CENACOLO DEI COGITANTI |
Frattini
con la collega francese Lagarde: No al protezionismo
( da "Tribuna di Treviso, La"
del 08-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: No al protezionismo» La titolare dell'economia transalpina critica lo sciopero xenofobo degli operai inglesi della Total «Nel mondo sta crescendo un movimento ostile alla globalizzazione» 6VENEZIA. La tentazione potrebbe essere forte: il protezionismo per uscire dalla crisi, sbattendo la porta in faccia al resto del mondo.
La Florida è il primo
stato Usa per importazione di vino e il secondo per consumo. E dalla Flor... ( da "Arena,
L'" del 08-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: tappa del più ampio Vinitaly World Tour che tocca ogni anno India, Russia, Cina e Giappone, che avrà una seconda fase negli Usa in ottobre in altre tre città. La Florida è meta ideale per le aziende italiane, rappresentando l'8% del mercato Usa e piazzandosi solo dopo la California, con un tasso di crescita delle vendite del 60% in 10 anni.
frattini con la collega francese lagarde:
no al protezionismo ( da "Nuova
Venezia, La" del
08-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: No al protezionismo» La titolare dell'economia transalpina critica lo sciopero xenofobo degli operai inglesi della Total «Nel mondo sta crescendo un movimento ostile alla globalizzazione» 6VENEZIA. La tentazione potrebbe essere forte: il protezionismo per uscire dalla crisi, sbattendo la porta in faccia al resto del mondo.
E' fuori dalla tempesta
della crisi L'azienda ha filiali in Usa e Asia
( da "Provincia Pavese, La"
del 08-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Punta su Europa occidentale, America, India, Giappone e Cina. Due le filiali: una negli Usa e l'altra in Asia per essere vicini ai clienti. Una unità produttiva c'è anche dal 2001 nel Canton Ticino, in Svizzera. Sono attualmente 215 i dipendenti. Tutti devono essere specializzati, la formazione è lunga.
se una conquista diventa
un ripiego - luciano gallino ( da "Repubblica,
La" del 08-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: si mise in primo piano la necessità di contenerne il peggioramento dinanzi alle pressioni dell´economia globalizzata. Erano ormai disponibili nel mondo centinaia di milioni di individui per i quali la settimana di quarantotto ore e i salari di sussistenza contro i quali si erano battuti gli operai europei del 1950 rappresentavano un progresso straordinario.
Al Forum economico di Davos, mentre in Inghilterra scoppiavano le rivolte contro
gli italiani che rubano il lavoro agli inglesi, era stata la più dura: <La
situazione attuale compo
( da "Riformista, Il" del 08-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: suo presidente con la promessa si aiuti ai soli produttori automobilistici francesi, Christine Lagarde mantiene buoni rapporti con l'élite globale di Davos. Ieri ha addirittura chiesto un rafforzamento del Fondo Monetario Internazionale che, oltre a essere un simbolo della globalizzazione, è anche guidato dal leader dei socialisti francesi Dominique Strauss Kahn. S.F. 08/02/2009
no all'europa
supermarket capitalista - riccardo staglianò ( da "Repubblica,
La" del 08-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Non più tra classi ma tra vincitori e vinti della globalizzazione. Questi ultimi sono quelli la cui posizione esistenziale dipende dai confini nazionali. Coloro che tendono a percepire la concorrenza, in questo caso di lavoratori più a buon mercato o motivati, in termini etnici. I vincitori invece sono coloro che hanno la capacità di interagire oltre i confini.
Mazzotta: più capitali per le banche Ma niente tentazioni
dirigiste ( da "Corriere
della Sera" del
08-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Usa-Cina-Ue. L'Europa però deve trovare una voce unica, e l'Italia può contribuire». Gli Stati dell'Unione su banche e finanza si sono mossi però in modo tutt'altro che omogeneo... «Senza dubbio. E devo dire che il progetto tedesco sorprende: siamo abituati a pensare alla Germania come patria dell'economia sociale di mercato e impressiona vedere quanto oggi sembrino pensare piuttosto
dal nostro corrispondente
NEW YORK - Gli occhi della nazione sono pun...
( da "Messaggero, Il" del 08-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Cina, Indonesia e Corea del sud. Il Dipartimento di Stato preannuncia che la signora tratterà in Giappone di questioni ambientali, in Cina di economia e sicurezza, in Indonesia dei rapporti con il mondo islamico e in Corea dei problemi nucleari della Corea del Nord: «Siamo davanti a una ristrutturazione della politica estera Usa,
Bilancio, incontro Della
Valle-Protezione Civile ( da "Caserta
News" del
08-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Protezione Civile ISTITUZIONI | Aversa Ieri mattina l'assessore Gino Della Valle ha incontrato il nucleo di Protezione Civile Comunale per porre in essere una sorta di bilancio partecipato. Alla presenza del consigliere comunale Emilio Scalzone, che da sempre ha seguito per conto dell'Amministrazione comunale la Protezione Civile,
La Svizzera vuole chiudere
i confini ( da "Stampaweb, La"
del 08-02-2009)
Argomenti:
Cina Usa
Abstract: Ue dopo gli Usa e prima di Russia e Cina - viaggia verso i Ventisette. La paura dei «corvi» mette tutto questo a repentaglio e la crisi economica non aiuta. La proverbiale resistenza degli svizzeri allo straniero si ritrova amplificata dalla crisi economica.
( da "Tribuna di Treviso, La" del
08-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Frattini con la collega francese Lagarde: «No al protezionismo» La titolare dell'economia transalpina critica lo sciopero
xenofobo degli operai inglesi della Total «Nel mondo sta crescendo un movimento
ostile alla globalizzazione» 6VENEZIA. La tentazione potrebbe essere forte: il protezionismo per uscire dalla crisi, sbattendo la porta in faccia al resto
del mondo. Lo spunto per una riflessione vasta, a livello mondiale,
giunge dal cuore della Winter University
confindustriale di Venezia: il primo a toccare il tema il Ministro
dell'Economia francese, Christine Lagarde: «Purtroppo
sta crescendo il movimento antiglobalizzazione e xenofobo e si parla ancora di protezionismo». In questo senso «sono sopresa
per la vicenda del movimento di lavoratori britannici, dopo che la Total è
stata obbligata ad assumere lavoratori nazionali». Questi, continua il ministro
francese, sono «piccoli segnali che dobbiamo saper
cogliere e studiare. Non vogliamo tornare indietro agli anni Trenta». Intanto
la Francia si prepara a varare una nuova legge per il rilancio del settore auto
dopo che il Governo ha già immesso euro nelle banche «perché'
qui è necessario affrontare la crisi di petto. Abbiamo iniettato dieci miliardi
di euro e adesso chiediamo alle banche di fare il loro lavoro e sostenere le Pmi». Con il protezionismo «sarebbe facile ritirarsi, non muoversi e mettere tutto
sotto il tappeto dimenticandosi il resto del mondo. Ma questa è una crisi
globale. Italia e Francia soffrono meno rispetto ad altri paesi, ma in alcuni
settori come quello dell'auto siamo colpiti anche noi. Deve essere trovata una
soluzione globale». In questo senso un monito è arrivato anche dal Ministro
degli Esteri, Franco Frattini, che ha auspicato, nel suo intervento, il giorno
di apertura dell'universita confindustriale, «di non
farsi tentare dalle logiche di un neo-protezionismo»;
la vicenda Total ha visto protagonista la Gran Bretagna ma un fatto simile
potrebbe accadere ovunque rivelandosi un boomerang. Preoccupata anche la
presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che ha anche manifestato la sua
perplessità per alcuni segnali protezionistici in arrivo dall'America in
particolare nel settore acciaio. In Europa intanto «saremo una voce forte - ha detto
Marcegaglia - perché vogliamo un accordo; alle frasi dette da tutti devono
seguire i fatti e non altri percorsi condizionati dalla paura della gente o
dall'imminenza di elezioni». (d.p.)
( da "Arena, L'" del
08-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Domenica 08 Febbraio
2009 ECONOMIA Pagina 44 La Florida è il primo stato Usa
per importazione di vino e il secondo per consumo. E dalla Flor
La Florida è il primo stato Usa per importazione di
vino e il secondo per consumo. E dalla Florida, domani e martedì a Miami e
mercoledì a Palm Beach, inizia l'edizione 2009 di Vinitaly
Us Tour, tappa del più ampio Vinitaly World Tour che tocca ogni anno India, Russia, Cina e Giappone, che avrà una seconda fase negli Usa in ottobre in altre tre città. La Florida è meta ideale per le
aziende italiane, rappresentando l'8% del mercato Usa e piazzandosi
solo dopo la California, con un tasso di crescita delle vendite del 60% in 10
anni. Ad aumentare l'interesse delle cantine italiane è l'alta capacità
di spesa degli abitanti di Miami e dei 60 milioni di turisti l'anno. A ciò si
aggiunge il ruolo della città, capitale mondiale dell'industria crocieristica
(5 milioni di passeggeri) e per questo polo dei principali centri di acquisto
per beni e servizi del settore. A Palm Beach, si concentra un gran numero di resort, strutture alberghiere e
ristoranti tra i più esclusivi al mondo. Consolidare la posizione
dell'Italia in questo mercato è quindi strategicamente importante e a supporto
dell'azione di Vinitaly Us
Tour, realizzata da Veronafiere in collaborazione con
Buonitalia, ministero delle Politiche agricole, Ice e Unaprol, con l'assistenza
del Consolato generale d'Italia a Miami, partecipa il sottosegretario dello
Sviluppo, Adolfo Urso, la cui visita, in programma martedì, sancisce anche
l'inizio di una collaborazione tra Vinitaly e Yacht&Brokerage Show, salone nautico mondiale che si
svolge in concomitanza con l'evento. «Il 2008 è stato un anno positivo per le
nostre esportazioni di vino negli Usa», spiega Urso, «abbiamo migliorato la nostra posizione in valore anche se
con una crescita dell'1%. Ciò è tanto più significativo se pensiamo che i
nostri principali concorrenti hanno perso quote di
export. L'Italia continua a mantenere la posizione di paese leader sul mercato Usa e ad avere una notevole quota del mercato
d'importazione: il 29.1% contro il 24.3 dell'Australia e il 12,4 della Francia.
Per questo l'evento di Vinitaly tour è ancora più
importante e significativo, la presenza di oltre 80 aziende italiane è il
segnale che non arretriamo e anche se il 2009 non sarà un anno facile ci sono
delle eccellenze che possono difendersi bene» «Si tratta di un gioco di
squadra», osserva Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere,
«che non può che far bene alle nostre aziende, per la forte immagine di sistema
Paese data all'estero e in particolare negli Usa, dove
il vino italiano è leader con un terzo del mercato».
( da "Nuova Venezia, La" del
08-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Pagina 13 - Economia Frattini con
la collega francese Lagarde: «No
al protezionismo» La titolare dell'economia transalpina critica lo sciopero
xenofobo degli operai inglesi della Total «Nel mondo sta crescendo un movimento
ostile alla globalizzazione» 6VENEZIA. La tentazione potrebbe essere forte: il protezionismo per uscire dalla crisi, sbattendo la porta in faccia al resto
del mondo. Lo spunto per una riflessione vasta, a livello mondiale,
giunge dal cuore della Winter University
confindustriale di Venezia: il primo a toccare il tema il Ministro
dell'Economia francese, Christine Lagarde: «Purtroppo
sta crescendo il movimento antiglobalizzazione e xenofobo e si parla ancora di protezionismo». In questo senso «sono sopresa
per la vicenda del movimento di lavoratori britannici, dopo che la Total è
stata obbligata ad assumere lavoratori nazionali». Questi, continua il ministro
francese, sono «piccoli segnali che dobbiamo saper
cogliere e studiare. Non vogliamo tornare indietro agli anni Trenta». Intanto
la Francia si prepara a varare una nuova legge per il rilancio del settore auto
dopo che il Governo ha già immesso euro nelle banche «perché'
qui è necessario affrontare la crisi di petto. Abbiamo iniettato dieci miliardi
di euro e adesso chiediamo alle banche di fare il loro lavoro e sostenere le Pmi». Con il protezionismo «sarebbe facile ritirarsi, non muoversi e mettere tutto sotto
il tappeto dimenticandosi il resto del mondo. Ma questa è una crisi globale.
Italia e Francia soffrono meno rispetto ad altri paesi, ma in alcuni settori
come quello dell'auto siamo colpiti anche noi. Deve essere trovata una
soluzione globale». In questo senso un monito è arrivato anche dal Ministro
degli Esteri, Franco Frattini, che ha auspicato, nel suo intervento, il giorno
di apertura dell'universita confindustriale, «di non
farsi tentare dalle logiche di un neo-protezionismo»;
la vicenda Total ha visto protagonista la Gran Bretagna ma un fatto simile
potrebbe accadere ovunque rivelandosi un boomerang. Preoccupata anche la
presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che ha anche manifestato la sua
perplessità per alcuni segnali protezionistici in arrivo dall'America in
particolare nel settore acciaio. In Europa intanto «saremo una voce forte - ha
detto Marcegaglia - perché vogliamo un accordo; alle frasi dette da tutti
devono seguire i fatti e non altri percorsi condizionati dalla paura della gente
o dall'imminenza di elezioni». (d.p.)
( da "Provincia Pavese, La" del
08-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
LA SCHEDA E' fuori dalla tempesta
della crisi L'azienda ha filiali in Usa e Asia
ALBUZZANO. La Fedegari Autoclavi SpA nel
( da "Repubblica, La" del
08-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Pagina 31 - Cultura Se una
conquista diventa un ripiego LUCIANO GALLINO D a oltre un secolo l´idea di
lavorare meno ore al giorno e alla settimana è stata avanzata più volte per
scopi pressoché opposti. Il primo, storicamente, fu quello di migliorare la
qualità della vita di operai e operaie. Ridurre la fatica della giornata
lavorativa, avere più tempo per la cura dei bambini, godere di uno o due giorni
pieni in cui poter fare altro, estendere a un maggior numero di compagni i
vantaggi di un´occupazione corredata di diritti e salari decenti. A questo
miravano i grandi scioperi per rivendicare la giornata di otto ore a parità di
salario che il movimento operaio effettuò nell´Ottocento. Tra i quali si
festeggia ancora ai giorni nostri quello nazionale
svoltosi negli Stati Uniti il primo maggio 1886, con il suo tragico seguito di
manifestanti giustiziati l´anno dopo in forza di un processo infame. Tuttavia
non fu soltanto il movimento operaio a prefiggersi lo scopo di lavorare meno
per stare meglio. Nel 1914 Henry Ford ridusse la giornata lavorativa nei propri
stabilimenti da dieci ore a otto e raddoppiò il salario degli operai rispetto
alla media dell´industria: 5 dollari al giorno in luogo di 2,50. Nel 1926
ridusse la settimana lavorativa da sei a cinque giorni, mantenendo ferma la
paga precedente. Non era solo un esercizio di quella che oggi si chiamerebbe la
responsabilità sociale di impresa. Mediante le riduzioni d´orario unite
all´aumento dei salari, Ford intendeva certo contrastare l´influenza dei
sindacati; ma lo faceva anche perché sapeva che operai più riposati e meglio
pagati avrebbero fatto un lavoro migliore, e soprattutto avrebbero potuto
comprare le automobili che essi stessi producevano. Nei decenni successivi la
tendenza verso orari più corti a fronte di salari crescenti parve destinata a
rafforzarsi in tutti i paesi industriali. Gli anni Trenta videro gli operai
lottare - là dove una dittatura non lo impediva - per la settimana di
trentacinque ore. In Usa il partito repubblicano promise agli operai per bocca
di Nixon, nel 1956, che avrebbe ridotto a trentadue ore l´orario settimanale.
In Italia come in Germania le quarantotto ore del 1950
erano scese a meno di trentanove alla metà degli anni Novanta, mentre il
salario reale era cresciuto. In Francia uno studio del 1965 prevedeva che entro
vent´anni la settimana lavorativa sarebbe scesa a ventidue ore, e a quattordici
nei primi anni del Duemila, sempre a parità di salario. Di fatto l´orario
legale non toccò tali limiti, però scese quanto meno a trentacinque ore nel
1998 con il governo Jospin; creando, pur tra molti problemi, almeno 350mila
posti di lavoro. Poi le imprese cominciarono a parlare di crisi, e lo scopo di
lavorare meno cambiò faccia: in luogo d´una miglior qualità della vita per la
massa dei lavoratori, si mise in primo piano la necessità
di contenerne il peggioramento dinanzi alle pressioni dell´economia
globalizzata. Erano ormai disponibili nel mondo centinaia
di milioni di individui per i quali la settimana di quarantotto ore e i salari
di sussistenza contro i quali si erano battuti gli operai europei del 1950
rappresentavano un progresso straordinario. Le nostre imprese si
affrettarono a offrirglielo aprendo nei loro paesi migliaia di società
sussidiarie. Ai dipendenti si cominciò quindi a proporre di lavorare meno, non
più a parità di salario bensì a salario ridotto. Ciò avrebbe evitato dolorose
misure di licenziamento. Il primo grande contratto che prevedeva di ridurre a
trenta ore l´orario settimanale, con annessa una decurtazione del salario un
po´ meno che proporzionale, fu firmato dal sindacato tedesco dei metalmeccanici
nel 1994: furono così risparmiati, si disse, 50mila licenziamenti. Seguirono
vari altri contratti del genere. Oggi di crisi si parla come non mai, ma la
posta in gioco rimane la stessa. è scontato che,
dinanzi all´alternativa tra lavorare e guadagnare di meno per evitare il
licenziamento di migliaia di loro simili ed il continuare con l´orario e il
salario di sempre sperando di non essere toccati a propria volta dal licenziamento,
la gran maggioranza dei lavoratori dipendenti sia orientata a scegliere la
prima soluzione. Lo confermano recenti sondaggi. Tutto sta a vedere se la
soluzione prospettata - guadagnare meno per continuare a lavorare tutti - si
rivelerà effettivamente temporanea, oppure se non sarà l´inizio di un piano
inclinato in fondo al quale la riduzione dei salari reali sarà definitiva. La
globalizzazione è stata ed è essenzialmente un complesso di politiche del
lavoro rivolte al medesimo tempo a spostare il lavoro nei paesi dove gli orari
e i salari non sono in realtà tutelati da nessuno, e a ridurre le tutele là
dove esse avevano raggiunto negli anni Settanta-Ottanta
il massimo livello. Nello sfondo di ogni discorso sulla crisi dell´economia
reale, sono queste le politiche che continuano ad operare, per quanto siano
ornate da dotte analisi sulla necessità di modernizzare il sindacato, i
contratti, il mercato del lavoro.
( da "Riformista, Il" del
08-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Al Forum economico di Davos, mentre in Inghilterra scoppiavano le rivolte contro
gli italiani che rubano il lavoro agli inglesi, era stata la più dura: «La
situazione attuale comporta due grandi rischi: protezionismo
e rivolte sociali» Al Forum economico di Davos,
mentre in Inghilterra scoppiavano le rivolte contro gli italiani che rubano il
lavoro agli inglesi, era stata la più dura: «La situazione attuale comporta due
grandi rischi: protezionismo e rivolte sociali». Ma
due giorni prima, quando Christine Lagarde era a Bercy, Parigi, dove ha sede il ministero dell'Economia di
cui è titolare da due anni aveva un'altra idea. «Il protezionismo
è un male necessario», aveva detto parlando ai microfoni di Bfm
radio, poche ore prima la sua vice si era detta preoccupata per la clausola buy american nel piano di Barack
Obama. Anche se sulla questione protezionista dimostra qualche tentennamento
che è più una concessione allo scetticismo francese verso la mondialisation che espressione di convinzioni personali,
Christine Lagarde sta assumendo sempre più un ruolo
analogo a quello di Giulio Tremonti in Italia. Pessimismo catastrofista
alternato a un pragmatico sostegno dell'ottimismo presidenziale che Nicolas Sarkozy spesso manifesta. Cinquantatré anni, caschetto grigio e un fisico da ex
campionessa di nuoto, la Lagarde ha un'altra cosa in
comune con Tremonti: non è un'economista di formazione, e neppure politica di
carriera, ma un ex avvocato d'affari. "La più americana dei
francesi", l'ha definita Le Nouvel Economiste:
negli Stati Uniti è arrivata giovanissima, si è trovata a diventare assistente
parlamentare del deputato repubblicano William Cohen ai tempi del Watergate e nel 1980 viene assunta dal principale studio
legale americano, Baker&McKenzie. La riporta alla
politica Dominique De Villepin, ministro degli Esteri
di Jacques Chirac e aspirante leader (poi sconfitto da Sarkozy)
dell'Ump, il partito gaullista. Appena nominata
ministro del Commercio estero, la prima dimostrazione di quanto poco francese
fosse ancora la neoministra: «il mercato del lavoro francese è troppo
complicato e crea ostacoli all'impiego». Frasi così esplicite non usano in
Francia, e il primo ministro De Villepin l'ha subito
rimproverata. Nonostante fosse legata al suo arcinemico, Sarkozy
l'ha comunque voluta nell'esecutivo guidato da François Fillon.
Poi è arrivata la crisi. Mentre l'ipercinetico Sarkozy
passava da un vertice bilaterale a Washington a un Ecofin europeo a un meeting
straordinario parigino, la Lagarde si è occupata
delle tecnicalità dei salvataggi delle banche
francesi in crisi, e di dare concretezza alle intuizioni di politica economica
del suo presidente. Alla vigilia del G4 delle principali economie europee, a
settembre, è stato evidente: Sarkozy invocava unità
europea di reazione, Lagarde faceva le cifre di quel
famoso fondo sovrano che poi non si è mai concretizzato per l'opposizione
tedesca. Oggi la funzione del ministro dell'Economia è leggermente diversa:
sempre più forte in patria e indispensabile per la credibilità di Sarko nella crisi, rappresenta all'estero un lato liberista
e pro global che in realtà nell'opinione pubblica è sempre più debole. E mentre
cresce il nazionalismo economico del suo presidente con la
promessa si aiuti ai soli produttori automobilistici francesi,
Christine Lagarde mantiene buoni rapporti con l'élite
globale di Davos. Ieri ha addirittura chiesto un
rafforzamento del Fondo Monetario Internazionale che, oltre a essere un simbolo
della globalizzazione, è anche guidato dal leader dei
socialisti francesi Dominique Strauss Kahn. S.F.
08/02/2009
( da "Repubblica, La" del
08-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Pagina 29 - Cronaca ULRICH BECK No
all´Europa supermarket capitalista RICCARDO STAGLIANò
(segue dalla copertina) «Non sapendola definire non
capisce neppure cosa ci guadagna da questa cosa vaga. Quindi, per cominciare,
partirei dalla definizione: un sistema di nazioni che cooperano per aumentare
la sovranità comune e per risolvere così i problemi nazionali. Poi bisogna
accrescere la pluralità al suo interno. Non è più possibile escludere l´altro.
L´Europa sta invecchiando e la sua popolazione rimpicciolendo: l´unico modo per
contrastare questa tendenza è attraverso i migranti. Ne abbiamo bisogno. Infine
c´è urgentemente bisogno di una visione sociale dell´Europa. Pensarla come un
supermarket capitalistico non è abbastanza». Ma fino a che punto è desiderabile
perdere le nostre diversità? Molti scettici usano questo argomento in chiave
anti-europea... «Ad esempio l´Europa deve superare la
sua moltitudine incoerente di leggi sull´immigrazione. Abbiamo bisogno di una
risposta integrata nei suoi confronti. Su questo terreno di certo faremmo bene
a perdere le nostre diversità. Lo stesso vale, ovviamente, per le risposte alla
crisi finanziaria. Nessuna risposta nazionale sarà mai capace di contrastare
questo come altri rischi globali». Dalla cronaca recente non arrivano buoni
segnali. In Italia uno stupro commesso da alcuni romeni ha provocato reazioni
feroci e indiscriminate. Ed episodi di intolleranza violenta si moltiplicano.
Cosa si dovrebbe fare per disinnescare la bomba a orologeria del risentimento? «La risposta a queste spinte xenofobe dev´essere
urgentissima. La lingua ufficiale, delle istituzioni, dev´essere
molto chiara e ferma. I governi e tutti i loro ministri devono parlare in modo
non ambiguo e far sì che i colpevoli vengano puniti. Altrimenti le cose possono
mettersi davvero male. Anche in Germania, dopo la riunificazione, ci sono stati
vari episodi di violenza. Ma la risposte istituzionali
sono state inequivoche e il rischio di un
patriottismo nazionalista è stato scongiurato». Da noi il parlamento ha
rigettato un decreto che avrebbe consentito un fermo sino a diciotto mesi, dai
due attuali, dei clandestini in centri di detenzione temporanea. Però è passato
l´onere per i medici di denunciarli se vengono a curarsi da loro. E molti hanno
già dichiarato che faranno obiezione di coscienza. «I
cittadini sono spesso più saggi dei politici. Quello dei clandestini resta un
problema molto delicato. Se non ci fossero tutte quelle persone irregolari le
nostre economie collasserebbero. Di nuovo: il nostro stile di vita dipende da
loro. E la loro condizione di illegalità è prodotta dalla
nostre leggi nazionali. Non sono illegali perché lo vogliono ma perché le
nostre leggi li definiscono tali. Voglio dire che per la stragrande maggioranza
sono persone per bene che vogliono farsi una vita migliore, lavorando da noi.
Dico di più: molti di loro sono più europei di noi, nell´accezione cosmopolita
verso la quale dovremmo tendere. Si spostano all´interno degli stati membri
come se niente fosse, sanno come interagire con le loro diverse culture. Sono
già come noi dovremmo diventare». La malsopportazione dello straniero, tuttavia, cresce in tempi
di crisi. Lavoratori britannici hanno dimostrato contro operai italiani,
reclamando quei posti per i locali. Cosa succederebbe se venisse messa in
discussione la libertà di lavoro all´interno della Ue?
«Il protezionismo interno
ucciderebbe l´Europa. è sempre stato più facile
restare uniti quando le cose andavano bene. In tempi di crisi, economiche e
sociali, le spinte xenofobe si presentano puntuali. Il fatto è che dobbiamo
abituarci a una nuova contrapposizione, sia all´interno del medesimo stato che
tra stati diversi. Non più tra classi ma tra vincitori e
vinti della globalizzazione. Questi ultimi sono quelli la cui posizione esistenziale
dipende dai confini nazionali. Coloro che tendono a percepire la concorrenza,
in questo caso di lavoratori più a buon mercato o motivati, in termini etnici.
I vincitori invece sono coloro che hanno la capacità di interagire oltre i
confini. Ciò dipende ovviamente dall´istruzione. I primi vedono minacce
dove i secondi vedono opportunità». Dipende forse anche dai diversi tipi di
immigrazione che noi abbiamo, ad esempio, rispetto agli Stati Uniti? «Certo. L´85 per cento della manodopera straniera non
qualificata viene in Europa, contro il 5 per cento che va in Usa. Viceversa da
noi arriva solo il 5 per cento dei qualificati, contro il 55 per cento
nordamericano. Dobbiamo invertire questa proporzione con politiche migratorie
che favoriscano i flussi di lavoratori qualificati. Lo fanno già i paesi
scandinavi e in un qualche modo anche la Gran Bretagna. Sarebbe l´approccio più
realistico e adottarlo avrebbe un enorme effetto anche nella riduzione
dell´allarme sociale, giusto o sbagliato, che oggi i migranti producono». In
America però il figlio di un kenyano può diventare
presidente. Cosa ci manca perché possa accadere anche da noi? «La "visione Obama" è molto importante e
attraente, una visione cosmopolita, non solo per la biografia dell´uomo ma
perché tende a includere invece che escludere. Gli Usa però sono, dall´origine,
un paese di immigrati. L´Europa no. Puntare a una specie di Stati Uniti
d´Europa sarebbe controproducente. Piuttosto a una visione cosmopolita che
tenga insieme le diverse identità territoriali, riconosca che siamo diversi e
simili allo stesso tempo. è più complesso ma anche più
entusiasmante». (L´ultimo libro di Ulrich
Beck è Conditio humana. Il
rischio nell´età globale edito da Laterza)
( da "Corriere della Sera" del
08-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Corriere della Sera - NAZIONALE -
sezione: Economia - data: 2009-02-08 num: - pag: 24 categoria: REDAZIONALE Il presidente della Bpm Mazzotta: più capitali per le
banche Ma niente tentazioni dirigiste «Il Tremonti-bond?
Uno strumento, ciascuno poi scelga la strada migliore» MILANO — «Le banche
devono presentarsi con strutture patrimoniali solide: è un interesse oggettivo,
di sistema e riguarda tutti. Dunque, la priorità oggi è rafforzarsi». Sottoscrivendo i Tremonti-bond?
«I Tremonti-bond
rappresentano il benchmark, il salvagente di ultima istanza. Ciascuno poi
sceglierà lo strumento che considera più conveniente». E voi cosa farete? «Abbiamo il 2009 per fare ragionamenti e decidere la strada
che ci consentirà di realizzare un rafforzamento nell'interesse di clienti e
azionisti. Mantenendo il principio, obbligatorio per una cooperativa, di
erogare il dividendo ». Ma lei sarà ancora seduto su quella poltrona? «Mi chiede cosa succederà nella prossima assemblea che dovrà
rinnovare i vertici? Sarà di unitaria continuità».
Formula che in altri tempi sarebbe stata definita democristiana...Cosa significa? «Stop, sull'argomento non aggiungo altro
». Roberto Mazzotta si guarda intorno: l'ufficio del
presidente della Popolare di Milano è ricco di quadri (alle pareti una dozzina
di Sironi) e di libri. Ne prende uno e lo sfoglia
dicendo: «Dobbiamo rafforzarci anzitutto per ripristinare la fiducia, sepolta
dalla crisi. Ma rabbrividisco quando sento le invettive contro il mercato, la
crisi non è colpa del mercato...». Diciamo di un
mercato senza regole? «Non è questione di regole, che
ci sono. Gli Stati Uniti consumavano e importavano, la Cina
lavorava ed esportava. L'America ha finanziato per dieci anni lo squilibrio
commerciale con manipolazione monetaria e inflazione creditizia: l'enorme pozza
di liquidità a bassi costi ha permesso ai vizi delle banche di investimento di
esplodere senza ritegno. Le cause sono strutturali: non c'entrano né la
cattiveria dei banchieri né solamente la presenza o meno di controlli. E ora sa
qual è il pericolo maggiore? Che i governanti in preda al panico la pensino
come Herbert Clarck Hoover:
nel '30 inventò il "suo" New Deal, poi modificato e sviluppato da
Roosevelt, e trasformò la recessione in depressione grave... ». Sta remando
controcorrente, mi pare... «Forse, ma spero proprio
che i governanti evitino l'errore fatale di mettere le mani dappertutto. Non va
sussidiata l'offerta, ma sostenuta la domanda, in
particolare dei lavoratori in crisi. Ed è necessario un accordo sul rapporto di
cambio. Occorre un G2 o un G3 Usa-Cina-Ue. L'Europa però deve trovare
una voce unica, e l'Italia può contribuire». Gli Stati dell'Unione su banche e
finanza si sono mossi però in modo tutt'altro che omogeneo... «Senza dubbio. E devo dire che il progetto tedesco
sorprende: siamo abituati a pensare alla Germania come patria dell'economia
sociale di mercato e impressiona vedere quanto oggi sembrino pensare piuttosto
a Rosa Luxembourg». E l'Italia? «La
nostra situazione è diversa, il sistema bancario non ha problemi di instabilità
come in Gran Bretagna, Olanda o Germania. Il Tremonti-bond
ha avuto il consenso delle autorità europee. E altri paesi, come la Francia,
guardano con interesse a questa soluzione ». Applaude a Tremonti? Ma il governo
continua a tirare schiaffi ai banchieri. «I rimproveri del governo non creano
lo stesso turbamento di un tax rate
al 47%, dieci punti in più dei concorrenti europei». Torniamo al Tremonti-bond, le banche lo sottoscriveranno? «Lo sottoscriverà chi avrà interesse a farlo, mettendolo a
confronto con le altre possibili strade. Ogni banca dovrà comunque rafforzarsi
per ripristinare i rapporti di fiducia e per evitare che ostacoli tecnici
regolamentari portino a una riduzione dell'offerta di credito in modo
surrettizio». A questo proposito però si parla di obblighi relativi
all'erogazione del credito... «Quando sento dire che è obbligatorio aumentare
il credito di una certa percentuale, ricordo che la banca è un'impresa che
gestisce il rischio, non eroga gas». Ma voi avete ridotto o aumentato gli
impieghi? «Anche in gennaio abbiamo registrato
incrementi nei depositi e nell'erogazione dei crediti. Ma non perché qualcuno
l'abbia ordinato». Le piccole imprese bussano di più a
voi, alle banche di territorio? «Senza dubbio, perché
i rapporti sono più diretti, le decisioni più veloci e c'è più disponibilità,
visto che gli impieghi sono meno concentrati. Il rafforzamento patrimoniale
aumenterà, o non frenerà, la potenziale espansione
operativa. Ma va detto che la domanda di credito cambia: se ne chiede meno per
investimenti e più per finanziare circolante o sostenere situazioni di crisi.
Ciò significa che aumenta la rischiosità, quindi anche la necessaria
selezione». Le piccole imprese però lamentano che avete stretto la cinghia e
aumentato i prezzi... «Posso parlare per noi:
continueremo a sostenere le imprese che saranno il motore della ripresa. I
tassi? Dire che devono scendere quando il rischio sale e il costo della
raccolta cresce è come negare la legge di gravità». A proposito di banche di
territorio, l'Antitrust le ha suonate ancora alle Popolari... «L'Antitrust ci
sgrida mentre il mercato sottolinea i nostri aspetti positivi: le banche
cooperative non hanno conflitti d'interessi e la linea commerciale, che non è
sganciata dalla forma societaria, ci ha portato a pulire i portafogli e
chiudere New York e Londra quattro anni fa». Pensate ancora ad aggregazioni?
«Credo che in questo periodo sia dovere per ogni banca seguire la massima del Candide di Voltaire: "Bisogna coltivare il proprio
giardinetto". Sergio Bocconi \\ Aumenti obbligatori nel credito? Ma noi
siamo delle banche e non eroghiamo gas \\ Aggregazioni? Credo che oggi sia
meglio coltivare il proprio giardinetto
( da "Messaggero, Il" del
08-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Domenica 08 Febbraio
2009 Chiudi ANNA GUAITAdal nostro corrispondente NEW
YORK - Gli occhi della nazione sono puntati in questi giorni sul dibattito al
Congresso per l'approvazione del pacchetto di stimolo dell'economia, ma nel
frattempo la nuova Amministrazione sta muovendosi con pari decisione sul fronte
della politica estera, mettendo le basi di un vasto cambiamento rispetto agli
otto anni all'Amministrazione Bush. La visita del vicepresidente Joe Biden in Europa giunge subito dopo il primo viaggio
dell'inviato speciale George Mitchell in Medio
Oriente e poco prima del viaggio del segretario di Stato
Hillary Clinton in Oriente. Gli esperti parlano di un complesso gioco di
squadra, in cui Obama cerca di coprire tutte le aree che giudica cruciali per
il futuro. A Biden e al Consigliere per la sicurezza
nazionale James Jones è data la missione di riconfermare l'amicizia con la Nato
e di mettere le basi di un dialogo costruttivo con la Russia, alla Clinton
tocca il compito di aprire un nuovo capitolo nei rapporti con la Cina e di costruire un ponte con i Paesi islamici attraverso
l'amicizia con l'Indonesia, e ai tre "zar" George Mitchell,
Dennis Ross e Richard Holbrooke vengono affidati i
nodi del Medio Oriente, dell'Iran, e del Pakistan-Afghanistan.
Se questo scacchiere di interventi corrisponde al vero, significherebbe che
Hillary Clinton non è la depositaria in toto della politica estera americana,
ma solo una delle pedine, anche se di grande peso specifico. Qualche
commentatore si è chiesto se il ruolo della signora non sarà simile a quello
del Segretario di Stato William Rogers, che durante
la presidenza Nixon dovette rassegnarsi ad avere una posizione di secondo piano
rispetto al Consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger. Ci sono
tuttavia interpretazioni diverse. E' vero che è la prima volta che un
segretario di Stato inaugura le sue missioni all'estero con un viaggio
nell'Estremo Oriente anzichè in Europa. E quindi sarebbbe lecito sospettare che Hillary sia stata spinta in
secondo piano dalla missione europea del vicepresidente Biden.
O si potrebbe accettare che siamo davanti a una staffetta ben congegnata: Biden presenta al mondo le grandi linee della politica estera
americana, Hillary le mette in pratica, cominciando in Giappone, Cina, Indonesia e Corea del sud. Il Dipartimento di Stato preannuncia
che la signora tratterà in Giappone di questioni ambientali, in Cina di economia e sicurezza, in Indonesia dei rapporti con il mondo
islamico e in Corea dei problemi nucleari della Corea del Nord: «Siamo davanti
a una ristrutturazione della politica estera Usa, che
era stata concentrata sul Medio Oriente» constata Rizal
Sukma, direttore del Centro per gli Studi Strategici
Internazionali.
( da "Caserta News" del
08-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Domenica 8 Febbraio
2009 Bilancio, incontro Della Valle-Protezione Civile
ISTITUZIONI | Aversa Ieri mattina l'assessore Gino Della Valle ha incontrato il
nucleo di Protezione Civile Comunale per porre in essere una sorta di bilancio
partecipato. Alla presenza del consigliere comunale Emilio Scalzone,
che da sempre ha seguito per conto dell'Amministrazione comunale la Protezione
Civile, si è discusso delle problematiche e delle priorità del nucleo
comunale. "Abbiamo ascoltato il responsabile della Protezione Civile Ciro Nugnes ? ha detto l'Assessore Della Valle- Al termine
dell'incontro abbiamo deciso di proporre di appostare dei fondi in bilancio per
l'acquisto di un'altra macchina dato che il nucleo comunale di Protezione
Civile sta crescendo, sia in termini di interventi e compiti, che come
iscritti. Abbiamo pensato- continua l'assessore delegato alla
Protezione Civile- anche all'acquisto delle nuove divise e di ulteriori
attrezzature ed apparecchiature, tra cui un'idrovora, fondamentale in caso di
allagamento". L'assessore Della Valle, poi, ha reso noto ai
volontari della Protezione Civile che l'Amministrazione Comunale, guidata dal
sindaco Domenico Ciaramella, ha l'intenzione di appostare una somma in bilancio
per la redazione del piano d'emergenza di protezione civile. "Il piano ?
ha spiegato Della Valle- sarà redatto da specialisti del settore, iscritti ad
un particolar albo. Abbiamo intenzione di porre in essere questo piano sia per
la grande importanza del piano stesso ed anche perché sono stati appostati dei
fondi regionali e europei proprio per la Protezione Civile. E'
la prima volta ? dichiara l'assessore Gino Della Valle - che si ha un confronto
con i rappresentanti della Protezione Civile per discutere delle loro priorità
in modo da destinare i fondi opportuni in bilancio".
( da "Stampaweb, La" del
08-02-2009)
Argomenti: Cina Usa
Dal fronte del «no» è arrivato un
poster inquietante, tre immensi corvi che becchettano la piccola Svizzera. Lo
ha affisso il Partito del popolo (Svp) per illustrare
come la destra immagina la Confederazione se il referendum di domenica
approverà il rinnovo degli accordi di libera circolazione con l?Unione europea.
L?offensiva xenofoba è mirata contro i «poveri dell?Est»,
i bulgari e romeni ultimi entrati nel club comunitario, ma la questione è ben
più grande. Sinora i cantoni hanno stretto intese con venticinque stati e
adesso devono decidere di passare a ventisette. Con un problema: il voto è uno
per tutti, chi rifiuta Bucarest e Sofia rifiuta Bruxelles. Vuol dire che una
vittoria del «no» porterebbe indietro di anni le mai
facili relazioni fra Berna e l?Ue. La colpa è della clausola «ghigliottina»
introdotta alla firma del primo patto bilaterale del 2000. Essa prescrive che
l?eventuale bocciatura del pacchetto «libera circolazione» farebbe decadere
entro sei mesi l?insieme degli accordi a cui questo è stato legato, chiudendo
mercati come l?aviazione civile, il trasporto su ruota, la ricerca comune.
Significherebbe il blackout di due sistemi interdipendenti, con danni
reciproci, anche perché il 60% dell?export della
Svizzera - che è il secondo partner commerciale dell?Ue dopo gli Usa e prima di Russia e Cina - viaggia verso i Ventisette. La paura dei «corvi» mette tutto
questo a repentaglio e la crisi economica non aiuta. La proverbiale resistenza
degli svizzeri allo straniero si ritrova amplificata dalla crisi economica.
«I salari in Romania e Bulgaria sono di almeno il 15 volte
più bassi dei nostri - afferma Alain Hauert,
portavoce del Svp -. Con le grandi imprese che
vogliono tagliare il costo del lavoro questo rappresenta una grande minaccia».
Ci risiamo. «Posti svizzeri agli svizzeri» come i «posti inglesi agli inglesi»
di Grimsby. La recessione invita al protezionismo e
alla xenofobia, anche se tutto prova che la piena circolazione dei lavoratori
risponde al crac congiunturale e non lo alimenta. La non condivisione di questa
tesi unisce gli estremi svizzeri, la destra e la sinistra, e solletica i
conservatori dell?Unione democratica del Centro,
primo partito in parlamento col 27%. Il governo è in ambasce. Il primo
pacchetto di liberalizzazioni fu approvato nel 2000 col 67% dei suffragi. Il
secondo - quello del 2004, senza ghigliottina e prodromo di Schengen - passò
col 54%. In queste ore di vigilia rovente i sondaggi danno al 50% i favorevoli,
al 43 i contrari, al 7 gli indecisi. Le aree francofone sono le più nettamente
europeiste, quelle tedesca e italiana sono più
incerte. «La libera circolazione non è direttamente connessa a quella stabilita
con Schengen, ma come si farebbe a mantenere in piede l?intesa se andasse
male?» si chiede una fonte europea a Bruxelles. Probabilmente non sarebbe
possibile, tornerebbero i pesanti controlli alle frontiere e i dazi a go-go,
cooperare diverrebbe più difficile. Come prima del 2000. Come succedeva in un
altro secolo.