; - la complessità progettuale, tecnologica, industriale ed economico-finanziaria delle produzioni aeronautiche richiede sempre più forme di collaborazione e, preferibilmente, di aggregazione internazionale per programmi di durata medio - lunga; - intorno agli stabilimenti facenti capo a grandi gruppi industriali tende a proliferare un indotto di piccole e medie imprese, molte delle quali fondate da ex manager o ex dipendenti delle grandi aziende, in possesso di un collaudato know-how professionale; - infine, è un settore con trend di crescita del mercato molto positivi, con particolare riferimento al comparto civile. La crisi può essere un?opportunità per il Mezzogiorno per lasciarsi alle spalle anche rigidità, idee e affezione a concetti che non hanno aiutato le imprese e la società meridionale a crescere ed attrezzarsi. Guarini, cita concetti - da lui ritenuti angusti - come quello di ?Polo aeronautico campano? e ?pugliese?. In questi anni ? a suo avviso - si è rafforzato la consapevolezza a tutti i livelli (aziende, organizzazioni imprenditoriali, organizzazioni sindacali, Istituzioni locali) che la strada ineludibile dell?eccellenza competitiva impone la necessità di ?fare sistema?. Le due Regioni possono e devono lavorare per la costruzione di un ?Polo aeronautico meridionale?, come vero e proprio sistema industriale. Senza la capacità di realizzare processi di collaborazione, integrazione e sinergia fra tutti i soggetti istituzionali ed economici (Associazioni imprenditoriali e sindacali, Grandi Aziende e PMI), obiettivi ambiziosi quali - sostegno finanziario allo sviluppo tecnologico, progetti di ricerca, formazione, internazionalizzazione, sviluppo logistico, crescita organizzativa e dimensionale, miglioramento efficienza operativa, completamento della filiera produttiva, rafforzamento della struttura finanziaria di piccole e medie aziende, promozione di aggregazioni imprenditoriali e istituzioni di distretti tecnologici, - sarebbero perseguiti in misura marginale e non rappresenterebbero la risposta che il Mezzogiorno deve trovare per superare la crisi e rispondere alla sfida di riforme profonde della struttura del Paese, come il federalismo, che rafforzerà inevitabilmente le preesistenze industriali forti e realmente competitive nelle aree meglio attrezzate del territorio nazionale.

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Piano casa, no di Franceschini: cementificazione dell'Italia (sezione: Globalizzazione)

( da "Reuters Italia" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

ROMA (Reuters) - Il segretario del Pd Dario Franceschini ha bocciato oggi il piano casa presentato dal governo, definendolo una "cementificazione dell'Italia". "C'è bisogno assolutamente di far ripartire l'economia e le imprese nel settore dell'edilizia. Gli artigiani non lavorano più e quindi tutto ciò che mette in moto questo va bene. Ma il piano per l'edilizia è assolutamente uno sbaglio", ha detto Franceschini nel corso del programma In mezz'ora su RaiTre, commentando il nuovo piano per l'edilizia che l'esecutivo potrebbe varare al prossimo consiglio dei ministri. "E' una specie di cementificazione dell'Italia e anche campata un po' sulla luna", ha detto il numero uno del Pd, ricordando al premier che la maggioranza degli italiani vive in appartamenti di città e non in ville. "Vorrei che [il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi] spiegasse loro dove lo ampliano questo 20 per cento. Sul pianerottolo? Nell'ingresso?", ha esclamato Franceschini, riferendosi a quanto dichiarato dal premier che ha detto che ognuno potrà aggiungere una o due stanze alla propria casa. Per il segretario del Pd, "il rischio cementificazione è pericolosissimo soprattutto in Italia, perché nella globalizzazione ogni Paese deve investire in quello che ha e ciò che ci rende unici è l'Italia stessa, il paesaggio, il centro storico. Rovinare il nostro territorio è come se un Paese arabo bruciasse il petrolio. Non possiamo rovinare ciò che ci rende unici". L'esecutivo ha annunciato venerdì scorso di aver raggiunto un accordo con le Regioni sul piano casa che consentirà di mobilitare i 500 milioni iscritti a bilancio per l'iniziativa. Ciò dovrebbe consentire il via libera al piano, ha spiegato, al prossimo Consiglio dei ministri.

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MOVIMENTO PER LA SINISTRA: FACCIAMO "BILANCIO PARTECIPATIVO" (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere del Sud Online, Il" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

08/03/2009 16:45 Il territorio, ai tempi della globalizzazione, viene usato come spazio economico unico ; in questo spazio le risorse locali sono beni da trasformare in prodotti di mercato, senza tenere in nessun conto la sostenibilità ambientale e sociale dei processi di produzione, (contratto d?area a Manfredonia ieri, Amadori oggi ). In questo processo globale, I territori con le loro "qualità specifiche" - diversità ambientali, culturali e di capitale sociale –, sono utilizzate in maniera tale che spesso vengono consumate senza riprodurle, toglie loro valore innescando processi di distruzione delle risorse e delle differenze locali. L'alternativa a questa globalizzazione selvaggia, parte da un progetto politico che valorizzi le risorse e le differenze locali promuovendo processi di autonomia cosciente e responsabile. Lo sviluppo locale così inteso, si identifica in primo luogo con la crescita delle reti civiche e del "buon governo" della società locale. Il costruire reti alternative globali, fondate sulla valorizzazione delle differenze e specificità locali, di cooperazione non gerarchica e non strumentali. Per realizzare futuri sostenibili fondati sulla crescita delle società locali e sulla valorizzazione dei patrimoni ambientali, territoriali e culturali propri a ciascun luogo, gli enti pubblici territoriali debbono assumere funzioni dirette nel governo dell'economia. E per costruire in forme socialmente condivise queste nuove funzioni di governo devono attivare nuove forme di esercizio della democrazia. Il questo nuovo modello di municipio si struttura attraverso questo percorso, finalizzato a trasformare gli enti locali da luoghi di amministrazione burocratica in laboratori di autogoverno. Nuove forme di autogoverno, in cui sia attiva e determinante la figura del produttore-abitante che prende cura di un luogo attraverso la propria attività produttiva, sono rese possibili dalla crescita del lavoro autonomo, della microimpresa, del volontariato, del lavoro sociale, delle imprese a finalità etica, solidale, ambientale, ecc. Vi sarà la ricostruzione degli spazi pubblici della società locale come luoghi di formazione delle decisioni sul futuro della nuova comunità. Il Municipio si dà come obiettivo un nuovo rapporto tra eletti ed elettori, oggi espropriati da logiche sovrastrutturali di natura economica speculativa che escludono dai momenti decisionali proprio i cittadini-abitanti-elettori. Con il crescere di una dimensione societaria locale complessa, multiculturale , autogovernata, dove nel progettare e costruire direttamente il proprio futuro si costruisce il vero antidoto alla globalizzazione economica e al regno della paura, dell'insicurezza, e dell'impotenza . Questa nuova forma di organizzazione territoriale rende parte integrante del processo di decisione - nei piani, nei progetti e nelle politiche - percorsi partecipativi strutturati anche gli attori più deboli fino a ieri senza voce . Buone, ad esempio, sono le pratiche di coinvolgimento dei bambini nella costruzione delle politiche urbane messe in atto negli ultimi anni da moltissime amministrazioni locali italiane costituiscono un buon esempio dell'efficacia del dar voce a punti di vista sottorappresentati nel migliorare la qualità di vita urbana. In questo scenario, uno degli attori protagonisti è senza dubbio il Bilancio Partecipativo. Questo processo decisionale consiste in un'apertura della macchina statale alla partecipazione diretta ed effettiva della popolazione nell'assunzione di decisioni sugli obiettivi e la distribuzione degli investimenti pubblici. Come indica il nome, si caratterizza come processo partecipativo di discussione sulle proposte di Bilancio (Circoscrizionale, Municipale, Provinciale, Regionale, ma - al limite - anche di impresa, ecc.) che si snoda durante tutto l'anno, fino a disegnare una proposta articolata di Bilancio per ogni anno di gestione successiva, sulla base delle richieste primarie dalla cittadinanza. Per lo più, esso può quindi immaginarsi come un processo di perfezionamento per gradi dei documenti di Bilancio (e in particolar modo dei Piani degli Investimento in Opere e Servizi) discusso e partecipato dagli abitanti del territorio di riferimento del processo stesso, e caratterizzato da una rigida temporalizzazione fissata per il compimento delle scelte nelle sue diverse fasi di articolazione. Il Bilancio Partecipativo è il 'primo passo di una riforma delle politiche territoriali locali, al fine di stimolare un senso attivo di cittadinanza, la partecipazione degli abitanti alle scelte concernenti i loro territori di vita o di lavoro. è uno dei componenti complementari di Partecipazione Cittadina, che ha come obbiettivo coinvolgere i cittadini in tutte le scelte che riguardano il proprio territorio. Giocano un ruolo importante, a livello territoriale le circoscrizioni le associazioni i luoghi di socializzazione in genere, che devono riprendere il ruolo che più gli si addice nella costruzione di una nuova cittadinanza . MOVIMENTO PER LA SINISTRA FOGGIA

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E il re dei casinò rischia la bancarotta (sezione: Globalizzazione)

( da "Corriere.it" del 08-03-2009)

Argomenti: Cina Usa

A LAS VEGAS E il re dei casinò rischia la bancarotta Sheldon Adelson, repubblicano radicale, ha perduto il 95% del suo patrimonio di 27 miliardi di dollari «A Las Vegas il tempo passa in modo gradevole. Questa è una buona notizia, ma è anche una cattiva notizia perché al presidente Obama i posti dove ci si diverte non piacciono: dice che i soldi dei contribuenti non devono andare a luoghi come Las Vegas». «Voglio fare una ricerca e istituire un premio per la città più noiosa. Magari viene fuori che è Chicago». Circondato ancora da una vastissima popolarità, trattato con rispetto anche dai politici e dalle lobby che lo contrastano, il presidente americano non aveva fin qui subito attacchi di questa durezza. Tantomeno da un grande imprenditore come Sheldon Adelson, il re dei casinò di Las Vegas, uno che fino a un anno fa si faceva chiamare Sheldon III: non per motivi dinastici, ma perché a fine 2007 Forbes l'aveva incoronato terzo uomo più ricco d'America, con un patrimonio personale di 27 miliardi di dollari. Ma oggi Adelson è un uomo furioso e disperato: in poco più di un anno il figlio di un tassista ebreo lituano che 63 anni fa, quando ne aveva appena 12, cominciò a guadagnarsi da vivere a Boston vendendo giornali, è passato da una ricchezza spropositata alla distruzione del 95 per cento del suo patrimonio. E ora rischia la bancarotta. Con l'impennata dei prezzi dei carburanti prima e con la crisi finanziaria poi, gli americani hanno ridotto i loro pellegrinaggi a Las Vegas. Un guaio doppio per Adelson che non solo aveva costruito giganti come il "Palazzo" e il "Venetian" - 4000 suite e 19 ristoranti - ormai difficilissimi da riempire, ma aveva inventato il business delle "convention" aziendali e delle fiere, come quella dell'elettronica che si tiene in gennaio. Il crollo del sistema creditizio ha fatto precipitare soprattutto questo business. E le poche banche che, rispettando vecchi impegni, avevano continuato a ricompensare i loro "broker" e i funzionari più produttivi con una vacanza a Las Vegas, hanno fatto marcia indietro dopo le scudisciate del leader democratico. Adelson non ci ha pensato due volte e ha attaccato a testa bassa. Del resto lui, oltre ad essere un imprenditore in difficoltà, è pure un repubblicano a trazione integrale: uno impegnato nella difficile impresa di spostare più a destra l'Aipac, la lobby degli ebrei americani che ha un'enorme influenza sulla Casa Bianca. Oggi Sheldon se la prende con Obama con la stessa durezza con la quale l'anno scorso aveva attaccato Olmert perché aveva aperto alla costituzione di uno Stato palestinese indipendente. Col predecessore di Obama Adelson aveva una rapporto talmente familiare da prendersi qualche libertà di troppo. Un anno fa era andato alla Casa Bianca per invitare Bush a diffidare dell'eccessiva disinvoltura con cui, a suo avviso, l'allora Segretario di Stato Condoleezza Rice si muoveva in Medio Oriente («sta costruendo la sua immagine, non si preoccupa della coerenza della tua politica»). Alla fine raccontò che Bush lo aveva abbracciato ma gli aveva spiegato che non poteva opporsi al doppio Stato perché «non posso pretendere di essere più cattolico del Papa» (frase ufficialmente smentita dalla Casa Bianca). Adelson non ha mai tentato, neanche tatticamente, il dialogo coi democratici. E nemmeno loro hanno mai provato ad avvicinare un miliardario divenuto celebre per frasi come «l'Islam radicale e la legge che dà ai sindacati piena libertà di accesso nelle aziende sono le due principali minacce che pesano sulla nostra società ». Ma il padrone del gruppo Sands ha ugualmente considerato le parole del presidente su Las Vegas un affronto, oltre che un colpo mortale al suo "business", perché Adelson si considera, in fondo, un benefattore: uno che ha creato decine di migliaia di posti di lavoro. Certo, il gioco d'azzardo non è un modello di crescita virtuosa della società, ma Obama durante la campagna elettorale non aveva mostrato di disprezzarlo troppo, quando era andato a battere Hillary Clinton nei caucus del Nevada, tenuti proprio nei casinò. Sheldon - un uomo pieno di energia nonostante i 75 anni e una malattia che ha colpito nervi e muscoli, costringendolo su una sedia a rotelle - schiuma rabbia: aveva conquistato il suo sterminato impero con le unghie, è stato per decenni un super-ricco che nonostante i miliardi e il "jumbo jet", un Boeing 747 lungo 70 metri usato come aereo personale, ha avuto sempre il "complesso di Calimero": la sensazione di non essere mai preso abbastanza sul serio, di essere maltrattato, come nella sua infanzia a Boston, dove «noi ragazzi ebrei venivamo sistematicamente picchiati dai nostri coetanei irlandesi». La sua rivincita era stata quella di aver affiancato Warren Buffett e Bill Gates in cima alla classifica dei miliardari, di essere diventato il grande finanziatore della lobby ebraica, addirittura di aver avuto un ruolo nella disputa delle Olimpiadi del 2008 a Pechino: fu, infatti, proprio lui, l'imprenditore che sta costruendo una nuova Las Vegas a Macao, ad aiutare il governo cinese ad evitare che il Congresso Usa lanciasse un'offensiva contro l'assegnazione dei Giochi a un Paese responsabile di gravi violazioni dei diritti umani. I democratici avevano presentato una risoluzione in questo senso, ma Adelson attivò il suo amico Tom DeLay, allora capo della maggioranza repubblicana: il veto alla Cina finì in un cestino. Ma successi e gloria sono svaniti nell'arco di pochi mesi: adesso Adelson capeggia un'altra classifica della rivista "Forbes": quella dei miliardari che hanno perso di più nel 2008. In dodici mesi ben 24 miliardi di dollari dal suo patrimonio sono andati in fumo. Segue, al secondo posto, Warren Buffett, che ha perso 16,5 miliardi. L'azione della Sands (la sua holding ha mantenuto il nome del primo casinò da lui acquistato, quello in cui si esibiva Frank Sinatra) che nel 2007 era arrivata a quotare 144 dollari, ora a Wall Street vale meno di due dollari. Sull'orlo della bancarotta, Adelson si sente abbandonato e anche disprezzato, mentre gli altri settori in crisi vengono aiutati. «Eppure - contrattacca - a Chicago (la città di Obama) ci sono nove casinò. Lì, però, le "convention" si possono fare, ci si annoia abbastanza. A meno che - Dio non voglia - a qualcuno non venga in mente di andare a divertirsi in una casa gioco. Ma l'importante è che i dollari pubblici non arrivino fino a Las Vegas. Eppure il gioco d'azzardo è legale in 30 Stati Usa». E così, anche se rischia la bancarotta e se è stato costretto a sospendere la costruzione di nuovi alberghi a Las Vegas e in Cina, Adelson adesso vuole dimostrare il suo "impegno sociale" andando avanti col nuovo Sands di Bethlehem, in Pennsylvania, antica città siderurgica diventata una città fantasma. Il nuovo casinò aprirà il 22 maggio proprio nei capannoni della vecchia acciaieria: 3000 "slot machine" al posto del treno di laminazione. Massimo Gaggi stampa |

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